“Ci sono giorni in cui bisogna esserci. Ci si emoziona, ci si ricarica, ci si incontra. Si riscopre il piacere di camminare insieme, di parlare con una voce sola, di essere in tanti e diversi. Si riannodano i tanti fili dell’impegno quotidiano. Si torna a respirare, a riempire i polmoni di aria buona. E non solo i polmoni. A gioire sono anche la testa e il cuore” don L. Ciotti. 13-16 maggio 2010 Lodi Assisi Perugia Castel Volturno Lodi Sento, sentiamo, il rischio delle parole. Delle parole già dette, ripetute, scontate, di circostanza. Parole come vuoti a perdere. E tuttavia sentiamo il dovere della parola. La parola che chiama “persona” ogni essere umano. Chiama persona – e non “negro” o “vu cumprà” – anche l’immigrato. Di questa parola chiara, inequivocabile, sentiamo il bisogno, l’urgenza, la verità, per non cadere nei tranelli dei falsari, nella rete dei complici. Bisogna ripartire dal cuore del problema! Dal significato della persona! Grazie a... p. Antonio, fr. Filippo, Gianluca, Marco, Viviane e Mary, alla Tavola per la pace e a donne, bambini, uomini che ci hanno accolto e ci hanno resi partecipi di qualche frammento della loro vita 2 "Gettàti nel solco" é una tappa di oSSERvIVERe - oCCASIONi di prESA DIRETTa un percorso di ricerca-azione dell’Osservatorio per la Carità della Caritas Lodigiana: a partire dalle relazioni costruite in caritas, nel lavoro quotidiano del Centro d'Ascolto e dell'Osservatorio, ci siamo imbattuti in un viottolo con molte curve che non sappiamo ancora bene dove ci condurrà. Riportiamo alcune tracce lasciate sul terreno da chi ha partecipato a questo viaggio che ci ha portato prima a Castel Volturno, quindi alla Perugia-Assisi. Siamo partiti il 13 maggio 2010 in 18 persone di diversa nazionalità, credo, cultura, ... Obiettivo era il viaggio stesso, la strada percorsa insieme. Obiettivo era capire qualcosa di più dell'uomo andando laddove gli immigrati si sentono di casa e noi "stranieri". Obiettivo era anche partecipare alla Marcia per la Pace con qualcosa di forte nel cuore, nel cervello ... ed anche con qualcuno con cui ricominciare davvero a camminare insieme. Con questo libretto, che é parte del materiale prodotto per la restituzione, intendiamo ora solo condividere, con chi é interessato, l'incredibile ricchezza degli incontri avuti. Vogliamo dare un nostro contributo, di contenuto e di metodo, alla riflessione su un tema, l'immigrazione, che pare essere diventato dominio di “pochi esperti” o arma per fomentare paure e scontri ideologici. Pensiamo che sia argomento di vita quotidiana per tutti, compresi coloro che pretendono di colorare il mondo, o una sua parte, solo di bianco o solo di nero. Pensiamo sia utile avere grandi ideali, ed al contempo necessario saper volare molto bassi: ripartire concretamente dai bisogni essenziali di ogni uomo (stabilità=documenti, lavoro, casa) per dargli così modo di ascoltare, oltrechè di essere ascoltato, di confrontarsi, di partecipare alla costruzione della società in cui ora vive... Occorre fare un passo dopo l’altro, senza fretta ma senza indugiare oltre, senza cedere alla tentazione di pretendere che sia l’altro a compiere la prossima mossa. Gli immigrati hanno già camminato tanto per arrivare alle nostre porte. Ora tocca a noi dimostrare anche a noi stessi che i principi di libertà, fraternità ed uguaglianza non sono solo belle parole a senso unico... I partecipanti a questa tappa: Antonio C., Antonio L., Barbara, Chiara, Chiara Augusta, Christopher, Elga, Elisa, Flavio, Gianni, Giorgio, Idrissou, Issouf, Kenneth, Lorenzo, Michela, Pito, Tatiana, ... ed anche Antonio B., Filippo, Gianluca, Emiliano, ... 3 La sera prima di partire. “ciao ragazzi, ci vediamo la settimana prossima”. E subito mi sono avviata. Mentre camminavo uno di loro: “ciao, mi raccomando stai attenta.” Non mi sono fermata. Non ho risposto. Ho girato l’angolo e sono sparita. Ma intanto risuonavano quelle parole: “stai attenta”. “Ma a cosa?” mi chiedevo mentre camminavo verso casa. Forse all’autostrada. Al viaggio. A qualche immigrato, a un clandestino. A un nero. A qualcuno che mi avrebbe sbattuto contro un muro? Boh. La sera, alla casa dei missionari, prima di addormentarmi, un msg … si concludeva dicendo: “stai attenta”. Anche lui. E ancora “Ma a cosa?” (La giornata era stata una lezione di vita). Boh. Su questo riflettevo – forse più al secondo monito che non al primo. Potrebbe essere stato solo un segno di attenzione nei miei confronti, anzi certamente è stato così, ma l’affermazione ha aperto una serie di alternative non così scontate. Dietro una banale affermazione un modo di pensare. Un modo di immaginarsi gli eventi, i contesti, le persone che li abitano. È bastato che qualcuno sollevasse il problema della mia “incolumità” per far nascere anche in altri lo stesso timore o semplicemente dargli voce. Un pensiero, un contagio. Eppure io non sono capace del contrario, dello stesso contagio: comunicare a chi non c’era le fatiche di quei luoghi e le sofferenze di