CAMMINO
NOVEMBRE 2010
P A R R O C C H I A S S . A N N U N C I AT A - L U R AT E C A C C I V I O
EDITORIALE
La visita alle famiglie
solitudine e alla difficoltà concretizzata nel Diurno
Anziani “Fraternità Betania”, o nel Doposcuola “I
girasoli”, o nel Centro di Ascolto Caritas.
Si pensi altresì all’impegno di continua formazione dei
catechisti delle varie fasce d’età per capire i mutamenti
e per adeguare i cammini alle situazioni concrete delle
persone.
Si pensi alla dedizione di chi vive la missionarietà nel
continuo impegno di conoscenza della realtà
internazionale perché il sostegno ai missionari “ad
gentes” sia effettivo e adeguato alle esigenze
dell’annuncio del Vangelo ad ogni creatura.
ella tradizione della nostra Diocesi la visita
Certo, se l’impegno è stato grande, e ringraziamo tutti
alle famiglie in occasione del tempo
coloro che hanno regalato il loro tempo e la loro
natalizio è sempre stata un’esperienza
passione, è altresì importante che altri cristiani, in virtù
significativa di conoscenza delle persone e
del loro Battesimo, varchino la soglia della
dei loro ambienti di vita”. Con queste parole il nostro
missionarietà e della carità.
Arcivescovo, Card. Dionigi Tettamanzi (“In cammino
Ciò non vuol dire che chi ha impegni comunitari sia
con San Carlo - Linee guida per operatori pastorale”),
più cristiano di chi vive l’adesione al Vangelo nella
ci ricorda il valore popolare e missionario della visita
propria vita famigliare o nel proprio impegno
in occasione del S. Natale.
professionale o sociale.
È lo stesso Cardinale che ci sollecita ad un impegno
Se però saranno sempre di più i cristiani che sono
missionario aperto “capace di andare incontro alle
passati, come diceva il Card. Martini, da un
persone là dove esse vivono, amano, soffrono”.
cristianesimo di tradizione ad un cristianesimo di
Non possiamo più pensare, sottolinea più avanti,
convinzione, allora l’annuncio cristiano della nostra
“un’attività pastorale che rimane chiusa nelle mura
comunità parrocchiale sarà più visibile e più
della Parrocchia, in attesa che le persone vengano e
coinvolgente.
partecipino”.
L’esperienza della visita alle famiglie in occasione del
Di questo, la nostra comunità parrocchiale, è ormai
S. Natale potrebbe essere per altri battezzati della
consapevole da anni. La Missione Popolare Cittadina
nostra Parrocchia un effettivo punto di partenza in
nella Quaresima del 2003 è stata infatti un’occasione
questo stile di comunione, collaborazione e
che ci ha aperto nuove prospettive. Pensiamo alla
corresponsabilità.
formazione che da allora facciamo mensilmente nelle
Vogliamo allora fare nostro l’invito del nostro Pastore,
case delle famiglie ospitanti attraverso i Gruppi di
il Card. Tettamanzi, e, ancora una volta, ci mettiamo in
ascolto della Parola di Dio, che ci ha permesso di
cammino, insieme, per le vie della nostra città, così da
raggiungere più di 200 adulti.
portare a tutti un annuncio di pace, di gioia e di
Pensiamo alla figura dei Visitatori che a partire dalla
Missione hanno cominciato ad andare di casa in casa, e comunione.
don Renato
da allora hanno continuato in questa direzione, sino
all’ultima esperienza dello scorso anno, in cui coppie
di laici, hanno dato la loro disponibilità a visitare le
N QUESTO NUMERO
famiglie di una via in occasione del S. Natale.
Dice ancora il nostro Arcivescovo:
La visita alle famiglie ________________pag. 1
“La proposta concreta è di svolgere la visita alle
Vita della comunità _________________pag. 2
famiglie in modo più disteso e con il necessario
La mia prima classe - Racconti cacciviesi ____pag. 9
coinvolgimento, oltre che dei presbiteri, anche dei
Dietro le quinte della musica - Esperienze _pag. 10
diaconi, delle persone consacrate e dei laici.
La Liturgia Eucaristica (2) - Catechesi ______pag. 12
In particolare il coinvolgimento dei laici va compreso
nel suo autentico significato: non è una semplice
Questione di stili - Famiglia ____________pag. 13
funzione di supplenza dei sacerdoti, ma il farsi
Da intervistatrice a intervistata - Al femminile pag. 14
presente presso le famiglie della comunità cristiana in
Fermata Viale Romagna - Storie ________pag. 15
tutte le sue articolazioni; è attestare anche attraverso
“T” come Tenerezza - Bêt Mirjam_______pag. 16
questo segno che i laici sono veramente protagonisti
Il volontario L.I.L.T. - Volontariato ______pag. 17
dell’impegno missionario della Chiesa”.
Il tronetto - Museo parrocchiale __________pag. 19
Senza l’impegno dei numerosi laici che in questi anni
hanno aderito al Vangelo e dato la loro disponibilità ad
Temp da castegn - Poesia _____________pag. 20
assumersi la responsabilità dell’evangelizzazione, della
Genova la Superba - Giringiro __________pag. 21
missione e della carità, la nostra comunità non
Oratorio ieri e oggi (1) - Ragazzi ________pag. 22
potrebbe essere oggi quella che è.
Registri __________________________pag. 24
Si pensi ad esempio allo sforzo di vicinanza alla
Momento popolare
e missionario
“N
I
1
VITA
Un nuovo
Encuentro
a cura di Riccardo Piatti
l 16 ottobre se si avesse avuto la possibilità
di sapere quali pensieri vagavano nelle menti
dei volontari Encuentro imbacuccati dinanzi
alla nuova sede del negozio di via XX
Settembre 73 intorno alle 15.45, avremmo trovato
un’attesa mista a scoraggiamento.
Infatti, c’erano le torte sapientemente preparate per
l’occasione, i termos traboccanti di thè e caffè
rigorosamente equo-solidali, c’era il nastro posto
dinnanzi alla porta d’ingresso del negozio pronto per
essere tagliato e dare il via all’inaugurazione, c’era il
microfono e pure un amplificatore che emanava
musica etnica, addirittura era stato precettato il parroco
per la benedizione e anche
il presidente della bottega
passava e ripassava le
parole del discorso che da
lì a momenti avrebbe fatto
ai primi avventori.
Il problema era un cielo
plumbeo e una
pioggerellina continua e
fastidiosa che
istintivamente consigliava
di non uscire di casa e
magari di starsene a
sonnecchiare sotto un
caldo piumone.
Perciò erano comprensibili
gli sguardi dubbiosi e i
mezzi commenti che
giravano tra tutti i
volontari presenti, tutti con
un preciso compito da
svolgere in questa
occasione.
«Piove», oppure: «Ma
arriverà qualcuno?», erano
le affermazioni più
gettonate a manifestare
quella sorta di sconforto
che arriva quando sai che
hai dato il massimo, che
I
2
DELLA
COMUNITÀ
quello per cui hai lavorato volontariamente ha un suo
particolare valore in termini di solidarietà, equità e
sviluppo sociale, e vuoi che tutto ciò sia conosciuto
dalla maggior parte delle persone, ma invece tutto
sembra remarti contro.
Fortunatamente i volontari sono stati pazienti e
consapevoli nel profondo del loro animo che il
concetto di Commercio Equo-Solidale si è diffuso
ormai da vent’anni per le strade e le case di Lurate
Caccivio e che una nuova tappa del cammino
dell’Encuentro non poteva non passare inosservata
nell’indifferenza generale, nonostante un clima grigio
ed un freddo imperante.
È stato questo pensiero soffuso o questa inconscia
certezza che ha portato allora a nuove positive parole,
quasi fossero piccole grida smorzate dall’emozione,
come: «Arrivano!», o «Eccoli!», mentre qua e là
gruppetti di ombrelli colorati hanno cominciato a
sbucare da ogni strada con passo lento, ma costante,
per avvicinarsi al nuovo negozio, diventando sempre
più numerosi.
E allora, via i commenti negativi, via la tristezza, è ora
di agire, di prepararsi, di aprire questo nuovo percorso
dell’Encuentro.
Ognuno sa quello che deve fare e come fare. Parla il
presidente, ricorda da dove si è partiti: quattro amiche,
una stanza dietro la chiesa e la guida spirituale di don
Francesco Ciceri.
Ricorda le varie tappe e il continuo sostegno di don
Renato, quindi il
negozietto, l’apertura
settimanale ed oggi questo
nuovo importante passo.
Ringrazia tutti i volontari,
chi ha sistemato, chi ha
spostato, chi ha esposto,
chi ha disposto, chi ha dato
il posto e la musica etnica
si diffonde sempre più.
Si benedice il negozio, si
taglia il nastro, la gente
entra, chiacchiera, compra,
conosce o ripassa cosa è il
commercio equo e solidale.
Si beve un caffè, ci si
congratula, la macchina
organizzativa funziona e la
gente arriva, va, ritorna;
acquirenti affezionati,
nuovi curiosi, casuali
avventori.
I volontari spiegano,
vendono i prodotti, offrono
caffè, thè, biscotti.
I clienti ascoltano,
comprano, fanno merenda.
Sono tutti talmente
impegnati che il cielo può
anche scatenare un accenno
VITA
di diluvio, come infatti avviene, tanto nessuno sembra
quasi accorgersene; l’inaugurazione procede e i valori
del commercio equo-solidale si diffondono per ore
all’interno della bottega come note di musica etnica
fino alle 19: l’ora di chiusura del primo giorno di
attività nella nuova sede è arrivata.
La contentezza è tale che tutti i volontari
simpaticamente si rinfacciano reciprocamente
quell’iniziale sfiducia: «L’ho detto io che la gente
sarebbe arrivata nonostante il tempo!».
Risa generali e grande soddisfazione: una nuova
stagione dell’Encuentro è partita.
La festa
dell’accoglienza
Domenica 17 ottobre, presso la Scuola dell’Infanzia di
Caccivio si è svolta la festa dell’accoglienza, nella
quale abbiamo accolto 52 bambini che iniziano il
primo anno della nostra scuola.
La pioggia copiosa non ha comunque scoraggiato la
partecipazione numerosa di genitori, nonni e zii.
La giornata è iniziata in chiesa con la S. Messa delle
ore 10 celebrata da don Renato ed è poi proseguita nel
pomeriggio presso la scuola materna.
DELLA
COMUNITÀ
Nel giardino
sono stati
allestiti alcuni
stand dedicati
alla ristorazione:
caldarroste con
le castagne
raccolte dalle
famiglie,
cotechini alla
piastra e patatine
fritte, torte fatte
in casa e
destinate alla
vendita.
È stata poi
organizzata una
pesca in cui
ciascuno poteva
vincere un
grazioso premio.
I bambini hanno così trascorso una giornata in allegria
danzando e giocando con il drago Arturo, la mascotte
della scuola.
A metà pomeriggio si sono esibiti in un canto
preparato con le maestre e tutti i bambini del primo
anno sono stati chiamati dal Presidente per ricevere la
coccarda di benvenuto.
Al termine dell’esibizione ciascun bambino ha lanciato
un palloncino, creando così una nuvola colorata che ha
rallegrato il cielo grigio.
Ringraziamo tutti i genitori che hanno partecipato
attivamente all’organizzazione della festa.
VEGLIA MISSIONARIA 2010
“SPEZZARE PANE PER TUTTI I POPOLI” è il tema scelto quest’anno per la 84a Giornata
Missionaria Mondiale, che ha avuto inizio con la veglia a Tradate nella chiesa di S. Stefano
lo scorso sabato 23 ottobre.
Il pane, simbolo di ciò che serve all’uomo per vivere e insieme riferimento all’offerta che
Gesù fa di sé per tutti nell’Eucaristia.
“Spezzare pane per tutti i popoli” richiama perciò la bellezza e la condivisione del bene più
prezioso che si ha a disposizione: l’amore di Dio che si manifesta in tanti modi, primo fra
tutti nel dono della sua Presenza.
L’omelia di Monsignor Luigi Stucchi e la testimonianza di un prete fidei donum da poco
rientrato da Haiti, hanno permesso ancora una volta di riflettere sul dono della nostra stessa
vita come “pane spezzato per tutti i popoli”.
Poi il mandato missionario a un prete fidei donum in Niger e a una suora comboniana in
Sudan, inviati a portare il lieto annuncio di salvezza fino agli estremi confini della terra:
“segni di un dono d’amore, segni di un dono di Dio, che ci ha mandati nel mondo a parlare
di Lui”.
