quindicinale di attualità e documenti 2008 20 Attualità 657 665 673 683 706 Obama Revolution Sinodo: la Parola e le Scritture Il massacro dei poveri in Congo Illich: la corruzione del cristianesimo Studio del Mese La storia umana, luogo teologico Saggi di Paolo Prodi e Peter Walter Anno LIII - N. 1045 - 15 novembre 2008 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - CP 568 - 40100 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” quindicinale di attualità e documenti A ttualità 15.11.2008 - n. 20 (1045) Caro lettore, mentre prosegue la campagna abbonamenti de Il Regno, le ricordiamo di rinnovare al più presto la sua sottoscrizione e di suggerire agli amici e a persone che possono essere interessate, la nostra rivista. Oggi è possibile iscriversi alla newsletter de Il Regno o richiedere copie saggio della rivista tramite il nostro sito www.ilregno.it. Non costa ed è interessante. R 657 (E. Jones) Ora tocca all’Europa { USA - Dopo la storica elezione di Barack Obama } 686 662 (M. Faggioli) La Joshua generation { Elezioni USA Come hanno votato i cristiani } 699 (A. Cassese) 665 (L. Prezzi) Schede Segnalazioni A. CASSESE, Voci contro la barbarie 701 (A. Pinet) A. Pinet (a cura di), La pala di Gand La Parola e le Scritture { Sinodo dei vescovi - I nuovi compiti della Chiesa cattolica } 700 (M.E. G.) 669 (C. Monge) Le interviste del presente Un islam europeo { 30 anni di dialogo cristiano-musulmano} 671 (L. Pr.) Roma - Cattolici-musulmani Dopo la lettera, l’incontro 673 (M.E. Gandolfi) Nell’anno di Paolo 702 (F. Lozito) 703 (R. P.) Francia - Testimoni Soeur Emmanuelle 703 (R. B.) Ecumenismo - KEK Divisioni ortodosse Chi si cura dei massacri? { Congo: la Chiesa e la guerra } 704 (R. Burigana) 676 (M. C.) Panama - Chiesa Ecodivisioni 705 (L. Accattoli) Diario ecumenico Agenda vaticana 677 (M. Castagnaro) Studio del mese Cile - Chiesa L’acqua di tutti 678 (M. Veladiano) La giustizia sostenibile { Padova: Etica e cambiamento climatico } 681 (R. P.) Europa - COMECE Il clima è cambiato 682 (L. Truzzi) Europa - CCEE Vie nuove per comunicare Libri del mese 683 (P. Stefani) Corruptio optimi pessima { Il cristianesimo e il mistero del male. La scommessa di Illich } { Un confronto fra teologia e storia } 706 (P. Prodi) La storia umana come luogo teologico 717 (P. Walter) Dio nel frammento 723 (P. Stefani) Parole delle religioni Matrimonio e celibato 725 I lettori ci scrivono 727 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo Io sono lo scarabocchio di Dio Colophon a p. 726 Elezioni presidenziali USA o ra tocca all’Europa Dopo la storica elezione di Barack Obama L’ elezione di Barack Obama a 44° presidente degli Stati Uniti d’America è una pietra miliare nell’evoluzione del paese. La differenza ovvia è che Obama è il primo presidente nero degli Stati Uniti. Rappresenta il punto di arrivo di una svolta radicale negli atteggiamenti americani riguardo alla razza, un cambiamento iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma maturato solo dopo qualche generazione. Tutti gli osservatori esteri hanno sottolineato questo aspetto. Obama non rappresenta certamente la fine del pregiudizio nella società americana, ma elimina gran parte della vergogna che accompagna gli Stati Uniti agli occhi del mondo a causa della loro lunga storia di schiavitù e discriminazione. Obama è il primo presidente nero e tuttavia è importante notare che non ha impostato la sua campagna elettorale su questo tema. In realtà, a parte il suo discorso in occasione della controversia scoppiata attorno al suo legame col ministro di cul- to Jeremiah Wright, Obama ha dato poco peso alla questione razziale nel corso della sua lunga campagna presidenziale. Ha invece incentrato l’attenzione sul tema del cambiamento nella politica americana. Una democrazia che genera cambiamento Ha promesso di porre fine all’ondata della disuguaglianza che si è drammaticamente sollevata nel corso degli ultimi otto anni; si è impegnato a ritirare i soldati americani dalla guerra in Iraq e a rafforzare l’impegno americano per vincere la guerra in corso in Afghanistan; ha sottolineato la necessità di investire in nuove risorse energetiche, sia per porre fine alla dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio estero, sia per invertire la crescita delle emissioni di gas che causano l’effetto serra; ha affermato che gli Stati Uniti devono rafforzare il proprio impegno in campo diplomatico, a livello sia bilaterale con i regimi non favorevoli, sia multilaterale con i paesi amici e alleati. L’elettorato americano ha risposto lentamente e tuttavia con entusiasmo a IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 657 questo messaggio di cambiamento. Nella sua campagna Obama ha potuto contare fin dall’inizio sul sostegno di una marea di giovani volontari e di più maturi intellettuali liberal. Quando si è presentato alla riunione del partito in Iowa all’inizio delle primarie democratiche, aveva già a disposizione un’organizzazione operativa superiore a quella di qualsiasi altro candidato. Aveva anche più consiglieri politici di tutti gli altri candidati messi insieme. La sua genialità è stata quella di unire e trasformare questi gruppi in un efficace veicolo per la conquista dei voti. Durante le primarie ha fatto straordinariamente bene nei contesti in cui era importante l’organizzazione e sorprendentemente male là dove le fluttuazioni nella partecipazione e le organizzazioni di partito costituite potevano influenzare le scelte fatte dagli elettori ai seggi. Più par tecipazione e più voti La lunga campagna delle primarie ha messo alla prova Obama e ha operato, in definitiva, a suo favore. Lo ha costretto a costituire uffici per la campagna in tutto il paese e a combattere molti suoi dèmoni: le sue relazioni passate con figure controverse come Jeremiah Wright e William Ayers (già membro del gruppo terroristico Underground Weathermen); il suo modo di discutere impacciato e troppo intellettuale; la sua incapacità di connettersi con settori critici di elettori appartenenti alla classe lavoratrice bianca anche solo attraverso il semplice riconoscimento del nome. In risposta, Obama ha rafforzato il punto focale del suo messaggio e la disciplina nella sua campagna. Ha cominciato a rivolgersi ai gruppi che erano fedeli al Partito democratico, ma nei quali non godeva di molto sostegno personale. Ha moderato la sua retorica per concentrarsi su questioni della vita di tutti i giorni che potevano fornire un significato reale al suo tema del cambiamento. E ha scelto di incentrare il versante critico della sua propaganda sulle caratteristiche personali e sulle contraddizioni in materia di politica della sua controparte, John McCain. Il risultato finale è stato una schiacciante vittoria. Obama ha vinto non 658 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 solo negli stati che aveva conquistato John Kerry nel 2004, ma ha conquistato la vittoria anche in nove stati che avevano votato per George W. Bush, comprese quelle cruciali in Ohio e Florida, e quelle sorprendenti in Indiana e North Carolina. I risultati a livello di contea sono ancora più sorprendenti. Obama ha ottenuto più voti praticamente in ogni stato a parte l’Arkansas e gli stati che corrono lungo i monti Appalachi. La partecipazione al voto è stata molto alta, attorno al 61% a livello nazionale, ed è aumentata soprattutto negli stati con un’elevata percentuale di afroamericani, come Louisiana (+2,3%), Mississippi (+2,2%), Alabama (+4,6%), Florida (+2,8%), Georgia (+6,1%), South Carolina (+5,8%) e North Carolina (+8,6%). Anche se ha vinto solo in due di questi stati, la percentuale democratica del voto è aumentata in tutti. La partecipazione al voto è diminuita invece nelle roccaforti repubblicane, come Alaska (-4,6%) e Utah (-8,1%). McCain ha vinto in questi stati, ma la mancanza di entusiasmo nello zoccolo duro dell’elettorato repubblicano era palpabile, e potrebbe essere stata addirittura decisiva. La partecipazione al voto è risultata bassa in Ohio (-3,8%) e Obama ha perso il voto dei bianchi (52 contro 46%). Ma i votanti bianchi hanno rappresentato solo il 74% del totale, e Obama ha vinto in modo schiacciante con il resto dell’elettorato. Come presidente eletto, Obama entra in carica con un sostegno senza precedenti da parte delle donne e delle minoranze etniche a livello nazionale. La percentuale di preferenza fra le donne è stata di 56% contro 43% a favore di Obama. Il voto maschile è stato quasi pari, con un lieve vantaggio per McCain (48% contro 49%). Obama ha conquistato anche il 95% del voto afroamericano, il 67% del voto ispanico e il 62% di quello asiatico. Non bisogna tuttavia sopravvalutare l’importanza di questi gruppi etnici. Gli afroamericani votano tradizionalmente per il Partito democratico e l’effetto della candidatura di Obama si è avvertito più a livello di partecipazione nuità di maggioranza democratica. Qualunque siano le linee di tendenza a livello di dati demografici, gli avvenimenti sono soliti intralciare il percorso. 6 che di preferenza. E anche a questo riguardo, le cifre sono relativamente basse. Insieme, i tre principali gruppi etnici costituiscono solo circa il 24% dell’elettorato partecipante. Di conseguenza, Obama ha potuto vincere perché ha trovato sostenitori altrove, in particolare fra gli elettori bianchi. Il dato più sorprendente che emerge dall’esito delle votazioni è il sostegno offerto a Obama dagli elettori ric- chi. La piccola percentuale (6%) di elettori che guadagnano oltre 200.000 dollari all’anno ha votato per Obama più che per McCain (52% contro 46%). Ed è esattamente il gruppo demografico al quale Obama ha promesso un aumento delle tasse. Sono tradizionalmente sostenitori del Partito repubblicano. Questa volta hanno accolto il messaggio di cambiamento lanciato da Obama. Lo stesso messaggio è risuonato chiaramente alle orecchie dei votanti giovani. Il risultato meno sorprendente dell’esito delle votazioni è che Obama ha conquistato due terzi del voto dei giovani (nella fascia di età 18-29 anni). L’originaria coalizione di giovani entusiasti e maturi intellettuali liberal ha accompagnato e sostenuto Obama fino alla fine. Queste tendenze demografiche inducono a pensare che il sostegno a Obama sarà ancora maggiore in futuro. A meno di imprevisti, i giovani elettori tendono a conservare le loro preferenze per almeno una o due elezioni, e i gruppi etnici sono in aumento come percentuale della popolazione, mentre il Partito repubblicano fa fatica a elaborare un programma che abbia presa sull’elettorato femminile – un fatto sottovalutato dalla candidatura alla vicepresidenza di Sarah Palin. Ma è troppo presto per ipotizzare una conti- L’ispirazione e le scelte politiche Le priorità politiche della nuova amministrazione Obama restano in gran parte quelle espresse durante la campagna elettorale. Ciò che è cambiato è il peso attribuito alle diverse iniziative. Anzitutto e soprattutto, Obama deve affrontare la crisi finanziaria mondiale e la recessione economica che si sta diffondendo all’esterno a partire dagli Stati Uniti. Ma per farlo deve affrontare due grandi sfide: egli non può mostrarsi come colui che usurpa l’autorità dell’amministrazione Bush, ed è consapevole che gli Stati Uniti non possono uscire da questa crisi senza giocare un ruolo direttivo in una qualsiasi più ampia risposta mondiale. Nella sua prima conferenza stampa, dopo l’elezione, Obama ha sottolineato che esiste un solo presidente alla volta, per cui non ha partecipato al recente incontro dei G20. Le stesse posizioni sono evidenti riguardo all’industria automobilistica degli Stati Uniti. Pur avendo detto chiaramente di essere favorevole a una qualche forma di salvataggio, si è anche dimesso dal Senato, per cui non sarà presente quando il Congresso in carica fino alla scadenza del mandato delibererà sulla forma che potrebbe assumere questo salvataggio. La forte accentuazione della politica economica sottolinea un motivo di preoccupazione ampiamente espresso. Durante la campagna elettorale, Obama ha ripetutamente affermato che gli Stati Uniti non dovrebbero sottoscrivere accordi bilaterali di libero scambio con paesi che non mantengono gli stessi livelli di protezione ambientale o occupazionale. Ha addirittura ipotizzato la rinegoziazione di quegli accordi – come l’Accordo di libero scambio dell’America settentrionale (NAFTA) o l’Accordo bilaterale di libero scambio con la Colombia – nei quali non sono state adottate adeguate misure per garantire uguali livelli di protezione del lavoro e dell’ambiente. Questa politica è stata criticata come «protezionistica» sia dagli oppositori di Obama sia, più ampiamente, IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 659 dai media. Inoltre, come afferma chiaramente la recente dichiarazione del G20, il protezionismo desta molte preoccupazioni a livello internazionale e nel contesto della crisi attuale. La prossima amministrazione Obama può fare certe concessioni, rinforzando il proprio impegno nei riguardi del libero mercato mondiale. Ma la squadra di Obama non rinuncerà facilmente al principio secondo cui le relazioni commerciali dovrebbero essere basate sul mutuo rispetto per i lavoratori e per l’ambiente. In realtà, possono non aver bisogno di farlo. Lo stesso principio è al centro della politica commerciale bilaterale della Commissione europea ed è stato un tassello centrale della strategia negoziale del precedente commissario al commercio, Peter Mandelson. La sfida sarà quella di trovare un modo per conciliare questo approccio al commercio con la complessità delle regole in materia di lavoro e ambiente sulle due sponde dell’Atlantico e con la difficoltà di raggiungere un accordo nei negoziati multilaterali, come il Doha Round. La sfida sarà ancora più impegnativa se sia l’Europa che gli Stati Uniti cercheranno di impostare a modo loro le relazioni bilaterali con paesi terzi, paesi che devono scegliere fra le regole europee e quelle americane. Di conseguenza, anche se le politiche potrebbero non essere apertamente protezionistiche, il risultato finale può in definitiva esserlo ugualmente e le relazioni commerciali bilaterali potrebbero generare quel tipo di conflitti da cui hanno messo in guardia economisti come Jagdish Bhagwati, affermando che possono far crollare il sistema commerciale mondiale. Anche se non si verifica un tale disastro, il perseguimento di uguali livelli di protezione ambientale e occupazionale può rallentare la crescita del commercio in un tempo in cui tutto sta rallentando. Disuguaglianze, clima e Iraq Questa complicata agenda economica ha anche un’importante componente interna. Obama è stato eletto per ridurre la disparità di reddito e anche per estendere a tutti la copertura sanitaria. Sono due obiettivi certamente non facili da raggiungere. Devono essere negoziati entrambi con il 660 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Congresso. Di conseguenza, la squadra di Obama ha chiesto un’importante revisione nella politica economica per affrontare contemporaneamente crisi delle banche, recessione, disuguaglianza e assistenza sanitaria. Questo assorbirà la maggior parte delle energie del nuovo presidente. E pur essendo vero che un presidente deve essere in grado di fare più di una cosa alla volta – come sottolineato dallo stesso Obama all’inizio della crisi finanziaria – è anche vero che l’attenzione maggiore andrà alla priorità più urgente. Al secondo posto nell’agenda del presidente eletto c’è il ritiro dei soldati americani dall’Iraq e il rafforzamento della presenza degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan. La ratifica dell’accordo sullo status delle forze americane da parte del Parlamento iracheno nel corso del finesettimana a cavallo del 16 novembre dovrebbe ridurre la tensione provocata dal conflitto iracheno. Anche se Obama aveva sostenuto scadenze più stringenti rispetto a quelle negoziate dall’amministrazione Bush, non c’è motivo di credere che la sua visione non possa conciliarsi con i desideri espressi dal Parlamento iracheno. La sfida più difficile sarà quella di cambiare il corso delle cose in Afghanistan. Questa sfida è ulteriormente complicata dal rischio di instabilità nel vicino Pakistan. Si spera che i consiglieri di politica estera di Obama si concentrino su questo problema, cercando al tempo stesso di cambiare il tenore delle relazioni con l’Iran e allo stesso tempo di mantenere lo slancio per la soluzione dei problemi che ruotano attorno a Israele. Una nuova visione del Medio Oriente È evidente che, anche con la più grande buona volontà, la prossima amministrazione Obama non può semplicemente far sparire i problemi in Afghanistan, Pakistan e Medio Oriente. Ci si può ragionevolmente aspettare che Obama accordi la debita attenzione a questi problemi. Questo in netto contrasto con la prima amministrazione Bush (2000-2004), quando Israele venne trascurato e l’Afghanistan venne invaso e poi trascurato a sua volta. L’attenzione accordata al Medio Oriente dalla prossima amministrazione Obama migliorerà anche il progresso fatto dall’attuale amministrazione Bush (2004-2008). In questo senso, Obama rappresenta un importante punto di partenza. Bisognerà vedere se sarà in grado di coinvolgere maggiormente gli alleati europei nel più ampio processo di pace in Medio Oriente, chiedendo il loro sostegno riguardo a Israele e Afghanistan e forse accordando loro un maggior rilievo riguardo all’Iran. Se Obama vuole davvero cambiare le cose nell’area, deve mettere in gioco un ventaglio di risorse diplomatiche, economiche e strategiche più ampio di quello di cui dispongono attualmente gli Stati Uniti. Quindi l’Europa deve mettere a disposizione queste risorse, direttamente o attraverso il coinvolgimento in altre parti del mondo dove sono in gioco gli interessi sia degli Stati Uniti che dell’Europa. Una terza priorità sarà quella di rivoluzionare l’approccio americano ai cambiamenti climatici e all’indipendenza in campo energetico. È un mandato che Obama può affermare di aver ricevuto dall’elettorato ed è anche un impegno personale. È molto probabile che spinga all’adozione di un nuovo complesso di protocolli per limitare le emissioni di gas a effetto serra, che investa risorse nella tecnologia per la produzione di energia rinnovabile e per un uso più efficiente del carbone e di altri idrocarburi prodotti dagli Stati Uniti. E spingerà a una maggiore efficienza energetica – certamente come condizione di un qualsiasi pacchetto di salvataggio dell’industria automobilistica, ma anche in altri campi. Quest’agenda è chiaramente diversa da quella degli ultimi otto anni di politica statunitense, ma è diversa anche dall’attuale posizione dell’Unione Europea (UE). L’agenda dell’UE è basata sui protocolli di Kyoto, che nella sua campagna elettorale Obama ha definito superati. Nel frattempo, l’UE ha fatto fatica a onorare gli impegni assunti con i protocolli di Kyoto. Mentre alcuni paesi hanno superato le aspettative, altri sono rimasti indietro. Ma la cosa forse più importante è che l’entusiasmo per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra si è volatilizzato alla luce dell’attuale crisi economica. Perciò, offrendo degli USA più verdi, Obama sfida anche la leadership europea in materia di tecnologia ambientale ed energetica. La questione correlata è se gli stati membri dell’UE potranno concordare con gli USA un piano di azione o se la nuova amministrazione Obama prenderà la leadership in materia di energia e ambiente. Il ruolo del la NATO La relazione transatlantica non è una priorità per la squadra di Obama nel senso che buone relazioni transatlantiche siano una sorta di obiettivo politico. La prossima amministrazione Obama entra in carica con un forte impegno riguardo alla necessità di un partenariato transatlantico per raggiungere gli obiettivi condivisi. In questo senso, è probabile che si sforzi di ridurre le tensioni non strettamente necessarie. Le installazioni di missili difensivi in Polonia e nella Repubblica Ceca e la proposta di un allargamento della NATO all’Ucraina e alla Georgia sono due di questi casi. Durante la campagna elettorale, pur non opponendosi al sistema di missili difensivi proposti, Obama ha affermato che si dovrebbero conoscere le prestazioni della tecnologia prima di realizzarle. Precedenti segnali lasciano intendere che la Russia è disposta ad accettare questa concessione come una base per la soluzione del conflitto relativo al sistema di difesa missilistica nel suo complesso. L’allargamento della NATO è più complesso. Durante la campagna elettorale, Obama ha continuamente affermato che, pur potendo offrire a paesi come Ucraina e Georgia piani di azione in vista dell’allargamento, indicanti la prospettiva di una futura inclusione nell’alleanza, non esiste alcuna ragione cogente per accoglierli come membri in un prossimo futuro. Inoltre, ha ripetuto questa posizione quando la Russia ha invaso la Georgia nell’agosto del 2008, in un tempo nel quale sia il vice presidente Dick Cheney sia il candidato repubblicano John McCain affermavano che si dovevano accogliere subito nella NATO l’Ucraina e la Georgia. La prossima amministrazione Obama dovrebbe ridurre notevolmente la tensione nelle relazioni transatlantiche sia in termini politici sia a un livello simbolico più profondo. Gli europei preferivano chiaramente Obama a tutti i suoi rivali ed esultano per la sua vittoria elettorale. Gli Stati Uniti ritornano improvvisamente popolari, non solo come meta turistica, ma come sistema politico e come società. Ma, date le priorità della prossima amministrazione Obama, restano ovviamente punti di tensione. Le questioni economiche premono su entrambe le sponde dell’Atlantico e né l’Europa né gli Stati Uniti sono pronti ad affermare o accettare la leadership in materia. La questione sicurezza in Medio Oriente preme, e tuttavia gli europei possono non volersi assumere altri pesi. Tutti concordiamo sulla necessità di combattere i cambiamenti climatici e di investire nelle nuove tecnologie energetiche ma nessuno è pronto ad accollarsi il costo o a lasciare a un altro la guida della nuova rivoluzione industriale. E per quanto facili diventino le relazioni transatlantiche, questo è solo un primo passo per conciliare le aspirazioni politiche dei poteri emergenti come la Russia, per non parlare di India o Cina. Infine c’è la questione di riconciliare l’Europa con se stessa. A livello istituzionale, non esiste ancora una Costituzione. Gli europei possiedono i loro welfare, ma devono affrontare anche molte sfide. Poi c’è il dilemma reale della natura della società europea, in profondo cambiamento. La vittoria di Obama è un momento storico per gli Stati Uniti. È una sfida storica anche per l’Europa. Ora tocca all’Europa vedere se può accettare il cambiamento e la responsabilità che il futuro richiede. Erik Jones* * Erik Jones è docente di Studi europei presso la sede di Bologna della Johns Hopkins University. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 661 Obama 2008 USA l a Joshua generation Come hanno votato i cristiani C Boston, novembre 2008. on l’elezione di Barack Obama, alla Casa Bianca sta per entrare la «generazione di Giosuè», la generazione di quanti entrano in una terra promessa che la «generazione di Mosè», quella di Martin Luther King e Rose Parks, non ha potuto vedere. Di «Joshua Generation» aveva infatti parlato Obama in una chiesa di Selma (in Alabama, uno dei luoghi storici della lotta per i diritti civili) il 4 marzo 2007, dopo appena tre settimane dall’annuncio della sua candidatura.1 Il linguaggio biblico non è accessorio: la campagna elettorale è stata guidata, oltre che da una formidabile macchina organizzativa, dal «potere della parola» dei discorsi di Obama, ispirata dalle cadenze e dalla sintassi delle chiese nere e allo spirito di riconciliazione nazionale di Abraham Lincoln.2 Discorsi mirati a costruire la speranza in un candidato inverosimile (se si pensa ai risultati ottenuti dalle coalizioni di estrema sinistra e attivisti di colore costruite da Jesse Jackson nelle elezioni del 1984 e 1988) e tesi a presentare le presidenziali del 2008 come una scelta tra il cinismo dell’anti-politica e la speranza nel cambiamento. Il risultato del 4 novembre 2008 è stato accolto come una liberazione dal peccato originale della nazione americana, lo schiavismo. L’elezione del giovane senatore dell’Illinois alla presidenza degli Stati Uniti non segna una novità solo dal punto di vista dei simboli. Obama rompe una tradizione di 220 anni di presidenti bianchi e – se si eccettua J.F. Kennedy – di origine prote- 662 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 stante, e porta con sé alla Casa Bianca il primo vicepresidente cattolico (Joe Biden, senatore del Delaware). Quello di Obama è il singolare percorso di un afroamericano, nato da padre africano e madre statunitense, cresciuto tra Indonesia e Hawaii, formatosi nella comunità della «teologia nera della liberazione» del reverendo Wright a Chicago, poi nella facoltà di legge delle élite ad Harvard, e oggi vicino a una teologia politica che si ispira a Reinhold Niebuhr.3 Il voto dei fedeli L’elezione di Obama è stata resa possibile anche da uno spostamento elettorale dei votanti che si dichiarano religiosi. Il candidato democratico ha avuto il 54% dei voti dei cattolici (e il 47% dei voti dei cattolici bianchi), con un’inversione di tendenza rispetto al 2004 (quando Bush aveva vinto il 54% dei voti dei cattolici) dovuta agli elettori di recente immigrazione (specialmente ispanici), ai cattolici afroamericani, ma anche a parte delle generazioni giovani dell’universo evangelicale. Obama ha avuto il 45% dei voti dei protestanti e, all’interno di questi, il 26% dei voti evangelical. Ma rispetto al 2004 il candidato democratico ha guadagnato voti tra gli elettori di tutte le «affiliazioni religiose» analizzate, con un incremento, rispetto al 2004, tra i 2 e i 7 punti percentuali a seconda delle affiliazioni. L’analisi dei dati fa emergere che l’oscillazione maggiore a favore di Obama è quella dei voti cattolici (+7% rispetto al 2004), proprio grazie ai cattolici non bianchi. L’elezione di Obama non ha cancellato la divisione tra etnie all’interno delle Chiese americane di ogni confessione,4 ma ha anche evidenziato un gap generazionale all’interno del voto dei cristiani (cattolici e non), con i giovani al di sotto dei 35 anni più vicini al candidato democratico.5 Il gradimento di Obama da parte dei credenti americani premia la caccia al voto religioso da parte del Partito democratico,6 ma soprattutto fotografa il cambiamento della demografia e della sociologia religiosa nordamericana. Il voto per Obama dei credenti non riflette un radicalizzarsi ideologico degli elettori religiosi, ma al contrario un ritorno al centro e la fuga da un Partito repubblicano sempre più spostato a destra. L’elezione del 2008 non rappresenta un «realignment», ovvero un radicale cambio di direzione politica e culturale e cioè la capitolazione dell’America con- BEN HEINE: Obama - Luther King servatrice venuta a galla con l’elezione di Nixon nel 1968. La presidenza Obama non evidenzia un’America lanciata in una direzione liberal, ma un’America dal volto sempre più multi-culturale e multi-razziale, anche tra i suoi dirigenti politici.7 Fin dai tempi di Nixon i conservatori nel Partito repubblicano hanno parlato per la «maggioranza silenziosa», che ora sembra essere stata sostituita da una «maggioranza futura», radicata nella parte più dinamica del paese (la nuova geografia elettorale lo dimostra), composta da elettori le cui priorità sono eminentemente pratiche e lontane dalle «guerre culturali» attorno alle questioni del matrimonio gay, dell’aborto e di ortodossia religiosa. I cat tolici americani, i vescovi e il presidente-elet to Se alcuni davano una lettura pro-life del voto a Obama, rimproverando alla maggioranza repubblicana di aver strumentalizzato invano negli ultimi tre decenni la questione dell’aborto, lasciando così liberi i cattolici pro-life di cercare una soluzione al di fuori del Partito repubblicano,8 sul New York Times Peter Steinfels scriveva che sulla lista degli sconfitti vi erano chiaramente anche i vescovi cattolici.9 Anche a causa della reattività della base del cattolicesimo americano contro le indicazioni elettorali date da alcuni vescovi e parroci cattolici a favore di McCain sulla base delle posizioni pro-li- fe del ticket repubblicano, l’elezione di Obama ha causato in parte della gerarchia cattolica la sensazione di ritrovarsi orfana di una classe politica culturalmente vicina e la prospettiva di una coabitazione con una classe politica ostile: le prime tre cariche dello stato – il presidente, il vicepresidente e la speaker della Camera – si sono più volte dichiarati a favore dell’aborto legale e per la difesa della sentenza della Corte suprema del 1973 «Roe versus Wade». Il fatto che Obama sia stato, dei tre, il più cauto sulla questione10 e che Joe Biden e la speaker Nancy Pelosi siano cattolici non ha rassicurato i vescovi, riuniti a Baltimora dall’11 al 13 novembre per la loro riunione plenaria di autunno. I vescovi cattolici, guidati dall’arcivescovo di Chicago, card. Francis George, hanno preso atto dell’evento storico dell’elezione di un afroamericano alla presidenza degli Stati Uniti. Ma subito hanno avuto di fronte il risultato politico di un’elezione che insediava una nuova amministrazione programmaticamente disposta verso una serie di misure legislative (e di future nomine alla Corte suprema) di segno diverso rispetto all’agenda pro-life del Partito repubblicano di Bush. L’elezione di Obama si presenta così, per i vescovi cattolici (alcuni dei quali con un passato di impegno nella lotta per i diritti civili degli afroamericani), come segno di speranza e motivo di preoccupazione allo stesso tempo.11 I vescovi si sono interrogati soprat- tutto, all’inizio della riunione, circa gli effetti sull’orientamento elettorale dei cattolici del documento della Conferenza episcopale emanato nel novembre 2007: un documento complesso ed equilibrato che evidenziava, circa l’orientamento delle scelte politiche dei fedeli cattolici, la centralità della questione dell’aborto, ma non slegata dalle altre questioni di dottrina sociale (economia e giustizia, pace internazionale).12 Sebbene la minoranza di vescovi che si erano esposti durante la campagna elettorale (tra cui quelli di Scranton, Martino e di Kansas City, Naumann) avessero adottato una strategia della « single issue vote» , incentrata sulla lotta all’aborto, alcuni vescovi hanno espresso a Baltimora la sensazione che il documento del 2007 non abbia avuto presa sui fedeli (così il vescovo di Denver, Chaput). L’assemblea, che ha anche eletto George Murry (vescovo di Youngstown, Ohio) nuovo segretario della Conferenza – il primo afroamericano a ricoprire la carica13 – si è concentrata sull’atteggiamento da tenere rispetto alla futura amministrazione Obama, specialmente rispetto all’annuncio della possibile firma da parte del nuovo presidente del Freedom of Choice Act (FOCA). La riunione dei vescovi si è conclusa riproponendo la posizione netta della Chiesa cattolica sul dramma dell’aborto negli Stati Uniti, ma scegliendo una via mediana tra due linee presenti all’interno dell’episcopato, anche al fine di non trasformarsi in un’opposizione pregiudiziale a una presidenza che deve ancora esordire.14 Anche per ricompattare un episcopato in cui le posizioni sono meno unanimi di quanto sembri, la dichiarazione finale del card. George del 12 novembre 2008 affrontava direttamente il progetto di legge FOCA, rigettando l’accettabilità della strategia della «riduzione» e affermando che ogni vita umana deve essere protetta dalla legge. Ma nella sua dichiarazione il presidente dei vescovi indicava anche gli ambiti di collaborazione con l’amministrazione Obama: giustizia economica, immigrazione, politiche scolastiche e copertura sanitaria, libertà religiosa e pace internazionale.15 Mentre nel paese si registrano sporadici casi di parroci cattolici che diffidano i fedeli elettori del Partito democratico dall’accostarsi al- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 663 664 l’eucaristia, dalle dichiarazioni di molti vescovi a Baltimora è chiaro che l’assemblea della USCCB ha accantonato l’uso del sacramento dell’eucaristia come arma politica. Il mondo cattolico americano è unito nel riconoscere la tragedia dell’aborto negli Stati Uniti, ma è articolato nelle sue posizioni circa l’atteggiamento da tenere nei confronti della nuova amministrazione e aperto a politiche dirette alla prevenzione e alla riduzione del numero degli aborti.16 La base cattolica vicina ai democratici ha rilasciato dichiarazioni e appelli che puntano sulla necessità di liberarsi della pura retorica pro-life degli ultimi anni, ma ha anche ricordato al presidente-eletto e al Partito democratico le promesse elettorali circa la «strategia della riduzione» del numero degli aborti.17 La rivista dei gesuiti America ha evidenziato come i cattolici abbiano votato Obama, ma da un lato ha evitato di leggere il risultato del 4 novembre come un fallimento dei vescovi nel loro sforzo di formare le coscienze in vista delle elezioni, e dall'altro ha auspicato un common ground tra posizioni diverse sulla questione dell'aborto, evidenziando i rischi di uno scontro frontale con l'amministrazione e l'opportunità di prendere in parola Obama e le sue dichiarazioni sulla protezione della vita rilasciate in campagna elettorale (cf. editoriale «No common ground?» in America 18, 1.12.2008,4). In modo non meno netto, Commonweal ha efficacemente chiuso il suo editoriale con una sintesi rappresentativa dei sentimenti dei cattolici elettori di Obama: «Molto si potrebbe dire sul sostegno che Obama ha ricevuto dagli elettori cattolici, e su ciò che questo sostegno dice dell’efficacia dell’insegnamento dei vescovi cattolici sulle politiche riguardanti l’aborto. Per ora, tuttavia, speriamo che Obama fosse sincero quando diceva che avrebbe agito per ridurre il numero degli aborti».18 Il moderatismo delle posizioni morali e religiose di Obama ha contribuito a renderlo accettabile ad ampi strati dell’elettorato religioso: si è presentato come un candidato multi-razziale e post-razziale che non viene dagli ambienti classici della «black politics»; ha sottolineato l’esigenza di ridurre il numero degli aborti senza renderli illegali; ha difeso il ruolo della religione nella vita pubblica, ma ha rigettato la marginalizzazione delle minoranze religiose e dei non credenti, ricordando l’impegno particolare dell’America al pluralismo religioso. Ha combattuto la campagna elettorale, sul campo del voto cattolico, non solo con la creazione di un thinktank intellettuale di cattolici di alto profilo, ma anche grazie a una capillare rete di associazioni di «cattolici per Obama» (attivi sotto molte sigle diverse) pronte a intervenire sul terreno e a presentare la nuova piattaforma del Partito democratico sulle questioni-chiave.19 I «fedeli pro-Obama» rappresentano tutta la varietà dell’esperienza religiosa americana: i cattolici e i protestanti «classici», gli ebrei e i musulmani, i curiosi, gli spirituali non religiosi, gli eterodossi, le coppie miste, gli scettici e i tradizionalisti. Ma gli elettori religiosi che hanno maggiormente contribuito alla vittoria dei democratici sono credenti (praticanti e non) afroamericani e ispanici che tendono a essere più religiosi e socialmente più conservatori della media della società nordamericana.20 In questo periodo di interregno tra la fine dell’era di G.W. Bush e l’inizio dell’amministrazione Obama appare chiara l’esigenza per la nuova leadership di tenere conto della varietà della sua constituency elettorale e politica, specialmente sulle questioni più sensibili per gli elettori religiosi. Massimo Faggioli 1 Cf. D. REMNICK, «The Joshua Generation», in The New Yorker, 17.11.2008. 2 Specialmente il discorso di Philadelphia del 18.3.2008 su razza e religione in America, «For a more perfect union», e il discorso della vittoria di Chicago, il 4.11.2008. 3 Si vedano i due best-seller pubblicati da OBAMA: Dreams From My Father: A Story of Race and Inheritance, Times Books, New York 1995 (pubblicato ben prima dell’inizio della carriera politica) e The Audacity of Hope. Thoughts on Reclaiming the American Dream, Crown Publishers, New York 2006. 4 Per i dati completi si veda la ricerca del Pew forum, How the Faithful Voted, in www.pewforum.org. 5 Cf. M. SILK e A. WALSH, «A Past Without a Future? Parsing the U.S. Catholic vote», in America, 3.11.2008. 6 Cf. M. FAGGIOLI, «La fede nell’urna», Regno-att. 16,2008,505ss. 7 Come dimostra una delle stelle nascenti del Partito repubblicano, il governatore della Louisiana Bobby Jindal, 37 anni, nato in America da una famiglia indù proveniente dal Punjab e convertitosi al cattolicesimo ai tempi del college. 8 Così D.W. KMIEC, «Catholic Answers», in Commonweal, n. 18, 24.10.2008, 34. 9 Cf. P. STEINFELS, «Catholics and Choice (in the Voting Booth)», in The New York Times, 7.11.2008. Steinfels è autore del noto saggio A People Adrift: The Crisis of the Roman Catholic Church in America, Simon & Schuster, New York 2003. 10 Specialmente in The Audacity of Hope e nell’intervista al Saddleback Forum dell’agosto 2008. 11 In un’intervista al Boston Globe (11.11.2008) il cardinale di Boston, Sean O’Malley, definiva «deplorevole» il passato di Obama come legislatore sulle questioni pro-life e allo stesso tempo richiamava alla memoria il fatto che nel 1968, la settimana dopo l’assassinio di Martin Luther King, lui fosse il giovane frate che marciava sul National Mall di Washington assieme a migliaia di altri attivisti. 12 Forming Consciences for Faithful Citizenship. A Call to Political Responsibility from the Catholic Bishops of the United States: per il testo si veda il sito della USCCB (Conferenza dei vescovi cattolici degli USA) www.faithfulcitizenship.org; trad. it. «Una cittadinanza fedele», in Regno-doc. 5,2008,176ss. 13 Murry, 59 anni, gesuita, già vescovo ausiliare di Chicago. Il solo altro afroamericano a ricoprire una posizione di vertice è stato l’arcivescovo Wilton Gregory (ora ad Atlanta), presidente della Conferenza tra 2001 e 2004, nel periodo più acuto del «sex abuse scandal». 14 I risultati delle elezioni danno qualche indicazione alla presidenza del comitato sulle attività a favore della vita, in cui il card. DiNardo (Houston) ha prevalso su mons. Naumann (Kansas City, Kansas), e per la presidenza del comitato per le comunicazioni, in cui mons. Zavala (ausiliare di Los Angeles) ha prevalso su mons. Finn (Kansas City, Missouri). 15 Per il testo completo della dichiarazione del card. George cf. www.usccb.org. 16 Cf. «Special responsibilities of pro-life, pro-Obama supporters», e «Triumph of hope challenges Catholics», editoriali del National Catholic Reporter, 14.11.2008; E.J. DIONNE JR., «Obama’s Promise to Pro-Lifers», in The Washington Post, 14.11.2008. 17 Si veda «Catholic Democrats Calls on US Bishops and all Catholics to Advance Common Ground Solutions to End Abortion with the New Administration», www.catholicdemocrats.org, 11.11.2008. 18 «Obama’s Faith», editoriale della direzione di Commonweal, 21.11.2008. 19 Tra le molte sigle, www.catholicdemocrats.org e www.catholicsforobama.org. Cf. anche C. KORZEN, A. KELLEY, A Nation for All. How the Catholic Vision of the Common Good Can Save America from the Politics of Division, Jossey-Bass, San Francisco 2008. 20 Sul mutamento del paesaggio del cattolicesimo americano: M.S. MASSA, Catholics and American culture: Fulton Sheen, Dorothy Day, and the Notre Dame football team, Crossroad, New York 1999; J. O’TOOLE, The Faithful: A History of Catholics in America, Harvard UP, Cambridge (MA) 2008; M. SANDOVAL, On the Move: A History of the Hispanic Church in the United States, Orbis Books, New York 2006; T. MATOVINA, G.E. POYO (a cura di), Presente! U.S. Latino Catholics from colonial origins to the present, Maryknoll, New York 2000; P. CASARELLA, R. GOMEZ (a cura di), El Cuerpo de Christo: The Hispanic Presence in the U.S. Catholic Church, New York 1998. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 SINODO DEI VESCOVI l L a recezione dei media sull’ultimo Sinodo è stata assai scarsa. Si è accesa soltanto per alcuni elementi non propriamente centrali: dalla lettura integrale della Scrittura in televisione alla presenza del rabbino capo di Haifa, dalla discussione sulla figura storica di Pio XII agli episodi di persecuzione di cui i sinodali davano testimonianza. Ma la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo, «La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» (Roma, 526 ottobre 2008),1 non ha avuto grande risonanza neppure nelle comunità cristiane, nonostante il tema della Parola si collochi dentro l’identità ecclesiale e il suo dovere di annuncio.2 È probabile quindi che sfugga a molti la singolare centralità che la Chiesa cattolica va assumendo sul tema della Scrittura, da secoli appannaggio universalmente riconosciuto alle Chiese protestanti. Non solo per l’enorme crescita di testi magisteriali: pochissimi fra il concilio di Trento e il Vaticano I, diventano decine e decine fra l’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII (1893) e oggi; non solo per il rinnovamento liturgico del Vaticano II, il quale ha dato nel rito cattolico uno spazio imparagonabile al precedente alla proclamazione della Parola e per la significativa diffusione di una pratica come la lectio divina; ma anche come qualità degli studi esegetici e come verifica sociologica. La ricerca compiuta su una decina di paesi occidentali circa l’uso della Scrittura ha rivelato che la pratica bi- Roma, 5-26 ottobre a Parola e le Scritture I nuovi compiti della Chiesa cattolica blica dei fedeli delle varie Chiese d’Occidente sostanzialmente si equivale (cf. Regno-att. 10,2008,336). Nella relazione post disceptationem il card. M. Ouellet, ha detto: «Il Sinodo riconosce l’immenso contributo della tradizione protestante allo sviluppo della pratica biblica. Anche solo per una memoria riconciliata si può affermare che una certa insistenza della Riforma per facilitare l’accesso alle Scritture è andato a vantaggio di tutte le confessioni cristiane» (Regno-doc. 19,2008,628). «Oggi – mi ha detto un sinodale – pesa sulla Chiesa cattolica una responsabilità enorme. Sul tema della Scrittura potrebbe fare da traino sia per le Chiese dell’Est, provate dalla «turcocrazia» o dalla dittatura comunista, sia per le Chiese del terzo mondo, sollecitate dal fondamentalismo dei neo-protestanti». In questo senso, più che come affermazione identitaria, andrebbe letta la Proposizione 12 che invoca «l’originalità dell’ermeneutica biblica cattolica» (Regno-doc. 19,208,646). Fra le Chiese che sono scomparse (come ha ricordato Benedetto XVI nell’omelia all’apertura del Sinodo), quelle che hanno una grande vitalità missionaria (neopentecostali), quelle in crescente difficoltà (protestanti storici e anglicani) e quelle in volonteroso recupero (ortodosse), la Chiesa cattolica ha assunto, di fatto e non intenzionalmente, un compito di guida da esercitare – è sempre il sinodale a ricordarlo – «con più ascolto e più umiltà». Anche perché, come ha notato uno dei delegati fraterni, il luterano vesco- vo emerito di Oslo, Gunnar Stålsett, «tutte e tre le religioni del libro – giudaismo, cristianesimo e islam – si trovano oggi in una stretta fra secolarismo e fondamentalismo». La nuova dislocazione sistemica della Chiesa nell’ambito delle confessioni e religioni è stata meno percepita delle questioni più interne relative alla Scrittura. L’ammonimento del card. C.M. Martini a «non scendere al di sotto delle formule felici del Vaticano II» (La Civiltà cattolica, 159[2008], 217-223) è stato positivamente superato dalla discussione assembleare. Dei molti temi trattati indico solo alcuni più direttamente legati all’uso della Scrittura nella Chiesa (Parola e libro, pastorale ed esegesi, i metodi) e altri meno prevedibili (Bibbia e «terza Chiesa», gli abusi, gli incontri e alcune novità). Dentro la Tradizione e sot to la Scrit tura «Questa sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura dell’uno e dell’altro Testamento sono come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com’egli è (cf. 1Gv 3,2)»: il n. 7 della Dei verbum, citato nell’Instrumentum laboris (n. 16; Regno-doc. 11,2008,329), enuncia con efficacia i complessi legami fra rivelazione, parola di Dio, Scrittura e Tradizione. La libera e gratuita manifestazione di Dio (rivelazione), come piena autocomunicazione in Gesù Cristo (Parola), si è fissata in un documento storico-letterario (Scrittura), IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 665 c .Regno f Il Regno ha accompagnato la preparazione del Sinodo con più di trenta articoli e documenti e ha dedicato alla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (5-26.10.2008), intitolata «La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» un numero monografico, Regnodoc. 19,2008. Ripercorriamo qui di seguito le tappe che hanno preceduto l’appuntamento assieme ai testi e alle riflessioni pubblicati dalla rivista. Il 27 aprile 2007 è stato pubblicato il testo dei Lineamenta: «La parola di Dio nella vita della Chiesa. Lineamenta per la XII Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi», Regno-doc. 9,2007,257ss; L. PREZZI, «Sinodo sulla Scrittura: Lineamenta. La Chiesa e la Dei verbum», Regno-att. 10,2007,290. Le risposte prodotte e rielaborate dai Lineamenta conducono all’Instrumentum laboris, firmato l’11 maggio e presentato il 12 giugno 2008, che ha lo scopo di avviare e indirizzare la celebrazione dell’assise: «Verso il sinodo sulla parola di Dio. Instrumentum laboris per la XII Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi (5-26.10.2008)», Regno-doc. 11,2008,321ss; L. PREZZI, «Sinodo: Instrumentum laboris. Bibbia, fede e cultura», Regno-att. 12,2008,407. Inoltre, per arricchire il cammino verso il Sinodo, nel periodo di attesa dell’Instrumentum laboris la Federazione biblica cattolica ha promosso e presentato un’indagine sulla lettura della Scrittura in diversi paesi: L. PREZZI, «Le attese e la pratica. Indagine: chi legge la Bibbia?», Regno-att. 10,2008,336. Il n. 16 de Il Regno-attualità presenta uno Studio del mese articolato sulla relazione fra Tradizione apostolica, ecclesiale e magistero e tra Traditio e memoria: «Tradizione: l’evento e le generazioni» di P. STEFANI e «Norma normans non normata? La Bibbia nel contesto fondante di teologia e magistero» a firma del card. KARL LEHMANN. Lucia Truzzi 666 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 avvertito e di nuovo sempre interpretato (Tradizione) nella Chiesa. Tutto ciò è espresso dalla Proposizione 3: «L’espressione parola di Dio è analogica. Si riferisce innanzitutto alla parola di Dio in persona che è il Figlio unigenito di Dio (…). Questa parola di Dio trascende la sacra Scrittura, anche se essa la contiene in modo del tutto singolare. Sotto la guida dello Spirito la Chiesa la custodisce e la conserva nella sua tradizione viva» (Regno-doc. 19,2008,644). La complessità della formulazione e dei nessi interni nasconde in parte la tensione che vi era sottesa. Il pericolo per la Chiesa cattolica è quello di un ritorno sottile alla marginalizzazione della Scrittura che, nel caso specifico, è stata avviata attraverso due linee. La prima era quella che enfatizzava indebitamente il magistero, la seconda quella che chiudeva il rapporto con Gesù Cristo nell’incontro o nell’evento senza adeguato riconoscimento della specifica mediazione della Scrittura. Si potrebbero citare una decina di interventi per la prima linea e tre o quattro per la seconda. Quando si afferma che è «il vescovo a mettere la sacra Scrittura in mano ai cristiani» o del ministero «che permette di accedere a questa Parola di vita», o di una interpretazione scritturistica «sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa», o di una risposta «culturale del Vangelo» «che faccia presente nella vita pubblica la verità di Dio» o nell’enunciazione di una triplice fonte della rivelazione (includendovi il magistero) si arriva alla rimozione dell’autorità specifica della Scrittura. Ma anche l’enfasi sul pur necessario incontro personale con il Cristo e i suoi testimoni se non trova lo spazio adeguato alla coltivazione del testo minaccia di ottenere lo stesso risultato. La discussa normatività della Scrittura nella tradizione protestante (cf. l’intervento del card. K. Lehmann in Regno-att. 16,2009,563) non va declinata all’indietro, ma come sfida per il futuro di tutte le Chiese. L’uso della Scrittura nella vita personale del credente e nella pratica pastorale della Chiesa è ancora al di sotto di quanto sarebbe auspicabile e necessario. L’affermazione è tornata con for- te insistenza in moltissimi interventi. «La Dei verbum esorta a fare della parola di Dio non solo l’anima della teologia, ma anche l’anima dell’intera pastorale, della vita e della missione della Chiesa (…). Il Sinodo raccomanda di incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale» (Proposizione 30; Regno-doc. 19,2008,650). Anche in un contesto dove il vissuto di fede si afferma in modo sempre più privato e libero dalle regole e dai vincoli dell’appartenenza, la Bibbia si afferma come capace di strutturare una vera esperienza religiosa. Il commento e l’esegesi trovano un banco di prova nella liturgia e nella lectio, ma chiedono un di più di riflessione sul versante della catechesi e della connessione fra Parola e sacramento dentro la celebrazione eucaristica. I sinodali si sono molto occupati di omelia, di commenti alla Scrittura, di celebrazioni della Parola, del ciclo di letture del primo e secondo Testamento e del ruolo dell’Ufficio di lettura per i preti, ma anche per i laici. Vi hanno dedicato alcune delle proposizioni finali (come i nn. 15, 16 e 19). La percezione della decisività del Lezionario in ordine all’approccio dei fedeli al testo sacro è stata ripetutamente sottolineata, spesso accompagnata dall’esortazione alla lettura personale della Scrittura. La pastorale conciliare ha visto emergere la lectio divina come strumento prezioso. Il Sinodo la conferma in una proposizione specifica: «Il Sinodo propone che si esortino tutti i fedeli, compresi i giovani, ad avvicinarsi alle Scritture per mezzo di una “lettura orante” e assidua, in modo tale che il dialogo con Dio divenga realtà quotidiana del popolo di Dio» (Proposizione 22; Regnodoc. 