chi li abita ma anche la loro forza. Perché? Eppure ho visto tanta gente che combatte per i propri diritti – che parola … diritti … usata, abusata, svuotata –, loro che sanno ancora cosa significhi non averne. Forse noi stiamo ancora troppo bene per batterci. Non siamo abbastanza “alla canna del gas”. Questo è davvero triste. Stiamo pensando solo ed esclusivamente al nostro benessere, stiamo proponendo un modello alla cui base c’è il benessere individuale, modello che per altro non invade solo noi ben pensanti ma tutti, migranti compresi. Non lo sappiamo – o non lo vogliamo sapere – ma noi stiamo educando i nostri migranti, li stiamo educando a “pensare per loro”, a raggiungere quello che è il loro benessere, non quello di tutti, non a quello di chi arriverà dopo di loro. Non avranno più memoria di ciò che sono adesso, come noi non l’abbiamo più rispetto a ciò che eravamo. Non saranno, perché anche noi non lo siamo, né solidali né fraterni con chi verrà. La memoria va esercitata nel presente, non è il funerale di ciò che non è più. – Siamo così simili … e non ce ne accorgiamo nemmeno – . È un messaggio a lungo termine quello che stiamo inviando. Un messaggio che non gioca a favore della comunità. E quando saremo noi ad aver bisogno? Che bell’ ipoteca sul futuro. Dicono che gli italiani tirino fuori il meglio nei momenti più difficili della loro storia … non è arrivato ancora il momento per dimostrarlo nuovamente? Senza tante parole. Nei fatti … Continuo a vedere barricate, paura a riconoscere il minimo così da anticipare ed evitare che vengano mosse più richieste del dovuto, quel dovuto che noi abbiamo 4 stabilito. In questo modo non trattiamo i “nostri ospiti” alla pari, li collochiamo sempre in una posizione ristretta, di richiesta, di bisogno. Non gli permettiamo di essere come noi o più di noi. Mary insegna. Finché le “donne e gli uomini neri” – gli schiavi – li abbiamo scelti noi tutto ci stava bene, ora che le “donne e gli uomini neri” sono qui, e non li abbiamo scelti noi, ci va un po’ meno bene. Come contraddire? Come difendersi? Non si può. Agghiacciante. Mi sono vergognata. A questo punto come non pensare al discorso razziale. Non ci piace dire apertamente “io sono bianco e tu sei nero”. Facciamo finta di essere uguali ma non lo siamo e non lo crediamo. Facciamo finta che non sia un problema il colore della pelle ma non è vero. E lo sappiamo tutti. Anche se non sappiamo bene il perché. Perché ci disturba così tanto? Una cosa mi ha sorpreso di questi giorni, la libertà e il rispetto con cui parlavamo di questa evidente differenza. È la prima volta che non ne parlo con imbarazzo. Che strano … che bello. Che paradosso. Ma c’è anche un po’ di senso di colpa … in fondo non ho una giustificazione logica a questa differenza che è diventata sostanziale. A volte ho come l’impressione di essere razzista anche io; è come se il razzismo facesse parte di noi. Un pensiero che c’è, è lì, non se ne va e non sai perché. Credo che occasioni come queste servono anche a noi per cercare di eliminare, di combattere questi piccoli mostri che ci abitano; momenti che mettano a nudo le nostre difficoltà, anche quelle più nascoste che non abbiamo il coraggio di dirci. Questo può accadere solo se siamo disposti davvero, con umiltà, a camminare con loro, non per fare i “fighi” e gli emancipati. Sarebbe solo l’ennesima mancanza di rispetto. Allora, cosa vuol dire per noi avere amici non-bianchi, amici non-italiani? E i neri come ci vedono? Cosa vuol dire per loro avere un amico bianco, una donna bianca? O per gli altri, per cui la differenza è meno evidente, cosa vuol dire avere un amico italiano, una donna italiana? Difficile entrare in questi discorsi a livello teorico, forse lo scopriremo in cammino … E io … che con loro ci lavoro … quali distanze? Dove finisce il ruolo e dove comincia “tutto il resto”? Vorrei non farmele queste domande. Ma come posso ignorarle? Forse sarebbe tutto più facile. O forse no … in fondo quel ruolo mi nasconde. Mi protegge. Il mio non è un lavoro alla pari, la relazione di aiuto non lo è per definizione ma a volte mi chiedo se è proprio così … spesso ho come l’impressione che siano loro ad avere qualcosa da insegnarmi. Smontano la mia sicurezza. Le mie autocensure. Svelano la mia insicurezza. L’inadeguatezza. Mi mostrano un modo di vivere che io ho dimenticato, anzi, che, probabilmente, non ho mai avuto: quello sguardo verso l’orizzonte permeato di profonda fede, nonché di affidamento. Quegli sguardi e quei silenzi che ti inchiodano, 5 neanche li capisco a volte, nemmeno li sostengo. Vorrei afferrare i loro pensieri, i loro ricordi – taciuti – eppure non si può. A volte, a torto o a ragione, non me lo permettono. Alcuni, prima di fidarsi mi studiano, e spesso non me ne accorgo. È stato buffo scoprire che Kenneth e Cristopher, imitandomi, “scimmiottavano” le mie solite e abituali mosse, per me oramai del tutto automatiche. I movimenti, le espressioni, il tono, i gesti. Anche loro cercano di capire