2 Francesco Hoch DUETTI PER SOPRANO E TENORE sulle poesie di: Roberto Bernasconi: Kultur Aurelio Buletti: Modestia Gilberto Isella: Conviviali Antonio Rossi: Usualmente o con foga Dubravko Pušek: Addio illustre Europa Soprano: BARBARA ZANICHELLI Tenore: MASSIMILIANO PASCUCCI voci alla chiara fonte 3 4 Paolo Repetto: RITRATTO DI HOCH Agli inizi degli anni '70, quando Hoch cominciò a concepire le sue prime opere, il vasto panorama della cultura non era ancora così drammaticamente diviso tra un cielo alto, puro, inarrivabile, ed una terra eccessivamente semplicistica e commerciale. Era il tempo, "attorno all'ideterminazione", in cui i vari sperimentatori del nuovo, e lo stesso Hoch, si erano spinti fino a quelle regioni di azzardo aleatorio e rarefatte atmosfere timbriche, dove la forma della musica pareva trovare una giustificazione soltanto attraverso il gioco della casualità, ed il sorriso dell'improvvisazione. Se, negli anni '50 e '60, lo strutturalismo aveva portato a concepire dei suoni forse eccessivamente freddi, geometrici e calcolati, quell'indeterminazione, quella casualità, al contrario, erano programmate sul limite opposto di un'incontrollata libertà. Per queste ragioni, di fronte a quelle ricerche estreme, molti compositori ritornarono su posizioni più moderate, riscoprendo una musica meno sperimentale e più riflessiva. Nel decennio 1970-'80, anche Francesco Hoch ritornò ad una scrittura classica, temperato tra le benevoli sentinelle del tradizionale pentagramma, per verificare i molteplici rapporti compositivi con i "vari tipi di materiale musicale". Formatosi sotto il magistero compositivo di Franco Donatoni, che, tra le altre cose, lo indirizzò verso una coscienza critica estremamente attenta e 5 profonda, egli è sempre stato convinto dell'importanza di un gesto artistico mai fine a se stesso, mai gratuito; un fare musicale, un artigianato sonoro sempre vagliato attraverso un'accurata ricerca ed una ricca riflessione. Al di là della musica tonale, al di là delle linee melodiche della tradizione; oltre l'armonia classica, basata sulla sovrapposizione degli intervalli di terza, oltre il pantonalismo, oltre la costrittiva dodecafonia, le possibilità di un compositore sono veramente immense. Vi è la musica concreta quella che nobilita anche il rumore - vi è la musica elettronica quella che artificialmente può riprodurre qualsiasi suono - vi è soprattutto la musica per strumenti tradizionali, quella maggiormente amata da Hoch, ma secondo una prospettiva particolare ed inedita. A partire dalla cosiddetta "musica figurale", attraverso opere importanti come Riflessioni sulla natura di alcuni vocaboli (1972/74), Arcano (1975/76), Trasparenze per nuovi elementi (1976), Figura esposta (1977), egli elabora un linguaggio, del tutto originale che, partendo da premesse informali si struttura in ampie campiture di motivi e figure, "come incrocio tra pensiero lineare tradizionale e nuovo pensiero di gruppo o di agglomerato". Come nella pittura informale, in queste sue musiche, Hoch sembra ricercare un universo materico ricolmo di luce, pervaso da un ordinato disordine. Come un Pollock dei suoni, egli affronta con orgoglio la superficie bianca del tempo. Scava la luce, incide sulla materia, disfa e rielabora la struttura delle battute. Intreccia infinite curve melodiche. Ordisce un contrappunto fittissimo di linee, macchie, tracce, segni, gesti, colori. Un caos diviene for6 ma, una forma si disfa nel caos. I segni delle note, precise, nette, pulite, si sovrappongono in un ordito magmatico che esplora il tempo, ne indaga i confini, trapassandolo come una freccia di vibrante, impetuoso lirismo. Tutto è ordine, tutto è caos. Come il granello di sabbia impazzito nel vento, la nota di Hoch - il suo scintillante, minuscolo suono - descrive traiettorie improbabili, confini ipotetici, linee eleganti e bizzarre. L'oro del timbro diviene ritmo, la curva delle fittissime melodie, come schegge di suono, rimbalzano in grumi d'aria, il tempo deflagra in una polifonia di colori invisibili. Ma quale relazione ci può essere tra invenzione e ripetizione? tra qualcosa di caotico, "informale" e qualcosa di ordinato, "figurativo"? Certo, in quelle opere la figura musicale si poneva come magico confine tra l'idea tradizionale di "motivo" e quella molto più recente di "aggregato" informale; sino ad esplorare, in un'elegante "danza spericolata", corrispondenze e collegamenti