Infine la benedizione finale, preceduta da un momento di adorazione eucaristica.
Come sempre è stato proposto il digiuno come segno di condivisione con le innumerevoli
situazioni di disagio vissute da milioni di persone in tutto il mondo: il corrispettivo della
cena, raccolto durante la veglia, sarà inviato alle Pontificie Opere Missionarie per il sostegno
alle missioni.
3
VITA
L’affresco dell’altare
di San Carlo
di Anna Ghirardello
ome ben noto la nostra chiesa parrocchiale
venne consacrata personalmente da San
Carlo Borromeo il primo settembre del 1583,
qualche mese prima della sua morte.
Non erano passati molti anni dalla conclusione del
Concilio di Trento (1563), pertanto il nostro
avvenimento deve essere collocato nel clima di
riordino e rilancio della dottrina cattolica
(Controriforma) della quale San Carlo fu artefice e
campione.
Il dipinto di cui stiamo trattando è stato materialmente
realizzato da Vanni Rossi (Ponte San Pietro –
Bergamo, 1894-1973) nell’immediato ultimo
dopoguerra, precisamente dal 15 al 20 luglio del 1946
(5 giorni!) come documentato dal libro sulla
Parrocchia di Mons. Eugenio Cazzani (pag. 206).
Da un punto di vista contenutistico l’opera tutto è,
meno che una rappresentazione realistica
dell’avvenimento del XVI secolo.
Non raffigura cioè la cronaca della consacrazione
(nemmeno l’avrebbe potuto fare vista la grande
distanza temporale e la pressochè totale assenza di
altre fonti raffigurative).
È piuttosto una composizione allegorica che rielabora
diversi temi, in chiave simbolica e didascalica.
Riconosciamo infatti un San Carlo che domina la
scena, ma in semplice abito corale, secondo la più
classica e diffusa iconografia del santo stesso; quando
invece nell’occasione raffigurata ce lo immaginiamo,
benchè in trasferta, rivestito dai solenni paramenti
liturgici tipici del post Concilio tridentino.
Poi pare che egli stia consacrando una chiesa priva di
pareti, simboleggiata da un solo pilastro, la quale reca
su un lato l’affresco della Madonna del Sabbiono (però
in miniatura) e sull’altro lato una delle dodici croci di
consacrazione all’atto di venire unta dal santo vescovo.
La ritroviamo però per intero, la nostra chiesa, sullo
sfondo della composizione.
Ancora una volta non si tratta né di quella consacrata
da San Carlo e nemmeno di quella del 1946, ma come
simbolo di continuità tra passato e futuro, viene
riportata sulla parete una vista d’assieme (oggi
diremmo il “rendering”, benchè fuori prospettiva
rispetto a pavimento e parete) dell’ambizioso progetto
di ampliamento della nostra parrocchiale redatto nel
1942 dall’Ing. Ugo Zanchetta.
Quel progetto prevedeva addirittura una cupola
DELLA
COMUNITÀ
4 novembre - San Carlo.
È una ricorrenza particolarmente sentita
in Diocesi e nella nostra parrocchia.
Abbiamo colto quindi l’occasione
per lasciarci guidare da una voce competente
nella lettura del grande affresco del Santo
presente nella nostra chiesa
C
4
ottagonale, mai realizzata.
Nel ’42 c’era la guerra, ora nel 1946, don Biagio
Pagani evidentemente tornava ad accarezzare
quell’idea mai abbandonata (si faccia ancora
riferimento alla pag. 203 del testo citato).
Un elemento apparentemente anomalo è rappresentato
dai due chierici che, in bella vista nel dipinto,
oppongono a un San Carlo ieratico, un apparente
disinteresse in quanto ben evidentemente distratti ed
impegnati tra loro in conversazione anche gestuale.
In realtà nella pittura classica spessissimo il
movimento delle figure ed il gioco degli sguardi
divengono elementi di varianza nel dipinto e fonte di
coinvolgimento e di curiosità da parte del pubblico.
Non si intendano queste osservazioni come limiti al
valore dell’opera; Giovanni (Vanni) Rossi fu artista
precoce, pittore professionista prevalentemente di arte
VITA
sacra, insegnante di pittura alla Scuola Superiore di
Arte Cristiana “Beato Angelico” di Milano.
Tipicamente novecentista nello stile pittorico, è
riconoscibile per il disegno netto, il tono vibrato e
pulito.
Scrisse di lui Aldo Carpi, maestro di pittura ed amico:
‘La tecnica necessaria al lavoro sul muro obbliga ad
una parsimonia del colore... e questa parsimonia è
entrata quale necessità nel suo spirito di pittore...
egli non adopera mai più di quattro colori per dare
forma alle figure che fa vivere sulle vaste malte delle
pareti delle chiese’.
E non più di quattro colori adopera il Pittore anche
quando dipinge ad olio realizzando opere lontane dalla
Consiglio Pastorale
Parrocchiale
a cura di Elisa Fiore
Lunedì 20 settembre 2010 presso la Palazzina si è
riunito il Consiglio Pastorale Parrocchiale.
In questo incontro i consiglieri si sono interrogati a
partire dal tema proposto dal nostro Arcivescovo
all’inizio di questo nuovo anno pastorale con la lettera
pastorale intitolata: “Santi per vocazione”.
Nel precedente anno si è parlato di essere “Pietre vive”
per indicare il nostro essere Chiesa, ma le pietre vive
sono tali solo nella misura in cui sono “sante”.
Il nostro Arcivescovo sottolinea che il grande e vero
destino di tutti è la santità e che tutta la molteplice
attività pastorale della Diocesi debba avere come sua
linfa vitale la consapevolezza, lo slancio, la gioia del
sentirsi quotidianamente chiamati alla santità.
La lettera, che si apre con l’invito alla santità, quale
espressione matura del cristianesimo sull’esempio di
San Carlo, si sviluppa in quattro capitoli.
Il primo “da Gerusalemme a Gerico” riprende la
parabola del Buon Samaritano quale metafora del
cammino nel mistero di Dio e nell’amore per il
prossimo; gli altri tre, “San Carlo e la croce di Cristo”,
“San Carlo e la santità della Chiesa” e “San Carlo e la
vocazione del cristiano”, rileggono la parabola nella
filigrana della vita e della santità del grande Borromeo
e si chiudono ciascuno con proposte pastorali
(“Va’, e anche tu fa così”) suggerite dall’Arcivescovo.
I tratti fondamentali della spiritualità di San Carlo
mettono in evidenza il suo amore e dedizione alla
Chiesa, alla Chiesa concreta; il grande messaggio
anche per la Chiesa di oggi è quello della missionarietà
DELLA
COMUNITÀ
fragorosa pittura contemporanea, nelle quali ‘la luce si
scompone per ricomporsi nell’aureola di Dio’, scrive
Leonardo Borgese.
Eccezion fatta per l’affresco di Santa Maria del
Sabbiono, fondativo dell’identità della nostra chiesa
locale, questo San Carlo è l’unico dipinto che
riecheggia lo spirito particolare del luogo, seppur
riconducendolo ad un grande ed universale santo quale
fu il Borromeo.
Il Papa stesso non ha mancato di sottolineare
l’importanza di questo gigante della storia civile e
religiosa, dedicandogli, nel IV centenario della
canonizzazione, uno speciale messaggio indirizzato al
nostro Arcivescovo.
che non significa solo andare ovunque per annunciare
e testimoniare il Vangelo, ma anche accogliere le
persone che incontriamo o vengono a noi per i più
diversi motivi.
L’invito accolto dai consiglieri è quello di essere
comunità cristiane che si lascino coinvolgere nello
slancio missionario di annunciare l’amore di Dio per
tutti attraverso parole e gesti di ascolto, dialogo,
accoglienza e solidarietà.
Ulteriori tratti della spiritualità di San Carlo, come il
suo amore appassionato per il crocifisso e lo stile di
sobrietà che lo caratterizzano, hanno stimolato il
confronto e la riflessione dei membri del Consiglio.
Aiutati dalla lettura di alcuni aspetti della vita di
San Carlo, i consiglieri hanno cercato di capire meglio
i valori e l’importanza del “lavorare insieme”.
Inoltre, la lettura di alcuni punti delle linee guida del
percorso pastorale di questo anno - il tema della carità,
la pastorale vocazionale, la visita alle famiglie, la
formazione di base dei laici e le tappe dell’iniziazione
cristiana potrebbe
essere
motivo di
confronto e
di riflessione
nei possibili
incontri
interparrocchiali,
per
evidenziare
insieme
i passi
comuni per
seguire
in modo
concreto le
indicazioni
del nostro
Arcivescovo.
5
VITA
Unitalsi
Il cellulare che
squilla in treno...
a telefonata che non doveva arrivare, è
arrivata.
Stazione di Ventimiglia, ore 22.45, carrozza
numero 11, scompartimento 8, treno L176
partito da Como alle 18, con destinazione Lourdes.
Non sono molti i cellulari che squillano su questo
treno.
A quest’ora poi, proprio nessuno.
Quello di Eleonora, 56 anni, moglie, madre e una figlia
seduta al fianco, ha lanciato invece un trillo secco, uno
solo.
Poche parole, poi la voce di lei si è fatta subito
strozzata, talmente strozzata che una delle due anziane
signore che le siedono di fronte corre a chiamare un
barelliere.
“È successo qualcosa a Eleonora”, dice con la voce
tremante e concitata, ma sottovoce, per paura che altri
la possano sentire.
Passano pochi minuti e quel qualcosa si tinge, oltre che
di mistero, anche di angoscia.
Prima un andirivieni nervoso di gente, poi dalla
carrozza 7, quella dove stanno le cuccette della
direzione del pellegrinaggio, parte una telefonata
perentoria: “Treno L176. Qui treno L176. Arriviamo a
Lourdes domani mattina tra le 10.30 e le 11. Servono,
urgeni, due posti sul primo aereo che torna a Milano”.
Un lungo silenzio.
Occhi che si guardano preoccupati, altri andirivieni
nervosi, poi dall’altro lato del filo inizia la spunta degli
aerei in partenza la mattina.
Il primo aereo, con decollo alle 10.30... completo.
Il secondo, alle 10.40... completo.
Il terzo, 10.55... stracolmo.
Il quarto, 11.10, diretto a Varsavia con scalo a Milano...
completo.
Poi un Berlino, due Madrid, un Roma...
tutte rotte inutili.
Ancora un lungo, interminabile silenzio.
“Alle 12 e 15 parte un Milano - dicono finalmente
all’aeroporto - ma di posti liberi ne ha uno solo”.
“Va bene il 12 e 15, bloccate due posti”.
“Ma il posto disponibile è uno solo!”, ripetono
dall’altra parte.
“Va bene. Per ora va bene un posto. Confermato.
L
6
DELLA
COMUNITÀ
Tra un minuto comunichiamo tutti i dati”.
Altre telefonate convulse, altri cellulari che squillano,
ancora un correre avanti e indietro dallo
scompartimento, poi i posti liberi sul 12 e 15 diventano
improvvisamente due.
Il treno è appena entrato in terra francese.
Quasi nessuno si è accorto di quello che sta
succedendo, soprattutto nessuno ha saputo il contenuto
della prima telefonata arrivata sul treno L176, mentre il
locomotore, siglato Fs, si staccava dal convoglio e i
ferrovieri agganciavano una motrice targata Sncf.
Eleonora chiude con un colpo secco la porta della
cuccetta e si abbandona sul materasso rigido,
piangendo, stringendosi al petto la figlia in lacrime.
A 400 chilometri, suo figlio, Francesco, 26 anni, con la
giovane moglie, Sandra, seduta al fianco, ha negli
occhi lo stesso terrore e nel cuore la stessa disperata
angoscia.
Tiene in mano un foglio, appena ritirato dall’ospedale,
pieno di sigle incomprensibili e numeri senza senso.
Negli occhi l’immagine sfuocata del medico che gli
parla e nella mente il ripetersi continuo dell’ultima
frase pronunciata da quel camice bianco, che lui non
aveva proprio mai visto: “Dobbiamo operarla entro
questa settimana”.
Era un’analisi di routine, quella di cui era andato a
ritirare gli esiti Francesco.
Quello che lo aspetta ora è l’ignoto.
(continua)
“Per me, Lourdes è tutto.
La Madonna è ovunque, ma a Lourdes si sente.