chi siamo, cosa facciamo e che storia abbiamo. Ma non glielo permettiamo, o almeno, io non glielo permetto. Vengono da storie in cui almeno una volta sono stati traditi, da amici o dallo Stato – perché mai fidarsi di un Paese e di gente del tutto sconosciuta? Al primo incontro a volte “pretendo” di sapere tutta la loro storia, con quale diritto? Quello di aiutarli forse? Idrissou introverso ma tenace; Issouf … di una tenerezza incredibile e una capacità d’ascolto davvero grande; Kenneth … con il suo sorriso che nasconde chissà quale solitudine e Cristopher …silenzioso; leader a Caserta gettato in un'altra Italia, nuovamente da scoprire, che sta decidendo e ancora osservando. Una sorpresa. Rimandano ognuno ad un mondo da scoprire. Ma anche Chiara, Tatiana, Michela, Elga, Gianni, Flavio, Antonio, Giorgio … eppure tra noi, sembra quasi banale. Perché? Dove sta la falla? Boh! La sfida non è stata solo andare a Castel Volturno, la sfida è stare qui e vivere qui come abbiamo vissuto quei quattro giorni. La condivisione di Castel Volturno come quotidianità. La sfida è rendere quel piatto appetibile tutti i giorni, fieri di averlo sulla tavola tutte le sere. Come? Boh! Antonio Bonato ha ragione: “Spero che Castel Volturno vi abbia marcato e vi faccia ricordare che è dai poveri che avremo la salvezza perchè ci aiuteranno e ci stimoleranno a non imborghesirci”. Ieri sera ad un incontro qualcuno ha definito “Lodi città in coma”; e io che pensavo che fossimo “semplicemente” annebbiati … beh, posso dire che Castel Volturno (Centro d’Ascolto compreso) è stato una Grazia, mi potrà salvare tutti i giorni dalla retorica, mi obbligherà a non abituarmi. E spero che così continui ad essere. Vorrei solo mi aiutasse a trovare delle vie per non dover più rispondere “Boh!”. Forse hanno ragione i miei amici … devo stare attenta! … Chiara Augusta 6 Il benvenuto a Castel Volturno non poteva essere più esplicito. Angolo tra la Domiziana e Via Matilde Serao, il vicolo dove ha sede la parrocchia “ad personam” dei padri Comboniani... 2 cassonetti strabordanti spazzatura stanno bruciando: segno lugubre per una tre giorni che faticheremo a dimenticare .. L’odore acre che intasa i bocchettoni del Wolksvagen Combi non é proprio quello dell’incenso di parrocchiana memoria... Più avanti altri cassonetti stanno seguendo la stessa sorte. Un comune diviso in due, come la peggiore apartheid sudafricana, così ferocemente condannata da noi tutti, quando era in paesi lontani. Ed ora chi ne parla più ? Solo qualche centinaio di metri prima tutto è pulito, tranquillo e sotto il controllo di camionette e autoblinde dell’esercito. Da lì in poi é terra di nessuno: per strada trovi solo facce nere, prostitute e vagabondi: un’aria surreale ci inonda i sensi, oltra la puzza nauseabonda di monnezza in fumo. Sono finite le case abitate dagli italiani, più carnefici che vittime di un’invasione, secondo noi “voluta” – braccia a poco prezzo da scaricare appena fa comodo – e da qualcuno “maledetta” – il degrado dell’area sarebbe imputabile agli immigrati! Il servizio pubblico non pulisce tutta la litoranea domitia ma si ferma là dove iniziano gli slums africani... Il mattino ha l’oro in bocca... uscendo di casa ci guardiamo in faccia un po’ stupiti, non ancora ben consapevoli su dove i nostri piedi prenderanno terra. Siamo nell’avamposto d’Africa, provincia di Caserta, in pieno territorio dei Casalesi, dove da decenni si sta consumando un feroce guerra tra poteri, ma dove sul campo di battaglia i morti sono solo loro, gli africani di Caserta. Raggiungiamo un’oasi: é la Casa del Bambino, dove 50 piccoli multicolore se la prendono con il più giocoso tra noi: Giorgio ci dà dimostrazione di come si tengono a bada i più piccoli ... o forse il contrario ? Ma la visita non é finita qui ... Entrando nella capanna dei Comboniani, ci accolgono le parole ghandiane di Marco e Laura, Operazione Colomba della Papa Giovanni, gli ideali e la speranza che si leggono nei loro occhi si infrangono con una realtà che fatica a digerire le parole “rispetto”, “mediazione dei conflitti”, “interposizione”, .... Viviane e Mary, nigeriane impegnate nell’asilo dei Comboniani e nella commissione locale per i richiedenti asilo, ci spiegano la genesi di questa situazione, con un occhio particolare alla situazione della donna... Mentre parlano con occhi e voce ferme e risolute, la vergogna di essere uomo e l’indignazione per appartenere al genere umano monta a livelli di guardia ... troppo brutale, troppo vera per non toccare il fondo del cuore il racconto di come la violenza e sopraffazione, continue e sistematiche, degli uomini bianchi sulle donne africane, abbiano costretto queste ultime a scegliere la via della sopravvivenza, della prostituzione ... l’alternativa era la morte a suon di botte e infinite violenze... 