Roberto Lai Marco Massa S.Antioco da primo evangelizzatore di Sulci a glorioso Protomartire “Patrono della Sardegna” Introduzione del Santo Padre Benedetto XVI Santi. Gli autentici apologeti della Chiesa. Prefazione del Cardinale Camillo Ruini Edizioni Arciere Realizzazione editoriale Edizione Arciere, Sant’Antioco Opera eseguita sotto gli auspici di Si ringrazia: S.E. Cardinale Camillo Ruini per il prezioso incoraggiamento. a cura di Roberto Lai e Marco Massa Il Presidente della Provincia Carbonia-Iglesias Salvatore Cherchi, il Sindaco del Comune di Sant’Antioco Mario Corongiu e Don Demetrio Pinna Rettore - Parroco della Basilica di S.Antioco per aver creduto e supportato il progetto. Con contributi di Maria Giulia Amadasi Guzzo, Antonio Maria Corda, Roberto Coroneo, Elisabetta Curreli, Rossana Martorelli, Alessandra Pasolini. L’Università degli Studi di Cagliari - Facoltà di Lettere e Filosofia per il prezioso contributo. Raccolta iconografica Walter Massidda. L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento di Scienze storiche, archeologiche e antropologiche dell’antichità per il prezioso contributo. Progetto grafico e impaginazione Franco Nieddu Stampa e allestimento Grafiche Ghiani - Monastir (ca) COMUNE di SANT’ANTIOCO La Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del Vaticano per il prezioso contributo. L’Archivio Segreto Vaticano per il prezioso contributo. La Pinacoteca Nazionale di Cagliari, le sedi Arcivescovili e Vescovili della Sardegna, i parroci delle chiese in cui è presente l’immagine di S. Antioco, Giampaolo Bardi, Giuseppe Cabizzosu, Ugo Cucca, Maria Paola Dettori, Ettore Gasperini de Orange, Emanuele Lai, Antonello Massa, Ettore Melis, Luciano Meloni, Gian Luca Murru, Gian Paolo Mura, Tore Piras, e i coniugi Bellai-Satta per aver collaborato alla raccolta iconografica. Santino Carta, Paolo Lusci, Pompeo Micheli, Giuseppe Pinna, Alessandra Rossi per la preziosa collaborazione. alla memoria di Padre Filippo Pili Indice Generale Lettera al Santo Padre pagina8 Risposta del Santo Padre pagina11 Prefazione del Cardinale Camillo Ruini pagina13 Presentazione di don Demetrio Pinna pagina15 S. Antioco pagina17 da primo evangelizzatore di Sulci a glorioso Protomartire “Patrono della Sardegna” © Edizioni Arciere. Tutti i diritti riservati dall’editore. è vietata la riproduzione, anche parziale, delle immagini e dei contenuti della pubblicazione Indice dei Capitoli Capitolo I:Dalle origini del Cristianesimo ai primi Martiri Presbytero Martyri/ sancto Antioco Sulcytano Filio/ qui vixit XL (annos). L’imperatore Adriano e il cristianesimo I martirologi storici pagina19 pagina22 pagina23 pagina27 Capitolo II: S.Antioco Patrono della Sardegna pagina29 Capitolo III: La Diocesi di Sulci nel I millennio – Il vescovo Eutalio pagina39 Capitolo IV: Capitolo V: Sull’iscrizione di Barega Le catacombe di Sant’Antioco pagina49 Fonti e storia degli studi e delle ricerche La catacomba Aspetti e problemi pagina59 pagina59 pagina68 pagina77 Capitolo VI: pagina79 Le pitture delle catacombe di Sant’Antioco Capitolo VII: La basilica di Sant’Antioco La basilica Aspetti e problemi pagina87 pagina92 pagina96 Capitolo VIII: CIL X, 7533: l’iscrizione di Antioco pagina99 Capitolo IX: Gli arredi liturgici della basilica di Sant’Antioco Storia degli studi e delle ricerche I frammenti scultorei Aspetti e problemi pagina107 pagina107 pagina112 pagina115 Capitolo X: pagina121 pagina122 pagina124 pagina125 pagina139 pagina167 Passio Sancti Antiochi Vida de Sant Anthiogo Metge e Martyr Biblioteca catalana popolare vita di Sant’Antioco medico e martire Questa è la vita e i miracoli del beato Sant’Antioco nuovamente corretta e stampata Capitolo XI:Le Fonti Storiche dal XI al XVI secolo Appendice Capitolo XII: Relazione sulla ‘inventio’ dell’illustre Martire e Apostolo della Sardegna San Antioco nella propria Chiesa di Sulci pagina177 Capitolo XIII:Il reliquiario di Sant’Antioco, l’arcivescovo Desquivel e l’argentiere Sisinnio Barrai Appendice documentaria pagina189 Capitolo XIV: Dopo l’Inventio Patronus Totius Regni Sardiniæ Appendice pagina203 pagina232 Raccolta iconografica. pagina239 pagina201 8 S Lettera al Santo Padre antità, probabilmente non leggerà mai questa lettera, ma sarei infinitamente grato se, chi lo facesse per Lei, dedicasse alcuni minuti del suo tempo alla storia di S. Antioco, Martire Sulcitano, Apostolo e Patrono della Sardegna. Impropriamente, la storia del Santo, alla stregua di altre simili, è stata creduta una semplice leggenda. Fortunatamente, esistono diversi documenti che attestano la storicità della figura, a partire da un’iscrizione in neopunico e latino, risalente al II secolo. – Cristiana di Barega (°) Il conforto di pochi ma attendibili supporti documentali ci autorizza ad affermare che S. Antioco è il primo e maggiore martire della Sardegna. L’agiografia lo indica come mauritano d’origine, dunque un emigrato di colore, diremo oggi, giunto nelle nostre terre per professare la fede in Cristo. Da questo punto di vista, mai Santo potrebbe dirsi attuale quanto S. Antioco. Dopo il ritrovamento delle reliquie, avvenuto il 18 marzo 1615, l’appellativo di Protomartyr Apostolicus riferito a S.Antioco svolse un ruolo decisivo nel riconoscimento, da parte della Sacra Rota, del Primato Metropolitano per l’isola della Sardegna. La diffusione del culto di S.Antioco è testimoniata, in modo capillare, nell’intero territorio sardo, da un capo all’altro dell’Isola, ed anche nella vicina Corsica. Il Santo Patrono era salutato secondo i vari idiomi usati dai dominatori e dai locali: dal latino (“Patronus totius Regni Sardinae”) al castigliano (“Patron de la Isla de Sardegna”), dal sardo logudorese (“Patronu de sa Isola de Sardigna”) all’italiano (“Protettore insigne della Chiesa sarda”), a dimostrazione della continuità cronologica e territoriale del suo culto. Nel 1124, Mariano Torchitorio, Giudice di Cagliari, massima autorità amministrativa del Giudicato decretò di donare al Santo l’intera isola di Sulci, la maggiore della Sardegna, pro remissione dei propri peccati e di quelli di tutti i suoi familiari. In seguito, conseguentemente alla donazione, l’isola sulcitana assunse il nome dello stesso Martire, “Isola di Sant’Antioco”. S antità, su S. Antioco e il suo culto sto svolgendo studi che credo siano interessanti, convinto come sono dell’importanza della sua figura, di Santo intercessore, protettore glorioso, venuto dal mare africano; un Santo internazionale, non solo per l’origine, ma anche perché riconosciuto dal culto Ortodosso, tale da potere unire in una sola preghiera, se solo fosse più conosciuto, diverse Chiese che si ispirano a Nostro Signore Gesù Cristo. A tal proposito, ho proposto all’attuale Amministrazione Comunale di Sant’Antioco una conferenza – studio, con rappresentanti della Chiesa Ortodossa, sulla venerazione di S. Antioco fuori dall’isola a cui ha dato il nome. 9 Santità, sarebbe veramente un evento di eccezionale rilievo per i fedeli sardi se Ella, nel prossimo viaggio che svolgerà in Sardegna, venisse a visitare la bellissima Basilica dedicata al Santo, nell’isola omonima. L’impianto originario, paleocristiano, fu costruito tra la fine del V e gli inizi del VI secolo d.C. Dopo lo scisma del 1089, la Basilica venne ampliata e ristrutturata, in stile protoromanico, dai monaci Vittorini di Marsiglia, inviati in Sardegna con il compito di “occidentalizzare” il culto, ovvero sradicare le tradizioni e gli apparati liturgici appartenenti alla cultura bizantina. Nei secoli scorsi, diversi Pontefici hanno riservato le loro attenzioni a S.Antioco, in particolare con bolle che prevedevano indulgenze plenarie, testimoniandone l’importanza nel corso del tempo. Perché questa mia lettera, Santità? Perché credo che le verità storiche debbano essere divulgate, soprattutto quelle riguardanti la Chiesa e i suoi Santi. Per la prossima Sagra di S.Antioco Martire (652a), pubblicheremmo un libro dedicato al Santo. Non oso chiedere saluti o tanto meno presentazioni, naturalmente, ma l’autorizzazione a citare un passo di un Suo libro che tanto ho apprezzato: J. Ratzinger, Santi. Gli autentici apologeti della Chiesa. «I santi sono come le stelle all’orizzonte della nostra storia, che irradiano in continuazione luce nel mondo in mezzo agli annuvolamenti di questo tempo, in mezzo alla sua oscurità, cosicché possiamo vedere qualcosa della luce di Dio. E se qualche volta siamo tentati di dubitare della bontà di Dio a causa delle vicissitudini della storia, se siamo assaliti dal dubbio anche nei confronti dell’uomo, perché non sappiamo se sia buono o piuttosto intimamente cattivo e pericoloso, se dubitiamo anche della Chiesa a causa delle controversie e delle miserie che la travagliano, allora guardiamo a questi uomini che si sono aperti a Dio, a questi uomini nei quali Dio ha preso forma. E da essi riceveremo di nuovo luce.» Joseph Ratzinger. Allego due elaborati • Le meraviglie di S. Antioco di Padre Filippo Pili, ristampa curata da Roberto Lai. • Relazione sulla ‘inventio’ dell’illustre Martire e Apostolo della Sardegna, San Antioco nella propria Chiesa di Sulci, curata da Roberto Lai “ (°) Iscrizione neopunica e latino – Cristiana di Barega Padre Filippo Pili mensile Frontiera Cagliari Anno IX, nr. 99,pp.71-73 e n.100,p.111.”pietra riutilizzata nel II sec. D.C. per onorare il sepolcro del Santo Martire sulcitano Antioco. PRESBYTERO MARTYRI / SANCTO ANTIOCO SULC / YTANO FILIO QUI VIXIT XL (ANNOS). Sperando nella concessione, La riverisco con Osservanza e rispetto in Cristo Nostro Signore. Roberto Lai Roma,25 ottobre 2010 11 J o s e p h R a t z i n ge r BENEDETTO XVI Santi. Gli autentici apologeti della Chiesa.* «I santi sono come le stelle all’orizzonte della nostra storia, che irradiano in continuazione luce nel mondo in mezzo agli annuvolamenti di questo tempo, in mezzo alla sua oscurità, cosicché possiamo vedere qualcosa della luce di Dio. E se qualche volta siamo tentati di dubitare della bontà di Dio a causa delle vicissitudini della storia, se siamo assaliti dal dubbio anche nei confronti dell’uomo, perché non sappiamo se sia buono o piuttosto intimamente cattivo e pericoloso, se dubitiamo anche della Chiesa a causa delle controversie e delle miserie che la travagliano, allora guardiamo a questi uomini che si sono aperti a Dio, a questi uomini nei quali Dio ha preso forma. E da essi riceveremo di nuovo luce.» Papa Benedetto XVI *Autorizzazione dello Stato della Città del Vaticano. © Libreria Editrice Vaticana- Direzione Segreteria Generale nr. GC/FA 1815.F 437492 del 18/11/2010. Joseph Ratzinger Benedetto XVI, SANTI Gli autentici apologeti della Chiesa. LINDAU 2007. 13 Prefazione Sancti Antiochi Martyris Sulcitani Sardiniae Patroni. Un messaggio inesaurito. è sempre un’occasione propizia di riflessione trovarsi a meditare sulla memoria storica di un santo martire, così come ci invita a fare questo libro dedicato ad Antioco, fra i più amati in assoluto della terra di Sardegna, patrono dell’Isola omonima in cui si trova il suo vetusto santuario. Non sempre poniamo la giusta attenzione al fatto che il culto dei santi martiri è stato originato, nelle forme e nelle misure in cui lo conosciamo, dalla religione cristiana. Nei santi martiri noi riconosciamo l’esempio supremo, alla sequela di Cristo, di coloro che giungono a sacrificare la propria vita, il più delle volte dopo terribili sofferenze fisiche, per amore del Signore. Non sono semidei come quelli della mitologia greco-romana, che nati da esseri umani acquisiscono il dono dell’immortalità: i santi martiri rinunciano alla vita terrena per la gloria della vita eterna, nella convinzione che all’esaltazione dello spirito corrisponderà, un giorno, anche la risurrezione della carne. I santi martiri, dunque, vengono venerati perché il loro atto di perfetta fedeltà li ha resi degni di speciale ammirazione. Ha meritato in questo senso anche Sant’Antioco, vittima delle persecuzioni dell’imperatore Adriano, del quale una tradizione consolidata ci riferisce che fosse un geriatra originario della Mauritania. Antioco era quindi un santo dalla pelle scura, come d’altronde ci conferma la sua iconografia più diffusa, ampiamente conosciuta non solo nella sua regione d’adozione, il Sulcis, ma anche in tutto il resto della Sardegna. Oggi fa ancora effetto una simile constatazione. Non é stato forse il Cristianesimo la prima religione a predicare, senza possibilità di equivoco, l’uguaglianza fra tutti i figli del Signore, di qualunque razza essi siano? Sì, lo è stato, anche se qualche volta lo dimentichiamo. Ritorniamo ad Antioco, per verificarne la sorprendente modernità, secondo una visione che è intimamente cristiana ma che va al di là della sola prospettiva religiosa, acquisendo un valore essenziale anche per la sfera laica. Antioco, infatti, è la dimostrazione concreta, vissuta sulla sua e sulla nostra carne, di quel concetto di fratellanza comune che non è solo alla base dell’etica cristiana, ma, attraverso di essa, è diventato il fondamento storico per tutte le successive espressioni politiche e filosofiche che hanno sostenuto e sostengono l’uguaglianza di diritti fra gli uomini. Antioco ci indica la strada corretta: nel farsi simbolo di verità cristiana, egli lo diventa anche di autentica 14 vita dello spirito, così come la terra può farsi impronta del Cielo. Ancora più straordinaria risulta la modernità di Antioco se proiettiamo la sua mirabile, intensa, articolata figura sul passato. Da un certo momento in poi della storia, i mori come Antioco, provenienti dall’Africa mediterranea più vicina, non furono più amici per l’isola sulcitana, come per gran parte delle coste sarde. Convertiti a una nuova religione, in nome della quale concepivano la guerra all’infedele, si sentono legittimati a compiere imprese piratesche sui sulcitani, uccidendoli e depredando i loro beni, stuprando le loro donne, oppure catturandoli e rendendoli schiavi, deportati in terre lontane dalla Sardegna. I pirati moreschi hanno continuato a saccheggiare periodicamente le coste sulcitane fino al XIX secolo avanzato. Le loro scorrerie erano vere e proprie maledizioni per gli abitanti locali, condannandoli di fatto al terrore e alla povertà. Eppure, anche nei momenti più bui, mai la gente del Sulcis ha smesso d’invocare il suo patrono moro, ottenendone sempre debita consolazione. Avrebbero potuto, i sulcitani, emendare quei caratteri del santo che gli eventi avevano reso impopolari, la sua somiglianza fisica con quegli aguzzini che impersonificavano i loro incubi peggiori. La tentazione non deve essere mancata, visto che esistono, per la verità in altre zone della Sardegna, raffigurazioni di Antioco con la pelle bianca, giovanile, al solito, ma solenne nelle vesti compite di uomo saggio e dotto, come veniva considerato chi era pratico di scienze mediche. E invece i sulcitani hanno voluto essere fedeli all’immagine del loro glorioso protettore, dando prova non solo di fedeltà alla tradizione più genuina del loro culto, ma anche di amore e devozione verso chi solo apparentemente, per il suo aspetto esteriore, sembra diverso da noi. Antioco il Mauritano doveva rimanere un santo riconoscibile da tutti allo stesso modo, da chi aveva la pelle bianca, ma anche da chi l’aveva più scura. Quanta fede, ma anche quanto coraggio, quanta intelligenza, quanta avveduta lungimiranza in questo atteggiamento. E quanti suggerimenti preziosi, se applicati a un’attualità che presenta qualche similitudine con il passato appena ricordato. Ecco il messaggio conclusivo, di significato universale, che la figura di Sant’Antioco e la devozione a lui ci affidano: sforziamoci di esserne all’altezza. Cardinale Camillo Ruini 15 Presentazione I n questi tempi bui per la fede cristiana, e in un mondo che “ritornato pagano si allontana dalla pura fonte che è Cristo”, Antioco riesce ancora per tre volte l’anno a riunirci come fratelli nella fede ricordandoci quanto sia fondamentale vivere in comunione con gli altri. In questi anni trascorsi a Sant’Antioco, come Rettore della Basilica, ho avuto modo di comprendere quanto sia profonda la devozione degli antiochensi e di tutto il popolo sardo nei confronti del beato martire Antioco, ma mai come in questi ultimi tempi mi sono reso conto del crescente interesse che il Santo suscita nei ricercatori, negli appassionati e in tutti coloro che amano S.Antioco e vogliono dare il giusto valore alle sue vicende storiche e personali. Questa nuova gioiosa occasione mi permette, quindi, di rivolgere il mio doveroso ringraziamento a coloro che, ieri come oggi, con impegno, esperienza ma soprattutto passione, hanno manifestato gratitudine a S.Antioco per le sue benigne intercessioni, dando lustro agli eventi che ne fecero il primo evangelizzatore di Sulci, nonché il primo martire di tutta la Sardegna. Don Demetrio Pinna Rettore – Parroco della Basilica S.Antioco da primo evangelizzatore di Sulci a glorioso Protomartire “Patrono della Sardegna” Capitolo I Capitolo I Dalle origini del Cristianesimo ai primi Martiri”1 S 19 I toricizzare la vicenda di un santo martire, non in maniera approssimata, ma nei termini consoni a una disciplina che si ritenga realmente scientifica, è operazione che ancora stenta a guadagnare adeguata considerazione. C’é forse il timore, avvertito specialmente dai più dogmatici in questo senso, che le verità acquisite tramite metodo razionale possano contrastare quelle che la religione fa rientrare nella cosiddetta “verità di fede”. Si tratta di preoccupazioni in gran parte infondate, dato che ciascuno dei due ambiti, proprio per la differenza di metodo a cui abbiamo alluso, gode di totale autonomia, e a rigore non dovrebbe pretendere di influenzare l’altro, come invece sappiamo non succede.Qualunque verità venga acquisita da una storia fondata sul metodo razionale, la fede religiosa sarà libera di accoglierla nel modo che ritiene più proprio, sulla base delle proprie convinzioni. D’altra parte, è plausibile che la fede abbia da guadagnare, piuttosto che da perdere, nel sapere che le figure storiche a cui il suo logos fa riferimento non sono fantasmi, o, peggio, reinvenzioni romanzesche, ma sono dotate di spessore reale, sempre verificabile mediante il ricorso alla documentazione più attendibile. Anche per queste ragioni, non sarà inutile introdurre la figura di S.Antioco, “patrono della Sardegna”, partendo da lontano, e cercando di tenendo il binario della storia, per quanto possa essere sommario in questa sede, anche per quelle vicende che la fede ci ha abituato a inquadrare secondo una certa tradizione. Il Cristo da cui la religione cristiana prende il nome da Cristo è, com’è noto, appellativo di Gesù di Nazareth, nato presumibilmente tra il 7 e il 4 a.C. in Palestina, nell’anno zero per la tradizione. Gesù nacque a Betlemme da Maria, sposa di Giuseppe, concepito dice la fede, per opera dello Spirito Santo: non è dunque un semplice uomo, ma uomo e Dio allo stesso tempo. Con Gesù, dunque, Dio sceglie di farsi uomo tra gli uomini. Il Cristianesimo si presenta quindi da subito come religione di carattere universale, filosoficamente e politicamente rivoluzionaria, nata tra gli umili per portare 1. Bibliografia essenziale: R. Lai, Sant’Antioco Isola di Cultura ed Emozioni, in: “Annali 2008, Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, Nuova serie n.9, novembre 2008, da pag. 86 a pag. 90. AA.VV. a cura di L. Pietri, Storia del Cristianesimo - Vol. 1: Il nuovo popolo: dalle origini al 250 , Roma, Borla / Città nuova, 2003 . AA.VV. a cura di C. e L. Pietri, Storia del Cristianesimo - Vol. 2: La nascita di una cristianità (250 – 430) , Roma, Borla / Città nuova, 2003. AA.VV. a cura di E. Gabba e A. Schiavone, Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, Torino, G. Einaudi, 1992. AA.VV. a cura di A. Carandini, L.C. Ruggini e A. Giardina, Storia di Roma, vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, Torino, G. Einaudi, 1993. AA.VV., a cura di G. Filoramo e D. Menozzi, Storia del Cristianesimo – L’antichità , Bari, Editori Laterza, 1997 . 20 s. antioco Patrono della Sardegna il lieto annuncio a tutta l’umanità, di qualunque razza, siano essi schiavi, donne e bambini. Inizialmente, la nuova religione trovò i suoi adepti tra la popolazione ebraica grazie all’opera di proselitismo degli Apostoli. Un notevole salto di qualità si ebbe con la conversione di San Paolo (Saulo di Tarso), erudito di origini ebraiche e cittadino romano, che contribuì con i suoi viaggi ad estendere l’insegnamento del Cristianesimo nel bacino del Mediterraneo fino a Roma, dove morì nel 67, dopo esservi stato più volte incarcerato. San Paolo fu il primo intellettuale convertito al Cristianesimo, diffusosi nel I secolo in tutta l’Asia Minore e nell’Africa settentrionale per poi arrivare in Europa e a Roma. L’Apostolo Pietro, che conobbe personalmente il Cristo, e Paolo di Tarso furono sicuramente fra i primi martiri. La loro militanza di fede li vide protagonisti in Galazia, in Cappadocia, ad Antiochia di Siria, in Bitinia e a Corinto. Probabilmente gli echi loro e dei loro seguaci arrivarono anche in Mauritania, la regione dell’Africa del Nord da cui proviene il nostro Antioco. Conoscere esattamente il numero dei martiri è impresa pressoché impossibile. Secondo Tacito, furono ingens multitudo. Il Martirologio Gerominiano ne elenca 979. In seguito, San Cipriano parlerà di martirium innumerabilis populus. La prima presa di posizione dello stato romano contro i Cristiani risale all’imperatore Claudio (41-54 d.C.). Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Claudio fece espellere i giudei perché continuamente in lite fra loro a causa di un certo Chrestos. Lo storico Gaio Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale di alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere dell’imperatore, giustificherà questo e i successivi interventi contro i cristiani in quanto portatori di una “superstizione nuova e malefica”. L’imperatore Nerone accusò i cristiani di aver appiccato l’incendio che distrusse la città nel 64; così ebbe inizio la prima grande persecuzione, che durò quattro anni, dal luglio del 64 al giugno del 68. Molto scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di particolare importanza è la notizia riportata dallo storico greco Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro 67 della sua Storia Romana afferma che sotto Domiziano furono accusati e condannati “per ateismo” (ateòtes) il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con loro molti altri che “avevano adottato gli usi giudaici”. L’accusa di ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera divinità suprema la maestà imperiale. Domiziano, durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende il culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della “civiltà umana”. Nel 111 Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, sul Mar Nero, riferisce all’imperatore Traiano che il rifiuto da parte dei cristiani di offrire incenso e vino davanti alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto di derisione sacrilega. L’Imperatore risponde: “I Cristiani non si devono perseguire d’ufficio. Se invece vengono denunciati e riconosciuti colpevoli, bisogna condannarli”. Sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180), l’impero fu martoriato da carestie, pestilenze e da invasioni barbariche; di tutto questo furono ritenuti responsabili i cristiani. Sotto Settimio Severo (193-211) ci furono altre persecuzioni, ed altre e più terribili avvennero tra il 235-238 sotto Massimino; tra il 249251 sotto Decio; nel 251-253 sotto Treboniano Gallo; tra il 253-260 sotto Valeriano; infine, con gli editti del 303 e 304, sotto Diocleziano e Galerio. La fine definitiva delle persecuzioni arrivò dopo tre secoli dalla nascita di Cristo, Capitolo I 21 nel 313, con l’editto di Milano, emesso da Costantino e Licinio. L’editto accordava ai cristiani la libertà di culto e la restituzione dei beni confiscati. Lo stesso Costantino fu il primo imperatore convertito alla cristianità, tanto da presiedere il primo concilio ecumenico a Nicea, nel 325, per contrastare l’eresia degli Ariani. La tradizione ritiene che il martire Antioco sia vissuto sotto l’impero di Adriano, suo presunto persecutore. È proprio così? La Passio sancti Antiochi martyris è la più antica e importante fonte agiografica sul martire sulcitano. Il testo originale è purtroppo andato perduto; ci rimane una copia integrale, custodita nell’archivio del Capitolo della Cattedrale di Iglesias, fatta eseguire nel 1621 dall’Arcivescovo di Cagliari Francesco Desquivel, scopritore delle reliquie del Santo. L’originale era scritto su pergamena, con copertina in pelle scura. La sua compilazione si può senz’altro datare tra il 1089 e il 1119, periodo in cui i monaci benedettini di San Vittore di Marsiglia ebbero il possesso della chiesa del Santo. L’antico agiografo scrive che in Africa, ed in particolare in Mauritania, un medico, di religione cristiana, chiamato Antioco, non voleva ricavare dalla sua professione alcun lucro, ma solo bene spirituale. Leggiamo nella Passio: “Riteniamo che a questa schiera di beati martiri appartenga il santissimo martire Antioco, la cui passione, che abbiamo appreso da una verace relazione presentiamo a tutti i fedeli di Cristo. Cosa intendeva il narratore riferendosi a una “verace relazione”? A un antico documento, ora perduto, o alla tradizione orale che si è tramandata nei secoli, fino alla compilazione della Passio? Cercheremo di analizzare tutte le conoscenze a nostra disposizione su Antioco, anche quelle che, per varie ragioni, non sono mai state approfondite, una delle quali è senza dubbio la pietra di Barega2. 2. F.Pili, L’iscrizione neopunica e latino – cristiana di Barega: “Frontiera”. Cagliari. Anno IX, n 99, pp. 71-73 e n. 100.p111; F.Pili, Nuove iscrizioni del Sulcis – Iglesiente: Doctrina Sacra. Saggi di Teologia e di Storia. Editrice Sarda Fossataro, Cagliari 1977, pp137-161; Filippo Pili, Iscrizione Neopunica e bollo Punico inediti, estratto da “Speologia Sarda”, nr. 75 XIX -1990 ,pp 11-13; Cfr. il contributo di Maria Giulia Amadasi Guzzo, sull’iscrizione di Barega in questo volume. 22 s. antioco Patrono della Sardegna Presbytero Martyri/ sancto Antioco Sulcytano Filio/ qui vixit XL (annos). F ilippo Pili riferisce che tale pietra potrebbe essere stata utilizzata nel II secolo d.C., per onorare la sepoltura del Santo martire Sulcitano Antioco. “Quando si pensa che i documenti più antichi si riducono ad un’iscrizione, forse copia del secolo IX o X, di un’altra certamente più antica (secolo VII ?)e alla Passio del Santo ( sec.X-XI), ricalcata su quella di S.Antioco di Sebaste, per cui c’è persino chi ha dubitato dell’esistenza di un santo locale di questo nome, quasi fosse il nostro un doppione del Santo Martire Armeno Antioco, di cui a Sulci sarebbero state venerate le reliquie, si comprende bene l’importanza di quest’iscrizione che, superato il vuoto di parecchi secoli, per quanto concerne la documentazione sul Santo Martire Sulcitano, ci riporta alle origini stesse del culto di Sant’Antioco Martire, detto qui “figlio Sulcitano”; e d’altra parte, l’appellativo di “presbitero”che nell’iscrizione gli vien dato, meglio risponde ai dati di una tradizione che, sia pure popolare e leggendaria, dà una vasta risonanza all’apostolato del Santo come pure all’affermazione dell’antico ufficio che nel responsorio del primo notturno lo saluta: bis medicus, medico di corpi ma più delle anime, prius arte deinde loquela . . . Mi sia consentito però osservare che questa umile iscrizione tombale del santo Martire sulcitano Antioco ben si inserisce nelle circostanze dalla tradizione indicate sulla morte del Santo, avvenuta nella solitudine di una grotta di Sulcis allora spopolata e deserta, e relativa sepoltura. La necessità di comporre subito in loco quella salma, la solitudine del posto e la povertà dei mezzi bel giustificano la riutilizzazione di una pietra, già in qualche parte iscritta, a portata di mano, sino a che alcuni secoli dopo (sec VI?) il Vescovo Pietro pose mano ai restauri della cripta dandole maggior lustro e decoro3. Fu allora forse che la prima pietra tombale divenuta troppo umile oltreché indecifrabile fu sostituita da un’altra, pur essa semplice ma abbastanza chiara: Beati Sancti Antiochi.. Sulle vicende di questa pietra con relativa iscrizione e dei suoi spostamenti dal luogo di origine, non possiamo fare che delle supposizioni. . . . E lascio volentieri ad altri il compito di farle.” 3. Cfr. il contributo di Antonio Maria Corda, L’iscrizione del vescovo Pietro in questo volume. Capitolo I 23 L’imperatore Adriano e il cristianesimo4 P ublio Elio Adriano, fu un uomo di grande cultura, amante delle lettere e delle arti. Si intendeva di musica, di pittura, di scultura, di architettura, di filosofia, scriveva in prosa e in poesia, in greco e latino; era un grande estimatore della cultura ellenica, tanto che a Roma fu soprannominato “graeculus”. Governò dal 117 al 138; il suo impero fu lungo e caratterizzato da grandi riforme civili e militari. Poteva, un uomo di tal genere, divenire il persecutore di un innocuo medico che professava il Cristianesimo in Mauretania? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo cercare di analizzare l’atteggiamento di Adriano verso i cristiani. La fonte letteraria fondamentale a questo scopo è il rescritto di Adriano a Minucio Fundano, proconsole d’Asia, intorno al 124 (Giustino, Apologia, LXVIII, 6-19). Poiché le popolazioni locali avevano richiesto l’intervento delle autorità romane contro i cristiani, il proconsole Silvano Graniano aveva chiesto il parere in merito dell’imperatore, come già aveva fatto Plinio con Traiano. Adriano inviò la propria risposta al successore di Graniano, Minucio Fundano, ed essa fu sostanzialmente conforme a quella di Traiano. Dal testo si evince che Adriano non voleva venissero promossi procedimenti d’ufficio, ma esigeva che, nonostante ciò, i cristiani dovevano essere puniti quando contro di loro venisse portata un’accusa fondata. In confronto alla posizione di Traiano, le istruzioni di Adriano costituivano un più energico richiamo al rispetto della legge, ed in tal senso costituivano una migliore tutela giuridica dei cristiani. Ancor più del suo predecessore, Adriano era preoccupato che i funzionari imperiali dessero prova di debolezza di fronte alle 4. Fonti primarie Cassio Dione, Storia romana (LA) Historia Augusta, De vita Hadriani Aelii (Vita di Adriano, di Spartiano). Giustino di Nablus (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 162/168) è stato uno dei primi apologeti cristiani, autore della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. L’opera si conclude con una petizione che contiene una lettera dell’imperatore Adriano, la quale serve a Giustino per mostrare come anche un’autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a dei pregiudizi. Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, (1951), Einaudi, Torino. (Romanzo, ma basato su dati storicamente accurati). Fonti secondarie R. Lai, Sant’Antioco Isola di Cultura ed Emozioni, in: “Annali 2008”, Associazione Nomentana di Storia e Archeologia,Nuova serie n.9, Novembre 2008, da pag. 86 a pag. 90 Albino Garzetti, L’Impero da Tiberio agli Antonini, Cappelli, Bologna, 1960 (v. pag. 393 e segg.: Adriano) Mario Attilio Levi, Adriano Augusto: studi e ricerche - L’Erma di Bretschneider, 1993. ISBN 88-7062-843-4 Mario Attilio Levi, Adriano un ventennio di cambiamento, Bompiani (1994). ISBN 88-452-9061-1 Mario Pani, Il principato dai Flavi ad Adriano in: AA.VV., Storia di Roma, Einaudi, Torino, 1990, vol. II, tomo 2; ripubblicata anche come Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Ediz. de Il Sole 24 ORE, Milano, 2008 (v. il vol. 16°) Ben Pastor, The Water Thief, (2007), Thomas Dunne Books, New York, pubblicato in Italia col titolo de Il ladro d’acqua, Frassinelli, Milano. 24 s. antioco Patrono della Sardegna pressioni irresponsabili dei ceti popolari, ponendosi a rimorchio di essi con esecuzioni sommarie, a seguito di pressioni o tumulti della plebe. Adriano non si limitava a raccomandare di non tener conto delle denunce anonime, ma indicava più precise cautele in difesa soprattutto dei più deboli, che potevano facilmente essere vittime di accuse false e processi affrettati. Non era sufficiente che vi fosse un’accusa regolare, basata su fatti concreti e non su semplici dicerie, ma questa doveva provare che l’accusato avesse realmente commesso un delitto: Si quis igitur accusat et probat, adversum legem, quidquid agere smemorato homines, pro merito peccatorum etiam supplicia statues. Si è letta in queste parole la revoca della decisione di Traiano, per la quale bastava il semplice nomen di cristiano per venir processato, e lo stabilirsi di una nuova massima, secondo la quale i cristiani si sarebbero dovuti punire solo quando a loro carico fosse risultato qualche altro delitto, e quindi l’esser cristiani non avrebbe costituito ex se un crimine passibile di punizione. Altri autori tuttavia ritengono che Adriano facesse riferimento non solo a delitti comuni, ma anche alla lesa maestà ed al sacrilegio, accuse comunemente mosse ai cristiani, particolarmente gravi in età adrianea, nella quale l’imperatore, sulle orme di Augusto, tentava di rinvigorire i culti tradizionali di Roma ed il culto carismatico della sovranità imperiale. Ma anche in questo caso, Adriano avrebbe corretto la giurisprudenza stabilitasi sotto Traiano, secondo la quale detti crimini potevano essere addebitati sulla sola base dell’appartenenza al Cristianesimo, in omaggio al principio del crimen coherens nomini, ed abbia voluto esigere invece che venisse provato come ciascun accusato, anche se manifestamente cristiano, avesse realmente commesso i delitti usualmente associati al nomen christiani, ossia ateismo, empietà e lesa maestà. Siamo di fronte, dunque, ad una posizione ben più favorevole agli accusati rispetto all’epoca di Traiano, poiché di fronte ad un’accusa di ateismo ed empietà, per la quale non esistessero prove concrete, il cristiano o presunto tale non poteva venir processato, e, negli altri casi, per liberarsi da un’accusa di tale genere, all’accusato sarebbe bastato rendere omaggio agli emblemi di Roma e dell’imperatore, alla presenza di un magistrato, per esser scagionato. Infine, Adriano stabiliva che gli accusatori, in caso di provata innocenza degli accusati, seguissero la sorte dei calunniatori; con ciò, l’imperatore mise un rimedio alla piaga dei sicofanti e dei delatori di professione. Nelle Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar, a proposito del Cristianesimo, fa dire ad Adriano: “In quell’epoca, Quadrato, vescovo dei cristiani, m’inviò un’apologia della sua fede... avevo recentemente rammentato ai governatori delle province che la protezione delle leggi si estende a tutti i cittadini, e che i diffamatori di cristiani sarebbero stati puniti qualora li accusassero senza prove... Stento a credere che Quadrato sperasse di convertirmi al cristianesimo, comunque volle provarmi l’eccellenza della sua dottrina, e soprattutto quanto essa fosse innocua per lo Stato. Lessi la sua opera ed ebbi perfino la curiosità di far raccogliere da Flegone qualche informazione sulla vita del giovane profeta chiamato Gesù, il quale fondò quella setta e morì vittima dell’intolleranza ebraica circa 100 anni fa. Pare che quel giovane sapiente abbia lasciato precetti che arieggiano quelli di Orfeo, al quale i discepoli talvolta lo paragonano. Attraverso la prosa singolarmente piatta di Quadrato, non mancai tuttavia di gustare il fascino commovente di quelle virtù da gente semplice, la loro dolcezza, la loro ingenuità, il loro affetto reciproco; sembravano le confraternite di schiavi o di Capitolo I 25 poveri che si fondono qua e là in onore dei nostri dèi, nei quartieri popolosi della città; ...queste piccole società di mutua assistenza offrono un appoggio ed un conforto a molti sventurati. Ma non ero insensibile ad alcuni pericoli: quella esaltazione di virtù da fanciulli o da schiavi avveniva a discapito di qualità più virili e più ferme; dietro quell’innocenza insipida e ristretta, indovinavo l’intransigenza feroce del settario verso forme di vita e di pensiero che non sono le sue, l’orgoglio insolente che gli fa preferire se stesso al resto degli uomini, la sua visuale deliberatamente limitata da paraocchi... Cabria, sempre ansioso... si sgomentava per le nostre vecchie religioni, che non impongono all’uomo il giogo di alcun dogma, e lasciano che i cuori austeri si foggino, se lo vogliono, una morale più alta, senza costringere le masse a precetti troppo rigidi per evitare che ne scaturiscano subito costrizione e ipocrisia. ...Cabria si preoccupa di vedere un giorno il pastoforo di Mitra o il vescovo di Cristo prendere dimora a Roma e rimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per disgrazia questo giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani avrà cessato d’essere il capo d’una cerchia d’affiliati o d’una banda di settari per divenire, a sua volta, una delle espressioni universali dell’autorità. Erediterà i nostri palazzi, i nostri archivi; differirà da noi meno di quel che si potrebbe credere. Accetto con calma le vicissitudini di “Roma eterna”. La profezia messa in bocca ad Adriano dalla Yourcenar si è avverata presso il colle Vaticano, dove continua, ancor oggi, ad avere sede il Pontefice Massimo. Il grande imperatore pagano, che aggredito da un uomo armato di spada non lo punì, ma lo fece curare da un medico, scriveva di Alessandria: “Non vi è alcun prete cristiano che non sia al tempo stesso astrologo, mago e ciarlatano. Lo stesso patriarca, quando viene in Egitto, è spinto da un partito ad adorare Serapide, dall’altro Cristo. È una categoria di uomini ribelli, spregevoli, maligni. ...Il loro dio è l’oro, e i cristiani coi giudei e tutte le altre nazionalità vi si prosternano. Io ho fatto grandi concessioni a questa città, le ho ridato gli antichi privilegi ed anche nuovi, tanto che i cittadini sono venuti a ringraziarmi personalmente; e tuttavia, appena sono partito, hanno parlato in modo indegno di mio figlio Vero. ...S’ingrassino pure con i loro polli; io mi vergogno di parlare del modo come li covano” (Gregorovius, Vita di Adriano). Sappiamo che Adriano fu un grande viaggiatore, non per irrequietezza di spirito o per desiderio di vedere o godere, ma per la necessità che l’imperatore sentiva di osservare le condizioni delle province e di provvedere ai loro bisogni e al loro sviluppo. Adriano trascorse nelle province circa tre lustri del suo impero. È ancora incerta la cronologia dei viaggi d’Adriano, ma più che le date hanno importanza i risultati del lungo peregrinare dell’imperatore. Iniziò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel 119, dove era diffuso il paganesimo, ma aveva fatto la sua comparsa anche il Cristianesimo. Dalla Gallia, si recò nella Germania superiore e nell’inferiore, dove diede impulso alle fortificazioni di frontiera e provvide alla disciplina delle legioni; poi passò nella Britannia, dove, seguendo la sua politica di difesa, ordinò una linea di sbarramento munita di trincee e fortini (Vallum Hadriani). Dalla Britannia l’imperatore, attraversando la Gallia, passò in Iberia, forse la più fiorente delle provincie d’occidente. Si trovava a Tarracona, forse nell’inverno del 123, quando un’insurrezione scoppiata nella Mauritania lo costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse a quietare questa regione occidentale africana, la quale resisteva ancora 26 s. antioco Patrono della Sardegna tenacemente ai Romani. Anche qui l’imperatore dovette prendere provvedimenti per la difesa militare e dopo un’offensiva verso l’Atlante, iniziò la costruzione di un valium, trasferendo i quartieri della Legione III Augusta a Lambese. La sua presenza in Mauritania fu dunque forte, decisa e risoluta a piegare i rivoltosi. La Mauritania provincia romana (da non confondersi con l’attuale stato di Mauritania) si estendeva dalla zona occidentale dell’attuale Algeria fino all’odierno Marocco, e alla parte settentrionale della Mauritania odierna. Capitolo I 27 I martirologi storici5 N elle Chiese più importanti, come in quella di Cartagine, di Roma e di Antiochia, si teneva un martirologio aggiornato e compilato con dovizia di particolari. Consisteva in un vero e proprio calendario, in cui veniva indicato il nome dei santi e il luogo della loro morte. In seguito, le notizie vennero arricchite anche con una descrizione di come era avvenuto il decesso. Questi racconti vennero poi chiamati Passiones. Partendo da una base attendibile nelle legendae, le Passsiones davano più importanza all’immaginazione che alla storicità. Gli autori non mancavano, al fine di colpire i fedeli, di fornire dettagli sulla crudeltà dei boia e dei magistrati, sulla durezza dei supplizi e sulla serena resistenza che i servi di Dio opponevano ai loro persecutori, così come su miracoli fantastici e opere straordinarie, nella speranza che suscitassero negli uditori spirito di emulazione e ammirazione. Le fonti da cui si possono attingere le notizie più antiche sono quindi i martirologi. Il Martyrologium Hieronymianum (Martirologio Gerominiano), che deve il suo nome al fatto di essere stato a torto attribuito a san Gerolamo, costituisce il più antico catalogo di martiri della Chiesa latina a noi pervenuto. L’autore è un anonimo del V secolo che elaborò un più antico martirologio siriaco della seconda metà del IV secolo, forse il Martirologio di Nicomedia, redatto fra il 360 e il 411), mentre altre fonti attestano che fece uso anche del Calendario di Filocalo (354). Possiamo ritenere, in ogni caso, che sia il Martirologio Geronimiano, sia i calendari storici del Medioevo posseggano, comunque, un sufficiente livello di attendibilità. Da essi, sappiamo che il Cristianesimo era già diffuso in Sardegna prima del III secolo; eppure, i martiri venivano attestati solo ed esclusivamente alla leggenda, come se s’ignorasse l’esistenza della Sardegna e della Chiesa sarda. Dobbiamo attendere il Martirologium Romanum, testo alla base dei calendari liturgici che annualmente determinano le feste religiose, il primo dei quali fu approvato da papa Gregorio XIII nel 1586, per trovare registrato, in corrispondenza del 13 dicembre, il nome di Antioco. Solo nel XVI secolo si decise di unificare i vari martirologi in un solo elenco nel quale trovassero posto tutti i santi e i beati riconosciuti come tali dall’autorità della Chiesa cattolica. L’opera fu svolta dal cardinale Cesare Baronio, che nelle note del Martirologium Romanum indica tutte le fonti da cui ha attinto. Così fu accertato che in Sardegna, oltre i martiri degli antichi Martirologi, ce ne furono altri, igno5. Bibliografia essenziale V. Olargiu, Sant’Antioco Patrono di Iglesias, da pag. 49 a pag.58, Annuario del Liceo di Iglesias 1931. H. Delehaye S.J. con appendice di Wilhelm Meyer, Le leggende agiografiche, Libreria editrice fiorentina 1906 H. Delehaye, Les Passions del martyrs et les genres littéraires, 1966 (2ª ed; “SHG”, 13b) 28 s. antioco Patrono della Sardegna rati dalla loro storia, ma non dalla terra in cui erano venerati. Nell’accertarlo, Baronio si affida a due fonti principali: gli atti del martirio di ciascun santo, e il De Rebus Sardois di Giovanni Francesco Fara. Contemporaneo di Fara e del Baronio, troviamo anche un altro illustre scrittore sardo, Giovanni Arca, parroco di Bitti, il quale scrisse dei santi e martiri della Sardegna servendosi anche di manoscritti esistenti nelle varie chiese e diocesi della Sardegna. Successivamente scrissero forse in troppi, apportando modifiche e molteplici revisioni, generando spesso vari equivoci tra la data del dies natalis di Antioco e quello del suo transito alla gloria celeste. Così, affianco al 13 di dicembre “romano”, la Sardegna ne celebra la festa il 13 di novembre. Capitolo II Capitolo II S. Antioco Patrono della Sardegna A 29 II lla luce dei numerosi ritrovamenti: fonti letterarie ed epigrafiche, documenti ed opere d’arte è ormai doveroso riconoscere a S.Antioco il giusto ruolo e valore. Il materiale scoperto ed indagato negli ultimi anni consente perciò di suffragare ciò che era già chiaro ed ampiamente dimostrato dalla profonda devozione a lui riservata dal popolo sardo fin dai tempi più remoti. Una testimonianza della diffusione capillare del culto nell’intera Sardegna ci è fornita da Padre Tommaso Napoli che nel 1784 scrisse: ”Tanta è la divozione di questi popoli verso il glorioso martire S. Antioco, che non vi è città, né villaggio in questo regno, in cui non vi sia o chiesa, o altare, o statua, o immagine innalzata a onor di questo Santo, o a lui consegrata, facendosi nella Sardegna varie feste, ed in varii giorni, e tempi a suo onore.” 1 L’intero territorio sardo è disseminato di chiese dedicate a S.Antioco e fortunata- mente resta traccia nei documenti anche di quelle purtroppo non più esistenti, come delle cappelle originariamente a lui intitolate ed oggi consacrate ad altri santi, nonché di alcuni festeggiamenti a lui tributati in passato e persi con il trascorrere del tempo. Tutto concorre perciò a dimostrare la grande fede manifestata dal popolo dell’intera Sardegna nei confronti del martire sulcitano. Come prova tangibile di questo affetto ancora oggi rimangono praticamente ovunque statuette lignee, pale d’altare ed affreschi che ripropongono la sua immagine. A quanto pare, inoltre, in passato in occasione di particolari feste celebrate in suo onore, sembra giungessero pellegrini da tutta la Sardegna, come ad esempio, stando alla descrizione che ci ha lasciato il canonico della cattedrale di Cagliari, Serafino Esquirro, per la festa più importante che cadeva quindici giorni dopo la Santa Pasqua, celebrata in suo onore nell’antica isola di Sulci.2 Il culto del santo è antichissimo come testimonia la pietra di Barega, nome derivato dalla località del rinvenimento, di cui in questo libro ci fornisce un prezioso contributo la Prof.ssa Amadasi. Su questa pietra vi sarebbe incisa, la più antica citazione del nostro S.Antioco definito: presbitero, martire e santo sulcitano.3 Quest’epigrafe assieme a quella ritrovata sulle spoglie del santo, detta dalle prime parole del testo “Aula Micat”, e molte altre testimonianze vennero con grande sapienza e devozione elencate da Padre Filippo Pili nel suo testo intitolato Meraviglie di S. Antioco. In esso egli ha analizzato in particolare due manoscritti in cui si enumeravano le meraviglie e i prodigi attribuiti dal popolo sardo alla sua intercessione. Il primo dei due, quello compilato 1. T. Napoli, Vita Invenzione e Miracoli del glorioso martire Sant’Antioco detto volgarmente sulcitano descritta dal P. Tommaso Napoli D. S. P. dedicata all’illustrissimo Signor Conte di S. Antioco Don Giovanni Porcile, Nella Reale Stamperia di Cagliari MDCCLXXXIV. 2. G. Villani, Il culto in Sardegna di Sant’Antioco Sulcitano, in “Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, 2008, pp. 98-100. 3. F. Pili, Nuove iscrizioni dal Sulcis-Iglesiente, in Dottrina Sacra. Problemi di teologia e di Storia, Cagliari, 1977, pp. 137-147. 30 s. antioco Patrono della Sardegna in occasione del processo sui miracoli svoltosi per iniziativa dell’autorità religiosa di Iglesias nel 1593, ci dimostra come fosse radicata la venerazione per il santo già prima della “inventio” delle sue reliquie, avvenuta il 18 marzo del 1615 nel tempio a lui dedicato su iniziativa del vescovo di Cagliari De Esquivel, a seguito della quale, come era naturale, il culto ricevette grande impulso. Il popolo sardo pur non conoscendo la giusta collocazione delle spoglie mortali di S.Antioco era consapevole che la chiesa nell’antica isola di Sulci fosse il luogo dove egli era morto e dove soprattutto il suo corpo riposava.4 Nella maggior parte dei casi S.Antioco è citato con un appellativo come se fosse un segno di irriverenza riferirsi a lui indicando solo il nome. Spesso è ricordato con l’epiteto di “glorioso”, altre volte come martire o protomartire della Sardegna, ad esempio venne definito “Glorioso protho Martir de Çerdeña” nella Passio sancti Antiochi martyris, la più antica fonte storica rintracciata su di lui, datata fra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, di cui si conserva, presso l’archivio del Capitolo della Cattedrale di Iglesias, la copia voluta nel 1621 dall’arcivescovo De Esquivel. Secondo la tradizione agiografica sarebbe da considerarsi il primo martire sardo poiché perseguitato sotto l’imperatore Adriano nel II secolo d.C..5 Inoltre Padre Pili lo definì “megalomartire” vale a dire il “grande martire”, paragonandolo a San Giorgio ad indicare la grande diffusione che ebbe il suo culto.6 Ma determinante per la rivalorizzazione della figura del martire sulcitano è presentare le numerose fonti e i documenti in cui egli è salutato come patrono della Sardegna, sancendo così, sulla base di verità inconfutabili, il ruolo forse più importante riservato ad un santo, quello appunto di patrono. Questi documenti, scritti nelle varie lingue utilizzate in Sardegna nel corso del tempo (latino, italiano, castigliano e sardo logudorese), dimostrano che fu considerato protettore dell’intera isola sarda e non solamente dell’antica isola di Sulci a lui intitolata a partire dal XII secolo. Per troppo tempo alcuni gli hanno negato questo ruolo, riconoscendolo invece a Sant’Efisio, asserzione questa che non può essere confermata da alcun elemento, contrariamente a quanto si può presentare in favore di S.Antioco. L’elezione dei santi come patroni ha origini antiche, venne disciplinata però solo nel 1630 per volere di Urbano VIII Barberini, il quale attraverso l’emanazione del Decretum super electione sanctorum in patronos, impose l’approvazione, fino ad allora non necessaria, della Santa Sede.7 In precedenza generalmente erano gli stessi fedeli o le chiese locali a scegliere i propri patroni. Questo è solo uno degli atti compiuti dal papa, il quale dal 1624 al 1634 per eliminare il caos vigente, sistemò l’intera questione relativa alle beatificazioni e canonizzazioni, stabilendo dovessero essere un diritto esclusivo del pontefice. Venne però consentito il culto di quei santi e patroni eletti unicamente dal popolo ab immemorabili.8 La Chiesa ha infatti sempre dato importanza al sentire dei devoti e le testimonianze qui di seguito elencate debbono considerarsi assolutamente sufficienti a provare che il popolo sardo riconoscesse in lui il proprio tutore 4. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano, ripubblicato a cura di R. Lai, Edizioni “Basilica di S. Antioco”, 2010. 5. G. Villani, Il culto in Sardegna di Sant’Antioco Sulcitano, in “Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, 2008, pp. 98-100; R. Lai, Sant’Antioco Patrono della Sardegna. Tra agiografia e leggenda, in “Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, 2008, pp. 86-90. 6. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano, ripubblicato a cura di R. Lai, Edizioni “Basilica di S. Antioco”, 2010, pp. 32-33. 7. S. Severi (a cura di), Patroni d’Europa e dei Paesi dell’Unione Europea, catalogo di mostra, Roma 2009. 8. L. Von Pastor, Storia dei Papi, vol. XIII, Roma 1931, p. 602; G. Lutz, Urbano VIII, in AA.VV., Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, pp. 298-321. Capitolo II 31 ed un modello di fede a cui ispirarsi. In alcune di queste fonti lo troviamo citato anche come compatrono della Sardegna ad indicare la condivisione dei compiti di difesa e protezione dei propri fedeli con Nostra Signora di Bonaria, eletta ufficialmente massima patrona della Sardegna dal pontefice Pio X con il decreto del 1907. Altre volte è invece presentato come protettore, termine da considerarsi comunque sinonimo di patrono. Analizzando i fatti sarebbe giusto perciò riconsiderare lo sforzo speso oggi per celebrare il santo sulcitano, purtroppo minore rispetto ad altri festeggiamenti decisamente meno importanti e soprattutto nullo rispetto a gli onori a lui tributati nei secoli passati. I documenti più significativi nel riconoscimento della dignità di patrono di Sardegna a S.Antioco sono le “Relationes” delle visite “ad limina” del 1648 e del 1654 (Figg. 1-2). Il loro grande valore è dato dal loro carattere ufficiale, poiché la loro redazione era di competenza del vescovo, quindi di un’autorità religiosa locale e cosa più importante erano destinate al pontefice. Le visite “ad limina” si svolgono ancora oggi, ogni cinque anni, la formula completa è visita “ad limina apostolorum” vale a dire visita “ai sogli degli apostoli”, una veneranda tradizione i cui albori si rintracciano già nel primo secolo d.C. Questa pratica ricalca le antiche abitudini dei pellegrini di visitare le tombe di San Pietro e San Paolo e consiste nell’obbligo per i vescovi dell’intero mondo cattolico di recarsi periodicamente in visita in Vaticano presentando al pontefice un rapporto sullo stato della propria diocesi. Nonostante questa pratica fosse ritenuta un compito importante del vescovo a volte in passato veniva disattesa. Solo per ordine di Sisto V alla fine del ‘500 l’obbligo venne ristabilito, per contrastare in questo modo la diffusione del protestantesimo e difendere quanto possibile l’unità ecumenica. Nelle relazioni il vescovo doveva anche in maniera scrupolosa dimostrare di conoscere la propria diocesi fornendo una serie di informazioni ed indicando i problemi pastorali incontrati nel proprio territorio e le necessità dei fedeli sottoposti alle proprie cure. Per il loro valore e la loro ufficialità ciò che veniva scritto è sempre stato considerato attendibile, per questo le “relationes” da sempre sono state considerate dagli storici fonti preziose dalle quali desumere informazioni rilevanti.9 Le relazioni qui presentate in cui si fa riferimento al santo sulcitano vennero scritte dall’arcivescovo di Cagliari Don Bernardo della Cabra in occasione delle due visite “ad limina” svolte intorno alla metà del Seicento. In esse egli definì chiaramente S.Antioco come patrono della Sardegna. Nella prima, datata 26 ottobre 1648, si legge: “aliqua Sanctorum, praecipue Sancti Antiochi Martyris Sulcitani Sardiniae Patroni cum debita veneratione [corpora] asservantur”.10 (Fig. 1) Con le stesse parole nella relazione successiva, a sei anni di distanza, egli ribadì con forza al pontefice il ruolo di S.Antioco come “Sardiniae Patroni”.11 (Fig. 2) Qualche anno prima nel 1631, uno scrittore cagliaritano, Giovanni Francesco Carmona, nel suo testo intitolato: Alabanças de los Santos de Sardeña definì il santo patrono della Sardegna. Il capitolo a lui dedicato è così intitolato : “DE’ SAN.’ANTHIOGO. SVLSITANO MARTIR APOSTOL DE 9. AA.VV., Les chemins de Rome. Les visites ad limina à l’époque modern dans l’Europe méridionale et le monde hispano-américain. Ècole francaise de Rome 2002. 10. Archivio Segreto Vaticano, Congr. Concilio, Relat. Dioec. 168 A (Calaritan.), 1648, f. 112v. 11. Ibidem,1654, f. 124v. 32 s. antioco Patrono della Sardegna SARDENA Y SV PATRON-“ (Fig. 3). Si comprende perciò che a quel tempo questa fosse un’opinione largamente condivisa.12 Più tardi anche il famoso Padre cappuccino Giorgio Aleo si occupò di S.Antioco. Questo storico visse nella seconda metà del XVII secolo, era di origine cagliaritana, ma la sua conoscenza andava ben al di là dei limiti della sua diocesi poiché trascorse la vita a predicare in varie città della Sardegna. Fin da giovane si dedicò allo studio della storia della sua terra e scrisse due opere in cui trattò in modo particolare i fatti religiosi, una intitolata Successos generales de la Isla y Reyno de Serdeña e l’altra Historia chronologica y verdadera de todos los successos y cosas particulares succedidas en la Isla y Reyno de Serdeña, del año 1637 al año 1672, di cui si conservano delle copie nel convento dei cappuccini di Cagliari e negli archivi regi di Torino. Nella prima delle due opere definì in modo chiaro la figura del santo come martire, autore di miracoli e soprattutto patrono della Sardegna: “el martirio y presencia de S. Antiogo Martir, que por su martirio, y milagros es grandemente venerado y tenido por patron de Sardeña”.13 (Fig. 4 ) Un altro padre predicatore, Salvatore Vidal, dell’ordine dei minori osservanti, dedicò persino un’intera opera al nostro martire intitolata Vida, Martyrio y Milagros de San Antiogo sulcitano, segno del suo grande affetto nato in un periodo di sofferenza dovuta ad un’infermità.14 Il frate, al secolo Giovanni Andrea Contini, nacque a Maracalagonis nella diocesi di Cagliari nel 1581. Solamente quando entrò nell’ordine francescano all’età di 36 anni cambiò il suo nome in Salvatore Vidal, che poi utilizzò senza cognome per firmare le sue opere.15 Questo testo venne redatto tra giugno e luglio del 1638 quando il padre si trovava nel convento di San Francesco di Iglesias. Il frontespizio qui pubblicato appartiene al testo originale, un tempo da lui lasciato presso il collegio dei Gesuiti di Iglesias, ed oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. (Fig. 5) Gli esemplari posseduti dalle altre biblioteche cagliaritane sono invece delle copie. Degna di nota è la prosecuzione del titolo, particolarmente lungo, che continua definendo il santo come “Patron de la Isla de Sardegna cuyo cuerpo se hallò en las catacubas de su Iglesia de Sulcis el año 1615, à 18 de Marco”. Questa non fu l’unica opera scritta in onore del santo, redasse sempre nello stesso anno, un poema intitolato “Urania Sulcitana: de sa vida, martiriu et morte de su benaventuradu S. Antiogu”.16 Anche l’avvocato Michele Antonio Gazano nella sua Storia della Sardegna dedicata ai giurati e consiglieri della città di Cagliari nel 1777, riservò un intero capitolo a S. Antioco, nel quale, dopo aver ricordato gli episodi della sua vita precisò che, in virtù delle grazie ottenute dai sardi attraverso la sua intercessione, il “glorioso Martire” venne annoverato “tra i santi protettori del regno”. Sostenne inoltre che la devozione verso il santo sulcitano fosse nata in tempi remoti e fosse 12. G. F. Carmona, Alabanças de los santos de Sardeña por el doctor Juan Francisco Carmona sardo calaritano conpuestas y ofresidas a honrray gloria de Dios y de sus santos, manoscritto del 1631, Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille 13. J. Aleo, Successos generales de la Isla y Reyno de Serdeña, tomo I, 1677, p. 31; P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, 1837-38, Bologna, vol. I, pp. 70-71. 14. S. Vidal, Vida, Martyrio y Milagros de San Antiogo sulcitano, Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille, 1638. 15. P. Martini, Biografia sarda, vol. I, pp. 344-354. 16. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, 1837-38, Bologna, vol. III, pp. 507-516; F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco, a cura di Roberto Lai, pp. 20-21, 39. 33 Capitolo II Figg. 1-2: Relazioni delle visite “ad limina” del 1648 e 1654. Archivio Segreto Vaticano Fig. 3: G. F. Carmona, Alabanças de los Santos de Sardeña, manoscritto del 1631, Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille Fig. 4: J. Aleo, Successos generales de la Isla y Reyno de Serdeña, tomo I, 1677 1 2 3 4 34 s. antioco Patrono della Sardegna ben radicata come a suo avviso spiegava la donazione al santo del dominio dell’isola di Sulci, ricordata da allora in poi con il nome di isola di S. Antioco, fatta dal giudice di Cagliari Mariano Torchitorio nel 1124.17 Qualche anno dopo, nel 1784, Padre Tommaso Napoli lo ricorda con queste parole: “essendo il solo S. Antioco riconosciuto generalmente come il protomartire della Sardegna, e venerato da tutto il regno qual universal suo protettore”.18 Perfino l’arcivescovo di Cagliari Francesco De Esquivel al termine della sua Relacion de la invencion del inclito Martyr, y Apostol de Sardeña, San Antiogo, en su propria Yglesia de Sulchis si riferì alla “protection que tiene este Glorioso santo, deste Reyno de Sardeña”.19 Nel dichiarare il santo come patrono della Sardegna è possibile presentare anche un altro genere di prova: un’opera d’arte individuata, nel corso di appassionate ricerche, visitando il Museo intitolato a Giuseppe Gasperini De Orange di Cagliari.20 Il quadro, dalla rarissima iconografia con S.Antioco accanto alla Nostra Signora di Bonaria, risulta essere di immenso valore ai fini di questo lavoro, poiché l’iscrizione riportata alla base conferma in modo inequivocabile il ruolo del santo come patrono della Sardegna: “la Virgen Sa.ma de Bvenaire en el real Co.to de la Merced de Caller y el Santo Antioco sulcitano patron de la Sardegne”. (Fig. 6) La lingua usata in essa ci fornisce la prova che il committente fosse spagnolo. Non possiamo invece sapere con esattezza se questi risiedesse o meno nel territorio sardo. Nessuna delle due ipotesi è da escludere o privilegiare, molti religiosi spagnoli erano presenti nel Regno, è perciò possibile che fosse stata commissionata da uno di loro; altrettanto verosimile è l’ipotesi che questa fosse destinata a lasciare la Sardegna alla volta della Spagna. La committenza spagnola si spiega con il fatto che il culto della Madonna di Bonaria si diffuse presto in quella terra e soprattutto l’isola fu a lungo sotto il dominio degli aragonesi spagnoli. La venerazione per la Nostra Signora di Bonaria è molto sentita a Cagliari poiché è qui che da un fatto miracoloso ebbe origine. Secondo la tradizione la statua lignea, che ancora oggi è venerata presso il santuario sulla collina di Bonaria a Cagliari, faceva parte di un carico imbarcato su una nave salpata dalla Spagna nel 1370. A causa di una tempesta i marinai furono costretti a gettare in mare gran parte delle casse che trasportavano, compreso quella contenente la statua che miracolosamente navigò fino alle rive della città salvando il prezioso contenuto. La statua venne consegnata alle cure dei frati della Compagnia della Mercede che avevano il convento sulla collina cagliaritana. Sia il convento sia il simulacro ligneo presero il nome particolare di Bonaria grazie ad una premonizione del frate Carlo Catalàn che mezzo secolo prima del prodigioso approdo riferì di un avvento che avrebbe mutato l’aria malsana in buona. Gli onori tributati a questa immagine furono talmente tanti che il 24 aprile del 1870, in occasione del quinto centenario del suddetto fatto miracoloso, Pio IX decretò l’incoronazione pontificia e il 13 settembre del 1907 sua Santità Pio X la riconobbe come patrona massima dell’intera Isola di Sardegna.21 17. M. A. Gazano, Storia della Sardegna, Cagliari 1777, pp. 87-88; F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco, a cura di Roberto Lai, p. 27. 18. T. Napoli, Vita Invenzione e Miracoli del glorioso martire Sant’Antioco detto volgarmente sulcitano descritta dal P. Tommaso Napoli D. S. P. dedicata all’illustrissimo Signor Conte di S. Antioco Don Giovanni Porcile, Nella Reale Stamperia di Cagliari MDCCLXXXIV. 19. R. Lai (a cura di), Relazione sulla ‘inventio’ dell’illustre Martire e Apostolo della Sardegna Sant’Antioco nella propria chiesa di Sulci. Edizioni “Basilica di Sant’Antioco”, 2010. 20. R. Lai, Un antico quadro che rappresenta la Viergen Santissima de Caller de Bonaire en el coto de la Mercede y el Santo Antioco sulcitano patron de la Serdegne, in “Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, 2009, pp. 135-138. 21. R. Bonu, Dal Santuario cagliaritano di Bonaria il nome della capitale argentina, Cagliari 1971 Capitolo II 35 L’immagine della Madonna di Bonaria sul quadro ripropone abbastanza fedelmente l’iconografia della statua lignea conservata nel santuario dei padri mercedari: la corona sulla testa, la candela che poggia sulla barca nella mano destra, riferita al titolo di protettrice dei naviganti, ed il bambino tenuto saldamente sul braccio sinistro. A questa tradizionale immagine è stato aggiunto solamente il velo, frutto probabilmente di una contaminazione con l’iconografia della Vergine della Mercede, venerata dai padri mercedari fin dalla fondazione del loro ordine. S.Antioco invece è raffigurato sulla destra della Madonna, inginocchiato più in basso proprio in segno di umiltà, in atteggiamento da orante con la mano destra sul petto e con il capo reclinato verso la Madonna in segno di rispetto. Il pittore ha qui riutilizzato la tradizionale iconografia dell’intercessione, il santo quale patrono della Sardegna è raffigurato nell’atto di intercedere per i propri fedeli nei confronti della Madonna. Al di là dell’iscrizione S.Antioco è facilmente identificabile grazie ad alcune caratteristiche dell’abbigliamento ed i suoi classici attributi, anche se, come confermano le numerose immagini pittoriche e statuette lignee presenti in molti luoghi della Sardegna, non sempre è stato ritratto allo stesso modo. L’immagine più antica a noi nota è quella riportata su due sigilli plumbei oggi conservati nell’Antiquarium Arborense di Oristano che su basi stilistiche e da esami paleografici fatti sull’iscrizione che riporta il nome del santo, si possono datare al VI secolo, ma la maggior parte delle sue raffigurazioni risalgono al XVII secolo. Sono state individuate anche preziose incisioni con la sua effige, ma interessante è notare come si preferì largamente rappresentare il santo in statuette lignee piuttosto che attraverso l’immagine incisa o dipinta, ciò si deve al clima controriformistico, in cui si prediligeva la rappresentazione tridimensionale e in certi versi teatrale in quanto più suggestiva e in grado di coinvolgere emotivamente il devoto in misura maggiore.22 Nel nostro dipinto il santo non indossa il vestito da medico a ricordare la professione da lui svolta in Africa, ma un abito comunque elegante caratterizzato dal particolare delle maniche lunghe che ritroviamo spesso nelle sue raffigurazioni, come ad esempio, per citarne solo alcune, nella statua lignea posta nella Cattedrale di S. Chiara di Iglesias, oppure nella stampa del 1765 conservata presso la collezione Luigi Piloni di Cagliari, nonché nell’anta dipinta proveniente dalla Chiesa di Santa Giuliana sui monti di Sirri, oggi conservata nella Chiesa di San Leonardo di Perdaxius, che fa da pendant ad un’altra anta con l’immagine di Santa Giuliana.23 Manca la gorgiera che appare invece in una stampa del XVII secolo o in quella già citata del 1765. Gli oggetti che ha in mano sono gli attributi classici: la palma simboleggiante il martirio e il libro sacro. Mancano stranamente gli elementi che indicano la sua provenienza africana, secondo la tradizione infatti era nato in Mauritania. Probabilmente si preferiva eliminarli per evitare un riferimento ai turchi che per i cristiani rappresentavano una minaccia. In questo caso si è provveduto perciò a sbiancare gli incarnati altre volte raffigurati scuri e si è tolto anche il solito 22. A. Pala, L’effige di Sant’Antioco sulcitano. Iconografia dall’altomedioevo all’età moderna. Nuovi contributi, in “Annali dell’Associazione Sulcitana di Storia e Archeologia”, Nuova Serie n. 11 dicembre 2010. 23. Le prime due immagini sono pubblicate in A. Pala, L’effige di Sant’Antioco sulcitano. Iconografia dall’altomedioevo all’età moderna. Nuovi contributi, in “Annali dell’Associazione sulcitana di Storia e Archeologia” 2010; la terza è pubblicata nel nutrito repertorio iconografico raccolto da Walter Massidda nella ristampa del testo di Padre Filippo Pili, Le Meraviglie di Sant’Antioco, curata da R. Lai nel 2010. 36 s. antioco Patrono della Sardegna Fig. 5: S. Vidal, Vida, Martyrio y Milagros de San Antiogo sulcitano, Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille, 1638. 5 7 Fig. 6: Sant’Antioco e la Nostra Signora di Bonaria, Museo Gasperini De Orange di Cagliari 6 Fig. 7: Aquest llibret de la vida del benaventurat Sant’Anthiogo, 1890 Capitolo II 37 copricapo troppo simile all’abbigliamento degli uomini colti islamici. Questa sorta di “sbiancamento” si rendeva forse ancor più necessario in questo caso poiché la Madonna di Bonaria era venerata dai mercedari un ordine religioso fondato a Barcellona il 10 agosto del 1218 dal re Giacomo II il conquistatore e dal maestro generale S. Pietro Nolasco, con lo scopo di redimere e liberare i cristiani resi schiavi dai mori, come venivano chiamati gli arabi invasori della Spagna.24 L’accostamento tra il martire e la Vergine di Bonaria non dovrebbe destare meraviglia se si considera che ben due cappelle del santuario cagliaritano erano in passato a lui consacrate. Una delle due, distrutta nel 1933 per creare un ingresso alla Basilica, fu prima nel 1650 dedicata con un breve del pontefice Innocenzo X ai Santi Anna e Ludovico e poi nel 1708 intitolata a S.Antioco, per poi cambiare ulteriormente titolazione dal 1781 in favore di S. Serapio. L’altra, l’attuale cappella di San Raimondo, cardinale mercedario, fu addirittura per un secolo e mezzo, dal 1781 fino al 1933, sotto la protezione del nostro martire.25 Non a caso inoltre una delle numerose feste celebrate in onore del santo, in coincidenza con il quindicesimo giorno dopo Pasqua, si svolge da tempi remoti proprio presso il santuario di Bonaria a Cagliari, come ci hanno tramandato sia Josph Fuos nelle sue Notizie della Sardegna, in cui si legge che la suddetta festa: “si celebra in primavera in Buenos Ayres ovvero a Bonaria”; sia il testo, fonte di tante notizie interessanti, scritto da Padre Tommaso Napoli, in cui egli confermò che questa festa si celebrava a Cagliari nella chiesa dei PP. Della Mercede detta di Bonaria.26 Anche il Lippi nel suo testo dedicato al santuario di Bonaria scritto nel 1870 ci descrive il fervore e la partecipazione popolare alla festa in onore di S.Antioco con queste parole: “Quasi improvvisamente e come per incanto, Bonaria non pare più una collina cagliaritana, sì un vero villaggio, oppure un ridotto di popoli diversi per lingua, vesti e costumi: è la religione che li ha uniti per venerare un sardo eroe”, sottolineando l’affluire di genti diverse provenienti da ogni dove.27 Infine è attestato come compatrono nella ristampa di un’operetta dedicata alla passione del santo intitolata Vida de Sant Anthiogo metge y martir. L’opera originale venne redatta in Sardegna nel XV secolo, venne poi ristampata a Cagliari con il sottotitolo: Esta es la vida y miracles del benaventvrat Sant’Anthiogo novament corregida y estampada” e con una interessante xilografia raffigurante S.Antioco a cavallo. Nella ristampa curata nel 1890 dal Cav. Edoardo Toda a Barcellona il titolo risulta diverso, ma la cosa più importante è che si fa riferimento al santo come compatrono: “AQUEST LLIBRET DE LA VIDA del benaventurat Sant’Anthiogo, compatrò de la illa de Sardenya,” (Fig. 7) ciò diversi anni prima del 1907 quando papa Pio X decretò patrona la Nostra Signora di Bonaria.28 Le numerose testimonianze qui riferite lo riconsegnano perciò alla storia senza alcuna incertezza come patrono della Sardegna, sarebbe giusto quindi sulla base di questi fortunati ritrovamenti tributare a lui gli onori che gli si convengono. 24. R. Bonu, Dal Santuario cagliaritano di Bonaria il nome della capitale argentina, Cagliari 1971, p. 11. 25. P. Leo – G. Melchionna, Santuario di N. S. di Bonaria, Cagliari 1970, pp. 180 e 184. 26. T. Napoli, Vita Invenzione e Miracoli del glorioso martire Sant’Antioco detto volgarmente sulcitano descritta dal P. Tommaso Napoli D. S. P. dedicata all’illustrissimo Signor Conte di S. Antioco Don Giovanni Porcile, Nella Reale Stamperia, Cagliari MDCCLXXXIV 27. G. Villani, Il culto in Sardegna di Sant’Antioco Sulcitano, in “Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia”, 2008, pp. 98-100. 28. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano, ripubblicato a cura di R. Lai, Edizioni “Basilica di S. Antioco”, 2010. Capitolo II Capitolo III La Diocesi di Sulci nel I millennio Il vescovo Eutalio L 39 III a Diocesi di Sulci nasce antichissima. La presenza certa di una comunità cristiana organizzata e strutturata nell’isola (dedicata in seguito a Sant’Antioco) risale al 484 ed è riferita al vescovo Vitale di Sulci, al tempo in cui il re vandalo Unnerico, col duplice scopo di assicurarsi l’egemonia politica e di attirare i cattolici nelle dottrine ariane, convocava con parole minacciose tutti i vescovi ortodossi al fine di sostenere una discussione con i vescovi ariani. Alla conferenza di religione in Cartagine, nel 1 febbraio 484, comparvero 466 vescovi. I vescovi sardi, vuoi per l’assenza di ariani, vuoi perché meno acuto il conflitto di razze diverse come nell’Africa, godevano di una certa libertà. Intervennero al colloquio cartaginese Lucifero II di Cagliari, Martiniano di Foro Traiano, Felice di Torres, Macario ed Elia delle Baleari, Bonifacio di Sanafer ed il nostro vescovo Vitale di Sulci. Che gli avvenimenti non si svolsero secondo i propositi di Unnerico appare chiaro dalla persecuzione che si scatenò subito dopo quella conferenza contro i cattolici che avevano difeso il sacro deposito della loro fede(1). Si deve a Hermann von Soden 2 ed alla sua opera più importante sugli scritti neotestamentari nella più antica forma testuale3, la scoperta di un altro vescovo importantissimo per la storia della diocesi e della chiesa sarda: Eutalio. Ecco una sintesi di ciò che von Soden scrive sulla personalità di Euthalius: In un certo numero di codici di San Paolo si trovavano testi accompagnati da numerosi riferimenti attribuiti ad Euthalius, a volte indicato come diacono, a volte come vescovo di Sulke. Su questo nome furono fatte varie ipotesi, senza che le scarse informazioni avessero superato lo stato di semplici ipotesi. Grazie alla felice scoperta del mio collaboratore di allora, sig. Lic. Dr. Wobbermin la scienza è stata liberata da tutte le supposizioni. In un codice di Lavra sul Monte Athos , con il numero bibliotecario 149, s. XI, perg, 18,2x14 c, 25l, 186f Wobbermin scoprì in fol. 1-4 una confessione dello stesso Euthalius, intitolata Συϑαλιου επισκοπου Σουλκης ομολογια περι της ορϑοδοξου πιστεως (confessione alla fede ortodossa del vescovo Eutalio) . Già il fatto che fol. 5f direttamente alla confessione segua la lettera stampata anche nel Volume 26 di Migne , col. 1085-89, intitolata τω αγαπητω και ποϑεινοτατω υιω Μαξιμω φιλοσοφω Αϑανασιος εν κυριω χαιρειν < εντυχων τοις νυν γραφεισιν παρα σου την μεν > παντες οι συν ημιν 1. Cfr. Damiano Filia, la Sardegna Cristiana, vol. I, pag 104 – Carlo delfino editore 1995. 2. Hans Karl Hermann, teologo luterano tedesco (Cincinnati 1852 - Berlino 1914). Studioso delle origini cristiane, si dedicò in particolare alla critica testuale del Nuovo Testamento. 3. Die Schriften des Neuen Testaments in ihrer älstesten erreichbaren Texgestalt voI. I, Berlin 1902, pp. 637 -682. 