Mi si accappona la pelle, anche solo a parlarne”
(Isa, Varese).
AZIONE CATTOLICA
InformACI
“...L’educazione è una scelta di
speranza che investe sulla libertà
della persona...”
Una questione
di educazione
Educare è, infatti, un’opera che non si avvale solo delle
competenze umane, ma richiede innanzitutto una
sconfinata fiducia in Dio e nella sua opera educativa.
Chi ama educa, perché è l’amore di Dio che non
smette mai di sostenere la vita e di alimentare e
plasmare il cuore di ogni uomo.
L’educazione è, prima di tutto e fondamentalmente,
una scelta di speranza che investe sulla libertà della
persona, una scelta operata da testimoni e maestri
di Maria Rosaria Corti
capaci di scorgere in ogni essere umano la scintilla di
Dio.
È una risposta del cuore animata da una profonda
li orientamenti pastorali della Chiesa italiana passione per l’uomo, ed è un’impresa comunitaria che
per il prossimo decennio avranno come tema: passa per uno scambio affettuoso tra generazioni.
l’EDUCAZIONE. Vien subito da chiedersi il È da tener presente che l’impegno educativo è frutto di
perché di tale scelta.
relazione prima ancora che di competenza, tecnica,
Una risposta potremmo trovarla nel lavoro svolto dal
metodo.
Comitato per il progetto culturale della Chiesa italiana, L’educatore, inoltre, è colui che sa aiutare le persone a
dove si legge: “Per le società del passato, l’educazione crescere nel tempo e che rispetta i tempi della crescita,
era un compito largamente condiviso; per la nostra,
proprio perché la vita di coloro che gli sono affidati è
essa sta diventando soprattutto una sfida.
una continua sorpresa e un continuo svilupparsi”.
Se fino a ieri sembrava quasi scontato che una
E quale potrebbe essere il contributo dell’Azione
generazione dovesse farsi carico dell’educazione dei
Cattolica nella questione educativa?
nuovi venuti, secondo la tradizione ereditata dai padri, Secondo Miano, “sarà senz’altro significativo, in
oggi la nostra società ha come abdicato al suo compito quanto l’AC ha sempre posto il tema dell’educazione
educativo.
al centro del suo percorso associativo e tanti laici
Viviamo in una società dove sembra che tutto sia
credenti, così come molti cittadini impegnati in
possibile indifferentemente; dove qualsiasi idea o stile
politica oggi come ieri, si sono formati alla scuola
di vita sembra avere lo stesso valore; dove il potere
dell’AC.
dell’apparato tecnico-economico sembra volersi
Si tratta di rilanciare la proposta educativa dell’AC,
emancipare da ogni istanza umana; dove i desideri
rileggendola alla luce delle emergenze dell’oggi che
sembrano diventare diritti e l’estetica sembra prendere richiedono di mettere al centro una proposta integrale
il posto dell’etica. Da qui l’urgenza di una nuova
per la persona, capace di coniugare adeguatamente
riflessione sull’uomo e sulla sua dignità”.
tutte le dimensioni della vita.
E’ vero, come scrive Paola Bignardi, ex presidente
La proposta educativa dell’AC non è asettica, neutrale,
nazionale di Azione Cattolica, che “l’educazione è una ma ha un orientamento preciso, una sua bussola: crede
questione delicata, perché riguarda la vita dei più
che al cuore della vita vi sia l’incontro con Gesù,
giovani e la loro possibilità di scoprire il valore della
quell’incontro che cambia l’esistenza e la orienta,
vita e di muoversi in essa con dignità, con gusto, con
le dà senso.
responsabilità.
Quella relazione piena da cui si parte e sempre si
È questione che riguarda il futuro della famiglia, la
riparte, che esprime un di più di vita, un’apertura senza
qualità umana del mondo di domani e la fisionomia
limiti, un orizzonte sempre nuovo.
civile della società di cui siamo parte”.
L’invito del Signore, ‘Voi siete la luce del mondo’, che
Che fare dunque? Come svolgere e a chi spetta questo
abbiamo scelto come traccia del cammino che stiamo
‘impegno educativo’?
compiendo, ci appare l’indicazione fondamentale per
Può venirci in aiuto quanto ha scritto nel suo ultimo
tradurre l’impegno educativo in una decisa opera di
libro Franco Miano, ‘Chi ama educa’, attuale
testimonianza e di assunzione di responsabilità, verso
presidente nazionale di AC: “Chi ama, e solo chi ama, noi stessi, verso chi ci è affidato, verso i fratelli che
educa veramente. L’educazione non può limitarsi alla
Gesù ci pone accanto”.
trasmissione di nozioni attraverso tecniche che
E tutto si compia con gioia!
mettano in campo delle, sia pur necessarie,
Mettendo anche in conto le difficoltà, la tentazione di
competenze psico-pedagogiche.
rinuncia, qualche fallimento...
G
7
GRUPPO MISSIONARIO
Viaggio in terza classe (7)
Una vita tra i Macua
isaliamo in carrozza: le caldaie sono in
pressione e il fumo si disperde ben augurante
nel cielo azzurro. Si parte per il nuovo
viaggio.
Siamo diretti a Maùa in Mozambico, dove al tramonto
scende il buio più cupo ed è subito Africa nera, ma
all’alba il sole sale repentino e una luce sfolgorante ci
permette di scorgere dai finestrini le donne che si
recano al mulino a macinare il granoturco, gli uomini
intenti a piantare i pali per una nuova costruzione e il
viavai della gente che al mercato acquista o vende
pesce secco, olio e scampoli coloratissimi.
Siamo nel Niassa, regione a nord del Mozambico, a
metà fra il lago Malawi e l’oceano Indiano.
E’ la terra dei Macua, un popolo pacifico di 6 milioni
di persone le cui tradizioni e la cui lingua sono rimaste
quasi incontaminate.
Arsiema spalanca i suoi occhioni riconoscendo suoni,
odori e colori di casa; alla stazione scende dal treno per
prima e corre incontro a Suor Caritas Barri, dal 1969
missionaria in Mozambico, paese indipendente dal
1975 ma in pace solo dal 1992 dopo 16 anni di guerra
civile.
Già a luglio Sr. Caritas ci aveva annunciato di essersi
messa in viaggio con noi. Ecco che cosa ci scriveva da
Maùa, la città in cui opera:
R
“Carissimo Gruppo Missionario: Pace e Bene a te e a
tutto il popolo di Dio! Sono in partenza con la mia
Comunità per Nampula, dove tutte le Missionarie della
Consolata si troveranno per gli esercizi spirituali.
Da tempo volevo mandarvi questo scritto perché
anch’io come voi mi sono messa subito nel viaggio in
terza classe, sentendo proprio il bisogno di conoscere
da vicino i Missionari che come me sono partiti per
terre lontane, ma siamo tutti Missionari, non è vero?
La nostra congregazione si trova in una terra di ‘primo
annuncio’; vi operano due sacerdoti, uno diocesano
mozambicano e uno della Consolata, Padre Giuseppe
Frizzi, capelli e barba bianca anzitempo, che ha
conseguito il dottorato all’Università Urbaniana nel
dicembre 2009 in Missiologia per gli studi straordinari
sulla cultura Makua-Xirina ed ha anche tradotto la
Bibbia in lingua Macua.
A loro sono affidate 90 comunità cristiane sparse nella
foresta, in un territorio che potrebbe essere paragonato
a una diocesi.
Il popolo è in maggioranza di religione musulmana o
tradizionale. La prima cappella cristiana, qui nel
8
distretto di Maùa–sede, è sorta negli anni ’70, durante
la caldissima rivoluzione rossa.
Ma il piccolo gregge è aumentato, si celebra
l’Eucaristia, vi è una partecipazione ecumenica in
occasione dei funerali e per le festività.
La mia comunità è composta da quattro suore:
Sr. Gregoria che lavora a tempo pieno in ospedale,
dispensa latte ai bambini malnutriti e riesce a seguire
8 ospedali rurali; Sr. Silveria che cura la promozione
delle mamme in 28 centri sparsi nei villaggi e prepara
le mamme stesse a “Celebrare la Parola”; Sr. Olimpia,
mozambicana, che si impegna nella pastorale della
gioventù; ed infine io, che mi occupo della pastorale
presso la scuola, gli ammalati, le famiglie.
Prego molto e dico alla Madonna di arrivare Lei dove
io miserabile…”.
E’ proprio così, più si è matita nelle mani di Dio,
come diceva Madre Teresa, più ci si sente inadeguati.
Sr. Caritas, a proposito della sua vocazione in una
precedente intervista raccontava: “Nel luglio del 1960,
all’età di 21 anni, ho lasciato la mia famiglia per
entrare all’Istituto delle Missionarie della Consolata a
Torino. Ringrazio il Signore per il grande dono di
questa vocazione che mi ha messo in contatto con
popoli di etnie diverse…
Ho sperimentato come l’uomo, dovunque egli sia,
qualunque sia il colore della pelle e qualunque sia la
lingua, è sempre un fratello.
Con un profondo senso di riconoscenza a Dio, posso
dire che la mia è una famiglia veramente eccezionale.
Siamo 12 fratelli,
di cui 6 consacrati.
I nostri genitori ci
hanno cresciuti
in un ambiente
profondamente
cristiano.
Un vero dono di Dio
che mi ha orientato
alla Missione”.
Suor Caritas continua
a viaggiare con noi.
Ci sprona un
proverbio macua:
“Nonostante il
cammino sia tortuoso,
se il cuore lo desidera,
arriverà alla meta.”
RACCONTI
La mia
prima classe
di Arnaldo Giudici
H
o frequentato la prima elementare presso la scuola
di Caccivio nell’anno scolastico 1938-39: quasi una
vita fa. Quando, dopo tantissimo tempo, ho avuto tra le
mani la foto della mia prima classe, è stato come
spalancare una finestra in una giornata di vento: così,
d’improvviso, sono stato investito dalla mia infanzia.
Poi ho cominciato a guardare con calma quella foto e,
aiutato dai ricordi, a “vedere” anche persone che nella
foto non c’erano: prima fra tutte, è naturale, la nostra
maestra. Si chiamava Lidia Strada che però non
chiamavamo “maestra”, ma “signorina” e naturalmente
le davamo del lei. Penso che avesse trovato il giusto
equilibrio tra l’affettuosa comprensione della nostra
vivacità e la severità (ma affettuosa anche quella!) nel
farci conoscere i nostri doveri; a queste doti univa una
grande pazienza e un’altrettanto grande umanità.
Così eravamo orgogliosi per i suoi riconoscimenti di
qualche nostro lavoro ben fatto e ci sentivamo
coccolati dalle sue premure per la nostra salute, mentre
non facevamo storie se, a volte, arrivava qualche
scapaccione. Quelli erano tempi in cui tutti i genitori
erano fermamente convinti che
quando un bambino, col suo
comportamento, chiedeva con
insistenza una sberla, chiunque
poteva sentirsi autorizzato dai
suoi genitori ad accontentarlo.
Eravamo in sessanta (la foto ne
ritrae solo cinquantacinque) e
imparavamo così a leggere, a
scrivere e anche a stare un po’
fermi e ordinati. La foto lo
conferma: sembriamo un po’ tesi
davanti al fotografo che ogni tanto
cacciava la testa sotto un tessuto
nero mentre noi tenevamo
d’occhio il piattino col magnesio
per gustarci il lampo, ma le
gambe dei bambini della prima
fila, seduti alla turca, sembrano
davvero una bella cornice.
Per tornare alle punizioni e ai
riconoscimenti, io mi ricordo bene
CACCIVIESI
di averli provati entrambi: in un dettato sulla lettera Q
avevo scritto “quali” ma avevo dimenticato la “a”.
Il risultato, non voluto ma veramente orribile,
determinò una sberla data con sincera convinzione.
In compenso quando una volta alla lavagna scrissi
“marinaretti” senza fare errori, mi fece una carezza che
somigliava a un abbraccio: era proprio contenta.
La signorina Strada ci avrebbe accompagnato fino alla
quinta, con l’eccezione della terza che venne divisa in
due sezioni, maschile e femminile.
Nell’estate del 1940, tra la seconda e la terza
elementare avvenne un fatto che, oltre che interessare
direttamente la nostra scuola, avrebbe segnato la nostra
vita per molti anni: era iniziata la guerra.
Iniziammo la terza (maschile) con un maestro che
abitava a Lurate e si chiamava Dante Pini.
