Poste Italiane SPA
Spedizione in Abbonamento Postale
D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46)
art.1, comma 2 - DCB - Roma
Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001
N.18 ESTATE 2004
RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’ HIV
IN Q UESTO N UMERO
EDITORIALE
1
ANCHE I GLOBULI ROSSI OSPITANO L’HIV
2
Osorio
CONOSCIAMO MEGLIO L’EPATITE A
2
Osorio
HPV E LESIONI DELLA CAVITA’ ORALE
3
Giuliani
III WORKSHOP INTERNAZIONALE DI IMMUNOLOGIA
E MALATTIE INFETTIVE
4
Perella
FANTAFUZEON
6
Marcotullio
XV CONFERENZA INTERNAZIONALE AIDS 2004
7
Marcotullio/Osorio/Schloesser
PROGRAMMA NAZIONALE DI RICERCA SULL’AIDS:
“LA COMUNICAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE”
12
Starace
RAPPORTO DAL SITO DI NADIR:
http://www.nadironlus.org
Nadir
XV CONFERENZA INTERNAZIONALE AIDS 2004
Dall'11 al 16 luglio si è svolta a Bangkok la
XV Conferenza Internazionale AIDS, organizzata da International AIDS Society. La scelta
di Bangkok è stata guidata dall'impatto epidemiologico di eventi AIDS in Asia negli ultimi
anni: il 25% delle nuove infezioni è avvenuto
in questo continente.
Migliaia di persone provenienti da 169 paesi
dal mondo e che operano nell'HIV si sono
incontrate per sapere, per manifestare, per
imparare, per comunicare, materializzando in
modo globale il concetto di community. In
particolare, le comunità africane e quelle asiatiche hanno manifestato la propria presenza
con interventi, proteste, spettacoli, marce,
mostrando come sia sempre più viva la
coscienza del problema HIV tra coloro che
hanno problemi di infrastrutture sanitarie,
pregiudizi e mancanza di risorse finanziarie.
Il tema della conferenza era Access for all:
in primo luogo accesso alla terapia, ma fondamentale anche l'accesso all'informazione
obiettiva e non manipolata, alla formazione
sulla prevenzione e sui trattamenti, alle strutture sanitarie, a tutte quelle risorse necessarie per garantire la sopravvivenza e la qualità
della vita a chi oggi non ne ha ancora accesso
e che rappresenta oltre il 90% dell'umanità.
Ci aspettavamo un maggiore impegno da
parte della comunità scientifica e dei ricercatori nel fornire risultati della ricerca di nuovi
trattamenti e nuove strategie terapeutiche.
Ci aspettavamo anche che alcuni membri
della comunità scientifica italiana avessero
ormai digerito che l'AIDS è una partita che si
gioca con la società civile, ma si vedono
ancora alcuni primari vagare facendo sforzi
sovrumani per evitare lo sguardo e il saluto
dei rappresentanti della community. Chi
sono? Lo sappiamo tutti, sono pochi, pochissimi li temono, nessuno li ama, tutti li evitano, soprattutto come medici.
L'organizzazione della conferenza è stata
eccellente e in sintonia con la disponibilità
con cui la Tailandia ha accolto i delegati,
rendendo funzionale lo svolgimento delle
diverse attività per le 17.000 persone coinvolte nei numerosi ed eterogenei eventi del
programma.
Da sottolineare, in particolare, l'accoglienza
per la comunità delle persone sieropositive,
a cui è stato messo a disposizione un
community lounge che prevedeva sale per il
riposo, massaggi, alimentazione e pronto
soccorso in un ambiente che prefigurava gli
obiettivi della conferenza stessa.
16
ANCHE I GLOBULI ROSSI OSPITANO L'HIV
I globuli bianchi - specialmente i linfociti CD4 - sono gli obiettivi principali del virus dell'HIV. La terapia antiretrovirale altamente attiva (HAART) mira a preservare il numero di CD4
in una persona con HIV riducendo la carica virale (quantità di particelle di virus che circolano liberamente nel sangue). Due degli enzimi del virus dell'HIV -le trascrittasi inverse e
le proteasi- sono disattivati dai farmaci e senza questi enzimi il virus non può riprodursi nelle cellule. La HAART previene lo spargimento dell'infezione nelle cellule sane, ma non
elimina le cellule infettate originariamente con il virus. Queste cellule possono circolare nel sangue per decenni. Dato che portano con sé l'informazione genetica del virus (RNA), si
possono replicare anche dopo molti anni, diventando una continua fonte di HIV. Se nel tempo la HAART non fosse più efficace in una persona con HIV, i globuli bianchi in circolazione potrebbero riassumere il loro ruolo nello spargimento dell'infezione alle cellule sane.
Collegamento ai globuli rossi
I scienziati hanno scoperto di recente che i globuli bianchi
infettati non sono l'unica causa di preoccupazione. Dopo
aver esaminato campioni di sangue prelevati a 32 persone
con HIV, hanno scoperto che vi erano particelle di HIV
collegate anche ai globuli rossi (eritrociti). Infatti i globuli
rossi che portavano il virus dell'HIV circolavano nel sangue
del 98% di questo gruppo -anche in quelli la cui carica virale era non quantificabile per più di 32 mesi. In altre parole,
sembra che l'HIV continua ad essere prodotto anche
quando non è stato rilevato nel plasma sanguigno per
lunghi periodi. Anche se l'HIV è più associato ai globuli
bianchi che ai rossi, il sangue contiene un numero molto
più elevato di globuli rossi e quindi i globuli rossi diventano una fonte maggiore di RNA virale. Questo potrebbe
costituire un pericolo potenziale dello spargimento dell'infezione da HIV ad altre cellule target.Gli scienziati potranno utilizzare questa nuova informazione sull'associazione
delle particelle dell'HIV con i globuli rossi per misurare l'efficacia dei farmaci e sviluppare nuove terapie.
Fonte:The Lancet
CONOSCIAMO MEGLIO L’EPATITE A
DEFINIZIONE E TRASMISSIONE
DIAGNOSI
PER LE PERSONE HIV+ ?
L'epatite A è causata dal virus dell'epatite A (HAV). Si
trasmette attraverso cibi e acqua contaminati ed i contatti interpersonali, quindi la sua diffusione è legata alle
condizioni igieniche generale, in particolare alla contaminazione attraverso materiale fecale di persone infette, il
che, in parole povere, vale in situazioni molto diverse: dal
cuoco che non si è lavato le mani dopo essere andato in
bagno agli scarichi fognari che contaminano acque dalle
quali si prelevano frutti di mare. Non a caso il cattivo
stato degli acquedotti e delle fogne sono spesso causa di
endemia dell'infezione. L'HAV può anche essere trasmesso sessualmente attraverso il "rimming" (ossia sesso oroanale). Raramente si trasmette attraverso contatti di
sangue. L'epatite A è una forma acuta di epatite, questo
significa che non cronicizza, ossia si "risolve" a breve
termine. Se una persona ha già avuto l'epatite A, non può
re-infettarsi. Tuttavia non si è protetti da altri virus che
causano epatiti (ad esempio il virus B, C, ecc…).
Avviene attraverso esami del sangue: ricerca dell'antiHAV (anche detto AbHAV). E' l'anticorpo contro l'antigene associato al virus dell'epatite A. Il tipo IgM compare
dopo i primi segni clinici della malattia infettiva e scompare dal sangue in 1-3 mesi; la sua presenza è indicativa
dell'epatite A allo stadio acuto. Il tipo IgG si ritrova al
tasso massimo dopo 2-3 mesi dall'inizio dell' infezione e
persiste per tutta la vita; è indicativo di una infezione
recente (se l'anticorpo anti-HAV IgM è ancora presente)
o pregressa con immunità (se non vi è anticorpo antiHAV IgM). Ne consegue che la positività al tipo IgG (
negatività al tipo IgM) è sinonimo di immunità, che significa che o si è stati vaccinati o in passato si è contratto e
poi risolta l'epatite A:si è dunque ora immuni.Chi è negativo al tipo IgM ed IgG può effettuare la vaccinazione.
Le persone HIV+ non sono più a rischio di contrarre
l'HAV. Alcuni studi suggeriscono però una potenziale
difficoltà a risolvere l'epatite A in persone HIV+, il che
può comportare che i sintomi persistano un po' più a
lungo. In situazioni di epatite A piuttosto gravi potrebbe
accadere che, per concomitanza di tossicità epatica
dovuta ai farmaci antiretrovirali, la terapia anti-HIV venga
sospesa: gli indicatori di questo sono le transaminasi, se
eccessivamente alte si può considerare quanto detto.
SINTOMATOLOGIA
Non tutti diventano sintomatici se si infettano con
l'HAV. Questo virus provoca una malattia acuta che nei
bambini causa pochi sintomi e può anche passare inosservata, mentre negli adulti è decisamente più grave:
produce ittero, costringe a letto per qualche settimana
e a volte ha code abbastanza lunghe. La sintomatologia
classica dell'HAV e delle epatiti acute in genere può
essere: ingiallimento della pelle e del "bianco" degli
occhi, sentirsi affaticati, dolore nell'addome (parte altadestra), perdita di appetito, perdita di peso, febbre, diarrea, nausea, vomito, urine scure e feci chiare, dolori alle
articolazioni. Inoltre nei test del sangue vi è un innalzamento degli enzimi prodotti dal fegato, le transaminasi
(vedi BOX). Il sistema immunitario può impiegare fino
ad otto settimane per eliminare il virus dell'HAV dal
corpo. Se i sintomi si manifestano, questo accade dopo
2-4 settimane dall'infezione. I sintomi possono durare
da 1 a più di 4 settimane (nel 15% dei casi può accadere un decorso fino a 6-9 mesi). In circa l'1% dei casi
accade una situazione chiamata epatite fulminante
(acuta, gravissima e veloce): la morte improvvisa di
molte cellule epatiche può provocare anche la morte.
Le transaminasi sono enzimi prodotti dal
fegato (e dai muscoli). Ne esistono parecchi, ma
quelli che vengono valutati sono due: SGPT (transaminasi glutammico-piruvica o ALT alanina aminotransferasi) e SGOT (transaminasi glutammico-ossalacetica o AST aspartato aminotransferasi), che nell'adulto
sano hanno valori normali pari rispettivamente a 540 UI e 5-35 UI per litro.
La GPT è localizzata prevalentemente nelle cellule del fegato perciò un suo incremento nel sangue si
verifica quando le cellule epatiche sono state danneggiate o distrutte.Tutti i tipi di malattie del fegato, virale, alcolica, da farmaco, ecc. causano danno delle
cellule e quindi possono portare a livelli elevati nel
siero della GPT.
La GOT è meno specifica perché si trova anche
in altri organi e apparati (cuore, muscoli).
Valori particolarmente elevati della SGPT e della
SGOT (pari a 300 e più unità internazionali) sono
frequenti soprattutto quando è in corso un'epatite
virale acuta.
In molti casi di malattie epatiche causate da virus il
rapporto SGPT/SGOT è superiore a 1 e
nel 50 per cento dei malati l'SGPT supera il valore di
500 UI, mentre nelle forme di origine alcolica o tossica l'aumento sierico della SGOT è superiore a quello della SGPT (rapporto SGPT/SGOT inferiore a 1).
COME SI CURA ?
Il riposo è fondamentale: stare a letto. Ingerire molti liquidi, in particolare in presenza di diarrea o vomito.Talvolta
può essere prescritto un blando antidolorifico. Se si pensa
di essere stati infettati con HAV recentemente, parlando
con un medico potrebbe essere prescritta una iniezione
di immuno-globuline (anche dette gamma-globuline).
Queste contengono alti livelli di anticorpi specifici che
possono prevenire la malattia (però devono essere
somministrate in una finestra da due a sei settimane dopo
la possibile esposizione). Chi riceve le gamma-glouline
dovrebbe anche ricevere una contemporanea vaccinazione all'epatite A. Non bere mai alcolici durante una qualunque forma di epatite. Nel caso dell'HAV inoltre spesso si
consiglia di ingerire molti zuccheri.
COME SI PREVIENE ?
Il modo più semplice è la vaccinazione.Ne esistono di due
tipi (Havrix and VAQTA). Entrambi i vaccini richiedono
due iniezioni, usualmente a distanza di 6 mesi. Gli effetti
collaterali, quando e se appaiono, sono lievi e consistono
in un po' di irritazione nel sito dell'iniezione ed eventualmente sintomatologia simil-influenzale. E' in commercio
anche un vaccino combinato per epatite A ed epatite B
(Twinrix). Il vaccino per l'HAV è efficace nel 99% delle
persone. Per quel che riguarda le persone HIV+, si consiglia di effettuare la vaccinazione nel momento in cui i CD4
sono normali (non al di sotto dei 200 cells/mm3), questo
solo per essere certi del beneficio del vaccino (poi
controllabile attraverso la ricerca delle IgG). Si consiglia
sempre alle persone HIV+ la vaccinazione contro le epatiti, specialmente se si è già infetti con un'altra epatite.
