CAMMINO NOVEMBRE 2010 P A R R O C C H I A S S . A N N U N C I AT A - L U R AT E C A C C I V I O EDITORIALE La visita alle famiglie solitudine e alla difficoltà concretizzata nel Diurno Anziani “Fraternità Betania”, o nel Doposcuola “I girasoli”, o nel Centro di Ascolto Caritas. Si pensi altresì all’impegno di continua formazione dei catechisti delle varie fasce d’età per capire i mutamenti e per adeguare i cammini alle situazioni concrete delle persone. Si pensi alla dedizione di chi vive la missionarietà nel continuo impegno di conoscenza della realtà internazionale perché il sostegno ai missionari “ad gentes” sia effettivo e adeguato alle esigenze dell’annuncio del Vangelo ad ogni creatura. ella tradizione della nostra Diocesi la visita Certo, se l’impegno è stato grande, e ringraziamo tutti alle famiglie in occasione del tempo coloro che hanno regalato il loro tempo e la loro natalizio è sempre stata un’esperienza passione, è altresì importante che altri cristiani, in virtù significativa di conoscenza delle persone e del loro Battesimo, varchino la soglia della dei loro ambienti di vita”. Con queste parole il nostro missionarietà e della carità. Arcivescovo, Card. Dionigi Tettamanzi (“In cammino Ciò non vuol dire che chi ha impegni comunitari sia con San Carlo - Linee guida per operatori pastorale”), più cristiano di chi vive l’adesione al Vangelo nella ci ricorda il valore popolare e missionario della visita propria vita famigliare o nel proprio impegno in occasione del S. Natale. professionale o sociale. È lo stesso Cardinale che ci sollecita ad un impegno Se però saranno sempre di più i cristiani che sono missionario aperto “capace di andare incontro alle passati, come diceva il Card. Martini, da un persone là dove esse vivono, amano, soffrono”. cristianesimo di tradizione ad un cristianesimo di Non possiamo più pensare, sottolinea più avanti, convinzione, allora l’annuncio cristiano della nostra “un’attività pastorale che rimane chiusa nelle mura comunità parrocchiale sarà più visibile e più della Parrocchia, in attesa che le persone vengano e coinvolgente. partecipino”. L’esperienza della visita alle famiglie in occasione del Di questo, la nostra comunità parrocchiale, è ormai S. Natale potrebbe essere per altri battezzati della consapevole da anni. La Missione Popolare Cittadina nostra Parrocchia un effettivo punto di partenza in nella Quaresima del 2003 è stata infatti un’occasione questo stile di comunione, collaborazione e che ci ha aperto nuove prospettive. Pensiamo alla corresponsabilità. formazione che da allora facciamo mensilmente nelle Vogliamo allora fare nostro l’invito del nostro Pastore, case delle famiglie ospitanti attraverso i Gruppi di il Card. Tettamanzi, e, ancora una volta, ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio, che ci ha permesso di cammino, insieme, per le vie della nostra città, così da raggiungere più di 200 adulti. portare a tutti un annuncio di pace, di gioia e di Pensiamo alla figura dei Visitatori che a partire dalla Missione hanno cominciato ad andare di casa in casa, e comunione. don Renato da allora hanno continuato in questa direzione, sino all’ultima esperienza dello scorso anno, in cui coppie di laici, hanno dato la loro disponibilità a visitare le N QUESTO NUMERO famiglie di una via in occasione del S. Natale. Dice ancora il nostro Arcivescovo: La visita alle famiglie ________________pag. 1 “La proposta concreta è di svolgere la visita alle Vita della comunità _________________pag. 2 famiglie in modo più disteso e con il necessario La mia prima classe - Racconti cacciviesi ____pag. 9 coinvolgimento, oltre che dei presbiteri, anche dei Dietro le quinte della musica - Esperienze _pag. 10 diaconi, delle persone consacrate e dei laici. La Liturgia Eucaristica (2) - Catechesi ______pag. 12 In particolare il coinvolgimento dei laici va compreso nel suo autentico significato: non è una semplice Questione di stili - Famiglia ____________pag. 13 funzione di supplenza dei sacerdoti, ma il farsi Da intervistatrice a intervistata - Al femminile pag. 14 presente presso le famiglie della comunità cristiana in Fermata Viale Romagna - Storie ________pag. 15 tutte le sue articolazioni; è attestare anche attraverso “T” come Tenerezza - Bêt Mirjam_______pag. 16 questo segno che i laici sono veramente protagonisti Il volontario L.I.L.T. - Volontariato ______pag. 17 dell’impegno missionario della Chiesa”. Il tronetto - Museo parrocchiale __________pag. 19 Senza l’impegno dei numerosi laici che in questi anni hanno aderito al Vangelo e dato la loro disponibilità ad Temp da castegn - Poesia _____________pag. 20 assumersi la responsabilità dell’evangelizzazione, della Genova la Superba - Giringiro __________pag. 21 missione e della carità, la nostra comunità non Oratorio ieri e oggi (1) - Ragazzi ________pag. 22 potrebbe essere oggi quella che è. Registri __________________________pag. 24 Si pensi ad esempio allo sforzo di vicinanza alla Momento popolare e missionario “N I 1 VITA Un nuovo Encuentro a cura di Riccardo Piatti l 16 ottobre se si avesse avuto la possibilità di sapere quali pensieri vagavano nelle menti dei volontari Encuentro imbacuccati dinanzi alla nuova sede del negozio di via XX Settembre 73 intorno alle 15.45, avremmo trovato un’attesa mista a scoraggiamento. Infatti, c’erano le torte sapientemente preparate per l’occasione, i termos traboccanti di thè e caffè rigorosamente equo-solidali, c’era il nastro posto dinnanzi alla porta d’ingresso del negozio pronto per essere tagliato e dare il via all’inaugurazione, c’era il microfono e pure un amplificatore che emanava musica etnica, addirittura era stato precettato il parroco per la benedizione e anche il presidente della bottega passava e ripassava le parole del discorso che da lì a momenti avrebbe fatto ai primi avventori. Il problema era un cielo plumbeo e una pioggerellina continua e fastidiosa che istintivamente consigliava di non uscire di casa e magari di starsene a sonnecchiare sotto un caldo piumone. Perciò erano comprensibili gli sguardi dubbiosi e i mezzi commenti che giravano tra tutti i volontari presenti, tutti con un preciso compito da svolgere in questa occasione. «Piove», oppure: «Ma arriverà qualcuno?», erano le affermazioni più gettonate a manifestare quella sorta di sconforto che arriva quando sai che hai dato il massimo, che I 2 DELLA COMUNITÀ quello per cui hai lavorato volontariamente ha un suo particolare valore in termini di solidarietà, equità e sviluppo sociale, e vuoi che tutto ciò sia conosciuto dalla maggior parte delle persone, ma invece tutto sembra remarti contro. Fortunatamente i volontari sono stati pazienti e consapevoli nel profondo del loro animo che il concetto di Commercio Equo-Solidale si è diffuso ormai da vent’anni per le strade e le case di Lurate Caccivio e che una nuova tappa del cammino dell’Encuentro non poteva non passare inosservata nell’indifferenza generale, nonostante un clima grigio ed un freddo imperante. È stato questo pensiero soffuso o questa inconscia certezza che ha portato allora a nuove positive parole, quasi fossero piccole grida smorzate dall’emozione, come: «Arrivano!», o «Eccoli!», mentre qua e là gruppetti di ombrelli colorati hanno cominciato a sbucare da ogni strada con passo lento, ma costante, per avvicinarsi al nuovo negozio, diventando sempre più numerosi. E allora, via i commenti negativi, via la tristezza, è ora di agire, di prepararsi, di aprire questo nuovo percorso dell’Encuentro. Ognuno sa quello che deve fare e come fare. Parla il presidente, ricorda da dove si è partiti: quattro amiche, una stanza dietro la chiesa e la guida spirituale di don Francesco Ciceri. Ricorda le varie tappe e il continuo sostegno di don Renato, quindi il negozietto, l’apertura settimanale ed oggi questo nuovo importante passo. Ringrazia tutti i volontari, chi ha sistemato, chi ha spostato, chi ha esposto, chi ha disposto, chi ha dato il posto e la musica etnica si diffonde sempre più. Si benedice il negozio, si taglia il nastro, la gente entra, chiacchiera, compra, conosce o ripassa cosa è il commercio equo e solidale. Si beve un caffè, ci si congratula, la macchina organizzativa funziona e la gente arriva, va, ritorna; acquirenti affezionati, nuovi curiosi, casuali avventori. I volontari spiegano, vendono i prodotti, offrono caffè, thè, biscotti. I clienti ascoltano, comprano, fanno merenda. Sono tutti talmente impegnati che il cielo può anche scatenare un accenno VITA di diluvio, come infatti avviene, tanto nessuno sembra quasi accorgersene; l’inaugurazione procede e i valori del commercio equo-solidale si diffondono per ore all’interno della bottega come note di musica etnica fino alle 19: l’ora di chiusura del primo giorno di attività nella nuova sede è arrivata. La contentezza è tale che tutti i volontari simpaticamente si rinfacciano reciprocamente quell’iniziale sfiducia: «L’ho detto io che la gente sarebbe arrivata nonostante il tempo!». Risa generali e grande soddisfazione: una nuova stagione dell’Encuentro è partita. La festa dell’accoglienza Domenica 17 ottobre, presso la Scuola dell’Infanzia di Caccivio si è svolta la festa dell’accoglienza, nella quale abbiamo accolto 52 bambini che iniziano il primo anno della nostra scuola. La pioggia copiosa non ha comunque scoraggiato la partecipazione numerosa di genitori, nonni e zii. La giornata è iniziata in chiesa con la S. Messa delle ore 10 celebrata da don Renato ed è poi proseguita nel pomeriggio presso la scuola materna. DELLA COMUNITÀ Nel giardino sono stati allestiti alcuni stand dedicati alla ristorazione: caldarroste con le castagne raccolte dalle famiglie, cotechini alla piastra e patatine fritte, torte fatte in casa e destinate alla vendita. È stata poi organizzata una pesca in cui ciascuno poteva vincere un grazioso premio. I bambini hanno così trascorso una giornata in allegria danzando e giocando con il drago Arturo, la mascotte della scuola. A metà pomeriggio si sono esibiti in un canto preparato con le maestre e tutti i bambini del primo anno sono stati chiamati dal Presidente per ricevere la coccarda di benvenuto. Al termine dell’esibizione ciascun bambino ha lanciato un palloncino, creando così una nuvola colorata che ha rallegrato il cielo grigio. Ringraziamo tutti i genitori che hanno partecipato attivamente all’organizzazione della festa. VEGLIA MISSIONARIA 2010 “SPEZZARE PANE PER TUTTI I POPOLI” è il tema scelto quest’anno per la 84a Giornata Missionaria Mondiale, che ha avuto inizio con la veglia a Tradate nella chiesa di S. Stefano lo scorso sabato 23 ottobre. Il pane, simbolo di ciò che serve all’uomo per vivere e insieme riferimento all’offerta che Gesù fa di sé per tutti nell’Eucaristia. “Spezzare pane per tutti i popoli” richiama perciò la bellezza e la condivisione del bene più prezioso che si ha a disposizione: l’amore di Dio che si manifesta in tanti modi, primo fra tutti nel dono della sua Presenza. L’omelia di Monsignor Luigi Stucchi e la testimonianza di un prete fidei donum da poco rientrato da Haiti, hanno permesso ancora una volta di riflettere sul dono della nostra stessa vita come “pane spezzato per tutti i popoli”. Poi il mandato missionario a un prete fidei donum in Niger e a una suora comboniana in Sudan, inviati a portare il lieto annuncio di salvezza fino agli estremi confini della terra: “segni di un dono d’amore, segni di un dono di Dio, che ci ha mandati nel mondo a parlare di Lui”. Infine la benedizione finale, preceduta da un momento di adorazione eucaristica. Come sempre è stato proposto il digiuno come segno di condivisione con le innumerevoli situazioni di disagio vissute da milioni di persone in tutto il mondo: il corrispettivo della cena, raccolto durante la veglia, sarà inviato alle Pontificie Opere Missionarie per il sostegno alle missioni. 