nell'infinito repertorio della musica di tutto il Novecento. In questo senso, nella musica di Hoch, c'è sempre qualcosa di apollineo, luminoso, geometrico, che dialoga con un furore dionisiaco, una tenebra abbagliante fatta di grovigli, intrecci, grumi sonori - ora implosivi ora esplosivi. Un'antitesi che cerca una conciliazione, un doppio alla ricerca dell'armonia, della sua unità. In questa prospettiva, tra il 1980 e l'83, Hoch mette a fuoco un nuovo procedimento compositivo che, con un felice ossimoro, un lirico paradosso, lui stesso chiamerà degli "ostinati variabili". Ancora ricerca di un equilibrio, un'armonia tra elementi apparentemente inconci- 7 liabili. Strutture fisse, ordinate, motiviche, che dialogano con momenti più aperti e improvvisati e liberi. Un percorso sonoro che, partendo da aloni figurativi, figure schematizzate, alla maniera di De Kooning - un pittore storico particolarmente amato e visto da Hoch - si confondono e scompaiono in una marea di segni impetuosi e gesti fulminei. Così, in opere come Leonardo e/und Gantenbein (1980-82) - spettacolo multimediale per danza, proiezioni, cinque strumenti e tre voci - Lo specchio e la differenza (1982) per violoncello e contrabbasso, e soprattutto la serie dei quattro lavori da camera dal titolo stesso di Ostinato variabile, per clarinetto basso (I), per clarinetto basso e pianoforte (II), per due chitarre (III) e per violino e pianoforte (IV), alcune sezioni trasparenti prefissate, gli ostinati, vengono presentati e presto dissolti in un'ampia fantasia, una lirica trasgressione al progetto originale stesso. Tuttavia, lo spirito delicato di Hoch, il suo lato orfico amarevole e utopico, sembra aver patito questa distanza dalle cose del mondo; ma, lontano da una prospettiva religiosa, distante da uno sbocco metafisico, il suo gesto estetico, in positivo o in negativo, continua a dialogare con gli enigmi della società e i paradossi della storia. Così il "tempo della dissoluzione, dove le strutture si dissolvono fino all'isolamento del singolo elemento nelle vicinanze del precipizio sul vuoto e sul nulla", caratterizza le opere successive, dal 1983 agli anni del "silenzio", '87'-89, quando quel vuoto e quel nulla, da preziosa metafora, si trasforma in un'incontenibile presenza. In realtà, opere come Endlich (1984) per pianoforte, 8 Kurzatmend (1985) per flauto e clarinetto, Sans jeu (1985) per clarinetto e pianoforte, e Sans (1985) per oboe e orchestra considerata dall'autore stesso una sorta di opera conclusiva, finale, dove il materiale sonoro acquista una fisicità ed una vitalità prorompenti - proprio perché forgiate su quella disperazione, e su di un linguaggio completamente aperto ai lirismi e alle emorragie dell'inconscio, sono tra le musiche più alte scritte in Europa, in quegli anni. Musiche dove, dissolvendosi il discorso legato alla speranza di procedere secondo linguaggi costruiti, si individuano tensioni inedite, grumi elettrici, melodie infuocate, grovigli armonici, il tutto fuso e saldato da un'altissima temperatura dell'ispirazione. Poco più tardi, a partire dal 1989 - dopo gli anni del silenzio Hoch scelse un percorso paradossale concepito come un operare postumo, post mortem, un osservare con le proprie composizioni il mondo, la società, la storia, da una posizione virtualmente metastorica, metareale. Un gioco della coscienza che ha voluto estraniarsi dall'impossibile presente, per proiettarsi in uno spazio senza tempo. Una riflessione aperta, lirica, al di là dell'effettivo impatto sociale. Una cultura del postumo, che si imponeva "come distanza dello sguardo dal mondo e unica possibilità di sopravvivenza, grazie a una vita in un al di là che vede il mondo attraverso la trasparenza del vetro della propria bara." Così, a partire da Il mattino dopo (1986) per orchestra - una sorta di autobiografia musicale dove si ascolta "la nascita e la dissoluzione della sua musica figurale" - passando per le Sette bagatelle d'oltretomba 9 (1990) per orchestra, il Tableau Infernal (1990) per coro e orchestra, Der Tod ohne das Maedchen (1990) per quartetto d'archi concepito su di un pessimismo radicale, un Schubert completamente rovesciato - fino alle grandiose Memorie da Requiem (1991/92) per coro, soprano e orchestra, Hoch incide il proprio ispirato pessimismo sulle lapidi scintillanti che via via i confini del tempo e dell'aria, della memoria e della notte miracolosamente gli offrono. Come