40 s. antioco Patrono della Sardegna μνημονευοντς της ευλαβειας σου ερρωτο, agli occhi dell’intenditore del prologo di Euthalius rende probabile l’autenticità dell’opera, dato che lì Euthalius appare accanto ad un certo Athanasius. Secondo la confessione però anche Maximus4, a cui Athanasius scrive, ebbe una certa rilevanza nella vita di Euthalius. Del resto il documento parla da sé, sia per il tono sia per l’abbondanza di informazioni concrete. Lo stesso documento che in pochi passaggi risulta difficilmente decifrabile e in uno solo illeggibile, è così redatto. Ho riportato le abbreviazioni dell’autore e annotato gli errori di ortografia in parentesi. Il documento ha una struttura chiara. All’introduzione dal tono personale segue una confessione dogmatica in tre capoversi. Il primo formula il dogma trinitario, il secondo quello cristologico. Il primo rievoca le diverse professioni di fede e non contiene nessun richiamo alle autorità. Il terzo capoverso varia creando una combinazione tra la prima e la seconda formulazione, standardizza ciò che va confessato e infine cita Ambrosio, Agostino, Leo, Athanasius, Gregorio e ancora una volta Leo, dandogli il titolo di santi. Contemporaneamente però in questo terzo capoverso si avverte già il tono che caratterizza ciò che segue, cioè il rifiuto delle tesi eretiche. In questo festoso e dettagliato anatema di tutte le eresie la sede apostolica di Roma è raffigurata come autorità determinante per l’approvazione e la disapprovazione. Di seguito vengono elencate le istanze le cui decisioni vanno accettate senza riserve. Si fa menzione a Nicäa, Costantinopoli, Ephesus, Kalchedon, anche la seconda a Costantinopoli. A questi sinodi si aggiungono però anche il sinodo di Roma sotto Papa Martino che si riunì nel 648 e sommariamente tutti i documenti, i sinodi e le lettere. Si fa riferimento a Leo e Cirillo come se Occidente ed Oriente volessero stare in equilibrio. A questo punto finalmente viene alla luce il “corpus delicti” che ha portato il povero Enthalius ad imbavagliarsi. Le frasi si susseguono velocemente e aumentano di ritmo, indicando questo capoverso, indiscutibilmente e inconfondibilmente, come culmine e vera ragione di questo insolito documento. Inizia come segue: Condanno e respingo qualsiasi eresia del passato e del presente e segue: Condanno inoltre anche la confessione scritta da Giovanni (exceptor del Ducato) con inganno e malvagità, che ha così disonorato la memoria dell’abate Maximus (+ 662) e che sono stato persuaso ( non si legge bene questa parola) di firmare incautamente e inutilmente a causa del documento dell’ortodosso abate Maximus ricercato da noi e presentatoci con la forza, non sospettando l’inganno. Con le parole: Condanno e respingo questa ingannevole confessione, come furono condannati e respinti la cosiddetta lettera di Ibas 4. San Massimo il Confessore (Palestina, 579/580 – Lazica, 13 agosto 662) è venerato come santo dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto. Egli è chiamato il Confessore perché ebbe tagliate la mano destra e la lingua come condanna per aver rifiutato il monotelismo. Capitolo II 41 a Maris5 e le 12 rimostranze di Theodoret6 a San Cirillo che ha trattato in modo giusto la parola della verità del nostro Signore Gesù Cristo. Questa confessione eretica più recente viene messa sullo stesso livello dei due elaborati particolarmente famigerati e recentemente condannati perché colmi di errori mortali. Che sia proprio questo il vero scopo di questo insolito documento lo dimostra il fatto che si conclude all’improvviso e l’autore aggiunge solo la abituale esaltazione al nome di Gesù Cristo che è forzatamente legato all’espressione “parola della verità”. Il dettaglio del ultimo capitolo del documento esclude qualsiasi dubbio sull’autenticità dello stesso, visto che, per quanto ci è noto, il personaggio di Euthalius non ha nessuna rilevanza nelle battaglie dogmatiche. Dal documento risulta che Euthalius visse nella seconda metà del 7° secolo. Oggi non c’è più nessun dubbio sul fatto che il suo vescovado Sulke fu il noto Sulke (Sulci) in Sardegna. Come nelle altre province dell’Esarcato, a Roma, Napoli, Ravenna e nel Veneto, anche lì un dux insieme ai suoi funzionari formarono la δουκιακη αρχη (autorità ducale), la massima autorità amministrativa. In ogni distretto amministrativo gli “exceptores”, termine con cui vennero denominati i copisti e forse gli impiegati d’ufficio in generale, rappresentavano una delle categorie di impiegati pubblici. La storia non riferisce nient’altro su quell’exceptor di nome Giovanni che, a meno che non fosse solo un prestanome, aveva osato stendere una confessione. L’uomo costretto a fare questa pubblica dichiarazione suscita la nostra compassione. Sia per il fatto che fu ingannato da quell’exceptor Giovanni, sia per il fatto che la sua sincera convinzione lo aveva condotto da quell’ uomo mettendolo in questo modo nelle sue mani. Questo documento riesumato può essere considerato il monumento di una mente debole. In questo contesto dobbiamo rinunciare ad utilizzarlo e sfruttarlo ulteriormente come documento della storia dei dogmi. La confessione di Euthalius, vescovo di Sulke in questo momento per noi è di rilevanza in quanto ci fa conoscere meglio quell’Euthalius. Ancor prima di diventare il vescovo di Sulke, Euthalius fu diacono. Dai titoli del suo prologo alla sua edizione delle lettere di San Paolo, è indicato in una serie di codici come diacono, non si evince però dove. Dato che tradizionalmente gli eroi avanzano anziché retrocedere, Euthalius aveva sicuramente pubblicato quella edizione delle lettere di San Paolo quando era ancora diacono. Nel prologo parla di un certo uomo chiamato πατερ (padre) τιμιωτατε senza però rivelare direttamente il suo nome. È escluso che questo 5. Il V concilio -II di Costantinopoli- celebrato nel 553, ai tempi di papa Vigilio, fu convocato dall’imperatore Giustiniano per conquistarsi la simpatia dei monofisiti, mediante la condanna di tre scritti (condanna dei Tre Capitoli) di altrettanti teologi della scuola antiochena: Teodoro di Mopsuestia (Contra impium Apollinarium libri III), Teodoreto di Cirro (lettera contro Cirillo d’Alessandria) e Iba di Edessa (lettera al persiano Maris). Una condanna giusta, ma sospetta, perché gli incriminati -che peraltro si erano riconciliati con la Chiesa- erano morti da oltre centoventi anni. 6. Teodoreto di Ciro (Antiochia di Siria, 393 ca. – Ciro, 446) fu monaco, teologo e scrittore dell’epoca patristica. Fu allevato negli ambienti monastici siriani, dove apprese la cultura greca classica e quella cristiana. Probabilmente fu discepolo di San Giovanni Crisostomo e di Teodoro di Mopsuestia. Nel 423 fu eletto vescovo di Ciro, una cittadina presso Antiochia, e subito si mise all’opera per estirpare le eresie che circolavano nella sua diocesi, soprattutto il marcionismo e l’arianesimo. Quando nel 430 Cirillo di Alessandria scrisse i suoi dodici (Anatemi) contro Nestorio, Teodoreto prese le difese di quest’ultimo, e, su richiesta di Giovanni di Antiochia, scrisse nel 431 una confutazione degli Anatemi, il cui titolo completo era: Reprehensio duodecim capitum seu anathematismorum Cyrilli (“Confutazione in dodici capitoli o degli anatematismi di Cirillo”), che è andata perduta. 42 s. antioco Patrono della Sardegna uomo sia lo stesso Athanasius, per volontà del quale più avanti pubblicherà e al quale dedicherà gli atti e le lettere cattoliche. Il diverso titolo invece sia nel prologo agli atti o nel prologo alle lettere cattoliche non prova niente; Euthalius in quel periodo potrebbe essere diventato vescovo, il che spiegherebbe il cambio del titolo. Ma quel citato “padre” nel frattempo potrebbe essere deceduto, perchè Euthalius nel suo prologo agli atti accenna al fatto che aveva mandato la sua edizione delle lettere di San Paolo. Conosciamo un’altra rielaborazione degli scritti del vecchio testamento contenete le lettere di San Paolo e gli atti, oltre quella di di Euthalius, ed è riferita a Oekumenius, mentre tutti gli altri commentatori si sono occupati o delle lettere di Paolo o degli atti. Quindi non è una conseguenza naturale, come potrebbe sembrare oggi, che un commentatore di Paolo si occupi automaticamente anche degli atti. Euthalius ne avrà sentito ancor meno il desiderio in quanto la sua edizione delle lettere di San Paolo fu disapprovata (come lo dimostrano le parole con cui si scusa nel prologo agli atti). Quando dice che avrebbe svolto discretamente quel lavoro non è solo retorica o umiltà come quando un puledro ancor insicuro sulle proprie gambe o un giovanotto maldestro si mettono su un cammino impervio; fino ad allora non aveva ancora conosciuto nessuno che si occupasse della parola di Dio e si fosse impegnato in un tale lavoro, ancora meno si può raffigurare come un uomo prepotente e sfacciato convinto di poter superare le grandi opere di altri con la sua modesta edizione di indotta rielaborazione. Qui il tono è decisamente diverso da quello conciso e poco personale che abbiamo visto all’inizio del prologo di quell’edizione delle lettere di San Paolo. Per ammirazione del tuo amore per la scienza e per lo zelo di quell’amore, onorato padre, mi sono precipitato nelle strettezze e nelle viuzze nascoste della storia, cedendo al rispetto e all’ubbidienza e ho redatto questo prologo all’opera di San Paolo. In questa impresa sono andato oltre le mie forze per paura di disubbidire. Paragonando i due prologhi nel loro complesso si nota chiaramente quanto sono diversi uno dall’altro. Il prologo alle lettere di San Paolo è, a parte la breve introduzione che dopo la frase appena citata diventa una semplice richiesta di intercessione, un’opera rispettabile che onoreremo più avanti ed è pieno di informazioni reali e studi sulla vita dell’Apostolo e sugli scritti, privo di frasi altisonanti, per quanto un greco fosse in grado di evitarle. Il prologo agli atti e alle lettere cattoliche invece è retorico e, a parte la breve parte finale, senza un cenno alla questione, lo stesso vale per il breve prologo prima delle lettere cattoliche. Il fabulare del tardo Euthalius non riesce a suscitare nessun interesse. Dalle frasi retoriche trapela solamente la paura dell’autore che anche questa sua nuova opera non potesse essere accettata. Prega i destinatari di avere la massima indulgenza per la sua audacia e per la sua presunzione e implora tutti i fratelli e padri di accoglierla con amore e di non fargli pesare gli errori causati dall’ignoranza, ma piuttosto di correggerglieli benevolmente; Se nell’edizione delle lettere di Paolo il desiderio paterno lo aveva spinto ad osare qualcosa che andava oltre le sue capacità, anche qui avrebbe di nuovo intrapreso qualcosa di troppo difficile per lui, seguendo un consiglio fraterno e benevolo. Usa lo stesso tono anche nel prologo alle lettere cattoliche. Capitolo II Questo è un altro Euthalius, diverso da quell’ Euthalius diacono. È possibile che tra queste due opere abbia commesso quel famoso passo falso che maledice in quella confessione e che questa esperienza oltre a rompergli la spina dorsale lo abbia deprivato dell’interesse per i fatti? Una seconda scoperta nel campo degli scritti euthaliani ci dice come egli si sentì più avanti. Il mio collaboratore temporaneo Lic. Barone von der Goltz sull’isola di Chalki ha trovato un’opera προς εμτον στιχων νκζ nel Codice α 54, che è però, allegata ad un estratto dell’edizione delle lettere di San Paolo che contiene solamente il prologo (senza nominare Euthalius nel titolo), il martirio e i brevi titoli delle lettere. Di conseguenza questa sicuramente non fu pubblicata come appendice di una delle due parti delle sue opere sul nuovo testamento, ma fu aggiunto più tardi dai copisti o da una parte o dall’altra. Il testo dell’opera è identico alla “preghiera di Euthalius” , del cui uso liturgico nella chiesa armenica ci ha riferito Petermann nella sua Realnc per rot. Th.u.K. I 668 e il cui testo è stato procurato da Drobschütz e pubblicato nei sui studi euthaliani Z.f. KG. XIX 2. La differenza dei testi si spiega dal passaggio alla lingua armena. L’unico passo poco chiaro del testo greco, è migliorato con la traduzione in armeno. Nello stesso testo secondo la traduzione di Dobschütz sono state indicate le parole: e allora la mia anima era piena di preoccupazioni per tutto ciò e dò la colpa a me stesso e all’educazione di mio padre per le mie numerose disgrazie. L’opera nella sua versione non è priva di poesia. A partire dagli esametri citati potrebbe essere scritto in trimetri giambici, in alcune il testo può essere letto in tre trimetri e, all’occorrenza, anche in 4 trimetri. Questo monologo dove un uomo stanco di vivere tira le somme della sua mutevole sorte viene illustrato nella confessione. Chissà se aveva imparato ad esercitarsi nella αναισϑησια (privazione delle sensazioni) ed a stimarla quando dovette scrivere quella confessione? Può anche essere che, seguendo quel Giovanni, avesse imparato che non si può fare ciò che si vorrebbe ma che spesso si è portati a fare ciò che non si dovrebbe e che si cerca disperatamente di evitare? Ma quest’opera ci rivela qualche dettaglio sul suo destino. Aveva sperimentato sulla propria pelle che qualsiasi cosa ha la sua durata, arriva al suo culmine e poi svanisce.In passato aveva avuto un patria, era stato un uomo ricco e stimato; aveva conosciuto la fortuna e con essa la tentazione alla superbia. Non una sola volta si era cacciato in diversi e numerosi guai amari e non c’era nessuno a consolarlo e in questo modo aveva perso patria, proprietà e posizione sociale. In tutte queste disgrazie resistette solo grazie alla sua insensibilità. Ritiene di aver sopportato il suo destino coraggiosamente e di poter promettere alla sua anima che avrebbe resistito. Ma gli è stata inflitta la ferita mortale di non credere più nel valore della singola persona: la vita della singola persona non è niente, non è niente nella specie umana. Però ha fatto anche l’esperienza che se nella vita si sopporta e non si perde la speranza tutto può cambiare in meglio. 43 44 s. antioco Patrono della Sardegna Questi dati permettono senza fare troppe ipotesi audaci di tracciare la seguente biografia di Euthalius. Nella seconda metà del 7° secolo Euthalius era diacono in una chiesa in Oriente, nella Macedonia siriana , forse ad Antiochia, dove circa in quel periodo visse un patriarca di nome Athanasius che si occupò di agiografia. Come tale ordinò su volontà del suo vescovo superiore di cui non conosciamo il nome un’edizione delle lettere dell’Apostolo Paolo. Per qualche ragione ignota che è da ricercare probabilmente nella confusione delle guerre dogmatiche di quei tempi perse la sua posizione di diacono e fu trasferito in Sardegna. Qui, insieme a un impiegato della cancelleria del dux, un certo Giovanni, fece pubblicare un pronunciamento contro la sempre più diffusa e vincente ortodossia usando indebitamente uno scritto del Maximus Confessor. Dopo che si era soggiogato onoratamente venne premiato con la sede vescovile di Sulci. La pagò cara e fu costretto sotto le forche caudine. Per riabilitarsi pienamente pubblicò anche gli atti insieme alle lettere cattoliche che assomigliano alle precedenti lettere di Paolo, su consiglio di un suo confratello, il vescovo Athanasius, riallacciandosi in questo modo ai giorni migliori del suo mutevole passato. Intanto era diventato meno coraggioso. Non osò più avventurarsi sul terreno pericoloso e pieno di strettezze e di viuzze proibite della scienza ma decise di rimanere sul terreno sicuro e fruttuoso delle frasi pie, muovendosi solo in cerchio. Dove riteneva inevitabili i commenti concreti, scelse la via più sicura, citando autorità riconosciute e riportando citazioni, e negli atti trovò materiale sufficiente. In ogni caso tutti i documenti pervenuti a noi su quel Euthalius si adattano perfettamente a questa biografia. Nella prima parte potrebbe esserci pervenuta una formula con la quale gli aspiranti vescovi in qualunque diocesi durante la loro intronizzazione giuravano di rispettare il dogma delle cinque sinodi, cosicché nella formula liturgica iniziale sì inserì solamente il nome del rispettivo vescovo e della sede vescovile. Dai dati finora esaminati possiamo dedurre che ambedue le edizioni che dobbiamo a Euthalius vanno analizzati separatamente. Secondo la tradizione scritta il titolo fu trattato molto liberamente, il che questa volta può essere scusato con il fatto che spesso nei testi dei codici il prologo precedeva le lettere di Paolo a causa del suo contenuto istruttivo. Nel codice euthaliano α64 manca qualsiasi titolo. Il prologo si divide in tre paragrafi ai quali precede l’introduzione. Il primo fornisce un’idea sulla vita dell’apostolo, il secondo dà una visione generale delle sue lettere con una breve caratterizzazione di ciascuna, il terzo contiene una cronologia della vita dell’apostolo. Alla fine del secondo paragrafo che si occupa esclusivamente del contenuto del libro introdotto dal prologo, cioè le lettere dell’apostolo, Euthalius elenca tutto quello che è intenzionato ad aggiungere nel testo delle lettere come apparato critico. Per quanto io sia in grado di giudicare tutti e tre i paragrafi sono opera di Euthalius. Il primo si suddivide in 6 capoversi: Capitolo II 45 1) L’antefatto di Paolo 2) Il persecutore Saulo 3) La conversione di Paolo 4) Il suo primo operato 5)La sua grande missione dai popoli pagani 6) La sua fine. Solamente nel primo capoverso la descrizione è concisa e arguta; in quelli seguenti si perde spesso nell’aneddotico dal tono edificante. La datazione alla fine dà l’impressione di una certa autonomia rispetto al Martirio (183) per l’ordine inverso della datazione romana e siriana; la datazione romana doveva precedere poiché si parla della costruzione di monumenti romani e della festa romana di fine anno. L’interpretazione della datazione romana attraverso quella siriana si spiegherebbe perfettamente se Euthalius e il suo ipotetico pubblico appartenessero all’Oriente siriano. Nel secondo capoverso Euthalius non dimostra una grande abilità nell’interpretazione delle caratteristiche di ogni lettera. Le sue esposizioni, come quella che si riferisce a Phl 2T Phm, evidenziano ancora più dei capoversi della prima parte la mancanza di senso dell’equilibrio strutturale. Le note che si trovano occasionalmente per Euthalius non rappresenteranno un modello ma ricorderanno il suo prologo7. Dopo Eutalio, le nostre informazioni su Sulci si diradano. Alcune fonti arabe, riferite soprattutto alla prima incursione del 703-704, coinvolgono l’isola ed in particolare la flotta navale bizantina che qui aveva la sua base. Nella prima spedizione marittima che gli arabi effettuarono contro i bizantini in Sardegna viene indicata l’isola di SILSILAH, vocabolo di origine araba che significa catena. Il concetto della catena può essere originato dalla presenza del ponte romano che collegava l’isola alla Sardegna costituendo un legame tra le due terre. Bisogna anche ricordare che il sistema di aprire e chiudere certi passaggi marittimi con delle catene di ferro solide e robuste è un sistema conosciuto ed applicato, dove possibile, non soltanto nell’antichità ma anche in tempi moderni; sappiamo che l’istmo fra le due isole non è completo ed i primi che adottarono la lingua di terra che quasi univa Sardegna e Sant’Antioco furono i fenici, facendone un istmo tagliato da un canale; con ciò essi ottennero due porti intercomunicanti. Si può pensare che dalla base marittimo-militare di S.Antioco (dove in prossimità del ponte romano Giustiniano, utilizzando i resti del tempio di Iside e Serapide, aveva fatto costruire il castrum sulcitani, N.d.A.) partissero le azioni di molestia contro le vicine coste tunisine e le altre coste dell’Africa settentrionale ad ovest di queste. Le ostilità degli arabi in questa spedizione erano quindi dirette principalmente contro le navi bizantine. Un episodio è narrato dallo pseudo Ibn Qutaybah: ”Caricate le navi, levate le ancore, salpò inoltrandosi nel mare, finchè non arrivò ad un’isola chiamata Silsilah che conquistò facendo ricco bottino e notevoli cose d’oro, d’argento e pietre 7. Traduzione in collaborazione con Claudia Costisella. 46 s. antioco Patrono della Sardegna preziose; di poi tornò. Vento burrascoso travolse i navigli nel ritorno, ATA ed i suoi compagni si perdettero in mare, altri si salvarono raggiungendo le rive d’Ifriqiyah”8. È possibile attribuire agli arabi (presumibilmente alla fine del X secolo) un’altra denominazione conosciuta per l’isola sulcitana: Isola Palma e poi dopo la conquista aragonese Illa de Sols e Palma de Sols. Se la palma da datteri (Phoenix dactylifera della famiglia delle Palmacee) è l’albero sacro per i musulmani, lo deve innanzitutto al Corano, in cui simbolizza la grandezza del Creato:”Abbiamo stimolato la vegetazione di ogni pianta; ne abbiamo fatto uscire un (vegetale) verde, dal quale facciamo uscire dei grani agglomerati, mentre dalle spate della palma (escono grappoli di datteri a portata di mano…”. (VI, 99/Bl.) Ibn Omar disse:”Eravano accanto al profeta quando gli portarono del midollo di palma. “Fra gli alberi – disse allora il Profeta – ve n’è uno che è l’emblema del Musulmano.” Io volevo dire che era la palma, ma, essendo il più giovane del gruppo, tacqui. Il profeta allora aggiunse. “È la Palma”. El – Bokhari, TI, tomo I, pag. 41. Simbolo di trionfo e di vittoria presso gli antichi Ebrei, simbolo di fecondità per gli Assiri e i Cartaginesi, la Palma, sia nella Caldea, di Babilonia, dell’Egitto o altrove, fu il simbolo degli Arabi e diventerà in seguito quello dei Musulmani. In Andalusia, secondo Henri Peres, per gli esuli appena giunti simbolizzava la nostalgia della patria lontana: L’Arabia Felice infatti, un secolo dopo l’espansione islamica in Occidente continuava a vivere nel ricordo. Ecco ciò che ne diceva nel 756, a Cordoba, l’immigrato Omayyade Abd ar-Rahman, fuggito dalla persecuzione abbaside: “Nel mezzo di ar-Rusafa ci apparve una palma, lontana, in terra d’Occidente, dal paese delle palme. Io (le) dissi: Tu mi sei simile nell’esilio, nella lontananza e nel lungo percorso che mi separano dai miei figli e dalla mia famiglia.” (Le Palmier en Espagne musulamne, pag. 226.) Nel misticismo islamico la palma rappresenta l’ attività spirituale contrapposta alla passività spirituale incarnata, questa, dalla nicchia della moschea (il Mihrab)9. Le fonti documentarie e cartografiche riferite a questo toponimo sono numerosissime e hanno costituito per diversi secoli indicazioni molto importanti per chi navigava il Mediterraneo. Nello stesso tempo hanno generato molte confusioni geografiche tanto che ancora intorno alla metà del Settecento il governo piemontese tentava di dimostrare, allo scopo di non dare legittimità alla baronia arcivescovile, che l’antica Sulci non fosse nell’isola (chiamata invece Palma de Sols) ma sulla terraferma. Lo stesso Rossello Monserrat nel suo manoscritto sulla vita di S.Antioco, scritto alla fine del XVI secolo, indica le antiche denominazioni date all’isola da Plinio e Tolomeo (Plumbea e Melibodes) e citando Giacomo Dalecampio, commentatore di Plinio, dice che l’isola chiamata oggi Sancti Antiochi ha avuto come nome Palme Solis10 e più avanti indica la chiesa dedicata al santo in oppido Palme Solis11. L’ammiraglio turco Piri Reis descrisse in maniera mirabile il Mediterraneo in una carta del 1521. Esiste 8. Cfr. M. M. Bazama, Arabi e Sardi nel Medioevo, Edes Cagliari, 1988. 9. (nakkla plur. nekkal): la palma da datteri; dokkar (palma maschio) vedi M. Chebel, Dizionario dei simboli islamici: riti, mistica e civilizzazione. 10. Cfr. R. Monserrat, Vita S.Antiochi Martyris, Ms. cartaceo in lingua latina, fine XVI sec., Biblioteca Comunale di Cagliari-Ms. Sanjust, p. 19. 11. R. Monserrat, Vita S.Antiochi Martyris, cit. p. 37. Capitolo II 47 una traduzione francese del testo turco dove si dice: l’isola di San Pietro dista dall’isola Palma (nel testo turco indicata sempre come Palmadasulu) cinque miglia. La terra di quest’isola sembra nera; tra Palma e la Sardegna, si trovano bassi fondali all’interno dei quali una nave non può passare. A sud di Palma, ci sono due piccole isole: Capo Teulada è a 20 miglia a est da queste isole. Le navi non possono passare tra l’isola Palma e la Sardegna perché ci sono banchi di sabbia e i sardi passano a piedi per andare a caccia di cervi che si trovano nell’isola Palma12. E lo storico Geronimo Zurita: Llega el infante con las galeras al puerto de Palma de Sols; y al otro día llegaron las naos con la demás armada que quedó en Mahón. Y a 13 del mes de junio llegaron al cabo de San Marcos, que está junto de Oristán. Y porque el vizconde de Rocabertí y los otros ricos hombres que con él pasaron con su gente y con la que el juez de Arborea les dio se fueron a Quart, que es un lugar que está a una legua del castillo del Castro de Caller para impedir que no le entrase socorro, pareció a los del consejo del infante que fuese a desembarcar en el puerto de Palma de Sols. Haciendo sus viajes las galeras para tomar aquel puerto, levantóse una gran tempestad de mar por viento proenzal hacia la media noche; y pasando el estrecho que hay entre Cerdeña y la isla de San Pedro, se perdió una galera de las del rey de Mallorca, en la cual iba don Ramón de Peralta y anegáronse algunos caballeros y marineros. Entró el infante con las galeras a 13 de junio en el puerto de Palma de Sols; y siguieron las naos y toda la armada que quedó en Mahó con tan próspero tiempo, que otro día arribaron al mismo puerto. Y a 15 de junio salió toda la caballería y ejército a tierra; y tuvieron a buen aguero, los que daban crédito a semejante vanidad, que la primera tierra que tomaron fuese de aquel nombre, por donde adevinaban por muy cierta la gloria del vencimiento. Llámase aquel lugar Palma de Sols por estar en las ruinas de un lugar muy famoso y nombrado de aquella isla que se llamó antiguamente Sulci, que fue colonia y población de los cartagineses13. Da un censimento sulle rendite del territorio sulcitano risalente al 1320 e conservato nell’Archivio della Corona di Aragona a Barcellona, Palma de Sols, alla vigilia della conquista aragonese del 1323, festeggiava il santo patrono e contava circa millecinquecento abitanti. 12. Cfr. I Catalani e il Castelliere sardo, a cura di V. Grieco, Arxiu de Tradicions -Roccas 4, Ed. S’Alvure 2004, p. 260-261. 13. J. Zurita, Anales de Aragon, Ed. electronica de A. Canellas Lopez, 2003. 48 s. antioco Patrono della Sardegna Carta della Sardegna dall’Isolario di Alonso de Santa Cruz (sec. XV), Madrid, Biblioteca Nazionale Capitolo IV Capitolo IV Sull’iscrizione da Barega Maria Giulia Amadasi Guzzo Università di Roma “La Sapienza” S 49 IV i deve al P. Filippo Pili la raccolta complessiva delle testimonianze su S. Antioco, riunite in maniera esemplare nel libro “Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano”, Cagliari 1984, ripubblicato a cura di R. Lai nel 2010. Sulle vicende della vita del Santo, che, secondo la tradizione, nacque in Mauritania ai tempi dell’imperatore Adriano (76-138 d. C., con regno dal 117), esercitò la professione di medico, curando i corpi e le anime, e dopo traversie e viaggi si rifugiò a Sulcis, dove morì, si hanno testimonianze incerte. La sua “passione” è in parte ricalcata su quella di S. Antioco di Sebaste e anche le origini dalla Mauritania sono state messe in dubbio1. Sul rinvenimento il 18 marzo 1615 del corpo del Santo si è a lungo scritto2, così come si è dibattuto sulla data e la composizione (versione originale o copia di un’iscrizione precedente) della famosa epigrafe che sormontava i resti del Santo detta “Aula micat”, sulla base delle prime due parole del testo3. Un’altra testimonianza diretta della sepoltura di S. Antioco è stata individuata a Barega, proprio lungo il percorso della processione che si svolge tra Sulcis e Iglesias in occasione della festa di S. Antioco. Si tratta di una pietra in arenaria compatta rinvenuta nel 1930 “fra un mucchio di pietre di un podere in quel di Barega (Cagliari)”4. Consiste in una sorta di cippo rettangolare (lato lungo cm. 40 x 31; lato breve cm. 38 x 12) che presenta iscrizioni e raffigurazioni sul lato lungo (chiamato A) e su un lato breve (chiamato B). Le iscrizioni incise sui due lati (Figg. 1-2) sono state studiate dal P. Filippo Pili, che ne ha proposto letture e interpretazioni5. Si tratterebbe di due testi funerari successivi, uno in neopunico, pertinente a un privato (il nome è letto ṢN‘DN dal P. F. Pili), altrimenti ignoto, l’altra, successiva, in latino, costituirebbe il primo epitaffio di Antioco, chiamato presbitero, martire e santo, che sarebbe vissuto 40 anni, Il monumento al tempo dell’ultima edizione era custodito presso l’On. Carlo Meloni, inventore dell’iscrizione. Date le competenze di chi scrive, ci si occupa qui in particolare 1. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco Martire sulcitano. Nuova edizione a cura di R. Lai, Edizioni “Basilica di S. Antioco”, 2010, pp. 20-40. 2. Ibid., pp. 41-48 con bibliografia. 3. Ibid., p. 44. 4. F. Pili, Nuove iscrizioni dal Sulci-Iglesiente. 1. L’iscrizione neopunica e latino-cristiana di Barega, in Dottrina Sacra. Saggi di Teologia e di Storia, Cagliari 1977, pp. 137-147. F. Pili specifica che il luogo di ritrovamento è tra Barega e Corongiu “… zone ben note per la presenza punica in esse attestate”. 5. Oltre all’articolo cit. a nota 1, v. F. Pili, L’iscrizione neopunica e latino-cristiana di Barega, Frontiera, 9, n. 99 (1970), pp. 71-73 e n. 100, p. 111; Fonti epigrafiche 1.- L’iscrizione di Barega, pp. 16-20. 50 s. antioco Patrono della Sardegna dell’epigrafe interpretata come neopunica6. Già nel 1937 Carlo Meloni, supponendo evidentemente che le lettere incise sulla pietra potessero essere in origine ricondotte alla scrittura fenicia, aveva interpellato in proposito, inviandogliene un calco, il prof. Umberto Cassuto, insigne semitista, ma non esperto in maniera specifica di iscrizioni fenicie. Questi aveva sentito il parere anche di Giorgio Levi Della Vida, lui sì specialista di fenicio e punico, avendo in particolare pubblicato le numerose iscrizioni neopuniche fino ad allora trovate in Tripolitania7. Il responso di Cassuto, contenuto in una lettera del 13 febbraio 1937, riprodotta da F. Pili8, fu che il testo era a suo parere da attribuire al XVII o al XVIII secolo e che i caratteri presenti erano un misto di varie scritture e di simboli indecifrabili.Questa opinione non scoraggiò il P. Pili, che studiò lungamente i testi incisi sulla pietra, richiedendo anche il parere di studiosi quali J. B. Peckham, S. J., ben noto in particolare per aver condotto un’analisi assai approfondita della scrittura fenicia, punica e neopunica9; Peckham aveva confermato il carattere neopunico delle lettere presenti sulla pietra10. Tuttavia, il P. Pili, con ragione, non seguì completamente il parere del collega, considerando come quasi tutti latini i caratteri incisi sul lato breve della pietra (lato B; accanto a questi, in basso a sinistra, entro un riquadro, individuava una breve iscrizione neopunica, non leggibile come tale secondo chi scrive). Invece, sul lato lungo (A), interpretò i segni come pertinenti un’iscrizione neopunica, che avrebbe preceduto quella in latino. La pietra conteneva dunque, secondo il parere di F. Pili, due iscrizioni distinte: una neopunica, precedente, di natura funeraria, una seconda latina, attribuita al II sec. d. C., anch’essa funeraria, che riutilizzava il documento neopunico, ricordando S. Antioco. La lettura e l’interpretazione di F. Pili del testo neopunico sul lato A sono le seguenti (le lettere sulla pietra sono tracciate come normalmente in fenicio da destra a sinistra): ṬN BN Z ṢN‘DN [’Š B]‘M BL‘QR LPN‘ ‘Y LGW TNT “Pose questa pietra ṢN‘DN cittadino di BL‘QR davanti all’isola per la corporazione (del tempio) di Tanit”. Segue un commento particolareggiato della traduzione, plausibile, perché il testo ricostruito è conforme alle formule funerarie di ambiente punico tardo. Si deve osservare però che la lettura dei segni è molto incerta; che si postulano forme in scrittura non conformi alla tradizione e un’ortografia non “tradizionale” in punico (ma la caduta di consonanti o l’uso di segni consonantici per indicare vocali è frequente tra il I secolo a. C. e I d. C., al quale 6. Con il termine “fenicio” ci si riferisce qui alla lingua – usata sia nella madre patria sia nelle colonie, e non al tipo della scrittura originaria; con “punico” ci si riferisce alla lingua e alla scrittura, sviluppo del fenicio della madrepatria, usate in occidente dopo che Cartagine ebbe stabilito, nel VI secolo a. C., il proprio predominio sulle precedenti installazioni fenicie; con “neopunico” ci si riferisce alla scrittura prevalsa dopo la conquista di Cartagine da parte romana nel 146 a. C. 7. Cf. la raccolta dei lavori pubblicati in precedenza in G. Levi Della Vida – M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della Tripolitania (1927-1967) (Monografie di archeologia della Libia-XXII, “L’Erma” di Bretschneider) , Roma 1987. 8. Cf. Dottrina Sacra, p. 138, nota 2. 9. J. B. Peckham, The Development of the Late Phoenician Scripts, Cambridge, Mass. 1968. 10. Cf. F. Pili, Dottrina sacra p. 139 nota 5. 51 Capitolo IV 1 2 3 4 Figg. 1-2. Iscrizione di Barega, lati A e B Fig. 3. Iscrizione da Bitia KAI 173. Disegno da KAI Fig. 4. Copia dell’iscrizione da Erice eseguita da A. Cordici 52 s. antioco Patrono della Sardegna è attribuita questa iscrizione); i nomi – nome proprio e toponimo – non sono mai attestati altrove; l’espressione LGW TNT “per la corporazione di Tanit” è insolita e testimoniata qui per la prima e unica volta. L’iscrizione neopunica individuata nella parte inferiore sinistra del lato B è di lettura ancora più incerta. I segni conservati sono davvero di lettura dubbia11. Il testo dell’iscrizione latina, largamente famoso, seguendo la lettura e la ricostruzione di F. Pili è il seguente: PRESBT M ST ANTC SULC YTN FILIO Q V XL E cioè: PRESBYTERO MARTYRI SANCTO ANTIOCO SULC YTANO FILIO QUI VIXIT XL (ANNOS) L’importanza di questo testo è stata messa in rilievo dal P. Pili, che conclude: “ Mi sia consentito … osservare che questa umile iscrizione tombale del santo Martire sulcitano Antioco ben si inserisce nelle circostanze della tradizione indicate sulla morte del Santo, avvenuta nella solitudine di una grotta di Sulcis allora spopolata e deserta, e relativa sepoltura”12. Presento qui qualche annotazione sul testo considerato neopunico. La scrittura neopunica, derivante da quella fenicia, è una variante corsiva, usata originariamente – per quanto sembra potersi ricostruire – per iscrizioni non monumentali, vergate su materiali quali il papiro o la ceramica; forme di lettere neopuniche si trovano infatti su ostraca da Sidone già nel VI-V secolo a. C., mentre la scrittura nel suo insieme ci è nota solo più tardi. Essa è caratterizzata da forme dei segni molto semplificate e che per questo tendono a confondersi: sono, così, molto simili tra loro, a volte uguali, ridotte a semplici tratti, la N e la T, la D e la R, in qualche caso anche la B. Altre lettere, in particolare H, Ḥ, Š, presentano un forte sviluppo e appaiono molto diverse da quelle originariamente fenicie. Si capisce così perché questa scrittura è di difficile lettura e quindi perché le iscrizioni neopuniche sono spesso di interpretazione dubbia; si aggiunga, alle difficoltà di lettura, l’accennato sviluppo fonetico della lingua che confonde o perde le consonanti originariamente faringali e laringali - H, Ḥ, ’, ‘ -, i cui simboli grafici sono spesso usati come segni vocalici13. In epoca punica recente, già sul finire del III secolo a. C., forme di lettere neopuniche cominciano ad essere usate 11. La lettura proposta è: 1. ḤN Z ’HB / 2. BKBD, “ 1. Quest’offerta di amore / 2. per la gloria”. Cf. Dottrina sacra, p. 145. 12. F. Pili, Dottrina sacra, p. 147. 13. Cf. oltre a B. Peckham, The Development of the Late Phoenician Scripts, cit., cf. J. Friedrich-W. Röllig-M. G. Amadasi Guzzo, Phönizisch-punische Grammatik3, §§ 2, 28-36. Roma 1999. Capitolo IV 53 anche su iscrizioni monumentali accanto a quelle tradizionali. Dopo la caduta di Cartagine (146 a. C.), la scrittura neopunica si sostituisce completamente a quella di antica tradizione fenicia, così che anche le iscrizioni dedicatorie o funerarie sono redatte in questa grafia. L’uso del neopunico è molto ampio in Africa settentrionale, dove la lingua di cultura rimane a lungo quella fenicia anche in epoca romana; è meno attestata nelle zone di Malta, della Sicilia e della Sardegna sedi in origine di colonizzazione fenicia. La Sardegna, tuttavia, mantiene l’uso della lingua fenicia molto a lungo e le iscrizioni neopuniche provenienti dall’isola sono relativamente numerose; dalla Sardegna proviene poi l’iscrizione monumentale in lingua e scrittura di origine fenicia più recente che conosciamo. È stata trovata a a Bitia (Fig. 3) 14, commemora la costruzione di edifici e altre costruzioni (tra le quali un pozzo) ed è datata nel corso del regno dell’imperatore Antonino Pio (86-161; imperatore dal 138), successore di Adriano. Come è stato notato da Giorgio Levi Della Vida, primo editore dell’iscrizione di Bitia15 – che si esamina qui in particolare perché è quasi contemporanea rispetto alle indicazioni conservate sulla vita di S. Antioco, quando l’uso del punico doveva essere forse ancora diffuso – le lettere usate in questo testo non sono quelle caratteristiche delle iscrizioni dell’Africa settentrionale del I secolo a. C.-I secolo d. C., presenti anche in Sardegna. È attestata a Bitia una scrittura davvero unica che sembra uno sviluppo molto tardo del fenicio vero e proprio, per la quale, mancano esempi intermedi. Dimostra dunque che in questo periodo doveva esistere più di una variante della scrittura di origine fenicia. Non sappiamo però se nel II secolo d. C. il neopunico di tipo “africano” fosse ancora usato (l’iscrizione più recente, datata con sicurezza, proviene da Leptis Magna e è del 92 d. C.)16. Anche l’iscrizione di Barega considerata neopunica non ha confronti paleografici con altre iscrizioni neopuniche note, tanto che la lettura e l’interpretazione proposte dal P. Pili sono incerte e soggette a dubbi, come si è notato sopra. Addirittura mi sembrerebbe possibile capovolgere il testo e supporre che la prima riga fosse in realtà quella che il P. Pili considera come seconda (Figg. 1 e 5). In questo caso davvero i primi tre segni apparirebbero come neopunici e potrebbero leggersi ’BN “pietra”, il vocabolo che in queste iscrizioni tarde indica generalmente la stele funeraria17: una tra le formule consuete è “Questa è la pietra che ha eretto …” – ’BN Z ’Š ṬN’ … – cui segue generalmente il nome di colui che ha fatto erigere la stele funeraria, seguito eventualmente dalla genealogia, quindi dal nome del defunto. Non mi sembra qui possibile individuare con certezza il resto della formula usuale (ma v. di seguito una proposta), né la forma dei segni che seguono permette di identificarli sicuramente come punici o neopunici: sono, come già notato, ben diversi da quelli presenti nell’iscrizione di Bitia, così come da quelli neopunici diffusi in Africa e nelle zone punicizzate della Sicilia e della Sardegna. Date le osservazioni che precedono, cosa si può concludere su questo difficile testo interpretato come neopunico? 14. KAI 173; M. G. Amadasi Guzzo, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente (Studi semitici 28; Istituto di studi del Vicino Oriente, Università di Roma), Roma 1967, p. 133-136. 15. G. Levi Della Vida, L’iscrizione punica di Bitia in Sardegna: Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino 70 (1934-35) pp. 185-198. 16. G. Levi Della Vida-M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della Tripolitania, cit., pp. 65-70, n. 27. 17. Nel testo, riportato da F. Pili la parola, individuata a l. 1, dopo ṬN (“è stata posta”, grafia difettiva per ṬN’) sarebbe scritta BN, con la caduta di alep iniziale. 54 s. antioco Patrono della Sardegna Il ritrovamento al di fuori di un contesto archeologico noto non ne permette una datazione. L’impressione che se ne ricava è che sia stata eseguita un’iscrizione in caratteri in parte simili a quelli neopunici in un’epoca imprecisata, da parte di qualcuno che non li conosceva esattamente, ma aveva una qualche consuetudine con tali caratteri. Come confronto, in qualche modo al rovescio, si può citare un’iscrizione punica che doveva provenire da Erice, nella Sicilia elima punicizzata, copiata nel XVII secolo da Antonio Cordici, il cui originale è andato perduto18. Dalla copia di Cordici, un notevole erudito siciliano, però ignaro del fenicio che allora non era stato ancora decifrato, si riesce a ricostituire poco del testo originario che pure, a quanto riporta Cordici stesso, era inciso su marmo e doveva quindi essere notevolmente accurato. La copia (Fig. 4) mostra forme di segni incoerenti e diversi da quelli punici che dovevano essere presenti sulla lastra di marmo, tanto che l’iscrizione è rimasta per gran parte illeggibile (era certamente una dedica ad Astarte di Erice). La copia pervenutaci è il risultato del lavoro di qualcuno che riproduceva segni che non conosceva e li individuava in maniera non corretta. In questo senso si può confrontare con l’iscrizione di Barega, che sembra un testo in lettere che l’autore ha tracciato usando segni di una scrittura con la quale aveva eventualmente una familiarità approssimativa. Ma per quale ragione a Barega, o comunque a o nei pressi di Sulcis (Barega – come ha notato F. Pili – è il luogo ultimo di ritrovamento delle iscrizioni, ma forse non quello della loro collocazione originaria), è presente un cippo con un’iscrizione in un (neo)punico imitato (che usa inoltre simboli di hedera distinguens, di solito non impiegati in iscrizioni neopuniche), cioè in qualche modo un testo inventato appositamente? Se la lettura e l’interpretazione dell’iscrizione del lato B della pietra fornita dal P. Pili sono esatte, si potrebbe immaginare che colui che ha realizzato l’iscrizione per Antioco, abbia voluto attribuirgli anche un epitaffio in punico, venendo il Santo dalla “Mauretania”, da una regione cioè dove nella prima metà del II secolo d. C. la lingua e la scrittura punica erano probabilmente ancora in uso. S. Agostino ci ricorda che ancora ai suoi tempi, nelle campagne, si parlava punico e questa affermazione è generalmente considerata verosimile dagli studiosi. Una serie di iscrizioni in lingua punica, ma in caratteri latini, databili non prima del II secolo d. C. e forse fino al IV-V, provengono dalla Tripolitania19. Secondo la leggenda, inoltre, S. Antioco era un medico, una persona colta, che nel suo paese certo doveva conoscere il greco, come indica il suo nome, ma verosimilmente anche il latino e il punico (v. di seguito). Le due iscrizioni dunque, la latina sul lato breve, l’altra sul lato lungo, sarebbero contemporanee e si riferirebbero alla stessa persona, indicandone così l’ambiente culturale di origine. Sull’iscrizione A, tuttavia, non è stato individuato un gruppo di segni interpretato come il nome di Antioco. Un’audace e incerta proposta potrebbe essere di leggere la riga 1, considerando il testo capovolto rispetto a quanto ritenuto da Pili (Fig. 5) come segue: 18. M. G. Amadasi Guzzo, Le iscrizioni fenici e puniche delle colonie in Occidente, cit., pp. 53-55. 19. G. Levi Della Vida, Sulle iscrizioni “latino-libiche” della Tripolitania: Oriens Antiquus 2 (1963) pp. 65-94; id., Parerga Neopunica”: Orins Antiquus 4 (1965) pp. 59-60. R. Kerr, Latino-Punic Epigraphy, Mohr Siebek, Tübingen 2010. Capitolo IV 55 ’BN Z20 (segni di divisione, il secondo una foglia d’edera) L21’NTQS22 (foglia d’edera con gambo in basso). Il significato sarebbe: “Questa pietra (= la stele funeraria) è di/per Antioco” La linea che segue non si riesce peraltro a leggere in nessun modo. L’autore del testo, non del tutto ignorante della scrittura di origine fenicia, avrebbe voluto imitare un epitaffio neopunico (cercando anche di riprodurre anche il nome Antioco?). È comunque curioso osservare che sul lato B (iscrizione latina) del cippo, nel riquadro inferiore sinistro, sono presenti, nella seconda riga, dei segni che sembrano potersi leggere come 1271 (Figg. 2 e 6). Quasi lo stesso gruppo di segni si nota sul lato A (Fig. 5), nel centro della riga 2, considerando ancora una volta il testo capovolto rispetto a quello riprodotto nelle pubblicazioni di Pili. La mia opinione è in conclusione che l’autore del testo sia uno solo e che questi abbia cercato di incidere un doppio epitaffio in neopunico e in latino, riferito possibilmente ad Antioco. Non sono in grado di precisare la data del testo. Non sembra qui fuori posto, come annotazione conclusiva, citare tra le testimonianze su S. Antioco la lucerna iscritta, pubblicata nel 1990 sempre dal P. Pili23, rinvenuta “nella località detta ‘Is Pirixeddus’ non lontano – secondo la notizia data sempre dal P. F. Pili – dalla necropoli di Sulcis (Figg. 7-8) . L’oggetto, frammentario, è stato ritrovato casualmente da un visitatore e consegnato al parroco Don Demetrio Pinna, che la conservò “unitamente alla piccola raccolta di reperti provenienti dalle catacombe di S. Antioco”24. Il frammento di lucerna, del tipo a tazzina, privo attualmente di becco, con foro centrale delimitato da due listelli in rilievo, presenta due iscrizioni neopuniche dello stesso tenore. Una è incisa prima della cottura sul bordo, tra i due listelli; la seconda è forse graffita dopo la cottura sul corpo. Le dimensioni sono riportate nel disegno fornitone dal P. Pili. La lucerna è stata datata in base alla forma dei segni (l’oggetto appare troppo frammentario per essere datato con sicurezza sulla base della tipologia), tra il I secolo a. C. e il I d. C. Tali segni sono dello stesso tipo rispetto a quelli neopunici attestati in Africa del Nord e su altre iscrizioni neopuniche della Sardegna, della Sicilia e di Malta. L’iscrizione doppia è leggibile nei due esempi con sicurezza e F. Pili l’ha giustamente trascritta ’NTYKS, resa neopunica del nome greco Antiochos. Il nome come ha notato l’editore è un nome originariamente greco molto diffuso, ma attestato in Sardegna in punico qui per la prima volta. Mentre F. Pili supponeva che consistesse nella 20. Di forma strana, simile a una K punica 21. Peraltro la lettera sarebbe rovesciata (nella direzione e nella posizione in alto dell’uncino): la cattiva posizione delle lettere non è infrequente in iscrizioni redatte da scrittori inesperti. 22. L’alep avrebbe l’asta verticale a destra e una breve “testa” che si appoggia a due tratti lunghi che potrebbero essere uno nun, l’altro taw; il nome Antiocus sarebbe scritto con qof al posto di C (normale nella resa in punico di nomi latini; cf. in Tripolitania Q‘YSR pe Caesar; non sarebbe corretto considerando il nome greco, scritto con chi, che, nella resa punica divrebbe corrispondere a K: cf. il greco Byrycht che rende il nome punico BRKT (“Benedetta”), dalla Tripolitania; cf. G. Levi Della Vida-M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della Tripolitania, p. 39, n. 14. 23. F. Pili, Iscrizione neopunica e bollo punico inediti, Speleologia Sarda 9, n. 75 (1990) pp. 11-13. 24. Ibid., p. 11. 56 s. antioco Patrono della Sardegna trascrizione del latino Antiocus, io penso invece che si possa trattare della trascrizione proprio del greco Antiochos. Si spiega meglio così sia l’uso di K fenicio, che in quest’epoca, come già osservato, corrisponde a chi del greco, consonante originariamente aspirate, ma diventata spirante in questo periodo, così come forse spirante era diventata la pronuncia della K fenicia: infatti kappa greca e C latina, come pure già notato, sono normalmente trascritte in alfabeto fenicio da Q. Anche la conservazione della finale –S, sembra far pensare ad un nome greco in –os. I nomi greci, è vero in periodi più antichi, conservano normalmente in iscrizioni in lingua fenicia la finale del nominativo, resa a volte con S, a volte con Š. Nulla sappiamo, naturalmente, su chi fosse questo Antiochos, il cui nome è inciso sulla lucerna frammentaria e che probabilmente è vissuto prima (ma forse non molto) di quanto attestano le testimonianze sul Santo. È però suggestivo trovare questo nome nei pressi dell’area dove si suppone sia vissuto e morto S. Antioco, notando infine, di passaggio, che i medici, nelle zone di cultura originariamente fenicia e poi punica o punicizzata erano spesso di cultura greca. Lo mostra ad esempio un’iscrizione funeraria di Leptis Magna, che ricorda il medico Clodio, in un testo trilingue punico latino e greco25. Era il figlio della già citata BRKT, Byrycht, nel greco e nel latino, che invece ha un nome di stampo fenicio (significa “Benedetta). In Tunisia, nel sito di Henscir Halauin, un altro medico Quintus Marcius Protomacus, ha lasciato un’iscrizione in latino, greco e neopunico26. Il proprietario (?) della lucerna era dunque individuo con un nome greco punicizzato, come lo era secondo la tradizione S. Antioco, un medico che proveniva da una zona di cultura punica dove in quel periodo erano in uso, certo il latino da parte dei ceti più elevati, ma anche il greco, accanto a una persistenza del punico. è da un ambiente di questo tipo che doveva provenire seondo la tradizione, Antioco, il Santo che ha dato il suo nome all’antica Sulcis. La piccola lucerna iscritta non fornisce una prova della presenza qui di S. Antioco in epoca imperiale romana, ma mostra – come già notato da F. Pili nella conclusione al suo studio sopra citata – il tipo di ambiente nel quale si sono formate le tradizioni, il cui nucleo appare dunque plausibile, su questa così importante figura della Sardegna cristiana. 25. G. Levi Della Vida-M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della Tripolitania,cit., p. 38, n. 13 26. Ph. Berger-R. Cagnat, L’inscription trilingue d’Henchir Alaouin, Comptes-rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 43 (1899) pp. 48-54. 57 Capitolo IV Fig. 5. Iscrizione di Barega. Lato A, capovolto rispetto all’edizione di F. Pili Fig. 6. Iscrizione di Barega, lato B. 5 6 Fig. 7. Lucerna con nome Antiochos (da Speleologia Sarda 9, n. 75) Fig. 8. Lucerna con nome Antiochos (da Speleologia Sarda 9, n. 75) 7 8 Capitolo V Capitolo V Le catacombe di Sant’Antioco Rossana Martorelli Università degli Studi di Cagliari Fonti e storia degli studi e delle ricerche L 59 V e catacombe di Sant’Antioco sono un cimitero ipogeo situato sotto alla chiesa omonima, in Piazza di Chiesa. Accessibili oggi tramite un’entrata protetta da un cancello posto all’estremità del transetto destro, sono aperte al pubblico e visitabili dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12; il lunedì e il mercoledì dalle 16 alle 18. Al momento non risulta che siano note dalle fonti antiche. Le uniche notizie si possono ricollegare alla menzione del santo che dà loro il nome, Antioco. Diversamente da altri martiri sardi, come Gavino, Proto, Ianuario, Lussorio e Simplicio, però, un Antioco di Sulci (toponimo originario della città) non compare nel Martirologio Geronimiano, il primo calendario universale della Chiesa, che fu compilato in Italia settentrionale fra il 431 e il 450 per raccogliere in un solo testo tutti i santi allora venerati nel mondo cristiano.1 Forse un accenno alla catacomba si potrebbe cogliere nel testo di un’epigrafe marmorea che celebrava i lavori operati da un tal Petrus antistes, che aveva rinnovato con marmi un’aula dove il corpo del beato Antioco riposava (fig. 1). Se il sostantivo latino aula si deve interpretare come l’ambiente creato attorno alla tomba – come si dirà più avanti – ritenuta del santo (tav. I,A; fig. 2) per accogliere i fedeli in preghiera, allora questo costituirebbe il più antico riferimento alla catacomba, dato che in base all’esame dei caratteri estrinseci e dei dati intrinseci l’iscrizione può risalire al periodo della dominazione di Bisanzio.2 Alla stessa età si datano i due sigilli ritrovati a San Giorgio di Cabras (dove era un insediamento oggi scomparso, nel quale forse si trovava un Archivum della cancelleria bizantino-giudicale), che recano su una faccia l’effigie stilizzata di Sant’Antioco, come si evince dall’iscrizione onomastica che circonda la figura, fornendo quella che ad oggi sembra essere la più antica immagine di un martire sardo (fig. 3).3 Alla chiesa-martyrium4 si riferiscono piuttosto le fonti scritte dei tempi successivi, redatte a partire dal medioevo, epoca a cui con ogni probabilità devono risalire anche le copie manoscritte delle redazioni originali di quei racconti agiografici, costruiti attorno alla figura del santo, giunte a noi più spesso attraverso versioni edite a stampa fin dal 1. P.G. Spanu, Martyria Sardiniae. I santuari dei martiri sardi = Mediterraneo tardoantico e medievale. Scavi e ricerche, 15, Oristano 2000, p. 83; S. Cisci, Il culto dei martiri sardi in Sardegna in età tardoantica e altomedievale attraverso le testimonianze storiche ed archeologiche, in Rivista di Archeologia Cristiana, LXXVII, 2001, p. 372. 2 La cronologia proposta dagli studiosi oscilla fra il VI e l’VIII secolo. Solo alcuni scrittori dell’Ottocento intendevano collocarla nel corso del XII (cfr. Leone Porru in L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe. La chiesa martyrium. I frammenti scultorei, Cagliari 1989, p. 27 e cfr. anche il contributo di Antonio Corda in questo volume). 3. P.G. Spanu, R. Zucca, I sigilli bizantini della Sardenia, Roma 2004, pp. 123-125. 4. Cfr. il contributo di Roberto Coroneo in questo volume. 60 s. antioco Patrono della Sardegna Fig. 1. Epigrafe celebrativa dei lavori di Petrus antistes (da P.G. Spanu, Martyria Sardiniae cit.). 1 Fig. 2. Cripta venerata: il sarcofago-altare ritenuto la tomba di Sant’Antioco (da Internet). Fig. 3. San Giorgio di Cabras, sigillo con effigie di Sant’Antioco (da P.G. Spanu, R. Zucca, I sigilli bizantini cit.). Fig. 4. Cripta venerata con il sarcofagoaltare ritenuto la tomba di Sant’Antioco in un disegno di I.F. Carmona (da L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit.). 2 4 3 Capitolo V 61 Cinquecento.5 Tra queste, è interessante ai fini dello studio delle catacombe, l’Officium S. Antiochi, quando nella lectio VIIII si narra che il santo, deportato in esilio in Sardegna dall’imperatore (si ritiene fosse Adriano), abitava in quadam spelunca. Alcuni milites, continua l’agiografo, udendo una voce che veniva dal cielo e diceva “Antioco sono aperte per te le porte del cielo, ecco il coro degli angeli che ti aspetta gioioso, vieni a prendere la corona che il Padre mio celeste ti ha preparato”, entrarono nella spelunca e lo trovarono morto. Il narratore abbraccia evidentemente una tradizione nota ai suoi tempi, secondo la quale il santo non sarebbe deceduto perché sottoposto all’esecuzione di una sentenza di martirio, bensì nel luogo stesso dove abitava, ovvero in una spelunca.6 Il riferimento a una “grotta” induce a supporre che al momento della compilazione della storia il culto di Antioco avesse a che fare con un sito ipogeo, con ogni probabilità ancora visibile e accessibile ai fedeli; si può ragionevolmente pensare che tale dettaglio topografico del racconto fosse già presente nella redazione originale (e poi tramandato dall’apografo del 1621), in quanto la narrazione sembra costruita attorno al luogo preciso, quasi a cercare indizi per giustificare la sua importanza nella devozione popolare. Infatti, anche se Giovanni Francesco Fara, che si può considerare il primo storico dell’età moderna in Sardegna, nel De rebus Sardois edito a Cagliari nel 1580 non menziona la catacomba, ma riferisce che il corpo di Antioco era venerato in amplissimo templo,7 riferendosi evidentemente alla chiesa-martyrium, l’ambiente che oggi si vede all’entrata del cimitero (tav. I,A; fig. 2) era frequentato almeno agli inizi del XVI secolo. Racconta Jorge Aleo che un membro della nobile famiglia genovese dei Doria agli inizi del Cinquecento aveva chiesto l’isola di Sant’Antioco in dono al re di Spagna per ridurla a colonia e nello stesso tempo ripopolarla e fortificarla, in quanto minacciata di continuo dalle incursioni barbaresche, ma che non poté portare a termine il suo progetto trattandosi di una proprietà ecclesiastica. Nonostante la situazione di pericolo, sembra che il luogo venisse frequentato proprio in occasione della festa del santo anche da personaggi di rilievo.8 E ancora, un manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale di Cagliari, nel Fondo Sanjust, risalente proprio agli ultimi anni del medesimo secolo, riporta la trascrizione dell’epigrafe di Petrus antistes da parte di un erudito che evidentemente allora poteva leggerla sulla tomba del santo. Tale trascrizione viene attribuita a Monserrat Rossellò, il famoso umanista vissuto tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento,9 che scrisse fra le numerose opere anche molte vite di santi.10 Chiunque ne sia stato l’autore, in realtà, è poco importante, mentre il dato notevole è che evidentemente la lastra marmorea 5. Cfr. il contributo di Roberto Lai in questo volume. 6. B.R. Motzo, La passione di S. Antioco, in Studi cagliaritani di Storia e Filologia, Cagliari 1927, p. 124; G. Mele, La passio medioevale di Sant’Antioco e la cinquecentesca Vida y miracles del benaventurat Sant’Anthiogo fra tradizione manoscritta, oralità e origini della stampa in Sardegna, in Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, VI, 1997, p. 131; P.G. Spanu, Martyria Sardiniae, cit., pp. 85, 183. 7. I.F. Farae, Opera, 2. De rebus Sardois. Introduzione di E. Cadoni e traduzione italiana di M.T. Laneri, Sassari 1992, I, p. 146. 8. J. Aleo, Storia cronologica di Sardegna (1637-1672). Tradotta da Padre Attanasio da Quartu, Cappuccino, Cagliari 1926, p. 28. 9. P.G. Spanu, Martyria Sardiniae, cit., p. 193; P.G. Spanu, Le fonti sui martiri sardi, in P.G. Spanu (a cura di), Insulae Christi. Il Cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari = Mediterraneo tardoantico e medievale. Scavi e ricerche, 16, Cagliari-Oristano 2002, pp. 184-185. 10. E. Cadoni, M.T. Laneri, Umanisti e cultura classica nella Sardegna del ‘500. 3. L’inventario dei beni e dei libri di Monserrat Rosselló, I-II, Sassari 1994, I pp. 27, 59. 62 s. antioco Patrono della Sardegna e la tomba del martire erano visibili almeno qualche decennio prima che nel 1615 venissero ritrovate le reliquie. Infatti, al Concilio di Trento (1545-1563) – in risposta alle nuove idee sostenute dal movimento di Martin Lutero, che fondava la professione della fede cristiana su un rapporto diretto fra il fedele e Dio, attraverso la lettura individuale delle Sacre Scritture senza l’interferenza di alcun individuo umano (non si credeva nell’autorità del papa e della gerarchia ecclesiastica e di conseguenza non venivano riconosciuti il valore del martirio e la funzione di intercessione di tali individui fra Dio e l’Uomo) – la Chiesa decretò la rivalutazione del culto dei santi e pertanto diede l’avvio ad una ricerca dei loro corpi per dimostrare che, se erano esistiti, la teoria dei protestanti – così come molte altre – era infondata. La decisione degli ecclesiastici convenuti al Concilio provocò prima di tutto a Roma l’esplorazione delle catacombe allora note, l’apertura delle sepolture e l’asportazione dei resti scheletrici, ragione per cui oggi esse si presentano nella maggior parte dei casi vuote. Il procedimento fu contemporaneamente messo in pratica in tutto il mondo cristiano e dunque anche in Sardegna, allora sotto la cattolica Spagna, dove il fattore religioso si intrecciò con questioni di interesse politico-economico. Cagliari e Sassari, al fine di ottenere il primato e ricevere maggiori privilegi dal re di Spagna, cercarono di documentare l’antichità delle rispettive origini attraverso la presenza dei martiri: a Cagliari gli scavi furono devastanti nella necropoli di San Saturnino, nella cripta di Santa Restituta, nel carcere di Sant’Efisio; a Porto Torres, invece, nel cimitero presso la basilica di San Gavino. Anche in siti “minori” si ebbero interventi di questo tipo, come a San Sperate, a Sant’Amatore a Gesico e molti altri sarebbero gli esempi da ricordare.11 Anche Sant’Antioco fu interessata da questi eventi. Già nel 1611 l’arcivescovo Francisco D’Esquivel, titolare dell’arcidiocesi di Cagliari e della diocesi di Iglesias, aveva rivolto l’attenzione all’isola sulcitana, ordinando la riapertura al culto della chiesa di Santa Rosa. Il desiderio di ritrovare le ossa del famoso santo, che l’antica tradizione voleva sepolto nell’isola omonima, lo spinse a intervenire. La relazione degli eventi scritta dallo stesso D’Esquivel permette di seguirne lo svolgimento.12 Nel 1615 l’alto prelato inviò a Sant’Antioco due canonici e alcuni notabili della città di Iglesias, accompagnati da venti uomini armati, poiché la cittadina e l’isola – come si è detto – erano infestate dai barbareschi.13 Tutti entrarono a piedi nudi nella chiesa, pregarono e poi si diressero verso la catacomba, dove si diceva che il santo fosse morto e sepolto. All’entrata trovarono un sarcofago e un altare molto antico, in un antro con sei colonne; videro l’epigrafe di Petrus, murata con grappe sull’altare, che faceva riferimento alla presenza del corpo del beato Antioco. Iniziarono a smontare l’altare, tolsero un impasto molto forte (probabilmente la malta che era servita a chiudere e sigillare la tomba), che copriva un vano delimitato da 11. R. Martorelli, Il culto dei santi nella Sardegna medievale. Progetto per un nuovo dizionario storico-archeologico, in Melanges de l’École Française. Moyen Ãge, 118-1, 2006, pp. 25-36. 12. Invençion del inclito Martyr y Apostel de Sardeña, San Antiogo, en su propria Yglesia de Sulchis, in F. D’Esquivel, Relaçión de la invençion de los cuerpos santos que en los años 1614, 1615 y 1616 fueron hallados en varias yglesias de la çiudad de Caller y su Arçobisbado, Napoli 1617, pp. 100-126. Cfr. anche F. Pili, Sanctus Anthiocus protomartyr apostolicus sulcitanus patronus totius Regni Sardiniae, Sant’Antioco 2010, pp. 41-48. 13. C. Pillai, Note sulla tradizione cultuale di S. Antioco di Sulci, in Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, XVI, 2007, pp. 414-415. Capitolo V Tavola I. Catacomba di Sant’Antioco, planimetria (L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit.). 63 64 s. antioco Patrono della Sardegna pietre ben lavorate tenute insieme dalla calce, che recava ancora resti di pittura alle pareti. Al suo interno, il 18 marzo 1615, giaceva lo scheletro di un individuo, con il capo nel punto in cui l’epigrafe recitava beati sancti Antiochi, che fu ritenuto il corpo del santo. Le reliquie vennero asportate e, a causa della situazione dolorosa e pericolosa dell’isola, traslate nella cattedrale di Iglesias, con la precisa volontà espressa dall’arcivescovo che sarebbero dovute tornare a Sant’Antioco una volta che la situazione si fosse placata.14 Dopo la preziosa scoperta, nel corso del Seicento alcuni studiosi di questioni agiografiche trattarono della catacomba definendola “sontuosa”;15 I.F. Carmona nel 1631 disegnò la tomba-sarcofago (fig. 4).16 In generale, però, secondo la mentalità dell’epoca, mostrarono maggiore attenzione alle vicende del santo che al monumento in sé, riservando solo pochi accenni al cimitero e alla sua struttura. Malauguratamente – dobbiamo dire oggi con rammarico – poiché certamente essi ebbero l’opportunità di vedere una situazione molto più intatta e ben conservata di quella che noi possiamo apprezzare. La catacomba, infatti, si presenta ai nostri occhi devastata in più punti, con molte tombe aperte e svuotate. La domanda che ci si pone è se esse furono trovate in questo stato dagli esploratori del Seicento e dunque fossero già state profanate nei secoli del medioevo, dopo che il luogo non venne più usato come cimitero, forse durante il periodo di abbandono o almeno di parziale spopolamento della città, oppure se furono gli stessi scavatori del Seicento ad aprire le sepolture alla ricerca di altri indizi di testimonianze concrete di fedeli di Cristo. Ancora nell’Ottocento scarsa attenzione viene riservata al monumento; persino il generale Alberto della Marmora, che a Sulci fece importanti studi sull’antico castrum,17 le ignora. Vittorio Angius non dedica molta attenzione alla catacomba nella voce S. Antioco del Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, opera enciclopedica che con tutti i limiti è ancora una preziosa fonte d’informazione sull’isola; invece nella voce Iglesias, contenuta nell’VIII volume della medesima opera, in relazione al fatto che l’epigrafe dell’antistes Petrus si trovava nella cattedrale della città iglesiente, ricorda fra le catacombe quella in cui fu deposto il corpo del santo martire, venerato, dimenticato e poi ritrovato. La descrive come un luogo ampio, coperto da una volta sostenuta da piloni, con i fianchi variamente sinuosi e mette in rilievo la presenza di molte ossa, tenute in gran riguardo in quanto potenziali “reliquie di altri fedeli che confessarono Cristo nelle persecuzioni”.18 Persino Giovanni Spano, nonostante il suo spirito attento alle testimonianze archeologiche dell’antichità, mantiene un’impostazione di tipo agiografico-erudito e sembra ignorare l’importanza della catacomba nei diversi contributi dedicati alla ricostruzione dell’antica Sulci. Egli si limita, infatti, a definirla una tomba cartaginese ben larga.19 Più 14. A. Piseddu, L’arcivescovo Francesco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Cagliari 1997, pp. 109-112. Furono poste nel reliquiario dell’argentiere cagliaritano Sisinnio Barrai (cfr. il contributo di Alessandra Pasolini in questo volume). 15. La catacomba fu così definita da D. Bonfant, Triumphos de los Santos del Reino de Cerdeña, Caller 1635, pp. 150-157. 16. F. Carmona, Alabanças de los santos de Serdeña. Ms. della Biblioteca Universitaria di Cagliari, 1624. 17. A. Della Marmora, Itinerario dell’isola di Sardegna. Tradotto e compendiato dal can. Spano, I, Cagliari 1868, pp. 127-129. 18. V. Angius, s.v. Iglesias, in G. Casalis (a cura di), Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, VIII, Torino 1841, p. 382. 19. G. Spano, Epigrafe solcitana di S. Antioco, in Bullettino Archeologico Sardo, VI, 1860, p. 184. Capitolo V 65 che altro il canonico Spano poneva l’accento sul fatto che il luogo – e dunque anche il cimitero sotterraneo – erano rimasti abbandonati per lungo tempo, subito dopo il trasferimento del vescovo sulcitano a Tratalias entro il 1218, prima che venisse ritrovato il corpo del santo, ignorando evidentemente il manoscritto e le altre testimonianze del Cinquecento.20 Al contrario, I. Sanfilippo nel 1892 fornisce una descrizione abbastanza dettagliata, anche se semplicemente analitica21. Agli inizi del Novecento risalgono invece i primi studi accurati di taglio archeologico, che pongono l’accento sulla catacomba in quanto cimitero della città, a cura di Antonio Taramelli. Già nel 1908 l’archeologo aveva pubblicato un lavoro sulle catacombe cristiane, di cui descriveva sia pure sommariamente le tombe, decorate da pitture ed iscrizioni, quando erano visibili solo due camere (la cd. cripta storica e il retrosanctos, tav. I, A e B).22 Nel 1920 condusse un’indagine di scavo accurata. Erano gli anni in cui in Sicilia venivano esplorate numerose catacombe – soprattutto a Siracusa – grazie ai lavori del Führer e dell’Orsi, mentre poco si conosceva di questo importante monumento sardo, come lo stesso Taramelli lamenta all’inizio del suo contributo sulla relazione dei lavori, ragione per cui decise di procedere a una pulizia del cimitero e allo scavo di alcune tombe e zone non ancora esplorate, sotto il patrocinio del sindaco di allora Giuseppe Biggio Cao e con l’aiuto dell’architetto Giarrizzo, che curò la documentazione grafica. L’indagine fu accurata, naturalmente in rapporto ai sistemi di scavo di quasi un secolo fa (non si può pretendere la precisione metodologica oggi acquisita dopo decenni di studio e di pratica sul campo); certamente lo studio che ne derivò fornisce dati di fondamentale importanza anche per comprendere i riti funerari e per avere un’idea di come vivesse la vita e la morte la popolazione che abitava la città e usufruiva del cimitero, tenendo presente che di molti reperti citati nel testo oggi non c’è più traccia. Soprattutto egli si poneva alcuni problemi che andavano al di là della semplice analisi del monumento e sottolineava per primo il ruolo di attrazione della popolazione che il santuario poteva aver esercitato nel momento in cui Sulci dovette essere abbandonata perché troppo esposta agli attacchi esterni, ipotizzando che nell’alto medioevo quanto rimaneva del nucleo abitato si fosse trasferito proprio attorno al martyrium alla ricerca di un luogo più protetto, dando origine così a un centro abitato non più costiero, ma interno, su un’altura (il centro della moderna Sant’Antioco).23 Nel 1966, in occasione di lavori per riparare i danni causati da infiltrazioni di acqua, fu aperto un passaggio a Nord-Ovest del nucleo tav. I,E che permise di vedere un corridoio L fino ad allora ignoto.24 20. G. Spano, Descrizione dell’antica città di Sulcis, in Bullettino Archeologico Sardo, III, 1857, pp. 80-81. 21. I. Sanfilippo, Relazione sulle Catacombe di Sant’Antioco, Iglesias 1892. 22. A. Taramelli, S. Antioco. Scavi e scoperte di antichità puniche e romane nell’area dell’antica Sulcis, in Notizie degli Scavi, 1908 (ora in A. Taramelli, Scavi e scoperte I, 1903-1910 = Sardegna archeologica, a cura di A. Moravetti, Sassari 1982, pp. 303-304). 23. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe sulcitane di Sant’Antioco e di altri ipogei sulcitani, in Notizie degli Scavi, 1921 (ora in A. Taramelli, Scavi e scoperte I, 1903-1910 = Sardegna archeologia, a cura di A. Moravetti, Sassari 1982, p. 331). Si vedano anche B.R. Motzo, La donazione dell’isola sulcitana a S. Antioco, in Archivio Storico Sardo, XIII, 1920, p. 86; L. Pani Ermini, Santuario e città fra tarda antichità e alto medioevo, in Santi e demoni nell’alto medioevo occidentale. XXXVI. Settimana di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1989, p. 870. 24. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, p. 16. 66 s. antioco Patrono della Sardegna Alla fine degli anni ’80 del Novecento l’arch. Osvaldo Lilliu, in uno studio dedicato al martyrium, segnala il rinvenimento di una vasca quadrata, circondata da sarcofagi in pietra locale. Il bacino, visibile da una grata nel pavimento della navata sinistra della chiesa, ad Ovest dell’entrata laterale, è conservato solo nella parte bassa (il parapetto doveva essere più alto), ha il fondo concavo, è rivestito in cocciopesto e mostra il foro di uscita dell’acqua al centro del lato occidentale. Senza esitazioni O. Lilliu lo interpreta come un fonte battesimale, annesso al martyrium in età bizantina.25 Uno studio completo ed esauriente del monumento viene edito nel 1989 da Leone Porru, insieme a Renata Serra e Roberto Coroneo (che trattano rispettivamente il martyrium e le sculture). Nella dettagliata descrizione del cimitero, Leone Porru coglie e segnala per primo alcune imprecisioni del lavoro del Taramelli e apporta qualche novità.26 Infatti, egli identifica il corridoio tav. I,L come l’accesso originario al cimitero, che ancora il Taramelli ubicava nell’entrata attuale al vano tav. I,A;27 individua le modifiche operate nell’ipogeo punico tav. I,A-B nel momento del riuso da parte della comunità cristiana e ipotizza che lo sviluppo delle catacombe come trasformazione di camere preesistenti sia avvenuto contestualmente all’inserimento della tomba del martire.28 Nello stesso anno usciva anche la guida di Sant’Antioco, curata da Carlo Tronchetti, in cui alcune pagine sono dedicate alla catacomba, in una sintetica ma completa descrizione.29 Sempre nel 1989, in occasione di alcuni interventi di restauro e pulizia delle pareti, a cura della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, sono state effettuate nuove indagini, che hanno offerto l’opportunità di una rilettura del monumento da parte di Letizia Pani Ermini, che aveva seguito in loco i lavori e ne ha dato un resoconto in una relazione conservata presso l’Archivio della stessa Commissione.30 In seguito ha presentato le novità al VII Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana tenuto a Cassino nel 1993, i cui Atti però sono usciti solo nel 2003, mentre nel frattempo veniva edito il volume Carbonia e il Sulcis. Archeologia e territorio, curato da Vincenzo Santoni.31 La studiosa mette in evidenza in primo luogo la constatazione che sul cimitero ipogeo, in superficie, venne impiantata un’area funeraria subdiale, usata anche dai cristiani, come attesterebbero alcune lucerne di tipo africano prodotte nei secoli V-VII e molte tombe viste sulla collina, a monte del santuario ipogeo. Oltre a una rilettura delle due planimetrie precedenti, di A. Taramelli e L. Porru, nelle quali grazie a sistemi di rilevamento più evoluti furono riscontrate alcune inesattezza anche nella definizione delle curve della roccia, si procedette allo 25. O. Lilliu, Il martyrium di S. Antioco nel Sulcis. Lettura iconologica e di tecnica costruttiva di un grande organismo cupolato altomedievale in Sardegna, Sant’Antioco 1986, pp. 21, 28. 26. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 20-26. 27. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 333. 28. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 20, 23-26, 40. 29. C. Tronchetti, S. Antioco = Guide e Itinerari, 12, Sassari 1989, pp. 60-65. 30. L. Pani Ermini, S. Antioco (Cagliari). Cimitero ipogeo di S. Antioco. Intervento di restauro (maggio-giugno 1989). 31. L. Pani Ermini, Sulci dalla tarda antichità al medioevo: note preliminari di una ricerca, in V. Santoni (a cura di), Carbonia e il Sulcis. Archeologia e territorio, Oristano 1995, pp. 365-367. Capitolo V 67 svuotamento di alcune sepolture.32 L’indagine fu estesa al settore a Nord del vano G, dove un varco era stato aperto casualmente dieci anni prima durante alcuni lavori pubblici. Si poté accedere a un altro ambiente, anch’esso in origine una camera punica, riusata dai cristiani, che vi avevano scavato un loculo; si presentava occultato da terra franata, forse durante lavori pubblici nel sopratterra, in cui fu recuperata una lucerna di tipo africano, e in tali condizioni giace tuttora. Un’ulteriore esplorazione fu effettuata nella galleria a Nord-Ovest di tav. I,E dove in precedenza era stato aperto un pertugio, tramite il quale si poté accedere al corridoio tav. I,L, del quale già L. Porru aveva descritto gli arcosoli.33 Soprattutto, fu operata una pulizia all’interno del vano del sarcofago-altare, ritenuto un manufatto seicentesco allestito dopo i lavori dell’inventio dei cuerpos santos, su cui si tornerà più avanti.34 Al 2000 risale lo studio di Pier Giorgio Spanu sui Martyria Sardiniae, in cui il cimitero antiochese viene esaminato in rapporto alla presenza del santo, ma con particolare attenzione alle fasi evolutive.35 Nel 2003 il sarcofago-altare è stato oggetto di un nuovo intervento, poiché è stato riaperto per recuperare un frammento dell’architrave con l’iscrizione celebrativa della committenza di Torcotorio, Salusio e Nispella, che già L. Porru aveva segnalato murata al suo interno. Di questa ha dato notizia Roberto Coroneo.36 Approfondimenti di alcuni aspetti legati alla catacomba si devono a Roberto Coroneo37 e Anna Maria Nieddu,38 in relazione alle sculture e alle pitture. 32. L. Pani Ermini, Scavi e scoperte di archeologia cristiana in Sardegna dal 1983 al 1993, in Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Cassino, 20-25 settembre 1993), Cassino 2003, p. 898. 33. L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 899. 34. L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 900. 