HPV E LESIONI DELLA CAVITA' ORALE
I virus del papilloma umano (HPV) sono un
gruppo di virus a DNA che mostrano una spiccata
predilezione per certi tessuti e un tropismo elettivo
per gli epiteli di rivestimento squamosi, sia cutanei sia
mucosi. Questi virus sono stati associati ad un'ampia
varietà di lesioni dell'epitelio squamoso che appunto
riveste la cute e le membrane mucose. La cavità orale
è rivestita da un epitelio che condivide molte caratteristiche con quello che riveste la mucosa genitale;
entrambi gli epiteli condividono anche l'esposizione a
un certo numero di microrganismi, tra cui gli HPV,
potenzialmente carcinogenetici.
Le lesioni di cui questi sono stati sospettati essere la
causa variano da forme assolutamente benigne ed
innocue a forme cosiddette precancerose (con un'alta probabilità, cioè, di trasformazione carcinomatosa)
e a varietà francamente maligne. Ad oggi sono stati
identificati, con sofisticate tecniche di biologia molecolare, circa centoventi tipi di HPV molti dei quali
sono stati associati con le varie lesioni cutanee e
mucose. Il virus si replica seguendo le fasi di maturazione delle cellule squamose di rivestimento: la
replicazione virale, che è legata al processo di cheratinizzazione, avviene nei nuclei delle cellule epiteliali
e il DNA virale e le particelle virali mature si ritrovano anche negli strati epiteliali più superficiali.
adulti e le lesioni orali si ritrovano in particolare sulla
lingua e sul bordo delle labbra, dove spesso rappresentano la conseguenza dell'autoinoculazione del
virus presente nelle lesioni cutanee. Tali verruche
sono spesso osservate anche nelle persone affette da
immunodepressione.Al contrario del papilloma squamoso le lesioni sono in genere multiple e non sono
peduncolate.
Da un punto di vista clinico queste lesioni sono
generalmente asintomatiche e la loro identificazione
è spesso occasionale nel corso di una visita odontostomatologica, oppure vengono avvertite dal paziente come "corpi estranei" se sono localizzate sul palato o sulla lingua. Altre sedi frequenti sono le labbra,
in particolare la zona di passaggio tra la cute e la
mucosa, e la gengiva , ma tutte le zone di mucosa
orale possono comunque essere colpite.
Per quanto concerne la prognosi, grazie al fatto che
questi virus sono generalmente dotati di bassa infettività, questa è abbastanza buona: una rimozione
meccanica di tali neoformazioni, sia con il bisturi sia
con il laser, garantisce generalmente una guarigione
definitiva, anche se le recidive sono sempre possibili
soprattutto nelle persone sieropositive.
2, 6, 11, 57
VERRUCA VOLGARE CUTANEA
1, 2, 4, 40
CONDILOMA ACUMINATO
PAPILLOMA LARINGEO
PAPILLOMA CONGIUNTIVALE
6, 11
6, 7, 11
11
IPERPLASIA FOCALE EPITELIALE
13,32
NEOPLASIA/DISPLASIA SQUAMOSA
16,18
Le lesioni orali causate dagli HPV si configurano principalmente in tre tipi: il papilloma squamoso, la verruca volgare e i condilomi acuminati.
Il papilloma squamoso è un termine generico che
indica un aumento di volume papillare-verrucoso
costituito da un'impalcatura principale di tessuto
connettivo e rivestito da epitelio normale; in genere
la lesione è solitaria, peduncolata e presenta un tipico
aspetto a cavolfiore con colorito rosa pallido. E' ancora oggetto di discussione se tutti i tipi di papilloma
squamoso del cavo orale riconoscano un'eziologia
virale oppure no.
La verruca volgare (detta comunemente porro,
soprattutto quando è localizzata sulla cute) è piuttosto infrequente a livello della cavità orale e si ritrova
molto più facilmente a livello della cute delle mani e
dei piedi. Generalmente viene ascritta la responsabilità patogenetica a due virus, i sottotipi HPV-2 e HPV4. Non si sa se tutte le lesioni orali siano correlate a
forme cutanee, ma si sa per certo che lo stesso
sottotipo di HPV può essere ritrovato in entrambe
le forme. E' più frequente nei bambini rispetto agli
pia chirurgica, con laser, bisturi o criochirurgia, è
quella elettiva, ma il rischio di recidiva è più elevato
rispetto alla verruca volgare e al papilloma squamoso.
Diversi autori hanno poi dimostrato la presenza del
subtipo 16 e 18 nei carcinomi squamocellulari
della cavità orale ed è stato immediatamente ipotizzato un ruolo etiopatogenetico degli HPV nella
genesi di questa neoplasia maligna; peraltro tali
virus sembrerebbero coinvolti anche nella genesi di
un altro carcinoma tipico della bocca che è il carcinoma verrucoso. Il meccanismo ipotizzato sarebbe quello che alcune proteine degli HPV, e segnatamente la E6 e la E7, si leghino alla proteina p53 e
alle proteine del retinoblastoma, impedendone la
normale attività di controllo sulla trasformazione
maligna delle cellule epiteliali.
Esiste un altro carcinoma per il quale è stata dimostrata la centralità etiopatogenetica degli HPV ed è
il carcinoma della cervice uterina; in particolare il subtipo 16 è stato dimostrato essere presente
in circa il 50% di tali neoplasie e i subtipi 18, 31 e 45
in un altro 30%. Anche in questo caso è stata accertata la importanza oncogenetica delle proteine virali E6 ed E7.
E' molto utile per comprendere meglio tali meccanismi, indagare quale sia la risposta dell'ospite
all'infezione da HPV ed approfondire quali siano i
cofattori coinvolti nella genesi delle complicanze e
dei carcinomi associati a tale infezione. Una volta
che particelle virali di HPV siano penetrate nei
nuclei delle cellule epiteliali sane, quelle cominciano
a replicarsi ponendo le premesse affinchè , nel
tempo, si sviluppino le lesioni tipiche sopramenzionate. E' stato dimostrato che contemporaneamente
si instaura una risposta immune cellulo-mediata
regolata da meccanismi dipendenti da linfociti T
(CD4) che può portare alla scomparsa della lesione stessa. Anche se i meccanismi sono ancora
poco chiari, sembrano comunque essere coinvolti
in questo processo le cellule natural killer e i
linfociti citotossici. Ma se la risposta immune
cellulo-mediata non dovesse sortire l'effetto di
bloccare l'evoluzione di queste lesioni, si andrebbe incontro ad una infezione virale persistente
con la conseguente liberazione di notevoli quantitativi di E6 ed E7, capaci di indurre l'oncogenesi.
Le principali lesioni associate con alcuni sottotipi di
HPV sono elencate qui di seguito:
PAPILLOMA SQUAMOSO ORALE
Michele Giuliani
Il condiloma acuminato (dovuto ai sottotipi HPV
6, 11, 16, 18) si localizza principalmente sulla mucosa
delle zone anogenitali, ma anche nella cavità orale è
possibile ritrovarne, in genere trasmesso per via
sessuale, con tempi di incubazione che variano dai
due ai quattro mesi. E' piuttosto frequente nei
soggetti HIV positivi, tanto da essere considerata
una infezione opportunistica. Clinicamente i condilomi acuminati hanno l'aspetto di escrescenze, non
peduncolate, minute e multiple, che tendono a
confluire, formando quindi una lesione esofitica a
larga base di impianto.Anche in questo caso la tera-
Tra i cofattori più importanti sembrerebbe indispensabile una adeguata carica virale di HPV per
favorire la cronicizzazione della infezione stessa.
Ovviamente la risposta immune dell'ospite
sembra essere il fatto più significativo ai fini della
guarigione o della persistenza della lesione. In
particolare soggetti con un difetto nella immunità
cellulo-mediata (da linfociti T) e soggetti trapiantati sottoposti a terapia immunosoppressiva
dimostrano di essere molto suscettibili alla infezione da HPV e alle loro complicanze. (A.Del
Mistro, L. Chieco Bianchi: HPV-related neoplasias
in HIV-infected individuals. 2001- European J. Of
Cancer, 37, 1227-35).
Per quanto riguarda invece le persone sieropositive per HIV, sin dagli esordi di tale infezione, a
metà degli anni '80, si era notato un incremento
nell'incidenza della infezione da HPV, tanto che per
le donne HIV+ il cancro invasivo della cervice
uterina divenne una di quelle condizioni cliniche
che faceva porre diagnosi di AIDS conclamato; d'altro canto, la coinfezione da HIV rendeva molto più
drammatica la prognosi per le donne affette dal
cancro della cervice.
In seguito all'introduzione della HAART (highly
active antiretroviral therapy) ci si sarebbe aspettati, al pari di tante altre infezioni opportunistiche,
che anche le lesioni associate agli HPV diminuissero: a tale riguardo invece le aspettative sono andate deluse. Paradossalmente si è notato un incremento nella incidenza di lesioni HPV orali e cutanee oltre a quelle dell'apparato genitale, con possibili spiegazioni che ancora non soddisfano del
tutto.
orale sono in aumento. Peraltro non è facile stabilire se l'aumento notato sia da ascrivere alla
HAART di per sé o piuttosto al fortissimo calo
della viremia a seguito della terapia antiretrovirale. Infatti dopo la HAART c'è in genere un aumento del numero e della efficacia dell'attività dei CD4
, anche in relazione alla immunità cellulo-mediata
che è punto cruciale della resistenza dell'ospite
alla infezione da HPV.
Il rischio perciò di un incremento della incidenza
di tali infezioni potrebbe essere considerato alla
stregua della sindrome da ricostituzione immuni-
In particolare tre studi pubblicati nel 2000, nel
2001 e nel 2002 hanno suggerito che l'incidenza
delle verruche orali e dei papillomi della cavità
taria come nel caso di pazienti che sviluppino retinite da Cytomegalovirus, della meningite criptococcica e così via, nonostante l'efficacia (o forse
proprio grazie all'efficacia!) della terapia antiretrovirale. Tutte queste forme sono legate ad una
vivace risposta infiammatoria e possono richiedere per la terapia alte dosi di farmaci antinfiammatori per via sistemica.
La regolazione da parte del virus HIV della trascrizione del DNA degli HPV potrebbe essere un altro
meccanismo che spiegherebbe in parte l'aumentato
rischio di lesioni orali in corso di HAART. (MD
King et al: HPV-associated oral warts among HIVSeropositive Patients in the era of HAART: an
emerging infection, Clinical Infectious Diseases
2002, 34:641-8).
Vista tuttavia la alta pericolosità correlata al rischio
di trasformazione maligna di alcune lesioni indotte
da HPV e vista la capacità, diretta o indiretta, della
HAART di aumentare la incidenza di tali lesioni, è
opportuno consigliare un attento monitoraggio e
una adeguata sorveglianza di tutte le lesioni
sospette indotte da HPV.
Michele Giuliani è ricercatore confermato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,
Istituto di Clinica Odontoiatrica (Direttore: Prof. Renzo Raffaelli)
III WORKSHOP
Internazionale di Immunologia e Malattie Infettive
Presieduto dal Prof. O. Perrella
Argomenti trattati:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
Immunopatogenesi e epidemiologia delle infezioni da HIV
Implicazioni genetiche e immunologiche nelle infezioni
Aspetti critici nel controllo delle infezioni
Correlazioni fra cancro e infezioni
Infezioni emergenti
Correlazione fra cuore e infezioni
Immunopatogenesi nuove opzioni di terapie nelle malattie epatiche
Correlazioni fra infezioni e malattie ematologiche
Il razionale del Convegno è correlato al ruolo che le Malattie Infettive hanno oggi nel III millennio.
Le Malattie Infettive, oggi, hanno un ruolo di "trigger" nell'induzione di molte patologie ritenute, una volta
ritenute idiopatiche. Dal 1973 sono stati, infatti, scoperti nuovissimi agenti infettivi (virus e batteri) quali:
virus da febbre emorragica, borrelia, il virus HIV, i rotavirus, il parvovirus B19 e tanti altri ancora che sono
stati correlati a patologie sociali di grande rilevanza. Uno degli aspetti più intriganti del nuovo ruolo che
hanno assunto gli agenti infettivi è la loro correlazione con lo sviluppo del cancro attraverso una serie di
mediazioni immunologiche e genetiche. Tale correlazione è così forte che l'OMS ha sottolineato che circa
l'80% dei casi di tumori sono correlati ai virus e/o in misura minore a batteri e che una buona campagna
di prevenzione e di terapia anti-infettiva potrebbe ridurne l'incidenza nel 15%dei casi.