Avevamo appena comiciato a conoscerci quando, finito
il primo trimestre, ci salutò e partì con gli Alpini per il
fronte. Finì in Russia e non l’avremmo più rivisto
perché, come suo fratello, non tornò né si seppe più
nulla: disperso!
A sostituirlo venne un altro maestro che si chiamava
Oscar Donati, veniva da Mozzate e ci insegnò anche un
po’ di musica e alcune canzoni, ma alla fine del
secondo trimestre partì anche lui per il fronte e andò in
Libia. Non so se riuscì a tornare dal fronte.
La signorina Invernizzi, di cui non ricordo la
provenienza, concluse quel terribile anno.
E noi, malgrado avessimo otto anni, alla guerra, ormai,
ci avevamo fatto l’abitudine.
Ancora due anni in classi promiscue con la signorina
Strada e la mia scuola elementare finì.
Andai a trovarla per portarle i confetti quando mi
sposai: “Ciau, scularun!” mi disse, ma unite ai suoi
occhi un po’ umidi quelle due parole furono il discorso
più bello che potevo sentire.
Anche quella volta era proprio contenta.
9
ESPERIENZE
Dietro le quinte
della musica
tutto, l’uomo si chiama, o viene detto, Mao - non so, né
saprò mai, se per via di Mao Tze Tung, o di che altro.
Gli ospiti sono tutti musicisti.
on molti saranno disposti a credere a quanto Dicevo della sistemazione. Viene gentilmente chiesto
sto per raccontare, tanto sembra particolare e ad una pianista italiana, una concertista già nota al
forse inventato. Non è così. Le esperienze
pubblico, se può ospitarmi nella sua camera, l’unica
possono essere grandi o piccole, gioiose o
con un letto ancora disponibile. Cortesemente accetta,
tristi, programmate o no, spesso inaspettate e magari
anzi, sembra contenta di avere compagnia. Nella
incredibili, oppure date per scontate o forse nemmeno
piccola camera, proprio di fianco al mio letto, c’è un
recepite come tali; però sono loro, tutte, che ci hanno
pianoforte. “Deve esercitarsi”, mi dico, “troverò da
costruito così come siamo. Tutto nella vita è
qualche parte un angolo dove stare. E poi c’è Siena da
esperienza, anche se noi siamo abituati a separare i
rivedere anche cento volte, ricca com’è di infinite cose
fatti più particolari, specialmente quelli che pensiamo
preziose”.
abbiano lasciato un segno, un ricordo, piacevole o
Ma non tutto è così liscio come può sembrare.
meno...
La moglie di Mao mi dice, con la dovuta discrezione,
E allora racconterò brevemente questa piccola e forse, che la mia compagna di camera, nei periodi di stress
almeno per me, strana esperienza, vissuta parecchi anni come questo, soffre di incubi notturni e grida con voce
fa, che mi ha catapultato in un mondo che altrimenti
strozzata, lì, seduta sul letto, addormentata… ma che
mi sarebbe stato per sempre sconosciuto: il complesso con tre o quattro colpi secchi sulla schiena tutto va a
mondo della musica, non però quello della musica
posto. La cosa non mi impressiona, non è poi un gran
fruita e goduta tramite concerti, o dischi, o anche i più
guaio. Ma la prima notte non riesco a dormire in attesa
diversi aggeggi tecnologici che oggi vanno per la
dell’evento che avviene verso le due. Tre colpi sulla
maggiore; ma quel mondo così
schiena e… diamine, è vero, si
particolare degli artisti, avvicinati e
rilassa subito come se nulla fosse…
conosciuti non nel momento
Quanti altri avranno avuto
trionfale delle esibizioni, ma in
l’occasione di essere autorizzati ad
quello individuale, personalissimo,
assestare colpi convinti sulla schiena
faticoso, forse tormentato e di certo
di una nota concertista, sia pure per
cruciale, dello studio e della
il suo bene?
creazione.
Gli ospiti
A Siena, come un pesce fuor
I musicisti ospiti di questa pensione
d’acqua
saranno una quindicina, quasi tutti
Una mia amica è a Siena per
giovani, di tante nazionalità diverse,
frequentare i Corsi di
diverse sono le lingue, diversissimi
Perfezionamento dell’Accademia
gli strumenti musicali. Quando
Musicale Chigiana. Quale occasione
siamo a tavola tutti insieme (una
migliore per fare una capatina in
grande tavola ovale in un grande
questa città, sempre bella, sempre
stanzone su cui si aprono molte
nuova, sempre affascinante?
porte) ognuno parla nella sua lingua
Sorprendente è la sistemazione che
eppure tutti si capiscono senza
mi viene assegnata in una curiosa
difficoltà... filippini, giapponesi,
pensione a conduzione famigliare.
canadesi, australiani, italiani,
Una coppia di mezza età gestisce il
La sede dell’Accademia
americani, svedesi... sarà perché
di Camilla Giudici
N
10
ESPERIENZE
parlano di musica e la musica è un linguaggio
universale. Io sono ovviamente tagliata fuori da ogni
conversazione che non sia aiutata dalla mimica, ma mi
piace ascoltarli nelle loro cadenze e soprattutto
osservarli. Intanto mangio con il gusto dell’affamata la
solita frittata con le cipolle che sembra essere il cibo
privilegiato della cucina di Mao.
Avvolta nella musica
“Non c’è orario per gli artisti”, mi è stato detto
all’arrivo: “suonano quando hanno l’ispirazione, 24 ore
su 24”. Ad ogni ora del giorno e della notte (non capita
mai che i musicisti siano tutti insieme ai Corsi della
Chigiana), c’è sempre qualcuno che canta o che suona:
chitarra, clarinetto, contrabbasso, flauto, oboe, violino,
viola, violoncello…
Non mi disturbano, anzi, suonano magnificamente,
sono artisti, mica roba da poco… E poi il suono mi
arriva come da lontano, leggermente ovattato, ognuno
suona nella sua camera, con la porta appena
socchiusa… Mi sento una privilegiata: sono qui,
letteralmente avvolta nella musica, in mezzo a
musicisti che non avrei mai immaginato di incontrare.
Anche passeggiando per le strade di Siena, dalle
finestre aperte arriva sempre musica…
“Non c’è orario per gli artisti, suonano quando hanno
l’ispirazione…”. Alla mia compagna di camera una
violentissima incontenibile ispirazione è arrivata una
notte alle tre. Sotto le sue agili dita, il pianoforte si è
messo improvvisamente a suonare ad un metro dalle
mie orecchie…
Dormivo profondamente, cullata dai suoni lontani, ed
eccomi qui, svegliata di soprassalto, stralunata per il
sonno bruscamente interrotto, tuttavia forse testimone
di una nuova creazione, o di una nuova interpretazione
musicale, o di una lunga esercitazione notturna…
Il susseguirsi velocissimo del battere sui tasti non
conosce sosta, la pianista mi sembra in trance, si ferma
soltanto per ripetere ed interpretare in modo diverso un
passaggio… Sono incantata, mi è passato anche il
sonno, mi siedo sulla sponda del letto per il piacere di
osservare lo scorrere e il sovrapporsi delle mani e lo
scattante movimento delle dita, e vorrei che non finisse
mai… Ma dopo un paio d’ore, la pianista termina di
lavorare sul suo pezzo esibendo come finale
un’incredibile cascata di note, si rimette a letto senza
dire nulla e si addormenta di colpo.
A cena, in Piazza del Campo
Questa sera si cena fuori. Siamo in quattro, la mia
amica, la sua insegnante di piano, il Prof. A., uno dei
celeberrimi docenti dell’Accademia, ed infine io,
seduti ad un tavolo all’esterno di un ristorante in
Piazza del Campo. Con mia sorpresa non si parla di
musica. Nemmeno di Siena si parla, tanto sta lì,
stupendamente rappresentata dalla Piazza che, prima
goduta nell’ora fatata del tramonto, è ormai stata
assorbita dalla notte. Si parla di un po’ di tutto,
passando da un argomento all’altro, non manca la
battuta
divertente, la
risata rilassante,
il Prof. A. si
lascia andare a
raccontare
episodi di
eccezionali
esperienze
paranormali
capitategli
spesso, essendo
amico di un
sensitivo di
fama
internazionale.
Nasce qualche
brivido, e
ognuno di noi si
lancia a raccontare, colorando le parole con un’enfasi
sempre in crescendo, qualche fatto inspiegabile
occorso nella sua vita. Pur nella diversità dei fatti
narrati, la complicità che si è creata tra noi li compatta
tutti in una specie di misterioso interrogativo.
Crederci? Non crederci? E anche questa volta si
finisce, come conclusione concordemente accettata,
col citare la famosa frase di Amleto, di certo vera ma
ormai inflazionata: “Ci sono più cose in cielo e in terra,
Orazio, che non sogni la tua filosofia”.
Una bella serata insomma, tra persone così totalmente
diverse eppure, in fondo, così semplicemente uguali.
La Torre del Mangia, all’altro lato della Piazza, si è
accaparrata una luna piena da cartolina. Pian piano
scivoliamo nel silenzio. Sono certa che ora i nostri
pensieri stanno riprendendo le differenti vie della realtà
concreta di domani che è già molto vicino.
L’anno prima…
L’anno prima, durante una delle solite vacanze
vagabonde in quella Toscana così ricca di tutto,
eravamo andate, una mia amica ed io, a Cetona, non
lontana da Chiusi. A Chiusi e circondario avevamo
visto tutto quello che c’era da vedere, ma a Cetona
andavamo soltanto per vedere la Collegiata con un
affresco attribuito al Pinturicchio. Le grotte e gli
insediamenti preistorici sulla collina erano fuori dai
nostri programmi per mancanza di tempo: saremmo
partite il giorno dopo per Arezzo, ed era già sera.
Ma non poteva mancarci una sorpresa, quasi un addio:
sulla porta della Collegiata vediamo affisso un
manifesto col programma di un concerto di musica
sacra dell’Accademia Chigiana, proprio oggi, ore
18:00. Entriamo silenziosamente a concerto iniziato, e
siamo subito prese dalla bellezza dei pezzi musicali e
dalla stupenda esecuzione. La musica sembra andare
davvero oltre, in un trascinante salire, oltre la volta
della chiesa. L’emozione è grande…
È in questo modo quasi sublime che l’Accademia
Chigiana è entrata nella mia vita.
11
CATECHESI
- La Santa Messa -
La liturgia
eucaristica(2)
di don Pierpaolo
ontinuiamo la presentazione della liturgia
eucaristica, strutturata in tre momenti che
riprendono i gesti e le parole di Gesù
nell’ultima cena: la preparazione dei doni
corrisponde al gesto del Signore che prese tra le mani
il pane e il calice; la preghiera eucaristica ripropone il
rendimento di grazie (o la benedizione) che Gesù
pronunciò sul pane e sul calice; i riti di comunione
riprendono i gesti con cui il pane fu dato ai discepoli e
il calice fatto girare tra di loro.
Dopo aver considerato la preparazione dei doni (cfr.
Cammino di ottobre), ci accostiamo alla preghiera
eucaristica, che rappresenta «il momento centrale e
culminante dell’intera celebrazione» e si configura
come «preghiera di azione di grazie e di
santificazione» (Principi e norme per l’uso del messale
ambrosiano, n. 55).
La prima qualifica – «preghiera di azione di grazie» –
indica il genere letterario di questa preghiera: si tratta
appunto di un’azione di grazie rivolta al Padre per
l’opera di salvezza che ha il suo vertice nella Pasqua
di Gesù. Parlando invece di preghiera di
«santificazione» se ne indica il valore teologico, cioè
l’effetto che essa realizza: la santificazione del pane e
del vino che diventano il corpo dato e il sangue
versato del Signore (cioè la presenza del suo sacrificio
pasquale), in vista della
santificazione di coloro che
si nutrono di quei cibi.