35. P.G. Spanu, Le fonti cit., pp. 184-185. 36. R. Coroneo, Nuovo frammento epigrafico medioellenico a Sant’Antioco, in Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, XII, 2003, pp. 322-325. 37. Pur non essendo esplicitamente dedicati al cimitero, i lavori di R. Coroneo forniscono dati importanti per il suo studio. Per le referenze bibliografiche si veda il contributo di Elisabetta Curreli in questo volume. 38. Si veda il contributo della studiosa in questo volume. 68 s. antioco Patrono della Sardegna La catacomba L a catacomba si estende sotto alla chiesa, ma non perfettamente in corrispondenza con essa, bensì sviluppandosi sotto alla collina a Sud, Sud-Est e Sud-Ovest dell’edificio di culto. Vi si accede, infatti, dal braccio meridionale del transetto. Si inserisce in ambienti di pietra calcarea, tipica della zona, che non furono scavati appositamente per creare il cimitero cristiano, ma erano già usati dagli abitanti della città in età punica come area sepolcrale nella zona suburbana nord-orientale. È stato possibile individuare almeno cinque camere funerarie, di forma quadrangolare, costituite da due celle divise da un setto ricavato nella roccia stessa (tav. II); in origine erano separate le une dalle altre e furono messe in comunicazione sfondando alcune pareti, in modo da creare una rete cimiteriale unitaria, conforme al modo di concepire lo spazio dei morti da parte dei cristiani. Con la diffusione della nuova religione, infatti, si era passati dalla necropoli (la città dei morti) formata da un insieme di singole “tombe di famiglia” (i mausolei) a un cimitero unico per tutta la comunità, dove il defunto riposava (il nome stesso di cimitero deriva dal verbo greco koimáo, che significa dormire) in attesa del giorno della resurrezione finale, quando il corpo secondo la teologia cristiana si ricongiungerà all’anima nel Regno dei Cieli. Dunque si erano creati cimiteri comunitari, solitamente gestiti dall’autorità ecclesiastica.39 Dagli studi di L. Porru e di L. Pani Ermini sembra ormai appurato che il corridoio tav. I,L fosse l’ingresso originale del cimitero, che consentiva il passaggio da un probabile sepolcreto subdiale all’ipogeo tav. I,A-B, dalla consueta forma quadrangolare determinata da due celle parallele, divise da una parete rocciosa, che furono unite, mantenendo solo una parte del setto divisorio. Le pareti ovest, nord e sud di tav. I,A furono sfondate in un secondo momento, realizzando una cripta dalla forma più tondeggiante, ad andamento semicircolare, che richiamava la forma di un’abside. Nella cella B, invece, le estremità est, sud e ovest furono chiuse dagli arcosoli tav. I,B, II, III e V e vennero aperti due passaggi per mettere in comunicazione la suddetta cella A-B con le camere tav. I,D ed E e tav. I,F e G (corridoio tav. I,C).40 Le sepolture, come si riscontra anche in altri cimiteri sardi di età paleocristiana (Cagliari, Cornus, Porto Torres, etc.) e più in generale del mondo mediterraneo, erano di diverso tipo. Dal più semplice ed economico “loculo”, 39.V. Fiocchi Nicolai in V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma. Origine, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Regensburg 1998, pp. 13-24. 40. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 17-19, 23-26, 40-41; L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 897. Capitolo V 69 ricavato direttamente nelle pareti, alla fossa terragna scavata nel piano di calpestio, talvolta antropomorfa o con estremità arrotondate, chiusi da grosse tegole (forse prodotte in loco proprio a scopo funerario), o da lastroni di arenaria.41 Molto comuni sono anche i cassoni delimitati da una muratura in blocchi di pietra, singoli o sovrapposti l’uno all’altro e dipinti sulla parete che eventualmente rimaneva in vista.42 Il ritrovamento di un contenitore da trasporto di grosse dimensioni (fig. 5) fa pensare che anche in questo cimitero fosse in uso la pratica della deposizione in anfora, come è ben documentato in Africa, nella penisola iberica, in generale in molti paesi del Mediterraneo e nella stessa Sardegna, ad esempio a Cornus. Scelti da persone facoltose, invece, erano i sarcofagi, di cui rimane al momento solo quello della cripta-altare, manomesso, ma soprattutto le tombe ad arcosolio. Una o più sepolture, affiancate parallelamente o sovrapposte in verticale, scavate direttamente nella roccia o costruite in muratura, venivano chiuse da una lastra orizzontale (mensa) e sormontate da un’arcata realizzata nel banco roccioso. Si otteneva così un sepolcro più sontuoso, spesso arricchito da decorazioni pittoriche (ad es. tav. I, arcosoli II, VII,VIII, etc.)43 e delimitato da una sorta di cancelletto (forse ne rimane un residuo nell’ambiente G, fig. 6) che serviva probabilmente a isolarlo dal resto del cimitero.44 Consentendo l’allestimento di numerose sepolture vicine fra loro, infatti, con ogni probabilità veniva scelto come sepolcro “di famiglia”. Nei cimiteri cristiani si trovano spesso cubicoli, con arcosoli all’interno, insieme ad altre sepolture, che permettevano di creare uno spazio privato sia pure in un cimitero comunitario, sostituendo forse quello che nella società pagana era il mausoleo famigliare. Forse in questo senso potrebbero leggersi alcuni spazi della catacomba di Sant’Antioco, che terminano rispettivamente con gli arcosoli tav. I, B, II, III, V; G, XIX e XX). Infine, un sepolcro del tutto particolare, che trova somiglianza anche se non confronti puntuali in contesti dell’isola di Malta, è ancora abbastanza ben conservato nell’ambiente G (tav. I,G; fig. 7). Quattro tombe addossate per il lato sud alla parete rocciosa (del tipo a fossa e a cassone, sovrapposte l’una all’altra, di cui si conserva quella inferiore, mentre le altre si individuano dagli incassi per le coperture sulla parete di fondo) erano delimitate e protette sulla fronte e sui lati corti da un parapetto realizzato in lastre e blocchi di arenaria disposti di taglio, sormontato da tre pilastrini in calcare, allineati, in modo da creare un tegurium.45 Prospiciente tra l’altro alla già ricordata rientranza che termina con l’arcosolio tav. I,G, XX, delimitata da un cancelletto, ha l’aria di essere una tomba privilegiata, pertinente a qualche personaggio di rilievo. È da ricordare che la tradizione popolare collocava proprio nella camera G, interna e silenziosa, la spelunca dove il santo sarebbe vissuto e morto, pretendendo di riconoscere in un frammento di colonnina la pietra servita da guanciale ad Antioco.46 Tutti i nuclei indicati furono intensamente sfruttati ad uso cimiteriale, ma mentre si nota quasi una programmazione 41. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 39-40; L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 898. 42. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 38-39. 43. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, pp. 17-19. Cfr. Anche il contributo di A.M. Nieddu in questo volume. 44. Già notato da A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 351. 45. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 351. 46. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 351. 70 Fig. 5. Anfora forse usata come sepoltura (foto PCDAS). s. antioco Patrono della Sardegna 5 Fig. 6. Resto di un cancello (?) nell’ambiente G (foto PCDAS). Fig. 7. Tomba a tegurium nell’ambiente G (foto PCDAS). Fig. 8. Cripta venerata: interno del sarcofago-altare ritenuto la tomba di Sant’Antioco (foto PCDAS Fig. 9. Colonne nella cripta venerata e sul fondo muro di sbarramento dell’accesso dal corridoio L (foto PCDAS). 7 Fig. 10. Scanalatura nel pilastrino angolare della scala di accesso alla cripta venerata per alloggio per una transenna o pluteo del cancello di chiusura (foto PCDAS). 8 6 9 10 Capitolo V 71 ordinata nelle zone D e E, F e G, in A e B la situazione appare molto più articolata. Le sepolture sono disposte senza un piano preciso, diversamente orientate fra loro e concentrate in uno spazio ridotto, rivolte per lo più verso il punto già ricordato dove si trova il sarcofago-altare (fig. 2), che si ritiene abbia contenuto i resti scheletrici del santo. Le indagini effettuate nel 1989 da Letizia Pani Ermini all’interno del manufatto, come si è anticipato, hanno permesso di chiarire la situazione e in un certo senso di confermare quanto trasmesso dalla tradizione. Infatti, si poté constatare che sui resti di una prima sepoltura del tipo a forma, che si presentava ancora chiusa da mattoni e dava l’idea di essere stata sormontata in origine da una cupa o comunque da una sorta di copertura, era stato posto un sarcofago di forma rettangolare in lastre litiche, che mostrava evidenti segni di una rottura violenta. Tale situazione coincide con quanto riferisce la relazione lasciata dall’arcivescovo D’Esquivel circa i lavori per il recupero del corpo venerato e pertanto fornisce una conferma archeologica all’ipotesi che proprio quello sia il luogo dove furono recuperate le ossa ritenute del santo.47 Si legge, infatti, che quando gli uomini inviati dall’arcivescovo D’Esquivel iniziarono a smontare l’altare, tolsero un impasto molto forte (probabilmente la malta che era servita a chiudere e sigillare la tomba), che copriva un vano delimitato da pietre ben lavorate tenute insieme dalla calce. Attraverso una recente apertura lungo il lato corto ovest del suddetto sarcofago-altare, oggi chiusa da un cancelletto (fig. 8), si vedono i resti di una muratura più interna rispetto all’involucro attuale. Quest’ultimo, peraltro, reca inglobati diversi frammenti dell’arredo liturgico scultoreo realizzato nel X-XI secolo, evidentemente non più in uso nella chiesa, indizio che fa pensare che il manufatto sia da attribuire alla risistemazione posteriore alle ricerche del Seicento, essendo stato il precedente molto danneggiato durante la riapertura. Si tratta di una tomba importante, posta in un ambiente che fu risistemato mediante interventi condotti già in antico per essere adattato alle esigenze del culto. Un ulteriore addensamento di sepolture, che si può ancora osservare nella cella B proprio dietro questo manufatto (tav. I,B), costituisce un’ulteriore conferma della presenza del sepolcro di un santo, al quale i fedeli dedicavano un trattamento speciale, anelando ad avere una sepoltura quanto possibile vicina alla tomba venerata perché ritenevano di poter beneficiare di una protezione più efficace (retrosanctos). La sua presenza richiamava i fedeli per la preghiera e la richiesta di intercessione sia in maniera individuale sia sotto forma di devozione collettiva nel giorno anniversario della morte (dies natalis, in quanto giorno della nascita alla vera vita). L’afflusso di numeri talvolta non esigui di persone che si fermavano a pregare o ad ascoltare la liturgia in spazi molto ristretti davanti alla tomba del martire rese spesso necessario intervenire con modifiche strutturali, sia ampliando la zona antistante la sepoltura in modo da creare un’area di rispetto dove i fedeli agevolmente potessero soffermarsi e pregare; sia creando dei percorsi interni (itinera ad limina, ovvero le vie al luogo santo) che permettessero lo scorrimento veloce del flusso dei fedeli, senza disturbare chi volesse pregare. Esigenze che si avvertono ancora oggi nei grandi santuari, come Sant’Antonio a Padova, o presso la tomba di Giovanni Paolo II. 47. L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 900. 72 s. antioco Patrono della Sardegna La volontà di “regolamentare “ il traffico in un certo senso dovette essere all’origine delle modifiche nel settore A, dove fu allargato lo spazio creando un ambiente semicircolare. Dunque, si può ipotizzare che il fedele attraverso l’antico accesso, il corridoio L, fosse obbligato ad entrare nella cripta A, poiché il passaggio a B non doveva essere consentito in questo punto, dato che si vedono i resti di un arcosolio poi distrutto e quindi vi doveva essere una parete. Ad un certo momento la zona antistante il sarcofago venne ulteriormente delimitata da sei colonne (figg. 2 e 9), molto disomogenee fra loro, realizzate con marmi e materiali litici di spoglio, talvolta poggianti su basi di diversa altezza e sormontate da capitelli di differente fattura e dimensione. La presenza di un capitello a foglie d’acqua farebbe pensare che il colonnato possa essere stato allestito già in età bizantina, forse in occasione dei lavori del vescovo Petrus, secondo la prassi consolidata di creare spazi raccolti e protetti per la preghiera, al di là dei quali defluivano i fedeli. Un altro capitello, sicuramente ascrivibile invece alla produzione medievale, fa sorgere il dubbio che la sistemazione del colonnato sia da attribuire ad una fase posteriore, forse quando tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo i monaci di San Vittore di Marsiglia ottennero dal giudice di Cagliari il monasterium Sancti Antiochi e – come accadde a Cagliari e in altri luoghi – per potenziare la rivalutazione dei martiri locali (forse in risposta alla diffusione di culti orientali) intrapresero lavori restauro dei luoghi venerati.48 L’accesso diretto alla cripta A, che è anche l’entrata attuale, fu probabilmente aperto in questo momento e di lì a poco chiuso il precedente, inglobando nella struttura anche una colonna (fig. 9). Il nuovo passaggio doveva avvenire direttamente dalla chiesa, attraverso un cancello, al quale fa pensare l’incasso nel pilastrino angolare del parapetto della gradinata, che evidentemente doveva accogliere un pluteo o una transenna (fig. 10). Chi era il martire Antioco, venerato in quel luogo corpore presenti, come ci lascia intendere Petrus antistes? La passio lo vuole vissuto e morto in una caverna, che presumibilmente la tradizione associava anche al locus depositionis. Non è chiaro, come già detto, se l’aula indicata dall’epigrafe intenda il soprastante martyrium, oppure un ambiente sotterraneo. In quest’ultimo caso si potrebbe pensare allora proprio all’aula che venne creata ampliando lo spazio antistante la sepoltura (ubi corpus requiescet), forse già con qualcuna delle sei colonne, in modo da riservare al culto uno spazio delimitato. Secondo l’archeologo romano Giovanni Battista de Rossi, la lastra marmorea potrebbe aver trascritto un’epigrafe metrica musiva, o in pittura imitante il mosaico, non propriamente corretta come molte se ne trovavano presso le tombe venerate nei secoli VIII e IX e forse anche prima.49 L. Porru vi riscontra un’eco delle iscrizioni poste nell’antica basilica di San Pietro a Roma ai tempi di Simmaco (498-514). I caratteri della scrittura sembrano ricondurre al VI secolo inoltrato secondo Pier Giorgio Spanu.50 Poco si può dire della ritualità funebre, essendosi presentate le sepolture assai compromesse già al momento in cui 48. Cfr. articolo di Roberto Coroneo in questo volume. 49. Così riporta Theodor Mommsen nel vol. X del Corpus Inscriptionum Latinarum, edito a Berlino nel 1883, p. 784, n. 7533, dicendo di aver avuto uno scambio d’informazioni con G.B. de Rossi. 50. P.G. Spanu, Le fonti cit., p. 193. Capitolo V Tavola II. Catacomba di Sant’Antioco, planimetria (L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit.). 73 74 s. antioco Patrono della Sardegna le vide Antonio Taramelli nel 1920: molte erano aperte e vi erano penetrati anche resti di scultura altomedievali.51 Egli riferisce di aver trovato intatte ancora le tombe 19-21, con lo scheletro intero; la 22, che conteneva due inumazioni e nella 26 aveva riconosciuto i capelli del defunto, forse di una donna, dato che vi era un vago di collana in vetro.52 Dove si conserva ancora lo scheletro si nota che il defunto veniva disteso in posizione supina, con le braccia ai lati del corpo, in modo da avere il capo verso gli ingressi e i passaggi (fig. 11).53 Numerosi residui di calce testimoniano l’usanza di coprire il corpo per disinfettarlo,54 secondo una prassi igienica riscontrata anche in molte catacombe romane. Presumibilmente dovevano essere sepolti con la veste e con qualche monile di ornamento, se A. Taramelli riferisce di aver trovato nella tomba 9 un anello a sottile filo metallico avvolto a spirale.55 L’uso di accompagnare il defunto con alcuni oggetti come corredo funebre è documentato dal ritrovamento di numerosi manufatti, soprattutto in vetro, giunti in stato molto frammentario ma riconducibili a fialette (presumibilmente quegli unguentari contenenti profumi che si mettevano accanto al corpo), lampade a tazzina, bicchieri (nelle tt. 2,3, 4, 4bis, 5, 10, 11, 12, 13, 26, 35, 36), che apparvero al Taramelli prodotti in epoca tarda (V-VII secolo),56 dei quali oggi non si sa più nulla. Due lucerne fittili, invece, furono recuperate nelle tombe 12 e 36, in quest’ultimo caso attribuibile sulla base di un disegno del Taramelli stesso alle manifatture non africane ma dei territori dell’impero bizantino (fine V-VII secolo).57 Nella tomba 57, quasi integra, fu recuperato anche un vaso di bronzo tanto malridotto da impedire di capire la forma originaria. Nella tomba 35 si conservavano resti di conchiglie (valve di ostrica) e nelle tombe 3 e 4bis frammenti di sughero.58 Probabilmente rimaneva in vigore anche la prassi della moneta nella tomba, che i pagani solevano dare al defunto per pagare a Caronte il passaggio nel regno dei morti: furono recuperate una monetina illeggibile ma “di modulo costantiniano” – dice A. Taramelli – e una moneta punica,59 ma non si capisce se facevano parte del corredo funebre interno alla sepoltura o se fossero cadute a chi andava a commemorare i parenti defunti. Talvolta i cadaveri dovevano essere deposti in casse lignee, o coperti da tavolati: nelle tombe 6 e 31 vi erano infatti tracce di legno60 e nella 47 resti di piombo61 (elementi di cerniera delle casse?). 51. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 340-341. 52. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 345-346. 53. L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Le catacombe cit, p. 36. 54. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 340. 55. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 344. 56. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 340, 344-346, 349, 362. 57. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 345, 349 e fig. 13 a p. 350. 58. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 340, 349, 353. 59. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 344, 349. 60. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 342, 348. 61. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 350. Capitolo V 75 Nel cubicolo E, accessibile dal passaggio D, furono recuperati moltissimi frammenti di manufatti vitrei, tanto che A. Taramelli lo chiama il “Cubicolo dei vetri”. Egli segnala fra i tanti reperti una bottiglia con decorazione a serpentina e un vaso con un pesce tipico dell’area renana.62 Nella tomba a cassone a, situata all’entrata del medesimo cubicolo, rivestita da intonaco dipinto con decorazione a fasce lineari (fig. 12), L. Pani Ermini ha riconosciuto una mensa per i riti del refrigerium, indizio della prassi dei banchetti presso le sepolture secondo la consuetudine ben documentata sia in Sardegna che in molti contesti extra isolani. Gli antichi cristiani usavano consumare pasti vicino alle tombe dei propri cari, cogliendo l’occasione per opere di carità verso i fratelli meno fortunati, mantenendo una consuetudine funeraria che i pagani praticavano, invece, per dare da mangiare e da bere ai defunti, pensando che nelle necropoli essi vivessero una vita simile a quella terrena, con le medesime esigenze. Dunque, stessa ritualità, ma con significati profondamente diversi. Forse al rito si può ricollegare anche il bancone, di cui si vede un resto fra la tomba tav. I,A1 e la chiusura del corridoio L. A. Taramelli ritrovò gli ipogei H e I sotto alla navata centrale della chiesa, oggi accessibili da una scaletta nella cappella di Sant’Antonio, noti dalla tradizione come luogo di sepoltura di Santa Rosa, madre di Antioco e di Platano, anch’egli martirizzato in Sardegna e titolare nella chiesa di Villaspeciosa. Anche in questo caso si tratta di ipogei punici contigui messi poi in comunicazione, privi di loculi e arcosoli, ma con due sarcofagi in calcare.63 Infine, la vasca rettangolare, tornata alla luce negli anni 1984-85 nella seconda campata della navata nord, se non è da attribuire al martyrium potrebbe essere pertinente al funzionamento del cimitero, sia per le libagioni, sia a scopo battesimale. Il vano che la ospita presenta ancora lacerti d’intonaco dipinto e una struttura interpretata dal primo editore O. Lilliu come un bancale, ragione per cui potrebbe trattarsi di uno spazio di servizio con funzione cultuale per i riti funebri.64 Una vasca in contesti cimiteriali, tuttavia, non è improbabile, perché poteva servire per realizzare le sepolture (per L. Pani Ermini sarebbe in relazione con cimitero subdiale),65 ma anche per il battesimo, dato che si credeva che il sacramento somministrato presso la tomba di un martire avesse maggiore valore. In Sardegna una vasca rettangolare era segnalata da Raffaello Delogu nel cimitero di San Saturnino66 e un’analoga situazione si riscontra a San Lussorio a Fordongianus.67 62. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 346-347; L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 899. 63. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 353-354. 64. O. Lilliu, Il martyrium di S. Antioco cit., pp. 25-26. Cfr. anche L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 897. 65. L. Pani Ermini, Sulci cit., p. 368. 66. R. Delogu, L’architettura del medioevo in Sardegna, Roma 1953, p. 11. 67. P.G. Spanu, Martyria Sardiniae cit., p. 113. 76 s. antioco Patrono della Sardegna Fig. 11. Scheletri di individui nell’ambiente E (foto PCDAS) Fig. 12. Cassone a, forse mensa per banchetti funebri nell’ambiente E (foto PCDAS) Fig. 13 Arcosolio III nell’ambiente B (foto PCDAS) 11 12 13 Capitolo VI 77 Aspetti e problemi S i tratta dell’unica catacomba (cimitero sotterraneo) dell’isola, che a parte singoli ipogei ad esempio a Cagliari e a Porto Torres ha solitamente sepolcreti subdiali. La sua conformazione è dovuta alla necessità o alla scelta di riusare le camere già esistenti, per cui non presenta il consueto aspetto delle catacombe romane, napoletane o siciliane, che solitamente sono reti di gallerie, ma mostra maggiori analogie con alcuni contesti maltesi. Nella sua organizzazione, per quanto riguarda il tipo di sepolture e i riti funebri, invece, rispecchia i sepolcreti della prima comunità cristiana. Ancora da chiarire è l’inizio del riuso funerario delle precedenti camere da parte dei cristiani. Non è accettabile che la grotta fosse abitata dal II secolo dal santo per diventare poi luogo della sua sepoltura e dunque del culto.68 Invece, un dato importante, che viene a modificare alcune ipotesi precedentemente formulate, deriva dalla posizione stratigrafica del sarcofago-altare. La scelta di questo punto preciso per la sua posa da parte degli antichi fruitori del cimitero, sopra un’altra tomba, starebbe ad indicare un allestimento avvenuto quando lo spazio cimiteriale era ormai saturo di sepolture. Dunque, sembra appurato che la catacomba si formò ben prima della nascita del culto martiriale e non in seguito ad esso.69 Non è ancora chiaro però se veramente ci fu un’interruzione di uso delle camere puniche nel periodo romano ed eventualmente perché. Così come non è altrettanto chiaro fino a quando il cimitero sotterraneo sia stato usato a scopo funerario, dato che le sepolture furono trovate per lo più aperte. Molti loculi appaiono ricavati sfondando le lunette di fondo degli arcosoli, distruggendo anche pareti decorate con pitture di argomento religioso, come nel caso di tav. I, B,II (fig. 13); C,VII e VIII. La datazione delle pitture, che oscilla dal IV al V secolo,70 fornisce un termine post quem per la fine del cimitero. Si può presumere che la loro distruzione per ricavare nuove sepolture sia avvenuta solo molto tempo dopo la realizzazione, quando non vi era veramente più spazio libero e dunque che l’uso continuativo della catacomba a scopo funerario scenda ben oltre il V secolo.71 D’altronde, anche i dati dei vecchi e dei nuovi scavi sembrano indicare la presenza di materiali ceramici 68. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 363. 69. L. Pani Ermini, Scavi e scoperte cit., p. 900. 70. A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana in Sardegna: la pittura, in P.G. Spanu (a cura di), Insulae Christi. Il Cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari = Mediterraneo tardoantico e medievale. Scavi e ricerche, 16, Cagliari-Oristano 2002, pp. 371-374. Cfr. anche R. Coroneo, Pittura in Sardegna dal IV all’VIII secolo, in Archivio Storico Sardo, XLIV, 2005, p. 38. 71. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., pp. 338, 340. 78 s. antioco Patrono della Sardegna riconducibili al VI-VII, che farebbero pensare ad una situazione analoga ad altri centri urbani sardi, in cui solitamente la cessazione d’uso dei cimiteri paleocristiani è strettamente legata alle sorti delle città, che laddove costiere vennero gradualmente abbandonate a partire dagli inizi dell’VIII secolo alla ricerca di siti interni più protetti. Una situazione non chiara per Sulci, di cui la catacomba era almeno uno dei cimiteri, che certamente da un certo momento in poi divenne il più importante. Fra le ipotesi più accreditate, ma ancora da verificare, è che gli abitanti per sfuggire a situazioni di pericolo abbiano cercato rifugio proprio verso la collina nella zona accanto al santuario, un sito decisamente più protetto. Anche se venne meno l’uso funerario, è presumibile che il santuario abbia continuato ad essere meta dei fedeli se nel 1089 esisteva il monasterium S. Antiochi, che fu donato ai monaci vittorini. V. Angius ricorda una pergamena ritrovata sotto la pietra sacra dell’altare da alcuni marinai entrati a pregare quando il luogo era deserto. La pergamena diceva che nell’anno 1102 il vescovo aveva consacrato la chiesa e l’altare in onore della Vergine Maria, di tutti i santi e di S. Antioco, corpore ejus presente.72 Ad un certo momento, entro il 1218, la sede dei vescovi sulcitani fu trasferita a Tratalias per tornare nuovamente a Sant’Antioco solo nel Cinquecento. La tradizione vuole che fino alla riscoperta del corpo del santo la città fosse deserta e dunque il santuario abbandonato, sebbene come si è visto proprio dal santuario vengano testimonianze che forse autorizzano a pensare ad una frequentazione quasi ininterrotta anche se non sempre con la stessa intensità. A. Taramelli segnala infatti una moneta aragonese nel cubicolo E, come traccia di devoti ancora nel XV secolo,73 o forse segno che qualcuno era entrato nel cimitero. Molte questioni, dunque, rimangono ancora aperte per scrivere tutta la storia della catacomba, che spesso è condizionata da una tradizione secolare, infarcita di luoghi comuni. Nuove indagini archeologiche potrebbero veramente dare ancora molto al monumento, prezioso per la conoscenza dell’antico cristianesimo e non solo nell’isola. 72. V. Angius, s.v. Iglesias cit., p. 444. 73. A. Taramelli, S. Antioco. Esplorazione delle catacombe cit., p. 349. Capitolo VI Capitolo VI Le pitture delle catacombe di Sant’Antioco Anna Maria Nieddu Pontificia Commissione di Archeologia Sacra L 79 VI e catacombe cristiane sono, come è noto, i contesti che hanno restituito la maggior quantità di documenti pittorici risalenti alla tarda antichità e all’alto medioevo; straordinarie testimonianze della cultura figurativa sviluppatasi nel periodo compreso fra il III e il V secolo si conservano in quasi tutti i cimiteri ipogei del mondo cristiano, siano essi le estese reti di gallerie di Roma, della Sicilia e di Napoli, o i più modesti nuclei funerari, legati a comunità numericamente meno consistenti, del Lazio, della Sardegna e del nord-Africa.1 Le decorazioni pittoriche, che di norma si dispongono sulle volte dei cubicoli, oppure sulle pareti – negli spazi lasciati liberi dai loculi – o, ancora, sulle superfici degli arcosoli, sviluppano un’ampia varietà di temi, per lo più volti a creare attorno ai defunti un’atmosfera di pace e serenità e a richiamare il concetto della salvezza dell’anima. Se non mancano, certo, scene di vita quotidiana, che propongono l’immagine del defunto colto nelle sue attività terrene (siano esse le attività lavorative siano i momenti di vita familiare), ben più numerose sono le raffigurazioni ispirate a episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento o quelle in cui, attraverso immagini dal forte potere evocativo, si allude al mondo ultraterreno e alla condizione dell’anima dopo la morte.2 In tale quadro generale ben si inseriscono le pitture di epoca tardoantica restituite dai monumenti ipogei della Sardegna, non numerosissime ma certo degne di interesse per alcuni tratti di originalità. Fra i contesti dell’isola che hanno conservato documenti pittorici spiccano, in particolare, oltre che i due cubicoli del cimitero di Bonaria, a Cagliari, diversi ipogei di Sant’Antioco: iscrizioni dipinte, accompagnate dalla semplice raffigurazione, ripetuta più volte, del candelabro a sette braccia, erano tracciate sugli arcosoli di due tombe ebraiche scavate nella roccia 1. Per un quadro generale sulla pittura paleocristiana, con particolare riguardo ai contesti funerari, si rimanda a F. Bisconti, La pittura paleocristiana, in Romana pictura. La pittura romana dalle origine all’età bizantina, Venezia 1998, pp. 33-56; F. Bisconti, La decorazione delle catacombe romane, in V. Fiocchi Nicolai-F. Bisconti-D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma. Origini, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Regensburg 1998, pp. 71-144; sguardi di sintesi su alcuni contesti regionali sono in U.M. Fasola, Le catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, Roma 1975, passim (Napoli); V. Fiocchi Nicolai, Pitture paleocristiane dell’Etruria meridionale, in Il paleocristiano nella Tuscia, Atti del II Convegno di Studi (Viterbo, 7-8 maggio 1983), Roma 1984, pp. 83116 (Lazio); A. Ahlqvist, Pitture e mosaici nei cimiteri paleocristiani di Siracusa. Corpus Iconographicum, Venezia 1995, e G. Cipriano, La decorazione pittorica nei contesti funerari della Sicilia. III-V secolo, Palermo 2010 (Sicilia); A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana in Sardegna: la pittura, in Insulae Christi. Il cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari, a cura di P. G. Spanu, Oristano 2002, pp. 365-386, e R. Coroneo, Pittura in Sardegna dal IV all’VIII secolo, in «Archivio Storico Sardo» 44, 2005, pp. 33-51 (Sardegna). 2. Un completo repertorio dei temi è in Temi di iconografia paleocristiana, cura e introduzione di F. Bisconti, Città del Vaticano 2000. 80 s. antioco Patrono della Sardegna non lontano dall’attuale centro della città,3 e il ritratto di una defunta, inquadrato da una finta cornice lignea e affiancato da serti fioriti, ha restituito l’arcosolio di un ipogeo punico, riutilizzato in epoca tardoantica, localizzato nella collina dell’acropoli.4 Di ben maggiore estensione erano, comunque, le pitture della catacomba cristiana, ridotte ormai a pochi e scoloriti frammenti, ma in origine indubbiamente più ricche e articolate, come lasciano intendere i resti superstiti e i testimoni del passato. Il loro stato era indubbiamente migliore di quello attuale quando, dopo i brevissimi cenni che ad esse dedicarono Giovanni Spano e Ignazio Sanfilippo,5 nel 1920 vennero per la prima volta descritte da Antonio Taramelli, che accompagnò la trattazione con due disegni riproducenti parte della decorazione che orna l’arcosolio con immagine del Buon Pastore.6 Questo sepolcro si apre nella parete orientale dell’ambiente B,7 e presentava in origine tutte le superfici (fronte, parapetto, sottarco, lunetta di fondo) ricoperte da una decorazione pittorica, distrutta in parte già in antico, quando all’interno dell’arcosolio vennero realizzati nuovi sepolcri al di sopra di quelli già esistenti (fig. 1).8 Se è impossibile definire quale fosse il motivo raffigurato sulla fronte, ampiamente intaccata, in un momento successivo alla realizzazione della pittura, dall’apertura di un loculo nella parte alta, gli esigui resti conservati forniscono alcuni labili indizi utili alla lettura della decorazione del parapetto, dove una serie di linee nere incrociate, tracciate su uno sfondo verde, sono forse ciò che resta della raffigurazione di un giardino chiuso da un recinto, qui posto a richiamare, come si è in altri casi ritenuto, il concetto di mondo ultraterreno.9 Al paradiso rappresentato come un lussureggiante giardino allude, indubbiamente, la decorazione del sottarco, che le tracce di colore in più punti superstiti indicano tappezzato, in origine, di rami fioriti, di boccioli sparsi e di festoni rossi popolati da uccelli multicolori; tale soluzione figurativa, diffusissima nella pittura funeraria di Roma, della Sicilia, dell’Africa del nord, trova paralleli anche in altri documenti pittorici sardi, quali l’arcosolio di Munazio Ireneo, nel cimitero di 3. Cfr. P.B. Serra, Elementi di cultura materiale di ambito ebraico: dall’alto impero all’alto medioevo, in Insulae Christi. Il cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari, a cura di P. G. Spanu, Oristano 2002, pp. 67-110, pp. 75-81, 100-102; per l’analisi di queste iscrizioni dipinte si veda da ultimo anche C. Colafemmina, Una rilettura delle epigrafi ebraiche della Sardegna, in «Materia giudaica. Rivista dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo» 14, 1-2, 2009, pp. 81-99, in particolare pp. 84-89. 4. Cfr. G. Pesce, Un dipinto romano in una tomba dell’antica Sulcis, in «Bollettino d’Arte» 47, 1962, pp. 264-268; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., pp. 374-376. 5. G. Spano, Descrizione dell’antica Sulcis, in «Bullettino Archeologico Sardo» 3, 1857, pp. 48-55, in particolare p. 55, nota 1; I. Sanfilippo, R° ispettorato per la Conservazione dei Monumenti e Scavi antichi nel Circondario d’Iglesias. Relazione sulle Catacombe di Sant’Antioco, Iglesias 1892, p. 9. 6. A. Taramelli, Sardegna. II. S. Antioco – Esplorazione delle catacombe sulcitane di Sant’Antioco e di altri ipogei cristiani, in «Notizie degli Scavi di Antichità» 1921, pp. 142-176, in particolare pp. 149-150. 7. Vedi la tav. I (arcosolio B/II) nel contributo di R. Martorelli in questo stesso volume. 8. Cfr. L. Porru, Riesame delle Catacombe (nuove osservazioni e rilievi), in L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Sant’Antioco. Le Catacombe. La Chiesa Martyrium. I frammenti scultorei, Cagliari 1989, pp. 13-51, tavv. I-XXXI, in particolare pp. 31-32; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., pp. 371-372. 9. Per l’analisi delle modalità attraverso le quali questo concetto viene espresso nella cultura figurativa paleocristiana si rimanda in particolare a F. Bisconti, Sulla concezione figurativa dell’«habitat» paradisiaco: a proposito di un affresco romano poco noto, in «Rivista di Archeologia Cristiana» 66, 1990, pp. 25-80, in particolare pp. 62-66, e F. Bisconti, Altre note di iconografia paradisiaca, Bessarione 9, 1992, pp. 89-117. 81 Capitolo VI 1 Fig. 1: Veduta generale dell’arcosolio B/II con immagine del Buon Pastore. Fig. 2: Riproduzione grafica della decorazione della lunetta dell’arcosolio B/II. Fig. 3: Riproduzione grafica della scena di Daniele fra i leoni, nell’arcosolio C/VIII. 2 3 82 s. antioco Patrono della Sardegna 4 7 5 6 8 Fig. 4: Veduta generale dell’arcosolio C/VII. Fig. 5: Particolare dell’iscrizione dipinta nella lunetta dell’arcosolio C/VII. Fig. 6: Particolare della decorazione del soffitto dell’ambiente C. Fig. 7: Riproduzione grafica della decorazione dell’arcosolio nell’ambulacro L (da L. Porru, Riesame delle Catacombe cit.). Fig. 8: Particolare del cassone dipinto nell’ambiente E. Capitolo VI 83 Bonaria a Cagliari,10 e la tomba rupestre di Sant’Andrea Priu, in territorio di Bonorva (SS),11 contesti nei quali le scene figurate e le immagini dei defunti sono collocate in un aldilà disseminato di fiori e festoni colorati fra i quali svolazzano uccelli. Nell’arcosolio di Sant’Antioco la raffigurazione dell’ideale giardino-paradiso si estende anche nella lunetta, che ospita il soggetto principale della decorazione; qui, in un ambiente campestre al quale richiamano alcuni steli fioriti, una pecora al pascolo e, forse, una capanna di frasche, domina la scena un pastore abbigliato con una corta tunica e presentato di prospetto, con una pecora sulle spalle (fig. 2). Con tale immagine, fra le più antiche e diffuse nell’iconografia paleocristiana (e attestata in Sardegna anche nel cubicolo “di Giona”, ancora nel cimitero di Bonaria, a Cagliari),12 l’artefice ha inteso raffigurare Cristo-Salvatore, come già ai primi cristiani doveva risultare chiaro dall’immediato richiamo a diversi passi evangelici, primi fra tutti il brano di Giovanni nel quale Gesù si proclama il “buon pastore” (Gv 10, 11) e la parabola della pecorella smarrita (Lc 15, 4-7); il contesto funerario nel quale l’immagine è collocata permette di ampliarne il significato e di leggervi, oltre che una professione di fede del defunto, l’evidente augurio di salvezza eterna rivolto alla sua anima.13 Alla salvezza che attende l’anima del fedele dopo la morte e alla speranza nella resurrezione rimanda anche la scena dipinta nell’arcosolio C/VIII, aperto a destra del varco arcuato che mette in comunicazione gli ambienti B e C. 14 Di questa pittura, danneggiata già in antico dall’apertura di un loculo all’interno dell’arcosolio, rimane ormai solo un esiguo frammento, tuttavia sufficiente per ricostruire nella sua interezza l’immagine che vi era raffigurata. Si conserva, infatti, nel settore sinistro del sottarco, la metà posteriore di un leone dalla lunga coda, accucciato e rivolto verso destra, parte, indubbiamente, della scena di Daniele condannato ad bestias, ben nota all’iconografia cristiana, soprattutto di ambito funerario (fig. 3).15 La scena, ispirata all’episodio biblico riportato nel libro attribuito allo stesso Daniele (Dn 6, 11-25), presenta di norma il profeta nudo affiancato dai due leoni che, secondo l’ordine impartito del re Dario, l’avrebbero dovuto sbranare per punirne il rifiuto di adorare il sovrano; del racconto biblico viene colto, analogamente a quanto si verifica nella trasposizione figurata di altri episodi derivati dal Vecchio e Nuovo Testamento, il momento più significativo, quello cioè che presenta il profeta ormai salvo, come indicano la postura dei leoni, ammansiti grazie all’intervento divino, e l’atteggiamento dello stesso Daniele, rappresentato con le braccia aperte e le mani rivolte al cielo, a significare lo stato di grazia nel quale si è venuto a trovare in forza della preghiera rivolta a Dio.16 Un’altra scena figurata, di difficilissima lettura a causa del distacco quasi totale dell’intonaco, ornava la lunetta 10. A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., pp. 367-369. 11. A.M. Nieddu, La pittura paleocristiana in Sardegna: nuove acquisizioni, in «Rivista di Archeologia Cristiana» 72, 1996, pp. 245-283, in particolare pp. 274-276; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., pp. 376-378. 12. A.M. Nieddu, La pittura paleocristiana cit., pp. 253-260; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., p. 367. 13. Per la gamma di significati di questa immagine si rimanda, in sintesi, a F. Bisconti, s.v. “Buon Pastore”, in Temi cit., pp. 138-139. 14. Vedi la tav. I nel contributo di R. Martorelli in questo stesso volume. 15. A.M. Nieddu, La pittura paleocristiana cit., pp. 266-270; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., pp. 373-374. 16. M. Minasi, s.v. “Daniele”, in Temi cit., pp. 162-164. 84 s. antioco Patrono della Sardegna dell’ampio arcosolio che si apre nella parete meridionale dell’ambiente C; 17 vi si individua, nel settore destro, parte di un corpo tondeggiante di colore marrone-ocra che emerge da una distesa d’acqua (fig. 4), nel quale è forse possibile riconoscere un elemento paesaggistico o, secondo una recente proposta, la parte posteriore di un cervo accosciato, nell’atto di abbeverarsi ad una fonte.18 La raffigurazione era corredata da un’iscrizione dipinta in nero nel settore alto della lunetta; del testo rimangono, superstiti, le sole lettere [---]e vibas (fig. 5), parte di un’espressione nella quale al nome del defunto, purtroppo andato perduto, era verosimilmente associato l’augurio di vita eterna o nella pace di Cristo.19 Completava la decorazione di questo sepolcro una colorata distesa di festoni e boccioli rossi sparsi nel sottarco, nella fronte e nel parapetto, che creavano intorno al defunto una festosa atmosfera tesa a richiamare, come già si è detto, l’augurata beatitudine nel mondo ultraterreno. La tappezzeria di fiori e festoni non era limitata, peraltro, solo alle superfici dell’arcosolio, ma si estendeva senza soluzione di continuità anche sulle pareti e sulla volta dell’ambiente C, come lasciano intendere i frammenti di intonaco dipinto a larghi fascioni che ancora aderiscono alla parete occidentale del vano, danneggiata dal successivo addossamento di cassoni funerari in muratura, e nell’angolo sud occidentale del soffitto, dove si conserva parte di un girale vegetale desinente in fiori rossi (fig. 6).20 Ancora un semplice tema floreale dominava la decorazione dell’arcosolio aperto nella parete settentrionale del piccolo corridoio L,21 difficilmente accessibile e dunque non inserito, al momento, nel circuito di visita della catacomba. Della pittura che rivestiva le superfici del sepolcro si conserva un tratto nel settore destro del sottarco, dove, delimitati da fascioni colorati che definiscono l’imboccatura dell’arcosolio, sono tracciati alcuni lunghi steli desinenti in boccioli rossi (fig. 7). Decorazioni dipinte dovevano interessare, infine, in più punti, diversi sepolcri dell’ambiente E.22 Il Taramelli, descrivendo questo vano, ricorda “quattro grandi sarcofagi ... costrutti in lastre di arenaria e poi rivestiti completamente da uno spesso strato di intonaco, parzialmente colorato da dipinti”;23 di tali tombe a cassa, delineate in un disegno pubblicato dal Taramelli e smantellate in occasione di successive indagini, si è conservata solo quella addossata alla parete settentrionale del diaframma di roccia che divideva in origine il vano in due settori. Le superfici esterne sono rivestite da un uniforme intonaco bianco ornato da un semplicissimo motivo a riquadri affiancati ottenuti con fasce concentriche rosse, gialle, azzurre (fig. 8);24 con tale motivo si è forse inteso riproporre, 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Vedi la tav. I (C/VII) nel contributo di R. Martorelli in questo stesso volume. R. Coroneo, Pittura in Sardegna cit., pp. 37-38, 49, fig. 4. A.M. Nieddu, La pittura paleocristiana cit., p. 267; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., p. 372. L. Porru, Riesame delle Catacombe cit., pp. 32-33; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., p. 372. Vedi la tav. I nel contributo di R. Martorelli in questo stesso volume. Vedi la tav. I nel contributo di R. Martorelli in questo stesso volume. A. Taramelli, Sardegna. II. S. Antioco cit., p. 346. L. Porru, Riesame delle Catacombe cit., p. 34; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., p. 371; R. Coroneo, Pittura in Sardegna cit., p. 38. Capitolo VI 85 nella maniera più economica e veloce possibile, una decorazione a finte lastre di marmo, quale spesso si riscontra in ambienti funerari coevi. L’esecuzione delle pitture può collocarsi nel corso del IV secolo, epoca alla quale è da ascrivere, con ogni probabilità, la prima fase della rioccupazione dei preesistenti ipogei punici da parte della locale comunità cristiana: con tale datazione ben si accordano, oltre che i temi figurati degli arcosoli B/II e C/VIII (l’immagine del Buon Pastore e la scena di Daniele tra i leoni), anche i larghi fascioni che delimitano tutte le superfici decorate, così come l’iscrizione dipinta nell’arcosolio C/VII, che pare trovare confronto con formule di augurio particolarmente diffuse nell’epigrafia funeraria proprio nel IV secolo.25 25. Cfr. A.M. Nieddu, La pittura paleocristiana cit., pp. 269-270; A.M. Nieddu, L’arte paleocristiana cit., p. 374. 87 Capitolo VI Capitolo VII La basilica di Sant’Antioco Roberto Coroneo Università degli Studi di Cagliari Storia degli studi e delle ricerche L VII a basilica di Sant’Antioco sulcitano ha dato il nome all’isola e al centro di Sant’Antioco, che occupa il sito dell’antica città di Sulci, principale porto d’imbarco del piombo argentifero estratto nell’entroterra. Di fondazione fenicia (metà dell’VIII secolo a.C.), la città aveva la necropoli punica (VI-II secolo a.C.) e quella romano-imperiale (fine del I-IV secolo d.C.) sulle pendici del mont’e Cresia e nella zona alta dell’abitato moderno, dove camere funerarie fenicio-puniche furono adattate a catacombe cristiane e al santuario ipogeo, cui si accede dalla chiesa del martire locale. La basilica di Sant’Antioco è menzionata nella documentazione archivistica fin dall’età medievale. Nel 1089 il monasterium sancti Anthioci venne donato dal giudice cagliaritano Costantino-Salusio II de Lacon-Gunale ai Vittorini di Marsiglia, assieme alla chiesa riconsacrata dal vescovo sulcitano Gregorio nel 1102. Non si hanno dati certi sullo spopolamento del sito, sopravvissuto come centro devozionale fino al 1615, quando l’arcivescovo di Cagliari Francisco De Esquivel ordinò una ricognizione nel santuario ipogeo, per confutare il preteso rinvenimento delle reliquie di Sant’Antioco a Porto Torres e dimostrare la tradizione, che sulla scorta dell’iscrizione del vescovo Pietro le ubicava nel sarcofago-altare entro cui si verificò l’inventio. Queste e altre notizie si rintracciano nelle opere manoscritte e a stampa dal XVII secolo ai giorni nostri. Tutte si riferiscono però alla sede del culto del protomartire Antioco e dell’antica diocesi sulcitana, mentre nessuna si sofferma sull’edificio. Per leggere le prime proposte interpretative della chiesa bisogna arrivare agli inizi del XX secolo. L’ingegner Dionigi Scano, nella sua opera Storia dell’Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, pubblicata nel 1907 e fondamentale per lo studio dei monumenti medievali sardi, si chiedeva se fosse possibile “immaginare” nella chiesa di Sant’Antioco forme bizantine. La sua risposta non è affermativa, tuttavia a suo parere “tutto induce a ritenere che queste esistessero e ne sono prova alcuni elementi costruttivi”.1 Nello stesso anno l’archeologo Antonio Taramelli, nel pubblicare un articolo sulle epigrafi bizantine del meridione sardo,2 affrontava la lettura e l’interpretazione storica dell’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella (inizi dell’XI secolo), tre frammenti della quale erano murati nella parte retrostante dell’altare maggiore della chiesa. Taramelli ne riconosceva l’importanza, dovuta alla possibilità di individuare nei tre nomi gli esponenti di quella locale aristocrazia 1. Dionigi Scano, Storia dell’Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari-Sassari, Gaetano Montorsi, 1907, p. 50. 2. Antonio Taramelli, “Di alcuni monumenti epigrafici bizantini della Sardegna”, in Archivio Storico Sardo, III, 1907, pp. 83-86. 88 s. antioco Patrono della Sardegna bizantina, da cui provennero i primi giudici di Cagliari. Nessuna conclusione vien tratta rispetto alla possibilità che la chiesa al cui decoro l’iscrizione era destinata conservi strutture architettoniche di età bizantina. Altra tappa fondamentale della storiografia isolana è costituita dalla monografia dello storico dell’arte Raffaello Delogu sull’Architettura del Medioevo in Sardegna (1953).3 In essa lo studioso propose una lettura della chiesa che la colloca tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, come ricostruzione di un edificio più antico, al quale riferì tanto l’iscrizione del vescovo Pietro, quanto l’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella. I dati documentari sui quali Delogu poggia la sua tesi sono rappresentati dalla donazione del santuario ai monaci vittorini di Marsiglia entro il 1089 e dalla riconsacrazione della chiesa nel 1102. I dati tecnico-formali sono rappresentati dal carattere massiccio delle murature e dal tipo di cupola, che a suo avviso sarebbe simile ad analoghe soluzioni del meridione francese, cosa che confermerebbe la ricostruzione della chiesa a opera di maestranze franco-provenzali giunte in Sardegna al seguito dei Vittorini. In un articolo uscito nel 1970 la storica dell’arte Renata Serra diede invece una lettura radicalmente diversa.4 Rilevò anzitutto che l’errore interpretativo del Delogu poteva esser giustificato dal fatto che lo studioso vedeva la chiesa di Sant’Antioco nell’aspetto che aveva assunto a seguito di ripetute operazioni di intonacatura delle murature (fig. 1), con conseguente impossibilità di distinguere le strutture originarie da quelle di ampliamento. La totale rimozione degli intonaci interni (fig. 2), a seguito dei danni subiti dall’edificio nel corso di un nubifragio nel 1966, permise invece alla studiosa di avanzare una diversa ipotesi interpretativa. Secondo la Serra, la chiesa di Sant’Antioco conserva un nucleo originario di età tardoantica, costituito dal corpo cupolato, che risulta simile a quelli relativi alla fase d’impianto della basilica di San Saturnino a Cagliari e della chiesa di San Giovanni di Sinis, edifici che – in accordo con le datazioni del Delogu – la studiosa colloca nel V secolo. Questo primo nucleo della basilica di Sant’Antioco sarebbe da rapportare a un edificio a pianta centrale, cruciforme cupolato, che in seguito sarebbe stato ampliato a pianta longitudinale con l’aggiunta dell’aula trinavata e delle due absidi. L’apporto contributivo di Renata Serra non si limita all’analisi dell’edificio, riproposta negli stessi termini nel 1989 in una monografia a firma di più autori5 e in un’opera di vastissima diffusione internazionale,6 ma comprende anche la disamina di numerosi frammenti scultorei in marmo, databili fra il VI e l’XI secolo, parte dell’arredo liturgico andato in seguito smembrato. Nel 1986 l’architetto Osvaldo Lilliu pubblica uno studio nel quale propone spunti inediti di interpretazione del martyrium di Sant’Antioco.7 Risultano di particolare interesse i grafici che accompagnano lo studio del sistema 3. Raffaello Delogu, L’architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, La Libreria dello Stato, 1953, pp. 28, 51-54, fig. 7, tav. XXIX. 4. Renata Serra, “La chiesa quadrifida di S. Elia a Nuxis (e diversi altri documenti altomedievali in Sardegna)”, in Studi Sardi, XXI, 1968-70, pp. 41-42, 52-55, tav. XI. 5. Renata Serra, “La Chiesa Martyrium dall’impianto monumentale al 1102”, in Leone Porru, Renata Serra, Roberto Coroneo, Sant’Antioco, Le Catacombe, La Chiesa Martyrium, I frammenti scultorei, Cagliari, Stef, 1989, pp. 86-119. 6. Renata Serra, La Sardegna. Italia romanica, Milano, Jaca Book, 1989, pp. 333-335. 7. Osvaldo Lilliu, Il martyrium di S. Antioco nel Sulcis. Lettura iconologica e di tecnica costruttiva di un grande organismo cupolato altomedioevale in Sardegna, Cagliari, Santuario S. Antioco [1986]. 89 Capitolo VI 1 2 3 Fig. 1. Sant’Antioco, basilica, l’aula prima del 1966 (foto Labord, Università di Cagliari). Fig. 2. Sant’Antioco, basilica, l’aula dopo il 1966 (foto Labord, Università di Cagliari). Fig. 3. Sant’Antioco, basilica, planimetria (foto Labord, Università di Cagliari). 90 s. antioco Patrono della Sardegna strutturale della grande cupola. L’analisi dei metodi costruttivi, in particolare delle possenti arcate, dei raccordi a trombe a quarto di sfera e del tiburio, consente allo studioso di confrontare la chiesa sulcitana con le altre due cupolate altomedievali della Sardegna (San Saturnino di Cagliari, San Giovanni di Sinis presso Cabras), segnalando analogie ma anche marcate differenze. Nella stessa monografia del 1989 che ospita il saggio di Renata Serra sulla chiesa è compreso anche il contributo di Leone Porru sulle catacombe di Sant’Antioco.8 Porru ricostruisce la genesi del santuario del martire sulcitano. Il nucleo generatore, entro il IV secolo, è rappresentato dalla cosiddetta “cripta”, in pratica un ambiente di pianta semicircolare, al quale in origine si accedeva non dalla chiesa (come oggi) bensì da un ingresso indipendente, poi obliterato. In questo ambiente venne deposto Antioco e la prova si ha non solo nel fatto che le sepolture terragne vi si affollano, nel desiderio di deporre il defunto quanto più vicino al santo, ma anche nel giro di colonne che segna un percorso devozionale. Dalla cripta si passa poi alle catacombe, con deposizioni di vario tipo. La rete di cunicoli e di ambienti funerari cristiani venne ricavata abbattendo i setti divisori delle originarie tombe a camera fenicio-puniche in modo da metterle in comunicazione reciproca, fra il IV e il VII secolo. Porru non entra nel merito della cronologia dell’edificio monumentale che sorse sopra le catacombe, ma apporta un contributo rispetto alla lettura dell’iscrizione del vescovo Pietro, da riferire al decoro marmoreo della chiesa. La disamina archeologica del sito viene proseguita e ampliata da Anna Maria Giuntella e Letizia Pani Ermini nella parte dedicata all’antica Sulci in un contributo di sintesi sui contesti topografici cristiani della Sardegna tardoromana e altomedievale, 9 in particolare rispetto alla focalizzazione del rapporto fra il complesso episcopale e la città antica. Si evidenzia il ruolo poleogenetico svolto dal santuario martiriale che, inizialmente extraurbano per via che la primitiva memoria segnava il luogo della sepoltura in area cimiteriale fuori dalle mura, finisce per attrarre la popolazione che attorno vi costruisce le proprie case, per cui si ha un fenomeno di graduale abbandono dell’area della città antica e una nuova polarizzazione della stessa nell’area del santuario del martire, come appunto a Sant’Antioco. Letizia Pani Ermini torna sulla tematica e sulla problematica legata a Sulci nel 1995,10 in un contributo specifico, declinato su diversi aspetti: le fonti, che tramandano la notizia della partecipazione di un vescovo sulcitano, Vitalis, al concilio di Cartagine del 484, testimoniando l’avvenuta erezione a sede episcopale; la situazione topografica del luogo, in cui oltre al santuario martiriale si trovava anche una fortezza probabilmente giustinianea, il Castello Castro, andata distrutta; il rapporto fra il martyrium e la cattedrale. La stessa tematica viene ripresa, approfondita e inserita nel più ampio contesto sardo altomedievale da Pier 8. Leone Porru, “Riesame delle catacombe, Nuove osservazioni e rilievi”, in Leone Porru, Renata Serra, Roberto Coroneo, Sant’Antioco, Le Catacombe, La Chiesa Martyrium, I frammenti scultorei, Cagliari, Stef, 1989, pp. 13-83. 9. Anna Maria Giuntella, Letizia Pani Ermini, “Complesso episcopale e città nella Sardegna tardo romana e altomedievale”, in Il suburbio delle città in Sardegna: persistenze e trasformazioni. Atti del III Convegno di studio sull’archeologia tardoromana e altomedievale in Sardegna (Cuglieri, 28-29 giugno 1986), Taranto, Scorpione, 1989, pp. 69-73, fig. 3. 10. Letizia Pani Ermini, “Sulci dalla tarda antichità al medioevo: note preliminari di una ricerca”, in Carbonia e il Sulcis. Archeologia e territorio, a cura di V. Santoni, Oristano, S’Alvure, 1995, pp. 366-369, figg. 5-6. Capitolo VI 91 Giorgio Spanu, sia nella sua monografia sulla Sardegna bizantina tra VI e VII secolo,11 sia in quella sui Martyria Sardiniae. I santuari dei martiri sardi,12 pubblicate rispettivamente nel 1998 e nel 2000. Chi scrive il presente contributo ha studiato in particolare i frammenti scultorei, derivanti dallo smembramento degli arredi liturgici della chiesa,13 ma ha avuto modo di entrare poi nel merito dell’interpretazione e della datazione dell’edificio, avanzando una tesi che accoglie gli elementi di lettura indicati da Renata Serra ma si discosta dalla sua proposta in quanto l’epoca d’impianto della struttura cruciforme cupolata viene posticipata dal V al VI-VII secolo,14 in analogia con quanto proposto per San Saturnino di Cagliari e San Giovanni di Sinis. Il passaggio dalla planimetria centrale a quella longitudinale, già collocato tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo,15 in rapporto alla donazione ai Vittorini, è però da anticipare ai secoli precedenti, senza ulteriore possibilità di definirne l’esatta cronologia. In un contributo di complessiva rilettura delle architetture cruciformi della Sardegna bizantina16 si è presentata una proposta organica di collocazione cronologica e d’ambito storico-culturale del santuario nella sua fase d’impianto monumentale, avanzando l’ipotesi della sua derivazione dal modello martiriale per eccellenza, rappresentato dall’Apostoleion di Costantinopoli nella sua fase di ricostruzione giustinianea, conclusa entro il 550. Lungo queste stesse coordinate conduce una ricerca organica e approfondita Mark J. Johnson, studioso statunitense che al patrimonio architettonico della Sardegna bizantina ha già dedicato un articolo negli atti di un convegno tenutosi a Mosca nel 1991,17 e che ha ora in preparazione una monografia sull’argomento. 11. Pier Giorgio Spanu, La Sardegna bizantina tra VI e VII secolo, Oristano, S’Alvure, 1998, pp. 49-53, figg. 32-38. 12. Pier Giorgio Spanu, Martyria Sardiniae. I santuari dei martiri sardi, Oristano, S’Alvure, 2000, pp. 93-95. 13. Roberto Coroneo, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro, Poliedro, 2000, pp. 93-101, figg. 29-30, pp. 237-257. 14. Roberto Coroneo, Renata Serra, Sardegna preromanica e romanica, Milano, Jaca Book, 2004, pp. 52-59, figg. 18-20. 15. Roberto Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ’300. Storia dell’arte in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 1993, p: 35, sch. e figg. 3. 16. La chiesa altomedievale di San Salvatore di Iglesias. Architettura e restauro, a cura di Roberto Coroneo, Cagliari, Scuola Sarda, 2009. 17. Mark J. Johnson, “The Cruciform Churches of Sardegna and the Transmission of Architectural Form”, in Acts XVIIIth International Congress of Byzantines Studies. Selected Papers, III, Art History, Architecture, Music (Moscow, 1991), Sheperdstown, Byzantine Studies Press, 1996, p. 403. 92 s. antioco Patrono della Sardegna La basilica L a chiesa di Sant’Antioco si sviluppa attualmente a pianta longitudinale, con ingresso a ovest e altare a est. L’asse di simmetria bilaterale è perfettamente orientato lungo la direttrice ovest-est, segno che, quando la chiesa venne eretta, nel sito non preesisteva alcun edificio che impedisse di rilevare l’esatto punto in cui sorge il sole, peraltro ben visibile in quanto il santuario occupa la sommità della collina. L’ingresso all’aula si pratica attraverso due passaggi: uno è il portale aperto nel XVII secolo lungo il fianco nord della chiesa medievale, l’altro il portale della facciata. Il fianco nord non è visibile all’esterno a causa dell’addossarsi dell’ex Palazzo municipale (primi decenni del XX secolo), oggi adibito a biblioteca comunale. Proprio all’interno di quest’ultima è però possibile osservare estesi tratti del paramento murario della chiesa medievale, in grandi blocchi di pietra vulcanica. Stesso paramento murario si vede anche lungo il fianco sud, anch’esso non osservabile dall’esterno a causa dell’addossarsi di un ambiente aggiunto in epoca successiva alle fasi medievali. Dai locali della biblioteca si può anche avere una visione ravvicinata delle coperture e in particolare della cupola, contenuta per metà entro il tiburio (fig. 4). L’accesso a un cortile ubicato a est permette infine di analizzare le caratteristiche della muratura esterna delle absidi, in pietra da taglio non regolare, concluse da catino con estradosso rientrante rispetto al filo dell’imposta. La prima campata appartiene a un ampliamento dell’aula medievale, realizzato probabilmente tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo. La facciata fu realizzata forse su disegno dell’ingegnere piemontese Saverio Belgrano di Famolasco (1761-69). Ha sobrie forme improntate al linguaggio tardomanierista e risultava certo più gradevole, benché degradata, con i suoi colori tenui (verde pallido, rosa, celeste, giallo canarino), coerenti con la moda settecentesca e purtroppo sostituiti, nell’ultimo restauro, con intonaci di tonalità accese che stridono con il disegno complessivo. La linea del prospetto medievale doveva correre appena al di là della prima campata che, come si è detto, assieme all’attuale facciata è frutto di un ampliamento tardo. La facciata medievale si impostava su una muratura più antica, non perfettamente perpendicolare all’asse principale della chiesa. Forse appartenente alle mura fenicio-puniche o romane di Sulci, questa muratura è costituita da grossi blocchi di pietra vulcanica con la lavorazione a bugna tipica degli apparati di fortificazione.18 L’aula pertinente alla chiesa medievale si sviluppa secondo un impianto approssimativamente a tre navate. 18. Roberto Manno, “Chiesa parrocchiale di S. Antioco”, in Materiali per una topografia urbana. Status quaestionis e nuove acquisizioni. V Convegno sull’archeologia tardoromana e medievale in Sardegna (Cagliari-Cuglieri, 24-26 giugno 1988), Oristano, S’Alvure, 1995, p. 96. 93 Capitolo VI 4 Fig. 4. Sant’Antioco, basilica, tiburio (foto Labord, Università di Cagliari). 5 Fig. 5. Sant’Antioco, basilica, transetto nord (foto Labord, Università di Cagliari). 94 s. antioco Patrono della Sardegna L’irregolarità è anche dovuta alla necessità di utilizzare da un lato, presumibilmente, murature preesistenti, dall’altro blocchi di pietra vulcanica di notevoli dimensioni, che hanno imposto alcune soluzioni strutturali, come ad esempio l’ampiezza assai ristretta della navata sinistra. Le coperture sono rappresentate in ogni caso da volte in pietra, anche qui con soluzioni che risolvono volta per volta problemi specifici. I setti divisori risultano molto spessi e forati da basse e tozze arcate apporssimativamente semicircolari, impostate su massicci pilastri a sezione quadrangolare. La tecnica costruttiva fa constatare un innalzamento del livello qualitativo in corrispondenza del transetto (fig. 5), che rappresenta probabilmente il residuo della prima chiesa a pianta centrale, mentre l’aula deriva da un ampliamento longitudinale della stessa, con ricostruzione del braccio ovest di un’ipotetico organismo cruciforme. Quanto alla precisa configurazione planimetrica di quest’ultimo, sono possibili due ipotesi: o si trattava di una chiesa a croce libera, o di una chiesa a croce inscritta. Nel primo caso i fianchi sarebbero stati successivamente forati da arcate, come potrebbe dedursi in particolare nell’area corrispondente alla camera angolare nordest, absidata; nel secondo caso le arcate sarebbero originarie. Non è facile decidere, anche per via del fatto che in ogni modifica strutturale è stato utilizzato, nei secoli medievali, lo stesso tipo di materiale litico (conci parte in pietra basaltica, parte in calcare e arenaria). Il nucleo più rilevante dell’edificio è costituito dal corpo centrale cupolato (figg. 6-7). Si tratta di una struttura basata su un perimetro quadrato. Sugli angoli si elevano quattro massicci pilastri, dai quali spiccano altrettante ampie arcate. Si ottiene così il piano dì imposta della cupola, la cui circonferenza deve però essere raccordata al quadrato di base. La soluzione adottata nella chiesa di Sant’Antioco è rappresentata dalle trombe (fig. 8). In pratica si operò gettando degli archetti trasversali e trasformando così il quadrato in ottagono, figura più vicina al cerchio, in modo da poter avere una superficie di appoggio continua lungo tutta l’imposta della cupola sul vano quadrato. All’interno degli archetti fu costruito un quarto di sfera. Gli archetti spiccano da coppie di mensola a guscio di tartaruga (a ovest) e a zampa leonina (a est). La soluzione determina l’innalzamento del livello di imposta della cupola, per mezzo di un tiburio a pareti dritte, nelle quali si aprono le quattro finestre, una in direzione di ogni punto cardinale (fig. 9). Verso est si apre l’abside maggiore, affiancata da una minore, che si affaccia nella camera angolare nordest. Nella corrispondente zona a sudest non si trova un’altra abside minore, in posizione simmetrica alla prima. L’anomalia è dovuta al fatto che l’innalzamento del livello pavimentale, a causa della cripta sottostante, di fatto ostacolava la realizzazione di strutture murarie. Oggi da questo lato del presbiterio si accede alla sacrestia. 95 Capitolo VI 6 7 8 Fig. 6. Sant’Antioco, basilica, transetto sud (foto Labord, Università di Cagliari). Fig. 7. Sant’Antioco, basilica, corpo cupolato (foto Labord, Università di Cagliari). Fig. 8. Sant’Antioco, basilica, raccordi a tromba (foto Labord, Università di Cagliari). Fig. 9. Sant’Antioco, basilica, cupola (foto Labord, Università di Cagliari). 9 96 s. antioco Patrono della Sardegna Aspetti e problemi I l luogo ipogeo della sepoltura di Antioco, che la tradizione agiografica vuole medico di provenienza africana, testimone della fede cristiana a Sulci sotto l’imperatore Adriano nel II secolo, poteva trovarsi fin dall’origine nell’ambiente dove ancora oggi si riconosce il sarcofago-altare del santo, nella “cripta” all’ingresso delle catacombe, utilizzate dal IV al VII secolo. Forse tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, quando il santuario passò ai monaci vittorini, questo luogo venne monumentalizzato con un giro di colonne, che crea attorno al sarcofago-altare un deambulatorio utile a disimpegnare il flusso devozionale. In parallelo dovette sorgere nell’area una chiesa dedicata al santo martire, che ebbe funzione di cattedrale fra il V e il XII secolo. Nessun documento specifica però il titolo della cattedrale di Sulci, prima della lettera del 1218, con cui papa Onorio III prende atto del trasferimento del vescovo nella chiesa di Santa Maria a Tratalias, ribadendo però che la sede della diocesi sulcitana è stabilita da antica data a Sulci. A favore dell’identità fra la cattedrale di Sulci e la chiesa di Sant’Antioco vanno la recente scoperta di un possibile fonte battesimale e l’ubicazione del complesso martiriale nella zona cimiteriale fuori le mura, urbanizzata per la funzione poleogenetica esercitata dal centro episcopale, distinto dal Castello Castro, fortezza oggi distrutta.19 Non si hanno dati per stabilire l’istituzione della diocesi sulcitana.20 La notizia documentaria relativa alla partecipazione di Vitalis al concilio di Cartagine del 484 presuppone che a quella data Sulci fosse già sede vescovile. Nemmeno possiamo affermare qualcosa di preciso sulla configurazione architettonica della più antica cattedrale, dato che la basilica non conserva residui dell’ipotetica chiesa esistente nel V secolo. Della sua esistenza sono però indizio alcuni frammenti scultorei, fra cui un pluteo a squame del V-VI secolo, murati nella basilica o recuperati nella sua area. Il nucleo più antico della basilica medievale è rappresentato dal corpo cupolato e dal transetto, in realtà costituito dai bracci nord e sud di un grande organismo cruciforme. Il modello per questa chiesa sembra potersi identificare nell’Apostoleion costantinopolitano, la chiesa dedicata ai Santi Apostoli che Giustiniano fece riedificare fra il 536 e il 550.21 Distrutto poco dopo la conquista turca di Costantinopoli del 1453, l’Apostoleion doveva presentare una pianta a croce con cinque cupole, una all’incrocio dei bracci e le altre elevate una in ogni braccio. Collegato al 19. Renata Serra, “La possibile memoria di una fortezza bizantina in Sardegna, Il Castello Castro nell’isola di Sant’Antioco”, in Archivio Storico Sardo, XXXVI, 1989, pp. 83-90. 20. Raimondo Turtas, “La diocesi di Sulci tra il V e il XIII secolo”, in Sandalion, 18, 1995, pp. 147-170. 21. Richard Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino, Einaudi, 1986, pp. 273-274. Capitolo VI 97 mausoleo di Costantino e ad altre strutture ospitanti le tombe degli imperatori bizantini, fin dall’epoca della sua erezione l’Apostoleion si impose come punto di riferimento per edifici sia orientali sia occidentali. In particolare diversi edifici vennero progettati mantenendo la pianta cruciforme e la cupola centrale, ma rinunciando alle altre, sostituite da meno impegnative volte a botte. Pur con le differenze derivanti da consuetudini tecnico-formali di tradizione locale – per esempio, la muratura in pietra da taglio anziché in mattoni, tipica degli edifici ecclesiastici di Costantinopoli – è proprio da questa interpretazione del modello dell’Apostoleion che sembrano discendere anche le tre grandi chiese cruciformi cupolate della Sardegna bizantina – San Saturnino di Cagliari, San Giovanni di Sinis, Sant’Antioco – la cui datazione deve dunque precisarsi non prima del 534 (riconquista giustinianea della Sardegna) e probabilmente non oltre la metà del VII secolo. Nella descrizione della chiesa si è detto che il suo asse longitudinale corre esattamente da ovest a est e che la cupola su tamburo ottagonale è raccordata al piano quadrato d’imposta mediante trombe angolari i cui archetti poggiano su peducci scolpiti a forma di guscio di tartaruga (le due coppie a ovest) e di zampa leonina (le due coppie a est). Nella figurazione cristiana, il leone assume valenza duplice, positiva ma anche negativa; più frequentemente, svolge un ruolo apotropaico, se a guardia del portale d’ingresso al luogo sacro, mentre nell’aula è figura di Cristo. La tartaruga è antico simbolo della cosmologia indiana, ma anche l’animale che nei mosaici pavimentali di Aquileia lotta con il gallo, figura anch’esso di Cristo. Nell’opposizione tartaruga-leone potrebbe cogliersi un riferimento all’opposizione fra l’occidente e l’oriente, le tenebre e la luce, Lucifero e Cristo, ma anche alla lotta fra eresia e ortodossia, in relazione dunque alla necessità di riconvertire al culto cattolico una chiesa caduta in mano ariana, il che porterebbe ad avallare per l’impianto cupolato una datazione successiva al 534 ma poco discosta dalla metà del VI secolo, nel clima cioè di restaurazione politico-religiosa che fece seguito alla riconquista giustinianea della Sardegna.22 Ma si potrebbe anche prospettare uno scenario diverso, riferendo la lotta fra eresia e ortodossia all’episodio tramandato nei primi fogli di un codice dell’XI secolo, custodito in un monastero del Monte Athos, e relativo alla rinuncia della dottrina del ditelismo da parte del vescovo sulcitano Euthalios, che fra il 663 e il 681 ritorna al monotelismo.23 Se è al momento della sua professione di fede che bisogna ancorare l’impianto cupolato della basilica di Sant’Antioco, allora occorre posticiparlo ulteriormente, collocandolo al tempo appunto di Eutalio, che resse la diocesi sulcitana nella seconda metà del VII secolo. Senza contare l’eventualità che il riferimento sia ad altra, non documentata nelle fonti superstiti, specifica congiuntura in cui eresia e ortodossia giunsero a contrapporsi nella sede episcopale sulcitana o comunque in Sardegna, determinando l’esigenza di un ripristino del culto cattolico sottolineata dalla ricostruzione della chiesa eretta sul martyrium del protomartire locale Antioco. 22. Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, Città Nuova, 1999, pp. 100-101. 23. Bacchisio Raimondo Motzo, “Barlumi dell’età bizantina in Sardegna”, in Studi di storia e filologia, Cagliari, Reale Università, 1927, pp. 64-97. 99 Capitolo VIII Capitolo VIII VIII CIL X, 7533: l’iscrizione di Antioco Antonio M. Corda Università degli Studi di Cagliari L’ epigrafe di Antioco, attualmente conservata presso il Duomo di Iglesias, venne rinvenuta nella catacomba a lui dedicata a Sulci il 18 marzo 16151 in un momento storico che, se per certi aspetti fu particolarmente esaltante per lo studio delle “antichità cristiane”, per altri viene ricordato come uno dei più negativi nella storia degli studi storici della Sardegna. Se è vero infatti che a questo periodo si può in qualche modo far risalire, sia pure con un po’ di generosità, la nascita dell’archeologia cristiana in Sardegna non si può d’altra parte nascondere come questo felice evento sia stato funestato da una delle più grandi opere di falsificazione sistematica mai operate nel settore archeologico e segnatamente epigrafico.2 Senza entrare nei dettagli di una disputa che, com’è evidente, non fu proprio dottrinale e che ebbe come attori i vescovi delle due maggiori diocesi sarde, deve essere ricordato come la causa della manipolazione dei dati di scavo relativi alle invenciones di sancti innumerabiles3 fosse una questione relativa al titolo primaziale. In questo contesto la diocesi sulcitana non ha nulla a che fare se non per aver condiviso in quel momento lo stesso vescovo e perché questa iscrizione, assolutamente genuina, fu edita per la prima volta in un’opera inzeppata di iscrizioni false. La rilevanza di questa epigrafe, oltre che per gli ovvi aspetti devozionali legati al culto del santo, è da riferirsi principalmente al fatto che essa risulta essere a tutt’oggi la testimonianza più antica del culto di Antioco il cui nome, al contrario degli altri martiri “storici” sardi, non viene mai citato nel Martirologio Geronimiano.4 Come e perché questo testo sia stato trasferito dalla catacomba di Sant’Antioco alla cattedrale di Iglesias è abbastanza noto, così come sappiamo che autorevoli studiosi del calibro di Giovanni Spano e di Giovanni Battista de 1. Francisco (de) Esquivel, Relacion de la invencion de los cuerpos santos, que en los annos 1614, 1615 e 1616 fueron hallados en varias yglesias de la ciudad de Caller y su Arzobispado, Napoli, 1617. 2. Paola Ruggeri, Daniela Sanna, “Mommsen e le iscrizioni latine della Sardegna: per una rivalutazione delle falsae con tema africano”, Sacer, 3: III, 1996, pp. 75-104, Paola Ruggeri, Daniela Sanna, “L’epigrafia paleocristiana della Sardegna: Theodor Mommsen e la condanna delle falsae”, Sacer, 5: V, 1998, pp. 39-73; sulla figura di Theodor Mommsen da ultimo Attilio Mastino, “Il viaggio di Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori in Sardegna per il Corpus Inscriptionum Latinarum”, Convegno sul tema Theodor Mommsen e l’Italia (Roma, 3-4 novembre 2003), Roma, 2003, pp. 226-344. 