Napoli 8-10 giugno 2004
I Sessione
La I Sessione, è stata aperta dal Prof. O. Perrella che
ha discusso il ruolo delle Malattie Infettive nella
nostra era e degli importanti progressi immunopatogenetici nel campo dell'AIDS e delle malattie
epatiche. Il Prof. Moroni ha inaugurato la sessione
introducendo una lettura del Prof. J.C. Chermann
(Marsiglia) sulla identificazione di anticorpi R7V quale
strategia terapeutica nelle infezioni da HIV. Lo studioso francese ha evidenziato che i non-progressor infetti del virus HIV hanno un alto titolo di questi anticorpi che potrebbero essere utilizzati anche nei
soggetti normalmente progressors. Di seguito le relazioni dei Prof. M.Triassi e R. Pizzuti di Napoli sui nuovi
trends epidemiologici delle infezioni da HIV, ove è
stato sottolineato che l'infezione da HIV è una malattia prevalentemente a trasmissione sessuale e che
vede la popolazione di eterosessuali sempre più coinvolta. Il Prof. Clerici di Milano ha descritto i complessi
meccanismi immunologici per i quali alcuni soggetti,
pur essendo esposti all'HIV, non si infettano. Questi
meccanismi sembrano correlati alla presenza sia nel
I I I Wo r k s h o p I n t e r n a z i o n a l e d i I m m u n o l o g i a e M a l a t t i e I n f e t t i v e N a p o l i , 8 - 1 0 g i u g n o 2 0 0 4
sangue periferico sia nelle mucose di particolari linfociti CD4+ e CD8+ che producono gIFN specifici
contro le proteine virali ENV e GAG; inoltre la produzione di nuovi mediatori dell'immunità innata di defensine è notevolmente aumentata in questi pazienti.
Queste strategie immunologiche potrebbero essere
utilizzate nel disegno di un nuovo vaccino.
I dott. Guarnaccia, Starace e Gargiulo di Napoli hanno
proposto una discussione sia sul ruolo delle citochine
nell'AIDS dementia complex, di recente pubblicato in
AIDS da Perrella,sia sul ruolo della psicoinfettivologia nel
management dell'infezione da HIV.
II Sessione
L'immunologo H. Hahn di Berlino ha presentato i
meccanismi dell'immunità innata e il ruolo delle citochine nel controllo delle infezioni. Hahn si è anche
soffermato sul ruolo dei nuovi recettori Toll Like
nel controllo della risposta immune anti-infettiva. Di
seguito la relazione della Prof.ssa Persico del CNR
di Napoli e del Prof. Andria Direttore Dipartimento
Pediatrico della Federico II di Napoli, sia sul ruolo e
la suscettibilità genetica alle malattie complesse in
"un'isola genetica" della Regione del Cilento, sia sulle
complicanze infettive in sindrome genetiche più
diffuse come la sindrome di Down e alcune più rare
come la glicogenosi 1B. In una lettura sulla base
genetica nella resistenza contro le infezioni retrovirali mediante modelli animali e umani, il Prof.
Miyazawa si è soffermato specificamente sul ruolo di
alcuni marcatori genetici nella resistenza verso le
infezioni retrovirali.
III Sessione
La relazione del Prof. G.Tarro si è centrata su tutte
le nuove metodiche rapide per la determinazione
di alcuni agenti causali di bio- terrorismo quali l'antrace, il vaiolo, la yersinia. Il Prof. S. Esposito di
Napoli ha evidenziato come oggi le resistenze ai
farmaci antibatterici siano causa di emergenze e
riemergenze di nuovi microrganismi e che molti di
essi potrebbero, in tempi molto prossimi, non essere più suscettibili alla terapia antibiotica.
Innovativa la relazione del Prof. S. Faella di Napoli
relativa allo sviluppo di nuovi vaccini per il meningococco. Il Prof. P. Amoroso di Napoli, ha illustrato
i suoi studi sul timing e tipologia delle infezioni nei
pazienti sottoposti a trapianto epatico, sottolineando come le infezioni fungine e virali occupano gran
parte della casistica. La sessione è stata chiusa dalle
discussioni dei Dr. De Sena, C. Esposito e Capuano
di Napoli sul ruolo delle infezioni fungine in corso
di trapianto e sul ruolo dei fagi.
IV Sessione
Il Prof. P. Conti di Chieti, ha introdotto il Prof.
Robert Gallo che ha illustrato i progressi nel campo
patogenetico delle infezioni da HIV, nello sviluppo di
possibili vaccini e nella correlazione tra neoplasie e
virus erpetici (HHV-8) in corso di AIDS. Il Prof. Gallo
ha inoltre illustrato i numerosi meccanismi immuno-
logici che sono alla base della immunodeficienza in
corso di AIDS. In particolare il virologo ha evidenziato che un complesso circuito di citochine, tra cui
in particolare il TGF-b, può giocare un ruolo patogenetico importante nella progressione della malattia virale. I Prof. R. Muto e G. Vecchio di Napoli
hanno quindi introdotto la special lecture del Prof.
A. Giordano di Filadelfia che ha illustrato i suoi studi
sui meccanismi genetici alla base del cancro del
polmone. Quindi il Prof. F. Bonaguro di Napoli ha
parlato delle correlazioni tra i virus HPV e cancro
genitale. Successivamente il Prof. Perrella ha illustrato i suoi recenti studi sul ruolo che i geni e proteine
bcl-2, analizzati nel sangue periferico e su tessuti
epatici, avrebbero nella diagnostica dell'epatocarcinoma. Questi studi, organizzati in un progetto europeo
con altri Centri Italiani e stranieri, avrebbero evidenziato che una disregolazione dell'apoptosi, mediata
da alcune citochine, come il TGF-b ed ilTNF-a sarebbe alla base del processo iniziale di carcinogenesi.
V Sessione
Il Prof. G. Del Prete di Firenze ha evidenziato i nessi
tra helicobacter pylori e cancro dello stomaco.
Questa correlazione, è stata valutata mediante l'interazione di una importante risposta immunitaria di
tipo Th1. Il Prof. A. Sanduzzi di Napoli, ha illustrato
con una interessante review gli aspetti genetici,
immunologici e clinici delle tubercolosi nel III millennio soffermandosi sul coinvolgimento immunologico
diverso tra le forme cavitarie e non. Il Prof. R. Pelella
di Napoli ha invece riportato la sua casistica nella
terapia sperimentale delle sepsi mediante la proteina C attivata che nella Divisione di Rianimazione e
Terapia Intensiva è largamente utilizzata. Infine il
Prof. C.F.Perno di Roma ha evidenziato le nuove
patologie umane prodotte dall'interazione periodica
con alcuni virus che possono sfociare in eventi
pandemici o epidemici.
VI Sessione
I Dottori P. Caso, V.Russo e Rosapepe di Napoli
hanno effettuato una presentazione sia sul ruolo
dell'ecocardiografia nell'endocarditi infettive sia
sulle interazioni immunologiche presenti tra i virus
e miocarditi. La discussione si è centrata sul ruolo
dell'apoptosi nelle malattie del miocardio e sul
ruolo della induzione virologica nella genesi della
cardiomiopatia dilatativa.
VII Sessione
Il Prof. M.Piazza ha introdotto l'immunologo ed
epatologo di Londra, D.Vergani che ha sottolineato il ruolo della "molecular mimicry" nella patogenesi delle epatiti autoimmuni, evidenziando che
può esistere un importante condizionamento
genetico basato su aplotipi HLA nell'espressione
clinica di alcune forme di epatiti autoimmuni. Il
Prof. G.B.Gaeta di Napoli ha quindi riportato i più
importanti trials nella assegnazione della terapia
antivirale in corso di epatite C, mentre il Prof.
A.Giorgio di Napoli ha esposto la statistica sulle
nuove opzioni terapeutiche ecointerventistiche
nell'epatocarcinoma.
Le Prof.sse A.L. Zignego di Firenze e G. Mieli
Vergani di Londra hanno rispettivamente trattato
sulle connessioni tra malattie linfoproliferative in
corso di infezione da HCV e di una sindrome
overlap tra le epatiti autoimmuni e la colangite
sclerosante nei bambini riportando una vasta statistica personale, in particolare la Zignego ha sottolineato come l'attivazione policlonale dei B-linfociti, target classico del virus C, possa essere alla
base dell'importante cascata autoimmune e della
crioglobulinemia che si registra nelle epatiti croniche HCV.
VIII Sessione
Il Prof. Rotoli ha introdotto la relazione di L. Del
Vecchio sulla persistente linfocitosi policlonale dei
B-linfociti in diverse patologie ematologiche. Lo
stesso ha riportato numerosi citogrammi di fluorescenza relativi a diverse patologie umane ove è
possibile questo tipo di attivazione policlonale.
Il Prof. A.Pinto ha illustrato sulle complicazioni
infettive in corso di malattie oncoematologiche e
il Dr. C. De Rosa ha riportato quante complicanze ematologiche sono possibili in corso di AIDS.
La sessione è stata chiusa dalla relazione del Dr. P.
Micheli di Napoli circa i suoi dati sui linfomi HIV
correlati. In particolare il Dr. Atripaldi ha riportato interessanti studi sul repertorio T-linfocitario
effettuato in collaborazione con il gruppo di O.
Perrella ed altri.
Il Professor O. Perrella è primario della VII
Divisione di Malattie Infettive e Immonologia
dell’Ospedale Cotugno di Napoli
Gli atti del Convegno
sono reperibili presso la Segreteria
Tel. 081 5908411
FantaFuzeon ®
Simone Marcotullio
Propo ni amo una si nt esi d el l e rec ent i lin e e gu ida p u b b lic at e p e r l' u t iliz z o di Fu z e on® (Enfuvir tid e , ENF, T-20) pubblica te su AIDS 2004,
18:1137-1146. Q uest o i l t i t o l o e g l i au t or i: " C lin ic al m an age m e n t of t re at m e n t - e x pe r ie nce d , H IVinfe cte d pa tie nts with the fusion inhibitor enfuvi r t i d e: c o nsensus rec o m me n dat ion s " - B on ave n t u r a C lot e t , Fr an c ois R affi, David C oope r, Je a n-Fr a ncois De lfr a issy, Ad r ia no
Lazzari n, Graem e M oy l e , Jurg en Ro ck s t roh , V in c e n t S or ian o e Jon at h an S c h ap iro.
.: Definizione
Fuzeon® (Enfuvirtide, ENF, T-20) è un peptide sintetico composto da 36
aminoacidi, inibitore della fusione (gp-41 mediata) tra il virus dell'HIV1 e la cellula bersaglio. Il farmaco si somministra per via sottocutanea,
90 mg due volte al dì. Il bersaglio di Fuzeon è il dominio HR1 della
glicoproteina di superficie gp-41 dell'HIV-1: in questo modo si previene il legame con la regione HR2 ed il conseguente riassetto strutturale che favorisce la fusione virus-cellula. La molecola non è attiva contro
l'HIV-2.
.: Su chi sono stati effettuati gli studi?
Gli studi di fase III (TORO 1 e 2), a 24 settimane (confermati a 48), su
pazienti fortemente pre-trattati, hanno fatto sì che il farmaco fosse
approvato negli adulti. Studi pediatrici a 48 settimane in bambini tra i 6 e
i 16 anni hanno portato anche all'approvazione di un dosaggio pediatrico
di 2mg/kg due volte al dì (il dosaggio massimo raggiungibile è quello per
gli adulti). Non esistono dati per l'utilizzo di Fuzeon in gravidanza.
Insufficienti i dati per i bambini al di sotto dei 6 anni.
.: Caratteristiche particolari
L'attività del farmaco non dipende dal sottotipo di HIV-1: significa che è
potenzialmente attivo contro tutti i sottotipi. Nessuna resistenza crociata con altri farmaci antiretrovirali. Profilo di tossicità sistemica molto
favorevole. Assenti le interazioni con altri farmaci antiretrovirali. Le resistenze di Fuzeon compaiono ai codoni 36-45 della gp41: l'associazione
alla risposta clinica è però sconosciuta, quindi al momento queste resistenze non sono di rilevanza clinica.
.: Condizioni di partenza per l'uso ottimale
Prendere in considerazione l'uso di Fuzeon in presenza di virus ancora
sensibile (anche parzialmente) ad almeno due altri farmaci, idealmente
appartenenti a due classi differenti. In pazienti con CD4 > 100
cells/mm3 e carica virale < 100.000 copie/ml. Questa situazione (CD4 e
carica virale) accade di frequente, particolarmente in pazienti con esperienza alle intere tre classi che stanno iniziando un terzo e/o un quarto
regime, a seguito di fallimento con IP e NNRTI. Fuzeon può essere
utilizzato in concomitanza ad almeno un ulteriore farmaco a cui il virus
è sensibile.
.: Posizionamento raccomandato per l'uso ottimale
In pazienti NNRTI-naive cha hanno già fallito più di un regime HAART: si
consiglia un regime con NRTIs (a cui il virus è sensibile) + NNRTI + ENF.
Questo tipo di regime garantisce una miglior stabilità rispetto al classico
schema 2 NRTIs + NNRTI. In pazienti IP-naive cha hanno già fallito più di
un regime HAART: si consiglia un regime con NRTIs (a cui il virus è sensibile) + IP + ENF. Questo tipo di regime garantisce una miglior stabilità
rispetto al classico schema 2 NRTIs + IP. Si richiede un'attenzione particolare a non far si che i pazienti "ritardino" troppo l'inizio di ENF: il criterio dei 100 CD4 come "limite" al di sotto del quale non scendere è
cruciale per l'uso ottimale.
.: Utilizzo in situazioni più critiche
Pazienti fortemente pre-trattati, multiresistenti, con difficoltà a costruire
un regime ARV "potenzialmente efficace". Il goal in questi pazienti non è
il successo virologico, ma il miglioramento/mantenimento dello status
immunologico e/o clinico. Una risposta immunologica consiste idealmente nel mantenimento o nell'aumento delle "conte" (conteggi) dei CD4.