La preghiera eucaristica è
dunque una preghiera
efficace: ciò per cui si rende
grazie (la Pasqua di Gesù)
diviene effettivamente
presente in modo
sacramentale. Può essere
opportuno sottolineare che
tutta la preghiera eucaristica,
dall’inizio (il saluto del
celebrante che apre il
prefazio) alla fine («per
C
12
Cristo, con Cristo e in Cristo…»), ha efficacia
santificatrice (o consacratoria). In altre parole: la
santificazione (o consacrazione) del pane e del vino è
realizzata da tutta la preghiera eucaristica, non solo
dalle parole dell’istituzione. Certo, quelle parole sono
indispensabili, in quanto conferiscono all’insieme
della preghiera la sua forza di santificazione, al punto
che – in assenza di esse – non ci sarebbe la
consacrazione. D’altra parte, però, le parole
dell’istituzione non vanno isolate, quasi fossero una
specie di formula magica. Da sempre la recita della
preghiera eucaristica è riservata al vescovo e al
sacerdote che presiedono (e ad altri eventuali sacerdoti
concelebranti), la cui presenza è necessaria perché si
possa celebrare l’eucaristia. Una presenza – quella del
vescovo e/o del prete – che dice come la messa non sia
qualcosa che la comunità «produce» da sé, bensì dono
che essa riceve da Cristo, il quale è personalmente
all’opera nell’azione dell’assemblea che celebra sotto
la presidenza del ministro ordinato. Il ruolo
dell’assemblea, in effetti, non è dimenticato, dato che
il sacerdote associa a sé il popolo, che interviene in
alcuni momenti della preghiera: il dialogo del prefazio,
il canto del Santo, l’acclamazione dopo la
consacrazione («mistero della fede»), l’Amen finale.
D’altra parte anche il silenzio orante è un modo per
partecipare alla proclamazione della preghiera
eucaristica. Oltre che nei racconti dell’istituzione –
dove si ricorda che Gesù «benedisse» il pane e il calice
(Marco e Matteo) oppure «rese grazie» su di essi
(Paolo e Luca) – la presenza di una preghiera di
rendimento di grazie è documentata da testimonianze
molto antiche. Attorno all’anno 153, san Giustino,
parlando degli usi della Chiesa di Roma, dichiara che
tale preghiera era innalzata da colui che presiedeva
«secondo le sue capacità»: ciò significa che il
celebrante non leggeva un testo scritto, come facciamo
noi oggi, ma improvvisava, molto probabilmente
seguendo un canovaccio prefissato. E già allora il
popolo alla fine si univa alla preghiera con
l’acclamazione ‘Amen’. I secoli dal III al VI
conoscono un’abbondante produzione di testi che via
via vengono fissati per iscritto.
A partire dai secoli VII-VIII, le Chiese dell’Occidente
tendono ad adottare il
cosiddetto «canone romano»
che, col secolo XI, resterà
l’unica preghiera eucaristica
utilizzata in Occidente fino al
Concilio Vaticano II. Per volere
di Paolo VI, nel Rito della
Messa riformato (1970), a
questo testo ne vengono
affiancati altri tre, cui se ne
aggiungono altri ancora negli
anni successivi, fino ad arrivare
ad una quindicina di testi
utilizzabili a seconda delle
diverse circostanze.
FAMIGLIA
Questione di stili
Il gruppo familiare
di Claudia Imperiali
Q
Gerusalemme”: questo è il tema che la parrocchia
SS. Annunciata di Caccivio propone durante l’anno
per accompagnare il cammino familiare.
Il tema di quest’anno propone una verifica coraggiosa
sugli “stili di vita” che caratterizzano i nostri vissuti
personali, familiari e delle nostre comunità,
sottolineando che una testimonianza credibile del
Vangelo oggi non può prescindere da scelte concrete di
“sobrietà” che aprono la strada alla “solidarietà”,
attraverso:
- proposte di formazione e spiritualità in grado di
sostenere il cammino di fede dei laici come sposi
(in particolare curando il “dialogo di coppia”)
e aiutarli nel loro ruolo di genitori e di educatori;
- la cura della dimensione familiare, valorizzando la
presenza dei figli, per proporre un dialogo educativo
attorno a temi riguardanti la fede e la vita quotidiana.
ualcuno avrà sicuramente sentito parlare di
“gruppo familiare”; è quindi opportuno
presentare in modo più completo questa
iniziativa.
Cos’è - Il gruppo familiare è un gruppo di sposi
cristiani, membri della comunità parrocchiale, che si
aiutano a vivere la propria realtà familiare alla luce
della parola di Dio. È un gruppo aperto, che non ha la
pretesa di esaurire in se stesso la formazione, ma
rimanda costantemente le persone a vivere la loro
relazione di coppia nelle situazioni concrete della vita
quotidiana e stimola ad inserirsi sempre più
consapevolmente nell’unica Chiesa.
Proprio perché gli scopi dei gruppi familiari
riguardano le famiglie cristiane in quanto fondate sul
sacramento del matrimonio, la proposta è destinata a
tutte le famiglie della comunità parrocchiale, di tutte
le fasce sociali e culturali, superando ogni visione
elitaria di questa esperienza.
L’invito a partecipare è rivolto alla coppia e non a un
solo suo componente, anche se la risposta rimane
personale ed è quindi possibile che nei gruppi ci sia la
presenza anche di uno solo dei due coniugi.
Questa è la fisionomia dei gruppi familiari e del
gruppo familiare della nostra parrocchia che ha già
iniziato il suo cammino domenica 31 ottobre con il
primo incontro unitario a cui hanno partecipato più di
20 famiglie. Abbiamo partecipato alla S. Messa e poi
in oratorio ci siamo ritrovati tutti insieme per ripartire
(o partire, c’erano infatti alcune coppie nuove!).
La riflessione iniziale è stata guidata da don Pierpaolo,
poi il silenzio personale, il confronto a coppie e lo
scambio nei gruppi.
La fraternità è continuata con il pranzo insieme ai figli
più o meno grandi e la preghiera conclusiva.
Qualche ora quindi da dedicare a noi stessi e alla
nostra famiglia, ma insieme ad altre famiglie!
Il tema dell’anno - “Questione di stili - Percorsi di
sobrietà e solidarietà familiare da Gerico a
Gli incontri - I prossimi appuntamenti del gruppo
famigliare sono nelle date sotto elencate; la stessa
proposta viene fatta sia al sabato sera che alla
domenica mattina in modo da poter dare la possibilità
di partecipare a più famiglie:
- 27/28 novembre 2010;
- 22/23 gennaio 2011;
- 26/27 marzo 2011;
- 21/22 maggio 2011.
Il programma di massima degli incontri è sempre il
medesimo: il sabato alle ore 18.00 o la domenica alle
ore 10.00 si vive comunitariamente la S. Messa in
chiesa parrocchiale; a seguire - ore 18.45 del sabato o
le 10.45 della domenica - riflessione proposta dal
sacerdote, del singolo, della coppia e in gruppo, quindi
cena o pranzo e preghiera conclusiva.
Ulteriori proposte - Altri appuntamenti durante l’anno:
- dal 2 all’8 gennaio 2011: vacanza invernale ad Oga;
- 30 gennaio 2011: festa della Sacra Famiglia
con pranzo e giochi in oratorio;
- 19 giugno 2011: giornata di spiritualità familiare
decanale.
13
...AL FEMMINILE
Da intervistatrice
a intervistata
di Chiara Angelini,
Giulia Folci e Francesca Piatti
uesto mese abbiamo deciso di occuparci di
un tema molto attuale: il giornalismo. Per
avvicinarci e comprendere meglio questa
professione, sempre più messa in
discussione e criticata dall’opinione pubblica, ci siamo
rivolte a chi la giornalista lo fa per lavoro: Micaela
Terzi, giovane originaria di Caccivio, che ci ha
raccontato con entusiasmo il suo mondo.
Dove lavori? Che tipo di articoli scrivi?
Nel 2007 ho aperto una società, Urbano Creativo, che
si occupa di Marketing Territoriale e Comunicazione
Ambientale. Sono Direttore Responsabile del
magazine on line www.urbanocreativo.it, dove
pubblichiamo articoli, videointerviste, dossier e
approfondimenti sullo sviluppo sostenibile e la qualità
della vita. Inoltre, la nostra agenzia sviluppa progetti
su queste stesse tematiche, con l’obiettivo di aiutare le
amministrazioni e le aziende private a gestire le
trasformazioni urbane.
Hai sempre pensato di fare la giornalista?
Alle elementari la mia maestra ci ha fatto provare a
scrivere un articolo di cronaca, e io ho parlato di mia
cugina, che era stata investita da un motorino in piazza
a Caccivio! Ma anche se
avevo preso un bel voto
non pensavo alla
professione di giornalista…
L’idea è venuta più avanti.
Mi piaceva scrivere,
cercavo un lavoro, e
stavano aprendo un nuovo
giornale a Como. Mi sono
proposta, ho fatto qualche
articolo di prova e poi da lì
non mi sono più fermata.
Cosa ami della tua
professione?
In particolare mi piace il
lavoro redazionale. Più di
tutto mi piace scrivere, per
questo nella mia “carriera”
Q
14
non ho mai avuto problemi a occuparmi di argomenti
diversi: cronaca, economia, cultura, sport, tematiche
ambientali... Quello che mi diverte e mi stimola di più
è trovarmi davanti alla pagina bianca e iniziare subito
a buttare giù qualche riga.
Quali sono le prospettive di un giovane che vuole
intraprendere la carriera di giornalista?
Da un punto di vista puramente “pratico” il
giornalismo oggi non è diverso dalle altre professioni.
Praticamente non esiste il posto fisso, si guadagna
poco, spesso si viene sfruttati non solo quando si è alle
prime armi, ma anche quando si sono fatti anni di
gavetta e si è diventati già professionisti. Ci sono
tantissimi giovani che vogliono intraprendere questa
carriera e quindi la concorrenza è forte. Se uno vuole
fare veramente questo lavoro deve darsi da fare,
proporre qualcosa di nuovo: aprire un blog per iniziare
a scrivere e farsi notare. Fare tantissima pratica
proponendosi inizialmente a piccole redazioni, dove si
ha la possibilità di imparare moltissimo. Ogni
occasione che capita è un’opportunità per imparare e
migliorarsi, e va colta con umiltà e voglia di fare.
La professionalità dei giornalisti sta diminuendo?
Non mi piace fare “di tutta l’erba un fascio”. Ci sono
bravi giornalisti e cattivi giornalisti. Certo è che i
giornali e i media hanno un gran potere, e secondo me
è indice di professionalità saperlo usare al meglio e per
il meglio. Bisognerebbe raccontare i fatti, non
commentarli. Alcuni manipolano le notizie per
influenzare l’opinione pubblica, ma c’è anche chi sa
fare bene il proprio lavoro. Purtroppo l’idea generale è
che i giornalisti scrivano solo quello che vogliono e
stravolgano i fatti. Io ne conosco tanti che scrivono
quello che succede veramente.
Nessuno legge più i quotidiani...
Mi preoccupa il fatto che non si legge molto, in
generale. Bisognerebbe leggere i giornali, ma anche
dei buoni libri. Documentarsi, ascoltare con curiosità e
con capacità critica quello che ci propina la tv e anche
internet. Dedicare del tempo a farsi una propria
opinione sulle cose che ci succedono intorno.
Invece di prendere tutto
per buono.
E della libertà di stampa
ai giorni nostri?
È davvero rispettata
come diritto?
Accidenti, qui ci
addentriamo in un campo
spinato. Secondo la
graduatoria della libertà di
stampa nel mondo, redatta
da Reporters Sans
Frontieres, l’Italia nel
2009 si è classificata al 49°
posto su 175 Paesi.
Nel 2008 era al 44° e nel
2007 era al 35°. Come
siamo messi secondo voi?
STORIE
Fermata:
Viale Romagna
di Marta Zanella
aria tiepida della sera, fuori dalla norma per
essere l’inizio di novembre, riempie di
universitari fumatori il marciapiede fuori dal
Matricola.
Via Romagna angolo via Pascoli: uno dei pub più
gettonati del quartiere Città Studi è anche la meta di
Badanu, che scende dalla 90 con il suo mazzo di rose
in braccio e la macchina fotografica al collo e nel buio
si avvicina ai ragazzi che chiacchierano animatamente.
Badanu viene dal Bangladesh, ha 33 anni e da tre vive
a Milano. In Italia era arrivato un anno prima, via mare
direttamente a Lampedusa. Da là poi è passato da
Crotone e infine a Roma. Nella Città Eterna ha vissuto
per un anno sopravvivendo come imbianchino,
muratore, venditore ambulante. La scelta di spostarsi a
Milano l’ha fatta perché qui lo aspettavano dei cugini,
con cui oggi vive in un palazzo di viale Monza.
Qui, privo di documenti, ha sempre venduto rose,
macinando ogni sera una tutt’altro che romantica
maratona tra cinema, teatri e locali alla moda. Soldi a
fine giornata, quanti ne bastano per sopravvivere.