7 Usciamo dalla capanna storti, incapaci di guardarci nelle palle degli occhi, ognuno assorto con pensieri ed immagini troppo pesanti per non essere vere. Ci rendiamo conto che, abbiamo ingoiato solo un piccolo assaggio della verità che si nasconde tra pineta, domitiana e villaggio Coppola... come dire: “non c’é fine alla brutalità del genere umano”, nè alla capacità di resistenza di chi subisce l’inverosimile. Un martello tormenta la testa: ma io al posto loro non sarei già impazzito? Appare chiaro già da queste prime ore di visita che stiamo vivendo un momento importante della nostra vita: non potrò fare finta di niente. Già da ora e poi, a maggior ragione al rientro, mi chiedo: come trasmettere tutta questa babele di sensazioni raccolte ed ancora lì, sparse a terra, in attesa di ordine e senso? Rabbia, impotenza, frustrazione, voglia di risvegliarsi prima che sia troppo tardi... e non cadere nel melodrammatico, nel patetico, nel già visto, letto, ascoltato distrattamente dalla TV che tutto ingoia e risputa omogeneizzato ? L’attenzione é di far parlare la vita, non la penna o la bocca, che però servono per dare corpo a tutte queste sensazioni che rischierebbero di rimanere schiacciate in un ricordo personale, a beneficio di pochi intimi, complici del solco... Come continuare senza banalizzare ? come non illudere Christopher, Idrissou, Issuf, Kenneth, noi stessi che abbiamo proposto il viaggio, che la parentesi non potrà chiudersi così velocemente come l’abbiamo aperta? Pito 8 E’ ancora troppo presto pretendere di affidare al foglio le conclusioni dell’esperienza fatta a Castel Volturno. Come dicono i veterani che lì ci son già stati, ci vorranno giorni, settimane e mesi per poter macinare i quattro giorni intensi appena vissuti. Ora non posso fare altro che seguire l’istinto, quell’istinto che mi spinge a scrivere per non dimenticare. Quando mi è stato chiesto di definire l’esperienza, sintetizzandola, sono riuscita a trovare due aggettivi: sconvolgente e ricca di speranza. E’ sconvolgente immergersi in una realtà che ha il sapore di sfruttamento, violenza e camorra; sconvolgente sentire la storie di vita degli uomini e delle donne che abitano quegli appartamenti fatiscenti, affittati dagli italiani, gli stessi italiani (i caporali) che alla mattina alle 4 li caricano sui furgoni per portarli a “lavorare” nei campi, per la raccolta di pomodori, asparagi, arance, olive… ; gli stessi che difendono la loro italianità con slogan come “L’Italia agli Italiani!” . Sconvolgente è ascoltare i racconti dei viaggi di questi uomini e di queste donne, il tempo trascorso nascosti sul fondo delle navi, senza acqua e senza cibo, o nel deserto, a camminare per giorni e giorni, costretti a scappare da paesi in cui la guerra non da tregua, non da speranza, non da futuro. Sconvolgente è provare vergogna quando senti dire: “Voi europei siete venuti in Africa, avete preso tutto ciò che c’era di prezioso, ci avete usato, sfruttato e avete succhiato tutta la nostra linfa vitale. Poi, un giorno, quando non c’era più nulla da prendere, avete deciso di darci la libertà. Ma cos’è la libertà per noi,ora che non abbiamo più nulla, ora che le nostre terre sono devastate da guerre in cui siete coinvolti?” Sconvolgente è non riuscire a dare una risposta, se non ammettere con un sottile e impercettibile “è la verità ciò che stai dicendo”. Ma Castel Volturno (come Rosarno) è una città in cui si tocca con mano e si respira a pieni polmoni la speranza. Finchè c’è vita c’è speranza, dice un nostro detto. Questo è quanto voleva dire Kenneth quando, tra un sorriso e l’altro, in un italiano “in via di miglioramento” spiegava “devi vivere tutto quello che la vita ti mette davanti fino a quando il tuo cuore non si fermerà, ma se il tuo cuore continua a battere, ringrazia Dio di essere ancora vivo e vai avanti a lottare”. C’è speranza nelle sue parole, così come c’è speranza e voglia di lottare in tutto coloro che fan parte del Comitato Immigrati, che si ritrovano ogni mercoledì sera all’ex canapificio di Caserta per discutere, decidere e capire come muoversi e sopravvivere nella jungla intricata della giustizia italiana. Castel Volturno è una città di speranza perché l’unico movimento, riconosciuto dalla Questura stessa, in difesa della giustizia e dei diritti umani contro la camorra è rappresentato dagli immigrati (irregolari). E gli italiani dove sono? Mi verrebbe da chiedere! 9 Ho sentito un commento che quasi viene recitato come slogan “Gli africani salveranno l’Italia”. E’ ciò che ho davvero percepito: loro, gli immigrati, hanno una forza, un coraggio e una determinazione che noi non abbiamo, o che abbiamo perso nel momento stesso in cui ci siamo messi comodamente a sedere sui nostri divani e abbiamo ristretto il campo visivo e d’azione a “noi stessi”. C’è speranza nel veder lottare gli immigrati accanto a qualche italiano, quei pochi che hanno mantenuto una vigilanza e un attenzione particolare all’altro, come i padri comboniani. E proprio uno dei padri comboniani, padre Antonio Bonato, ci ha aiutato a focalizzare il nostro obiettivo, una volta tornati a casa: “A Castel Volturno si vede in macro ciò che nelle vostre città accade