uno Chateaubriand dei suoni, in realtà, egli si diverte della contemplazione distante, distaccata, disillusa che può effettuare sul mondo, attraverso uno spazio mentale del tutto sgombro da concrete tensioni sociali. Un tempo creativo che, disgustato e nauseato dalla vita, come dice Karl Kraus, paradossalmente rinasce attraverso un suicidio che ridona la vita. Un antico saggio cinese una volta disse: "Se vuoi essere felice un'ora, beviti una bottiglia di vino. Se vuoi essere felice un anno, sposati una bella donna. Se vuoi essere felice per tutta la vita, coltiva un bel giardino." Deluso di come vanno le cose di questo mondo, ormai profondamente scettico sul potere della musica di fronte alle realtà sociali, con un sorriso degno di un volto buddista, Hoch, oggi, ha rivalutato il valore del disincanto, della leggerezza, della grazia, dell'ironia - la capacità stessa di eludere una domanda - riscoprendo il suo fiorente giardino: luogo di meditazioni, di intense memorie; spazio fittamente profumato dove gli infiniti colori che attraversano la sua pupilla si trasformano in ghirlande di luce e di suono. A partire dal 1994, fino al nostro impietoso presente, la sua musica è ritornata ad una visione della vita forse più appassionata, ma molto più 10 ironica, modulando una ricca rete di relazioni tra interno ed esterno, individuo e mondo. Così, considerando The magic ring, opera multimediale e monumentale per tre voci femminili, tre maschili, tre chitarre elettriche, tre percussioni e nastro magnetico, fino a queste ultime musiche vocali, il suo sguardo contempla e commenta il grande fenomeno della realtà, attraverso i lucidi filtri della coscienza, dell’ironia e dell’ispirazione. Paolo Repetto è nato nel 1965. Ha pubblicato numerosi saggi, una raccolta di scritti sulla musica, Il silenzio dei suoni, un libro su Debussy, Il sogno di Pan (il melangolo, 2000), e L'orizzonte dell'eternità-La musica romantica (il melangolo 2003). E' critico musicale del mensile Amadeus. Collabora con la Radio Svizzera Italiana e la rivista Dissonanz di Zurigo. E' visiting professor all'Università Ebraica di Gerusalemme. 11 Davide Monopoli I DUETTI DI FRANCESCO HOCH: QUANDO LA POESIA TORNA A CANTARE… Luciano Berio, il celebre compositore scomparso nel 2003, ha sottolineato un aspetto, tanto concreto quanto spesso trascurato, della rappresentazione musicale: “La musica non è mai pura… e indivisibile dai suoi gesti… è da ascoltare come teatro, da vedere come musica”. La musica va vista, oltre che ascoltata. Ciò è tanto più vero quando si ha a che fare con la musica contemporanea: poiché essa cela in sé la dimensione teatrale che al tempo stesso la svela. Basti pensare, a titolo di esempio, all’esecuzione di un pezzo di Luigi Nono – dove i musicisti fanno di tutto fuorché suonare in modo canonico i rispettivi strumenti – o ad una composizione di Stockhausen “per palla da baseball e gong”. E nell’aver saputo “mettere in voce” proprio questa singolarità sta la grande forza dell’ultimo lavoro di Francesco Hoch. Poesia e musica: è la storia di una lunghissima relazione, storia che sarebbe vano tentare di ritracciare dal principio, in questa sede. In tempi moderni, è praticamente impossibile non pensare al celebre verso del poeta simbolista Paul Verlaine, che rinnova, 12 recuperando tale tradizione, la poesia moderna: “De la musique avant toute chose”, o a Mallarmé, che in un Coup de dés trasforma la pagina in spartito per “costellazioni di parole”, spianando il terreno a una nuova poesia a venire. Ma è a partire dai primi esperimenti dada (dai poemi fonetici recitati da Hugo Ball nel 1916 al Cabaret Voltaire di Zurigo, fino a Kurt Schwitters, con la celebre UrSonate, pubblicata sulla rivista Merz nel 1932), e parallelamente, con la creazione della lingua zaum (la lingua transmentale forgiata dai futuristi russi – Chlebnikov in primis) nonché attraverso le sperimentazioni sonore del futurista italiano Giacomo Balla (in particolare le Verbalizzazioni astratte), che si delinea sempre più chiaramente uno spazio poetico singolare a partire dal quale, sul finire degli anni Cinquanta, soprattutto in area francese, prende consistenza, con il Lettrisme prima, e la poésie concrète poi (che prolifera e si sviluppa, in forme diverse, in Francia, Brasile, Italia, Stati Uniti, Germania, Cecoslovacchia, Danimarca, Svezia, Giappone, ecc.), quella pratica che diventerà, a partire dagli anni Sessanta, la