19,2008,648). Il riferimento a maestri riconosciuti, alla diversità dei metodi, al legame coi testi liturgici e allo sbocco caritativo si conclude con l’affermazione: «Consapevoli della larga diffusione della lectio divina e di altri metodi analoghi i padri sinodali vi vedono un vero segno di speranza e incoraggiano tutti i responsabili ecclesiali a moltiplicare gli sforzi in questo senso» (Proposizione 22; Regno-doc. 19,2008,648 e cf. il Messaggio finale al n. 9). EL GRECO, Gli apostoli Pietro e Paolo (1587-1592), S. Pietroburgo, Ermitage. Esegesi e teologia Come compito ancora aperto si sollecita «una riflessione teologica sulla sacramentalità della parola di Dio» (Proposizione 7; Regno-doc. 19,2008,645) al fine di superare la non ancora adeguata connessione fra la celebrazione della Parola e il canone dentro l’eucaristia. Anche la dimensione kerigmatica e biblico-narrativa della catechesi è parsa non adeguatamente riflessa, ondeggiando, a seconda delle sensibilità fra la dimensione sistematica e quella pedagocico-narrativa nella giustapposizione finale in cui si parla di «formazione continuata in cui la sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa cattolica devono occupare il posto centrale» (Proposizione 23; Regno-doc. 19,2008,648s). Era molto attesa la posizione che il Sinodo avrebbe preso relativamente ai metodi di studio dell’esegesi. In questione vi era soprattutto il metodo storico-critico che approccia il testo secondo i criteri scientifici di ogni documento scritto. La discussione ha da un lato evidenziato la preziosità della tradizione patristica («non si deve tralasciare la lettura patristica della Scrittura» ammonisce la Proposizione 6; Regno-doc. 19,2008,644) e dall’altro ha mostrato la vivacità del confronto. Nel gruppo di lavoro di lingua tedesca si nota: «In alcune relazioni esposte nell’aula del Sinodo sembra esserci un certo timore del metodo storico-critico, timore che minaccia di ridurre i meriti e i frutti dell’esegesi scientifica. L’esegesi spirituale, che si basa sulla lectio divina nel contesto della liturgia nella comunità della Chiesa, esige da parte sua come premessa l’esegesi scientifica». La Proposizione 25 distingue i due livelli metodologici: il primo «corrisponde di fatto al metodo storico-critico (…) reso necessario dalla natura stessa della storia della salvezza» che va affiancato da un secondo livello metodologico, quello specificatamente teologico (unità della Scrittura, tradizione della Chiesa, analogia della fede) che «corrisponde alla natura anche divina delle parole umane bibliche» (Regno-doc. 19,2008, 649). L’«innegabile» e «altissimo» apporto del primo livello rende urgente il rafforzamento dell’interpretazione teologica per «superare il dualismo tra esegesi e teologia» (Proposizione 27; Regno-doc. 19,2008,650 e cf. Proposizione 26). Di un «clima di tensione spesso malsano che regna fra la teologia universitaria e il magistero ecclesiale» aveva parlato il card. M. Ouellet nella relazione ante disceptationem, invocando dal Sinodo «un orientamento per risanare i rapporti e favorire l’integrazione delle acquisizioni delle scienze bibliche ed ermeneutiche nell’interpretazione ecclesiale delle sacre Scritture» (Regnodoc. 19,2008,601). I padri sinodali «rivolgono con stima un appello sia ai teologi sia agli esegeti perché, con una collaborazione più chiara e sintonica, non lascino mancare la forza delle Scritture alla teologia contemporanea e non riducano lo studio delle Scritture alla sola rivelazione della dimensione storiografica dei testi ispirati» (Proposizione 27; Regno-doc. 19,2008,650).3 Va detto che, a parere dei presenti, il confronto in aula si è risolto con l’intervento di Benedetto XVI il 14 ottobre. In un testo breve e pensato il papa ha fissato quanto poi è stato recepito, praticamente alla lettera, nelle citate proposizioni: la «necessità» del metodo storico-critico, la richiesta del livello teologico in conformità alla Dei verbum, le conseguenze dell’attuale divaricazione (la Bibbia come «un libro solo del passato», l’ermeneutica «secolarizzata», il «fossato tra esegesi scientifica e lectio divina»). Vi sarà chi leggerà il tutto come schiacciamento del Sinodo sulle posizioni del volume di RatzingerBenedetto XVI, Gesù di Nazaret. Sta di fatto che dopo il suo intervento le posizioni più intransigenti e retrive sono scomparse. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 667 La «terza Chies a» e l’«altra» Bibbia Le Chiese del terzo mondo che vedono progressivamente crescere i credenti e il loro ruolo hanno un approccio alla Scrittura assai diverso da quello corrente in Occidente. La loro domanda prima non è quella relativa alla storicità e alla verità empirica di quanto viene narrato, quanto piuttosto alla sua qualità spirituale e alla sua forza trasformante. Quanto alle culture locali, annota il card. Ouellet nella relazione post disceptationem «esse sono prossime alla Bibbia sotto molti aspetti: l’importanza delle tradizioni orali, le cosmogonie, l’idea di Dio, il senso della redenzione e della croce, la vita comunitaria» (Regno-doc. 19,2008,629). Le relazioni continentali sulla preparazione al Sinodo sono più suggestive e parlanti della sintetica Proposizione 48 che raccoglie il tema «Bibbia-inculturazione». La dimensione mnemonica del testo, le forme simboliche del racconto, l’immagine del cosmo, la pervasività del divino, la forza dei testi sacri (asiatici), la continuità delle generazioni credenti, le condizioni sociali di vita sono elementi assai distanti dalla sensibilità delle Chiese d’Occidente, ma più prossimi al mondo rappresentato dalla Scrittura. La risposta cattolica alle forme settarie e fondamentalistiche di lettura biblica si gioca su un terreno che la tradizione critica ha scarsa capacità di intercettare. Se il deflusso dei credenti in Occidente è verso i territori dell’agnosticismo e del religioso indistinto, per il terzo mondo è piuttosto verso le derive settarie o il ritorno alle religioni naturali. Rispetto al Sinodo sull’eucaristia il ruolo della denuncia verso abusi reali o temuti è stato assai più contenuto. Si è ripetuto l’ammonimento sulla pericolosità dell’approccio fondamentalista (cf. la Proposizione 46), delle letture personalistiche o carismatiche, degli approcci psicologistici, delle servitù ideologiche, sincretistiche e gnostiche. La sfida più significativa è quella già indicata delle sette (cf. Proposizione 47), che però non ha prodotto il ritorno indietro a identità pastorali tridentine, ma a investire sulla Scrittura un annuncio spiritualmente più rigoroso e meno manipolabile. 668 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Due gli incontri con personalità non cattoliche durante il Sinodo: quello col rabbino capo di Haifa (Israele), Shear Yashuv Cohen, il 6 ottobre e quello con il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, il 18 ottobre. Ambedue di grande rilevanza simbolica e impatto emozionale. Per la prima volta un rabbino ha preso parola davanti a un sinodo e Bartolomeo ha parlato dentro un contesto liturgico (la preghiera del Vespro) in un luogo emblematico come la cappella Sistina. Il rabbino ha alimentato, nella chiusura del suo discorso, lo scivolamento verso questioni politiche (la denuncia della pericolosità delle posizioni del presidente dell’Iran) e di prassi ecclesiale (l’opportunità o meno della beatificazione di Pio XII, poi sostanzialmente confermata dal papa nella celebrazione per i 50 anni dalla sua morte). Bartolomeo è stato invece assai efficace e ha positivamente condizionato i lavori. La valorizzazione dell’approccio patristico alla Scrittura e una specifica proposizione sul suo intervento (cf. Proposizione 37) ne sono state l’esito. Meno islam più ebraismo Numerose le sottolineature impreviste nei toni, se non nei temi. Fra queste la dimensione artistica. «Occorre suscitare – recita la Proposizione 40 – una nuova stagione in cui l’arte possa ritrovare l’ispirazione biblica ed essere uno strumento capace di proclamare, cantare e far contemplare la manifestazione della parola di Dio» (Regno-doc. 19,2008,653). La prevalente attenzione degli interventi all’arte orientale e alle icone dice di un gap ancora aperto rispetto alla tradizione occidentale e alle sue esigenze (cf. il n. 15 del Messaggio finale). Nuova è stata anche la consapevolezza dell’attuale cultura comunicativa (Proposizione 44), della sensibilità ambientale (Proposizione 54). La conferma dell’ecumenismo in una stagione identitaria come l’attuale non è senza significato (Proposizione 36 e il n. 10 del messaggio finale), come se la Scrittura trascinasse le Chiese verso passi davanti ai quali esse resistono. Mentre sul versante interreligioso si nota una dislocazione diversa: più cordiale e convinta nei rapporti con l’ebraismo, più prudente sul versante dell’islam. Nel dialogo coi musulmani sono esplicitati i temi dei diritti dell’uomo e della donna, della distinzione fra ordine politico e ordine religioso, della reciprocità e della libertà di coscienza (Proposizione 53). Non sono mancate le note critiche alla macchina sinodale: eccessive pesantezze nella prima parte dove ciascuno può parlare di tutto, poco coraggio nell’allargare l’invito a tutti i responsabili delle Chiese cristiane (almeno per questo tema), iniziale svuotamento dell’ora di dialogo immediato previsto al termine delle congregazioni generali, i poteri limitati dell’assemblea ecc. Tuttavia è un’istituzione che ha dato frutti significativi (cf. i tre volumi dell’Enchiridion dei sinodi, EDB) ed è giunta alla sua XXII celebrazione. È un momento di scambio e conoscenze davvero unico. E raggiunge talora momenti di alta intensità spirituale. Le testimonianze di alcuni padri sulla drammatica situazione dei cattolici nel Darfur (Sudan), in Iran, in Vietnam, in Bangladesch, in Kenia, in Iraq, in Armenia, in India sono state davvero toccanti. I martiri sono ancora fra noi. Lorenzo Prezzi 1 Hanno preso parte al Sinodo 253 padri (173 eletti, 38 ex officio, 32 nominati, 10 eletti dall’Unione superiori generali). 41 sono stati gli esperti, 37 gli uditori, i delegati fraterni di 10 Chiese e comunità ecclesiali. Tre gli invitati speciali: il rabbino Shear Yashuv Cohen, il segretario generale delle United Bible Societies, A. Miller Milloy, fratel Alois, priore della Comunità di Taizé. Assieme ai traduttori, al personale tecnico, agli officiali della Segreteria generale del Sinodo vi hanno partecipato in tutto 400 persone. 2 La preparazione del Sinodo è stata seguita dalla nostra rivista: cf. riquadro qui a p. 666. 3 In una lettera ai partecipanti italiani al Sinodo il Consiglio di presidenza dell’Associazione biblica italiana (ABI), il 9 settembre scorso, così si esprimeva: «Il termine esegesi allude ad un insieme di tecniche teorizzate, sperimentate e codificate, utilizzato per una lettura “scientifica” delle sacre Scritture considerate anche come corpus di testi ispirati e autorevoli. Tale lettura si propone all’intelligenza di ogni persona, a prescindere dalla sua decisione di fede. La varietà e la ricchezza dei metodi, progressivamente affinati, permette di avere prospettive sempre nuove nella lettura dei testi biblici (…). L’esegesi dei testi biblici, anche se cerca la sua verità nell’applicazione rigorosa dei metodi scientifici, esige che lo studioso riconosca le istanze e i contenuti della fede iscritta nei testi stessi, già interpretati nel corso della storia. L’ermeneutica credente a sua volta esige una coerenza formale compiuta e, soprattutto, una severa verifica razionale non inferiore a quella dell’esegesi critica». Religioni E U RO PA u n islam europeo 30 anni di dialogo cristiano-musulmano I l suo nome è una sigla che suona un po’ astrusa: CRME, dall’inglese Committee for the Relationship with Muslims in Europe (Comitato per le relazioni con i musulmani in Europa), e designa l’unico gruppo di lavoro misto espressione della Conferenza delle Chiese europee (KEK), che rappresenta le Chiese luterane, calviniste, anglicane e ortodosse e del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), in rappresentanza della Chiesa cattolica. Questo comitato misto raccoglie una doppia sfida: quella di coniugare la ricchezza, ma anche le profonde differenze proprie al contesto ecumenico, e l’impegno interreligioso comune, orientato in particolare all’incontro tra cristiani e musulmani. Si stima che oggi in Europa vivano dai 20 ai 24 milioni di musulmani. Se per molti paesi, soprattutto del Nord, si tratta di una novità degli ultimi anni, per certi paesi come la Bulgaria, l’ex Yugoslavia o la Grecia, la presenza di musulmani risale all’epoca dell’Impero Ottomano. Da alcuni anni ormai, questo islam europeo assume un profilo sempre più istituzionale: è stato creato un Consiglio europeo per le fatwa (decreti di carattere religioso promulgati dai dotti islamici che regolano concretamente il comportamento dei musulmani o che rispondono a interrogativi più teologici), così come esistono ormai diverse associazioni islamiche ufficiali. Circa 400 di queste, hanno firmato nel gennaio di quest’anno la Carta dei musulmani d’Europa, con l’inten- to di promuovere un islam che rifiuti ogni forma di estremismo, che condanni il terrorismo e l’interpretazione violenta della jihad, oltre che affermare la parità tra uomo e donna. Questa Carta di sei pagine si rivolge prima di tutto al mondo islamico stesso e poi alle altre comunità religiose europee, chiedendo il riconoscimento dei musulmani come comunità religiosa europea, ricordando che una «mutua accettazione fondata sul dialogo e la conoscenza reciproca giova alla pace, al benessere delle nostre società e aiuta a rimuovere estremismo ed esclusione». Il documento si concentra in particolare, dunque, sul ruolo dei musulmani nella società, sollecitando un’integrazione positiva «sulla base di un equilibrio armonioso fra il mantenimento dell’identità islamica e i doveri di cittadinanza». Il cammino da fare appare ancora molto lungo, ma la Carta dei musulmani d’Europa esprime la crescente consapevolezza della necessità di uno sforzo maggiore di adattamento alle società occidentali, che anima una parte importante dei musulmani d’Europa. Per il raggiungimento di questo obiettivo, nel mondo islamico stesso si sente un forte bisogno di formazione, di approfondimento delle proprie radici spirituali e, non ultimo, di una maggior istituzionalizzazione e strutturazione dell’islam stesso. Al la ricerca del contat to Fin dagli anni Settanta il Segretariato vaticano per i non cristiani aveva orientato l’attenzione delle Chiese europee all’importante fenomeno della migrazione musulmana nel cuore dell’Europa. In occasione di un incontro svoltosi nel novembre del 1976 a Mödligen (Austria) fu istituito un primo gruppo di lavoro composto da 19 delegati cattolici e 5 musulmani per studiare la situazione e suggerire degli orientamenti di impegno alle conferenze episcopali in Europa. Nell’ottobre del 1978, anche la KEK decise di creare una commissione consultativa chiamata «Islam in Europa» per studiare le implicazioni teologiche del dialogo islamo-cristiano. Fu però solo nel 1986, durante una riunione del Comitato misto CCEE e KEK, che si decise la creazione di un gruppo di lavoro congiunto per «Islam in Europa». Si optava all’epoca per la costituzione di un comitato esecutivo composto da 8 membri e di un comitato allargato composto da 18 membri, per poter coinvolgere il maggior numero possibile di Chiese della KEK e del CCEE. I risultati di quasi cinque anni di riflessione vennero presentati in un simposio organizzato a Birmingham nel 1991 e pubblicati in un opuscolo intitolato «La presenza dei musulmani in Europa e la formazione teologica dei collaboratori ecclesiastici», tradotto in sei lingue. Nel febbraio 1994, il secondo mandato del comitato iniziava con alcune novità. La sua struttura, un po’ alleggerita, veniva definita in un unico gruppo di lavoro composto da 12 membri che si riunivano due volte all’anno, con una seduta a Gine- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 669 vra (caratterizzata da un lavoro d’elaborazione di testi) e una seduta in sedi differenti (nel 1995 a Córdoba, nel 1996 a Sofia, nel 1997 a Limassol) per prendere contatti più diretti con i responsabili delle Chiese e i leader di comunità islamiche. Durante questo mandato, che si concluse con la II Assemblea ecumenica europea a Graz nel 1997, il comitato lavorò a due documenti principali inerenti al matrimonio islamo-cristiano e alla reciprocità nel dialogo islamo-cristiano, oltre che alla creazione di una rete di contatti tra persone appartenenti alle diverse Chiese o a istituzioni cristiane attive nel settore del dialogo islamo-cristiano. Il terzo mandato del comitato iniziò nel gennaio 1999 e si concluse nel giugno 2003, senza cambiamenti strutturali. Il quarto mandato del comitato, che si concluderà a breve, ha avuto inizio nel 2004. Per un anno i membri della KEK si sono trovati da soli e solo l’anno seguente erano ritornati alla modalità mista, con 8 membri per parte. La rappresentatività del comitato in seno all’Europa era importante, ma i paesi del Nord restavano preponderanti, penalizzando un po’ le aree geografiche più significative per la presenza islamica. Il programma di lavoro era sempre assai denso e i membri del comitato cercavano d’intensificare anche gli scambi tra le due sessioni annuali. Gli obiettivi principali erano più o meno gli stessi: scrivere dei testi che mettessero a disposizione di un uditorio più vasto il frutto delle riflessioni concernenti gli aspetti istituzionali, sociologici e religiosi della presenza dei musulmani in Europa; essere il più possibile a servizio delle Chiese d’Europa nel lavoro di discernimento sulle questioni concrete del vivere comune quotidiano, ma c’era anche un grande sforzo organizzativo: la preparazione di un forum sul dialogo interreligioso alla III Assemblea ecumenica europea di Sibiu, nel settembre 2007, e di una conferenza europea cristiano-musulmana sul tema: «Essere un cittadino dell’Europa e una persona di fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee», conclusosi a Malines-Bruxelles (20-23 ottobre). 670 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Nel le biblioteche, non nel le piazze L’esperienza di condivisione maturata in quattro anni di lavoro del CRME, ha permesso prima di tutto di far crescere la coscienza delle talvolta profonde differenze che caratterizzano non solo l’approccio alla questione multiculturale e multireligiosa nei diversi paesi europei, ma anche in seno al mondo cristiano stesso. Sensibilità diverse, storie e culture diverse, un approccio talvolta più intellettuale e teoretico contro uno più esistenziale e pastorale: sono alcuni degli aspetti all’origine della diversità delle posizioni e dei necessari compromessi. Anche se spesso l’impressione è quella di avanzare molto poco, ciò che si ottiene con una sofferta mediazione assume un valore particolare e aiuta a essere più sensibili alle profonde differenze che caratterizzano il mondo islamico. Non solo, la necessità d’interagire maggiormente con i partner musulmani in Europa ha talvolta aiutato il comitato a uscire dalle secche di contrapposizioni ataviche tra Chiese o tra una visione occidentale e una orientale delle problematiche. Se per parecchi anni il gruppo di lavoro ha riflettuto per lo più in assenza di referenti musulmani (per altro regolarmente contattati da molti membri del comitato nei rispettivi paesi di provenienza), nel prosieguo del cammino, poco a poco alcuni musulmani sono stati coinvolti direttamente nel dibattito. Se resta sempre particolarmente acuto il problema di una rappresentatività all’interno del mondo islamico, la possibilità di sottoporre «al credente altro», la pertinenza di certe interpretazioni e la praticabilità di certe proposte è stata, comunque, molto proficua. In un’intervista rilasciata poco tempo dopo la lezione di Ratisbona, Mohammed Arkoun, intellettuale musulmano di spicco (professore emerito alla Sorbona e a Princeton), pur criticando l’idea che non esista nel pensiero islamico e nelle sue espressioni un’intima relazione tra la ragione e la fede, ebbe modo di lamentare l’imbarbarimento e l’incapacità dell’islam di esprimere attualmente una seria riflessione intellettuale. Nella stessa intervista, Arkoun ricordava di aver ricevuto numerosi consensi affermando che dopo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, i musulmani non avrebbero dovuto scendere in strada a dimostrare contro di lui, ma correre nelle biblioteche ad apprendere ciò che è accaduto al pensiero islamico dopo il XIII secolo. Ora, a partire dalla nostra esperienza di questi anni, se guardiamo all’islam europeo, non è tanto la mancanza di un apporto intellettuale a preoccupare, quanto una difficoltà a mettere in relazione riflessione intellettuale e formazione quotidiana del semplice credente. Detto altrimenti, è molto difficile far incontrare la prospettiva dei firmatari della lettera dei 138 intellettuali islamici con quella degli imam di quartiere, a contatto con la base credente. Questo problema è emerso in modo chiaro nel corso della conferenza europea cristianomusulmana, a Malines-Bruxelles, a cui hanno partecipato 45 rappresentanti cristiani e musulmani di 16 paesi d’Europa e organizzata nel quadro dell’anno europeo del dialogo interculturale. Cit tadinanza condivis a e neutralità benevola Coscienti che non basta oggi, nel cuore della società europea, un formale rispetto della fede altrui, la conferenza promossa dal CRME introduce, fin dal titolo, il concetto di «cittadinanza condivisa»: cosa significa essere un cittadino d’Europa e persona di fede? In sostanza, come cristiani e musulmani possono essere partner attivi nelle società europee, superando le tensioni e i conflitti del passato – e del presente – e sostenendo un processo politico verso un mondo più pacifico, più giusto e fondato sulla partecipazione? Il confronto è stato tutt’altro che formale fin dalle relazioni introduttive chiamate a offrire la prospettiva cristiana e quella musulmana sui temi trattati.1 Sono emersi alcuni tratti comuni essenziali che potremmo così sintetizzare: per un credente europeo, sia esso cristiano o musulmano, dottrina religiosa e doveri di cittadinanza non possono essere contrapposti (detto altrimenti, mai le ragioni religiose potranno giustificare un’offesa a un giusto ordine giuridico dello stato); l’antidoto al conflitto delle civiltà è un vero investimento nell’educazione interculturale, nell’educazione al rispetto del pluralismo religioso, alla cittadinanza democratica, alla pace e alla cooperazione internazionale; più che di laicità dello stato, sembra oggi più essenziale parlare di «neutralità benevola» verso la dimensione sociale delle religioni. Certamente l’adattamento a un regime di «neutralità benevola» implica un grande sforzo anche da parte delle religioni chiamate a un lavoro teologico sulla propria identità, a una rivisitazione delle proprie fonti ispiratrici e della propria tradizione in rapporto con una storia in cammino. C’è un sostanziale accordo nel rilevare che cristiani e musulmani sono chiamati a diventare sempre più partner attivi nella società europea, soprattutto nella difesa della libertà religiosa e della libertà di coscienza, nel rifiuto dell’esclusione (antidoto essenziale contro ogni forma di ripiego integrista delle religioni), nella promozione di un vero servizio all’uomo, nel dialogo delle culture e delle religioni. La prosecuzione della condivisione e del dibattito in piccoli gruppi tematici, ha permesso ai partecipanti della conferenza di Malines-Bruxelles, di confrontarsi più direttamente sul ruolo delle religioni nella società secolarizzata, sulle religioni al loro interno (la non facile conciliazione di un bisogno d’istituzionalizzazione dell’appartenenza religiosa e la sempre essenziale pratica individuale della fede), su come l’educazione possa promuovere mutuo rispetto e comprensione, su come costruire ponti tra comunità di religioni diverse. La Dichiarazione comune finale, adottata dall’assemblea plenaria, presenta alcune affermazioni estremamente importanti ed è frutto di una condivisione vera tra cristiani e musulmani. Unanimemente si guarda all’Europa come un laboratorio privilegiato in cui cristiani e musulmani possano sentirsi ed essere rispettati come credenti e come cittadini, perché preservati dalla necessità di scegliere tra lealtà civica e fedeltà alle proprie convinzioni religiose. È su queste basi che deve fondarsi la necessaria e indispensabile integra- zione che sa coniugare la ricchezza della diversità con il rispetto delle regole democratiche. Il cammino da fare è ancora lungo, ma una maggior fiducia reciproca, alimentata dall’ascolto dell’esperienza e delle ragioni dell’altro, diventa condizione essenziale per un dialogo possibile malgrado le tante ferite della storia passata ancora da sanare. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo viene adottata come perno centrale di una promozione condivisa di alcuni valori umanisti essenziali: il ruolo vitale della famiglia, la dignità umana, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente. Chi conosce più da vicino le vicende dell’islam sa bene che l’accettazione dell’universalità della Dichiarazione dei diritti dell’uomo non è mai stata scontata. È il nuovo volto di un islam che si vuole europeo e che, come tale, rivendica una triplice autonomia rispetto ai paesi d’origine di una buona parte dei musulmani dell’immigrazione: indipendenza politica, finanziaria e anche teologica.2 Alle istituzioni cristiane, così come alle istanze politiche europee, va il compito di sostenere ed incoraggiare questa evoluzione in atto in seno all’islam, investendo nella formazione al dialogo e alla diversità a partire dalle giovani generazioni. Claudio Monge* * Domenicano, responsabile del Centro per il dialogo di Istanbul, docente di Teologia delle religioni a Friburgo e a Bologna, membro del Comitato CCEE-KEK per le relazioni con i musulmani in Europa (CRME). 1 Due sono state le relazioni principali della giornata introduttiva: quella dell’imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS) e quella del card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e vicepresidente del CCEE. 2 Riguardo quest’ultimo aspetto, suona particolarmente forte il richiamo di alcuni partner musulmani che contestano le «fatwa cibernetiche» (cyber fatwa), rivendicando il diritto e dovere degli imam locali di orientare la pratica e il comportamento dei fedeli nei paesi stessi dove si trovano a vivere, respingendo quei pronunciamenti che, arrivando da migliaia di chilometri di distanza, risultano disincarnati e quindi non adeguati a interpretare la complessa realtà europea. Roma Cattolici musulmani Dopo la lettera, l’incontro D al 4 al 6 novembre si è svolto a Roma presso l’Università gregoriana il forum cattolico-musulmano. Ventinove persone, per ciascuna delegazione (la cattolica guidata dal card. J.-L. Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e l’islamica da S. Hossein Nasr e Mustafa Cerić), hanno dato vita a un appuntamento che mostra la fecondità del dialogo iniziato con la Lettera dei 138 sapienti islamici ai responsabili delle Chiese cristiane (cf. Regno-doc. 19,2007,588ss; 9,2008,314ss; Regno-att. 20,2007,680; 22,2007,755; 4,2008,88; 8,2008,240). «Nell’insieme è stato un incontro molto positivo. Forse il migliore tra quelli che i sapienti hanno avuto con molti interlocutori in giro per il mondo. Altrove abbiamo trovato minori distanze teologiche, meno punti di diversità, più facile intesa sulle cose da fare, ma non il clima intenso di riflessione teologica, la dimensione specificamente spirituale e la disponibilità a confrontarsi sui temi scomodi, ma reali, che abbiamo trovato a Roma. Forse il parallelo andrebbe fatto con il clima dell’incontro interreligioso di Assisi del 1986»: le affermazioni sono di un partecipante di parte islamica e concordano con le testimonianze cattoliche. Una parola comune Il tema è stato «Amore di Dio, amore del prossimo» e ha riecheggiato la lettera del 2007: Una parola comune tra noi e voi. I due giorni di confronto hanno avuto due titoli diversi: «Fondamenti teologici e IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 671 Forum cattolico-musulmano spirituali» e «Dignità umana e rispetto reciproco». Per ciascun tema era prevista una doppia introduzione (cattolica e islamica) per poi lasciare spazio agli interventi liberi. Cinque minuti i tempi per ciascun intervento. Non sono mancati i momenti critici e le divergenze, ma l’insieme è stato assai sereno. Le conversazioni hanno riempito tutti i tempi disponibili, comprese la pause caffè e i momenti dei pranzi. Quindici i punti della Dichiarazione finale – filtrata attraverso quattro successive bozze e curiosamente edita due volte da L’Osservatore romano (il 7 e l’8 novembre) per errori evidenti nella prima traduzione. Essi illustrano anzitutto il tema dell’amore di Dio e del prossimo nelle due tradizioni (cristiana e musulmana). Poi affrontano alcuni temi di rilievo come la vita («dono preziosissimo di Dio»), la dignità umana (il «diritto al pieno riconoscimento della propria identità e della propria libertà, da parte di individui, comunità e governi»), l’affermazione della persona come maschio e femmina «su base paritaria», l’apprezzamento per spiritualità e preghiere sempre più necessarie in un mondo «secolarizzato e materialistico». Nessuna religione e nessun fedele possono subire esclusione sociale, e ciò significa «il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico» e di avere «i propri luoghi di culto». Il pluralismo delle «culture, civiltà, lingue e popoli» è una ricchezza e non una causa «di conflitto». Ogni religione ha il dovere di educare i propri fedeli «con un’accurata informazione sulla religione dell’altro». Cattolici e musulmani devono opporsi «a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare a quelli perpetrati in nome della religione». Infine si auspica il cambiamento del sistema finanziario e dell’educazione giovanile. «Abbiamo concordato di prendere in considerazione la possibilità di creare un Comitato cattolico-musulmano permanente, che coordini le risposte ai conflitti e ad altre situazioni di emergenza, e di organizzare un secondo seminario in un paese a maggioranza musulmana». Una liber tà reciproca I momenti di maggiore incertezza e tensione sono stati relativi alle presenzeassenze, al tema del terrorismo e a quello della libertà della pratica religiosa. Fino a poche ore prima dell’avvio dei lavori la delegazione islamica è stata indefinita. Per varie ragioni alcuni dei più prestigiosi imam non sono potuti essere presenti. In particolare si è sentita la mancanza del decano dell’Università di Damasco, lo sceicco Shaykh Said Ramadan al-Buti, del mufti di Egitto Ali Gumua, del principe nigeriano Bola Ajibola e del predicatore yemenita Shaykh Habib Ali al-Jiffri. Le ragioni addotte sono state l’età o la malattia. Nel caso dell’età vi è stata anche una sorta d’investitura per le nuove generazioni di sapienti. A causa della malattia è mancato all’appuntamento anche il vero animatore dell’intero gruppo islamico, il principe giordano Ghazi Bin Muhammad bin Talal. Il confronto sull’uso del termine «terrorismo» è stato sollevato da parte islamica per non confermare la saldatura fra musulmano e terrorista, fra islam e fondamentalismo. Dopo anni passati a prendere le distanze dalle violenze del terrorismo, alcuni musulmani si sentono feriti dal dover sempre di nuovo affermare la propria distanza. E tuttavia la permanenza del fenomeno ha suggerito di ricordarlo nel testo. 672 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 L’affermazione circa la libertà di pratica della propria fede ha sollevato, sempre da parte islamica, qualche perplessità. Si temeva di apparire come eversivi rispetto ad alcune legislazioni che restringono tale materia. È toccato al capo-delegazione, Mustafa Cerić, ricordare che la formulazione era già contenuta nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo che gli stati islamici hanno sottoscritto e quindi già recepito (anche se non praticato appieno). Dopo il consenso sulla dichiarazione il discorso del papa è risultato più agevole e gradito. Anche qui sono tornate le indicazioni delle differenze (dai diversi approcci teologico-antropologici alla non equivalente autorevolezza dei rappresentanti), ma l’accento è andato sulle possibili cose da fare assieme. In particolare, il rispetto della dignità della persona e l’affermazione dei diritti umani fondamentali. Fra questi, «la libertà di coscienza» e «di religione di ciascuno», con la consapevolezza che «la discriminazione e la violenza, che ancora oggi i credenti sperimentano in tutto il mondo, e le persecuzioni spesso violente di cui sono oggetto sono atti inaccettabili e ingiustificabili». La solidarietà con le vittime della povertà e dell’emarginazione, la difesa dei valori morali e lo sforzo di superamento dei reciproci pregiudizi sono state le indicazioni per il futuro. Rimane il compito, soprattutto sul versante islamico, di allargare la ricezione delle idee nell’ambito scolastico e dei media. Troppo scarsa è la diffusione di questi testi e temi nelle società a maggioranza musulmana. Ma non tutto è tranquillo anche sulle sponde cattoliche se un neoconvertito come Magdi Cristiano Allam denuncia la religione della sua infanzia come ispirata dal demonio e il dialogo come complicità al relativismo religioso. La non divulgazione dei nomi della maggioranza dei presenti e il silenzio sulla libertà di cambiare la religione indicano due nervi ancora scoperti. Nei giorni del forum viene resa pubblica una lettera di 144 cristiani, di cui una metà convertiti dall’islam, in cui si denuncia la situazione dell’«apostata», la condizione di minoranza nei contesti islamici e l’ingiustificata obbligatorietà della legge islamica. Silenzio e assenza che contrastano singolarmente con la presenza fra la delegazione islamica di almeno quattro occidentali convertiti. L. Pr. Repubblica democratica del Congo AFRICA c hi si cura dei massacri? La Chiesa e la guerra S olo nei media occidentali era passata inosservata la notizia che nella martoriata regione del Kivu del Nord (il territorio della Repubblica democratica del Congo che confina con Sudan, Ruanda e Uganda) i combattimenti erano ripresi ufficialmente da agosto scorso. Corruzione e miseria L’idea che l’equilibrio del paese, nonostante le elezioni democratiche del 2006, fosse tuttavia ancora fragile era condivisa da molti. Ad esempio dai vescovi cattolici, che nel documento di sintesi dei lavori dell’Assemblea plenaria del 7-11 luglio affermavano: il paese è ancora vittima della corruzione, definita «il quadro generale di vita e d’azione sociopolitica»; della miseria, dove intere zone «sembrano abbandonate dallo stato», mentre le ricchezze minerarie non portano benefici all’economia locale; dell’insicurezza, soprattutto all’Est, dovuta anche alla «presenza di gruppi armati stranieri», a cui è addebitabile anche «l’aumento del tasso di violenze sessuali». Che cosa ha innescato la nuova discesa in campo di Laurent Nkunda? Egli è uno dei firmatari degli accordi sia del novembre 2007 sia del gennaio 2008 col governo del presidente Joseph Kabila in base ai quali tutte le truppe dovevano confluire in un unico esercito nazionale. Secondo l’ipotesi più accreditata, nell’Est del Congo i combattimenti non si sono mai interrotti e la presenza di bande armate, al soldo di varie bandiere, anche dell’intensa quanto anarchica attività estrattiva, non è mai cessata.Vi è però stata una causa scatenante: l’improvvida decisione di Kabila di lanciare il 28 agosto scorso un’offensiva militare contro Nkunda: essa da un lato si è rivelata fallimentare e dall’altro ha riaggravato la crisi umanitaria e rinfocolato i conflitti tra i numerosi gruppi armati. Sullo sfondo il ruolo ambiguo del Ruanda, paese di riferimento per Nkunda, autodichiaratosi paladino dei gruppi di etnia tutsi contro i gruppi hutu rifluiti in parte nell’esercito nazionale congolese. Ma anche dell’Uganda e a cascata di tutti quegli stati che consentono il traffico illegale di materie prime proveniente dai Grandi laghi. Sono stati convocati vertici sia dell’Unione Africana (31.10.2008) sia dei capi di stato della regione dei Grandi laghi (7.11.2008), dai quali è scaturito un generico appello per una tregua, per la creazione di corridoi umanitari e per il rafforzamento della missione di peacekeeping della MONUC, in assoluto la più consistente (17.000 uomini), ma anche la più fallimentare tra le operazioni per il mantenimento della pace dell’ONU; nel secondo vertice si è individuato un mediatore, nella persona dell’ex capo di stato nigeriano Olusegun Obasanjo che ha effettivamente incontrato a metà novembre sia Kabila sia Nkunda, ottenendo un parziale cessate il fuoco. Per parte sua il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha inviato ai governi congolesi e ruandesi una dichiarazione con la quale si chiede loro di «abbassare la tensione e riportare la stabilità». Il bilancio – provvisorio e approssimativo, poiché i dati sono difficilmente riscontrabili – di questa ulteriore fase del conflitto parla di più di 200.000 sfollati, di crimini d’ogni genere compiuti da tutti i gruppi armati (saccheggi, torture), con un sistematico ricorso allo stupro – l’ONU stima che le donne colpite siano nell’ordine di decine di migliaia – e all’arruolamento dei bambini soldato: fenomeni purtroppo ricorrenti nelle guerre africane, ma qui presenti in forma massiccia. Un contributo in questo senso è venuto anche dalla recente presenza nel Kivu delle truppe della Lord Resistance Army, le milizie «ribelli» che hanno messo in ginocchio per vent’anni l’Uganda del Nord. Isolate dopo la firma a febbraio scorso dell’accordo col proprio governo, hanno trovato fertile terreno nella contiguità geografica e nell’anarchia che regna nella zona e si sono già distinte per le stesse efferatezze compiute in Uganda soprattutto nei confronti dei più giovani. Il loro leader, Joseph Kony, è ricercato dal Tribunale penale internazionale. Sui morti non ci sono cifre sicure, ma secondo una stima complessiva, che comprende i vent’anni di guerra dalla caduta di Mobutu a oggi, essi si aggirano sui 5 milioni. L’attenzione dei media ora non manca, anche se l’incertezza è la nota dominante non solo e non tanto dal punto di vista della sicurezza – per cui i giornalisti non riescono ad accedere nelle diverse zone dei combattimenti – ma soprattutto nelle interpretazioni: ancora non è chiaro dove porterà questa che qualcuno ha chiamato «terza IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 673 guerra mondiale africana». Forse non deve portare da nessuna parte (cf. anche Regno-att. 16,2002,529). Numerosi sono stati anche gli interventi sul versante ecclesiale che chiedono un coinvolgimento delle diplomazie internazionali. Dopo i vescovi, intervenuti nuovamente a metà ottobre, è il card. Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, che il 31 ottobre afferma che «il mondo non può continuare a guardare senza reagire». Una prima reazione è stata quella dell’invio degli aiuti umanitari, i quali però sono arrivati a fatica a destinazione a motivo dell’insicurezza. La seconda è stata la recente decisione dell’ONU di aumentare di 3.000 uomini il contingente della MONUC: tuttavia rimane aperta la domanda se essa sarà comunque in grado d’intervenire. Da più parti, infatti, è stata accusata d’inazione rispetto ai crimini commessi sia dall’esercito sia dai «ribelli». Alcuni rappresentanti della società civile, hanno infatti affermato che non si tratta solo di modificare la consistenza del contingente quanto il suo «comando esitante», che «non è in grado d’impedire che i crimini vengano commessi». Quanto all’Europa e alla possibilità che essa si faccia carico di questa richiesta, dopo il viaggio lampo del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner e di quello inglese David Milliband, essa ha promesso aiuti umanitari, non interventi militari, definiti dall’omologo italiano, Franco Frattini, «assolutamente prematuri». Risorse e politica regionale Ma il livello internazionale che di fatto si chiama fuori da un conflitto sbrigativamente definito «africano» è in realtà già coinvolto nel commercio delle materie prime che illegalmente arrivano anche alle industrie europee. Per questo è importante non abbassare l’attenzione sul tema dello sfruttamento delle risorse minerarie. Così, cogliendo l’occasione della visita del neoprimo ministro, Adolphe Muzito, il 5 novembre, il vescovo di Bukavu, mons. F.-X. Maroy Musengo (cf. Regno-att. 18,2007,631ss), che da un anno almeno aveva preconizzato i rischi di una nuova guerra nel Kivu, gli ha rivolto una lettera aperta nella quale, tra l’al- 674 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Repubblica democratica del Congo; a destra, conferenza stampa di Laurent Nkunda a Kichanga, nel Nord del Kivu, il 2 novembre scorso. tro, invita Stati Uniti, Unione Europea e i paesi del Sud-est asiatico a trattare apertamente dei propri «interessi geostrategici, economici e persino fondiari che alimentano le tensioni cariche di morte (…) in Congo». Il centro del conflitto è per il presule, infatti, costituito dalla «razzia delle risorse naturali del paese, che fa sì che bande armate d’ogni sorta sacrifichino la popolazione congolese per aprirsi uno spazio di non-stato, in cui ciascuno viene a prendere liberamente senza nessun costo se non quello che è proporzionale alla propria capacità di fare del male: questo è vero sia per le bande armate congolesi sia per le milizie straniere. Su questa strada il paese corre il rischio di divenire un rifugio di briganti e persino, se se ne perde il controllo, una base per eventuali terroristi contro tutta l’umanità». Saranno sensibili a questo dato le diplomazie internazionali? Nella razzia del territorio vi è poi un secondo aspetto, non meno impor- tante: il ruolo del vicino Ruanda, che sotto la bandiera della prevenzione di un «ulteriore genocidio» – afferma mons. Maroy –, da un lato ottiene appoggi e un sostanziale nulla osta alle proprie politiche regionali sia militari sia economiche – anche per la cattiva coscienza di USA ed Europa rispetto agli avvenimenti del 1994 – dall’altro alimenta in vario modo la guerra in Congo, sacrificando la popolazione ai propri obiettivi, ribadisce il vescovo. Per questo, appellandosi alla comunità internazionale, egli le chiede «un senso maggiore di equità nel trattare i problemi che riguardano il Congo all’interno di questa regione dei Grandi laghi». Anche il papa è intervenuto a più riprese sul caso del Kivu: all’Angelus del 12 ottobre ha invitato a pregare «per la riconciliazione e la pace» nella regione; a quello del 9 novembre ha elencato «le distruzioni, i saccheggi e le violenze d’ogni tipo». L’idea che la Santa Sede debba tenere alta l’attenzione anche sui conflitti più disperati era stata ribadita il 16 ottobre dal portavoce della Sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, che ha parlato di un vero e proprio «massacro dei poveri», coloro cioè che sono solo un intralcio per gli interessi dei vari soggetti che si combattono. Sul tema della vittimizzazione della popolazione ha insistito anche l’ultimo messaggio lanciato dai vescovi congolesi, riuniti in Consiglio permanente dal 10 al 13 novembre. «Viviamo un vero e proprio dramma umanitario, che, come un genocidio silenzioso, si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti. I massacri su ampia scala della popolazione civile, lo sterminio mirato dei giovani, gli stupri sistematici, perpetrati come un’arma di guerra; una crudeltà di eccezionale virulenza si scatena contro le popolazioni locali che non desiderano altro che vivere una vita tranquilla e dignitosa nelle proprie terre. Chi ha interesse a un simile dramma?». «La cosa più deplorevole è che questi avvenimenti si verificano purtruppo sotto gli occhi impassibili di coloro che hanno ricevuto il mandato di mantenere la pace e proteggere la popolazione civile. I nostri stessi governanti si dimostrano impotenti di fronte alla portata della situazione, dando l’impressione di non essere all’altezza delle sfide della pace, della difesa della popolazione congolese e dell’integrità del territorio nazionale. L’intera classe politica non sembra comprendere la portata delle proprie responsabilità di fronte a questo dramma che rischia di ipotecare il futuro della nazione». Le stesse «risorse naturali del Congo – prosegue il testo dei vescovi – alimentano l’avidità di certe potenze e non sono estranee alla violenza che si abbatte sulla popolazione. Infatti, tutti i conflitti si sviluppano lungo i sentieri dell’economia e attorno ai giacimenti minerari». Attorno a questi interessi i vescovi si dicono convinti che esista un piano per spaccare il paese e ridiscutere i confini territoriali, una sorta di «piano di balcanizzazione (…) portato avanti per mezzo di intermediari. La grandezza del Congo e le sue numerose ricchezze non devono servire da pretesto per farne una giungla. Chiediamo al popolo congolese di non cedere a qualsiasi velleità di balcanizzazione del suo territorio nazionale. Raccomandiamo di non sottoscrivere mai una messa in questione delle sue frontiere stabilite a livello internazionale e riconosciute dopo la Conferenza di Berlino e gli accordi successivi». Tra le raccomandazioni e le richieste, i vescovi domandano alla «comunità internazionale d’impegnarsi sinceramente per far rispettare il diritto internazionale. Consideriamo impellente l’invio di una forza di pacificazione e stabilizzazione per ridare al nostro paese i propri diritti. Tutti avranno da guadagnare da un Congo in pace piuttosto che da un Congo in guerra». Ma chi avrà la forza e la volontà di crederci? Maria Elisabetta Gandolfi IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 675 Panama Chiesa Ecodivisioni T utti gli studi e le ricerche sull’attività estrattiva convengono che nessuna industria è tanto aggressiva dal punto di vista ambientale, sociale e culturale come le miniere a cielo aperto. Esse contaminano aria, acque superficiali e sotterranee, suoli, danneggiano flora e fauna, provocano mutamenti nel microclima. L’inquinamento produce malattie che non compaiono subito, ma dopo un certo tempo deteriorano la salute e provocano persino la morte. I progetti minerari più noti sono quelli di Cerro Quema, Cerro Colorado, Santa Rosa, Remance e Cerro Petaquilla. È preoccupante che siano proposti come parte dei piani di sviluppo, quando in realtà degradano profondamente l’ambiente naturale e umano». Vescovi divisi Nonostante questa chiara presa di posizione della Conferenza episcopale panamense (CEP), contenuta nella lettera pastorale La giustizia a Panama del 2001, attorno alla miniera d’oro e rame di Petaquilla, nella provincia di Colon, si sta consumando l’ultimo atto di un conflitto che attraversa la Chiesa panamense, divisa nel giudizio su alcuni progetti economici di grande impatto socioambientale promossi o sostenuti dal governo del presidente della Repubblica Martin Torrijos. Nell’agosto 2006, qualche settimana prima del referendum sull’ampliamento del Canale di Panama, condiviso dall’episcopato, mons. Pablo Varela, vescovo ausiliare di Città di Panama e da due anni presidente del Dipartimento di Pastorale sociale-Caritas della CEP, dichiarando «di essere stato nominato per tagliare teste», aveva licenziato in tronco, dopo 16 anni di servizio (di cui 6 anche come coordinatore della Caritas di CentroamericaMessico-Panama e membro del Comitato esecutivo di Caritas internationalis) il coordinatore nazionale, Hector Endara. Stessa sorte era toccata, nel marzo 2007, nel quadro di «una revisione dei suoi compiti e di un rinnovamento della sua struttura 676 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 organizzativa», ad altri 10 dipendenti (su 14), di fatto «normalizzando» un organismo ecclesiale che si era distinto per il lavoro di coscientizzazione delle comunità indigene, per l’appoggio al Coordinamento dei contadini contro i laghi artificiali (CCCE, ora Coordinamento contadino per la vita), formato dalle popolazioni minacciate dalle inondazioni previste dall’allargamento della via d’acqua, e per la denuncia dell’illegalità e dei danni provocati dall’attività estrattiva. Le comunità indigene e contadine si sono così trovate senza il sostegno della gerarchia anche nella lotta contro il consorzio panamense-canadese Minera Petaquilla S.A. Anzi, quando nel luglio del 2007 i loro rappresentanti (tra cui molti catechisti e delegati della Parola), giunti a Coclesito per denunciare la distruzione dell’ecosistema, si sono concentrati nella chiesa, il vescovo di Colon y Kuna Yala, mons. Audilio Aguilar (già favorevole al progetto minerario Santa Rosa quando era parroco di Cañaza), che qualche mese prima aveva destituito la coordinatrice diocesana della Pastorale sociale-Caritas, Elvira Barraza, ha intimato loro di uscire dal tempio, minacciando di far intervenire la polizia e scomunicarli. «Per riorganizzare il lavoro pastorale e accrescere la presenza del clero diocesano», alla fine dell’anno ha poi deciso di allontanare i missionari claretiani che da 81 anni erano presenti nella Costa Abajo de Colon e dal 1972 avevano promosso le Comunità ecclesiali di base (CEB). «Come Provincia claretiana del Centroamerica», aveva chiarito p. Luis Gonzalo Mateo, «non volevamo andarcene in questo momento», mentre «nel cuore di questa regione contadina si sta depredando, distruggendo, inquinando, trasformando in un deserto parte della montagna per colpa dell’attività mineraria a cielo aperto a Petaquilla. Le CEB e l’équipe missionaria che le accompagnava hanno denunciato costantemente questa vendita scandalosa delle risorse del paese». Le comunità protestano In particolare p. Jorge Aguilar, parroco di Coclesito, aveva rivelato