in micro. Non commettete però l’errore di rimanere inerti, una volta tornati a casa, perché voi siete chiamati a rimboccarvi le maniche per sistemare anche quel poco che vedete non funzionare! Non abbandonatevi al sentimentalismo, non aspettatevi di fare grandi guerre, buttatevi nella quotidianità, nelle piccole battaglie di ogni giorno e aprite gli occhi sulle vostre realtà. C’è tanto da fare anche lì.” “Allora vi accorgete che ci siamo” ha commentato Christopher, che a Castel Volturno era uno dei leader del movimento degli immigrati. “Sbrogliamoci - direbbe Issouf- perché hanno bisogno di non sentirsi soli”. Elisa 10 Su e giù dai valloni dell'autostrada: frosinone, pontecorvo, cassino, s.vittore, caianello, capua e kenneth che, seduto fra me e cristopher, fa il verso ad ogni cartello “si, cassino conosco, anche frosinone, anche capua!”: la sera è già buia ma più passano i chilometri più sento che sto tornando a casa! A Castel Volturno, dove a gennaio, nei giorni immediatamente successivi ai fatti di rosarno, mi ero trovato a condividere con antonio e filippo da un lato la violenta insistenza dei media che ci volevano costruire altri scoop da distribuire in pasto ai clienti buoni e a quelli meno buoni, dall'altro la loro determinazione di continuare a stare da quella parte della barricata per seminare speranza, per costruire ponti, per conquistare diritti. A Castel Volturno dove non sopravvive l'ipocrisia: da una parte i neri, gli immigrati, i clandestini e quelli che stanno con loro, dall'altra la società civile con le istituzioni, l'autorità, la forza militare, i bianchi in genere; per gli uni niente cittadinanza, casa, lavoro, per gli altri il territorio da controllare, gestire, sfruttare, manipolare, organizzare ognuno a salvaguardia di propri interessi, a tutela del proprio potere, a garanzia di una immunità perpetua e inattaccabile. Torno a casa perché qui non puoi nasconderti, non puoi galleggiare a pelo d'acqua, non puoi dire una cosa e pensarne un'altra, devi stare da una parte o contro , se ci credi devi pregare non solo con l'anima e il cuore ma anche e soprattutto con le braccia e con le gambe, in mezzo alla strada e ad alta voce, se hai paura vai via, se hai coraggio ti schieri. Qui mi sento a casa. E qui mi rimetto in discussione: prima di prendere sonno la sera del giovedì mi sento già traditore se ripenso che mi aveva disturbato e indispettito fare un po' di chilometri di coda in autostrada abbassando così la media ipotizzata per raggiungere la nostra meta quando accanto a me sedevano e confabulavano cristopher e kenneth, due che di contrattempi (si fa per dire) e di ritardi nei loro viaggi dal deserto verso il mare ne hanno sofferti, patiti e affrontati non pochi! Come è facile affermare che si sta con loro e al primo canto del gallo dimenticare e tradire! Qui mi sento a casa. E qui so ascoltare mary e viviene che ci urlano la genesi della violenza perpetrata nei secoli ai danni della loro gente e delle loro terre, che ci chiariscono senza pudore come si diventa prostitute, che ci gridano come vengono “svezzate” le loro bambine da vecchi italiani bavosi, che ci buttano in faccia una verità cui noi (io sicuramente) non avevamo mai prestato attenzione: tutti vogliono andare in paradiso ma nessuno vuol morire! La loro morte è stata abbandonare le loro terre, i propri cari, sfidare viaggi di violenze e sofferenze, mendicare pane e materassi in una terra arida di umanità e di 11 misericordia, patire la discriminazione, lottare per un'identità riconosciuta e riconoscibile, difendersi dalla prevaricazione e dalla sopraffazione fisica e morale: e dopo tutto questo non hanno ancora trovato il paradiso! Anno del Signore 2010: marco e gli altri dell'operazione “colomba” salgono la mattina alle 4 sugli autobus della M1 che portano carne da macello e da miniera alle rotonde di villa literno, giugliano, mondragone dove verrà presa a nolo per una giornata, forse due, forse cinque a 15, 20, massimo 30 euro al dì; e stravolge l'anima, incendia il cuore sapere che salgono su quegli autobus per controllare l'attività delle forze dell'ordine che troppo spesso si riduce all'adozione di provvedimenti punitivi e restrittivi nei confronti degli immigrati (in parole povere detenzione nei C.I.E. e sequestro dei pochi loro beni materiali)! Qui mi interrogo: ma quanto faccio, cosa faccio perché queste verità diventino di pubblico dominio, siano denunciate nelle nostre comunità civili e religiose? quanto ci metto del mio per combattere i silenzi? Quanto per fare informazione, per comunicare? E quanto non faccio per conoscere di più, per approfondire, per stanare le ingiustizie, per combattere l'illegalità diffusa, per fare comunione e comunità davvero a casa mia, nel mio quartiere, nella mia città con le tante sorelle e i tanti fratelli immigrati che ci vivono? Così scrive Isoke (già prostituta, ora scrittrice e fondatrice di una casa d'accoglienza per ragazze come lei): “Devi pensare a un mondo parallelo. Sommerso, indeterminato, dove