poésie sonore. Ricerca poetica che, attraverso il lavoro sul linguaggio (testo/spartito e suono/vocalità), tende a sintetizzare poesia e musica, sullo sfondo di una riscoperta della voce, o meglio della vocalità, spingendo il linguaggio sempre più verso il proprio limite, sorta di fuori del linguaggio stesso: fatto di visioni e audizioni non-linguistiche, ma che solo il linguaggio rende possibili. Una ricerca, questa sul linguaggio inteso 13 come materia sonora in grado di produrre energia, che trova per esempio nel rumeno Ghérasim Luca (“Prender corpo”, alla chiara fonte, 2005) uno dei percorsi più straordinari ed intensi del ventesimo secolo. Nemmeno la collaborazione tra poeti e musicisti è cosa nuova, anzi: basti menzionare, per limitarsi questa volta al panorama italiano, la stretta e duratura amicizia tra il poeta Edoardo Sanguineti e Luciano Berio o la collaborazione di Angelo Maria Ripellino col compositore Luigi Nono. Ma il connubio fra poesia e musica, non è certo la novità di questo curioso progetto, il cui pregio – enorme – è semmai quello di saper cogliere una filiazione storicamente nota, in modo però del tutto imprevisto – e quasi minore: a fil di voce. Francesco Hoch prende la cosa sul nascere, per così dire – punta sulla semplicità, va all’essenziale: la poesia, è innanzitutto voce (in principio erat verbum? ); il testo, è spartito; le parole, soffi – vibrazioni. Qui sorge l’enorme difficoltà di tale intento: mettere in musica il testo poetico, ricreando però tutta quanta la ricchezza di tale permutazione. E proprio qui, Hoch si rivela quale maestro delle intensità: poiché è davvero difficile per l’ascoltatore il non restare immediatamente accattivato da questo suo sapiente gioco di equilibrazione, mentre il musicista distribuisce magistralmente 14 intensità variabili nello spazio acustico – per parafrasare il pittore Paul Klee, egli “rende udibile”, rende sonoro questo sottile campo di forze, creato a colpi di sobrietà. Il compositore stana la voce: in un sottile gioco di vibrazioni, di rimandi che vanno dal testo al cantato, e viceversa, creando una sorta di “entre-deux” – una zona neutra, vibratile, ricettiva – intensiva, che trasporta la complessità dell’intreccio (la trama del testo) verso una zona di indiscernibilità, dove la voce si fonde nel canto, e dove il canto, coi suoi intermezzi, fa risuonare una sorta di “parola prima delle parole”. Attraverso la rete di risonanze che Hoch riesce a creare in un tempo brevissimo, la campitura sonora satura l’aria, capta microparticelle in grado di regalare momenti di forte emozione, di grande risonanza nel plesso – in breve, di vibrazione interiore. D’altrocanto, niente come la voce è in grado di far vibrare l’animo umano. Poesia e musica contemporanea hanno qualcosa in comune nel loro procedere, parola per parola, nota dopo nota, attraverso lo spazio – qualcosa che le accomuna nel profondo: la lotta (il corpo a corpo quasi) con la forma. Nell’affrontare i Problemi della lirica, Gottfried Benn, uno dei creatori dell’espressionismo tedesco, mette in 15 guardia: la forma è il contenuto più alto. Poiché nella lotta formale – sia essa poetica o musicale – risiede l’arcano di ogni ricerca in grado di farci fare un passo avanti. Testo poetico o spartito, campo testuale o campo sonoro, varia lo sfondo – ma analoga è la tensione che anima questa morfomachia comune. E forse è proprio questo il “mezzo gaudio” che risuona così brillantemente nella ricerca di Hoch, alle prese coi suoi poeti. Questo è, per così dire, il campo di battaglia. Michel Foucault, a proposito di Pierre Boulez, scrive: “si crede volentieri che una cultura si aggrappi più ai suoi valori che alle sue forme; che queste, facilmente, possano essere modificate, abbandonate, riprese; che solo il senso si radica profondamente. È misconoscere fino a che punto le forme, quando esse si disfano o nascono, hanno potuto provocare stupore o suscitare odio; è misconoscere il fatto che si è più attaccati ai modi di vedere, di dire, di fare e di pensare che a quel che si pensa, si dice o si fa. La lotta delle forme in Occidente è stata altrettanto accanita, se non maggiore, di quella delle idee e dei valori”. Il lavoro di Hoch sul testo è singolare, anche se la declinazione è, per l’appunto, duale: a partire dai testi poetici alquanto eterogenei (si pensi ad esempio alla distanza fra un Aurelio Buletti, “poeta minimo” e un Gilberto Isella, poeta, tutto