come la compagnia avrebbe ricavato circa 430 milioni di dollari dall’oro, dal rame e dal molibdeno estratti, lasciandone meno di 10 in royalties allo Stato. Di fronte all’ingiunzione di mons. Aguilar, aveva spiegato il provinciale, p. Rodolfo Morales, «abbiamo proposto un lavoro congiunto tra clero diocesano e missionari, ma la nostra idea non è stata accolta». Durissima la reazione delle CEB, tuttora appoggiate dal vescovo emerito, mons. Carlos Maria Ariz, contro «la prepotenza e l’autoritarismo del nuovo vescovo», il quale «ap- prova un progetto di distruzione e di morte, che attenta alla vita di migliaia di persone, distrugge la natura e inquina l’ambiente e le fonti d’acqua, uccide la vita umana e l’ecosistema». Per la laica claretiana Ito Maraver, trasferitasi in Ecuador, «si vuol cambiare radicalmente il modello di Chiesa: da una Chiesa ministeriale, in cui il laico ha un ruolo per diritto, a una Chiesa in cui il sacerdote concentra tutti i compiti; da una Chiesa in cui a partire dal Vangelo ci si impegna nella difesa della vita e nella lotta per la giustizia a una Chiesa spiritualista, in cui la questione sociale non ha spazio». Intanto la sezione panamense del Servizio pace e giustizia (SERPAJ) ha denunciato la Minera Petaquilla S.A. per l’inquinamento dei corsi d’acqua col cianuro usato per separare i metalli, la comparsa di malattie respiratorie, cardiovascolari e della pelle tra la popolazione, le violenze commesse contro i contadini affinché abbandonino le proprie terre e gli attentati contro i leader del Comitato per la chiusura di Petaquilla e del Coordinamento contadino per la vita (ex CCCE). Ma, nonostante la Corte suprema di giustizia abbia riconosciuto la competenza dell’Autorità nazionale dell’ambiente a sanzionare la deforestazione realizzata in assenza di uno studio di impatto ambientale in un’area protetta del Corridoio biologico mesoamericano, l’impresa ha proseguito l’allestimento delle infrastrutture necessarie allo sfruttamento dei giacimenti, cercando il consenso della popolazione con la costruzione di strade, scuole e un ospedale, nonché distribuendo borse di studio, pasti caldi e regali natalizi agli alunni. E ha chiesto nuove concessioni per 76.000 ettari. Il parroco di La Pintada, p. Fabian Mejia, ha invece rifiutato un finanziamento offertogli per edificare una nuova canonica. Comunque il «caso Petaquilla» è stato in settembre al centro dell’Incontro nazionale antiminerario, in cui è stata fondata la Rete antimineraria panamense, e negli ultimi mesi l’opposizione ai programmi estrattivi, che interessano oltre il 40% del territorio del paese, si è saldata con le lotte contro i progetti di costruzione di dighe per la produzione di energia elettrica, anch’esse dal devastante impatto sociale e ambientale. È quindi nato il Coordinamento nazionale per la difesa di terre e acque e in maggio una manifestazione di indigeni nella provincia di Chiriqui è stata duramente repressa dalla polizia con numerosi arresti. Immediata, questa volta, la condanna della Chiesa locale, attraverso i religiosi e le religiose dell’équipe missionaria di Soloy. M. C. Cile Chiesa L’acqua di tutti U n testo che farà storia». Così Leonardo Boff, teologo della liberazione brasiliano, dedicatosi negli ultimi venti anni ad approfondire la riflessione sul rapporto tra cristianesimo, opzione per i poveri e difesa dell’ambiente, ha definito la lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana di mons. Luís Infanti de la Mora osm, vicario apostolico di Aysen, in Patagonia, da altri commentatori giudicata «il documento più coraggioso elaborato da un membro dell’episcopato cileno dal recupero della democrazia» e quello più completo prodotto sul tema dalla Chiesa latinoamericana sul tema. Incrostazioni e idrobusiness La lettera pastorale di 90 pagine – la prima scritta dal presule in otto anni di episcopato, sulla base di un processo di discernimento diocesano iniziato nel 2006 – segue il metodo «vedere-giudicare-agire» e assume come principio di fondo l’idea che «l’acqua è un dono di Dio per il bene pubblico e un diritto fondamentale per la vita». La prima parte, quindi, presenta un’ampia e dettagliata analisi del problema, collocandolo nella più ampia crisi ecologica, a sua volta parte di un «cambiamento epocale» caratterizzato dalla globalizzazione neoliberista che si fonda sul principio «meno stato e più mercato». Fornisce quindi un’abbondante quantità di dati tanto sulla disponibilità e l’uso delle risorse idriche a livello planetario quanto della situazione della Patagonia cilena, che costituisce «la seconda maggiore riserva di acqua dolce del pianeta». Tuttavia, «in Cile, come in poche altre parti del mondo, la privatizzazione dell’acqua è totale, poiché riguarda la risorsa, la sua distribuzione e gestione». Ciò costituisce «l’incrostazione dittatoriale di una democrazia immatura», secondo mons. Infanti, poiché ad attribuire «il diritto a privati di impadronirsi delle acque (e vergognosamente) in forma gratuita e in perpetuo» fu la Costituzione varata nel 1980 dal regime militare del generale Augusto Pinochet, la quale istituzionalizzò le politiche economiche neoliberiste e aprì le porte all’«idrobusiness». In questo contesto la regione sta attirando massicci investimenti delle multinazionali dell’acqua in bottiglia e il sistema idrico dovrebbe essere sconvolto dalla costruzione di 8 megacentrali idroelettriche da parte di due imprese multinazionali, la HidroAysen, a capitale prevalentemente spagnolo, e la svizzera Xstrata Copper, interessate a produrre energia per le compagnie minerarie del Nord del paese e di stati vicini, con «gravi e irreparabili danni ambientali», mentre il 96% delle acque della regione appartiene già alla spagnola Empresa nacional de electricidad S.A. (ENDESA). A ciò contribuisce il fatto che «lo stato non abbia ancora una politica energetica definita», rispetto alla quale il prelato propone di investire sulle «energie rinnovabili di cui il Cile ha un enorme potenziale» (solare, eolica, geotermica, idraulica, da moto delle maree e da biomasse). La vita non è merce Di fronte a questo scenario, la riflessione etica e religiosa parte dal valore biologico, sociale, simbolico e spirituale, artistico ed ecologico dell’acqua, «che è di Dio». E «siccome la vita non è una merce, l’acqua è fonte di vita, è un diritto universale, un bene comune, e non si può commercializzare né privatizzare». Ripercorrendo l’affermazione della sovranità di Dio sulla terra e la fecondità dell’acqua nelle sacre Scritture, come pure gli inviti del magistero della Chiesa a una «conversione ecologica», mons. Infanti de La Mora giunge ad affermare che se «negli anni passati il Cile ha reagito tardi contro le violazioni dei diritti umani, oggi dobbiamo alzare una voce profetica contro la tortura della natura, e specialmente dell’acqua». Giudicando «moralmente inaccettabile la crescente politica di privatizzazione quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, anche perché crea una nuova categoria sociale, quella degli esclusi», il vescovo sottolinea che le «imprese transnazionali possono essere legalmente proprietarie di questi beni e dei loro diritti, ma non lo sono sul piano etico», per cui «ogni lotta non violenta contro qualunque forma di violazione dell’uomo e della natura è un dovere per ogni cristiano o persona di buona volontà, compresa la lotta contro la privatizzazione e mercificazione dell’acqua e della terra». IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 677 Consapevole della necessità di un «cambio di mentalità, di abitudini, di atteggiamenti, del modo di vivere e relazionarsi» che superi una «cultura sociale segnata da uno stile patriarcale di segno maschilista, dominatore, aggressivo» a favore di una «sensibilità femminile», mons. Infanti conclude proponendo azioni a livello personale, familiare, comunitario, ecclesiale, politico e culturale, che vanno da preferire l’uso dell’acqua del rubinetto a quella in bottiglia fino a istituire nella diocesi la «Giornata del creato» e a promuovere la nazionalizzazione del patrimonio idrico. La lettera pastorale, che il vescovo ha consegnato personalmente a Santiago ai rappresentanti del governo, ai presidenti dei due rami del Parlamento, ai funzionari della Corte suprema di giustizia e all’amministratore di HidroAysen, e ora sta presentando in incontri pubblici in tutto il paese, ha infatti innescato un ampio dibattito e una mobilitazione nazionale a favore della riforma della Costituzione in vista della ripubblicizzazione dell’acqua come «bene comune». Mauro Castagnaro PA D O VA l È forse possibile che gli effetti più dolorosi del riscaldamento globale risparmino ancora per qualche tempo le popolazioni dell’Occidente ricco, ma il rischio climatico mette in discussione i fondamenti del benessere e della giustizia, e questo deve bastare a disturbare il sonno delle nostre coscienze. In occasione del suo 20° anniversario, la Fondazione Lanza di Padova ha organizzato nella città veneta, fra ottobre e novembre, un programma culturale di iniziative selezionate (mostra fotografica, forum, rassegna cinematografica, incontri con le scuole) tutte dedicate al tema del mutamento climatico.1 L’evento centrale del programma è stato la VI Conferenza internazionale di etica e politiche ambientali dal titolo «Etica e cambiamento climatico. Scenari di giustizia e sostenibilità» (dal 23 al 25 ottobre).2 Un incontro molto «tecnico», sia per i relatori sia per i partecipanti. Fra i primi,3 studiosi e responsabili dei più importanti centri di ricerca italiani e stranieri sul cambiamento climatico, fra i secondi, docenti universitari, ricercatori dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV), dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), di centri di ricerca indiani, europei (una trentina), americani, africani. Punti di riferimento per tutti gli interventi offerti ai partecipanti sono stati da un lato il IV rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC; Commissione intergovernativa 678 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Ambiente a giustizia sostenibile Etica e cambiamento climatico sul mutamento climatico)4 del 2007 – il risultato del lavoro di 2.500 scienziati di tutto il mondo che hanno comparato dati e offerto proiezioni sui prossimi effetti del cambiamento climatico – e dall’altro il Protocollo di Kyoto insieme con i successivi incontri annuali della Conferenza delle parti (COP). L’ultimo di questi, COP 13 del 2007, che si è tenuto a Bali, ha adottato come base dei lavori proprio il IV rapporto IPCC.5 Se la sessione inaugurale, aperta al pubblico, annunciava l’approfondimento di tre dimensioni del problema, scientifica, etica e politica, nel corso della conferenza, per quantità e varietà di interventi, le prime due sono risultate di gran lunga le più esplorate: «Un po’ a causa della difficoltà di parlare di politica in un momento di crisi economica severa, ma soprattutto per poter mantenere il dibattito al di qua della disputa ideologica, in un ambito equilibrato supportato da dati scientifici e valori condivisi, capace di offrire strade percorribili», secondo le parole di Matteo Mascia, responsabile del progetto «Etica e politiche ambientali» della Fondazione e organizzatore dell’evento. Cambiamenti climatici e dirit ti umani La prima sessione plenaria – «The Changing Climate» – ha soprattutto offerto i dati del cambiamento climatico e gli effetti attesi sull’economia e sulle popolazioni. L’IPCC indica in 2°C la soglia massima di aumento della temperatura tollerabile dalla Terra: oltre potrebbero verificarsi cambiamenti irreversibili. Poiché le emissioni di gas ser- ra, responsabili del riscaldamento globale, sono aumentate del 70% dal 1970 al 2004, in assenza di una loro riduzione importante l’aumento della temperatura alla fine del secolo potrebbe essere molto superiore. Gli effetti macroeconomici colpirebbero a spaglio l’economia mondiale, senza risparmiare nessuno sul lungo periodo: l’Europa settentrionale, accanto ai danni, potrebbe aumentare la produzione agricola a causa del clima più mite e della maggiore disponibilità d’acqua, ma quella mediterranea risulta più esposta per l’importanza delle attività legate alla costa e per la maggiore densità di popolazione. L’Italia in particolare rischia inondazioni sulle rive del Po e desertificazioni nelle aree aride e semiaride della Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata, con ricadute importanti sulla riduzione di terreno agricolo coltivabile, sul turismo e quindi sui lavoratori di questi settori. Sul breve periodo invece sono ancora una volta i paesi poveri a soffrire di più: perché dipendono maggiormente dalle risorse naturali di base, perché hanno meno capacità economiche per far fronte ai problemi, perché abitano latitudini con temperature più calde (Carlo Carraro, Fondazione ENI-Mattei – Centro Euro-Mediterraneo per il cambiamento climatico [CMCC]). Le implicazioni sui diritti individuali e sociali sono devastanti – seconda sessione plenaria: «Human Rights under Thread» –: profughi ambientali, malattie per eccessi di calore, per sbalzi di precipitazioni, per un clima che offre vita facile ai vettori delle patologie infettive, perdita di culture. L’espulsione del- le popolazioni dalla loro terra, l’attacco al loro diritto al benessere, la scomparsa dei loro mezzi di sussistenza, hanno sempre rappresentato gli strumenti tipici dell’esercizio repressivo del potere e dalla metà del secolo scorso esiste un consenso internazionale che condanna come contrari ai diritti umani i comportamenti che inchiodano le persone a situazioni di bisogno. Fame, malattia e miseria non sono più questione di carità e solidarietà, ma di diritti umani (Wolfgang Sachs, Wuppertal Institut). Gli abitanti Innuit di Kivalina, isola dell’Alaska, hanno fatto causa a Exxon, Shell e altre grandi compagnie petrolifere per corresponsabilità nell’immissione nell’atmosfera di gas climalteranti a cui si deve il riscaldamento globale: i villaggi dell’isola franano sotto l’urto dell’acqua e del fango dovuti allo scioglimento del ghiaccio. L’accusa riguarda anche l’ipotesi che le compagnie abbiano pagato gli scienziati per disinformare il pubblico sulle reali cause del riscaldamento. Non c’è reato di global warming (riscaldamento globale) nella legislazione americana, ma i diritti si affermano attraverso la storia e sembra vicino il momento in cui, dopo i diritti di prima generazione legati al bene della persona, e quelli di seconda generazione, che tutelano il bene comune, si debba pensare a diritti di terza generazione riferiti al bene globale (Laura Westra, Canada). Il fatto che ci siano già oggi persone che stanno soffrendo per i mutamenti climatici basta a giustificare la necessità che gli stati si facciano carico di interventi e politiche di contrasto al riscaldamento globale, anche se si trattasse di fenomeni puramente naturali, slegati da responsabilità storiche e attuali. Ma non è così. Le evidenze scientifiche attribuiscono il riscaldamento globale ai combustibili fossili, e poiché i paesi del Nord del mondo hanno prodotto circa il 70% delle emissioni colpevoli dell’alterazione del clima, è su di loro che sembrano concentrarsi le responsabilità maggiori (tab. 1). Sostenibilità ed equità dopo Kyoto Questo è stato riconosciuto a Kyoto nel 1997, il cui Protocollo, sulla base del principio di una responsabilità comune, ma differenziata, fissa l’obbligo, per i paesi industrializzati e con economie di transizione, di ridurre le emissioni dei gas serra per una quota compresa tra il 6% e l’8% rispetto a quelle registrate nel 1990, riduzioni da effettuarsi nel periodo 2008-2012. Cioè oggi. Ma Kyoto, i cui impegni vanno comunque mantenuti, non sembra uno strumento sufficiente a garantire gli obiettivi che si poneva, e nemmeno lo strumento più accettabile sul piano dell’equità – terza sessione plenaria: «Sustainability and Equity: post-Kyoto Ethics and Law». L’aver esonerato i paesi in via di sviluppo dall’impegno di ridurre i gas serra non ha oggi senso dal momento che alcuni di questi, come Cina e India, hanno aumentato straordinariamente le loro emissioni. Le ridu- zioni dei soli paesi industrializzati non basterebbero ad assicurare gli obiettivi concordati. D’altro canto un accordo che prendesse in considerazione solo le quote di CO2 emesse dai vari paesi e non considerasse le differenze di sviluppo e la differente impronta ecologica, sarebbe ingiusto. C’è infine il problema dei costi, che in questo momento di crisi finanziaria ed economica sta giocando un ruolo determinante. Sia le strategie cosiddette di mitigation (mitigazione), che mirano a ridurre le emissioni nell’atmosfera e ad aumentare la capacità di assorbimento dei gas serra da parte della Terra, sia le strategie di adaptation (adattamento) che si occupano d’intervenire sugli effetti già operanti dei cambiamenti climatici, sono costose in termini d’innovazione tecnologica, di riconversione di produzioni a forte impatto ambientale, di difesa delle aree minacciate da siccità e alluvioni e così via. Si tratta di un percorso di trasformazione del modello di sviluppo globale, e se c’è consenso sul fatto che sia infinitamente più conveniente intervenire oggi per contenere il cambiamento climatico piuttosto che rincorrere i danni nel futuro, c’è invece dibattito sui criteri di condivisione dei costi, legati alle responsabilità. Problema che comunque non può diventare un alibi per non fare niente. Il criterio proporzionale adottato dal Protocollo di Kyoto, anche nella versione allargata ai paesi di recente industrializzazione, che si impegnerebbero a ridurre le emissioni rispetto a una data di riferimento, limita gravemente lo sviluppo di questi paesi, a vantaggio di quelli di vecchia industrializzazione. Si tratta di un criterio storico, un eticamente inaccettabile «diritto d’uso acquisito» (grandfathering) verso l’atmosfera, che le nega la natura di bene pubblico globale (global public good). Un criterio distributivo che riconosca un uguale livello di emissioni pro capite a ciascun abitante della Terra è più condivisibile sul piano etico, ma è esposto a varie obiezioni: assolutizza un bene (il diritto di emettere gas climalteranti) separandolo dagli altri; non considera il fatto che le diverse popolazioni hanno diverse possibilità di accedere a fonti di energia rinnovabili. Il criterio di responsabilità storica, che attribuisce più IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 679 680 responsabilità a chi più ha inquinato, è a sua volta fragile perché non tiene conto della scusabile ignoranza in cui si è prodotto e consumato fino agli anni Ottanta (Simon Caney, Università di Oxford). Il Documento finale della conferenza fa riferimento a «un eguale diritto d’uso dell’atmosfera, che determinerebbe per i singoli paesi quote di emissione proporzionali alle rispettive popolazioni». Ciò impegna severamente i paesi industrializzati a dover ricreare il proprio modello di sviluppo, sia pure in tempi non brevi, ma impone vincoli anche agli altri. Nello stesso tempo, per rendere questo approccio compatibile con reali criteri di giustizia, il documento chiede d’integrarlo con un’azione di «disseminazione a basso costo nei paesi in via di sviluppo delle tecnologie a basse emissioni», in modo da favorire il benessere di queste popolazioni. La strada del futuro sostenibile è stretta quindi fra i due paletti dell’efficacia (le strategie di riduzione delle emissioni devono essere sufficienti ad allontanare il pericolo) e l’equità (la distribuzione di responsabilità e costi non deve consolidare le attuali disuguaglianze). Dove non si attiva la libera buona volontà degli stati, potrebbe giocare un ruolo il timore condiviso per la salute. C’è attenzione verso la globalizzazione delle malattie legate al riscaldamento climatico: «Bisogna combattere il cambiamento climatico e correlarlo al tema della tutela della salute pubblica. Cambiare la mission del settore sanitario: non solo curare, ma ripristinare le con- Il «posto» del l’uomo nel la creazione La sessione conclusiva, pubblica come quella di apertura, ha offerto una breve riflessione nella prospettiva delle tre grandi religioni abramitiche «Spirituality and Religions Facing Climate Change». Geometrico e asciutto il direttore de La Civiltà cattolica, Giampaolo Salvini, che ha ricostruito l’interesse solo recentemente per il tema ecologico in ambiente cattolico, riconoscendo diverse posizioni all’interno della Chiesa: attente, preoccupate nei missionari e nei vescovi della periferia del mondo dove gli effetti dei cambiamenti climatici si abbattono sui poveri; prudenti e scettiche negli ambienti di studio. Il mondo missionario ed ecumenico sembrano essere oggi i luoghi di maggiore sensibilità verso i problemi ambientali. Di taglio più spirituale i contributi di Amos Luzzatto, già presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, e di Adnan Mokrani, docente di Islamistica all’Università gregoriana. I due percorsi hanno trovato una bella convergenza nel tema del «posto» dell’uomo nella creazione. Nella tradizione islamica ogni essere ha un posto ben definito tranne l’uomo, che può essere come gli angeli o peggiore degli animali, per questo c’è sempre davanti a noi «la sfida del devastante orgoglio umano 1 La Fondazione Lanza è nata nel 1988 per volontà testamentaria dell’avvocato Carlo Lanza e con l’aiuto dell’allora vescovo di Padova mons. Filippo Franceschi con lo scopo di fornire strumenti di riflessione utili al dibattito fra fede e cultura, operando una scelta di collaborazione con la società nella comune ricerca di principi etici e valori capaci di «assicurare vita e dignità a ogni essere umano» (mons. Franceschi). Nel tempo la Fondazione ha individuato tre principali ambiti di lavoro: il progetto «Etica, filosofia e teologia»; il progetto «Etica e medicina»; il progetto «Etica e politiche ambientali». A quest’ultimo, coordinato da Matteo Mascia, si deve l’organizzazione della VI Conferenza di Padova. 2 In collaborazione con il Centro Euro-Mediterraneo per il cambiamento climatico (CMCC), Climate Alliance Italy, Observa Science in Society, sotto il patrocinio di Terry Davis, segretario generale del Consiglio d’Europa, dell’UNESCO, del presidente della Repubblica italiana, del Ministero dell’ambiente, del Centro di ecologia umana dell’Università di Padova, del Coordinamento italiano agende 21 locali. 3 Questi i relatori: Robin Attfield, Centre of Applied Ethics, Università di Cardiff (Regno Unito); Antonio Autiero, Università di Münster (Germania); Roberto Bertollini, Public Health and Environment Department, WHO (Svizzera); Luciano Butti, Università di Padova; Simon Caney, Magdalen College, Università di Oxford (Regno Unito); Carlo Carraro, ENI – Fondazione E. Mattei, CMCC; Corrado Clini, Ministero dell’ambiente; Mattew Findlay, Climate Change Programme E3G – Third generation Environmentalism (Germania); Luigi Fusco Girard, Università di Napoli Federico II; Michael Glantz, National Center for Atmospheric Research (NCAR), Boulder (USA); Carlo Jaeger, Potsdam Institute for Climate Impact Research (Germania); Amos Luzzatto, già presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia; Matteo Mascia, Fondazione Lanza; Adnan Mokrani, Università gregoriana; Simone Morandini, Fondazione Lanza; Antonio Navarra, CMCC; Henk Ten Have, Division IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 dizioni di salubrità dell’ambiente: dal consiglio alla prescrizione medica, anche in materia ambientale» (Stefano Bertollini, WHO, Switzerland). da educare» (Adnan Mokrani) e dell’abitare la terra come precario (Amos Luzzatto). Perché, malgrado l’urgenza, non passa, o non passa abbastanza, la preoccupazione per il cambiamento climatico? Perché non ci tocca ancora, hanno risposto i relatori, e allora i profeti del negazionismo seducono facilmente il nostro bisogno di tranquillità; perché di fronte alla complessità del problema ci si sente smarriti – «Che cosa possiamo farci noi?» –; perché appare cosa triste. Ma oggi è enormemente aumentata la quantità di informazioni disponibili da tutto il mondo e insieme la sicurezza che deriva dai dati scientifici raccolti dagli scienziati dell’IPCC. In questo modo lo spazio di chi minimizza il cambiamento climatico si fa più angusto e mal difendibile, e più ancora quello di chi nega la natura prevalentemente antropica del fenomeno. E del resto, come ha detto Gianpaolo Salvini nella conclusione del suo intervento: «Anche se il cambiamento non fosse dovuto soprattutto all’uomo, non c’è giustificazione a continuare il saccheggio della Terra». Di certo la crisi climatica è anche una straordinaria opportunità: prendere sul serio la fragilità della Terra e vivere nella consapevolezza delle proprie responsabilità morali verso tutti i popoli e verso i nostri discendenti può liberare le energie virtuose e creative di uno sviluppo meno dissipativo, più giusto e magari anche più felice. Mariapia Veladiano of Ethics of Science and Technology, UNESCO (Francia); Renzo Pegoraro, Fondazione Lanza; Giuseppe Pellegrini, Università di Padova; Wolfgang Sachs, Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy (Germania); Gianpaolo Salvini si, direttore de La Civiltà cattolica; KarlLudwig Schibel, Climate Alliance; Laura Westra, Università di Ontario (Canada); Xianli Zhu, Risoe Center of Energy (Danimarca). 4 È una commissione nata nel 1998 da due organismi dell’ONU: l’Organizzazione mondiale della meteorologia e il Programma ambientale. All’IPCC è stato riconosciuto nel 2007 il premio Nobel per la pace (alla pari con Al Gore) per «l’impegno profuso nella costruzione e nella divulgazione di una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici antropogenici e nel porre le basi per le misure che sono necessarie per contrastarli». 5 COP 14 sarà nel dicembre prossimo a Poznan in Polonia. In occasione di COP 15 (Copenaghen 2009) è prevista la sottoscrizione di un nuovo accordo giuridico: Kyoto 2. Europa COMECE Il clima è cambiato È tempo di riconoscere che la lotta contro il cambiamento climatico è anzitutto una sfida etica. Impossibile da vincere se non rimettiamo in questione l’organizzazione della nostra società, dei nostri modi di vita e dei nostri sistemi di valori. Per convincere i cittadini a cambiare radicalmente la loro mentalità e modi di vita i politici dovranno appoggiarsi su una riflessione e un dibattito etico assai profondi». Così viene presentata la questione climatica alla recente assemblea della Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE) svoltasi a Bruxelles dal 12 al 14 novembre (per la prima volta con il nuovo segretario, p. Piotr Mazurkiewicz). Il tema ambientale si innesta in una triplice crisi che attraversa l’Unione Europea: di consenso democratico, di geopolitica per i difficili rapporti con la Russia, di economia e finanza. «Chi indica la causa della crisi finanziaria unicamente nella mancata trasparenza e imputabilità giuridica – ha detto mons. A. Van Luyn, vescovo di Rotterdam e presidente della COMECE – non riesce a vedere che è il nostro modello di società ad essere in questione». Una rif lessione cristiana Ai vescovi è stato presentato un rapporto («Riflessione cristiana sul cambiamento climatico. Implicazioni del cambiamento climatico sugli stili di vita e le politiche dell’UE»), frutto del lavoro di una decina di esperti chiamati a collaborare nel novembre del 2007. Il testo ricorda l’ormai quasi universale convincimento della comunità scientifica dell’origine antropica dell’aumento delle emissioni di gas nell’atmosfera e del riscaldamento del clima. L’ultimo rapporto del Gruppo di esperti sull’evoluzione del clima coordinato dall’ONU nel 2007 ha qualificato questa convinzione come probabile al 90%. In cinquant’anni il riscaldamento è superiore a quello verificatosi nei 1.300 anni precedenti, le temperatu- re si sono alzate anche nelle profondità marine, e ancora più nelle aree polari. Le precipitazioni si sono intensificate in alcune zone mentre in altre è in atto la desertificazione. Si stanno moltiplicando fenomeni anomali come tempeste estreme, inondazioni, siccità e onde di calore. L’aumento delle emissioni di gas nell’atmosfera fra il 1970 e il 2004 è per il 70% imputabile all’uomo. La crescita demografica, l’aumento della produzione mondiale e le deforestazioni annullano gli sforzi finora fatti per diminuire le emissioni. Senza interventi energici l’aumento di temperatura prevedibile in questo secolo va da 1,6 a 6,9 gradi, col prevedibile aumento del livello del mare da 18 a 59 cm. Le conseguenze sulle società europee sono assai serie: profonde disparità regionali, rischi crescenti di inondazioni, cancellazione del turismo invernale e desertificazione nel Sud europeo (Italia compresa), rischi sanitari elevati per le onde di calore (cf. anche in questo numero a p. 678). Ancora più serie a livello mondiale: estinzione del 30% delle specie vegetali e animali, crisi delle culture cerealicole, milioni di sfollati e morti per i fenomeni climatici estremi, grave crisi idrica per due terzi della popolazione mondiale dal 2050, con conseguenti pericoli di guerra. Le misure correttive «caso per caso» saranno insufficienti e sempre più costose. «L’inazione sarebbe tanto più imperdonabile quanto le misure richieste non richiedono sacrifici inaccettabili da parte del mondo industrializzato». Quattro i mezzi indicati per una riduzione delle emissioni di gas nell’atmosfera: a) ridurre la domanda di beni e servizi a forte intensità di emissione di gas con effetto serra; b) accrescere l’efficacia energetica; c) evitare la deforestazione; d) optare per tecnologie con deboli emissioni di carbone. Non è in ogni caso consentita la conservazione di abitudini di vita che implichino una bulimia energetica, che non si impegnino in energie rinnovabili e che non sostituiscano i combustibili fossili con i biocarburanti. Questi ultimi vanno associati al principio essenziale di durabilità dell’intervento: solo le terre eccedenti quelle necessarie alla produzione alimentare possono essere utilizzate a questo scopo. Condividere le ragioni I costi degli interventi urgenti non superano il 3% del prodotto lordo mondiale. «Diventa essenziale capire che il cambiamento climatico non è che uno dei sintomi del carattere non sostenibile del modo di vita, dei modi di produzione e delle abitudini di consumo che hanno corso nel mondo industrializzato». Un cambiamento enorme che richiede capacità di decisioni, ma soprattutto ragioni etiche condivise. Gli effetti positivi non si riveleranno se non sui tempi lunghi. «È giunto il momento di riconoscere che la produzione sfrenata di beni materiali è incompatibile con la preservazione dell’ambiente naturale» e che «l’umanità fa parte intrinsecamente della natura». «Il fondamento antropologico della responsabilità ambientale che noi privilegiamo si fonda sul concetto che l’essere umano è il solo soggetto morale investito di una responsabilità verso l’umanità, la natura e le generazioni future. Ne consegue che questa responsabilità si estende al di là dell’insieme degli esseri umani e ingloba entità viventi non umane e gli ecosistemi del pianeta». I valori morali di riferimento per un’azione efficace sono rilevanti: il rispetto della dignità umana (dal consumo alle relazioni), la giustizia globale e la difesa dei poveri, la sussidiarietà, la carità e la solidarietà, la durata e il principio di precauzione (agire per evitare danni possibili anche se non si ha la certezza assoluta dei risultati). E, soprattutto, la moderazione: virtù centrale e principio di soddisfazione, attestato da tutta la storia dell’ascesi cristiana. «La ricerca di uno stile di vita costruito sull’asse del relazionale e dello spirituale risponde perfettamente all’adozione di nuovi modi di vita in ragione del cambiamento climatico». Le decisioni prese a livello di Unione Europea per comprimere del 20% le emissioni di gas con effetto serra da qui al 2020 e il pacchetto integrato di misure che la Commissione europea ha proposto nel gennaio 2008 sollecitano gli stati ad assumersi la propria responsabilità. L’opposizione manifestata dal governo italiano in merito non si accorda con i giudizi morali espressi dai vescovi. E rende ancora più urgente la crescita dell’ethos pubblico e della società civile sul problema. «È necessario elaborare un nuovo quadro concettuale caratterizzato da un approccio olistico dei problemi ambientali e da una definizione chiara del ruolo dei differenti attori implicati». «Dobbiamo capire – ha detto Claude Lorius fra i più noti glaciologhi mondiali – che stiamo entrando in una nuova era, l’antropocene, dove per la prima volta nella storia della terra, l’uomo governa l’ambiente. È lui la prima causa delle minacce e delle modificazioni che pesano sul pianeta: a lui compete la decisione di cosa farne e come relazionarsi con esso». «Ero fiducioso nella nostra capacità di trovare una soluzione. Oggi non lo sono più… salvo sperare in un sussulto inatteso dell’uomo» (Le Monde, 12.11.2008). La tradizione cristiana e la responsabilità europea risulteranno decisive. R. P. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 681 Europa CCEE Vie nuove per comunicare D al 30 settembre al 3 ottobre si è svolta a Esztergom (Ungheria) l’Assemblea plenaria dei presidenti del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), presieduta dal card. Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria, dal tema: «Chiesa e media per un servizio comune alla verità». Sono stati presentati i risultati di un’indagine europea, durata un anno e promossa dal CCEE, volta a definire quale percezione hanno i media della Chiesa in Europa, come i temi ecclesiali vengono trattati nei media e di quali strumenti le conferenze episcopali si sono dotate per la loro missione di comunicazione del Vangelo in un mondo che cambia. Dalla ricerca sono state evidenziate le numerose iniziative messe in campo dalle conferenze episcopali e gli strumenti (TV, radio, quotidiani, agenzie stampa e siti Internet) a loro disposizione; tuttavia è anche risultato che sono sempre meno rari i casi in cui nei media la Chiesa è soggetta a calunnie e/o diffamazioni. Dopo aver discusso e analizzato le cause di questo rapporto con i mass media, a volte difficile, i mezzi a loro disposizione per debellare le forme di disinformazione e anche le urgenze che questi fenomeni impongono alla Chiesa, i vescovi europei hanno deciso di affrontare con rinnovato interesse il legame tra Chiesa e media: attraverso il rafforzamento della rete delle conferenze episcopali, la condivisione delle loro risorse, e la formazione di laici, maturi nella fede; oltre a un impegno maggiore verso i new media, in particolare verso Internet e la TV digitale. Mons. Jean-Michel di Falco Léandri, vescovo di Gap e di Embrun, e presidente della Commissione episcopale europea per i media (CEEM), che ha illustrato i nodi centrali dell’indagine, ha affermato che «il mondo dei media è da considerarsi come un terreno di evangelizzazione» e che «il successo con i media richiede tempo, competenza, conoscenza reciproca e stima e si basa innanzitutto su una buona comunicazione interna alla Chiesa stessa». La Chies a in Europa La seconda parte dei lavori dell’assemblea ha toccato altri punti: il servizio del CCEE alla Chiesa in Europa con la presentazione delle attività delle Commissioni CCEE (media; migrazioni; catechesi, scuola e università e vocazioni), senza dimenticare il tema della collaborazione tra CCEE e altri organismi continentali: con il Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) e il Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), auspicando un ulteriore potenziamento dei programmi già at- 682 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 tivi, come il prossimo seminario CCEE-SECAM a Liverpool dal 19 al 23 novembre su «Migrazioni: Africa-Europa-Asia» e il Simposio internazionale nel 2010. I presidenti sono stati, poi, informati sul primo Forum cattolico-ortodosso sul tema della famiglia, che si terrà a Trento dall’11 al 14 dicembre. Le istituzioni europee e il processo di unificazione sono stati al centro del rapporto presentato dal presidente della COMECE, che si è soffermato sul processo di ratifica del Trattato di Lisbona, sulla proposta di direttiva riguardante il divieto di discriminazione, sul patto in materia d’immigrazione e asilo politico e sulla direttiva in materia di orario di lavoro e difesa della domenica. Mons. Aldo Giordano, nuovo osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, ha illustrato i temi in discussione di questa istituzione europea, sottolineando la preoccupazione della Chiesa per la pace (riferendosi al conflitto Russia-Georgia). Sono stati toccati anche alcuni temi d’attualità: i vescovi hanno ribadito il loro «no» alla ricerca sulle cellule staminali embrionali e all’eutanasia; e hanno rilevato la necessità del dialogo con l’islam, sottolineando l’esigenza di confronto sul tema della convivenza sociale delle comunità cristiane e musulmane nella quotidianità. Il nuovo segretario generale Nel pomeriggio del 1° ottobre è stata annunciata l’elezione di p. Duarte Nuno Queiroz de Barros da Cunha (Portogallo), come nuovo segretario generale del CCEE, al posto di mons. Aldo Giordano, nominato il 17 giugno scorso da Benedetto XVI osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo, dopo tredici anni di servizio alla CCEE. Padre Duarte da Cunha, nato nel 1968 e ordinato prete nel 1993, è un sacerdote del Patriarcato di Lisbona: ha studiato a Lisbona e a Roma, presso la Pontificia università gregoriana, dove nel 1998 ha conseguito la laurea in Teologia dogmatica con una tesi su «L’amicizia nell’opera di san Tommaso d’Aquino». Ha insegnato fede e teologia all’Università cattolica del Portogallo e diverse materie (ecclesiologia, teologia fondamentale, escatologia e mariologia) presso il seminario di Timor Est, oltre ad aver ricoperto vari incarichi pastorali nel Patriarcato di Lisbona, dove si è fatto promotore di gruppi e associazioni per l’assistenza delle donne e dei neonati in difficoltà. Il nuovo segretario rimarrà in carica per i prossimi cinque anni. Lucia Truzzi L L ibri del mese Corruptio optimi pessima Il cristianesimo e il mistero del male. La scommessa di Illich «molto buono» si erge inevitabile il gran monte del perché. Può essere davvero ottimo quel che si corrompe? Il superlativo assoluto non dovrebbe collocare il termine in uno status a cui è ignoto ogni tramonto? All’ottimo non dovrebbe essere riservata la sfera intangibile propria del sommo bene? U n detto proverbiale recita che il meglio è nemico del bene. Si tratta di una frase che attiene al versante progettuale: quando si intraprende un’attività, non di rado, il perfezionismo si tramuta in danno. Altro è il crinale che trova la propria cifra della corruptio optimi pessima: qui si è di fronte non a un disegno che attiene a quanto ancora non c’è, ma al degrado di CLXXVII quanto già esiste. La cifra più significativa di questo antico detto è che la corruzione attiene all’ottimo, non al bene. Esso non coinvolge una situazione di equilibrio, di «giusto mezzo». La sua dinamica prende le mosse da un estremo che eccede dalla parte positiva. Questa situazione sottintende domande a cui è difficile rispondere e che sono impossibili da evitare. Di fronte alla sentenza sullo stravolgimento del Da Lutero a Müntzer Quando aveva alle proprie spalle già da qualche anno l’immane macello della guerra dei contadini, Martin Lutero descrisse a 360° la legge della corruzione dell’ottimo. Per quanto l’orizzonte in cui si muove sia globale, è facile però comprendere che quanto più di ogni altra cosa grava sul cuore del riformatore è il processo che lo coinvolge in prima persona. Lutero sciorina un lungo elenco esteso dalla storia sacra alla profanità quotidiana; tuttavia alla fine a essere tirata in ballo è la sua stessa persona. Il detto inizia parlando della discendenza dei crocifissori di Cristo da Abramo, di Giuda uscito dalla cerchia degli apostoli, dell’Anticristo [il papa] connesso alla Chiesa romana, di Ario scaturito da Alessandria, del Turco da Costantinopoli, di Maometto dagli eremiti dell’Arabia, dei diavoli dagli angeli, degli eretici dalla Chiesa. I tiranni poi derivano dai re, l’adultera viene dalla moglie, lo sterco dal cibo, l’orina dal vino, il pus dal sangue. Infine il vasto panorama si concentra, a imbuto, su una situazione tanto prossima quanto corredata da una considerazione autogiustificatoria: «Da Lutero Müntzer e i sediziosi – perché dunque meravigliarsi se tra noi ci sono dei malvagi e da noi derivano?».1 «Quel ch’è più dolce dà i più amari effetti, / Corrotto giglio pute più che er- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 683 L ibri del mese baccia (Sweetest things turn sourest by their deeds, / Lilies that fester smell far worse then weeds».). Con questi due versi Shakespeare chiude il suo XCIV sonetto. La potenza dell’espressione propostaci dal sommo drammaturgo consente molte applicazioni, di cui l’elencazione luterana è esemplificazione suggestiva. La frase si è però a tal punto impressa nella fervida mente di Ivan Illich, fino a farla assurgere al detto più consono per indicare l’influsso esercitato dal cristianesimo organizzato sulla società occidentale.2 A tal proposito quello che conta è comprendere sia il punto di partenza sia il legame che intercorre da esso e quanto ne deriva. Né è indifferente il grado di coinvolgimento con cui si affronta il tema. Non ci sono dubbi che Illich si muova entro un’area che lo coinvolge in prima persona. Ripetendo il giudizio con cui Fabio Milana termina la sua ampia e penetrante Postfazione, occorre parlare a suo proposito di una «testimonianza nella Chiesa contro la Chiesa».3 Il perver timento del cristianesimo Nella Prima lettera di Giovanni si legge che i molti anticristi già venuti sono prova certa dell’approssimarsi dell’ultima ora, essi «sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti da noi perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri» (1Gv 2,19). La nota di estraneità qui indicata non rientra nelle corde di chi si sente fortemente partecipe alle dinamiche ecclesiali che è costretto a denunciare. Del resto, è più di un puro simbolo prendere atto che Illich rimase sempre fedele alla linea da lui assunta tra il 1968 e il 1969 (l’epoca del procedimento nei suoi confronti istituito dalla Congregazione per la dottrina della fede) che lo condusse a «rinunciare definitivamente a ogni esercizio dei privilegi e dei poteri che gli erano stati conferiti dalla Chiesa», fermi restando gli obblighi derivati dal celibato e dalla recita del breviario. Anzi, dopo la lettura della Corruption si può ipotizzare, con fondamento, che le indagini più note relative allo smascheramento delle istituzioni che diedero a Illich fama mondiale negli anni Settanta, ebbero uno stretto legame (allora arduo da cogliere) con le dinamiche innescate dal pervertimento (termine felicemente scelto in italiano per rendere l’in- 684 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 glese corruption) del cristianesimo. Anche quando si può ricostruire a grandi linee il processo di stravolgimento, resta comunque precluso comprendere per davvero lo srotolarsi di una degenerazione che rimanda a una dimensione misteriosa. Per noi è impossibile assumere come un tranquillo dato di fatto che l’ottimo si stravolga. Illich si chiede cosa indicasse la presenza dei profeti attestati dai primi documenti cristiani. Essi non furono né maestri, né predicatori. Quale fu dunque il loro compito specifico? Che cosa avevano da dire alla Chiesa? «Credo che essi dovessero annunciare un mistero, il mistero del male, il mysterium iniquitatis. Annunciavano che la Chiesa era, ovunque fosse, l’ambiente nel quale doveva annidarsi l’Anticristo». I profeti indicavano che il male condurrà il mondo alla sua fine la quale, per quanto presente, viene per il momento ritardata. «Ciò che colpisce, nel passaggio delle primissime generazioni cristiane al cristianesimo dell’Europa occidentale, è il fatto che il mistero del male di cui è gravida la Chiesa, e che nell’Antico Testamento non avrebbe trovato alcun posto in cui nidificare, scomparve nell’insegnamento della Chiesa e della preoccupazione dei più».4 L’accento apocalittico e l’appello al mysterium iniquitatis (cf. 2Ts 2,7), come ricorda Milana, indurranno più di un lettore italiano a pensare a Sergio Quinzio.5 Le differenze tra i due non mancano, ma anche le affinità hanno voce in capitolo. Il punto di partenza di Quinzio potrebbe, per più versi, riassumersi ricorrendo al celebre motto di Alfred Loisy stando al quale Gesù Cristo annunziò il Regno e venne la Chiesa. In virtù dell’iniziale dilazione l’anticristicità è intima alla Chiesa che l’ha codificata ricostituendosi come ordine sacro capace di trattenere la fine.6 Dopo i trionfi medievali, la modernità ricupera, in modo stravolto, l’istanza messianica ebraica; infine, per Quinzio, il dissolversi nichilistico del moderno e lo svuotamento salvifico della Chiesa, chiamata a seguire nella morte il suo Signore, segnano il tempo ultimo e l’approssimarsi di un Regno contraddistinto dalla povertà e dalla consolazione del Dio crocifisso. La storia tutta è perciò segnata tanto a fondo dalla fede cristiana da non poter uscire, neanche nel pervertimento, dall’influsso di quel passaggio decisivo. In altre parole, proprio perché la vicenda umana è solcata in maniera indelebile dall’anticristicità, non può darsi alcuna storia semplicemente postcristiana. La maggiore affinità tra Illich e Quinzio si colloca su questo crinale. A par tire dal l’incarnazione Il punto di avvio di Ivan Illich non è il Regno: è l’incarnazione. Ancor più precisamente è la possibilità, da essa dischiusa, di instaurare un rapporto di fratellanza interumana prima inaccessibile. Il riferimento emerge, in maniera significativa, alla fine di un brano in cui David Cayley ripercorre le tappe più note dell’itinerario intellettuale di Illich. In libri come Descolarizzare la società7 o Nemesi medica8 si insisteva su tre punti fondamentali: le moderne istituzioni tendono a vanificare le loro finalità, la scuola inibisce l’apprendimento, la medicina compromette la salute, il carcere produce criminalità; inoltre queste istituzioni riducono la fiducia che persone e comunità potrebbero riporre in sé stesse e inducono a rivolgersi a servizi professionalizzati; infine, esse pongono a repentaglio la capacità individuale sia di godere sia di reggere la condizione umana; per fare un esempio, cure mediche interminabili minano alle fondamenta l’arte umana di affrontare sofferenza e morte. La meno nota opera storiografica successiva svolta da Illich è, dal suo canto, orientata a scoprire l’origine di certezze e di presupposti, dati per scontati, su cui si basano queste istituzioni (è il versante sul quale si riscontrano le maggiori affinità con le ricerche condotte da un suo amico carissimo, Paolo Prodi9). Il presupposto più importate è l’idea che gli esseri umani siano costituiti da bisogni e che la società sia organizzata al fine di soddisfarli al meglio. Qui è lo snodo in cui si innesta il pervertimento del cristianesimo. Ogni spiegazione rimanda in prima istanza al modo in cui Illich intende la rivelazione cristiana e al suo convincimento che essa abbia modificato in modo irreversibile la storia.10 Ricorrendo a un linguaggio per più risvolti sorprendente, in Pervertimento del cristianesimo si afferma «Io penso di poter fornire un’evidenza storica della mia convinzione che quell’angelo, sai, quel Gabriele che appare improvvisamente a quella ragazza ebrea e le dice “Ave”, non possa essere trascurato dallo storico (…). Perciò io lo ascolto come nessuno, prima di questo evento, avrebbe potuto ascoltare un altro, guardare un altro. Ed è di CLXXVIII questo che io vivo. Io quindi credo che l’incarnazione, l’ensarkosis, la parola greca per farsi carne dell’Allah biblico, coranico e cristiano, rappresenti un punto di svolta del nostro modo di vedere quel che accade nel mondo».11 Al di là del l’etica Il farsi carne del Verbo ha cambiato in maniera irreversibile tanto la maniera in cui una persona in carne e ossa guarda al suo prossimo, quanto il senso di comunità che può instaurarsi tra le persone. Prendono da qui le mosse una serie di esemplificazioni volte a ripercorrere l’accidentata via che ha condotto all’istituzionalizzazione cristiana di questo tipo di nuove relazioni. In questo contesto la parabola del buon Samaritano – forse il riferimento principe dell’intero volume 12 – indica un rapporto con il prossimo e la sua carnalità posto al di là della sfera dell’etica richiesta dalla propria appartenenza a un «noi» collettivo, mentre la conspiratio – la prassi liturgica in base alla quale i fedeli si baciavano reciprocamente sulla bocca per scambiarsi lo Spirito attraverso la carne – fonda un senso di comunità imparagonabile a quelle precedenti. Per essere all’altezza di simili «eccessi» non bisogna muoversi nella logica delle istituzioni. Nelle antiche case cristiane vi era la consuetudine di avere un materasso in più e un po’ di pane di riserva in caso che «il Signore Gesù avesse bussato alla porta», vale a dire un qualunque senza tetto avesse chiesto ospitalità. In tal caso lo si sarebbe accolto e ci si sarebbe presi cura di lui. Un simile comportamento era contrario a ogni prassi conosciuta in vigore nell’Impero romano.13 Ma poi nacquero le istituzioni dedicate all’ospitalità (né è fuori luogo ricor1 M. LUTERO, Discorsi a tavola, n. 564, Einaudi, Torino 1969, 88s. 2 I. ILLICH, Pervertimento del cristianesimo. Conversazioni con David Cayley su Vangelo, Chiesa, modernità, a cura di F. Milana, Verbarium Quodlibet, Macerata 2008, pp. 155, € 18,00, 12. Corruption of Cristianity è il testo di una trasmissione omonima programmata all’inizio del 2000 dalla radio canadese. Trascritta in fascicoli circolava in Europa anche con traduzione tedesca a fronte. Quella italiana, a detta dell’eccellente curatore dell’edizione italiana, Fabio Milana, è in assoluto la prima edizione in volume. Non si trattò proprio di conversazioni quanto di un montaggio di stralci dei lunghi colloqui intercorsi tra Illich e Cayley tra il 1997 e il 1999. «Verbarium. I libri di Michele Ranchetti» sono dovuti al generoso lascito di Peter Yankl Conzeman, scomparso nel 2005; all’inizio del 2008 anche Ranchetti ci ha lasciato (cf. «Caro lettore», Regno-att. 6,2008,IIcop.). CLXXIX Ivan Illich negli anni Sessanta. dare, a questo punto, l’etimo della parola ospedale) e tutto mutò. Nella sua articolazione di fondo, la Perversione del cristianesimo, illustra e moltiplica esemplificazioni paragonabili a quella ora accennata. Nello specifico la Corruption, nei suoi capitoli centrali, abbozza un’indagine sulla genesi di alcune moderne «categorie del politico» come figlie del pensiero e della prassi ecclesiali del basso Medioevo; colloca l’esperienza dello sguardo entro un progetto di «storia del corpo» correlata all’asserita perdita contemporanea della centralità della carne vivente e senziente; e, infine, percorre la problematica etica di un mondo che ha smarrito la nozione oggettiva del limite e dell’ordine ontologico da esso istituito. 