3 VITA L’affresco dell’altare di San Carlo di Anna Ghirardello ome ben noto la nostra chiesa parrocchiale venne consacrata personalmente da San Carlo Borromeo il primo settembre del 1583, qualche mese prima della sua morte. Non erano passati molti anni dalla conclusione del Concilio di Trento (1563), pertanto il nostro avvenimento deve essere collocato nel clima di riordino e rilancio della dottrina cattolica (Controriforma) della quale San Carlo fu artefice e campione. Il dipinto di cui stiamo trattando è stato materialmente realizzato da Vanni Rossi (Ponte San Pietro – Bergamo, 1894-1973) nell’immediato ultimo dopoguerra, precisamente dal 15 al 20 luglio del 1946 (5 giorni!) come documentato dal libro sulla Parrocchia di Mons. Eugenio Cazzani (pag. 206). Da un punto di vista contenutistico l’opera tutto è, meno che una rappresentazione realistica dell’avvenimento del XVI secolo. Non raffigura cioè la cronaca della consacrazione (nemmeno l’avrebbe potuto fare vista la grande distanza temporale e la pressochè totale assenza di altre fonti raffigurative). È piuttosto una composizione allegorica che rielabora diversi temi, in chiave simbolica e didascalica. Riconosciamo infatti un San Carlo che domina la scena, ma in semplice abito corale, secondo la più classica e diffusa iconografia del santo stesso; quando invece nell’occasione raffigurata ce lo immaginiamo, benchè in trasferta, rivestito dai solenni paramenti liturgici tipici del post Concilio tridentino. Poi pare che egli stia consacrando una chiesa priva di pareti, simboleggiata da un solo pilastro, la quale reca su un lato l’affresco della Madonna del Sabbiono (però in miniatura) e sull’altro lato una delle dodici croci di consacrazione all’atto di venire unta dal santo vescovo. La ritroviamo però per intero, la nostra chiesa, sullo sfondo della composizione. Ancora una volta non si tratta né di quella consacrata da San Carlo e nemmeno di quella del 1946, ma come simbolo di continuità tra passato e futuro, viene riportata sulla parete una vista d’assieme (oggi diremmo il “rendering”, benchè fuori prospettiva rispetto a pavimento e parete) dell’ambizioso progetto di ampliamento della nostra parrocchiale redatto nel 1942 dall’Ing. Ugo Zanchetta. Quel progetto prevedeva addirittura una cupola DELLA COMUNITÀ 4 novembre - San Carlo. È una ricorrenza particolarmente sentita in Diocesi e nella nostra parrocchia. Abbiamo colto quindi l’occasione per lasciarci guidare da una voce competente nella lettura del grande affresco del Santo presente nella nostra chiesa C 4 ottagonale, mai realizzata. Nel ’42 c’era la guerra, ora nel 1946, don Biagio Pagani evidentemente tornava ad accarezzare quell’idea mai abbandonata (si faccia ancora riferimento alla pag. 203 del testo citato). Un elemento apparentemente anomalo è rappresentato dai due chierici che, in bella vista nel dipinto, oppongono a un San Carlo ieratico, un apparente disinteresse in quanto ben evidentemente distratti ed impegnati tra loro in conversazione anche gestuale. In realtà nella pittura classica spessissimo il movimento delle figure ed il gioco degli sguardi divengono elementi di varianza nel dipinto e fonte di coinvolgimento e di curiosità da parte del pubblico. Non si intendano queste osservazioni come limiti al valore dell’opera; Giovanni (Vanni) Rossi fu artista precoce, pittore professionista prevalentemente di arte VITA sacra, insegnante di pittura alla Scuola Superiore di Arte Cristiana “Beato Angelico” di Milano. Tipicamente novecentista nello stile pittorico, è riconoscibile per il disegno netto, il tono vibrato e pulito. Scrisse di lui Aldo Carpi, maestro di pittura ed amico: ‘La tecnica necessaria al lavoro sul muro obbliga ad una parsimonia del colore... e questa parsimonia è entrata quale necessità nel suo spirito di pittore... egli non adopera mai più di quattro colori per dare forma alle figure che fa vivere sulle vaste malte delle pareti delle chiese’. E non più di quattro colori adopera il Pittore anche quando dipinge ad olio realizzando opere lontane dalla Consiglio Pastorale Parrocchiale a cura di Elisa Fiore Lunedì 20 settembre 2010 presso la Palazzina si è riunito il Consiglio Pastorale Parrocchiale. In questo incontro i consiglieri si sono interrogati a partire dal tema proposto dal nostro Arcivescovo all’inizio di questo nuovo anno pastorale con la lettera pastorale intitolata: “Santi per vocazione”. Nel precedente anno si è parlato di essere “Pietre vive” per indicare il nostro essere Chiesa, ma le pietre vive sono tali solo nella misura in cui sono “sante”. Il nostro Arcivescovo sottolinea che il grande e vero destino di tutti è la santità e che tutta la molteplice attività pastorale della Diocesi debba avere come sua linfa vitale la consapevolezza, lo slancio, la gioia del sentirsi quotidianamente chiamati alla santità. La lettera, che si apre con l’invito alla santità, quale espressione matura del cristianesimo sull’esempio di San Carlo, si sviluppa in quattro capitoli. Il primo “da Gerusalemme a Gerico” riprende la parabola del Buon Samaritano quale metafora del cammino nel mistero di Dio e nell’amore per il prossimo; gli altri tre, “San Carlo e la croce di Cristo”, “San Carlo e la santità della Chiesa” e “San Carlo e la vocazione del cristiano”, rileggono la parabola nella filigrana della vita e della santità del grande Borromeo e si chiudono ciascuno con proposte pastorali (“Va’, e anche tu fa così”) suggerite dall’Arcivescovo. I tratti fondamentali della spiritualità di San Carlo mettono in evidenza il suo amore e dedizione alla Chiesa, alla Chiesa concreta; il grande messaggio anche per la Chiesa di oggi è quello della missionarietà DELLA COMUNITÀ fragorosa pittura contemporanea, nelle quali ‘la luce si scompone per ricomporsi nell’aureola di Dio’, scrive Leonardo Borgese. Eccezion fatta per l’affresco di Santa Maria del Sabbiono, fondativo dell’identità della nostra chiesa locale, questo San Carlo è l’unico dipinto che riecheggia lo spirito particolare del luogo, seppur riconducendolo ad un grande ed universale santo quale fu il Borromeo. Il Papa stesso non ha mancato di sottolineare l’importanza di questo gigante della storia civile e religiosa, dedicandogli, nel IV centenario della canonizzazione, uno speciale messaggio indirizzato al nostro Arcivescovo. che non significa solo andare ovunque per annunciare e testimoniare il Vangelo, ma anche accogliere le persone che incontriamo o vengono a noi per i più diversi motivi. L’invito accolto dai consiglieri è quello di essere comunità cristiane che si lascino coinvolgere nello slancio missionario di annunciare l’amore di Dio per tutti attraverso parole e gesti di ascolto, dialogo, accoglienza e solidarietà. Ulteriori tratti della spiritualità di San Carlo, come il suo amore appassionato per il crocifisso e lo stile di sobrietà che lo caratterizzano, hanno stimolato il confronto e la riflessione dei membri del Consiglio. Aiutati dalla lettura di alcuni aspetti della vita di San Carlo, i consiglieri hanno cercato di capire meglio i valori e l’importanza del “lavorare insieme”. Inoltre, la lettura di alcuni punti delle linee guida del percorso pastorale di questo anno - il tema della carità, la pastorale vocazionale, la visita alle famiglie, la formazione di base dei laici e le tappe dell’iniziazione cristiana potrebbe essere motivo di confronto e di riflessione nei possibili incontri interparrocchiali, per evidenziare insieme i passi comuni per seguire in modo concreto le indicazioni del nostro Arcivescovo. 5 VITA Unitalsi Il cellulare che squilla in treno... a telefonata che non doveva arrivare, è arrivata. Stazione di Ventimiglia, ore 22.45, carrozza numero 11, scompartimento 8, treno L176 partito da Como alle 18, con destinazione Lourdes. Non sono molti i cellulari che squillano su questo treno. A quest’ora poi, proprio nessuno. Quello di Eleonora, 56 anni, moglie, madre e una figlia seduta al fianco, ha lanciato invece un trillo secco, uno solo. Poche parole, poi la voce di lei si è fatta subito strozzata, talmente strozzata che una delle due anziane signore che le siedono di fronte corre a chiamare un barelliere. “È successo qualcosa a Eleonora”, dice con la voce tremante e concitata, ma sottovoce, per paura che altri la possano sentire. Passano pochi minuti e quel qualcosa si tinge, oltre che di mistero, anche di angoscia. Prima un andirivieni nervoso di gente, poi dalla carrozza 7, quella dove stanno le cuccette della direzione del pellegrinaggio, parte una telefonata perentoria: “Treno L176. Qui treno L176. Arriviamo a Lourdes domani mattina tra le 10.30 e le 11. Servono, urgeni, due posti sul primo aereo che torna a Milano”. Un lungo silenzio. Occhi che si guardano preoccupati, altri andirivieni nervosi, poi dall’altro lato del filo inizia la spunta degli aerei in partenza la mattina. Il primo aereo, con decollo alle 10.30... completo. Il secondo, alle 10.40... completo. Il terzo, 10.55... stracolmo. Il quarto, 11.10, diretto a Varsavia con scalo a Milano... completo. Poi un Berlino, due Madrid, un Roma... tutte rotte inutili. Ancora un lungo, interminabile silenzio. “Alle 12 e 15 parte un Milano - dicono finalmente all’aeroporto - ma di posti liberi ne ha uno solo”. “Va bene il 12 e 15, bloccate due posti”. “Ma il posto disponibile è uno solo!”, ripetono dall’altra parte. “Va bene. Per ora va bene un posto. Confermato. L 6 DELLA COMUNITÀ Tra un minuto comunichiamo tutti i dati”. Altre telefonate convulse, altri cellulari che squillano, ancora un correre avanti e indietro dallo scompartimento, poi i posti liberi sul 12 e 15 diventano improvvisamente due. Il treno è appena entrato in terra francese. Quasi nessuno si è accorto di quello che sta succedendo, soprattutto nessuno ha saputo il contenuto della prima telefonata arrivata sul treno L176, mentre il locomotore, siglato Fs, si staccava dal convoglio e i ferrovieri agganciavano una motrice targata Sncf. Eleonora chiude con un colpo secco la porta della cuccetta e si abbandona sul materasso rigido, piangendo, stringendosi al petto la figlia in lacrime. A 400 chilometri, suo figlio, Francesco, 26 anni, con la giovane moglie, Sandra, seduta al fianco, ha negli occhi lo stesso terrore e nel cuore la stessa disperata angoscia. Tiene in mano un foglio, appena ritirato dall’ospedale, pieno di sigle incomprensibili e numeri senza senso. Negli occhi