la rabbia è la regola, insieme all'ignoranza. Dove nulla è mai certo, tutto è possibile, dove tutte sono zie o nipoti o sorelle o cugine di qualcun'altra. E intrallazzano e si aggiustano e alla fine girano una coi documenti dell'altra, che poi dicono è mia sorella o mia zia, anche se non è vero; e per quei documenti pagano alla sorella o alla zia un affitto pari al venti o al trenta per cento dei soldi che guadagnano. Ma è così che gira il mondo. Parti da Milano e vai a Roma o a Napoli per pagare un qualunque avvocato, azzeccagarbugli, mediatore, ovviamente italiano, che qualche ragazza ha saputo da un'altra che forse può farti avere i documenti. Che poi, altrettanto ovviamente, si rivelano falsi. Paghi per una passaporto falso dalla Nigeria: quattrocento euro: Paghi altrettanto per per un certificato di nazionalità che costa al massimo cento euro, e che dura un anno, e che non serve a niente. Per non parlare di quando ci sono le sanatorie, e allora è tutto un andare e venire e un fare business. Paghi il finto datore di lavoro che ti ha fatto un finto contratto di lavoro per un lavoro che non esiste: due-tremila euro. Paghi il rinnovo del contratto: millemillecinquecento euro. Paghi per quella che ti ha fatto da mediatore e che ti ha presentato al finto datore di lavoro: dal dieci al venti per cento. Però poi con quel permesso di soggiorno hai la tua bella fonte di guadagno, lo fotocopi, lo presti, lo affitti. Lo dai a qualcuno che ci va a lavorare per davvero e poi ti dà fino a un terzo della sua busta paga. 12 Se hai un passaporto valido, regolare, lo affitti a un ragazzo che deve viaggiare. Se hai un bambino coi documenti in regola presti il documento ad altre madri che devono mandare il figlio a scuola, o fai avanti e indietro con la Nigeria portando i bambini delle ragazze del marciapiede. E' tutta una vita così. ....anche chi non spaccia e chi non ruba, anche chi solo si limita a tirare avanti andando e venendo sul marciapiede, anche quelle ragazze lì, ormai, l'integrazione la considerano una partita persa.” (a chi interessa si tratta di “Le ragazze di Benin City” editore Melampo) Ecco, Castel Volturno riassume in sé tutte le disperazioni, le povertà, le tragedie dell'immigrazione del terzo millennio e lo spaccato così ben fotografato da Isoke nel suo libro è facilmente localizzabile in tutte le comunità che da Castel Volturno si sono poi distribuite in tutta la nazione. Credo, però, che nessuna partita sia persa ripartendo da mary e da vivienne, da marco e dai suoi compagni, da gianluca, da antonio, da filippo, da noi: sappiamo bene che la vita è spesso scandita di frasi fatte, con le quali riempiamo i silenzi smarriti della nostra anima quando ci areniamo senza spiegazioni convincenti; allora arretriamo e gettiamo l'ancora dove l'acqua è più bassa, così che non abbiamo paura di sprofondare. Dobbiamo ora, oggi, subito salpare verso il mare in tempesta, raccogliere naufraghi e marinai, navigare con loro, per loro, verso il porto della giustizia e della umanità. Lorenzo 13 Siamo le vittime, noi, non dimenticarlo. E voi i carnefici. Anche le donne. Sì. Le italiane che sanno e che chiudono gli occhi su quello che fanno i loro uomini. Che quando una di voi viene stuprata finisce sul giornale e succede un casino che non finisce più. Mentre quando é stuprata una di noi non fa mai notizia. Pensi: in fondo se l’é andata a cercare. Ma un’africana stuprata é un’italiana salvata, te l’ho già detto. Prova un po’ a vedere le cose da questo punto di vista. Pensa a noi come a una sorta di calmiere sessuale. L’imbuto in cui finiscono tutte le violenze. Pensa alla rabbia di migliaia di immigrati che non hanno donne, non hanno lavoro. Pensa a come la sera escono, e pensa a come si sfogano. Vedi che capisci. Nelle campagne di Castel Volturno o della Puglia ci sono migliaia di ragazzi che vivono come noi in condizioni di schiavitù. Africani, romeni, polacchi. Raccolgono i pomodori, e l’uva, e le mele, il tutto per dodici ore al giorno e per una manciata di euro. Sono pieni di rabbia e di frustrazione, esattamente come noi. Ma con la differenza che loro hanno qualcuno a cui farla pagare in qualche modo, l’anello più debole della catena. Le ragazze. Vorrei almeno risparmiarmi questa parte della storia, ma proprio non si può. Le ragazze della Domitiana prendono cinque o dieci euro a botta, vivono in catapecchie, non hanno né acqua nè luce. Iothan diceva, prima di finire ammazzata: è come in Africa, eppure molto ma molto peggio. Diceva: non c’é legge e non c’é sicurezza. Diceva: ogni giorno sei fortunata ad arrivare viva al momento in cui vai a dormire. Aveva ragione. Perché lì le ragazze sono la vittima assoluta e perfetta. Di tutti. Anche dei paesani che le schifano perché si vendono ai bianchi. Non hanno soldi, se non le pagano, e addirittura le rapinano nella certezza della totale impunità. Le violentano con ferocia e si vendicano a questo modo della vita di merda che fanno. Con loro, con noi. Le ragazze di