Anche un "più lento" peggioramento delle conte rispetto a prima dell'inizio di Fuzeon è considerato comunque un successo in condizioni di criticità. Potenzialmente l'utilizzo di Fuzeon non ha preclusioni a qualunque
strategia di salvataggio o mix di farmaci sperimentali, vista comunque la
non interazione di Fuzeon con altri farmaci ARV. La criticità di questa
categoria di pazienti fa si che Fuzeon si possa proporre come una strategia per ottenere un miglioramento clinico e 'guadagnare tempo ' in attesa della creazione di un regime con almeno uno o due farmaci attivi.
.: Sicurezza e tollerabilità
Molto si è già detto sulla "safety" di Fuzeon. Materiale educativo ad hoc
è stato sviluppato dall'azienda produttrice, dai medici e dalle associazioni di pazienti: imparare una serie di tecniche (come fare l'iniezione sottocutanea, la rotazione dei siti, i massaggi post-iniezione) migliorano le
reazioni cutanee presenti dove si inietta il farmaco, che sembrano essere
dovute a reazioni di ipersensibilità locali (che forse portano ad una diminuzione del farmaco - S. Bonora e H. Stocker, Abstract 6.2 e 6.3, 5°
Workshop di Farmacologia Clinica, Roma 1-3 Aprile 2004). Basso il
rischio di polmonite (principalmente batterica, Gram positiva e negativa):
si raccomanda comunque monitoraggio in pazienti predisposti. Rarissimi i
casi di ipersensibilità sistemica.
.: Training/Formazione
V is t a la s om ministr a zione sottocuta ne a , è oppor tuno me tte re i
p az ie n t i in c ond izioni d i utilizza re il fa r ma co ne l mod o più approp r iat o. S it u az i oni ind ivid ua lizza te d i for ma zione su come utilizza re
il f ar m ac o e s u come g e stire i proble mi a ssocia ti sono d a sta nd a r diz z ar s i n e i D H d i ma la ttie infe ttive e ne i ce ntr i che lo for niscon o. L e lin e e g uid a sug g e r iscono in proposito un a lgor itmo a d hoc
n at o dall' e s p er ie nza d e i ce ntr i clinici.
Simone Marcotullio
David Osorio
Filippo von Schloesser
Strutturata in 5 binar i paralleli (scienza di base , r icerca c linica e trattamenti, epidemiologia e prevenzione , problemi sociali
ed economici, applicazione di politic he e di programmi) la conferenza ha lasciato molto spazio per i temi sociali legati
a l l ' a c c e s s o e a l l a fo r m a z i o n e d e l l e p o p o l a z i o n i e d e l l e p e r s o n e c o l p i t e d a H I V e p e r l e p r e s e n t a z i o n i d i r e l a t o r i
p rov e n i e n t i d a i p a e s i s v a n t a g g i a t i . I n q u e s t o n u m e ro d i D e l t a r i p o r t i a m o i t e m i s c i e n t i fi c i , m e n t re n e l p ro s s i m o
numero sarà elaborata un'ampia relazione sulle tematic he sociali, di epidemiologia e di accesso.
I numeri della Conferenza
Alla Conferenza hanno partecipato 17.001 delegati da 169 paesi. 2.000
sono le persone che vi hanno collaborato come staff o volontari. Le
entrate in danaro prodotte dalla conferenza sono di 17 milioni di
dollari (8 milioni da iscrizioni, 9 milioni da sponsorship private e da
affitto di spazi). Sono state concesse 2.939 borse di studio, principalmente a delegati di paesi in via di sviluppo. I media erano presenti con
2.710 delegati.
Il surplus generato dalla conferenza sarà distribuito come segue: il 40%
al Ministero della Salute Tailandese, il 30% al fondo per finanziare le
spese iniziali della Conferenza Internazionale 2006 che avrà luogo a
Toronto, il 30% all'IAS per il finanziamento dei progetti che sta sviluppando. La conferenza ha inoltre generato un indotto incalcolabile di cui
hanno beneficiato tipografie, agenzie di comunicazione, compagnie aeree,
società alberghiere, ristoranti.
Cerimonia di apertura
La sala della cerimonia di apertura conteneva
10.000 posti, mentre i delegati erano 17000.
Non tutti vi hanno potuto accedere, ma gli
organizzatori non si aspettavano una partecipazione così massiccia.
Da segnalare il discorso del segretario generale dell'ONU, il quale ha riferito che, nonostante negli ultimi tre anni siano stati fatti progressi per adottare strategie contro l'AIDS, non
sono stati raggiunti gli obiettivi fissati nella
dichiarazione di costituzione del Fondo
Globale, "e ancor più importante è che
non siamo in condizioni di ridurre la
dimensione e l'impatto dell'epidemia
entro il 2005, come avevamo promesso".
Anche se ne apprezziamo la sincerità, prendiamo atto del fatto che neanche Kofi Anan sia
riuscito a convincere i paesi ricchi a rispettare i
propri impegni nella lotta contro l'epidemia.
Aspramente criticato il Ministro della Salute
tailandese per la politica adottata nei confronti
dei 2.500 tossicodipendenti che di recente sono
misteriosamente scomparsi. Continuano i
discorsi politici, le dichiarazioni di principio e le
analisi di prospettiva, mentre il treno dell'azione globale è stato definitivamente perso,
soprattutto se consideriamo che solo in Africa
gli orfani sono ormai 15 milioni e che il 60% dei
giovani che oggi hanno 15 anni in Africa non
raggiungeranno i 60 anni di età.
Prevenzione
Al simposio Positive Prevention - Positive Sex,
Joep Lange, presidente IAS, ha affermato che
il preser vativo è uno strumento valido,
efficace e poco costoso per prevenire la
trasmissione dell'HIV e di altre malattie a
trasmissione sessuale. Si è discusso inoltre
l'approccio ABC (Abstinence, Be faithful,
Condoms) fortemente criticato almeno nella
parte che si riferisce all'astinenza. Viceversa, è
stato portato come esempio il programma di
prevenzione della Tailandia, il cosiddetto "100%
Condom Program" che ha cambiato sostanzialmente i comportamenti a rischio. E' stato affrontato anche il tema dei microbicidi che il presidente della IPM (International Partnership for
Microbicides) auspica siano disponibili entro i
prossimi 5 - 10 anni. (in dettaglio a pagina 10)
Per quanto concerne i vaccini, il direttore della
Fondazione Bill & Melinda Gates ha affermato
che gli investimenti attualmente si aggirano
intorno ai 500 milioni di dollari all'anno e vi
sono 30 possibili candidati, ma è chiaro che non
si avranno risultati se non tra molti anni.
(in dettaglio a pagina 11)
Terapie
anche un'analisi puntuale sull'aderenza, sulla
tossicità e sul numero di mutazioni all'inizio del
trattamento. Tra le persone di 40 anni con carica virale di 100 mila che hanno iniziato la terapia
a 350 CD4 piuttosto che a 500, la media della
sopravvivenza è diminuita di 0,2 anni e la media
della durata del trattamento è scesa di 0,7 anni.
Iniziando la terapia a 250 CD4 si è osservata una
ulteriore diminuzione della sopravvivenza di 1,0
anni e la durata del trattamento è diminuita di
1,5 anni. Parallelamente, il beneficio di un trattamento precoce era ridotto se i pazienti erano più
anziani, meno aderenti e più soggetti alle tossicità
o avevano carica virale
più elevate. Il beneficio
di sopravvivenza ottenuto da un trattamento
precoce era annullato
se i pazienti avevano
ceppi resistenti di HIV
all'inizio della terapia.
Pertanto, se l'inizio
precoce della terapia
può prolungare la
sopravvivenza, i bene-
fici possono essere attenuati o eliminati da fattori diversi e questo studio suggerisce di cercare
sottogruppi di pazienti per collazionare dati
prospettivi.
R C Elston con GSK (abs B1055) ha presentato uno
studio a 48 settimane per dimostrare la similarità
della risposta virologica tra LPV e
Fosamprenavir (908). Sono stati arruolati 315
pazienti tutti pretrattati e con fallimento virologico.
Sono stati effettuate analisi fenotipiche e genotipiche. Le mutazioni erano simili nei due bracci. A 48
settimane il 58% dei soggetti trattati con 908 e il
61% di quelli trattati con LPV avevano carica virale
<400 copie. Il 46% dei soggetti con 908 e il 50% di
quelli con LPV presentava VL <50 copie. I ricercatori hanno concluso che in presenza di fallimento
virologico con IP, 908 e LPV danno risposte simili.
immunologica dell'enfuvirtide (T-20, Fuzeon). Lo
studio, su 661 pazienti, multicentrico, ha visto l'interruzione del 20,2% per ragioni di tollerabilità, il
7,1% per reazioni cutanee sul sito dell'iniezione e
il 12,2% a causa di anomalie biochimiche.
Dall'analisi ITT appare che il 26,5% (il 47,6% dei
pazienti che hanno terminato le 96 settimane) ha
carica virale <400 copie. Il 63% e il 75,8% dei
pazienti che hanno terminato le 96 settimane ha
avuto, rispettivamente, aumento di CD4 > di 100
e > di 50. Non sono stati notati particolari eventi di tollerabilità e non si è avuta particolare incidenza di polmoniti.
Di particolare interesse lo studio di M S Serra,
Brasile, su 504 pazienti in trattamento per
lipoatrofia facciale con polietilmetacrilato
a 5 anni (abs B1060). Il trattamento consisteva
in iniezioni sottocutanee nell'area atrofica della
faccia e i pazienti venivano seguiti ogni sei mesi.
Le iniezioni con tale prodotto hanno dimostrato
ottima tollerabilità, durata e risultati estetici
eccellenti. Non si sono notati effetti collaterali.
Non si è notato alcun cambiamento nei CD4 ed
i pazienti hanno dichiarato un miglioramento
nella qualità della vita.
In uno studio di R L Murphy (abs B1056) sono stati
riportati i primi dati sull'uomo dopo 10 giorni di
monoterapia con Reverset. Sono state arruolate
30 persone non pre-trattate con CD4 >50 e
HIV/RNA >5.000 copie con somministrazione una
volta al giorno. I dosaggi sono stati di 50, 100 o
200 mg vs placebo. A 10 giorni la diminuzione di
carica virale va da 1,67 a 1, 77 log (media) a seconda dei dosaggi. Particolare attenzione è stata data
dai ricercatori al picco di Cmax. Sono previsti ulteriori studi sulla tollerabilità del farmaco che a 10
giorni sembra buona , sulle interazioni e sui
pazienti pre-trattati.
Uno studio sull'oxandrolone per la redistribuzione dei grassi, la lipidemia e la densità
minerale ossea in uomini e donne sottoposti a
HAART è stato riportato da A Smith (abs
B1059). E' emerso che i pazienti trattati con
oxandrolone hanno avuto aumenti di massa
magra e la capacità funzionale è stata misurata
dal "time on treadmill". Da notare particolarmente la diminuzione di grasso addominale e di
grasso viscerale a 12 settimane. Viceversa, l'incidenza dell'oxandrolone sul colesterolo e sui
trigliceridi obbliga ad un bilanciamento tra rischi
e benefici della somministrazione a breve termine di tale farmaco. I dati sono stati rilevati con
DEXA, strumento non utilizzato correntemente
nella pratica clinica in Italia.
La sessione dedicata alle strategie di inizio o
di cambiamento di terapia (abs B1079) non
ha apportato nulla di nuovo. R S Braithwaite, di
Pittsburgh, ha confermato che il momento clinico ottimale per iniziare la terapia non è chiaro.
Lo studio che ha presentato si è proposto di
valutare il momento migliore per ottenere una
sopravvivenza più lunga.
Creata una simulazione computerizzata, sono
stati calibrati dati osservazionali sulla popolazione in studio. Sono stati studiati momenti di
inizio a 500, 350 e 200 CD4 su pazienti con età
varie e cariche virali diverse. E' stata effettuata
In tale sessione sono stati presentati anche i dati
a 144 settimane su donne non pre-trattate in
terapia con tenofovir o stavudina in combinazione con lamivudina ed efavirenz (abs B1083).
I due bracci hanno mostrato risultati analoghi di
CD4 e HIV/RNA, mentre nel braccio con d4T
erano più elevati colesterolo e trigliceridi.
M A Boyd, di Bangkok, con Merck, ha presentato uno studio a 96 settimane sulla terapia con
indinavir 800 + ritonavir 100 due volte al
giorno + efavirenz 600 mg una volta al giorno
(abs B 1084), mostrando risultati virologici e
immunologici sostenuti. Il 26,2% dei pazienti ha
interrotto temporaneamente lo studio a causa
di eventi avversi e 29 eventi avversi gravi hanno
colpito 24 pazienti sui 61 in studio. I ricercatori concludono che effettueranno ulteriori studi
per ridurre il dosaggio di indinavir onde minimizzare gli eventi avversi dovuti al farmaco.