l’immagine sfuocata del medico che gli parla e nella mente il ripetersi continuo dell’ultima frase pronunciata da quel camice bianco, che lui non aveva proprio mai visto: “Dobbiamo operarla entro questa settimana”. Era un’analisi di routine, quella di cui era andato a ritirare gli esiti Francesco. Quello che lo aspetta ora è l’ignoto. (continua) “Per me, Lourdes è tutto. La Madonna è ovunque, ma a Lourdes si sente. Mi si accappona la pelle, anche solo a parlarne” (Isa, Varese). AZIONE CATTOLICA InformACI “...L’educazione è una scelta di speranza che investe sulla libertà della persona...” Una questione di educazione Educare è, infatti, un’opera che non si avvale solo delle competenze umane, ma richiede innanzitutto una sconfinata fiducia in Dio e nella sua opera educativa. Chi ama educa, perché è l’amore di Dio che non smette mai di sostenere la vita e di alimentare e plasmare il cuore di ogni uomo. L’educazione è, prima di tutto e fondamentalmente, una scelta di speranza che investe sulla libertà della persona, una scelta operata da testimoni e maestri di Maria Rosaria Corti capaci di scorgere in ogni essere umano la scintilla di Dio. È una risposta del cuore animata da una profonda li orientamenti pastorali della Chiesa italiana passione per l’uomo, ed è un’impresa comunitaria che per il prossimo decennio avranno come tema: passa per uno scambio affettuoso tra generazioni. l’EDUCAZIONE. Vien subito da chiedersi il È da tener presente che l’impegno educativo è frutto di perché di tale scelta. relazione prima ancora che di competenza, tecnica, Una risposta potremmo trovarla nel lavoro svolto dal metodo. Comitato per il progetto culturale della Chiesa italiana, L’educatore, inoltre, è colui che sa aiutare le persone a dove si legge: “Per le società del passato, l’educazione crescere nel tempo e che rispetta i tempi della crescita, era un compito largamente condiviso; per la nostra, proprio perché la vita di coloro che gli sono affidati è essa sta diventando soprattutto una sfida. una continua sorpresa e un continuo svilupparsi”. Se fino a ieri sembrava quasi scontato che una E quale potrebbe essere il contributo dell’Azione generazione dovesse farsi carico dell’educazione dei Cattolica nella questione educativa? nuovi venuti, secondo la tradizione ereditata dai padri, Secondo Miano, “sarà senz’altro significativo, in oggi la nostra società ha come abdicato al suo compito quanto l’AC ha sempre posto il tema dell’educazione educativo. al centro del suo percorso associativo e tanti laici Viviamo in una società dove sembra che tutto sia credenti, così come molti cittadini impegnati in possibile indifferentemente; dove qualsiasi idea o stile politica oggi come ieri, si sono formati alla scuola di vita sembra avere lo stesso valore; dove il potere dell’AC. dell’apparato tecnico-economico sembra volersi Si tratta di rilanciare la proposta educativa dell’AC, emancipare da ogni istanza umana; dove i desideri rileggendola alla luce delle emergenze dell’oggi che sembrano diventare diritti e l’estetica sembra prendere richiedono di mettere al centro una proposta integrale il posto dell’etica. Da qui l’urgenza di una nuova per la persona, capace di coniugare adeguatamente riflessione sull’uomo e sulla sua dignità”. tutte le dimensioni della vita. E’ vero, come scrive Paola Bignardi, ex presidente La proposta educativa dell’AC non è asettica, neutrale, nazionale di Azione Cattolica, che “l’educazione è una ma ha un orientamento preciso, una sua bussola: crede questione delicata, perché riguarda la vita dei più che al cuore della vita vi sia l’incontro con Gesù, giovani e la loro possibilità di scoprire il valore della quell’incontro che cambia l’esistenza e la orienta, vita e di muoversi in essa con dignità, con gusto, con le dà senso. responsabilità. Quella relazione piena da cui si parte e sempre si È questione che riguarda il futuro della famiglia, la riparte, che esprime un di più di vita, un’apertura senza qualità umana del mondo di domani e la fisionomia limiti, un orizzonte sempre nuovo. civile della società di cui siamo parte”. L’invito del Signore, ‘Voi siete la luce del mondo’, che Che fare dunque? Come svolgere e a chi spetta questo abbiamo scelto come traccia del cammino che stiamo ‘impegno educativo’? compiendo, ci appare l’indicazione fondamentale per Può venirci in aiuto quanto ha scritto nel suo ultimo tradurre l’impegno educativo in una decisa opera di libro Franco Miano, ‘Chi ama educa’, attuale testimonianza e di assunzione di responsabilità, verso presidente nazionale di AC: “Chi ama, e solo chi ama, noi stessi, verso chi ci è affidato, verso i fratelli che educa veramente. L’educazione non può limitarsi alla Gesù ci pone accanto”. trasmissione di nozioni attraverso tecniche che E tutto si compia con gioia! mettano in campo delle, sia pur necessarie, Mettendo anche in conto le difficoltà, la tentazione di competenze psico-pedagogiche. rinuncia, qualche fallimento... G 7 GRUPPO MISSIONARIO Viaggio in terza classe (7) Una vita tra i Macua isaliamo in carrozza: le caldaie sono in pressione e il fumo si disperde ben augurante nel cielo azzurro. Si parte per il nuovo viaggio. Siamo diretti a Maùa in Mozambico, dove al tramonto scende il buio più cupo ed è subito Africa nera, ma all’alba il sole sale repentino e una luce sfolgorante ci permette di scorgere dai finestrini le donne che si recano al mulino a macinare il granoturco, gli uomini intenti a piantare i pali per una nuova costruzione e il viavai della gente che al mercato acquista o vende pesce secco, olio e scampoli coloratissimi. Siamo nel Niassa, regione a nord del Mozambico, a metà fra il lago Malawi e l’oceano Indiano. E’ la terra dei Macua, un popolo pacifico di 6 milioni di persone le cui tradizioni e la cui lingua sono rimaste quasi incontaminate. Arsiema spalanca i suoi occhioni riconoscendo suoni, odori e colori di casa; alla stazione scende dal treno per prima e corre incontro a Suor Caritas Barri, dal 1969 missionaria in Mozambico, paese indipendente dal 1975 ma in pace solo dal 1992 dopo 16 anni di guerra civile. Già a luglio Sr. Caritas ci aveva annunciato di essersi messa in viaggio con noi. Ecco che cosa ci scriveva da Maùa, la città in cui opera: R “Carissimo Gruppo Missionario: Pace e Bene a te e a tutto il popolo di Dio! Sono in partenza con la mia Comunità per Nampula, dove tutte le Missionarie della Consolata si troveranno per gli esercizi spirituali. Da tempo volevo mandarvi questo scritto perché anch’io come voi mi sono messa subito nel viaggio in terza classe, sentendo proprio il bisogno di conoscere da vicino i Missionari che come me sono partiti per terre lontane, ma siamo tutti Missionari, non è vero? La nostra congregazione si trova in una terra di ‘primo annuncio’; vi operano due sacerdoti, uno diocesano mozambicano e uno della Consolata, Padre Giuseppe Frizzi, capelli e barba bianca anzitempo, che ha conseguito il dottorato all’Università Urbaniana nel dicembre 2009 in Missiologia per gli studi straordinari sulla cultura Makua-Xirina ed ha anche tradotto la Bibbia in lingua Macua. A loro sono affidate 90 comunità cristiane sparse nella foresta, in un territorio che potrebbe essere paragonato a una diocesi. Il popolo è in maggioranza di religione musulmana o tradizionale. La prima cappella cristiana, qui nel 8 distretto di Maùa–sede, è sorta negli anni ’70, durante la caldissima rivoluzione rossa. Ma il piccolo gregge è aumentato, si celebra l’Eucaristia, vi è una partecipazione ecumenica in occasione dei funerali e per le festività. La mia comunità è composta da quattro suore: Sr. Gregoria che lavora a tempo pieno in ospedale, dispensa latte ai bambini malnutriti e riesce a seguire 8 ospedali rurali; Sr. Silveria che cura la promozione delle mamme in 28 centri sparsi nei villaggi e prepara le mamme stesse a “Celebrare la Parola”; Sr. Olimpia, mozambicana, che si impegna nella pastorale della gioventù; ed infine io, che mi occupo della pastorale presso la scuola, gli ammalati, le famiglie. Prego molto e dico alla Madonna di arrivare Lei dove io miserabile…”. E’ proprio così, più si è matita nelle mani di Dio, come diceva Madre Teresa, più ci si sente inadeguati. Sr. Caritas, a proposito della sua vocazione in una precedente intervista raccontava: “Nel luglio del 1960, all’età di 21 anni, ho lasciato la mia famiglia per entrare all’Istituto delle Missionarie della Consolata a Torino. Ringrazio il Signore per il grande dono di questa vocazione che mi ha messo in contatto con popoli di etnie diverse… Ho sperimentato come l’uomo, dovunque egli sia, qualunque sia il colore della pelle e qualunque sia la lingua, è sempre un fratello. Con un profondo senso di riconoscenza a Dio, posso dire che la mia è una famiglia veramente eccezionale. Siamo 12 fratelli, di cui 6 consacrati. I nostri genitori ci hanno cresciuti in un ambiente profondamente cristiano. Un vero dono di Dio che mi ha orientato alla Missione”. Suor Caritas continua a viaggiare con noi. Ci sprona un proverbio macua: “Nonostante il cammino sia tortuoso, se il cuore lo desidera, arriverà alla meta.” RACCONTI La mia prima classe di Arnaldo Giudici H o frequentato la prima elementare presso la scuola di Caccivio nell’anno scolastico 1938-39: quasi una vita fa. Quando, dopo tantissimo tempo, ho avuto tra le mani la foto della mia prima classe, è stato come spalancare una finestra in una giornata di vento: così, d’improvviso, sono stato investito dalla mia infanzia. Poi ho cominciato a guardare con calma quella foto e, aiutato dai ricordi, a “vedere” anche persone che nella foto non c’erano: prima fra tutte, è naturale, la nostra maestra. Si chiamava Lidia Strada che però non chiamavamo “maestra”, ma “signorina” e naturalmente le davamo del lei. Penso che avesse trovato il giusto equilibrio tra l’affettuosa comprensione della nostra vivacità e la severità (ma affettuosa anche quella!) nel farci conoscere i nostri doveri; a queste doti univa una grande pazienza e un’altrettanto grande umanità. Così eravamo orgogliosi per i suoi riconoscimenti di qualche nostro lavoro ben fatto e ci sentivamo coccolati dalle sue premure per la nostra salute, mentre non facevamo storie se, a volte, arrivava qualche scapaccione. Quelli erano tempi in cui tutti i genitori erano fermamente convinti che quando un bambino, col suo comportamento, chiedeva con insistenza una sberla, chiunque poteva sentirsi autorizzato dai suoi genitori ad accontentarlo. Eravamo in sessanta (la foto ne ritrae solo cinquantacinque) e imparavamo così a leggere, a scrivere e anche a stare un po’ fermi e ordinati. La foto lo conferma: sembriamo un po’ tesi davanti al fotografo che ogni tanto cacciava la testa sotto un tessuto nero mentre noi tenevamo d’occhio il piattino col magnesio per gustarci il lampo, ma le gambe dei bambini della prima fila, seduti alla turca, sembrano davvero una bella cornice. Per tornare alle punizioni e ai riconoscimenti, io mi ricordo bene CACCIVIESI di averli provati entrambi: in un dettato sulla lettera Q avevo scritto “quali” ma avevo dimenticato la “a”. Il risultato, non voluto