Benin City.... Io dico solo: va bene che ci siano le ragazze di Benin City, sono uno sfogatoio perfetto, un meraviglioso calmieratore di tensione sociali ed etniche. Le ragazze sono la vittima designata, l’agnello sacrificale. Chiamale come vuoi ma la sostanza é sempre questa. Un’africana stuprata é un’italiana salvata. E l’africana stuprata non può parlare perché non le dà retta nessuno, Non fa notizia e non fa statistica. É perfettamente invisibile. Io dico a tutte le donne: pensateci. E pagate anche voi il vostro debito. [tratto da “Le ragazze di Benin City, la tratta delle nuove schiave dalla Nigeria ai marciapiedi d’Italia”, L. Maragnani, I. Aikpitanyi, pag. 139-141] 14 Problemi e soluzioni dell’immmigrazione a Castel Volturno Ci interesserà conoscere la definizione della parola “emigrazione”. É semplicemente l’atto di movimento di gente o animali da una regione a un’altra, o Paese, luogo a un’altro. “migrazione” e Castel Volturnonon é un’eccezione. Castel Volturno é attualmente diventato un luogo associato a un brutto posto e tutti sono interessati a conoscere ciò che succede lì attorno, ma le domande che rimangono sul terreno da ormai tanti anni sono: come sono iniziati questi problemi? Chi li ha causati? Come risolverli ? E fino a quando non si daranno risposte anche amministrative, chiare, Castel Volturno rimarrà nel suo brodo e nella sua sporcizia. Castel Volturno é terrore associato a paura e la gente vive senza leggi, sia neri che bianchi. Ancora più importante, é un’arera conosciuta come discarica per tutti quelli che sono senza permesso di soggiorno e che riporta la nostra mente alla domanda di partenza: come sono iniziati questi problemi? É ovvio che la maggior parte di questi problemi associati a Castel Volturno non sono invisibili o spirituali ma situazioni concrete causate dall’uomo e che possono essere risolte dall’uomo, se affrontate con attenzione. Ma quando le piccole cose sono negate, queste poi diventano grandi e portano a sempre più grandi problemi e sembrano troppo grossi da risolvere per l’uomo. Una delle ragioni o cause é la sovrapopolazione. Quando un’area é sovrapopolata succedono molte cose e gli uffici preposti a controllare l’immigrazione diventano responsabili di questo perché il fatto é che la maggior parte di questi immigrati non sono accettati ed a loro viene dato il Foglio di via, senza nessuna assistenza; essi non hanno altro posto diverso da Napoli “Castel Volturno”. Per questo motivo molti di loro vagano in strada senza un’occupazione e pensano “il cuore in ozio é l’ufficio del diavolo”. Così la migliore soluzione é di creare opportunità di lavoro per tenere il cuore e l’anima uniti, perché molti di loro hanno capacità e cervello per svolgere molte professioni che permetterebbero loro di avere un buon permesso di soggiorno. Questo permetterebbe di ridurre il numero della popolazione residente: almeno il 40% di essi lascerebbero Castel Volturno per andare altrove. Chi ha causato questa situazione? Non possiamo dire che “lui” o “lei” sia il problema, ma ciascuno é il problema a partire dal più grande al più piccolo, perché la maggior parte delle cose che gli immigrati fanno sono imitazioni di comportamenti che hanno normalmente i napoletani. Noi diciamo: “Quando sei a Roma tu vivi come i romani” 15 Guidano senza patente, Vendono droga per strada, prostituzione, omicidi, guerre, furti, oppressione, eccetera ... Soluzioni al problema Io credo fermamente che la soluzione a questi problemi non siano difficili da raggiungere. Prima cosa, il Governo deve prendersi la responsabilità con coraggio e non con paura: DON’T BE AFRAID!!” PERMESSI DI SOGGIORNO: Questa é una via che il governo potrebbe usare per portare pace a CASTEL VOLTURNO, dato che si sa che quando ci saranno i permessi la popolazione si ridurrà, e quando ciò succederà anche il crimine si ridurrà e sarà più facile controllarlo. CREAZIONE DI OCCUPAZIONE: Come ho detto prima, un uomo o donna che lavora non ha tempo per pensare al diavolo e girare per strada. Così il Governo deve prendere l’occasione per costruire nuove fabbriche e opportunità di lavoro per i disoccupati immigrati, per ridurre il crimine come nel resto del Paese e di Europa. Trasporto: Questo é un altro grosso problema a CASTEL VOLTURNO: molte volte la gente attende i pullman per 2 o 3 ore prima che questo arrivi, e questa é la ragione per cui molti guidano le auto senza la patente. Per cui il governo o l’amministrazione comunale dovrebbero provvedere con un maggior numero di autobus. ASSISTENZA ALLE FAMIGLIE: Un uomo con moglie e tre figli senza lavoro, farà qualsiasi cosa per vivere ed avere il sufficiente per sostenere la propria famiglia: e questo determina anche altra criminalità. Il governo deve inserire questo punto nella sua agenda per aiutare gli immigrati senza lavoro o permesso di soggiorno. Sicurezza: Questo é uno dei maggiori strumenti di controllo della criminalità in tutto il mondo ma per la gente che pensa di essere “sicura” questo diventa