sommato, “sperimentale”), la soprano Barbara Zanichelli di Parma, e il tenore Massimiliano Pascucci di Roma, amalgamano le loro voci in modo 16 ineccepibile, e sublimano con la loro arte quel che accomuna tutti questi poeti: il cercare, ognuno alla propria maniera, di dire. L’intreccio – il dialogo – vocale impasta le immagini in suono, e trae da questo magma vibratile di voci, linee di una purezza inaudita, toccante. È interessante vedere, sentire a che punto (a che contrappunto) Hoch riesce, attraverso i cinque Duetti, a rendere puntualmente l’ardua trasposizione. La serata inaugurale – tenutasi il 9 marzo 2005 al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano – è stata un’entrata in materia degna di nota. L’ouverture, lasciata a Roberto Bernasconi, che col testo Kultur (una sorta di “pastiche” affidato alla mimesi ironica e divertita di un proto-slogan pubblicitario) ha rotto il ghiaccio coinvolgendo da subito il pubblico, raccolto nella sala gremita, ha decisamente fatto breccia. E si è subito capito che ci si trovava di fronte a una ricerca personalissima del compositore: vitale e di grande impatto. Dopo il bell’esordio – quasi uno scherzo, il secondo poeta chiamato sulla scena a “dare il la” ai suoi versi, è stato Aurelio Buletti: “Sono poeta minimo/ ospite occasionale e sconosciuto/ della signora musa” – che ha così dato voce a Modestia – quasi una “toccata e fuga”, un bel “segmento” di quella “lode più grande” alla quale Buletti ci ha introdotti con l’ultima raccolta omonima (alla chiara fonte, 2003) – dolcemente, e sempre per accenni. 17 Molto convincente è stata soprattutto, da un punto di vista più formale, la resa dei versi di Gilberto Isella e di Antonio Rossi – per le evidenti assonanze (e dissonanze) testuali proprie di questi scrittori, rispettate dalla puntuale distribuzione sonora di Hoch. Con le sue Diafonie, Rossi sembrerebbe essere il più “vicino” al lavoro del compositore, operando pure lui nell’infinita distanza che separa il poeta dal dire: “Usualmente o con foga/ un parametro o abitacolo/ vischioso incorpore/ o asporta soggetti/ riluttanti e additivi/ copiosi e dopo/ trazioni o pericoli/ estromette in tracciati/ dislocati e insidiati/ da particelle”. Ma anche Isella, dal suo canto, non è all’oscuro di questo tipo di ricerca, intendendo la poesia come una pratica che tenta di “nominare il caos”, di rilegare cioè attraverso il sottile filo della scrittura l’eterogeneità e la complessità del mondo. Così, attraverso le Conviviali, in un sorso di quel “poderoso quarto di barbera” – che è tutt’uno col respiro dell’interpretazione di Hoch – si “colma l’immagine/ vetro moltiplicato/ sei ugole d’oro lo decantano/ ch’erano una sola/ pare ora l’universo”. Particolare risulta invece la scelta, inedita per lo stesso Hoch, del canto “quasi gregoriano” utilizzato per adattare il testo di Dubravko Pusek (certo, fra i cinque, il più “ortodosso”) – scelta questa, forse in parte dovuta anche alla tematica non facile delle deportazioni: “Sempre si ripete, tra lo sferragliare delle carrozze/ il 18 destino dei non nati” (…) “Ma come nascondere il fremito dell’albero/ che, prima della morte, improvvisamente fiorisce./ La parola nell’ultimo sgomento abbandono/ s’avvolge in un dolore ancora più grande/ nell’attesa di un domani uguale a ieri…”. Dalla parola scavata, refrattaria, del poeta rumeno Paul Celan dunque, ai suoni stridenti degli archi del Kronos Quartet, che graffiano insieme alle testimonianze dei deportati in Different trains dell’eclettico compositore americano Steve Reich – si profila un orizzonte greve di significati. Una scelta insomma, questa di Hoch, che sta quasi a suggerire, attaverso l’uso austero di un codice lontano nello spazio e nel tempo, una funzione liturgica, catartica del canto – e potrebbe forse insinuare, sulle tracce di Pusek, la possibilità di una ciclicità storica, e quindi anche del ritorno dell’identico. “Un sogno, si prepara con cura” ha detto Pierre Boulez. Con i Duetti per soprano e tenore, Francesco Hoch condensa il risultato di una ricerca appassionata e coinvolgente, che non mancherà certo di piacere agli addetti ai lavori, ma che si spera possa essere una piacevole scoperta anche per chi ama semplicemente la poesia… e la sua voce. Davide Monopoli, poeta, è nato a Lugano nel 1977. Ha curato per la chiara fonte: l’antologia della durata (2003) e tradotto un testo del poeta Ghérasim Luca (2005). Ha inoltre pubblicato la raccolta a titolo provvisorio (2004). 