ma veramente orribile, determinò una sberla data con sincera convinzione. In compenso quando una volta alla lavagna scrissi “marinaretti” senza fare errori, mi fece una carezza che somigliava a un abbraccio: era proprio contenta. La signorina Strada ci avrebbe accompagnato fino alla quinta, con l’eccezione della terza che venne divisa in due sezioni, maschile e femminile. Nell’estate del 1940, tra la seconda e la terza elementare avvenne un fatto che, oltre che interessare direttamente la nostra scuola, avrebbe segnato la nostra vita per molti anni: era iniziata la guerra. Iniziammo la terza (maschile) con un maestro che abitava a Lurate e si chiamava Dante Pini. Avevamo appena comiciato a conoscerci quando, finito il primo trimestre, ci salutò e partì con gli Alpini per il fronte. Finì in Russia e non l’avremmo più rivisto perché, come suo fratello, non tornò né si seppe più nulla: disperso! A sostituirlo venne un altro maestro che si chiamava Oscar Donati, veniva da Mozzate e ci insegnò anche un po’ di musica e alcune canzoni, ma alla fine del secondo trimestre partì anche lui per il fronte e andò in Libia. Non so se riuscì a tornare dal fronte. La signorina Invernizzi, di cui non ricordo la provenienza, concluse quel terribile anno. E noi, malgrado avessimo otto anni, alla guerra, ormai, ci avevamo fatto l’abitudine. Ancora due anni in classi promiscue con la signorina Strada e la mia scuola elementare finì. Andai a trovarla per portarle i confetti quando mi sposai: “Ciau, scularun!” mi disse, ma unite ai suoi occhi un po’ umidi quelle due parole furono il discorso più bello che potevo sentire. Anche quella volta era proprio contenta. 9 ESPERIENZE Dietro le quinte della musica tutto, l’uomo si chiama, o viene detto, Mao - non so, né saprò mai, se per via di Mao Tze Tung, o di che altro. Gli ospiti sono tutti musicisti. on molti saranno disposti a credere a quanto Dicevo della sistemazione. Viene gentilmente chiesto sto per raccontare, tanto sembra particolare e ad una pianista italiana, una concertista già nota al forse inventato. Non è così. Le esperienze pubblico, se può ospitarmi nella sua camera, l’unica possono essere grandi o piccole, gioiose o con un letto ancora disponibile. Cortesemente accetta, tristi, programmate o no, spesso inaspettate e magari anzi, sembra contenta di avere compagnia. Nella incredibili, oppure date per scontate o forse nemmeno piccola camera, proprio di fianco al mio letto, c’è un recepite come tali; però sono loro, tutte, che ci hanno pianoforte. “Deve esercitarsi”, mi dico, “troverò da costruito così come siamo. Tutto nella vita è qualche parte un angolo dove stare. E poi c’è Siena da esperienza, anche se noi siamo abituati a separare i rivedere anche cento volte, ricca com’è di infinite cose fatti più particolari, specialmente quelli che pensiamo preziose”. abbiano lasciato un segno, un ricordo, piacevole o Ma non tutto è così liscio come può sembrare. meno... La moglie di Mao mi dice, con la dovuta discrezione, E allora racconterò brevemente questa piccola e forse, che la mia compagna di camera, nei periodi di stress almeno per me, strana esperienza, vissuta parecchi anni come questo, soffre di incubi notturni e grida con voce fa, che mi ha catapultato in un mondo che altrimenti strozzata, lì, seduta sul letto, addormentata… ma che mi sarebbe stato per sempre sconosciuto: il complesso con tre o quattro colpi secchi sulla schiena tutto va a mondo della musica, non però quello della musica posto. La cosa non mi impressiona, non è poi un gran fruita e goduta tramite concerti, o dischi, o anche i più guaio. Ma la prima notte non riesco a dormire in attesa diversi aggeggi tecnologici che oggi vanno per la dell’evento che avviene verso le due. Tre colpi sulla maggiore; ma quel mondo così schiena e… diamine, è vero, si particolare degli artisti, avvicinati e rilassa subito come se nulla fosse… conosciuti non nel momento Quanti altri avranno avuto trionfale delle esibizioni, ma in l’occasione di essere autorizzati ad quello individuale, personalissimo, assestare colpi convinti sulla schiena faticoso, forse tormentato e di certo di una nota concertista, sia pure per cruciale, dello studio e della il suo bene? creazione. Gli ospiti A Siena, come un pesce fuor I musicisti ospiti di questa pensione d’acqua saranno una quindicina, quasi tutti Una mia amica è a Siena per giovani, di tante nazionalità diverse, frequentare i Corsi di diverse sono le lingue, diversissimi Perfezionamento dell’Accademia gli strumenti musicali. Quando Musicale Chigiana. Quale occasione siamo a tavola tutti insieme (una migliore per fare una capatina in grande tavola ovale in un grande questa città, sempre bella, sempre stanzone su cui si aprono molte nuova, sempre affascinante? porte) ognuno parla nella sua lingua Sorprendente è la sistemazione che eppure tutti si capiscono senza mi viene assegnata in una curiosa difficoltà... filippini, giapponesi, pensione a conduzione famigliare. canadesi, australiani, italiani, Una coppia di mezza età gestisce il La sede dell’Accademia americani, svedesi... sarà perché di Camilla Giudici N 10 ESPERIENZE parlano di musica e la musica è un linguaggio universale. Io sono ovviamente tagliata fuori da ogni conversazione che non sia aiutata dalla mimica, ma mi piace ascoltarli nelle loro cadenze e soprattutto osservarli. Intanto mangio con il gusto dell’affamata la solita frittata con le cipolle che sembra essere il cibo privilegiato della cucina di Mao. Avvolta nella musica “Non c’è orario per gli artisti”, mi è stato detto all’arrivo: “suonano quando hanno l’ispirazione, 24 ore su 24”. Ad ogni ora del giorno e della notte (non capita mai che i musicisti siano tutti insieme ai Corsi della Chigiana), c’è sempre qualcuno che canta o che suona: chitarra, clarinetto, contrabbasso, flauto, oboe, violino, viola, violoncello… Non mi disturbano, anzi, suonano magnificamente, sono artisti, mica roba da poco… E poi il suono mi arriva come da lontano, leggermente ovattato, ognuno suona nella sua camera, con la porta appena socchiusa… Mi sento una privilegiata: sono qui, letteralmente avvolta nella musica, in mezzo a musicisti che non avrei mai immaginato di incontrare. Anche passeggiando per le strade di Siena, dalle finestre aperte arriva sempre musica… “Non c’è orario per gli artisti, suonano quando hanno l’ispirazione…”. Alla mia compagna di camera una violentissima incontenibile ispirazione è arrivata una notte alle tre. Sotto le sue agili dita, il pianoforte si è messo improvvisamente a suonare ad un metro dalle mie orecchie… Dormivo profondamente, cullata dai suoni lontani, ed eccomi qui, svegliata di soprassalto, stralunata per il sonno bruscamente interrotto, tuttavia forse testimone di una nuova creazione, o di una nuova interpretazione musicale, o di una lunga esercitazione notturna… Il susseguirsi velocissimo del battere sui tasti non conosce sosta, la pianista mi sembra in trance, si ferma soltanto per ripetere ed interpretare in modo diverso un passaggio… Sono incantata, mi è passato anche il sonno, mi siedo sulla sponda del letto per il piacere di osservare lo scorrere e il sovrapporsi delle mani e lo scattante movimento delle dita, e vorrei che non finisse mai… Ma dopo un paio d’ore, la pianista termina di lavorare sul suo pezzo esibendo come finale un’incredibile cascata di note, si rimette a letto senza dire nulla e si addormenta di colpo. A cena, in Piazza del Campo Questa sera si cena fuori. Siamo in quattro, la mia amica, la sua insegnante di piano, il Prof. A., uno dei celeberrimi docenti dell’Accademia, ed infine io, seduti ad un tavolo all’esterno di un ristorante in Piazza del Campo. Con mia sorpresa non si parla di musica. Nemmeno di Siena si parla, tanto sta lì, stupendamente rappresentata dalla Piazza che, prima goduta nell’ora fatata del tramonto, è ormai stata assorbita dalla notte. Si parla di un po’ di tutto, passando da un argomento all’altro, non manca la battuta divertente, la risata rilassante, il Prof. A. si lascia andare a raccontare episodi di eccezionali esperienze paranormali capitategli spesso, essendo amico di un sensitivo di fama internazionale. Nasce qualche brivido, e ognuno di noi si lancia a raccontare, colorando le parole con un’enfasi sempre in crescendo, qualche fatto inspiegabile occorso nella sua vita. Pur nella diversità dei fatti narrati, la complicità che si è creata tra noi li compatta tutti in una specie di misterioso interrogativo. Crederci? Non crederci? E anche questa volta si finisce, come conclusione concordemente accettata, col citare la famosa frase di Amleto, di certo vera ma ormai inflazionata: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia”. Una bella serata insomma, tra persone così totalmente diverse eppure, in fondo, così semplicemente uguali. La Torre del Mangia, all’altro lato della Piazza, si è accaparrata una luna piena da cartolina. Pian piano scivoliamo nel silenzio. Sono certa che ora i nostri pensieri stanno riprendendo le differenti vie della realtà concreta di domani che è già molto vicino. L’anno prima… L’anno prima, durante una delle solite vacanze vagabonde in quella Toscana così ricca di tutto, eravamo andate, una mia amica ed io, a Cetona, non lontana da Chiusi. A Chiusi e circondario avevamo visto tutto quello che c’era da vedere, ma a Cetona andavamo soltanto per vedere la Collegiata con un affresco attribuito al Pinturicchio. Le grotte e gli insediamenti preistorici sulla collina erano fuori dai nostri programmi per mancanza di tempo: saremmo partite il giorno dopo per Arezzo, ed era già sera. Ma non poteva mancarci una sorpresa, quasi un addio: sulla porta della Collegiata vediamo affisso un manifesto col programma di un concerto di musica sacra dell’Accademia Chigiana, proprio oggi, ore 18:00. Entriamo silenziosamente a concerto iniziato, e siamo subito prese dalla bellezza dei pezzi musicali e dalla stupenda esecuzione. La musica sembra andare davvero oltre, in un trascinante salire, oltre la volta della chiesa. L’emozione è grande… È in questo modo quasi sublime che l’Accademia Chigiana è entrata nella mia vita. 11 CATECHESI - La Santa Messa - La liturgia eucaristica(2) di don Pierpaolo ontinuiamo la presentazione della liturgia eucaristica, strutturata in tre momenti che riprendono i gesti e le parole di Gesù nell’ultima cena: la preparazione dei doni corrisponde al gesto del Signore che prese tra le mani il pane e il calice; la preghiera eucaristica ripropone il rendimento di grazie (o la benedizione) che Gesù pronunciò sul pane e sul calice; i riti di comunione riprendono i gesti con cui il pane fu dato ai discepoli e il calice fatto girare tra di loro. Dopo aver considerato la preparazione dei doni (cfr. Cammino di ottobre), ci accostiamo alla preghiera eucaristica, che rappresenta «il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione» e si configura come «preghiera di azione di grazie e di santificazione» (Principi e norme per l’uso del messale ambrosiano, n. 55). La prima qualifica – «preghiera di azione di grazie» – indica il genere letterario di questa preghiera: