FLAVIA CANTATORE
Estratto dal volume:
SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE
A ROMA NEL XVI SECOLO
ROMA
LE
TRASFORMAZIONI URBANE
NEL
CINQUECENTO
II
DALLA CITTÀ AL TERRITORIO
a cura di
GIORGIO SIMONCINI
FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMXI
FLAVIA CANTATORE
SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA
NEL XVI SECOLO
Nell’arco del Cinquecento si determina a Roma un consistente cambiamento del rapporto tra la città e i luoghi deputati alla formazione e allo sviluppo del sapere. Ci troviamo di fronte ad uno scenario in evoluzione nel quale svolgono la loro azione sociale, istruttiva e di ricerca nuove istituzioni la cui
quantità e varietà sono legate all’affermarsi della Riforma, della Controriforma
ma anche di una mentalità e di una cultura mutate, oltre che di una generale
sensibilizzazione al tema educativo: collegi, seminari, orfanotrofi, conservatori, scuole pubbliche, accademie. Un ambito vasto e articolato intorno a differenti istanze culturali, che oscilla dalla istruzione primaria (la cui richiesta si
estende in ulteriori strati della popolazione contemporaneamente al sistematico intervento di assistenza e confessionalizzazione della Chiesa, culminata a
fine secolo negli insegnamenti di Giuseppe Calasanzio) alla fondazione di accademie (come l’Accademia della Virtù – istituita da Claudio Tolomei nel
1538, confluita a metà secolo nell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon –,
l’Accademia di San Luca – 1577 –, e la Congregazione, poi Accademia, di
Santa Cecilia del 1584).1
Durante la seconda metà del Quattrocento, parallelamente all’incremento
della stampa – con numerose e varie edizioni proprio a Roma –, si verifica un
graduale aumento dell’alfabetizzazione. Tendenza che è in rapporto alla crescita delle attività commerciali e alle necessità di comunicazione connesse ai
molteplici aspetti della vita quotidiana, dalla presenza sempre più preponderante della burocrazia alle esigenze lavorative, fino alle aspirazioni di elevazione degli strati sociali meno abbienti: l’evoluzione di strutture e infrastrutture
1 G. LOMBARDI , Libri e istituzioni a Roma: diffusione e organizzazione, in Roma del Rinascimento («Storia di Roma dall’antichità ad oggi»), a cura di A. Pinelli, Roma-Bari, Laterza, 2001,
pp. 267-290: 287; G. RICUPERATI, Università e scuola in Italia, in Letteratura italiana, vol. I, Il letterato e le istituzioni, Torino, Einaudi, 1982, pp. 983-1007: 988-993.
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cittadine influisce direttamente sull’ambiente socio-culturale.2 Nel corso del
XVI secolo la progressiva dilatazione della domanda di istruzione trova risposta nella diversificazione e nell’estensione del periodo della formazione. L’università e le scuole umanistiche, scuole medie di alto livello che accolsero essenzialmente giovani appartenenti a classi alte, agiate, furono integrate nell’età
della Riforma dall’educazione elementare popolare.3
L’insegnamento primario esercitato in istituzioni comunali, aperte pure ai
ceti medio-bassi, si rivelò carente sul piano organizzativo e su quello del personale docente, assai limitato nel numero. Nel 1543 furono pertanto istituiti i
maestri pubblici rionali, con stipendio detratto dalla gabella dello Studio, sottoposti all’autorità del rettore e con un proprio collegio incluso nell’università.
Alla limitata diffusione della scuola laica si affianca l’ampia iniziativa degli istituti religiosi, rivolta ad allievi di condizione tanto aristocratica quanto modesta. Nel 1597 Giuseppe Calasanzio fonda a Roma, presso Santa Dorotea in
Trastevere, le prime scuole popolari gratuite d’Europa e il primo ordine religioso centrato sulla missione formativa (ordine dei chierici regolari poveri della Madre di Dio e delle scuole Pie), riconosciuto nel 1621 dal papa.4
Accanto al rapido progredire della dimensione conoscitiva, che diviene
prevalente per il rilievo acquisito dalla scuola, si sviluppa la dimensione educativa.5 L’educazione è vista come processo di adeguamento del bambino e
del ragazzo ai bisogni della collettività e come mezzo di affermazione sociale
e professionale. Nello stesso tempo la soluzione del problema formativo corrisponde alla richiesta di preparazione di un uomo nuovo. Con il superamento
della visione rinascimentale antropocentrica e particolarmente con la Riforma,
l’individuo appare in grado di proporre un rinnovamento della società, mostrandosi in parte più autonomo dalle organizzazioni terrene ma anche più dipendente dalla volontà divina. Pure se ancora manca la consapevolezza delle
caratteristiche e delle possibilità di sviluppo del singolo e del gruppo, soprat2 L. ANTONUCCI , L’alfabetizzazione a Roma fra XVI e XVII secolo, in Roma e lo Studium Urbis.
Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento, catalogo della mostra (Roma, 1989), a cura di P. Cherubini, Roma, Quasar, 1989, pp. 65-68: 65.
3 E. GARIN , L’educazione in Europa 1400/1600. Problemi e programmi, Roma-Bari, Laterza,
19763, pp. 185-207; G.P. BRIZZI, Strategie educative e istituzioni scolastiche della Controriforma, in
Letteratura italiana, vol. I, Il letterato e le istituzioni, cit., pp. 899-920; G. RICUPERATI, Università
e scuola in Italia, cit., pp. 988-993; P.F. GRENDLER, La scuola nel Rinascimento italiano, Roma-Bari,
Laterza, 1991 (ed. originale: Schooling in Renaissance Italy: Literacy and Learning, 1300-1600, Baltimore & London, The Johns Hopkins University Press, 1989), in particolare pp. 87-96.