Insufficienti, però, a ricongiungersi con moglie e figlia,
abbandonate a 20 ore di aereo da qui.
La vendita ambulante di rose nelle città italiane è un
fenomeno «etnico» degli ultimi anni. Il commercio è in
mano alla comunità del Bangladesh, i venditori
bengalesi sono centinaia e nessuno lo fa per vocazione.
Piuttosto, per vendere una rosa non occorre sapere
l’italiano o avere in tasca un contratto di assunzione.
E soprattutto, con o senza documenti, non rischi di
finire in carcere.
Le rose, insomma, sono la perfetta «sala d’attesa»,
prima di un lavoro vero e di documenti in regola.
Badanu gira tra i ragazzi, prova a vendere le rose, ma
nessuno ha intenzione di fare il romantico. Qualcuno è
gentile, scambia qualche parola, un paio di ragazzi gli
chiedono qualcosa di sé, gli offrono anche una birra.
Ma lui non ha il tempo di fermarsi, e poi non beve
alcol. «A fare questo lavoro non si guadagna», si
lamenta con i due. «Puoi portare a casa da 0 a 20 euro
a sera. Poco il lunedì, meglio il fine settimana».
I venditori comprano le rose la mattina, in enormi
mazzi, ai mercati generali floricoli, al prezzo
L’
all’ingrosso: 30 centesimi a fiore. Rivendendo a uno o
due euro ogni stelo, il margine di guadagno è alto.
Ma non è detto che si riesca a vendere.
Per cinque euro si offre anche di fare una foto con la
macchina istantanea giapponese che ha al collo.
Qualche suo collega, racconta, va a lavorare anche nei
night club per cercare di guadagnare di più:
«Mi dicono che a volte capita che un cliente compri un
intero mazzo di rose per una ragazza, e in cambio gli
dia cento euro. Chi va in quei posti ha tanti soldi.
Ma a me non piace quell’ambiente, mi sembra poco
pulito e io voglio fare un lavoro onesto, anche se è più
dura».
Badanu vive al terzo piano di una casa di ringhiera in
zona viale Monza, a nord della città, in uno dei tanti
appartamenti-dormitorio degli immigrati.
Nei 60 metri quadri vivono in otto, tra cui due cugini
del nostro amico. Nella grande cucina un divano
malandato, odore intenso di spezie, una televisione
trasmette danze e musiche del Bangladesh e, sul
tavolo, un pacco di carta igienica e mazzi di mimose
pronti per la vendita. Neanche una donna in giro.
Nello sgabuzzino ecco le rose pronte per la vendita, a
mazzi, tra le scope e i secchi per le pulizie.
Loro arrivano tutti dalla regione del Madaripur, un
distretto agricolo tradizionalmente coltivato a riso.
Lì oltre il 90% della popolazione è musulmana, la
parte restante è hindu.
Ai gravi problemi di povertà rurale si aggiungono
gravi episodi di discriminazione femminile. In più la
regione raccoglie le famiglie più numerose del paese:
la media è di 7-8 componenti per nucleo familiare, ma
ci sono anche quelle in cui, alla stessa tavola, ci
mangiano in 25.
E partire, soprattutto per chi è istruito, è l’unica
possibilità per una vita migliore. Si parte per il Medio
Oriente, in primo luogo l’Arabia Saudita, o per l’Asia
orientale. E solo le briciole, l’1% degli emigrati, si
muove verso i Paesi occidentali come l’Italia.
Con la piccola grande speranza, come quella che porta
in giro ogni sera Badanu, di sopravvivere in modo un
po’ più dignitoso.
Perché la vita non è sempre rose e fiori.
15
COMUNITÀ BÊT MIRJAM
“T” come Tenerezza
a cura della Comunità Bêt Mirjam
asciamo la parola, per
questo mese, a due voci
distinte e significative
che parlano del tema
della tenerezza, il cardinale Martini
e un brano del “Piccolo Principe” di
Saint-Exupéry.
L
«Tenerezza è amore rispettoso,
delicato, concreto, attento, festoso.
Tenerezza è amore sensibile, aperto
alla reciprocità, non cupido, non
pretenzioso, non possessivo, ma
forte della sua debolezza, efficace e
vittorioso, disarmato e disarmante.
È vero, sono aggettivi che
accostiamo l’uno all’altro perché ci
rendiamo conto che è difficile
definire la tenerezza pur se intuiamo
che cosa sia e che è importante, è un
po’ l’ingrediente di tutta la
comunicazione umana.
Se l’idea che abbiamo di Dio è di un
Dio violento che impone il suo
volere come legge inesorabile, non
potremo mai comprendere la
tenerezza e tanto meno viverla sia
nel rapporto con Dio sia nel
rapporto con gli altri e non potremo
capire le figure che più risplendono
della tenerezza di Dio, come Maria,
Gesù, il bambino.
La tenerezza comporta disciplina,
anche del corpo: disciplina degli
occhi, del cuore, rinuncia all’avidità
sensuale.
La tenerezza comporta il coraggio
di fare piccoli passi e piccoli
investimenti affettivi (un sorriso, una
parola, un grazie, un augurio a
tempo debito, una frase: “eccoti il
giornale… ti faccio il caffè… ti
cedo il programma televisivo”).
È la sapienza dei gesti discreti che
costituiscono il tessuto della vita
16
quotidiana; è la saggezza e il
coraggio di prevenire con un gesto
con un gesto affettivo che è sempre
un piccolo rischio, perché non
sappiamo se troverà nervosismo o
gradimento.
La tenerezza richiede la
contemplazione, il silenzio, che
sono esperienze del rispetto di Dio,
del rispetto della natura, delle cose.
Di questa contemplazione si nutre
la tenerezza».
(“Dizionario spirituale”, Carlo M.
Martini, PIEMME, 1997; i corsivi
sono nostri).
«Io conosco un pianeta su cui c’è
un dottor Chermisi.
Non ha mai respirato un fiore.
Non ha mai guardato una stella.
Non ha mai voluto bene a nessuno.
Non fa altro che addizioni.
E tutto il giorno ripete come te:
‘Io sono un uomo serio! Io sono un
uomo serio!’, e si gonfia di
orgoglio.
Ma non è un uomo, è un fungo!
(...) Il piccolo principe adesso
era bianco di collera.
“Da migliaia di anni i fiori
fabbricano le spine.
Da migliaia di anni le pecore
mangiano tuttavia i fiori.
E non è una cosa seria cercare
di capire perché i fiori si danno
tanto da fare per fabbricarsi
delle spine che non servono a
niente?
Non è importante la guerra fra
pecore e fiori?
Non è più serio e più
importante delle addizioni di
un grosso signore rosso?
E se io conosco un fiore unico
al mondo, che non esiste
da nessuna parte, altro che nel mio
pianeta, e che una piccola pecora
può distruggere di colpo, così, un
mattino, senza rendersi conto di
quello che fa, non è importante
questo!”
Arrossì, poi riprese:
“Se qualcuno ama un fiore, di cui
esiste un solo esemplare in milioni e
milioni di stelle, questo basta a farlo
felice quando lo guarda.
E lui si dice: il mio fiore è là in
qualche luogo. Ma se la pecora
mangia il fiore, è come se per lui,
tutto a un tratto, tutte le stelle si
spegnessero!
E non è importante questo!”
Non poté proseguire.
Scoppio bruscamente in singhiozzi.
Era caduta la notte.
Avevo abbandonato i miei utensili.
Me ne infischiavo del mio martello,
del mio bullone, della sete e della
morte.
Su di una stella, un pianeta, il mio,
la Terra, c’era un piccolo principe
da consolare.
Lo presi in braccio.
Lo cullai.
Gli dicevo: “Il fiore che tu ami non
è in pericolo…
Disegnerò una museruola per la tua
pecora… e una corazza per il tuo
fiore… Io…”.
Non sapevo bene che cosa dirgli.
Mi sentivo molto maldestro.
Non sapevo come toccarlo, come
raggiungerlo…
Il paese delle lacrime è misterioso».
(“Il Piccolo Principe”,
Antoine de Saint-Exupéry).
NOI
Il volontario
L.I.L.T.
di Riccardo Piatti
I.L.T., cioè Lega Italiana per la Lotta contro
i Tumori. “Ho voluto dedicare del tempo a
questa causa perché me la sentivo dentro”.
È con queste parole che Anna Gargano,
conosciuta maestra di scuola elementare di Lurate
Caccivio, spiega i motivi che l’hanno portata a
impegnarsi nella L.I.L.T. presso la delegazione di
Appiano Gentile.
Innanzitutto due parole su cosa è la LILT...
La LILT è un Ente Pubblico su base associativa che
opera sotto l’Alto Patronato del Presidente della
Repubblica, sotto la vigilanza del Ministero della
Sanità e si articola in Comitati Regionali di
Coordinamento. Opera senza fini di lucro e ha come
compito istituzionale primario la prevenzione
oncologica. L’impegno della LILT nella lotta contro i
tumori si dispiega principalmente su tre fronti: la
prevenzione primaria (stili e abitudini di vita), quella
secondaria (promozione di una cultura della diagnosi
precoce) e l’attenzione verso il malato, la sua famiglia,
la riabilitazione e il reinserimento sociale.
L’obiettivo della LILT è quello di costruire attorno al
malato oncologico una rete di solidarietà, di sicurezza
e di informazione. Per quanto riguarda l’ambulatorio di
Appiano Gentile si effettuano visite senologiche,
ginecologiche e dermatologiche. Ovviamente le visite
sono effettuate da
medici competenti
e qualificati.
Quando sei
entrata a far
parte di questa
associazione e che
ruolo ricopri?
Sono entrata su
invito di una mia
amica che già era
volontaria LILT.
La mia
disponibilità, al
L.
CI
SIAMO
momento, è come volontaria
nei mercatini per raccogliere
fondi e distribuire materiale
informativo sulla
prevenzione contro il tumore.
Da circa tre anni inoltre
faccio parte del direttivo
della LILT della delegazione
di Appiano Gentile che si
riunisce ogni due mesi stilando un programma per il
mese successivo, approvando il rendiconto e facendo
proposte di iniziative volte a diffondere l’operato della
LILT. Tra queste ci sono i mercatini per la raccolta
fondi, attività di prevenzione contro il tabagismo e
l’alcool nelle scuole medie e superiori.
Come è l’organizzazione?
Quando sono arrivata ho trovato una bella
organizzazione e una presidente nella persona di
Annamaria Pagani che gestisce con grande armonia e
zelo una realtà così importante.
Inoltre, ho potuto conoscere un mondo di volontari
(circa trenta) che si adoperano per rendere il servizio
efficiente, fra questi alcune persone sono di Lurate
Caccivio e prestano la propria opera da più di
vent’anni. Rispetto al loro, il mio contributo è minimo.
Quali sono i compiti dei volontari?
I volontari possono svolgere attività come infermieri se
qualificati per farlo, aggiornamento cartelle, reception
per prenotare le visite, diffusione materiale e raccolta
fondi nei mercatini.
Ci sono dei turni infrasettimanali da coprire.
Vuoi fare un invito?
Sì, la LILT ha sempre bisogno di volontari, pertanto
invito tutti a farsi avanti e, se interessati, a contattare il
numero 031/933954 in via Marconi 2/a ad Appiano
Gentile.
Obiettivo primario della LILT è la lotta
contro i tumori, intesa in tutti i suoi aspetti.
Prevenzione primaria:
attraverso campagne informative,
pubblicazioni di opuscoli, educazione sanitaria,
interventi nelle scuole, eventi.
Prevenzione secondaria:
attraverso esami e controlli periodici
presso gli ambulatori delle Sezioni Provinciali.
Lotta al tabacco:
attraverso la linea verde SOS LILT
e con iniziative anti-fumo, campagne informative
e corsi per smettere di fumare.
Assistenza al paziente oncologico:
attraverso una corretta informazione sulle cure,
l’accompagnamento gratuito alle terapie, assistenza
domiciliare medico-infermieristica, assistenza
psico-fisica, collaborazione con gli Hospice.
Ricerca:
attraverso l’assegnazione di borse di studio per la
ricerca di base e clinica, rivolte a giovani laureati.
17
PONTE FICI
Giovanni Paolo I
a cura di Stefano Ripamonti
P
apa Giovanni Paolo I, nato Albino Luciani
(Forno di Canale, 17 ottobre 1912 – Città
del Vaticano, 28 settembre 1978), è stato il
263° vescovo di Roma e papa della Chiesa
cattolica.