Studi clinici su nuovi farmaci
Sono stati presentati i risultati dello studio
TORO a 96 settimane sulla risposta virologica e
Studi clinici
Sono stati presentati i dati interinali dello
studio ESPRIT (abs B1288), di cui abbiamo già
riferito in occasione del CROI. Come è noto, lo
studio analizza il ruolo di IL-2 nell'aumento
di CD4 in pazienti che iniziano con 300 CD4. Si
è osservato un aumento dei CD4, ma il mantenimento di questa risposta è stato raggiunto
dopo la somministrazione di un ulteriore ciclo di
IL-2 dopo 8 mesi. I ricercatori ritengono necessari altri anni di studio
per poter comprendere a fondo i benefici
clinici di tale aumento.
B4486). 42 pazienti che ricevevano lopinavir/r
+ 2 NRTI o un NRTI + TDF sono stati randomizzati per continuare o interrompere gli
NRTI o l'NRTI + TDF.
A 24 settimane l'81% dei pazienti che hanno
semplificato la terapia hanno mantenuto la
carica virale a livelli non quantificabili. I dati a
48 settimane saranno disponibili in agosto
2004. G
Determinare la possibilità di un controllo virologico con
Kaletra in monoterapia per pazienti
con carica virale
non quantificabile
per 6 mesi è l'obiettivo dello studio OK
(Only Kaletra, abs
Pierone, USA, ha presentato uno studio sulla
semplificazione a LPV/r in monoterapia
per pazienti trattati con HAART contenente NNRTI con completa soppressione
virale (abs B4595). I dati su 18 pazienti, a 24
settimane, mostrano che i 14 soggetti che
hanno proseguito lo studio sono rimasti con
carica virale <400 copie e 13 di essi con carica
virale <75 copie. I livelli lipidici sono aumentati
in 5 dei 14 soggetti e i ricercatori suggeriscono
ulteriori studi prospettivi per analizzare l'efficacia e la tollerabilità a lungo termine di LPV/r in
monoterapia.
L'abs B3285 ha dimostrato su 819 soggetti che
un regime ARV con LPV/r in pazienti con
epatite B e/o in presenza di coinfezione
con HCV dà risultati paragonabili a quelli
di soggetti non coinfettati. Inoltre, il ricupero immunologico a 48 settimane è simile nei
pazienti coinfettati. Nonostante vi siano state
transaminasi elevate nei pazienti con epatite, non
vi sono state interruzioni di terapia né eventi
avversi epatici.
Resistenze
Un nuovo NNRTI, il TMC125, attivo sia sul
ceppo selvaggio che sui ceppi resistenti agli
attuali NNRTI e con una barriera genetica
elevata contro lo sviluppo di resistenze, ha
confermato in vitro che l'attività virale non
diminuisce in presenza delle mutazioni tipiche
della classe (abs A1271). Alcune mutazioni non
prevalenti sono state associate ad una diminuzione dell'attività della molecola, pertanto i
ricercatori stanno valutando l'attività antivirale
di lungo termine in pazienti resistenti agli altri
NNRTI.
Sono stati presentati i dati dello studio 720
sui test di resistenza a 5 anni con LPV/r
in 100 pazienti non pre-trattati (abs
B1291). Solo 68 pazienti hanno terminato lo
studio a 252 settimane (32 hanno interrotto, 13
hanno avuto eventi avversi, 9 non follow up, 5
non aderenti, 5 ragioni personali). Il 99% dei 68
pazienti ha mostrato carica virale <400 copie
ed il 94% di essi <50 copie. Non sono state
rilevate resistenze all'LPP né a d4T, mentre in 3
pazienti si sono osservate resistenze a 3TC. Le
mutazioni secondarie alla proteasi in 6 pazienti
non sono state associate a quelle dell'LPV e
pertanto il rischio di resistenze in un periodo
maggiore di 5 anni in persone non pre-trattate
in terapia con LPV/r è basso.
M R Loutfy, Canada, ha dimostrato che è efficace un nuovo test di resistenze genotipiche che verifica la sequenza di aminoacidi della gp41. Attraverso tale test sono state
identificate le mutazioni della gp41 nell'intera
sequenza degli aminoacidi che possono avere
rilevanza clinica in pazienti che non rispondono
all'enfuvirtide. Da rilevare che il test ha
scoperto che i pazienti resistenti all'enfuvirtide
avevano mutazioni nelle posizioni 36D, 38A,
38M, 42T e 43D.
A Lafeuillade , Francia, ha presentato uno
studio sulla s e l e z i o n e d i re s i s t e n ze i n
pazienti con HIV RNA stabile tra 50 e
1 . 0 0 0 c o p i e . S e c o n d o i l r i c e rc a t o re ,
nonostante vi sia una carica virale stabile
ed una conta di CD4 invariata, si continuano a sviluppare resistenze nella maggior
par te dei pazienti sottoposti allo stesso
regime per un periodo di oltre 28 mesi. Tale
teoria è stata dimostrata usando il kit
Amplicor Roche ed è stata effettuata la
sequenziazioni RT e
IP utilizzando un
prisma 310 ABI. I
risultati di questo
s t u d i o i m p l i c h e re b bero la possibilità di
uno switch terapeutico anche se non
s o n o v i s i b i l i mu t a z i o n i o re s i s t e n z e
alla terapia in corso.
Questa tesi non
t ro v a
r i s c o n t ro
nell'attuale pratica
clinica ove si tende
a n o n c a m b i a re l a
terapia fino all'evidenza del fallimento.
Terapia ed età
E' stata dedicata un'intera sessione alla problematica della terapia in riferimento all'età.Vi sono due
aspetti nella gestione della persona con HIV di
oltre 50 anni: uno è legato all'inizio della terapia in
tale età, l'altro si riferisce alla persona che, grazie
alla terapia, supera i 50 anni di età.
M K Pitts, Australia, ha presentato i risultati di un
questionario sottoposto a 894 persone con HIV
tra i 22 e i 77 anni (abs D1092). Il 22% superava i
50 anni. In generale, queste persone hanno manifestato uno stato di salute peggiore ed il 23% di
esse aveva avuto diagnosi di malattia mentale e si
riscontravano più frequentemente epatiti A o B. Il
40% di tale gruppo riportava effetti collaterali alla
terapia più gravi ed era meno propenso ad accettare interruzioni strutturate e ad accogliere servizi sociali di sostegno.
Manfredi, Italia, ha affermato che da un punto di vista
virologico i pazienti con oltre 65 anni di età rispondono alla terapia con una velocità minore che si
associa ad un basso tasso di soppressione virale (abs
D10456): l'HIV RNA a 12 mesi diminuisce mediamente di 1,5 log.
Anche lo studio di J Alonzo, Spagna, riferisce che
nelle persone anziane vi è necessità di numerose
modificazioni di terapia a causa degli effetti collaterali dei farmaci (abs B3366). Anche questo ricercatore conferma che le persone con HIV di oltre 60
anni hanno risultato virologico ed immunologico
minore rispetto ai pazienti più giovani.
Anthony Fauci
e patogenesi dell'HIV
Molto interessante l'intervento sui meccanismi
patogeni dell'HIV di Anthony Fauci, direttore
dell'National Institute of Allergy and Infectuos
Diseases, USA. A lui è stato affidato il compito di
effettuare l'unica lettura magistrale (lezione) di
carattere scientifico di tutta la conferenza, nell'ambito dell'iniziativa:"Meet the leaders". Fauci ha spiegato quali sono le direzioni che sta percorrendo il
suo gruppo di ricerca che lavora sulla patogenesi
dell'HIV, ossia sui meccanismi di produzione e
sviluppo dell'HIV.
L'infezione da HIV porta uno stato generalizzato di
attivazione immunitaria: l'impatto della ART
(terapia) è quello di arrestare questa attivazione.
Fauci inizia la lezione illustrando i suoi studi sull'impatto che la replicazione virale e la viremia hanno sui
tre tipi di linfociti nelle persone HIV positive: su
CD4+ T cells reservoires, su cellule B e su cellule NK.
In persone viremiche e non viremiche vi è una
differenza notevole nei CD4+ T cells reservoires:
nei primi continua l'espressione virale, nei secondi
invece, cioè nelle persone non viremiche, questo
non accade e allora si può parlare propriamente di
"riserve". Il fatto dunque che una persona abbia
valori quantificabili o non quantificabili è di fondamentale importanza per determinare il ruolo delle
riserve dell'individuo: in una persona con HIV RNA
quantificabile le cellule T a riposo non sono
propriamente riserve ma mantengono un ruolo
attivo ed espressorio.
Anche M Galli, Italia, riferendo i correlati di rischio
di lipodistrofia e di dislipidemia ha rilevato che è
necessaria particolare prudenza e attenzione nella
scelta dei farmaci di prima linea, ancor di più quando si tratta di pazienti anziani (abs B5936).
Ciò che Fauci ha mostrato, attirando l'interesse
della platea, è il meccanismo del tutto analogo rilevato nelle cellule B: in persone viremiche vi è una
sovra-regolamentazione di certi geni che non è
presente in persone aviremiche (ossia non viremiche): il cambiamento di alcuni di questi è legato alla
morte di cellule B.
Dato che la terapia ARV nei paesi occidentali ha
prolungato la vita delle persone con HIV, è
necessario che la ricerca si concentri anche sugli
aspetti sociali, clinici e terapeutici delle persone
con HIV che superano i 50 anni di età.
Il parallelismo continua anche con il terzo tipo di
cellule, le NK, dove ancora si sono evidenziate
differenze analoghe a quelle delle cellule B e T tra
persone viremiche e non viremiche nell'espressione di geni.
Esposti questi parallelismi (ossia la continua globale
attività immunitaria e quindi espressoria nelle
persone viremiche) Fauci fa notare come la superficie dell'HIV contribuisca all'espressione di geni
connessi alla replicazione virale e alle produzione di
citochine coinvolti nella attivazione immunitaria.
Questa induzione necessita di segnali attraverso i
CD4 e i rispettivi co-recettori (X4 e R5). A seconda dei diversi tipi di co-recettori si generano differenti geni associati alla produzione di diverse
proteine. Da qui il ruolo della superficie dell'HIV
nella produzione stessa della viremia e conseguentemente nell'attivazione immunitaria.
La ART (terapia antiretrovirale) fa regredire tutto
questo meccanismo, tuttavia, in persone viremiche,
non completamente e dunque l'attivazione del
sistema immunitario in tutte le sue parti (T, B e NK)
non si arresta.
Fauci, a conclusione della lezione, si chiede se sia
positivo o negativo che nell'organismo vi sia viremia, visto anche il tramonto dell'ipotesi dell'autovaccinazione: ossia "giocare" con l'attivazione di
tutte queste componenti del sistema immunitario e
con la loro disattivazione introducendo la ART, ciclicamente, è corretto? Chiaramente non sussiste un
problema di safety.
Interruzioni Strutturate
di Terapia (STI)
Vari gli studi presentati sull'argomento: i principi che
spingono numerosi ricercatori ad esplorare questa
strada sono la riduzione dell'esposizione alla tossicità
ART-derivata delle persone HIV, la riduzione del
tempo di assunzione dei farmaci (possibili anche
problemi di aderenza "a lungo termine") e anche dei
costi delle terapie. Validare una procedura di interruzione terapeutica potrebbe essere cruciale dunque sia nel
mondo occidentale, dove sono disponibili i farmaci, sia
nei paesi in via di sviluppo, dove la disponibilità delle
terapie è precaria e la cultura dell'assunzione continuativa di terapia e della gestione cronica di una patologia è lontana dalle popolazioni.
N Pai e altri (Abs B4491) hanno proposto una review
sistematica per verificare gli effetti dell'STI sui risultati
clinici, immunologici e virologici delle persone HIV+
con infezione acuta e cronica. Sono stati inclusi studi
di fase III estratti da 9 database (dal 1996 al 2003): due
revisori indipendenti hanno estrapolato i dati e valutato la loro qualità. Di 12 trial clinici, 11 sono stati giudicati di standard corretto. L'unico studio che ha riportato miglioramento immunologico e virologico è nell'
infezione acuta. In infezione cronica due trial hanno
riportato sviluppo di resistenze, nessuno ha riportato
benefici autoimmuni e nessuna riduzione di tossicità è
stata vista nei gruppi in cui si è interrotto. Non esiste,
dunque, al momento, alcun consensus sull'utilizzo di STI
nella gestione dell'HIV cronica.
Uno dei criteri che sembra essere di buon senso, in
quanto unisce le ragioni della pratica clinica a quelle
del paziente che desidera interrompere la terapia per
varie ragioni, è il criterio CD4-guidato. Molti ricercatori
cercano di "assolutizzare" un numero di CD4 tale per
cui, al di sopra di questo numero, con ragionevole
sicurezza, dati alcuni parametri iniziali ben stabiliti (ad
esempio il nadir storico di CD4 e/o il massimo di
viremia raggiunto in fase di pre-terapia) è possibile
interrompere il trattamento.
E' il caso, in questa conferenza, di D.A.
Katzenstein (B4585), il quale propone 500
cells/mm3 sulla base di uno studio pilota (studio
ACTG A5102) che mostra come quasi il 70% dei
47 pazienti dello studio sia rimasto senza terapia
per due anni indipendentemente dall'utilizzo o
meno di IL-2 o dal criterio del rebound virale.