4 L. ANTONUCCI , L’insegnamento elementare a Roma nel XVI secolo, in Roma e lo Studium Urbis ...,
catalogo della mostra, cit., pp. 69-73: 72.
5 B.A. BELLERATE , Società ed educazione in Europa (Secoli XVI-XVII), Milano, Unicopli, 2004,
pp. 15-16.
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tutto in termini di riconoscimento del valore dell’infanzia, tuttavia si conquista
progressivamente la coscienza delle valenze religiose e socio-politiche della
formazione.
Malgrado l’interesse di un argomento cosı̀ complesso, non sempre è possibile stabilire un diretto riflesso delle istituzioni sull’immagine della città, collocandosi esse frequentemente entro volumi preesistenti e con diversa destinazione d’uso. Sulla base di questa considerazione si è scelto di trattare, fra le
molte, le istituzioni per le quali tale rapporto è parso più chiaro e diretto, ovvero
collegi, università e biblioteche. È una selezione che consente di individuare
una serie di edifici aventi, fra l’altro, un modello comune: l’architettura civile
privata. A partire da questa origine, che generalmente si lega ad una committenza curiale, si sono precisate nel tempo tipologie proprie, funzionali ad esigenze di spazio, di uso, di decoro. La materia è perciò eterogenea e gli esempi,
se si esclude la Sapienza i cui più noti sviluppi sono documentati con continuità per tutto il Cinquecento (e perciò è qui più ampiamente descritta), si
concentrano nella seconda metà del secolo. Al di là delle differenze di scelte
insediative, sviluppi ed esiti architettonici, i vari luoghi di cultura si situano sul
tessuto urbano spesso secondo logiche aggregative la cui lettura restituisce
una rappresentazione inedita della città cinquecentesca.
I
COLLEGI
Nella pianta di Leonardo Bufalini (1551) appare ormai definito il tema
dell’isolato, dopo la grande crescita di Roma verificatasi dal pontificato di
Giulio II a quello di Paolo III. Si avverte il senso di continuità muraria sperimentata dall’osservatore che compie i suoi spostamenti non più affidandosi
a tragitti frammentari, ma utilizzando vere e proprie strade delimitate visivamente. E si può immaginare il graduale consolidarsi di questa sensazione fino
alla raffigurazione di Antonio Tempesta (1593): l’edilizia residenziale emergente non solo è più diffusa ma si nota una tendenza all’aumento delle dimensioni dei nuclei edilizi, che acquistano inoltre una maggiore regolarità. Di questo clima partecipa anche il tipo del collegio ideato a partire dal Collegio
Romano (1551) dai seguaci di Ignazio di Loyola che, attraverso spazi appositamente pensati, segna il distacco dagli esempi del secolo precedente (i collegi
Capranica e Nardini) nati dall’adattamento di strutture abitative.6 La nuova
6 F. CANTATORE, I collegi universitari romani e la prima sede della Sapienza, in L’Università di
Roma ‘La Sapienza’ e le Università italiane, Atti del Convegno (Roma, 3-4 marzo 2005), a cura di
B. Azzaro, Roma, Gangemi, 2008, pp. 29-37.
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tipologia inaugura proporzioni architettonico-urbane che nello stesso tempo si
affermano in Europa. Gli insediamenti realizzati per l’educazione dei giovani
(ai quali si uniscono le Case Professe e i Noviziati, con le rispettive chiese) soprattutto dalla Compagnia di Gesù si impongono sia volumetricamente, come
i grandi complessi conventuali, sia in rapporto alla forma urbis, per la loro
quantità (fig. 1). I collegi, promossi in particolare da Gregorio XIII, erano
in gran parte destinati alla formazione del clero di comunità straniere minacciate dall’eresia.7 La loro costruzione riflette la vocazione sopranazionale della
Chiesa Romana e quella missionaria caratteristica dei gesuiti (confermata dall’offerta gratuita dell’insegnamento, sull’esempio dei paesi riformati). Nello
stesso tempo la dimensione multietnica ribadisce il carattere cosmopolita della
città, delineatosi più in generale in campo architettonico per iniziativa di committenti di diversa nazionalità la cui presenza è spesso analogamente legata alle funzioni della curia. Pure gli esiti compositivi trovano riscontro nei palazzi
della severa Roma post-tridentina: carattere austero, stereotipato, volumi semplici e facciate ripetitive, disegnate da una riproposizione seriale degli elementi, senza tenere conto di istanze provenienti dalle regioni rappresentate. In
pochi anni l’edificazione trasforma la stessa natura del tessuto cittadino,
riconfigurando gli isolati e la circolazione viaria.
Differenza anche di obiettivi rispetto ai collegi del secolo precedente:
quelli cinquecenteschi sono per lo più convitti, pur avendo prerogativa di attribuire qualifiche accademiche riconosciute nel paese di provenienza. Ciascuna singola istituzione era perciò punto di riferimento imprescindibile
per la discussione della tesi, e quasi sempre per prendere l’abito sacerdotale,
mentre la struttura per lo svolgimento consueto dell’attività didattica era il
Collegio Romano, fuoco dell’intero sistema polinazionale e perciò resa monumentale da Gregorio XIII. Nell’arco di soli tredici anni (1572-1585) l’obiettivo di costruire l’immagine di una Roma santa rinnovata dopo il Concilio di
Trento e dopo la sconfitta delle flotte mussulmane dell’impero ottomano a
Lepanto è perseguito da papa Boncompagni attraverso numerosi e sparsi interventi. L’apertura di sedi per la formazione del clero straniero assegna un
ruolo centrale all’istruzione superiore romana, destinata in tal modo ad una
capillare diffusione in Europa. La Città Eterna, dove contemporaneamente
operano figure emblematiche della Chiesa riformata (si pensi ad esempio a
Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Filippo Neri), è luogo internazionale
di studi e allo stesso tempo fulcro della restaurazione cattolica europea, con7 Sui collegi a Roma nel Cinquecento si veda in generale F. BELLINI , I collegi e gli insediamenti
nazionali nella Roma di Gregorio XIII (con una nota su Sant’Atanasio dei Greci e la Trinità dei Monti),
«Città e storia», II, 1, 2007 (La città cosmopolita, a cura di D. Calabi), pp. 111-130.