3. Donatella Mureddu, Donatella Salvi, Grete Stefani, Sancti innumerabiles, Scavi nella Cagliari del Seicento: testimonianze e verifiche, Oristano, 1986. Sulla temperie culturale del periodo cfr. il contributo di Rossana Martorelli in questo volume 4. Un sintetico quadro sulla figura di Sant’Antioco in Reginald Grégoire, “Introduzione all’antica letteratura agiografica sarda”, Orientis radiata fulgore. La Sardegna nel contesto storico e culturale bizantino. Atti del Convegno di studi (Cagliari 30 novembre-1 dicembre 2007), Ortacesus, 2008, 133-176., pp. 156-157 100 s. antioco Patrono della Sardegna Rossi, il padre della moderna archeologia cristiana, se ne interessarono a più riprese.5 Delle loro riflessioni e della loro interpretazione abbiamo in eredità un fitto carteggio, collegato all’edizione di questo manufatto nel Corpus Inscriptionum Latinarum, che è attualmente conservato presso la Biblioteca Vaticana (cod. Vat. Lat. 10528).6 Già ai primi editori il testo apparve piuttosto criptico sotto l’aspetto interpretativo e il sospetto che una iscrizione così “difficile” potesse essere un falso sfiorò probabilmente i redattori del CIL. Che però il testo non provenisse ex castris falsariorum (la definizione è mutuata da Theodor Mommsen che la usò spesso in altri contesti “sardi”) lo asseverò lo stesso coordinatore dell’opera accogliendolo nel volume X pubblicato nel 1883.7 In realtà l’idea corrente, condivisa dai più, fu che si potesse trattare di una copia lapidea di cronologia indefinibile di un archetipo musivo perduto in antico.8 Da quel momento in poi l’iscrizione è stata oggetto di numerose edizioni, tra le quali fondamentale risulta la messa a punto effettuata da Leone Porru che pose in stretta relazione e in maniera chiara aspetti testuali dell’epigrafe con aspetti collegati agli arredi marmorei del complesso monumentale e, principalmente, “al corpo cupolato del martyrium”.9 Il testo è inciso su una lastra di forma rettangolare che si caratterizza per essere stata impiegata dal lapicida solo nella parte superiore. Incise sul marmo sono evidenti una croce greca (l.1) e alcune hederae distinguentes (ll. 2 e 6), utilizzate come di consueto come segno di interpunzione. La trascrizione del testo non è scevra da dubbi in quanto il lapicida, che pure doveva esservisi impegnato non poco in considerazione dell’importanza dell’iscrizione, sembra avere avuto più di un tentennamento. In l. 5 ad esempio è possibile che un’originaria incisione CVLTV SPLENDORE sia stata emendata in un secondo momento dallo stesso lapicida con l’aggiunta di una S in modulo minore che permetterebbe una lettura CVLTVS SPLENDORE. In l. 7 la lettura fidei sembra preferirsi a fide, ancorché metricamente più regolare, in quanto il carattere che taluno indica come segno di interpunzione sembra essere piuttosto una I con a fianco un errore di incisione (o un’interpunzione). 5. Quadro generale e bibliografia in Pier Giorgio Spanu, Martyria Sardiniae. I santuari dei martiri sardi, Oristano, 2000, pp. 83-85. 6. Massimo Ceresa, La Sardegna nei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, Cagliari-Città del Vaticano, 1990, p. 96, n. 77. 7. Inspiegabilmente Paolo Cugusi, Carmina Latina epigraphica provinciae Sardiniae / introduzione, testo critico, commento e indici, Bologna, 2003, p. 98, mi attribuisce una damnatio del testo citando quanto da me scritto nell’edizione del 1999 delle iscrizioni cristiane della Sardegna. Il luogo menzionato è Antonio M. Corda, Le iscrizioni cristiane della Sardegna anteriori al VII secolo, Roma-Città del Vaticano, LV, 1999, p. 173, che risulta essere relativo non a Sulci, ma ad una iscrizione di Olmedo (!). A prescindere dall’errore che possiamo supporre materiale, preciso sulla scorta di A.M. Corda, Le iscrizioni cristiane della Sardegna cit. , p. 184 che questo testo non venne inserito nella mia silloge semplicemente in quanto fuori arco temporale (il limite imposto era il VII sec.) e non perché un falso. Ritengo ora (così come ritenevo allora) che si tratti di una copia antica. Copia antica e falso sono ovviamente due cose diverse. 8. Cfr. infra nota 11 9. Leone Porru, “Riesame delle catacombe”, in Leone Porru, Renata Serra, Roberto Coroneo, Sant’Antioco. Le catacombe. La chiesa martyrium. I frammenti scultorei, Cagliari, 1989, p. 25. 101 Capitolo VIII 5 (croce) Aula micat ubi corpus beati s(an)c(t)i Anthioci quiebit in gloria (hedera distinguens) virtutis opus reparante ministro pontificis XPI (i.e. Christi) sic decet esse domum quam Petrus antistes cultus splendo= re nobabit marmoribus titulis (hedera distinguens) nobilitate fidei d(e)dicatu(m) d(ie) XII k(alendas) Febr(uarias) CIL X, 7533; CLE 919; ILCV 1791 = ILCV 2101; Leclerq c. 893; B.R. Motzo, “La donazione dell’Isola sulcitana a S. Antioco”, Archivio Storico Sardo, XIII (1920), p. 88, n. 1; Porru 1989, p. 27; Cugusi 2003, n. 3; AE 2003, 799. Apparato critico: l.2: Antiochi Cugusi; l.5: cultu Porru; l.7: fide; Motzo, Cugusi, ILCV; d(e)dicatu ILCV. La traduzione non è semplice e risente probabilmente del fatto di essere l’esito di un’epigrafe in qualche modo “incompleta”, in quanto, come abbiamo già osservato, copia di un testo precedente forse più ampio (vedi infra). Grazie all’attività di restauro di un ministro risplende l’aula dove riposa nella gloria della virtù il corpo del beato santo Antioco. Così deve essere la dimora di un pontefice di Cristo, che il presbitero (o vescovo) Pietro arredò con marmi ed iscrizioni per magnificarne il culto e per esaltarne la fede. Dalla lettura del testo si evince come l’iscrizione di Antioco sia nei fatti il perno ideale e la rappresentazione dell’immagine pubblica su cui ruota l’intero complesso monumentale sulcitano. Il testo inciso, poiché scolpito nella pietra, è infatti la rappresentazione concreta e visibile a tutti del sentimento di devozione che i pellegrini e gli abitanti di Sulci nutrivano nei confronti del santo. Che questa epigrafe fosse di grande impatto contenutistico e visivo lo dimostra il fatto che abbia ingenerato grande attenzione nella storia degli studi storico-epigrafici e che si sia imposta con la sua problematicità collegata a “originalità” e funzione. Si può intanto preliminarmente osservare come, per conferire importanza a un testo che si voleva celebrativo e solenne, siano stati usati dei versi in esametri e pentametri10 conditi da una serie di espressioni formulari e di termini 10. P. Cugusi, Carmina Latina epigraphica provinciae Sardiniae cit., n. 3. 102 s. antioco Patrono della Sardegna Fig. 1. Foto di CIL X, 7533 (da Spanu 2000) Fig. 2. Rappresentazione della tomba di Antioco con l’iscrizione in situ (Carmona) 1 2 Capitolo VIII 103 solitamente riservati nell’epigrafia cristiana a personaggi di alto profilo istituzionale e morale. Il testo in realtà va ben oltre questi concetti, giacché è evidente come ad essere celebrato nell’epigrafe sia non solo il santo, ma colui o coloro che hanno operato per abbellire e rendere maggiormente visibile la sua tomba e, più in generale, il centro di culto. L’aula risplende non solo della gloria virtutis del martire ivi deposto, ma anche dell’attività di chi si dedicò al suo abbellimento per rendere l’ambiente, chiesa e/o sepolcro, consono alla grandezza del santo. Grandezza e nobiltà che sembrano peraltro doversi riferire non solo alla fede che portò Antioco ad esserne un testimone estremo, ma anche alla fede di chi per essa si trovò ad operare sul monumento (il minister reparans di l. 3). A costoro, che nel messaggio pubblico dell’epigrafe sono i primattori, va unito idealmente chi “interagisce” con il testo e cioè il lettore che, essendo il destinatario del testo, ne è anche partecipe. Ciò che unisce tutti gli attori, collegati a diverso titolo all’epigrafe, è la fede che può essere diversa come quantità, ma che risulta identica come qualità, così da creare condivisione. Siamo quindi in presenza di un evidente esempio della funzione generale di un testo epigrafico, del rapporto empatico che una lastra incisa determina tra protagonisti dell’evento (in questo caso Antioco), committenti (la chiesa sulcitana intesa come apparato) e fruitori-lettori (il popolo dei fedeli), e, in questo caso, soprattutto della sua funzione autoritativa e di certificazione di un evento (la testimonianza del santo). Semplificando il discorso, si potrebbe dire che il testo epigrafico con la sua materialità attesta che ciò che è scritto è vero. In questo caso esso è la certificazione scritta dell’autorevolezza di Antioco come testimone della fede, dell’esistenza a Sulci di una gerarchia ecclesiastica capace di “gestire” un monumento complesso e dell’esistenza nel momento della stesura del testo di un buon numero di fedeli che, oltre ai locali, sarebbero andati in quei luoghi come pellegrini. Torniamo brevemente su una questione già proposta. L’epigrafe è originale? Se per originale si intende “antica”, la risposta è certamente sì. Diverso è invece rispondere all’interrogativo se il testo possa essere o meno la copia (antica certamente, ma non sappiamo esattamente di che periodo) di un testo preesistente. La sostanziale cripticità del testo potrebbe ad esempio essere spiegata come l’esito di una cattiva copia di un’iscrizione collocata in un altro ambiente. In questo caso l’aula citata nel testo non sarebbe la catacomba del santo, ma la domus/dimora del pontifex e cioè la sua chiesa (intesa come edificio). L’idea non è peregrina ed è stata del resto avanzata da autorevoli studiosi.11 Abbiamo inoltre qualche suggestivo confronto circa le formule e i contenuti usati nel nostro testo. Se ad esempio andiamo a leggere l’iscrizione ILCV 1766a da Roma relativa alla basilica di Filippo e Giacomo 11. Da ultimo Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, 1999, pp. 42-43; l’idea che fosse la copia di un’iscrizione musiva venne postulata già dal de Rossi (cfr. commento a CIL X, 7533) e autorevolmente riproposta da Bacchisio R. Motzo, “La passione di S. Antioco”, Studi cagliaritani di Storia e Filologia, I, 1927, pp. 98-128 e Hippolyte Delehaye, Les origines du culte des martyrs, Bruxelles, 20, 1933, p. 313. 104 s. antioco Patrono della Sardegna (poi XII Apostoli), troviamo che i due papi coinvolti nell’opera vengono così definiti e rappresentati: Pelagius coepit, complevit papa Iohannes. Unum opus amborum par micat et praemium. L’associazione splendore formale/splendore della virtù è evidente nell’iscrizione ILCV 1769 da Roma, dove leggiamo: virginis aula micat variis decorata metallis, sed plus namque nitet meritis fulgentior amplis; della stessa iscrizione abbiamo un’altra recensio nel codice Cantabrigense Kk IV,6 del XII secolo, nella quale si legge: virginis aula micat variis decorata metallis, sed plus est meritis splendida virgineis. Ciò che risplende nella domus di Antioco è quindi la luce della virtù e della fede, così come Felice IV (526-530) comandò fosse scritto nel catino absidale della chiesa dei santi Cosma e Damiano in Roma (ILCV 1784): aula dei claris radiat speciosa metalli, in qua plus fidei lux pretiosa micat. Che significano questi esempi in relazione a CIL X, 7533? La nostra iscrizione si inserisce in quel filone di testi che si affermarono intorno al IV secolo e in cui veniva esaltato l’evergetismo dei vescovi collegato agli edifici di culto, visti non solo come chiese, ma come luoghi pubblici. Ciò avveniva in un momento in cui la gerarchia ecclesiastica andava ad affermare il proprio ruolo e a colmare, principalmente a Roma, un vuoto istituzionale dovuto alla “lontananza” del potere civile dalla gente comune. Per questo motivo la prassi liturgica amministrativa (= evergetismo) tipica del mondo romano, che vedeva come attori primari il princeps e i maggiorenti locali, viene riprodotta dalla gerarchia ecclesiastica sugli edifici di culto, che da questo momento in poi diventeranno via via i veri monumenti identitari di una comunità. Non va inoltre trascurato, in relazione al nostro testo, un altro aspetto piuttosto importante. In pratica questo tipo di iscrizioni, lo abbiamo visto negli esempi precedenti, funzionava come una sorta di didascalia di un apparato figurativo normalmente di grande impatto (cfr. il già citato caso dei Santi Cosma e Damiano); una didascalia che, oltre ad essere originata da motivi devozionali, si rendeva necessaria come principium individuationis di una determinata figura all’interno di una pletora di rappresentazioni che sarebbero rimaste altrimenti sconosciute. Nel nostro caso si può quindi ipotizzare che il testo nella sua forma originaria (iscrizione musiva) fungesse da didascalia collegata direttamente a un apparato figurativo poi andato perduto.12 Alla luce di quanto esposto, si potrebbe immaginare che l’originario impianto chiesastico sulcitano fosse dotato, sul modello romano, di un ampio mosaico in cui doveva essere rappresentato il santo. Probabilmente, aggiungiamo noi, non da solo. Infatti nel testo, oltre ad Antioco, si fa esplicita menzione di un minister che opera il restauro e la cui identificazione con il vescovo di Sulci non è così scontata, dal momento che il termine era usato per i presbiteri e i diaconi più fre12. In alternativa, se si pensa cioè che questa iscrizione sia quella “originale”, si può pensare che, così come avveniva a Roma nelle chiese del suburbio (cfr. ICVR II, 4783 relativa a San Paolo fuori le mura) o nei cimiteri (ICVR IX 24313, VI secolo, santuario di Sant’Alessandro), un’iscrizione commemorativa lapidea fosse esposta da qualche parte nell’edificio. Sostanzialmente il discorso non cambierebbe granché: anche in questo caso il testo sarebbe una didascalia. Capitolo VIII 105 quentemente che per i vescovi; allo stesso modo, non sembra essere automatico il riferimento del termine pontifex al santo inumato piuttosto che, ad esempio, al vescovo titolare della sede. Non è chiaro del resto se il minister a cui si attribuisce la reparatio e l’antistes Petrus autore della novatio siano la stessa persona; se così fosse, il termine antistes, riservato di norma a presbiteri, porterebbe a escludere che si tratti di un diacono. Ove invece si distinguesse il minister dall’antistes, avremmo allora in campo quattro personaggi: a operare il restauro sarebbe un diacono sotto la “direzione artistica” dell’antistes Pietro, forse un presbitero, per conto del titolare della sede (il vescovo/pontifex) in onore del santo protettore della diocesi con lo scopo di rendere degna la domus (= chiesa) per entrambi. In questo caso nel mosaico potevano essere rappresentati questi tre personaggi (o quattro, se si include il minister) con al centro il nostro Antioco. Sulla scorta della datazione degli esempi citati il mosaico e l’iscrizione musiva originaria potrebbero essere di VI secolo, la copia lapidea posteriore di qualche secolo. 107 Capitolo IX Capitolo IX IX Gli arredi liturgici della basilica di Sant’Antioco Elisabetta Curreli Università degli Studi di Cagliari Storia degli studi e delle ricerche N el panorama degli studi sul santuario sulcitano di Sant’Antioco, che annovera una serie di importanti contributi mirati a ripercorrere le vicende costruttive dell’edificio e alla lettura degli aspetti tecnico-formali, l’interesse per i frammenti marmorei provenienti dallo smembramento dell’arredo liturgico e dalla decorazione architettonica della chiesa, risulta inizialmente marginale. La prima notizia giuntaci sui materiali pertinenti la chiesa riguarda l’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella (fig. 1), menzionata dal canonico Giovanni Spano, che la riteneva proveniente dalle rovine del non lontano Castello Castro e successivamente “trasportata nella Chiesa Parrocchiale per ornare la parte posteriore dell’altar maggiore”.1 L’e- pigrafe fu poi pubblicata parzialmente, nella cronaca del suo Itinéraire, da Alberto Della Marmora, che credette di riconoscervi “una pietra funeraria scritta in caratteri greci un po’ barbarici” per via del genitivo del nome Torkotor e dell’incisione cuoriforme all’estremità che “non può denotare altro che un’iscrizione mortuaria”.2 Questa, citata a riprova dell’esistenza di una chiesa dedicata a Sant’Antioco fin dalla metà dell’XI secolo, epoca cui è assegnata l’iscrizione, si trovava allora “posta dietro l’altare della chiesa ... a guisa d’ornamento”, ma in origine, continua lo studioso, doveva essere “sopra la tomba di un importante personaggio”, da dove venne rimossa nel 1615 in occasione dell’asportazione delle reliquie del Santo e del loro trasferimento dalla chiesa di Sant’Antioco alla cattedrale di Iglesias, contestualmente all’iscrizione del vescovo Pietro. Quest’ultima che “tramanda memoria di un restauro, o meglio di certi abbellimenti apportati alla chiesa di Sant’Antioco per volontà di un vescovo chiamato Pietro”, viene riferita dal Della Marmora all’inizio del XII secolo, identificando il promotore dei lavori con il vescovo di Sulci Pietro Pintor. L’iscrizione di Torcotorio Salusio e Nispella fu nello stesso anno ricordata da Pietro Martini3 e in seguito da altri studiosi, ma si deve attendere la fine del XIX secolo per avere qualche vago riferimento agli altri materiali scultorei pertinenti il santuario. Come tutta la scultura mediobizantina del Meridione sardo infatti, essi sono stati oggetto di attenzione tardiva da parte della critica, che nella letteratura ottocentesca ha riservato ai frammenti scultorei qualche raro cenno, prediligendo quelli epigrafici a quelli anepigrafi.4 1. 2. 3. 4. Giovanni Spano, “Descrizione dell’antica Sulci”, in Bullettino Archeologico Sardo, III, 1857, p. 79, n. 2. Alberto Della Marmora, Itinerario dell’isola di Sardegna, [1860], a cura di Maria Grazia Longhi, 1, Nuoro 1997, pp. 269-270. Pietro Martini, “Schiarimenti sull’iscrizione greca delle due mensole”, in Bullettino Archeologico Sardo, VI, 1860, p. 137. Roberto Coroneo, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, p. 8. 108 1 Fig. 1. Sant’Antioco, catacombe, iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella. Fig. 2. Sant’Antioco, collezione Biggio, frammento di ciborio con pavone. Fig. 3. Sant’Antioco, catacombe, iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella, frammento iniziale. 3 s. antioco Patrono della Sardegna 2 Capitolo IX 109 Ignazio Sanfilippo5 fu il primo a soffermarsi, in una relazione archeologica sulle catacombe, sulla presenza di alcuni “pezzi rettangolari di marmo con discreti bassorilievi” murati alle pareti della “cripta”; questa collocazione secondo lo studioso era probabilmente finalizzata alla salvaguardia dei frammenti, riconducibili a monumenti andati distrutti. Alcuni marmi vennero segnalati da Antonio Taramelli6 contestualmente all’epigrafe medioellenica “che era stata letta assai incompletamente dal Lamarmora e da lui edita”, della quale affrontò lo studio proponendone una nuova lettura. Ne dedusse che l’ubicazione dell’iscrizione, “spezzata in tre parti” e murata dietro l’altare maggiore della chiesa, non fosse quella originaria e che questa dovesse “appartenere ad un complesso architettonico considerevole, sconvolto nei secoli seguenti”. L’archeologo inoltre ipotizzò per primo un collegamento tra l’iscrizione e un frammento, all’epoca murato nella facciata e oggi nella collezione Biggio, raffigurante un personaggio che impugna un fascio di aste, nel quale proponeva di identificare il Torcotorio protospatario citato nell’epigrafe. Considerando quest’ultima contestualmente all’arredo liturgico, il Taramelli suggerì di riconoscere nei personaggi citati dall’iscrizione i rappresentanti, insigniti di cariche imperiali come quella di protospatario, della corte bizantina, “la quale ancora contava nella metà del secolo X la Sardegna fra le terre da essa dominate”. Tali conclusioni vennero ribadite l’anno successivo in un articolo sulle testimonianze epigrafiche della Sardegna7 nel quale confluirono, oltre al contributo appena analizzato, diversi altri studi pubblicati nelle Notizie degli scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei. Ancora al Taramelli8 si deve il ritrovamento e la descrizione di ulteriori elementi scultorei, rinvenuti nel corso dell’esplorazione delle catacombe, intrapresa nel 1921 insieme al suo collaboratore Francesco Giarrizzo, autore inoltre dei disegni dei frammenti a corredo della pubblicazione. L’archeologo riconobbe nei “varii frammenti di sculture bizantine” recuperati nella chiesa e nelle catacombe, i “residui di un lavoro di decorazione all’antica cripta del santo”, individuando così quest’ultima quale sede dei lavori di abbellimento di cui testimonia l’iscrizione del vescovo Pietro, il quale “onorò nel miglior modo possibile, in data incerta, ma tra il VI e l’VIII secolo, la tomba del martire sulcitano”. In quest’ottica supponeva l’esistenza di un ciborio “al di sopra del battistero o della tomba del vescovo Pietro sistemata per il martire sulcitano”, apparato al quale riconduceva un frammento di archetto “con trecciola a nodi”, recante i resti di due iscrizioni (fig. 2) e un altro più piccolo con il medesimo rilievo e iscrizioni dello stesso tipo, oggi entrambi nella collezione Biggio. 5. Ignazio Sanfilippo, Relazione sulle catacombe di Sant’Antioco, Iglesias 1892, p. 11. 6. Antonio Taramelli, “S. Antioco (Sulci) – Inscrizione bizantina nell’antica chiesa di S. Antioco”, in Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, 1906, pp. 135-138. 7. Antonio Taramelli, “Di alcuni monumenti epigrafici bizantini della Sardegna”, in Archivio Storico Sardo, III, 1907, pp. 83-86. 8. Antonio Taramelli, “S. Antioco – Esplorazione delle catacombe sulcitane di Sant’Antioco e di altri ipogei cristiani”, in Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, 1921, pp. 142-176. 110 s. antioco Patrono della Sardegna Nella sua ancor oggi fondamentale opera sull’architettura medievale in Sardegna, Raffaello Delogu9 inserì, nel capitolo dedicato ai monumenti dell’altomedioevo l’iscrizione del vescovo Pietro, il cui tenore faceva pensare a lavori svolti in età molto antica, attestando la vetustà del culto. Sulla scorta dell’intuizione del Taramelli invece associava l’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella, assegnata all’XI secolo, al frammento con la figura togata che impugna un fascio d’aste. Renata Serra10 nel pubblicare un consistente gruppo di frammenti scultorei riportati alla luce durante la rimozione di una parte del pavimento, in occasione di alcuni restauri effettuati nella chiesa tra il 1966 e il 1967, ne sottolineò l’importanza come testimonianza dell’esistenza di un arredo liturgico di epoca altomedievale nel santuario. Tra questi, due frammenti di ciborio, la cui esistenza era già nota per via di altri elementi, e tre frammenti di plutei, riferibili ad altrettanti recinti, il cui valore risiede nella chiara appartenenza a un recinto presbiteriale, attinenza fino ad allora mai così esplicita per altri materiali della medesima provenienza. Alla studiosa si deve inoltre l’individuazione di due frammenti marmorei con figure antropomorfe inseriti nella muratura a secco del recinto di una casa privata nelle campagne di Perdaxius. Ravvisandone la stretta vicinanza stilistica con il frammento raffigurante un tibicino, murato nell’altare-sarcofago della “cripta” di Sant’Antioco, la studiosa si domandava se i primi non provenissero da questo stesso complesso o se dovessero considerarsi i resti di un altro edificio altomedievale del quale si era cancellata ogni traccia. Lasciando il problema aperto, la Serra concludeva che la questione non si sarebbe potuta risolvere finché non fossero intervenuti nuovi dati a supporto dell’una o dell’altra opzione. Il riscontro a favore della provenienza dei due frammenti dal complesso sulcitano si ebbe grazie al reperimento di un ulteriore frammento combaciante con uno di quelli rinvenuti a San Giovanni Suergiu, distante circa una decina di chilometri. A Roberto Coroneo si deve il primo intervento mirato esclusivamente allo studio in senso autonomo degli elementi scultorei derivanti dallo smembramento dell’arredo liturgico e della decorazione architettonica dell’edificio.11 Il contributo, che si configura come un corpus, affronta l’analisi storico-artistica e iconografica dei frammenti, con l’inclusione di numerosi pezzi inediti. I risultati di questo studio, aggiornati e ulteriormente ampliati, sono confluiti in una pubblicazione a carattere monografico di notevole apporto, sul repertorio complessivo delle testimonianze scultoree di età mediobizantina in Sardegna.12 Altri due contributi sono andati ad ampliare il novero dei frammenti marmorei restituiti dalla chiesa di Sant’An- 9. Raffaello Delogu, L’architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, 1953, pp. 28, 39. 10. Renata Serra, “La chiesa quadrifida di S. Elia a Nuxis”, ripubblicato in Studi sull’arte della Sardegna tardo antica e bizantina, Nuoro 2004, pp. 21-47. 11. Roberto Coroneo, “Frammenti scultorei dal VI all’XI secolo”, in Leone Porru, Renata Serra, Roberto Coroneo, Sant’Antioco, Le Catacombe, La Chiesa Martyrium, I frammenti scultorei, Cagliari 1989, pp. 123-161. 12. R. Coroneo, Scultura mediobizantina cit. Capitolo IX 111 tioco. Il primo, edito nel 2003 sempre a firma di Roberto Coroneo,13 riguarda il recupero di un frammento epigrafico medioellenico (fig. 3) rimosso a causa di un cedimento strutturale dal sarcofago-altare della “cripta”, ove era stato reimpiegato presumibilmente all’occasione dell’intervento del 1615. Di questo marmo, che integra l’iscrizione di Torcotorio Salusio e Nispella composta da tre frammenti e mutila della parte iniziale, era già nota la presenza, ma la sua ubicazione non ne consentiva un’esauriente interpretazione. Il reperimento della prima parte dell’epigrafe ne ha permesso la completa lettura: Ricordati Signore del tuo servo Torcotorio protospatario e di Salusio arconte e [?] di Nispella. L’importanza del ritrovamento risiede nel recupero dell’invocazione dedicatoria iniziale, che si distingue da quella consueta delle altre epigrafi del Meridione isolano, trovando un preciso riscontro in quella campana dei plutei di Sant’Aspreno a Napoli, a riprova dei rapporti culturali tra Sardegna e Campania in età mediobizantina. Va sottolineata la necessità di considerare l’iscrizione congiuntamente alle sculture di arredo liturgico, che sono un’importante indicatore culturale del clima di produzione. Nello stesso anno Renata Serra,14 nell’auspicare nuovi possibili ritrovamenti che integrassero i frammenti già conosciuti, ha reso noti alcuni elementi scultorei recuperati in diverse occasioni, che hanno contribuito ad arricchire il già consistente corpus dei marmi pertinenti la fase altomedievale del santuario, il cui catalogo era stato intrapreso dalla stessa fin dal 1968. Da ultimo Maria Cristina Cannas15 ha proposto un’interessante rilettura iconografica delle lastre con figure antropomorfe rinvenute nel santuario sulcitano, nelle quali a partire dal Taramelli si era proposto di riconoscere la rappresentazione aulica della corte giudicale ricordata nell’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella. La storica dell’arte ravvisa nelle sculture la raffigurazione del ciclo biblico dell’Esodo, ipotizzando un parallelo di quest’ultimo con il pellegrinaggio verso il santuario di Sant’Antioco. Infine Alessandro Ruggieri ha studiato, in un articolo di recente pubblicazione, i frammenti pertinenti il ciborio, soffermandosi sulle funzioni pratiche e simboliche svolte da quest’ultimo nonché sulla lettura iconografica dei marmi.16 13. Roberto Coroneo, “Nuovo frammento epigrafico medioellenico a Sant’Antioco”, in Theologica & Historica, Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, XII, 2003, pp. 315-331. 14. Renata Serra, “Aggiunte al catalogo dei frammenti scultorei del santuario sulcitano di Sant’Antioco”, in Archivio Storico Sardo, XLIII, 2003, pp. 39-60. 15. Maria Cristina Cannas, “Le lastre marmoree di Sant’Antioco con figure umane”, in Ricerche sulla scultura medievale in Sardegna II, a cura di Roberto Coroneo, Cagliari, 2009, pp. 79-114. 16. Alessandro Ruggieri, “Il ciborio bizantino della basilica di Sant’Antioco”, in Annali dell’Associazione Nomentana di storia e archeologia, 2009, p. 155-160. 112 s. antioco Patrono della Sardegna I frammenti scultorei G li elementi scultorei che dovevano costituire l’arredo liturgico e la decorazione architettonica del santuario di Sant’Antioco sono giunti fino a noi in stato di frammenti ormai fuori contesto, per i quali risulta difficile l’interpretazione funzionale. In base all’analisi delle caratteristiche generali del singolo elemento, come forma, dimensioni, numero di facce decorate, presenza di tacche d’incastro o di ornato caratteristico, e anche grazie a confronti in ambito extraisolano, con complessi e apparati conservati nella loro integrità e coerenza originaria, è talvolta possibile riconoscerne o ipotizzarne la destinazione iniziale. L’arco cronologico di possibile pertinenza è definito sulla base della tipologia di decorazione e delle iscrizioni, quando queste siano presenti. Il santuario sulcitano ha restituito un cospicuo gruppo di materiali mutili, riconducibili a residui di ciborio, quali archetti e capitelli, di recinti presbiteriali, plutei e pilastrini, o di lastre di decorazione architettonica, come pannelli o formelle. La maggior parte di essi sono reperibili nella chiesa di Sant’Antioco e nella sua “cripta”; altri sono conservati nella collezione Biggio, dell’omonima famiglia di Sant’Antioco; due in abitazioni private e uno si trova nella collezione Pistis-Corsi del comune di Iglesias. Alcuni frammenti un tempo nella collezione dell’ex-parroco Armeni non sono più rintracciabili e risultano oggi dispersi. Il gruppo più consistente è costituito dai frammenti databili tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo e rappresenta l’insieme più cospicuo nel panorama della scultura di età mediobizantina in Sardegna, della quale si ha testimonianza anche a Cagliari, Assemini, Decimoputzu, Villasor, Donori, Ussana, Maracalagonis, Nuraminis, Samassi, Serrenti, Monastir, Dolianova, San Macario (Pula). Tuttavia un insieme di marmi databili tra il V e il VI secolo sembra indicare che già in quest’epoca la chiesa cruciforme o altra preesistente fosse dotata di un arredo liturgico. L’edificio sorse in origine come martyrium eretto in memoria del martire locale, presumibilmente intorno al V secolo, al di sopra di catacombe cristiane ricavate dall’adattamento di un gruppo di camere funerarie fenicio-puniche, nella zona cimiteriale dell’antica città di Sulci; successivamente sarebbe avvenuto l’impianto dell’edificio a pianta cruciforme cupolata.17 Un frammento marmoreo tardoantico, ornato con lacunare ad archetti concavi nei lati brevi e reimpiegato nello spigolo sud-est all’interno del corpo cupolato, potrebbe rappresentare un importante terminus post quem per l’edificazione 17. A tal proposito si veda in questo stesso libro il capitolo a firma di Roberto Coroneo dedicato alla basilica. 113 Capitolo IX Fig. 4. Sant’Antioco, basilica, frammento di pluteo a squame. 4 Fig. 5. Sant’Antioco, catacombe, frammento di pilastrino da recinzione. Fig. 6. Sant’Antioco, collezione Armeni, frammento di ciborio con iscrizione latina. Fig. 7. Ipotesi di ricostruzione di un archetto del ciborio di Sant’Antioco (grafico di Alessandra Curreli). 6 5 7 114 s. antioco Patrono della Sardegna della chiesa cruciforme, se non fosse per la tipologia dell’ornato, assegnabile a una troppo generica epoca tardoromana. Un altro elemento, erratico nella cripta, presenta su una faccia la medesima decorazione, mentre sull’altra è scolpita la figura di un leone riconducibile a età mediobizantina, che testimonia in quest’epoca il reimpiego di materiali evidentemente disponibili in loco. Per quanto attiene il motivo ornamentale a lacunare esso era largamente utilizzato in contesto tardoromano, applicato alla decorazione dei cieli d’architrave, come per esempio in quella nel tempio di Traiano a Pergamo, ed era diffuso anche in Sardegna come testimoniano i ritrovamenti nell’area di Cagliari. Poco sopravvive dell’originario arredo liturgico della chiesa di età paleobizantina, smembrato molto probabilmente in concomitanza della trasformazione dell’impianto da centrale a longitudinale, con la creazione di un’aula trinavata, forse ancora prima della sua donazione all’abbazia benedettina di San Vittore di Marsiglia, nel 1089. L’elemento scultoreo più antico si conserva riutilizzato nella testata interna del braccio nord del transetto (fig. 4). Si tratta di un frammento identificabile come pluteo per via dell’ornato a squame, motivo ornamentale assai diffuso a Roma e largamente documentato in ambito mediterraneo fra il V e il VI secolo con numerose varianti. La stretta relazione con esemplari romani suggerisce per il frammento di Sant’Antioco una datazione al V-VI secolo, con un margine di slittamento fino al VI-VII secolo in base all’unico confronto sardo rappresentato da un simile frammento di pluteo rinvenuto tra le rovine della chiesa di San Nicola di Donori, oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Sempre all’arredo liturgico della prima età bizantina possono forse riferirsi quattro problematici frammenti marmorei di pilastrini, appartenenti con ogni probabilità a un recinto presbiteriale, oggi erratici nella “cripta” (fig. 5). Questi, lisci su tutta la superficie, presentano scanalature verticali su due facce laterali contigue, destinate all’incastro di transenne o plutei. Tale conformazione, che caratterizza anche alcuni frammenti di pilastrini di Maracalagonis e Samassi, ne rende problematica la datazione, in quanto non consente di restringere l’arco cronologico di pertinenza al di là dell’ascrizione a età altomedievale. In realtà è possibile che si tratti di parti basali di pilastrini decorati solo superiormente e, se così fosse, la loro datazione sarebbe possibile proprio in base al tipo di ornato. Capitolo IX 115 Aspetti e problemi È forse di questi marmi che resta memoria nella nota iscrizione del vescovo Pietro, incisa in lettere capitali latine su lastra marmorea e oggi murata nel braccio destro del transetto della cattedrale di Iglesias: Aula micat ubi corpus Beati S(an)c(t)i / Anthioci quiebit in gloria / virtutis opus reparante ministro / pontificis xpi sic decet esse domum / quam Petrus antistes cultu splendo/re nobabit marmoribus titulis / nobilitate fidei d(eo) dicatum xii k(alendas) febru(arias) L’arcivescovo di Cagliari Francisco De Esquivel, di rimando all’arcivescovo di Sassari che pretendeva di aver rinvenuto a Porto Torres le reliquie di Sant’Antioco, rivendicando così il primato sulla Chiesa di Sardegna, fece condurre nel 1615, alcune ricerche nell’antico santuario sulcitano, ritrovando nelle catacombe della chiesa le autentiche reliquie del martire, sulla base dell’iscrizione latina (databile al VI-VII secolo) in cui si legge il suo nome. Fu in quell’occasione che il cranio del martire venne racchiuso in una teca d’argento, realizzata dall’argentiere Sisinnio Barrai, e traslato nella cattedrale di Iglesias, assieme all’iscrizione che vi è a tutt’oggi. Nonostante sia stata comunemente ascritta al VI-VII secolo, l’iscrizione presenta ancora alcune problematiche legate innanzi tutto alla sua funzione e alla sua originaria ubicazione. Un altro problema, affatto secondario è quello dell’individuazione della sede dei lavori di abbellimento, in rapporto all’identificazione dell’aula di cui parla l’iscrizione; anche se questa è stata da alcuni, a partire dagli agiografi seicenteschi, indicata nella cripta, appare improbabile che questo ambiente, che manca certo di rappresentatività, abbia ospitato un arredo marmoreo. I marmoribus titulis di cui riluceva l’aula devono probabilmente riferirsi alla stessa chiesa. Benché lo immaginasse nella cripta, l’esistenza di un ciborio era già stata intuita dal Taramelli, sulla base delle caratteristiche tipologiche di frammenti riconducibili a questo genere di apparato. A un ciborio, restituibile all’arredo mediobizantino dell’aula, si riferiscono sette frammenti d’archetto di varie dimensioni, di cui sei epigrafici scritti in capitali latine (fig. 6), appartenenti ad almeno tre archetti diversi, datati sulla base della decorazione alla seconda metà del X secolo. Nonostante il dato epigrafico sia stato ampiamente studiato con conseguenti proposte di integrazione e lettura, talvolta non convincenti, a tutt’oggi risulta ancora problematico decifrare il significato complessivo delle iscrizioni. Il frammento più importante conserva la figura parziale di un pavone, di cui restano il lungo becco ricurvo e la testa con pennacchio, alla quale con molta probabilità se ne contrapponeva un altro speculare affrontato (fig. 7). 116 s. antioco Patrono della Sardegna Quest’iconografia si ritrova in uno dei quattro frammenti del ciborio proveniente dalla parrocchiale di San Pietro di Nuraminis, termine di paragone più immediato per quello sulcitano. Delle colonne che sorreggevano il ciborio e delle rispettive basi nulla è sopravvissuto, ma restano integri due capitelli cubici, che svolgevano una funzione di raccordo tra colonna e archetto, di cui uno conservato nella collezione Biggio (fig. 8) e l’altro in quella Pistis-Corsi; parte di un terzo capitello è murato nella “cripta”. Tutti hanno sulle facce il motivo della croce greca con gemma a bottone schiacciato. Il santuario di Sant’Antioco ha restituito altri due frammenti marmorei epigrafici, che conservano iscrizioni in lingua e grafia medioellenica, riferibili anch’essi ad archetti di ciborio (figg. 9-10). Affini al contesto mediobizantino, se ne differenziano però per fattura di migliore qualità. Supponendo l’appartenenza dei due frammenti alla stessa struttura, in base al medesimo motivo decorativo a tralcio e alla concordanza della grafia, tenendo conto di alcune differenze di carattere esecutivo messe in luce da Renata Serra,18 si potrebbe valutare l’ipotesi che questo fosse il quarto archetto del ciborio sulcitano. In tal caso non si tratterebbe dell’unico esempio di coesistenza di epigrafi greche accanto a quelle latine e il ciborio di Nuraminis ne sarebbe la dimostrazione. Tale coesistenza è riferibile a quella doppia identità greco-latina, che aveva instaurato di riflesso un sostanziale bilinguismo. Spiegato il divario linguistico, resterebbe però da risolvere quello stilistico dell’archetto rispetto agli altri tre, da riferirsi sicuramente a diversa mano, opera di artefici ancora legati a un linguaggio di tipo classico, dovuto forse alla sopravvivenza nell’isola di modi in diretta continuità tardoromana. Verrebbe da chiedersi se nell’impiego di tale marmo non sia da ravvisarsi una scelta “aulica” voluta dagli stessi giudici committenti. I dati a disposizione purtroppo sono troppo scarsi per andare al di là dello stato di ipotesi. L’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella, a carattere dedicatorio, ricorda infatti la committenza dell’arredo liturgico, da parte della diarchia arcontale, Torcotorio protospatario e Salusio, e della coppia giudicale, composta dallo stesso Torcotorio e da sua moglie Nispella. L’epigrafe, ascritta ai primi decenni dell’XI secolo è dunque da considerarsi in stretta relazione con l’arredo marmoreo mediobizantino al di là della sua funzione strutturale originaria, individuata nella destinazione ad architrave di recinto presbiteriale, del quale facevano parte plutei, pilastrini e alcune lastre con figure umane, per le quali non avendo sufficienti elementi, non è possibile risalire alla funzione originaria. In questa serie stilisticamente omogenea, composta da sei frammenti di cui due combacianti, si è ravvisato a più riprese di identificare una rappresentazione celebrativa della corte giudicale citata nell’epigrafe, immaginando le lastre disposte in successione a formare una teoria di personaggi, due maschili, uno femminile, accompagnati da musici (fig. 11). Dell’arredo marmoreo voluto dalla committenza giudicale, e per la precisione di un recinto presbiteriale, faceva18. Renata Serra, “Aggiunte al catalogo” cit., pp. 46-47. 117 Capitolo IX Fig. 8. Sant’Antioco, collezione Biggio, capitello di ciborio con croce. Fig. 9. Sant’Antioco, catacombe, frammento di ciborio con iscrizione greca. Fig. 10. Sant’Antioco, basilica, frammento di ciborio con iscrizione greca. Fig. 11. Sant’Antioco, catacombe, frammento di lastra con tibicino. 8 9 10 11 118 s. antioco Patrono della Sardegna no parte anche alcuni frammenti di plutei con figure zoomorfe e dei frammenti di pilastrino (fig. 12), tutti ascrivibili ai primi decenni dell’XI secolo. Tra questi si distingue, per qualità formale particolarmente alta, tanto da far pensare a un pezzo d’importazione o realizzato da mano esperta, un frammento con leonessa (fig. 13), che è servito probabilmente da modello per un altro pluteo sulcitano, di fattura inferiore (fig. 14). Molti dei motivi decorativi sia dei plutei, sia dei pilastrini posti a raccordo, trovano forti riscontri oltreché nella scultura isolana mediobizantina, anche nella plastica campana tra il IX e l’XI secolo, in particolare con quella cimitilese, napoletana, capuana e sorrentina, alla quale rimanda con precisione il frammento di pluteo con cavallo alato (fig. 15) del santuario sulcitano. Questo dato non porta necessariamente alla conclusione di un’importazione degli elementi scultorei di arredo presbiteriale; ciò che appare più probabile è il trasferimento di maestranze dalla stessa Campania, insieme alla circolazione di cartoni e modelli, e la conseguente lavorazione in loco dei marmi. Solo il materiale “vergine”, spesso di reimpiego, può essere ritenuto di importazione, vista l’inesistenza di cave marmoree nell’isola. A tal proposito merita un cenno la recente indagine archeometrica effettuata su sei frammenti scultorei altomedievali erratici nel santuario di Sant’Antioco, al fine di stabilire la provenienza dei materiali, con particolare riferimento alla localizzazione delle cave d’estrazione.19 Tutti i campioni, tranne uno di provenienza orientale, hanno mostrato caratteristiche tipiche dei marmi provenienti dalle antiche cave di Luni (Carrara). È dunque verosimile che gli elementi scultorei siano stati lavorati in officine locali, reimpiegando marmi di provenienza italica giunti nell’isola in età romano-imperiale e disponibili nell’area circostante il santuario. 19. Michele Agus, Carlo Garbarino, “Indagine archeometrica su sculture altomedievali di Sant’Antioco”, in Ricerche sulla scultura medievale in Sardegna, a cura di Roberto Coroneo, Cagliari, 2004, pp. 47-55. 119 Capitolo IX Fig. 12 Sant’Antioco, catacombe, frammento di pilastrino. Fig. 13 Sant’Antioco, catacombe, frammento di pluteo con leonessa. Fig. 14 Sant’Antioco, basilica, frammento di pluteo con felino e frammento di pilastrino. Fig. 15 Sant’Antioco, basilica, frammento di pluteo con cavallo alato. 12 13 15 14 Capitolo X Capitolo X Passio Sancti Antiochi D 121 X i questo documento tanto apprezzato nell’antichità, si da essere l’unica fonte e come punto di incontro di tutto ciò che per un buon millennio su S.Antioco si è scritto, meditato e predicato, e che ha avuto se non altro il merito di mantenere sempre viva la memoria del Santo nella devozione e nel culto, si sono occupati anche diversi studiosi, esaminandola in maniera critica, come F. Lanzoni, B. R. Motzo e più precisamente mons. Luigi Cinesu. L’originale della Passio del sec. XI è andato purtroppo perduto. Fortunatamente, dell’antico codice perduto (di cui testimoni ineccepibili del ‘600 affermano che, scritto su pergamena con copertina su pelle oscura, era privo di difetti, come cancellature o altro che potesse renderlo sospetto, e ben custodito come insigne reliquia in un armadio della sagrestia di Iglesias), mons. Francisco de Esquivel, arcivescovo di Cagliari e vescovo di Iglesias, fece eseguire a Cagliari nel 1621copia fedele, autenticata da notai; ed è questa la copia che tutt’oggi si conserva nell’archivio capitolare di Iglesias. Forse, proprio per il fatto che questa copia dell’originale fu eseguita a Cagliari, fino ad alcuni decenni or sono, si poteva consultare nell’archivio capitolare di Cagliari altro esemplare della Passio integrata nell’ufficiatura del Santo. Una nota apposta al volume cagliaritano che conteneva la Passione di S.Antioco, rileva – come chi scrive ha potuto personalmente constatare – che il fascicolo relativo fu asportato da mani ignote verso gli anni cinquanta. Questo dimostra ancor più quanto sia importante la copia della Passio custodita in Iglesias, trattandosi dell’unico esemplare che oggi si conosca . Il card. Baronio, considerato il padre della storia ecclesiastica, morto nel 1607, conobbe quasi certamente il testo originale. Nelle note al Martirologio Romano, al 13 dicembre che recita: Apud Sardiniam in Sulcitana insula passio S.Antiochi sub Adriano imperatore: de eodem (ossia di S.Antioco) tabulae eius ecclesiae hac die. Inde etiam accepimus eius acta plenius scripta atque (prout in eius solemnitate recitari solent) per lectiones distincta incipiunt: “Sicut Sanctorum omnium, ecc”. Dunque il Baronio ha esaminato la nostra Passio in tutta la sua interezza, Trattandosi poi di uno studioso che per circa un trentennio si era impegnato a raccogliere e studiare documenti originali di archivi e biblioteche per i suoi Annales Ecclesiasticae, è quasi certo che egli conobbe l’originale della nostra Passio. Nella biblioteca vaticana esiste comunque un codice della Passio S.Antiochi del sec. XVI, e cioeè il codice vaticano n. 6171, trascitto secondo A. Poncelet da altro codice non anteriore al sec. XIII1. 1. Cfr. F. Pili, Sant’Antioco Martire Sulcitano, Ed. E. Gasperini, Cagliari 1995, p. 24-26. 122 s. antioco Patrono della Sardegna Vida de Sant Anthiogo Metge e Martyr D i questa operetta, composta in Sardegna nel sec. XV e assai diffusa nel secolo seguente, mediante la stampa in tutta la Sardegna, curò una ristampa di soli cinquanta esemplari a Barcellona nel 1890 il cav. Edoardo Toda, servendosi allo scopo dell’unico esemplare stampato esistente allora nell’archivio della Curia arcivescovile di Cagliari, ma ora introvabile. Quell’esemplare constava di 12 pagine in 4° a due colonne, ma era privo di numerazione di fogli, di data, dell’indicazione del luogo e del nome dello stampatore. L’attuale edizione (cm 18,5 x 12) consta di 29 paginette e riproduce fedelmente l’originale sia nel titolo sia nella figura del santo, negli stemmi e nei disegni, come in tutto il testo, eccettuata la disposizione in due colonne. Tutto il libretto è incentrato sulla passione del Santo martire, come del resto risulta sin dall’inizio: “En nom del fill de Deu e de la sagrada Verge Maria, e de tots los Sants Apostols, e del benaventurat Sant Antiogo, e de tota la cort celestial triumphant: Comensa la Passio del Glorios Martyr Sant Anthiogo en lo modo seguent”. Nonostante tutte le ricerche esperite nelle varie biblioteche ed archivi dell’Isola, come pure nella biblioteca nazionale di Roma e in quella universitaria di Barcellona, non mi è riuscito purtroppo di rintracciare almeno un esemplare di questa cinque centina Vida catalana di S.Antioco. Eppure, l’opuscolo sarebbe di particolare utilità, non tanto per il suo contenuto, quanto piuttosto per la storia della stampa in Sardegna, i cui inizi non sono a tutt’oggi ben chiari. Intanto si può ritenere certo che questa Vida catalana di S.Antioco fu stampata durante il pontificato di Paolo III Farnese (1534-1549), come si può dedurre dallo stemma di questo papa riprodotto dall’originale nella ristampa di Barcellona del 1890. Se poi – come sembra – l’incisione dell’inizio del volumetto (anche questa riproduzione dall’originale cinque centina) raffigura Stefano Moretto entro un ovale adorno di foglie e di rami da cui pendono grappoli di more (incisioni simili si riscontrano pure in altre stampe del 1557 e 1560 (La Carta de Logu) che dipendono dal Moretto, il quale d’altra parte, figura come bibliopola e domiciliato a Cagliari già in atti notarili del 1554, si può ritenere quasi per certo che la Vida catalana di S.Antioco sia stata stampata (o meglio, ristampata) a Cagliari da Stefano Moretto nel 1549 o poco prima, e sia quindi uno dei primi tentativi - se non il primo – di una stampa eseguita in Sardegna. Una conferma in questa direzione potrebbe forse venire dal confronto dei caratteri tipografici della cinque centina in questione con la Carta de Logu del 1560. Affido questa mia ipotesi a chi più di me sarà fortunato nella paziente ricerca2. 2. Cfr. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano, ripubblicato a cura di R. Lai, Edizioni “Basilica di S. Antioco”, 2010. 123 Capitolo X Ristampa del volume cinquecentesco sulla vita di sant’Antioco 124 s. antioco Patrono della Sardegna BIBLIOTECA CATALANA POPOLARE VITA DI SANT’ANTIOCO MEDICO E MARTIRE AVVERTENZE DELL’EDITORE Da questo libretto scritto nell’isola di Sardegna nel secolo XV, si fece, nella seconda metà del successivo, una edizione popolare di dodici pagine in quarta a due colonne, senza foliazione, luogo, anno né nome dell’editore, dello stampatore e degli scudi che qui riproduciamo. L’unico esemplare conosciuto appartiene all’archivio della Curia Ecclesiastica di Cagliari, città nella quale deve essere stato stampato, e questa piccola pubblicazione abbiamo potuto vedere e copiare grazie alla cortesia del Canonico Archivista Dr. Luca Canepa e all’impegno di Don Edoardo Toda. La sua singolare rarità, il desiderio di conservare la pia leggenda (che non si trova inclusa nel nostro FLOS SANCTORUM) del Santo medico che dà il nome a una delle isole, in passato catalana, unita alla paura di che si perda questa testimonianza insperata che serve a dimostrare, ancora una volta, la forte unità che ha mantenuto in ogni luogo la nostra lingua, ci hanno spinto a ristamparla nella presente edizione, come dono devoto a simili testimonianze di curiosità bibliografiche. Capitolo X 125 QUESTA È LA VITA E I MIRACOLI DEL BEATO SANT’ANTIOCO NUOVAMENTE CORRETTA E STAMPATA N el nome del figlio di Dio e della Sacra Vergine Maria, e di tutti i Santi Apostoli, e del beato sant’Antioco, e di tutta la trionfante corte celeste: comincia la PASSIO del glorioso Martire Sant’Antioco nel modo seguente. Mentre regnava lo empissimo e crudelissimo Imperatore Adriano, adoratore di idoli: e trovandosi nella regione chiamata Mauritania, ordina che in qualunque luogo fossero trovati cristiani per costringerli a sacrificare ed adorare dei pagani. Si trovava in quel tempo un nobilissimo giovane cristiano chiamato Antioco, il quale credeva in Gesù Cristo, e per gloria e onore del nome di Cristo non cessa mai di predicare ed evangelizzare la parole divina: il quale Antioco per grazia dello Spirito Santo essendo maestro nell’arte della medicina, non prestava attenzione alle cose materiali, ma molto di più alle attività spirituali; prendendosi infinita cura delle anime per opera e gloria di nostro Signore Dio Gesù Cristo; estirpando vizi e peccati, così come si conviene ad un medico spirituale. E così la sua fama si diffuse per tutta la Mauritania, come quella di San Paolino vescovo, compagno di san Luca evangelista. E così come i gloriosi martiri Cosma e Damiano furono medici, allo stesso modo sant’Antioco fu dottore nell’arte della medicina e non chiedeva regali né compensi per nessuna delle sue prestazioni; curava tutti per amore di Dio in onore e gloria del suo santo nome; per la qual cosa il beato sant’Antioco viveva nel digiuno e nell’amore celeste, ed in conseguenza delle sue molte virtù e buone opere aumentava sempre più la sua fama e il suo onore. Essendo il beato san’Antioco dalle parti di Calatra e Paciocra (Galazia e Cappadocia n.d.t.) predicava il nome del vero Dio Gesù Cristo; e vedendo il popolo gentile l’amore, la fede e la verità, favoriva la fiducia nel glorioso sant’Antioco, e per i numerosi miracoli che egli faceva grazie a nostro Signore Dio Gesù Cristo, molti si convertivano alla fede cristiana e rinnegavano l’idolatria. In quel tempo giunse alle orecchie dell’Imperatore Adriano, crudelissimo, la notizia che il beato sant’Antioco predicava il nome di Gesù Cristo e dava salute e virtù al popolo; e lo stesso Imperatore Adriano sentendo queste cose andò su tutte le furie, e fece arrivare i soldati e ordinò che sant’Antioco fosse portato alla sua presenza. E quando si presentò si fece il segno della santa croce alzando le mani al cielo, e con pensiero perfetto fece preghiera a Dio dicendo: Sia gloria a te, Signore mio Gesù Cristo che fosti sempre glorioso nella tua santità e mirabile in tutte le tue opere, che tutto disponi, e governi l’universo intero: Ti rendiamo grazie perché ti sei degnato di farmi venire in questo luogo nel quale voglio lodare e rendere noto il tuo santo nome in presenza di tutti i cristiani e dei popoli della terra. O Signore Gesù Cristo, tu dicesti ai tuoi discepoli: come intende fare di fronte a Re e Principi …. Mio 126 s. antioco Patrono della Sardegna Signore, tu sei la speranza, esaudiscimi e abbi misericordia di me, e liberami dalle offese di fronte al Demonio e al crudelissimo figlio Adriano. Ultimata la preghiera il beato sant’Antioco, l’Imperatore Adriano con grande rabbia disse a sant’Antioco: Qual è il tuo nome? Rispose sant’Antioco che gli fu imposto il nome nel battesimo e disse: Antioco mi chiamo. Adriano gli disse: E sei schiavo o libero? Rispose sant’Antioco: Io sono servitore di Gesù Cristo, altro Dio non conosco. Rispose Adriano: Hai avuto il decreto con le disposizioni che ordinavano che coloro i quali non adoravano i nostri dei sarebbero morti dopo diverse torture e tormenti? Rispose sant’Antioco: Ho già visto il tuo comandamento che è sciocco e per nessuna ragione lo manterrei. Adriano disse: Ho desiderato farlo in questo modo per il bene pubblico. Rispose sant’Antioco: O stoltissimo tiranno, quale salute speri da quegli dei che sono cechi e muti, che né a loro stessi né ad altri possono dare un aiuto? Perché sei tanto cieco? Disse Adriano: Basta con queste parole piene di superstizione: adora gli dei che i re di tutto il mondo adorano. Rispose sant’Antioco: Io adoro sempre e continuamente e sacrifico e lodo al sacrificio di dio padre, figlio e spirito santo, che sono tre ed è l’unico vero dio: e i tuoi idoli sono ciechi, sordi e muti, fatti di oro e di argento e di pietra e di legno, ed io li disprezzo così come il fango che calpesto, e così io precisamente li considero: dei quali Davide il profeta disse: Idoli delle genti, questi sono gli idoli delle genti, fatti di oro e di argento per mano degli uomini, hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono, hanno mani e non toccano, e nella loro gola non si inghiotte nulla: sono simili a quelli che li fanno e a coloro che confidano in essi. Sentendo quelle parole Adriano si arrabbiò tantissimo e disse: Antioco, queste parole sono vane e di poco profitto: basta con questo parlare, perché se tu non compi immediatamente sacrificio, andrai presto incontro al tuo castigo. Rispose sant’Antioco: sacrifica tu ai tuoi dei che non conoscono Dio; io non adorerò altro Dio che quello che ha fatto il cielo e la terra e il mare, e tutte le cose come sono. I vostri dei sono insensibili e turpissimi demoni, che entrano dentro le statue e le immagini e si burlano di voi, vi tengono legati e vi conducono alla dannazione eterna. E di queste inutili statue e immagini un filosofo ha scritto e detto: Se fossero veri i vostri dei perché sono fatti di pietra e da mani umane? Come può essere il vero Dio una cosa fatta artificialmente di pietra e di legno? Udendo queste cose Adriano ordinò che sant’Antioco fosse legato e messo sopra un cavalletto di legno (si trattava dell’eculeo, strumento di tortura su cui il condannato veniva a forza tirato e contorto, n.d.t.), e che fossero poste torce ardenti sopra le sue carni. Ed essendo il beato sant’Antioco sopra l’eculeo pregò Dio, dicendo: Signore mio, ascoltami, esaudiscimi, e abbi misericordia di me secondo il giudizio e la misericordia del tuo santo nome: le mie opere e le mie cose fai volgere a tuo piacere, e che non siano rimarchevoli di ingiustizia: difendimi, Signore, dalle calunnie degli uomini crudeli, affinché possano osservare i tuoi comandamenti. E come ebbe finito la sua preghiera si rallegrò, e fu illuminato dalla grazia e dalla consolazione spirituale senza che avesse alcun dolore né sensazioni di tormenti. E vedendo i carnefici e tutti gli altri la costanza e la virtù di sant’Antioco, cominciarono a dire a gran Capitolo X 127 voce: Gran Signore, è il Signore dei cristiani, che gli ebrei con le frustate e le torture sarebbero morti, mentre questi non sentono le torture, ma con più costanza e maggior fervore perseverano nella loro fede. Vedendo queste cose Adriano, ed in conseguenza della confusione dei suoi ministri, e non avendo subito il glorioso martire alcun danno, ma anzi rimanendo felice in mezzo ai tormenti, gridò a gran voce dicendo: per la salvezza degli dei Antioco è un gran maestro nell’arte magica, che lo ha salvato dagli assalti della fiamma e dai tormenti del fuoco. Rispose Antioco: O crudelissimo tiranno, non è arte inutile e diabolica, bensì la divina provvidenza del Signore mio Gesù Cristo che si è degnato di soccorrere il suo servo con la sua grazia in ciò che la sua grande virtù ha conosciuto nella tua intenzione malvagia, affinché ti possa convertire al tuo creatore. Rispose Adriano: Sei rimasto dunque confuso dal tuo Dio? Rispose sant’Antioco: Tu e tutti quelli che aderiranno alla tua volontà saranno confusi da Gesù Cristo: e ha detto loro che fin tanto che saranno convertiti alla loro fede si troveranno nella dannazione eterna. Adriano disse: Prima che tu mi faccia confondere, io ti farò morire di una morte crudele. Rispose sant’Antioco: Mi curo poco delle tue minacce, fai ciò che ritieni di fare, perché le pene e i tormenti coi quali mi farai morire per me sono felicità e consolazione. Adriano disse: Dunque tu pensi che il tuo Dio ti possa liberare dalle mie mani? Rispose sant’Antioco: Io confido e credo fermamente che il Signore mio Gesù Cristo mi libererà dai tuoi tormenti, e da tutti i tuoi falsi inganni, e dai demoni come te mi salverà, e te e tutti i tuoi dei darà dannazione eterna. Adriano disse: Come può liberarti il tuo Dio, che non è stato in grado di liberarsi dalle mani degli ebrei? Rispose sant’Antioco: il mio Dio ha potere di fare tutto ciò che vuole, perché è al di sopra di tutti gli onnipotenti: ma quando venne in questo mondo ha voluto salvare con la sua morte l’intero universo, affinchè con la sua morte venisse salvata la vita di tutti. Adriano rispose: Voglio vedere se il tuo Dio viene ad aiutarti. E subito dopo comandò che sant’Antioco fosse messo in una robusta prigione, controllato da buoni carcerieri, e ordinò che non gli fosse dato da mangiare né da bere fino a che lo stesso Adriano non avesse pensato di quale morte farlo morire. Ed essendo il beato sant’Antioco nella crudele prigione, faceva continuamente preghiera a Dio con buona e devotissima intenzione, mettendo tutto il suo cuore nelle divine parole che dicono: Non di solo pane vive l’uomo: non ci si nutre di solo pane ma della parola pronunciata dalla bocca di Dio. E passati alcuni giorni il crudelissimo Adriano ordinò che fosse preparato un gran calderone che fece riempire di olio, e di pece, e di cera, e li fece raffinare tutti insieme, e fece accendere il calderone, e quando il fuoco fu vivo al punto che la fiamma ardente fuoriusciva dal calderone, Adriano ordinò che sant’Antioco fosse portato al suo cospetto: e quando fu davanti a lui lo fece avvicinare al pentolone bollente e gli disse: Guarda Antioco quale terribile tortura e morte crudele ti è stata preparata: prega per la salute degli dei perché vedendo la tua bellezza e i tuoi lineamenti così delicati e di gran perfezione, abbiano misericordia di te, perché la tua giovinezza proverà molto dolore. Rispose sant’Antioco: O meschino, implora e sospira per te stesso, perché per te verranno giorni nei quali le pene e le fiamme del fuoco che hai preparato per me in questo mondo, ti saranno preparate per la dannazione eterna, e per sempre sari nel fuoco, con lacrime, dolore e stridore di denti e tristezza senza mai fine: e i santi 128 s. antioco Patrono della Sardegna martiri che per la fede in Cristo sono stati martirizzati saranno nel cielo con gioia e allegria senza fine. Adriano rispose: Dunque tu e i tuoi compagni che disprezzate i nostri dei avrete la salvezza eterna, e noi adoratori degli dei e osservanti la legge terna saremo morti e dannati? Rispose sant’Antioco: In verità ti dico che tutti quelli che amano Gesù Cristo da lui avranno felicità e gioia eterna: e gli adoratori degli idoli saranno per sempre membri del demonio e la loro morte non avrà mai fine. E poiché più volte questi cosiddetti dei hanno raccontato cose non vere, non sono dei, anzi sono perfetti demoni che abitano le statue che adorate. Disse Adriano: Già questo modo di pensare e quello che hai fatto comporta una condanna, nega il Signore che adori e convertiti ai nostri dei. Rispose sant’Antioco non lo farò mai. Adriano gli disse: Te lo consiglio. Rispose sant’Antioco: Fai in fretta quello che devi fare, perché non esiste miglior consiglio o pensiero che pensare alla fine a ciò che è il fine della morte del mio Signore Gesù Cristo. Adriano disse: Dunque voialtri cristiani volete morire in così disgraziata maniera. Rispose sant’Antioco: Ciò che viene da Gesù Cristo non muore mai in eterno. Adriano disse: Salvati, Antioco, non perdere il fiore della tua giovinezza. Rispose sant’Antioco: Morire in Gesù Cristo non è perdere la giovinezza, ma trasformarla in una migliore. Adriano disse: Pensa alla tua salvezza. Disse sant’Antioco: la mia salvezza è correre incontro a Gesù Cristo. Adriano gli disse: Salvati, Antioco, credi e adora i miei dei, e sarai mio amico, e ti farò comandante e tra i più grandi tra la mia gente e con grande onore. Rispose sant’Antioco: Le tue promesse sono vane, e le nomine e gli onori non sono cose importanti, perché non durano e non si perpetuano perché sono transitorie: solo gli onori di Gesù Cristo e gli incarichi nei suoi cieli sono duraturi e purificano, perciò tu, tiranno crudele, fai ciò che i tuoi demoni ti hanno ordinato, perché io sono servitore di Gesù Cristo, e sono pronto a patire i tuoi tormenti per la gloria del mio Signore Gesù Cristo affinché possa conquistare la palma del martirio: e stai certo che non cesserò di cantare la gloria del mio Signore, e loderò e glorificherò per sempre il suo santo nome. In conseguenza di questo Adriano scatenò la sua rabbia e ordinò ai suoi sacerdoti che lo mettessero dentro una pentola di olio bollente; e volendolo mettere dentro il calderone , il cavaliere di Gesù Cristo disse ai ministri: Non avvicinatevi a questo calderone pieno di vapore e di terribile fiamma perché vi brucerebbe tutti. Allora il glorioso sant’Antioco si fece il segno della croce ed entrò dentro la pentola bollente, la quale incomparabilmente bruciava. E l’angelo del Signore scese dal cielo ed entrò dentro il calderone bollente dal glorioso Martire; in questo modo così come ai tre giovinetti Sidrach, Misach e Abdenago, messi dal re Nabucodonosor in una fornace ardente, e l’angelo di Dio fece dividere la fiamma in due parti , e i tre giovani andarono in mezzo alla fiamma del forno allegri e freschi come la rugiada che cade dal cielo, lodando e glorificando il nome di Dio. Allo stesso modo il glorioso sant’Antioco non venne toccato dal caldissimo fuoco del calderone, anzi si fece fredda come la rugiada che scende dal cielo. Il glorioso Martire stava in mezzo alla fiamma senza nessun dolore, e con gran gioia e molta felicità aprì la bocca e cominciò a gran voce a benedire e glorificare Dio: Tu che sei quello che ha originato tutto il mondo, che stai in cielo, e che hai fatto innumerevoli miracoli nel mondo, esaudisci il tuo servitore e voglia ricevere le mie preghiere Capitolo X 129 che ti siano bene accolte, perché io ti lodo e ti glorifico: Signore mio Gesù Cristo, padre di tutti, timore e onore, padre dei martiri e consolazione per tutti quelli che credono in te: benedetto per sempre il tuo santo nome. Grazie a te il fuoco ha già perso il suo potere, e la fiamma non mi può nuocere. Ma, Signore, dammi fermezza e costanza, nella salvezza del tuo santo volto e del tuo santo tabernacolo, affinché in virtù del tuo santo nome possa vincere i tormenti che mi danno questi carnefici, e trasformare, Signore, la tristezza temporale in spirituale e terrena letizia; fammi essere degno compagno dei tuoi martiri così che al cospetto della tua grazia con canti e versi angelici possa glorificare il tuo nome nei secoli dei secoli. Amen. E come il glorioso sant’Antioco ebbe terminato la sua preghiera santa, volse lo sguardo verso Adriano e quasi ridendo gli disse: O belva umana e cane cattivo, perché non hai ordinato di scaldare questo bagno, e hai fatto mettere acqua fredda? Adriano rimase così meravigliato che andò egli stesso a verificare se fosse vero ciò che il servitore di Dio aveva detto. E disse a sant’Antioco: Metti la tua mano dentro questo calderone e posala sopra la mia, affinché possa verificare se è calda. E subito dopo sant’Antioco riempì le sue mani di pece incandescente e posandola sopra la testa di Adriano, che cominciò a bruciare in maniera tale che quasi non gli restarono capelli in testa, e cominciò a gridare ai suoi dei che grande e potente è il dio dei cristiani. E disse sant’Antioco: In verità ti dissi che il Dio dei cristiani è grande e potente, e hai constatato che è vero, perché dunque non credi in lui, che è grande e misericordioso e onnipotente, e tutti coloro che crederanno in lui mai moriranno? E sei sotto la protezione di qualcuno dei tuoi dei, mettiti dentro questa pentola di pece bollente e verifica se sarai aiutato. Adriano, così pieno di rabbia che quasi usciva di senno disse al servitore di Dio: O distruttore dei nostri dei, tu ti sei reso colpevole di lesa maestà, e io ti darò in pasto alle bestie feroci e crudelissime che ti divoreranno in un batter d’occhio. E subito fece radunare tutto il popolo, e dopo che furono tutti radunati fece portare il leone, e lo misero davanti al glorioso martire. E il leone sentendosi slegato cominciò a ruggire digrignando i denti, in modo tale che lo stesso Adriano e tutto il popolo ebbero paura; e come si avvicinò al glorioso sant’Antioco diventava mansueto, come un gatto col suo padrone, e cominciò a leccare i piedi del glorioso martire. E vedendo ciò Adriano, ordinò con gran furore che gli fosse scatenato un orso; e come l’orso si avvicinò al glorioso martire, subito si gettò ai suoi piedi, leccandoli in segno di umiltà. E quando Adriano vide tutto ciò non si accontentò di queste bestie feroci e gli fece scagliare contro un leopardo che è bestia ferocissima; e nel momento in cui la bestia fu liberata fu colta da gran mansuetudine, comportandosi come si usa da amico ad amico, o come un figlio con il padre. E il glorioso sant’Antioco ordinò a queste tre bestie che tornassero nelle loro tane senza far del male a nessuno. E quando se ne andarono dopo che ognuna aveva baciato i piedi a sant’Antioco, questi si voltò verso l’imperatore Adriano e gli disse: O nemico di Dio, tu che sei una creatura razionale, perché sei così ostinato e occupato nel tuo proposito, e hai il cuore così indurito come quello del faraone? Non vedi che le bestie feroci, che non hanno intelletto né ragione, e conoscono e obbediscono al proprio padrone, sono diventate mansuete e si sono umiliate alla volontà di Dio? Rispose Adriano: Tu, Antioco, mi hai vinto con arti diaboliche. 