Contributi pratici 04_aprile_2007_DEF.qxp 13-04-2007 11:59 Pagina 162 Alcune considerazioni in tema di Libretto sanitario e formazione degli addetti al settore alimentare Paolo Catellani Università di Padova Stefano Catellani Università di Parma In un recente articolo comparso sul Progresso Veterinario (“Formazione difforme” a firma di Conti R., pagina 470, ottobre 2006), viene messo a fuoco il problema della differente regolamentazione, nell’ambito regionale del nostro Paese, dei corsi di formazione, istituiti conseguentemente all’abrogazione dell’obbligo di possesso del libretto di idoneità sanitaria per coloro che, a qualsiasi titolo, abbiano rapporti, diretti o indiretti, con le sostanze alimentari. Diverse Regioni hanno ritenuto opportuno far seguire all’abolizione del libretto sanitario atto che non aveva natura di autorizzazione, bensì di certificazione medica rilasciata dall’AUSL - l’emissione di nuove misure per la prevenzione delle malattie trasmissibili all’uomo attraverso gli alimenti, in considerazione del fatto che non esista più l’esigenza di affidare a un organo pubblico la responsabilità del rilascio dell’attestazione di ido- neità sanitaria per il personale destinato al settore alimentare. La funzione del libretto sanitario si era esaurita già da tempo, quando entrò in vigore il Decreto Legislativo n. 155 del 1997 sull’igiene dei prodotti alimentari. L’articolo 3 di detto decreto sanciva l’obbligo, per il responsabile di imprese alimentari, di garantire che “la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione dei prodotti alimentari”, fossero effettuati in modo igienico. Era, quindi, compito dei gestori di individuare, nella propria attività, ogni fase critica per la sicurezza degli alimenti, garantendo l’applicazione di tutte le possibili procedure di sicurezza, basate sull’analisi dei pericoli e l’individuazione dei punti di controllo critici (HACCP). 4 / 162 04_aprile_2007_DEF.qxp 13-04-2007 11:59 Ovvio, allora, che divenisse un compito essenziale per gli operatori quello di tenere sotto un costante controllo sanitario (nell’ambito dell’Autocontrollo) tutto il personale addetto alla manipolazione degli alimenti, sia che ne fosse a contatto diretto, sia indiretto. Nello stesso tempo era compito dell’operatore provvedere al continuo aggiornamento della formazione igienistica fornita al personale dipendente. In sostanza, con il D. Lgs. 155/97 si stabilivano le norme generali di igiene per tutte le attività alimentari dalla produzione, successiva a quella primaria, fino al consumo, lungo tutte le filiere produttive. Rimanevano, in ogni caso, estrapolati dal decreto in oggetto quegli alimenti di origine animale che erano regolamentati da norme specifiche, dettate dalle direttive verticali della Comunità, che anche il nostro Paese aveva recepito nel corso degli anni con varie disposizioni (DD. Lgs. 531/92, 537/92, 558/92, 559/92, 286/94, ecc. e D.P.R. 54/97, 309/98, ecc.). In tutte le direttive verticali, era costantemente sancito l’obbligo dell’autocontrollo a carico dei titolari di imprese alimentari. Vi è, tuttavia, da rilevare che, come sempre, le direttive verticali contemplavano l’intera filiera produttiva dei vari alimenti, senza entrare nel merito della vendita e della somministrazione per il consumo, lasciate alla regolamentazione dei singoli paesi, ove esistevano ancora troppe differenze nelle abitudini commerciali. Risulta allora evidente che l’entrata in vigore del D. Lgs. 155/97 ha interessato tutta la filiera dalla produzione fino al consumo degli alimenti non contemplati dalle direttive verticali, ma ha anche regolamentato la sola vendita e somministrazione dei prodotti (carni, pollame, pesce, latte, ovoprodotti, ecc.) compresi fra quelli delle citate direttive verticali. Per evitare errori interpretativi nell’attività di vigilanza, il Ministero della Sanità emanò la Circolare del 7 agosto 1998, n. 11, preci- Pagina 163 sando: “Per quanto riguarda i prodotti di origine animale (settori delle carni e derivati, della pesca e derivati, dei prodotti d’uovo, del latte e derivati, dei molluschi bivalvi) disciplinati da norme specifiche, di derivazione comunitaria, che prevedono l’obbligo dell’autocontrollo o dettano norme igieniche