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SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA NEL XVI SECOLO
dizioni incentivate dalle prescrizioni del Concilio tridentino e dalla azione
della Compagnia di Gesù.
Con l’acquisto di alcuni terreni nei dintorni di Santa Maria in via Lata nel
1543 Ignazio intraprese la costruzione di una residenza per i gesuiti. Nel 1551
si trasferirono in una casa sotto il Campidoglio, cambiata poi nello stesso anno
con un’altra presso la Minerva.8 L’opportunità di avere una sede corrispondente al cresciuto numero degli allievi, di un collegio paragonabile a quello
di Lovanio e al Collège du Roi di Parigi, in grado di sviluppare la felice proposta attuata a Messina da Gerolamo Nadal, si presentò nel 1558 quando la
marchesa Vittoria della Tolfa donò alla Compagnia di Gesù il monastero dell’Annunziata insieme con tutte le sue abitazioni nella zona. Successivamente
ad una prima fase in cui l’insediamento avvenne adeguando le preesistenze,
Giovanni Tristano realizzò tra il 1561 e il 1567 il complesso del Collegio Romano con la chiesa dell’Annunziata.9 Durante il pontificato di Gregorio XIII
la Compagnia pensò ad un aggiornamento funzionale e distributivo. A questo
scopo nel 1581 acquisı̀ altre aree limitrofe per il completamento del fabbricato
che, aperto agli studenti alla fine del 1584, è delineato con evidenza nella pianta di Tempesta (mentre la parte posteriore del collegio verrà iniziata nel 1598).
Quanto alle attribuzioni, materia assai discussa dalla storiografia, forse sulla
base di un progetto di massima dell’architetto mediceo Bartolomeo Ammannati risalente al 1582, al padre gesuita Giuseppe Valeriano spetterebbe l’organizzazione degli spazi interni e a Giacomo Della Porta, come consulente, soprattutto il progetto della facciata.
L’appartenenza alle diverse nazionalità lega tali edifici ai precedenti insediamenti già riconducibili a quelle stesse aree geografiche europee. È il caso
del Collegio Germanico che ha origine nel 1552 da una prima fondazione missionaria di catecumeni voluta da Ignazio di Loyola a San Giovanni in Mercatello, alle pendici del Campidoglio. Dopo alcuni spostamenti nella zona della
Minerva, una localizzazione importante sarà quella della Nunziatella, coinci8 M. FOIS , Il Collegio Romano: l’istituzione, la struttura, il primo secolo di vita, «Roma moderna
e contemporanea», III, 3, 1995, pp. 571-599; J.I. TELLECHEA IDIGORAS, Il Collegio Romano: «omnium nationum seminarium». Prospettive e speranze ignaziane, «Archivum historiae pontificiae»,
29, 1991, pp. 9-16.
9 S. BENEDETTI , La prima architettura gesuitica a Roma: note sulla chiesa dell’Annunziata e sul
Collegio Romano, in L’architettura della Compagnia di Gesù in Italia XVI-XVIII secolo, Atti del convegno (Milano, 24-27 ottobre 1990), a cura di L. Patetta e S. Della Torre, Genova, Marietti, 1992,
pp. 57-67; R. LUCIANI, Il Collegio Romano: l’architettura e il tempo, in Il Collegio Romano dalle origini al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a cura di C. Cerchiai, Roma, Istituto Poligrafico e
Zecca dello Stato, 2003, pp. 57-98; A. IPPOLITI, La storia della costruzione del Collegio Romano in
epoca moderna e contemporanea, in B. VETERE – A. IPPOLITI, Il Collegio Romano: storia della costruzione, Roma, Gangemi, 2003, pp. 33-78.
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dente con il Collegio Romano. Gregorio XIII separerà i due organismi con la
creazione del Collegio Germanico nel 1573 nel palazzo Della Valle e darà la
dimora apposita e definitiva a Sant’Apollinare nel 1574. La fase conclusiva è
costituita dalla fusione nel 1580 con il Collegio Ungarico, avviato nel 1579.10
Al 1577 risale il Collegio dei Greci in via del Babuino (in precedenza posto
provvisoriamente a Ripetta), al quale si lega la costruzione della vicina chiesa
di Sant’Atanasio.11 In questo caso l’intento del papa (probabilmente sulla
scia dell’omonima istituzione del 1517-1519, voluta da Leone X e affidata
a Giano Lascaris), era quello di condurre i popoli greci all’unione con la
Chiesa Romana, anche nella consapevolezza della difficile condizione dettata
dalla dominazione turca. Giovani greci con diverse aspirazioni, dal sacerdozio all’esercizio di varie professioni, avevano in tal modo la possibilità di formarsi a Roma per tornare poi nelle loro regioni di origine rappresentandone
la nuova élite culturale e intellettuale. Rapidamente il collegio ampliò la propria azione divenendo punto di riferimento per i cristiani di rito greco di altri
territori come l’Italia meridionale, i paesi slavi e quelli del Medio Oriente.