una “maschera”, una barzelletta. Ciò significa che è un problema ancora più grande. Molti agenti della sicurezza sono trafficanti di droga in uniforme, banditi che derubano gente immigrata innocente dai loro duri risparmi. Quando essi si rifiutano, i poliziotti li accusano di vendere droga e li portano in prigione. Così suggerisco al governo di risolvere questi problemi, perché qualsiasi luogo senza vera e buona sicurezza é allo sbando e Castel Volturnoha bisogno di vera sicurezza e non di poliziotti che rubano. L’interesse delle poche persone oneste sarà tutelato e questo sarà sicurezza. INGIUSTIZIA: In un posto dove non ci sono leggi, l’ingiustizia diventa all’ordine del giorno e c’é oppressione ovunque. Gli immigrati sono stati maltrattati come animali a Castel Volturnoe questo spesso li porta a reagire male anche attraverso la lotta e le uccisioni. Abbiamo anche sentito che gli mmigrati sono stati colpiti senza ragione e quando é successo questo e si sono chiamate le forze dell’ordine, la prima cosa che loro hanno domandato é stato il permesso di soggiorno. Quando questo non c’é gli immigrati 16 vengono puniti ancora di più anche se loro sono nella ragione: QUESTO È CIÒ CHE CHIAMO INGIUSTIZIA”. In conclusione; penso che ci dovrebbero essere più programmi per fare luce e insegnare alla popolazione, sia bianca che nera, ciò che succede a Castel Volturnoe in ogni altro posto per sapere come integrarsi per promuovere pace ed il rispetto dei diritti umani. Incoraggio il governo ed la popolazione italiana e tutti gli immigrati a cogliere questa occasione per assicurare pace a Castel Volturno e dintorni, per un miglior DOMANI. Christopher Ciao a tutti Volevo essere con voi (a Valera Fratta la sera del 24 maggio, nel primo incontro di racconto e sintesi del viaggio - ndr) ma purtroppo ho avuto un impegno. Mi é piaciuto questo viaggio perché è stato interessante per me, nel senso che ci siamo riavvicinati, abbiamo diviso tutto insieme, abbiamo parlato di tante cose. Mi é piaciuto anche il pranzo che abbiamo preso venerdì tutti insieme sulla stessa tavola (mangiando all’africana, con le mani dalla stessa ciotola – ndr). Non mi é piaciuta la parte di violenza tra gli africani e la camorra: mi fa molto male che alcuni vengano ammazzati senza motivo. Mi vergogna (leggi scandalizza) il fatto che i carabinieri sostengano la camorra. Veramente é stata una grande esperienza per me perché ho scoperto tante cose. Tengo a ringraziare tutte le persone che hanno fatto molto sforzo per organizzare questo viaggio. Ringrazio sinceramente il Centro d’Ascolto, Lodi per Mostar e la Casa d’accoglienza. Vi saluto Issouf 17 POST IT Ciao a tutti, per me, vivendo in mezzo a loro tutti i giorni (Christopher, kenneth, Shaib, Konate, e altri ragazzi della Casa dell'Accoglienza) non ho spazio per fermarmi. E' la mia quotidianità. [...] A me piacerebbe tantissimo dare concretezza a quanto sto facendo "cone complice nel solco", non solo nell'ospitare ragazzi , ma poterli anche aiutare in queste loro "tribolazioni". Penso che questa sia anche un'occasione per tutti noi per dimostrare che non siamo ne giornalisti e tanto meno visitatori di uno zoo. Mi sembrava questo il monito dei padri comboniani Antonio e Filippo. A presto!! Antonio Lago (Casa Accoglienza maschile di Lodi “don L. Savarè”) Leggo le reazioni al viaggio e confesso che sono felice. Però adesso è il momento di lasciare decantare e poi cominciare a rimboccarsi le maniche anche nel lodigiano per creare un movimento di opinione che lasci lo spazio alle persone più che alle regole e alla sicurezza. Senza accorgercene lasciamo che altri decidano per noi limitando la nostra libertà. Spero che Castel Volturno vi abbia marcato e vi faccia ricordare che è dai poveri che avremo la salvezza perchè ci aiuteranno e ci stimoleranno a non imborghesirci. un saluto e un abbraccio Antonio Bonato (Comboniano di Castel Volturno) IO... non so cosa scrivere. devo raccontare. Non riesco a tenerlo dentro. Lo sto raccontando. Non solo con le parole ma anche coi gesti, il tono della voce, l'emozione che ci metto... Son carico. Di questo son sicuro. Un abbraccio a tutti. Giorgio (Scout) Cari amici, quando ci chiamiamo per nome ci leghiamo all'altro, impariamo a conoscerlo e dal contatto torniamo cambiati, anche un po' in crisi qualche volta, ma con una strada nuova che ci si apre davanti. Anch'io fatico a scrivere e a trovare le parole, ma quello che ho vissuto non può finire lì. Un abbraccio Michela (Casalpusterlengo) Anch'io non so cosa scrivere, anch'io devo raccontare raccontando... Vi abbraccio e ringrazio Chiara B. (Codogno) e sto Ho visto questa mattina Christopher prima che venisse al centro d’ascolto. Nei nostri rapporti non era lui ad essere cambiato. Ero, sono io. Gianni (Lodi) 18 19 “Gettàti nel solco” é una tappa nel progetto di ricerca-azione di oSSERvIVERe oCCASIONi di prESA DIRETTa promosso da Osservatorio diocesano per la carità e Centro d’Ascolto “A. Boccalari” Via San Giacomo, 15 Lodi 20