specifiche, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 155/97, si applicano alle fasi che non rientrano nel campo di applicazione delle suddette norme, quali, ad esempio, la vendita al consumatore, come definita all’articolo 1, comma 2, lettera e) del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109”. Oggi, con l’entrata in vigore del “pacchetto igiene”, sono superati i proble- mi accennati derivati dall’applicazione del D. Lgs. 155/1997, ossia sono decadute le distinzioni esistenti fra i prodotti normati dalle direttive verticali e gli alimenti compresi in tutti gli altri settori (vegetali, bevande, ecc.). Praticamente il regolamento (CE) n. 852/2004, in vigore dal 1° gennaio 2006, richiama l’attenzione sull’applicazione dei principi del sistema dell’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP) alla produzione alimentare; contestualmente la norma implica la collaborazione, l’impegno degli operatori e dei dipendenti delle imprese alimentari. È necessaria la loro formazione, affinché il sistema HACCP diventi uno strumento volto a conseguire un livello più elevato di sicurezza alimentare. La responsabilità dell’imprenditore è affermata chiaramente, perché non può autorizzare, a qualsiasi titolo, la manipolazione degli alimenti da parte delle persone affette da malattia o portatrici di malattia trasmissibile attraverso gli alimenti. Egli non deve autorizzare il personale a entrare in qualsiasi area di trattamento degli alimenti, qualora esista una probabilità di contaminazione diretta o indiretta degli alimenti stessi (Allegato II, Capitolo VIII, punto 2 del reg. CE n. 852/2004). Da quanto fin qui ritenuto, ne consegue che l’operatore del settore alimentare1, sotto propria responsabilità, deve provvedere direttamente (chiaramente a proprie spese) ai controlli di natura sanitaria sul personale che lavora nello stabilimento o nelle attività connesse di vario tipo. Ciò rappresenta in concreto l’equivalente delle verifiche compiute per il rilascio o il rinnovo del libretto sanitario da parte dei servizi medici dell’AUSL (ammesso che così fosse). Il compito che tuttora ricade sugli operatori del settore alimentare è quello della formazione del personale (Allegato II, Capitolo XII del reg. CE 852/ 2004). Tale obbligo già esisteva nella precedente normativa e, quindi, anche ora i conduttori devono assicurare “che gli addetti alla manipolazione degli alimenti siano controllati e/o abbiano ricevuto un addestramento e/o una formazione, in materia di igiene alimentare, in relazione al tipo di attività” per l’applicazione dei principi del sistema HACCP, nell’ambito anche della legislazione nazionale. Quindi, allo stato attuale in base all’autocontrollo che ogni azienda è tenuta a svolgere, non sussiste più alcuna necessità per l’operatore di possedere un libretto sanitario conforme a quelli che erano i presup- 1 Definizione di “operatore del settore alimentare” (OSA): “la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legisla- zione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo” (articolo 3, punto 3, del regolamento 178/2002/CE). 4 / 163 04_aprile_2007_DEF.qxp 13-04-2007 11:59 Pagina 164 Contributi pratici posti previsti dalla Legge n. 283/1962. In definitiva, le regioni del nostro Paese si sono indirizzate, coerentemente con le nuove norme comunitarie, verso l’abrogazione del libretto sanitario e l’avvio di corsi di formazione per il personale del settore alimentare, passando in tal modo da un criterio metodologico di tipo oggettivo (persona sana/non sana) a uno soggettivo, in cui è a discrezione delle regioni stabilire quanta formazione ci voglia per garantire un determinato risultato. Ma la via intrapresa si è rivelata piuttosto irta di difficoltà, appunto per i motivi messi in evidenza dal citato articolo di R. Conti, pubblicato su questa rivista, delle profonde difformità esistenti nelle legislazioni regionali, con visioni abbastanza distanti fra loro, in un settore che, però, non concede larghi spazi a variabilità di vedute igienistiche. La prova di ciò è fornita dalla durata dei corsi di formazione che vanno dalle 23 ore di una regione, alle 20 ore di un’altra. È certamente poco comprensibile come si possano comprimere, in un paio d’ore effettive, nozioni sia pure