19 Francesco Hoch: “Duetti” per soprano e tenore (2004) La nascita di questi “Duetti” per soprano e tenore è avvenuta grazie al desiderio del pittore Mauro Valsangiacomo di presentare una mia nuova composizione vocale su testo appositamente scritto dal poeta Dubravko Pušek all’inaugurazione di una sua mostra. Questo desiderio ha in seguito creato una serie occasionale di incontri con poesie e poeti, alla ricchezza e diversità dei quali mi sono potuto avvicinare più facilmente grazie alla mia recente esperienza compositiva sulla letteratura italiana del ‘900 sfociata in un vasto lavoro intitolato Percorso Novecento composto negli anni 2003 e 2004. Nei cinque brevi “Duetti”, dall’invettiva multilinguistica di Roberto Bernasconi (“Kultur”) e dal timido porsi nel mondo attraverso l’arte di Aurelio Buletti (“Modestia”), si passa all’esuberante caogena prelogica surreale di Gilberto Isella (“Conviviali”), al suo opposto geometrico oggettivismo di una materia che si detta alla soggettività di Antonio Rossi (“Usualmente o con foga”), e si approda, alla fine, alla sconsolante ripetitività tragica della Storia nel componimento di Dubravko Pušek (“Addio illustre Europa”), dopo il quale implacabilmente il silenzio si è imposto. Cantare in DUE una poesia, in queste composizioni, significa esplicitare quell’intimo dialogo interno dell’artista con il proprio io che si stabilisce durante l’atto creativo prima della decisione di proiettarsi fuori nel mondo esterno: l’uno si fa ombra o luce dell’altro, predomina o si sottomette, dialoga in modo equilibrato o si fonde mimeticamente, trascinatore o trascinato, si separa, si riunisce, propone o ascolta, vive e si nutre dell’altro oppure lo rinforza, nutrendolo lui stesso. dicembre 2004 F. Hoch 20 Francesco Hoch Fotografia di Max Kellenberger Nato a Lugano nel 1943, dopo gli studi magistrali si è diplomato in composizione con F. Donatoni e in canto artistico presso il Conservatorio G. Verdi di Milano dove ha studiato anche direzione d’orchestra e musica elettronica. Ha seguito anche corsi di composizione con S. Bussotti, K. Stockhausen e G. Ligeti. Compone dal 1968 e le sue opere sono state eseguite e trasmesse nella maggior parte dei paesi europei, in Russia, U.S.A., Medio oriente, Giappone e America Latina. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi sia per singole composizioni che per la sua attività complessiva di compositore. Ha pubblicato un’ottantina di opere strumentali, vocali, teatrali, per scene, danza, elettroniche, multimediali, presso Suvini Zerboni di Milano. Per molti anni ha svolto intense attività didattiche musicali e sperimentali nel Cantone Ticino, fondando anche l’Associazione per la diffusione della musica contemporanea Oggimusica. La sua attività di compositore ha visto i seguenti periodi creativi: 1968-1970 “Attorno all’indeterminazione”, 1970-1975 “Ricerca polidirezionale”, 19751980 “Musica figurale”, 1980-1983 “Ostinati variabili”, 1983-1985 “Il tempo della dissoluzione”, 1987-1988 “Silenzio”, 1986/89-1993 “Opere postume”, dal 1994 “L’impietoso presente”. 21 Roberto Bernasconi: Kultur Kultur, “culture”, “culture”,cultura. La cültüra, IT MUST BE POLITICALLY CORRECT – cultura e turismo, nulla che possa urtare, valori universalmente riconosciuti, accettati, assimilati, predigeriti. BIG BUSINESS, la cultura DOIT ÊTRE RENTABLE – Kultur macht GELD – GELD “is the only value” – ‘Na cültüra da barlafüs ? 22 Roberto Bernasconi è nato Lugano nel 1959, vive a Bedano (TI). Ha pubblicato: Sul taglio dell’orizzonte, 1982, I passi nel cielo, 1983, Pianeta Nelly, 1986 (Mazzuconi, Lugano); Blues e ballate, 1988 (Comune di Bedano); Tra zero e tutti, 1989, Schermografia con passaggio d’aquiloni, 1992 (Ibiskos, Empoli); Alba solstiziale, 1997 (Edizioni Ulivo, Balerna); Stella ipogea, NEM, 2000; Piccole inadempienze, (Edizioni Ulivo Balerna), 2003. È presidente dell’Associazione degli Scrittori della Svizzera Italiana. 23 Aurelio Buletti : Modestia (da Segmenti di una lode più grande, 2003) Per breve tempo, per minuto spazio mi prosciolgo dal cereo silenzio per scrivere, se posso, lievemente. Sono poeta minimo, ospite occasionale e sconosciuto della signora musa. 24 Aurelio Buletti è nato nel 1946 a Giubiasco , vive a Lugano. Docente di scuola media, ha pubblicato: Riva del sole, Lugano, Pantarei, 1973; Né al primo né al più bello, Iniziative Culturali,Sassari 1979; Terzo esile libro di poesie; Lugano, Mazzuconi, 1989; Brevi, 2001 e Segmenti di una lode più grande, 2002, Alla Chiara Fonte,Lugano-Viganello. Suoi testi sono tradotti in tedesco e francese. 