si tratta appunto di un’azione di grazie rivolta al Padre per l’opera di salvezza che ha il suo vertice nella Pasqua di Gesù. Parlando invece di preghiera di «santificazione» se ne indica il valore teologico, cioè l’effetto che essa realizza: la santificazione del pane e del vino che diventano il corpo dato e il sangue versato del Signore (cioè la presenza del suo sacrificio pasquale), in vista della santificazione di coloro che si nutrono di quei cibi. La preghiera eucaristica è dunque una preghiera efficace: ciò per cui si rende grazie (la Pasqua di Gesù) diviene effettivamente presente in modo sacramentale. Può essere opportuno sottolineare che tutta la preghiera eucaristica, dall’inizio (il saluto del celebrante che apre il prefazio) alla fine («per C 12 Cristo, con Cristo e in Cristo…»), ha efficacia santificatrice (o consacratoria). In altre parole: la santificazione (o consacrazione) del pane e del vino è realizzata da tutta la preghiera eucaristica, non solo dalle parole dell’istituzione. Certo, quelle parole sono indispensabili, in quanto conferiscono all’insieme della preghiera la sua forza di santificazione, al punto che – in assenza di esse – non ci sarebbe la consacrazione. D’altra parte, però, le parole dell’istituzione non vanno isolate, quasi fossero una specie di formula magica. Da sempre la recita della preghiera eucaristica è riservata al vescovo e al sacerdote che presiedono (e ad altri eventuali sacerdoti concelebranti), la cui presenza è necessaria perché si possa celebrare l’eucaristia. Una presenza – quella del vescovo e/o del prete – che dice come la messa non sia qualcosa che la comunità «produce» da sé, bensì dono che essa riceve da Cristo, il quale è personalmente all’opera nell’azione dell’assemblea che celebra sotto la presidenza del ministro ordinato. Il ruolo dell’assemblea, in effetti, non è dimenticato, dato che il sacerdote associa a sé il popolo, che interviene in alcuni momenti della preghiera: il dialogo del prefazio, il canto del Santo, l’acclamazione dopo la consacrazione («mistero della fede»), l’Amen finale. D’altra parte anche il silenzio orante è un modo per partecipare alla proclamazione della preghiera eucaristica. Oltre che nei racconti dell’istituzione – dove si ricorda che Gesù «benedisse» il pane e il calice (Marco e Matteo) oppure «rese grazie» su di essi (Paolo e Luca) – la presenza di una preghiera di rendimento di grazie è documentata da testimonianze molto antiche. Attorno all’anno 153, san Giustino, parlando degli usi della Chiesa di Roma, dichiara che tale preghiera era innalzata da colui che presiedeva «secondo le sue capacità»: ciò significa che il celebrante non leggeva un testo scritto, come facciamo noi oggi, ma improvvisava, molto probabilmente seguendo un canovaccio prefissato. E già allora il popolo alla fine si univa alla preghiera con l’acclamazione ‘Amen’. I secoli dal III al VI conoscono un’abbondante produzione di testi che via via vengono fissati per iscritto. A partire dai secoli VII-VIII, le Chiese dell’Occidente tendono ad adottare il cosiddetto «canone romano» che, col secolo XI, resterà l’unica preghiera eucaristica utilizzata in Occidente fino al Concilio Vaticano II. Per volere di Paolo VI, nel Rito della Messa riformato (1970), a questo testo ne vengono affiancati altri tre, cui se ne aggiungono altri ancora negli anni successivi, fino ad arrivare ad una quindicina di testi utilizzabili a seconda delle diverse circostanze. FAMIGLIA Questione di stili Il gruppo familiare di Claudia Imperiali Q Gerusalemme”: questo è il tema che la parrocchia SS. Annunciata di Caccivio propone durante l’anno per accompagnare il cammino familiare. Il tema di quest’anno propone una verifica coraggiosa sugli “stili di vita” che caratterizzano i nostri vissuti personali, familiari e delle nostre comunità, sottolineando che una testimonianza credibile del Vangelo oggi non può prescindere da scelte concrete di “sobrietà” che aprono la strada alla “solidarietà”, attraverso: - proposte di formazione e spiritualità in grado di sostenere il cammino di fede dei laici come sposi (in particolare curando il “dialogo di coppia”) e aiutarli nel loro ruolo di genitori e di educatori; - la cura della dimensione familiare, valorizzando la presenza dei figli, per proporre un dialogo educativo attorno a temi riguardanti la fede e la vita quotidiana. ualcuno avrà sicuramente sentito parlare di “gruppo familiare”; è quindi opportuno presentare in modo più completo questa iniziativa. Cos’è - Il gruppo familiare è un gruppo di sposi cristiani, membri della comunità parrocchiale, che si aiutano a vivere la propria realtà familiare alla luce della parola di Dio. È un gruppo aperto, che non ha la pretesa di esaurire in se stesso la formazione, ma rimanda costantemente le persone a vivere la loro relazione di coppia nelle situazioni concrete della vita quotidiana e stimola ad inserirsi sempre più consapevolmente nell’unica Chiesa. Proprio perché gli scopi dei gruppi familiari riguardano le famiglie cristiane in quanto fondate sul sacramento del matrimonio, la proposta è destinata a tutte le famiglie della comunità parrocchiale, di tutte le fasce sociali e culturali, superando ogni visione elitaria di questa esperienza. L’invito a partecipare è rivolto alla coppia e non a un solo suo componente, anche se la risposta rimane personale ed è quindi possibile che nei gruppi ci sia la presenza anche di uno solo dei due coniugi. Questa è la fisionomia dei gruppi familiari e del gruppo familiare della nostra parrocchia che ha già iniziato il suo cammino domenica 31 ottobre con il primo incontro unitario a cui hanno partecipato più di 20 famiglie. Abbiamo partecipato alla S. Messa e poi in oratorio ci siamo ritrovati tutti insieme per ripartire (o partire, c’erano infatti alcune coppie nuove!). La riflessione iniziale è stata guidata da don Pierpaolo, poi il silenzio personale, il confronto a coppie e lo scambio nei gruppi. La fraternità è continuata con il pranzo insieme ai figli più o meno grandi e la preghiera conclusiva. Qualche ora quindi da dedicare a noi stessi e alla nostra famiglia, ma insieme ad altre famiglie! Il tema dell’anno - “Questione di stili - Percorsi di sobrietà e solidarietà familiare da Gerico a Gli incontri - I prossimi appuntamenti del gruppo famigliare sono nelle date sotto elencate; la stessa proposta viene fatta sia al sabato sera che alla domenica mattina in modo da poter dare la possibilità di partecipare a più famiglie: - 27/28 novembre 2010; - 22/23 gennaio 2011; - 26/27 marzo 2011; - 21/22 maggio 2011. Il programma di massima degli incontri è sempre il medesimo: il sabato alle ore 18.00 o la domenica alle ore 10.00 si vive comunitariamente la S. Messa in chiesa parrocchiale; a seguire - ore 18.45 del sabato o le 10.45 della domenica - riflessione proposta dal sacerdote, del singolo, della coppia e in gruppo, quindi cena o pranzo e preghiera conclusiva. Ulteriori proposte - Altri appuntamenti durante l’anno: - dal 2 all’8 gennaio 2011: vacanza invernale ad Oga; - 30 gennaio 2011: festa della Sacra Famiglia con pranzo e giochi in oratorio; - 19 giugno 2011: giornata di spiritualità familiare decanale. 13 ...AL FEMMINILE Da intervistatrice a intervistata di Chiara Angelini, Giulia Folci e Francesca Piatti uesto mese abbiamo deciso di occuparci di un tema molto attuale: il giornalismo. Per avvicinarci e comprendere meglio questa professione, sempre più messa in discussione e criticata dall’opinione pubblica, ci siamo rivolte a chi la giornalista lo fa per lavoro: Micaela Terzi, giovane originaria di Caccivio, che ci ha raccontato con entusiasmo il suo mondo. Dove lavori? Che tipo di articoli scrivi? Nel 2007 ho aperto una società, Urbano Creativo, che si occupa di Marketing Territoriale e Comunicazione Ambientale. Sono Direttore Responsabile del magazine on line www.urbanocreativo.it, dove pubblichiamo articoli, videointerviste, dossier e approfondimenti sullo sviluppo sostenibile e la qualità della vita. Inoltre, la nostra agenzia sviluppa progetti su queste stesse tematiche, con l’obiettivo di aiutare le amministrazioni e le aziende private a gestire le trasformazioni urbane. Hai sempre pensato di fare la giornalista? Alle elementari la mia maestra ci ha fatto provare a scrivere un articolo di cronaca, e io ho parlato di mia cugina, che era stata investita da un motorino in piazza a Caccivio! Ma anche se avevo preso un bel voto non pensavo alla professione di giornalista… L’idea è venuta più avanti. Mi piaceva scrivere, cercavo un lavoro, e stavano aprendo un nuovo giornale a Como. Mi sono proposta, ho fatto qualche articolo di prova e poi da lì non mi sono più fermata. Cosa ami della tua professione? In particolare mi piace il lavoro redazionale. Più di tutto mi piace scrivere, per questo nella mia “carriera” Q 14 non ho mai avuto problemi a occuparmi di argomenti diversi: cronaca, economia, cultura, sport, tematiche ambientali... Quello che mi diverte e mi stimola di più è trovarmi davanti alla pagina bianca e iniziare subito a buttare giù qualche riga. Quali sono le prospettive di un giovane che vuole intraprendere la carriera di giornalista? Da un punto di vista puramente “pratico” il giornalismo oggi non è diverso dalle altre professioni. Praticamente non esiste il posto fisso, si guadagna poco, spesso si viene sfruttati non solo quando si è alle prime armi, ma anche quando si sono fatti anni di gavetta e si è diventati già professionisti. Ci sono tantissimi giovani che vogliono intraprendere questa carriera e quindi la concorrenza è forte. Se uno vuole fare veramente questo lavoro deve darsi da fare, proporre qualcosa di nuovo: aprire un blog per iniziare a scrivere e farsi notare. Fare tantissima pratica proponendosi inizialmente a piccole redazioni, dove si ha la possibilità di imparare moltissimo. Ogni occasione che capita è un’opportunità per imparare e migliorarsi, e va colta con umiltà e voglia di fare. La professionalità dei giornalisti sta diminuendo? Non mi piace fare “di tutta l’erba un fascio”. Ci sono bravi giornalisti e cattivi giornalisti. Certo è che i giornali e i media hanno un gran potere, e secondo me è indice di professionalità saperlo usare al meglio e per il meglio. Bisognerebbe raccontare i fatti, non commentarli. Alcuni manipolano le notizie per influenzare l’opinione pubblica, ma c’è anche chi sa fare bene il proprio lavoro. Purtroppo l’idea generale è che i giornalisti scrivano solo quello che vogliono e stravolgano i fatti. Io ne conosco tanti che scrivono quello che succede veramente. Nessuno legge più i quotidiani... Mi preoccupa il fatto che non si legge molto, in generale. Bisognerebbe leggere i giornali, ma anche dei buoni libri. Documentarsi, ascoltare con curiosità e con capacità critica quello che ci propina la tv e anche internet. Dedicare del tempo a farsi una propria opinione sulle cose che ci succedono intorno. Invece di prendere tutto per buono. E della libertà di stampa ai giorni nostri? È davvero rispettata come diritto? Accidenti, qui ci addentriamo in un campo spinato. Secondo la graduatoria