La sede ignaziana di San Giovanni in Mercatello era destinata ad ebrei e
mussulmani convertendi. Nel 1564 fu spostata nella limitrofa piazza Margana
e nel 1566 all’Arco dei Pantani. Gregorio XIII eleverà l’istituto a Collegio dei
Catecumeni, o dei Neofiti, trasferendolo nel 1577 nella attigua casa di santa
Caterina e successivamente accanto al nuovo tempio della Madonna dei Monti (1580-1582).12
Utilizzando le preesistenti strutture edilizie dell’antico ospedale di San
Tommaso di Canterbury in via di Monserrato, papa Boncompagni fonda
nel 1579 il Collegio Inglese.13 Segue nel 1584 il piccolo Collegio dei Maroniti
in prossimità di San Giovanni della Ficoccia (adiacente a Sant’Andrea delle
Fratte).14 I previsti avvii dei collegi Armeno (bolla del 1584) e Ibernese (ov10 I. BITSKEY , Il Collegio Germanico-Ungarico di Roma. Contributo alla storia della cultura ungherese in età barocca, Roma, Viella, 1996, pp. 33-37; J. PÁL, La fondazione del primo Collegio Ungarico a Roma (1579), in Santo Stefano Rotondo in Roma. Archeologia, storia dell’arte, restauro, Atti
del convegno internazionale (Roma, 10-13 ottobre 1996), hrsg. von H. Brandenburg, J. Pál, Wiesbaden, Reichert, 2000, pp. 159-164; P.-H. KOLVENBACH, Il 450º anniversario di fondazione del Collegio
Germanico, «La Civiltà Cattolica», I, 2003, pp. 384-393: 384, nota 1.
11 A. SCORDINO, L’Archivio della Trinità di Mileto e del Collegio Greco di Roma, «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», XXXIX, 1971, pp. 55-89.
12 G. MORONI , Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, specialmente intorno ai principali santi, beati, martiri, padri, ai sommi pontefici, cardinali e più celebri
scrittori ecclesiastici, vol. XLVII, Venezia, Tipografia Emiliana, 1847, pp. 269-276.
13 C. BUJIN, Studi su alcuni documenti inediti del Collegio Inglese di Roma, «Storia dell’Urbanistica», n.s., 4, 1998, pp. 192-207; V. VESEY, Il progetto di papa Gregorio XIII per il Collegio Inglese di
Roma, «Opus», 6, 1999 [2000], pp. 173-206.
14 G. MORONI , Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica ..., cit., vol. XIV, Venezia, Tipografia
Emiliana, 1842, pp. 144-145.
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vero irlandese, poi sorto nel 1628) non si concretizzarono, rimanendo allo stato di progetto.15 Clemente VIII promuove nel 1595 il Collegio Clementino nel
palazzo Jacovacci in piazza Sciarra affidandolo ai chierici regolari della congregazione somasca, con lo scopo di educare giovani romani e non romani
di famiglie nobili; dopo l’annessione, nel 1599, del Collegio Illirico degli
Schiavoni (trasferitovi dal Seminario Romano), agli inizi del secolo successivo
troverà residenza stabile e capace nel palazzo Pepoli in piazza Nicosia.16 Nel
1600, in una casa di fronte a Santa Maria in Costantinopoli (sull’odierna via
del Tritone), si inaugura il Collegio Scozzese che, dal 1604, trasloca a Sant’Andrea Apostolo (detta in seguito degli Scozzesi, sull’attuale via delle Quattro
Fontane).17
Il Seminario Romano è aperto da Pio IV nel 1565.18 La prima sede è in
Campo Marzio, in angolo con via dei Prefetti, nel palazzo Pallavicini, ma nello
stesso anno viene cambiata con palazzo Madama, presso San Luigi dei Francesi, per passare ai Santi Apostoli, a San Marcello, alla Valle, nel palazzo Nardini e, nel primo decennio del XVII secolo, vicino al Collegio Romano, nel
palazzo Gabrielli.19 Nella sua esclusiva destinazione alla formazione del clero
il Seminario seguiva quanto stabilito dal Concilio di Trento nel 1563, ovvero
che in ogni diocesi fosse presente tale organismo rivolto alla preparazione pastorale e apologetica di giovani particolarmente idonei alla vita ecclesiastica.
Faceva riferimento agli insegnamenti del Collegio Romano anche il collegio creato nel 1591 in aggiunta all’Ospizio degli Orfani di Santa Maria in
Aquiro dal cardinale Antonio Maria Salviati, nobile fiorentino e pronipote
di Leone X.20 Il prelato provvide alla ricostruzione della chiesa e all’innovaIvi, pp. 144, 175-177.
Ivi, pp. 155-159: 156; il collegio era stato fondato da Gregorio XIII a Loreto intorno al 1578,
L. ZAMBARELLI, Il nobile pontificio Collegio Clementino di Roma, Roma, Istituto Grafico Tiberino,
1936, pp. 12-13.
17 G. MORONI , Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica ..., vol. XIV, cit., pp. 211-213.
18 P. PASCHINI , Le origini del Seminario Romano, in Cinquecento romano e riforma cattolica:
scritti raccolti in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore, Roma, Facultas theologica Pontificii athenaei Lateranensis, 1958 («Lateranum», n.s., XXIV, 1-4), pp. 1-32; M. GUASCO, La formazione del clero: i seminari, in Storia d’Italia, Annali IX. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo
all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino, Einaudi, 1986, pp. 629-715:
640-658.
19 G. MORONI , Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica ..., cit., vol. LXIV, Venezia, Tipografia Emiliana, 1853, p. 9. Non è certa la successione delle sedi; per quella definitiva il palazzo adiacente a San Macuto fu acquistato nel 1608, P. PASCHINI, Le origini del Seminario Romano, cit., p. 30.