3 Pervertimento del cristianesimo, 152. Ivi, 26. Cf. S. QUINZIO, Mysterium iniquitatis, Adelphi, Milano 1995. 6 La categoria di «quello che trattiene», katechon, gode di straordinaria fortuna nel pensiero contemporaneo grazie all’interpretazione propostane da Carl Schmitt. Per un confronto tra quest’ultimo uso e quello propostone da Quinzio, cf. R. FULCO, Il tempo della fine. L’apocalittica messianica di Sergio Quinzio, Diabasis, Reggio Emilia 2007, in particolare 235-248. 7 Mondadori, Milano 1972. 8 Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Mondadori, Milano 1977; ora Bruno Mondadori, Milano 2004 e Boroli, Milano 2005. 9 «(…) Mi preme solo chiarire che, dietro questi discorsi e tante affermazioni e accenni, ci sono le conversazioni, gli scambi di idee e l’amicizia fraterna che ho avuto per molti decenni (fino 4 5 L’ultima parola In una tarda autoesegesi del proprio percorso, Illich ha fornito una visione complessiva molto coerente del suo ricercare. È possibile – come opportunamente suggerisce Milana – che la nota di compattezza qui prospettata sia un po’ sopra le righe; anche se così fosse, è comunque giusto lasciare all’autore la valutazione conclusiva del suo itinerario: «Ho analizzato l’istruzione scolastica come secolarizzazione di un rituale peculiarmente cattolico perché volevo capire il mistero della corruptio optimi. Mi sono addentrato nella storia dell’ospitalità e della cura per contrastare la sterilizzazione della carità, avviata dalla Chiesa, attraverso l’istituzionalizzazione di essa come servizio. Ho scritto sulla degenerazione dell’acqua in H2O come esempio della disintegrazione dei corpi e della dissoluzione di una materia da sacramento.14 Mi sono cacciato in un brutto guaio con un pamphlet, Gender,15 sulla storia sociale della dualità e la sua erosione da parte della sessualità. Ho scritto questo saggio spinto dall’amore per Nostra Signora, che ha messo al mondo quel Fratello grazie a cui la mia fratellanza con un [altro] uomo (…) è sussunta nel mistero della Trinità. Nello scrivere questi libri ho trovato lo stesso misterioso schema ripetersi di continuo. Un dono di grazia veniva trasformato in un orrore moderno: sempre di nuovo la corrutio optimi pessima».16 Leggendo l’opera di Illich resta comunque netta una percezione: la volontà di ripercorrere una storia di pervertimento è mossa anche dall’istanza di non consegnare l’ultima parola alla corruzione dell’ottimo. Piero Stefani alla sua morte avvenuta nel 2002) con Ivan Illich» (P. PRODI, Lessico per un’Italia civile, a cura di P. Venturelli, Diabasis, Reggio Emilia 2008, 38). 10 Cf. ivi, 13s. 11 Pervertimento del cristianesimo, 14. 12 Cf. ivi, 20s, 82s ecc. 13 Ivi, 23. 14 H20 e le acque dell’oblio. Un’inchiesta sul mutamento delle nostre percezioni dello spazio urbano e delle acque che lo ripuliscono, Macroedizione, Umbertine (PG) 1988. 15 Il genere e il sesso. Per una critica storica dell’uguaglianza, Mondadori, Milano 1984. 16 Il testo, citato nella Postfazione a p. 135, proviene da un relazione tenuta da Illich a un gruppo di filosofi cattolici a Los Angeles. A p. 683: OTTO DIX, Fiandre (part.), 19341936, Berlino, Staatliche Museen. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 685 L L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 12 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all'indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia ANGELINI G. (a cura di), La legge naturale. I principi dell’umano e la molteplicità delle culture, Glossa, Milano 2007, pp. 237, € 21,00. 9 7 88 8 7 10 5 2 32 A ta quaestio tti dell’omonimo convegno organizzato dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale il 27-28.2.2007 a Milano sulla vexadella legge naturale. Anticipando in Regno-att . 6,2007,197 l’intervento di Angelini, la rivista affermava: «È evidente dalla storia della filosofia, e dagli stessi sviluppi del pensiero tomista su cui l’assunto si basa, che la categoria di legge naturale com’è stata sinora pensata non è in grado oggi di rispondere alle numerose obiezioni rivoltele dal pensiero moderno, neanche nelle forme più recenti in cui si presenta, quali il giusnaturalismo laico e i diritti umani. La legge naturale non può essere intesa come il codice minimale di precetti negativi che mai potrebbero essere trasgrediti e che sono raccomandati dalla ragione per tutti gli uomini. Questo uso, in voga nella teologia cattolica nel quadro del contenzioso con lo stato e la cultura laica, rischia il processo di naturalizzazione della morale e non utilizza adeguatamente la lettura escatologica della stessa legge naturale». BOUYER L., La Bibbia e il Vangelo. Il senso della Scrittura: dal Dio che parla al Dio fatto uomo, Qiqajon, Magnano (BI) 2007, pp. 323, € 18,00. 978888227234 ouis Bouyer è stato teologo e professore all’Institut catholique di Parigi e protagonista della riforma liturgica postconciliare. Il vol. è uscito in Francia nel 1951 e non porta traccia delle ricerche storiche ed esegetiche più recenti. Nondimeno rappresenta una lettura di grande qualità e robustezza. Reagendo a una spiritualità priva di vigore biblico, B. offre un approccio alle Scritture attorno al centro unificante del Vangelo, sostenuto dalla domanda di senso, disposto all’incontro non solo con un testo ma anche con una presenza. Insomma una lettura che trovi nella santità la sua esegesi esistenziale e che sfoci nella celebrazione e nella liturgia. Una spiritualità che attinge direttamente alla Scrittura, letta nella sua interezza e globalità con l’intento d’alimentare la fede della comunità orante: intento e attesa ancora attuali per le nostre comunità cristiane. Approccio che trova nel recente Sinodo sulla Parola un’importante verifica. L DE FIORES S., Maria. Nuovissimo dizionario. Volume 3. Testimoni e maestri, EDB, Bologna 2008, pp. XX+853, € 65,00. 978881023108 completamento dei primi 2 voll. del dizionario, le cui voci hanno affrontato i temi mariologici in maniera sistematica (Regno-att. 22,2006,763ss.), l’a. presenta 25 figure emblematiche di uomini e donne che hanno vissuto e veicolato un intenso e filiale rapporto con la madre di Gesù. Nella sua selezione, De Fiores si cura di rappresentare tutte le epoche storiche, da quella patristica con Agostino fino ai nostri giorni con Giovanni Paolo II. Il criterio della rappresentanza delle diverse categorie lo ha spinto a inserire non solo presbiteri, ma anche due donne (Brigida di Svezia e Lucrezia Marinella), un cristiano ortodosso (Bulgakov), un cristiano riformato (Ecolampadio), un poeta (Dante), un artista (Michelangelo), un papa (Giovanni Paolo II), tre vescovi (Agostino, Alfonso Maria de’ Liguori e Francesco Antonio Marcucci) e due laici (Bartolo Longo e Giorgio La Pira). A DI BERARDINO A. (a cura di), Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane. P-Z, Marietti, Milano 22008, pp. 5715, € 120,00. 9 7 88 8 2 1 1 64 7 2 T erza parte (per la seconda cf. Regno-att. 20,2007,686) del dizionario che, a più di vent’anni dalla I edizione, vede oggi la ripubblicazione rivista, arricchita e corretta. Il lasso di tempo interessato va dal I secolo fino all’inizio del Medioevo; più di 600 sono i nuovi lemmi; più di 250 i collaboratori. FABRIZI F., Liberare Dio. Dal Dio della ragione al Dio dell’alleanza biblica, Pazzini Stampatore Editore, Villa Verucchio (RN) 2007, pp. 116, € 8,00. 978888919871 l Dio cristiano non è quello postulato nell’orizzonte ontologiconaturale, quello che il bene coltivato dall’uomo prefigura. È piuttosto quello che va incontro personalmente ai credenti nell’alleanza narrata dalla Scrittura. Non è un rapporto scritto nella natura umana, ma nasce dall’interpellazione gratuita e si manifesta quale alterità trascendente, libera e benevola che spinge l’uomo alla sua libera responsabilità nella risposta. I 686 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CLXXX CALVINO G., Commentario su Genesi. (1554), Alfa & Omega, Caltanissetta 2008, pp. 763, € 59,50. 978888874776 l 2009 sarà il 500o anniversario della nascita di Calvino, il riformatore che con la sua prospettiva di fede ha modellato gran parte della civiltà occidentale moderna. D’altra parte, nel nostro paese egli è ancora largamente sconosciuto sia come teologo sia come esegeta: con questo Commentario, I vol. di una collana dedicata ai suoi scritti, si colma una grave lacuna del nostro panorama editoriale. Molte saranno le sorprese che i lettori avranno modo di scoprire, a iniziare dallo stile diretto, agevole, teso a un’esposizione chiara e distinta, ma al tempo stesso filologicamente accurata circa l’analisi testuale dei diversi cc. della Genesi. Da fine umanista qual’era, C. presenta al lettore contemporaneo le sue argomentazioni con una sensibilità, che, nonostante siano passati 500 anni, ancora cattura inducendolo a riflettere su di una pietà cristiana che nella sola gloria di Dio trova il suo fondamento più solido. I HIMBAZA I., S CHENKER A., E DART J.B., L’omosessualità nella Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, pp. 123, € 11,00. 9 78 8 8 21 5 5 9 9 2 I tre aa., biblisti – il primo protestante, gli altri cattolici –, analizzano i passi biblici dove vi è un riferimento ad atti omosessuali: Himbaza studia quelli su Sodoma e Gabaa; Schenker il Levitico; Edart i testi di san Paolo. Ne emerge che la Bibbia, che si caratterizza per un linguaggio molto concreto, non parla di tendenze, ma di atti omosessuali e di essi giudica. Sul problema della contestualizzazione dei singoli passi, dicono gli aa., il criterio applicato nell’Antico Testamento – la necessità di preservare la famiglia israelitica – viene ripreso da Paolo e universalizzato, come del resto tutta la Legge. Tuttavia, concludono, «l’invito fatto da Cristo a riconoscere il suo amore misericordioso abita in ogni pagina del Nuovo Testamento! È alla luce di questo appello a vivere della misericordia che conviene comprendere l’insegnamento di Cristo sull’amore umano». MARIANI M., L’innocenza perduta in Karl Rahner, EDB, Bologna 2008, pp. 300, € 21,00. 978881041514 ntorno agli anni Sessanta, si verifica una svolta nel pensiero di R. Il tema è quello del pluralismo dei saperi, fenomeno del tutto caratteristico del nostro tempo e nuovo per dimensioni quantitative e qualitative. R. riprende la categoria di concupiscenza, tipica della tradizione ascetico-morale, e la dilata in direzione epistemologica. Essa può così esprimere l’insidiosa condizione storica della conoscenza, ricordare «l’innocenza perduta del sapere» che si sarebbe resa evidente dalla modernità in poi. La «concupiscenza gnoseologica» diviene chiave ermeneutica decisiva dell’ultimo R., che intende così prospettare la fisionomia della fede e della teologia nel mezzo della moltiplicazione inarrestabile e conflittuale delle visioni del mondo e delle specializzazioni scientifiche. I MEYNET R., Trattato di retorica biblica, EDB, Bologna 2008, pp. 716, € 60,00. 978881025107 siste una retorica biblica e, più largamente, semitica molto diversa dalla retorica classica, cioè greco-latina, tanto che molti ritengono non esista affatto. Libri come i Vangeli e i Profeti appaiono sconclusionati, non obbedienti ad alcuna organizzazione logica. Viceversa, i testi biblici sono spesso ben composti, ma secondo regole altre rispetto a quelle della retorica occidentale. Il Trattato descrive nel dettaglio i processi di composizione dei testi biblici. Esso è il frutto di quanto l’a. ha elaborato in più di trent’anni, nel fondato convincimento che l’analisi retorica eserciti un’influenza innovatrice sul modo di condurre la ricerca del contesto biblico. E NOSS P.A. (a cura di), A History of Bible Translation, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2007, pp. 521, € 55,00. 978888498373 CLXXXI IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 687 I l testo inaugura una collana curata dall’American Bible Society per fornire una prospettiva storica e affrontare importanti temi relativi alla storia e alla prassi della traduzione della Bibbia. In questo I vol. (in inglese), 16 tra biblisti, linguisti, intellettuali e traduttori professionisti presentano una panoramica della traduzione della Bibbia dai tempi della LXX, del Targum e della Vulgata latina attraverso la Riforma e la Controriforma fino ai nostri giorni nei quali le lingue locali hanno sostituito le traduzioni dei missionari fatte in epoca coloniale. L’indagine comprende inoltre importanti versioni secondarie (arabe, armene, copte, etiopi, georgiane e slave), spesso dimenticate in altri studi. Consapevole che la storia della traduzione della Bibbia è un racconto infinito, il vol. conclude con alcuni resoconti dall’Africa e dall’America Latina che rivelano quali sono le attuali acquisizioni nel momento in cui nuove traduzioni della Bibbia si sviluppano in un mondo post-missionario. REPOLE R. (a cura di), Il corpo alla prova dell’antropologia cristiana, Glossa, Milano 2007, pp. 195, € 20,00. 978887105237 on c’è dubbio «che la cultura attuale attribuisca un grande interesse al corpo dell’uomo, che si manifesta in molti modi (...). Un interesse che può certamente essere di stimolo, anche per l’antropologia teologica, a non parlare dell’uomo a margine del suo corpo». A motivo di ciò, il XVII corso di aggiornamento dell’Associazione teologica italiana ha dedicato al tema che dà titolo al vol. un’ampia riflessione che si propone di operare un discernimento rispetto all’interesse per il corpo che caratterizza la nostra epoca. Essa poi percorre le riflessioni della patristica, di Tommaso fino alla svolta moderna: in questo modo vengono messe in campo N L ibri del mese / schede le diverse interpretazioni del corpo da parte del cristianesimo e dell’antropologia cristiana. Una sintesi riflessa che lascia aperti ulteriori e fecondi percorsi di ricerca. USENER H., San Ticone, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 184, € 13,00. 9 7 88 8 37 2 2 2 0 0 D i Hermann Usener (1834-1905), il testo è uscito in Germania nel 1907. L’a. è stato un filologo classico e uno storico delle religioni di grande valore. Oggetto della ricerca è san Ticone, una figura importante del IV sec. che a Cipro portò la popolazione dagli usi e costumi pagani alla fede cristiana. Attraverso la ricerca filologica U. sostenne una continuità fra la divinità greca minore, Ticone, e il personaggio cristiano di cui ancora oggi si celebra il culto. Una divinità legata alla fecondità e alla vite come alla vite era legato il miracolo di san Ticone. La continuità delle due figure – oggi assai meno convincente di allora – mantiene tuttavia la sua suggestione come processo di riutilizzazione per via popolare di motivi mitologici e pagani. In qualche maniera la passata memoria pagana entra negli elementi della tradizione cristiana. Testo di studio. WÉNIN A., Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I. Gen 1,1-12,4, EDB, Bologna 2008, pp. 202, € 23,00. 978881020652 l vol., che fa parte di un progetto di lettura narrativa e antropologica di Genesi, si propone d’interpretare i primi cc. (1,1-12,4) – i due racconti della creazione, Adamo ed Eva, paradiso e tentazione, peccato e castigo, Caino e Abele, diluvio, torre di Babele e I Abramo – come un insieme letterario unico, fornendo di questa unità una lettura narrativa modulata con un’interpretazione teologica e antropologica. Egli ravvisa due temi creatori di unità: erranze e generazioni/genealogie. Adamo erra peccando ed erra quando è scacciato dal paradiso; erra Caino uccidendo Abele ed erra come fuggiasco, e con l’errare di Abramo da Ur dei Caldei inizia la storia di Israele. Quanto alle generazioni/genealogie, esse sono insieme dispiegarsi collettivo delle età dell’uomo e atti singoli di uomini e donne, che danno nome a persone ed episodi. WIESEL E., Personaggi biblici attraverso il Midrash, Giuntina, Firenze 2007, pp. 183, € 14,00. 978888057270 ttraverso i racconti, le leggende e i commenti della tradizione ebraica i personaggi biblici tornano non come simboli, ma come viventi, come figure che influenzano la vita e il ruolo sociale. L’audacia è quella di Abramo, il sogno è quello di Giacobbe, la violenza è quella di Caino, l’istinto di sopravvivere è quello di Isacco, l’educazione alla giustizia è quella di Giuseppe, l’energia del capo è quella di Mosé e il silenzio rivoluzionario è quello di Giobbe. Con grande capacità narrativa Elie Wiesel introduce il lettore nella bellezza e ambiguità delle pagine bibliche e degli infinti commenti che le hanno attraversate. A Il Nuovo Testamento. Vangeli e Atti degli apostoli. Nuova versione ufficiale della CEI, Paoline, Milano 2008, pp. 684, € 12,00. 9 7 88 8 3 15 3 4 5 1 LÖNING K., Z ENGER E., In principio Dio creò. Teologie bibliche della creazione, Queriniana, Brescia 2006, pp. 287, € 23,00. 978883990821 SCAGLIONI G., E la terra tremò. I prodigi alla morte di Gesù in Matteo 27,51b-53, Cittadella, Assisi 2006, pp. 301, € 18,00. 978883080849 Vangeli e Atti degli apostoli. Testo e guida di lettura. Nuova edizione, EDB, Bologna 2008, pp. 371, € 1,75. 978881082039 Pastorale, Catechesi, Liturgia BOSELLI G. (a cura di), Il battistero. Atti del V Convegno liturgico internazionale. Bose, 31 maggio-2 giugno 2007, Qiqajon, Magnano (BI) 2008, pp. 254, € 24,00. 978888227258 tti del V Convegno liturgico internazionale svoltosi nel 2007 presso il Monastero di Bose: «La riflessione sul rapporto tra liturgia e architettura – dopo aver affrontato l’altare, l’ambone e l’orientamento dello spazio liturgico – prosegue mettendo a tema il battistero, inteso non solo come luogo dell’immersione battesimale, ma come primo e originario spazio sacramentalmente ed ecclesialmente istituito». I saggi qui presentati sono raccolti in tre sezioni: la I a carattere storico-teologico; la II dedicata alla descrizione e valutazione critica di alcune significative realizzazioni di aree battesimali nelle chiese contemporanee in Italia, Francia e Germania; la III dedicata al rapporto tra battesimo e prassi penitenziale. A CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE (COP), Bibbia e vita della comunità cristiana. LVIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, EDB, Bologna 2008, pp. 202, € 14,00. 978881053114 a LVIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, proseguendo l’attività di ricerca già avviata dal COP, ha inteso aiutare le comunità cristiane a elaborare esperienze e percorsi formativi sul tema del Sinodo sulla Parola. L CENTRO DI PASTORALE LITURGICA FRANCESE, Ars celebrandi. Guida pastorale per un’arte del celebrare, Qiqajon, Magnano (BI) 2008, pp. 173, € 16,00. 978888227259 688 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CLXXXII I l testo nasce dalla convinzione che la liturgia appartenga alla sfera dell’arte del fare, intesa come capacità di fare bene le cose inerenti al celebrare la fede. La qualità di tale arte «sta nelle proporzioni, nei ritmi, nella giustezza dei rapporti, nella maniera in cui gli elementi si compongono tra loro, nei contrasti». I contributi qui raccolti, già pubblicati sulla rivista Célébrer, forniscono elementi utili sul senso cristiano del celebrare approfondendo la musica e il canto, la comprensione dello spazio liturgico e gli elementi che costituiscono l’ossatura del rito cristiano. FONTANA A., C USINO M., Progetto Emmaus. Catecumenato. Il cammino per diventare cristiani/Numero zero. La proposta del catecumenato per i ragazzi e le famiglie, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 80, € 4,00. 978880103794 FONTANA A., C USINO M., Progetto Emmaus. Catecumenato. Il cammino per diventare cristiani. 1. Il tempo della prima evangelizzazione. Incontrare Gesù. Guida, LDC, Leumann (TO) 2006, pp. 176, € 13,00. 978880103472 na proposta di catecumenato per i ragazzi e le famiglie in 5 voll.: il «Progetto Emmaus» rispecchia un itinerario d’iniziazione cristiana secondo l’ispirazione catecumenale. Ogni vol. è composto da una «Guida» e una «Scheda per i ragazzi», eccetto il vol. 0, che presenta i criteri e il cammino catecumenale. Nel I vol. (tempo della prima evangelizzazione) con il Vangelo di Marco si colloca Gesù «al centro della nostra vita»; nel II vol. (I fase del tempo del catecumenato) si professa il Credo, «scoprendo il progetto del Padre nella storia della nostra vita»; nel III vol. (II fase) si presenta il Padre nostro, riconoscendo il senso cristiano delle feste e dei sacramenti; nel IV (III fase) ci si esercita ad amare come Gesù; nel V (tempo della mistagogia) ci s’inserisce nella comunità. U HANNA J., C HIARA AMATA, La notte santa. Come san Francesco inventò il presepe, Velar – LDC – Franciscan Missions, Gorle (BG) – Leumann (TO) – Waterford (WI, USA) 2008, pp. 44, € 6,00. 9 78 8 8 01 041 2 4 Q uando si tratta di libri per l’infanzia – anche a sfondo religioso – il confine è sempre incerto: scrivere semplice rischia a ogni passo di diventare scrivere banale. A un occhio ancor più attento, poi, nel caso del tema del Natale, tema religioso per eccellenza, il rischio è anche teologico: presentare cioè un racconto che non dica relazione col trascendente. Qui l’obiettivo è raggiunto, si può dire, felicemente: il racconto della notte santa viene fatto tramite la voce di san Francesco che nel 1223 «inventa» il presepe per far rinascere dentro il cuore d’ogni uomo il desiderio del santo Bambino, il Salvatore. SBALCHIERO P. (a cura di), Dizionario dei miracoli e dello straordinario cristiano. Volume 1: A-K, EDB, Bologna 2008, pp. 943, € 49,00. 9 78 8 8 10 2 31 0 9 C ome si spiega l’onnipresenza dei fenomeni straordinari nella tradizione cristiana? Quale aiuto può venire dalle scienze umane e della natura per una migliore comprensione di questi fenomeni? Come articolare lettura teologica e interpretazione scientifica dello straordinario? Un’opera imponente, composta di 830 voci, risultato del lavoro di 230 collaboratori – storici, teologi, filosofi, medici (in particolare psichiatri), sociologi, credenti e non credenti –, si propone di rispondere a tali quesiti fondamentali relativi allo «straordinario» cristiano. Esso si manifesta in quattro ambiti distinti: quello biblico (Gesù: nascita, miracoli, trasfigurazione, risurrezione, ascensione; gli apostoli e i loro miracoli, le estasi di Paolo, le visioni di Giovanni ecc.); quello dell’esperienza dei mistici; quello del meraviglioso cristiano (i fatti portentosi che ricorrono nell’agiografia e già prima negli scritti apocrifi); quello del diabolico (apporti, infestazioni, possessioni, visioni diaboliche ecc.). Si tratta di tematiche che suscitano infinite curiosità, a cui l’opera risponde in maniera articolata e rigorosa. CLXXXIII IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 689 L ibri del mese / schede SCACCAGLIA L., Gesù di Nazareth perfetta icona di Dio nel Vangelo di Marco, Comunità parrocchiale di S. Cristina, S. Antonio Abate e S.M. Maddalena, Parma 2007, pp. 218, s.i.p. alla pratica pastorale parrocchiale e dall’interesse per la Scrittura nasce questo testo di commento al Vangelo di Marco. In esso tornano gli esiti delle ricerche esegetiche e storico-critiche, ma si evidenzia anche la passione pastorale e comunicativa del buon annuncio. Prefazione di Michele Santoro. F SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, La predicazione cristiana oggi, EDB, Bologna 2008, pp. 104, € 7,00. SORCI P. (a cura di), La celebrazione del matrimonio cristiano. Il nuovo rito nel contesto delle attuali problematiche culturali e sociali, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, pp. 276, € 25,00. 978886124002 tti di un convegno liturgico-pastorale della Facoltà teologica di Sicilia. Oggetto delle relazioni è il nuovo rito del matrimonio che è entrato in vigore nel novembre 2004. Alcuni snodi sono di presentazione e d’inquadramento del contesto culturale e sociale del matrimonio oggi, mentre la parte maggiore del testo è riservata all’illustrazione teologica del rito. Sia nella parte antropologica e biblica, sia in quella canonica e sacramentale. Non manca una riflessione sui gesti e sul «non verbale» compreso nel rituale e una serie di approfondimenti di tipo ecumenico in relazione alle altre confessioni cristiane. Gli ultimi saggi sono di tipo pastorale sui casi problematici e sugli itinerari formativi alla celebrazione. D 9 7 88 8 1 0 1 4 0 4 4 L’ intento del seminario di studio (Roma 11-12.4.2008), di cui sono ora proposti gli atti, è quello di condurre una riflessione che permetta di approfondire il valore accordato oggi alle parole proferite nell’opera di comunicazione del Vangelo, precisando che per predicazione si fa riferimento a tutto l’insieme delle modalità con cui si trasmette il messaggio cristiano: conferenze, catechesi, insegnamento, esercizi spirituali, omelie. SOLMI E. (a cura di), Io accolgo te. Strumento operativo per la preparazione dei fidanzati al matrimonio. Guida, EDB, Bologna 2008, pp. 224, € 13,00. 978881062137 SOLMI E. (a cura di), Io accolgo te. Strumento operativo per la preparazione dei fidanzati al matrimonio. Sussidio, EDB, Bologna 2008, pp. 64, € 3,50. 978881062136 rutto del lavoro della Commissione regionale dell’Emilia-Romagna per la pastorale familiare, il sussidio propone un itinerario di 16 incontri per i fidanzati in preparazione al matrimonio. Ogni incontro è scandito da un momento di accoglienza, dall’esposizione dei contenuti, dal lavoro di gruppo, da una proposta di lettura biblica, da una preghiera e da una conclusione conviviale. Il taglio è esperienziale, anche perché nella stesura dei 2 voll. sono stati coinvolti laici esperti. A ZATTONI M., G ILLINI G., Dio fa bene ai bambini. La trasmissione della fede alle nuove generazioni, Queriniana, Brescia 2008, pp. 206, € 13,50. 978883992400 ompletamento del precedente lavoro degli aa. Parlare di Dio ai C bambini ovvero educazione religiosa dei genitori e degli educatori (1996). Questa volta il testo punta sulla convinzione che «un clima autentico di fede è una chance per la crescita dei ragazzi». Infatti, l’intento è quello di fare aumentare la propria fede (genitore, educatore) e riflettere sulla sua trasmissione, «a misura di bambino». Il percorso è diviso in quattro parti in cui elementi di tipo teologico o pastorale entrano in circolo con le scienze umane, lasciandosi sollecitare. Ogni parte termina con alcune indicazioni narrative per bambini. AA. V V., Messalino junior. Per bambini e ragazzi. Novembre-dicembre 2008, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 98, € 3,50. 978880103974 ABBAZIA BENEDETTINA « M ATER ECCLESIAE » - I SOLA SAN GIULIO, Com’è bello lodare il Signore. Le preghiere dei Salmi per i piccoli, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 72, € 12,00. 978880103945 BOCCI V., I doni dello Spirito Santo. Spiegati ai ragazzi, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 48, € 3,80. 978880103874 BOCCI V., I figli del vento. Ragazzi e ragazze verso la cresima e il dopo-cresima, LDC, Leumann (TO) 2006, pp. 80, € 4,50. 978880103638 CENTRO EVANGELIZZAZIONE E CATECHESI « D ON BOSCO » , Nuovo messale della comunità. Domeniche, solennità, feste, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 24*+1446, € 18,50. 978880104120 DAVID J., P ROLE H., La lavagna di Noè. Giocando s’impara. Scrivi con i gessetti e cancella, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 12, € 12,00. 9 7 88 8 0 1 0 39 4 3 DE BIASI E., G IUSPOLI E., Piedi nel mondo, cuore nel cielo. Vita di Giovanni Antonio Farina, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 61, € 6,00. 978880104044 DOWLEY T., Avventure bibliche tridimensionali, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 12, € 13,00. 978880104032 690 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CLXXXIV FERRARIO F., Paolo di Tarso. Il realizzatore del progetto di Cristo, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 157, € 7,00. 978880104148 FERRERO B., Il male e la sofferenza raccontati ai bambini. Perché?, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 30, € 5,00. 978880104065 LE GAL B., Parole di conforto. Commentario al Lezionario dei funerali, EDB, Bologna 2008, pp. 143, € 14,00. 978881041609 LEPORI M.G., La vita si è manifestata. Omelie sull’attesa, l’avvenimento e la manifestazione dell’Incarnazione del Signore, Marietti, Milano 2008, pp. 254, € 30,00. 978882116934 Messale. Delle domeniche e feste 2009. Gennaio, febbraio, marzo, aprile, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 350, € 3,00. 978880104141 SACINO G., Leggo, rifletto, prego. Riflessioni e preghiere sulle letture delle domeniche e delle feste. Anno B, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 287, € 14,00. 978880104118 UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, La formazione dei catechisti. 1. La formazione dei catechisti nella comunità cristiana (1982). 2. Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti, LDC, Leumann (TO) 2006, pp. 156, € 12,00. 978880103661 VESCOVI DEL BELGIO, Diventare adulti nella fede. La catechesi nella vita della Chiesa, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 55, € 5,00. 9 78 8 8 0 1 0 3 84 0 VIVIAN D., E fu dolce come miele. Riflessioni sulla parola di Dio domenicale e festiva. Anno A, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 205, € 12,00. 978880103901 Spiritualità ALBORGHETTI D. (a cura di), Lettere. Di Pietro Giuseppe de Clorivière a Adelaide de Cicé, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2007, pp. 591, € 20,00. 978887357441 due aa. del carteggio sono i fondatori della Società del sacro cuore per sacerdoti e laici e della Società delle figlie del cuore di Maria. La loro opera nasce nell’ultimo decennio del Settecento in Francia nel pieno della Rivoluzione, del Terrore e dell’impero napoleonico. Il vol. raccoglie le lettere di De Clorivière ad Adelaide ma non le risposte (andate perdute). Un epistolario di quasi 700 lettere, in cui emerge uno spaccato di profonda spiritualità cristiana in un contesto di persecuzione e di violenti scontri storici e sociali. Piccole annotazioni, commenti esegetici, aspirazioni spirituali: tutto fa parte di una convinzione profonda, quella di far ripartire dal punto di maggior crisi (la Parigi della Rivoluzione) il messaggio evangelico. I BENSAID C., L ELOUP J.-Y., Chi ama quando ti amo? Dall’amore che soffre all’amore che si offre, Servitium, Sotto il Monte (BG) 2007, pp. 212, € 13,00. 978888166272 uando si dice: «Io ti amo», chi è questo «io» che dice di amare? Di che amore si tratta? C. Bensaid, psichiatra e psicoanalista, e J.-Y. Leloup, filosofo, teologo e psicoterapeuta, cercano di rispondere a queste domande. Il testo è diviso in tre parti: la I, «Quando l’uomo e la donna fanno conoscenza», in cui a partire da Gen 2,18 si affronta il tema dell’alterità e complementarietà del rapporto uomo-donna; la II, che affronta il tema della metamorfosi del desiderio all’interno della coppia, introdotta dal brano del Vangelo della samaritana (Gv 4,17); e la III, «Di che amore amiamo?», in cui il dialogo tra Pietro e Gesù (Gv 21,15-17) fa emergere le differenze tra philía e agápe. Q CLXXXV IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 691 L ibri del mese / schede CLÉMENT O., Il senso della terra. Il creato nella visione cristiana, Lipa, Roma 2007, pp. 98, € 8,50. 978888966733 iccolo ma saporoso testo che introduce alla comprensione ortodossa del cosmo e del creato, assai vicino alla sensibilità ecologicamente affinata e ad alcune correnti spirituali occidentali. La cosmologia cristiana nasce dalla fede e sono i santi a capire davvero anche il creato. Essa è una conoscenza che ci è data in Cristo dallo Spirito e che richiede ascesi e realismo mistico. La cosmologia esce dall’irrilevanza e dal positivismo per diventare prospettiva storica ed escatologica, con un riferimento decisivo all’uomo e alle sue scelte spirituali, orientate verso la centralità del Cristo: «È dunque la Chiesa come mistero eucaristico che ci dà la conoscenza di un universo creato per diventare eucaristia». P FREYER J.B., Homo viator. L’uomo alla luce della storia della salvezza. Un’antropologia teologica in prospettiva francescana. Corso di teologia spirituale/12, EDB, Bologna 2008, pp. 507, € 43,00. 9 7 88 8 1 0 5 4 1 3 2 F ra i poli contrapposti di un forte antropocentrismo e di un forte evoluzionismo, esiste un ampio spettro di concezioni sull’essere umano. Sono concezioni che influiscono sulla coscienza che egli ha di sé. Ma sempre meno tale coscienza è quella espressa dal filosofo G. Marcel con l’immagine dell’uomo viator dell’infinito, alla ricerca del tutto diverso. Tuttavia, quando egli fonda la coscienza di sé sulla fede in Dio e su di essa struttura il suo vivere, nasce l’antropologia in quanto disciplina teologica. Nella tradizione francescana la questione antropologica è totalmente integrata nella questione di Dio. MARTINI C.M., Gli esercizi ignaziani. Alla luce del Vangelo di Luca, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2007, pp. 270, € 16,00. 9 7 88 8 7 35 7 4 4 8 P er la qualità delle riflessioni e per l’originalità della connessione fra esercizi ignaziani e Vangelo viene ripubblicato un vol. del 1976 (dopo quello dedicato a Matteo nel 2006 che datava al 1981; cf. Regno-att. 16,2007,546). Tornare al testo ignaziano non è uno scavo storico o letterario quanto piuttosto l’affiancamento allo sforzo ecclesiale per la nuova evangelizzazione. Solo a partire dalla libertà interiore guidata dallo Spirito è possibile esporsi nella testimonianza cristiana. Il cuore degli esercizi è la disponibilità ad assentire al progetto di Dio. Questo nucleo è applicato al percorso discepolare del Vangelo: il kerygma, il Dio che cerca, la via penitenziale, la predicazione contraddetta, la preghiera di Gesù, il giusto senso della croce ecc. MERINO J.A., Don Chisciotte e san Francesco. Due pazzi necessari, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2007, pp. 155, € 8,50. 9 7 88 8 2 5 0 1 7 8 9 D on Chisciotte e san Francesco sono due personaggi che possono avere spazio in mezzo a noi, «a partire dalla sana ironia e dal buonumore che trasmettono (infondendo) un po’ di coraggio, di decisione e di speranza». I folli hanno questa capacità di rovesciare la lettura del presente e di prendere distanza dall’idolo di turno, in questo caso il denaro e la finanza che affascinano le società odierne incapaci di vedere i poveri e di far interagire la domanda di etica. Due personaggi per un di più di utopia nel presente. MERLOTTI G., Il volto di Dio e del suo Cristo. Una ricerca continua, una esperienza ogni volta nuova, EDB, Bologna 2008, pp. 227, € 18,00. 978881051066 ercare il volto di Dio, e di Gesù che ce lo rivela, è un’esperienza continua all’interno del cristianesimo, ma è ogni volta nuova nelle persone che vi s’impegnano. La ricerca di Dio attinge alla scuola dei profeti (I parte), prosegue con Israele orante attraverso i Salmi (II) e continua sotto la guida dei mistici (III). Il percorso è un invito a lasciarsi prendere per mano da chi è «padre nella fede». C TREMBLAY R., La povertà che arricchisce. Meditazioni, EDB, Bologna 2008, pp. 75, € 9,50. 978881080827 partire dalla contemplazione del Dio trinitario, attraversando poi il mistero dell’incarnazione e della Pasqua del Figlio di Dio, l’a. accompagna a comprendere come la povertà di ogni uomo possa essere trasfigurata in ricchezza. A WALTHER G., Fenomenologia della mistica, Glossa, Milano 2008, pp. 282, € 32,00. 978887105238 ubblicata nel 1923 e poi nel 1955, l’opera di Gerda Walther (1897-1977) appare ora per la prima volta in italiano. Si potrebbe parlare di un classico se non fosse per la scarsa conoscenza dell’a. e del testo, ancora ampiamente diffusa. Nel suo tragitto personale W. passa dall’ateismo al cristianesimo, attraverso la filosofia di Husserl, cioè la fenomenologia. In un percorso in parte simile alla Stein, affronta il tema dello spirituale con un approccio scientifico, ma non in senso positivista. Si tratta di un «rigoroso tentativo di analizzare l’esperienza mistica secondo le coordinate offerte dal metodo fenomenologico husserliano, nel cui solco s’inserisce con l’obiettivo di operare il superamento del materialismo, di cui ella dichiara il fallimento. D’importanza fondamentale sono le sue descrizioni su come pensare l’essenza di Dio in quanto “persona spirituale” e su come riconoscere – e vivere – una vera “comunione con Dio”». P DEL FAVERO E., Al chiaro delle stelle. E altri racconti di Natale, Gribaudi, Milano 2008, pp. 111, € 7,00. 978887152956 692 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CLXXXVI WELTE B., Morire. La prova decisiva della speranza, Queriniana, Brescia 2008, pp. 77, € 8,00. 978883992278 Storia della Chiesa BELTRAME G., C OMBONI D., M ELOTTO A., Cenni storici sulla missione africana secondo il Piano formatone da d. Nicola Mazza sac. ver. dal suo principio fino ad aprile dell’a. 1859, Mazziana, Verona 2007, pp. 40, € 10,00. 978888507378 el 150o anniversario della spedizione di un gruppo di missionari inviati da don Nicola Mazza in Africa centrale (1857), il vol. presenta un’edizione critica del testo che sintetizza la formazione e i primi passi del progetto missionario mazziano scritto dai tre protagonisti, che vivono per oltre un anno in mezzo alle tribù denka. N CAVALLINI G., Martino de Porres. I fioretti, Città nuova, Roma 2007, pp. 304, € 20,00. 978883115364 uova edizione della biografia del domenicano san Martino de Porres (1579-1639), nella lettura di Giuliana Cavallini, studiosa cateriniana di fama mondiale. I «fioretti» non vogliono offrire né una storia critica né una cronologia della vita del santo, ma vogliono proporre un ritratto genuino, grazie agli episodi tratti dalle testimonianze delle persone che lo conobbero in vita: «Accoglie gli umili e si lascia avvicinare dai grandi con la certezza di chi ha da dare qualcosa di sicuro, di vero, di grande, Dio e il suo amore». N ERBA A.M., G UIDUCCI P.L., La Chiesa nella storia. Duemila anni di cristianesimo, 2 voll., LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 769, € 45,00. 9 78 8 8 0 1 0 3 81 0 I due voll. sono pensati come un rapido disegno del complessivo cammino della Chiesa cattolica nell’arco dei due millenni di vita. Accettando la regola di «non dire nulla di falso, non tacere nulla di vero», non si può più seguire il vecchio metodo apologetico, come se nella storia della Chiesa non fossero esistite ombre e debolezze. Tuttavia, oltre alla lettura dell’aspetto umano della Chiesa, non si può dimenticare il suo volto divino, cioè la presenza e l’opera dello Spirito Santo che guida in modo insondabile il procedere dei fedeli». Il I vol. va dalla nascita del cristianesimo al confronto con l’ellenismo. Il II va dall’epoca medievale a quella contemporanea. Non mancano indicazioni anche sui momenti più recenti della vita ecclesiale come il Concilio, i sinodi, la prelatura, i movimenti, il giubileo, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e il confronto con le sette. MCGINN B., Storia della mistica cristiana in Occidente. La fioritura della mistica (1200-1350), Marietti, Milano 2008, pp. 544, € 80,00. 9 78 8 8 21 1 6 7 0 1 L’ ampia collana sulla mistica si concentra in questo vol. sulla fase che va dal 1200 al 1350, «probabilmente la più ricca di tutta la storia del cristianesimo quanto a produzione di letteratura mistica». Lasciando al vol. successivo la figura di Meister Eckart e Giovanni Ruusbroec e dei loro discepoli, il vol. si concentra sulla svolta prodotta dai nuovi ordini mendicanti: da Francesco e Chiara, Tommaso Gallo e Bonaventura. Una parte rilevante del testo è dedicata all’emergere delle figure femminili nella mistica cristiana: da Beatrice di Nazaret a Hadewijch di Anversa, da Mectilde di Magdeburgo a Margherita Porete, dalle monache di Helfta alle mistiche domenicane. Il genio femminile introduce nuovi significativi accenti nel territorio mistico, inteso come coscienza d’amore immediata della presenza di Dio. Testo di rilievo. SICARI A.M., Il decimo libro dei ritratti dei santi, Jaca Book, Milano 2007, pp. 182, € 14,00. 978881630446 CLXXXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 693 L ibri del mese / schede Attualità ecclesiale BORRAS A., Il diaconato, vittima della sua novità?, EDB, Bologna 2008, pp. 219, € 19,50. 978881040971 e modalità in cui il diaconato permanente – a più di 40 anni dal suo ripristino da parte del Vaticano II – viene attualmente esercitato sono multiformi. Tuttavia esse si dispiegano tra due poli estremi: la supplenza presbiterale – che rischia di fare del diacono un sub-prete – e la supplenza apostolica – che rischia invece di fare del diacono un super-laico. Il diaconato permanente è quindi una novità che fatica a esprimersi nella sua originalità di ministero ordinato. In tale prospettiva il vol. intende contribuire all’elaborazione di una teologia del diaconato, muovendosi tra teologia speculativa, pastorale e spiritualità, elementi di diritto canonico e perfino di sociologia delle organizzazioni. L CIPRESSA S. (a cura di), Celibato e sacerdozio, Città nuova, Roma 2008, pp. 196, € 12,00. 978883112673 inque teologi moralisti affrontano il tema del celibato ecclesiastico: nel tempo della formazione della norma, durante i primi secoli della Chiesa; nell’attuale giustificazione di una prassi che attinge alla disciplina, ma anche alla teologia e alla spiritualità; nel rapporto tra celibato e gli altri voti che caratterizzano una figura del discepolato cristiano; in relazione con la pratica delle Chiese orientali che non lo prevedono obbligatorio solo per i vescovi. L’ultimo saggio è dedicato al rinnovato problema della compatibilità del sacerdozio uxorato per la Chiesa latina. In ogni caso solo una coerente sequela cristiana rende comprensibile il celibato sacerdotale. C DE MARCO V., Storia dell’Azione cattolica negli anni Settanta, Città nuova, Roma 2007, pp. 250, € 18,00. 978883112440 reve storia dell’Azione cattolica italiana dal 1966 al 1980, periodo che ha segnato un profondo ridisegno dell’associazione, tra fedeltà al passato, nuovi orizzonti aperti dal Concilio, i fermenti del Sessantotto. Basandosi su fonti interne, l’a. mette in luce il confronto e il dibattito che sul tema «scelta religiosa» ha attraversato l’associazione. E che ha portato a una continua e travagliata ricerca di una nuova definizione della propria identità: verso l’esterno, rispetto al versante politico e sociale; verso l’interno, rispetto alla CEI e ai nuovi movimenti. L’a. è docente di Storia contemporanea presso la Facoltà di economia dell’Università del Molise. B RONCALLI A.G., Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli-Giovanni XXIII /6.1. Pace e Vangelo. Agende del patriarca. 1: 1953-1955, Istituto per le scienze religiose, Bologna 2008, pp. XXXIII+696, € 50,00. 978889011074 RONCALLI A.G., Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli-Giovanni XXIII /6.2. Pace e Vangelo. Agende del patriarca. 2: 1956-1958, Istituto per le scienze religiose, Bologna 2008, pp. XXXVI+809, € 50,00. 978889011076 ue preziosi voll. che raccolgono l’edizione critica delle agende del card. A. Roncalli durante il suo servizio alla Chiesa di Venezia. Curate e annotate con rigore e intelligenza da Enrico Galavotti, le pagine di queste agende svelano molto delle intenzioni e dei metodi pastorali di colui che diverrà poi Giovanni XXIII. Approdato all’esercizio diretto del ministero pastorale dopo le lunghe stagioni di lavoro diplomatico, R. si presenta nel suo primo discorso a San Marco così: «Vengo dall’umiltà, e fui educato a una povertà contenta e benedetta, che ha poche esigenze, e che protegge il fiorire delle virtù più nobili e alte, e prepara alle elevate ascensioni della vita (…), sempre preoccupato, salva la fermezza ai principi del credo cattolico e della morale, più di ciò che unisce di quello che separa e suscita contrasti». La dimensione spirituale e liturgica, la conoscenza anche minuta delle problematiche pastorali, la formazione del clero, la celebrazione del Sinodo e tutte le significative incombenze pubbliche (ivi compresa l’attenzione alle vicende politiche del tempo) sono riassunte nell’invito alla mitezza e alla carità come dimensione del credente, ma anche dell’intera Chiesa. Il II vol. si chiude con le note stese durante il conclave che lo eleggerà a successore di Pio XII. D SCALIA F. (a cura di), La teologia scomoda. Il «caso Sobrino», Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2008, pp. 90, € 12,00. 9 7 88 8 6 15 3 0 5 6 L a condanna delle opere teologiche di J. Sobrino, unico sopravvissuto alla mattanza dei gesuiti dell’Università cattolica di San Salvador «s’iscrive in questo contesto di liquidazione della teologia della liberazione e nel clima di restaurazione e normalizzazione che è in atto da anni in tutto il Sudamerica a opera di vescovi preoccupati più dell’anima da mandare in cielo che della persona viva e concreta dei loro fedeli». L’espressione è del curatore e indica il taglio militante del piccolo vol. In esso è contenuta da un lato la Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede a Sobrino (cf. anche Regno-att. 7,2007,225ss) e, dall’altro, la risposta di un gruppo di teologi gesuiti spagnoli. In appendice alcuni biblisti sui temi della disputa. TUNIZ D. (a cura di), La gloria di Dio è l’uomo vivente. Aldo del Monte vescovo di Novara, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, pp. 186, € 22,00. 978882156229 ato nel 1915 e morto nel 2005, mons. Del Monte rappresenta un pezzo significativo della Chiesa italiana nel postconcilio. A lui si deve il cammino dell’Azione cattolica in quegli anni, l’avvio del progetto pastorale su Evangelizzazione e sacramenti negli anni Settanta e Ottanta e l’azione pastorale nella diocesi di Novara, di N 694 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CLXXXVIII cui fu vescovo dal 1971 fino al 1990. Ma il testo ricostruisce anche quanto c’era prima. In particolare l’esperienza della guerra mondiale e della spedizione in Russia che lo segnarono profondamente nel corpo e nello spirito e la conversione pastorale sperimentata nell’assemblea conciliare. Attraverso le voci del suo successore mons. R. Corti, del card. C.M. Martini, di mons. A. Bazzari, di M.T. Bellenzier, di madre A.M. Canopi, di mons. W. Ruspi ecc., si delinea la sua figura di cristiano e pastore. Nella II parte, due approfondimenti: sulla riforma catechistica e sulle lettere pastorali. BUCCA N. (a cura di), Tutto su Lourdes, Città nuova, Roma 2007, pp. 185, € 16,00. 978883117334 Filosofia FABRO C., La crisi della ragione nel pensiero moderno, Forum editrice universitaria udinese, Udine 2007, pp. 118, € 22,50. 978888420457 ornelio Fabro (1911-1995) è stato uno dei filosofi di riferimento del pensiero cristiano in Italia. Il vol., curato da Marco Nardone, offre al pubblico le dispense dell’anno accademico 1966-67. Nella I parte s’affronta la problematica della crisi della ragione nel pensiero classico e cristiano con particolare riguardo alla fondazione del logos e al contatto della ragione con la fede. Nella II si analizzano alcune problematiche decisive dell’ambito del pensiero moderno, in particolare quelle relative alla libertà, all’uomo di fronte al problema di Dio, alla crisi della fede e all’ateismo. La problematica della libertà come fattore costitutivo dell’esistenza è il filo rosso della ricerca. C IACCARINO A., Verità e giustizia. Per un’ontologia del pluralismo, Città nuova, Roma 2008, pp. 147, € 11,00. 978883113294 enere insieme verità e giustizia oltre il compromesso pragmatico e la superficialità: questa sembra essere la sfida del vol. che si muove sui terreni della filosofia e del diritto con un’attenzione non episodica alla dimensione teologica. Partendo da due riferimenti essenziali, cioè dalle riflessioni di J. Rawls e L. Pareyson, l’a. costruisce una filosofia ermeneutica del diritto e della politica. Ambedue fanno riferimento alla verità da un lato e alla complessità del pluralismo dall’altro. Una sfida ambiziosa che tende a comporre la lacerazione tra la filosofia dei giuristi e quella dei filosofi. T KASPER J., M ANFREDOTTI E. (a cura di), Perdonare. Le tragedie mancate, Marietti, Milano 2007, pp. 206, € 24,00. 978882118567 l perdono affiora nelle parole e nelle forme con cui le tragedie non risolte della storia sono raccontate. Ecco perché i contributi che costituiscono il vol. presentano diversi linguaggi che vanno dalla filosofia alla letteratura, dall’arte alla drammaturgia. Del resto, per quanto importanti e necessarie siano le istituzioni politiche della riconciliazione, dell’amnistia e della grazia, il perdono rimane pensabile e praticabile unicamente come gesto singolare compiuto dinanzi al volto dell’altro. Da segnalare l’intervista a Derrida del 1999, per la prima volta tradotta in italiano e intitolata Il secolo e il perdono. I Storia, Saggistica COLOMBO G., Letteratura e cristianesimo nel primo Novecento, Jaca Book, Milano 2008, pp. 187, € 17,00. 