della libertà di stampa nel mondo, redatta da Reporters Sans Frontieres, l’Italia nel 2009 si è classificata al 49° posto su 175 Paesi. Nel 2008 era al 44° e nel 2007 era al 35°. Come siamo messi secondo voi? STORIE Fermata: Viale Romagna di Marta Zanella aria tiepida della sera, fuori dalla norma per essere l’inizio di novembre, riempie di universitari fumatori il marciapiede fuori dal Matricola. Via Romagna angolo via Pascoli: uno dei pub più gettonati del quartiere Città Studi è anche la meta di Badanu, che scende dalla 90 con il suo mazzo di rose in braccio e la macchina fotografica al collo e nel buio si avvicina ai ragazzi che chiacchierano animatamente. Badanu viene dal Bangladesh, ha 33 anni e da tre vive a Milano. In Italia era arrivato un anno prima, via mare direttamente a Lampedusa. Da là poi è passato da Crotone e infine a Roma. Nella Città Eterna ha vissuto per un anno sopravvivendo come imbianchino, muratore, venditore ambulante. La scelta di spostarsi a Milano l’ha fatta perché qui lo aspettavano dei cugini, con cui oggi vive in un palazzo di viale Monza. Qui, privo di documenti, ha sempre venduto rose, macinando ogni sera una tutt’altro che romantica maratona tra cinema, teatri e locali alla moda. Soldi a fine giornata, quanti ne bastano per sopravvivere. Insufficienti, però, a ricongiungersi con moglie e figlia, abbandonate a 20 ore di aereo da qui. La vendita ambulante di rose nelle città italiane è un fenomeno «etnico» degli ultimi anni. Il commercio è in mano alla comunità del Bangladesh, i venditori bengalesi sono centinaia e nessuno lo fa per vocazione. Piuttosto, per vendere una rosa non occorre sapere l’italiano o avere in tasca un contratto di assunzione. E soprattutto, con o senza documenti, non rischi di finire in carcere. Le rose, insomma, sono la perfetta «sala d’attesa», prima di un lavoro vero e di documenti in regola. Badanu gira tra i ragazzi, prova a vendere le rose, ma nessuno ha intenzione di fare il romantico. Qualcuno è gentile, scambia qualche parola, un paio di ragazzi gli chiedono qualcosa di sé, gli offrono anche una birra. Ma lui non ha il tempo di fermarsi, e poi non beve alcol. «A fare questo lavoro non si guadagna», si lamenta con i due. «Puoi portare a casa da 0 a 20 euro a sera. Poco il lunedì, meglio il fine settimana». I venditori comprano le rose la mattina, in enormi mazzi, ai mercati generali floricoli, al prezzo L’ all’ingrosso: 30 centesimi a fiore. Rivendendo a uno o due euro ogni stelo, il margine di guadagno è alto. Ma non è detto che si riesca a vendere. Per cinque euro si offre anche di fare una foto con la macchina istantanea giapponese che ha al collo. Qualche suo collega, racconta, va a lavorare anche nei night club per cercare di guadagnare di più: «Mi dicono che a volte capita che un cliente compri un intero mazzo di rose per una ragazza, e in cambio gli dia cento euro. Chi va in quei posti ha tanti soldi. Ma a me non piace quell’ambiente, mi sembra poco pulito e io voglio fare un lavoro onesto, anche se è più dura». Badanu vive al terzo piano di una casa di ringhiera in zona viale Monza, a nord della città, in uno dei tanti appartamenti-dormitorio degli immigrati. Nei 60 metri quadri vivono in otto, tra cui due cugini del nostro amico. Nella grande cucina un divano malandato, odore intenso di spezie, una televisione trasmette danze e musiche del Bangladesh e, sul tavolo, un pacco di carta igienica e mazzi di mimose pronti per la vendita. Neanche una donna in giro. Nello sgabuzzino ecco le rose pronte per la vendita, a mazzi, tra le scope e i secchi per le pulizie. Loro arrivano tutti dalla regione del Madaripur, un distretto agricolo tradizionalmente coltivato a riso. Lì oltre il 90% della popolazione è musulmana, la parte restante è hindu. Ai gravi problemi di povertà rurale si aggiungono gravi episodi di discriminazione femminile. In più la regione raccoglie le famiglie più numerose del paese: la media è di 7-8 componenti per nucleo familiare, ma ci sono anche quelle in cui, alla stessa tavola, ci mangiano in 25. E partire, soprattutto per chi è istruito, è l’unica possibilità per una vita migliore. Si parte per il Medio Oriente, in primo luogo l’Arabia Saudita, o per l’Asia orientale. E solo le briciole, l’1% degli emigrati, si muove verso i Paesi occidentali come l’Italia. Con la piccola grande speranza, come quella che porta in giro ogni sera Badanu, di sopravvivere in modo un po’ più dignitoso. Perché la vita non è sempre rose e fiori. 15 COMUNITÀ BÊT MIRJAM “T” come Tenerezza a cura della Comunità Bêt Mirjam asciamo la parola, per questo mese, a due voci distinte e significative che parlano del tema della tenerezza, il cardinale Martini e un brano del “Piccolo Principe” di Saint-Exupéry. L «Tenerezza è amore rispettoso, delicato, concreto, attento, festoso. Tenerezza è amore sensibile, aperto alla reciprocità, non cupido, non pretenzioso, non possessivo, ma forte della sua debolezza, efficace e vittorioso, disarmato e disarmante. È vero, sono aggettivi che accostiamo l’uno all’altro perché ci rendiamo conto che è difficile definire la tenerezza pur se intuiamo che cosa sia e che è importante, è un po’ l’ingrediente di tutta la comunicazione umana. Se l’idea che abbiamo di Dio è di un Dio violento che impone il suo volere come legge inesorabile, non potremo mai comprendere la tenerezza e tanto meno viverla sia nel rapporto con Dio sia nel rapporto con gli altri e non potremo capire le figure che più risplendono della tenerezza di Dio, come Maria, Gesù, il bambino. La tenerezza comporta disciplina, anche del corpo: disciplina degli occhi, del cuore, rinuncia all’avidità sensuale. La tenerezza comporta il coraggio di fare piccoli passi e piccoli investimenti affettivi (un sorriso, una parola, un grazie, un augurio a tempo debito, una frase: “eccoti il giornale… ti faccio il caffè… ti cedo il programma televisivo”). È la sapienza dei gesti discreti che costituiscono il tessuto della vita 16 quotidiana; è la saggezza e il coraggio di prevenire con un gesto con un gesto affettivo che è sempre un piccolo rischio, perché non sappiamo se troverà nervosismo o gradimento. La tenerezza richiede la contemplazione, il silenzio, che sono esperienze del rispetto di Dio, del rispetto della natura, delle cose. Di questa contemplazione si nutre la tenerezza». (“Dizionario spirituale”, Carlo M. Martini, PIEMME, 1997; i corsivi sono nostri). «Io conosco un pianeta su cui c’è un dottor Chermisi. Non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella. Non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete come te: ‘Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio!’, e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo, è un fungo! (...) Il piccolo principe adesso era bianco di collera. “Da migliaia di anni i fiori fabbricano le spine. Da migliaia di anni le pecore mangiano tuttavia i fiori. E non è una cosa seria cercare di capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente? Non è importante la guerra fra pecore e fiori? Non è più serio e più importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio pianeta, e che una piccola pecora può distruggere di colpo, così, un mattino, senza rendersi conto di quello che fa, non è importante questo!” Arrossì, poi riprese: “Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: il mio fiore è là in qualche luogo. Ma se la pecora mangia il fiore, è come se per lui, tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero! E non è importante questo!” Non poté proseguire. Scoppio bruscamente in singhiozzi. Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c’era un piccolo principe da consolare. Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo: “Il fiore che tu ami non è in pericolo… Disegnerò una museruola per la tua pecora… e una corazza per il tuo fiore… Io…”. Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo… Il paese delle lacrime è misterioso». (“Il Piccolo Principe”, Antoine de Saint-Exupéry). NOI Il volontario L.I.L.T. di Riccardo Piatti I.L.T., cioè Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. “Ho voluto dedicare del tempo a questa causa perché me la sentivo dentro”. È con queste parole che Anna Gargano, conosciuta maestra di scuola elementare di Lurate Caccivio, spiega i motivi che l’hanno portata a impegnarsi nella L.I.L.T. presso la delegazione di Appiano Gentile. Innanzitutto due parole su cosa è la LILT... La LILT è un Ente Pubblico su base associativa che opera sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, sotto la vigilanza del Ministero della Sanità e si articola in Comitati Regionali di Coordinamento. Opera senza fini di lucro e ha come compito istituzionale primario la prevenzione oncologica. L’impegno della LILT nella lotta contro i tumori si dispiega principalmente su tre fronti: la prevenzione primaria (stili e abitudini di vita), quella secondaria (promozione di una cultura della diagnosi precoce) e l’attenzione verso il malato, la sua famiglia, la riabilitazione e il reinserimento sociale. L’obiettivo della LILT è quello di costruire attorno al malato oncologico una rete di solidarietà, di sicurezza e di informazione. Per quanto riguarda l’ambulatorio di Appiano Gentile si effettuano visite senologiche, ginecologiche e dermatologiche. Ovviamente le visite sono effettuate da medici competenti e qualificati. Quando sei entrata a far parte di questa associazione e che ruolo ricopri? Sono entrata su invito di una mia amica che già era volontaria LILT. La mia disponibilità, al L. CI SIAMO momento, è come volontaria nei mercatini per raccogliere fondi e distribuire materiale informativo sulla prevenzione contro il tumore. Da circa tre anni inoltre faccio parte del direttivo della LILT della delegazione di Appiano Gentile che si riunisce ogni due mesi stilando un programma per il mese successivo, approvando il rendiconto e facendo proposte di iniziative volte a diffondere l’operato della LILT. Tra queste ci sono i mercatini per la raccolta fondi, attività di prevenzione contro il tabagismo e l’alcool nelle scuole medie e superiori. Come è l’organizzazione? Quando sono arrivata ho trovato una bella organizzazione e una presidente nella persona di Annamaria Pagani che gestisce con grande armonia e zelo una realtà così importante. Inoltre, ho potuto conoscere un mondo di volontari (circa trenta) che si adoperano per rendere il servizio efficiente, fra questi alcune persone sono di Lurate Caccivio e prestano la propria opera da più di vent’anni. Rispetto al loro, il mio contributo è minimo. Quali sono i compiti dei volontari? I volontari possono svolgere attività come infermieri se qualificati per farlo, aggiornamento cartelle, reception per prenotare le visite, diffusione materiale e raccolta fondi nei mercatini. Ci sono dei turni infrasettimanali da coprire. Vuoi fare un invito? Sì, la LILT ha sempre bisogno di volontari, pertanto invito tutti a farsi avanti e, se interessati, a contattare il numero 031/933954 in via Marconi 2/a ad Appiano Gentile. Obiettivo primario della LILT è la lotta contro i tumori, intesa in tutti i suoi aspetti. Prevenzione primaria: attraverso campagne informative, pubblicazioni di opuscoli, educazione sanitaria, interventi nelle scuole, eventi. Prevenzione secondaria: attraverso esami e controlli periodici presso gli ambulatori delle Sezioni Provinciali. Lotta al tabacco: attraverso la linea verde SOS LILT e con iniziative anti-fumo, campagne informative e corsi per smettere di fumare. Assistenza al paziente oncologico: attraverso una corretta informazione sulle cure, l’accompagnamento gratuito alle terapie, assistenza domiciliare medico-infermieristica, assistenza psico-fisica, collaborazione con gli Hospice. Ricerca: attraverso l’assegnazione di borse di studio per la ricerca di base e clinica, rivolte a giovani laureati. 