130 s. antioco Patrono della Sardegna Sant’Antioco disse: Non sono stato io a batterti con arti diaboliche, ma il Signore mio Gesù Cristo di cui io sono il servitore. Gli disse Adriano: Tu hai confidenza con le arti magiche perché sei un ribelle, però io ti preparerò altri terribili tormenti che ti distruggeranno se non sacrifichi ai miei dei. Rispose sant’Antioco: Quanto più il mio corpo sarà afflitto da pene e tormenti, tanto più saranno ben accetti al Signore mio Gesù Cristo, maggiore sarà il premio nella sua santa gloria. Adriano disse: Dunque il Signore tuo dona la vita eterna? Rispose sant’Antioco: È talmente potente che dona vita e gloria eterna a chi crede in Lui e nelle sue opere: e a voi e a tutti coloro che non crederanno in Lui darà dannazione e fiamma di fuoco che mai si attenuerà, e supplizi incessanti. Rispose Adriano: La tua presunzione è grande; credi di essere più saggio e cauto dei principi e dei filosofi e di tutta la gente che adorano e sacrificano agli dei? Rispose sant’Antioco: Non per prudenza terrena né per sapienza , ma per grazia del Signore mio Gesù Cristo ho scoperto la vera fede, e i vostri dei sono ingenui e maliziosi e aumentano la potenza del demonio: i sapientissimi uomini del mondo che hanno ricevuto filosofia e sapienza e si sono dedicati a questa conoscenza e hanno conosciuto il Creatore, però non hanno riconosciuto la sua gloria, anzi sono caduti nella loro superbia dicendo che sono favole e sono diventati pazzi perché hanno trasformato la gloria di Dio in sembianze di uomini corrotti, bestie, e uccelli; per questo motivo Dio li ha condannati come folli e superbi e di poco discernimento, perché non conoscono ciò che gli conviene, credendo che abbiano avuto la scienza da loro stessi. Adriano disse: Dunque tutti vivono nell’errore, e solo tu pensi di aver trovato gli dei. Rispose sant’Antioco: Maledetti dei, perché sei stato blasfemo a Dio, poiché la fede cristiana non adora tre dei, bensì un Dio che è Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Adriano disse: Non può essere come tu dici, che adori tre e uno: nessuna ragione spiega ciò e non può essere che tu adori un Dio: come possono essere tre? E se sono tre, come possono essere uno? Rispose sant’Antioco: Hai posto una buona domanda se tu fossi disposto a credere: ma poiché il tuo cuore è diventato duro come la pietra, per questo motivo non è degno di sapere e di vedere questi misteri; ma affinchè tu non pensi che non sia in grado di risponderti, voglio farti un esempio che è anche una similitudine: come ben sappiamo il sole è costituito da tre cose, fiamma, luce e calore; non per questo noi diciamo tre soli, ma un sole: e così il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, sono tre persone, però noi crediamo e ne adoriamo una. Adriano disse: Facciamo che tu adori un Dio; se è così perché tu e quelli simili a te non vivete per sempre? Perché se quelli che adorano un solo Dio vivono per sempre, molto di più viviamo in eterno noi che adoriamo molti dei. Rispose sant’Antioco: Quello che dici è falso, perché non sono dei quelli che voi adorate, ma sono opere fatte con mano umana, di legno, di pietra e di arte magistrale, nelle entrano e dimorano i demoni, che Dio ha creato affinché fossero beati nel cielo, e per la loro superbia, perché volevano essere simili a Dio, furono esiliati e scacciati dal cielo, e per questo motivo vanno volando nell’aria invisibili, ed entrano nelle immagini che tu adori, e danno risposte agli uomini che vogliono sapere del loro destino; e questo perché non vogliono che gli uomini salgano al Capitolo X 131 cielo da cui loro sono stati scacciati, ma vorrebbero che cadessero con loro nell’inferno e nella dannazione eterna. Adriano disse: Perché dici tante parole e cose diverse? Lascia queste cose alle persone superstiziose e adora e sacrifica agli dei: altrimenti per la salvezza dei miei dei sarai sottoposto a diverse pene e tormenti che ti lacereranno la pelle, e dopo il supplizio, ti farò decapitare. Rispose sant’Antioco: La mia vita e la mia salvezza sono il Signore mio Gesù Cristo. Adriano disse: E pensi che i tuoi cristiani ti possano liberare dai miei tormenti? Rispose sant’Antioco: Credo fermamente che dalle tue mani e dai tuoi supplizi mi libererà Gesù Cristo. Adriano disse: Confidi ancora nelle arti magiche. Rispose sant’Antioco: Fai presto ciò che devi fare e non desistere perché la mia gloria aumenterà. Adriano disse: Quindi se queste pene e tormenti sono il tuo premio e la tua gloria, dove sono i cristiani tuoi simili?, perché non li fai venire con te perché ti siano compagni e abbiate insieme la gloria? Rispose sant’Antioco: Quelli dei quali tu domandi sono già passati e saliti in cielo, ed io sarò con loro nel glorioso regno, chiedendo giustizia per il loro sangue versato dicono: Signore santo e vero, quando verrai a giudicare per il nostro sangue e di coloro che abitando questa terra hanno avuto risposta divina, e che sperano sia breve il tempo fin tanto che si completi il numero dei nostri fratelli? Non pensare che Gesù Cristo abbia pochi cavalieri, perché un popolo infinito vi dimora, e del quale è stato scritto: I santi per la loro fede hanno vissuto il regno eterno, hanno operato con giustizia e hanno acquisito la nuova promessa: voi ora siete chiamati a poche cose salvo perire nel fuoco eterno. Adriano vedendo tanta costanza in sant’Antioco, che né con minacce o tormenti, né per lusinghe poteva vincere, diventò furioso e ordinò che le sue bestie, il leone, l’orso e il leopardo fossero uccise perché non avevano potuto nuocere e divorare il servitore di Dio: e studiava quale pena e tormento poteva ucciderlo. E mentre il glorioso sant’Antioco stava davanti ad Adriano, con un sorriso cominciò a dire all’imperatore: I tuoi dei sono grandi e potenti, io voglio sacrificare e adorarli affinché non siano arrabbiati con me. Adriano accolse queste cose con molta felicità e, convinto che l’avrebbe fatto, subito convocò tutto il popolo nel tempio degli idoli; e radunatasi tutta la gente entrò il glorioso sant’Antioco e chiese ad Adriano quale fosse il principale e più grande dio al quale egli faceva offerte ed onori. Al che rispose Adriano: N.Ed. “Nell’edizione ritrovata che riproduciamo manca qui la prima parte, almeno per quanto riguarda la risposta dell’imperatore”… A fianco sta la madre. Rispose sant’Antioco: Dunque i tuoi dei hanno una madre? E come ebbe detto questo innalzò le mani al cielo pregando e disse: Signore mio Gesù Cristo, Davide il profeta disse: Sono simili a quelli che fanno le immagini e credono in esse: tu Padre onnipotente ed eterno Dio, esaudisci il tuo servitore, fai tremare questo tempio e fai cadere gli dei delle genti, che siano distrutti tutti e diciassette; in modo che sappiano che tu sei il solo Dio, che vive nei secoli dei secoli. Finita la preghiera il beato sant’Antioco, ci fu un terribile terremoto, e tutte le statue e gli idoli caddero rompendosi in diciassette pezzi: vedendo tutto questo Adriano e tutto il popolo ebbero paura di Dio e di colui che faceva tanti miracoli su preghiera del servitore di Dio. Tuttavia Adriano ordinò che sant’Antioco fosse portato fuori dal tempio, e sofferente per essere stato disonorato dal servitore di Dio, ordinò che fosse immediatamente condotto in 132 s. antioco Patrono della Sardegna un’isola chiamata Sulcitana, temendo che facesse cadere gli idoli di tutti i templi. A seguito di quell’ordine, un cavaliere chiamato Ciriaco, si alzò e portò sant’Antioco in riva al mare, e si imbarcarono in una nave che andava verso occidente. E navigando ebbero fortuna per molti giorni, e arrivarono nell’isola di Sardegna, e all’isola deserta di Sols (Sulci) che è vicina alla Sardegna, e in quest’isola lasciarono sant’Antioco. E subito dopo Ciriaco riprese il suo cammino. Il glorioso sant’Antioco, vedendo la bellezza di quest’isola che gli consentiva di stare al servizio di Dio, fu molto felice con Gesù Cristo, cominciò a cercare un luogo in cui potesse servire Dio lontano dalle tentazioni del mondo; e trovò in quell’isola vicino alla marina una grotta molto bella fatta da Dio, ed in quella spelonca stava tutto il giorno in preghiera ed intonando canti spirituali, facendo infinite grazie e lodi a Dio onnipotente che lo aveva condotto in un luogo così bello e che gli aveva consentito di servire la sua santa religione, con la quale sperava di avere gloria santa; non come i santi Martiri, ma come i santi Confessori ed Eremiti, o come Elia o san Giovanni Battista, o san Paolo primo eremita che stette novanta anni in eremitaggio; e il glorioso sant’Antioco desiderando di essere simile a loro, cominciò il digiuno e la veglia, e sermoni quaresimali, e preghiere senza mai interruzione, servendo Dio devotamente; e tutte quelle persone che si presentavano da lui con le santissime parole di Cristo li convertiva: non dava loro soltanto salvezza per l’anima, ma salute per gli organi che si erano ammalati; avendo tutte le intenzioni di eliminare gli idoli, e di abbandonare completamente gli dei, e innamorati della dottrina di sant’Antioco che li affascinava con Gesù Cristo, non volevano mai andarsene, e lo vedevano ogni giorno, e l’amore di nostro Signore Gesù Cristo illuminava i loro cuori. Ma poiché gli uomini malvagi secondo consuetudine hanno sempre voluto impedire il bene e distribuire il male, hanno sempre avuto come nemici Dio e i suoi benefattori; e così alcuni di questi uomini malvagi avevano dato ad intendere ai principi crudeli e ai signori che in quel tempo stavano nell’isola di Sardegna in una città chiamata Cagliari, che in quest’isola c’era un cristiano chiamato Antioco che abitava in una grotta e che con arti diaboliche attirava tutta la gente che abitava in quell’isola, e faceva abbandonare e disprezzare la credenza negli dei per la fede in Gesù Cristo. I Principi e i Sacerdoti del tempio dei pagani, sentendo tutte queste cose, e che era arrivato il nemico dei loro dei ed estimatore di Gesù Cristo, che era morto sotto il governo di Pilato, furono fortemente arrabbiati contro sant’Antioco: e dopo essersi riuniti per discutere di queste cose, diedero ordine di trasferire alcuni uomini armati nel luogo dove abitava sant’Antioco , perché venisse portato davanti a loro. Ed arrivando tutta questa gente armata nell’isola di Sulci, trovarono il servitore di Dio dentro la grotta che pregava dicendo: Dio ascoltami, vieni in mio aiuto; e i soldati entrarono dentro la grotta e gli dissero: Antioco, i comandanti dell’imperatore e i sacerdoti dei templi sanno che tu sei cristiano, e ci hanno ordinato di portarti davanti a loro. E il beato sant’Antioco rispose loro: Vi chiedo che prima possa rivolgere le mie preghiere a Dio. 133 Capitolo X Avuto il loro consenso si mise in ginocchio e pregava con copiosissime lacrime dicendo: ¶ O Dio, che esisti prima di tutte le cose, e hai formato il primo uomo dal fango della terra, che sei Padre di quelli hanno speranza in te, e che fosti prima di tutto il mondo, che hai creato tutte le lingue, e tutti in ginocchio ti adorano così in terra come in cielo, e nell’inferno, esaudisci la preghiera del tuo servo; Ascoltami con benevolenza e così come hai accolto in pace nel regno celeste mio fratello Plantano, e lo hai inserito tra i tuoi santi martiri per la buona confessione e testimonianza del nome tuo: allo stesso modo accogli in pace il mio spirito. ¶ O Dio mio Signore, padre pietoso, per tua misericordia di accordami questa grazia, ti prego, Signore, che chiunque verrà a pregare nel tuo santo tempio, che sarà edificato in questo luogo, e in tutti i luoghi in onore del tuo santo nome, tu, Signore, esaudisci le loro preghiere nel tuo cielo santo e liberali da ogni male: ¶ Libera, o Signore, il tuo popolo dai pagani e da tutti i nemici, e fai diventare la loro forza, potenza e valore in confusione, e fai crollare il loro potere: ¶ Ascolta, o Signore, il tuo popolo secondo la tua immensa misericordia; liberalo dalle malattie e dalla fame, dai vizi e dai peccati, e difendili da tutti i nemici visibili e invisibili; presta soccorso ai tuoi devoti e preservali dai pericoli e dalle infermità del corpo e dell’anima: ¶ Ti supplico, Signore mio Gesù Cristo, degnati di concedere ai vescovi, ai sacerdoti o chierici, e a tutti coloro che saranno al tuo servizio, pace, vita e sanità e gioia eterna. ¶ Ed ancora, o Signore, concedi ai re e ai principi che credono e crederanno nel tuo santo nome, sapienza e consiglio, forza d’animo, pace e salute, che possano giudicare con giustizia, governare , reggere e difendere il tempio, affinché tutti possano lodare e glorificare il tuo santo nome. Tu sei il Signore mio e di tutte le cose, e nessuno è stato prima di te e nessuno sarà dopo di te, e vivi e regni con Dio Padre nell’unità con lo Spirito Santo per tutti i tempi del mondo. Amen E come il glorioso sant’Antioco ebbe finito la sua preghiera, venne una voce dal cielo a dirgli: Antioco, hai cercato e hai chiesto cose buone, l’aiuto del mondo è già finito: hai conservato la fede; vieni dunque servitore buono e fedele, entra nel regno dei cieli e ricevi la corona che ti è stata preparata dal tuo Signore: ho accolto la tua preghiera: chiunque invocherà il tuo nome in ciò che sarà qui costruito, per infermità o per qualunque altra necessità, sarà liberato, e sarà aiutato e difeso tutti i giorni della sua vita, se mi sarà devoto. E venne un’altra voce dal cielo dicendogli: Antioco, ti sono aperte le porte del paradiso, ecco il coro degli angeli che ti attende con gioia e felicità; 134 s. antioco Patrono della Sardegna vieni a ricevere la corona che il Padre celeste ti ha preparato per sempre. E come il glorioso sant’Antioco ebbe udito queste cose, fu pervaso da immensa felicità, e con grande gioia, ringraziando il Signore, lasciò la vita terrena e rese l’anima a Dio. Le persone che erano arrivate per sant’Antioco, sentendo la voce rivolta a sant’Antioco, entrarono nella grotta, e vedendolo morto furono colti da stupore e dissero: È veramente grande e potente il Dio dei cristiani: e credettero in Gesù Cristo, e si fecero tutti battezzare in nome di Cristo. Morì il beato Antioco il giorno 13 del mese di dicembre, sotto l’impero dell’empissimo Adriano, ma nel regno del verissimo Signore Gesù Cristo che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen. QUESTO LIBRETTO SULLA VITA DEL BEATO SANT’ANTIOCO, COMPATRONO DELL’ISOLA DI SARDEGNA, FU STAMPATO A BARCELLONA NELLA STAMPERIA DELL’ACCADEMIA E FINITO IL GIORNO 25 DEL MESE DI SETTEMBRE DELL’ANNO 1890 Capitolo X Scudo del re di Spagna e del papa Paolo III Alessandro Farnese (1543 – 1549) 135 136 s. antioco Patrono della Sardegna Senza la Passio che senz’ombra di dubbio è servita a mantenere viva la memoria del martire Antioco in mezzo al suo popolo per tanti secoli, sarebbe certamente venuta meno la continuità nella celebrazione in suo onore. Proprio dalla Passio i pellegrini, che sempre numerosi accorrevano al tempio eretto sul suo sepolcro, ben sapevano di recarsi non ad un tempio qualsiasi, bensì al tempio che custodiva le spoglie mortali del santo martire Antioco e per questo era ad essi particolarmente caro e sacro. Con quanto rispetto, ammirazione e devozione, la Passio ci parla di S. Antioco, e ne trasmette la memoria! Sia nella parte narrativa sia in quella laudativa (degli inni), il nome di Antioco è sempre accompagnato dagli appellativi di beatus, sanctus, miles Christi, martyr. Se ancora nel ‘500 e ‘600 (come si può osservare nei codici di quel tempo) non si menzionava mai il nome di Antioco senza farlo precedere dal titolo glorioso o glorioso santo, può essere che in ciò abbia influito un recondito, inconscio ed impellente ritorno all’uso degli avi di rivolgersi in epoca punica e neopunica, alla dea Tanit (o meglio TINNIT), il cui nome significa propriamente gloria, con gli appellativi di gloriosa, magnifica signora; ma senza andare tanto lontano, forse è più semplice pensare che ciò sia dovuto proprio all’influsso della Passio nel linguaggio devozionale dei sulcitani. Senza la Passio, poi, avremmo avuto sì un’officiatura di S. Antioco regolata sul comune dei martiri con letture bibliche ed omelie, ma senza letture proprie, cosa questa che a Roma inizia con Adriano III (772-795), alla fine del secolo VIII, diventando le lezioni agiografiche, da allora in poi, di uso comune. Sono proprio queste letture agiografiche, tolte tutte e nove, per l’officiatura del nostro Santo, dalla Passio, che hanno perpetuato di S.Antioco non un ricordo gelido, sfumato, evanescente, bensì quello di un Santo vivo, palpitante, operante, trascinatore, nel ricordo della sua vita, di folle enormi di appassionati devoti. Ed era tanto forte e sentito questo ricorso alla Passio che nessun predicatore, dovendo predicare su S.Antioco, nel giorno della festa, poteva permettersi di farne a meno. Molto significativo a questo riguardo è un episodio riportato in un manoscritto latino della fine del ‘500: “Nel giorno in cui si celebra in tutta la Sardegna la solennità di S. Antioco martire, un padre domenicano tenne la predica in onore del Santo nella chiesa di Villanova di Cagliari, dove i padri domenicani hanno un loro convento. Caso veramente strano, quel predicatore (forse un critico ante litteram) nel suo panegirico non fece menzione alcuna di questo Santo, di tutto parlando fuorchè di S. Antioco, né della sua vita né delle sue gesta meravigliose. Or quel religioso, partito qualche giorno dopo dal porto di Cagliari, cadde in potere dei pirati che lo portarono schiavo in Algeri. Riacquistata in seguito la libertà, certamente mediante riscatto e dopo un’umiliante e logorante schiavitù, ritornato in patria, egli stesso raccontò che durante il suo ritorno gli era apparso S. Antioco, manifestandogli che causa non ultima di tante sofferenze da lui patite fu l’aver egli trascurato, in quel panegirico tenuto a Cagliari ad una grande folla di devoti, di parlare della sua vita e delle sue gesta; e il relatore dell’episodio conclude: “essendo volontà di Dio che i santi siano onorati con la predicazione della loro vita e il popolo cristiano sia stimolato con ciò ad imitarli” il che traduce, come si vede, la nostra Passio che proprio nell’introduzione (ma anche Capitolo X 137 altrove) esorta i fedeli a non cessare mai di lodare Dio nel martire e lo stesso martire in Cristo. Tutto quanto infatti si attribuisce ai martiri, lo si offre certamente a Dio che parla ai suoi discepoli dicendo: “Chi ama voi ama me”. Onoriamo quindi il beatissimo martire Antioco, che Dio ha posto come patrono alla nostra patria, affinché con lui possiamo pervenire al regno celeste”3. 3. Cfr. F. Pili, Sant’Antioco Martire Sulcitano, op. cit., p. 36-37 139 Capitolo XI Capitolo XI Le fonti storiche dal secolo XI al XVI D XI iversi plutei restituiti in frammenti dal santuario sulcitano così come una serie di lastre frammentarie con figure umane che rappresentano due suonatori di doppia tibia, un guerriero con spada, una figura femminile con libro, una maschile con scettro, introducono ai lavori di abbellimento della chiesa realizzati tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo1. La ripresa dell’attività edilizia a Sant’Antioco, attestata da questi numerosi frammenti marmorei , si accompagna a notevoli cambiamenti di ordine politico che vedono assottigliarsi il legame di dipendenza con Bisanzio. Arrigo Solmi nei suoi studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo ci fornisce ampi dettagli su questo travagliato e poco conosciuto periodo storico sardo: Costantino Porfirogenito verso il 930, enumerando i cosiddetti vassalli italici dell’imperatore d’Oriente, accanto al doge di Venezia, ai principi di Capua e di Salerno, al duca di Napoli, agli arconti di Amalfi e di Gaeta, ricorda l’άρχων (lo scudiero) di Sardegna, che è dunque non altro che il iudex dei testi pontifici. Le condizioni dell’isola furono sconvolte dalla breve ma violenta conquista saracena del 1015-16 e i capi di governo locale dovettero affermare la propria autonomia; e poiché, già da tempo, per ragioni di difesa militare, il comandante supremo risiedente a Cagliari aveva dovuto collocare altri capi presso le varie sedi più importanti dell’isola, sia inviandoli come propri rappresentanti e scegliendoli fra i membri più fidati della propria famiglia, sia dividendo il governo, come par più probabile, quasi a retaggio fra i propri figli o discendenti, così ne venne che all’antico governo unitario dell’arconte di Sardegna si sostituì il governo dei quattro giudicati indipendenti, che usurparono o assorbirono i poteri del loro antico delegante. Servendosi delle titolature e della scrittura greche, questi primi sovrani – indubbiamente sardi come emerge dai loro nomi - riconoscevano di fatto il prestigio del potere imperiale da cui emanavano e, rivestendosene, intendevano allo stesso tempo accreditarsi nell’isola come suoi legittimi eredi2. Per questo motivo, dopo lo scisma d’Oriente del 1054, mettono in atto una politica di donazioni di chiese a favore degli ordini monastici benedettini più vicini al papato. Nel 1065 hanno luogo le prime donazioni a favore dei Cassinesi, cui seguono nel corso dell’XI e del XII secolo quelle ai Vittorini, ai Camaldolesi, ai Vallombrosani, ai Cistercensi, che costruiscono o ricostruiscono le chiese. Parallelamente è in atto un grande sforzo di ristrutturazione del tessuto ecclesiastico diocesano, con la fabbrica delle cattedrali. Una lettera scritta dall’arcivescovo di Cagliari Guglielmo al papa 1. Cfr. R. Coroneo, Scultura Altomedievale in Italia, Ed. AV, Cagliari 2005, p. 110-111. 2. Cfr. A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo a cura di M. E. Cadeddu, Ed. Illisso, Collana Biblioteca Sarda n. 64, 2001. 140 s. antioco Patrono della Sardegna Gelasio II nell’estate del 1118, e pubblicata da Raffaello Volpini nel 1986, ci consente di capire meglio la situazione della diocesi sulcitana nell’XI secolo. Nel documento si presenta al papa un memoriale sulle tristi condizioni della diocesi, un tempo ricca e potente e ora ridotta in stato di estrema povertà per le continue spoliazioni cui viene sottoposta, collegate alla penetrazione nell’isola di due grandi istituzioni monastiche: i monaci di S. Vittore di Marsiglia, che hanno goduto e godono del pieno appoggio dei giudici di Cagliari, ed i monaci di S. Benedetto di Montecassino, ora inaspettatamente ricomparsi nell’isola avanzando grandi pretese e coscienti di poter contare sul favore del nuovo papa, che proviene dal loro monastero. Ecco Volpini: Dei vittorini, da tempo istallati nel cagliaritano con numerosissime dipendenze e la sede principale nell’importante antica chiesa di S. Saturnino, già spettante all’arcivescovo, Guglielmo ricorda al papa che la loro immensa fortuna è frutto di una lunga serie di spoliazioni a spese dei beni della chiesa arcivescovile «contra patrum decreta per manum laicam». Recentemente si è aggiunto lo scandalo dell’appropriazione del monastero «Amani iudicis», da cui sono state vergognosamente cacciate monache ed abbadessa. Pasquale II (che aveva preso sotto la sua diretta protezione la chiesa del beato sant’Antioco e la diocesi di Sulci), come il successore sa bene, è intervenuto ordinando all’attuale giudice Mariano e alla consorte Preziosa la restituzione delle proprietà arcivescovili sottratte, raccomandando loro di adoperarsi per la salvaguardia di tutti i beni della chiesa di Cagliari, senza successo. Le restituzioni sono infatti avvenute in minima parte ed i monaci di S. Saturnino continuano a comportarsi con garnde indipendenza nei confronti dell’arcivescovo, negandogli la dovuta riverenza ed obbedienza. Invoca pertanto l’intervento del nuovo papa, mettendolo in guardia su quanto possono dire in proposito i potenti monaci «de Massilia». Quanto ai monaci di Montecassino, le cui inattese rivendicazioni sono recentissime, l’arcivescovo si muove con maggiore cautela e sembra quasi cercare di scusarsi col papa. Allo scopo di illuminare in proposito gelasio II, traccia a grandi linee la storia delle loro vicende nel cagliaritano, fornendo alcune notizie di un certo interesse. La loro prima venuta risale ad anni lontani, coincidendo col momento in cui il giudice di Cagliari Torchitorio Orzocco, il nonno del giudice Mariano, s’era sottoposto a penitenza canonica «propter multa que fecerat hpmicidia». Gli era stato per questo ingiunto di provvedere alla fondazione di un monastero, affidandolo a monaci degni, aperti alle istanze della riforma. Ben volentieri il giudice Torchitorio accolse dunque i cassinesi e destinò loro la donazione di numerose chiese nel Sulcitano, che sarebbero servite per la dote del nuovo monastero (l’atto di donazione venne stilato il 5 maggio 1066, «in vico qui dicitur Uta»: egli si dichiarava disposto a donare a Montecassino le chiese di S. Vincenzo de Taverna, di S. Maria de Flumentepido, di S. Marta, di S. Pantaleo di Olivano, di S. Giorgio de Tului e di S. Maria de Palma). La donazione era tuttavia condizionata all’effettivo invio, da parte dell’abate di Montecassino, di un conveniente numero di monaci, con tutto il corredo, anche di libri liturgici, occorrente per l’avvio della nuova fondazione. Non essendosi i monaci cassinesi più presentati, i beni a Capitolo XI 141 loro promessi furono in seguito, nei quindici anni in cui ancora visse il giudice, destinati ad altre finalità religiose. Così quando in un concilio (probabilmente nell’anno 1073/74), celebrato nell’isola da un legato della Chiesa romana, l’arcivescovo di Cagliari ottenne l’istituzione delle diocesi suffraganee, una parte delle chiese promesse a Montecassino servirono, con il consenso del legato, per la dotazione della diocesi di Sulci, allora ristabilita. Nella lettera si afferma che dal ristabilimento della diocesi al 1118 erano stati consacrati dall’arcivescovo di Cagliari nove vescovi, compreso quello in carica. Se ne conoscono dalle fonti solo due, o forse tre: il vescovo del 1089, il cui nome non si legge ma che, ma che si identifica col vescovo Raimondo, che sottoscrive senza indicazione del titolo l’anno seguente; forse il vescovo Salvio del 1108 (non si qualifica col titolo della diocesi, ma interviene insieme al vescovo di Dolia, esattamente come si verifica negli altri casi); Arnaldo, già monaco di San Vittore, del 1112. Noi sappiamo anche di Gregorio I che nel 1102 riconsacrava la chiesa e l’altare. Di questo prelato si ha memoria in una piccola pergamena, che fu trovata nel 1637 in una scatolina d’argento nell’altare sotto la pietra sacra della chiesa di S.Antioco. In essa erano scritte queste parole: Anno domini MCII ind. II – III. Id. iul. Gregorius epus. Consacravi ecclesiam istam et altare ad honorem Virginis Mariae sanctorumque omnium et sancti corpore eius presente3. Altre chiese poi, al sopraggiungere dei monaci vittorini, furono loro concesse da Torchitorio, che intese in tal modo completare la sua penitenza. Ora, dopo più di cinquantadue anni, i monaci di Montecassino si sono improvvisamente ripresentati a Cagliari con la loro «carta», pretendendo l’esecuzione di quella donazione «inveteratam et oblivioni iam traditam». L’arcivescovo si premura di dichiarare a Gelasio II le sue buone disposizioni nei confronti dei monaci. Li ha accolti benevolmente, ed era deciso, per riguardo al papa, a radunare un concilio dei vescovi della Sardegna, con la partecipazione degli altri arcivescovi, di Torres e di Oristano, perché la causa vi potesse essere discussa e, in quella sede, «secundum archiepiscoporum sententiam», il vescovo di Sulci potesse, canonicamente, rispondere alle richieste dei monaci. Ma i monaci, irremovibili nelle loro rivendicazioni, hanno rifiutato il progetto e se sono andati, minacciando pesanti sanzioni da parte del papa. «Qui aliter dixerit, a vero aberrabit». A metà del secolo XII i cassinesi ripresentarono il problema senza successo4. Desta sorpresa il provvedimento emanato dal successore di Orzocco, il giudice Costantino Salusio che nel 1089 donava al monastero di San Vittore di Marsiglia e al suo abate Riccardo non soltanto la chiesa di San Saturno di Cagliari perché vi costruissero accanto un «monasterium secundum Deum», ma anche varie altre chiese e, addirittura, la «ecclesiam sancti Antiochi quae est in insula de Sulcis»; non c’è dubbio che si tratti proprio della nostra chiesa: 3. Cfr S. Pintus, Sardinia Sacra, vol. I Provincia Ecclesiastica di Cagliari, Iglesias tip. Canelles, 1904. 4. Cfr. R. Volpini, Lateranum, Documenti nel Sancta Sanctorum del Laterano. I resti dell’Archivio di Gelasio II, a cura della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, n. 1 1986, p. 228-235. 142 s. antioco Patrono della Sardegna quasi negli stessi termini, infatti, la sua donazione venne confermata l’anno seguente dall’ arcivescovo cagliaritano Ugone ed è menzionata tra i possedimenti dell’abbazia marsigliese nella solenne conferma di Urbano II nel 10955. In questa donazione di tante chiese è assente ogni rappresentante dell’autorità ecclesiastica locale. Virgilio vescovo di Dolia e Raimondo vescovo di Sulci erano vivi e certamente in Cagliari quando vi si trovava il legato eppure non intervengono alla donazione di chiese appartenenti alla loro diocesi. Se ne desume che il legato impose la sua volontà passando sopra ai diritti non solo della sede di Cagliari allora vacante, ma anche a quelli delle diocesi suffraganee. Che i vescovi fossero contrari alla donazione fatta ai monaci vittorini lo dimostrano i ricorsi presentati al papa nei quali si rivendicava il diritto sull’antica sede, ricorsi che ebbero sicuramente successo perché la chiesa del beato Antioco non compare più tra le chiese dei Vittorini che enumera l’arcivescovo di Cagliari Guglielmo nel 1119, né tra quelle che Callisto II nel 1120 conferma al priorato di s. Saturno, e neanche nella più lunga lista dell’arcivescovo Costantino nel 1141. Il ritorno della chiesa alla diocesi fu forse facilitato dal fatto che nella sede sulcitana siedono verso questo tempo parecchi vescovi benedettini come Arnaldo (1112) che era stato monaco di s. Vittore. La lunga lite si chiuse definitivamente con il privilegium protectionis (seguendo l’esempio di Pasquale II) accordato da Onorio III alla diocesi di Sulci e ai loro vescovi il 5 ottobre 1218: in esso le venivano riconosciute tra l’altro le 6 chiese assegnatele dal legato pontificio quando essa era stata appena ripristinata e che le erano state così a lungo contese dai monaci di Montecassino. Il provvedimento di Onorio segnava anche la conclusione di un’ altra lite, quella aperta con i Vittorini a proposito della chiesa di Sant’Antioco; benché i lavori della nuova cattedrale di Tratalias fossero forse già terminati o, comunque, molto ben avviati, i vescovi di Sulci non dovevano aver cessato di rivendicare anche la loro antica cattedrale; il privilegium di Onorio risolveva a loro favore anche questa aspirazione: veniva infatti disposto che da allora in avanti «la chiesa del beato Antioco fosse ritenuta, secondo l’antica consuetudine, la [vera] sede della diocesi» di Sulci6. Per il trasferimento della cattedra vescovile a Tratalias viene spesso indicata come riferimento bibliografico, Italia Pontificia vol. X, p. 415, dove si sottolinea che la sede episcopale si trovava presso la chiesa di S.Antioco; già nel XII sec. però sembrava trasferita nel luogo chiamato Tratalias dove nel 1213 venne costruita la bella chiesa di S. Maria. Le fonti di questo trasferimento: La Storia dell’arte di Dionigi Scano, p. 141 sq.; Delogu, L’architettura, p. 171 sq. Nella stessa pubblicazione sono precisate le fonti documentarie sul trasferimento della diocesi ad Iglesias: “Iterum traslata est ad civ. Ecclesiensem approbante Iulio II a. 1503. Episcopatus a Leone X suppressus a. 1514, a Clemente XIII restitutus a. 1763 etiam nunc suffragatur Caralitanae ecclesiae7”. Alcuni storici, tra questi il Motzo, precisano sicuramente meglio: “la costruzione della chiesa di S. Maria in Tratalias là dove i vescovi risiedevano di fatto, non fece perdere a quella di S.Antioco il diritto di esser considerata sede della 5. Cfr. R. Turtas, La Diocesi di Sulci tra il 5. E il 13. Secolo, Sandalion, vol. 18, 1996, p. 168. 6. Statuimus insuper, ut episcopatus tui sedes iuxta morem antiquum apud beati Antiochi ecclesiam habeatur. 7. Cfr. P. F. Kehr, Regesta Pontificum Romanorum, Italia Pontificia, vol. X Calabria-Insulae, 1975, p. 415. Capitolo XI 143 diocesi…”8. Le testimonianze del domicilio dei vescovi a Tratalias sono numerose. Un’epigrafe murata ai lati del portale della chiesa indica l’anno di inizio della costruzione (vescovo Mariano I, 1213-1218) conclusa intorno al 1282 come rivela un’altra iscrizione esistente nel pilastro al di sotto del pulpito (vescovo Mondasco dei Sismondi 1282-1283); nella facciata un’altra epigrafe dà notizia della sepoltura di due vescovi: Alberto, frate dell’ordine di Montecassino nell’anno 1122 e Aimone nel 1163. Secondo Alberto Della Marmora i corpi di questi due prelati riposavano senza dubbio nella vecchia chiesa e se ne è conservata la memoria al momento dell’edificazione di quella nuova, nel 1213 dell’era pisana. Nel 1124 però la chiesa di S.Antioco era del vescovo. Ne troviamo conferma nell’atto di donazione del Giudice di Cagliari Torcotorio, con suo figlio Costantino e sua moglie Donna Preziosa ad Sanctum Antiochum de tota Insula Sulcitana nel 1124, dal quale si può dedurre che la chiesa, in quel periodo, era in mano dei vescovi. L’atto è scritto nelle forme della cancelleria locale e non vi è la minima allusione ai monaci, i quali invece nei documenti che l’interessavano curavano che fossero seguite le forme giuridiche della cancelleria continentale ed erano solleciti di notare espressamente che ad essi, al loro monastero, e all’abate, era fatta la donazione. L’isola sulcitana è donata al santo titolare della chiesa e della diocesi e con ciò s’intendeva che l’amministrazione di essa passasse a chi reggeva sia la chiesa che la diocesi: al vescovo. Ecco il testo della donazione: In nomine patri set filii et spiritus sancti Amen. Ego Judex Torquitor qui est Marianus vocor per voluntatem dei potestandu regnum Calaritanum cum filio meo dominu Costantino et cum uxore mea domina Preziosa pro remissione omnium peccatorum meorum omniumque parentum nostro rum facio donationem ad sanctum Antiochum de tota insula sulcitana et de semitta que appellatur Sikirbi que michi per ex parte domine Gitite et ex parte domicellus Terki pervenit (per venit) at dominum Furatum de Gonale et a frate suo et dederunt michi et omnium que michi per quocumque ordine pertinere videretur, et absolvo fratres meos et sorores meas qui sunt dominum Otorku dominum Terkis et dominam Maria et dominam Vera, facere de causa sua que volunt. Et ego domicellus Othorkus et domicellus Terkis et domina Maria et domina Vera cum absoltura de Mariano Judice quem dominus multos annos nobis cunsservat et deffendat facimus similiter cartam ad sanctum Antiochum de ipsas portiones nostras de eadem insulam et semitam que nobis pertinebantur ut nullus imperatur vel curator aut alia persona magna sive parva qui post nos venturi sunt habeat potestatem sive audaciam tolendi sive minuendi de supra dicta insula et semitta quam damus ad sanctum Antiochum. Et similiter absolvo domicellos meos de causa sua facere que volunt. Et ego domicellus G[onnarius] et domicellus Petrus et domicellus Marianus et domicellus Torquitor et domina Georgia de Gonale facimus cartam ad sanctum Antiochum de supra dicta insula et semitta de Sikirbi que nobis pertinere videbatur. Similiter dedit domicellus Turbini por8. Cfr. B. R. Motzo, La donazione dell’isola sulcitana a S.Antioco, Archivio Storico Sardo 13, 1920, p. 88. 144 s. antioco Patrono della Sardegna tionem suam de eadem insula et semitta ad supra dictum sanctum Antiochum de Surkes. Et non liceat nec habeat audaciam nullus imperator sive curator neque filii aut alias personas qui post nos venturi sunt de omnia que dedimus ad supra dictum sanctum Antiochum. Et ego domicellus Terkis testi set ego domicellus Comitta testi set ego donnicellus Otorcho testi set ego… loci salvator testi set alii plurimi testes. Qui autem cartam istam sive supra dictas donationes everterit vel minuere voluerit sit excomunicatus, et cetera. M.C.XXIIII Nel nome del padre del figlio e dello spirito santo Amen. Io Giudice Torcotorio chiamato Mariano, regnando per volontà di Dio il regno Cagliaritano con mio figlio donnu Costantino e con donna Preziosa mia moglie, per la remissione di tutti i nostri peccati, e di tutti i nostri antenati, faccio donazione a sant’Antioco di tutta l’isola sulcitana e del salto che chiamano Sikirbi, che mi venne dato in eredità e mi pervenne per la parte spettante a donna Gitita e per quella di donnicellu Zerchis, con la parte di donnu Furatum di Gunale e di suo fratello, i quali me ne fecero donazione, come pure per tutte le altre cose che mi sono state date in qualunque maniera, assolvo i miei fratelli e le mie sorelle, cioè donnu Orzocco, donnu Zerchis, donna Maria e donna Vera, affinché ne dispongano in piena loro volontà. Ed io donnicellu Orzocco e donnicellu Zerchis e donna Maria e donna Vera con la facoltà e la licenza del Giudice Mariano, che Dio ci conservi e ci difenda per lunghi anni, facciamo allo stesso modo, come egli ha fatto, l’atto di donazione a sant’Antioco delle parti di detta isola e dei salti a noi spettanti, in modo che nessun giudice o curatore né qualunque altra persona di grande o di piccola autorità che ci dovrà succedere, abbia il potere o l’audacia di togliere o diminuire parte di quest’isola e dei salti che abbiamo donato a sant’Antioco e nello stesso modo concedo piena facoltà affinché ne dispongano a loro piacimento. Ed io donnicellu G[onario], donnicellu Pietro con donnicellu Mariano, donnicellu Torcotorio e donna Giorgia di Gunale facciamo atto di donazione a sant’Antioco della detta isola e del salto di Sikirbi che riteniamo appartengano a noi. Allo stesso modo donnicellu Turbino donò al summenzionato sant’Antioco di Sulci le parti della stessa isola e il salto che gli appartenevano. E che a nessuno sia consentito e abbia l’ardire, giudice o curatore, figli o altre persone che verranno dopo di noi, di opporsi a tutte le donazioni abbiamo fatto in onore del suddetto sant’Antioco. Ed io donnicellu Zerchis sono testimone, io donnicellu Comita testimone, io donnicellu Orzocco testimone, e io … loci salvator9 testimone, con molti altri che furono testimoni. E chiunque avrà l’ardire di infrangere questa carta in tutto o in parte, e di diminuire queste donazioni, resti scomunicato. Anno 1124 9. Da non intendersi riferito a persona fisica (loci salvatore) ma al servator loci medievale «chi tiene il posto di un altro». In età bizantina, titolo dei capi militari (detti anche locopositi) delle città e dei castelli, che adempivano anche in Sardegna alle funzioni loro affidate localmente dai duchi e dai conti; con la disintegrazione dell’Impero le loro attribuzioni si ampliarono fino a trasformarli in magistrati ordinari, e con queste funzioni si riscontrano in epoca longobarda e carolingia. Si può pensare che anche in Sardegna, nelle città principali, soprattutto per i fini della difesa si collocasse il lociservator, come si sa con certezza collocato a Cagliari. Al tempo del nostro documento era lociservator di Cagliari donnicellu Costantini (anni 1121-1129) cfr A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo a cura di M. E. Cadeddu, Ed. Illisso, Collana Biblioteca Sarda n. 64, 2001. Capitolo XI 145 Signum tabellionis da una copia della donazione estratta dalla mensa arcivescovile di Cagliari nel 1756 146 s. antioco Patrono della Sardegna La donazione è fatta nella forma propria della cancelleria locale, di cui tanti saggi conosciamo dalle carte volgari edite dal Solmi, e le formule volgari traspaiono attraverso il rozzissimo latino adoperato; i personaggi poi che vi sono nominati s’incontrano in altri documenti contemporanei. Anche prescindendo dal fatto che i vescovi sulcitani e poi gli arcivescovi di Cagliari ai quali nel periodo spagnolo fu affidata la diocesi s’intitolarono signori di S.Antioco e ancora nel 175810 vi esercitavano diritti di proprietà che cedettero all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, l’aspetto stesso del documento ci costringe a ritenerlo autentico11. I dubbi sul possesso dell’isola furono sollevati in particolare intorno alla metà del XVIII sec. dal governo piemontese che intendeva ripopolare l’isola (abitata da oltre 300 antiochensi) con una colonia di greco-corsi. I funzionari sabaudi provarono a dimostrare la falsità delle donazioni nonché l’errata collocazione dell’antica Sulci. La documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Torino e nell’Archivio dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, testimonia questi tentativi regalandoci informazioni utilissime per ricostruire, attraverso le fonti citate e quelle omesse, le vicende storiche dell’isola e di tutto il territorio sulcitano. Ecco la trascrizione di una di queste relazioni: Donazione fatta dal Giudice Torcotorio detto Mariano, sulla quale l’Arcivescovo di Cagliari pretendeva di fundare i suoi diritti, come Vescovo di Iglesias, sull’isola di St. Antioco. Con una memoria d’osservazioni sull’autenticità, e validità della sudetta donazione Mazzo 21. Osservazioni circa la donazione del Giudice Mariano del 1124. Quantunque questa donazione nella forma, in cui compare, sia soggetta a varie gravi eccezioni non meno in riguardo all’intrinseco della med.ma, si crede nientedimeno, che considerandosi attentamente tutte le circostanze, possa questo documento ravvisarsi come non affatto disprezzevole, anzi degno di un qualche riguardo. – E primieramente in ordine all’estrinseco: Egli è vero che il transunto trasmesso non si può dire autentico, essendo piuttosto un progetto, o minuta, che un vero e proprio transunto: Ma ella è cosa certa, e certissima altresì, che questo documento trovavasi nella Curia di Cagliari, e negli Archivi di essa, molto prima della presenti pendenze: Egli – Arcivescovi di Cagliari nominati da S. M. sono persone tali da escludere il menomo sospetto, tanto più che a questo titologiammai hanno riferito, e legato il loro antichissimo possesso – Né può essere di alcun rilievo l’argomento tratto dal silenzio del Vescovo Giuliano, delli Rè D. Ferdinando, e D. Gioanni negli anni 1466. 1479., o da quello del Padre Serafino Esquirro nella sua opera del Sanctuario de Caller imperciocchè e gli uni, e gli altri non fecero menzione di questo documento, quantunque loro noto, perché inutile, anzi piuttosto contrario al loro 10. Vedi Appendice: Concordia tra Monsignor Arcivescovo di Cagliari, il Regio Patrimonio e la Sagra Religione dei S.S.ti. Morizio e Lazaro. 11. Cfr. B. R. Motzo, La donazione dell’isola sulcitana a S.Antioco, op. cit. p. 77. 147 Capitolo XI intento. – Oltredichè le domande del Vescovo Giuliano, e Li Privilegi degli accennati Sovrani sono concepiti con clausule generiche, giusta lo stile di què tempj, atte per altro a provare almeno in genere il possesso dei Vescovi Sulcitani delle cose in essi diplomi espresse; cioè Saltus, terras, possessiones, redditus, intrates, jurisditiones, &., e sebbene li med.mi Sovrani abbiano solamente confermato quelle cose = prout illa, illos, et illas prefati sui = Praedecessores melius tenuerunt, possederunt, = seu usi fuerunt, et que per acta, et legittima documenta, authenticasque scripturas constiterit eisdem pertinere = …. Iuribus tamen Curie Nostre in omnibus semper salvis, et illaesis remanentibus =. Si deduce però quindi, che gli stessi Sovrani hanno riconosciuto quel Vescovo, e Li di Lui Successori capaci di posseder legittimamente, e senza pregiudizio delli diritti della Rª Curia alcune cose delli generi ivi numerati * La città di Iglesias nell’attestato, che diede ai Canonici di quella per valersene nella Lite dell’unione, esaggerando i mali, che ne sentiva per l’assenza del Prelato, fra le altre cose al n. 3. dice = Es non solum jura predicta, sed et alia bona temporalia scilicet juri dictiones, Territoria dicti Episcopatus, et Mensa propter absentiam proprii Episcopi deperdita sunt, et occupata ab aliis Dominis, et Baronibus secularibus in fraude Ecclesia . Anche s’aggiunga che l’espressione vaga e generica resta poscia sufficientemente determinata ed individuata dalla posteriore osservanza. – Il silenzio poi del Padre Serafino Esquirro potrebbe essere di qualche considerazione ove questi non spiegasse apertamente qual fosse il suo fine: Nella sua opera intitolata Sanctuario de Caller era del tutto estraneo il Cap. 2. del Lib. 4. = Como la isla Sulcitana, o Isla de S.Antiogo fuè dada a Bandino Obispo de Sulcis, y como la posseen agora los Arcobispos de Caller = non avendo che fare con l’invenzione dè Corpi Santi, che si trattò di descrivere, ma fu cacciato espressamente per lasciare a Posteri un’eterna memoria delle ragioni, e del possesso, che hanno circa quell’isola gli Arcivescovi di Cagliari in qualità di Baroni; ma siccome dalla Donazione del 1124 non si poteva ricavare tale fondamento, ne sopra di essa poteva veramente stabilirsi il titolo della Baronia, o Giurisdizione temporale, per essere questa fatta a S.Antiogo, e per conseguenza alla sua Chiesa, e non già alli Vescovi ritrovarsi nell’altro Transunto, ovvero nell’originale, e quando anche in questi mancassero, siccome mancano in altri legittimi, ed autentici, non sarebbero vizi questi a giudizio di valenti diplomatici sufficienti per debilitarne la fede, e l’autorità, e far rivocare in dubbio la verità dell’atto comprovato dalla testimonianza degli Storici (a), e dalla susseguita osservanza. (a)Vic. Hist. Part. 6. Cap 47. Part. 7. Cap. 2. n. 6 148 s. antioco Patrono della Sardegna Quantunque non si abbia per ora alcuna prova per dimostrare che la nota cronologica dell’anno 1124 sia la vera data di tale atto; non vi è però nemmeno alcuna prova contraria. Sapiamo, che Mariano governò anche dopo il 1100, mentre secondo la testimonianza dè Storici Genovesi, fu dalle armi, e dagli aiuti di quella nazione riposto in soglio circa l’anno 11101, da cui era stato discacciato (b). Abbiamo documenti non sospetti, Diplomi non oggettabili né nell’intrinseco, né nell’estrinseco, (e per conseguenza memorie per stabilirvi la più esatta cronologia migliori di qualunque Testimone istorico) dalli quali sapiamo, che il nostro Mariano viveva, regnava, e mostravasi liberale verso la Chiesa nel 1112 (c) che questo Mariano ebbe per moglie Preziosa, per figlio Costantino, ed un altro Costantino per Padre, il quale era figlio di Arzone, o Orzone, o Orzocco, o Onrocco, che io credo fossero una persona sola (d). (b) Interiano Storia di Genova pag. 9 – Succedendo poi nell’anno MCX. Il Consolato di Guglielmo Buferia ottennesi in quel med.mo tempo in Sardegna la città di Callari, e vi fu riposto Mariano legittimo Signor Suo che n’era stato espulso – (c) diploma Mariani MCXII Ind.ne V. VI. Nonas Madii Diploma Benedicti Doliensis Episcopi MCXII. Ind.ne. V. Sexto nonas Madii (d) Vedi li citati Diplomi Diploma Costantini Regis Karalitani, seu Fundatio Monasterii S.Saturnini anno millesimo octuagesimo nono Ind.ne 12. Diploma Hugonis Karalitani Arch’pi 1090. Ind.ne 13. 22. Aprilis Fundatio Monasterii SS. Georgii et Genesii 1089 Indies. 12. 11. Kal. Julii – Epistola Gregorii VII. Penes Vidal Annal Tom. 2. pag. 139 – Né si crede che si possa con qualche fondamento addurre un altro Giudice, che governasse il Giudicato Calaritano nel 1124, diverso dal nostro Mariano Donatore. E sarebbe per l’opposito facil cosa il dimostrare, che què Principi avevano una superiorità tale, ed autorità da potere validamente fare una si fatta donazione, cui perciò opporre non si potesse d’inverosimiglianza, o per difetto della podestà nel Donante, o attesa la qualità della cosa donata non separabile dal Demanio. O si abbia riguardo alle formole usurpate nelle Donazioni e Diplomi (e), e alli Trattamenti ricevuti dalle Potenze, o alla testimonianza degli Storici*; Certamente què Giudici, di cui trattiamo, compaiono qualche cosa di più di meri Magistrati. Provasi la loro esistenza anteriormente al 1018. (f), e benchè poscia, 149 Capitolo XI ora i Pisani, tallora i Genovesi, e sempre Li Pontefici abbiano preteso il Sommo impero di quell’Isola, Li Giudici però, quantunque fatte abbiano talora confederazioni ineguali, riconosciuti Li loro Regni in feudo, sempre esercitavano la sovranità, e) Ego Dei Gratia Rex *Laurent. Vernen. penes Murat. Tom. VI. Rer. italic. Col. 115….. ubi Costantinus habebat sedes, Rex clarus, multus celebratus ab omni Sardorum populo – Olives ad Chartam localem, seu Comment. In ll. Sard. pag. 3. n. 11. Jssi Judices erant Reges f) Anastasius Bibliothec: in vita Nicolai I. come dagli accennati documenti risulta (g), e meglio dalli celebri atti dell’incoronamento del Rè Barisone fatto dall’Imperatore Friderico nel 1164. riferiti dalli Continuatori del Caffaro rapportati dal Muratori Tom. VI. Rer. Italic. (h), ove si leggono le controversie in tale occasione tra li Pisani, e Genovesi, opponendosi quelli alla decorazione addimandata da quel Re, con asserire essere quello loro dipendente, e suddito, qual cosa negandosi da Genovesi, i quali affermavano essere questi vero Signore, e Sovrano nelle sue Terre, fu incoronato Re di tutta la Sardegna, e particolarmente per quanto riguarda Li Giudici Calaritani, massimamente in ordine ad Onrocco, Costantino, ed il nostro Mariano, (che ne sia poscia dè Loro Successori) provasi chiaramente la Loro Sovranità dalla sovracitata Lettera di Gregorio VII. (i) dalla Donazione di Turbino (l) o sia Durbino (m) o anche Dubitino (n) che fu per poco tempo stabilito Re dà Pisani in luogo di Mariano, poscia restituito dalli Genovesi, e da tutti li Diplomi, che si hanno alle mani, dalli quali risulta essersi esercitate, ed ottenute da què Giudici e Re l’Autonomia, cioè la podestà di far leggi (o). l’autodicia, cioè la podestà di costituire Magistrati. L’autotelia cioè podestà di Finanze, che sono, secondo il sentimento dè Pubblicisti, le potenziali, ed essenziali parti della Sovranità per quanto riguarda l’interno dello Stato, alle quali rispetto all’esteriore aggiungere si debba la podestà di far guerra, pace, e confederazioni. (g)V. Diploma Costantini Regis cum sigillo plumbeo Carta fundationis Turritani Monasterii in Sardinia MCCV. (h)V. il Folietta nella collezione di Grevio e Burman Tom. 1. Cronica Pisana presso il Muratori Rer. Italic. Tom. VI. (i) penes Vidal. Tom. 2. Annal. Pag. 139. Praeterea nolumus scientiam tuam latere nobis terram vestras a multis gentibus esse petitam, maxime servitia si eam promitteremus invadi fuisse promissa, ita ut medietatem totius terrae nostro usui vellent relinquere, partem alteram ad fidelitatem nostram sibi habere. Cumque hoc non solum Normannis, et a Thuscis, 150 s. antioco Patrono della Sardegna ac Longobardis, sed etiam a quibusdam ultramontanis crebro esset postulatum nomini in ea re unquam assensum dare decrevimus, donec ad vos legatum nostrum mittentes animum vestrum deprechenderemus. Igitur quia devotionem B. Petro rehabere in legato suo monstrasti, si eam (sicut opportet) servare volueris non solum per nos nulli terram vestram ivi ingrediendi licentia dabitur, sed etiam siquis attentaverit, et seculariter, et spiritualiter prohibebitur a nobis, ac repulsabitur. (l) Donatio Iolanei facta Populo Pisano a Turbino Judice Calaritano anno 1104 (m)Così viene designato nè Diplomi s.ª citati (n)Cit Laur. Ver. Histie Dubitinus Pisanis associatur, qui q.m Regnum censebat Calaritanum (o)di cui viva ne resta tutt’ora in Sardegna la memoria nella citata Carta de Logu fatta da Elianora pro sa gracia de Deus Jugghessa de Arborea. Ne alle sud.e prove punto nuocer potrebbe o la qualità dè feudatari pretesa né Regoli nella Sardegna, mentre giusta il Grozio (p) in nexu feudali duo sunt consideranda, obbligatio personalis, et jus in rem. Obbligatio personalis eadem est, sive quis ipsum jus imperandi, sive aliud quid vis, etiam alibi situm feudi jure possideat; Talis autem obbligatio, sicut privato non erat dempsura jus liberatis personalis, ita nec Regi, aut Populo jus demit summi Imperii … Jus vero in rem quod attinet, id quidem tale est, ut ipsum imperandi jus, si feudi jure teneatur, aut familia extincta, aut etium ob certa crimina ammitti possit, sed interim summum esse non desinit (p)Grot. De jure belli, et pacis Lib. 1. Cap. 3. § 23. E per escludere la somma podestà dal nostro Mariano, converrebbe assegnare presso chi questa in què tempi veramente risiedesse cosa, che non sembra così facile. Dopo tale considerazione non deve recar maraviglia, ne sembrare contraria al buon senso, la donazione, per la grandezza del dono, mentre basta souvenirsi essere questa una munificenza esercitata prima dè famosi congressi di Roncaglia del 1158. di Federico I, il quale per altro in Italia, tuttochè abbia procurato di revindicare Li Regali, giusta la testimonianza del Sigonio (q) tantam tamen benignitatem (doveva dire justitiam, come osserva un Demanialista) ad hibuit, ut quicumque praedium suum legittima Regum Donatione probare possent, eos in possessione relinqueret. (q)Sigonius de Regno Italiae Lib. 12. Oltredichè non era L’Isola in què tempi quale forse imaginossela taluno. Una vasta Provincia, con una Città celebre, Cattedra Vescovile, Capitolo, e con altri Popoli, ma bensì un diserto, una boscaglia incolta, la Chiesa di S.Antioco così chiaramente designata, ed 151 Capitolo XI individuata nelli citati Diplomi Coevi, ed anteriori. Si presenta in aspetto, e colle divise di Chiesa semplice, rurale, e non già di sede vescovile. Tutti gli antichi Geografi distinguono la Città di Sulcis dall’Isola allora chiamata Aenosis, Molybobes, e Plumbaria, poscia Sulcitana, e più frequentemente, e solamente dopo il tempo della nostra Donazione Isola di S.Antiogo. Ne alcuno ritrovar li potrà – poicchè si sono diligentemente esaminati tutti – che la collochi dentro all’Isola, anzi tutti unanimi, o la dicono, o la suppongono situata nel continente, nella parte bensì più meridionale del medesimo. Così pur anche in tutte le Carte del Coronelli, del Delisla, ed altri, similmente nel Continente sono designati i Sulcitani abitatori di quella Provincia. Vedasi il Cluverio (r) il quale chiaramente asserisce doversi stabilire il sito della Città di Sulcis nel Luogo, ove ora si dice Palma di Sols, al med.mo aderisce L’Anonimo nelle note a Plinio ivi = Sulchi ubi nunc Portus, cui nomen Palma di Sols. – (r) Cluverius de Sardinia in Collect. Gravii et Burman Vol. 15. col. 17. Hinc jam in ipso sequebatur meridionali latere antiquissima Carthaginensium Colonia. Σμλκοι pluralis numeri dicta vocabulo, quod Romani suo ore graeca littera in latinum versa fecere Sulci , Unde Oppidani Hirtio, et Plinio dicuntur Sulcitani , indi riferisce tutti Li Testimoni degli auttori, che parlano di questa Città e soggiunge.Situs Sulcorum e Ptolomei tabula difficilis maritimam tamen is facit urbem cum portu in meridionali Insulae latere. Plinius dicto loco ita tradit. Habet et a Gorditano promontorio Insulas duas, quae Herculis memorantur, a Sulcensi Anusim, a Calaritano Ficariam – Est hodie Insula propre meridionale Insulae Litus, vulgari appellatione L’Isola di S.Antiogo obiecta Portui, qui vulgo dicitur Palma di Sols, qui ex situ, et vocabuli quadam similitudine colligitur esse antique urbis Sulcorum Locus. Insula vero eadem, quae Plinio dicitur Aenosis, Sulcitanum autem, sive Sulcense Promontorium idem est quod Portum Sulcitanum a meridie Claudens, vulgo nunc dicitur La Punta dell’alga. Il Cellario Geographiae antiquae Lib. 1. Cap. 11. §. 18. pag. 772. dopo aver riportato le varie testimonianze degli antichi circa la detta Città, conchiude = Urbs nunc diruta jacet, nomen in proxima Insula servari fertur, quae videtur Plinii Aenosis fuisse. – E ciò, che sembra più concludense, si è che il citato Ptolomeo nelle sue tavole dopo di avere deferitto il Littorale della Sardegna, e collocata La Città di Sulci in latere meridionali Insulae, colloca sotto diverca situazione, e sotto diversi gradi di longitudine, e latutudine la Città di Sulci da quelli, sotto li quali resta situata l’Isola Enosis (s) Dunque Ptolomeo Geografo Coevo all’esistenza dell’antica Sulci mai pensò, che questa Città potesse ritrovarsi nell’Isola, La quale dopo la riferita Donazione fu chiamata di S.Antiogo. – Questi argomenti sono certamente di peso maggiore delle testimonianze, o erronee del Vico 152 s. antioco Patrono della Sardegna ingannato dall’Esquirro, ovvero equivoche del Padre Salvador Vidal, il quale nel suo apparato ad Annales Sardiniae, mentre dice in qua rudera Sulcis urbis ad huc extant, non si spiega sufficientemente se ly in qua debba riferirsi a Palma più prossimo nell’orazione, ovvero al nome Insula più rimoto. – (s) Ptolomaei Geographiae edit. Petri Bertii Meridionalis lateris descriptio: Longit. Latitud. Populum civitas …………….....……. 30.70 35.40 Solci Civitas ……………….....……… 31.10 35.20 Solci Portus ………………....………. 31.15 35.50 & Insulae circa Sardiniam Hieraceum ....................................... 30.... 35.45 Plumbea Insula ................................ 30.... 35.30 Che ne sia dell’antichissima Città di Sulci, ed ammessi gli argomenti, che trarre si possono, o dal famoso Itinerario di Antonino, o dall’esservi ancor presentemente nel Continente dell’Isola grande un ampiissimo tratto di Paese denominato il Sulcis, egli è certo, che secondo l’antica, e constante tradizione dè sardi tutti, né primi tempi della Cristianità L’Isola, di cui si tratta, era spopolata affatto, e disabitata, né vi era veruna Città, che siasi resa poscia la Cattedra Vescovile del Prelato Sulcitano. È celebre il Martirio di S.Antiogo, di cui ne fanno menzione gli antichi martirologi, e viene riconosciuto dal Baronio (t) L’anno 125 giusta il testimonio del Fara de rebus Sardois Lib. 1. pag. 72, questo Santo = jussu Adriani in Sardiniae Sulcitanam Insulae a Plebae, et cultura hominum desertam a Ceriaco deportatur. Il Vidal al Tom. 2. annal. Pag 138. n. 26 (t) Martyrol. Rom. Ad diem 13. Xmbris Baronius ad annum 125. Concordano le antiche lezioni dell’Uffizio di S.Antioco, che si conservano in Iglesias. Ibi = erat/ iterum atque iterum offor./ Sulcitana Insula tum deserta …… Hec Doctor exisimius Fara. Idem Pater Serpi, id que ipsum omnes Scriptores unanimes, et conformes. Si igitur Insula jam deserta, quonampaeto Colonia, Romanave urbs Sulcis? La Chiesa di Tratalias compare pittosto anche nè tempi prossimi alla donazione colli distintivi di Cattedrale. Evvi nella facciata della Chiesa L’Iscrizione seguente: Hic jacent huius Aulae Praesules duo B. M., Aymus scilicet, et Albertus Sanctissimi. Si trova pure nella 153 Capitolo XI Chiesa sud.ª L’Iscriz.ne Seg.te scolpita nell’altare + Fundatum est hoc anno D.ni MCCXIII. Mense Junio sub Praesule Mariano Sardo huius Fabricae Coadiutore, atque Consumatore … Altra Inscrizione nel Pulpito + Anno Dni MCCLXXXII Dnus MǙDASCUS EPS. Sulcensis de Domo Sismundorum de Pisis me fecit fabbricare per Magistrum Guantirum Cavallinum de Stampace Da quel tempo in poi non vi è memoria, che siasi fabbricata nell’Isola alcuna Città coll’antico nome di Sulcis, anzi né tempi prossimi al dato della Donazione, come già di sopra si è accennato non solamente vi è riscontro dell’esistenza di Sulcis nell’Isola di Sant’Antioco, ma eziandio dal designarsi la Chiesa dello stesso santo come mera Chiesa rurale, e semplice della stessa natura delle altre in detti Diplomi nominate, designate, e donate, e certamente rurali, e semplici, resta esclusa la supposta esistenza della Città di Sulcis nell’Isola sud.ª, la quale perciò altro non essendo, che un Diserto, una Boscaglia incolta, Inculta, et inhabitata (u) non vi resta veruna difficoltà, per cui in virtù della donazione veramente fatta dal Giudice, e Re Mariano, che farla poteva, non abbia potuto passare nel dominio del Santo, e della sua Chiesa cui appartiene, posseduta poscia, o dalli Priori di S. Saturnino, a quali era stata donata la Chiesa di S.Antioco da Constantino nel 1089, e confermata dall’Arcivescovo Ugone nel 1090. con intervento di Raimondo Vescovo Sulcitano, indi dalli Vescovi Sulcitani come amministratori della Chiesa, ed ultimamente dagli Arcivescovi di Cagliari, o come aventi unito alla loro Mitra il Vescovado di Sulcis, o sia Iglesias, o come Priori di S. Saturnino, Priorato stato unito con Bolle di Eugenio IV. Esistenti negli Archivi della Curia Calaritana. (u)Vidal Annal. Sardiniae Apparatu pag. 16. Sonovi ancora presentemente nell’Isola alcune vestigie di antiche fabbriche, o piuttosto sassi, ma queste non sono in num.°, e forma tale da far credere che abbia sussistito sino al 1500 la Città di Sulcis nell’Isola. Evvi ancora presentemente un reliquato di Castello, che sembra Opera del tempo dè Pisani.Ma tali cose restano facilmente conciliabili colla vicinanza dell’antica Sulcis all’Isola senza la necessità di collocarla dentro della medesima ~~ Si trovano in Palmas, in Tratalias, altre vestigia di fabbriche la di cui demolizione sembra pù recente. (Archivio di Stato di Torino, ……, ……, mazzo 21) Importantissima è la donazione fatta dalla Giudicessa Benedetta di Lacon Massa e da suo figlio Guglielmo, Giudice della Provincia di Cagliari, a favore del Vescovo di Sulcis Bandino e dei suoi successori. La donazione è redatta in un vivace volgare sardo, ormai totalmente sganciato dal ruolo ancillare che aveva avuto in un primo tempo 154 s. antioco Patrono della Sardegna nei confronti del latino cancelleresco è riportata da Padre Salvatore Vidal nel suo manoscritto “Vida Martirio y Milagros de San Antiogo” conservato presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. La trascrizione è tratta dall’originale contenuta in un libro intitolato Registro che Vidal afferma essere conservato nell’Archivio della Cattedrale di Cagliari. Giovanni Pirodda sottolinea a proposito di questo testo la precocità, rispetto alle altre aree culturali, con cui il sardo afferma la propria emancipazione dall’oralità. “Ma ciò che risulta singolare al confronto con le situazioni parallele del mondo neolatino è il fatto che il volgare sardo si presenta fin dagli inizi come una delle lingue ufficiali delle cancellerie, in alternativa al latino, senza passare, come altrove, attraverso forme subordinate, come quelle della glossa e della citazione. I documenti sardi, esclusa l’invocazione iniziale, nascono già completamente volgari, o completamente latini: questi ultimi, di notevole correttezza linguistica e talora di apprezzabile eleganza; mentre i primi manifestano una rilevante coscienza dei problemi connessi alla scrittura del volgare e una buona attrezzatura culturale”. G. Pirodda, La Sardegna, Brescia, Editrice La Scuola,1992. Ecco il testo: Hoc est traslatum, copia, et exemplum bene, et fideliter sumptum in Castro Calari, die 4, mensis Augusti, ano á quodam libro, appellato Mare Magnum episcopatus Sulcitani: non uiciato, non cancellato, nec in aliqua sui parte suspecto; omniprorsus uitui, et suspicione carente, cuius tenor sequitur, sub his uerbis. In nomine Domini. Amen. Ego Benedita de Lacono, Donna de Logu, cun fillu miu Doniguellu Guillelmu, pro uoluntade de Deus, Podestandu parte de Caralis, fazu custa carta pro beni quillat fatu a su Donnu miu Santu Antiogu de isola de Sulki: dau illoi a sa iscla de Finugu, e a iscla de Logos, e a Cortinas: a iscla Masonis: a iscla Maiori qui est inter aquas a Corru de ponti, qui sunt custas isclas da y su ponti inoghi in qui intrant ayntru de isola de Santu Antiogu, et sunt da in chi de sa Clesia de Santu Speradu, de ponti fini a sa terra firma. Custas isclas imoi dau cum omnia causa cantu si appartenint a pusti custas isclas quindi fazat su Donnu su Piscubu miu de Sulchis, Maystru Bandinu su qui li at a plaguiri a uoluntade sua, segundu faguit de sas ateras causas de su Piscobadu suu, qui sunt in balia sua: a issu, et a totus sos Piscobus cantu ant esseri pusti issu in su Piscobadu de Sulchis: bollant pasquiri cun pegulia issoru: bollant fayri imoi silua, o fayri chircas, o piascari, o fayri veruna atera causa, qui torrit a proi a Santu Antiogu, et a su Piscobadu de Sulchis. Et dau illoi su saltu miu de genna de Codriglia, totu in qua si segat, et segasi custu saltu daba sus coronius, et tenet de monti desa in qua partit deretu, et de Iscolca, et deretu a gruta de manus ; et tenit sa bia dereta a sa buca de cabu daqua et essit deretu a sas arjolas, et torrat si deretu a sus coronjus da undi si cominsant custas isclas, et custu saltu ; dau a su Donnu su miu 155 Capitolo XI Santu Antiogu […] d’iscla de Sulchis a dispiliadu, qui no lay apat perunu homini a leari, non pro su Regnu, et non propter una altera personi, exceptu qui essirit a uoluntadi de su donnu, su Piscobu miu de Sulchis Maystru Bandinu : a fayrindi su qui at plaguiri a issu, et a sus aterus Piscobus qui ant essiri pusti issu in su Piscobadu de Sulchis: et apant balya de ponniri illoi castiu a gussu qui si castiat suta su Donnu Padri miu Guillermu Marquesi. Et daulloi a su donnu miu santu Antiogu de iscla de Sulchis omnia et cantu apu de su saltu miu, et de semidas de banjuy cun aquas, et cun linna, et cun totus sas causas cantu si apartenint apusti custu saltu. Et segat si custu saltu de banjui dabba Genna majori, et calat si guturu a sitibuzu, et deretu a bau de proni, et intrat a guturu darriu, et intrat in su guturu de aqua bona : et essit a assa arjola de Fadarta : et essit a guturu de sorigellu et lleuat si prora de genna Ligis cun totu su monti de Vdalba, et calat deretu a genna de porta; et calat guturu de cunjadura, et essit a miças de Genari, et torrat a genna de Tesonis, et calat deretu a mortu basyli, et pesatsi a guturu pizinnu, et leuatsi sa prora de Candelauu, et torrat a genna Mayori de undi si cuminsat. Dau illos a su donnu miu Santu Antiogu [de sa] iscla de Sulchis omnia, et cantu apu de su saltu, et de semidas de su legi, cun aquas et cun linna, et cun totus sas causas cantu si aprtenint apusti custu saltu. Et segat si custu saltu da su flumini de sa uila de Flumentepidu, in qua essit a Masunja de Pintu, et essit a Corongiu de Maulis, et essit a gennas de Sula, et tenit sa bia deretu a Cannameda, et torrat a giba Arrubia de Maserus, et essit a giba de Marcu, et jumpat a pare de Forru; et essit a bia de Forru, et essit a sa bia de flumen tebidu, et torrat si deretu Creadis. Anno M.CC.XVI.XI Kal. Junij. Presbiter Dominicus Canonicus Santae Ceciliae testis. Presbiter Marianus Scartellus testis. Petrus Acolitus testis. Si † gnum mei Andreæ Barbenæ autoritate Regia Notarij publici Valentini, et per totam terram, et Dominationem Illustrissimi Domini Regis Aragonum huiusmodi exempli testis. Sig † gnum mei Jacobi Cerbero autoritate Regia Notarij publici, huiusmodi transumati testiis. Copia permissorum omnium et singolorum fuit abstracta sicut supra dicitur bene, et fideliter cum supra scriptis connotarijs comprovata, et per substitutum a me notario infrascripto. &ceter. Et ut fides indubia in iudicio, et extra iudicium impendatur Ego Andreas Castellar Autoritate Regia Notarius publicus per totum Sardiniæ Regnum, meumque solitum artis Notariæ apposui Sig † gnum. “Io Benedetta di Laconi, Signora del Luogo, insieme a mio figlio Donnichellu Guglielmo, 156 s. antioco Patrono della Sardegna per volontà di Dio, governando la regione di Cagliari, faccio questo scritto per il bene che ha fatto al mio Signore, S.Antioco dell’isola di Sulcis: gli dono le terre di Finugu, le terre di Logos, e quelle di Cortinas; le terre di Masonis e quelle di Maiori che sono fra le acque a Corru de ponti. Queste terre vanno dal ponte in qua ed entrano dentro l’isola di Sant’Antioco, e vanno dalla chiesa di Santu Speradu, dal ponte fino alla terra ferma. Queste terre ora dono con le loro pertinenze e con tutto ciò contengono, perchè il Signor Vescovo mio di Sulcis, Maestro Bandino, ne faccia ciò che gli piacerà secondo la sua volontà, come fa per le altre cose del suo Vescovado che sono in suo possesso: le dono a lui e a tutti i vescovi che ci saranno dopo di lui nel Vescovado di Sulcis: che vi facciano pascolare il loro bestiame, che facciano legna, questue, peschino o facciano qualsiasi altra cosa che torni a vantaggio di S.Antioco e del Vescovado di Sulcis. E gli dono il mio salto di Genna de Codriglia in tutte le sue divisioni; e questo salto comincia dai suoi coronius e comincia dal monte da cui parte l’acqua di Iscolca e arriva fino alla grotta di Manus; e tiene la via dritta alla bocca di Cabu d’acqua e giunge dritto all’acqua di Kelariu, e scende dritto alla strada di De Logu, e segue la strada delle aie e ritorna dritto ai coronjus da dove cominciano queste terre e questo salto. Dono al mio Signore Sant’Antioco le terre di Sulcis, a completa disposizione, che nessun uomo gliele possa prendere, né per causa del regno e né a causa di un’altra persona, eccetto che non sia per volontà del Signore, il vescovo mio di Sulcis Maestro Bandinu. Ne faccia ciò che gli piacerà a lui e altri vescovi che verranno dopo di lui nel vescovado di Sulcis; e abbiano potere di mettervi protezione a ciò che si protegge sotto il governo del Signore Padre mio, il Marchese Guglielmo. E gli dono al Signore mio Sant’Antioco delle terre di Sulcis tutto ciò che ho del salto mio e delle terre seminative di Bangiui con acque e con legna e con tutte le pertinenze di questo salto. E questo salto di Bangiui comincoia da Genna Majori e scende nella gola di Sitibuzu, quindi passa a Bau de proni ed entra a Guturu Darriu fino alla gola di Acqua Buona; e arriva all’aia di Fadarta, fino a Guturu de Sorigellu e tocca la parte anteriore di Genna Ligis con tutto il monte di Ubalba e scende dritto a Genna de Porta, poi a Guturu de Cungiadura e arriva alle fonti di Genari e ritorna a Genna de Tesonis e scende dritto a Mortu Basili e risale a Guturu Pizinnu e tocca la parte anteriore di Candelanu e ritorna a Genna Maiori da dove comincia. Gli dono al Signore mio Sant’Antioco delle terre di Sulcis tutto ciò che ho del salto e delle terre seminative di Sulegi, con acque, con legna e con tutte le pertinenze di questo salto. E comincia questo salto dal fiume della villa di Flumentepido, dove sbocca a Masungia de Pintu, ed esce a Corongiu de Maulis ed esce a 157 Capitolo XI Gennas de Sula, e prosegue dritto a Cannameda e ritorna a giba Arrubia de Maseus, ed arriva a Giba de Marcu e giunge davanti a Forru entrando nella strada di Forru e arriva alla strada di Flumentepido e ritorna dritto a Creadis. Anno 1226, 11 giugno. Sacerdote Domenico, Canonico di Santa Cecilia. Testimone Sacerdote Mariano Scartellus. Testimone Accolito Pietro. Testimone Si † gillo mio, cioè di Andrea Barbena, con l’autorità regia del Pubblico Notaio Valentino e testimone di un originale di tal fatta al cospetto di tutta la terra e del dominio dell’Illustrissimo Signore Re degli Aragonesi. Si † gillo mio, cioè di Giacomo Cervero, con l’autorità regia del pubblico Notaio, testimone della ricevuta di un tale scritto. La copia di tutte e di ogni cosa premessa fu eseguita, come detto sopra, bene e fedelmente, approvata con i soprascritti notai e, in sostituzione, da me notaio sottoscritto, ecc. E perché sia offerta una garanzia certa in ed extra giudizio, io Andrea Castellar, per autorità regia Pubblico Notaio per tutto il Regno di Sardegna, apposi il mio consueto sigillo d’arte notarile.” Presbiter Dominicus Canonicus Santae Ceciliae testis. Presbiter Marianus Scartellus testis. Petrus Acolitus testis. Si † gnum mei Andreæ Barbenæ autoritate Regia Notarij publici Valentini, et per totam terram, et Dominationem Illustrissimi Domini Regis Aragonum huiusmodi exempli testis. Sig † gnum mei Jacobi Cerbero autoritate Regia Notarij publici, huiusmodi transumati testiis. Copia permissorum omnium et singolorum fuit abstracta sicut supra dicitur bene, et fideliter cum supra scriptis connotarijs comprovata, et per substitutum a me notario infrascripto. &ceter. Et ut fides indubia in iudicio, et extra iudicium impendatur Ego Andreas Castellar Autoritate Regia Notarius publicus per totum Sardiniæ Regnum, meumque solitum artis Notariæ apposui Sig † gnum. (Vida… I, pp 216-224) Copia della donazione è conservata presso l’Archivio di Stato di Torino12. Il vescovo Bandino II (dal 1221), destinatario della donazione in onore di S.Antioco, fu prima canonico di Pisa poi scomunicato perché fautore di Ubaldo e Lamberto cittadini pisani. Nonostante ciò Mariano, diventato arcivesco- 12. Vedi Appendice. 158 s. antioco Patrono della Sardegna vo di Cagliari, lo consacrava vescovo sulcitano13. Un suo successore, Gregorio III (1263-1267), accompagnò a Pisa nel 1263 l’arcivescovo Federico Visconti, reduce dalla visita della Sardegna. È molto interessante la lettera pastorale spedita dalla Corte di Santa Maria de Tatalias il venerdì 21 gennaio 1267 dal vescovo G. (Gregorio) al Clero e popolo della sua diocesi, la quale venne estratta dall’Archivio pisano delle Monache di S. Bernardo e la riporta il Martini nella sua storia ecclesiastica nel tenore seguente: “Nos G. per issa gratia de Deus piscobu de Zulchis Ad sos clerigus et laigus terramangesus et sardus baroni set mulgeris cantu sedis intro de su piscobadu nostru. Mandamus bos saludandu et beneigendu in domini Deus. Sa die et issa hora et issa morti tantu illa debit spectari su xpianu chi adi sinnu cum timori et cum guardia manna chillu acatat beni in penedentia bona cantu benit aiscusi… chinnolla po… ischiri invanu nen ipsa hora candu benit. Unde naredi su sengnori nostru Ihesu Xpu biziadi ca non ischedis nen ipsa die et nen ipsa hora. Et inssa divina scriptura issi acatat. Quia sicut aqua estinguit ignem ita elemosina estinguit peccatum. Et in alio loco dicit: Date helemosinam et ecce omnia munda sunt vobis. Et pro guadanti frades et filius carus in Xpo bos regordu et pregu et consiliu ki candu bos adi beniri fratri Bonufanti kesti missu de su spidali de Santa Maria et de Santu Asnellu de Pisas portandu custas literas sugilladas de su sigillu nostru Cappellanus nostros qui sedis appadis acollurillus in sus albergus bostrus benignamenti et sonadi campana, et adunadi su populu bostru a unu logu honestu el conforthadillus quillis fazant elemosina et caridadi a icustu missu de Sancta Maria et de Sanctu Asnellu de Pisas. Et nos dae parte de Deus et de Sancta Maria Virgini et de Sanctu Pedru, et de Sanctu Paulu, et de Sanctu Antiochu et de Sancta Cecilia domina nostra, et per issa auctoridadi camus dava su donnu nostru su papa. Ad tottu cussas personis chilloi anti faguiri beni aicussu logu faguemus perdonu XL dies de su peccadu canti esseri beni penedentiadus chantant debiri faguiri penedentia et icusta carta non baliat plus d’annu. Data icusta carta in corti de Sancta Maria de Tatalias, kenabara a dies XXI de Jenuario. Anno domini millesimo CCLXVII”14. Il vescovo Raimondo Gileti (1349-1359) si lamentava del suo domicilio a Tratalias. Il papa Innocenzo VI scrisse da Avignone il 15 marzo 1354 all’arcivescovo di Cagliari Giovanni perché recentemente il vescovo sulcitano Raimondo e tutti i diletti figli del luogo chiamato Ville Ecclesie, descrivevano le carenze del luogo chiamato Tartalia, che non è decoroso né redditizio per una chiesa cattedrale, né per il vescovo né per il popolo a lui affidato. Vi abitano pochissime persone quasi interamente pastori e contadini che si occupano di terre incolte e improduttive. Non sono mai state costruite abitazioni per il vescovo, per i canonici e i sacerdoti che devono curare la chiesa. La soluzione 13. Cfr. S. Pintus, Sardinia Sacra – vol. I Provincia Ecclesiastica di Cagliari, Iglesias Tipografia canelles, 1904, p. 67. 14. Cfr. S. Pintus, Sardinia Sacra, op. cit., p. 68-69. 159 Capitolo XI ideale sarebbe trasferire la sede ad Iglesias, che è densamente popolata, abitata da cattolici devoti, con aria buona, terreni fertili, molti conventi e tante chiese ed in particolare quella dedicata a S. Chiara che sarebbe un’ottima cattedrale, accogliente per tutto il Capitolo. Il papa chiede all’arcivescovo di mettere in atto tutte le valutazioni necessarie per l’eventuale trasferimento: “ Nuper pro parte venerabilis fratris Raymundi episcopi Sulcitani ac carissimi in Christo filii nostrorum Petri Aragonum et sardinie Regis illustris, ac dilectorum filiorum consiliarorum et universitatis loci vocati Ville Ecclesie Sulcitane diocesis fuit nobis expositum quod ecclesia sulcitana vocabulo Beate Marie Virginis insignita fuit ab olim, prout est, situata in quodam loco regni sardinie vocato Tartalia multum indecenti ac insufficienti et inutili pro Ecclesia Cathedrali, et pro Episcopo dicti loci et populo sibi commisso, presertim eo quod in predicto loco vocato Tartalia nulla fuit a longis retro temporibus, nec est nisi paucorum hominum citra numerum denarium, qui etiam sunt omnes rustici, ac pecudum et armento rum pastores atque custodes, habitatio, nec fuerunt ibidem ab eisdem temporibus citra habitationes seu domus alique pro episcopo, seu canonicis, vel aliis clericis prefate ecclesie, seu quibusvis aliis ho minibus etiam laicis nisi duntaxat quinque vel sex, aut infra tuguria sive Castelle pro rustici set pastori bus suptadictis: quodque terre dicti loci Tartalie, ac partes vicine consueverunt esse et sunt valde sterile set infructuose et inculte, ac vepribus, arbustique, et nemoribus plene etiam usque prope parietes ecclesie prelibate, nec in ipsis terris consueverunt crescere, nec crescunt blada nisi in modica quanti tate, nec vina et alia ad sustentationem hominum necessaria nisi ligna…”15. Il successore di Raimondo, Francesco Alegre (1359-1364), appartenne all’ordine dei Predicatori e venne promosso a questa chiesa l’8 giugno 135916. Questo vescovo è importantissimo per la festa perché protagonista del documento che ci consente di festeggiare il 9 Maggio 2011 la 652ª Sagra di S.Antioco Martire Sulcitano. L’atto, conservato nell’Archivio della Corona di Aragona in Barcellona, Registro 1034 della Real Cancelleria ci parla della festa nel 1360 (37 anni dopo lo sbarco catalano a Palma de Sols e la conquista del Regno di Sardegna a seguito dell’assedio alla pisana Villa di Chiesa). Si tratta della risposta del Re Pietro III il Cerimonioso al vescovo di Sulci che rivendicava per se, in forza delle donazioni giudicali17, i diritti sulla vendita del vino e del pesce durante la festa di S.Antioco: 15. Cfr. D. Scano, Codice Diplomatico delle Relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna-Pubblicazioni della R. Deputazione di Storia Patria per la Sardegna, Cagliari, Arti Grafiche B.C.T., 1940, p. 379-382, ex Arch. Vatic. – vol. 226, f. 177, (Innocent. VI). 16. Cfr. S. Pintus, Sardinia Sacra, op. cit., p. 70. 17. Gli atti originali delle donazioni furono probabilmente soppressi dagli Aragonesi i quali avuti i documenti che provavano i titoli dei possessi ecclesiastici delle diocesi sarde si tennero i documenti senza restituire i domini occupati. 160 s. antioco Patrono della Sardegna Raymundo de Impuriis 1- Petrus etc Dil(e)cto Consiliario n(ost)ro Raymu(n)do d(e) impuriis militi Sal(u)t(em) et -Dil(e)ct(ionem) Re2- duci(m)us ad memoria(m) q(uod) i(n) cambio int(er) nos et vos inito p(ro) aliq(ui)bus villis n(ost)ris quas vobis 3- dedimus i(n) insula Sardin(ie) p(ro) m(e)dietate vill(e) de quart, et vill(e) d(e) gergey eiusd(e)m insule 4- int(er) alia q(ue) vob(is) contuli(m)us assigna(vi)mus vob(is) insula(m) d(e) sols, et villa(m) de Suerio, cu(m) om(n)ibus 5- iuribus et p(er)tine(n)tiis ear(um) p(ro) ut Comit(e)s d(e) Donaratico, ip(s)as teneba(n)t et possideba(n)t, et etia(m) 6- ius vini q(uo)d venditu(r) i(n) d(ic)ta ins(u)la atq(ue) villa, et etia(m) ius piscandi in mari ear(un)de(m). 