Avere più di 500 CD4, l'essere al primo regime
HAART e l'essere non quantificabili erano i criteri di ingresso dello studio. La terapia veniva ripresa se si scendeva al di sotto dei 350 cells/mm3.
Forse il basso nadir e l'alto valore di viremia
prima dell'inizio della HAART sono criteri al
basale che possono suggerire la non candidabilità
all'interruzione. Osservati due casi di sindrome
acuta retrovirale dovuta alla ricombinazione.
J S G Montaner (B4579) propone invece il criterio di non essere mai stati storicamente in AIDS,
ossia di avere un nadir di CD4 > 200 cells/mm3.
J Y Choi (B4566) propone i CD8+ T cells come
ulteriore criterio aggiuntivo di valutazione della
sospensione: se superiori ai 500 cells/mm3 al
basale, la risposta specifica sarebbe maggiore e
quindi predittiva del successo dell'interruzione.
Alcuni studi riportano favorevolmente rispetto al
contenimento e alla normalizzazione di certi
parametri metabolici (colesterolo e trigliceridi)
durante le interruzioni, altri invece sostengono la
non differenza tra i regimi continuativi e quelli di
breve-media interruzione.
Il nadir, il numero e la percentuale di CD4, il
massimo valore di carica virale raggiunto prima
dell'inizio della HAART, l'essere non quantificabili, i tempi di alcuni di questi parametri sono i
criteri sui quali si indaga una possibile strategia di
interruzione: l'importanza dei CD4, la minor
importanza della viremia, la non rigidità dei
periodi di interruzioni sembrano essere le
tendenze attualmente in voga.
Vaccini e Microbicidi:
tecnologie di prevenzione
E' apparso un po' singolare il fatto che una
Conferenza Mondiale incentrata sostanzialmente
sui problemi del terzo mondo non abbia dato la
giusta importanza al tema della prevenzione
tecnologica: erano presenti speciali sessioni dedicate, tra cui anche una plenaria, ma l'apertura della
conferenza, che suggerisce lo spirito della stessa,
non contemplava questo tema. Certo è che il grosso sforzo di advocacy che si è fatto a livello
mondiale negli ultimi due anni ha portato ad un
cambiamento culturale: prima le persone (medici,
attivisti, …), alla pronuncia della parola "vaccino
per l'HIV", sorridevano con aria di stupore. Oggi
invece possiamo dire che almeno "la penetrazione
culturale" della necessità dello sviluppo delle
tecnologie preventive è patrimonio dei più.
Ricordiamo ai lettori che l'unico modo per sconfiggere il propagarsi di una pandemia è un vaccino
o una tecnologia similare che ne prevenga la
trasmissione. Tuttavia questa conferenza non ha
brillato per i risultati nel campo.
C'è ancora chi continua a dare dei numeri per un
vaccino, tra 5 anni…, tra 10 anni…, non esiste sport
più illusorio di questo: i numeri ogni anno sono
sempre gli stessi, nonostante il trascorrere del tempo.
Le necessità di avere più studi di fase IIb, per ragioni di
fattibilità, invece che studi di fase III, stanno prevalendo tra i ricercatori: è troppo difficoltoso portare un
candidato vaccinale promettente in fase III (migliaia di
volontari) per testarne l'efficacia. E' invece più semplice e fattibile realizzare studi di fase IIb (centinaia di
volontari) su candidati promettenti e disegnarli possibilmente in modo da poter speculare anche su risul-
tati di efficacia. Siamo ancora lontani dallo sviluppo di
un vaccino, sia esso preventivo o terapeutico: gli
annunci propagandistici sono pura speculazione,
nessuno ha ancora " il composto magico".
Per i vaccini vi sono stati interventi soprattutto in
ambito pre-clinico, ossia animale: l'impressione di
trovare necessariamente ed in modo quasi ossessivo
la stimolazione di particolari antigeni del sistema
immunitario è quanto è emerso dalla presentazione
del gruppo di Lori (A1347) che lavora su Dermavir,
un prodotto ridefinito a seconda delle tendenze, che
da solo non riesce a mantenere una risposta sostenuta ma che con opportuni boosting riesce a riattivarla: un po' come dire che una vettura ha bisogno
di benzina per andare avanti…si tratta solo di capire
ogni quanto bisogna fare il pieno e di che cosa…al
momento 'troppo spesso' e di 'troppe sostanze differenti'. Deludenti anche i primissimi risultati di
Giuseppe Pantaleo (EV01, Eurovacc), NYVAC-HIVC
(CN54-A1348) anche se molto preliminari.
Non riportiamo null'altro su candidati vaccinali, se
non la necessità reale, se si vuole raggiungere
l'obiettivo, di fare tesoro di tutte le esperienze
mondiali sull'argomento per tentare una strada
fattibile e sviluppabile di un candidato: la chiamata
mondiale di Fauci di un anno fa ("The Global HIV
Vaccine Enterprise") al momento è ancora troppo
settoriale e poco globale. La necessità di avere più
ricerca di base è un imperativo imprescindibile.
Per quel che riguarda i microbicidi, ossia sostanze
che applicate topicamente permetterebbero la non
trasmissione dell'infezione, riportiamo lo studio
HPTN 050, sulla sicurezza e tollerabilità di tenofovir gel vaginale in donne HIV negative e positive
(B1373). Gli autori hanno concluso che TDF gel
1%, utilizzato due volte al giorno, in donne HIV(60) a basso rischio di infezione e donne HIV+
(20), entrambi i gruppi astinenti e sessualmente
attivi, è stato ben tollerato con un assorbimento
sistemico limitato e con un possibile effetto benefico sulla microflora vaginale. Sono dunque ora
necessari studi più estesi.
Coinfezioni:
interazioni tra farmaci
Sono stati pubblicati (B3285) da Abbott dati relativi
alla sicurezza e alla tollerabilità di lopinavir/rtv in
pazienti coinfetti HIV/HCV e HIV/HBV. Con la sola
eccezione dell'aumento di AST/ALT nelle persone con
epatite rispetto a quelli senza, i dati su sicurezza ed
efficacia a 48 settimane sono paragonabili. Questi
risultati sono consistenti con quelli a 5 anni di Kaletra.
Risultati di sicurezza (safety), a 7 mesi, sono stati
pubblicati anche relativamente a tenofovir in uso
concomitante con ribavirina + INF-Peg in pazienti HIV/HCV coinfetti (B3317).
Studi di farmacocinetica (B4628) della Gilead hanno
mostrato come non ci siano interazioni sistemiche o
renali di tenofovir con adefovir ( utilizzato per la
cura dell'HBV) o ribavirina (utilizzata per l'HCV).
PROGRAMMA NAZIONALE DI RICERCA SULL'AIDS
I V P RO G E T TO P E R L E R I C E R C H E S U G L I A S P E T T I E T I C I , S O C I A L I ,
C O M P O RTA M E N TA L I , A S S I S T E N Z I A L I E D E L L A P R E V E N Z I O N E
D E L L ' I N F E Z I O N E DA H I V / A I D S
LA COMUNICAZIONE
TRA MEDICO E PAZIENTE
Fabrizio STARACE
NEL CON TES TO DEL L A SP E R I M E N TA Z I O N E C LI N I C A E FA R M AC O L O G I C A N E L L’ HI V /A I D S
PREMESSA
Negli ultimi anni, le tematiche e i problemi correlati
all'infezione da HIV si sono arricchite di nuovi argomenti. In primo luogo lo sviluppo delle conoscenze e
delle terapie hanno modificando i vissuti, le aspettative
di vita e le speranze delle persone affette da infezione
da HIV, nonché dei loro familiari e della popolazione
generale. Inoltre si è posta sempre più enfasi sulle
rappresentazioni della malattia nell'immaginario del
medico, che assieme alle proprie costruzioni personali
e al sapere scientifico, condizionano l'agire clinico e la
relazione con il suo assistito (Bellini M.L., et al. 2003).
Relazione che per essere efficace deve avvalersi di
una buona comunicazione, ovvero un fattore in grado
di determinare significativamente l'efficacia e l'accettabilità dell'intervento medico e sanitario. Secondo i
risultati emersi da un'articolata e complessa serie di
ricerche sperimentali, (Bartlett et al.,1984;
Ley,1972;1990;1992; Aggelton et al.,1989) la capacità
di stabilire e mantenere un'efficace comunicazione
all'interno della relazione con il paziente è una variabile in grado di aumentare l'aderenza del paziente alle
prescrizioni ed ai trattamenti medici; incrementare i
livelli di soddisfazione espressi e percepiti dai pazienti verso i contesti sanitari e gli interventi medici ricevuti e/o offerti; determinare un miglioramento della
qualità della vita dei pazienti; ridurre l'ansia ed i livelli
di stress associati a malattie croniche, maligne e
gravemente invalidanti; nonché ridurre i tempi di ricovero ed il ricorso a prestazioni sanitarie e socioassistenziali ad alto costo (Audit Commission,1993).
Sulla base di queste evidenze, gli aspetti relazionali del
rapporto tra medico e paziente sono gli elementi
centrali del processo terapeutico che non può più
essere incentrato solo sulla capacità del medico di
diagnosticare e curare "farmacologicamente" la malattia del paziente. In altri termini il modello di relazione
comportamentale di tipo "paternalistico" in cui il
medico agisce autonomamente e mette in atto tutto
ciò che è necessario per garantire la guarigione o
comunque il benessere del paziente, dovrebbe lasciare il posto ad un modello di relazione di tipo "deliberativo"in cui il medico rappresenta per il paziente un
confidente con il quale discutere della sua malattia e
programmare insieme la via migliore per raggiungere il
benessere, tenendo conto principalmente delle aspettative del paziente stesso.
promettere una sempre maggiore efficacia, il problema
della comunicazione si fa ancora più importante e
complesso a causa la cronicità, contagiosità e letalità
della malattia (Bellami G.G., et al., 97); della sua gestione clinica; della sottostima del rischio di contagio
sopratutto nei soggetti eterosessuale; e della persistenza dello stigma sociale (Bellami M.L., et al., 98).
Questo modello di comportamento pone in risalto la
centralità della figura del paziente, principio fondamentale nell'empowerment sociale (Emanuel E.J., et al., 92).
Tuttavia, nonostante il riconoscimento formale di
questa esigenza, si rileva una generale mancanza di
contributi specificamente centrati su tale cambiamento
che può avvenire attraverso una oggettiva e specifica
programmazione di interventi formativi che, in materia
di comunicazione con il paziente, presentano i medici
direttamente coinvolti ed impegnati nella cura e nel
trattamento del paziente con HIV/AIDS (Brenneman e
Newton, 1994b;1994b) e nella sperimentazione clinica
e farmacologica (Dickson et al., 1991). Nel campo
dell'HIV/AIDS, a fronte di un notevole sviluppo del
sapere, del continuo evolversi delle informazioni
nonché della messa a punto di terapie che sembrano
In questo complesso scenario, per certi versi ambivalente e denso di contraddizioni, si definisce la relazione
delle persone direttamente e indirettamente colpite
dall'infezione da HIV e dei medici che le assistono
(Bellini M.L., et al. 2003). Inoltre, al pari di altre forme di
intervento medico, la sperimentazione clinica con
pazienti con HIV/AIDS è esposta all'interferenza di
numerosi fattori di carattere psicologico, relazionale e
psicosociale.Tali fattori possono generare fenomeni che
- come la non aderenza al regime ed ai protocolli sperimentali previsti - condizionano gli esiti della ricerca
medica e pregiudicano la valutazione farmacoeconomica
che vi si associa.Ridurre l'interferenza e l'azione di questi
fattori è, pertanto, fondamentale per favorire gli avanzamenti ed il progresso di un settore della medicina da cui
dipende il futuro e la salute di milioni di persone.
strutturate e controllate non offre, in questa categoria di soggetti, sufficienti garanzie di validità
(Brenneman e Newton,1994b; Conan e Carballo,
1989; Joesbury et al.,1990; Kaplan et al.,1989). Allo
stesso tempo, le tradizionali strategie di reclutamento/selezione dei campioni di osservazione utilizzate
dalla ricerca psicosociale risultano di scarsa e discutibile utilità.
Tali strategie sono infatti esposte al rischio di numerosi fenomeni di selezione della popolazione osservata, generando frequentemente risultati ed osservazioni di difficile generalizzabilità e/o applicabilità ad
A) categorie di pazienti non appartenenti al gruppo
campionario considerato B) categorie di pazienti a
stadi diversi di malattia e C) categorie di pazienti
con profili sociali, culturali, socio-demografici differenti. (Brenneman e Newton,1994). Pertanto, la
ricerca psicologica e psicosociale più recente si
avvale di approcci sperimentali di tipo induttivo,
caratterizzati da una proficua integrazione di metodiche qualitative e quantitative, dove lo sviluppo di
condizioni e strumenti di rilevazione flessibili, aperti
e specificamente mirati assume una particolare rilevanza euristica e metodologica (Brenneman e
Newton 1994b; Kaplan et al., 1989). Tale ambito
rappresenta per le scienze del comportamento un
campo di ricerca e di intervento che ha progressivamente imposto una sostanziale revisione ed innovazione dei metodi, delle strategie e delle tecniche di
rilevazione psicosociale.