Entrato nell’ottobre del 1923 nel Seminario Minore di
Feltre e in seguito, nel 1928, in quello Maggiore di
Belluno, fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1935 nella
chiesa rettoriale di San Pietro apostolo in Belluno.
Subito venne nominato Vicario cooperatore di Canale
d’Agordo. Il 27 febbraio 1947 si laureò in Sacra
Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma
e nel novembre dello stesso anno fu nominato
Procancelliere vescovile della Diocesi di Belluno.
A questi incarichi il 2 febbraio 1948 si aggiunsero
anche quelli di Provicario Generale della Diocesi di
Belluno e di Direttore dell’Ufficio Catechistico
diocesano.
Durante le elezioni politiche
italiane post-belliche del 1947
si schierò apertamente con la
Democrazia Cristiana e contro
i partiti di sinistra,
descrivendo le idee marxiste
come un “male terribile”,
anche se ebbe sempre una
pietà paterna per gli uomini
dalle idee marxiste, “nostri
fratelli erranti”.
Nel 1954 diventò Vicario
generale della Diocesi di
Belluno. Il 30 giugno 1956 fu
nominato canonico della
cattedrale di Belluno.
Divenuto vescovo di Vittorio
Veneto il 15 dicembre 1958,
prese possesso della Diocesi
l’11 gennaio 1959.
Egli non nascose di sopportare
a fatica la gestione economica
della Chiesa, specie negli anni
in cui lo IOR fu diretto
dall’arcivescovo americano
Paul Marcinkus, sostenendo
che la Chiesa avrebbe dovuto
18
avere una condotta economica il più trasparente
possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo.
Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò
innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua
capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai
bambini e dalle persone con poca cultura, per la sua
chiarezza nell’esporre, la sua capacità di sintesi e la
sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili,
nonostante una profonda cultura.
Prestò grande attenzione per la formazione dei giovani
e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva
della Chiesa, all’epoca ancora piuttosto limitata.
Il vescovo Luciani partecipò attivamente a tutte le
quattro sessioni del concilio Vaticano II (1962-1965).
Nel 1969 papa Paolo VI lo nominò Patriarca di
Venezia e, nei difficili anni della contestazione, non
fece mancare il suo appoggio e il dialogo diretto con
gli operai di Marghera, spesso in agitazione.
Anche per questo maturò la consapevolezza del
bisogno da parte della Chiesa di adeguarsi ai nuovi
tempi e riavvicinarsi alla gente.
Nel 1971 propose alle chiese ricche dell’Occidente di
donare l’uno per cento delle loro rendite alle chiese
povere del Terzo Mondo.
Il 5 marzo 1973 venne creato Cardinale del titolo di
San Marco a Roma. Il 10 luglio 1977, il cardinale
Luciani, molto devoto alla Madonna di Fatima, si recò
in pellegrinaggio al Carmelo di Coimbra, accogliendo
l’invito di Suor Lucia, con la quale si trattenne in
conversazione.
Il Conclave conseguente alla morte di papa Paolo VI si
concluse dopo solo ventisei
ore e mezzo dalla chiusura
delle porte: alle 19:18 del 26
agosto 1978 si aprirono le
vetrate della loggia centrale
della Basilica Vaticana in
quanto il nuovo papa era già
stato eletto.
Luciani scelse un doppio
nome, per la prima volta nella
bimillenaria storia della
Chiesa, in ossequio ai due
pontefici che lo avevano
preceduto (papa Giovanni
XXIII, che lo aveva nominato
vescovo, e papa Paolo VI, che
lo aveva creato cardinale).
Papa Luciani si spense nella
notte del 28 settembre 1978
nel suo appartamento privato,
per un infarto miocardico; ora
riposa nelle Grotte Vaticane.
Il pontificato del “Papa del
sorriso”, come viene
ricordato, concluso dopo soli
33 giorni dall’elezione al
soglio di Pietro, è stato tra i
più brevi della storia.
MUSEO PARROCCHIALE
raccolto questa riflessione:
possiamo arrivare a Gesù e in
particolare alla sua più grande
manifestazione, nell’Eucaristia
(l’ostensorio) solo se partiamo dalla
Parola, dal Vangelo (i simboli degli
evangelisti sulla base) e volgiamo il
nostro sguardo verso l’alto (i due
angeli).
Un elemento che mi ha colpito è
una sorta di raggiera dorata che è
posta dietro il tronetto, al centro, in
metallo argentato, un piccolo
barnabita, o nel 1537 per opera del bassorilievo raffigurante l’occhio di
cappuccino P. Giuseppe da Fermo.
Dio, racchiuso in un triangolo.
A questa pratica furono assegnate le È un’immagine a mio parere un po’
prime indulgenze da papa Paolo III, inquietante!
e la prima organizzazione stabile a Sembra voler ammonire:
Milano da S. Carlo Borromeo, nel
”Attenzione, Dio ti guarda e ti
1565.
giudica!”.
A Roma ebbe un grande fautore in
Sicuramente è l’espressione
S. Filippo Neri, che la prese come
concreta di un’immagine di Dio ben
una delle principali pratiche di
presente ai nostri nonni e forse
devozione per la sua Confraternita. anche ai nostri genitori, ma che ora
Leone XIII, nel 1897, estese a tutte ha lasciato il posto al pensiero di un
le chiese del mondo, le indulgenze
Dio misericordioso, paterno, il cui
che alla pia pratica erano state
sguardo non giudica, ma ama.
concesse nella città di Roma.
Siamo abituati a linee
In un piccolo locale del museo
architettoniche più semplici, lineari,
parrocchiale tutti i visitatori avranno essenziali.
notato una ”base per ostensorio”
Il centro dell’adorazione è Gesù
- o “tronetto”- di notevole fattura.
nell’Eucaristia, quasi a voler dire
In metallo, è formata da tre piani
che niente deve togliere il nostro
disposti a scala, la base di questi
sguardo da quell’ostia!
gradini è color argento mentre i
Noi abbiamo perso questo stile ricco
decori sono dorati.
e sontuoso; il nostro sguardo dove è
Ai piedi del primo gradino, negli
rivolto?
angoli troviamo rappresentati i
A Gesù o ad altri particolari?
quattro evangelisti attraverso i loro
simboli, sul gradino successivo ci
sono due angeli con lo sguardo
rivolto verso l’alto, verso
l’eucarestia, quindi, sorretto da
leggere volute in metallo dorato, il
terzo gradino, più piccolo, che è la
base per l’ostensorio; il tutto ha un
insieme solenne e maestoso.
Il secondo gradino riporta anche
alcuni fori, per la precisione tre per
lato, in cui fissare le luci, con
candelabri a doppio braccio, che
nella foto non compaiono,
“scoperti” in un secondo momento
grazie alla determinazione di don
Renato, che ha ricomposto
pazientemente tutti gli elementi di
questo oggetto.
Non so quale messaggio voleva
lanciare chi l’ha progettato, io ho
Il tronetto
...cioè la base per l’ostensorio
a cura di Cristina Clerici
a qualche anno, nella
nostra parrocchia, la
prima settimana di
Avvento è dedicata alla
riflessione del mistero eucaristico e
termina con le Giornate
Eucaristiche che chiamiamo anche
“Sante Quarantore”.
In questa importante occasione di
adorazione si usano due strumenti:
l’ostensorio e la base su cui è
appoggiato.
Mi soffermerò sul secondo oggetto,
lasciando l’ostensorio per il
prossimo numero di Cammino.
Le Quarantore sono una delle forme
di esposizione eucaristica che si
sono sviluppate dal tardo Medioevo
in poi.
Si può dire che esse furono la forma
tipica che l’adorazione solenne del
Sacramento prese in Italia verso il
principio del sec. XVI.
Si richiamano in particolare alle
quaranta ore che Nostro Signore
passò nel sepolcro. Si cominciò a
Milano nel 1527, come pio
esercizio per evitare le calamità
belliche del momento, dietro
l’azione di Gian Antonio Bellotti,
che ottenne che fossero praticate
quattro volte in un anno.
In tale occasione l’adorazione
avveniva davanti al tabernacolo
chiuso.
È controverso chi abbia per primo
incominciato a esporre il
Sacramento, tra speciale rilievo di
luci e di addobbi.
Sembra che la cosa sia cominciata
sempre a Milano, nel 1534 per
opera di P. Bono da Cremona,
D
19
POESIA
Temp da
castegn
Tempo di castagne, tempo di compagnia.
Momenti che raccolgono grandi e piccini
in un rituale di gesti e di immagini
che diventa tradizione e ricordo
di un tempo lontano... di un tempo sereno.
Temp da castegn, temp da cumpagnìa
temp da canzùn e d’alegrìa:
sota ‘l caldóór, ul sciücch al brósa;
barbotan i castegn; nisün ca tósa.
Intont tütt insem in un cantùn,
i pinìtt a boca verta, scultan i canzùn;
donn e tusann ga tran a fà scalfìn;
omm e fijöö a spujà ‘l carlunìn.
Fö dala porta, lì, pugioda in tera,
a ciapà i castegn, gh’è prunt la scurbèla,
dala cadena ‘l caldóór sa tira giò
e pö sa voian föra… a gutà giò.
Ecu ‘l mument: tüti ànn piantoo lì
chi da cüntà stori, chi da cüsì;
inturnu al taul, inn lì tütt insem
che specian la sua raziùn da castegn.
La mamm la sa, gh’è no da fa malìzi;
la ciapa la mitòo e la dà inizi:
a ogni persona un mügett la mett là
e, se n’avonza, la torna a ripasà.
Temp da castegn, temp da tradiziùn:
ul dì di mort sa fà cöös i marùn;
inn trii i rusori che sa dèef dì, incöö;
respundan, ma pensan ai castegn, i fijöö.
Cunfesi ul mè pecoo, l’è vera, fin da tusa
sun sempar stoda e sun anmò gulusa:
che bèll cul curtelìn pelà i marùn
e tütt intrééch, güstai in un bucùn.
Al póór no vera che dent a ‘n risc spinuus
ga sia ‘n frütt inscì bun, inscì güstuus;
temp luntan, ala bona, temp seren
inturnu a ‘na scurbèla da castegn.
Maria Taborelli Sampietro
20
Piccolo vocabolario
brósa:
caldóór:
canzùn:
carlunìn:
cöös:
cüsì:
mitòo:
risc:
scalfìn:
sciücch:
scurbèla:
spujà:
tósa:
fa la brace
grossa pentola di rame
storia popolare
varietà di granoturco
cuocere
cucire
misurino
riccio
soletta delle calze
pezzo di legno da ardere
cestino di vimini
togliere le brattee del granoturco
taccia
Errata corrige
Nel precedente numero di Ottobre,
il titolo corretto della poesia era:
‘Cumè vann ben i nòni’
(e non ‘van benn’).
Ci scusiamo per l’errore, che è però servito
a sottolineare una volta di più
l’importanza dei nonni, sperando davvero
che un’imprecisione ortografica
non sia riuscita a sminuirla... [NdR]
GIRINGIRO
Genova la Superba
di Genova nell’omonima via).
E poi piazze animate dalla movida
(Piazza delle Erbe); splendide
i avvicinano le vacanze di edicole votive e portali in ardesia e
Natale: quale occasione
marmo finemente decorati.
migliore per visitare la
Scoprirete via Garibaldi e i suoi
città di Genova nella
palazzi, patrimonio mondiale
quiete di una soleggiata giornata
dell’umanità.
invernale, senza la folla dei mesi
I vicoli che si allargano diventano
estivi?
strade da passeggio.
Vinciamo la pigrizia di prendere
La città ottocentesca, elegante.
l’auto, in un paio d’ore da Caccivio Le piazze cittadine dell’incontro e
si arriva in centro a Genova
delle chiacchiere.
(rispettando i limiti di velocità!).
I teatri e le sale cinematografiche.
Genova: i vicoli, o, come li
La spettacolare scenografia di un
chiamano i genovesi, i carruggi,
anfiteatro sul mare.
strade larghe come spilli raccontano Genova è anche questo.
quello che Genova è ed è stata nella Abbandonate le strette geometrie
storia: grande porto del
dei vicoli, il panorama si allarga al
Mediterraneo, crocevia di uomini,
Porto Antico, recuperato per le
culture, merci, cibi.