20 M.T. BONADONNA RUSSO , L’assistenza all’infanzia nella Roma del Cinquecento, «L’Urbe»,
n.s., XLIII, 5, 1980, pp. 13-23: 17-18. Si veda anche G. MORONI, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica ..., vol. XIV, cit., pp. 208-211. L’edificio era ancora in costruzione nel 1615, H. HIBBARD,
Di alcune licenze rilasciate dai Mastri di Strade per opere di edificazione a Roma, «Bollettino d’arte»,
s. V, 52, 1967 [1970], pp. 99-117: 108, n. 79 (1615).
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FLAVIA CANTATORE
tivo progetto di una casa destinata ad accogliere un selezionato numero di orfani e diseredati meritevoli, per sostenerne l’accesso all’istruzione.
L’UNIVERSITÀ
Quello della Sapienza è uno dei grandi cantieri della Roma del Cinquecento, ereditato dal secolo precedente e trasmesso a quello successivo, quando
giunge finalmente a conclusione. La storia edilizia dello Studium Urbis nel periodo in esame è piuttosto tormentata, fatta di interruzioni e di lente riprese
pure per la difficoltà di acquisire completamente le diverse proprietà presenti
all’interno dell’isolato. Dopo la scarsa crescita verificatasi durante il XV secolo, il pontificato di Alessandro VI inaugura una fase corrispondente alle nuove
esigenze funzionali e di immagine nonché al rinnovamento della città.21 Se si
escludono poche addizioni, quanto costruito del disegno borgiano si manterrà
a lungo, fino all’intervento di Giacomo Della Porta nel 1579. Questo perché il
modello funzionale e distributivo messo a punto si presta a successivi sviluppi,
ai quali si adatteranno poi soluzioni formali differenti. Ci troviamo di fronte
ora ad una elaborazione sensibile all’antico, ora a prospetti più regolari, ripetitivi e severi, che tengono conto del mutato clima culturale, ovvero delle prescrizioni della Chiesa controriformata in tema di edilizia abitativa e pubblica.
Con lo stanziamento di mille ducati nel 1497, riconfermato l’anno successivo, Alessandro VI avvierà dunque la trasformazione delle vecchie unità edilizie in palazzo opportunamente destinato alla vita universitaria. L’apertura
dell’attuale via del Teatro Valle, nel 1499, conclude l’isolato, delimitato da
quattro vie pubbliche. A questa data l’ingresso è già posto sull’odierno corso
Rinascimento e l’edificio raggiunge una parziale realizzazione (lato meridionale, con le scuole e la scala di testata, lato occidentale e porticati sud – a due
piani – e est – ad un piano – del cortile) accanto alle case di privati che continuano ad insistere sui lati est e nord (dove si trova la preesistente cappella
dei Santi Leone e Fortunato). I prospetti esterni sono incompleti: ancora
nel 1628 quello su via dei Sediari presenta nel corpo di fabbrica centrale ele21 A. BEDON, Il palazzo della Sapienza di Roma, Roma, Roma nel Rinascimento, 1991 («RR inedita», 4), pp. 10-12; EAD., La fabbrica della Sapienza da Alessandro VI alla fine del Cinquecento, in
Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento, Atti del convegno (Roma,
7-10 giugno 1989), a cura di P. Cherubini, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio
centrale per i beni archivistici, 1992, pp. 471-474; F. BELLINI, I grandi cantieri: Campidoglio, San Pietro, Studium Urbis, in Storia dell’architettura italiana. Il secondo Cinquecento, a cura di C. Conforti e
R.J. Tuttle, Milano, Electa, 2001, pp. 66-93: 85-89; F.P. FIORE, L’impianto della nuova Sapienza di
Roma da papa Alessandro VI a papa Leone X, in L’Università di Roma ‘La Sapienza’..., cit.,
pp. 39-46.
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SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA NEL XVI SECOLO
menti quattrocenteschi come le finestre ad arco e le arcatelle di coronamento
(fig. 2). Proprio sul finire del XV secolo si definisce l’impianto della Sapienza
romana, a blocco isolato regolare, con ampio cortile centrale porticato, in sintonia con le ricerche più aggiornate sulla specializzazione delle architetture rivolte alla formazione universitaria, ispirate dal prototipo del Collegio di Spagna a Bologna (1365) e dagli esempi della Sapienza di Pisa (1472 circa) e della
Sapienza di Siena (1492-1494 circa).
Sin dal principio del pontificato Leone X mostra la volontà di portare lo
Studio ad un livello europeo anche se poi, a causa della crisi economica del
1517, si limiterà a restaurare la cappella dei Santi Leone e Fortunato, forse
a partire da un’idea di spostamento del vano chiesastico in posizione assiale
rispetto al complesso. L’intento iniziale resta tuttavia di rilevante interesse
perché compreso nel più vasto programma di creare una grandiosa residenza
per i Medici prospiciente piazza Navona, come documentano disegni di Giuliano da Sangallo e del nipote Antonio il Giovane (figg. 3, 4). Tali elaborati
mostrano la ricerca di diverse soluzioni che intervengono sul tracciato viario
per inserire nel tessuto riconfigurato il nuovo nucleo.
I danni prodotti dal Sacco del 1527 portarono Clemente VII a devolvere
per il ripristino delle mura della città la gabella dello Studio che, nel 1530, risulta aver cessato le proprie funzioni. Dopo la riapertura voluta da Paolo III
nel 1534, Giulio III promuoverà nel 1550 il riassetto organizzativo; l’anno seguente, parallelamente all’avvio del Collegio Romano, le facoltà saranno ridotte alle sole Giurisprudenza e Medicina e saranno iniziati i necessari restauri.