OBIETTIVI DELLA RICERCA
Il progetto si propone di identificare le dimensioni
comportamentali, gli atteggiamenti, le convinzioni e
le pratiche utilizzate più frequentemente dai medici
che medici direttamente coinvolti nella sperimentazione clinica e farmacologica correlata all'HIV/AIDS,
nonché le tecniche messe in atto dai medici per
ovviare a tali problemi e al verificarsi o meno della
comprensione da parte dei pazienti. La rilevazione
oggettiva di questi aspetti relazionali è compromessa da una lunga serie di fattori determinati sia dalla
estrema diversificazione clinica e socioculturale del
paziente con HIV/AIDS, sia dalle modalità di trasmissione della malattia. Per questo motivo, l'applicazione di metodologie e tecniche che richiedono il
rispetto di condizioni sperimentali rigorosamente
METODOLOGIA
RISULTATI
Soggetti
Lo studio è stato condotto su un campione di 107
medici impegnati nell'assistenza di pazienti affetti da
HIV/AIDS delle Regioni Lazio, Lombardia e Campania.
Il campione è stato selezionato - con criterio casuale
- attraverso il coinvolgimento attivo di a) centri clinici di primo, secondo e terzo livello, rappresentativi
delle strutture presenti sul territorio nazionale e b)
organizzazioni di volontariato impegnate nelle.attività
di sperimentazione HIV correlate.
Caratteristiche generali del campione
Lo studio è stato condotto su un campione di 107
medici impegnati nell'assistenza di pazienti affetti da
HIV/AIDS delle Regioni Lazio, Lombardia e
Campania, di cui il 58.9% maschi e il 40,2% femmine di età compresa fra 31 e i 50 anni, specializzati
per il 72% in infettivologia. Il 58,6% del campione
intervistato svolge oltre al lavoro clinico anche quello
di sperimentatore.
Strumenti di rilevazione
L'indagine è stata condotta mediante la applicazione di
un questionario autosomministrato, il QC-M
(Questionario sulla Comunicazione per i Medici) uno
strumento frutto di una accurata revisione della letteratura scientifica pertinente comprendente anche la
Jefferson Scale of Phisician Empathy (Hojat, et al., 2001).
Il QC-M è composto da 53 items ripartiti in 4 sezioni
tematiche. Nella prima vengono raccolti i dati anagrafici personali e professionali del campione. Nella seconda composta da 30 items a risposta multipla (di cui 9 dall'items 22 al 30- destinati solo ai medici che si occupano di sperimentazione) vengono individuate le dinamiche relazionali della coppia medico-paziente, gli
elementi preponderanti nella costruzione e nel mantenimento della comunicazione medico-paziente sia
durante il procedimento clinico della sperimentazione
sia nella routine della pratica medica. La terza sezione è
composta dai 20 items della Jefferson Scale of Phisician
Empathy (20-Likert-type items) che attraverso la
costruzione di tre categorie ottenute in base al punteggio totalizzato dal campione (B=da 1 a 60 basso livello
di empatia ; M=da 61 a 100 medio livello di empatia;
A=da 101 a 140 alto livello di empatia) permette di
identificare i livelli di empatia nella relazione MedicoPaziente. La quarta sezione formata da 3 items a risposta multipla punta a far emergere le aree critiche del
processo comunicativo nella relazione medico-paziente
e le metodologie di intervento preferite dal campione.
ANALISI DEI DATI
I dati dei questionari saranno elaborati ed analizzati col
sistema SPSS. I files di dati - sebbene i questionari siano
anonimi - saranno protetti da password per garantire
assoluta confidenzialità. Sarà realizzata un analisi statistica comparativa tra i gruppi per identificare le variazioni e le similarità di conoscenze, attitudini e comportamenti registrati nei due campioni considerati.
Individuazione delle dinamiche relazionali
medico-paziente
Secondo il campione, le fonti d'informazione più attendibili sull'HIV/AIDS, oltre ai medici (34%), spiccano i
mezzi di comunicazione, nello specifico i libri e/o le
pubblicazioni (86%), i congressi (70%). Fra le figure
professionali che più frequentemente forniscono assistenza ai pazienti con HIV/AIDS oltre ai medici
(81,3%) spiccano gli psicologi/psichiatri (50,5%)
mentre minore importanza viene accordata agli altri
ammalati (44,9%) e ai gruppi e/o associazioni di volontari (33,6%). Per quel che riguarda i soggetti in grado
di offrire supporto emotivo ai pazienti HIV/AIDS il
campione ha indicato negli psicologi/psichiatri (59,8%)
i soggetti più efficaci, seguiti dal medico curante
(47,7%). Poca rilevanza è stata accordata ai genitori dei
pazienti (19.3%) che risultano essere le peggiori fonti
di supporto emotivo.Ad essi vengono preferiti gli altri
individui sieropositivi e/o pazienti AIDS (40%) e i gruppi di volontariato (38,3%).
Il campione ha segnalato che il servizio più importante
per il paziente con HIV/AIDS non è solo un trattamento medico adeguato (86,9%), ma anche il supporto
psicologico (85%). Significativo è invece il dato circa le
informazioni sulle sperimentazioni cliniche indicato solo
dal 6.5% del campione.
Per quel che riguarda il tipo di relazione che il medico
ha con il proprio paziente il 62,6% dei soggetti ha risposto buona, il 18,7% ottima, il 14% né buona né cattiva.
Tale relazione si struttura a partire da alcuni principi
ispiratori, che sono il rispetto (55.1%), la comunicazione (48,6%), l'ascolto (50,5%) la credibilità (38,3%), In
percentuali minori l'assenza di giudizi morali, la
comprensione, la discrezione. Significativi sono i dati
sullo stabilirsi di una relazione confidenziale (9,3%) e
sulle capacità di offrire un supporto psicologico (9,3%).
Il campione ha segnalato che i fattori più importanti per
la costruzione e il mantenimento di una buona relazione sono la partecipazione attiva del paziente nelle
discussioni che riguardano la sua salute (62,6%), l'atteggiamento del medico durante la consultazione (57,9%)
e il tempo dedicato alla consultazione (48,6%). Sembra
occupare una posizione di minore importanza il rispetto degli appuntamenti concordati, l'efficacia della terapia
proposta e l'aderenza alla terapia.
Secondo il campione, nell'ambito della relazione
medico-paziente, una buona comunicazione dipende dal medico e dal paziente (49.5%)anche se i
fattori che possono influenzare lo stabilirsi di una
buona comunicazione sono la capacità del medico
di adattare il suo linguaggio a quello del paziente
(69,2%) e la disponibilità al dialogo del medico
(64,5%). Di minore importanza sono i dati relativi
al numero e al tempo dedicato agli incontri
(17,8%), alla possibilità di coinvolgere (se necessario) i familiari del paziente (11,2%), alle differenze
socioculturali fra il medico e il paziente (14%) ed
infine al tipo di malattia del paziente (16,8%).
Il 62,5% del campione intervistato ha affermato di
dare abbastanza/molta importanza ai fattori religiosi, culturali e socioeconomici dei pazienti nella
propria pratica clinica a fronte del 18,7% che invece non riteneva indispensabile dare importanza a
tali fattori.
Per quel che riguarda la capacità del medico di
comunicare con i pazienti di differente orientamento sessuale il campione ha risposto di sentirsi
abbastanza competente (54,2%). Risultato analogo
nel caso di pazienti con differente cultura, religione
e status socioeconomico, con differente orientamento sessuale (51,4%) e rispetto alla capacità di
affrontare situazioni problematiche (66,4%) che
potrebbero ostacolare il trattamento. Dichiarano
invece di sentirsi poco competenti (57,9%) nell'interpretare le differenti espressioni culturali di
dolore, preoccupazione e sofferenza.
La comunicazione è un processo interattivo che
per essere funzionale allo scopo prefissato dalla
relazione può utilizzare una serie di strumenti e/o
strategie. Nello specifico il campione ha dichiarato
di utilizzare riassunti, esemplificazioni, chiarimenti,
ripetizioni (77,6%) per rendere comprensibile quello che sta dicendo. In percentuali minori, l'uso dello
stesso linguaggio del paziente (60,7%), il coinvolgimento di un altro professionista (27,1%), del
partner, di un parente, di un amico (16,8%) ed in
fine, l'uso del materiale informativo (opuscoli,
libretti, riviste, ecc.) (16,8%). Inoltre, lo strumento maggiormente utilizzato per capire se il
paziente ha compreso quello che gli è stato
detto, è dare del tempo al paziente per fare delle
domande (70,1%). Altrettanto importanti sembrano essere l'osservazione del comportamento del
paziente (44,9%), fare delle domande al paziente
(43%), far ripetere al paziente le informazioni e le
istruzioni ricevute (36,4%), fissare successivi
appuntamenti di approfondimento (19,6%), assicurarsi che la persona che si prende cura di lui abbia
capito (25,2%). Inoltre, il campione ha riferito che
spesso (30,8%) si è accorto che il paziente non
aveva compreso quello che gli era stato detto. Per
quello che riguarda la comunicazione delle cattive
notizie, il campione cerca la collaborazione di un
altro professionista (psicologo, psichiatra, assistente sociale, ecc.) solo nel 35,5% dei casi e nel 41,1%
delle volte presenta il nuovo piano d'intervento
terapeutico e nel cerca e presenta tutte le buone
notizie legate al caso (31,8%).
In percentuali minori, il campione dà esclusivamente le informazioni che il paziente e la sua famiglia possono accettare in quel momento (29%),
cerca la collaborazione del partner o di un altro
familiare (19,6%), fornisce materiale informativo
sulle alternative possibili (6,5%), fornisce materiale
informativo sui gruppi di auto-aiuto e di supporto
psico-sociale (9,3%), negozia con il paziente e la
sua famiglia il nuovo piano terapeutico (9,3%).
La comunicazione delle cattive notizie (64,5%) è la
situazione più difficile che il campione si trova da
affrontare con i pazienti HIV/AIDS. A seguire,
parlare della morte (50,5%), trovare le parole
giuste per comunicare con loro (23,4%), discutere
dei loro problemi personali (21,5%), parlare del
loro stile di vita (14%), discutere di una eventuale
condizione di tossicodipendenze (9,3%), discutere
del loro comportamento sessuale (5,6%) e discutere dei sintomi (4,7%). Per quel che riguarda il
tempo dedicato alle visite ambulatoriali, per la
maggior parte del campione (33,6%) esse durano
dai 15 ai 20 minuti.
Individuazione delle componenti relazionali
nel contesto dei trials
Il 58,6% del campione svolge oltre al lavoro di
clinico anche quello di sperimentatore. Il campione ha riferito di sentire qualche volta (19,6%) una
certa incongruenza fra il ruolo di clinico e quello
di sperimentatore.
Di essi il 23,4% ha dichiarato di offrire ad un
paziente la possibilità di partecipare ad un trial
durante il proprio lavoro quotidiano spesso.
Inoltre il campione segnala che l'esclusione di un
soggetto da una sperimentazione clinica avviene
qualche volta (28%). I parametri che portano all'esclusione di un paziente dal trial sono la gravità
delle condizioni fisiche (38,3%) e l'abuso di sostanze (33,6%).
A seguire l'assenza di una condizione familiare
stabile, l'assenza di una relazione sentimentale
stabile e la presenza di difficoltà economiche. Di
rilievo è l'assenza di risposte che riguardano
l'orientamento sessuale dei pazienti. Dall'indagine
risulta che i pazienti rifiutano di partecipare ad un
trial raramente (25,2%).
Tra i fattori che possono orientare un paziente a
rifiutare la partecipazione a un trial ci sono la
paura per gli effetti collaterali del trattamento
(33,6%), la scarsa motivazione (28%), l'assenza di
una buona relazione medico-paziente (27,1%), la
scarsa informazione sui benefici del trattamento
(17,8%). Di scarsa importanza l'assenza di un
supporto familiare e sociale, il peggioramento
delle condizioni fisiche e le condizioni economiche molto precarie.
I soggetti affermano di ricevere raramente
(10,3%) i pazienti che partecipano ad una sperimentazione clinica in orari, giorni e luoghi diversi
dal resto dell'utenza; incontri che altrettanto
raramente (12,1%) e condotta assieme ad altre
figure professionali (psicologi, psichiatri, assistenti
sociali, ecc..
Solo il 11,2% del campione ha affermato di informare sempre i pazienti HIV/AIDS che partecipano
ai trials sui risultati della sperimentazione. A tal
proposito, sono molto interessanti le percentuali
riguardanti le altre modalità di risposta.
Identificazione dei componenti strutturanti
la relazione empatica
I dati ottenuti dalla Jefferson Scale of Phisician
Empathy (Hojat, et al., 2001) sono stati elaborati al
fine di identificare il livello di empatia nella relazione Medico-Paziente. Le risposte ottenute dal
campione sono state raggruppate in base al punteggio riportato: B = bassa empatia punteggio totalizzato da 1 a 40, M = media empatia punteggio totalizzato da 41 a 100, A = alta empatia punteggio
totalizzato da 101 a 140. Tale categorizzazione è
stata ottenuta sommando il numero di risposte
ottenute dalla scala likert della Jefferson Scale of
Phisician Empathy. L'indagine ha evidenziato che il
95,3% dei soggetti risulta avere un livello medio di
empatia. Significativa è la assenza di correlazione
fra il sesso, l'età, gli anni di esperienza medica nel
settore di appartenenza e quelli di attività svolta
nei trials clinici.