978881630451 L’ a., che i lettori conoscono perché dal 1963 al 1979 fu arcivescovo prima e cardinale poi della diocesi di Milano, pur profondamente impegnato nel suo ruolo pastorale, non smise mai di coltivare la passione che scoprì di avere sin da ragazzo: quella per la lettura di poeti e scrittori. Nel vol. si raccolgono alcuni suoi «medaglioni» su autori quali Papini e Mauriac, Chesterton e Claudel, Ibsen, Pirandello della cui opera ha cercato, con notevole resa, di mettere in evidenza più l’aspetto interiore che lo spessore CLXXXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 695 L ibri del mese / schede tecnico-formale. Gli scrittori esaminati, fra i più importanti del Novecento, sono, infatti, legati fra loro da quel «cristocentrismo estetico» che nel dramma, nell’ironia o nell’inquietudine opera come forte risposta di senso. NASO P., Come una città sulla collina. La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli USA, Claudiana, Torino 2008, pp. 150, € 13,00. 978887016720 n debito percorre l’intera storia dei diritti civili e dell’impegno per la giustizia sociale affermatasi negli Stati Uniti: quello nei confronti della tradizione puritana. Il puritanesimo, infatti, ha costituito e continua a costituire una delle matrici ideologiche più stabili della società americana. Forte di questo inoppugnabile presupposto, il vol. analizza con grande lucidità e capacità di sintesi il periodo posto tra la metà degli anni Cinquanta e l’esplosione del 1968, sottolineando come la leadership del pastore battista Martin Luther King s’inquadri nel solco della vocazione e del rigore etico che caratterizzarono le vicende esaltanti e drammatiche del Civil Rights Movement che «con la Bibbia in mano e la Costituzione degli Stati Uniti nell’altra» seppe salvaguardare l’essenza più profonda della società americana. U ROCCA G. (a cura di), Filatelia di san Paolo. Philately of St. Paul, Paoline, Roma 2008, pp. 111, € 12,00. n piccolo e anomalo vol., scritto in italiano e inglese, sulla filatelia dedicata a san Paolo. Le immagini dei francobolli di vari stati e in anni molto diversi sono calamitate dalla figura dell’Apostolo delle genti. «Senza pretendere di elencare tutti i franco- U bolli paolini, il vol. vuol mostrare come questo minuscolo rettangolo di carta è un documento della nostra storia (…) uno specchio delle nostre nazioni». La filatelia su san Paolo, tiene anche conto della vita quotidiana del tempo, poi della sua figura e infine della sua posterità (pontefici, istituti religiosi, chiese e monasteri che si rifanno a lui). STOYANOV Y., L’altro Dio. Religioni dualiste dall’antichità all’eresia catara, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 470, € 30,00. 978883722196 all’antico Egitto con i miti di Seth e Osiride alle eresie rappresentate dai bogomili e dai catari, passando per i riti orfici greci, il vol. è per chiarezza e rigore un eccellente strumento per conoscere la storia delle concezioni dualistiche da sempre parallele alla storia del cristianesimo. L’a., avvalendosi anche di fonti primarie e della letteratura fiorita negli ultimi decenni, offre un prezioso contributo per conoscere quel fenomeno religioso che vede l’uomo e il cosmo come campi di battaglia tra le forze del bene e quelle del male: un contribuito che getta luce sulle inquietanti conseguenze che tale lotta ha avuto sul nostro mondo contemporaneo. D VERCELLONI V., Cronologia del museo, Jaca Book, Milano 2007, pp. 310, € 24,00. 978881640798 era e propria cronologia su vita, significato e sviluppo dell’istituzione museale, il vol. descrive attraverso 213 voci la realtà del museo come «luogo di conservazione della storia delle idee, fucina d’interpretazione storica e strumento di comunicazione con l’umanità». L’a., architetto, morto nel 1995 in seguito a un tragico incidente, lascia un testo sintetico ed efficace, frutto della consapevolezza acquisita sul museo nel quadro della cultura occidentale. V ZUCKER S., Yiddish. Lingua, letteratura e cultura. Corso per principianti, Giuntina, Firenze 2007, pp. 310, € 20,00. 978888057293 «L e grandi utopie sono tramontate, almeno per il momento, ma lo spazio dell’utopia è tuttora vitale, più che mai. Come chiamare altrimenti se non impresa utopica la pubblicazione di una grammatica yiddish in italiano? Eppure oggi vede la luce grazie alla caparbia e splendida determinazione di Marisa Romano che ha dedicato oramai più di tre lustri allo studio e all’insegnamento di questa specialissima lingua dell’esilio. L’opera è la traduzione e l’adattamento alla nostra lingua di un eccellente lavoro statunitense e consente a chi volesse intraprendere la grande avventura dello studio dello yiddish da principio di avere a portata di mano uno strumento prezioso e che si rende disponibile con semplicità e precisione» (dalla Prefazione di Moni Ovadia). Politica, Economia, Società DE VITA R., Convivere nel pluralismo, Cantagalli, Siena 2008, pp. 190, € 16,00. 978888272377 partire dai mutamenti economico-finanziari (globalizzazione) l’a. propone di rivedere i modelli e i paradigmi culturali, le regole di convivenza e i valori per dare sviluppo democratico e umanistico alle società (occidentali) che si stanno modificando. Mutamento non significa erosione della propria identità, ma sua riformulazione. Far parte di una stessa società richiede l’accordo su diritti e doveri pattuiti in comune, pur potendo mantenere diversità di principi e uguaglianza di fronte alla legge. Una condizione che richiede l’arte del dialogo e del confronto e l’accettazione piena del pluralismo. Gli ambiti essenziali di questa trasformazione sono l’economia e la finanza, l’immigrazione, il pluralismo culturale, la laicità dello stato, la ragione, le fedi e i valori. A LO PRESTI A., L’ingenuità e la politica. I giovani e le generazioni, Città nuova, Roma 2008, pp. 113, € 10,00. 978883112441 696 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CXC N on si tratta di uno dei tanti libri sulla condizione giovanile nel nostro paese: il vol. parla invece di come la nostra società interpreta la giovinezza. Spesso lo sguardo sui ragazzi è negativo, soprattutto in merito al loro rapporto con la politica, rispetto alla quale essi vengono giudicati disinteressati ma anche inadatti. In realtà, l’a., sociologo, ci mostra che: molti dei pregiudizi sui giovani sono affetti da un «cronocentrismo» che fa vedere il proprio tempo come il migliore, l’ingenuità dei giovani sarebbe in realtà una caratteristica positiva in politica, molti fenomeni storici importanti derivano dai giovani e la loro attuale disaffezione verso la politica deriva dal clima nel quale sono cresciuti. MACCARINI A.M., MORANDI E., PRANDINI R. (a cura di), Realismo sociologico. La realtà non ama nascondersi, Marietti, Milano 2008, pp. 314, € 22,00. 978882118568 l libro inaugura una nuova sezione della collana sul «realismo sociologico», corrente di pensiero nata in area britannica e da studiosi statunitensi ed europei di varia estrazione, che mira a rimettere in contatto le proprie discipline di studio con la cosiddetta «realtà», superando una dicotomia ormai diventata inconciliabile nella sociologia e nella scienza in generale fra positivismo e postmodernismo, fra teorici ed empirici. Questo per superare una sorta d’incapacità della cultura occidentale contemporanea di conoscere e comprendere, per quanto in modo sempre perfettibile, la realtà: «C’è una sorta di crescente divaricazione tra il luogo dove la vita si dipana, in particolare la vita sociale, e ciò di cui si nutre la riflessione teorica sul sociale (…). È , paradossalmente, la stessa realtà delle società complesse a renderle sempre più intrasparenti e irraggiungibili». La struttura del libro segue le dimensioni fondamentali del realismo sociologico: ontologia, teoria sociologica e metodologia. I MARANI D. (a cura di), Darfur. Geografia di una crisi, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2008, pp. 118, € 10,00. 978886189043 n volumetto agile e rigoroso che ricostruisce con passione le fasi di un conflitto, racconta le atrocità che vi sono state commesse e rivela il ruolo di paesi come il Ciad, l’Eritrea, gli USA, la Cina, ma anche l’Italia. Il racconto arriva ai più recenti sviluppi che hanno visto in campo l’ONU e il Tribunale penale internazionale. In coda segue una cronologia e un utile glossario. U RIDOUX N., La decrescita per tutti. - merci + giustizia, Jaca Book, Milano 2008, pp. 141, € 15,00. 978881640811 «L a decrescita non è una crescita negativa, è innanzitutto l’abbandono della religione della crescita», una religione che subordina tutte le dimensioni dell’esistenza all’economia facendo coincidere l’aumento del PIL e la velocità dell’innovazione tecnologica con la diffusione del progresso e della felicità. Nel I c. l’a. mostra perché questi assunti ormai indiscussi per la nostra cultura siano in realtà falsi e la crescita economica comporti invece numerosi aspetti negativi – come la distruzione dell’ambiente – ormai non più tollerabili. Il II c. propone modelli e pratiche alternativi sostanzialmente basati sul chiedersi il senso ultimo di ogni azione e consumo. Pedagogia, Psicologia BARTOLOMEI P., I ragazzi di via Sandri. Maestri di strada e compagni di scuola, Ares, Milano 2008, pp. 118, € 12,00. 978888155418 ttraverso brevi schizzi di storie ed episodi riguardanti diversi alunni, l’a. racconta la sua esperienza di preside dell’«Educazione lavoro istruzione sport», scuola immersa nel quartiere Casal Bruciato, uno dei più critici di Roma. L’istituto, fondato da san Josemaría Escrivá e inaugurato da Paolo VI nel 1965, intende offrire agli studenti un’istruzione tecnica e professionale, ma anche una formazione umana in senso ampio. Le storie narrate ci parlano delle sfide quotidiane – tutte conclusesi positivamente – dei presidi e dei ragazzi. A CXCI IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 697 L ibri del mese / schede BRAMBILLA F.G., A LETTI M., A NGELINI M.I. et al., Accompagnamento spirituale e intervento psicologico: interpretazioni, Glossa, Milano 2008, pp. 101, € 10,00. 978887105243 esti delle relazioni tenute alla giornata di studio organizzata dal Centro studi di spiritualità presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale il 18.1.2007. I relatori: Mario Aletti – docente di Psicologia della religione – ha parlato di «Processi psicologici e accompagnamento spirituale. Specificità e interazioni»; Maria Ignazia Angelini – abbadessa del monastero di Viboldone (MI) – ha trattato de «L’uomo psichico e l’uomo spirituale e le loro ragioni a confronto»; Antonio Montanari – docente di Storia della spiritualità antica – ha presentato «Un cammino esposto al “rischio” di Dio. Accompagnamento spirituale e intervento psicologico». Introduzione di F.G. Brambilla – preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. T CARÙ R., P INCIROLI M., S ANTORO L., Con gli occhi di un bambino. Guida per l’insegnante, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 39, € 4,00. 9 7 88 8 0 1 0 3 9 0 8 CARÙ R., P INCIROLI M., S ANTORO L., Con gli occhi di un bambino. Accompagnare i piccoli nel mondo della sessualità, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 118, € 13,00. 978880103907 «cambiamenti culturali e sociali (…) ci impongono di tenere desta l’attenzione su ciò che giunge agli occhi innocenti dei bambini. Sta a noi adulti fornire loro le lenti per dotare di senso ciò I che li circonda». Nella nostra società può sembrare sempre più difficile educare sessualmente e affettivamente i propri figli, ma è allo stesso tempo più necessario. In questo libro le aa. – due pedagogiste e una piscologa – che da un decennio svolgono formazione sessuale nelle scuole, ci raccontano il loro percorso educativo in una 5a elementare, riportando le domande dei bambini e offrendo ai genitori utili riflessioni. Affrontano attraverso una storia anche il tema della pedofilia. D’A NGELO A., La Terra e le stelle. Ragione e fede nella scuola nell’era del postmoderno, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 223, € 12,00. 9 7 88 8 0 1 0 38 4 9 N on è facile educare nel nostro attuale contesto pluralista e relativista. L’a., sacerdote salesiano da 25 anni, insegnante e direttore dell’istituto salesiano di Napoli-Vomero, ne è consapevole, ma con passione e speranza crede nelle risorse dei giovani e nella possibilità di renderli adulti critici e consapevoli. Dopo una I sezione dedicata a rivisitare alcuni principi pedagogici di don Bosco alla luce del nostro contesto postmoderno, vengono presentate le lettere che il sacerdote ha scritto ai suoi ragazzi, affrontando i temi più vari, come fede, libertà, attrazione, coraggio, speranza, criminalità. DONINI R., B REMBATI F., Come una macchia di cioccolato. Storie di dislessie, Erickson, Gardolo (TN) 2007, pp. 134, € 14,00. 978886137114 e aa. sono una psicoterapeuta e una pedagogista che operano nel campo delle difficoltà scolastiche. In questo libro ci raccontano le storie di otto dei loro pazienti per focalizzare l’attenzione sulla dislessia, un disturbo dell’apprendimento spesso difficile da diagnosticare – non di rado confuso col disagio emotivo-psicologico o con la carenza intellettiva – e fonte di sofferenze anche profonde per il ragazzo e la sua famiglia, ma un disturbo rispetto al quale molto si può fare. Queste storie di vita ci mostrano diversi aspetti della malattia mantenendo due comuni denominatori: la convinzione che l’intervento riabilitativo abbia grandi possibilità e che debba essere fortemente individualizzato. L PELLAI A., L UNELLI G., Scarpe verdi d’invidia. Una storia per dare un calcio al bullismo, Erickson, Gardolo (TN) 2007, pp. 49 + CD, € 18,50. 978886137158 L’ a., medico specialista in educazione alla salute e prevenzione in età evolutiva, è anche curatore di questa collana dell’ed. che, partendo dagli assunti della «Narrativa psicologicamente orientata», affronta tramite la favola le sfide e le difficoltà che i bambini incontrano nella crescita, stimolando la comunicazione fra essi e i genitori. Ogni libro è accompagnato da un CD audio che propone la lettura della storia e gli spunti di riflessione che l’a. offre a genitori ed educatori. In questa favola un bambino di sette anni si scontra con le difficoltà d’inserimento in una nuova classe di compagni, ma riesce a superarle grazie all’aiuto di adulti attenti e capaci d’attivare una comunicazione efficace con lui, fra di loro e coi compagni. Ristampe AA. V V., L’utopia di Francesco si è fatta... Chiara, Cittadella, Assisi (PG) 22008, pp. 265+DVD, € 29,50. 97883080931 DESTRO A., P ESCE M., Forme culturali del cristianesimo nascente, Morcelliana, Brescia (TO) 22008, pp. 199, € 18,00. 978883722291 DODD C.H., Il fondatore del cristianesimo, LDC, Leumann (TO) 2007, pp. 199, € 12,00. 978880103855 7 698 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 CXCII L L ibri del mese / segnalazioni A. CASSESE, VOCI CONTRO LA BARBARIE. La battaglia per i diritti umani attraverso i suoi protagonisti, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 381, € 25. 978880710442 È tempo di bilanci, in materia di diritti umani: sono passati sessant’anni dall’adozione del documento che ha segnato una svolta nella comunità internazionale: la Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma è difficile fare bilanci, perché questa è una materia complessa e ricchissima di implicazioni politiche, giuridiche e sociali. La rivoluzione dei diritti umani iniziò, a livello mondiale e non più su scala esclusivamente nazionale, con il famoso messaggio al Congresso di Franklin Delano Roosevelt (6 gennaio 1941), quando il grande presidente proclamò con forza che quattro libertà fondamentali (la libertà di coscienza, la libertà di religione, la libertà dal bisogno e la libertà dalla paura) dovevano essere riconosciute non solo nei pochi stati democratici allora esistenti, ma in tutto il mondo. Non è un caso che i diritti umani siano stati proclamati da Roosevelt. Come acutamente notò Isaiah Berlin, Roosevelt «è stato il più grande leader della democrazia e il più grande campione del progresso sociale del secolo ventesimo». Negli anni Trenta, quando l’Europa era dilaniata dalla lotta tra fascismo e comunismo, «in un periodo di debolezza e crescente disperazione nel mondo democratico, Roosevelt radiava fiducia e forza». Il pugnace sostenitore dell’eguaglianza economica e della giustizia sociale negli USA non poteva non auspicare, già nel corso della seconda guerra mondiale, che la nuova società internazionale che doveva nascere al termine del conflitto s’ispirasse al rispetto della libertà e dei diritti umani. Da allora la cultura dei diritti umani ha lentamente modificato istituzioni e rapporti internazionali e sollecitato una profonda trasformazione dei regimi politici e sociali, sradicando miti consolidati (quali quello del «dominio riservato» di ogni stato, in cui nessun altro potrebbe ingerirsi, un mito cui so- CXCIII lo la Cina rimane abbarbicata). Oggi si è realizzata l’idea profetica di Kant: la violazione di un diritto in un paese è sentita come tale in ogni altra parte del mondo. La rivoluzione dei diritti umani ha posto al cuore della comunità internazionale due concetti fondamentali, strettamente e indissolubilmente legati l’uno all’altro. Il concetto che, dal punto di vista dei diritti che uno può invocare – ossia delle pretese e delle rivendicazioni che ognuno può avanzare –, non si può e non si deve più distinguere tra cittadino e straniero, tra uomo e donna, tra bianco e nero, tra cristiano ed ebreo, tra musulmano e non musulmano, tra credente e laico. In breve, il concetto di eguaglianza di tutti gli esseri umani, almeno dal punto di vista di ciò che si ha diritto di esigere dalla società e dagli altri. Anche qui, come in tanti altri campi, questo concetto non è stato che la traduzione in termini etico-politici di un grande principio religioso: come scrisse san Paolo nella straordinaria Epistola ai Galati, «non vi è né ebreo né greco, né schiavo né uomo libero, né maschio né femmina, perché siete tutti eguali in Gesù Cristo». Il secondo concetto è quello di dignità della persona umana. È un concetto che Kant aveva indagato, da par suo, già nel 1785, nella Fondazione della metafisica dei costumi. In quell’opera così densa, il grande filosofo aveva notato: «Nel regno dei fini [contrapposti ai mezzi], tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcosa d’altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti è ciò che ha una dignità. (...) Ciò che permette che qualche cosa sia fine a se stessa non ha solo un valore relativo, e cioè un prezzo, ma ha un valore intrinseco, e cioè una dignità. (...) L’umanità [l’essere uomo] è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato dall’uomo (da un altro uomo o da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine. In ciò appunto consiste la sua dignità (personalità), ed è in tal modo che egli si eleva al di sopra di tutti gli esseri viventi che non sono uomini e possono servirgli da strumento». Nella Metafisica dei costumi, del 1797, Kant torna sull’argomento, sottolineando tra l’altro un principio importantissimo, e cioè che è contrario al concetto di dignità punire in modo disumano anche un «uomo malvagio»: «Non posso rifiutare neanche al malvagio il rispetto che gli devo in quanto uomo, perché il rispetto che gli è dovuto in quanto uomo non gli può essere tolto neanche se con i suoi atti se ne rende indegno. E perciò non vi possono essere pene infamanti, che disonorano tutta l’umanità (ad esempio, lo squartamento, il dare i criminali in pasto ai cani, il tagliar loro il naso e le orecchie). Per l’uomo geloso del proprio onore (e che esige, come ognuno deve farlo, il rispetto degli altri) queste pene non solo sono più dolorose della perdita dei suoi beni e della vita, ma fanno anche arrossire di vergogna lo spettatore per il fatto di appartenere a una specie che si comporta in tal modo». Queste parole racchiudono un’altissima lezione d’umanità. Pensate a coloro che ogni giorno, in tante parti del mondo, torturano, seviziano o comunque maltrattano persone sospettate di terrorismo, sentendosi legittimati a umiliare e vessare gli uomini che hanno tra le mani solo perché hanno compiuto o potrebbero aver compiuto atti atroci di terrorismo. Kant ci dice che queste persecuzioni e torture sono contrarie non solo alla dignità della vittima ma anche a quella del carnefice. Orbene, questi concetti elaborati in modo ineguagliato dal filosofo di Königsberg hanno stentato a tradursi in norme giuridiche vincolanti a livello universale. La nostra Costituzione, all’art. 3, § 1, sancisce in modo efficacissimo il concetto, legandolo strettamente a quello di eguaglianza: «Tutti i cittadini [ora, dopo l’interpretazione evolutiva della Corte costituzionale, tutti gli esseri umani presenti sul territorio dello stato] hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Questo concetto di «pari dignità sociale» è bellissimo, come ha sottolineato di recente uno dei padri costituenti, Oscar Luigi Scalfaro (La mia Costituzione, Passigli Editori, 32005, 73). È bellissimo perché vuol dire che il ricco e il povero, il sano e il malato, l’uomo e la donna, il bianco e la persona di colore, l’handicappato e chi è privo di handicap, il vecchio e il giovane hanno tutti la stessa identica dignità: certo, sono diversi per gli accidenti della vita, ma ciascuno di loro ha pieno diritto al rispetto della propria umanità, da parte di tutte le altre persone del mondo. Ora, come ha detto il filosofo tedesco Odo Marquard, «tutti possiamo essere differenti senza paura». Un anno dopo l’approvazione di questa norma e di tutta la Costituzione italiana, a livello planetario venne adottata la Dichiarazione universale, che accoglie gli stessi principi, anche se li formula in maniera meno icastica: all’art. 1, la Dichiarazione statuisce che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». Ma c’è voluto molto per specificare e tradurre questo principio generale in comandi giuridici concreti e operativi. È stato necessario adottare numerose convenzioni internazionali che, ratificate da IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 699 L ibri del mese molti stati, sono diventate imperativi giuridici all’interno di ciascuno di essi. Cosa ha comportato di nuovo, nella comunità internazionale, la cultura dei diritti umani, come si è affermata dal 1945 a oggi? A mio giudizio, non solo ha cercato di radicare nella società degli stati un nuovo ethos, un nuovo modo di vedere e concepire i rapporti tra esseri umani e tra essi e i vari stati in cui si articola la comunità internazionale. Essa ha segnato anche l’introduzione di un nuovo modo di qualificare i comportamenti degli uomini, di classificarli in base a nuovi criteri di valutazione. Quasi ogni giorno i quotidiani riportano resoconti di massacri, discriminazioni, torture, violenze contro donne e bambini. Gli abomini e la sopraffazione non sono certo fenomeni nuovi nella storia. Ora però abbiamo un nuovo parametro di giudizio: possiamo qualificarli come violazione di questo o di quel diritto umano fondamentale. È un progresso indubbio: la comunità internazionale può infatti guardare con occhi nuovi a ciò che avviene e formulare giudizi – condanne, denunce, elogi – che prima operavano solo a livello nazionale. Prima del 1948 l’opinione pubblica di uno stato poteva protestare per le violazioni commesse dal governo di quello stato, o da uno stato straniero, e usava a tale scopo, come parametro di giudizio, i valori dell’Occidente e cioè, in pratica, le Costituzioni dell’Europa occidentale o degli Stati Uniti d’America. Si protestava, ad esempio, perché nell’Unione Sovietica i fondamentali diritti di libertà venivano gravemente conculcati, perché il regime fascista soffocava in Italia la libertà d’espressione e di associazione, perché in molti paesi gli ebrei venivano perseguitati, perché nelle colonie britanniche le popolazioni indigene erano sottoposte a uno sfruttamento disumano, perché negli Stati Uniti d’America i cittadini di colore venivano discriminati. A partire dal 1948, dall’approvazione della Dichiarazione universale, in tutto il mondo disponiamo di un codice internazionale che non solo contiene una serie di precetti, e così serve a farci decidere come comportarci, ma ci consente anche di valutare i comportamenti delle autorità governative. Disponiamo ora di parametri che valgono sia per gli stati che per gli individui: i principi internazionali sui diritti umani impongono linee di comportamento, esigono dai governi azioni di un certo tipo e nello stesso tempo legittimano gli individui a levare alta la loro voce se quei diritti non vengono rispettati. Antonio Cassese* * Il testo, qui riprodotto per gentile concessione dell’editore, costituisce la Prefazione del volume. Di Antonio Cassese è uscito, sempre in questi giorni e per il medesimo editore, Il sogno dei diritti umani, pp. 180, € 14. Nel l’anno di Paolo L’ apertura dell’anno dedicato al bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti, dal 29 giugno 2008 al 29 giugno 2009, che di fatto ha coinciso con la celebrazione del Sinodo dei vescovi dedicato alla parola di Dio (cf. Regno-doc. 19,2008 e in questo numero a p. 665ss), e che in Italia ha visto la contemporanea presentazione al pubblico della nuova traduzione della Bibbia (cf. Regno-att. 20,2007,657ss), ha suscitato negli editori italiani un’abbondante proposta editoriale, che qui proveremo a presentare a grandi linee. I «classici» Innanzitutto vi è stato un largo spazio dato alle ristampe di testi «classici» sia dell’esegesi sia dello studio su Paolo e il suo corpus sia delle meditazioni a partire dalle sue lettere: prendiamo in considerazione, per ordine cronologico della prima pubblicazione, il testo di JOSEPH HOLZNER (1877-1947), L’apostolo Paolo, pubblicato da Morcelliana (82008, mentre la 1a edizione è del 1939), che in Germania ha avuto 25 edizioni ed è stato tradotto in 8 lingue: un volume che con maestria presenta i tratti della storia della civiltà, della cultura e della religione della sua epoca, facendo emergere gli elementi di novità dell’Apostolo come quelli di continuità. Una seconda riproposizione è quella di JOSEPH FITZMYER, Paolo. Vita, viaggi, teologia, che l’editrice Queriniana, nella collana GdT n. 332, ha tratto dall’edizione italiana del Nuovo commentario biblico (Queriniana 22002): in essa vengono rese disponibili le informazioni e le conoscenze su Paolo e le origini del cristianesimo con rigore esegetico e con chiarezza di sintesi. 700 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Di WALTER SCHMITHALS, teologo e rettore della Kirchliche Hochschule di Berlino, viene poi ripresentato dall’editore Lindau (Torino) Introduzione alla Lettera ai Romani, che ha visto la luce nel 1990. Entrambi pubblicati per la prima volta nel 1996, vi sono poi due volumi delle Paoline di taglio spirituale: il noto biblista Bruno Maggioni ripropone la struttura del principio architettonico della teologia paolina, il suo rapporto con la tradizione di Gesù e con la tradizione apostolica e con le varie comunità ne Il Dio di Paolo. Nel volume di ALBERT VANHOYE, Pietro e Paolo. Esercizi spirituali biblici, il cardinale ripropone una serie di meditazioni – rielaborate a partire da una serie di predicazioni –, invitando a mettersi alla sequela sia di Pietro sia di Paolo, il teologo e il pastore, i due volti della medesima Chiesa. Nuova è anche l’edizione del testo del biblista gesuita FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS, il cui testo Paolo di Tarso evangelo di Gesù, uscito per i tipi di LIPA nel 1998, insiste sulla continuità tra fede d’Israele e Vangelo di Gesù, con al centro Gerusalemme. Ha poi un sapore particolarmente denso di memoria la ripubblicazione da parte delle EDB nel 2008, a un anno di distanza dalla sua prematura scomparsa, de La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare, di G. BARBAGLIO, 3a edizione dopo la 1a del 2001. Sempre di EDB segnaliamo, infine, la ristampa del volume di MAURO ORSATTI, Il capolavoro di Paolo. Lettura pastorale della lettera ai Romani, da parte delle EDB (1a ed. del 2002) nella collana «Bibbia e spiritualità». CXCIV A. PINET (A CURA DI), LA PALA DI GAND, Jan e Hubert van Eyck, Marietti 1820, Torino 2008, pp. 114, € 70,00. 9788821177651 D avanti alla pala di Gand, come davanti alla Bibbia, ci coglie una stessa impressione di meraviglia e di mistero. Noi consideriamo la Bibbia un li- Le novità bro sacro e ispirato, la cui lettura si rivela però difficile; qualcosa di simile si manifesta alla vista della pala de L’Agnello mistico: rapimento e meraviglia, ma anche domanda. In Gesù Cristo la Bibbia trova il suo centro e la sua spiegazione: l’Antico Testamento lo prefigura e l’annuncia nel suo chiaroscuro profetico; i Vangeli ci riportano i racconti della sua venuta, della sua morte e della sua risurrezione; il seguito Nel secondo gruppo di pubblicazioni raccogliamo i numerosi testi scritti e pensati ex novo a partire dalla ricorrenza paolina: innanzitutto come guida di taglio pastorale, come i tre volumi di Elledici In cammino con san Paolo. Schede di lavoro per l’anno paolino, preparato dal SETTORE APOSTOLATO BIBLICO DELL’UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE; Paolo di Tarso curato da FABIO FERRARIO; e Sui passi di Paolo. Guida spirituale storica e geografica ai viaggi di san Paolo, di CRISTINA BENEDETTI, GIOVANNI GODIO E MARISA PATARINO. Poi vi sono i testi che offrono percorsi spirituali sul suo epistolario: come l’opera di FRANCO BROVELLI, La scommessa di Paolo. Essere apostoli nella dispersione, di Àncora, che rivisita in particolare la Prima lettera ai Corinti; o quella di DIEGO COLETTI, Le catene della speranza. Riflessioni sulle lettere di Paolo dalla prigionia, dell’editrice San Paolo, incentrata più sui toni intimi di Efesini, Filippesi e Colossesi; quella del benedettino ANSELM GRÜN, Paolo e l’esperienza religiosa cristiana, pubblicato da Queriniana; e infine quella di FRANÇOIS VOUGA, Io, Paolo. Le mie confessioni delle Paoline, dove il biblista, docente di Nuovo Testamento si cimenta nel genere letterario del diario (sull’esempio agostiniano) che fa di Paolo un personaggio vivo, capace di narrare all’oggi la propria storia di paladino della libertà dell’uomo, frutto dell’incontro col Cristo risorto. A seguire, vi sono i commenti esegetico-spirituali, come quello del biblista JEROME MURPHY-O’CONNOR, Prima lettera ai Corinzi. Una comunità impara ad amare (Cittadella), con indicazioni spirituali per l’oggi; e di ANTONIO PITTA, Seconda lettera ai Corinzi (Città nuova), che offre a partire dal nucleo della lettera, la magna charta dell’apostolato, un commento di taglio divulgativo rispetto a quello apparso per Borla nel 2006. Un altro gruppo è costituito dalle opere di autori che tematizzano in particolare l’attualità del variegato pensiero paolino, come FRANCO MANZI ne Paolo, apostolo del risorto. Sfidando le crisi a Corinto (San Paolo), dove il nucleo teologico di Paolo «immedesimato» in Cristo, viene articolato sul tema della comunità, dei carismi, della speranza e della chiamata universale alla salvezza; come ANDREA RICCARDI, che nel suo breve Paolo uomo dell’in- CXCV del Nuovo Testamento lo presenta glorificato al cielo e tuttavia sempre presente alla sua Chiesa terrestre che egli accompagna invisibilmente, ma sicuramente nella sua peregrinazione. La stessa chiave che ci ha dato accesso all’unità della Bibbia ci introduce alla comprensione della pala di Gand. Un primo indizio orienta la nostra riflessione in questo senso: l’Agnello mistico costituisce il centro dell’opera, verso di lui si abbassano gli sguardi di Dio, degli angeli, dei santi e delle sante, e ancora verso di lui convergono i movimenti delle moltitudini umane sulla terra. Verso di lui Adamo ed Eva sembrano cercare soccorso e da lui scaturisce la vita, non solamente la vita lussureggiante e primaverile, così ricca nella varietà delle sue espressioni e così ben resa da Van Eyck, ma anche e soprattutto la vita eterna portata all’uomo dall’Agnello. Chiusa, la pala non è per noi sigillata, ma ci introduce nel cuore del mistero, contro (Paoline), rilegge l’Apostolo come stimolo all’incontro ecumenico e interreligioso, luoghi cari alla storia della Comunità di Sant’Egidio; come lo studio più tecnico ma cruciale sulla domanda ancora di forte attualità sulla possibilità di salvezza per coloro che non hanno ricevuto l’annuncio di Cristo o l’hanno rifiutato, di ALESSANDRO SACCHI, Paolo e i non credenti (Paoline). Rientra in questo ambito anche se si distingue per area disciplinare il testo collettaneo curato da ANICETO MOLINARO, Heidegger e san Paolo (Urbaniana), dove si riprendono le lezioni giovanili del filosofo che si era confrontato con l’analitica esistenziale paolina. A partire dalle più recenti acquisizioni di tipo esegetico, vi sono poi i volumi di noti biblisti come RINALDO FABRIS, Paolo di Tarso (Paoline) che ha riscritto una rigorosa biografia su Paolo; e JEROME MURPHY-O’CONNOR, Gesù e Paolo (San Paolo), che, intrecciando elementi storici, culturali e geografici, propone un singolare parallelismo tra le due biografie. Infine, il grande e ricco mondo dei commentari e degli studi scritturistico-teologici. Qui naturalmente, per sua specifica vocazione editoriale campeggia Paideia, con almeno tre titoli che sono contigui all’anno di Paolo: Seconda lettera ai Corinti. Volume I. Introduzione. Commento ai capp. 1-7, di MARGARET E. THRALL, n. 8.1 della collana «Commentario Paideia – Nuovo Testamento»; Conflitto e identità nella Lettera ai Romani, di PHILIP F. ESLER, n. 40 della collana «Introduzione allo studio della Bibbia – Supplementi»; Lettera a Filemone. Traduzione, introduzione e commento, di KLAUS WENGST, n. 157 della collana «Studi biblici». La fitta bibliografia di studi e commenti sull’Apostolo si è arricchita anche dei contributi di altre case editrici: di Cittadella, con la raccolta in un unico volume curata da BRUNO MAGGIONI e F. MANZI, dei commentari alle Lettere di Paolo; di Claudiana, con la pubblicazione de L’apostolo Paolo, a firma del vescovo anglicano di Durham e biblista a Oxford NICHOLAS T. WRIGHT; infine di EDB, che sta per pubblicare il 3o volume – i due precedenti sono del 2004 e del 2006 – dell’approfondito commento di ROMANO PENNA, alla Lettera ai Romani. III. Rm 12-16. M.E. G. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 701 L ibri del mese quello dell’incarnazione del Verbo di Dio. Nel registro superiore, quattro annunci lontani di questo mistero: due profani, quelli delle sibille d’Eritrea e di Cuma e due religiosi, dei profeti Michea e Zaccaria, ispirati dal popolo ebreo, ci collocano nell’attesa della «venuta» del Redentore. In compenso, nel registro inferiore, le figure del Battista e di Giovanni l’evangelista, affiancate da quelle dei donatori, ci inseriscono nel tempo dell’accoglienza e ci preparano a quello della Chiesa, dei sacramenti e dell’adorazione. Aperta, la pala ci presenta l’alfa e l’omega della Bibbia, la Genesi e l’Apocalisse, simboleggiate da Adamo ed Eva e dall’Agnello immolato. La prima coppia viene a essere come «prolungata» attraverso la sua discendenza, religiosa (offerta di Caino e di Abele), ma anche fratricida (uccisione di Abele da parte di Caino). Il pannello centrale, l’Agnello mistico, è un capolavoro la cui densità spirituale e biblica è paragonabile soltanto alla sua bellezza pittorica. È sormontato da una «Deesis», immagine del Cristo circondato dalla Vergine Maria e dal Battista, nella quale Dio Padre ha sostituito, nel corso dei tempi, il suo unico Figlio. Angeli musicanti e cantori collegano questa corte celeste alla nostra umanità raffigurata attraverso la sua origine. La denominazione abituale di quest’opera, Trittico dell’Agnello mistico, ben rappresenta la realtà in quanto Cristo, agnello di Dio, ne costituisce proprio il centro. Tuttavia, questa definizione sembra trascurare i venticinque pannelli che attorniano il principale. L’insieme dell’opera sarebbe meglio reso dal titolo «Trittico del corpo di Cristo» che, alla maniera rinascimentale, si potrebbe sviluppare così: «Corpo di Cristo, prefigurato nell’Antico Testamento e annunciato dai profeti, concepito dallo Spirito e nato dalla Vergine Maria; morto in sacrificio di redenzione, risuscitato e glorificato alla destra del Padre per i secoli e sempre presente alla sua Chiesa». In poche righe, tutto il mistero cristiano rivelato dalla Bibbia viene annunciato così come è dipinto sulla pala di Gand da Van Eyck. L’Agnello, simbolo dell’Innocente immolato, ci ricorda che Cristo è morto per tutti gli uomini. Il dipinto costituisce una storia della salvezza. André Pinet* * Il testo, qui riprodotto per gentile concessione dell’editore, appare nel volume curato da PINET, La pala di Gand con il titolo «Il trittico del corpo del Cristo». 702 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Le interviste del presente S i parla di giovani, ma anche di scienza, di povertà e di educazione. La collana «Interviste» dell’editrice La Scuola di Brescia, diretta da Paola Bignardi, si presenta al lettore in maniera agile e immediata. Sono piccoli libretti strutturati secondo uno schema fisso per tutti i temi – l’intervista a un unico personaggio su un tema specifico – che hanno le caratteristiche del colloquio orale trasportato su carta. Il primo di questi volumi (di cui in questa sede abbiamo scelto di presentarne solo alcuni) ha voluto focalizzare il tema dei giovani di oggi. L’autore, il giornalista Francesco Rossi ha colloquiato con mons. Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico nazionale dell’Azione cattolica. Un modo originale per scandagliare un universo rispetto a vari ambiti – famiglia, tecnologia, affettività, lavoro, fede. «Essere giovani – risponde mons. Sigalini a conclusione del libro, dopo un’articolata risposta alla domanda di tracciare un identikit dettagliato del ragazzo odierno – è aspettarsi che qualcuno ti prenda in carico, rispettando la tua libertà e ti aiuti a rischiare di fare della tua vita un capolavoro». Il tema della povertà è stato poi scandagliato dal giornalista di SAT 2000 Marco Bergamaschi, con don Virginio Colmegna, direttore della Casa della carità di Milano, in prima linea nella metropoli lombarda per fornire assistenza con progetti di promozione umana nei confronti del disagio e della marginalità che non si limitino all’assistenza: «Una società civile deve impegnare le proprie energie e le proprie competenze per contrastare l’indigenza – si legge nella presentazione del volume – recuperando soprattutto la dignità personale. Un appello affinché la povertà non smetta di scandalizzare e di rinnovare lo slancio evangelico alla carità». Due volumi di prossima uscita riguardano ancora l’educazione e lo sport. Nel primo Paola Bignardi, ex presidentessa nazionale di Azione cattolica e oggi direttrice di Scuola italiana moderna, fa parlare tredici «educatori», impegnati in ambiti diversi, dagli oratori, ai mass media, sulla necessità di ripensare il modello educativo odierno. Nel secondo, il direttore del Centro sportivo italiano e presidente della Fondazione «Giovanni Paolo II» per lo sport, Edio Costantini, partendo dal presupposto che «in Italia quindici milioni di persone praticano l’attività sportiva» conclude che «lo “sport educativo” non si può improvvisare, ma dev’essere strutturato e organizzato in quanto tale, attraverso progetti, strumenti e operatori specializzati». In questa collana c’è spazio anche per parlare di legalità e a farlo è stata chiamata Rita Borsellino, che, sollecitata da Gennaro Ferrara, giornalista di SAT 2000, ha ripercorso l’itinerario di vita del fratello Paolo, ucciso nella strage di via d’Amelio nel 1992. Non si tratta di un ricordo fine a se stesso, ma di come ciò che è accaduto ha inciso nella vita stessa della donna che, dopo essere stata per anni vicepresidente di Libera, oggi ricopre il ruolo di deputata all’Assemblea regionale siciliana, per non far smettere di vivere la speranza di liberare la sua terra e non solo dalla morsa dei poteri criminali, aprendosi a una prospettiva più grande, soprattutto nel confronto con le giovani generazioni. Infine la scienza, un tema caldo e attuale per le ripercussioni sempre più forti sulla vita dei cittadini, in una società che sperimenta sempre di più il limite umano in questo ambito. Evandro Agazzi, filosofo della scienza presso l’Università di Genova, viene intervistato da Giuseppe Bertagna, direttore del Centro di Ateneo per la qualità dell’insegnamento dell’Università di Bergamo. A partire dal vissuto di Agazzi l’intervistatore compie un excursus storico sulla materia, leggendola anche in una prospettiva di dialogo con l’etica e la fede. Francesca Lozito CXCVI Francia Te s t i m o n i Soeur Emmanuelle D alla mia entrata nella vita religiosa, nel 1931, mi sono affidata corpo e anima alla Vergine perché mi custodisse nella fedeltà. Lo ha fatto. Ringraziatela con me! Yalla – avanti! È appassionante vivere amando»: sono le ultime righe del testamento spirituale di suor Emmanuelle, morta il 20 ottobre scorso. Devozione mariana, citazione araba, linguaggio non ecclesiastico: caratteristiche della sua singolare figura di testimone della carità, icona mediatica e suora dal franco parlare. Nata il 16 novembre 1908 a Bruxelles in una famiglia cattolica con alcune radici ebraiche, a sei anni assiste impotente all’annegamento del padre. Entra nella congregazione di Notre-Dame-de Sion nel 1929. Dal 1932 al 1970 insegna lettere e filosofia nei collegi della congregazione in Turchia, a Tunisi e in Egitto. Pensionata, nel 1971 parte per il Cairo e vive per vent’anni nelle bidonville dei poveri straccioni, diventando una di loro e animando una rete sempre più estesa di iniziative a loro favore. Nel 1993 rientra in una casa di riposo in Francia proseguendo un’animazione intensa soprattutto nei media (libri, interviste, dibattiti televisivi). Le sue quattro stagioni di vita sono tutte attraversate da una personalità travolgente, dal radicalismo evangelico e dalla difesa delle ragioni dei poveri. Come molti, anche il card. Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, l’ha associata nel ricordo all’abbé Pierre (cf. Regno-att. 4,2007,138). Con la stessa libertà di parola sulle proprie e altrui debolezze, sulla cultura comune e sulle pratiche ecclesiali. L’avvio di una simpatia amorosa con un collega insegnante e il ricordo delle offerte di diversi ragazzi nella sua giovinezza, fra cui un tedesco, le hanno fatto scrivere: «Anche se sulla mia tomba non crescessero che dei denti di leone e se la mia anima si annientasse con quella del mio gatto, lo stesso sarebbe valsa la pena di lasciare il mio bel tedesco… e qualcun altro», ma «attenzione, io non ho un’anima da gat- to. Io credo con la durezza del ferro alla risurrezione dei morti e alla vita eterna». Con la stessa fedeltà dell’abbé Pierre alla Chiesa che sognava «serva e povera, irradiante amore evangelico perché possa maturare un mondo più giusto e fraterno». «Ha sempre osato dire con chiarezza le cose – ha ammesso il card. Danneels –, ma non si schierava in forma oppositiva». Un atteggiamento che riservava anche alla cultura laica quando dissentiva. Non ha nascosto, anche nella decina di libri editi negli ultimi decenni, i propri dubbi e le proprie crisi di fede, buttandosi a capofitto in una ricerca anche sulle sponde dell’islam, del giudaismo, del buddhismo, con particolare attenzione alla ricerca di Pascal. Come l’abbé Pierre ha messo in piedi un’associazione attiva in otto paesi, capace di alimentare 207 progetti: dai dispensari alle scuole, dalle aziende agli ospedali, dal vo- Ecumenismo KEK Divisioni ortodosse N ei giorni 6-11 ottobre, a ParalimniProtaras (Cipro), si è tenuto l’incontro annuale del Comitato centrale della Conferenza delle Chiese europee (KEK). Il Comitato ha discusso lo stato della preparazione della prossima assemblea della KEK, «Chiamati a una sola speranza in Cristo», che si terrà a Lione nel luglio 2009 per ricordare il 50° anniversario della fondazione della KEK. In vista dell’Assemblea di Lione sono stati nominati il moderatore, Alison Elliot, ex moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, e i vicemoderatori, il vescovo Irinej Dobrijevic della Chiesa serba ortodossa e il pastore metodista inglese Arlington Trotman, moderatore della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (CCME). L’11 ottobre l’arciprete Vsevolod Chaplin, rappresentante della Chiesa ortodossa russa, ha comunicato la decisione del patriarca Alessio II di sospendere la partecipazione lontariato all’aiuto minuto e quotidiano. Aveva lasciato da tempo la direzione della sua associazione (Aiuto sociale e medico per l’infanzia) ricordando come i suoi aiutanti e le sue consorelle fossero stati decisivi nel «temperare» i suoi personalismi vulcanici. Per queste attività aveva accettato una esposizione mediale molto alta diventando rapidamente una delle figure più ammirate e credibili nel paese. Ma, dopo aver visto l’apoteosi pubblica dell’abbé Pierre alla sua morte, aveva imposto che le sue esequie fossero strettamente familiari e comunitarie. L’inevitabile omaggio pubblico, che ha visto schierare le maggiori cariche della Repubblica in una marea di gente nella cattedrale di Parigi, sarebbe stato utile solo come un’occasione per rinnovare il suo appello per i poveri e per la qualità della fede della sua Chiesa. R. P. della Chiesa ortodossa russa alla KEK. La ragione di questa decisione è stata trovata nell’incapacità della KEK di prendere una decisione ufficiale sull’ingresso come membro della Chiesa ortodossa estone, legata al Patriarcato di Mosca. Nel novembre 2007 il Comitato centrale della KEK aveva accolto tra i suoi membri la Chiesa ortodossa apostolica di Estonia, che è legata al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in considerazione di un accordo più vasto che prevedeva l’ingresso nella KEK anche della Chiesa ortodossa estone una volta fosse stata accertata la sua conformità ai criteri per l’ammissione. Nonostante queste verifiche, non è stato possibile procedere all’ammissione a causa dell’ostruzionismo del Patriarcato di Costantinopoli e della Chiesa di Grecia, i quali si sono mossi in prima istanza per rinviare la votazione e poi, l’11 ottobre, una volta che questa è stata indetta, si sono allontanate dall’aula facendo mancare il quorum. Queste azioni hanno scatenato la reazione del Patriarcato di Mosca. Il pastore Jean-Arnold de Clermont, segretario generale della KEK, ha espresso il suo più profondo rincrescimento per la decisione del Patriarcato moscovita, tanto più che questa decisione sembra non voler tener conto dell’orientamento della KEK per il riconoscimento della Chiesa ortodossa estone quale proprio membro. Inoltre la KEK si è detta disposta a promuovere un riavvicinamento tra le due Chiese ortodosse dell’Estonia sulla strada della prossima riunione del Comitato centrale della KEK, prevista per febbraio 2009. R. B. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 703 d diario ecumenico OTTOBRE I cristiani contro il «traffico degli esseri umani». Dal 29 settembre al 1° ottobre, a New York, si tiene un convegno internazionale ecumenico contro il «traffico degli esseri umani» promosso dal Consiglio delle Chiese di Cristo degli Stati Uniti e dai Metodisti uniti. L’intento è quello di definire una strategia comune a tutti i cristiani statunitensi per combattere quella che rappresenta «la terza più grande industria criminale del mondo». Di recente, ricorda Ann Tiemeyer, responsabile delle Donne pastore per il Consiglio, è stato sancito che la violenza contro gli esseri umani e la loro vendita è un crimine contro l’umanità e un peccato contro Dio. Visita ecumenica a Mosca. Dal 30 settembre al 4 ottobre l’arcivescovo di Napoli, card. Crescenzio Sepe, accompagnato da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo della Conferenza episcopale italiana, e dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, compie una visita a Mosca, accogliendo così l’invito rivoltogli dal patriarca Alessio II. Il patriarca e il cardinale sottolineano l’importanza di un’azione comune dei cristiani nell’annuncio del Vangelo in Europa e ricordano anche l’incontro interreligioso, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, a Napoli nell’ottobre 2007: vi prese parte anche Benedetto XVI, del quale il card. Sepe reca ad Alessio II un messaggio. Il 22 a Roma verrà resa nota la risposta di Alessio II. Firma della modifica alle Intese. Il 3, a Roma, il presidente del Consiglio Berlusconi firma la modifica alle Intese della Repubblica italiana con l’Unione delle Chiese metodiste e valdesi e con l’Unione delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno. Per i valdesi la modifica riguarda la possibilità di accedere alle quote dell’8 per mille dell’IRPEF non espresse dai contribuenti, mentre agli avventisti si riconoscono i titoli rilasciati dall’Istituto di cultura biblica di Firenze. Dialogo interreligioso e Cina. Dal 3 al 6, a Stoccolma, si tiene il seminario di studio internazionale sul dialogo interreligioso e la Cina, dal titolo «Religion and Society: the challenge of multiple identities». Ospitato dalla Fondazione Sigtuna, promosso dalla Fondazione Forum China-Europa e dalla Fondazione Charles Léopold Mayer per lo sviluppo umano, vi prendono parte studiosi delle religioni e rappresentanti del buddhismo, dell’islam, del cristianesimo e delle religioni tradizionali cinesi dall’Europa e dalla Cina. I partecipanti discutono del rapporto tra la religione e la società nell’età contemporanea, alla luce di alcuni esempi concreti, dove si è realizzata la compresenza di comunità religiose, che hanno goduto della libertà religiosa e di un rapporto paritario con lo stato. Risposte alla lettera dei 138. Dal 18 al 20, a Chavannes-deBogis (Ginevra), si tiene il seminario di studio sul rapporto tra dialogo ecumenico e dialogo islamo-cristiano promosso dal Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) che vede la partecipazione fra gli altri di rappresentanti dell’Alleanza evangelica mondiale (WEA) e della Chiesa cattolica. Sotto la direzione di Aram I, capo della Chiesa apostolica armena, moderatore del Comitato centrale del CEC dal 1991 al 2006, si ha un confronto sullo stato del dialogo islamo-cristiano, che si è venuto articolando in molte forme soprattutto dopo la lettera dei 138 sapienti musulmani (cf. Regno-doc. 19,2007,588ss). Con lo stesso approccio dieci giorni prima, l’8, a 704 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 New York, il Consiglio delle Chiese di Cristo degli Stati Uniti (NCCC) ha approvato una risposta ufficiale alla lettera dei 138 dichiarando di condividerne pienamente la prospettiva. Nuovo segretario per la AACC. Il 9, a Nairobi, viene eletto il nuovo segretario della Conferenza panafricana delle Chiese (AACC). Si tratta del teologo presbiteriano ruandese Andrè Karamanga, che sostituisce il metodista sudafricano Mvume Dandala e resterà in carica per cinque anni. Incontro dei leader ortodossi. Dal 10 al 12, a Costantinopoli, si tiene la Sinassi dei capi delle Chiese ortodosse (cf. Regnoatt. 