Pio IV incentiva nel 1561-1562 la ripresa dei lavori, pensando ad un altro
intervento comprendente l’estensione dei segmenti porticati su tutti i lati del
cortile. È indetto un concorso cui partecipano Vignola, Nanni di Baccio Bigio
e Guidetto Guidetti vinto probabilmente da quest’ultimo. Nel 1565 l’incarico è
assegnato a Pirro Ligorio. Poco si esegue di questi propositi e pure l’obiettivo
di acquistare le proprietà rimaste private all’interno dell’isolato sarà attuato solo
nel 1587. Nel frattempo Gregorio XIII, parallelamente alla fondazione dei collegi, rilancia l’università pianificandone l’azione formativa in complementarietà
con il Collegio Romano. Nel 1577 Della Porta è nominato architetto dello Studio (figg. 5, 6, 7). Elabora una proposta pensata per conferire la giusta dignità
all’istituzione, dall’effetto unitario sia per l’interno sia per l’esterno (quest’ultimo mutato in seguito alle demolizioni del 1939). Il suo progetto, riprendendo
quello voluto da Pio IV (forse di Ligorio), prevede un cortile rettangolare, con i
lati lunghi ad ali simmetriche, ciascuna conclusa da uno scalone, fiancheggianti
una cappella assiale, a pianta circolare, la cui facciata inflessa si connette ai due
loggiati laterali. Cosı̀ appare delineato in una pianta del 1597 attribuita a Giovanni De Rosis e queste sono le premesse imprescindibili del completamento
della fabbrica condotto solo nel secolo seguente da Borromini.
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FLAVIA CANTATORE
LE
BIBLIOTECHE
Francesco Albertini inserisce la voce biblioteche nella parte dedicata alla
Roma nova del suo Opusculum, stampato nel 1510.22 Questa scelta fa comprendere il rilievo comunemente assegnato ai beni librari romani all’inizio
del Cinquecento. Lo scritto è piuttosto sintetico ma comunque efficace nel
tratteggiare una realtà sfaccettata, nella quale accanto alle più antiche raccolte
di alcuni ordini mendicanti 23 sono presenti quelle di prelati,24 aumentate progressivamente di numero e di ampiezza rispetto al secolo precedente. Una descrizione che inoltre fa emergere altri aspetti della straordinaria quantità di volumi presenti a Roma. La vita e le esigenze della curia infatti rendevano il
patrimonio librario, legato agli interessi di religiosi con differente provenienza,
formazione e missione, particolarmente vario e nello stesso tempo ‘mobile’. Le
numerose collezioni trovavano collocazione nelle residenze private e dunque
ad esse non corrispondeva un contenitore esteriormente riconoscibile. È il caso anche delle biblioteche dei laici, sia delle grandi famiglie della nobiltà come
i Farnese, i Colonna, gli Orsini sia di quelle dell’aristocrazia municipale romana come gli Altieri, i Della Valle, i Maddaleni Capodiferro, i Porcari, che attraverso tale elitaria proprietà intendevano ribadire lo status raggiunto.25 Analoga sorte è toccata alla Biblioteca Vallicelliana,26 generata da una pregevole
donazione di manoscritti fatta agli oratoriani da Achille Stazio (1581) con la
clausola della pubblica fruizione, la cui prima sede era posta con ogni probabilità in uno degli immobili della congregazione a sinistra della chiesa di Santa
22 FRANCESCO ALBERTINI , Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae (Roma, Mazzocchi, 1510), in Codice Topografico della Città di Roma, a cura di R. Valentini e G. Zucchetti, vol.
IV, Roma, Tipografia del Senato, 1953, pp. 457-546: 529-532.
23 Albertini in particolare ricorda le biblioteche di Santa Maria in Aracoeli (francescani), di
Sant’Agostino (agostiniani), di Santa Sabina e di Santa Maria sopra Minerva (domenicani), FRANCESCO ALBERTINI, Opusculum ..., cit., p. 530.
24 Albertini aveva dedicato ampio spazio alla descrizione della biblioteca di Giovanni de’ Medici, futuro papa Leone X, nel palazzo Madama (FRANCESCO ALBERTINI, Opusculum ..., cit.,
pp. 531-532), alla quale aveva anche già accennato parlando della residenza del cardinale (ivi,
p. 520). L’esempio prescelto ha una particolare importanza perché collegato a quelli di altre due
librerie volute da Cosimo de’ Medici, quella di San Giorgio Maggiore a Venezia e soprattutto quella
del convento domenicano di San Marco a Firenze, prototipo degli sviluppi rinascimentali sul tema,
sia istituzionali sia architettonici. Nel ricordare alcuni volumi significativi della collezione e la facilità di accesso per gli studiosi considera anche tale ambiente, al pari della pur menzionata raccolta
di statue e di antichità, quale parte qualificante della dimora cardinalizia, intesa in senso umanistico
come corte.
25 G. LOMBARDI , Libri e istituzioni a Roma ..., cit., pp. 278-280.
26 M.T. BONADONNA RUSSO , Origini e vicende della Biblioteca Vallicelliana, «Studi Romani»,
XXVI, 1, 1978, pp. 14-34: 16. La congregazione dell’Oratorio era stata fondata nel 1575 da Gregorio XIII, attribuendole la chiesa di Santa Maria in Vallicella.