Individuazione delle aree critiche nel
processo comunicativo e delle metodologie
di intervento
Il campione ha dichiarato di voler approfondire
nell'ambito della comunicazione tra medico e paziente le aree relative alle abilità comunicative nella relazione nel loro complesso (43,9%), il counselling sul
lutto e la morte (41,1%), il trattamento delle situazioni stressanti (33,6%), il counselling per la gestione
dei comportamenti aggressivi (30,8%) e il counselling
sull'arruolamento dei pazienti nei trials clinici
(21,5%).
Di minore importanza le aree relativi alla capacità di
fornire informazioni (16,8%), e le questioni riguardanti il trattamento medico (5,6%). Si sottolinea inoltre che il 3.5% ha affermato di non desiderare approfondire nessuno di questi argomenti. Per quel che
riguarda gli approcci formativi, i soggetti ritengono
più utile la partecipazione a workshop (50,5%).
Altrettanto significativi sono i dati relativi alla supervisione dell'attività clinica con un esperto delle dinamiche di gruppo (39,3%) e alla partecipazione ad un
corso residenziale intensivo (37,4%). Il 35,5% del
campione dedicherebbe dalle 49 alle 96 ore per anno
per un training formativo.
CONCLUSIONE
E DISCUSSIONE
L'infezione da HIV rappresenta indubbiamente per il
sistema sanitario nazionale una enorme sfida e, se
affrontata in tutti i suoi molteplici aspetti, un impegno
sicuramente oneroso. Dato il ruolo primario che
hanno assunto in questi anni le organizzazioni ospedaliere e territoriali nella gestione delle problematiche relative all'epidemia, può essere forte la tentazione alla delega. Delega esercita in un processo di relazione ancora fortemente connotato di significati
"paternalistici".
Una buona comunicazione passa, infatti, ancora per
"le mani" del mani del medico - come ebbe a dire un
intervistato - che fonda la relazione con il paziente
sulle proprie abilità comunicative. A testimonianza di
ciò vi è lo scarso coinvolgimento dei familiari e di
altre figure significative per i pazienti nella costruzione della relazione tra medico e paziente. Il campione
sembra non essere consapevole del fatto che gli effetti dell'infezione da HIV si ripercuotono su tutto il
sistema familiare, così che è possibile parlare di "virus
familiare" dal momento che è l'intero sistema di relazioni affettive e supportive ad esserne colpito (Bellani
M.L., et al., 98).
L'infezione da HIV è dunque sempre una patologia
familiare che conduce ad inevitabili modificazioni (nel
senso di un rinforzo o di un allentamento dei ruoli,
dei legami e delle interazioni) soprattutto in quei
nuclei familiari già minati da pregresse situazioni di
disgregazione sociale (Bellani M.L., et al., 98, Levine C.,
90). Nessun medico e nessuna singola istituzione
possono pensare di gestire da soli situazioni sanitarie
e assistenziali tanto complesse ed articolate come
quelle che coinvolgono le persone colpite da questa
affezione. La gestione dell'infezione da HIV necessita,
ormai per definizione, di un approccio integrato per
l'attuazione del quale è richiesta la collaborazione di
strutture assistenziali differenti e di molteplici figure
professionali. Inclusione difficilmente contemplata dal
campione che ancora una volta preclude il coinvolgimento di altri professionisti della salute come gli
psicologi, gli psichiatri, le associazioni di volontariato,
gli assistenti sociali. La lotta all'HIV/AIDS impone l'utilizzo di un processo sinergico in cui tutti i soggetti
coinvolti nella relazione terapeutica coordinano gli
interventi sanitari, sociali e assistenziali.
Negli ultimi anni si è cercato di creare tale sinergia
attraverso percorsi formativi multidisplinari che in
realtà approfondivano solo alcuni aspetti della relazione tra medico e paziente. La rapida proliferazione
di questi corsi di formazione impone una attenta
riflessione ancor più doverosa se si vuole cercare di
comprendere gli attuali bisogni di chi, nel contesto
della relazione con il medico, affida non tanto un
organismo minato da un virus quanto piuttosto la
totalità del proprio essere che attraverso la richiesta
di cure ricerca la possibilità di ottenere benessere e
conforto. Il campione intervistato ha infatti, dichiarato di voler ampliare solo alcune capacità relazionali
nell'ambito della comunicazione delle cattive notizie,
della morte, dei comportamenti aggressivi e oppositivi, tralasciando quelle atte a migliorare l'arruolamento dei soggetti nei trials. A tal proposito colpisce il
dato che pone in evidenza una certa incongruenza
percepita fra coloro che oltre al lavoro clinico svolgono anche quello di sperimentatore, nonché la scarsa informazione data ai pazienti sui risultati delle
sperimentazioni a cui hanno partecipato.
Questa richiesta formativa si sposa con le esperienze, i modelli, e gli strumenti sinora realizzati
per promuovere il miglioramento della comunicazione medico - paziente che permettono di
evidenziare uno scarso interesse per entrambi gli
aspetti di queste particolari forme di comunicazione sanitaria che, nell'opinione di alcuni autori, è un
fenomeno connesso alla mancanza di specificità
che caratterizza l'intervento formativo finalizzato
al potenziamento di abilità che sono squisitamente psicologiche e sociali (Dickson et al,1994; Ellis e
Whittington,1981) appare, infatti, evidente che soprattutto nel nostro paese - la costruzione di
questa tipologia di moduli formativi è caratterizzata dal frequente ricorso a strumenti ed approcci mediati da ambiti disciplinari che difficilmente
incontrano i bisogni formativi e le esigenze
concrete e tipiche della comunicazione sanitaria.
Allo stesso tempo, la maggioranza dei moduli formativi integrati in materia di comunicazione medico paziente è generalmente caratterizzata da elementi
(es: assenza di un manuale di training; non definizione
delle unità e degli obiettivi di formazione/apprendimento) che pregiudicano ogni seria possibilità di
sottoporre l'intervento formativo erogato a verifica
di efficacia (Roth e Fonagy,1997; Dickson et al.,1991).
Come sottolinea Morosini (1998) l'assenza - in ambito educativo e formativo - di una cultura di intervento fondata su prove di efficacia, è un dato che genera
un notevole dispendio di risorse, favorendo l'affermarsi di modelli la cui validità, in termini di risultati
prodotti/attesi, non è purtroppo nota.
Ugualmente pregiudicato appare l'adattamento - al
contesto italiano - di moduli formativi elaborati in
sede internazionale, in quanto la comunicazione
umana è - per sua stessa definizione - una dimensione sostanzialmente e fortemente condizionata da
determinanti culturali, caratterizzate da contesti,
consuetudini, comportamenti e modalità comunicative peculiari e proprie.
È pur vero che sempre più i medici si trovano a dover
affrontare contesti socio-culturali diversificati nei
quali gestire le differenti espressioni di dolore, sofferenza e preoccupazione e per le quali sono fortemente inadeguati.
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Roth P, Fonagy M., Psicoterapia e prove di efficacia, Roma, Il Pensiero
Scientifico (1997).
RAPPORTO DAL SITO:
http://www.nadironlus.org
::
C O S A C I S I P U O ’ T ROVA R E
Nel gennaio 2003 Nadir ha lanciato il suo nuovo sito web. Più che un sito è
definibile un collettore dove è possibile trovare informazioni sull'HIV/AIDS e
patologie correlate (epatiti, MST, ecc…)di tutte le tipologie: sui trattamenti
(ricerca), sulle problematiche politiche nazionali ed internazionali (accesso,
diritti, politiche sanitarie) sulle questioni sociali. Sul sito è possibile pubblicare
notizie, informazioni e commenti di ogni genere, in "tempo reale": esso infatti
è aggiornato quasi quotidianamente. Presenti anche spunti di economia sanitaria. Il sito, nella sezione "chi siamo", fornisce dettagli sulla nostra associazione.
Esso è anche archivio delle pubblicazioni di Nadir, che possono essere tutte
scaricate formato PDF: tutti i numeri della rivista DELTA (sia quello in distribuzione che quelli arretrati), tutte le pubblicazioni fatte dalla nostra associazione (monografiche, tematiche, NadirPoint, ecc…). E' possibile iscriversi alle
nostre mailing list, consigliare siti da aggiungere a quelli già esistenti tra i link,
interagire con la redazione, partecipare a sondaggi ed intervenire direttamente inviando i propri contributi.
::
U N P O ’ D I S TAT I S T I C H E D E L L A R E DA Z I O N E
Dal Gennaio 2003 abbiamo pubblicato oltre 600 notizie quasi a cadenza quotidiana. I primi di giugno abbiamo superato le 100.000 pagine viste dall'inaugurazione del sito. Per esempio il 13 maggio, in una sola ora, abbiamo avuto 849
accessi, mentre è stato il mese di Marzo quello fino ad ora con più accessi nel
2004: ben 8739. Il sito sta ormai diventando una vera e propria miniera di
informazioni e si sta consolidando nel panorama italiano dei siti del settore.
Chi lo frequenta ha l'opportunità di avere accesso a tutte le pubblicazioni di
Nadir in anteprima, ossia prima che possano essere stampate e distribuite.
Talvolta le pubblicazioni sono solamente in formato PDF: con una qualunque
stampante è possibile dunque averne facilmente una versione cartacea.
Le tabelle mostrano alcune statistiche del nostro sito: è sempre possibile
vederle aggiornate in tempo reale collegandosi al Menù in alto a sinistra
della nostra "main page" alle voci statistiche, sondaggi, top 10 ecc…
Caro Egon,
avevano messo un velo che copriva il Tuo sorriso e la Tua serenità, dopo le
sofferenze degli ultimi mesi. Enzo lo ha tolto e Ti ho potuto vedere per l'ultima volta, prima del tuo ultimo viaggio. Intorno tutti piangevano, soprattutto le persone che per anni hanno lavorato con Te, a cui hai lasciato un'eredità di affetto. La serenità del Tuo volto era quella che avevo visto in tanti
anni, fin da quando Tu, tra i miei amici più grandi venivi alle feste quando io
ero ancora un ragazzino. Poi, molti anni dopo,Ti incontrai di nuovo a New
York, circondato dagli amici della vita mondana, ma sempre semplice, quasi
timido, attento ai dettagli con ogni persona che Ti avvicinava e io ero uno
tra queste. Poi a Roma, a Miami mi telefonavi tutti i giorni, ci vedevamo
ovunque. Non sarà facile dimenticare i Tuoi consigli, le Tue analisi precise su
situazioni personali, politiche ed economiche, le Tue previsioni che poi si
avveravano tutte puntualmente. Le feste meravigliose che organizzavi a
Miami il 3 gennaio per tanti anni ove tutti dimenticavamo i problemi quotidiani per condividere con Te e con Enzo la Tua gioia di vivere che non hai
mai perso, fino agli ultimi giorni passati a Sirmione con i Tuoi figli. Non sarà
facile dimenticare la generosità che ha contraddistinto il
Tuo rapporto con gli amici e
con i collaboratori, quella di
un Principe che lo è nell'animo, la Tua serenità che non
deriva dal titolo di Altezza
Serenissima, ma dal Tuo
modo di affrontare la vita. Mi
mancherai, Egon, ma so che
non sono il solo, so che in
molti sentiremo la mancanza
della Tua compagnia, dei Tuoi
consigli, della Tua allegria,
della Tua nobiltà d'animo,
della Tua generosità e del
tempo che hai dedicato ad
ognuno dei Tuoi amici e a
me. Mi mancheranno le tue
telefonate alle 8 del mattiIl numero 18 di Delta
no… “dormivi? Sei uno dei
è dedicato alla memoria di
pochi a cui posso telefonare
EDUARD EGON
a quest'ora…”
VON UND ZU FÜRSTENBERG
Ciao, Egon!
STILISTA
Filippo
Lausanne 29 giugno 1946
Roma 12 giugno 2004
Direttore Responsabile: Filippo Schloesser
Redazione: Mauro Guarinieri, Simone Marcotullio, David Osorio
Comitato scientifico: Dr. Ovidio Brignoli, Dr. Claudio Cricelli,
RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’HIV
N.18 Estate 2004
Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale D. L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/04 n. 46) art.1, comma 2 - DCB - Roma
Francois Houyez (F), Dr. Martin Markowitz (USA), Dr. Simone Marcotullio,
Dr. Filippo Schloesser, Prof. Fabrizio Starace, Dr. Stefano Vella
Grafica a cura di: Stefano Marchitiello
Collaboratori di redazione: Roberto Biondi, Valentina Biagini, Simone Marchi
Stampa: Tipografia Messere Giordana - Roma
Editore: NADIR ONLUS via Panama 88 - 00198 Roma
Ringraziamo Gilead Sciences S.r.l.
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