17 PONTE FICI Giovanni Paolo I a cura di Stefano Ripamonti P apa Giovanni Paolo I, nato Albino Luciani (Forno di Canale, 17 ottobre 1912 – Città del Vaticano, 28 settembre 1978), è stato il 263° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica. Entrato nell’ottobre del 1923 nel Seminario Minore di Feltre e in seguito, nel 1928, in quello Maggiore di Belluno, fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1935 nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo in Belluno. Subito venne nominato Vicario cooperatore di Canale d’Agordo. Il 27 febbraio 1947 si laureò in Sacra Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e nel novembre dello stesso anno fu nominato Procancelliere vescovile della Diocesi di Belluno. A questi incarichi il 2 febbraio 1948 si aggiunsero anche quelli di Provicario Generale della Diocesi di Belluno e di Direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano. Durante le elezioni politiche italiane post-belliche del 1947 si schierò apertamente con la Democrazia Cristiana e contro i partiti di sinistra, descrivendo le idee marxiste come un “male terribile”, anche se ebbe sempre una pietà paterna per gli uomini dalle idee marxiste, “nostri fratelli erranti”. Nel 1954 diventò Vicario generale della Diocesi di Belluno. Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno. Divenuto vescovo di Vittorio Veneto il 15 dicembre 1958, prese possesso della Diocesi l’11 gennaio 1959. Egli non nascose di sopportare a fatica la gestione economica della Chiesa, specie negli anni in cui lo IOR fu diretto dall’arcivescovo americano Paul Marcinkus, sostenendo che la Chiesa avrebbe dovuto 18 avere una condotta economica il più trasparente possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo. Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai bambini e dalle persone con poca cultura, per la sua chiarezza nell’esporre, la sua capacità di sintesi e la sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili, nonostante una profonda cultura. Prestò grande attenzione per la formazione dei giovani e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva della Chiesa, all’epoca ancora piuttosto limitata. Il vescovo Luciani partecipò attivamente a tutte le quattro sessioni del concilio Vaticano II (1962-1965). Nel 1969 papa Paolo VI lo nominò Patriarca di Venezia e, nei difficili anni della contestazione, non fece mancare il suo appoggio e il dialogo diretto con gli operai di Marghera, spesso in agitazione. Anche per questo maturò la consapevolezza del bisogno da parte della Chiesa di adeguarsi ai nuovi tempi e riavvicinarsi alla gente. Nel 1971 propose alle chiese ricche dell’Occidente di donare l’uno per cento delle loro rendite alle chiese povere del Terzo Mondo. Il 5 marzo 1973 venne creato Cardinale del titolo di San Marco a Roma. Il 10 luglio 1977, il cardinale Luciani, molto devoto alla Madonna di Fatima, si recò in pellegrinaggio al Carmelo di Coimbra, accogliendo l’invito di Suor Lucia, con la quale si trattenne in conversazione. Il Conclave conseguente alla morte di papa Paolo VI si concluse dopo solo ventisei ore e mezzo dalla chiusura delle porte: alle 19:18 del 26 agosto 1978 si aprirono le vetrate della loggia centrale della Basilica Vaticana in quanto il nuovo papa era già stato eletto. Luciani scelse un doppio nome, per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto (papa Giovanni XXIII, che lo aveva nominato vescovo, e papa Paolo VI, che lo aveva creato cardinale). Papa Luciani si spense nella notte del 28 settembre 1978 nel suo appartamento privato, per un infarto miocardico; ora riposa nelle Grotte Vaticane. Il pontificato del “Papa del sorriso”, come viene ricordato, concluso dopo soli 33 giorni dall’elezione al soglio di Pietro, è stato tra i più brevi della storia. MUSEO PARROCCHIALE raccolto questa riflessione: possiamo arrivare a Gesù e in particolare alla sua più grande manifestazione, nell’Eucaristia (l’ostensorio) solo se partiamo dalla Parola, dal Vangelo (i simboli degli evangelisti sulla base) e volgiamo il nostro sguardo verso l’alto (i due angeli). Un elemento che mi ha colpito è una sorta di raggiera dorata che è posta dietro il tronetto, al centro, in metallo argentato, un piccolo barnabita, o nel 1537 per opera del bassorilievo raffigurante l’occhio di cappuccino P. Giuseppe da Fermo. Dio, racchiuso in un triangolo. A questa pratica furono assegnate le È un’immagine a mio parere un po’ prime indulgenze da papa Paolo III, inquietante! e la prima organizzazione stabile a Sembra voler ammonire: Milano da S. Carlo Borromeo, nel ”Attenzione, Dio ti guarda e ti 1565. giudica!”. A Roma ebbe un grande fautore in Sicuramente è l’espressione S. Filippo Neri, che la prese come concreta di un’immagine di Dio ben una delle principali pratiche di presente ai nostri nonni e forse devozione per la sua Confraternita. anche ai nostri genitori, ma che ora Leone XIII, nel 1897, estese a tutte ha lasciato il posto al pensiero di un le chiese del mondo, le indulgenze Dio misericordioso, paterno, il cui che alla pia pratica erano state sguardo non giudica, ma ama. concesse nella città di Roma. Siamo abituati a linee In un piccolo locale del museo architettoniche più semplici, lineari, parrocchiale tutti i visitatori avranno essenziali. notato una ”base per ostensorio” Il centro dell’adorazione è Gesù - o “tronetto”- di notevole fattura. nell’Eucaristia, quasi a voler dire In metallo, è formata da tre piani che niente deve togliere il nostro disposti a scala, la base di questi sguardo da quell’ostia! gradini è color argento mentre i Noi abbiamo perso questo stile ricco decori sono dorati. e sontuoso; il nostro sguardo dove è Ai piedi del primo gradino, negli rivolto? angoli troviamo rappresentati i A Gesù o ad altri particolari? quattro evangelisti attraverso i loro simboli, sul gradino successivo ci sono due angeli con lo sguardo rivolto verso l’alto, verso l’eucarestia, quindi, sorretto da leggere volute in metallo dorato, il terzo gradino, più piccolo, che è la base per l’ostensorio; il tutto ha un insieme solenne e maestoso. Il secondo gradino riporta anche alcuni fori, per la precisione tre per lato, in cui fissare le luci, con candelabri a doppio braccio, che nella foto non compaiono, “scoperti” in un secondo momento grazie alla determinazione di don Renato, che ha ricomposto pazientemente tutti gli elementi di questo oggetto. Non so quale messaggio voleva lanciare chi l’ha progettato, io ho Il tronetto ...cioè la base per l’ostensorio a cura di Cristina Clerici a qualche anno, nella nostra parrocchia, la prima settimana di Avvento è dedicata alla riflessione del mistero eucaristico e termina con le Giornate Eucaristiche che chiamiamo anche “Sante Quarantore”. In questa importante occasione di adorazione si usano due strumenti: l’ostensorio e la base su cui è appoggiato. Mi soffermerò sul secondo oggetto, lasciando l’ostensorio per il prossimo numero di Cammino. Le Quarantore sono una delle forme di esposizione eucaristica che si sono sviluppate dal tardo Medioevo in poi. Si può dire che esse furono la forma tipica che l’adorazione solenne del Sacramento prese in Italia verso il principio del sec. XVI. Si richiamano in particolare alle quaranta ore che Nostro Signore passò nel sepolcro. Si cominciò a Milano nel 1527, come pio esercizio per evitare le calamità belliche del momento, dietro l’azione di Gian Antonio Bellotti, che ottenne che fossero praticate quattro volte in un anno. In tale occasione l’adorazione avveniva davanti al tabernacolo chiuso. È controverso chi abbia per primo incominciato a esporre il Sacramento, tra speciale rilievo di luci e di addobbi. Sembra che la cosa sia cominciata sempre a Milano, nel 1534 per opera di P. Bono da Cremona, D 19 POESIA Temp da castegn Tempo di castagne, tempo di compagnia. Momenti che raccolgono grandi e piccini in un rituale di gesti e di immagini che diventa tradizione e ricordo di un tempo lontano... di un tempo sereno. Temp da castegn, temp da cumpagnìa temp da canzùn e d’alegrìa: sota ‘l caldóór, ul sciücch al brósa; barbotan i castegn; nisün ca tósa. Intont tütt insem in un cantùn, i pinìtt a boca verta, scultan i canzùn; donn e tusann ga tran a fà scalfìn; omm e fijöö a spujà ‘l carlunìn. Fö dala porta, lì, pugioda in tera, a ciapà i castegn, gh’è prunt la scurbèla, dala cadena ‘l caldóór sa tira giò e pö sa voian föra… a gutà giò. Ecu ‘l mument: tüti ànn piantoo lì chi da cüntà stori, chi da cüsì; inturnu al taul, inn lì tütt insem che specian la sua raziùn da castegn. La mamm la sa, gh’è no da fa malìzi; la ciapa la mitòo e la dà inizi: a ogni persona un mügett la mett là e, se n’avonza, la torna a ripasà. Temp da castegn, temp da tradiziùn: ul dì di mort sa fà cöös i marùn; inn trii i rusori che sa dèef dì, incöö; respundan, ma pensan ai castegn, i fijöö. Cunfesi ul mè pecoo, l’è vera, fin da tusa sun sempar stoda e sun anmò gulusa: che bèll cul curtelìn pelà i marùn e tütt intrééch, güstai in un bucùn. Al póór no vera che dent a ‘n risc spinuus ga sia ‘n frütt inscì bun, inscì güstuus; temp luntan, ala bona, temp seren inturnu a ‘na scurbèla da castegn. Maria Taborelli Sampietro 20 Piccolo vocabolario brósa: caldóór: canzùn: carlunìn: cöös: cüsì: mitòo: risc: scalfìn: sciücch: scurbèla: spujà: tósa: fa la brace grossa pentola di rame storia popolare varietà di granoturco cuocere cucire misurino riccio soletta delle calze pezzo di legno da ardere cestino di vimini togliere le brattee del granoturco taccia Errata corrige Nel precedente numero di Ottobre, il titolo corretto della poesia era: ‘Cumè vann ben i nòni’ (e non ‘van benn’). Ci scusiamo per l’errore, che è però servito a sottolineare una volta di più l’importanza dei nonni, sperando davvero che un’imprecisione ortografica non sia riuscita a sminuirla... [NdR] GIRINGIRO Genova la Superba di Genova nell’omonima via). E poi piazze animate dalla movida (Piazza delle Erbe); splendide i avvicinano le vacanze di edicole votive e portali in ardesia e Natale: quale occasione marmo finemente decorati. migliore per visitare la Scoprirete via Garibaldi e i suoi città di Genova nella palazzi, patrimonio mondiale quiete di una soleggiata giornata dell’umanità. invernale, senza la folla dei mesi I vicoli che si allargano diventano estivi? strade da passeggio. Vinciamo la pigrizia di prendere La città ottocentesca, elegante. l’auto, in