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SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA NEL XVI SECOLO
Maria in Vallicella. Cosı̀ come la Bibliotheca Maior dei gesuiti era accolta, insieme ad altre quattro minori, all’interno del Collegio Romano.27
L’assenza di una specifica connotazione architettonica si è verificata pure
per la libreria vaticana, che Niccolò V volle fosse aperta a curiali e dotti e situata al piano terreno della nuova ala del palazzo pontificio.28 Albertini la descrive riferendola però a Sisto IV. La questione attributiva è stata oggetto di
ampio dibattito storiografico e, per di più, si deve ricordare che l’Opusculum è
dedicato a Giulio II, nipote del primo papa Della Rovere. È ormai concordemente accettato che Sisto IV abbia proseguito l’opera di Parentucelli restaurando i tre ambienti esistenti, aggiungendo ad essi una quarta sala e affidando
la responsabilità dell’istituzione alle cure di Bartolomeo Sacchi, detto Platina.
Nella sua sistemazione originaria la Biblioteca Vaticana è certamente ancora
uno spazio incluso in uno maggiore avente funzione residenziale e di rappresentanza, proprio come in molte dimore signorili rinascimentali, ma già si distingue dagli altri casi per la programmatica destinazione degli ambienti ad
ospitare la raccolta libraria, ordinata secondo opportuni criteri, e per l’apertura al pubblico. L’assetto sarà conservato ben oltre la metà del XVI secolo.
Michel de Montaigne documenta ancora nel 1581 una struttura organizzata e
funzionante malgrado la carente capacità e l’inadeguatezza dei locali, divenuti
ormai insufficienti a contenere le aumentate collezioni e disagevoli alla frequentazione per l’umidità e la ridotta illuminazione naturale dopo la realizzazione dell’esedra ideata da Pirro Ligorio a conclusione del Belvedere.29 Già
nel progetto di Bramante, sebbene con diverso disegno, era prevista una quinta muraria allo scopo di rendere unitario, almeno alla base, l’irregolare perimetro dei precedenti corpi fabbrica adattandoli al futuro cortile. Dunque
G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica ..., vol. XIV, cit., pp. 200-201.
Sull’argomento si veda F. CANTATORE, La Biblioteca Vaticana nel palazzo di Niccolò V, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, vol. I, Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e
Rinascimento (1447-1534), a cura di A. Manfredi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
2010, pp. 383-412.
29 «Il 6 di marzo [1581] andai a visitare la Biblioteca del Vaticano, composta di cinque o sei sale
l’una di seguito all’altra. Contiene gran numero di libri fissati con catenelle su più file di scaffali, mentre altri sono chiusi in casse che mi furono aperte senza eccezione; molti i libri scritti a mano, e in
particolare un Seneca e gli opuscoli di Plutarco. [...] La mia visita ebbe luogo senza alcuna difficoltà:
ognuno può visitarla allo stesso modo e ricavarne quanto desidera; è aperta quasi tutte le mattine. Un
gentiluomo mi condusse da per tutto e m’invitò ad usarne quando ne avessi voglia», M.E. DE MONTAIGNE , Viaggio in Italia, edizione e traduzione a cura di A. Cento, prefazione di G. Piovene, Bari,
Laterza, 1972, pp. 184-187. Un Avviso del 16 ottobre 1585 riferisce lo stato degli ambienti della biblioteca come motivazione della scelta di una nuova sede: «Per essere il luogo troppo humido, dove
sta la libreria del Vaticano, nostro Signore per questo rispetto et per più commodità de papi la fa
trasportare in una delle gallerie di Belvedere», J.A.F. ORBAAN, La Roma di Sisto V negli Avvisi, «Archivio della R. Società Romana di Storia Patria», XXXIII, 1910, p. 285.
27
28
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FLAVIA CANTATORE
sin dalle prime elaborazioni l’affaccio dei vani della biblioteca risultava del
tutto sacrificato, ad esclusiva valorizzazione dell’appartamento papale dal quale Giulio II non solo avrebbe goduto di una vista privilegiata verso la villa di
Innocenzo VIII, ma avrebbe potuto finalmente raggiungerla senza eccessiva
fatica tramite un percorso soprelevato.
Superata la metà del secolo tra interruzioni e cambiamenti di programma, l’esecuzione del Belvedere si concluse quando si erano ormai esaurite le
motivazioni della committenza, quelle cioè di un principe-papa che intendeva edificare la propria immagine autocratica anche attraverso la creazione
di una struttura architettonica capace di sottolinearla. Il tramonto definitivo di tale piano è segnato dalla duplice azione di Sisto V, il quale provvederà alla costruzione di una nuova dimora pontificia e di una altra sede per
la raccolta libraria, entrambe distaccate dal nucleo del primo palazzo sviluppatosi attorno al cortile del Pappagallo (figg. 8, 9). E la cesura sarà netta: Domenico Fontana infatti progetterà due distinti corpi di fabbrica, separando per sempre il palazzo papale dalla libreria, ormai pienamente di uso
pubblico.