7- Cumq(ue) nu(n)c int(e)llex(er)imus q(uod) Ep(iscop)us Sulsita(n)us movit vob(is) int(er) alia questione(m) sup(er) 8- iur(e) d(ic)ti vini et sp(eci)alit(er) illius q(uo)d venditu(r) i(n) festivitatibus sancti Antiochi q(uo)d i(n) p(re)iudi9- c(iu)m no(n) solu(m) v(est)ri sec ecia(m) n(ost)ri p(ro) quo d(ic)te insule et villa in Feudu(m) tenent(ur) 10-redundare noscit(ur) ma(n)ifeste und(e) cu(m) iux(ta) componimentu(m) d(ic)tarum ins(u)le atq(ue) 11-vill(e) sine distinctio(n)e aliqua vos om(n)i (con)t(ra)dictio(n)e cessant(ibus) p(re)d(ic)ta iura d(ic)tis festivi12-tatib(us) sicut aliis dieb(us) cui(us)lib(e)t an(n)i recip(er)e deb(e)atis idc(ir)co vob(is) dici(mus) et manda(m)us 13-q(ua)t(enus) ius i(n) p(re)d(ic)tis p(er) d(ic)tos Comit(e)s recipi (con)suetu(m) recipiat(is) n(e)c p(re)textu obiectio(n)is 14-p(er) d(ic)t(u)m Ep(iscopu)m p(ro)po(s)ita v(e)l p(ro)pone(n)da desistat(is) q(ui)ni(m)o recipiat(is) iura sup(erius) no15-mi(n)ata iura me(sm)a in p(re)d(ic)tis illibata totalit(er) (con)s(er)va(n)do. Nos eni(m) cu(m) p(re)senti Gub(e)r16-natori n(ost)ro Callari et Galluri v(e)l ei(us) locu(m)tene(n)ti p(re)senti et fut(ur)o tradimus 17-in ma(n)datis ut vos i(n) p(re)d(ic)tis defendat n(e)c sinat sup(er) p(re)d(ic)tis vos aliq(ua)t(enus) agra18-vari q(uini)mo vos in possessione v(e)l qua recipiendi iura p(re)d(ic)ta ta(m) in d(ic)tis festivi19-tatib(us) q(uam) aliis dieb(us) an(n)i manuteneat et defendat. Dat(um) Barch(ino)na vicesima 20-octava die Octobr(is) an(n)o a nat(ivitate) D(omi)ni M(illesim)o CCC(trecentesimo) LX (sexagesimo) P(etrus) canc(ellarius) Pietro etc., con il nostro diletto consigliere, salute e benevolenza al soldato Raimondo de Impuris. Richiamiamo alla memoria che, nello scambio iniziato tra noi e voi in favore di qualche nostra villa, concedemmo a voi, nell’isola di Sardegna, in cambio della metà, la villa di Quarto e la villa di Gergei, e tra le altre che destinammo e consegnammo a voi, invece che i Conti di Donaratico che conservavano e possedevano le stesse, della medesima isola, l’isola di Sols, e la villa di Suerio, con tutti i diritti e le loro pertinenze, e anche il diritto sul vino che si vende nella detta isola e villa, come pure il diritto di pesca nei loro mari. In ogni caso dunque, ci accorgemmo che il Vescovo Sulcitano (Francesco Alegre) vi provocò, tra le altre questioni, intorno al diritto del detto vino e specialmente di quello che sarà venduto durante la festa di Sant’Antioco, in favore del quale le dette isola e villa si mantengono in feudo, e ciò a danno non solo vostro, ma anche nostro. Capitolo XI 161 162 s. antioco Patrono della Sardegna Si sa chiaramente, secondo un componimento, che voi dobbiate ricevere i predetti diritti di dette isola e villa senza alcuna distinzione delle dette festività, cessando ogni contraddizione, così come in qualunque altro giorno dell’anno. Perciò stabiliamo e ordiniamo che riceviate il solito diritto ricevuto per parte dei detti Conti come da accordi, e non rinunziate, anzi, riceviate senza pretesto di obiezione, proposta o da proporre per mezzo del detto Vescovo, i diritti più sù nominati, conservando totalmente intatti i medesimi diritti, come da accordi. Dunque noi affidiamo l’incarico al nostro attuale Governatore di Cagliari e Gallura o al suo luogotenente sia attuale che futuro, affinché vi difenda negli accordi, e non permetta che voi, riguardo agli accordi, siate aggravati, anzi vi mantenga e difenda nel possesso, in particolare per quei diritti predetti ricevuti, tanto nei giorni delle dette festività che negli altri giorni dell’anno. Dato a Barcellona il 28esimo giorno di Ottobre, anno 1360 dalla natività del Signore. Pietro cancelliere18. La festa è richiamata in numerosi documenti di periodo successivo. Diverse Memorie, alcune di molti atti degli Arcivescovi di Cagliari, trovate a Torino nell’ Archivio Mauriziano ospitato nei locali del medesimo Ospedale e nell’Archivio di Stato, raccontano di Concessioni e Privilegi, Giurisdizioni e Preminenze, “tanto nella festa come fuori di essa. Non potendosi dubitare che la Città di Sulcis in cui era la Chiesa Cattedrale fosse in dett’isola, e non in terra ferma come in oggi per schivare la forza di questa difficoltà si è di nuovo studiato non per vere asserzioni ma per semplici congetture di Geografi per altro male fundate, le quali non sono sufficienti ad offuscar la verità che risulta dalle vestigia e rovine della città e Castello, che ancora in dett’isola ravisano dalla costante e continuata tradizione e credenza di tutti i popoli del Regno e singolarmente da più vicini chiamati prima popoli Sulcitani e dall’Istorico Vico che costantemente lo afferma senza essere in ciò contraddetto da nessuno storico sardo, neppure dal suo antagonista il Padre Vidali, con aver questi fatto nella sua Critica un capitolo a parte degli abbagli che esso dice presi dal Vico circa i siti, e nomi delle città, e luoghi di quel Regno…” In questa memoria sono citati due documenti importantissimi con cui “si procedette da Giuliano Vescovo Sulcitano ne raccordi da esso dati prima al re Gioanni d’Aragona nel 1466 e poscia al Re Ferdinando nel 1479…” che li venisse confirmata ed approvata qualunque scrittura, carta, Prerogativa o Privilegio con diffonderlo e mantenerlo nel possesso di dette terre e possessioni tanto nel giorno della festa della Chiesa come alias ciò che gli fu concesso con Diploma dato in Compostella sotto li 13 giugno del medesimo anno 1466…” Continua la memoria … la celebre festa di S.Antiogo dove per solennizzarla vi accorre un gran numero di gente da più parti del Regni quali siano questi terreni e Prerogative voleva essere conservato il Vescovo non volle specificarlo, ne può comprendersi senza ricordare l’uso antico di permettere il Governo a chi in luoghi principalmente deserti celebra certe feste dove vi accorre gran gente con moltitudine 18. Trascrizione e traduzione a cura di Adriana Bazzoni. Capitolo XI 163 di cavalli carri e vetture, e dove facilmente vi insorgono disordini, l’autorità di distribuire siti per l’alloggio delle genti e pascolo per gli animali, e di far in qualunque occorrenza giustizia durante quella festa…e di disponibilità di quei terreni dell’Isola e delle Grotte per alloggiare il Mondo che a quella festa accorre e per pascolarvi i Cavalli, e buoi con la vettura che a quella festa trovavansi… Di questi due diplomi, che attestano la celebrazione della festa nel XV secolo, sono conservate copie delle trascrizioni nell’Archivio di Stato di Torino19. I prodigi che la fede popolare attribuivano alla potente intercessione di S.Antioco indussero l’autorità ecclesiastica alla fine del XVI sec. a raccogliere, prima che potessero sparire nell’oblio, le testimonianze, fino ad allora trasmesse solo oralmente, in una sede legittima che autenticasse nel migliore dei modi la veridicità delle cose straordinarie che si narravno operate dal santo sulcitano, allo scopo di accrescerne la venerazione, mai del resto venuta meno attraverso tanti secoli dalla sua morte. Ci è pervenuto così ben conservato quel documento di primaria importanza per il culto di S.Antioco che è conosciuto come Process de miracles che può essere considerato tra i documenti più importanti riferiti al culto di S.Antioco. Si tratta di un codice cartaceo redatto in catalano, con mescolanze sarde e castigliane, che si conserva nell’archivio vescovile di Iglesias. Il ms, autenticato dal pubblico notaio Bartolomeo Serra, è costituito complessivamente di 35 fogli (cm 0,30 x 0,21) originariamente non numerati, raccolti in volume a copertina pergamenacea. Si tratta della informazione giuridica sui miracoli attribuiti al martire sulcitano S.Antioco, sulla base delle testimonianze vagliate dal tribunale ecclesiastico ad hoc istituito in Iglesias, per mandato dell’arcivescovo di Cagliari e vescovo di Iglesias mons. Francesco del Vall, il quale nel 1593 aveva partecipato personalmente ai festeggiamenti del Santo nell’Isla del Sols ed era rimasto vivamente colpito dalla devota e straordinaria partecipazione delle popolazioni ivi affluite, per quella anniversaria celebrazione, da tutto il regno di Sardegna. Il ms ci offre anche una relazione sullo svolgimento della solenne festività che in onore del santo si celebrava a Sulci il lunedì 15 giorni dopo la Pasqua, e in particolare di quella che si poteva considerare tipica e che si celebrò il 3 maggio 1593, resa ancora più importante dall’enorme afflusso di fedeli soprattutto dopo la concessione, per un decennio da parte del papa Gregorio XIII, della indulgenza plenaria che porta la data del 27 febbraio 1584, lucrabile dai devoti visitatori della chiesa di S.Antioco in occasione della sua festa (altra bolla, del 1° maggio 1584 sempre di Gregorio XIII, riguarda la concessione pontificia dell’altare privilegiato perpetuo alla cappella di S.Antioco (e non all’altare maggiore) della cattedrale di Iglesias). In questa devota partecipazione di folle provenienti da tutto il regno di Sardegna, il relatore della nostra informazione è abbastanza esplicito: le strade che portavano a Sulci per la festa erano sovraffollate di pellegrini che a piedi, sui carri o a cavallo cercavano, in un andirivieni indescrivibile, di aprirsi un varco tra la fiumana di gente che già alla vigilia vi accorreva numerosa. L’arcivescovo era solito partecipare alla festa principale; e poiché questi era la massima autorità religiosa ivi presente, la sua persona calamitava pure una più cospicua presenza ai festeggiamenti delle autorità civili e militari. La nostra informazione ricorda, infatti, che alle feste spesso parteciparono il vicerè ( di due soprattutto di questi vien 19. Vedi Appendice. 164 s. antioco Patrono della Sardegna fatta menzione: Don Alvaro de Madrigal (1557) e Don Joan Colomma (1570), l’illustrissimo señor Inquisidor, gli eccellentissimi governatori di Cagliari e di Gallura, conti, baroni, dottori, cavalieri, cittadini illustri; insomma, gente di tutte le condizioni sociali: “richs y pobres, grans y richs, homens y dones, a cavall y a peu”. E poiché non si andava all’isola di Sulci per ragioni sportive o folkloristiche (un po’ di svago però ritemprava sicuramente anche lo spirito!), la chiesa ove si custodiva il sepolcro del Santo era, com’è evidente, il centro precipuo di attrazione. Ai riti sacri culminanti nei vespri cantati e nella solenne processione nel piazzale antistante la chiesa, la città di Iglesias era presente con i suoi «Magnifici Capitano e Consiglieri», con le relative insegne e con lo stendardo reale seguito dalla cavalleria. Il relatore segnala una grazia del Signore e del Santo Patrono: nonostante l’isola sulcitana fosse allora in uno stato di totale abbandono, lontanissima dai centri abitati, spesso visitata dai pirati le cui galere stazionavano di norma nella vicinissima isola di S. Pietro, mai ebbero a soffrire danneggiamenti (fatta qualche rarissima eccezione) di un certo rilievo sia i ponti che l’univano alla terra madre, sia gli edifici (circa duecento erano le case nell’isola, fra cui quella dell’arcivescovo, al tempo dell’estensore della relazione), sia il bestiame che apparteneva all’Opera del santo e vi pascolava liberamente, sia soprattutto le persone che ivi accorrevano per la festa, potendo tutti ritornare felicemente alle proprie case, dopo alcuni giorni d’intensa religiosità, lieti e sereni: “ab molta qietut j sussiego, conçolatio j content de tots”. La popolarità del culto di S.Antioco nel ‘500 è confermata da documenti coevi al Process de Miracles. Basti per tutti la Vita S.Antiochi Martyris20. Quest’opera manoscritta dedica la prima parte alla vita del santo modellata sui testi ben noti ricavati dalla Passio e dalle antiche lezioni del breviario; segue una Insulae Sulcitanae, ac celebris in ea festivitatis Divi Antiochi Martyris descriptio completata da una breve relazione su alcuni miracoli attribuiti all’intercessione del Santo e sulla diffusione del suo culto in alcuni luoghi della Sardegna. L’operetta si chiude con alcune observationes ad Sanctum Antiochum in cui si dà spiegazione di certe voci ivi ricorrenti e infine con un Divi Antiochi epigramma ex ethymo eius nominis, seguito da un antichissimo inno dei Vespri della festa del santo che inizia: “Quas tibi laudes tribuat vel aras/ uove te cultu celebret tuorum/ caetus hic nescit tua mira tot sunt/ Antioche acta …”. Nell’opera si attesta che la festa che si celebrava nell’isola sulcitana lunedì 15 giorni dopo Pasqua – festa legata alla consacrazione del tempio la cui data anniversaria era appunto la domenica precedente – e che attirava devoti da tutta la Sardegna e persino dalla Corsica, era pure celebrata alla stessa data nella chiesa di N. S. di Bonaria propre Caralim con afflusso enorme di popolo da tutte le contrade e località più vicine, sia ai primi che ai secondi Vespri quando la statua del santo veniva portata in processione ingenti omnium venerazione. Tale statua – ci informa il ms sopraddetto – era simile a quella venerata in Sulci ed era esposta alla venerazione dei devoti in apposita cap20. Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Comunale di Cagliari (ms. Sanjust, 40). L’autore viene identificato nel famoso giureconsulto sardo Rossellò Monserrat, alto magistrato e giudice civile della reale Udienza, figlio di Vicent Rossellò e di Helena Rossellò y Nicolau, nato a Cagliari verso la metà del secolo XVI e morto a Cagliari il 27 marzo 1613, e che prima di morire aveva lasciato la sua vasta e preziosa collezione di libri e manoscritti ai reverendi Padri del Collegio della Compagnia di Gesù. Tra questi risultano “Le biografie dei santi sardi e degli altri che erano stati celebri nell’isola, che egli aveva preparato e desiderava perciò che fossero stampate…”. Capitolo XI 165 166 s. antioco Patrono della Sardegna pella, la prima a sinistra entrando in chiesa: “in qua quidem ecclesia (di Bonaria) sacellum eidem sacrum extat, ad sinistram ingrendientibus inique ipsius imago ad sulcensis imitationem”. Già nel 1500, dunque, e non solo dal 1708 al 1781 come si legge nel volume Santuario di N. S. di Bonaria (Cagliari 1970) di P. Leo e G. Melchionna, esisteva nella chiesa di Bonaria una cappella intitolata a S.Antioco e vi si celebrava una solennissima festa in suo onore, ad imitazione di quella sulcitana. Dallo stesso manoscritto apprendiamo ancora che tale festa veniva celebrata (sia pure con minor concorso di popolo) nelle parrocchie della città di Cagliari e che a Cagliari come nel suburbio non vi era tempio in cui non vi fosse un altare intitolato a S.Antioco; chè anzi in tutta la Sardegna era tale e tanta la fama taumaturgica di questo Santo da fargli erigere un pò ovunque templi ed are a lui intitolati, come ad esempio nella diocesi di Alghero ove un tempio in onore di S.Antioco era stato costruito dal giudice Borgodocio nel 122421, o nell’archidiocesi di Cagliari come a Muravera, Putzu, Girasol, a Palma de Sols! (vedi capitolo III), a Turi, ad Ardia del cui tempio non rimanevano già allora che delle rovine, a testimonianza di un culto antichissimo22. Altri riferimenti ai festeggiamenti in onore di Sant’Antioco sono contenuti in un manoscritto in catalano del 1523 sugli statuti capitolari di Iglesias, intitolato Libro de varias ordenassiones de los antiguos obispos, y estatutos capitulares. In quest’ambito, risulta interessante la decisione dell’arcivescovo di Cagliari e vescovo di Iglesias, Girolamo di Villanova, datata 29 Settembre 1523, che prescrive al vicario generale di andare personalmente, senza possibilità di essere sostituito, alle feste di aprile e di agosto che si tenevano a Sulcis. Questa disposizione ne richiama un’altra precedente datata 29 settembre 1520 ed emanata dall’arcivescovo di Cagliari dove si ordina che: “Tutti coloro che andranno a S.Antioco in aprile come in agosto, a celebrare gli uffici divini, partecipino delle distribuzioni come se si trovassero in sede; cioè a dire, che la metà della comunità e dei cappellani andranno con il vicario generale o altri per lui, purchè sia un canonico, e l’altra metà resterà invece in città per celebrarvi gli uffici divini (ufficiatura corale, celebrazioni di messe, etc.); ma sia coloro che andranno sia coloro che rimarranno dovranno depositare in cassa tutto ciò che di applicazioni o di offerte il Signore Dio concederà loro. E se qualcuno per sua devozione vorrà recarsi alla festa, pur non essendo iscritto nell’elenco affisso alla porta di chiesa, vada pure in nome di Dio, ma si ricordi che non potrà accampare scuse, quando a sua volta dovrà, essendo di turno, recarsi alla festa. (Ordinazione Capitolare del 29 settembre 1520) 21. Probabilmente errata trascrizione del nome Torgotorio/Torchitorio Unale, Giudice di Cagliari. Il tempio dedicato a S.Antioco qui ricordato come “solemne prae ceteris ac episcopale” si riferisce senza dubbio alla cattedrale dell’antica sede di Bisarcio che al tempo dell’autore del ms, a seguito della Bolla di Giulio II dell’8 dicembre 1503, era unita alla diocesi di Alghero, per cui si legge nel ms: “nunc Algaerensi cum sua tota dioecesi unitum”. 22. Cfr. F. Pili, S.Antioco e il suo culto nel process de Miracles del 1593, Ed. Santuario S.Antioco, 1981. Capitolo XI 167 APPENDICE (Nota n° 10) Concordia tra Monsignor Arcivescovo di Cagliari, il Regio Patrimonio e la Sagra Religione dè S.S.ti. Morizio e Lazaro L’ Anno del Signore Mille Settecento cinquant’otto, alli ventuno del Mese di Marzo, in Torino, nell’Appartamento terreno tenuto da S. Em.za il Sig. Cardinale Rovere della presente Città, Arcivescovo della presente Città, ed abitato attualmente dal prefato Monsignor Arcivescovo di Cagliari, avanti noi infrascritti Segretari e Notaj ed alla presenza degl’infrascritti Sig.ri Avvocato Clemente Carlevaris, Prospero Viretti, e Felice Coraggio Testimoni astanti, richiesti, cogniti, ed al pié del presente, colle Parti sud.te Sottoscritti. Ad ognuno sia manifesto , che l’Isola presentemente denominata di St.Antioco, la quale ritrovasi nella parte più Meridionale della Sardegna, quantunque abbia terreno fertile, ed aria salubre, e siavi una Chiesa dedicata allo stesso Santo, ed aria salubre, a cui professando li Sardi una singolare divozione, concorrono essi ogni anno in grandissimo numero alle di Lui Feste, che ivi sono celebrate, non abbia sinora, se non pochi stabili Abitatori, e molti terreni siano peranco del tutto gerbidi, ed incolti, poiché trovandosi la più vicina all’Affrica resta la più esposta alle Piraterie dè Barbari, li quali sogliono ricoverarsi nè suoi piccoli Porti, e Cale, e tenere li pochi coltivatori dè terreni, ed i Pastori in continua apprensione di sorpresa, e di schiavitù; onde siasi creduto che l’unico mezzo di rimediare a questi mali, sarebbe quello d’introdurvi e stabilirvi una ragguardevole Popolazione, la quale potesse munirsi contro li tentativi degli Infedeli, ed applicandosi alla coltivazione delle terre si prevalesse pure del comodo, che somministrano la situazione dè Porti, ed il Mare, per istituire, e promuovere un vivo Commercio; Onde ne deriverebbe poi anche un considerabile vantaggio a tutto quel Regno coll’accrescimento della Popolazione, e della industria; La qual introduzione però sia sospesa a cagione delle difficoltà eccitatesi circa la pertinenza pretesa dall’Arcivescovo di Cagliari della Giurisdizione, e del Dominio utile dell’Isola: In ordine alla qual Giurisdizione rappresentasse Monsig.re Arcivescovo sud° di essere nell’antico possesso del Titolo di Barone dell’Isola di S.Antioco, del quale abbiano usato sempre i suoi Antecessori nè Mandamenti, e Dispacci, negli atti dè Parlamenti del Regno, nè giuramenti dei Vicerè, e dè Regi Ministri, ed in simili atti, che non ostanti gli incendi degli Archivj della chiesa Calaritana, di cui fanno fede li Capitoli di Corte, e le regie Prammatiche, e che li più antichi documenti esistenti negli Archivj della curia d’Iglesias non oltrepassino il 1620; ritrovinsi nientedimeno enunziate antiche Delegazioni dè suoi Predecessori fatte a loro Vicarj sino dal 1597. per amministrare Giustizia in d.ª Isola ed esercire in loro nome la Giurisdizione Civile, e Criminale; Essersi sempre dalli medesimi deputati gli Uffiziali, e da questi proceduto alle reviste, designazione di Prati, Tenture, Esazioni di Machizie, e simili: che gli atti dè Capitani d’Iglesias siano sempre stati 168 s. antioco Patrono della Sardegna contraddetti dalli Prelati, e che l’Investitura ultimamente domandata fu a solo fine di liberarsi dalle molestie che gli venivano inferite dalli Cittadini, e dalla Città d’Iglesias. Rappresentasse pure il pred.° Monsig.re Arcivescovo di essere nel quieto possesso del Dominio utile dè Terreni dell’Isola, autorizzato da sentenza della real udienza delli 19. 9bre 1753; riconosciuto dalli Vicere nè loro Dispaccj, e Lettere, e dagli Avvocati Patrimoniali nè loro pareri, e cpmprovato non solamente dalla testimonianza degli storici del paese, ma eziandio dalla continuata serie di atti possessori, li quali risultino dalle Concessioni di case, e di Terreni, fatte dagli arcivescovi, e dalla esazione dè dritti di portatico, e simili. Non si credesse parimenti in obbligo di presentare verun titolo di tal suo possesso, poichè questo fosse tale, che avesse luogo a suo favore la presonzione d’ogni miglior Titolo del Mondo. Alle quali rappresentanze di Monsig.e Arcivescovo si opponesse per parte del regio Patrimonio, che la Giurisdizione sia sempre stata esercitata nell’Isola da Regj Uffiziali, essendo di fatto cosa incontrastabile, che sin dall’anno 1400. circa, tempo il più antico, che compaja, era stato stabilito per gli spopolati di Sulcis un Giudice Regio ad amministrarvi Giustizia, stata poi somministrata dal Capitano d’Iglesias in nome del Sovrano, e venendo attualmente esercitata da un particolare Podestà, deputato dalla M.S.; il quale fa nell’Isola la sua residenza: Che le supposte Delegazioni, non possono essere, che per Materie, e Cause Ecclesiastiche, e per gli altri allegati Atti di Giurisdizione, o sono stati clandestini, o se altrimenti sono sempre stati contraddetti dal Governo, come risulta dalle Ordinazioni del Viceré de’ 26. Aprile 1598; dall’esame fattosi nel 1613; e dalla deliberazione della Real Udienza del 1749; di maniera che ogni qualunque volta tentavano gli Arcivescovi di esercitare alcuno di detti Atti nell’Isola, tosto ne incontrarono tutta l’opposizione. Non essere di riguardo l’asserito Titolo di Barone, perchè unicamente da alcuno de’ Prelati clandestinamente assorto, e può essere sfuggito in qualche atto per inavvertenza de’ Reali Ministri, senza saputa però, od acqiescenza del Principe; Scorgendosi anzi da più documenti della Curia di Cagliari, che gli Antecessori dell’Arcivescovo D. Alfonso Laso, il quale reggeva quella diocesi circa l’anno 1597; giammai intrapresero di qualificarsi per Baroni dell’Isola, ed a tal effetto non esservi, ne potersi allegare alcuna Carta di Privilegio, per cui possa dirsi conceduto questo Titolo, alienata, e separata dalla Regia Corona la Giurisdizione temporale, e questa trasferita negli Arcivescovi di Cagliari, nemmeno in qualità di Vescovi d’Iglesias, e lo stesso presentaneo Monsig.e Arcivescovo ebbe già ricorso a S.M. per ottenerla, ammettendo così di non avere ne’ Titolo, ne’ possesso. Quanto al Dominio utile, non avere la Mensa d’Iglesias ne’ Titolo, ne’ possesso; Imperciocchè, se si parla del Titolo, non ne compaja alcuno valido, e legittimo, non meritando fede li Transonti, ne’ della Carta di Donazione di Mariano, o sia Turgodorio Giudice, o sia Re del Giudicato di Cagliari del 1124; ne’ dell’altra di Benedetta di Lacono del 1216, che diconsi esistenti nell’Archivio dell’Arcivescovo, e da Scrittori del Regno si accennano per Titoli della Mensa sud.ª, stanti li palpabili loro difetti intrinseci, ed estrinseci, sia per mancanza della data di giorno, e mese, dell’indizione del Nome, soscrizione e rogito di Notajo, sia per mancanza di facoltà negli asseriti Donatori di perpetuamente smembrare l’Isola dal Regio Patrimonio, sia per non essere specificamente espressa in una di esse Donazioni la detta Isola, e sia finalmente per risultare dubbia dalle Storie Capitolo XI 169 l’esistenza in tali tempi de’ supposti Donatori; Ed a tal effetto gli stessi Scrittori delle cose di Sardegna, che parlano di d.e Donazioni, si contradicono frà se medesimi: Se poi si parla del preteso possesso, gli Atti, che diconsi comprovarlo, non essere uniformi, e continuati, ma diformi, clandestini, ed equivoci, ed i primi non essere a favore di d.ª Mensa, ma bensì di S.t Antioco, e della sua Chiesa particolare relativamente alla Festa di d.° Santo, ed essere altresì viziosi, e nulli, sotto qualunque aspetto vogliansi considerare; Onde non essere in veruna maniera valevoli a radicare un vero, costante, e pacifico possesso. Nulla giovare la citata Sentenza della Reale Udienza del 1753; perché non proferita specificamente sovra un tal punto, essendo pure condizionati, ed ipotetici li Dispaccj, e le Lettere dei Vicere, e li pareri degli Avvocati Fiscali Patrimoniali: Non potersi in sostanza detto possesso, qualunque sia, giammai dirsi accompagnato dalli requisiti, che secondo li principi legali, sono necessarj per renderlo sussistente, ed efficace, conservando gli Arcivescovi nel loro Archivio li succennati Transunti di Donazione, e massimamente quella ascritta al Giudice Mariano, o sia Turgodorio, mentre, quando ancora volesse considerarsi in aspetto di legittimità, e sussistenza, favorirebbe soltanto la Chiesa di S.t Antioco, E tanto più unendosi la circostanza che avendo nel Secolo Decimoquinto il Vescovo Giuliano d’Iglesias supplicato il Re D. Gioanni, e poscia il Re D. Ferdinando di confermargli i suoi privilegi, e le Concessioni avute, e d’impedirne ogni perturbazione di possesso, uscirono bensì due Diplomi del 1466., e 1479. per la Conferma, ma a condizione che i Titoli di Concessione fossero legittimi, ed autentici, e che rimanessero salve le ragioni della Regia Curia. Non essersi però vedute a comparire le accennate due Carte di Donazione, d’onde altresì giustamente se ne inferisca, non essersi intanto presentate, perchè riconosciute, se pur allora già esistevano, dello stesso vescovo Giuliano fifettose, illegittime, e di niun conto, anzi distruttive al suo intento, se pure già allora aspirava al Dominio utile di quest’Isola. In tale Stato di cose, considerate le ragioni di Monsignor Arcivescovo a fronte di quelle del regio patrimonio, come pure quelle, dalle quali sembra assistira la Chiesa di S.Antioco, siccome per introdurre nell’Isola la proposta Popolazione, non conviene, ne la V.S. tollerarebbe che vi si stabilisseo naturali Sardi con pregiudizio, e diminuzione degli altri Popolati di questo regno: E per introdurvi Forestieri, molte considerabili spese richiedonsi, alle quali soggiacere non potrebbe il Prelato, senza divertire buona parte dei suoi redditi da quegli usi lodevoli, in cui suole impiegarli, e per altra parte Monsig.e Arcives.° di Cagliari, considerata massimamente l’unione delli quattro vescovadi, gode già al presente sufficienti Entrate per il decoroso suo mantenimento senza necessità di esporre Capitali per accrescerle, siasi creduto, che il migliore spediente fosse di appoggiare una tale Cura alla Sagra Religione, ed Ordine Militare dè SS.ti Morizio, e Lazaro, la quale avendo S.M. per Generale Gran Maestro, sarà nel caso d’introdurre nell’isola nuovi Popolatori, difenderli dagli Africani Pirati e recare conseguentemente a quel Regno i vantaggi, che dall’accrescimento della Popolazione derivano; Siasi perciò formato il seguente Progetto. Primieramente che il Dominio utile dell’Isola di S.t Antioco venga eretto in una Commenda della Sagra Religione, ed Ordine Militare dè SS.ti Morizio, e Lazaro, sotto il Titolo di S.t Antioco, di libera Colazione di S.M. Generale Gran Maestro. 170 s. antioco Patrono della Sardegna Alla quale Commenda spettino per conseguenza i dritti di Portatico, ( Nel Medioevo, tributo che doveva essere pagato all’ingresso di una città o di un porto) gli Accordi, e le altre Annualità, che già sono dovute, dipendentemente dalle Concessioni fatte dagli Arcivescovi, non meno che tutti què dritti, che verranno stabiliti dalle Concessioni da farsi per parte della sud.ª Religione. Si lascieranno nel possesso dè terreni al presente coltivati Coloro, a’ quali sono stati concessi dall’attuale Prelato, o da suoi Antecessori, salvocché, attesa l’inosservanza dè patti apposti, meritassero di esserne esclusi, e mediante, ove sarà bisogno, la rinuovazione delle Concessioni da farsi per parte di detta Religione, con quelle condizioni, che verranno prescritte conforme ad equità, e secondo le Prammatiche, ed usi del Regno. Si dichiara nondimeno, che riconoscendosi necessario di destinar alcun pezzo di detti Terreni per lo stabilimento della nuova Popolazione, in tal caso potrà eseguirsi, così esigendo il ben comune, col dare al Concessionario, che perderà la sua terra, il congruente compenso colla surrogazione d’altro territorio, od in quell’altra forma, che potrà convenirsi. Essendo buona parte dell’Isola sud.ª occupata dalle Cussorgie (terreni tolti dalla massa dell’ademprivio e assegnati, per il solo esercizio di pascolo, a persona o famiglia anche non del villaggio. La cussorgia, privilegio sull’uso di pascolo ademprivile dietro pagamento di un corrispettivo, era ben lungi dal costituire un diritto di proprietà, tuttavia, a causa della formazione di coltivi annessi agli stazzi della cussorgia (detti “orzaline”, perchè erano generalmente coltivi a orzo), portò ugualmente alla proprietà privata, sempre per consolidamento dell’uso n.d.t.) disperse in più luoghi con grave pregiudizio dell’accrescimento della coltura dè terreni, si potranno queste, mediante il compenso, che fosse necessario limitar, e disporre in maniera che resti sufficiente luogo per li Pascoli, e non sia angustiata, e pregiudicata l’Agricoltura. Delle Decime d’ogni sorta di frutti se ne formeranno dal Collettore dieci parti, delle quali una dovrà spettare alla Chiesa di St. Antioco, sei all’Arcivescovo, col peso di mantenere la Chiesa, o Chiese Parrocchiali, come anche il Vicario, o Vicarj da Lui deputandi, giusta l’esigenza della Popolazione; e le altre tre al Commendatore. Le Decime sud.e; rispetto a Coloro, che presentemente possedono li Terreni Coltivati, si esigeranno a norma delle rispettive Concessioni a medesimi fatte, e da quelli, che verranno introdotti saranno dovute, e si stipuleranno eziandio per via di Contratto alla ragione di dieci per Cento, esclusi soltanto quegli Anni di franchigia, che secondo il solito loro si concedessero dalla Religione suddetta; non si potrà poscia da questa, e nemmeno in alcun tempo dall’Arcivescovo, fare veruna Convenzione, o dare altro provvedimento, per cui restino diminuite, o pregiudicate le porzioni di Decime rispettivamente assegnate. Dovrà la stessa Religione introdurre nell’Isola una Popolazione sufficiente, secondo le capacità dè Terreni, frà il termine, e nel modo, che saranno convenuti. In ordine alla Giurisdizione Spirituale, gli Abitatori dell’Isola resteranno Diocesani dell’Arcivescovo di Cagliari, come Vescovo d’Iglesias, e le Parrocchie saranno interamente soggette alla di Lui Giurisdizione. Ed affinché dalla distribuzione delle Decime nella maniera sovra proposta, e dall’assignarsi in dote della Com- Capitolo XI 171 menda li Dritti di Portatico, ed altri provenienti dal Dominio utile dell’Isola, non sia diminuito il reddito, di cui gode presentem.te Monsig.e Arcivescovo, proseguirà il medesimo, ed ove fosse d’uopo, anche i suoi Successori a percevere da quelli, che possedono i Terreni al presente coltivati, quei Dritti, che attualmente perceve. Si dichiara però, che quando venga ad accrescersi il sud.° reddito per la maggiori Decime, che si esigeranno in dipendenza delle nuove Concessioni, che farà la succennata Religione dè suddetti Terreni, occorrendone la devoluzione, e per quelle, che si perceveranno dalla coltivazione degli altri fondi, siccome cesserà il tal caso il motico, per cui intanto si lascia per intiero all’Arcivescovo il sud.° Reddito dè Terreni al presente coltivati come sopra, allora spetterà questo in proporzione dell’aumento alla stessa Religione, cioè primieramente i Dritti di Portatico, ed altri provenienti dal Dominio utile, poscia le tre parti di ciò, che si esige a titolo di Decime, e si dovrà pagare altresì la parte assegnata alla Chiesa di St.Antioco, di modo che qualora l’Arcivescovo colle sei delle dieci parti delle Decime verrà a conseguire quel tanto, che in oggi perceve, non potrà più pretendere cosa alcuna dè Redditi Civili, e dovransi ridurre in Massa tutte le Decime, delle quali se ne daranno le sei parti al d° Arcivescovo, il tutto a norma delle Regole stabilite nè precedenti Capi. Mediante l’adempimento di quanto sovra, recederà Monsignore Arcivescovo da ogni sua pretensione in riguardo alla Giurisdizione temporale, ed utile Dominio dell’Isola, come anche da qualunque maggiore ragione, che gli possa competere in ordine alle Decime. Per maggiore sicurezza di questa Concordia trà S.M., e Monsignor Arcivescovo, come Vescovo d’Iglesias, si domanderà l’Assenso Apostolico. Ed avendo S.M. fatto esaminare il sud.° Progetto dal Supremo Consiglio di Sardegna, ed altresì dal Consiglio della Sagra Religione, ed Ordine Militare dè SS.ti Morizio, e Lazaro, che lo hanno pienamente collaudato, si è degnata, sulla Relazione statale umiliata dal med.° Progetto, e del Consulto rispettivo di essi Consigli, di comparire il R.le suo gradimento, ed approvazione al d.° Progetto di Concordia, stato anche intieramente accettato da Monsignor Arcivescovo di Cagliari, con avere la M.S. nominato il Sig. Senatore Dani Avvocato Fiscale Regio del Supremo Consiglio di Sardegna per stipulare l’Istromento a nome del Regio Patrimonio, con avere altresì destinato il Sig.r Cav.re ed Avvocato Patrim.le Generale di d.ª Sagra Religione Angiono per intervenire in d.° Istromento a nome della medesima Relig.ne; come da Regi Viglietti infrainserti del giorno d’oggi, cò quali viene rispettivamente ad essi conferta l’autorità, e facoltà opportuna per l’effettuazione di detto Progetto; Quindi è che per il presente pubblico Istromento, e presenti gli infrascritti Sig.ri Testimonj l’Ill.mo, e Rev.mo Monsignore Giulio Cesare Gandolfo di Riccaldone Arcivescovo di Cagliari, e Vescovo di Iglesias, e gli Ill.mi Sig.ri Senatore Giuseppe Francesco Maria Dani Avvocato Fiscale Regio del Sup.mo Consiglio di Sardegna, e Cav.re D. Gabriel Francesco Angiono Avvocato Patrimoniale Generale della sud.ª Sagra Religione dè SS.ti Morizio, e Lazaro, confermando la sud.ª narrativa, con dichiarazione che tutti li Capi del Progetto suddetto, e ciascuno di essi, debbano intendersi per corrispettivi, e riducendo quella in forza di dispositiva per l’intiera esecuzione del d.° Progetto, hanno il sud.° 172 s. antioco Patrono della Sardegna Monsig.r Arcivescovo per se, e suoi successori, salvo però sempre il Beneplacito Apostolico, ed il d.° Sig.r Senatore Dani, in nome del regio Patrimonio, ceduto, e trasferito, come cedono, e trasferiscono alla Sagra Religione, ed Ordine Militare sud.°; tutte le ragioni, che per qualunque titolo avere potessero sopra il Dominio utile dell’Isola di St.Antioco, acciocchè il detto dominio utile venga eretto dalla M.S. Generale Gran Mastro in Commenda sotto il Titolo di St.Antioco, di sua libera Colazione, colle Leggi, e condizioni in d° Progetto espresse, mediante l’osservanza delle quali d° Monsignor Arcivescovo recede per se, e Suoi suddetti, da ogni sua pretenzione in riguardo alla Giurisdizione temporale di detta Isola, colle Clausule abdicative, e traslative in ogni più ampla, e valida forma, accettante tal recesso a nome del detto Regio Patrimonio il med.mo Sig.e Senatore Dani, rinunciando pure d.° Monsignore in favore di essa Religione ad ogni maggiore ragione, che gli potesse competere a riguardo delle Decime, come nel med.mo Progetto, e successivamente il sud.° Progetto. Di tutto quanto sovra, e del contenuto in detto Progetto, le dette Parti hanno promesso, e promettono la totale osservanza sotto obbligo dè Beni presenti, e futuri, cioè quanto a Monsignor Arcivescovo di quelli del suo Arcivescovado, e Vescovadi uniti, e specialmente del Vescovado d’Iglesias, rispetto al S.r Senatore Dani di quelli del Regio Patrimonio di Sardegna, ed in ordine al S.r Cav.re Angiono di quelli della med.ma Sagra Religione dè SS.ti Morizio, e Lazaro, colla clausula del costituto possessorio d’essi in forma. E di questo Atto se ne sono formati due Istromenti Originali uniformi, ricevuti da noi infrascritti Angelo Ludovico Villa Segretario di Stato, e Segretario, e Notajo per S.M. del Sagro Sup.mo Consiglio di Sardegna, e Morizio Filiberto Ravicchio Segretario dell’Ecc.mo e Rev.mo Consiglio della Sagra Religione dè SS.ti Morizio e Lazaro, e Regio Notajo, per custodirsene di detti Istromenti Originali, uno nella Segreteria di Stato per gli affari interni di S.M., e l’altro nell’Archivio di d.ª Sagra Religione, con essersi in questo inserti li due sovracitati Regi Biglietti per Copia autentica, e si sono detti SS.ri Intervenienti insieme a SS.ri Testimonj ad ambi detti Istromenti sotoscritti come segue. Giulio Cesare Gandolfo di Ricaldone Arcivescovo di Cagliari Vescovo d’Iglesias = Senatore Giuseppe Franco Maria Dani Avv.to Fis.le Reg.° = D. Gabriel Francesco Angiono Av.to Pat.le Gen.le = Clemente Carlevario Testimonio = Prospero Viretti Testimonio = Francesco Felice Coraggio Testimonio = E manualmente A. Villa = M. F. Ravichio. ~ Copia degli inscriti Regi Biglietti 173 Capitolo XI Il Re di Sardegna, di Cipro, e di Gerusalemme Fedele ed amato ň(ostr)ro. Essendoci stata umiliata la relazione del Progetto di Concordia per le differenze, e questioni insorte a riguardo del Dominio utile, e circa le pretenzioni eccitate sulla Giurisdizione temporale dell’Isola di St.Antioco del regno ňro di Sardegna, tra l’Arcivescovo di Cagliari Vescovo di Iglesias, ed il ňro R.le Patrimonio, Ci siamo degnati di gradire, ed approvare il d.° Progetto, per cui li sud.i Arcivescovo, e ňro Patrimonio devono cedere ogni loro ragione sopra il detto Dominio utile alla Sagra ňra Religione, ed Ordine Militare dè SS.ti Morizio, e Lazaro, per l’Erezione dello stesso utile Dominio in Commenda della d.ª Sagra Religione, di libera ňra Colazione, sotto li patti, e condizioni in esso progetto espresse, E per il presente nominiamo, e destiniamo la vostra Persona per intervenire a nome del ňro Patrimonio nel contratto da stipularsi per l’esecuzione del med.° Progetto, conferendovi per tal effetto tutta l’autorità, e facoltà necessaria, ed opp(ortu)na, onde possiate in nome d’esso ňro Patrimonio cedere, ed obbligarvi a norma interamente dello stesso Progetto; E senza più preghiamo il Signore, che vi conservi. Torino li 21. Marzo 1758 = Firmato CEmanuele, controsegnato Mazè, e sul dorso Al Fedele ed amato ňro Il Senatore nel Senato ňro di Piemonte Dani, Avv.to Fis.le R.° nel Sup.mo ňro Consiglio di Sardegna Il Re di Sardegna, di Cipro , e di Gerusalemme; Duca di Savoja, di Monferrato & c. Generale Gran Mastro & c. Cavaliere Angiono Avvocato Patrimoniale Generale della Sagra Religione ed Ordine ňro Militare dè Santi Morizio, e Lazaro. Essendosi inteso, e da Noi approvato il Progetto a voi noto, riferito nel Consiglio d’essa Religione, per cui il nostro Reale Patrimonio, e l’Arcivescovo di Cagliari Vescovo d’Iglesias, debbono cedere alla med.ma Sagra Religione ogni loro ragione sopra il Dominio utile dell’Isola di St.Antioco del Regno ňro di Sardegna, per essere tal Dominio da Noi eretto in Commenda della mentovata Religione, di libera nostra Colazione, sotto i patti, e condizioni, il tal Progetto spiegate; Vi diremo con il presente essere mente nostra, che interveniate a nome di d.ª Religione nel Contratto da stipularsi per l’eseguimento d’esso Progetto, conferendovi l’autorità opportuna per quello validamente accettare, ed assumere le obbligazioni a norma del med.mo; riguardanti l’accennata Religione; E senza più preghiamo il Signore, che vi conservi. Torino 21. Marzo 1758. Firmato CEmanuele, controsegnato Ferraris, e sul dorso Al Cavaliere Angiono Avvocato Patrimoniale Generale della Sagra Religione, ed Ordine nostro Militare dè Santi Morizio, e Lazaro. ~ Estratta la p(rese)te Copia dall’Originale Istr(omen)to esistente nella Seg(rete)ria di Stato di S.M.tà, col quale colaz(iona)ta concorda A.Villa 174 (Nota n° 12) Copia della donazione di Benedetta di Lacon-Massa del 1226 s. antioco Patrono della Sardegna 175 Capitolo XI (Nota n° 19) Privilegio del Re Giovanni 1466 176 Privilegio del Re Ferdinando 1479 s. antioco Patrono della Sardegna 177 Capitolo XII Capitolo XII XII Relazione sulla ‘inventio’ dell’illustre Martire e Apostolo della Sardegna, San Antioco nella propria Chiesa di Sulci P articolare interesse ha suscitato la pubblicazione di un estratto da un libello scritto da Sua Eccellenza Don Francisco Desquivel, dal titolo Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los años 1614-15 y 1616 fueron hallados en varias Iglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobispado (Naples 1617)1. Desquivel non è un nome ignoto alla storia della Chiesa in Sardegna. Arcivescovo di Cagliari fra il 1605 e il 1624, quando la diocesi, enorme, comprendeva anche quelle attuali di Iglesias, Nuoro e dell’Ogliastra, Desquivel è conosciuto dai più, probabilmente, per la costruzione del santuario dei martiri locali nella Cattedrale di Cagliari, sotto il presbiterio, dopo il ritrovamento dei loro resti nelle chiese di S.Saturnino e S.Lucifero. Fra le maggiori questioni che il Desquivel si trova ad affrontare durante il suo arcivescovato, c’è la controversia per il titolo di primate di Sardegna e Corsica che lo vede contrapporsi agli arcivescovi di Sassari e di Pisa. La speciale attenzione rivolta al culto dei martiri locali non era affatto estranea alla strategia tenuta dal Desquivel nella contesa. Per capirlo meglio, sarà bene fare un breve, ma non superfluo excursus all’indietro. Nell’intenzione di recuperare il consenso della grandi masse dei fedeli, la Controriforma aveva puntato molto sul rilancio della venerazione dei martiri. In una prima fase, la Chiesa s’impegna alla riorganizzazione del culto, della quale è grande protagonista Cesare Baronio, redattore del primo Martirologio Romano (1586-1589), l’elenco ufficiale dei martiri celebrati dalla Chiesa attraverso festività, che si associa alla sua altra grande opera, gli Annales ecclesiastici, nell’introdurre un nuovo modo di concepire la storia ecclesiastica, in particolare quella paleocristiana, rivolgendo un’inedita attenzione all’esame delle fonti documentali, non solo d’archivio, ma anche archeologiche. Parallelamente, la propaganda ecclesiastica indica anche i nuovi indirizzi nella rappresentazione votiva dei martiri: gli affreschi del Tempesta e del Pomarancio nella chiesa romana di Santo Stefano Rotondo illustrano i martiri degli Apostoli con inconsueta insistenza sulla crudeltà dei supplizi, nell’intento esplicito di suscitare l’emozione dei fedeli. Lo zelo esemplare di Baronio, titolare, a Roma, della nuova chiesa dei SS. Nereo e Achilleo in cui vengono traslate le spoglie degli eponimi, istiga a un eccezionale fervore nella ricerca e nel recupero dei resti di martiri, che diventa straordinariamente prolifico nel corso della prima metà del Seicento, tanto da far sospettare, a posteriori, sull’attendibilità di un 1. F. Desquivel, Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los años 1614-15 y 1616 fueron hallados en varias Iglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobispado, Naples 1617. R. Lai, Relazione sulla ‘inventio’ dell’illustre Martire e Apostolo della Sardegna, San Antioco nella propria Chiesa di Sulci, note esplicative di M.Massa, traduzione C. Bombasaro, edizioni Basilica di S.Antioco, Monastir CA, Grafiche Ghiani, 2010. 178 s. antioco Patrono della Sardegna numero così elevato di ritrovamenti. In questo clima di suggestione collettiva, infatti, gli aspetti spirituali si confondono con altri di carattere più terreno: a partire dal caso di S. Cecilia (1599), il recupero delle spoglie dei martiri diventa motivo di particolare prestigio per i prelati e le comunità religiose che li promuovono, spesso comportando l’allestimento di appositi santuari per l’accoglimento delle reliquie. Alla luce dell’excursus appena esposto, è evidente che il rilancio del culto dei martiri locali, dopo uno dei tanti, prodigiosi ritrovamenti di spoglie che si verificano in quegli anni, favorisce non poco le pretese del Desquivel nell’affermare, contro chi intendeva ridimensionarla, la supremazia della diocesi cagliaritana. Il recupero dei resti dei martiri, dunque, non soddisfa solo una spassionata esigenza spirituale, ma è concepito da Desquivel anche come un’arma di tipo politico. Nella frenesia di rinvenire testimonianze sulla presenza di martiri nella sua diocesi, Desquivel non poteva non imbattersi anche in S.Antioco, patrono della Sardegna. Già nel 1611, Desquivel aveva rivolto la sua attenzione all’isola di Sulcis, ma, per diversi motivi, aveva momentaneamente accantonato l’idea di ricercare i resti di S. Antioco. è solo un rinvio: il 18 marzo 1615, come è noto, una spedizione voluta da Desquivel ritrova, nella catacomba della Basilica sulcitana, sotto la lapide dell’Aula Micat che informa sul contenuto sottostante, le spoglie di S.Antioco2. È il suggello a una fortunata campagna di ritrovamenti in quantità industriali, su cui Desquivel riferisce, orgogliosamente, nella nostra Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los años 1614-15 y 1616. Fu vera gloria, quella dei martiri di Desquivel? Sulla scorta delle minuziose notizie tramandataci dai verbali dei rinvenimenti, ma non avendo più a disposizione la maggior parte del materiale archeologico, sarebbe oggi impresa ardua dare risposte definitive sull’autenticità delle reliquie rinvenute in quegli anni, e conseguentemente sull’epoca e sull’appartenenza delle tombe. La prima considerazione da fare è che i resti sembrano davvero troppi per appartenere tutti a dei martiri. Si pensi, per esempio, ai casi dei rinvenimenti effettuati nel Carcere di S.Efisio, o in varie chiese di Cagliari e dintorni, specie quando i resti si riferiscono a persone non conosciute attraverso altra fonte. Si poteva trattare, semplicemente, di cristiani devoti, che in qualche momento della storia di quei luoghi meritarono di essere sepolti dentro gli edifici sacri. Non si può neanche escludere la loro appartenenza ai culti pagani, se i loro resti si trovavano in situ prima delle costruzioni cristiane. Sui ritrovamenti relativi ai santi più noti, come Santa Greca di Decimomannu e San Sperate, non sono mancati gli interventi degli studiosi, ma riteniamo il discorso ancora aperto e meritevole di maggiori approfondimenti a livello scientifico. In particolare, per quel che riguarda San Sperate, riteniamo sensata l’ipotesi che si tratti del martire di Scilli le cui reliquie vennero portate in Sardegna dai vescovi perseguitati dai Vandali (VI sec). La vicenda era nota anche a Desquivel, che riporta la tradizione secondo la quale Brumasio, vescovo di Cagliari, lo stesso che accolse i vescovi africani e diede loro ospitalità nella Basilica di San Saturnino, eresse una chiesa in suo onore, nelle rovine della quale furono rinvenute le reliquie. Accanto a quelli del martire, potrebbero trovarsi altri resti di sepulcra ad sanctos, appartenenti a devoti che vollero essere sepolti accanto alla sua tomba. L’origine stessa del paese di San Sperate potrebbe essere messo in relazione con il culto dell’eponimo, ipotizzando che sia 2. A. Piseddu, L’Arcivescovo Francesco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Edizioni della Torre 1997. Capitolo XII 179 sorto intorno a quell’antica chiesa. In quanto a S.Antioco, studi molto seri sono stati dedicati al martire sulcitano e alla storia del suo culto che fanno ben pensare all’autenticità delle reliquie ritrovate nel 16153. Nell’edizione originale, la Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los años 1614-15 y 1616… consta di 137 pagine. La relazione che segue occupava, in quell’edizione, lo spazio compreso fra le pagine 100 e 126. Cediamo quindi la penna a Sua Eccellenza Francisco Desquivel, che ci farà rivivere lo storico momento del rinvenimento delle reliquie di Sancuts Antiochus Protomatryr Apostolicus Sulcitanus Patronus Totius Regni Sardiniae. 3. Cfr, A. Piseddu, L’Arcivescovo Francesco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Edizioni della Torre 1997. 180 Particolare della relazione F. Desquivel, Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los años 1614-15 y 1616 fueron hallados en varias Iglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobispado, Naples 1617. s. antioco Patrono della Sardegna Capitolo XII 181 Dista l’Isola di Sant’Antioco, dall’isola di Sardegna, sei miglia4; sebbene nei tempi passati il mare la separasse e dividesse dalla Sardegna, la pietà e devozione dei Sardi la tengono unita e contigua con la stessa Sardegna (per mezzo di alcuni ponti)5 che sono stati costruiti all’entrata, attraverso cui il mare passa separandola) affinché tutti gli abitanti del Regno possano arrivarci e transitare liberamente per poter compiere la grande devozione, che sempre han manifestato e manifestano, verso il beato Apostolo di questo Regno San Antioco Martire; visitando ogni anno nel giorno della sua festa la sua Chiesa che i fedeli dedicarono al suo santo nome nell’Isola Sulcitana; la quale per devozione del santo ha perso il suo primo nome di Sulci e viene chiamata comunemente dai nativi l’Isola di Sant’Antioco6; per rispetto e devozione il signore dell’isola, Giudice Re di Cagliari conosciuto come Torquato, con la sua sposa Donna Benedetta7 di Lacono, figlia di Guglielmo Giudice di Arborea, ne fecero donazione, con tutte le proprietà, all’allora Vescovo di Sulci e ai suoi successori, come si constata in un documento autentico e antico che si trova nell’Archivio della Chiesa Cagliaritana e dalla cui datazione sono trascorsi trecentoquarantaquattro anni. In esso questi pii e cristiani Principi dicono che fanno donazione di tutta quell’Isola al Vescovo di Sulci per amore di San Antioco,il quale avendo patito molteplici e terribili sofferenze al tempo dell’Imperatore Adriano, ivi rese, al Signore, il suo spirito invincibile: e il suo corpo sacro lì fu sepolto come dicono gli storici, in particolare Fara nel suo libro De Rebus Sardois, nell’anno 1580 con queste parole “eius corpus in amplissimo templo, sub eius invocatione constructo sardiniae populi frequentissime venerantur”, Il popolo sardo venera con grandissima partecipazione 4. In realtà la lunghezza complessiva dell’istmo che univa Sant’Antioco all’isola madre era di circa 2 miglia pari a 3 chilometri (1 miglio romano = mille passi = 1480 metri). 5. I ponti che collegavano gli isolotti erano 3: Santa Caterina all’ingresso dell’istmo di 260 metri di lunghezza, Ponti de Mesu di circa 700 metri, Ponti Mannu di 150 metri (l’unico superstite e ormai interrato). Ecco come li descrive l’Angius nel Dizionario del 1853: “A rimediare all’incomodo che pativasi nelle comunicazioni per le interruzioni si costruivano tre ponti, uno dalla sponda sarda a Perdamanagus, un altro da questa a Corno lungo, e un terzo che cavalcava il canale. I primi due furono fabbricati con piccoli archi di pietra di taglio, perché le acque avessero un’uscita in uno o in altro mare secondo che le onde si volgessero dall’austro o dal borea. La lunghezza del secondo ponte, che diciam Ponte di mezzo, è maggiore della linea del primo che appelliamo di s. Catterina. Il terzo ponte (il ponte grande) fu così sollevato, che potessero i piccoli battelli passare dal seno australe nel boreale.” 6. La prima denominazione dell’isola San Antioco la troviamo in un documento del 29 novembre 1375. Pietro III donava in feudo vitalizio ad Alegrança, moglie di Ramon d’Empùries, “las villas de la Isla de Sols o de San Antioco”. (ACA, R. Canc. r. 1044 f. 11v). 7. In questo caso l’Arcivescovo riunisce due distinte donazioni. Nella prima, del 1124, il giudice di Cagliari Mariano Torchitorio (Torquato) con suo figlio Costantino e sua moglie Donna Preziosa, fa donazione ad Sanctum Antiochum de tota Insula Sulcitana. Nella seconda del 1216 (o molto più probabilmente secondo Solmi nel 1226), la Giudicessa Benedetta di Lacon Massa moglie di Giovanni, con suo figlio Guglielmo Giudice della Provincia di Cagliari, dona al Vescovo di Sulcis Bandino e suoi successori: Ego Benedita de Lacono, Donna de Logu, cun fillu miu Doniguellu Guillelmu, pro uoluntade de Deus, Podestandu parte de Caralis, fazu custa carta pro beni quillat fatu a su Donnu miu Santu Antiogu de isola de Sulki: dau illoi a sa iscla de Finugu, e a iscla de Logos, e a Cortinas: a iscla Masonis: a iscla Maiori qui est inter aquas a Corru de ponti, qui sunt custas isclas da y su ponti inoghi in qui intrant ayntru de isola de Santu Antiogu, et sunt da in chi de sa Clesia de Santu Speradu, de ponti fini a sa terra firma. Custas isclas imoi dau cum omnia causa cantu si appartenint a pusti custas isclas quindi fazat su Donnu su Piscubu miu de Sulchis, Maystru Bandinu su qui li at a plaguiri a uoluntade sua, segundu faguit de sas ateras causas de su Piscobadu suu, qui sunt in balia sua: a issu, et a totus sos Piscobus cantu ant esseri pusti issu in su Piscobadu de Sulchis: bollant pasquiri cun pegulia issoru: bollant fayri imoi silua, o fayri chircas, o piascari, o fayri veruna atera causa, qui torrit a proi a Santu Antiogu, et a su Piscobadu de Sulcis... (“Io Benedetta di Laconi, Signora del Luogo, insieme a mio figlio Donnichellu Guglielmo, per volontà di Dio, governando la regione di Cagliari, faccio questo scritto per il bene che ha fatto al mio Signore, S.Antioco dell’isola di Sulcis: gli dono le terre di Finugu, le terre di Logos, e quelle di Cortinas; le terre di Masonis e quelle di Maiori che sono fra le acque a Corru de ponti. Queste terre vanno dal ponte in qua ed entrano dentro l’isola di Sant’Antioco, e vanno dalla chiesa di Santu Speradu, dal ponte fino alla terra ferma. Queste terre ora dono con le loro pertinenze e con tutto ciò contengono, perchè il Signor Vescovo mio di Sulcis, Maestro Bandino, ne faccia ciò che gli piacerà secondo la sua volontà, come fa per le altre cose del suo Vescovado che sono in suo possesso: le dono a lui e a tutti i vescovi che ci saranno dopo di lui nel Vescovado di Sulcis: che vi facciano pascolare il loro bestiame, che facciano legna, questue, peschino o facciano qualsiasi altra cosa che torni a vantaggio di S.Antioco e del Vescovado di Sulcis..”). 182 s. antioco Patrono della Sardegna il suo corpo, conservato in un enorme santuario costruito dietro sua invocazione. Oltre agli storici, lo dice la leggenda antica e la preghiera ufficiata anticamente e a lui dedicata e che oggi si trova nell’Archivio della Cattedrale d’Iglesias e in cui si recita che le sue sacre spoglie giacciono in quella sua Chiesa Sulcitana. La conferma di tutto ciò sta nella conservazione fino ai nostri giorni da parte di questo Regno dell’antichissima tradizione che da per certo che si trovi nelle Catacombe che oggi si vedono nella sua Chiesa e che giammai si è udito cosa che desse il minimo sospetto del contrario. Con tale tradizione, certezza e fede inviolabili si recava la pietà Cristiana di tutto questo Regno a venerare il santo Martire, giungendo ogni anno dalle parti più remote con una tale affluenza, che quando erano poche erano addirittura in diecimila a recarsi alla sua festa, come riportato dal Carillo Visitador General nativo del Regno8; le quali persone, nonostante ne percepissero lo spirito alla vista di quel luogo santo, sempre si dipartivano con un grandissimo desiderio di vedere il suo corpo santo, sì da poterlo venerare con maggiore affetto e devozione. Questo desiderio si è acceso enormemente in questi ultimi anni nel petto di tutti, particolarmente nella gente di Iglesias (Città più vicina al tempio del santo) che con diligenza incredibile va per ottenere il permesso di cercare quel Tesoro celestiale del suo corpo, occulto per tanti secoli agli occhi dei mortali. E dopo aver ricevuto numerose istanze a tale riguardo, non volli prendere subito una decisione, sebbene lo considerassi fondamentale, ma mi raccomandai al sovrano Re dei Martiri e feci in modo che persone religiose e timorose di Dio facessero lo stesso; supplicando a la divina Maestà che mi aiutasse a capire ciò che in questo frangente fosse più conforme al suo servizio divino e alla sua gloria. Finalmente, dopo diversi mesi, mi decisi a dare licenza e inviare persone di fiducia come richiedeva la serietà dell’impresa affinché lo cercassero nella propria Chiesa di Sulcis. E così, dopo aver conferito il compito a uomini pii e importanti, ordinai al Canonico Ivan Meli, mio Vicario nella Città di Iglesias, che assieme a due padri della Compagnia di Gesù, si recasse a Sulci e lo cercasse nel luogo in cui, seconda l’antica tradizione e assidua devozione di tutto questo Regno, era certo che si conservassero le sacre spoglie. Però, non potendo recarsi in quell’occasione il detto Vicario, al suo posto andarono due Canonici della Cattedrale di Iglesias di nome Tommaso Serra e Antioco Cani Bacallar, e assieme a loro Ivan Serra, quarto giurato della stessa Città e i padri Francisco Noco e Iulian Melis della Compagnia di Gesù e venti uomini armati, essendo quel posto esposto a pericoli da parte dei Turchi9, sì che alla fine si ritrovarono assieme in Sulci in un numero di trenta persone, giunte per la stessa causa e devozione. Entrarono tutti nella Isola di Sulcis il 18 di marzo dell’anno 1615, alla vigilia del glorioso sposo della Vergine nostra Signora, San Giuseppe; ciascu8. A questa figura era affidato il compito di accertare la competenza e l’onestà dei funzionari pubblici (“para que vea los agravios que hazen los ministros” secondo l’arcivescovo di Cagliari Parragues de Castellejo), di spulciare i conti dell’erario, di revisionare l’amministrazione del fisco, di ispezionare lo stato delle finanze. Dal 1543 al 1681 furono nominati 16 visitadors del Regno di Sardegna. Il canonico di Saragozza Martin Carrillo viene nominato visitador nel 1610. Al termine della sua missione pubblicò nel 1612 a Barcellona una viva e ampia Relaciòn sulle condizioni dell’isola, che avrebbe contribuito a far conoscere la Sardegna all’opinione pubblica spagnola e agli eruditi europei. (A. Mattone, Storia dei sardi e della Sardegna vol III, pag. 221 - Ed. Jaca Book). 9. Alleati con i francesi e con i pirati barbareschi tunisini e algerini guidati da Kair ed-Din (chiamato Barbarossa) i turchi di Solimano II razziarono costantemente le coste spagnole, italiane e sarde. Nel 1520 devastarono Sant’Antioco, Pula, Carbonara. Nonostante la sconfitta nella battaglia di Lepanto, nel 1571, i Turchi e i Berberi continuarono ad attaccare la Sardegna, depredando e facendo schiave le popolazioni. 183 Capitolo XII no facendo voto al santo affinché intercedesse per far loro trovare ciò che tanto desideravano, con il proposito di mangiare pane e acqua purché nostro Signore li aiutasse a scoprire ciò che bramavano. La maggior parte di essi entrarono nella Chiesa con i piedi nudi e dopo aver pregato a lungo e con fervore il Signore Dio nostro con tutto l’affetto e devozione possibili e con lacrime, supplicando la divina Maestà che concedesse loro la grazia, facendo intercedere il santo stesso: come guidati da un impulso dall’alto, si sollevarono nel mezzo della fervorosa preghiera ed entrarono nella cripta o catacomba dove il santo aveva reso il suo spirito al Signore (a cui si accede dalla stessa Chiesa) e di comune accordo andarono verso il luogo dove da sempre si diceva che erano le reliquie. Rimossero dunque una tavola di marmo che serviva di ara a un altare molto antico collocato all’entrata della detta catacomba ai piedi della scala e ornato di sei colonnette, Una di diaspro, tre di marmo bianco e le altre due di diversa pietra, poste da Pietro,Vescovo Sulcitano, per ornare l’altare dove stava il corpo del santo, come molto bene dice l’iscrizione che lo stesso prelato fece scolpire sopra il sarcofago, che per prima cosa venne tolto dall’altare e portato fuori dalla grotta affinché potessero meglio leggere l’iscrizione che era scolpita in lettere gotiche, non abbreviate, né in codice, ma tutte scritte, per esteso come qui di seguito: AULA MICAT UBI CORPUS BEATI SCI ANTIOCI QUIEBIT IN GLORIA VIRTUTIS OPUS REPARANTE MINISTRO PONTIFICI XPTI CET ESSE DOMUM QUAM PETRUS ANTISTES CULTUS SPLENDORE NOBABIT MARMO RIBUS TITULIS NOBILITATE FIDEI D DICATUR si XII Ks FEBRUS (Risplende l’aula dove il Beato santo Antioco riposò circonfuso di gloria – Opera realizzata con impegno dal Ministro di Cristo Pontefice + Merita tanto decoro il tempo che il vescovo Pietro con venerazione ammirabile restaurò abbellendolo con fregi marmorei – Dedicato con nobile gesto di fede il 21 gennaio). La lapide era posta sopra l’altare, fissata alla parete con ganci di ferro, affinché rimanesse immobile nei secoli. E sebbene il ferro fosse consunto dal tempo, nella stessa parete vi erano due o tre anelli fissati alla parete (la stessa dalla quale pendeva l’altare) (corrispondenti a altri due o tre fori del tutto arrugginiti). Letta la lapide e con accresciute speranze, che il Signore favorisse e realizzasse il desiderio universale di tutto questo Regno, rivelando loro il Tesoro Nascosto del corpo del suo glorioso Apostolo, protettore e difensore, smontarono l’altare e ruppero un impasto molto duro al di sotto dell’altare, dietro il quale, al centro, vi era un piccola volta che venne a sua volta rotta; all’interno vi era una sepoltura in calce e pietre ben lavorate e con le pareti dipinte; dentro giace- 184 s. antioco Patrono della Sardegna va il corpo del glorioso martire, composto in modo che la testa corrispondesse al punto della lapide in cui erano scritte per esteso le parole “Beati Sancti Antioci”. La vista delle reliquie riempì tutti i presenti di devozione e ammirazione di fronte a alle sacre ossa di colui che era morto da millequattrocentonovanta anni. Rivelate al mondo e a questo Regno le sue sacre spoglie, per mezzo di cui il Signore aveva operato sì tanti miracoli e conversioni, tutti i presenti, esterrefatti da tanta ammirazione, si ripresero e proseguirono nell’apertura della sepoltura, come gli era stato ordinato, e inviarono un corriere dove stavo io, con la tanto attesa novella; ma una cosa molto strana accadde, in quanto, attraversando i ponti che separano l’Isola Sulcitana dalla Sardegna nel mezzo della notte, cadde in mare, ma solo egli si bagnò, giacché i fogli contenenti la notizia non si bagnarono, dimostrando quanto il Signore desiderasse onorare il suo santo. In attesa dei miei ordini, rimasero a guardia delle reliquie giorno e notte, pregando e confessando i presenti. Appena si divulgò la notizia, cominciarono a giungere persone di ogni parte, molte di loro a piedi in segno di devozione, una devozione straordinaria attestata dai canti e dalle copiose lacrime di gioia, causate dalla vista di quel prezioso corpo. Prima ancor che arrivassi, giunsero in omaggio alla sacra scoperta, tanti archibugieri che spararono mille salve. E ciò che accadde poi dimostrò quanto il santo stesse proteggendo i presenti in preghiera in quanto, non appena ebbero finito di cantare il Te Deum Laudamus, uno dei presenti armati di archibugio, volendo sparare a salve all’interno della grotta, o catacomba, (molto bassa e piena di gente) non si era reso conto che era caricato con due palle; e sebbene avesse dato fuoco alla corda per ben tre volte, non s’incendiò, avendo impedito il Signore Dio nostro per intercessione del suo santo che non voleva che il giorno del suo ritrovamento fosse segnato da alcuna sciagura; perché se si fosse incendiato, avrebbe ucciso senza dubbio alcuni dei presenti, trovandosi egli dinanzi alla folla. Non appena mi giunse la notizia di quello che stava succedendo nell’isola, ringraziai il Signore che aveva reso possibile il ritrovamento del corpo del suo fiero e valoroso Capitano nonché difensore della sua santissima fede, S. Antioco, e mi misi in cammino per venerare da vicino quelle sante ossa. Giunsi la Domenica, 22 di marzo, alle tre di pomeriggio, in compagnia dei dottori Cosma Scarxoni, Melchiorre Pirella, don Antonio Bacalar, canonici di questa mia Chiesa cagliaritana e sempre da essi accompagnato entrai nella catacomba e prostratomi davanti al sacro corpo pregai per un attimo e procedetti alla ricognizione delle reliquie assieme ai suddetti Canonici Cagliaritani e ai Canonici Ecclesiastici lì presenti, Padre Maestro Fray Salvador Meli, Provinciale dei Padri Conventuali di S. Francesco e i padri Antioco Carta, Rettore del Collegio della Compagnia di Gesù di Caller, Baltasar Sanna, Vicerettore del Collegio di Iglesias, appartenente alla stessa compagnia; Antioco Cani, Salvatore Serra, Francesco Noco e Giulio Melid, tutti religiosi appartenente alla suddetta compagnia; Don Noffre Rams, Capo di Chiesa; Don Luigi Gualbes e molti altri signori e cittadini cagliaritani ed ecclesiastici. Dopo aver dato conferma che le spoglie del santo si erano conservate perfettamente come allora, detti ordine a due notai pubblici, avendone l’autorità apostolica, Melchiorre Dessi e Gaspare Sirigo, giunti appositamente da Caller, di redigere l’atto giuridico della scoperta e di tutto ciò che era accaduto; il tutto venne riportato molto fedelmente Capitolo XII 185 e ricevendo il giuramento di tutti i canonici, clerici, religiosi e giurati della città di Iglesias nonché di coloro che avevano assistito all’evento sin dal principio: così come le spoglie del santo corpo erano state ritrovate intatte, allo stesso modo erano giunti in quaranta e in quaranta giuravano unanimemente e in nome della verità. Fattasi sera, e desiderando proteggere le sante reliquie e sistemarle per poter lasciare l’isola il mattino dopo, essendo un luogo deserto e pericoloso (ripeto) a causa dei nemici, e non avendo la gente abbastanza sostentamento, ordinai al canonico Meli, mio vicario ad Iglesias, che riunisse tutti i canonici, i religiosi e le autorità nel posto in cui si trovavano le sacre reliquie, e non appena arrivai ordinai loro di riporle in una cassa che avevo fatto pervenire appositamente. Le ossa emanavano un soavissimo profumo e fragranza; e questo era un miracolo in quanto erano state chiuse per millecinquecento anni, ed erano intatte: portavano segni di ferite alla testa e all’osso della gamba, segno evidente dei terribili tormenti che il Santo aveva patito. Dopo aver depositato le sacre ossa nella cassa, si divise la terra del sepolcro tra i presenti che desideravano tanto averla; detti poi ordine che si collocasse la cassa nell’altare maggiore e che lo si ornasse con lumi e candele. I Canonici intonarono il Te Deum ed essendo la notte già; molto avanzata, lasciammo le reliquie sotto la guardia dei soldati a capo del sergente maggiore cagliaritano Thomas Ferrete, agli ordini del duca di Gandia. Il giorno dopo, dopo aver detto messa presso lo stesso altare, ordinai di porre la cassa sopra una bara e, con un largo seguito, la trasportammo insieme ad altri tre canonici sulle spalle al di fuori di quella santa Chiesa dove per tanti anni aveva riposato: dopo averla trasportata per un buon tratto, la presero poi sulle proprie spalle Don Luigi Gualbes assieme ad altri tre cavalieri, trasportandola per un altro tratto, e così via, alternandosi tra canonici e dignitari, sino all’arrivo alla città di Iglesias, dove venne accolta da grandi manifestazioni di giubilo come mai si era visto in quella città: tutto il popolo accorse al campo detto di San Salvatore, per accogliere il sacro corpo, persino i bambini in braccio alle proprie mamme, e i volti di tutti erano rigati di lacrime, testimonianza dell’incredibile amore e devozione. Gli archibugieri attendevano organizzati in squadroni e con le bandiere dispiegate, suonando tamburi, pifferi e trombette mentre tutti gli ecclesiastici intonavano un coro di voci che assieme ai vari strumenti davano vita a una grande armonia. In questo luogo, la bara sui cui poggiava la cassa con le sacre reliquie fu passata sugli omeri dei giurati della città di Iglesias, che la trasportarono sino alla chiesa di San Sebastiano fuori le mura accompagnati dallo stesso seguito; quivi giunsero il 25 dello stesso mese di marzo, giorno annunciato da un’alba chiarissima (essendo stati i precedenti piovosi) e le reliquie entrarono nella città ornata a festa con archi molto vistosi, verdura e fiori ad abbellire le strade e le piazze, tanto da sembrare un giardino. Per le strade, ad ogni passo, si incontravano diversi altari. Arrivai anch’io alla chiesa di San Sebastiano accompagnato dai Capitoli, dai giurati, dal Capitano e da tutta la città. La prima cosa che feci fu trasferire le sacre reliquie in una nuova cassa che avevo fatto fare a Cagliari, ornata al di fuori di velluto cremisi, ornata con frange e pendoloni d’oro, e foderata di damasco rosso, simile a quelle fatte per i sacri corpi dei gloriosi Martiri San Lussorio e San Giuliano; e dopo si organizzò una processione molto più solenne e devota dietro la quale procedevano a piedi trecento bambini 186 s. antioco Patrono della Sardegna con bandierine di seta e tanti fiori che muovevano in segno di giubilo e felicità; dietro di loro le confraternite, la maggior parte scalzi, seguiti dai religiosi e poi dal clero, le sacre reliquie circondate da un gran numero di fiaccole e ceri accesi, dunque io in abiti pontificali. Si giunse così alla piazza della Chiesa maggiore dove vi era un gran numero di archibugieri che spararono a salve tre volte fino a che le reliquie giunsero alla porta della chiesa dove gli studenti declamavano poesie in ossequio al santo. La cassa con le sue sante reliquie fu collocata in un palco eretto in mezzo alla chiesa, sotto un baldacchino, fino alla conclusione del sermone recitato da Padre Salvatore Melis, Provinciale dei Padri Conventuali di San Francesco, con una devozione e tenerezza infinite, rendendo grazie a Dio, a nome di tutto il Regno, per la grazia concessa dal Signore nell’aver fatto loro ritrovare miracolosamente il corpo del suo servo Protettore e Apostolo della Sardegna, San Antioco. Terminato il sermone, salì sul palco e aperta la cassa ne presi il teschio mostrandolo a tutto il popolo che si sciolse in lacrime di devozione e gioia avendo dinanzi ai propri occhi ciò che tanto avevano desiderato. Lo riposi nella cassa, con il resto delle reliquie, e la chiusi con quattro chiavi; che consegnai poi ai Capitoli della Cattedrale di Iglesias, con la promessa che se un giorno l’isola di Sant’Antioco si fosse ripopolata, le reliquie dovevano essere restituite perché quello era il loro luogo antico. La cerimonia fu conclusa la stessa sera dagli Ecclesiastici che erano giunti da Cagliari assieme ad altri cavalieri cagliaritani (la città di Cagliari dista da Iglesias quaranta miglia) Dopo una lunghissima camminata che compiacque e riempì di gioia tutti i presenti. E affinché tutto fosse perfetto, il Signore volle onorare il suo Santo e far capire quanto fosse grande la sua bontà facendogli operare alcuni miracoli per sua intercessione durante il solenne rinvenimento del suo corpo di cui ne accennerò solamente un paio per non dilungarmi troppo e inficiare la brevità di questa relazione. In questo stesso anno, 1615, nel giorno della festa principale del Santo che si celebra il 5 di Maggio, a seguito di una ‘stoccata’ mortale, un uomo, dopo aver appreso dai medici che non sarebbe potuto guarire, persa ogni speranza, si rivolse al santo Martire Antioco, come ultimo rifugio, e guarì dopo aver messo sulla ferita della polvere presa dalle reliquie, come testimoniato da un religioso di Santo Domingo che volle che lo stesso salisse sul pulpito e da lì mostrasse a tutti la cicatrice guarita. Uno degli uomini che aveva presenziato al rinvenimento del corpo del Santo, raccolse una Reliquia e la portò a casa sua tutto contento. La consegnò alla moglie la quale, senza curarsene troppo, la ripose in un luogo indegno; il Santo apparve in sogno all’uomo quella stessa notte e lo rimproverò aspramente per la mancanza di riguardo per la sua Reliquia: l’uomo, che non sapeva ciò che sua moglie aveva fatto tantomeno dove l’avesse messa, ne fu molto turbato e in quel suo turbamento apprese dal Santo il luogo in cui si trovava, gli ordinò poi che la rimuovesse da lì e che il mattino dopo si recasse dal Padre della Compagnia di Gesù per domandare cosa farne di essa. Giunse dal Padre tremando e pieno di paura e gli chiese che lo confessasse e che lo consigliasse su cosa fare di quella sacra reliquia: dopo averlo confessato, il Padre gli disse come trattare e venerare le Sante Reliquie. Due ore prima che facesse giorno, un uomo stava soffrendo talmente per un dolore al costato che pensava dover rendere l’anima al Signore. La moglie custodiva un pezzetto di ossa del santo che era Capitolo XII 187 riuscita a prendere dal suo confessore, che si trovava presente al momento del ritrovamento, e avendolo posto nel punto in cui faceva male, il dolore cessò del tutto. La stessa donna, un altro giorno, si avvalse dello stesso rimedio per guarire da un terribile mal di denti, e applicando la medicina sperimentata della reliquie di Sant’Antioco, il dolore l’abbandonò cessando del tutto. Un bambino di tre anni, figlio di uno di coloro che aveva partecipato al rinvenimento del sacro corpo, stava per morire senza nessuna speranza di rimedio umano; ai genitori, annichiliti dal dolore, un religioso consigliò di mettere sul bambino una qualche reliquia di Sant’Antioco; i genitori, afflitti, seguirono il consiglio, e subito il bambino tornò in sé riprendendo quella salute di cui oggi gode dinanzi alla gioia dei suoi genitori e ammirazione di tutto il popolo che acclama a quest’incredibile miracolo: dimostrando in questa maniera il Santo che non si era dimenticato di coloro che avevano contribuito al suo ritrovamento. Allo stesso modo lo ha mostrato con me, che da quattro giorni ero molto affaticato da alcuni singulti che non mi lasciavano riposare: l’ultima notte mi opprimevano tanto che pensai di morire. In questo pericolo, che durò fino alla mezzanotte, non trovando rimedi umani, mi rivolsi al divino e mi feci portare una reliquia del santo, me la posi sopra il petto e subito cessarono i singulti, e riposai per il resto della notte del tutto sano. Questi, e tanti altri miracoli ha operato il Signore e continua a operare ogni giorno per intercessione di queste sante reliquie, che per questioni di brevità tralascio, accontentandomi di riferirne solo un’altro che a parere di tutti è il più incredibile tra quelli raccontati ed è quello dell’incredibile passione interiore che il suo rinvenimento ha causato in tutti i cuori dei fedeli di tutto questo regno, facendoli giungere da luoghi remoti alla sua casa per confessarli. Grazie a questo santo il Signore Dio nostro ha fatto muovere ogni anno tutti gli abitanti naturali di quest’isola e i forestieri affinché Celebrassero la sua festa, come risulta evidente dalle parole del Carrillo: L’isola di Sant’Antioco. In questa isola c’è una Chiesa di Sant’Antioco con più di duecento scale e nel mese di aprile si riunisce gran parte del Regno per celebrare la festa di questo Santo, dove sono soliti convenire più di cinquecento carri, due mila cavalli e diecimila persone, etc. La scoperta del 1615 risvegliò le coscienze di una gran moltitudine di genti per intraprendere un viaggio così lungo e faticoso come quello necessario per giungere dalle parti più remote della Sardegna e poi oltrepassare il mare per giungere all’Isola di Sulci (luogo deserto e con scarse comodità) solo per omaggiare il Santo nel suo luogo d’origine, dove riposava da tanti secoli e richiamava a sé i cuori dei fedeli e di tanti forestieri ogni anno se pur nelle sue vesti di pietra e venerare il suo santo corpo; ma questo dell’anno 1615 fu l’evento più grande e superiore che si sia mai visto e che per certo ha richiamato un numero così alto di genti come mai in passato: perché si è notato che tra la moltitudine accorsa quell’anno da diverse città e parti della Sardegna molti provenivano dalla Gallura, che risulta essere la parte più remota del regno e la più distante da questa Chiesa, la maggior parte dei quali giunse a piedi per devozione. Questo straordinario numero di genti fu evidente nel momento in cui le sante reliquie giunsero all’ultimo ponte per entrare nell’Isola Sulcitana: perché alle persone in processione si aggiunsero tutti gli abitanti della suddetta isola per ricevere le sante reliquie con grande devozione, le quali reliquie venivano in processione 188 s. antioco Patrono della Sardegna dalla città di Iglesias (che dista otto leghe)10 con davanti l’immagine antica del busto del santo (che ogni anno si portava in processione da Iglesias a Sulci) e dietro la cassa contenente le sacre reliquie; seguiva un reliquiario d’argento dentro cui giaceva la testa sostenuto da quatto angeli sempre in argento che avevo fatto fare per l’occasione. Giunte nella piazza della Chiesa, le sacre reliquie furono accolte in maniera molto singolare da uno squadrone di archibugieri che per l’occasione avevano contato tutti coloro che erano intervenuti alla festa, arrivando a contare cinquemila uomini a cavallo, millenovecento carri al coperto, tipo carretti, quattrocento carri scoperti, più tutti coloro che per grande devozione erano accorsi a piedi ogni parte del regno, fino a convenire un numero di più di trentamila anime. Ma non fu tanto l’incredibile numero di genti accorse alla festa quanto la passione e devozione di tutti che si manifesta in un continuo crescendo: come dimostrato da cinquecento donne che seguirono a piedi e scalze le reliquie del santo dalla città di Iglesias sino al Tempio del Santo. E a testimonianza di questa gran devozione, furono innumerevoli le confessioni e comunioni che si svolsero in quei Quattro giorni, come dimostrato dal numero delle ostie che si consumarono arrivando a più di quindicimila: questo fu possibile grazie alla diligenza dei Capitolari di Iglesias che portarono con sé diecimila ostie e grazie ai religiosi e agli ecclesiastici di molti luoghi (che fra tutti si contavano trecento) secondo cui è lecito credere che il Signore gli avesse ispirati perché portassero molte altre ostie affinché in occasione del rinvenimento del corpo di S.Antioco tanta gente potesse ricevere la sua grazia nell’arco di quei quattro giorni, ivi comprese le notti, della loro permanenza; giorni in cui giammai si vide vuota la Chiesa, tanto di giorno quanto di notte, a cause di coloro che vi entravano continuamente rendendola sempre piena. La catacomba era altrettanto affollata e ricca di uno straordinario numero di fiaccole. Fu talmente grande questa festa, e tale il numero delle genti accorse, che molte persone non originarie del Regno che in quel momento si trovavano lì come alcuni membri della corona di Castiglia, d’Aragona e Portogallo così come dell’Italia, Francia e altre varie nazioni, affermarono meravigliati che giammai erano stati testimoni di un evento di tale portata in una Chiesa rurale. E poiché non tutti coloro che lo desideravano potevano recarsi presso il tempio e rendere la propria devozione per vari impedimenti, lo fecero in un secondo momento recandosi nella città di Iglesias: dove le sacre reliquie giacciono molto ben conservate presso il Duomo nella Cappella dedicata allo stesso santo, per cui intercessione il Signore Dio nostro ha reso molte grazie ai suoi fedeli, sperimentando i grandi e prodigiosi effetti della protezione che tiene questo glorioso Santo di questo Regno di Sardegna. 