18,2008,606). Lettura ecumenica della Bibbia. Il 14, a Roma, vengono firmati gli accordi tra la Federazione biblica cattolica e le United bible societies (UBS) per collaborare alla traduzione della Scrittura in lingua materna e la promozione della sua diffusione. La firma avviene prima della presentazione dell’Inchiesta internazionale sulla lettura della Bibbia in prospettiva ecumenica a cui intervengono il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, mons. Vincenzo Paglia, presidente della Federazione biblica cattolica, il pastore Miller Milloy, segretario generale delle UBS. Cristiani e musulmani, cittadini e uomini di fede. Dal 20 al 23, a Malines, si tiene il convegno, organizzato dal Comitato per i rapporti con i musulmani in Europa (CRME) della CCEE e del CEC, dal titolo: «Christian and Muslims: European Citiziens and People of Faith» (cf. in questo numero a p. 669). Visita ecumenica a Mosca. Il 28, a Mosca, il patriarca di Mosca Alessio II riceve il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi alla sua prima visita a Mosca, ed esprime l’augurio di una sempre migliore conoscenza dell’eredità culturale e spirituale della Chiesa ortodossa russa in Francia. Il card. Vingt-Trois è latore di un messaggio di saluto da parte di Benedetto XVI e del card. Walter Kasper e visita i monasteri delle isole Solovki per rendere omaggio ai martiri ortodossi sotto il comunismo. Messaggio per la celebrazione del Diwali. Il 28 viene reso pubblico il messaggio del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso alle comunità indù in occasione della celebrazione del Diwali, in cui si denuncia la «strumentalizzazione della religione, che, contrariamente alle sue convinzioni fondamentali, viene utilizzata per compiere tante forme di violenza». Si vuole rivolgere un invito a cessare ogni atto di violenza, con un implicito riferimento agli attacchi contro i cristiani in India degli ultimi mesi (cf. Regnodoc. 17,2008,579ss e Regno-att. 18,2008,631ss). Dialogo con gli ebrei. Il 30, a Roma, Benedetto XVI riceve una delegazione del Comitato internazionale ebraico per le consultazioni interreligiose (IJCIC). Il pontefice ricorda gli oltre trent’anni di incontri tra la Santa Sede e il Comitato per approfondire il dialogo ebraico-cristiano, che per i cattolici ha una pietra miliare nella dichiarazione Nostra aetate che «condanna ogni forma di antisemitismo». Benedetto XVI ricorda i recenti incontri con comunità ebraiche a New York, Parigi e in Vaticano e assicura la sua preghiera per l’incontro del prossimo mese a Budapest su «Religione e società civile oggi», al quale prenderà parte anche una delegazione della Commissione della Santa Sede per i rapporti con l’ebraismo. Riccardo Burigana a a agenda vaticana OTTOBRE Humanae vitae. «Possiamo chiederci: come mai oggi il mondo, e anche molti fedeli, trovano tanta difficoltà a comprendere il messaggio della Chiesa, che illustra e difende la bellezza dell’amore coniugale nella sua manifestazione naturale»: così il papa in un messaggio del 3 ottobre al congresso internazionale «Humanae vitae: attualità e profezia di un’enciclica», organizzato dal Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia e dall’Università cattolica del Sacro Cuore. Sinodo, Cina. Al Sinodo sulla parola di Dio (5-26 ottobre; cf. Regno-doc. 19,2008,585ss e in questo numero a p. 665s) ci sono i vescovi di Macao e di Hong Kong, ma non vi sono quelli della Repubblica popolare cinese. «(Ci sono stati) colloqui con le autorità cinesi per vedere se altri vescovi dalla Cina potessero venire. È stato chiaro che non ci sarebbe stato accordo e che loro non sarebbero venuti», dice p. Lombardi il 3 ottobre. Nell’omelia di chiusura dell’assemblea, il 26 ottobre, Benedetto rivolge un «pensiero speciale ai vescovi della Cina continentale, che non hanno potuto essere rappresentati in quest’assemblea sinodale. Desidero qui farmi interprete e renderne grazie a Dio, del loro amore per Cristo, della loro comunione con la Chiesa universale e della loro fedeltà al successore dell’apostolo Pietro». Papa al Quirinale. «Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali, peraltro, si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo»: così parla il papa il 4 ottobre in visita al Quirinale. Ratzinger legge Genesi 1 in TV. Il 5 ottobre il papa apre il programma di RAI International La Bibbia giorno e notte – che trasmette una lettura continuata della Bibbia affidata a 1.250 lettori di 50 paesi, tra i quali una ventina di ortodossi, una trentina di protestanti, 17 ebrei e 6 musulmani – con la lettura registrata del primo capitolo della Genesi. Gli altri leggono dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Ideatore del programma è Giuseppe De Carli. Pio XII. Il 9 ottobre, celebrando il 50° della morte di Pio XII, il papa invita a pregare «perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del servo di Dio». La questione torna d’attualità il 18 ottobre per un’intervista di p. Peter Gumpel, postulatore della causa, che motiva la lentezza del papa nel firmare il decreto sulle virtù eroiche con la sua volontà di «avere buoni rapporti con gli ebrei». Afferma anche che Benedetto non andrà in Israele fino a quando non sarà rimossa – nel Memorial di Yad Vashem – la didascalia apposta a una foto di papa Pacelli che ne evidenzia polemicamente il «silenzio» sulla Shoah. P. Lombardi precisa che la questione della didascalia «per quanto rilevante non si può considerare come determinante per una decisione su un eventuale viaggio». Quanto alla causa, afferma che il papa «non ha a tutt’oggi firmato il decreto sulle virtù eroiche del servo di Dio Pio XII, firma che è la premessa per la prosecuzione dell’iter della causa: ciò è oggetto da parte sua di approfondimento e di riflessione, e in questa situazione non è opportuno cercare di esercitare su di lui pressioni in un senso o nell’altro». Infine il 30 ottobre, in margine a una visita in Vaticano del rabbino David Rosen, presidente del Jewish Committee, p. Lombardi chiarisce che per l’apertura degli archivi riguardanti l’intero pon- tificato pacelliano (chiesta al papa dagli ospiti) ci vorranno «sei o sette anni». Cristiani in India e Iraq. «Chiedo con forza ai responsabili delle violenze di rinunciare a questi atti e di unirsi ai loro fratelli e sorelle per costruire insieme una civiltà di amore»: così parla il papa il 12 ottobre al termine della canonizzazione della prima santa indiana, Anna Muttathupandathu (1910-1946), con riferimento alle violenze di fondamentalisti indù contro i cristiani nello stato indiano di Orissa, che hanno provocato – secondo L’Osservatore romano – 80 morti dal 24 agosto (cf. Regno-doc. 17,2008,579ss e Regnoatt. 18,2008,631ss). Benedetto torna sul tema delle persecuzioni dei cristiani domenica 26, chiudendo il Sinodo. Disarmo. «La conferenza sul disarmo non ha un programma di lavoro da oltre 10 anni e la mancanza di volontà politica su questi temi è sconcertante»: così parla il 16 ottobre alla LXIII Sessione ordinaria dell’Assemblea dell’ONU sul disarmo l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore alle Nazioni Unite. «Gli Stati e in particolare le grandi potenze – dice ancora – aspirano alla maggior libertà possibile in ambito nucleare nazionale e allo stesso tempo auspicano un controllo incisivo a livello regionale e internazionale. Questo spiega anche lo scarso interesse nei confronti del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e l’impossibilità di raggiungere il quorum per l’approvazione del Trattato per la messa al bando dei test nucleari». Pompei. Il 20 ottobre il papa è in visita a Pompei. Fa discutere i media il fatto che Benedetto nei discorsi non faccia riferimento esplicito alla camorra e alla gran quantità di uccisioni di cui è responsabile negli ultimi mesi. «Ne aveva parlato il 20 ottobre dell’anno scorso a Napoli e stavolta il viaggio aveva il carattere di un pellegrinaggio» spiega il vicedirettore della Sala stampa vaticana Ciro Benedettini. Sinodo sulla Parola. Il Sinodo sulla parola di Dio (vedi sopra «Cina» e sotto «Segreteria») termina il 26 ottobre. Il giorno 25 vengono pubblicate 55 proposizioni destinate al papa. La Proposizione 17 chiede l’estensione del lettorato alle donne: «Si auspica che il ministero del lettorato sia aperto anche alle donne, in modo che nella comunità cristiana sia riconosciuto il loro ruolo di annunciatrici della Parola» (Regno-doc. 19,2008,647). Don Mietek a Leopoli. Il 21 ottobre il papa nomina arcivescovo di Lviv dei latini in Ucraina il vescovo coadiutore Mieczyslaw Mokrzycki, al posto del card. Marian Jaworski, che va in pensione. Il nuovo arcivescovo è noto in curia e nei media per essere stato uno dei segretari di papa Wojtyla e del primo periodo di papa Ratzinger. Sinodo, Segreteria. Il 25 ottobre vengono pubblicati i nomi dei 15 «padri» eletti per il Consiglio della segreteria. Cardinali: Francis Arinze (curia), Francis Eugene George (USA), Oscar Rodriguez Maradiaga (Honduras), Peter Kodwo Appiah Turkson (Ghana), Marc Ouellet (Canada), Joseph Zen Ze-Kiun (Hong Kong), Odilo Pedro Scherer (Brasile), Walter Kasper (curia). Arcivescovi: Laurent Monsengwo Pasinya (Congo), Thomas Menamparampil (India), Diarmuid Martin (Irlanda), Mark Benedict Coleridge (Australia), Gianfranco Ravasi (curia). Vescovi: Florentin Crihalmeanu (Romania), Luis Antonio G. Tagle (Filippine). Luigi Accattoli IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 705 S studio del mese Un confronto fra teologia e storia La storia umana come luogo teologico La salvezza viene talora presentata ai giovani come evento senza storia. L’assenza della storia non si configura come pericolosa solo per l’auto-comprensione delle società, ma anche per la Chiesa. Senza le tradizioni della fede cristiana il senso della Chiesa diviene non più percettibile. Il confronto tra storia e teologia, il significato reciproco della loro co-appartenenza divengono essenziali. Oltre lo «storicismo» e il «relativismo» è forse percorribile la via di una relatività come luogo di relazione aperta in questo reciproco confronto. I due saggi che presentiamo, quello dello storico Paolo Prodi e quello del teologo Peter Walter, sono stati presentati a Bologna il 3 dicembre scorso, durante il terzo convegno della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. 706 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 l domenicano Melchior Cano (1509-1560), successore di Francisco de Vitoria sulla cattedra di Teologia dell’Università di Salamanca, di ritorno dalla partecipazione come esperto alla seconda fase del concilio di Trento (155152) dove si era fatto notare nei dibattiti sulla penitenza e sull’eucaristia, si dedica con tutto il suo impegno intellettuale alla progettazione e alla stesura di un’opera che avrebbe dovuto aprire le basi metodologiche di una nuova teologia capace di far fronte alle nuove esigenze apertesi con la modernità e con la Riforma protestante: il De locis theologicis libri XII uscito postumo e incompleto (il progetto comprendeva 14 volumi) a Salamanca nel 1563. Non si può qui parlare di questa poderosa costruzione in generale. Basta dire che Cano, rovesciando il modo di procedere deduttivo della scolastica classica, identifica dieci «luoghi» o sedi da cui sviluppare il discorso teologico, luoghi che egli dispone in ordine decrescente di importanza e di autorità o autorevolezza: 1) la sacra Scrittura; 2) la Tradizione di Cristo e degli apostoli; 3) la Chiesa universale; 4) i concilii, specie quelli generali; 5) la Chiesa romana; 6) gli antichi santi; 7) la teologia e il diritto canonico; 8) la ragione naturale; 9) la filosofia; 10) la storia umana. I Melchior Cano e la storia come luogo teologico Si trattava invero di una rivoluzione copernicana del pensiero teologico: partire dalla terra costruendo il discorso teologico sui testi, usando tutte le nuove acquisizioni del metodo filologico storico che si era sviluppato da Lorenzo Valla ed Erasmo in poi per ricostruire, contro le eresie dei riformatori, una teologia speculativa capace di assorbire la modernità: ogni operazione di conoscenza è basata sulle autorità e sulla ragione. Un’operazione non diversa da quella che cinquant’anni dopo Galilei tenterà di aprire sul piano della scienza con la presentazione dei due libri da cui l’uomo può attingere le verità divine: la Bibbia e la natura. Qui il discorso è ancora complesso, il peso delle «auctoritates» è ancora enorme, le scienze umane sono viste come inferiori, ma l’inversione del cammino è sorprendente. Come ha scritto Luigi Firpo, un grande della storia del pensiero politico della generazione che ci ha preceduto, di formazione laica e crociana, nella Prefazione alla traduzione italiana del volume XI dell’opera del Cano, quello destinato alla storia:1 «Cano si accontenta di sottolineare la subordinazione della ragione alla fede e il suo carattere subalterno e accessorio nel discorso teologico: ma ciò non intacca la sostanza novatrice dell’ammissione. Per umili che siano e collaterali gli apporti probanti che lo storico può deporre ai piedi del teologo, resta il fatto che si accetta la storia umana come ultima testimone della realtà divina e che in tal guisa il magistero inappellabile dell’autorità sacra si incrina di fronte all’istanza tutta umana del “giudizio” razionale». Non possiamo qui analizzare i sette capitoli De humanae historiae auctoritate del libro XI di Cano – operazione più adatta a un lavoro seminariale che non a un’occasione come questa –, ma è opportuno enuclearne alcuni principi fondamentali come base per il nostro ragionamento. Contro l’opinione dominante egli afferma anzitutto «quam sit teologo humana historia utilis et necessaria» («quanto sia utile e necessaria al teologo la storia umana»; c. 2): «Multa enim nobis e thesaurus suis historia suppeditat, quibus si careamus, et in Theologia et in qualecumque ferme alia facultate inopes saepe numero et indocti reperiemur» («Infatti la storia ci procura dai suoi tesori molte cose, se manchiamo delle quali, sia in teologia sia in quasi qualunque altra disciplina saremo trovati spesse volte sprovveduti e incolti»). Questa si rivela subito un’affermazione non astratta. Cano polemizza con Ginés de Sepúlveda, il grande antagonista di Bartolomé de Las Casas, per contestare l’affermazione che la sottomissione dei popoli barbari delle terre nuovamente scoperte potesse essere titolo legittimo per una guerra giusta disconoscendo l’autonomia delle civiltà pagane. La storia non è solamente «magistrae vitae» come ha detto Cicerone, ma anche «lux veritatis». Condizione indispensabile è conoscere bene le narrazioni storiche e distinguere gli storici menzogneri dai veraci usando la critica (c. 3): i casi di falsificazione della realtà sono infiniti e Cano riporta numerosi esempi, dalla storia d’Israele a quella dell’impero romano: anche nella storia della Chiesa troviamo molte invenzioni che il teologo deve saper distinguere, ma da questo il teologo non può dedurre che non si può credere nella verità storica, bensì deve alimentare il senso critico. L’autorità della storia umana è talvolta probabile, talvolta sicura (c. 4), ma è necessario che l’uomo creda nell’uomo se non si vuole ritornare alla vita bestiale: « N ecessarium esse homines hominibus credere, nisi vita pecudum more degenda sit». I capitoli seguenti sono finalizzati a discutere con molti esempi tutte le obiezioni che possono essere mosse contro queste affermazioni sulla base delle testimonianze, dei loro errori e delle dissonanze cronologiche anche all’interno della storia d’Israele, senza timore di leggere IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 707 tudio del mese S 708 i testi secondo la critica filologica, perché gli stessi testi sacri possono essere stati corrotti nella loro trasmissione: «Primum autem non existimo aut fidei aut religionis questionem esse, numerus 480, iste annorum numerus, qui in codicibus ervulgatis reperitur, librariorum vitius scriptus sit: an potius idem ab autore sacro in suo exemplari positus. Ostendimus enim errorem in numeris promptissimum esse atque facillimum. Ostendimus numeros quosdam in libris sacris excribentium errore vitiatos. Ostendimus denique multas esse causas cur hic, de quo agimus 480 annorum numerus corrupte esse inductus videatur» («Anzitutto, non ritengo che sia questione di fede o di religione se il numero 480, questo numero di anni, che si trova nei codici pubblicati, sia stato scritto per errore dei copisti: o se piuttosto il medesimo sia stato inserito dall’autore sacro nel suo originale. Infatti dimostriamo che un errore nei numeri è possibilissimo e facilissimo. Dimostriamo che alcuni numeri nei libri sacri sono sbagliati per errore degli scriventi. Dimostriamo infine che vi sono molte cause per cui questo numero di 480 anni di cui trattiamo sembri essere stato introdotto per corruzione»). Quanto alla donazione di Costantino egli scrive di non voler entrare in polemica con Lorenzo Valla sulla sua falsità. Ne discutano coloro che intendono attaccare la Chiesa di Roma: che importanza ha se è stata fatta da altri principi qualche secolo dopo? Nella realtà il pontefice ha posseduto per secoli Roma e anche soltanto per prescrizione non sarebbe possibile tornare indietro. In conclusione si giustifica per essersi diffuso più a lungo sulla storia umana che su altri luoghi teologici: « I n historiae humane auctoritate explicanda fateor magna mihi longitudo orationis fuit. Sed nullus e locis Theologiae erat, ubi aut latior occurreret differendi (disserendi) materia, aut me opporteret magis cura, diligentia, industria elaborare. Quod etsi minus praestiti quam rei magnitudo desiderabat, non tamen frustra elaboravi. Admonere enim reliquos potui, ut accuratius scribant: et res vel meliores addant, vel supervacuas detrahant, vel disperse, et diffuse dictas, angustius et contractius astringant, breviter, si quid norunt rectius istis, candidi impertiant» («Riconosco che nello spiegare l’autorità della storia umana il mio discorso è stato molto lungo. Ma non vi era alcun punto della teologia, dove o fosse necessario trattare più diffusamente la materia, o dovessi lavorare con più cura, diligenza e zelo. Poiché anche se mi ci soffermai meno di quanto richiedesse la grandezza della cosa, tuttavia non ho lavorato invano. Infatti ho potuto esortare gli altri a scrivere più accuratamente: e ad aggiungere cose migliori, o a eliminare quelle superflue e sintetizzare con più stringatezza e concisione quelle dette in modo sparpagliato e prolisso; in breve, se conoscessero qualcosa di meglio di ciò, a parteciparlo schiettamente»). Si può affermare che la proposta di Melchior Cano di una teologia «dal basso», a partire dalla Scrittura e dall’uomo, non fu recepita dal pensiero teologico della Controriforma che preferì rinserrare ancor più la maglia teorica dei trattati ereditati dalla scolastica medievale: De Deo, De sanctissima Trinitate ecc. Qualche traccia profonda è però rimasta, anche più vicina di quanto non si pensi. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 L’esperienza bolognese: il card. Gabriele Paleot ti e Carlo Sigonio Il secondo atto di questo confronto intellettuale tra teologia e storia si apre a Bologna dopo poco più di dieci anni dalla pubblicazione dell’opera del Cano. Il card. Gabriele Paleotti, nominato nel 1565 vescovo di Bologna dopo essere stato consigliere dei legati papali nella terza fase del concilio di Trento, dopo aver dedicato i primi anni alle visite pastorali e alle riforme fondamentali della diocesi, decide di affrontare di petto il problema della cultura: di sviluppare l’insegnamento della «dottrina cristiana» per il popolo, la formazione professionale, culturale e spirituale del clero, la presenza cristiana all’interno dell’università. Ricordo soltanto che era stato, quando non aveva ancora iniziato la carriera ecclesiastica, professore di Diritto nella stessa università e che aveva pubblicato ancora nel 1550 un’opera già famosa di taglio storico-giuridico per la difesa dei diritti dei figli illegittimi.2 Sono forzatamente costretto a non parlare del tema molto vasto della riforma tridentina a Bologna rinviando a quanto già scritto. Qui si può accennare che era ricorso anche al parere del Cano per affrontare il problema delle verità di fede che un cristiano doveva conoscere per la propria salvezza e del modo di apprendimento.3 In ogni caso egli si appoggia per la sua azione pastorale in campo culturale a due docenti dell’Università di Bologna, Carlo Sigonio, storico, e Ulisse Aldrovandi, naturalista. Anche di questi ho parlato diffusamente in altre sedi e sono costretto a rinviare a saggi già editi in cui ho esplorato il significato di questo approccio storico-scritturistico nel pensiero e nelle arti.4 Qui intendo richiamare soltanto due principi che ritengo fondamentali per il nostro discorso attuale: a) Carlo Sigonio tenta di costruire una storia sacra come storia della salvezza; b) il vescovo Gabriele Paleotti tenta di fare di questo la base della riforma culturale della diocesi e della formazione del clero. Non è sufficiente, per definire il pensiero del Sigonio come indagatore della storia sacra, riprendere soltanto la tradizionale definizione ciceroniana della storia come ricerca della verità, ma occorre comprendere che per lui tutta la storia è umana. Anche la narrazione che riguarda le vicende del popolo ebraico o del cristianesimo, è soggetta alla corruzione propria di ogni realtà umana: contro coloro «qui coelum terra miscere malunt» («che preferirono mescolare cielo e terra») lo storico afferma la sua vocazione specifica a uno studio della realtà umana, profana o sacra che sia, soltanto in quanto dimostrata, senza confondere il piano della fede con quello terreno. Non mi sembra di aver mai letto un’espressione che meglio di questa preannunci un approccio parallelo a quello galileiano nello studio della storia: non si può affermare nulla che non sia dimostrabile con la lettura critica delle testimonianze che sono l’unico strumento per la conoscenza del passato.5 Al card. Guglielmo Sirleto, che lo rimproverava di aver scritto semplicemente nella Historia bononiensis a proposito della morte di san Francesco «Assisi est mortuus» e non, in modo più pio, «migravit in coelum, aut quid simile» («migrò in cielo, o qualcosa di simile»), Sigonio rispondeva: «Dico homines vidisse Franciscum morientem, ignorasse vero an migrarit in coelum; nosse autem po- stquam Ecclesiae accedente auctoritate post aliquos annos in numero Sanctorum est relatus» («Dico che gli uomini hanno visto Francesco morire, senza sapere se fosse migrato in cielo; che invero lo si seppe dopo che, con l’assenso dell’autorità della Chiesa, dopo alcuni anni fu annoverato tra i santi»).6 Questa distinzione tra cielo e terra è ciò che permette al Sigonio di concepire una storia sacra ancora come storia della salvezza e non come opera controversistica o apologetica. Il secondo punto interessante è che la collaborazione tra il Sigonio e il vescovo superò certamente i limiti di una consulenza amicale per assumere l’aspetto di un vero e proprio gruppo di lavoro – come diremmo nel linguaggio odierno –, un gruppo che volle superare lo schema dell’accademia da cui aveva preso le mosse per strutturarsi nel 1572 anche in una società tipografica, al cui capitale parteciparono intellettuali e patrizi con moderna sensibilità culturale e imprenditoriale. In questo quadro Sigonio ricoprì con molta consapevolezza un ruolo centrale assumendo il compito di costruire, accanto ai panorami della storia europea e di quella cittadina, una storia della Chiesa innestata nella Chiesa locale e una storia della salvezza capace di ricuperare anche l’Antico Testamento e l’esperienza del popolo ebraico: una storia sacra che servisse come base storico-teologica alla riscoperta del valore della Tradizione o, per meglio dire, delle tradizioni «quasi per manus traditae» («tramandate quasi di mano in mano» secondo la definizione tridentina) di generazione in generazione nel corpo vivente delle Chiese locali. Non ripeto qui le singole tappe di questo cammino che parte dalla stesura di un «ufficio liturgico proprio» e di una vita di san Petronio (inserita poi nella collana del Surio delle Vitae sanctorum edita a Colonia), per approdare al progetto, iniziato nel 1572 (anche se uscito postumo soltanto nel 1586), del De episcopis bononiensibus libri V. Si tratta di un’impostazione chiaramente orientata – come si evince dalla corrispondenza del Paleotti con Carlo Borromeo (che nello stesso tempo si batteva per salvaguardare il rito ambrosiano contro le pretese romane) – all’esaltazione della centralità del vescovo e della Chiesa locale: tale proposta conseguì un successo almeno parziale a Milano, che riuscì a conservare il rito ambrosiano, ma fu repressa duramente a Bologna in quanto opposta al processo di uniformizzazione dei libri liturgici e della disciplina ecclesiastica.7 Vi fu un momento in cui sembrò che questo progetto potesse raggiungere un significato per la Chiesa universale quando fu affidato al Sigonio il compito di redigere e pubblicare una storia ecclesiastica, ma esso naufragò per le opposizioni e le censure che a Roma formarono un blocco insuperabile: il card. Guglielmo Sirleto tenne per anni presso di sé la prima redazione inviata in esame e l’opera rimase inedita per un secolo e mezzo, sino alla sua pubblicazione nel vol. III dell’Opera omnia dopo un difficile e contrastato recupero da parte degli editori milanesi (Historiae ecclesiasticae libri XIV). Il punto più interessante (non soltanto per me ma, ahimè, anche per i censori) fu certamente il tentativo di recuperare la storia della Chiesa primitiva e il rapporto con l’esperienza storica del popolo ebreo, la «respublica hebraeorum» definita come «insignis forma religionis chri- stianae» («forma insigne della religione cristiana»)8 nella prefazione del Paleotti all’edizione commentata delle Sacrae historiae di Sulpicio Severo (1581), operazione culturale sviluppata nell’anno successivo con la pubblicazione del De republica hebraeorum (1582). Come ho già notato nel presentare la prima di queste opere, nella lettera dedicatoria al card. Gabriele Paleotti, Sigonio scrive chiaramente che si trattava di un progetto comune che egli aveva elaborato su mandato del vescovo: essa doveva servire soprattutto per la formazione dei giovani e del clero anche come testo per l’esame di ammissione agli ordini sacri (cosa che scandalizzò e preoccupò in modo acuto i censori, che forse avrebbero tollerato maggiormente un lavoro filologico rivolto alla ristretta schiera degli eruditi): «Quamobrem recte prudentia vestra, breviarium eius aliquod ex immenso illo utriusque Testamenti corpore conquisivit, quo studiosa iuventus omnia ab Adam usque ad Christum, idest a peccato ad salutem in ipsius populi gesta quasi in unam tabulam conlata conspiceret» («Per la qual cosa giustamente, grazie alla vostra saggezza, il suo breviario ha raccolto qualcosa da quell’immenso corpus di entrambi i Testamenti, affinché la gioventù studiosa vedesse tutto, da Adamo fino a Cristo, cioè dal peccato alla salvezza, come radunato in un’unica tavola nelle gesta del popolo stesso»).9 Lasciando da parte episodi interessanti riguardanti la comunità ebraica di Bologna mi limito a notare che questo tentativo si inserisce nello sforzo di rivalutare la cultura ebraica e biblica all’interno della storia della salvezza come base della formazione teologica: non soltanto come strumento per la formazione dei preti (ricordiamo che a Bologna il primo tra tutti i libri che ogni curato doveva possedere era la Bibbia), ma anche con l’inserimento nell’Università di Bologna dell’insegnamento della Lingua ebraica e dell’Esegesi biblica. L’esplicita richiesta del vescovo («sarìa bisogno di uno che insegnasse la lingua hebraica») si scontra con Roma che riteneva pericolosa l’istituzione di una scuola storico-esegetica centrata sullo studio dell’Antico Testamento e sulla storia del popolo ebraico.10 In generale mi sembra di dover ricordare che, accanto al fenomeno dell’esclusione del comune cristiano dalla lettura della Bibbia volgare,11 andrebbe studiata l’esclusione dello studio della Bibbia dalla cultura teologica e universitaria in generale e in particolare l’espulsione di fatto della Legge, dell’Antico Testamento, dalla teologia morale come scienza del comportamento. Dal la «storia umana» al la separazione tra storia profana e storia ecclesiastica La lettera di un anonimo consultore della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti, del giugno 1578 (che si riferisce quindi alle opere del Sigonio allora in composizione riguardanti la tarda antichità e il Medioevo), dopo averne denunciato gli errori a proposito della donazione di Costantino, del primato papale e di tanti altri punti così concludeva: «(…) Vorrei che in questi miseri tempi s’osservasse questo in esaminare bene li libri, et trattati, et levare tutte quelle parole che possono corrompere le anime et etiam Dio gl’orecchie di giovani e putti».12 Quest’espressione mi sembra ben riassumere il senso di tutti gli IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 709 tudio del mese S 710 ostacoli opposti e di tutte le censure rivolte agli scritti dello storico modenese. Non sto qui a riprendere i singoli temi che ho già esemplificato nello studio precedente a proposito del commento a Sulpicio Severo: i censori insistono su osservazioni generali, sulla mancanza di un linguaggio «cattolico», contrapposto al linguaggio «storico» del Sigonio; nei suoi scritti manca la «ratio temporum et personarum» e qualsiasi preoccupazione controversistica in difesa dei nuovi dogmi tridentini, anzi egli afferma che è meglio essere eretici che accusare un eretico «non bono animo». Il nucleo delle obiezioni verte certamente sull’ecclesiologia e sul papato; non bisogna dare agli eretici moderni alcun arma che possa mettere in cattiva luce la Chiesa romana e indebolire il potere temporale e spirituale del papa o l’immunità ecclesiastica. Ciò che rende particolarmente interessanti queste censure è il fatto che non si tratta di una difesa contro attacchi provenienti dall’esterno, ma di un’opera di prevenzione e di controllo occulto non rivolto tanto a eresie da combattere quanto a impedire all’interno del mondo cattolico la maturazione di tesi ritenute storicistiche ed episcopaliste: al Sigonio si rimprovera infatti, da una parte, di non leggere la storia e la Scrittura con gli occhiali della professio fidei tridentina senza tener conto delle necessità controversistiche del momento e, dall’altra, di dare dello stesso concilio di Trento una lettura basata sulla Chiesa locale ben diversa da quella data da Roma. Per questo un fatto altrettanto importante delle censure e troppo trascurato dagli storici più recenti è il sequestro per ordine esplicito di papa Gregorio XIII di tutte le scritture lasciate dal Sigonio all’atto della sua morte improvvisa e abbastanza prematura, a qualsiasi stadio di redazione fossero esse pervenute.13 Il pericolo combattuto è dunque quello della formazione all’interno del mondo cattolico di un’ecclesiologia e di una cultura alternativa che poteva essere tanto più pericolosa in quanto aveva alle spalle figure rappresentative come il card. Gabriele Paleotti. Non per nulla questi negli stessi anni aveva ripreso in mano il suo diario del concilio di Trento per rielaborarlo: come ho già raccontato in altra sede l’eredità letteraria del Paleotti, così come era capitata a quella del Sigonio, fu alla sua morte requisita da Roma e «secretata» per secoli sino all’edizione dei suoi diari conciliari da parte di Sebastianus Merkle nel 1931 nel III volume del Concilium Tridentinum. Né il Sigonio, né tanto meno il Paleotti figurano tra gli autori formalmente condannati o sottoposti all’esame della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti: si provvide soltanto a ostacolare ufficiosamente la stampa e poi, con interventi diretti dei pontefici, a mettere sotto chiave tutta la produzione manoscritta. Proprio con questi sequestri e non soltanto con le condanne della Congregazione dell’Indice, si cercò di soffocare all’interno del mondo cattolico ogni interpretazione alternativa al Tridentino: quando alcuni decenni dopo Paolo Sarpi pubblicò la sua Istoria questa assunse la forma di un attacco esterno al quale il card. Sforza Pallavicino poté opporsi sul piano apologetico come a un avversario della cattolicità considerata come un blocco omogeneo: le alternative interne al mondo cattolico erano state non soltanto perseguitate, ma fatte scomparire, almeno in superficie. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Per quanto riguarda concretamente il nostro Sigonio l’edizione settecentesca delle sue opere e delle censure allegate, con la partecipazione appassionata di Ludovico Antonio Muratori, ci sembra una cartina di tornasole molto importante per individuare anche all’interno del mondo italiano le radici di un’esperienza culturale che ha fertilizzato l’intera Europa. Nella Prefazione al primo volume dell’Opera omnia Filippo Argelati, ricordando le allora recenti edizioni del De republica hebraeorum a cura di Johannes Nicolai (a Helmstedt 1686, e a Leiden 1701) scriveva: «Neque ignoraveram hoc sibi operae dudum assumisse Johannem Nicolai: sed ab homine factionis acatholicae spurcatam atque infectam orthodoxi Sigonii industriam nemo est qui negare possit» («Né potrei ignorare che recentemente Johannes Nicolai ha fatto propria quest’opera: ma non v’è chi possa negare che l’ingegno dell’ortodosso Sigonio è stato sporcato e infettato dall’uomo della setta acattolica»). Gli editori milanesi furono costretti a rinunciare alla dedica dell’Opera omnia al pontefice Benedetto XIII perché il Sigonio era ritenuto ancora pericoloso «per le cose che quest’autore dice contro la Santa Sede», ma non rinunciarono a rivendicare la sua ortodossia: per essi non si trattava certo di una rivalsa apologetica, ma di affermare che certe radici della modernità affondavano nel mondo cattolico anche se erano state oscurate. Grazie al loro progetto il pensiero del Sigonio continuò a produrre frutto nell’età dell’Illuminismo o, per meglio dire, degli Illuminismi.14 Forse l’uso di questo plurale può aiutarci a una visione più elastica e composita: del resto una recente raccolta di saggi usa provocatoriamente nello stesso titolo il termine di «cattolicesimi» a proposito della realtà sei-settecentesca.15 Ancora Cesare Balbo richiamava un secolo dopo l’importanza del «metodo vecchio italiano» di Carlo Sigonio, Gianvincenzo Gravina e del Muratori nel recupero delle tradizioni antiche, dell’esperienza giuridicoistituzionale, pattizia e repubblicana, in funzione delle progettazioni costituzionali moderne, in opposizione a uno storicismo onnivoro costruito sulle nuove ideologie centrate sul corpo politico e l’anima collettiva: altri esempi potrebbero essere portati come l’abate Celestino Galliani e Gaetano Filangieri.16 Ritornando alla fine del Cinquecento – per concludere il discorso sul Sigonio – il compito di scrivere una «storia ecclesiastica» fu affidato al più docile e sottomesso Cesare Baronio, che seppe interpretare la nuova spinta apologetica del papato controriformista per confutare la storiografia luterana, Mattia Flacio e i centuriatori di Magdeburgo, con i suoi Annales ecclesiastici (che non per nulla avrebbero dovuto chiamarsi all’inizio Historia ecclesiastica controversa). Al di là delle analisi, ancora in gran parte da farsi, sullo sviluppo della storiografia ecclesiastica nei secoli dell’età moderna, penso si possano qui avanzare alcune considerazioni sintetiche per poter poi arrivare a ragionare sui nostri tempi. In termini generali si può affermare che il concilio di Trento poteva avere diversi esiti, di cui uno fu privilegiato sotto la pressione delle controversie confessionali. Questa scelta romana portò all’espulsione per più secoli della storia come «luogo teologico» dalla ricerca e P. VERONESE, Convito in casa di Levi, Venezia, Galleria dell’Accademia (part.); a p. 706: GENTILE DA FABRIANO, Incoronazione della Vergine (part.), Polittico di Valle Romita, Milano, Pinacoteca di Brera. dalle facoltà di teologia tradizionali. Nella ratio studiorum dei gesuiti e nell’insegnamento dei seminari non vi è alcun posto per la storia tra le discipline fondamentali della cultura teologica: essa fu emarginata nell’ambito della controversistica – per confutare gli attacchi dei protestanti contro la Chiesa romana – e usata soltanto per la costruzione di exempla di vita devota, come raccolta di modelli di vita utili per il disciplinamento della gioventù. Ciò non toglie che siano stati fatti passi in avanti enormi sul piano dell’erudizione e della critica dei testi (basta pensare ai bollandisti e alla grandiosa impresa degli Acta sanctorum), ma questo viene pagato con la strumentalizzazione, con l’uso della storia al servizio del potere. Quanto tutto questo abbia pesato nelle controversie che si aprono alla fine del Cinquecento sul tema della grazia e si susseguono poi nel Seicento come malattie endemiche alla teologia cattolica, tra filopelagiani e giansenisti, tra rigoristi e lassisti, deve essere studiato, abbandonando gli schieramenti delle antiche scuole nel quadro di quello slittamento che Michel de Certeau ha mirabilmente indicato come passaggio «du système religieux à l’éthique des lumières»: le trasformazioni che si manifestano nel XVII secolo, prima della secolarizzazione e della nascita di un’etica politica, implicano nella società cristiana europea una rottura tra il piano religioso e il piano della morale, dei comportamenti; da una parte la casistica e la pratica devozionale, dall’altra il misticismo e il radicalismo profetico come espressione dell’individualità, dell’eccezione.17 In mezzo viene meno la storia della salvezza come vissuto comunitario: la polemica alla fine del Seicento tra Jac- ques-Bénigne Bossuet (che identifica ancora la città di Dio con la storia della cristianità) e Fenelon può essere vista come l’epilogo di questa spaccatura, interna al mondo cattolico. Una spia molto interessante di questa metamorfosi che ha le sue radici nell’epoca illuministica e che arriva sino a noi con un interessante slittamento semiologico è il titolo dato alla recente traduzione in italiano del libro di Melchior Cano a cui abbiamo accennato all’inizio: il titolo latino originale del Cano Dell’autorità della storia umana (De humanae historiae auctoritate) viene tradotto Dell’autorità della storia profana.18 La conseguenza più importante di questo percorso è la separazione della storia «sacra» dalla storia «profana»: la riflessione sulla storia dell’uomo come storia della salvezza viene definitivamente scissa in storia profana da una parte e storia sacra dall’altra. La storia come filosofia e come teologia In ogni caso è sbagliato vedere l’evoluzione del pensiero storico tra Seicento e Settecento soltanto come un aspetto del più generale processo di modernizzazione e secolarizzazione, come la riflessione cattolica sembra spesso aver fatto (basta pensare ad Augusto Del Noce): in realtà anche su questo piano – e non soltanto su quello del pensiero politico – abbiamo un travaso della riflessione teologica sul piano storico con la nascita della filosofia della storia come tentativo di costruire una «storia della salvezza» dell’umanità laica, non legata al regno di Dio, una salvezza che si costruisce con lo sviluppo della scienza e IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 711 tudio del mese S 712 della tecnica, dell’organizzazione dello stato, della felicità pubblica. La storia non è più soltanto documentazione del passato e memoria, ma indica il cammino che l’umanità potrà percorrere in futuro per redimersi dai suoi mali e approdare alla felicità: l’uomo può cambiare se stesso e redimersi senza il ricorso a una meta-storia. Non possiamo nemmeno accennare a questo percorso che porta allo storicismo contemporaneo e al mito del progresso: dall’Illuminismo, con le sue variegate riflessioni sul futuro dell’umanità, da Voltaire a Jean-Jacques Rousseau, al protoromanticismo, alle varie formulazioni della redenzione dell’uomo nello stato di Georg Wilhelm Friedrich Hegel o nella rivoluzione proletaria di Karl Marx, sino alla demistificazione di Friedrich Nietzsche. Nello storicismo dell’Ottocento la storia diventa filosofia e rivelazione. Sono le laceranti intuizioni di Walter Benjamin sull’«angelo della storia», alla vigilia della catastrofe della seconda guerra mondiale che ci danno la più tragica consapevolezza delle radici teologiche del nuovo messianismo storicistico che esplode insieme al mito del progresso: «Il mio pensiero si rapporta alla teologia come la carta assorbente all’inchiostro. Ne è del tutto imbevuto. Se andasse, però, come vuole la carta assorbente, di ciò che vien scritto non rimarrebbe nulla».19 Questi accenni non sviluppati mi permettono soltanto di sostenere l’ipotesi che quando la riflessione sulla storia rinasce all’interno del mondo cattolico tra Ottocento e Novecento essa non si presenta come «luogo teologico» (ormai vi è un solo grande luogo teologico, che è costituito dopo il Vaticano I dal magistero papale), ma a sua volta, in dipendenza dal pensiero laico dominante, come «teologia della storia», cioè con un percorso che non tende più a percorrere i concreti e umani cammini della salvezza, ma a indicare dall’alto un cammino. La teologia della storia ha ereditato dalla filosofia della storia la ricerca di un «senso» della storia come punto di partenza ed è rimasta sempre legata come punto di riferimento a Hegel e allo storicismo degli ultimi due secoli.20 Questa tesi esige ancora un approfondimento adeguato e io qui mi limito a dire soltanto un paio di cose. Da Bossuet in poi sembra prevalere (con le eccezioni di Newman, Rosmini e pochi altri, i quali però non sono catalogabili come storici) una logica provvidenzialistica come anello di congiunzione tra il piano divino della redenzione e il piano umano della storia. Si è sviluppata una notevole diffidenza verso l’uso degli strumenti sempre più raffinati della critica storica e filologica ormai indispensabili per il moderno metodo di ricerca. Tutto ciò si è acuito nella crisi del modernismo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento con una certa confusione dei piani: per rifiutare giustamente uno storicismo improntato alla cultura dominante si sono rifiutate e condannate, nonostante la lungimirante apertura degli Archivi vaticani da parte di Leone XIII, ricerche che nulla avevano di eversivo, ma che semplicemente cercavano di riprendere in termini aggiornati il cammino intrapreso alcuni secoli prima. Soprattutto l’attenzione rimane concentrata sulla storia della Chiesa, non sulla storia umana: si fanno grandi passi in avanti nell’approfondimento metodologico sulla natura della storia della Chiesa, come disciplina storica e come disciplina teolo- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 gica, ma in qualche modo come un settore di studi all’interno delle scienze storiche.21 Per quanto riguarda la riflessione teologica sulla storia possiamo dire quindi che essa si pone su un altro piano che ha come interlocutore sempre la filosofia e lo storicismo contemporaneo: essa si sviluppa, sia nella teologia critica evangelica sia nel pensiero cattolico, come storia della salvezza, come Mysterium salutis, e ha il grande merito di rifiutare l’identificazione con gli storicismi totalitari trionfanti rivendicando il tema del mistero sino a divenire il tema dominante della teologia del Novecento. Non è nelle mie competenze ripercorrere questo cammino che va da Gustave Thils a Hans Urs von Balthasar, a Jean Danielou, a Karl Rahner (per fare soltanto alcuni grandi nomi) sino al post-Concilio, percorso che del resto è stato studiato anche in poderose ricerche accademiche.22 Qui intendo soltanto dire che essa è nata all’interno del discorso teologico della redenzione senza affrontare il problema della storia umana come luogo teologico, come oggetto del discorso teologico. Per spiegarmi cito soltanto la nota introduttiva all’opera di teologia della storia forse più sistematica e influente nel secolo scorso, Il tutto nel frammento di von Balthasar, da cui è stato ispirato anche il titolo del nostro convegno «Il tutto nei frammenti» (anche se si può chiedere a chi l’ha progettato cosa c’è dietro il passaggio dal singolare «Das Ganze in Fragment» al plurale «nei frammenti»):23 «Il nostro campo tematico è la teologia della storia: quante delle affermazioni che si possono fare in questo campo, sulla scorta della rivelazione biblica, evitano sconfinamenti nel campo della filosofia della storia? Molto poche e probabilmente anch’esse con riserva (…). Per i filosofi e per i teologi in realtà la storia è data soltanto come frammento. Ora, quando non si conosce se un frammento di un brano sinfonico è un quinto o un ventesimo del tutto, è impossibile ricostruire il tutto. Nemmeno Hegel, che sa tutto, ha ricostruito il futuro; noi, che sappiamo meno di lui, dobbiamo rinunciare alla pretesa di raggiungere, attraverso i fenomeni della storia mondana, la totalità dello Spirito assoluto, soprannaturale». Il problema è che i frammenti sono esplosi, insieme al pensiero di Hegel, con la tragedia della seconda guerra mondiale: il grande spartiacque è costituito dalla Shoah, da Auschwitz, dalla bomba atomica. Il senso della storia come progresso si spezza: la teologia della storia diventa nel secondo dopoguerra una specie di rifugio dai fallimenti della filosofia della storia. A mio avviso le indicazioni più innovative e ancora attuali sono nate allora negli squarci di Romano Guardini e di molti altri grandi teologi sul potere e sulla fine dell’età moderna, sull’abisso che si apre davanti all’umanità: è in queste riflessioni che si riapre davvero drammaticamente il problema della storia umana come luogo teologico al di fuori degli schemi filosofici o scolastici. Aggiornamento e tradizione: intorno al Vaticano II Arrivando ai nostri tempi il mio intervento cambia forzatamente di stile perché ritengo più utile seguire un cammino più autobiografico e meno accademico. Noi giovani interessati al fenomeno religioso, nei primi anni del secondo dopoguerra, eravamo coscienti di poter accedere allo studio della storia del cristianesimo e della Chiesa con grande libertà senza soffrire più della confusione dei piani e dei complessi dai quali ci parevano invischiate le generazioni degli storici che ci avevano preceduto, sia di coloro che erano rimasti chiusi in preoccupazioni apologetiche e confessionali sia anche di coloro che erano stati coinvolti nel modernismo e perseguitati per le loro aperture al metodo critico. Per farmi capire può essere utile cominciare con la citazione del discorso tenuto da Pio XII al X Congresso internazionale di scienze storiche il 7 settembre 1955, perché quando lo ascoltai (non avevo ancora compiuto 23 anni) stavo proprio incominciando sotto la guida di Hubert Jedin i primi passi nella ricerca. Dopo aver dichiarato che la Chiesa non è legata per sua natura ad alcuna cultura (punto che allora mi entusiasmò molto come uditore) il papa faceva anche un accenno specifico all’età moderna: «Ce qu’on appelle Occident ou monde occidental a subi de profondes modifications depuis le Moyen-âge: la scission religieuse du XVI siècle, le rationalisme et le libéralisme conduisant à l’Etat du XIX siècle, à sa politique de force et à sa civilisation sécularisée. Il devenait donc inévitable que les relations de l’Eglise catholique avec l’Occident subissent un déplacement. Mais la culture du Moyen-âge elle-même, on ne peut pas la caractériser comme la culture catholique; elle aussi, bien qu’étroitement liée à l’Eglise, a puisé ses éléments à des sources différentes… L’Eglise catholique ne s’identifie avec aucune culture; son essence le lui interdit…» («Quel che si chiama Occidente o mondo occidentale ha subito profonde modifiche dopo il Medioevo: la scissione religiosa del XVI secolo, il razionalismo e il liberalismo che approdano allo stato del XIX secolo, alla sua politica di forza e alla sua civiltà secolarizzata. Diveniva dunque inevitabile che le relazioni della Chiesa cattolica con l’Occidente subissero uno spostamento. Ma la cultura stessa del Medioevo non può essere caratterizzata come la cultura cattolica; anch’essa, benché strettamente legata alla Chiesa, ha attinto i suoi elementi a delle sorgenti differenti... La Chiesa cattolica non s’identifica con nessuna cultura; la sua essenza glielo impedisce...»). Questa non identificazione della Chiesa con alcuna cultura ha permesso, a mio avviso, un approccio più libero allo studio della storia della Chiesa con una partecipazione paritaria alla ricerca storica contemporanea, ma anche l’inizio del recupero di una riflessione teologica sulla storia umana nel senso più generale. Lasciamo da parte oggi i temi più specifici di ricerca, l’apertura di una nuova visione, soprattutto per merito del mio maestro Hubert Jedin (la prima apparizione di Riforma cattolica o Controriforma? nell’originale tedesco è del 1946) su grandi temi della crisi religiosa del XVI secolo, sulla Riforma protestante e sulla Riforma cattolica, sul concilio di Trento: non più una storia moderna della Chiesa che parta dalla frattura religiosa, dalla Riforma e dalla Controriforma, ma un lungo arco cronologico che parte dal grande scisma d’Occidente, dalla crisi della « r espublica Christiana» medievale e dalla rinascita del papato a partire dalla metà del XV secolo. Non più la visione di una Chiesa medievale consunta dagli