25 Gilberto Isella: Conviviali. da “Nominare il caos” poderoso quarto di barbera di taglio colma l’immagine vetro moltiplicato sei ugole d’oro lo decantano ch’erano una sola pare ora l’universo filtrarsi in metodici scatti di suoneria versare quel tanto alloro nel posticino deporlo che al buio rimanga accanto al cuore bugigattolo briaco * lameggìo d’aroma che nel convito s’insalda, riverbero cupido o stola ne tange il cielo, papilla, purchè macere annusi salvie il canestro dei piccoli cani * 26 culmina nell’acqua madre un canto ebbro, meraviglioso vomito di mare se alliscia i suoi capelli d’eco, ombra nubile deviata dal suo coltello, quel cibo ridente in mammella di medusa, quel teatro spiritale della spuma Gilberto Isella, poeta e saggista, è nato nel 1943 e vive a Lugano. È coredattore della rivista "Bloc notes", collabora a giornali e riviste letterarie svizzeri e italiani. Le sue principali raccolte poetiche sono: Le vigilie incustodite, Bellinzona, Casagrande, 1989; Discordo, Locarno, Dadò, 1993: Apoteca, Torino, Ed. L'Angolo Manzoni, 1996: Krebs, Balerna, Edizioni Ulivo, 2000; Nominare il caos, Locarno, Dadò, 2001; In bocca al vento, Faloppio (CO), LietoColle, 2005. Ha tradotto testi poetici di C.Racine e J.Daive. 27 Antonio Rossi : Usualmente o con foga da Diafonie Usualmente o con foga un parametro o abitacolo vischioso incorpora o asporta soggetti riluttanti e cela freghi e additivi copiosi e dopo trazioni o pericoli estromette in tracciati dislocati e insidiati da particelle. 28 Antonio Rossi, nato nel 1952 a Maroggia, ha studiato letteratura italiana alle Università di Friburgo e di Firenze. Ha pubblicato le raccolte di poesie Ricognizioni (Bellinzona, Casagrande 1979), Glyphé (Mendrisio, Stucchi 1989, con acqueforti di S. Gabai) e Diafonie (Milano, Scheiwiller 1995). Si è occupato di poesia italiana del Quattro-Cinquecento, in particolare di Serafino Aquilano; ha tradotto le Poesie di Robert Walser (Bellinzona, Casagrande 2000). Insegna presso il Liceo cantonale di Mendrisio. Fotografia di Yvonne Böhler 29 Dubravko Pušek: Addio illustre Europa. Là dove il viburno rosso s’inchina ancora partono e non tornano più i treni da San Sabba, da Ravensbrück e da Treblinka non partono e ancora tornano da Mauthausen e da Srebrenica. Sempre si ripete, tra lo sferragliare delle carrozze, il destino dei non nati, tra fumi aspri di carbone la musica sotterranea accennata nel terrore, la parola privata della parola. Là dove il viburno rosso s’inchina è la stessa ombra su questo abisso, partono e tornano i treni con cenere e mucchi d’ossa i vagoni sono sempre pronti… 30 Ma come nascondere il fremito dell’albero che, prima della morte, improvvisamente fiorisce. La parola nell’ultimo sgomento abbandono s’avvolge in un dolore ancora più grande nell’attesa di un domani uguale a ieri… Dubravko Pušek è nato nel 1956 a Zagabria. Dal 1966 vive a Lugano dove lavora per i servizi culturali della RSI. Ha pubblicato vari libri di prosa e di poesia, tra i quali Carni trasparenti (Manduria, 1980), Pietra di labbra (Bergamo, 1988) ed Effetto Raman (Locarno, 2001). Traduce dal croato, francese, tedesco, ucraino e ceco Fotografia di Pierre-Antoine Grisoni/STRATES 2004 31 Barbara Zanichelli. Nata a Parma e diplomata in Violino nel Conservatorio della stessa città, si è in seguito dedicata al Canto, studiando tecnica vocale con l’insegnante russo Anatoli Goussev a Milano. Si è perfezionata nella prassi esecutiva della musica barocca, presso la Civica Scuola di Musica di Milano con C.Miatello e R.Gini. Ha seguito i corsi sul repertorio belcantistico tenuti da Luciana Serra e Sergio Bertocchi. Dal 2001 al 2003 frequenta il corso di canto presso il Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano dove consegue ‘con lode’ il “Diploma di Perfezionamento” sotto la guida di Luisa Castellani. Come soprano del quintetto vocale "Vox Àltera", ha vinto il Primo Premio al Concorso internazionale "Luca Marenzio" per formazioni vocali madrigalistiche. Svolge intensa attività concertistica sia come solista che in ensemble, come interprete del repertorio antico e contemporaneo in importanti sale e rassegne italiane ed estere come “Accademia di S.Cecilia”e “Nuova Consonanza” a