superficiali e rudimentali di microbiologia, di igiene alimentare, di tecnologia, di igiene personale, di malattie alimentari, di zoonosi infettive e infestive, di stato di salute umana, di tossicità e di decomposizione degli alimenti, ecc. Se si vuole sintetizzare, anche settorializzando, una piccola serie di argomenti, viene lo sconforto a chi deve affrontare un compito così arduo. Inoltre, c’è da evidenziare che questi corsi, attualmente così come sono impostati, contemplano solo aspetti di carattere generale e non sono diversificati per il personale che opera in settori differenti: potrebbe essere, in effetti, più opportuno per ogni singola attività, fornire nozioni generali (assolutamente necessarie) e gestire direttamente lo specifico rischio igienico-sanitario e, nello stesso tempo, diversificare gli uditori in classi di apprendimento, in quanto una stessa nozione può essere facilmente compresa da una persona in 2 ore di lezione, ma per un’altra sono invece necessarie più ore (per esempio, personale operante straniero). Al termine del corso di formazione, dopo una prova finale, le cui modalità sono disciplinate dalle singole regioni, viene rilasciato un attestato dalle ASL; tuttavia, stando ad alcune disposizioni regionali, il mancato conseguimento dello stesso (caso in cui non venga superato il test), può comportare per i titolari delle imprese alimentari un vincolo nelle assunzioni. Questo è, invece, in contrasto con quanto sancito dalle recenti disposizioni comunitarie: sono gli operatori del settore alimentare che devono assicurare che il personale sia controllato, addestrato e formato in materia di igiene, in relazione con il tipo di attività, dal momento che risale a loro ogni responsabilità e, quindi, è un loro compito tassativo. Alle ASL spetta solo la funzione delle verifiche che le imprese in questione attuino tutte le prescrizioni dettate dai provvedimenti emanati dalla Comunità e garantiscano la sicurezza alimentare. In questi ultimi anni, invece, l’Autorità sanitaria di qualche regione ha preteso che i responsabili e il personale dipendente di stabilimenti riconosciuti CE (per produzioni di carni, latte, prodotti ittici, ecc.), frequentassero in virtù della legge regionale (impostata sull’errata interpretazione del D. 4 / 164 Lgs. 155/97) corsi di aggiornamento e sostenessero esami per il rilascio dell’attestato di formazione, addossando a queste imprese oneri davvero inutili. Il rilascio degli attestati di formazione con validità pluriennale, l’obbligo alla scadenza di frequentare corsi di aggiornamento, le prove a quiz di valutazione finale, gli accertamenti vari, le equipollenze di diplomi vari, le iscrizioni, le verifiche e gli altri adempimenti addossati ai Dipartimenti di Sanità pubblica delle AUSL, pongono forse in risalto un’eccessiva burocratizzazione regionale che rischia maggiormente di intralciare l’attività imprenditoriale, più che apportare effettivi benefici alla sicurezza alimentare del cittadino. Il Libretto di idoneità sanitaria è stato sostituito dalla formazione dei responsabili e degli addetti delle imprese alimentari: non è il caso di rimpiangerlo, dal momento che si era ridotto a una “vuota espressione burocratica”. Sarebbe necessario che gli interventi regionali sulla formazione non facessero la stessa fine del libretto sanitario. In effetti, per alcune categorie l’imposizione del possesso dell’attestato di formazione risulta del tutto anacronistica, mentre per altre non se ne fa nemmeno accenno. Infatti, scorrendo i provvedimenti adottati dalle varie regioni, si rinviene, a proposito delle diverse attività alimentari, l’esclusione dall’obbligo della formazione dei camerieri, dei lavapiatti, degli addetti alle sagre e alle feste popolari, dei fruttivendoli. La scelta è discutibile. Per nostra fortuna, tuttavia, sono gli operatori alimentari gli unici responsabili dell’immissione sul mercato di alimenti sani, come riportano i nuovi regolamenti del “pacchetto igiene”, e questo ci tranquillizza, perchè finora stanno dimostrando di possedere uno spiccato senso di responsabilità di fronte al diluvio di norme, rettifiche e correzioni che a getto continuo somministra la comunità, spesso con difficoltà interpretative e operative non indifferenti.