10. La lega misurava 4,2 chilometri. Il percorso processionale da Iglesias all’isola di Sant’Antioco misurava 33,6 chilometri. Capitolo XIII Capitolo XIII Il reliquiario di Sant’Antioco, l’arcivescovo Desquivel e l’argentiere Sisinnio Barrai Alessandra Pasolini Università degli Studi di Cagliari L’ 189 XIII originale reliquiario del cranio di Sant’Antioco, d’impianto monumentale,1 è realizzato in lamina d’argento lavorata a sbalzo e cesello, con parti a fusione, ribattuta con chiodi su supporto ligneo (fig. 1). Dall’iscrizione latina a caratteri capitali, incisa sul ripiano della base (D(eo) O(ptimo) M(aximo) / caput gloriosissimi / martiris Sancti / Antiochi inventum / una cum toto corpo/re integro in insula / sulcitana in sua pro/pria ecclesia die deci/ma octava martii / 1615; D(omino) D(on) Francisco De Esquivel archiepiscopo meritissimo; Sisinius Barrai argenti faber / fecit), risulta la data 1615, la firma dell’argentiere Sisinnio Barrai2 e la committenza dell’arcivescovo di Cagliari Francisco Desquivel (1605-24), il cui stemma è ripetuto sulle quattro facce (fig. 2). Sul basamento quadrangolare3 si erge una sorta di catafalco, sorretto da quattro figure di angeli-telamoni dorati (fig. 3), alti diciotto centimetri, sul quale poggia la semisferica cupola dorata che racchiude il teschio del Santo, lavorata a giorno con classicistici motivi a squame e sormontata da una croce gigliata su base cilindrica.4 Completano la composizione vari elementi realizzati a fusione: nudi puttini di gusto rinascimentale (h 7 cm), stemmi e vasi ad anfora in due dimensioni (h 5 e 8 cm), conclusi con innesti cilindrici cavi, forse previsti come contenitori per addobbi floreali. I quattro grandi angeli, stanti su basi ornate sulle facce da cherubini, indossano lunghe vesti liturgiche dai grandi colletti e recano aureole circolari baccellate; un chiodo filettato sul capo li collega alla parte centrale del reliquiario. Le ali, realizzate a fusione, risultano piumate solo nella parte frontale; sul retro sono collegate al corpo da una barra d’argento arricciolata alle estremità (fig. 4). Le figure angeliche, derivate dalla giunzione di due parti fuse a stampo (fig. 5), sono infatti speculari: identiche le fisionomie e i lunghi capelli, protendono in avanti le braccia flesse con mani alternativamente chiuse e semiaperte nel gesto di sorreggere oggetti oggi perduti, forse palme e libri, attributi propri dell’iconografia di Sant’Antioco. In vari punti del manufatto compare il punzone civico C.A in caratteri capitali maiuscoli con interpunzione, in uso dalla fine del XVI secolo:5 nella battuta, incompleta, 1. Dimensioni massime: cm 38,2x40,7x57,5. 2. R. Delogu, Mostra dell’antica oreficeria sarda, Cagliari 1937, cat. 137, pp. 78-79; R. Serra, La grande tradizione degli argentieri cagliaritani, «Almanacco di Cagliari» 1978; M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola. Documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 68-71; G. Guarino, La produzione orafa in Sardegna dalla tradizione iberica al gusto italiano, «Biblioteca Francescana Sarda» VII (1997), p. 295; A. Pasolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna dal Medioevo all’Ottocento: notizie biografiche, «Biblioteca Francescana Sarda» VII (1997), pp. 321-322; Chiese e arte sacra in Sardegna, vol. II, Diocesi di Iglesias, a cura di G. Murtas, Sestu s.d., pp. 78-79. 3. Cm 38,2x40,7x3,5. 4. L’innesto a vite è postico. 5. R. Delogu, Antichi marchi degli argentieri sardi, «Studi Sardi» VII, 1947, fasc. I-III, tav. II, n. 12; U. Donati, I marchi dell’argenteria italiana. Oltre 1000 marchi territoriali e di garanzia dal XIII secolo a oggi, Novara 1993 (ed. ampliata 1999). Tre punzoni sono presenti negli spigoli dei ripiani, uno nelle facce, uno nel retro del ripiano superiore. 190 s. antioco Patrono della Sardegna Fig. 1. Sisinnio Barrai (1615), Reliquiario del cranio di Sant’Antioco, Sant’Antioco, basilica di Sant’Antioco (foto R. Coroneo). Capitolo XIII 191 si distingue talvolta solo la lettera C e il punto, talaltra solo la lettera A (figg. 6-7-8). In quel tempo gli argentieri erano tenuti a far saggiare la qualità del metallo dal maggiorale che rilasciava il marco di garanzia territoriale, nel nostro caso iterato più volte e in punti diversi.6 All’iscrizione già riportata dal Delogu, il primo studioso ad occuparsi del reliquiario, che considera frutto di una contaminazione tra moduli tardorinascimentali italiani e altri di matrice iberica,7 si possono aggiungere altri dati sulle vicende del prezioso arredo che derivano da un inedito atto dell’Archivio Storico Comunale di Iglesias, rogato su incarico del Capitano e dei consiglieri della città dal notaio Giovanni Pias, segretario della Casa consiliare. Il 29 aprile 1615, circa un mese dopo il rinvenimento del corpo del Santo, si provvide ad estrarre il teschio di Sant’Antioco dalla cassetta ricoperta in velluto cremisi in cui era stato provvisoriamente riposto per volontà dell’arcivescovo Francisco Desquivel, che aveva promosso le ricerche delle reliquie nella basilica, per trasferirlo nell’urna d’argento realizzata dai mastri Sisinnio Barrai, Francesco Barrai e Antioco Grech, argentieri di Villanova in Cagliari. La solenne cerimonia si svolse all’interno della sacrestia del duomo di Santa Chiara a Iglesias, alla presenza del capitano Onofrio Ram, dei consiglieri civici Nicola Cani Bacallar, Antioco Cocodi, Gontini Pintus, Giovanni Serra e Francesco Falxi, dell’arciprete Nicola Cadello, dei canonici e beneficiati della Sede vescovile iglesiente, di Francesco Martis e Melchiorre Fensa, canonici della sede di Cagliari, e di molti altri testimoni. Attraverso questa carta scopriamo che Sisinnio Barrai non fu il solo autore del reliquiario, ma che vi collaborarono due argentieri, probabilmente suoi aiuti di bottega: Francesco Barrai e Antioco Grech. Di quest’ultimo era nota finora soltanto l’esistenza nel 1612 quando risulta testimone in un atto notarile,8 mentre dell’argentiere Francesco Barrai sappiamo che nel 1611 con Antonio Mura fa da perito in una causa civile nella valutazione di due tazze d’argento realizzate da Giacomo Manca9 e che nel 1621 acquista una casa in via Piccioni a Villanova;10 la notizia più interessante che riguarda direttamente la sua attività è che nel 1628 realizza un secchiello con il suo aspersorio, due piatti e le ampolline per la parrocchiale di Genuri, purtroppo perduti.11 Se questi sono gli autori, val la pena di soffermarsi sul committente, personalità di primo piano nella Cagliari del primo quarto del Seicento. Succeduto a mons. Laso Sedeño al seggio arcivescovile nel 1605, il Desquivel, in carica fino alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1624, curò la sistemazione del presbiterio del duomo con un altare marmoreo, su cui svettava l’architettonico tabernacolo d’argento, realizzato a Palermo nel 1610, e del coro ligneo, opera dell’ebanista 6. Lo statuto del Gremio degli argentari ed orafi di Cagliari, redatto il 1 dicembre 1631, affidava il compito di controllare la qualità del metallo e di punzonare il marchio civico sugli argenti ai maggiorali, eletti con scadenza triennale il 25 giugno, festa del patrono Sant’Eligio vescovo. Era obbligatorio osservare la bontà legale del titolo, fissata in 11 danari (916 millesimi, 66), tranne casi particolari autorizzati dal maggiorale. 7. R. Delogu, Mostra dell’antica oreficeria cit., pp. 38-39: “appena sfiorato, nell’iconografia dei quattro angeli, da una diretta eco quattrocentesca ed in massima parte solennemente inserito con la sua architettura, le sue anforette ed i suoi quattro puttini alati in una robusta formula di Cinquecento nostrano”. 8. M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola, Cagliari 1987, p. 71. 9. A. Pasolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna cit., p. 321. 10. M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola cit., pp. 74-75. 11. S. Tomasi, Memorie di storia diocesana. Appunti di storia diocesana, Villacidro 1997, II, p. 537. 192 s. antioco Patrono della Sardegna ligure Vincenzo Rosso (1619), di cui resta solo lo scanno centrale, adorno del suo stemma.12 Fece inoltre realizzare a sue spese nel 1616-18 la monumentale cripta dei Martiri, dove fu sepolto entro un sarcofago marmoreo.13 Il suo stemma, ricamato sulla pianeta in velluto cremisi, utilizzata in precedenza da mons Parragues de Castillejo durante i lavori del concilio di Trento,14 è ancora presente nella base del raffinato reliquiario di ignoto argentiere romano (1612-20), in cui un angelo regge tra le braccia una fiala contenente le reliquie dei Santi Sebastiano, Eusebio e Ponziano (Cagliari, Museo del Duomo), che risulta nell’inventario dello spoglio dell’arcivescovo redatto nel gennaio del 1625: una archimesa de escriptori de noguer terciada de or blanch molt usada ab son pany y clau y baix sos armaris la qual estava sogellada y uberta se ha trobat en aquella una costella del glorios St. Eusebi feta a forma de arch que la sustenta un angel de plata sobre un batis axibe de plata.15 Oltre al martire Sebastiano, particolarmente venerato in Sardegna dove viene invocato come intercessore durante le pestilenze, la dedicazione ai santi sardi Eusebio, vescovo di Vercelli, e Ponziano, papa, è particolarmente significativa del clima del momento in cui oltre al fervore religioso c’è da mettere in conto la controversia sul titolo di primate di Sardegna e Corsica, che coinvolge le due sedi diocesane di Cagliari e Sassari e più in generale la Chiesa sarda.16 Per affermare i maggiori meriti dell’una o dell’altra non si esita a cercare prove documentarie della maggiore importanza ab antiquo delle rispettive diocesi, in mancanza di testi scritti attraverso gli scavi alla ricerca dei corpi santi per trovare sostegno alle rispettive pretese nel sangue versato dai primi martiri isolani.17 Il reliquiario sulcitano fa parte di un gruppo numeroso di analoghi arredi d’argento nati a seguito di queste iniziative. Non a caso nell’inventario dello spoglio Desquivel, insieme a numerosi argenti,18 pesati e valutati dall’argentiere Tommaso Frigado, a una settantina di testi giuridici e storici, di dottrina cristiana e racconti agiografici,19 a ritratti di famiglia 12. M.G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e ‘700, Nuoro 1991, pp. 74-75, schede 50-51. 13. M.G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e ‘700 cit., p. 67. 14. E. Brunelli, Opere d’arte decorativa nel tesoro del Duomo di Cagliari, «L’Arte», X, 1907, p. 49. 15. Archivio Capitolare di Cagliari, vol. 200, registro III, c. 74v. 16. Nell’intensa attività pastorale si dedicò ad applicare con zelo le indicazioni tridentine: effettuò visite pastorali nei paesi della sua vasta diocesi, indisse sinodi, promosse la spiritualità laicale attraverso la riorganizzazione delle confraternite, la cultura ecclesiastica con la fondazione del Seminario (A. Piseddu, L’arcivescovo Francesco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Cagliari 1997, p. 23). 17. D. Mureddu, D. Salvi, G. Stefani, Sancti innumerabiles. Scavi nella Cagliari del Seicento: testimonianze e verifiche, Cagliari 1988; M. Dadea, Gli scavi seicenteschi alla ricerca dei cuerpos santos, in Chiese e arte sacra in Sardegna. Arcidiocesi di Cagliari, tomo I, Sestu 2000, pp. 75-78. 18. Item se ha pugiat de baix una caxeta vella de taula blanca ab faxetas de ferro ..que dins sol estar de lo rebost de dit palaci en la qual se ha trobat y pesat las pessas de plata infrascriptas. Et primo una bassina gran de plata dorada que pesa sexanta y una onza. Item una bassineta de plata llisa que pesa trentauna onza y tres quartes. Item sinch culleras grans de plata y una xiquetta de pendrasal que pesan set onces y tres quarts. Item tres forquetas de plata que pesan tres onces y un quart. Item dos sacamolls de plata que pesan tres onzes y un quart. Item una salera de plata dorada ab tota sa guarnissio assaber salera, pebrera, sucrera, vinagrera y vas de oli que tot pesa cent y dos onces. Item una overa de plata que pesa dos onces y tre quart. Item vujt plats grans de posta de plata que pesan dos centes y de vujt onzes. Item dos jorias de plata dorada que pesan settanta onces tres quarts ...Item un picher de plata daurat en los estrems vell ... Item una salva de plata daurada y onrada que pesa trenta y una onza. Item tres tasses de plata dorades y gravades que pesan sinquanta onzes y tres quarts. Item una botilla de plata dorada ab sa cuberta que pesa deu onzes y tres quarts. Item tres escudelles de plata que pesan quintze onzes y tres quarts. Item tres canelobres de plata grans que pesan settanta y una onza. Item dos canelobres xichs de plata que pesan vint y dos onzes. Item una espabiladera ab son plat y maniga y una cadeneta de plata que tot pesa vint y una onza y tres quarts. Item una conca de plata que pesa quaranta y quatre onzes. Item una confitera de plata ab sa coperta que pesa trenta onzes y un quart. Item una salera de plata dorada sens cuberta que pesa sis onzes. Item una cantimplora de plata que pesa vint y sis onzes. Item sis gavinets ab una forqueta. Item se fa nota que la sobredita plata se ha dexat per supelectile y adornament de la secrestia la bassina gran dorada, la bassineta llisa, las dos jorias dorades, los tres canalobres grans y las dos canalobres xich dalt mentionats (Archivio Capitolare di Cagliari, vol. 200, registro III, c. 76v-77). A questi argenti vanno aggiunti: un calcer gran y paten de dir messa tot de plata dorada usat, que pesan vynt y nou onces, resta axibe per supelectile a la sacristia (c.81); item la creu eo insigna de dit quondam Señor Archibispe es de plata ab son basto de llegna tot cubert de plata...; item lo baculo pastoral de llegna tot de plata (c. 82v). Il pastorale fu utilizzato per il seppellimento del presule. 19. Archivio Capitolare di Cagliari, vol. 200, registro III, cc.77-78v. 193 Capitolo XIII Fig. 2. Particolare dello stemma del committente, l’arcivescovo cagliaritano Francisco Desquivel (foto R. Coroneo). Fig. 3. Angelo portareliquiario: fronte (foto A. Medda). Fig. 4. Angelo portareliquiario: retro (foto A. Medda). 3 2 4 194 s. antioco Patrono della Sardegna e di persone illustri, immagini di Virtù, della Madonna e di altri santi, troviamo elencati un quadro di Sant’Antioco, due di San Giorgio di Suelli e uno di San Lucifero vescovo, tutti santi sardi ampiamente utilizzati anche con scritti apologetici nella rivendicazione del primato. Vi compare inoltre anche un armadio-reliquiario, ornato esternamente da Storie di Giona incise in avorio, internamente dalle figure dipinte degli Evangelisti, oggi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari,20 che al suo interno conserva reliquie di vari martiri sardi tra cui, al centro in posizione d’onore, quella di Sant’Antioco. La particolare devozione del Desquivel per il martire sulcitano è attestata inoltre dal dipinto di Sant’Antioco che volle inserito nel coro della cattedrale.21 Tralasciando i numerosi contenitori di reliquie, quelli che ora più ci interessano sono quelli contenenti crani di santi e martiri. Tra i tanti importantissimi reliquiari diffusi sul territorio italiano destinati ad accogliere crani di santi e martiri venerati22 nessuno si presta a confronti calzanti con il reliquiario di Sant’Antioco. Non gli si può avvicinare il reliquiario di San Basilio della chiesa di San Francesco di Oristano, la cui coppa, che secondo la tradizione racchiude il teschio del vescovo di Cesarea, è stata datata sulla base dell’epigrafe all’XI secolo, mentre il piede in argento di produzione arborense è del 1456.23 Ben diversa peraltro è la struttura di un altro reliquiario importante, quello che custodisce il cranio di uno dei Martiri Innocenti, donato alla sua città dal pittore algherese Francesco Pinna nel 1616 (Alghero, Museo Diocesano).24 Più tardo è il reliquiario di Santo Stefano di Maracalagonis (1699), eseguito dall’argentiere sardo Jacinto Seu.25 Mentre però questi manufatti si discostano dal reliquiario di Sant’Antioco per tipologia, epoca e stile, il reliquiario di San Gemiliano a Sestu appare una ripresa diretta dal modello sulcitano ad opera di un argentiere sardo certamente meno dotato. Il confronto con gli angeli del reliquiario di Sant’Antioco induce invece Mauro Dadea ad ascrivere a Sisinnio Barrai la statuetta-reliquiario della Madonna in argento, offerta dai Mercedari al bacio dei devoti durante la questua per il riscatto di schiavi cristiani in terra musulmana, che al suo interno custodisce un frammento della cassa lignea in cui giunse a Cagliari il simulacro della Vergine di Bonaria.26 Il reliquiario sulcitano fu approntato per accogliere il cranio del martire data l’urgenza di sistemarlo degnamente; poco più di un mese intercorre infatti tra il 18 marzo, data del rinvenimento, e il 29 aprile, giorno in cui fu sistemato all’interno del reliquiario. Il suo autore, l’argenti faber Sisinnio Barrai, uno dei più rappresentativi fra quelli operosi a Cagliari 20. A. Pasolini, Scheda EB 1 in Pinacoteca Nazionale. Catalogo, I, Cagliari 1988, p. 208; A. Pasolini, La diaspora degli arredi, in Ministero Beni Culturali, Soprintendenza ai BAAAS di Cagliari e Oristano, Quaderno 4/91, S. Francesco di Stampace (1861-1991), Cagliari 1991, pp. 25-26; F. Virdis, Nuova luce su quadri e reliquiari di San Francesco di Stampace ora nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, «Biblioteca Francescana Sarda» VIII (1999), pp. 12-17. 21. Nel 1625 viene pagato mestre Joan Maria caxer por haver fet la guarnacio del quadro del St. Antiogo del cor (Archivio Capitolare di Cagliari, vol. 200, III registro, c. 22). 22. Vanno ricordati per il grande interesse artistico quelli, variamente datati, di San Sebastiano a Roma, San Gennaro a Napoli, San Rossore a Pisa, San Savino a Orvieto. 23. R. Delogu, Mostra dell’antica oreficeria cit., pp. 27-28, 54-55; R. Delogu, Mostra di antica arte sacra, Oristano 1952, p. 18; A. Lipinsky, La reliquia di San Basilio nella chiesa di San Francesco di Oristano, Giudicato di Arborea-Sardegna, «Studi Sardi», XXVII (1986-87), pp. 349-359; R. Coroneo, Un argento epigrafico bizantino in Sardegna: il Reliquiario di San Basilio nel San Francesco di Oristano, in G. Mele (a cura di), Chiesa, potere politico e cultura dall’età giudicale al Settecento, Oristano 2005, pp. 161-175. 24. R. Sfogliano, Argenti ispanici e siciliani nelle chiese sarde, «Archivio Storico Sardo di Sassari» XVI (1992), p. 127; C. Galleri, Francesco Pinna un pittore del tardo Cinquecento in Sardegna, Cagliari 1996, pp. 69-70; A. Serra, Museo d’Arte Sacra Alghero. Catalogo, Sestu 2000, pp. 50-51. 25. I. Farci, Gli argenti in Ori e tesori, «Hamara», n. 25, 2004, p. 18. 26. M. Dadea, Reliquia a Bonaria. Svelato il mistero. La storia della statuetta conservata dal 1600 nel tesoro della Basilica, «L’Unione Sarda» 24 giugno 2008. 195 Capitolo XIII Fig. 5 Angelo portareliquiario: fianco (foto A. Medda). Figg. 6-7 Dettagli con marchi civici di garanzia della qualità dell’argento: C.A. (foto A. Medda). 5 6 7 196 s. antioco Patrono della Sardegna in quella data, appartiene a un’importante dinastia di artigiani, che annovera tra i suoi membri non solo argentieri ma anche scalpellini, falegnami e sarti, variamente domiciliati nelle appendici di Villanova e Stampace. Ai primi del Seicento risiedono a Cagliari due Barrai argentieri di nome Sisinnio: Sisinnio Tommaso e Giovanni Francesco Sisinnio. A favore dell’identificazione del nostro con Sisinnio Tommaso sta il fatto che si tratti del suo primo nome. Figlio dello scalpellino Antonio Barrai e di Monserrata Espada, Sisinnio Tommaso riceve il battesimo il 18 ottobre 1570;27 gli fa da padrino Tommaso Pitxoni, ricchissimo erede di Antonio Giovanni, noto argentiere e marcador della città di Cagliari.28 Al momento non è nota la data della sua morte, indispensabile a stabilire se la ricca documentazione d’archivio riguardo a un Sisinnio Barrai argentiere, che opera fino al 1650 sia lo stesso Sisinnio Tommaso Barrai, nato nel 1570: sembra improbabile, infatti, che la sua attività si fosse prolungata fino ai suoi ottant’anni, mentre è verosimile possa trattarsi di un altro discendente della famiglia, che ne ripete il nome. Per dirimere la questione, dunque, non sembrano sufficienti le attestazioni documentarie del nome, ma occorrerebbe rintracciare le opere ascritte a Sisinnio Tommaso per esaminarle sotto il profilo tecnico e stilistico. Sembra improbabile sia ancora lui l’omonimo argentiere che nel 1645 realizza un piattino per le ampolle della parrocchiale di Santa Barbara a Villacidro,29 nel 1646 dora un calice e la coppa della pisside per la parrocchiale di Guasila,30 l’anno dopo realizza un mestolo battesimale e un vasetto per il sacrario, dora un calice e una patena per la parrocchiale di Serdiana31 e, infine, nel 1650 dora la lunetta dell’ostensorio di San Nicolò Gerrei. Il secondo Barrai argentiere, Giovanni Francesco Sisinnio, figlio dello scalpellino Michele Barrai e di Joana Marras, nasce a Cagliari e viene battezzato il 15 marzo 1580;32 è quindi minore di dieci anni rispetto a Sisinnio Tommaso, probabilmente suo cugino. Di lui sappiamo che nel 1603 acquista una casa dallo scalpellino Michele Valdabella, socio del padre Michele; nel 1605 fa da testimone nell’atto in cui l’argentiere Giovanni Mameli viene pagato per aver importato da Napoli un calice d’argento per la cappella della Tanca Regia.33 Dalle sue nozze con Gerolama Fanari nascono tre figli: Melchiorre Carlo (1613), Eusebio (1620) e Maria Maddalena (1622).34 Nel 1616 riceve l’incarico di realizzare un 27. Il 18 ottobre 1570 al battesimo di Sisinnio Tommaso fanno da padrini mastro Tommaso Pitchoni e Angela Lliquer; sono suoi fratelli Leonardo Bartolomeo (5 novembre 1572), Giovanni Tommaso (6 novembre 1577) e Giovanni Francesco Leonardo (3 maggio 1578) (ASDC, Cagliari Villanova QL1, c. 50v, 63, 83v, 95). 28. G. Deidda, L’attività degli argentieri cagliaritani nel XVI secolo, in A. Mattone (a cura di), Corporazioni, Gremi e Artigianato tra Sardegna, Spagna e Italia nel Medioevo e nell’Età moderna (XIV-XIX secolo), Cagliari, 2000, pp. 380-381 (con bibliografia precedente); G. Galleri, La croce grande di “mastro” Pixoni e altri tesori d’argento nel Museo di Serramanna, «Biblioteca Francescana Sarda» X (2002), p. 382, nota 9; A. Pasolini, Gli argenti della parrocchiale di Muravera (e qualche nota sull’argentiere Giovanni Mameli), in S. Murgia, Muravera e le sue chiese nei documenti d’archivio, Dolianova 2005, pp. 65-110; Id., Le suppellettili della parrocchiale di Mandas, cit. A queste notizie riguardo a Tommaso Pitxoni si può aggiungere quella relativa al suo giuspatronato sulla cappella presbiteriale della chiesa cagliaritana di San Giacomo (A. Pasolini, Il mercante ligure Giovan Francesco Savona, la cappella di Sant’Antonio di Padova ad Iglesias ed il retablo della Vergine del Parto, in «Biblioteca Francescana Sarda», 2010). 29. S. Tomasi, Memorie di storia diocesana cit., I, p. 415. 30. Res Mirabiles. Argenti sacri ed ex-voto della Parrocchia di Guasila, Dolianova 2002, p. 32. 31. Serdiana: immagini sacre tra arte e devozione, a cura di S .Murgia, Dolianova 2004, pp. 34-35, 47, tav.4. 32. Il 15 marzo 1580 viene battezzato Joan Francesc Sisini, figlio di Michele Barrai e Joana Marras (ASDCA, Stampace QL.1, c. 24v). 33. Il 6 febbraio 1612 è testimone in un atto con l’argentiere cagliaritano Antioco Grech (M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola, cit., p. 68, nota 12; p. 71, nota 23). 34. ASDCA, Cagliari Stampace Q.L. 3, c. 138; QL 4, cc. 53 e 80) Capitolo XIII 197 calice ed una navicella portaincenso per la parrocchiale di S. Maria del villaggio di Bannari, in territorio di Usellus;35 poiché questo villaggio è scomparso, gli arredi liturgici della sua parrocchiale sono andati dispersi, ma non è escluso un loro trasferimento nella parrocchiale di Usellus, dove si conserva una navicella manierista a base quadrangolare e corpo baccellato, stilisticamente coerente con una datazione al 1616. Giovanni Francesco Sisinnio muore a quarantotto anni di età il 9 febbraio 1628, di morte improvvisa (de subijt).36 È probabilmente ascrivibile a lui, data la firma Giovanni Sisinnio Barrai, il pregevole diadema della parrocchiale di Sant’Anna a Cagliari, destinato probabilmente a un’immagine mariana: a foggia di mezzaluna con innesto a baionetta, è ornato a traforo da motivi geometrici di gusto tardogotico catalano.37 Tra il 1611e il 1628 i documenti riportano il nome di un altro argentiere residente nell’appendice di Villanova in Cagliari, Francesco Barrai, che non sappiamo con certezza se sia identificabile con Giovanni Francesco Sisinnio oppure con Giovanni Francesco Leonardo, fratello minore di Sisinnio Tommaso, nato nel 1578, oppure con un ulteriore operatore che ripropone un nome di famiglia. Un altro Barrai, Bonifacio, argentiere cagliaritano realizza nel 1656 un calice e ammoderna l’antica custodia della parrocchiale di S. Nicolò Gerrei.38 La famiglia, che ha forti rapporti con la Spagna sin dal ‘500, annovera numerosi scalpellini. Oltre a Giovanni Antonio, non altrimenti documentato che come padre dell’argentiere Sisinnio Tommaso, e a Michele, padre dell’argentiere Giovanni Francesco Sisinnio, che nel 1580 insieme a Michele Valdabella realizza un pulpito esemplato su quello di Villasor per la parrocchiale di Serramanna, è pedrapiquer Pietro Barrai di Villanova, che muore il 23 febbraio 1575.39 I più noti, però, sono Gaspare e Michele, abitanti nel quartiere cagliaritano di Stampace, che nel 1580 eseguono la cappella del Rosario nel San Domenico di Cagliari.40 Gaspare scompare il 12 agosto 1587, Michele tre anni dopo, il 5 gennaio 1590;41 entrambi vengono sepolti in Sant’Anna a Stampace, dove all’interno della cappella dei Santi Quattro Coronati, patroni di lapicidi e scultori, aveva sede la loro corporazione. Ci sono poi in famiglia diversi fusters: Antonio Giovanni Barrai nel 1566 è maggiorale della compagnia dei falegnami e intagliatori con Michele Mainas e Giovanni Sorgia; Michele Barrai, nel 1629 prende a bottega come apprendista il 35. M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola cit., p. 70. 36. ASDCA, Cagliari Stampace Q.L. 5, c. 6. Non può quindi essere lui quel Giovanni Sisinnio che l’anno dopo viene pagato per una tazza d’argento a forma di barca venduta all’egiziano Michele Alexandro, il quale acquistò anche due tazze di produzione siciliana lasciate in eredità da Gerolamo Ferret al Collegio gesuitico di Alghero. Questi, capitano dell’ammiraglia delle galere del re nel Regno di Sicilia, è lo stesso personaggio che nel 1611 trattò affari con il pittore Francesco Pinna (M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola cit., p. 71, nota 24; doc. 43 in Appendice). 37. A. Pasolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna cit., p. 322; A. Pasolini, Don Nicolò Pignatelli e la chiesa dei Napoletani a Cagliari, in Centro studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Previtali”, Interventi sulla “questione meridionale”. Saggi di storia dell’arte, a cura di F. Abbate, Roma 2005, p. 234, fig. 219. Sono aggiunte successive i raggi lanceolati e a fiamma applicati nel bordo superiore. 38. G. Guarino, La produzione orafa cit., p. 297, fig. 6; A. Pasolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna cit., p. 321. Restaurata recentemente a cura di Davide Canu e Davide Usala. 39. Il 30 ottobre 1569 si battezza Taddea Onofria, figlia di Pietro Barrai e Giovanna Marras; 23 febbraio 1575: muore mestre Pere Barray pedrapiquer, se enterra en Sanct Domingo (ASDCA, Villanova QL 1, cc. 45v; 342). 40. C. Aru, Un primo documento per la storia dell’architettura in Sardegna nel Rinascimento, «Mediterranea», Cagliari, vol. 4, 1930 , n. 12 , dicembre 1930, pp. 4-5; C. Maltese, Arte in Sardegna dal V al XVIII, Roma 1962; C. Maltese, R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in Sardegna, ried. Milano 1984, pp. 300-301; M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola cit., 1987, pp. 78/79, 88, 96/97; F. Segni Pulvirenti, A. Sari, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, Nuoro 1994, pp. 203-207, scheda 58. 41. ASDCA, Stampace QL1, cc. 191; 203v. 198 s. antioco Patrono della Sardegna sedicenne Sebastiano Sanna.42 Fa parte della stessa famiglia il sarto Michele Barrai.43 Per tornare al nostro reliquiario e alle vicende che portarono alla sua realizzazione, è da ricordare che la devozione per il martire sulcitano, già ampiamente diffusa alla fine del ‘500 e incrementata dal processo per i miracoli (1593), riceve enorme impulso dal rinvenimento delle sue spoglie.44 La questione non fu tutta pacifica. Da parte sassarese, se ne rivendicava la scoperta nel 1614 durante gli scavi ordinati da mons. Manca Cedrelles nella basilica di San Gavino di Porto Torres sulla base di un dubbio lacerto epigrafico.45 Ma l’apposita ricognizione all’interno delle catacombe sottostanti la basilica sulcitana ordinata dal Desquivel ai canonici iglesienti Tommaso Serra e Antioco Coni Bacallar e ai gesuiti Francesco Noco e Giuliano Melis, portò il 18 marzo 1615 al rinvenimento delle spoglie di Antioco proprio nel luogo che la tradizione indicava come sepoltura del santo. L’avvenimento è raccontato nella sua Relacion (1617) 46 dallo stesso Desquivel che si recò sul posto tre giorni dopo. Poiché il luogo era deserto e si temevano incursioni saracene, le reliquie furono sistemate in una cassa, che il giorno dopo fu portata processionalmente a Iglesias dove fu accolta con grande partecipazione popolare. L’acme del fervore e della commozione si raggiunse quando l’arcivescovo mostrò il cranio del Santo da un palco. Nonostante la Santa Sede si pronunciasse sull’autenticità di questa scoperta, i Sassaresi non cessarono di sostenere implicitamente la tesi di una sepoltura del santo a Porto Torres. Non a caso l’immagine marmorea di Sant’Antioco, definito “turritano”, è tra quelle scolpite nel recinto presbiteriale del duomo di Sassari insieme ai martiri locali e la sua statua in marmo è ai primi del ‘700 inserita nella cripta di Portotorres.47 A mio modo di vedere, l’opera vuol rappresentare una processione in cui gli angeli accompagnano i resti mortali di Sant’Antioco in quella gloria che ha meritato con la sua testimonianza di fede e il suo martirio. L’antifona dell’antica ufficiatura di Sant’Antioco recita: “florigeris angelorum choris sanctissimam animam reddidisti”.48 Ancora oggi, nel rito funebre si invoca l’accompagnamento angelico per l’anima del defunto: “Venite santi di Dio, accorrete angeli del Signore; Ti accolga Cristo che ti ha chiamato, gli angeli ti conducano con Abramo in paradiso; Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’Altissimo; In paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i santi e ti conducano nella Gerusalemme celeste”. Nel tradizionale allestimento della Dormitio Virginis (in occasione della festa dell’Assunta, il 15 agosto), statue di angeli circondano la Vergine dormiente, addobbata con vesti ricamate, veli, argenti e fiori; erano ancora presenti nell’inventario del 1765 i quattro in argento 42. F. Virdis, Artisti e artigiani nella Sardegna in età spagnola cit., pp.19, 209. 43. È documentato nel 1601 come testimone nell’atto relativo ad una controversia riguardo alla cappella maggiore di S. Giacomo a Cagliari, dove figura come perito il mercante Leonardo Barrai (A. Pasolini, Il mercante ligure Giovan Francesco Savona, la cappella di Sant’Antonio di Padova ad Iglesias ed il retablo della Vergine del Parto, «Biblioteca Francescana Sarda» 2010). 44. F. Pili, S. Antioco e il suo culto nel Proçess de miracles del 1593, Cagliari 1981; F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano, cit. Sant’Antioco è patrono delle diocesi di Ozieri (antica Bisarcio) e Iglesias. 45. F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano cit., p. 42. 46. A. Piseddu, L’arcivescovo Francesco Desquivel cit., pp. 109-112; F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco cit. Cfr. anche C. Del Vais, Sant’Antioco, in Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, XVIII, Pisa-Roma-Napoli 2000, pp. 188-259. 47. M.G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e ‘700, Nuoro 1991, pp. 92-93, scheda 67; pp. 280-281, scheda 244; M. Porcu Gaias, Sassari. Storia architettonica e urbanistica dalla origini al ‘600, Nuoro 1996, pp. 260-261; pp. 290-291. 48. Citato in F. Pili, Le meraviglie di S. Antioco martire sulcitano cit., p. 41, nota 8. Capitolo XIII 199 del duomo cagliaritano, purtroppo perduti.49 Un riferimento alla presenza degli angeli ai quattro capi del letto è espressamente indicato in un’antica giaculatoria, che suggerisce il ricorso alla protezione e all’aiuto degli angeli per vivere e morire cristianamente.50 L’utilizzo di statuette angeliche negli argenti sardi è tutt’altro che raro: due angeli stanti su esili bracci fanno solitamente da guardia al Santissimo Sacramento nelle custodie cinquecentesche, peculiare arredo liturgico che insieme alla croce astile di tradizione tardogotica caratterizza la produzione sarda.51 È andato perduto ma sappiamo dai documenti che era ornato da quattro figure di angeli in argento anche il reliquiario di San Saturnino, collocato nel santuario dei Martiri nel duomo di Cagliari, con molta probabilità commissionato dallo stesso arcivescovo Desquivel che patrocinò la ricerca delle reliquie.52 Nella parrocchiale di Mandas sono conservati due pregevoli Angeli reggicero, dalla base forata, di cui resta dubbia l’utilizzazione se come complemento decorativo di un importante reliquiario, di un espositorio eucaristico o di un simulacro della Vergine.53 Negli stessi anni, possedeva una cassetta in oro e castoni di pietre preziose ornata da tre angeli l’arcivescovo sassarese Bacallar, come risulta dall’inventario dello spoglio (1614).54 La commissione di arredi sacri in argento si fa più cospicua con il rinnovamento liturgico successivo alla riforma cattolica, soprattutto tra gli ultimi decenni del ‘500 ai primi del secolo successivo.55 Dagli inventari emerge infatti un notevole incremento numerico e qualitativo delle suppellettili in argento, rappresentate in varie tipologie, in cui è significativa la contrapposizione tra la tradizione gotica (taill antich) e le innovazioni del Rinascimento e Manierismo (a la moderna).56 In questo fenomeno è notevole il ruolo delle committenze, da quella colte e aggiornate come quelle di vescovi, canonici e beneficiati, 49. Archivio Capitolare Cagliari, Vol. n. 251, c. 58; A. Pasolini, Le suppellettili della parrocchiale di Mandas e l’argentiere Luigi Montaldo, «ArcheoArte»1, 2010, p. 222 Risale all’Ottocento l’Assunta oggi in uso, come pure gli addobbi in argento e in tessuto che ornano la statua e il suo letto (cfr. L. Siddi, L’iconografia della Vergine dormiente nell’arte sarda, «Biblioteca Francescana Sarda» X, 2002, pp. 261-291). 50. “A letto a letto me ne vò, l’anima mia a Dio la dò, la dò a Dio e San Giovanni che il nemico non m’inganni. Quattro angeli di Dio tutt’intorno al letto mio, due da piedi due da capo, la Madonna ad ogni lato. Signor mio mi metto giù, chissà se mi rialzo più. Se non mi rialzo più tre cose ti chiedo: la remissione dei peccati, la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen”. 51. Della vasta produzione sono rimasti gli esemplari di Atzara (1597), Ghilarza, Neoneli, Orotelli (1608), Perdasdefogu, San Nicolò Gerrei; sono andate invece perdute le custodie delle cattedrali di Alghero, Iglesias e Dolianova, delle parrocchiali di San Giacomo a Cagliari, Assemini, Decimoputzu, Lanusei (1571), Monserrato, Muravera, Quartu Sant’Elena, San Vero Milis (1582), Selargius, Serdiana, Settimo San Pietro, Uta, Villamassargia e Villaspeciosa. (R. Delogu, Mostra dell’antica oreficeria cit., pp. 30-31, 58; C. Maltese, Arte in Sardegna cit., p. 219, fig. 62; C. Maltese-R. Serra, Episodi cit., p. 222, fig. 227; A.G. Maxia, Scheda 547, in La Corona d’Aragona. Un patrimonio comune per Italia e Spagna (secc. XIV-XV), Cagliari 1989, pp. 338-339; R. Serra, La grande tradizione cit., p. 228, fig. 6; Id., Un reliquiario cinquecentesco di bottega cagliaritana. Nota preliminare al catalogo delle opere d’arte del duomo di Bosa, in Le chiese di Bosa, Cagliari, 1978, p. 137; G. Guarino, La produzione orafa cit., p. 297, fig. 6; T. Loddo, Marchi degli antichi argentieri sardi in Ogliastra, «Studi Ogliastrini» V, 1999, p. 55; A. Serra, Argenti e paramenti sacri della cattedrale di Alghero nei secoli XVI-XVIII, «Revista de L’Alguer», V, dicembre 1994, pp. 113-114; A. Pasolini, Gli argenti della parrocchiale di Muravera cit., p. 72. A. Pasolini, Argenti sacri del Cinquecento in Sardegna, «Biblioteca Francescana Sarda» XI (2008), pp. 309-332. 52. Gli angeli furono rubati il 28 dicembre 1640 da due ragazzi che condussero la refurtiva agli argentieri Antonio Mura e Michele Xinus (G. Guarino, La produzione orafa cit., pp. 301-302; A. Pasolini Argentieri sardi o attivi in Sardegna cit., pp. 342, 353). 53. A. Pasolini, Le suppellettili della parrocchiale di Mandas cit., p. 222. 54. Mas 40 lliures per lo preu de una capseta ab tres angels de or ab pedres la una verda laltra encarnada y laltra parda venuts a mons. don Jaume Manca (Archivio Capitolare Cagliari, Spoglio Bacallar 1614, c.13v). 55. A. Pasolini, Argenti sacri del Cinquecento cit. 56. Tali fonti documentarie offrono molteplici spunti di ricerca e approfondimento; cfr. G. Pinna, Villacidro. La visita pastorali di mons. Del Vall (1591) e il cammino della comunità fino al XVII secolo, Centro Studi SEA, Villacidro 2008; M. Salis, Scultura lignea della diocesi di Cagliari dagli inventari delle visite pastorali, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari», n.s. XXVI (vol. LXIII), 2008, pp. 143-159. 200 s. antioco Patrono della Sardegna a quelle di nobili e di agiati mercanti che nei loro testamenti istituiscono censi e lasciti alle chiese. Una fonte importante per valutare la consistenza delle dotazioni di suppellettili liturgiche nelle parrocchie sarde è costituita dalle visite pastorali compiute dagli arcivescovi cagliaritani nella diocesi di Cagliari e in quelle succursali (Dolia, Galtellì, Iglesias e Suelli).57 Per quanto riguarda la chiesa di Sant’Antioco abbiamo a disposizione solo l’inventario redatto a seguito della visita pastorale di mons. Francisco Del Vall del 29 aprile 1591,58 che per il suo interesse sembra opportuno riportare in Appendice. In quella data viene rilevata nell’altare maggiore la presenza di un retablo ligneo dipinto, con al centro la statua sopravestita di Sant’Antioco tra i Santi Pietro e Paolo. All’interno di una cassa venivano conservati le vesti con cui la statua del Santo veniva addobbata il giorno della sua festa e le maniche in diversi tessuti, evidentemente intercambiabili. Storie della vita di Sant’Antioco erano illustrate in un retablo pittorico all’interno della cappella dedicata al benaventurat Sant Antiogo nel duomo di Iglesias; proprio qui si riponevano le vesti della statua ed i suoi accessori nella processione di maggio. Tra paliotti d’altare, numerose lampade d’argento e sontuose vesti in damasco bianco e azzurro, ermesino verde e velluto bruno, segnaliamo tredici cortine dipinte a figure (tretze draps de tela pintada ab certos personagies que serveix per encortinar la capella), che raffiguravano probabilmente i tormenti subiti da Antioco e accentuavano la suggestione di una rappresentazione sacra all’interno della cappella. A questi arredi censiti nel 1591, con una successiva verifica nel 1595 vengono aggiunti un calice d’argento per la statua del Santo, angeli e candelieri lignei dorati e la campana utilizzata nella festa. Mancano purtroppo inventari secenteschi della parrocchiale di Sant’Antioco in cui siano registrati gli arredi, né fornisce indicazioni al riguardo la visita pastorale di mons. Tommaso Ignazio Natta nei giorni 24-28 aprile del 1761.59 Per concludere, le qualità tecniche e formali del reliquiario di Sant’Antioco, la sua foggia architettonica e il prezioso metallo utilizzato sono tutte caratteristiche che rientrano a pieno nell’adeguamento liturgico previsto dal Concilio di Trento (1545-63) e ribadito dall’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo (1560-84) nelle sue Instructiones (1577).60 Poiché comunque l’opera costituisce un unicum nel contesto sardo, sembra verosimile che eventuali prototipi possano trovarsi in territorio maiorchino, ultima tappa prima di quella cagliaritana del presule Francesco Desquivel, che probabilmente fornì come modello a Sisinnio Barrai un disegno o una stampa. Auspichiamo che il singolare reliquiario del cranio di Sant’Antioco, frutto della devozione di mons. Desquivel e dell’ingegno di un orafo sardo, che con tradizione ininterrotta da quasi quattro secoli viene portato in processione il giorno della festa, sia presto oggetto di manutenzione e restauro, necessari per eliminare le moderne viti e rinforzarne adeguatamente la struttura. 57. R. Turtas, Storia della Chiesa, Roma 1999; S. Sitzia, Storia della Chiesa in Sardegna. Le Visite Pastorali, «Paraulas» VIII (2006), pp. 3-24. 58. ASDCA, Visite Pastorali 2, Visita Pastorale 1591 dell’arcivescovo Francisco Del Vall. 59. “A 24 aprile andai a S. Antiogo. Pranzai a Barbusi e visitai ivi S. Maria. A 25 aprile la matina aprii la visita in S. Antiogo e diedi la cresima. Il dopo pranzo pontificai i primi vespri del santo. A 26 aprile pontificai la messa dopo di avere comunicato ad altro altare coll’assistenza di due canonici. Pontificai i secondi vespri, e processione. A 27 aprile la matina visitati Santa Rosa. Cresimai in S. Antiogo dopo la messa privata. Dopo pranzo visitai la Chiesa e Sacrestia, e sotterranei di S. Antiogo. A 28 aprile tornai a Iglesias” (ASDCA, Visite pastorali 8). 60. Nel 1582 San Carlo Borromeo predispose uno specifico manuale sulla cura degli arredi liturgici in metallo, dove si indicavano i metodi di pulitura, manutenzione e conservazione: Regulae et istructiones de nitore et munditia ecclesiarum, altarium, sacrorum locorum, et supellectilis ecclesiasticae in Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, I, pp. 639-642 (cfr. M.L. Gatti Perer, La manutenzione ordinaria degli edifici sacri e delle loro suppellettili secondo Carlo Borromeo, in Atti della Accademia di San Carlo, Milano 1982, pp. 121-147; Come conservare un patrimonio. Gli oggetti antichi nelle chiese, a cura di M.T. Binaghi Olivari, Milano 2001, pp. 108-112). Capitolo XIII 201 Appendice documentaria Stralcio dell’inventario della visita pastorale realizzata dall’arcivescovo Francisco Del Vall nella parrocchiale di S. Antioco il 29 aprile 1591, redatto dal notaio Giovanni Spada. Tra parentesi quadre le aggiunte successive del 1595. ASDCA, Visite Pastorali 2 cc. 24-26 Die dominica XXVIIII predicti mensis et anni in insula Sancti Antiochi. Trobantse lo dit Illustrissimo y Reverendissimo Señor en la yglesia del benaventurat Sanct Antiogo que es en la dita villa y eglesia de Sa Señoria Illustrissima y Reverendissima per esser estat cap del bisbat sulcitano qual es ara del bisbat ecclesiensi y per que vieja y prega miracles cosas de aquella la S.a volguda visitar y entrant en aquella en la forma acostumada, essent alli ha manat a mi dit not(ari). (omissis) c. 24v P(rim)o la ymagie de dit benaventurat Sanct qual porta les robes y coses segue(n)ts. Item una corona de plata plana. Item una camisa de tela saunesa ab sas manigas de Olanda y cabes de llahugueta ab perlas obrat. Item altra roba llarga ab sas manigas llargas de domas vermell guarnida tota y per lo mig de dites manigues de passama de plata. Item una cadena de llauto daurada y una creu de argent daurada ab unas pedras vermellas y verdas. Item altra creueta de argent y Crucifissi de argent daurat. Item un Paternostres de vidre. Item lo altar major ab son retaulo de llenya pintat en lo qual hi es la figura de dit benaventurat Sanct y las de Sanct Pere y Sanct Pau. Item un devant de altar de armasi doble vermell ab son frontal de vellut y franjas de seda vermella ab las columnas. c. 25: Item tres tuvallas blancas. Item una llantia de vidra y altra de plata. Item en dita yglesia hia nou altars y en cada altar tres tuvallas de tela ab indich y un devant de altar de filempua que entre totas son nou devant de altars y vintiset tuvallas. Item en dita yglesia hia sis aras de dit Sanct [a lato: son sinch, pero son de la cathedral de S.ta Clara]. Item quatre canelobres de llauto. Item dos caxas blancas ab son pany y clau usadas quals serveix una per portar dita ymagie a dita yglesia y altres les robes. Item la cuberta de la traca que porta dita ymagie ab dos portaleras de drap vermell y guarnit tot de franjas de mija seda. Item una creu de llauto que porta en la prufesso ab son manich de llenya. En la capella del dit benaventurat Sanct en la Seu de la ciutat de Yglesias a dos de maig dit any: P(rim)o lo retaulo ab las estorias pintadas alli de dit Sanct, es de llenya y daurat y altras colors ab diversas figuras. Item una cortina de tafata en lo matex retaulo de color de sendra per la ymagie ab una franja al derredor de seda de la matexa color. Item altra 202 s. antioco Patrono della Sardegna cortina mes gran de filempua ab una verga de ferro per cobrir tota lo dit retaulo. Item sinch llantias de vidre ab altras tres llantias de plata estan en dita capella penjadas ab sinch candelas y altres coses de devots que en dita capella son portat. Item un devant de altar de bucarato aranjat ab una creu en mig de una tira de vallut blanch y unas franjas y frontal de seda de la matexa color. c. 25v Item tres tuvallas de tela ab indich... Item tres camisas de dita ymagie de tela saunesa ab sas manigas de la matexa tela y cabes de llahugueta. Item un parell de manigas de Cambray. Item altra roba llarga de domas vermell ab sas manigas guarnida de passama de or ab les armes del quondam vicari Joan Ferrer. Item altra roba llarga de domas blau ab sas manigas llargas guarnida de passama de argent y seda vermella. Item altra roba llarga llarga ab sas manigas curtas de domas blanch guarnida ab passama de or y seda vermella. Item altra roba llarga ab sas manigas llargas de armasi vert senzillo plana. Item altra roba llarga de vellut morat entretecida de brucatello ab passama y alamars de or y plata guarnida de taffeta grog. Item tretze draps de tela pintada ab certos personagies que serveix per encortinar la capella. Item set devant de altar de or y pell que serveix per encortinar la yglesia de dit Sanct. Item altra caxa de dit Sanct dins dita capella. Item una bosa gran de domasquillo blau ab cordons de seda de la matexa color y de fil de plata. Item altras dos bosas de vallut carmasi repuntadas de fil de or y sos cordons de seda carmesina. Item una tassa de argent en la qual hi es esculpit la ymagie de dit Sanct y lo sus nom. Item altra taseta de argent antiga qual ab la susdita serveix por ademanar almoina. c. 26 Item dos coronas de llenya daurada de dita ymagie. Item quinze parells de rosaris de diversas colors çoes de ambria, cristall, vidre, llenya y altres. [a lato: Item un devant de altar de domas vert ab un frontalet cusit ab una frangeta. Item altre devant de altar de mocayado morat. Item un calze de plata que esta en la ma dreta del Sanct. Item un cap de plata ab sa cadeneta de plata. Item un frontal ... Item una roba de armesi... Item una tovalla obra moresca de diversos colors. Item dos angels ab uns canelobres de lena daurats. Item un devant de altar de girasol vert. Item la campana que se porta a la igl(esi)a de dit Sanct en les festas]. 203 Capitolo XIV Capitolo XIV XIV Dopo l’Inventio Patronus Totius Regni Sardiniæ I l ritrovamento del santo corpo di S.Antioco fu un evento eccezionale e di enorme rilevanza per la diocesi sulcitana e per tutta la Sardegna. L’anno prima era stato dato grande risalto al ritrovamento del suo corpo nella cripta della chiesa di S. Gavino in Torres, fra una quarantina di scheletri di altri ipotetici santi, facendo presumere che il corpo di S.Antioco dovette essere stato traslato da Sulci a Torres dal giudice Comita. Giovanni Spano riporta una “iscrizione scolpita nel fronte di un urnetta di marmo bianco, lavorata in rilievo, e colombe da ambi i lati: HIC. IACET. CORPUS SANCTI. ANTIOCHI MARTIRIS, che riposa nella parte destra dell’altare maggiore nel Duomo di Sassari, e venne visitata ed autenticata dall’Arciv. Mons. Varesini nel 1848. Alla parte esterna del coperchio di detta urnetta vi è l’iscrizione Paulo V Pontif. Max. Philippo III Hispan. Rege et Carolo Borgia Duce Candiae Sardiniae Prorege. Più alla parte interna Inventa sub altare majori antiquo cum inclusis sacris reliquiis anno Domini MDCXIIII a D Gavino Manca de Cedrelles Archiep. Turritano decimo calendas Julii.Questo Santo martire Antioco non dove confondersi coll’altro dello stesso nome di Sulcis, e patrono della Provincia. L’urnetta suddetta esisteva nel santuario della Basilica di S. Gavino, che poi venne trasportata in Sassari, e collocata nell’altar maggiore del Duomo. Le antiche cronache Sarde ricordano questo Santo Martire Turritano, per cui non si può dubitare dell’autenticità dell’iscrizione, e delle reliquie. (1) Vedi relazione del ritrovamento dei SS. Martiri Turritani, etc, Sassari 1846 p. 59 dove è fatta menzione del ritrovamento del corpo di Sant’Antioco: Questo Santo diede occasione ad una lunga lite tra il Capitolo di Cagliari e quello di Sassari, il quale voleva che il vero sant’Antioco Sulcitano fosse questo trovato nella Basilica di Porto – Torres”1. Queste polemiche fecero accelerare i tempi all’arcivescovo di Cagliari e vescovo di Iglesias Don Francisco De Esquivel il quale diede disposizioni, come descritto nella sua relazione poi stampata a Napoli nel 1617, affinché si avviassero le ricerche delle reliquie del Santo nella sua chiesa di Sulci. I canonici iglesienti Thomas Serra e Antiogo cani Bacallar giunsero nella catacomba del Santo il 18 marzo 1615 ben sapendo dove cercare perché da sempre si diceva che il corpo si trovava da sempre in quel luogo2. Padre Tommaso Napoli: “La providenza del pio arcivescovo siccome appena arrivato all’isola di s. Antioco, prima di levar dal sepolcro le sagre reliquie, avea ordinato ai notari Melchiorre Dessì, e Gaspar sirigo sostituito di Gabriele Alessio Orda notaio della mensa arcivescovile di Cagliari di prender informazione autentica delle persone 1. Cfr. G. Spano, Bullettino archeologico Sardo vol. I a cura di Attilio Mastino, Ed. Archivio Fotografico sardo Nuoro, 2000, p. 189-190. 2. Nel manoscritto Vita Sancti Antiochi, scritto circa vent’anni prima, Rossello Monserrat descrive l’epigrafe Aula Micat, vedi Appendice. 204 s. antioco Patrono della Sardegna “Manuscrito n° 8664 Copia de la Informaciòn canònica, hecha para comprobar el descubrimiento del cuerpo de San Antioco, en la isla del mismo nombre, obispado de Iglesias. Año 1617. – S. XVII, papel, 303 x 220 mm, 30 ff, ene. piel con hierros secos. Textos en catalàn, latin y castellano” Capitolo XIV 205 presenti al discoprimento del sepolcro, della ricognizione del sagro corpo, e di tutto l’accaduto, così nel consegnare al capitolo della cattedrale di Iglesias, ed ai giurati di essa città le reliquie del Santo, gli obbligò con atto pubblico a restituire dette reliquie alla chiesa dell’isola di Sulcis qualunque volta essa venisse abitata, come dovutele di dritto. Il detto auto registrato dal notaio Gaspar Sirigo, sottoscritto da vari cavalieri, e signori, come da testimoni, trovasi in un libro autentico, ed originale intitolato: atti originali dell’invenzione ec.: scritto in lingua catalana, e conservato nell’archivio della mensa arcivescovile di Cagliari alla pag. 301, dal quale il signor conte Porcile ha fatto con approvazione di monsignore don Vittorio Melano estrarre una copia autentica di detto atto d’obbligazione, che conserva presso di se3. L’Arcivescovo De Esquivel, inoltre ne fece una relazione ben particolareggiata al papa Paolo V, che è conservata nell’Archivio Segreto Vaticano; ed una al re di Spagna, Filippo III, a cui offriva anche in un reliquiario d’argento un osso dalla tibia del Santo. E questa relazione si trova ancora nella Biblioteca Nacional de Madrid, conservata tra i manoscritti al n. 86644. Dopo il trasporto delle reliquie ad Iglesias ordinò, a sue spese, un reliquiario in argento agli argentieri di Cagliari. Copia dell’atto di traslazione è conservato nell’Archivio Storico Comunale di Iglesias: Noverint universi quod anno a nativitate Domini millesimo sexcentesimo decimo quinto die mercuri, intitulata die vigesima nona mensis aprilis, essent lo noble Don Noffre Ram Capita y Alcait per sa Magestat de la present Ciutat desglesies, los Magnifichs Nicolau Canj Baccallar, Antiogo Cocodi, Gontini Pintus, Joan Serra y Francisch Falxi Consellers lo present añy de dita e present Ciutat congregats y adjuntats dins la sacristia de lasglesia sots invocatio de la benadventurada Sancta Clara, Seu Cathedral de dita e present Ciutat, en compañia dels molts Reverents Doctor 3. Cfr. T. Napoli, Vita Invenzione e Miracoli del Glorioso martire sant’Antioco detto volgarmente Sulcitano, Reale Stamperia Cagliari, 1784, p. 19. 4. Cfr. L. Cinesu, Fura Santus, Ed. Santuario S.Antioco, CTE Iglesias, 1987, p. 22. 206 s. antioco Patrono della Sardegna Nicolau Cadello Archiprevere de dita Seu, lo Doctor Thomas Serra, Francisch Canj, lo Doctor Antiogo Matta, Nicolau Utta, Antiogo Serra, Antonj Canavera, Andreu Panj, y de Antiogo Cani Canonges de dita Seu, de Joan Falxj, Nicolau Murja, Marco Bruguitta, Joan Cocodi, Benet Cannas, Joan Pisti, Nicolau Canj Adzori, Francisch cuyno Dessy, Basili Contini, Antiogo Balia, Nicolau Leoni Benefisiats de dita Seu, de Joan Canj Scarxonj, y de Nicolau Zucca preveres de dita Ciutat. En presentia dels molts Reverents Francisch Martis y Melchior Fensa Canonges de la Seu de Caller, de Jaume Serra, de Gavi Tola preveres de dita Ciutat de Caller, del noble Don Anton Ram, Antiogo Melly Cau, Antiogo Figus y de Joan Antoni Serra Ciutadans de dita e present Ciutat, de Jagano Joan Pinna Pissano, de Jagano Nicolau Scarxoni tambe de dita e present Ciutat, y de Pere Martis tambe natural de Stampaig altre apendici de dita Ciutat de Caller, es estat treta la Sancta Reliquia y cap del cor del benadventurat Sanct Antiogo Martir Sulcitano, de la caxa cuberta de vellut carmesi es dins dita sacristia construjda y posada, dins de la qual estan posades y recondujdes les demes Sanctes Reliquies de dit Glorios Sanct, y dita Sancta Reliquia y cap, en presentia de mi notari jnfrascrit y testimonis prenomenats, es estat posat dins lo encax y engast de plata que per mans de mestre Sisini Barray, mestre Francisch Barray e de mestre Antiogo Grech, argenters naturals de la pendici de Vila Nova de dita Ciutat de Caller, es esta fet construyt y obrat per dit effecte de posar dins de aquell, com de facto, com se ha dit, se ha posat dita Sancta Reliquia per raho de que de asi avant se puga cascun añy perpetuament portar, en los dies y temps se sol cellebrar la festa y devotio de dit Glorios Sanct Antiogo, en la sua Sancta Jglesia sulcitana, a tal sia adorada reverentiada y venerada ab to lo decoro se deu per tota la gent y devots que de tot lo present regne y fora acudex. En fe y testimoni de les quals coses y a tal aquelles consten ad perpetuam rei memoriam, dits noble Capita y Magnifichs Consellers han manat a mi notari jnfrascrit esserne rebut y continuat lo present acte de quibus etc. SIG + NUM Joannis Pias Auctoritatibus Appostolica ubique Regia vero per totum presens Sardinie Regnum publici notarij ed domus consilij huiusmodi civitatis Ecclesiarum secretarij qui predictis de mandato prefatorum nobilis capitaney et magnificorum consiliariorum jnterfuit eaque proprio exarata calamo requisitus atque rogatus clausit Sia a tutti noto che l’anno dalla nascita del Signore mille seicento quindici, mercoledì ventinove aprile, essendo Capitano e Alcade della Città di Iglesias, per conto di sua Maestà, il Nobile Don Onofrio Ram, e i Magnifici Nicola Canj Bacallar, Antioco Cocodi, Gontini Pintus, Giovanni Serra e Francesco Falxi Consiglieri quest’anno della detta e presente Città d’Iglesias, congregati e riuniti dentro la sacristia della Chiesa sotto l’invocazione della bene avventurata Santa Chiara, Sede Cattedrale della detta e presente Città, in compagnia dei molto Reverendi Dottor Nicola Cadello Arciprete della detta Sede, il Dottor Tomaso Serra, Francesco Canj, il Dottor Antioco Matta, Nicola Utta, Antioco Serra, Antonio Canavera, Andrea Panj e di Antioco Canj Canonici della detta Sede, di Giovanni Falxj, Nicola Murja, Marco Bruguitta, Giovanni Cocodi, Benedetto Cannas, Giovanni Pisti, Nicola Canj Adzori, Franceschino Dessy, Basilio Contini, Antioco Balia e Nicola Leoni Beneficiati di detta Sede, di Giovanni Antonio Scarxonj e di Nicola Zucca preti di detta Città. In presenza dei molto Reverendi Francesco Martis e Melchiorre Fensa Canonici della Sede di Cagliari, di Giaime Serra, di Gavino Tola preti della detta Città di Cagliari, del Nobile Don Antonio Ram, Antioco Melly Cau, Antioco Figus e di Giovanni Antonio Serra Cittadini della detta e presente Città, del Sacrista Giovanni Antonio Pissano, del Sacrista Nicola Scarxoni pure di detta e Capitolo XIV 207 presente Città, e di Pietro Martis pure nativo di Stampace altra periferia della detta Città di Cagliari, è stata estratta la Santa Reliquia e capo del corpo del bene avventurato Sant’Antioco Martire Sulcitano dalla cassa coperta di velluto cremisi che è dentro detta sacristia costruita e situata, dentro la quale sono riposte e raccolte le altre Sante Reliquie del detto Glorioso Santo, e detta Santa Reliquia e capo, in presenza di me notaio sottoscritto e dei sunnominati testimoni, è stata deposta dentro l’urna e castone d’argento che dalle mani di Maestro Sisinio Barray, Maestro Francesco Barray e di Maestro Antioco Grech, argentieri nativi di Villanova periferia della detta Città di Cagliari, è stata fatta, costruita e lavorata per il fine di deporvi, come effettivamente e come si è detto, si è deposta la Santa Reliquia, allo scopo che d’ora in avanti ogni anno si possa in perpetuo trasportare, nei giorni e nei tempi in cui si suole celebrare la festa e devozione del detto Glorioso Santo, nella sua Santa Chiesa sulcitana, perché sia adorata, riverita e venerata con tutto il decoro che si deve da tutta la gente e devoti che da tutto il presente regno e da fuori accorre. E in fede di queste cose e perché le stesse risultino a perpetua memoria, i detti Nobile Capitano e Magnifici Consiglieri hanno incaricato me, notaio sottoscritto, di ricevere e stendere il presente atto. Segno tabellionale di Giovanni Pias, notaio pubblico per l’autorità Apostolica e Regia in tutto il Regno di Sardegna, nonché Segretario della casa consiliare della Città d’Iglesias, che per mandato dei predetti Nobile Capitano e Magnifici Consiglieri intervenne e verbalizzerà queste cose di proprio pugno. Reliquario in argento La festa del 4 maggio 1615, subito dopo l’inventio, fu memorabile. Ecco cosa scrivevano alcuni importanti testimoni: ESQUIRRO – SANTUARIO DE CALLER – Della festa che nello stesso anno 1615 si festeggiò nell’isola di Sulcis. Una delle cose più insigni, e degne di memoria, non solo nel regno di Sardegna ma della maggior parte della cristianità, è la festa che ogni anno si usa realizzare quindici giorni dopo la santa pasqua della resurrezione di Cristo Nostro Signore nell’isola sulcitana, nella chiesa del beato martire S.Antioco. Si celebrano quattro volte l’anno in questo luogo le feste del beato S.Antioco; una il primo di agosto, altra il 13 di novembre, per il martirio del beato santo, che per tradizione antica morì in questo giorno, l’altra festa si fa in quaresima, il venerdì chiamto di Lazzaro che risulta quello successivo alla quarta domenica. Ho sentito che la festa del primo agosto si fa in memoria dei tormenti che gli fece patire in Africa l’imperatore Adriano, la festa di novembre perché è morto in quel giorno, e la terza festa che cade sul sopradetto venerdì di quaresima, fu istituita perché l’isola sulcitana è ricca di palme e palmeti, di cui si approvvigiona la città di Iglesias per la domenica delle Palme, e siccome 208 s. antioco Patrono della Sardegna l’isola è pericolosa a causa dei corsari moreschi e dei nemici turchi, per consentire l’arrivo della gente (e per garantire maggiore sicurezza) si istituì questa festa, in modo che si potesse fare un viaggio con un duplice scopo: rendere omaggio santo glorioso e raccogliere le palme per la città per poterle benedire la domenica delle Palme: in questo modo si recano nell’isola sicuri, perché sono in numerosa compagnia, e per lo più si tratta di gente a cavallo: in ognuna di queste feste accorre molta gente, la maggior parte della città di Iglesias, e pochi forestieri provenienti da altre località. L’altra festa però (che come ho già detto) si tiene quindici giorni dopo la Pasqua di Resurrezione, è una cosa miracolosa per quanta gente accorre, non solo dalla città di Cagliari e dalla città di Iglesias o da altri luoghi vicini, ma in grandissimo numero da tutta l’isola, e con grandissima devozione: chi a piedi, chi a cavallo; sopra carri coperti che qui chiamano tracas, altri con carri scoperti; ed è uno spettacolo meraviglioso vedere in un luogo deserto formarsi nell’arco di cinque giorni una così grande e popolosa città, perché sono solite arrivare ogni anno più di ventimila persone, e da moltissimi paesi, perché in molti hanno qui una propria casa e tutti costruiscono moltissime capanne. Si fa fronte a tutti i generi di mantenimento con grandissima abbondanza di pane, vino, molta carne, tantissimo pesce, e tutti i regali che un essere umano possa desiderare; si tiene una fiera, in cui ci sono moltissime botteghe, e si vende tantissima roba. Fin dall’ultima festa di Pasqua vi si recano muratori e altri ufficiali per restaurare i ponti, mettere in ordine le case, tirar su capanne, far manutenzione alla chiesa e metterla in ordine, di modo che fin dal giovedì precedente la festa, comincia ad entrare tutta la gente, ed è cosa degna di esser vista con quanta devozione entrano tutti in quel luogo santo. La sera del sabato c’è già tantissima gente, si fanno molti commerci, tantissimi fuochi d’artificio sia il sabato che la notte della domenica. Il lunedì, giorno della festa, si celebrano tantissime messe sia recitate che cantate: si confessano e partecipano in tantissimi al rito eucaristico e la sera si tiene una processione solennissima con la più importante immagine del santo, molto devota e molto antica, che si conserva tutto l’anno nella città di Iglesias, nella chiesa cattedrale, nella cappella dello stesso santo, e per due volte si è soliti portarla nella sua chiesa di Sulci, cioè a dire per la festa di agosto, e per questa festa, della quale stiamo parlando. Esce dalla città dentro una cassa molto grande sopra un cocchio costruito apposta per questo scopo, accompagnato da molti canonici, presbiteri, e altri uomini di chiesa, con molta gente a piedi, e tanti vanno scalzi per devozione, molti a cavallo con i loro fucili pronti e in ordine: si tiene , come ho detto, la solennissima processione intorno alla chiesa, nella parte esterna, con musica da moltissimi strumenti, e canti, con un’infinità di spari di fucili, e suoni di trombe e tamburi. Il martedì seguente, dopo che tutti hanno ascoltato la prima messa, essendo per questo tutti mattinieri, si parte per tornare a casa; ogni anno questa festa si svolge come ho detto, e da tanti anni che non si ha più memoria di quando ebbe inizio. Il motivo per cui questa festa si fa quindici giorni dopo pasqua non si è potuto sapere, si può soltanto supporre che essendo così grande la devozione che tutto questo regno ha tributato a questo santo glorioso, essendo il clima quasi sempre sereno in primavera e confortevole; in questo modo tutti i devoti possono arrivare sempre nello stesso periodo cioè tra gli ultimi giorni di aprile e i primi di maggio. E dunque, come ho già riferito, si tiene ogni anno con così grande devozione, però nell’anno 1615 che cadde il quattro di maggio, è stato più solenne che mai, essendo lo stesso anno che fu trovato il santo corpo, non essendo passato neanche un mese e mezzo dalla felice scoperta. La scoperta si diffuse in tutta la Sardegna tanto che tutti cercarono di partecipare alla festa. Si restaurarono i ponti, le case, e tutto (come è consuetudine fare ogni anno) e cominciò ad arrivare gente e il giovedì antecedente la festa partì dalla città di Iglesias l’immagine del santo, e la cassa, di velluto cremisi, dove sta il corpo del santo, e da un’altra parte la testa dentro un grande reliquiario d’argento, lavorato in modo molto singolare, con tanti angeli e altre lavorazioni particolari. Questo reliquiario era stato ordinato a sue spese dall’arcivescovo di Cagliari Don Francisco de Esquivel. Uscirono dalla città in processione e furono accompagnati per tutto il Capitolo XIV 209 cammino da tantissima gente a cavallo, tantissima a piedi e scalzi piangendo per la felicità, e la devozione, ed entrarono il sabato nell’isola sulcitana, e arrivarono in chiesa accolti da salve di fucileria: era meraviglioso vedere la devozione di tutti, sembrava il giorno del giudizio, chi piangeva, chi stava dietro le sante reliquie trascinandosi con le ginocchia per terra, ci fu grande giubilo dal sabato alla notte della domenica; furono presenti molti nobili e molti cavalieri, in particolare dalla città di Cagliari, vestiti meravigliosamente, e ci fu grandissima devozione, tantissime furono le confessioni e le comunioni, tanto che facendo i conti di quelli che si comunicarono il giorno della festa si arrivò a dodici mila persone e si celebrarono ottocento messe, tra cantate e recitate, e si dice siano state duemilatrecentoottantatre le messe celebrate in seguito nella città di Iglesias presso la cappella del santo. Le elemosine raccolte dall’Obreria sia nella porta della chiesa che come offertorio durante le messe, ammontavano a 1300 lire, equivalenti a 5200 reali, poiché ogni lira equivale a quattro reali. Il lunedì dopo i vespri predicò le lodi del beato san Antioco il padre Tommaso Pitzalis dell’ordine dei Predicatori, originario di Cagliari, che predicò con molta foga e dottrina, con grande soddisfazione di tutti. Subito dopo uscì la processione, con grande ordine e armonia. Davanti tutto il clero e subito dopo arrivava il simulacro del santo, e poi sopra un catafalco la cassa con il santo corpo, e sopra un altro baldacchino la testa santa. Tutta la piazza e il tetto della chiesa erano stracolmi di gente: lungo il percorso della processione si trovavano moltissimi archibugieri, sia a piedi che a cavallo, che accompagnavano con molte raffiche di fucileria, in grandissimo ordine e armonia, tanta musica con tanti tamburi e trombe, dopo di che rientrò la processione e si concluse la festa. La quale (come ho già detto fu la più famosa) di tutte quelle che si fecero prima. Non solo la grande devozione, ma anche per tutta la mercanzia arrivata per la vendita alla fiera, la grande quantità di viveri e ogni genere di regalo. Così pure per essere arrivata tantissima gente a piedi e a cavallo, con carri scoperti e coperti, svolgendosi tutto con molta disciplina, e a questo scopo, alcune persone degne di fede si misero all’entrata dei ponti, da cui tutti dovevano passare per forza, e segnarono quanti cavalli e quanti carri provenivano da ogni città, il numero dei quali sarà messo qui a breve per non essere molto prolissi. Il numero dei cavalli che si ebbero fu 4125. I carri coperti che qui chiamano traccas 3000: carri scoperti 1000, i carrettieri erano in tutto 4000. I barcaioli 150. La gente che arrivò a piedi senza carri né barche 3000; e bisogna segnalare che in ognuno dei carri coperti stavano almeno sei persone. In questo modo il numero di tutta la gente che partecipò alla festa raggiunse le trentaduemila persone e si trattò di cosa meravigliosa che con un numero così elevato di persone non ci fu il minimo disordine e tutto si svolse con tanta devozione e pace. Nello stesso anno 1615 nel mese di agosto si tenne nella città di Iglesias una festa molto particolare, in onore del beato san Antioco, la quale fu comandata dai giurati della stessa città, durò tre giorni e fu un avvenimento molto importante anche se non mi soffermerò tanto a parlarne poiché esiste una relazione che la descrive. L’arcivescovo di Cagliari e i canonici di Iglesias ordinarono una cassa di ferro molto resistente, completamente dorata, che si pose nella cappella del santo nella chiesa cattedrale della città di Iglesias: si incassò molto bene nella parete in modo che stesse sopra la testa del simulacro più importante del santo, che sta sopra l’altare. Dentro questa cassa si è posta la cassa dove è conservato il corpo di san Antioco, si è chiuso molto bene, e subito dopo si sono rotte le chiavi, in modo che non si possa aprire mai più; prima di chiudere questa cassa e stato staccato un piccolo pezzo della gamba del santo, perché il signor arcivescovo doveva inviarla, con altre prestigiose reliquie dentro un ricchissimo e singolare reliquiario, a sua maestà nostro re cattolico Filippo III. Sopra questa cassa di ferro è stata messa una cassa di legno, dentro la quale si conserva la testa del santo. Che egli possa intercedere per noi. Amen. 210 s. antioco Patrono della Sardegna Il padre cappuccino JORGE ALEO: SUCCESSOS DE LOS SANTOS DE SARDENA 1677 VOL I Questa isola di Sulcis ha una circonferenza di circa 35 miglia, a circa mezza giornata nel mare della città di Iglesias, e molto vicino all’antica città di Palmas; è distante dalla Sardegna più o meno tre miglia e si passa da un isolotto all’altro grazie a ponti in muratura molto resistenti, alcuni dei quali molto grandi costruiti al tempo dei romani; in modo che non è necessario passare con la barca, si possono cacciare cervi e cinghiali, e alcuni cacciatori di Iglesias hanno l’abitudine di soggiornare nell’isola per molti giorni nutrendosi con la carne e la selvaggina che tengono e se ne vanno carichi di pellicce e di carne salata: il mare è abbondantissimo di coralli, tonni e altri pesci pregiati; si trovano nell’isola le rovine e gli antichi resti della famosa città di Sulci, e per questo motivo il vescovado si chiamava sulcitano, e l’isola sulcitana, è ancora in piedi buona parte del forte Castello Castro, costruito dai Pisani, quando erano signori di Sardegna, si trovano nell’isola molte fattrici e cavalli, mucche e buoi selvatici, i quali anche se si accoppiano non sono di nessun beneficio perché rimangono selvaggi e non potendosi addomesticare si lasciano morire; i terreni sono molto fertili pur essendo spopolati perché frequentati dai corsari turchi, e molti agricoltori, nell’interesse di un buon raccolto, si arrischiano alla semina; a quest’ isola venne dato in seguito il nome, e la fece famosa, il martirio e la presenza di san Antioco Martire, che per il suo martirio e i suoi miracoli è fortemente venerato e nominato come patrono della Sardegna, e nello stesso luogo in cui era situata la città di Sulci, si trova una chiesa dedicata allo stesso santo, e qui è consuetudine fare quattro feste l’anno: il primo giorno di agosto per la consacrazione della stessa chiesa, un’altra il 13 di novembre per il martirio dello stesso santo, la terza il 18 di marzo per la scoperta delle sacre reliquie; e a queste tre feste arrivano fedeli dei territori limitrofi e della città di Iglesias. L’ultima festa però, che si celebra il secondo lunedì dalla Pasqua di Resurrezione, arriva con grandissima e infinita devozione, gente da tutto il regno, superando le ventimila persone, a piedi, a cavallo, con carri coperti che qui chiamano traccas, e con carri scoperti ; si tiene una fiera dove si vende di tutto; viveri di ogni genere, pane, vino, carne di tutti i tipi, tantissime barche da pesca, e tutti i tipi di doni che un uomo può desiderare; ed è cosa meravigliosa vedere in un luogo deserto formarsi nel giro di otto giorni una così grande e popolosa città; perché qui ci sono più di trecento case, e si tirano su tantissime capanne e tende. Si trasporta dalla città di Iglesias alla summenzionata chiesa di Sulci, il simulacro più importante, e la testa del santo, conservata in un grazioso e ricco reliquiario in argento, all’interno di un cocchio che viene utilizzato per questo scopo, e viene accompagnato dai canonici e altri chierici con una moltitudine di gente a cavallo, a piedi, e molti scalzi in segno di devozione, e, essendo l’isola semideserta a causa delle frequenti incursioni di pirati turchi, in quei giorni non si vede nessuno; e sebbene le case siano quasi sempre deserte tutto l’anno, i detti mori non hanno mai recato danno a nessuno, perché hanno sempre avuto grande venerazione per il santo e per il luogo, perché hanno avuto esperienza che tutte le volte che hanno osato provare, hanno fallito e sono stati vittime di grandi disgrazie. E sebbene tutti gli anni da tempo immemorabile si sia celebrata questa festa con così grande venerazione, tuttavia a detta di tutti ci fu un’enorme partecipazione e devozione in quella che si celebrò il 4 di maggio dell’anno in cui è stato trovato miracolosamente nella sua chiesa il corpo santo il 18 di marzo e si diffuse per tutto il regno la notizia di questa scoperta, e tutti quelli che lo seppero volevano partecipare alla festa. Questo santo glorioso, nativo di Sardegna, si recò in Africa per professare e diffondere la fede cattolica, e dopo aver subito in quei luoghi diversi e terribili tormenti per mano dell’imperatore Adriano, fu esiliato in questa isola di Sulci, che in quel tempo era vuota e deserta, e si sistemò in una grotta dove visse per qualche tempo una vita santa; essendosi diffusa per tutta la Sardegna la fama della sua santità e dei suoi miracoli, furono inviati soldati per catturarlo, ma, al loro Capitolo XIV 211 arrivo e in loro presenza, rese l’anima a Dio il 13 novembre dell’anno 125. I fedeli gli diedero sepoltura nella stessa grotta a forma di catacomba o cappella sotterranea dentro la chiesa. Stava lì da 1490 anni quando il signor Don Francisco de Esquivel, arcivescovo di Cagliari di gloriosa memoria, mosso da divina ispirazione e desideroso di trovare questo sovrano tesoro, incaricò il suo vicario di Iglesias affinchè si recasse nell’isola con alcune persone religiose e di fiducia e cercasse il suddetto tesoro; e furono molto felici quando arrivati in chiesa, ed entrati nella catacomba, o grotta, scavarono e trovarono ciò che tanto desideravano, e fecero arrivare immediatamente la notizia al signor Arcivescovo, il quale arrivò nell’isola, accompagnato da molti canonici, e altre persone di chiesa, e laici, e con grande solennità e devozione trasferì per maggiore sicurezza quelle sacre reliquie nella cattedrale della città di Iglesias, consegnandole al Capitolo e ai Giurati della città con atto del notaio che stabiliva l’affidamento con la condizione che se in futuro si fosse ripopolata l’isola di Sulci, si sarebbero