Roma, a “Musica e poesia a S.Maurizio” e “Milano Musica” a Milano, “Fondazione Cini” a Venezia, “Abbazia di Rouyemont” a Parigi, “I Vesperali 2004”, “Musica nel Mendrisiotto”, “Cantar di Pietre” e “Novecento-passato e presente” in Ticino, “Festival Resonanzen”, “Sala del Musikverein” e “Konzerthaus” a Vienna, Festival di Saintes, Festival di Innsbruck, Festival di Anversa, Festival di Bruges, Festival di Uthrecht, Festival de Musiques Sacrées Fribourg, Festival di Cremona, Festival di Urbino, Festival di Ravenna, con musicisti quali M.W.Chung, P.Memelsdorff, E.Gatti, O.Dantone, G.Bernasconi, V.Parisi, C.Cavina, A.Cetrangolo, G.Capuano, F.M.Bressan, con ensemble quali “Mala Punica”, “La Venexiana”, “Ensemble Aurora”, “Dèdalo Ensemble”, “Accademia Bizantina”, “Athestis Chorus”, “I Madrigalisti Ambrosiani”, “Cappella Artemisia” , “Solisti Vox Altera” e ha partecipato a registrazioni televisive e radiofoniche italiane ed europee. Ha registrato per varie case discografiche tra cui ERATO, ARCANA, CHANDOS, VIRGIN. 32 33 Massimiliano Pascucci Direttore, cantante, compositore e pianista. Nato a Roma, dopo gli studi pianistici, si diploma nel 1995 alla Scuola Sperimentale di Composizione nel Conservatorio di S. Cecilia. Affronta poi lo studio del canto con Claudine Ansermet, Sherman Lowe, Anatoly Goussev, Luciana Serra e Luisa Castellani, con cui studia anche nel CSI di Lugano. Ha partecipato nella duplice veste di cantante e direttore a numerose masterclass sulle prassi esecutive vocali, tenute in Italia e all'estero da Rinaldo Alessandrini, Roberto Gini, Pedro Memelsdorff, Herve Niquet, Peter Phillips, Andrew Lawrence-King, Jonathan Rathbone, Peter Holman, "The Parley of Instruments", "The Hilliard Ensemble" e Tõnu Kaljuste. Nel Gennaio 1997 a Graz (Austria) si qualifica nel turno semifinale del concorso internazionale di liederistica "Schubert e la musica del XX° secolo" in duo con il pianista Gregorio Nardi. Nel Maggio 2003 è invitato a Bellinzona come tenore solista per i festeggiamenti statali dei 200 anni del Cantone Ticino, con un'aria operistica di Carlo Soliva trasmessa in diretta televisiva dalla Televisione Svizzera Italiana (TSI). A Brescia ha debuttato nell'agosto 2003 nell'opera buffa "Arlecchinata" di A.Salieri nel ruolo di 'Arlecchino', e nel maggio 2004 nel ruolo di 'Christus' nella 'Passio Christi' di G.Facchinetti per soli, coro e orchestra, eseguita in prima mondiale al Teatro Grande di Brescia. E' fondatore, direttore e coreografo dell'ensemble solistico vocale "Vox ŒAltera Ensemble", specializzato in musica a cappella contemporanea e rinascimentale. Ha collaborato come solista con gli ensemble "Capella Ducale" di Venezia diretta da L.Picotti, "Interensemble" di Padova diretto da B.Beggio, "Gruppo madrigalistico Fosco Corti" di Piacenza diretto da R.Dell'acqua, "Cantilena Antiqua" di Bologna diretta da S.Albarello, "Ensemble Les Nations" di Bologna diretto da L.Baldassari, "Accademia S. Felice" di Firenze diretta da F.Bardazzi, "Homme Armé" di Firenze diretto da F.Lombardo, " Modo Antiquo" di Lugano diretto da G.Conti. Come direttore ha debuttato nel Giugno 2004 dirigendo un concerto del Divertimento Ensemble di Milano dedicato a compositori svizzeri contemporanei (Huber e Zinstag). Ha frequentato corsi del M° Donato Renzetti e del M° Maurizio Dones. E' attualmente allievo nella classe di Direzione d'orchestra di Daniele Agiman nel Conservatorio di Musica di Milano. 34 35 L’editore ringrazia: Radio svizzera di lingua italiana, Rete 2 Finter Bank Lugano, in particolare il direttore signor Luigi Rezzonico un donatore che vuole restare anonimo, i signori Sonja e Mario Buzzolini, gli amici della “collezione Aurora 2005”, il compositore, gli esecutori, i poeti; e tutte le persone che seguendoci ci aiutano. 36 Registrazione effettuata il 29 marzo 2005 presso l’Auditorio Studio Molo della Radio Svizzera di Lingua Italiana di Lugano. Regia musicale (registrazione e montaggio): Manuel Veronesi. Produttore responsabile: Giuseppe Clericetti. 37 DUETTI per soprano e tenore di Francesco Hoch sulle poesie di Roberto Bernasconi: Kultur Aurelio Buletti: Modestia Gilberto Isella: Conviviali Antonio Rossi: Usualmente o con foga Dubravko Pušek: Addio illustre Europa Soprano: BARBARA ZANICHELLI Tenore: MASSIMILIANO PASCUCCI é il nr 1 della collana voci L’immagine è un frammento dell’opera “Addio illustre Europa” di M. Valsangiacomo 38 settembre 2005 39 40