abusi, ma la di- namica di una cristianità che, impastata con la civiltà medievale nelle istituzioni e nella spiritualità, si deve misurare con lo sviluppo della modernità sul piano culturale e politico; non un punto di partenza, ma il culmine, se non il punto d’arrivo, di un processo di trasformazione sia nel nuovo rapporto dell’individuo con Dio, sia nel rapporto pubblico tra il sacro e il potere, tra le Chiese e lo stato. Ciò non ha fatto venir meno la considerazione delle differenze e delle lotte tra protestanti, evangelici, riformati e cattolici, ma ha certamente contribuito a comprenderle come diverse risposte a un’unica domanda storica posta dalla modernità. Qui interessa soprattutto fare emergere come allora si era aperta una nuova riflessione sul rapporto tra la teologia e la storia, sull’intreccio tra la Parola e le civiltà che sono state da essa attraversate e fecondate. Una grande innovazione ha caratterizzato la svolta degli studi a metà dello scorso secolo, con l’introduzione di un approccio che faceva saltare i vecchi schemi della storiografia «ecclesiastica» per aprire davvero un ripensamento della storia come «luogo teologico». Quando fu fondato da Giuseppe Dossetti qui a Bologna, nel 1953, il Centro di documentazione (che soltanto dopo molti anni prese il nome di Istituto per le scienze religiose, mutando profondamente la propria finalità), il nucleo centrale era costituito dalla riflessione sulla storia umana nella convinzione che ci si trovasse davanti a un tornante che coinvolgeva il cristianesimo e la civiltà occidentale nel suo insieme: la categoria della «catastrofe», centrale nei primi progetti di ricerca, richiamava in modo drammatico il nucleo unitario della storia della salvezza.24 Allora, all’atto del mio inserimento nel Centro di documentazione, fui indirizzato sia alle letture fondamentali della storiografia contemporanea (sui grandi temi degli scontri di civiltà) sia a letture totalmente innovative sul piano religioso delle quali è opportuno dare qui un breve elenco a titolo esemplificativo, in base all’impatto prodotto in me, senza pretendere di fornire un quadro esaustivo. Ètienne Gilson con il recupero della centralità di sant’Agostino, dalla dialettica tra la città di Dio e la città dell’uomo alla rivoluzione intellettuale del Medioevo. Jean Leclercq, con il suo volume L’amour des lettres et le désir de Dieu, sulla dialettica tra l’escatologia e la grammatica come anima del monachesimo occidentale: opera che Benedetto XVI ha ricordato nel suo discorso a Parigi presso il Collège des Bernardins nel settembre scorso come ancora fondamentale per il dialogo con la cultura contemporanea.25 Gli studi di Marie-Dominique Chenu sul Rinascimento intellettuale del XIII secolo e il Jalon pour une théologie du laicat di Yves Congar con il recupero di una storia del «popolo cristiano». Gli studi di Gabriel Le Bras e la sua collana Histoire du droit et des Institutions de l’Église en Occident: la saldatura tra le nuove scienze della società e la storia del diritto canonico ha fatto compiere negli anni Cinquanta e Sessanta un salto in avanti straordinario alla storia del cristianesimo. Poi il rapporto con don Giuseppe De Luca: la sua Introduzione alla storia della pietà e nella concreta opera di scavo continuata nell’impresa dell’Archivio per la storia della pietà. Si è trattato di una vera rivoluzione metodolo- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 713 tudio del mese S gica: «Riceve qui il nome di pietà non la teoria sola o il solo sentimento dell’una e dell’altra religione in genere, non la sola religiosità vaga, non il solo vertice supremo ed esatto dell’unione mistica, bensì quello stato, e quello solo, della vita dell’uomo quando egli ha presente in sé, per consuetudine di amore, Iddio…». Non si tratta di un discorso chiuso e settoriale: in questa proposta rimane centrale il problema dell’uomo storico nel concreto della sua esistenza individuale e sociale, non per cogliere il mistero della relazione d’amore tra Dio e l’uomo (e del suo contrario, l’empietà), ma per coglierne i riflessi, i frammenti e anche le deformazioni nell’umanità in cammino, dalle espressioni artistico-letterarie alle strutture delle società e delle Chiese, dalle manifestazioni devozionali ai modelli di comportamento: preghiera e bestemmia, amore e timore, carità e paura, innocenza e colpa, anche nelle loro declinazioni sociali, nella sacralità del potere e della libertà. Dal punto di vista della ricerca penso si possa affermare che negli anni Cinquanta erano già affrontati tutti i temi che saranno poi al centro dell’attenzione del concilio Vaticano II. Non si tratta di anticipazioni (mi sembra che tutte le odierne discussioni tra i sostenitori del Vaticano II come continuità o come rottura siano poco produttive), ma dell’elaborazione di un humus culturale che ha permesso certamente un rinnovamento della riflessione teologica e la formulazione dei grandi temi conciliari. Nel le prospet tive del la globalizzazione Per affrontare le prospettive dell’oggi è necessario porsi l’interrogativo più generale sulla funzione della storiografia dopo il tramonto delle ideologie, nell’età del multiculturalismo, della società «aperta» affrescata da Karl Popper, oppure, se vogliamo usare altre categorie derivate dalla tecnica, della società telematica. Senza entrare in analisi approfondite mi sembra si possa affermare che essa è ritornata a due funzioni fondamentali, come memoria e come delegittimazione. Come memoria nel senso di indagine di quanto del passato è presente nella nostra identità attuale; di delegittimazione nel senso di fornire alla coscienza pubblica gli elementi necessari per demistificare e svelare i meccanismi del potere che si celano in una società che tende a cancellare il passato per una visione totalmente appiattita sul presente. Noi storici, o artigiani della ricerca storica, siamo stati negli ultimi tempi marginalizzati e nello stesso tempo siamo più deboli e strumentalizzabili rispetto al potere politico ed economico mentre avanzano ogni giorno le discipline «senza tempo», da quelle psicologiche e sociologiche a quelle della comunicazione. Da questa diagnosi credo che dobbiamo partire se non vogliamo auto-ingannarci o auto-consolarci. Queste sono le condizioni in cui gli storici si trovano a lavorare in tutto il mondo, come tutti noi sperimentiamo. In senso opposto, positivo, sperimentiamo intorno a noi una fame diffusa di «storia» come fondamento del nostro patrimonio culturale e delle nostre stesse identità collettive e forse non siamo mai stati consapevoli come oggi della validità del nostro mestiere e dei suoi metodi. Il bisogno o la fame di storia che traspare nella pubblica opinione si traduce però molto spesso o in una fiction, una 714 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 reinvenzione del passato analoga a quella delle nostre fiere turistiche di paese, o in un revisionismo a uso strumentale. Nella prima direzione abbiamo avuto anche prodotti di altissimo livello e di grande raffinatezza intellettuale, best seller che tutti abbiamo letto con grande interesse, ma proprio questo ha contribuito a far perdere il senso della differenza non tra un impossibile reale storico e i prodotti di fantasia, ma tra il mestiere dello storico e l’invenzione intellettuale. Nella seconda direzione, del revisionismo strumentale, la consapevolezza del peso che ha avuto nella storiografia passata, particolarmente nel periodo degli stati-nazione, la costruzione di identità storiche finalizzate alla conquista e al consolidamento del potere, non ci deve certo chiudere gli occhi di fronte a tentativi nuovi di «invenzione della tradizione» più sfacciati ancora al servizio del potere politico o economico. Su queste tentazioni ci ha messo recentemente in guardia Wolfang Reinhard con le sue riflessioni sulla storia come delegittimazione (Geschichte als Deligimation): lo storico come il buffone di corte (Hofnarr) può dire le verità non gradite ai potenti di turno.26 Attualmente non soltanto lo storico è un Hofnarr, ma è la storia stessa come scienza della società a essere marginalizzata: in altri termini si può dire che il potere non ha più bisogno degli storici per legittimarsi come al tempo degli stati nazionali. Allora tutta la storia, dalla ricerca ai manuali per le scuole elementari, era costruita in vista della formazione del cittadino-patriota: la storia forniva la vera formazione e l’identità collettiva della nazione. Possiamo umanamente essere rattristati per la perdita d’influenza della nostra corporazione nel nostro tempo, ma dobbiamo essere coscienti che stiamo conquistando una libertà critica che i nostri maestri non hanno mai posseduto. In questo quadro penso vada inserita la nostra riflessione sulla storia come luogo teologico, sul tutto e i frammenti. Da una parte il recupero della memoria della dialettica tra la Parola e la storia nel corso dell’esperienza cristiana, in tutte le sue dimensioni. Dall’altra parte l’affermazione dell’alterità radicale della Parola rispetto alle strutture di potere che caratterizzano i percorsi delle civiltà. Non sembra però che in queste direzioni la ricerca teologica degli ultimi decenni abbia portato a risultati avvincenti. Si potrebbe ragionare a lungo sulle cause di quest’afasia della teologia. Ho parlato in altra sede del silenzio «assordante» dei teologi e cercato di cogliere qualche causa di questo fenomeno nella frantumazione della stessa teologia in tante teologie delle realtà antropologiche e nella perdita della distinzione tra la ricerca teologica da una parte e il magistero e l’insegnamento catechetico dall’altra.27 Qui mi limito per brevità e chiarezza a citare una recentissima riflessione di mons. Gianfranco Ravasi:28 «Si ha così una teologia sempre più coinvolta con le agende sociali per cui – come è stato scritto – “l’ortoprassi diventa il prezzo dell’ortodossia”. E, come spesso accade nella storia, per una sorte di legge dei contrappesi, si produce una reazione necessaria, quella del ritorno verso le radici ideali. Un ripiegamento che, però, può essere meccanico e apologetico, come nel caso del fondamentalismo, ma che può anche essere benefico quando impedisce la lenta, ma inesorabile estenuazione della teologia in mera antropologia spirituale». Particolarmente negli ultimi vent’anni mi sembra divenuta visibile una grossa crisi sia per quanto riguarda la ricerca sia per quanto riguarda la divulgazione dei risultati e l’insegnamento nei seminari e nelle facoltà teologiche. In realtà la crisi è evidente anche a occhio nudo sia in Italia sia negli altri paesi cattolici, ma anche in quelli protestanti e riformati non soltanto sul piano della teologia teoretica o dogmatica, ma anche della teologia biblica, dello studio dei padri della Chiesa e della stessa storia della Chiesa: quello che un tempo era il nucleo centrale della formazione del sacerdote viene ora marginalizzato rispetto agli insegnamenti pratici di pastorale e delle teologie applicate alle diverse realtà antropologiche: del matrimonio, della sanità, del lavoro ecc. Certamente sembra che sia in atto – non soltanto da noi in Italia, ma in tutti i centri culturali che un tempo erano più vivi nel cattolicesimo come le storiche facoltà teologiche della Germania o i grandi studi degli ordini religiosi – una crisi generale del pensiero teologico. Questo corrisponde, a mio avviso, alla crisi più generale della cultura storica nella nuova età dell’informatica «senza tempo», ma contiene anche alcuni elementi peculiari che non possono non destare preoccupazione specie se consideriamo la formazione professionale del clero e la sua proiezione nella predicazione. Non si può infatti coinvolgere la storia della Chiesa nella crisi dello storicismo con un annuncio «senza tempo» della Parola. Le tradizioni «quasi per manus traditae», secondo la definizione tridentina, da generazione a generazione, sono un’altra cosa rispetto allo storicismo: sono uno dei fondamenti, con la Scrittura, della Chiesa stessa. Il panorama è oggi del tutto diverso rispetto a cinquant’anni or sono, all’età del Vaticano II: abbiamo di fronte altri problemi: la globalizzazione, la bioetica e la manipolazione del genoma umano, la scarsità delle risorse del pianeta, la degenerazione dell’ambiente e anche la fine dello stato moderno come sovrano, come monopolio del potere (legittimo o no: vedi il problema degli stati «canaglia»). Di fronte a questi problemi il compito del pensiero teologico non è certo quello di difendere una modernità che scompare, ma di cercare di comprendere cosa della modernità possiamo portare nei nuovi tempi, nei nuovi territori ancora inesplorati in cui ci addentriamo. La posizione della Chiesa nel mondo secolarizzato ora è di una minoranza assoluta nonostante le folle che hanno caratterizzato e caratterizzano alcune manifestazioni papali o in cui sono presenti fattori politici o di religione civica di grande evidenza. In ogni caso sembra terminato il ciclo delle Chiese «confessionali» che hanno caratterizzato i secoli dell’età moderna, sia del cattolicesimo basato sui rapporti di tipo concordatario con gli stati, sia delle Chiese territoriali nate dalla Riforma. Per quanto riguarda specificamente la conoscenza della storia della salvezza come storia dell’umanità, essa sembra essenziale per evitare che il patrimonio spirituale in cui ancora noi viviamo, dalle chiese cattedrali ai conventi, alla spiritualità ecc. non diventi un peso che ci schiacci, ma un humus in cui fare crescere nuove realtà. Si ha l’im- pressione che il pensiero teologico sia rimasto come schiacciato tra coloro che ritengono l’esperienza religiosa come un fatto disincarnato dalla storia e che conti solo l’oggi (in qualche modo una teologia della liberazione che vuole liberarsi anche del passato) e i conservatori che non desiderano misurarsi con esso per evitare di vedere ciò che ha fatto il suo tempo insieme all’epoca moderna e che deve essere superato. Questa presa di coscienza sembra necessaria per affrontare il problema della divisione delle Chiese, frutto della modernità, e che oggi rappresenta uno scandalo intollerabile: senza affrontare questo problema il pensiero teologico sembra destinato alla sterilità. Non possiamo pensare a un pensiero teologico di tipo accademico staccato dalla vita cristiana: siamo di fronte a uno squilibrio che non può essere sottaciuto o sottovalutato, ma che deve investire la spiritualità, la devozione, l’arte, la musica. Non si può quindi pensare di prendere come punto di partenza isolato il problema del pensiero teologico come riflessione accademica o razionale anche se è necessario porre i teologi professionali di fronte alle loro responsabilità specifiche. Assistiamo a due fenomeni abbastanza strani e nuovi per l’Occidente: i politici si sono fatti teologi e parlano, sparlano, dei supremi principi, della vita e della morte; la teologia in senso proprio, come discorso su Dio e sulle cose ultime, non parla più e non se ne sente la voce (o si sente una voce molto flebile che commenta in modo catechistico o pastorale applicativo la voce del magistero romano). È la politica tutta che, di fronte alle grandi tematiche emergenti dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie che permettono una manipolazione mai prima sperimentata dell’uomo e della natura, tende a proporsi, particolarmente nei campi della bioetica, come una specie di nuova teologia o ideologia relativa agli ultimi «perché» circa la vita e la morte. Abbiamo non soltanto l’emergere dei nuovi fondamentalismi a difesa dei grandi valori dell’Occidente, ma anche l’emergere, dopo la crisi delle grandi ideologie, di numerose religioni politiche o sette secolarizzate, ciascuna con un credo, un culto, una liturgia particolare: oltre ai nostalgici delle vecchie ideologie abbiamo pacifisti, riformisti, ambientalisti, devoti delle nuove biotecnologie, neo-liberisti ecc. Nel campo religioso assistiamo a un fenomeno parallelo vero e proprio con la crisi delle grandi Chiese tradizionali e il moltiplicarsi dei movimenti settari e spiritualisti basati su pseudoprofeti o capi carismatici. Questi fenomeni sembrano una vendetta postuma rispetto al processo di laicizzazione che ha caratterizzato il pensiero moderno, che è avvenuto per le scienze dell’uomo e della natura nel corso della modernità. Dopo il concilio Vaticano II la cultura cristiana intesa nel senso più ampio – e con essa quindi la ricerca teologica – è infatti entrata in una crisi dalla quale non sembra essersi ancora ripresa tranne per qualche voce isolata. Se la parte più vivace e radicale della «Chiesa di base» rimase allora attratta dalla cosiddetta «teologia della liberazione» cedendo alla tentazione perenne di costruire un regno di Dio in questo mondo (con questo quindi negando la stessa funzione storica della Chiesa), la gerarchia romana IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 715 tudio del mese S 716 ha reagito nel suo complesso ai possibili sbandamenti chiudendosi in difesa e riducendo il pensiero religioso a una semplice esposizione catechistica o pastorale del magistero. Abbiamo tante teologie per ogni realtà terrena, ma non abbiamo più un discorso teologico come discorso sulla redenzione, sulla storia della salvezza. Gli stessi difensori a oltranza del Vaticano II si sono chiusi a poco a poco in una difesa passiva dei testi conciliari senza accorgersi che se grande era stato il significato del Vaticano II come superamento dell’età della Controriforma e apertura alla modernità, ciò avveniva proprio nello stesso tempo in cui la modernità stessa finiva e si annunciavano nuovi tempi e nuovi problemi, imprevedibili anche pochi anni prima, negli anni del Concilio. I pochissimi tentativi, condivisibili o no, di uscire da questa spirale sono ben conosciuti e possono essere sintetizzati anche nei due diversi e divaricanti cammini dei colleghi teologi dell’Università di Münster: Joseph Ratzinger e Hans Küng. La salvezza viene presentata ai giovani senza storia. Ma se l’assenza della storia è micidiale in generale per la società, essa diventa mortale per la Chiesa perché senza le tradizioni lo stesso senso della Chiesa si spegne. 1 M. CANO, L’autorità della storia profana (De humanae historiae auctoritate) a cura di A. Biondi, Giappichelli, Torino 1973, IV. L’impegnata Introduzione di A. Biondi (un amico che ci ha lasciato troppo presto) è ora stampata anche nella raccolta postuma dei suoi scritti: A. BIONDI, Umanisti, eretici, streghe. Saggi di storia moderna, a cura di M. Donattini, Modena 2008, 455-492. L’editio princeps del De locis theologicis a cura di J. Belda Plans è ora reperibile online tramite il sito del Center for Reformation and Renaissance Studies (www.crrs.ca). Tra gli studi che riguardano in generale l’opera di metodologia teologica del Cano: M.D. CHENU, «Les lieux théologiques chez Melchior Cano», in Le déplacement de la théologie, Editions Beauchesne, Paris 1977, 45-50; A. LANG, Die Loci Theologici des Melchior Cano und die Methode des dogmatischen Beweiss, München 1925 (rist. Hiledsheim 1974); B. KÖRNER, Melchior Cano De locis theologicis. Ein Beitrag zur theologischen Erkenntnislehre, Graz 1994. Dello stesso B. KÖRNER un breve saggio «Die Geschichte als locus theologicus bei Melchior Cano», in Rivista teologica di Lugano 5(2000), 257-269. 2 P. PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), 2 voll., Edizioni di storia e letteratura, Roma 1959 e 1966. In particolare vol. 2°, c. XII, 215-268 («Riforma religiosa e cultura»). 3 Ivi, vol. 2°, 184. 4 Per le ricerche sulla teorica delle arti figurative nella Riforma cattolica cf. Archivio italiano per la storia della pietà, vol. 4°, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1965, 121-212; PRODI, «Storia sacra e Controriforma. Nota sulle censure al commento di Carlo Sigonio e Sulpicio Severo», in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, III (1977), 75-104; ID., «Vecchi appunti e nuove riflessioni su Carlo Sigonio», in Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina, a cura di M. Firpo, Olschki, Firenze 2005, 291-310. 5 Dal commento a Sulpicio Severo, ed. Bononiae 1581, 168-69; cf. PRODI, «Storia sacra e Controriforma», 91. 6 CAROLUS SIGONIUS, Opera omnia, a cura di F. Argelati, Società Palatina, Milano 1732-1737 (6 voll. in folio), vol. 3°, col. 348. 7 P. PRODI, «Charles Borromée, archevêque de Milan et la papauté», in Revue d’Histoire ecclésiastique 62(1967), 379-411. 8 Proposizione giudicata formalmente eretica dai censori: «Ut iacent verba propositio haeretica», si veda la BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, ms. Vat. Lat. 6207, f. 67. 9 Cf. PRODI, «Storia sacra e Controriforma», 81. 10 PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti, vol. 2°, 202. 11 G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Il Mulino, Bologna 1997. 12 BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Vat. Lat. 3455, ff. 9-14: si tratta di copia coeva senza indicazione del destinatario (certamente un cardinale) e senza firma dello scrivente, appartenente senza dubbio al circolo della Congregazione dell’Indice, dato l’inciso: «(…) Il maestro del Sacro Palatio m’ha detto che non li piace, che se dichi Episcopo Romano Petri principis Apostolorum vicario, ma che si debbi dire Petri principis Apostolorum sucessori». 13 Abbiamo soltanto il documentato saggio di P. PIRRI, «Gregorio XIII e l’eredità della biblioteca di Carlo Sigonio», in A. PETRUCCI, F. BARBIERI, Studi di storia dell’arte, bibliologia ed erudizione in onore di Alfredo Petrucci, Carlo Bestetti – Edizioni d’arte, Milano-Roma 1969, 89-96. 14 Filippo Argelati a Ludovico Antonio Muratori, dicembre 1732: «Tanti sono stati li mali ufficii de’ miei malevoli, e tanti rumori fatti da più cardinali, e precisamente da Orighi e Imperiali, contro le opere del Sigonio, facendo vedere non potersi acettare la dedica del papa per le cose che quest’autore dice contro la Santa Sede, di cui ne hanno formato un foglio, e sua santità ha dovuto ritrattare l’accetta- zione di quella dedica che con tanto piacere ed impazienza aspettavo; mi fa dunque scrivere che qualonque altra cosa ove non siano cose disgustose per la Santa Sede, sarà da lui ben volentieri accettata», in L.A. MURATORI, Carteggio con Filippo Argelati, vol. 3°, a cura di C. Vianello, Olschki, Firenze 1976, 448. 15 P. VISMARA, Cattolicesimi. Itinerari sei-settecenteschi, Biblioteca francescana, Milano 2002. 16 Cf. F. TESSITORE, Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1995, vol. 1°, 399 a proposito delle Meditazioni storiche di Cesare Balbo, Firenze 1855; V. FERRONE, La società giusta ed equa. Repubblicanesimo e diritti dell’uomo in Gaetano Filangieri, Laterza, Roma-Bari 2003, 117-18. 17 M. DE CERTEAU, «Du système religieux à l’éthique des lumières (XVII-XVIII siècles): la formalité des pratiques», in La società religiosa nell’età moderna. Atti del convegno di studi di storia sociale e religiosa. Capaccio-Paestum 18-21.5.1972, Guida, Napoli 1973, 447-509 (questa tematica è stata poi ripresa nelle raccolte postume di saggi dello stesso autore, da ultimo Le lieu de l’autre. Histoire religieuse et mystique, Gallimard-Le Seuil, Paris 2005). Cf. anche P. PRODI, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Il Mulino, Bologna 2000, cc. 7 e 8; Christianisme et monde moderne: Cinquante ans de recherches, Gallimard-Le Seuil, Paris 2006. 18 Cf. sopra, nota 1. 19 W. BENJAMIN, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, 121 (Materiali dal Passagen-Werk, n. 7a, 7). 20 G. ESSEN, «“…es wackelt alles!” Modernes Gesschichtsbesusstsein als Krisis Katholischer Theolige im 19. Und 20. Jahrhundert», in Cristianesimo nella storia 22(2001), 565-604, (in trad. it. nel vol. G. RUGGIERI [a cura di], Le Chiese del Novecento, EDB, Bologna 2002). 21 H. JEDIN, Introduzione alla storia della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1973. 22 G. PASQUALE, La teologia della storia della salvezza nel secolo XX, EDB, Bologna 2001, tesi di dottorato presso la Pontificia università gregoriana, sotto la direzione di R. Fisichella: a questo volume rinviamo anche per tutte le indicazioni bibliografiche. 23 H.U. VON BALTHASAR, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 21990, vol. 27 delle Opere, XXII-XXIII. Sulla teologia della storia del Balthasar come «testimonianza» di Dio nella mediazione storica di Cristo cf. M. NERI, La testimonianza in H.U. von Balthasar. Evento originario di Dio e mediazione storica della fede, EDB, Bologna 2001. 24 P. PRODI, «Crisi epocale e abbandono dell’impegno politico. Riflessioni di Giuseppe Dossetti nei ricordi dei primi anni ‘50», in Rivista di storia del cristianesimo 1(2004) 2, 441-466. ID., «Diritto e storia in Giuseppe Dossetti», in Giuseppe Dossetti: la fede e la storia. Studi nel decennale della morte, a cura di A. Melloni, Il Mulino, Bologna 2007, 343-363. 25 Apparsa a Parigi nel 1957 è stata tradotta a cura dello stesso Centro di documentazione – Istituto per le scienze religiose di Bologna, con il titolo Cultura monastica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo, Sansoni, Firenze 1983. 26 Discorso tenuto in occasione del conferimento allo stesso W. Reinhard del «Preis des Historischen Kollegs» (Premio per i corsi di Storia) a München il 21 novembre 2001, in Jahrbuch des Historischen Kollegs, 2002, 27-37; poi sviluppato in W. REINHARD, Unsere Lügengesellschaft. (Warum wir nicht bei der Warheit bleiben), Murmann, Hamburg 2006. 27 P. PRODI, Lessico per un’Italia civile, Diabasis, Reggio Emilia 2008, 277-284. 28 Dal supplemento culturale de Il Sole 24 ore, 16.11.2008, 40. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Paolo Prodi Il peso della storia per la teologia Dio nel frammento toria significa cambiamento. La ruota della Fortuna – «rota volubilis», come si dice nei Carmina Burana (17,2) – è il suo simbolo. Forse attualmente questo risulta ancor più chiaro che in tempi più tranquilli. Se già negli anni Novanta, dopo il crollo delle ideologie che avevano caratterizzato il XX secolo, si era proclamata la «fine della storia»,1 oggi constatiamo un cambiamento rapidissimo, nel quale avvengono, non solo in economia, ma anche in politica mutamenti di una portata e una velocità insospettate, che sono descritti in un modo insufficiente con le categorie di «ascesa e decadenza»2 usate volentieri in storiografia e con l’immagine della ruota della Fortuna che gira continuamente. Fede e teologia indicano invece, come sottolinea spesso il papa attuale nella sua messa in guardia da ogni relativismo, ciò che è eterno, ciò che è stabile e offre un saldo appoggio. Il termine italiano «peso» ha molti significati, tutti pertinenti per la questione della relazione fra teologia e storia. Ciò che indica il «peso» nel suo senso originario può indicare in senso derivato positivamente il «significato» o negativamente il «fardello». Qui di seguito si parlerà di tutto questo. S Il peso del la storia Come religione, che si basa sulla storia delle relazioni fra Dio e il suo popolo e che ha nell’evento Cristo il suo fondamento permanente e il suo centro, il cristianesimo non può non essere storico. La fede cristiana non si basa su un mito, la cui concezione del tempo trova la sua caratteristica formulazione in questa espressione della tarda antichità: «Questo non è mai accaduto realmente, ma è sempre presente».3 Nonostante la ridotta base storica per una biografia di Gesù, oggi nessuno dubita seriamente della reale esistenza di Gesù di Nazaret e del fatto che non si tratti di un «mito Cristo».4 Ma non è assolutamente pacifico, neppure fra i credenti, ciò che egli voleva e quale significato gli si debba dare. Qui appare il peso della storia in doppio senso, nel senso della storia come ciò che è realmente accaduto e della storia come scienza. L’insicurezza prodotta nella teologia cristiana dalla distanza storica fra ciò che è realmente accaduto e gli uomini delle successive epoche storiche è espresso nel XVIII secolo da Gotthold Ephraim Lessing (17291781), un acuto osservatore della teologia del suo tempo, con l’immagine indimenticabile e molto citata dell’«or- rendo ampio fossato»,5 che separa gli uomini delle epoche posteriori dall’evento Gesù e che secondo lui non può essere superato. A suo avviso, i miracoli di Gesù, che vengono tradizionalmente proposti come motivazioni che legittimano la fede, sono per gli uomini di epoche posteriori nient’altro che «notizie di miracoli».6 Queste notizie non conducono alla fede, lasciano indifferenti. Dietro la sua affermazione c’è certamente, inespressa, l’idea secondo cui per le persone che incontravano il Gesù terreno le cose stavano altrimenti. Ma anche i contemporanei non hanno seguito in massa Gesù, al contrario. La differenza fra essere testimoni oculari e fedeli è stata sottolineata già da Gregorio Magno parlando dell’incontro fra l’apostolo Tommaso e il Risorto: «Egli ha visto qualcos’altro e ha creduto qualcos’altro (…). Attraverso la vista è giunto alla fede. Ha osservato l’uomo reale e lo ha confessato come Dio, che egli non poteva vedere».7 Ma la differenza fra conoscenza storica e fede non rende per nulla superfluo lo sforzo per giungere a un sapere storico sicuro. La fede non può, e non deve, essere sciolta in un sapere storico o in una qualsiasi altra forma di sapere; ma non può neppure sostenersi contro il miglior sapere. Perciò ogni tempo ha il dovere di investigare ciò che si può storicamente assicurare in qualche modo su Gesù e sulle origini, nonché sulla storia del cristianesimo nel suo complesso. Ciò che è accaduto sul piano storico con Gesù è difficilmente afferrabile e si trova, inoltre, in fonti che hanno uno scarso interesse storico, avendo anzitutto e soprattutto un interesse teologico. La scienza teologica della storia è sorta, come tutta la scienza storica, nel XIX secolo, per cercare «come sono andate realmente le cose».8 Così recita il «credo» dello storicismo, che Leopold von Ranke (1795-1886) ha coniato nel 1824 e che Benedetto Croce (1866-1952) ha poi tradotto in italiano: «(…) la storia non ha altro fine che “semplicemente esporre come il fatto propriamente è stato”».9 Albert Schweitzer (1875-1965), che ha abbandonato la teologia e ha scelto la pratica dell’amore del prossimo, all’inizio del XX secolo ha mostrato molto chiaramente nella sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù che «la ricerca storica sulla vita di Gesù (…) [cercò] il Gesù della storia come un aiuto nella lotta di liberazione dal dogma», ma che in definitiva ogni «epoca della teologia [trovò] le sue idee in Gesù».10 Al termine della sua voluminosa opera, egli esprime in un modo inimitabile la delusione a cui è giunta da ultimo la ricerca sulla vita di Gesù: «Essa ha preso le mosse per trovare il Gesù storico, e ha creduto di poterlo poi trasportare, così com’era, quale maestro e salvatore, nel nostro tempo. Ha sciolto i vincoli con cui da secoli era legato alla roccia della dottrina della Chiesa, si è rallegrata al vedere che ritornava vita e movimento nella figura e ha visto venire verso di sé l’uomo storico Gesù. Ma egli non rimase, passò accanto al nostro tempo e ritornò nel suo».11 La ricerca storico-critica si scopre incapace di fondare direttamente la fede. Osservata più da vicino, l’immagine di Gesù del Nuovo Testamento e della Tradizione della Chiesa si frantuma in immagini in parte diverse, che non è possibile, senza ulteriori interventi, ricomporre in un’unità. Il tentativo del papa nel suo libro su Ge- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 717 tudio del mese S 718 sù di mostrare l’immagine di Gesù del Nuovo Testamento, e in particolare del Vangelo di Giovanni, ha incontrato non solo il consenso di fedeli e teologi di diverse confessioni, ma anche resistenze provenienti proprio dagli esegeti di professione. Ma anche i critici della ricerca storico-critica, Joseph Ratzinger compreso, non possono sfuggire a questo dilemma: le loro rappresentazioni sono temporalmente condizionate, esprimono uno stato della conoscenza determinato, storicamente contingente e collegano a Gesù, come ha mostrato Albert Schweitzer, le loro preferenze, trovando in lui le loro idee. Ci si può ritirare sulle posizioni espresse dai dogmi cristologici, ma anche in questo caso non ci si sottrae alle condizioni della storia. Anche questi dogmi, come tutte le affermazioni dogmatiche, sono espressi nel linguaggio di un tempo determinato, presentano specifiche condizioni generali ecc. Per comprenderli, occorre una faticosa ricerca in materia di esegesi e storia dei dogmi. I critici della ricerca storico-critica in teologia obiettano continuamente che non si può far dipendere la decisione di fede dallo stato della ricerca di una determinata epoca. Questo non viene contestato neppure dagli storici che si occupano della storia del cristianesimo, nella misura in cui sono essi stessi credenti. La fede di una persona dipende, oltre che dalla grazia di Dio, che teologicamente deve essere citata per prima, da diversi fattori, nei quali opera la grazia: socializzazione religiosa, carattere, esperienza di vita della persona, situazione culturale e storica in cui questa vive ecc. Per un uomo pensante fra questi fattori c’è anche quella che Karl Rahner (1904-1984) ha chiamato «onestà intellettuale».12 Ciò che questo significa per ogni singola persona può essere molto diverso, ma per molti la questione storica dovrebbe proprio appartenere a tale aspetto. A tutto ciò si aggiungono gli scandali di cui è molto ricca la storia della Chiesa, come la storia di ogni istituzione che attraversa i secoli. Spesso vengono citati per primi, quando le persone indicano i motivi per cui non ritengono credibile il cristianesimo nel suo complesso o in una delle sue forme concrete. Questi aspetti vengono messi in campo dai critici del cristianesimo, ma non solo da loro. Anche teologi cristiani, soprattutto nell’epoca moderna caratterizzata dalla divisione della Chiesa occidentale, hanno cercato di dimostrare con argomenti storici la falsità delle altre confessioni.13 Infine, dopo l’11 settembre 2001, sono stati messi alla gogna non solo gli attentatori islamici che hanno causato migliaia di morti a New York e a Washington, ma anche la presunta intolleranza delle «religioni abramitiche», cioè ebraismo, cristianesimo e islam. Richard Dawkins, professore a Oxford, che ha redatto il Manifesto del «nuovo ateismo» nel suo The God Delusion,14 in un articolo sul Guardian ha paragonato le «religioni abramitiche» a delle persone che distribuiscono armi pronte a sparare a ogni angolo di strada.15 Sia in questa forma piuttosto aggressiva, sia nella forma più tranquilla, ma ugualmente pungente, nella quale l’egittologo Jan Assmann solleva da anni la questione del potenziale di violenza del monoteismo,16 queste accuse e domande, che addossano alla pretesa di verità delle religioni monoteistiche il sospetto della disponibilità IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 alla violenza e all’intolleranza, sfidano la teologia e la Chiesa. Anche all’inizio del XXI secolo si può constatare ciò che formulava in modo drastico il teologo protestante e filosofo della storia Ernst Troeltsch (1865-1923) alla fine del XIX secolo riguardo allo scossone impresso al cristianesimo dalla ricerca storica: «Tutto traballa».17 Ricerca storica come «purificazione del la memoria» (Giovanni Paolo II) Occorre che fede, Chiesa e teologia si occupino della storia, perché non è possibile uscire dalla storia o sfuggirle. Si può tentare di farlo. Un tentativo del genere sta nell’attuale tradizionalismo cattolico, ma esso si mostra essere, al tempo stesso, estremamente condizionato storicamente. Ad esempio, laddove esso cerca di revocare la riforma della liturgia avviata dal concilio Vaticano II, rinviando alla liturgia «perenne» che è stata riformata anche in seguito al concilio di Trento, lo fa come se si potesse uscire dal presente. Ma in questo modo non ci si libera della storicità. Lo dimostra già il fatto che il papa ha ritenuto necessario dover cambiare la problematica preghiera del Venerdì santo del rito «straordinario» per gli ebrei. La relazione decisamente conflittuale fra cristiani ed ebrei nel corso della storia non è un elemento marginale, ma è una delle questioni fondamentali che la teologia cristiana deve affrontare: essa è stata per troppo tempo rimossa. Anche se non si può addebitare semplicemente all’antigiudaismo cristiano l’annientamento degli ebrei messo in atto dal nazionalsocialismo, e motivato principalmente su base razzista, la Shoah e il fatto che l’antisemitismo non è assolutamente scomparso mettono in guardia noi cristiani da una trattazione priva di sensibilità di questi problemi. Solo un’elaborazione senza pregiudizi della storia può purificare la memoria e condurre a una nuova vita insieme, nel presente e nel futuro. Giovanni Paolo II lo ha riconosciuto e ha proclamato per l’anno santo del 2000 una tale «purificazione della memoria» realizzandola, con toccanti preghiere di richiesta di perdono, la prima domenica di quaresima, il 12 marzo 2000.18 Facendo ciò, il papa non ha incontrato solo consensi: infatti, per certi ambienti nella Chiesa cattolica, l’ammissione di errori e mancanze della Chiesa è un fatto inaudito.19 Una dichiarazione della Commissione teologica internazionale è stata pubblicata in preparazione a queste preghiere di richiesta di perdono.20 Lì si distingue fra un giudizio storico e un giudizio teologico dei fatti storici. Per la formazione del giudizio storico la dichiarazione, con riferimento a Hans-Georg Gadamer,21 afferma essere necessari vari passi: anzitutto va sottolineata la «reciproca estraneità fra il soggetto che interpreta e il passato oggetto dell’interpretazione.22 Eventi o parole del passato «hanno uno spessore e una complessità oggettivi, che impediscono di disporne in maniera unicamente funzionale agli interessi del presente. Bisogna pertanto accostarsi a essi mediante un’indagine storico-critica, che miri a utilizzare tutte le informazioni accessibili in vista della ricostruzione dell’ambiente, dei modi di pensare, dei condizionamenti e del processo vitale in cui quegli even- ti e quelle parole si collocano, per accertare in tal modo i contenuti e le sfide che – proprio nella loro diversità – essi propongono al nostro presente».23 Per la formazione del giudizio storico occorre, in secondo luogo, «una certa coappartenenza».24 Essa si fonda sull’appartenenza dell’interprete e degli attori da interpretare alla «storia dell’umanità», cioè sulla comune partecipazione a ciò che forma l’esistenza storica dell’uomo come singolo e come membro dell’umanità.25 Con questa coappartenenza deve andare di pari passo, in terzo luogo, «una riflessione critica sui motivi e gli interessi che guidano la propria ricerca e il modo in cui possono influenzare il risultato», cioè sui propri «pregiudizi».26 Alla fine c’è quella che Gadamer ha chiamato «fusione di orizzonti»: «Grazie a quest’incontro di mondi vitali, la comprensione del passato si traduce nella sua applicazione al presente: il passato è colto nelle potenzialità che schiude, nello stimolo che offre a modificare il presente; la memoria diventa capace di suscitare nuovo futuro».27 Riguardo al giudizio teologico, la Commissione teologica internazionale cita anzitutto nuovamente l’estraneità del passato, traendone le stesse conclusioni già desunte riguardo alla formazione del giudizio storico: «I paradigmi e giudizi propri di una società e di un’epoca potrebbero essere erroneamente applicati nella valutazione di altre fasi della storia, generando non pochi equivoci; diverse sono le persone, le istituzioni e le loro rispettive competenze; diverse le maniere di pensare e diversi i condizionamenti. Vanno perciò precisate le responsabilità degli eventi e delle parole dette».28 Si entra propriamente in campo teologico solo quando si tratta di determinare la correlazione fra interprete e realtà da interpretare: questa non si basa semplicemente sull’unità della storia dell’umanità, ma sull’identità diacronica e sincronica della comunità di fede della Chiesa guidata dallo Spirito Santo, che viene presentata «come soggetto in certo modo unico nella storia».29 Nello stesso tempo la dichiarazione rinvia al diverso status degli attori umani nella Chiesa, fatto di cui bisogna tener conto nel giudizio sulla loro azione: la persona ha agito in nome della Chiesa o con responsabilità personale come membro della Chiesa, come chierico o laico e ha in questo mancato contro il compito e la missione della Chiesa, così come erano compresi a livello teologico e nelle mentalità e condizioni socioculturali esistenti in quel tempo?30 L’esclusivo riferimento all’ermeneutica di HansGeorg Gadamer in questa dichiarazione sembra piuttosto problematico sotto vari aspetti. Non tanto perché alcuni pensatori postmoderni come Gianni Vattimo si richiamano a Gadamer per il loro relativismo e prospettivismo storico,31 ma ora lo stesso Gadamer viene citato in un documento di una commissione che vorrebbe rigettare ogni postmodernismo e il cui passato presidente, card. Joseh Ratzinger, anche come papa non si stanca di mettere in guardia dal relativismo. Il riferimento a Gadamer appare decisamente problematico se si pensa alla critica espressa già da molto tempo alla sua ermeneutica da parte dei teologi cattolici.32 Essi lamentano soprattutto «la mancanza della concezione di una critica operante nel processo di comprensione dello stesso processo di comprensione e dei contenuti in esso trasmessi (…). Nella concezione di Gadamer per colui che comprende non rimane altro che l’accettazione dei contenuti da comprendere. Quindi la trasmissione si fa strada con un’autorità non critica».33 Questa visione non critica della trasmissione, se corrisponde alla concezione di Gadamer, concorda con un’affermazione della costituzione Dei verbum sulla rivelazione del Vaticano II, dove, a proposito della tradizione della Chiesa, si dice che è «tutto ciò che essa [la Chiesa] è, tutto ciò che essa crede» (DV 8; EV 1/882a). Nel suo «Commentario» alla Dei verbum, che vale sempre la pena leggere, Joseph Ratzinger ha fatto propria la critica del card. Albert Gregory Meyer (1903-1965), arcivescovo di Chicago, a questa espressione. Il card. Meyer osservava che «non tutto ciò che esiste nella Chiesa, (…) [deve] essere per ciò stesso anche legittima tradizione, cioè non ogni tradizione, che si forma nella Chiesa (…) [è] veramente compimento e realizzazione attuale del mistero di Cristo». Meyer citava la sacra Scrittura come regola «per questa necessaria critica della Tradizione (…) alla quale si doveva continuamente ricondurre e con la quale si doveva continuamente misurare ogni tradizione».34 Ma non riuscì a imporsi. Comunque il Concilio ha ripetutamente ed espressamente affermato l’esistenza del peccato nella Chiesa (cf. LG 8; GS 43).35 La «purificazione della memoria» non può né far sì che l’accaduto non sia accaduto, né immunizzare la Chiesa contro la critica. Essa può solo, come ha affermato Giovanni Paolo II al termine dell’anno santo, rendere i fedeli «insieme più umili e vigili».36 Si discute animatamente sulla possibilità o meno che gli uomini imparino qualcosa dalla storia. Jacob Burckhardt (1818-1897) ha collegato con il proverbiale detto di Cicerone «historia magistra vitae»37 la speranza che gli uomini, se imparano dalle loro esperienze, «diventino non solo avveduti (per un’altra volta) ma saggi (per sempre)».38 La permanente tensione fra storiografia e teologia Per descrivere la tensione che esiste fra storiografia e teologia ritorno nuovamente a Ernst Troeltsch, che ha scritto al riguardo cose molto illuminanti a cavallo fra il XIX e il XX secolo.39 A suo avviso, la conoscenza storica comprende tre momenti: critica, analogia e correlazione. 1. Critica significa critica delle fonti, ma anche valutazione critica dei propri pregiudizi, della precomprensione con cui si affronta la storia. Ma, secondo Troeltsch, critica significa anche che in campo storico esistono solo giudizi di probabilità. 2. La critica si serve del passaggio analogico dal conosciuto a ciò che non è conosciuto per scandagliarlo: «L’analogia fra ciò che avviene davanti ai nostri occhi e ciò che si verifica in noi è la chiave della critica (…). La concordanza con procedimenti e condizionamenti normali, abituali o comunque variamente attestati, così come noi li conosciamo, è il segno distintivo della probabilità dei processi che la critica può riconoscere come realmente accaduti oppure che si può lasciar da parte. (…) Ma que- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 719 tudio del mese S 720 st’onnipotenza dell’analogia include l’affinità in linea di principio di ogni avvenimento storico».40 3. Così si giunge al terzo principio fondamentale, quello della correlazione, dell’interazione di tutti i processi storici, secondo il quale «ogni avvenimento si trova in una correlazione permanente e deve necessariamente costituire un flusso, dal momento che tutto si tiene e ogni avvenimento è in relazione con altri».41 In questo quadro di coordinate si realizza la conoscenza storica, che è fondamentalmente non conclusa e può terminare solo con la fine del corso della storia. Al carattere non concluso della conoscenza storica appartiene l’impossibilità di fornire un’interpretazione valida per sempre del passato e la necessità che ogni epoca si confronti nuovamente con il passato, con la sua ricerca e la sua interpretazione, cioè con la sua comprensione. Il valore di un tale confronto dipenderà da ultimo dal riuscire o meno a interpretare il passato, mediante ipotesi convincenti, che permettono una comprensione dei fenomeni. Qui si può citare anche la celebre espressione di Benedetto Croce: «La Storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice».42 Naturalmente quest’interpretazione ha delle conseguenze anche per la comprensione del presente. I modelli interpretativi, che si applicano al passato, influenzano moltissimo anche la comprensione del presente. Invece il metodo sistematico-teologico tradizionale sembra a Troeltsch l’esatto contrario del metodo storico: «Esso non può tollerare la critica, non per chiusura mentale, ma perché non può sopportare l’insicurezza dei risultati legata alla critica e perché i suoi fatti possiedono un carattere che contraddice tutti i presupposti della critica e della sua possibilità. Esso non può ammettere e usare le analogie, perché in tal modo sacrificherebbe la sua essenza più intima, che consiste proprio nella negazione di ogni affinità analogica fra il cristianesimo e le altre espressioni religiose. Esso non può immergersi nel complesso di tutto ciò che è accaduto, perché la conoscenza della sua esclusiva verità dogmatica consiste proprio nella contrapposizione a ciò. Naturalmente anch’esso vuole basarsi sulla «storia», ma questa storia non è storia comune, profana, come quella della storia critica. È piuttosto storia della salvezza».43 Per Troeltsch una tale dogmatica non è più possibile: essa non soddisfa gli standard scientifici del suo tempo, durante il quale la conoscenza storica ha dimostrato di essere assolutamente efficace. Chi le «ha dato un dito, deve darle tutta la mano. Per questo sembra avere, da un punto di vista strettamente ortodosso, una certa somiglianza con il diavolo».44 Nel frattempo, sulla scia della postmodernità, che ha scritto sulle sue bandiere la frase di Nietzsche: «Non esistono fatti, ma solo interpretazioni»,45 si è diffuso un pluralismo, nel quale è possibile ogni interpretazione e la questione della verità sembra sospesa. Ma la situazione che si è così prodotta può essere considerata anche in positivo. La questione della verità non può essere decisa solo mediante una ricerca storica, come si è probabilmente creduto troppo a lungo in campo teologico. Per quanto irrinunciabile per il cristianesimo, l’interrogazione storica non costituisce assolutamente l’unico accesso, IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 e l’unico accesso legittimo, alla realtà e neanche l’unica possibilità per la sua interpretazione. La teologia cristiana rende ragione di questo fatto fin dalla sua suddivisione in diverse discipline nel corso degli ultimi secoli. Essa comprende accessi molto diversi: uno più storico-critico nelle discipline biblico-storiche, uno più sistematico nelle discipline designate con questo aggettivo, uno più empirico nelle discipline pratiche. Come determinare teologicamente l’unità di queste diverse discipline scientifiche insegnate in una facoltà teologica, cioè l’unità della teologia come scienza? Eberhard Jüngel, teologo evangelico emerito dell’Università di Tubinga, al quale mi ispiro per la risposta a questa domanda,46 osserva che riguardo alle materie teologiche si tratta di discipline che condividono il loro oggetto con altre scienze. La storia della Chiesa non è riservata solo ai teologi; lo stesso dicasi dei dogmi e di altre affermazioni magisteriali o teologiche. Soprattutto fra le discipline filologicostoriche in seno alla teologia e le discipline non teologiche apparentate esistono molti punti in comune. Questi punti comuni o punti di contatto sono spesso meno discussi dei punti comuni in seno all’unica teologia. Sulla scia della distinzione greca fra «natura» e «convenzione»,47 Jüngel distingue fra il luogo «naturale» di una singola disciplina teologica in seno alle discipline non teologiche apparentate e il suo luogo «dato» in seno alla teologia. Che le scienze filologiche si occupino anche dei testi dell’Antico e del Nuovo Testamento e che il fenomeno Chiesa venga illuminato anche dalle scienze storiche è per così dire naturale. Ma il fatto che esistano proprie discipline teologiche, che pure si occupano di questi fenomeni, non è ovvio allo stesso modo. Ora da dove le discipline teologiche ricevono il loro luogo «dato», distinto dal loro luogo naturale in seno alla teologia o, in altri termini, che cos’è che costituisce il loro carattere teologico? Secondo Jüngel, l’elemento che distingue le singole discipline teologiche dalle loro discipline non teologiche apparentate è l’esistenza teologica, cioè il riferimento al mistero di Dio. Lì si trova la differenza fondamentale fra la teologia e tutte le altre scienze. Anzitutto le singole discipline teologiche devono legittimarsi nella loro scientificità profana di fronte alle loro discipline non teologiche apparentate. Lo storico della Chiesa deve padroneggiare il suo strumento di lavoro allo stesso modo di ogni altro storico profano. Questo può essere mostrato solo dalla concorrenza scientifica. I teologi che non sono all’altezza di questa concorrenza non valgono nulla neppure nella loro disciplina. Ma questo è solo un aspetto della questione. È altrettanto importante che la teologia si sforzi di dimostrare di non essere un doppione superfluo nel complesso delle scienze. E non lo è, solo se essa sa mostrare di avere una cosa propria nell’edificio delle scienze. Perciò la teologia deve restare in dialogo con tutte le scienze, deve gareggiare con loro nell’uso della ragione e chiarire al tempo stesso che essa usa la ragione in un modo specifico. La teologia non deve quindi rinunciare al ruolo specifico e particolare che gioca nel concerto delle scienze. La teologia può avere durata e spessore come scienza solo se riesce a mostrare che la fede permette una comprensione della realtà che non è concessa, allo stesso modo, alle capacità della ragione sulle quali le altre facoltà scientificamente universitarie basano la loro esistenza. Secondo Jüngel, in riferimento alla nostra domanda, il compito della teologia è il seguente: «[La teologia] deve spiegare storicamente la storicità della parola di Dio solo perché deve rispondere storicamente della parola di Dio».48 Quindi la teologia deve avere, per Jüngel, questa struttura: la scienza della parola di Dio come testo (esegesi biblica) si interroga sull’essere-accaduto della parola di Dio da ripetere. La scienza della parola di Dio come Tradizione (storia della Chiesa) si interroga sulla parola di Dio, nella misura in cui essa è stata spiegata e fissata, cioè ripetuta, nella storia. La scienza della parola di Dio come evento contemporaneo (teologia pratica) si interroga sull’accaduto della ripetizione della parola di Dio, sul modo in cui attualmente deve essere spiegata ed esposta. Infine, la scienza della parola di Dio come verità (teologia sistematica) si interroga sulla ripetibilità della parola di Dio. Qui occorre riflettere al tempo stesso sulla relazione fra Parola come testo, come Tradizione e come evento contemporaneo. Secondo Jüngel, le singole discipline teologiche hanno il compito di sgravarsi a vicenda, cosa che ovviamente possono fare solo se ogni disciplina teologica si fa carico della coscienza del problema della disciplina da sgravare. Che cosa significa in concreto? Significa, ad esempio, che la teologia sistematica sgrava le discipline storiche, assumendosi la responsabilità del loro metodo storico. Ma, secondo Jüngel, questo presuppone che le discipline storiche si facciano carico da parte loro della coscienza del problema della teologia sistematica. Ciò significa anche non accantonare semplicemente la domanda su ciò che le costituisce come discipline teologiche, ma parla consciamente, anche se, in quanto discipline storiche, non possono rispondervi. Non è certamente superfluo aggiungere che in teologia non si è praticamente mai vista, e tanto meno realmente esercitata, questa funzione di reciproco sgravio e farsi carico. Conclusione: relatività non relativismo La ricerca sulla storia dei dogmi e della teologia può limitarsi a mostrare ciò che è avvenuto di un determinato dogma o di un determinato insegnamento teologico. Queste ricostruzioni teleologiche si incontrano spesso nel campo del dogma e della storia della teologia. Per lo più si cerca a riguardo una forma di pensiero che mostri il risultato come via media fra due estremi, ad esempio, quando si presenta come via media fra razionalismo e fideismo la forma della razionalità teologica sviluppata dal concilio Vaticano I nella sua costituzione dogmatica Dei 1 F. FUKUYAMA, The End of History and the Last Man, New York 1992; trad. it. La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, Milano 1992. 