Colombiane del ’92 su disegno
Scoprirete chiese bellissime
dell’architetto Renzo Piano.
(San Donato e il trittico fiammingo Ne resterete affascinati.
di Joos Van Cleve in piazza San
Da visitare l’Acquario più grande
Donato; la romanica Santi Cosma e d’Europa (Ponte Spinola).
Damiano, che sboccia dalla
Salendo per via San Lorenzo, sulla
piazzetta microscopica di San
sinistra, imponente, si staglia
Giorgio; San Siro, prima cattedrale
la medievale Cattedrale di Genova.
a cura di Silvano Fumagalli
Quindi Palazzo Ducale, sede di
mostre e manifestazioni, antica
residenza dei Dogi.
Infine, piazza De Ferrari, cuore
pulsante della città.
Scenderete per via XX Settembre e
via San Vincenzo, le strade dello
struscio e delle boutique.
Per una veduta mozzafiato della
città dall’alto (indimenticabile al
tramonto), salirete a Spianata
Castelletto.
S
Gli indirizzi golosi sono tanti.
Impossibile non assaggiare (ed
amare!) la focaccia, quella di
Claretta (via della Posta Vecchia,
12) o la farinata di Sa Pesta (via
Giustiniani, 16).
O i cioccolatini, superbi, di
Viganotti (vico Castagna, 14),
prodotti con macchinari risalenti ai
primi del ‘900.
C’è il pesce fresco, alla Pescheria di
piazza dei Macelli di Soziglia, dove
all’ora dell’aperitivo offrono vino e
crudità di pesce.
Per sentire gli odori delle erbe
aromatiche della Liguria
(maggiorana, timo, origano)
mescolati a spezie di tutto il mondo,
ecco la minuscola drogheria Torielli
(via San Bernardo, 32).
Tanti anche i ristoranti.
Da Vegia Zena (vico del Serriglio,
15) sorriderete per la schietta cucina
genovese e per un conto poco
salato.
A Villa Pietro Da Pippo (salita alla
Chiesa di Fontanegli, 13, sulle
colline sopra Genova) c’è una bella
trattoria di stretta cucina genovese.
Non si può lasciare Genova senza
visitare, a Pra’, le serre di basilico,
con famiglie che da generazioni lo
coltivano per un pesto a regola
d’arte; ottimo quello dalla famiglia
Sacco (via Branega Inferiore, 45).
21
PAGINE
Oratorio
ieri e oggi (1)
Crescere in oratorio
In oratorio siamo cresciuti
e alcuni di noi continuano
a frequentarlo regolarmente.
Ma la quotidianità, a volte,
non ci dà il tempo per “pensarci su”.
Allora come Redazione Ragazzi
abbiamo voluto prenderci
questo tempo per riflettere
su questo luogo così importante
e per raccontarvi com’è oggi,
cosa ci piace e cosa no.
Ognuno di noi ha voluto
far sentire la propria voce
e sono uscite tante riflessioni,
che vi accompagneranno
per questo e per il prossimo mese.
22
Oratorio 2010:
una realtà viva, ma fragile
“Una volta sì che era bello
andare all’oratorio,
ci passavamo giorni interi”.
Alzi la mano chi, tra noi giovani,
non si è mai sentito dire questa
frase da qualcuno di più grande e
non ha mai iniziato a fantasticare,
a vedere un campo pieno di ragazzi
che rincorrono un pallone,
o a sentire le risate e i canti
provenienti dal salone per poi
ricadere nella triste realtà e passare
da via Cagnola per non trovarci
quasi nessuno…
DEI
RAGAZZI
Forse perché non è su una strada
principale, forse perché nessuno ne
parla, in pochi sanno che il nostro
oratorio, nonostante le apparenze,
ha molti problemi.
Non pensate anche voi con un velo
di tristezza a quando, tra quaranta o
cinquanta anni, un papà non saprà
raccontare ai suoi bambini cosa
vuol dire essere animatore, passare
le estati in oratorio, vivere in una
comunità attiva?
È difficile puntare il dito contro
qualcuno, trovare la vera causa di
questo, perché in fondo le proposte
non mancano e, a saper cercare, ci
sono persone di tutte le età disposte
ad organizzare pomeriggi e feste.
I lavoretti di Natale, il teatro, il
coretto, la Polisportiva…
è impossibile trovare nella
settimana un giorno “libero”,
neppure la domenica, generalmente
dedicata alla famiglia, in cui non
siano state proposte attività.
Purtroppo sembra che la gente non
sia più attratta da questi momenti;
che differenza fa se l’oratorio non è
più frequentato?
E invece è molto importante!
L’oratorio ha avuto un ruolo
fondamentale nella nostra infanzia:
è stato un punto di ritrovo dove
poter parlare, giocare, pregare o
semplicemente aiutarsi l’un l’altro.
Non dimenticheremo mai le
amicizie nate per caso, magari
per colpa di un ginocchio
sbucciato sul campo da calcio,
e diventate con il tempo
sempre più forti.
Conosciamo il valore del
sorriso di un educatore
e come questo sia alla base di
un solido rapporto di fiducia.
Ecco perché abbiamo voluto
scrivere questa pagina: per
aprire gli occhi a coloro che
accusano la nostra di essere
una generazione amorfa, priva
di entusiasmo, con pochi
interessi e per di più sbagliati.
La nostra è una richiesta
d’aiuto, un appello per far sì
che l’oratorio torni a brillare
come quando noi eravamo
piccoli.
Per questo ringraziamo tutti
quelli che credono in noi e nel
PAGINE
nostro futuro, e che sono disposti a
mettersi in gioco per superare
insieme gli ostacoli di ogni giorno.
Chiara Angelini, Francesca Piatti
Come era, come è...
Forse non tutti i lettori sanno o si
ricordano come funzionava
l’oratorio fino a una trentina di anni
fa, così a noi ragazzi è subito
piaciuta l’idea di “rispolverare”
un po’ come era organizzato ai
tempi dei nostri genitori, così, fra
una domanda e l’altra abbiamo
scoperto che…
L’oratorio domenicale si svolgeva in
due luoghi diversi: i maschi si
ritrovavano nel vecchio oratorio
San Carlo, le femmine invece
all’asilo di Caccivio; la separazione
fra i sessi riguardava anche gli
animatori, che però si ritrovavano al
termine del pomeriggio domenicale
per un confronto e una
programmazione precisa per la
domenica successiva.
Le attività principali erano
sicuramente il gioco
(come dimenticare le lunghe partite
a palla avvelenata o pallavolo?)
e semplici lavoretti di cucito
o ricamo, per quanto riguarda
soprattutto l’oratorio femminile.
Il tutto era coordinato da un gruppo
di animatori ben preparati che a loro
volta rispondevano del loro operato
alle suore e al parroco.
La divisione fra maschi e femmine
permaneva anche durante gli
incontri di catechesi: dopo la
professione di fede, che si
compiva al termine della
Terza Media, gli adolescenti
si trovavano divisi per fascia
d’età (1° anno, 2° anno,
3° anno) con incontri a
cadenza settimanale in giorni
distinti.
Il Gruppo Giovani raccoglieva
i ragazzi a partire dai 17/18
anni in su e godeva della
sospirata “unificazione” fra
maschi e femmine.
Appuntamento quotidiano era
per tutti la recita dei Vesperi
delle 18:15 presso la chiesa
parrocchiale, dopo essersi
ritrovati nell’attiguo giardino
per chiacchierare, giocare a
pallavolo, suonare la chitarra
o cantare.
Generalmente si celebrava una
S. Messa comunitaria una volta a
settimana, preparata ciclicamente
da ciascun gruppo di catechesi,
che costituiva un momento di
verifica per tutti.
Il sabato sera era dedicato alla
“Serata organizzata”: giochi di
gruppo, canti e la recita della
Compieta, sotto la luce delle stelle.
Venne proposta anche una delle
prime vacanze estive comunitarie,
con meta Andalo, in Trentino, alla
quale seguirono altre esperienze
analoghe.
Oggi le cose sono notevolmente
cambiate: non c’è più la divisione
maschi/femmine, ci si ritrova tutti
presso i nuovi locali dell’oratorio e
DEI
RAGAZZI
qui gli animatori del Gruppo
Adolescenti, aiutati anche da alcuni
genitori, tengono impegnati i più
piccoli con lavoretti e attività
organizzate e li sorvegliano nei
momenti di gioco libero.
La catechesi invece è piuttosto
simile: si è sempre divisi per fasce
d’età, ma ci si ritrova tutti nello
stesso giorno, il venerdì sera.
Gli incontri prevedono un momento
comune, dove vengono dati gli
avvisi per la settimana, a cui
seguono gli incontri dei singoli
gruppi.
Solitamente una volta al mese si
organizza una “Cena adolescenti”
che precede la riunione, oltre che
una “Serata Ado”, con varie attività
o uscite, come il pattinaggio o la
partecipazione a spettacoli teatrali.
Quest’anno, oltre che
all’impaginazione del “Cammino”,
al teatro e all’aiuto nell’oratorio
domenicale, i ragazzi porteranno
avanti anche un’attività di
cineforum.
Infine, l’esperienza delle vacanze è
stata portata avanti con due nuove
mete: Oga, per l’estate, che si
articola su due settimane
(elementari, poi medie e
adolescenti) e Premadio, in inverno,
per ora aperta solo al gruppo delle
superiori.
Francesca Calabrese
23
REGISTRI
OFFERTE
ANAGRAFE
Al funerale
500,00
Pranzo sociale sostenitori ‘Insieme con E.Botta’
100,00
Al battesimo di Cristian
100,00
Al battesimo di Lorenzo
100,00
Al battesimo di Diego
50,00
Al battesimo di Mirko
50,00
Al battesimo
50,00
Al battesimo
150,00
Al funerale
100,00
Per la parrocchia
50,00
Cassettina chiesa
10,00
TOTALE
1.260,00
RESTAURO DELLA CHIESA PARROCCHIALE
Importo precedente
Offerte mese
TOTALE
506.854,77
12.370,00
519.224,77
ABBIAMO
ACCOMPAGNATO ALLA CASA DEL
PADRE
49) Monti Gilda (a.87) Via XX Settembre, 50
50) Uslenghi Giovanni (a.79) Via Pirandello, 4
51) Castiglioni Fiorenza (a.95) Appiano Gentile - Bellaria
52) Ciaccia Elisa (a.86) Via Garibaldi, 1
ABBIAMO ACCOLTO NELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE
25)
26)
27)
28)
29)
30)
31)
32)
33)
Trapanese Mirko di Marcello e Nopoli Daniela
Colombo Ludovica Maria di Fabrizio e Galli Luana
Baietti Samuele di Massimo e Scontrino Pamela Iris
Luciano Cristian di Alessandro e Ruggiero Selena
Pellin Samuele di Franco e Ferrara Maria Concetta
Tomarchio Giada di Roberto e Braga Elisa
Tomarchio Cecilia di Roberto e Braga Elisa
Calabrese Diego di Sergio e Di Biasi Giachelin
D’Onofrio Lorenzo di Alberto e Sala Stefania
Visitate il nuovo sito Internet parrocchiale: www.parrocchiassannunciataluratecaccivio.it
“Cammino” - Anno 13 Nr. 9 - Lurate Caccivio, Novembre 2010
Rivista mensile della Parrocchia SS. Annunciata in Caccivio (10 numeri annuali)
Registrazione del Tribunale di Como N. 5 del 25 marzo 1998
Direttore responsabile: Fasola Giuseppe - Collaboratori: Angelini Chiara, Folci Giulia, Fumagalli
Silvano, Piatti Alberto, Piatti Francesca, Piatti Riccardo, Zanella Marta, Zoani Francesco
GIORNALE DEI RAGAZZI: Angelini Chiara, Calabrese Francesca, Cappelletti Mattia, Folci Giulia, Piatti Francesca,
Sozzoni Marcella, Taiana Giulia, Zoani Francesco, Zoani Viviana - Coordinatrice: Arrigo Amedea
Sede: Via XX Settembre 125 - tel. e fax 031490139
Abbonamento annuo: Ordinario € 10,00 - Amico € 16,00
Agli abbonati viene allegata la rivista "Il Segno" della Diocesi di Milano
(11 numeri a € 10,00 - Offerta riservata agli abbonati di Cammino)
Stampa copertina: tipografia Salin - Olgiate Comasco
Impaginazione e stampa a cura della Parrocchia SS. Annunciata
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novembre 2010 parrocchia ss. annunciata