un paio d’ore da Caccivio Le piazze cittadine dell’incontro e si arriva in centro a Genova delle chiacchiere. (rispettando i limiti di velocità!). I teatri e le sale cinematografiche. Genova: i vicoli, o, come li La spettacolare scenografia di un chiamano i genovesi, i carruggi, anfiteatro sul mare. strade larghe come spilli raccontano Genova è anche questo. quello che Genova è ed è stata nella Abbandonate le strette geometrie storia: grande porto del dei vicoli, il panorama si allarga al Mediterraneo, crocevia di uomini, Porto Antico, recuperato per le culture, merci, cibi. Colombiane del ’92 su disegno Scoprirete chiese bellissime dell’architetto Renzo Piano. (San Donato e il trittico fiammingo Ne resterete affascinati. di Joos Van Cleve in piazza San Da visitare l’Acquario più grande Donato; la romanica Santi Cosma e d’Europa (Ponte Spinola). Damiano, che sboccia dalla Salendo per via San Lorenzo, sulla piazzetta microscopica di San sinistra, imponente, si staglia Giorgio; San Siro, prima cattedrale la medievale Cattedrale di Genova. a cura di Silvano Fumagalli Quindi Palazzo Ducale, sede di mostre e manifestazioni, antica residenza dei Dogi. Infine, piazza De Ferrari, cuore pulsante della città. Scenderete per via XX Settembre e via San Vincenzo, le strade dello struscio e delle boutique. Per una veduta mozzafiato della città dall’alto (indimenticabile al tramonto), salirete a Spianata Castelletto. S Gli indirizzi golosi sono tanti. Impossibile non assaggiare (ed amare!) la focaccia, quella di Claretta (via della Posta Vecchia, 12) o la farinata di Sa Pesta (via Giustiniani, 16). O i cioccolatini, superbi, di Viganotti (vico Castagna, 14), prodotti con macchinari risalenti ai primi del ‘900. C’è il pesce fresco, alla Pescheria di piazza dei Macelli di Soziglia, dove all’ora dell’aperitivo offrono vino e crudità di pesce. Per sentire gli odori delle erbe aromatiche della Liguria (maggiorana, timo, origano) mescolati a spezie di tutto il mondo, ecco la minuscola drogheria Torielli (via San Bernardo, 32). Tanti anche i ristoranti. Da Vegia Zena (vico del Serriglio, 15) sorriderete per la schietta cucina genovese e per un conto poco salato. A Villa Pietro Da Pippo (salita alla Chiesa di Fontanegli, 13, sulle colline sopra Genova) c’è una bella trattoria di stretta cucina genovese. Non si può lasciare Genova senza visitare, a Pra’, le serre di basilico, con famiglie che da generazioni lo coltivano per un pesto a regola d’arte; ottimo quello dalla famiglia Sacco (via Branega Inferiore, 45). 21 PAGINE Oratorio ieri e oggi (1) Crescere in oratorio In oratorio siamo cresciuti e alcuni di noi continuano a frequentarlo regolarmente. Ma la quotidianità, a volte, non ci dà il tempo per “pensarci su”. Allora come Redazione Ragazzi abbiamo voluto prenderci questo tempo per riflettere su questo luogo così importante e per raccontarvi com’è oggi, cosa ci piace e cosa no. Ognuno di noi ha voluto far sentire la propria voce e sono uscite tante riflessioni, che vi accompagneranno per questo e per il prossimo mese. 22 Oratorio 2010: una realtà viva, ma fragile “Una volta sì che era bello andare all’oratorio, ci passavamo giorni interi”. Alzi la mano chi, tra noi giovani, non si è mai sentito dire questa frase da qualcuno di più grande e non ha mai iniziato a fantasticare, a vedere un campo pieno di ragazzi che rincorrono un pallone, o a sentire le risate e i canti provenienti dal salone per poi ricadere nella triste realtà e passare da via Cagnola per non trovarci quasi nessuno… DEI RAGAZZI Forse perché non è su una strada principale, forse perché nessuno ne parla, in pochi sanno che il nostro oratorio, nonostante le apparenze, ha molti problemi. Non pensate anche voi con un velo di tristezza a quando, tra quaranta o cinquanta anni, un papà non saprà raccontare ai suoi bambini cosa vuol dire essere animatore, passare le estati in oratorio, vivere in una comunità attiva? È difficile puntare il dito contro qualcuno, trovare la vera causa di questo, perché in fondo le proposte non mancano e, a saper cercare, ci sono persone di tutte le età disposte ad organizzare pomeriggi e feste. I lavoretti di Natale, il teatro, il coretto, la Polisportiva… è impossibile trovare nella settimana un giorno “libero”, neppure la domenica, generalmente dedicata alla famiglia, in cui non siano state proposte attività. Purtroppo sembra che la gente non sia più attratta da questi momenti; che differenza fa se l’oratorio non è più frequentato? E invece è molto importante! L’oratorio ha avuto un ruolo fondamentale nella nostra infanzia: è stato un punto di ritrovo dove poter parlare, giocare, pregare o semplicemente aiutarsi l’un l’altro. Non dimenticheremo mai le amicizie nate per caso, magari per colpa di un ginocchio sbucciato sul campo da calcio, e diventate con il tempo sempre più forti. Conosciamo il valore del sorriso di un educatore e come questo sia alla base di un solido rapporto di fiducia. Ecco perché abbiamo voluto scrivere questa pagina: per aprire gli occhi a coloro che accusano la nostra di essere una generazione amorfa, priva di entusiasmo, con pochi interessi e per di più sbagliati. La nostra è una richiesta d’aiuto, un appello per far sì che l’oratorio torni a brillare come quando noi eravamo piccoli. Per questo ringraziamo tutti quelli che credono in noi e nel PAGINE nostro futuro, e che sono disposti a mettersi in gioco per superare insieme gli ostacoli di ogni giorno. Chiara Angelini, Francesca Piatti Come era, come è... Forse non tutti i lettori sanno o si ricordano come funzionava l’oratorio fino a una trentina di anni fa, così a noi ragazzi è subito piaciuta l’idea di “rispolverare” un po’ come era organizzato ai tempi dei nostri genitori, così, fra una domanda e l’altra abbiamo scoperto che… L’oratorio domenicale si svolgeva in due luoghi diversi: i maschi si ritrovavano nel vecchio oratorio San Carlo, le femmine invece all’asilo di Caccivio; la separazione fra i sessi riguardava anche gli animatori, che però si ritrovavano al termine del pomeriggio domenicale per un confronto e una programmazione precisa per la domenica successiva. Le attività principali erano sicuramente il gioco (come dimenticare le lunghe partite a palla avvelenata o pallavolo?) e semplici lavoretti di cucito o ricamo, per quanto riguarda soprattutto l’oratorio femminile. Il tutto era coordinato da un gruppo di animatori ben preparati che a loro volta rispondevano del loro operato alle suore e al parroco. La divisione fra maschi e femmine permaneva anche durante gli incontri di catechesi: dopo la professione di fede, che si compiva al termine della Terza Media, gli adolescenti si trovavano divisi per fascia d’età (1° anno, 2° anno, 3° anno) con incontri a cadenza settimanale in giorni distinti. Il Gruppo Giovani raccoglieva i ragazzi a partire dai 17/18 anni in su e godeva della sospirata “unificazione” fra maschi e femmine. Appuntamento quotidiano era per tutti la recita dei Vesperi delle 18:15 presso la chiesa parrocchiale, dopo essersi ritrovati nell’attiguo giardino per chiacchierare, giocare a pallavolo, suonare la chitarra o cantare. Generalmente si celebrava una S. Messa comunitaria una volta a settimana, preparata ciclicamente da ciascun gruppo di catechesi, che costituiva un momento di verifica per tutti. Il sabato sera era dedicato alla “Serata organizzata”: giochi di gruppo, canti e la recita della Compieta, sotto la luce delle stelle. Venne proposta anche una delle prime vacanze estive comunitarie, con meta Andalo, in Trentino, alla quale seguirono altre esperienze analoghe. Oggi le cose sono notevolmente cambiate: non c’è più la divisione maschi/femmine, ci si ritrova tutti presso i nuovi locali dell’oratorio e DEI RAGAZZI qui gli animatori del Gruppo Adolescenti, aiutati anche da alcuni genitori, tengono impegnati i più piccoli con lavoretti e attività organizzate e li sorvegliano nei momenti di gioco libero. La catechesi invece è piuttosto simile: si è sempre divisi per fasce d’età, ma ci si ritrova tutti nello stesso giorno, il venerdì sera. Gli incontri prevedono un momento comune, dove vengono dati gli avvisi per la settimana, a cui seguono gli incontri dei singoli gruppi. Solitamente una volta al mese si organizza una “Cena adolescenti” che precede la riunione, oltre che una “Serata Ado”, con varie attività o uscite, come il pattinaggio o la partecipazione a spettacoli teatrali. Quest’anno, oltre che all’impaginazione del “Cammino”, al teatro e all’aiuto nell’oratorio domenicale, i ragazzi porteranno avanti anche un’attività di cineforum. Infine, l’esperienza delle vacanze è stata portata avanti con due nuove mete: Oga, per l’estate, che si articola su due settimane (elementari, poi medie e adolescenti) e Premadio, in inverno, per ora aperta solo al gruppo delle superiori. Francesca Calabrese 23 REGISTRI OFFERTE ANAGRAFE Al funerale 500,00 Pranzo sociale sostenitori ‘Insieme con E.Botta’ 100,00 Al battesimo di Cristian 100,00 Al battesimo di Lorenzo 100,00 Al battesimo di Diego 50,00 Al battesimo di Mirko 50,00 Al battesimo 50,00 Al battesimo 150,00 Al funerale 100,00 Per la parrocchia 50,00 Cassettina chiesa 10,00 TOTALE 1.260,00 RESTAURO DELLA CHIESA PARROCCHIALE Importo precedente Offerte mese TOTALE 506.854,77 12.370,00 519.224,77 ABBIAMO ACCOMPAGNATO ALLA CASA DEL PADRE 49) Monti Gilda (a.87) Via XX Settembre, 50 50) Uslenghi Giovanni (a.79) Via Pirandello, 4 51) Castiglioni Fiorenza (a.95) Appiano Gentile - Bellaria 52) Ciaccia Elisa (a.86) Via Garibaldi, 1 ABBIAMO ACCOLTO NELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE 25) 26) 27) 28) 29) 30) 31) 32) 33) Trapanese Mirko di Marcello e Nopoli Daniela Colombo Ludovica Maria di Fabrizio e Galli Luana Baietti Samuele di Massimo e Scontrino Pamela Iris Luciano Cristian di Alessandro e Ruggiero Selena Pellin Samuele di Franco e Ferrara Maria Concetta Tomarchio Giada di Roberto e Braga Elisa Tomarchio Cecilia di Roberto e Braga Elisa Calabrese Diego di Sergio e Di Biasi Giachelin D’Onofrio Lorenzo di Alberto e Sala Stefania Visitate il nuovo sito Internet parrocchiale: www.parrocchiassannunciataluratecaccivio.it “Cammino” - Anno 13 Nr. 9 - Lurate Caccivio, Novembre 2010 Rivista mensile della Parrocchia SS. Annunciata in Caccivio (10 numeri annuali) Registrazione del Tribunale di Como N. 5 del 25 marzo 1998 Direttore responsabile: Fasola Giuseppe - Collaboratori: Angelini Chiara, Folci Giulia, Fumagalli Silvano, Piatti Alberto, Piatti Francesca, Piatti Riccardo, Zanella Marta, Zoani Francesco GIORNALE DEI RAGAZZI: Angelini Chiara, Calabrese Francesca, Cappelletti Mattia, Folci Giulia, Piatti Francesca, Sozzoni Marcella, Taiana Giulia, Zoani Francesco, Zoani Viviana - Coordinatrice: Arrigo Amedea Sede: Via XX Settembre 125 - tel. e fax 031490139 Abbonamento annuo: Ordinario € 10,00 - Amico € 16,00 Agli abbonati viene allegata la rivista "Il Segno" della Diocesi di Milano (11 numeri a € 10,00 - Offerta riservata agli abbonati di Cammino) Stampa copertina: tipografia Salin - Olgiate Comasco Impaginazione e stampa a cura della Parrocchia SS. Annunciata 24