2 I libri storici con questo titolo o titoli analoghi, che descrivono l’ascesa e la fine di stati, forme di governo o di economia, partiti, tematiche ecc., sono molto amati dai lettori. Il vescovo e teologo della storia francese Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704) ha per così dire aperto la strada a questa tematica con il suo Discours sur l’histoire universelle à monseigneur le Dauphin pour expliquer la suite de la religion et les changements des empires (Paris 1681). Filius. Qui gli estremi da rifiutare vengono spesso sovraccaricati per rendere ancora più luminoso su questo sfondo negativo la via media definita dal magistero. Queste rappresentazioni rendono raramente giustizia alla realtà storica. Ci si chiede che cosa abbia spinto a ciò i rappresentanti delle posizioni rifiutate come unilateralmente negative, specialmente se si sono mossi all’interno della Chiesa. La ricerca storico-teologica deve tenere conto anche di queste posizioni e non può limitarsi alla «posizione del vincitore».49 Bisogna mostrare le alternative, che in un determinato tempo si sono presentate, e bisogna evidenziare le «particula veri» esistenti nelle prospettive e posizioni rimosse. Questo significa in un certo senso relativizzare. Le dottrine astratte vengono collocate nel loro contesto storico, per cui appare anche il loro carattere temporalmente condizionato. Una tale relativizzazione equivale a mostrare le relazioni e aprire le prospettive. In mancanza di questo non vi sarebbe alcuna capacità dialogica della teologia verso l’esterno, nei riguardi del suo tempo e delle altre religioni, ma neppure verso l’interno, nei riguardi delle altre Chiese cristiane e delle altre posizioni in seno alla propria Chiesa. In mancanza di una tale relativizzazione non vi sarebbe alcun ecumenismo.50 Ma questa relativizzazione non va confusa con un relativismo, che sospende ogni giudizio di verità e conduce all’indifferenza. Questo è il pericolo dello «storicismo», dal quale mette giustamente in guardia la Commissione teologica internazionale.51 Ernst Troeltsch ha cercato di superare lo storicismo, distinguendo fra il relativismo da rigettare e la necessaria relatività. Più esattamente egli parlava di «relatività valoriale», il che per lui significa che nella «relativizzazione emerge un assoluto vivo e creativo».52 In Der Historismus und seine Probleme, pubblicato nel 1922, Troeltsch conclude le sue riflessioni sulla relatività con una comparazione con la teoria della relatività di Albert Einstein. A suo avviso la comparabilità si basa sul fatto che anche per Einstein la «relatività non è un relativismo non limitabile, ma, poiché si può calcolare da ogni posizione il sistema di riferimento e descrivere la relazione con gli altri oggetti, nonostante la sua mobilità, essa preserva l’assoluto nel relativo».53 Non senza una certa soddisfazione – Einstein ha ricevuto l’anno prima il premio Nobel – Troeltsch in una nota a piè di pagina riprende l’espressione usata da altri nei suoi riguardi: «a kind of Einstein of the religious world» (una sorta di Einstein del mondo religioso).54 Ma noi aspettiamo ancora l’Einstein che elabori una teoria soddisfacente sulla relatività di storia e teologia. Peter Walter 3 SALLUSTIO, De diis et mundo, IV, 8; citato da H.-J. KLAUCK, Gemeinde – Amt – Sakrament. Neutestamentliche Perspektiven, Würzburg 1989, 320. 4 Nella sua opera Die Christusmythe (2 voll., Jena 1909-1911) il filosofo Arthur Drews (1865-1935) dubita dell’esistenza storica di Gesù. Cf. P.-G. MÜLLER, articolo «Drews, Arthur», in LThK³ 3(1995), 372s. 5 G.E. LESSING, «Über den Beweis des Geistes und der Kraft» (1777), in ID., Werke 1774-1778, a cura di A. Schilson (Bibliothek deutscher Klassiker 45), Frankfurt am Main 1989, 443. IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 721 722 Lessing ripete quest’espressione alla lettera alle pp. 442 e 444. «Aliud vidit, aliud credidit (...). Videndo ergo credidit, qui considerando verum hominem, hunc Deum, quem videre non poterat, exclamavit»: GREGORIO MAGNO, In Evang. 26,8; Fontes Christiani 28/2, 486. 8 L. VON RANKE, «Geschichten der romanischen und germanischen Völker von 1494-1535. Vorrede der ersten Ausgabe» (ottobre 1824), in ID., Historische Meisterwerke, a cura di Willy Andreas, vol. I,1, Hamburg 1957, 4. 9 B. CROCE, La storia come pensiero e come azione (1938), a cura di Maria Conforti con una nota al testo di Gennaro Sasso (Edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce – Saggi filosofici IX), Napoli 2002, 85s; cf. anche l’intero saggio su Ranke, ivi, 81-96. 10 A. SCHWEITZER, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, 2 voll., (Siebenstern-Taschenbuch 77/78, 79/80), Hamburg ²1972; vol. I, 47s. 11 Ivi, vol. II, 620. 12 Cf. K. RAHNER, «Intellektuelle Redlichkeit und christlicher Glaube» (1966), in ID., Sämtliche Werke, vol. XXIII, a cura di Albert Raffelt, Freiburg-Basel-Wien 2006, 51-67. 13 Cf. P. POLMAN, L’élément historique dans la controverse religieuse du XVI siècle (Dissertationes ad gradum magistri in Facultate Theologica consequendum conscriptae, Series 2 – Universitas Catholica Lovaniensis 23), Gembloux 1932. 14 London 2006; trad. it. L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Milano 52008. 15 Così il resoconto di R. KANY, «Zur Lage Abrahams nach der Friedenspreisrede», in Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, n. 42, 21.10.2001, 28. 16 Da ultimo, J. ASSMANN, Die Mosaische Unterscheidung oder der Preis des Monotheismus, München 2003, dove si confronta con i suoi critici, dando loro la parola. La discussione teologica con Assmann ha prodotto innumerevoli pubblicazioni. Cf., ad esempio, PETER WALTER (a cura di), Das Gewaltpotential des Monotheismus und der dreieine Gott, (Quaestiones disputatae 216), Freiburg – Basel – Wien 2005. 17 Citato da CH. WEBER, Kirchengeschichte, Zensur und Selbstzensur. Ungeschriebene, ungedruckte und verschollene Werke vorwiegend liberal-katholischer Kirchenhistoriker 1860-1914 (Kölner Veröffentlichungen zur Religionsgeschichte 4), Köln – Wien 1984, 6. 18 Cf. la bolla di proclamazione dell’anno santo Incarnationis mysterium, 29.11.1998, n. 11; EV 17/1706-1713 e la lettera apostolica Novo millenio inenunte, 6.1.2001, n. 6; EV 20/19. Cf., inoltre, N. WANDINGER, «“Wir vergeben und bitten um Vergebung”. Kommentar zu den kirchlichen Schuldbekenntnissen und Vergebungsbitten des Ersten Fastensonntags 2000», in R. SCHWAGER, J. NIEWIADOMSKI (a cura di), Religion erzeugt Gewalt – Einspruch! (Innsbrucker Forschungsprojekt «Religion – Gewalt – Kommunikation – Weltordnung»), Berlin 2003, 143-179, specialmente 173s. 19 Cf. L. ACCATTOLI, Quando il papa chiede perdono. Tutti i «mea culpa» di Giovanni Paolo II, Mondadori, Milano 1997; nell’edizione tedesca: Wenn der Papst um Vergebung bittet. Alle «mea culpa» Johannes Pauls II. an der Wende zum dritten Jahrtausend, Innsbruck – Wien 1999, specialmente 55-75. 20 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione. La chiesa e le colpe del passato, Regno-doc. 5,2000,137-152. 21 Ivi, la nota 65 cita l’opera principale di H.G. GADAMER, Verità e metodo, Milano 21985. Non è chiaro perché non si citi l’edizione in due volumi pubblicata nell’Opera omnia di Gadamer come vol. I,1-2 (Tübingen 1986). 22 Regno-doc. 5,2000,146. 23 Regno-doc. 5,2000,146. 24 Regno-doc. 5,2000,146. 25 Cf. Regno-doc. 5,2000,146; Regno-doc. 5,2000,152. 26 Regno-doc. 5,2000,146. 27 Regno-doc. 5,2000,146. 28 Regno-doc. 5,2000,146. 29 Regno-doc. 5,2000,146. 30 Cf. Regno-doc. 5,2000,146. 31 Cf. J. GRONDIN, «Gadamers ungewisses Erbe», in G. ABEL (a cura di), Kreativität. XX. Deutscher Kongreß für Philosophie 26-30. September 2005 an der Technischen Universität Berlin. Kolloquiumsbeiträge, Hamburg 2006, 205-215. 32 Cf. H.-G. STOBBE, Hermeneutik – ein ökumenisches Problem. Eine Kritik der katholischen Gadamer-Rezeption (Ökumenische Theologie 8), Zürich – Köln – Gütersloh 1981; W.G. JEANROND, Text und Interpretation als Kategorien theologischen Denkens (Hermeneutische Untersuchungen zur Theologie 23), Tübingen 1986, specialmente 27-41 («Kritik an Gadamers Verstehensoptimismus»). Entrambi si ri7 S tudio del mese 6 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 feriscono alla discussione critica, soprattutto fra Jürgen Habermas e Gadamer. Cf. Hermeneutik und Ideologiekritik. Mit Beiträgen von Karl-Otto Apel, Claus v. Bormann, Rüdiger Bubner, Hans-Georg Gadamer, Hans Joachim Giegel, Jürgen Habermas, Frankfurt am Main 1971. 33 JEANROND, Text und Interpretation, 38, che si basa su Stobbe. 34 Parafrasi del discorso del cardinal Meyer del 30.9.1964 da parte di J. RATZINGER, «Commentario al Proemio» c. I. II, in LThK². Das Zweite Vatikanische Konzil. Dokumente und Kommentare, vol. II, Freiburg – Basel – Wien 1967, 504-528; 519. 35 Cf. M. BECHT, «Ecclesia semper purificanda. Die Sündigkeit der Kirche als Thema des II. Vatikanischen Konzils», in Catholica (Münster) 49(1995), 218-237.239-260. 36 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 6; EV 20/19. 37 CICERONE, De or. 2,36. Sulla successiva storia del detto, cf. R. KOSELLECK, «Historia magistra vitae. Über die Auflösung des Topos im Horizont neuzeitlich bewegter Geschichte», in ID., Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Frankfurt am Main 1979, 38-66. 38 J. BURCKHARDT, Weltgeschichtliche Betrachtungen. Über geschichtliches Studium, a cura di J. Oeri (1905) (Gesammelte Werke 4), Basel – Stuttgart 1978, 7. 39 Cf. E. TROELTSCH, «Über historische und dogmatische Methode in der Teologie» (1898), in ID., Gesammelte Schriften, vol. II, Tübingen ²1922, 729-753. 40 Ivi, 732. 41 Ivi, 733. 42 Croce continua: «E giustiziera non potrebbe farsi se non facendosi ingiusta, ossia confondendo il pensiero con la vita, e assumendo come giudizio del pensiero le attrazioni e le repulsioni del sentimento»: in B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, a cura di E. Massimilla e T. Tagliaferro con una nota al testo di F. Tessitore (Edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce: Filosofia come scienza dello spirito IV), Napoli 2007, 75. 43 TROELTSCH, «Über historische…», 740s. 44 TROELTSCH, «Über historische…», 734. 45 F. NIETZSCHE, Nachgelassene Fragmente 1885-1887 (Werke. Kritische Gesamtausgabe), a cura di G. Colli e M. Montinari, continuata da W. Müller-Lauter, sezione 8, vol. I, Berlin 1974, 323, Fragment 7 (60). 46 E. JÜNGEL, «Das Verhältnis der theologischen Disziplinen untereinander», in ID., Unterwegs zur Sache. Theologische Bemerkungen, München 1972, 34-59. 47 Cf. L. DEITZ, «Art. Physis/Nomos», in Historisches Wörterbuch der Philosophie 7, 1989, 967-971. 48 JÜNGEL, «Das Verhältnis…», 51. 49 Un esempio di riabilitazione di un «eretico» è la rivalutazione di Nestorio da parte della recente ricerca nel campo della teologia e della storia del dogma, che ha potuto liberarlo dalla valutazione negativa degli avversari del suo tempo e ricostruire la sua vera preoccupazione e posizione. Cf. A. AMATO, articolo «Nestorius/Nestorianismus», in LThK³ 7(1998) 745-749. 50 Nel progetto ecumenico «Lehrverurteilungen – kirchentrennend?» (1981-1985), che condusse alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999), si trattò proprio di comprendere a partire dalle loro vere ragioni e di determinare a partire dalle stesse, le affermazioni spesso diametralmente contrapposte sul piano delle formulazioni, con cui le confessioni nel XVI secolo si erano distinte e divise. Sul metodo, cf. la Prefazione dei curatori di «Lehrverurteilungen - kirchentrennend?», vol. I: K. LEHMANN, W. PANNENBERG (a cura di), Rechtfertigung, Sakramente und Amt im Zeitalter der Reformation und heute, Freiburg – Göttingen 1986, 12-16. 51 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione; Regno-doc. 5,2000,147. 52 E. TROELTSCH, «Der Historismus und seine Probleme. Erstes Buch: Das logische Problem der Geschichtsphilosophie», in ID., Gesammelte Schriften, 3, Tübingen 1922, 212. Cf. tutta l’esposizione di Troeltsch sul tema del relativismo (ivi, 211-220). 53 E. TROELTSCH, Der Historismus…, 219. 54 E. TROELTSCH, Der Historismus…, nota 95. I testi di Paolo Prodi e Peter Walter costituiscono le relazioni introduttive del convegno «Il tutto nei frammenti. Fecondità del cristianesimo tra teologia, filosofia e storia», organizzato dal Dipartimento di Storia della teologia della Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna (Bologna 3-4.12.2008). Per la pubblicazione su Il Regno si ringraziano gli autori, gli organizzatori del convegno, il Dipartimento di Storia della teologia della FTER e il suo coordinatore prof. Paolo Boschini. p p arole delle religioni Matrimonio e celibato Cattolici ed ebrei: distanze e vicinanze S econdo una plausibile percezione media, l’ebraismo è più prossimo al cattolicesimo di quanto non lo sia al protestantesimo. I motivi di questa vicinanza si trovano nel valore attribuito ai precetti e alle opere. La radicale dialettica riformata sottesa alla polarità fede e opere appare più lontana della mediazione cattolica in cui, senza negare il ruolo della grazia, alle opere viene assegnato un ruolo positivo. Va da sé che molto ci sarebbe da precisare rispetto a questa precomprensione abbastanza stereotipata. Il primo ridimensionamento da compiere è in relazione ai cosiddetti «consigli evangelici», vale a dire alle scelte volontarie che segnano una differenza tra una condizione particolare e quella dei comuni fedeli. Qui l’ebraismo ragiona in un modo assai più vicino al mondo riformato che a quello cattolico. Libere sono l’accettazione globale del giogo del regno dei cieli (la sovranità dell’unico Signore – cf. Dt 6,4-5) e la conseguente assunzione del giogo dei precetti, cogenti sono invece i comandamenti da osservare. Questi ultimi dipendono semplicemente dalle condizioni in cui ci si trova. Vi sono osservanze specifiche per uomini, donne, sacerdoti (e si è tali per nascita), ma non vi è alcun precetto peculiare per i rabbini. Essi sono legati a quanto è comune, perciò nessun rabbino compie qualcosa che sia preclusa a un altro ebreo. Spos arsi e procreare Dove la distanza con il cattolicesimo si fa nettissima è in relazione al comandamento di sposarsi e di generare: nell’ebraismo esso non conosce eccezioni. Nella tradizione vi sono espressioni molto pregnanti e norme molto dettagliate. Per la casa d’Israele l’unione sessuale e il propagare la vita rappresentano un atto di amore che gli esseri umani attuano nei confronti del loro creatore. I figli di Abramo hanno per lo più assunto un atteggiamento cauto e sospettoso nei confronti dell’ascetismo, perché è da stolti – come dichiara Maimonide – affliggere i propri corpi con ogni genere di tormenti pensando in tal modo di acquisire virtù «come se Dio fosse nemico del corpo e mirasse a distruggerlo e mortificarlo».1 Ciononostante, nella storia ebraica si incontrano qua e là prassi ascetiche, ma mai ci si imbatte in una completa astinenza sessuale. È il celibe a trascorrere le giornate avviluppato in pensieri peccaminosi (Talmud babilonese, Qiddushin 29b). Infatti il versetto biblico che parla dell’Adam creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27) significa «né uomo senza donna, né donna senza uomo, né ambedue senza la Presenza divina» (Midrash Bereshit Rabbà, 8,9). Solo quando l’uomo e la donna furono uniti il loro nome divenne compiutamente Adam (Talmud babilonese, Jevamot 63a). Chi non ha moglie è privo di beni, di aiuto, di allegria, di benedizione, di perdono, di bene, non è neppure un uomo completo (Midrash Bereshit Rabbà, 17,2). Anzi si giunge perfino a dichiarare che «colui che si astiene dalla procreazione, la Scrittura lo considera come se avesse versato sangue e diminuisse l’immagine di Dio» (ivi 34,14). Su questo terreno la distanza rispetto alla tradizione cattolica è molto più forte che rispetto a quella riformata. Nelle corde di Lutero vi sono, non a caso, espressioni che l’ebraismo non avrebbe alcuna difficoltà a fare proprie: «Il matrimonio è poi un ordine e una creazione di Dio… Satana infatti odia questo genere di vita. Suvvia in nome di Dio arrischiati [si sta rivolgendo al suo discepolo Dietrich Veit] sulla sua benedizione e sulla sua creazione».2 Va da sé che queste parole sono condivise anche dal cattolicesimo che rende il matrimonio un sacramento. Tuttavia esse non possono essere dotate di un’estensione universale. Nella tradizione cattolica si è infatti obbligati a dire che il matrimonio è buono, ma non ogni forma di vita buona è riconducibile a esso. In luogo di un radicale aut aut, occorre rivolgersi a un più mediato et et. Secondo Giovanni Crisostomo: «Chi denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi lo loda, aumenta l’ammirazione che è dovuta alla verginità», quest’ultima infatti attesta una condizione più alta non rispetto a quanto brutto, ma rispetto a quanto è bello.3 Il celibato per l’ eschaton Solo una forma di vita orientata verso l’eschaton è in grado di giustificare l’altezza della scelta celibataria. Essa ha consistenza soltanto se la vita di chi ha consacrato a Dio la propria condizione di celibe testimonia davvero un’ulte- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 723 Parole delle religioni riorità rispetto a questo mondo. Al riguardo il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1619) si esprime in modo del tutto consono: «La verginità per il regno dei cieli è uno sviluppo della grazia battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo, dell’attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa (cf. Mc 12,25; 1Cor 7,31)», fermo restando che tutto ciò può essere vissuto anche in modo molto spoglio. Ivan Illich, a proposito di se stesso, scrisse che il voto di castità è scelta «di vivere adesso la povertà assoluta che ogni cristiano spera di vivere nell’ora della morte».4 Fino a qui però ci troviamo in un ambito condiviso anche dall’ortodossia. Tocchiamo infatti le basi peculiari della scelta monastica. La presenza di uomini e donne che scelgono di testimoniare il Regno nell’attesa della venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi fa parte di una grande e condivisa tradizione cristiana. Quanto è peculiare al cattolicesimo, o meglio al suo rito latino, è l’imposizione del celibato come condizione indispensabile per l’esercizio del sacerdozio ministeriale. Nel recente libro-intervista Conversazioni notturne a Gerusalemme, a Carlo Maria Martini è stata posta una domanda in termini molto franchi: «Non avere rapporti sessuali è innaturale. Come mai i preti non devono sposarsi?». Il cardinale risponde: «I preti possono sposarsi in tutte le Chiese a eccezione di quella cattolica romana. L’idea che i sacerdoti non debbano sposarsi è nata dal monachesimo. Donne e uomini vivono insieme in comunità, oppure da eremiti, per seguire Gesù nel suo celibato. Vogliono essere completamente liberi per servire Dio (…) rischiano la vita per amor suo. Per il celibato è fondamentale che una comunità offra al sacerdote uno spazio in cui sentirsi amato e protetto. Un prete non deve sentirsi solo…».5 La lunga esperienza pastorale ha reso evidente a Martini quanto sia grande il problema del prete che vive in solitudine nel cuore della città. Perciò, egli più avanti apre, con ponderata cautela, all’ipotesi di consacrazione presbiterale di viri probati.6 Tuttavia il centro della questione non sta nel dramma reale del conforto richiesto, di frequente, da chi ha fatto una scelta che dovrebbe renderlo disponibile verso tutti. Né tutto è risolvibile nella grande testimonianza di colui che decide volontariamente di restare solo per essere più vicino a chi, contro il suo volere, è stato gettato dalla vita nella solitudine. Questa vocazione radicale rende prossimi alla gente e costringe chi la compie a comprendere come vanno le cose del mondo anche quando, in proprio, è esonerato dal rischio di allevare figli in una società difficile. Questa chiamata però non è per tutti; né può essere imposta come obbligo. Resta comunque vero che il cuore del discorso è, in realtà, di ordine teologico. Monaco e presbitero È giunto il tempo di chiedersi, e non solo per motivi pastorali, se la scelta del celibato obbligatorio, imposta in Occidente alla fine dell’XI secolo e codificata disciplinarmen- 724 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 te solo con il concilio di Trento, non rappresenti una perdita rispetto alla posizione mantenuta dalla grande tradizione ortodossa (e contemplata anche dalle Chiese cattoliche di rito orientale) che rende vincolante il celibato per i monaci e per i vescovi ma non per i sacerdoti che vivono nel mondo. La vitalità occidentale del neomonachesimo che, recuperando la vocazione originaria, ha posto in gran rilievo la differenza tra lo status di monaco e quello di presbitero, dovrebbe essere assunta come occasione – spiritualmente più alta di quella connessa a pure istanze pastorali – per ripensare alle condizioni e agli obblighi propri del sacerdote che abita nel mondo. Non vi è nulla di più fedele alla Tradizione dell’esistenza di una netta distinzione tra monaco e presbitero. La storia della Chiesa mostra che alle spalle dell’opzione celibataria imposta ai sacerdoti vi sono pure considerazioni teologiche diverse rispetto a quelle legate alla perfezione monastica. Alcune di esse sono molto antiche. Per esempio già nel sinodo di Elvira (attorno al 300), l’accento posto sull’astinenza sessuale di vescovi, presbiteri e diaconi è preso non dalla novità del sacerdozio di Cristo, ma dall’ibrido impasto che lo collega a una spuria ripresa dell’antico sacerdozio levitico.7 Prima di compiere il loro servizio al Tempio di Gerusalemme i kohanim (sacerdoti) dovevano entrare in uno stato di purità – ovviamente temporaneo – il che comportava per loro l’astensione dai rapporti sessuali. Pensando al nuovo sacerdozio, secondo l’ordine di Melchisedek come eterno (cf. Sal 110,4), si è ritenuto logico concludere che anche l’astensione dal sesso fosse perenne. È stata, dunque, una visione teologicamente impropria di una Chiesa che si pensava come nuovo Israele a introdurre l’associazione tra l’essere presbitero e l’essere celibe. Prima che la pressione degli avvenimenti e le urgenze pastorali conducano verso qualche frettoloso accomodamento, sarebbe bene ripensare, per tempo, a questi fondamentali snodi teologici. Piero Stefani 1 M. MAIMONIDE, Gli otto capitoli. La dottrina etica, Carucci, Roma 1977, 33 (anche Giuntina, Firenze 2001). 2 M. LUTERO, Discorsi a tavola, n. 233, Einaudi, Torino 1969, 50. 3 GIOVANNI CRISTOSTOMO, De virginitate, 10,1: PG 48, 540A, in Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1620; cf. GIOVANNI PAOLO II, es. ap. Familiaris consortio, 22.11.1981, n. 16, EV 7/1575ss. 4 Cit. in F. MILANA, «Postfazione» a I. ILLICH, Pervertimento del cristianesimo, Quodlibet, Macerata 2008, 143. 5 C.M. MARTINI, G. SPORSCHILL, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, Milano 2008, 32. 6 Ivi, 100. 7 «Si è deciso complessivamente il seguente divieto ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, come a tutti i chierici che esercitano un ministero: si astengono dalle loro mogli e non generino figli; chi lo avrà fatto, dovrà essere allontanato dallo stato clericale», H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum definitioinum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. bilingue, a cura di P. HÜNERMANN, EDB, Bologna 1995, n. 119. i i lettori ci scrivono Obama: le ragioni di una scelta Caro direttore, l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti (4 novembre) ha scatenato una ridda di spiegazioni di cui è difficile fare sintesi. Mi limito a qualche pensiero del tutto personale. Nonostante l’elezione già avvenuta, mi risulta ancora incredibile che un nero possa essere presidente di questa nazione. È difficile interpretare questo fatto se non come espiazione collettiva di un peccato (la segregazione razziale) finalmente ammesso ed elaborato. È un atto di redenzione che il corpo elettorale ha coraggiosamente compiuto. Il paese ne aveva bisogno. D’ora in poi l’intera questione razziale avrà una diversa dimensione e profondità. Ma questo si allarga a tutte le minoranze. Sul versante ecclesiale, nella relazione fra governo e Chiesa cattolica, non credo cambierà molto. La separazione prevista dalla Costituzione e garantita dalla Corte suprema lascia assai poco terreno di manovra che né il Congresso, né il presidente possono cambiare. Teoricamente l’amministrazione ancora in atto di George Bush è considerata più amichevole nei confronti delle Chiese e la tradizione repubblicana più vicina ai principi morali cristiani, ma i fatti dicono talora il contrario. Nonostante il bisogno e il diritto, nelle scuole, nelle università e negli ospedali cattolici, sono arrivati minori finanziamenti (fino a quasi scomparire) a causa degli impegni finanziari per la guerra. Da questo punto di vista era migliore l’amministrazione Bill Clinton. I cattolici conservatori e «di destra» hanno parlato molto in campagna elettorale del tema dell’aborto, come se tutto dipendesse dalla figura e dai poteri del presidente. A tutto vantaggio della candidatura John McCain. Il «gruppo di mischia» della Conferenza episcopale – non più di dieci, anche se il Catholic News Service ne censiva una cinquantina – ha fatto ripetute dichiarazioni sul «valore assoluto della vita» che significava nei fatti l’indicazione per McCain. Più sfumata la posizione della Conferenza episcopale che confermava la libertà di coscienza per il voto, ma suggeriva l’attenzione benevola allo schieramento più rigorista sul fatto abortivo. Ma il problema è assai complesso. Il «diritto della donna» di accedere all’aborto è stato dichiarato dalla Corte suprema come «contenuto dentro la Costituzione», come garantito dalla legge fondamentale. È storicamente assai discutibile, ma è una sentenza che non può essere cambiata né dal presidente, né dal Congresso. Certo il presidente può nominare un giudice della Corte suprema più favorevole «alla vita», ma la nomina deve essere approvata dal Senato. Per imporre un nome la maggioranza dovrebbe avere 60 dei seggi al Senato. Né quella attuale né quella uscita dalle elezioni sono in grado di farlo. Possiamo anche supporre che la Corte suprema cambi la sentenza. Ma in questo caso ciascuno stato della Federazione sarebbe lasciato libero di regolare il problema come meglio crede. Molti esperti e osservatori ammoniscono che il risultato rispetto al valore della vita non migliorerebbe e in alcuni stati peggiorerebbe. Ricordo tutto questo per mostrare che il problema non è facilmente risolvibile con l’una o l’altra candidatura. Va sempre ricordato che il cattolicesimo è una minoranza nel paese e che la cultura, meno secolarizzata di quella europea, è comunque laica. Per molti cattolici si può ottenere qualcosa attraverso un lungo processo educativo e comunicativo. Non certo con dimostrazioni di piazza o attraverso i soli strumenti legali della legislazione e delle pene. Ci sono poi gli urgentissimi problemi sociali. Ci sono molte miserie nascoste nel nostro ricco paese. Quaranta milioni di persone non sono coperte dall’assicurazione sanitaria. Una malattia può rovinare una famiglia per sempre. Capita tutti i giorni. Bush era contrario alla socializzazione dei costi; John McCain si è pronunciato contro un’assicurazione generale. Sono milioni i neri e gli immigrati irregolari che vivono in povertà assolu- ta. Va anche ricordato il sistema di tassazione che di fatto favorisce i ricchi e penalizza i poveri. Il sistema scolastico nei quartieri poveri è privo di qualità, con risultati educativi disastrosi. C’è poi la guerra. Sui vari fronti quelli che muoiono sono i poveri. Il servizio militare volontario e non obbligatorio porta a questo risultato. La maggioranza di coloro che si arruolano lo fa per poter ottenere un’educazione scolastica superiore, para-universitaria. Le forze armate infatti pagano una sorta di tutoraggio per lo studente che accetta l’arruolamento per alcuni anni nell’esercito. L’ideologia del lassez faire è risultata devastante per l’economia americana. Nel campo della politica internazionale, poi, l’amministrazione Bush è stata semplicemente un disastro: l’illusione di una facile vittoria, il disprezzo dei diritti umani, il mancato rispetto dei patti internazionali. McCain ne rappresentava la continuità. Al Senato ha votato le indicazioni del presidente nel 90% dei casi. L’età del candidato repubblicano (72 anni) non era quella più adatta per un leader internazionale e la sua situazione di salute è incerta. Ha avuto un cancro. Se si dovesse ripetere, il governo passerebbe alla vicepresidente. E la possibile vicepresidente, la governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, si è mostrata del tutto impreparata sul versante internazionale. Si può sinteticamente dire che l’amministrazione repubblicana ha meglio garantito certi principi di morale personale, ma è stata del tutto distante da valori essenziali della dottrina sociale cristiana, con una politica sociale non condivisibile. Ci sarebbero molti altri aspetti da citare. Ma questi sono sufficienti per indicare il quadro di massima per una scelta elettorale. Se il riferimento è il bene maggiore o il minor male per il paese la scelta cadeva su Obama. E così ho fatto. Naturalmente senza pensare che tutto possa essere risolto e che non vi saranno contraddizioni e polemiche. L’opposizione nel Congresso e nel paese rimane forte, anche se per qualche tempo sarà ammutolita. I pregiudizi sono ancora vivi in milioni di persone e l’ideologia di un neocapitalismo senza regole è ancora ampiamente diffusa. Cambiare la mentalità è più difficile che cambiare voto. Un cordiale saluto. Washington (Stati Uniti), 7 novembre 2008. lettera firmata I papi e il Concilio Caro direttore, ho letto e ho condiviso lo studio del mese su il Vaticano II tra Pio XII e Paolo VI: «Uniti dal Concilio» (Regno-att. 18,2008,639). È urgente e necessario promuovere momenti di riflessione per mettere in risalto l’azione di grandi pontefici troppo facilmente etichettati e condannati dalla cultura «laicista» contemporanea come Paolo VI, Pio XII, Leone XIII ecc. Paolo VI ha saputo guidare con equilibrio per la giusta strada il cammino ecclesiale, turbato dai tradizionalisti e dai facili innovatori portando la Chiesa alla stupenda realtà postconciliare. Il Concilio tuttavia aveva le proprie fondamenta nei decenni precedenti, nell’azione di Pio XII e nel suo magistero. Non è casuale che, dopo la parola di Dio, Pio XII è il più citato nei documenti conciliari e anche l’enciclica Pacem in terris del beato Giovanni XXIII trova conferme e continuità storica nelle numerose citazioni di Pio XII. Non bisogna aspettare per la beatificazione di Pio XII! 11 novembre 2008. Contardo Romano IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 725 i lettori ci scrivono Moschee. Il caso di Trento Caro direttore, ho letto con particolare interesse l’articolo sulle moschee e il territorio (Regno-att. 18,2008,607), soffermandomi sul paragrafo dedicato a Trento e al dibattito che si è avviato con la proposta di sostenere economicamente la costruzione della moschea. La comunità San Francesco Saverio ha raccolto una colletta a favore della comunità islamica per la nuova moschea. Una testimonianza che ha diviso la società e la Chiesa di Trento: il vescovo, che pure non l’ha condannata, l’ha però dichiarata eccessiva. Ma molti cattolici, anche preti e laici, l’hanno appoggiata. È stato un modo per aiutare a riflettere una società investita dalla paura, e sotto la pressione di forze politiche come la Lega Nord, che ha raccolto firme contro la moschea. Le recenti elezioni provinciali (9 novembre) con la vittoria del centrosinistra sono però un segno di disponibilità al dialogo. Una rivista locale (l’Invito) ha stampato un dossier dedicato al «caso» di Trento. Chi lo volesse può richiederlo all’indirizzo di via Salè 111, Povo (TN). Cordiali saluti, Trento, 13 novembre 2008. Silvano Bert Maggiolini: l’ultima stagione Como, 14 novembre 2008. Caro direttore, don Andrea Caelli l’11 novembre è morto a Como mons. Alessandro Maggiolini vescovo emerito della stessa diocesi. Conosciuto nella Chiesa italiana per le opere teologiche e pastorali, ma anche per il servizio di giornalista e di DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 - C.P. 568 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE p. Lorenzo Prezzi VICEDIRETTORE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2009 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2009 - Italia € 57,00; Europa € 95,40; Resto del mondo € 107,40. REDAZIONE p. Alfio Filippi (Direttore editoriale EDB) / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. 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Nonostante la grave malattia, lasciava il suo appartamento e si recava presso il confessionale in duomo. Tutti i giorni due-tre ore di ascolto e di incontro, di semplice offerta della misericordia del Padre. Solo i ricoveri presso l’ospedale lo privavano di questo appuntamento. Allora il suo unico rammarico era quello di essere tenuto lontano dal confessionale. Così per il vescovo emerito tenerezza e misericordia si fondevano nella verità di un sacramento celebrato e offerto a molti. Il confessionale divenne la nuova cattedra. Per la Chiesa di Como è stata la testimonianza e la visibilizzazione del pensiero che così formulava: «Oggi soprattutto, quando abbiamo l’impressione che gli unici preti celebrati siano quelli della protesta, di una confusa rivoluzione e di un certo filantropismo, non possiamo dimenticare che i preti di frontiera sono innanzitutto quelli con il cuore trepidante di Cristo, si curvano sulla disperazione prodotta dal peccato e si consegnano come richiami di amore misericordioso ed esigente che ha il Signore Gesù come concretizzazione suprema e che a noi domanda una condivisione incessante e crescente». Nel suo testamento spirituale traspare ancora una volta la bellezza di questo ministero: «Ti ringrazio perché mi hai chiesto di esercitare il ministero della tua riconciliazione: ivi ho incontrato fratelli e sorelle, peccatori come me, eppur protesi a chiedere il perdono e a promettere la vita nuova in te. Per me il confessionale si è rivelato momento di grazia e di gioia: anche quando perdonavo e consolavo a nome tuo e del tuo Spirito». Anche questo è stato il prete e vescovo Alessandro. 20/2008 Crisi finanziaria e responsabilità politiche Caro direttore, come sempre, nel vostro stile, l’intervista a Tommaso Padoa-Schioppa (Regno-att. 18,2008,585ss) si è rivelata un interessante approfondimento sulle ragioni che hanno dato inizio a questa crisi finanziaria. Molto interessante il giudizio dell’ex ministro dell’Economia relativo al divario tra l’economia di mercato globalizzata e i forti limiti che invece trova la politica nel governare le questioni economiche rimanendo a livello locale e quasi «emarginata» dal mercato globale. Riflettevo sulle ricadute di questo fatto sul governo locale anche a livello più basso (regioni, province, comuni), laddove sono le imprese e le economie a diversi livelli a dettare molto spesso le linee guida del cambiamento. Le amministrazioni pubbliche troppo spesso sono trainate da questo processo anziché governarlo (leggi problema urbanistico ed edilizio). Un saluto cordiale, Ozzano dell’Emilia (BO), 14 novembre 2008. Michele Ferrari Errata corrige Nell’articolo di F.P. CASAVOLA «Il Vaticano e la Costituzione. La Chiesa e i cattolici agli albori dello stato laico» apparso su Regno-att. 18,2008,611ss, a p. 612 è stata inserita una didascalia non riferita all’immagine della pagina precedente, la quale invece illustra piazza San Pietro e via della Conciliazione a Roma. Nella segnalazione di L.M. MIRRI «P.A. Florenskij, Il concetto di Chiesa nella sacra Scrittura» apparso nello stesso numero a p. 628s, non compare il carattere slavo dell’iniziale di Lubomir Z ák. Ce ne scusiamo con i lettori. (Red.) Io sono lo scarabocchio di Dio Ricordo di don Benzi a un anno dalla morte “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ D on Oreste, tu sei un santo» disse il card. Carlo Caffarra a don Oreste Benzi al termine di una conversazione che era stata per ambedue «molto coinvolgente». «Eminenza non dica mai più queste parole! Io sono lo scarabocchio di Dio» fu la replica del prete di Rimini, che si era fatto «serio, anzi severo». Le due battute sono state riferite dal cardinale di Bologna venerdì 31 ottobre a Rimini, durante l’apertura della mostra fotografica su don Oreste, «Amare sempre», allestita dalla Comunità papa Giovanni XXIII nel palazzo dell’Arengo a un anno dalla morte. Tre ore più tardi – sempre a Rimini – c’è stata la presentazione del libro di Valerio Lessi, Don Oreste Benzi un infaticabile apostolo della carità (San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2008). Ero tra i presentatori, ed eccomi qui a ricordare questo prete esagerato nell’amore per ogni creatura, che dava il suo numero di cellulare ai barboni e alle prostitute, che aveva proposto alle 26 mila parrocchie italiane di assumere una prostituta ciascuna come colf e che un mese prima di morire andò ad abitare nella casa per barboni Capanna di Betlemme che egli stesso aveva realizzato. «Ecco sono un barbone» fu il lieto saluto agli altri ospiti, la prima notte che vi andò a dormire. Il libro è una narrazione piana, legata ai fatti, della vicenda di don Oreste interpretata attraverso le sue parole. Don Benzi era un maestro nel provocare dissensi e nello scandalizzare, capacissimo di scontrarsi con la destra e la sinistra – e con gli altri preti – sugli zingari, le prostitute, l’aborto, la droga, gli immigrati, i disabili e ogni altro derelitto: il libro non smussa gli spigoli. C’è un capitolo, l’XI, che inizia così: «Don Benzi era di destra o di sinistra?». Quasi a ogni pagina c’è un episodio che apre gli occhi a don Oreste su una creatura umana sfregiata dalla sorte o dagli uomini – un avvinazzato, un immigrato bruciato nella sua baracca, un bimbo abbandonato – di cui quel prete correva a occuparsi: suggerisco ai lettori del libro di seguire questo filo rosso per imparare da don Oreste a vedere il mondo con occhi di Vangelo. Alla presentazione del volume del collega Lessi ho incontrato un altro collega, Francesco Zanotti, già organizzatore di miei incontri in Romagna, che mi ha dato il suo quinto libro sul nostro prete di strada, Don Oreste Benzi dalla A alla Z: rievoca conversazioni e serate vissute insieme, in dialogo con la gente delle parrocchie, o nelle discoteche, o ai concerti dove don Benzi, ottenuto il microfono, gridava festoso: «Un applauso a nostro Signore, perché la vita è bella!». La lettura dei due volumi, la visita della mostra fotografica riminese, la visione del filmato Don Oreste il parroco dalla tonaca lisa di Giorgio Tabanelli mi hanno aiutato a mettere a fuoco la sua memoria come di un uomo che passa beneficando, tale quale Gesù nei Vangeli, in rispo- sta al grido d’aiuto che gli arriva da chi l’incontra. Era in risposta a quel grido che diceva: «Non andate a trovare i vecchi all’ospizio, portateveli a casa!» (F. ZANOTTI, Don Oreste Benzi dalla A alla Z, À ncora, Milano 2008, 79). Che combatteva per avere leggi contro la prostituzione di strada, per la tutela dei nomadi, per il recupero dei tossicodipendenti. «Date uno stipendio alle mamme» gridava anche (ivi), per dire tutta l’importanza che attribuiva alla famiglia. Egli era convinto che alla parola deve seguire il fatto, ed è per questa ricerca dell’azione che aveva dato vita alla Comunità papa Giovanni XXIII, che oggi è presente in 27 paesi. «La devozione senza la rivoluzione non basta» è una sua affermazione pronunciata alla Settimana sociale dei cattolici italiani il 19 ottobre dell’anno scorso, due settimane prima di morire, e commentata senza accomodamenti dal vescovo di Rimini Francesco Lambiasi durante la presentazione del volume di Lessi (cf. LESSI, Don Oreste Benzi un infaticabile apostolo della carità, 21). DA ROMAGNOLO AMAVA IL MOTTEGGIO E LA SFIDA Don Oreste scatenava dissensi con la sua semplicità evangelica, esagerando sulla via della carità, facendo giocare la propria romagnolità che è anche motteggio e sfida. Era un semplificatore nato, procedeva libero da ogni schema e andava sempre al concreto, risultando massimamente provocatorio. Con la sinistra politica poteva essere – sette volte su dieci – un alleato di fatto, ma hanno durato una gran fatica – i «compagni» – a capirlo. Tante volte mi sono trovato a battagliare in sua difesa, ma è capitato anche che tre volte io abbia disputato con lui: una volta a voce sul digiu- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 727 MAI SE LA PRENDEVA SE VENIVA CONTRADDETTO Io ammiravo quello che faceva con le ragazze di strada e ammiro l’eredità che ha lasciato: oggi i gruppi della Comunità che di notte vanno a cercare le prostitute sono 16. Ammiravo ma discutevo, e per fortuna mai se la prendeva se veniva contraddetto. Dopo che ebbi esposto quelle mie critiche in questa rubrica (cf. Regno-att. 10,2002,359s) gliene chiesi un parere, ma svicolò dicendo «bene bene» e passò a un altro argomento. Al telefono era un torrente sempre gonfiato da un argomento che 728 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 l’infiammava. Chiamava mentre era in automobile o nel mezzo di una marcia e chiedeva se potevo «scrivere qualcosa». La foto più bella della mostra di Rimini lo ritrae con due telefonini, uno per guancia. L’immediatezza delle sue risposte a chi gridava verso di lui era sorprendente. «Il 27 dicembre 1972 un parrocchiano, Carlo, bussa alla porta di don Oreste e gli dice: “Venga a vedere come muore un uomo”»: è l’incontro con Marino, uno dei primi ospiti della casa famiglia Betania (LESSI, Don Oreste Benzi, 77). Poco prima di incontrare Marino si era sentito dire da un ragazzo ospite di una casa di cura: «Portami via da qui». Così nascono le sue «opere». Oggi le case famiglia della Comunità sono 260. I centri di recupero per tossicodipendenti gestiti dalla Comunità sono 36 in Italia e 5 all’estero, gli ospiti 470. In ambienti della Comunità «ogni giorno si siedono a tavola 39 mila persone in tutto il mondo» (ivi, 83). Ma gli inizi sono umilissimi. «Una sera chiamano don Oreste a casa loro. Lui va e trova solo il marito con i bambini. Appena vede il sacerdote, l’uomo glieli allunga: “Toh, tienili tu”» (ivi, 88). In nome della carità si assume responsabilità impensabili per un prete. Appoggia l’occupazione di alloggi dell’Istituto autonomo case popolari (IACP) non ancora ultimati da parte di senzatetto, si batte per l’accoglienza dei disabili negli alberghi e negli stabilimenti balneari, dopo la morte di un ragazzo a un incrocio partecipa al blocco della superstrada Rimini-San Marino per ottenere che vengano messi i semafori. Si inimica “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ no dei musulmani e due volte a voce e per iscritto sul silenzio di Dio e sui clienti delle prostitute. Richiamo queste dispute perché dal contrasto che avemmo può venire un aiuto aggiuntivo a cogliere, nella verità, il dono che quest’uomo di Dio è stato per tutti. Sul digiuno dei musulmani aveva scritto nel volume Trasgredite! che nel Ramadan «il digiuno non c’è, in realtà, perché si mangia in abbondanza di notte» (Mondadori, Milano 2000, 138). Gli feci osservare che non mangiare e non bere da quando si fa luce a quando si fa buio è una penitenza terribile, poniamo in luglio – ma lui ripeteva: «Mangiano di notte». Sul silenzio di Dio diceva che non lo sentiamo perchè stiamo distratti, e io aggiungevo il fatto che parla sottovoce. Quanto mi sarebbe piaciuto convincerlo a unirsi con la sua forte preghiera a quanti invocano il Signore perché torni a manifestarsi nella nostra epoca! Una terza volta discutemmo sul perché gli uomini cercano le prostitute: diceva che era tutta una smania indotta dal testosterone, mentre a mio parere c’era del mistero, tant’è che le cercano anche uomini fidanzati e sposati. Don Oreste aveva ben colto che «il significato della tossicodipendenza va ricercato nel mistero dell’uomo» (LESSI, Don Oreste Benzi, 138) ma non voleva ammettere che anche nell’amore a pagamento c’è un qualche mistero e irrideva ai clienti che «si innamorano delle ragazze». tutti quando si batte contro lo sgombero dei campi nomadi. Organizza preghiere collettive davanti alle cliniche nel giorno in cui vengono eseguiti gli interventi abortivi. Lo fa a Rimini e a Bologna, a Modena e Forlì, ad Ancona e a Latisana in provincia di Udine, a Castrovillari, a Trapani, a Imola. Per una ragazza ospite di una casa famiglia, che più volte va in clinica per abortire, don Oreste si impegna con un voto: «Se questo bambino nasce, non bevo più il caffè». E da allora non lo bevve più (ivi, 152). Il suo genio della carità l’induce a rispondere comunque a chi gli tende la mano. Nella pratica di quella risposta egli matura convincimenti che lo fanno a volte precursore di metodi di aiuto nei confronti di emarginati e svantaggiati: dalle case famiglia alle comunità terapeutiche. Quanto alle parole, segnalo due sue battute, riportate nel volume di Lessi, che non conoscevo e che mi sono parse le più evangeliche. « MA CI SONO ALTRE PROSTITUZIONI» La prima è ripresa dal video Do you love Jesus?: «Se devo andare a cercare delle persone che sono capaci di cambiare l’umanità, devo andare tra gli ex carcerati, che hanno usato la loro intelligenza e capacità per devastare, perché non avevano ancora trovato la loro vita, e fra i tossicodipendenti» (ivi, 136). «Tu ami Gesù?» è la domanda che fa alle ragazze di strada, quando le va a cercare la sera per i viali di Rimini o di Bologna. Ed ecco un altro spunto evangelico dedicato a loro, in un articolo che don Benzi ebbe a scrivere per il Corriere di Rimini a commento del detto «le prostitute vi precederanno»: «Perché la loro è la prostituzione della carne, ma ci sono altre terribili prostituzioni che distruggono tante persone. È la prostituzione del denaro accumulato, del lusso schifoso e scandaloso, dei possedimenti senza scopo, della politica per il potere e non per il servizio del popolo» (ivi, 162). Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it