dovute restituire al luogo di origine. In occasione di questa felice scoperta avvenuta un mese e mezzo prima della consueta festa di aprile, in quell’anno durante le celebrazioni ci fu grandissima partecipazione, tanta gioia, splendore e devozione perché arrivarono da tutto il regno quattromilacentoventicinque, tantissimi cavalieri e altre persone, chierici e laici; tremila carri coperti, e mille scoperti, quattromila carrettieri; centocinquanta barche di pescatori; e considerati tutti quelli che arrivarono a piedi, il totale delle persone che parteciparono arrivò a trentaduemila; la fiera fu ricchissima ed arrivarono in abbondanza viveri e regali. Il lunedì giorno della festa si celebrarono dentro la chiesa del santo ottocento messe e altre milletrecentoottantatre altrove non essendoci posto; le comunioni furono dodicimila. Per i lavori della chiesa si raccolsero all’ingresso cinquemiladuecento reali. La più grande meraviglia fu però il fatto che essendoci un numero così elevato di persone non si verificò nessun inconveniente né incidente. Non da meno fu la festa che si celebrò nell’anno 1628, essendo andato Don Geronimo Pimentel Marchese de Vayona Vicerè e Capitano Generale, ordinò che si recasse nell’isola sulcitana tutta la cavalleria del Regno, lasciando alla Marina il controllo dei porti, avendo fatto la rassegna prima di entrare nell’isola, si contarono più di ottomila cavalli senza la numerosissima gente a piedi; e a perpetua memoria il Vicerè ordino che nel medesimo campo dove si tenne la rassegna, si piantasse una croce molto vistosa in pietra che segnalasse l’avvenimento. Di questa isola di Sulci che ora si chiama di San Antioco, dopo che i Re e Signori della provincia di Cagliari, Torcotorio con suo figlio Don Costantino, per devozione allo stesso santo ne fecero donazione in perpetuo a San Antioco nell’anno di Cristo 1124 come risulta dall’atto autentico della suddetta donazione scritta su pergamena che si conserva nella Curia dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari. A seguito dell’unione del vescovado di Sulci, o Iglesias, con l’Arcivescovado di Cagliari avvenuta nel 1508, l’Arcivescovo di Cagliari gode del dominio spirituale e temporale della suddetta isola e in questa, oltre alla chiesa di San Antioco, se ne trova un’altra dedicata a Santa Rosa sua madre, dove per tradizione si dice si trovi il corpo della santa, un’altra dedicata a mio padre San Francesco e si vedono le rovine e le vestigia di molte altre chiese e monasteri che vi si trovavano quando quell’isola era popolata e abitata. Abbiamo già visto che più che di festa si dovrebbe parlare di feste del Santo a Sant’Antioco. Ancora prima del ritrovamento del sacro corpo venivano celebrate in suo onore quattro feste. Una di queste viene ricordata in antichi documenti come la festività que se fa en la semana de LLzar, ossia nella domenica di Passione, e - a quanto pare - voleva essere una specie di ritiro spirituale per la comunità ecclesiale alla luce degli esempi del santo martire, in preparazione alla Pasqua vicina; e forse era pure una specie di prova per la festa maggiore del dopo Pasqua. Si sa, infatti, che già qualche mese prima di questa, gruppi di persone quasi armata manu, con l’aiuto di osservatori o 212 s. antioco Patrono della Sardegna esploratori per tener sott’occhio la sicurezza del posto infestato di Mori, vi si trasferivano per riparare, edificare, completare ed abbellire case e tuguri, in vista della prossima festa. Altra festa si celebrava con grande concorso di popolo il 1° agosto, in ringraziamento a Dio e al santo per il raccolto. C’era poi la festa del 13 novembre, nella ricorrenza del dies natalis, ossia del trapasso terreno del Santo. Ma la festa principale, la più solenne, la più devota e più popolare (anche oggi, come tale rimane) era la festa che da data immemorabile (era già consuetudine nel 1360), si celebrava, e si è sempre celebrata, il lunedì quindici giorni dopo Pasqua. Vi accorreva gente da ogni parte della Sardegna, particolarmente dal Sulcis, e gran numero di forestieri: Corsi, Castigliani, Aragonesi, Portoghesi, Italiani e Francesi. Già quattro giorni prima della festa il capitolo ecclesiense si occupava del trasferimento processionale della gigantesca statua del santo, rimuovendola perciò dalla sua cappella nella cattedrale di Iglesias, dove per tutto l’anno era esposta alla venerazione e il cui altare, in forza di una bolla di Gregorio XIII del i maggio 1584 era privilegiato. Il simulacro dal volto stupendo, che aveva dato origine persino a qualche leggenda, rivestendo per l’occasione la toga rossa delle grandi solennità, posto su di un carro tirato da buoi infiorati (e come abbiamo visto dopo l’invenzione delle reliquie veniva pure trasportato il teschio del santo nel reliquiario d’argento), attraversava la città seguito da un nuvolo di devoti a piedi, spesso scalzi, a motivo di qualche voto fatto per grazia ricevuta o da ricevere. La solenne processione uscendo da Porta maggiore, una delle quattro porte attraverso le quali si accedeva alla città, imboccava la strada per Barega dove si faceva una sosta, e da lì, per Barbusi, Coderra (a sud dell’attuale Carbonia) e S. Giovanni Suergiu, si raggiungeva il ponte di Santa Caterina per l’isola di S.Antioco. Durante il tragitto, una campanella, posta in alto sul carro accanto a una bandiera, annunciava ogni tanto il passaggio del simulacro, onde concedergli l’onore della precedenza. Le strade erano sovraffollate di pellegrini. Un po’ ovunque si accendevano dei fuochi per proteggersi dai freddi talvolta rigidi della notte; fuochi che per la loro moltitudine e intensità davano l’impressione a chi avesse guardato da lontano che l’isola tutta stesse bruciando. La religiosità e sacralità della festa non impediva che i presenti, nei momenti liberi dalle loro devozioni private o comunitarie, partecipassero a una modesta e onesta ricreazione con gare ad armi finte, con canti, con la corsa del palio dedicato al Santo e con i caratteristici balli. Il ballare assumeva caratteri di sacralità tanto che molti devoti si recavano all’isola di S.Antioco, in tale circostanza, per sciogliere tra gli altri voti (come visitare la sua chiesa o accendere una lampada) anche quello di ballare; e ciò nonostante che, un po’ ovunque in Sardegna, certi vescovi e certi predicatori, per lo più di origine spagnola e incapaci quindi di comprendere la mentalità dei sardi, minacciassero contro tali balli fulmini e saette. A S.Antioco, addirittura, si adempiva il voto di ballare in onore del santo. Ai riti sacri, culminanti nel pomeriggio nei vespri cantati e, tra gli spari, delle bombarde, nella solenne processione del Santo con panegirico, presenti il Capitolo della cattedrale, i Magnifici Capitano e consiglieri della città di Iglesias con le relative insegne e con lo stendardo reale seguito dalla cavalleria, si susseguivano ininterrottamente nel tempio le lodi e le preci al Santo. Altro problema, oltre a quello dell’alloggio, era per tanta moltitudine quello del vitto. Ma anche a questo riguardo, i più antichi documenti che possediamo rilevano che il vitto era abbondante sia per gli Capitolo XIV 213 uomini che per gli animali, ché tutti arrivando all’isola di S.Antioco ne erano abbondantemente provvisti; e d’altra parte non mancavano le solite bancarelle o botteghe dei mercanti provenienti soprattutto da Cagliari; vi si faceva una fiera e vi era abbondanza di ogni cosa. Questa fiera commerciale si teneva nel piazzale antistante la chiesa del Santo. Nel 1632 il Capitolo di Iglesias (che affittava le botteghe) chiedeva lo sgravio fiscale 15 giorni prima e quindici giorni dopo le feste di Aprile e Agosto. (Da Acta Curiarum Regni Sardiniae, Il Parlamento del Vicerè Gerolamo Pimentel Marchese di Bayona e Gaspare Prieto Presidente del Regno): 1632 Febbraio 18, Cagliari Per onorare Sant’Antioco, in occasione delle feste che si celebrano in suo onore nel mese di aprile e di agosto, si tengano due fiere commerciali in cui possono essere vendute senza pagare diritti tutte le merci prodotte nel Regno. Item, per quant al capitul de cort decretat en lo Parlament passat es estat provehit que per augmentar las dos festas que se fan cada ain del glorios Sant Antiogo martir sulciteno, que se fan per agost y en lo mes de abril o may, hi haja de haver en dita ciutat, vuit dies abans y vuit aprés, feria de totas la robas y mercandurias que ab ocasiò de aquella se aportan a vendre, sens que hajan de pagar dret algù, com no vingan de ultra marina si no de altras ciutats y llochs del present Regne, lo qual termini es molt curt; suplica per çò dit sindich que per augmentar.se / més dita festivitat placia prorogar altros quinze dies més dita feria que vindrà entre tot ha ser de un mes, çò es quinze dies abans de la festa y quinze aprés. Que fassa com se supplica Vacca secretarius Planimetria della Piazza nel 1754. Sono ancora visibili gli spazi per le botteghe della festa. Le casette furono demolite il 5 gennaio 1851 214 s. antioco Patrono della Sardegna La festa durava quattro giorni, da sabato a martedì, il giorno della partenza. Molti però cominciavano a sfollare dopo la mezzanotte, e lo sfollamento proseguiva sino alle prime ore del giorno. Nel secolo XVII, ed in particolare dopo la inventio, si prepararono grandi avvenimenti per il nostro santo, come scrive Giampaolo Mele ne La Passio medioevale di Sant’Antioco, “tesi a rinnovare i fasti liturgici dell’epoca vittorina, tra secolo XI e XII, all’epoca della prima stesura latina della Passio. E non a caso proprio la Passio medioevale venne appunto ricopiata, appena qualche anno dopo nel 1621, insieme all’Ufficiatura, corroborata da una serie di sottoscrizioni notarili. Ma non è assolutamente chiaro come la parte medioevale liturgica dell’Apogr. Igl. 1621, oltretutto munita di intonazioni con notazione adiastematica di assai impegnativa decifrazione, fosse allora fruita. Era però di certo viva l’esigenza di servirsene come modello e simbolo di vetustà, quasi monumento della propria identità liturgica locale, in un momento di esasperazioni localistiche. Ma la fortuna della parte liturgica di epoca vittorina, rinverdita improvvisamente in piena età barocca, era destinata a durare poco. Un certo travaso dei fenomeni medioevali in età moderna era spinto a ripiegare, nel mutare dei tempi, in epoca sardo-spagnola: nuovi agiografi incalzavano, spesso scaldati da traboccante estro letterario, mentre antiche memorie – scritte e orali – andavano disperdendosi e confondendosi nel magma delle tradizioni popolari, di cui gli stessi gosos/goggius5 erano al contempo veicolo passivo e motore. Per comprendere il fenomeno occorre sempre considerare la temperie cratasi durante l’epoca controriformistica, allorquando la letteratura agiografica prese a svolgere soprattutto una funzione apologetica. Gli esempi dei santi, la loro solidità morale e dottrinale, l’eroismo del loro impegno ascetico e spirituale, l’efficienza della loro attività taumaturgica, tutto serve ad esaltare la vitalità della chiesa, in un’epoca scossa da problemi teologici e disciplinari di estrema gravità. Anche in Sardegna, dopo il fragore del primo quarto del secolo XVII, con le sue infuocate polemiche agiografiche localistiche, a partire dalla metà del Seicento e durante tutto il Settecento, tra età tardo spagnola e incipiente presenza piemontese, non tarderanno ad affermarsi nuove proposte di testi e canti liturgici. La stessa antica ufficiatura per sant’Antioco, su espressa richiesta del clero sulcitano, e a seguito di ripetute sollecitazioni presso la curia romana, fu sostituita da un’altra, stampata nel Settecento. Tali innovazioni spazzeranno via per sempre interessanti memorie del culto su sant’An5. Goccius de Sant’Antiogu Martiri Sulzitanu, vedi Appendice. Capitolo XIV 215 tioco – anche pregevolmente artistiche, come quelle innografiche – attecchite nel ramo della ufficiatura medioevale vittorina, che peraltro già la Vida catalana cinquecentesca aveva espunto”6. In questo periodo, grazie alle donazioni giudicali ed ai privilegi dei re di Spagna, si rafforza sempre più il dominio temporale dell’arcivescovo di Cagliari sull’isola sulcitana. Ne troviamo conferma in: numerose memorie di molti atti degli Arcivescovi di Cagliari come Vescovi pure di Iglesias sopra l’Isola di Santo Antioco7, per li quali si deduce chiaramente il loro possesso e dominio di quell’Isola, ricavati da i Registri della Mensa. Dalla quale appellazione allora così palesemente usata si deduce che lo stesso Arcivescovo d’Iglesias doveva essere notoriamente riputato, quale viene asserito, cioè Dominus Insulae Sancti Antiochi, o Insularum Sancti Antiochi come si legge in altro luogo, siccome lo era di Suelli e di San Pantaleo siccome ivi chiaramente viene enunziato né i Titoli. Una relazione di Nicolò Corbelli pubblico pregoniere di aver fatto il Bando per la Città di Iglesias con la grida né i luoghi soliti della dª Città il dì 26. di Marzo dell’anno 1620. d’ordine del Vicario Generale d’Iglesias e de i Salti ossia Territorj d.ª Mensa ossia Mitra Ecclesiense che era il Canonico Francesco Cani, che nessun genere di persone di qualsivoglia Grado, o Stamento, non possano condurre né pascolare qualsivoglia genere di Bestiame per la distanza di quattro miglia d’intorno alla Chiesa e Case del Glorioso Santo Antioco, sottopena di essere macellate, tenturate, tante volte quante entreranno & e di cinque lire da applicarsi alla Chiesa del medesimo Santo. Intima fatta dal suddetto R.do Francesco Cani Vicario Gen.le Ecclesiense a i 28. d’Aprile del 1620. e notificata al Capitano e Giurati dª Città d’Iglesias, perché non molestino li Cacciatori dell’altra Città e Luoghi del Regno che andarebbero a caccia nell’Isola di San Antiogo con licenza dell’Ill.mo e R.mo Don Francesco d’Esquivel Arciv° di Cagliari Vescovo d’Iglesias Barone e Signore della detta Isola, o del suo Vicario gente di quel Vescovado e dè i Salti ossia Territorj di esso; La qual espressione di Barone e Signore della detta Isola quivi viene replicata più volte. L’oggetto di questa Intima si è che non molestino i cacciatori forestieri col levargli parte della caccia che avrebbero presa, secondo che essi Capitano e Giurati & dovevano essersi vantati di voler fare e quivi gli si dice in questa Intima che essi non devono nè possono fare di queste cose, mentre li cacciatori anno la licenza del proprio Barone e Signore dell’Isola. Proclama del Dottore e M° R.do Nicolò Cadello Provicario Gen.le in assenza del Canonico Franc° Cani Vic° Gen.le del Vescovato d’Iglesias e suoi Territorj; Nel quale si commanda che tutti coloro che anno case distrutte o disfatte nell’Isola di San Antiogo, le debbano far aggiustare e rifare in piedi, o riedificare dentro del termine di otto mesi sotto pena di devoluzione delle medesime rovine e di esser messe all’incanto, e consegnate a chi offerirà di più &. In questo Proclama si dice ancora l’Arcivescovo come sopra Barone e Signore dª medesima Isola e in suo nome si commanda & come sopra. E segue la Relazione e Certificato di essersi pubblicata questo Proclama nella Chiesa del medesimo Santo nell’Isola nel dì della Festa del Santo e al maggior concorso del popolo* alla Chiesa il dì 3. e 4. di Maggio 1620. * che concorre numerosissimo da tutte le parti del Regno a quella Festa dove, sempre interviene tutta la Città e Magistrati d’Iglesias*. Filippo Corrus Officiale dell’Isola di San Antiogo da Relazione di aver sindicato ossia assegnato una misura di terreno Marco Cannas 6. Cfr. G. Mele, La Passio medioevale di Sant’Antioco e la cinquecentesca vida y miracles del benaventurat sant’Anthiogo fra tradizione manoscritta, oralità e origini della stampa in Sardegna, da Theologica & Historica-Annali della Facoltà Teologica della Sardegna VI, Ed. PIEMME, Cagliari 1997, p. 138-139. 7. Archivio dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, ospedale Mauriziano, Torino. 216 s. antioco Patrono della Sardegna Blancher e Giovanni Manca abitanti d.ª Città d’Iglesias d’ordine del Vicario Gen.le del Vescovado Giovan Antonio Escarconi Serra a i 28. di febbr° 1647. Alli 3. di Aprile dello stesso anno 1647. d’ordine del medesimo Vicario Gen.le ha sindicata altra misura di terra a Antiogo Esu abitante d.ª medesima Città. A i trè di Maggio del medesimo anno 1647. lo stesso Vicario Genle commanda per Editto che coloro che avevano stabilimenti di case, Baracche nell’Isola debbano fra quindici dì dalla pubblicazione del presente Editto, mostrare e produrre i titoli, dè i detti stabilimenti, concessioni & alla medesima Curia Ecclesiastica; e che le case distrutte debbano essere rimesse in piedi e riedificate entro di un anno sotto pena di essere devolute alla Mensa&. Il quale Editto fù pubblicato ed affisso alla Chiesa del medesimo Santo Antioco il dì della sua Festa cioè li trè di Maggio 1647. Dal sopradetto anno 1648 a questa parte vi sono assaissime concessioni di terreni a lavorare, e di pascoli, fatte da tutti gli Arcivescovi o dal loro Vicario Generale d’Iglesias, con le condizioni di pagare il Dritto territoriale, ossia portàdia come dicono qui ed oltre; e sarebbe fare un volume a volere trascrivere tutta questa serie non interrotta di atti, pregoni, patenti, sindici & che comprovano a piena evidenza il possesso pacifico ed antichissimo del Dominio utile di tutta l’Isola di San Antiogo e adiacenti. Solamente aggiungo che per l’incendio dell’Archivio del quale consta non si ritrovano più antichi documenti dè i sopradetti, e da quelli tempi fino al dì d’oggi sono innumerabili i documenti. Aggiungo ancora che nell’anno 1613 essendosi presa Informazione d’ordine del Duca di Gandia che allora era Vicerè, dal Capitano d’Iglesias a grazia del medesimo, senza intervento dell’Arcivescovo e in odio di Lui sopra della Giurisdizione esercitata nell’Isola, si esclude bensì l’Arcivescovo ossia il Vescovo d’Iglesias dalla Giurisdizzione; ma dalla stessa informazione risulta che l’Arcivescovo era nel possesso fino ad allora di esiggere oltre la Decima anche gli altri redditi (che sono il diritto territoriale ossia la portàdia) e la metà delle machizie disperse, cioè per mezzo del suo Offiziale; pagandosi alla Cassa Reale l’altra metà delle medesime. La suddetta Informazione si ritroverà nell’Archivio del Patrimonio. Il Reggente Vico nª sua Istoria fa menzione del Dominio utile dell’Isola che anno i Vescovi, e delle antiche Donazioni delle quali ecco le Copie annesse. Quanto al titolo di Barone dell’Isola sempre i Vescovi lo anno usato in tutti gli atti pubblici, almeno da più di cencinquanta anni in quà come si vede da libri o Editti stampati, e dalle esortatorie ancora solite a presentarsi a Signori Vicerè ed alla Reale Udienza né i casi frequenti di contenzione. Gli Arcivescovi nelle loro patenti che danno ai Vicarj generali d’Iglesias sono stati sempre soliti di dichiararli Reggitori dè i Salti ossia territorj dª Mensa, ed espressamente dell’Isola di San Antiogo; e nelle patenti date agli Offiziali della Isola e nell’omaggio sempre ricevuto di essi dagli stessi Arcivescovi o da loro Vicarj, si vede che hanno sempre pensato di essere veramente Baroni dell’Isola; e lo stesso si vede da loro frequenti Pregoni ossia Editti; e veramente il nominare Offiziali, il riceverne il Giuramento de Part ac fideliter administranda justitiâ, il fare e pubblicare Bandi, o editti con pene&, l’esiggere la metà delle machizie& e il titolo pacificamente usato di Baroni, pare che tutto ciò indichi qualche cosa di più del dominio utile; né a questo si oppone la Informazione del 1613. la quale fù presa dal Capitano d’Iglesias e a distanza del medesimo; perché in essa si dice da i testimoni allegati che il Capitano d’Iglesias per parte di Sua Maestà era quello che esercitava la Giurisdizzione; ma questo è perche quelli che andavano o abitavano là erano Vassalli Reali, cioè Cittadini e abitatori dª Città d’Iglesias, e per conseguenza non poteva contra di quelli procedersi fuori che per la Reale Giurisdi- Capitolo XIV 217 zione ch’ era esercitata dal Capitano d’Iglesias. Ma il titolo di Barone, le patenti di Reggitore, le patenti di Offiziale per amministrare giustizia, gli editti sotto pene, il diritto delle machizie & pare che mostri che gli Arcivescovi come Vescovi d’Iglesias avevano ed anno la giurisdizione del luogo ossia del territorio dell’Isola quantunque non possano esercitarla sopra gli abitatori della medesima cioè per esser questi, Vassalli Reali come si è detto. Ben è vero che da quattro o cinque anni in qua il Capitano d’Iglesias non vuole che l’Offiziale di San Antiogo e degli altri territorj della Mensa facciano esecuzione e macellino & come facevano sempre, ma vuole che si raccorra a Lui perch’egli faccia esecutare, macellare & e siccome per evitare i romori fino ad ora non si è fatta formale opposizione a questa novità pregiudiziale; perciò poco a poco cresce il pregiudizio della Mensa. Uno dei principali problemi durante la festa riguardava il mantenimento dell’ordine pubblico. Il Viceré dava disposizioni per amministrare giustizia durante la festa nel 1701: El virrey sobre la fiesta de San Antiogo 218 s. antioco Patrono della Sardegna E nella festa del 1759: DON FRANCISCO CONDE TANA DE SEÑORES DE SANTENA; CAVALLERO GRAN CRUZ, DE LA SAGRADA RELIGION DE SAN Maurizio, y San Labaro; Tiniente General en las Armadas de Su Magestad, de Su Consejo ; Virrey, Lugartiniente, y Capitan General del Reyno de Sardeña. Por quanto uno de los Iurados de la Ciudad de Iglesias ha de passar à la Isla de San Antìogo en ocasìon de la fiesta de dicho Santo que se ha de celebrar el dìa 29. del corrente Segundo acostumbrado. Por tanto me ha paressimo Delegar como con esta Delego al dicho Iurado, para que en los dìas que durare dicha fìesta, pueda administrar Iusticia en lo que solamente ocurriere en el districto de ella, y esto se entienda sin perjuhìzio de la Iurisdicion perteneciente al Podestad de Iusticia que se halla en dicha Isla. Caller 4 abril 1759 Qualche mese dopo, il 16 Settembre 1759, con atto di concordia tra Monsignor Arcivescovo di Cagliari, il Regio Patrimonio e la Sagra Religione dei S.S.ti. Maurizio e Lazzaro, la “penisola” di St. Antioco viene ceduta all’Ordine Mauriziano, che ne mantiene il possesso fino al riscatto dei feudi nel 1838. I problemi non mancavano, come si legge nella memoria scritta dal Conte Bogino, incaricato dal Re Carlo Emanuele III di sovrintendere alle cose di Sardegna conservata nell’Archivio di Stato di Cagliari: Provvidenze date da S.E. Sr. Conte Bogino relative alla Diocesi d’Iglesias, e trasmesse con dispaccio 12. marzo 1766 N. IV ...S’intese pure dallo stesso Sig. Viceré che gli abitanti dell’Isola di S.Antioco non siano, come debbono, istruiti bastevolmente, e che quella famosa chiesa trovasi in istato affatto indecente, sprovveduta d’arredi e di quanto inserve all’Altare, non ostanti le larghissime limosine, che si fanno in occasione della Festa di tal Santo, a cui concorrono da ogni parte del Regno in gran numero le Persone e vi si trattengono più giorni. Si suppone che il Capitolo di Iglesias maneggi i fondi, che si ricavano in tali occorrenze, i quali dovrebbero supplire più che abbondantemente a mettere quella Chiesa in ottimo assetto; sicché sarà spediente che il Vescovo s’interni anche in questa materia, per riconoscere gli abusi che possono essersi introdotti... Nel 1799 l’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro concesse l’isola in feudo ad un suo cavaliere, Raffaele Porcile, nominato Conte di Sant’Antioco. Il Conte si fa promotore della richiesta presentata dalla comunità nel marzo del 18028, perché il Capitolo d’Iglesias restituisca le reliquie del Santo Martire Antioco alla sua chiesa, “siendo aquel su proprio y antiguo lugar”: A.R. Il Consiglio Comunitativo del luogo di Sant’Antioco rassegna alla V.A.R. che la reliquia del D.to Glorioso Santo nel 1615. fu posta in deposito presso l’Ill.re Capitolo d’Iglesias giacché la popolazione di Sant’Antioco non aveva una chiesa parrocchiale degna di conservare quel sacro deposito, siccome il tutto risulta dallo istromento levatosi in detto anno, e sotto li 25. marzo, qual atto si è presentito essersi dimostrato alla V.A.R. in supplica umiliata su 8. Vedi Appendice. Capitolo XIV 219 questo medesimo oggetto dal Feudatario. Il tempo contemplato in detto istromento di commendazione è ormai giunto: la popolazione di Sant’Antioco è competente, grande, la Parrocchia è in stato decente, onde il Capitolo di Iglesias non deve più opporsi alla restituzione della S.ta Reliquia in favore di quella Chiesa, a cui appartiene. Epperò, inserendo nella presente la resoluzione consiliare avutasi nelli 31. Marzo ultimo decorso supplica umilmente la V.A.R. che per tratto di special bontà si degni rilasciare quelle provvidenze che giudicherà più opportune, onde venga al più presto restituita la succennata Reliquia. Il Consiglio Comunitativo di Sant’Antioco Rattu Sost.to Pro.re La Regia Cancelleria, Il Vescovo Nicolò Navoni ed il Capitolo d’Iglesias si oppongono fortemente: Alla supplica del Sig. Conte di Sant’Antioco Fatta parola nel Magistrato secondo le intenzioni di S.A.R. della pretenzione avanzata per parte del Sig. Conte di Sant’Antioco per la traslazione delle reliquie del Santo di detto nome dalla Città d’Iglesias dove si conserva dal Capitolo, all’isola di Sant’Antioco; tutti i Sig.ri - Giudici non meno che il Sottoscritto furono di parere che non aveva fondamento la domanda del Sig. Conte, poiché prescindendo dalla questione se il corpo Santo sarebbe tanto sicuramente custodito nella suddetta Isola, come lo è nella Città d’Iglesias, e prescindendo ancora degli inconvenienti che potrebbe menar seco la domandata traslazione, risulta dall’atto istesso del 25. marzo 1615, al quale si appoggia il Sig. Conte = che si dovrà restituire la reliquia, non già soltanto come egli dice, quando verrebbe populata la Penisola, ma quando anche così lo richiederebbe l’Arcivescovo di Cagliari. Ora il Sig. Vescovo d’Iglesias, il quale rappresenta in questa parte l’Arcivescovo di Cagliari, non solo non richiede la traslazione, anzi vi si oppone con tutte le sue forze, onde non si ravvisa purificata la condizione come lo asserisce il Sig. Ricorrente. Se pur vuole egli esperire delle sue ragioni nanti il Tribunale competente S.A.R. non vorrà certo chiudergli l’ingresso de’ Tribunali. Epperò stima il Magistrato che si possa S.A.R. degnare di apporre alla Supplica il seguente decreto. “Non si da luogo ad alcuna provvidenza economica” Dalla Ra Cancelleria 24 Aprile 1802 Maistre Reggte Mi fo un dovere di trasmettere qui unita a V. S. Ill.ma la memoria di questo Capitolo a proposito della richiesta del Sig. Conte Porcile per la restituzione delle insigni reliquie del glorioso Martire S.Antioco alla Chiesa Parrocchiale dell’isola di questo nome. Voglio credere, che quanto si espone dal Capitolo sarà piucchè sufficiente per disingannare il Sig. Conte suddetto, e mettere a cognizione del Governo, che sarebbe affatto incongruo, che un Sacro deposito di questa sorta, si collocasse in un luogo poco sicuro, e meno atto a promuovere la comune devozione verso il Principale Patrono di questa Diocesi. Ad ogni modo non posso dispensarmi dal ripetere ancor io quanto nella mia precedente le ho 220 s. antioco Patrono della Sardegna già significato, vale a dire, che non sono in grado di riconoscere alcun dritto nel Sig. Conte a questo proposito, e che non voglio aderire nemmeno ai suoi eccitamenti, perché questi tendono a ledere i dritti del mio Capitolo, a disgustare questo popolo, a esporre al traffugamento e depredazione le suddette Sagre Reliquie, e a distruggere affatto la devozione ed il culto, che si professa a questo Santo in tutta la Diocesi. Confido quindi nella bontà di V. E. Ill.ma che si degnerà esporre a S.A.R. nel suo vero aspetto questi miei e le ragioni del Capitolo. Ed in attenzione de’ suoi pregiat.mi comandi mi do l’onore di raffermarmi con vero ossequio e distinto rispetto di V.S. Ill.ma Iglesias 22. marzo 1802 Umlmo Obblmo Servitore + Nicolò Vesc.vo d’Iglesias A.R. Il Capitolo Sulcitano Iglesiense informato della richiesta inoltrata a S.A.R. per il Sig. Conte dell’Isola di Sant’Antioco sulla restituzione delle Reliquie di detto Santo alla Chiesa Parrocchiale di quella popolazione, ha l’onore di rappresentare che anticamente il Capitolo Sulcitano era stabilito in detta Isola, ed obbligato dalle incursioni de’ Barbari fabbricò la porta del Sepolcro, dove riposavano delle reliquie, e si trasferì nell’antica città di Trattalias, da dove in seguito con bolla di Giulio II venne a stabilirsi in questa Città d’Iglesias; onde quando detta reliquia, propria del Capitolo, ed essendo sempre stata custodita dal medesimo, avrebbe potuto condurla seco in queste traslazioni se non avesse avuto la speranza di ritornare col tempo a stabilirsi in quell’Isola. Venne però esso capitolo ad acquistare maggior dritto per il possesso di questo Sagro deposito, mentre essendosi persa la memoria del luogo ove fosse Egli riposto col decorso di trecento e più anni, prese a cuore la ricerca del medesimo, fece egregie spese negli scavamenti, e quando gli riuscì di rinvenirlo vicino all’attuale chiesa, che era allora abbandonata e rurale, lo trasferì pomposamente alla Cattedrale d’Iglesias, in cui ha promosso sempre il culto facendo nuove spese per collocarlo in una cappella decente. Essendo quindi il Capitolo il primo possessore di questa Reliquia, che non è stata mai in dominio di veruno, anzi il devoto inventore della medesima dopo che se ne era persa affatto la memoria, crede, che non potesse dipendere la restituzione della medesima dall’arbitrio del Vescovo; e qualunque clausola si legga nell’atto prodotto dal Sig. Conte, questo non può in veruno modo costringere il Capitolo alla restituzione, mentre l’atto non è sottoscritto nè approvato dal Capitolo, come doveva essere per trattarsi d’una Reliquia spettante unicamente al medesimo, e da lui ritrovata con sommo dispendio, e indefessa diligenza. E quando anche potesse avere valore un tal atto, allora solamente avrebbe forza, quando la chiedesse il Vescovo, dicendosi nel medesimo, che dovrà il Capitolo restituire il glorioso Corpo ad ogni semplice richiesta e petizione dell’Ill.mo Prelato, e non già di verun altro, e molto meno del Sig. Conte, il quale mal a proposito rappresentato, che essendo succeduto in tutti i dritti spettanti a quel Vescovo relativamente all’utile dominio ed alle decime, sarebbe in ragio- Capitolo XIV 221 ne di domandare la restituzione di detta Reliquia. Infatti per avere il vescovo ceduto alla Sagra Religione de’ Santi Maurizio e Lazzaro gli utili, che prima percepiva da quell’Isola, riservandogli un annuo canone in compenso de’ medesimi, non può dirsi che il Sig. Conte sia successore del Vescovo ne’ dritti spirituali; anzi a termini della transazione non ha la menoma autorità nelle Chiese, e capi d’azienda ad esse spettanti, non ha ingerenza nel regolamento della Parrocchia e de’ Parrochi, ma solamente il dritto di presentare i medesimi, ed il peso di corrispondere la congrua a’ Parrochi, ed una determinata porzione delle decime per impiegarsi nel lustro della Chiesa sotto la primaria ispezione del Vescovo, come Ordinario del luogo, ed alla di cui autorità non si è inteso mai di derogare colla riferita Transazione, come in realtà non poteva derogarsi, per esser un dritto intrinseco al Ministero del Prelato. Con esser assistito il Capitolo in tutte queste ragioni si da’ a credere, che il Sig. Conte non vorrà replicare inutilmente le sue insistenze; se volesse però insistere, non è questo un oggetto da spedirsi con poche parole, come lo tenta il Sig. Conte nella sua rappresentazione, ma si richiederebbe un formale giudizio, mentre il Capitolo è disposto a difendere il possesso della Reliquia di questo Santo, come lo ha difeso per Suo Patrono nella Curia Romana contro i Sassaresi a costo di gravi spese, e col mantenere in Roma per lungo tempo alcuni soggetti del Capitolo. Per rendere però informata S.A.R., che una Reliquia così insigne non converrebbe collocarla in un’Isola, che tuttora è esposta alle incursioni, si fa un dovere il Capitolo di rappresentare, che le torri colà esistenti, essendo lontane dalla popolazione, non possono impedire l’ingresso a verun bastimento, come pure, che i piccoli cannoni di Calasapone non sono in grado d’impedire la discesa de’ Barbareschi neppure in quella parte, essendo qui noto, che due piccoli bastimenti Barbareschi comparsi in quella Tonara, fecero scappare tutta la gente, che vi era per servizio della medesima. L’esempio poi de’ Francesi, che s’impossessarono di quella popolazione senza il menomo contrasto, e la sciagura accaduta agli abitanti di Carloforte, sono bastanti per dimostrare che la suddetta Reliquia non resterebbe sicura nella Parrocchia di quella popolazione, la quale non è munita di una torre vicina, e di un castello, come lo è quella di Carloforte. E finalmente non potendo negarsi dall’istesso Sig. Conte, che quell’Isola divenne spopolata per le incursioni de’ Saraceni quando appunto era in uno stato più florido del presente, munita d’un forte Castello, con Vescovo, Capitolo, e Famiglie Religiose, per crederla adesso più sicura bisognerebbe che fosse guernita di muraglie, di bastioni, di pezzi d’artiglieria, e di una numerosa guarnigione, che fosse in grado di respingere i Barbari, e qualunque altro nemico. Passando poi alle oblazioni che raccoglie il Capitolo nelle due festività d’Aprile, e d’Agosto, benché il Sig. Conte non abbia ne’ possa avere alcun dritto su di esse, si fa un dovere d’informare S.A.R. che queste s’impiegano esattamente a gloria del Santo, ed il Capitolo ben lungi d’approfittare delle medesime, spende dalla massa delle sue tenui distribuzioni il doppio di quello, che suol spendere il Patrimonio del Santo. Ora però sono queste oblazioni tanto diminuite, che computando anche le oblazioni, che si raccolgono in Iglesias, le quali sono maggiori di quelle, che si sogliono raccogliere nell’Isola, non sono sufficienti per la manutenzione della cera, dell’oglio, e delle altre spese, che concorrono annualmente per la celebrazione di dette Feste, e per il lustro della Cappella di detto Santo. Siccome ne’ tempi 222 s. antioco Patrono della Sardegna scorso concorreva maggior popolo a dette Feste, per ciò anche per ciò anche erano più copiose le oblazioni, ed il Capitolo si è servito di queste per ingrandire la Chiesa di quell’Isola, per uguagliare le Cappelle, per lastricarla di nuovo, e per mantenerla nello stato, in cui si trova al presente: e riguardo al Santo si è dato la cura di provvederlo di abiti preziosi, della cassa necessaria per il trasporto, e di quanto è necessario per rendere più cospicuo e devoto il suo culto; anzi, una porzione delle oblazioni, che anticamente si raccoglievano, furono da lui impiegate nella ristaurazione de’ Ponti, e non bastando le medesime mandò il Capitolo alcuni de’ suoi individui a raccogliere limosine nel Regno a quest’effetto e ne destinò altri per ottenere alle suddette ristaurazioni, in modo che due Canonici morirono attendendo a quest’impresa. Tutta questa vigilanza però, che il Capitolo ha finora usato per accrescere la divozione di questo Santo, e mantenerne il lustro, cesserebbe affatto qualora si restituisse questa Reliquia alla Chiesa di quella popolazione, e cessasse il Capitolo di celebrarne la Festa con la solennità con cui l’ha celebrata fino al precedente, senza guardare a’ propri comodi, ed al discapito de’ suoi tenui proventi, e a solo intuito di vera devozione verso il Suo Patrono. E quindi può ben persuadersi il Sig. Conte, che qualora si restituisse a quest’isola la suddetta Reliquia, in vece di risparmiare egli spese per la manutenzione della Chiesa col sussidio delle oblazioni, andrebbe in decadenza la divozione di questo Santo, e ne soffrirebbe gran discapito il suo culto senza il menomo profitto ne di esso Sig. Conte, ne della popolazione. Epperò persuaso il Capitolo rassegnante, che V.A.R. prenderà in benigna considerazione l’esposto, la supplica umilmente d’inibire al suddetto Sig. Conte di dargli ulteriore molestia a questo proposito, ovvero di prevalersi della via giuridica contro l’istesso Capitolo, e contro il Popolo di questa Città d’Iglesias qualora si senta assistito di maggior ragione, che L’Arcidiacono Capitolo d’Iglesias Il primo tentativo si dimostrò quindi un fallimento e le reliquie tornavano a Sant’Antioco soltanto due volte l’anno per la festa di aprile e di agosto. Alla fine del Settecento nell’isola non esistevano sufficienti appezzamenti di terreno coltivati a vigneto. Nel 1753, l’unico esistente nella piana della chiesa in Bingixedda, venne fatto estirpare dal parroco Giuseppe Pintus perché intralciava la sosta degli animali durante la festa; per la celebrazione della festività del Santo nel mese di Aprile 1794, il Consiglio Comunitativo acquistava “ciento quarteles de vino moscato” da Gesturi per la somma di “dos escudos de moneda sarda”. Nel 1798 per la festa di Agosto si comprarono “40 quarteles de vino blanco” introdotto dai forestieri. Capitolo XIV 223 Nel 1809 il Consiglio Comunitativo con supplica al Re, chiede di impedire l’edificazione della casa che la vedova Penco intendeva costruire nel piazzale parrocchiale dove i festeggianti si radunavano da sempre per rendere omaggio al Santo. Addì 10 D(icem)bre 1809 Sant’Antioco Radunatosi nella p(rese)nte Casa del Sindaco Nicolò Luxi il Consiglio Com(unitati)vo di/ questa popolaz(ion)e composto dal lodato Sindaco, e Consiglieri Gio: Antioco Cane,/ Antioco Ig(nazi)o Bulegas, Salvatore Massa, Cosimo Pisano e Ant(oni)o Siddi,/ magior parte che il med(esi)mo compone e gli agiunti Antioco Castangia,/ Antioco Gaetano fani, Antioco Lixi, Giuseppe Orru e Giovanni Olargiu,/ fran.co Mereu g(rand)e e Salvatore M(ari)a Porcu, in unione di questo/ Censore Gio: Ant(oni)o Luxi previam(en)te avisati dal giurato Giovanni/ Langoni, propone il Sindaco Luxi che in seguito al decreto emanato/ da S(ua) M(aestà) nella Sup(pli)ca formatasi per la casa nuova che la v(e)d(ov)a/ Cattarina Penco vuole fabbricare, in vicinanza di questa Parro/chiale Chiesa, quale ha dovuto nel giorno d ierj notificare alla/ med(esi)ma come apparisce dall’atto testimoniale che appiè di esso/ decreto vienne scritto, sa di positivo che la sud(det)ta v(e)d(ov)a Penco/ tiene la concessione di tale sito, il di cui preg(iudizi)o aporta a/ questo pub(blic)o è inesplicabile, e non poteva essere ameno di/ tenere essa prefatta v(e)d(ov)a Penco la concessione indicata a motivo che essendo stata la med(esi)ma fatta dal fu Conte di questa Penisola D(o)n/ Raffaele Porcile attesa la stretta parentella che vi passa, hanno manegiato/ come han voluto in quell’Epoca la co(nces)s(io)ne di si fatto sito senza che ne/ meno ne sia stata informata la Comunità, ne il Sindaco di quell’anno che/ lo fu fran.co Mereu g(ran)de, quale tutto saputo del fatto fecce espressa/ oposizione e ne invitò gl’inibizione alla Curia e Pod(es)tà che lo era Salva/tore Perla. Conosciendo oggi piu’ che mai il preg(iudizi)o che aporta la formaz(ion)e/ della nuova Casa nel sito indicato per impedire e chiudere tre strade/ necessarissime per gl’ingresso e surtita da questo popolato, e per li/ incomodo e disturbo che aporta ai festegianti che acudiscono alla festa/ di Sant’Antioco, ha creduto per evitare massime ogni funesto fine/ che può aportare la chiusura delle strade principal(me)nte al tempo/ di detta festa, trovandosi il gran concorso e non potendo tranzitare/ ne venire dalle Canpanie, Carri, Cavalli, e persone, proporre il/ gran preg(iudizi)o sulodato, ed inforza del quale risolvere se sia o no/ tale, o pure sia convenevole, a questo pub(bli)co la formaz(ion)e/ di si fatta Casa per riccorre nuovamente a S(ua) M(aestà) ed ottenere la/ totale innibizione per la non formaz(ion)e della Casa di detta v(e)d(ov)a/ Penco, nel sito già espresso. Ed i preffatti Consiglieri Cane, Bulegas, Mas/sa, Pisano, e Siddi, e gli aggiunti Castangia, fanni, Lixi, Orru, Olar/giu, Mereu g(ran)de e Porcu, e Censore Luxi, sentita la proposta dal/ prefatto Sindaco Luxi, e maturato quanto in essa e stato specificato/ unanimi e concordi risolvono, che è 224 s. antioco Patrono della Sardegna piu’ che vero che la formaz(ion)e/ della nuova casa della v(e)d(ov)a Cattarina Penco, e pregiudicialissima/ a questo pub(bli)co primo per chiudere tre strade che vengono una dal/ salto di triga, l’altra di Calasetta, e l’altra da sa guardia de su/ Pisu alla Parrochiale Chiesa, gia’ ancora perche ocupa lo/ spazio che la fola dei festegianti di Sant’Antioco tengono/ a tempo di detta festa, essendo quasi in prospetiva della Chiesa Chiesa Parrochiale, e tanto massima poiche essendo quele strade/ al tempo della festa continuam(en)te ocupata dalla gente che tranzita,/ dovendo restare chiuse per la formazione della casa, non trovando/i Carri, Cavalli, e persone da tranzitare liberam(en)te al solito, venendo/ all’incontro e dovendo ritrocedere può questo aportare delle/ funeste conseguenze, motivo per cui è più che necessario ricorrere/ nuovam(en)te a S(ua) M(aestà) per ottenere la totale inibizione della/ nuova Casa della v(e)d(ov)a Penco, in vista dei pregiudizi che la med(esi)ma/ aporta a questo pub(bli)co che si devono esporre, non ostante si di/mostri la concessione ottenuta dal fu Conte Porcile parente/ in stretto grado della menzionata v(e)d(ov)a Penco, che quanto risol/vono con intervento di questo R(egi) o Pod(es)tà, e si sottoscrivono solam(en)te/ Antioco Lixi, e Giuseppe Orru, non però gli altri per ignorarlo, ben/si, si segnano col segno della croce. Sant’Antioco lì 10 D(icem)bre 1809 Antioco Lixi Ad.to Joseph Orru Fontana Seg(retari)o Segno di + Nicolo’ Luxi Sindaco Segno di + Gio: Antioco Cane Cons(iglier)e Segno di + Antioco Ig(nazi)o Bulegas Cons(iglier)e Segno di + Salvatore Massa Cons(iglier)e Segno di + Cosimo Pisano Cons(iglier)e Segno di + Ant(ioc)o Siddi Cons(iglier)e Segno di + Antioco Castangia Agg(iun)to Segno + Antioco Gaetano Fanni Ag(giun)to Segno + Giovanni Olargiu Ag(giun)to Segno + Franco Mereu g(ran)de Ag(giun)to Segno + Salvatore M(ari)a Porcu Ag(giun)to Pitzolu R(egi)o Pod(es)tà Fontana Not(aio) Nel 1838 si propone la soppressione della festa di Agosto: Addì diecisette marzo 1838. Iglesias e nel Palazzo Civico. Il Consiglio Generale nella seduta del giorno d’oggi, dietro la proposta del Signor Sindaco Reverendo Emanuele Pasella, deliberò a maggioranza di voti di riunire le due somme portate dal bilancio per le due feste di Sant’Antioco e destinarle alla sola festa di Aprile, omesso per sempre l’intervento dell’Alternos a quella di Agosto. I motivi che indussero il Consiglio a sifatta deliberazione sono i seguenti: 1° perché unendosi le due somme e destinandole alla sola festa di Aprile, può far questa l’Alternos con tal decoro, che sembra di non dover andar disgiunto dalla qualità, che riveste, di Viceregio Rappresentante. 2° perché la festa di Aprile pare la più interessante pel Capitolo XIV 225 modo, con cui si solennizza, giacchè in essa si portano quasi processionalmente alla popolazione di Sant’Antioco le reliquie del Santo che riposano in questa Cattedrale. 3° perché la festa di Agosto presenta degli inconvenienti non solo a causa della stagione pel tragitto che si fa in luoghi di clima malsano, ma eziandio perché in essa, secondo l’inveterata usanza deve l’Alternos colla cavalleria, ultimato appena il pranzo, montare a cavallo per restituirsi in Iglesias. 4° finalmente perché riducendosi ad una sola le due feste vi trovano anche un sollievo i Miliziani, i quali invece di scortare l’Alternos per ambe feste, lo scortano per una sola, ed in una stagione meno incomoda per essi, che sono quasi tutti agricoltori. Cannas consigliere Rev. Emanuele Pasella sindaco Seguono firme di consiglieri e notai Nel giugno del 1851 il Comune di Sant’Antioco, verificati inutili tutti i tentativi, tenta la via giudiziaria per la restituzione. Pochi mesi prima gli abitanti avevano provato con la forza, come ci racconta Alberto Della Marmora nel suo Itinerario dell’Isola di Sardegna: Nel 1851, quando ero ancora investito del comando militare dell’Isola, gli abitanti di Sant’Antioco insorsero per opporsi a viva forza al ritorno delle reliquie del loro santo patrono a Iglesias, tanto che dovetti inviare in tutta fretta una nave a vapore con rinforzi di truppe e un giudice istruttore. Se questi paesani ebbero torto nella forma, turbando l’ordine pubblico, nella sostanza avevano ragione perché legittimavano la loro pretesa in base alla dichiarazione formale con la quale nel 1615 si specificava che la traslazione delle reliquie a Iglesias era stata fatta a scopo esclusivo di sottrarle alla profanazione dei Musulmani, e che esse dovevano rimanere in quella città solo fino a quando l’Isola di Sant’Antioco restasse disabitata. Siccome l’attuale popolazione del paese è adesso in grado di proteggere le reliquie da qualunque offesa degli stranieri, e poiché grazie alla conquista dell’Algeria non c’è più da temere in Sardegna un’invasione dei Barbareschi, credo che adesso questa richiesta sia stata presa in considerazione, e, se sono ben informato, il vescovo e il capitolo di Iglesias hanno perduto il processo, così le reliquie del santo non si spostano più e rimangono a Sant’Antioco. Il 29 marzo 1852, il Tribunale della Prima Cognizione di Cagliari, Udita la Relazione degli atti con intervento dei patrocinanti d’ambo le parti, sentenziò – 1.mo – Tenuto il Capitolo di Iglesias a dismettere e restituire alla Chiesa Penisola di Sant’Antioco le reliquie del Santo con i fondi di dotazione, e preziosi arredi destinati al culto. – 2.do - Tenuto lo stesso Capitolo fintantoché ritiene le reliquie, e fondi di cui sovra, alla celebrazione della festa nel modo per l’addietro praticato. Il Capitolo appella. Nel febbraio 1853 in suo favore e contro il Comune di Sant’Antioco si schiera – come parte in causa – il Comune di Iglesias facendosi anch’esso forte del fatto che il De Esquivel gli aveva affidato una delle chiavi del reliquiario, e ciò in compenso delle spese sostenute per i lavori di scavo e per la causa contro Sassari. In più vantava in suo favore la prescrizione di possesso ultra centenario. La causa si concluderà il 9 ottobre 1855 con la sentenza pronunciata a Cagliari in favore del Comune di Sant’Antioco e contro quello di Iglesias e del Capitolo. Martedì 12 aprile 1853, all’uscita dell’abitato in località Sa Gruxi de is Reliquias, i giovani e gli uomini di Sant’An- 226 s. antioco Patrono della Sardegna tioco circondarono il cocchio con le reliquie, e al grido di “Su Santu est su nostu e s’Arrelichia puru”, intimarono agli Iglesienti di ripartire senza l’arca. Maistu Casacca, vista la mala parata, fece schioccare la frusta e pungolando ferocemente il cavallo che trasportava il cocchio con la cassa del simulacro e l’argenteria, riuscì ad aprirsi un varco tra la folla e fuggì precipitosamente. Lo lasciarono andare, perché non si potevano accampare diritti sul simulacro9. Fu così che la reliquia del Glorioso Martir San Antiogo si restituì a esta su Iglesia Paroquial. Il Capitolo d’Iglesias, dopo la sentenza d’appello che confermava quanto deciso in prima cognizione, ricusò il Tribunale di Cagliari e, unitamente alla Città d’Iglesias, riavviò la causa contro il Comune di Sant’Antioco presso il Tribunale di Genova nel 1859, poi in Appello a Torino nel 1860, infine a Milano in Cassazione nel 1862, ottenendo sempre sentenze sfavorevoli. Nel frattempo la comunità antiochense si adoperò per la realizzazione del nuovo simulacro del santo da collocare nella sua chiesa. Venne dato incarico allo scultore Giuseppe Zanda che lo realizzò per la festa del 185410. Nel 1855 la Commissione Locale per il sussidio alla Chiesa Parrocchiale decide di utilizzare una parte della somma di £ 200 stanziata per i bisogni della medesima, per l’erezione di una cappella nella quale collocare il nuovo Simulacro del Santo, donato dalla comunità alla Chiesa11. Nel 1866 la Giunta Municipale delibera l’acquisto di un nuovo abito di mezzo velluto in cotone per la statua in sostituzione dell’abito di raso rosso in seta che sarà utilizzato solo nei giorni delle sue festività e processioni12. La causa sulle proprietà delle reliquie, dei sacri arredi e della dote del Martire tra il Comune di S.Antioco e il Capitolo di Iglesias, si trascinò per diversi anni. Infatti la sentenza di Genova che ne risolse la definitiva proprietà, venne portata in appello a Torino e definitivamente in cassazione a Milano. Nel 1862 il Consiglio Comunale delibera il pagamento in favore degli Avv.ti Don Antonio Caveri di Genova e Federico Spantigatti di Torino degli onorari e delle spese da loro anticipate nella causa13. Il Tribunale di Cagliari il 10 Ottobre del 1866 proferì una sentenza in favore del Corpo Capitolare di Iglesias, chiedendo al Comune di S.Antioco di dimostrare l’esistenza di arredi sacri e fondi di dote dei quali pretendeva la restituzione come da sentenze precedenti. Il Capitolo di Iglesias, successivamente, cedette al Comune a titolo di puro voto, una giovenca che nei diversi anni partorì altri capi costituendo la dote delle “vacche sacre del Martire” che furono vendute a trattativa privata nel 187614. Il ricavato fu utilizzato per la celebrazione delle festività del Santo. 9. Cfr. L. Cinesu, Fura Santus, op. cit. p. 31. 10. Il cavalier Giuseppe Zanda è una delle figure più rappresentative della scultura lignea della Sardegna dell’Ottocento. Nato a Desulo nel 1818, compie i suoi primi passi come scultore ligneo nella bottega dello zio paterno Costantino, artigiano intagliatore di Santi. Prosegue poi i suoi studi all’Accademia san Luca di Roma e all’Istituto di Belle Arti di Torino. Le sue statue lignee sono contrassegnate dal recupero della tradizione sardo-spagnola, da una vivace policromia, dal volume delle vesti decorate in oro con fiorami e altri motivi ricamati e da una cura dei lineamenti e delle pose. Cfr. www.parrocchie.it/desulo/cavalierzanda.htm 11. Archivio Storico Comunale di Sant’Antioco (d’ora in poi ACSA), Grazia Giustizia e Culto, fasc. 15/1. 12. ACSA, Amm., Reg. 29/1. 13. ACSA, Amm., Reg. 26/2. 14. ACSA, Finanze, fasc. 17/13. 227 Capitolo XIV Il primo organista di cui si ha notizia è Giovanni Borea di Cagliari che prestava la sua opera saltuariamente. Nel 1867 il Consiglio comunale nomina in sua sostituzione il sig. Salvatore Cadeddu perché, essendo del posto, poteva garantire la sua presenza in ogni funzione religiosa15 . Salvatore Cadeddu lavorò come organista sino al 1916, anno in cui venne sostituito da Rafaele Pili. Insieme alle solenni celebrazioni religiose, la sfilata dei costumi e i fuochi artificiali, la corsa di cavalli a premi è sempre stata sin da tempi antichi, tra le maggiori attrazioni della Sagra del Patrono. Ad occuparsi dell’organizzazione della Sagra, dopo che le spoglie del Martire rimasero definitivamente custodite nella Chiesa, furono le casse del comune alle quali successivamente si affiancarono comitati di cittadini quali l’Obbreria e il Circolo di Lettura. Abbiamo conferma della tradizionale corsa di cavalli in una delibera di Consiglio Comunale del 7 aprile 1873 quando il Sindaco Salvatore Susini con i consiglieri Luigi Campus, Giuseppe Susini, Antioco Murroni, Antioco Noli, Federico Porcu, Francesco Manca e Antioco Ignazio Balloco, deliberarono l’offerta di lire 100 per la corsa di cavalli a premi per la festa di S.Antioco. Il Presidente espone che: “onde invitare i fedeli in quest’anno a celebrare sontuosamente più del solito in questo Comune la festività del martire Sant’Antioco patroni di questo luogo, in riferente si è proposto non solo di permettere una corsa di cavalli la sera di quella solennità mediante premi, che raggiungano la somma di lire 400, al cui effetto è già informata l’obbreria, che in quest’anno è composta di persone ragguardevoli del paese che si sono presentate volontariamente a celebrarla ed a sopportarne le altre spese. Si è perciò che il riferente si è determinato di concorrere in quei premi per la partita di lire Cento sui dritti di rappresentanza di quest’anno, che consegnerà all’Obbreria tosto lo stabilimento della somma apposita. Il riferente rende noto al Consiglio questa sua determinazione ed invita il Consiglio stesso a deliberare acciò l’Amministrazione concorra nel rimanente a compimento di detta somma di lire 400 sui fondi dell’Erario comunale deliberandone il fondo cui prelevarsi”16. Ed il Consiglio plaude ed approva con voto unanime. Obbligatoria la rendicontazione17. Is Obreris negli anni Trenta 15. ACSA, Amm., Reg. 26/3. 16. Vedi Appendice. 17. Vedi Appendice. 228 s. antioco Patrono della Sardegna Dopo anni di trattative, nel 1875, si arriva a concludere con il Demanio l’acquisto della casa “canonica”, sede del Capitolo di Iglesias durante il periodo della festa, per trasformarla in uffici comunali, scuole e per ampliare la Chiesa18. Nella seduta del 17 Ottobre 1883 alcuni consiglieri comunali si opposero alla decisione della Giunta di proseguire la costruzione di una torretta sopra la casa canonica. La struttura muraria edificata per sorreggerla diventava troppo dispendiosa per le finanze dell’Amministrazione oltre a deturpare l’aspetto dell’edificio. Fu quindi demolita l’originaria torretta e nel 1886 l’Amministrazione comunale affida al Geom. G. Mosca lo studio di un progetto per la costruzione di una torretta per il collocamento del pubblico orologio acquistato già da diversi anni19. La nuova costruzione diede un diverso aspetto alla struttura dell’antica Chiesa. Verso la fine dell’800 l’Amministrazione comunale su richiesta del parroco delibera di cedere due stanze laterali della casa canonica acquistata dal Demanio. Si sentiva l’esigenza di ampliare la Chiesa parrocchiale in quanto era l’unico luogo di culto del paese. Nel 1892, infatti, Sant’Antioco contava più di 4000 abitanti, da qui la necessità per il canonico Rev. Rafaele Ciampelli di avere un aiuto per l’espletamento delle funzioni religiose. Il vescovo di Iglesias nomina il vice parroco Giuseppe Massa. Nel 1901 il Consiglio Comunale fa istanza al Governo del Re per ottenere un sussidio per l’ampliamento della Chiesa parrocchiale in quanto, dagli atti del Comune, risultò che un Regio Decreto del 1850 che dava l’incarico all’ordine Mauriziano di ampliare la Chiesa non era mai stato messo in esecuzione. Nel 1909 il Regio Ispettorato per la conservazione dei Monumenti e degli Scavi chiede al Sindaco notizie sulla presenza di opere d’arte e di valore esistenti nella Chiesa Parrocchiale. Il Sindaco Giuseppe Biggio, in risposta, comunica l’esistenza di un dipinto ad olio, di parecchi simulacri e di una nicchia in cui si conservano le reliquie del Martire20. In quei tempi la sagra si svolgeva in questo modo: Il lunedì di Pasqua il simulacro del santo percorreva le vie cittadine, accompagnato da un piccolo seguito di persone, che provvedevano alla raccolta dei fondi per i festeggiamenti. Un tamburino, come avviene ancora oggi durante la settimana santa a Cagliari, precedeva la processione. Lo suonava ziu Pistinca, così soprannominato per un tic che gli faceva strizzare continuamente le palpebre. Cavalli e gioghi di buoi (muraus) precedevano il corteo, senza associazioni religiose e costumi. Un’altra tradizione perduta con gli anni era la regata nella laguna nella tarda sera.. Alberi di cuccagna in piazza e sul mare, cori sardi, corse di asinelli legati alle zampe, e corse con i sacchi e gare di voracità con grosse porzioni di pastasciutta, erano le manifestazioni che richiamavano di più la popolazione. Balli in costume e canti sardi, raccoglievano i giovani. Nella notte, sul sagrato e sulla marina, 18. ACSA, Finanze, fasc. 2/1. 19. ACSA, Lavori Pubblici, fasc. 20/3. 20. ACSA, Grazia Giustizia e Culto, fasc. 16/43. Capitolo XIV 229 immense cataste di legna ardevano, mentre in cielo esplodevano in un caleidoscopio di colori, i fantasmagorici fuochi d’artificio. Una sagra movimentata e ricca. Non sarebbe male ripensare a quei sani trattenimenti nel varare il programma della nostra festa di aprile21. Nel 1939, alla vigilia della guerra, il parroco don Anacleto Zanda viene sostituito dal reverendo Antonio Cavassa22. Nel 1943 viene inviato a Sant’Antioco il sottotenente Marianello Marianelli, laureato in Lingua e Letteratura Tedesca alla Scuola Normale di Pisa nel 1938, e scrittore di talento. Partirà per tornare a Pisa l’anno successivo ma dell’isola e del glorioso santo martire non si dimenticherà mai. Nel suo bellissimo libro Ricercare a due voci troviamo un ampio dialogo col santo: …Ho bisogno della mia chiesa madre e matrigna, quella di Sant’Antioco. Ho deciso, domani andrò a presentarmi da solo dove cinquanta e più anni or sono battezzai la mia solitudine. Quando ci sono ritornato, sfinito dal mio vano vagheggiare, era ancora chiusa, il campanile suonava le due, mi sono seduto sulla soglia come se fosse casa mia. Quei due tocchi di campana mi hanno rammentato Vittorini:<<Da Sant’Antioco suonano a messa. È il suono d’una sola campana, molto piccola, e sembra un segnale piuttosto dato a noi>>. Beato Vittorini che, poeta, sente una campana suonare soltanto per sé (per me suonerà solo da morto, e non potrò sentirla). Ma lui non sa per chi suonava la campana di Sant’Antioco la domenica che la statua di quel santo medico mauritano in tunica scarlatta e il volto nero ornato da una folta corona di rose, vide davanti ai suoi piedi neri, mescolati alla folla e in ginocchio per la messa, i vincitori di turno, soldati neri e bianchi venuti dagli Stati Uniti. Mentre stavo seduto sulla soglia della chiesa con la testa fra le mani e i gomiti appoggiati sui ginocchi, ho creduto di sentire nel silenzio di quell’ora bruciata un cinguettio sommesso che pareva venire da sottoterra. Mi sono ricordato del pettirosso dipinto accanto a una figura del Buon Pastore in un vano delle catacombe situate proprio sotto la chiesa. Credevo che, semmai, lo potessero sentire soltanto i martiri e i morti di quelle tombe; invece l’esile vena di canto che veniva di laggiù mi ha fatto sperare che non fosse poi tanto arida, per me, la terra di questo paese e mi ha spinto a cercare non lontano dalla chiesa il luogo deputato della mia famigerata solitudine. Dovevo soltanto risalire la via del Castello, lasciare a destra la casa alta e sbilenca dove all’ultimo piano avrebbe potuto trovarsi il Comando del battaglione con la terrazza dominante sul porto. Proseguendo, a sinistra mi sarebbe stato facile trovarmi e smarrirmi, oltre il ferrigno fortino sabaudo, nella cespugliosa pietraia della necropoli fra il santuario cartaginese del Tophet e i blocchi delle mura puniche che scendono fin dentro il mare. Quando l’allarme delle sirene e il rombo dei quadrimotori salivano dal porto in un risucchio di terrore, la gente cercava scampo negli anfratti delle tombe, giù per i gradini e i massi sconnessi i piedi in fuga delle vecchie inciampavano nelle sottane mentre si alzava il grido consueto e disperato: - Ohi Sant’Antiogu, aggittoriu, ohi Sant’Antiogu meu! 21. Cfr. Sulci, Numero unico di attualità cultura e turismo edito in occasione della sagra di sant’Antioco, aprile 1959. 22. ACSA, Grazia Giustizia e Culto, fasc. 16/65. 230 s. antioco Patrono della Sardegna Negli anni di guerra processione al porto In chiesa, più tardi, quando mi sono lamentato del fatto che la mia rimpatriata era stata quasi un discorso tra sordi, Sant’Antioco ha perso la pazienza:- Che pretendeva Lei da questo paese? Che per i Suoi begli occhi miopi fosse rimasto per cinquant’anni scassato di giorno e di notte al buio com’era allora anche l’anima Sua? Che cosa ha fatto , Lei, per il suo bene? – L’ho difeso. Ho difeso le coste dell’isola. – Lasciamo andare, tenente. Alla fine anche Lei – per carità, La capisco – si è arreso, come tutti, e si è imbarcato a Cagliari su un bastimento dei vincitori. – In fondo l’ho anche amato. – Piuttosto in fondo, forse. Forse Lei ama solamente i Suoi rimorsi, compreso magari quello di non avere amato abbastanza questo paese. Così oggi è voluto ritornare bel bello sul luogo del delitto. – Non è vero, santissimo dottore. Ho amato quest’isola quando la sua tristezza era uguale alla mia. La stessa solitudine. – Lo so, già me lo aveva accennato quel vostro cappellano militare, che a Lei piace commettere peccati di tristezza. Allora, considerando che Lei è venuto fin qui per una specie di pellegrinaggio, ecco, io L’assolvo di tutti i Suoi peccati di tristezza, passati e presenti. – Così dicendo mi ha fatto con la mano un bel cenno di benedizione Capitolo XIV 231 e ha soggiunto:- Invece di girovagare per la necropoli a fare il tombarolo delle Sue malinconie, quando esce di qui vada sul lungomare, fra poco viene il vento dalla Spagna, si lasci un po’ andare fra questa mia brava gente che ha rifatto anche per Lei Sant’Antioco bella come non mai. Non hanno colpa loro se non La riconoscono per via degli anni; pensi che sono i figlioli e i nipoti di quelli che aspettavano sugli scalini del Suo ufficio, anch’io Gliene mandai qualcuno; pensi a quelli che qui c’erano nati e non sono più tornati dalla guerra, mentre Lei, che ha avuto questa fortuna, ha il coraggio di venire a lamentarsi. Ringrazi il cielo, piuttosto. – Santissimo dottore, - ho detto allora, commosso e compunto, - racconta una vecchia leggenda che, quando sbarcò con San Pietro da queste parti, Lei ci rimase fino alla Sua morte a curare questa gente, a insegnare nuovi modi di pescare e di salvarsi. Se si fosse imbarcato con San Pietro, che ripartì subito per Roma smanioso di compiere il suo famoso dovere, io non sarei qui a ringraziare un medico negro e santo come Lei per la grazia… Antioco mi ha interrotto con un gesto della mano, mi ha detto che la grazia dovevo andare a cercarla giù al porto, e mi ha congedato con le due parole augurali in latino sardo, “Bene vibas”, che si vedono scritte per un pio defunto nelle catacombe. Ci sono andato a salutare il pettirosso dipinto, era tanto sbiadito che non capivo come facesse a cantare. Spinto dalle parole sante di Antioco, mi sono fermato un’ora sul lungomare, incantato a guardare la gente a passeggio che parlava, rideva, si salutava come se fosse la cosa più naturale del mondo, nessuno pareva sapesse di allora. Più della gente mi stupiva il turbinio delle vele nel tratto di mare antistante; d’altra parte, solo chi, come me, lo aveva visto senza nemmeno una speranza di vela, poteva – forse era questa la grazia che Antioco intendeva – incantarsi a vederne ora tante, abbandonate alla gioia del vento23. 23. Cfr. Marianello Marianelli, Ricercare a due voci, Ed. Aktis Piombino, 1998, p. 76-78; 81-83. 232 Appendice (Nota n° 2) Iscrizione aula micat nel manoscritto di Rossello Monserrat s. antioco Patrono della Sardegna 233 Capitolo XIV (Nota n° 5) GOCCIUS DE SANT’ANTIOGU MARTIRI SULZITANU De sa Cresia Santa honori, De bessìri bincidori. Terrori de su paganu. Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Sant’Antiogu Sulzitanu De ardenti pixi, e resìna, Sias nostu Intercessori De su Pardu, Orzu, e Leoni Cumpareis in s’Orienti Bessèis senza lesiòni De mamma illustri, e virtuosa Po Providenzia Divina; Tenit pro nomini Rosa, Su fogu e rabbia fèrina E Osì educat santamenti: Perdint’in Bosu s’ardòri. Comenti e Soli luxenti Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Difundeis su splendori Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Incontraenduosi presenti Stupendus cun sa Meixina In su Idolàtricu templu, Prodigius manifestais; Arruint’, o raru esemplu! Provinzias illuminais Doxi Statuas de repenti: Cun sa zelesti Dottrina; Tremèndu iscàpat sa genti, Ammelezzendu ruina Ispantàda po su horròri. A su gentilicu errori. Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Adrianu atterrorisàu Po is tantus, ch’ant abbrazzàu A sa vista de is portèntus, Sa Christiana religioni, Hat cambiàu penzamèntus, Crudeli persecuzioni E Osì ambia disterrau: Hant’is Gentilis armàu: Sulzis est s’affortunau Sèeis po ordini arrestàu De Osì tenni habitadòri. De su inìquu Imperdori. Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Una gruta os’heis pigàu Biendurosì tanti forti, Innì po abitazioni, Et in sa fidi constanti, Preghendu sa conversioni Tormentus su Dominànti De custa genti cunfiàu, Osì ammelezzat, e morti: Po chini su Xèlu ambia Pèru no lograt sa sorti Os’hat po Predicadòri. 234 s. antioco Patrono della Sardegna Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. E Os’ incontrant’ ispirau: De sa cura cumenzzais Cun plantu Os’hant’abbrazzàu, De is corpus mali sanus; Grazia implorèndu, e favòri. Salùdi a’ custus Paganus Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Miraculosa alcanzàis; Cun miraculu plausibili Pustis dhus illuminais Hèis sa vida accabàu, In sa Fidi ‘e su Criadòri Haèndu a christus guadangiàu Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Cussa quadriglia terribili, Candu bolat sa notizzia Chi cun furia tantu horribili De sa nòa Religioni, Mandat su Guvernadori. Mandat unu Isquadròni Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. De Casteddu sa justizzia, O Martiri Sulzitànu, Po arrestai cun sevizzia Tantu honoràu in sa terra! De Christus su Cunfessori. Postus in s’ultima gherra Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Nosì ampàrit sa Osta manu: De custa turba insolenti In su Reynu Soberànu Obtenèis sa gruta intrài, Mostraiosì Protettòri. Po mellus incumandài Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Sa angustia a su Onnipotenti: De sa Cresia Santa honòri, Grazias pro sa Sarda genti Terrori de su Pagànu Dimandèndu cun fervori. Sant’Antiogu Sulzitanu Sant’Antiogu Sulzitanu ecc. Siàis nostu Intercessori. Grandu bòxi Os’hat zerriàu Imbiàda de su Xelu, Currint’ a intru cun resèlu, Capitolo XIV 235 (Nota n° 8) 1802 Marzo 31, Copia della deliberazione del Consiglio Comunitativo per la richiesta di restituzione delle reliquie. Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato e di Guerra del Regno di Sardegna, Serie II, Cat IV, Materie Ecclesiastiche – Affari Ecclesiastici in genere, Unità 557, Diocesi di Iglesias (antica sede: Solci) dal 1726 al 1848 236 s. antioco Patrono della Sardegna (Nota n° 11) Rendiconto delle entrate e delle uscite fatte da Michele Caracciolo per la festività di S.Antioco del 1892 (Nota n° 12) Deliberazione del Consiglio Comunale del 7 aprile 1873 237 Capitolo XIV R accolta Iconografica 239 Raccolta iconografica Il simulacro di S. Antioco della Basilica omonima Fu costruito nel 1854 dallo scultore Giuseppe Zanda di Cagliari su commissione del Sindaco Luigi Campus e costò 250 lire. L’acquisto si rese indispensabile perché il simulacro, proveniente da Iglesias, sfuggì alla rivolta degliantiochensi attuata per trattenere le reliquie del Santo. La statua fu vestita con un abito di raso rosso ricavato da 46 palmi di stoffa costati 2,58 lire e adornata dalle «volanti» (polanias), costate 11,52 lire. Nel 1855 la Commissione locale per il Sussidio alla Chiesa deliberò di spendere la somma eccedente nel bilancio per la costruzione di una cappella che ospitasse la nuova statua in quanto, sino a quel momento, stava «mal condizionata» e rinchiusa in una cassa depositata in un angolo della chiesa. La nicchia fu costruita nel 1862, quando la causa sul possesso delle sacre reliquie e gli arredi si concluse definitivamente in favore del Comune di Sant’Antioco. Nel 1866 venne commissionato un nuovo abito di velluto da far indossare alla statua durante la permanenza in Chiesa, in luogo di quello di raso che invece avrebbe dovuto indossare solamente in occasione delle feste. 240 In alto a sinistra: Simulacro moderno. Chiesa di S.Antioco – Atzàra (NU). In alto a destra: Simulacro antico. Chiesa di S.Antioco – Atzàra (NU). In basso a sinistra: Affresco. Chiesa di S.Antioco – Atzàra (NU). In basso a destra: Intaglio sul portone laterale. Chiesa di S.Antioco – Atzàra (NU). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica In alto a sinistra: Simulacro (privato) - Anela (SS ). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di San Nicola - Baunei (OG). In basso a sinistra: Simulacro. Chiesa di S. Antioco - Cùglieri (OR). In basso a destra: Rilievo marmoreo. Cattedrale di Santa Maria di Castello - Cagliari. 241 242 s. antioco Patrono della Sardegna In alto a sinistra: Stampa, Biblioteca Universitaria di Cagliari. In alto a destra: Dipinto, Pinacoteca Nazionale di Cagliari. In basso a sinistra: Copertina del volume «Esta es la vida...». Edizione del 1890 dell’originale ( 1493). In basso a destra: Pergamena raffigurante il retablo di S.Lussorio - Curia Arcivescovile di Cagliari. Raccolta iconografica 243 LA VIRGEN SANTISSIMA DE BUENAIRE EN EL REAL CONVENTO DE LA MERCED DE CALLER Y EL SANTO ANTIOCO SULCITANO PATRON DE LA SARDEGNE Olio su tela:160 X 200 cm. Museo: Giuseppe Gasperini (De Gasparin Di San Pietro De Orange), Giraudi di Saluzzo - Ciusa (Chiusa Di Savoia) Quidaciolu Di Tempio - Cagliari. per gentile concessione dell’Editore Ettore Gasperini De Orange. 244 s. antioco Patrono della Sardegna Basilica di Santa Croce a Cagliari Raccolta iconografica In alto a sinistra: Particolare di un retablo. Chiesa della Madonna del Carmine - Cagliari. In alto a destra: Particolare di una retablo. Chiesa della Madonna del Carmine - Cagliari. In basso a sinistra: Simulacro. Ex Cattedrale di S.Pantaleo - Dolianova (CA). In basso a destra: Particolare di un retablo. Chiesa di S.Giorgio - Decimoputzu (CA). 245 246 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa della Madonna d’Itria - Dorgali (NU). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di S.Antonio - Fluminimaggiore (CI). In basso a sinistra:Simulacro.Chiesa di S.Antioco - Gavoi (NU). In basso a destra: Simulacro. Chiesa di S.Antioco - Gavoi (NU). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica Sequenza di pitture murali. Chiesa di S.Antioco – Gavoi (NU). 247 248 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Maria dei Martiri - Fonni (NU). In alto a destra: Altorilievo marmoreo. Chiesa di S.Giusta - Gesico (CA). In basso a sinistra:Simulacro. Chiesa di S.Teresa d’Avila - Gesturi (VS). In basso a destra: Simulacro. Chiesa della Madonna di Monserrato - Girasole (OG). s. antioco Patrono della Sardegna 249 Raccolta iconografica Cattedrale di S. Chiara a Iglesias 250 Cattedrale di Santa Chiara a Iglesias. s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica In alto: Simulacri. Chiesa di S.Antioco - Ghilarza (OR). In basso: Simulacri. Chiesa di S.Antioco - Irgòli (NU). 251 252 s. antioco Patrono della Sardegna In alto a sinistra: Simulacro. Ex Convento dei Cappuccini - Masullas (OR). In alto a destra: Particolare di un retablo. Chiesa della Beata Vergine degli Angeli - Maracalagonis (CA). In basso a sinistra:Simulacro. Chiesa di S.Nicola - Muravera (CA). In basso a destra: Simulacro. Chiesa di S.Pietro - Neoneli (OR). Raccolta iconografica In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Bernardino - Mògoro (OR). In alto a destra: Dipinto su tavola. Collezione privata - Cagliari. In basso: Simulacro e dipinto murale. Chiesa di S.Bernardino - Mògoro (OR). 253 254 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S. Maria Bambina - Nule (SS ). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di S. Pietro - Nuraminis (CA). In basso a sinistra: Simulacro. Chiesa di S. Giacomo Maggiore - Orosei (NU). In basso a destra: Simulacro. Chiesa di S. Giovanni - Orotelli (NU). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica In alto a sinistra: Dipinto su tavola. Curia Arcivescovile di Oristano. In alto a destra: Olio su tela. Chiesa B.M.V. Immacolata della Fraternità e Convento dei Cappuccini - Oristano. In basso a sinistra:Simulacro. Chiesa di Lucia - Oristano. In basso a destra: Sigillo bronzeo, proveniente da S.Giorgio di Cabras. Antiquarium Arborense – Oristano. 255 256 Alto a sinistra: Museo Diocesano di Arte Sacra a Ozieri (ss). Alto a destra: Chiesa di S.Antioco di Bisarcio a Ozieri (ss). Basso a sinistra: Cattedrale di S.Maria Immacolata a Ozieri (ss). Basso a destra: Chiesa di S.Leonardo di Siete Fuentes a Santu Lussurgiu (or). s. antioco Patrono della Sardegna 257 Raccolta iconografica Chiesa di S.Antioco a Palmas Arborea (or) 258 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Antioco - Palmas Arborea (OR). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di S.Pietro - Perdasdefogu (OG). In basso a sinistra: Tavola. Chiesa di S.Leonardo - Perdaxius (CI). In basso a destra: Scultura. Ex Cattedrale di S.Gavino - Porto Torres (SS). s. antioco Patrono della Sardegna 259 Raccolta iconografica ex Cattedrale di S.Giusta a Santa Giusta (or) 260 In alto a sinistra: Affresco. Duomo di S.Nicola - Sassari. In alto a destra: Fregio marmoreo. Duomo di S.Nicola - Sassari. In basso a sinistra: Rilievo marmoreo. Duomo di S.Nicola - Sassari. In basso a destra: Particolare di un retablo. Chiesa di S.Giorgio - Quartucciu (CA). s. antioco Patrono della Sardegna 261 Raccolta iconografica Chiesa di S.Pietro a Scano Montiferro (or) 262 In alto: Simulacri. Chiesa di S.Antioco - Scano Montiferro (OR). In basso a sinistra. Rilievo bronzeo su portale. Chiesa di S.Pietro - Scano Montiferro (OR). In basso a destra. Particolare vetrata. Chiesa di S.Pietro - Scano Montiferro (OR). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Vito - San Vito (CA). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di S.Barbara - Senorbì (CA). In basso a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Barbara - Sinnai (CA ). In basso a destra: Simulacro.Chiesa dello Spirito Santo - Soddì (OR). 263 264 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Sebastiano - Sorradìle (OR). In alto a destra: Fregio lapideo. Chiesa di S.Sebastiano - Sorradìle (OR). In basso a sinistra: Simulacro. Oratorio della Vergine del Carmine - Suelli (CA). In basso a destra:Simulacro. Chiesa della Vergine del Carmine - Teulada (CA). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa della Madonna del Carmine - Teulada (CA). In alto a destra: Rilievo bronzeo su portale. Chiesa della Madonna di Montserrat - Tratalias (CI). In basso: Particolare di un retablo. Chiesa della Madonna di Montserrat - Tratalias (CI). 265 266 In alto a sinistra: Scultura. Cattedrale di S.Pietro - Tempio Pausania (OT). In alto a destra: Simulacro. Chiesa di S.Antonio - Tuili (VS). In basso a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Antioco - Ulàssai (OG). In basso a destra: Simulacro. Museo di S.Barbara - Villacidro (VS). s. antioco Patrono della Sardegna Raccolta iconografica Chiesa della Madonna della Neve a Villamassargia (ci) 267 268 In alto a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Pietro - Villamar (VS). In alto a destra: Simulacro. Chiesa della Madonna di Interrios - Villanova Monteleone (SS ). In basso a sinistra: Simulacro. Chiesa di S.Antioco - Villasor (CA). In basso a destra: Simulacro. Chiesa di S.Platano - Villaspeciosa (CA). s. antioco Patrono della Sardegna 269 Raccolta iconografica Chiesa di S.Simeone a Zeppara - Ales (or) 270 In alto a sinistra: Stampa del XVII secolo. In alto a destra: Stampa del 1765. In basso a sinistra: Stampa del 1784. In basso a destra: Litografia risalente alla metà del XIX secolo (Antonio Vallardi). s. antioco Patrono della Sardegna Finito di stampare nel mese di Aprile 2011 Grafiche Ghiani - Monastir (ca) presso le