Il nuovo edificio della biblioteca, voluto da Sisto V dopo alcune proposte
avanzate dal predecessore Gregorio XIII, ha influenzato profondamente l’assetto e gli sviluppi di quella parte del Vaticano.30 Il progetto di Fontana lo
pone tra un corridore e l’altro e tra la parte inferiore e quella superiore del
Belvedere, nascondendo il salto di quota che Bramante aveva affrontato
con la gradinata del cosiddetto teatro. Pur comportando la perdita della sequenza prospettica dell’intero sistema, il luogo prescelto era tuttavia particolarmente idoneo per più motivi. Offriva infatti ampia disponibilità di spazio
per gli ambienti di immediata fruizione e per le future necessità della collezione grazie al collegamento ai corridori, i quali ormai avevano perduto la loro
funzione originaria ed attendevano un’altra utilizzazione. L’orientamento della facciata a sud garantiva locali finalmente asciutti e luminosi. Inoltre, potendo contare sul recupero di preesistenze, il volume fu realizzato assai rapidamente tra il 1587 e il 1588, nonostante le sue notevoli dimensioni. Alla
30 D. REDIG DE CAMPOS, I Palazzi Vaticani, Bologna, Cappelli, 1967, pp. 184-189; J. BIGNAMI
ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. Ruysschaert, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
1973 («Studi e testi», 272), pp. 70-75; J. RUYSSCHAERT, La Bibliothèque et la Typographie vaticanes de
Sixte V. Projets, Étapes, Continuités, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IV, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1990 («Studi e testi», 338), pp. 343-363; ID., La Biblioteca
Vaticana di Sisto V nelle testimonianze coeve, in Sisto V. I. Roma e il Lazio, Atti del VI Corso internazionale di Alta Cultura (Roma, 19-23 ottobre 1989), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,
1992, pp. 329-338; G. MORELLO, La Biblioteca Vaticana di Sisto V, in Roma di Sisto V. Le arti e la
cultura, a cura di M.L. Madonna, Roma, De Luca, 1993, pp. 463-468.
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SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA NEL XVI SECOLO
spregiudicatezza della soluzione planimetrica ha corrisposto un disegno della
facciata che proseguiva l’articolazione su tre livelli delle serie di arcate inquadrate da ordini architettonici dei bracci laterali. Questa scelta mostrava il chiaro intento di accordare l’intervento sistino alle fronti esistenti e dunque ancora
una volta possiamo dire che alla destinazione d’uso non è stata attribuita una
facies appositamente studiata. Nonostante ciò il proposito di dedicare un intero stabile, per di più cosı̀ ampio, unicamente alla raccolta, alla cura e alla
consultazione del patrimonio librario riconferma alla Biblioteca Vaticana, amplificandolo, il ruolo distintivo già assunto in altro modo nel secolo precedente entro il palazzo di Niccolò V.
Nella ricostruzione della topografia intellettuale di Roma nel Cinquecento,
merita un cenno la distribuzione di esercizi collegati alla produzione ed al
commercio del libro. Un settore piuttosto vario, che coinvolge cartolai, legatori, tipografi, librai e che, se si escludono alcune eccezioni, a partire dal
Quattrocento si concentra nel rione Parione, in particolare in prossimità di
Campo de’ Fiori e della via Mercatoria, tradizionale luogo di traffici e di scambi.31 Tra la fine del XV secolo e il 1527 si verifica la prevalenza degli stampatori tedeschi mentre, successivamente al Sacco, si affermano con gradualità artigiani veneti e lombardi benché siano poche le botteghe sopravvissute a tale
evento.32 Il numero contenuto si mantiene a lungo e, nonostante con il pontificato di Sisto V si registri un incremento delle presenze, perdurerà il disagio
economico della categoria che spesso ha dovuto far ricorso a forme associative
per affrontare i costi di edizione.33
Il legame privilegiato fra la produzione editoriale romana e la committenza papale è provato dal fatto che la curia riconosce ad alcune tipografie un
31 P. CHERUBINI , Note sul commercio librario a Roma nel Quattrocento, «Studi Romani»,
XXXIII, 3-4, 1985, pp. 212-221; A. MODIGLIANI, Il commercio a servizio della cultura a Roma nel
Quattrocento, in Roma e lo Studium Urbis ..., Atti, cit., pp. 248-268: 260-261; P. CHERUBINI – A. ESPOSITO – A. MODIGLIANI – P. SCARCIA PIACENTINI, Il costo del libro, in Scrittura, biblioteche e stampa a
Roma nel Quattrocento, Atti del 2º seminario (6-8 maggio 1982) a cura di M. Miglio con la collaborazione di P. Farenga e A. Modigliani, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica, 1983 («Littera antiqua», 3), pp. 431-445; G.L. MASETTI ZANNINI, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento: documenti inediti, Roma, Palombi, 1980, p. 135;
F. BARBERI, Librai a Roma nel Cinquecento, «Accademie e biblioteche d’Italia», 54, 3, 1986, pp. 1519; F. ASCARELLI – M. MENATO, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze, Olschki, 1989 («Biblioteca di
bibliografia italiana», CXVI), pp. 93-133; G. LOMBARDI, Libri e istituzioni a Roma ..., cit., pp. 282285.
32 F. BARBERI , Libri e stampatori nella Roma dei papi, «Studi Romani», XIII, 4, 1965, pp. 433456: 437; L. ANTONUCCI, La tipografia a Roma nel secolo XVI, in Roma e lo Studium Urbis ..., catalogo della mostra, cit., pp. 35-39: 35.
33 L. BELLINGERI , La stampa a Roma al tempo di Sisto V: tendenze, sviluppi, problemi, in Roma
di Sisto V ..., cit., pp. 487-488; G.L. MASETTI ZANNINI, Stampatori e librai a Roma ..., cit., pp. 179187; P. COSTABILE, Forme societarie in un’editoria in crisi, in Roma di Sisto V ..., cit., pp. 489-490.
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FLAVIA CANTATORE
ruolo istituzionale, dovuto alla stampa delle proprie pubblicazioni ufficiali.34
Marcello Silber eredita dal padre Eucario questo ruolo, svolto nello stesso
tempo, ma più sporadicamente, pure dal bergamasco Giacomo Mazzocchi.
Negli anni di Clemente VII l’incarico è assegnato al comasco Francesco Minizio Calvo. Anche l’officina presso Campo de’ Fiori di Antonio Blado di Asola (Mantova), figura emergente tra i tipografi romani, aveva dal 1535 titolo di
camerale e lavorava ufficialmente per il papa e per i magistrati capitolini. Nel
1589 Sisto V, istituendo una Tipografia Camerale permanente la affidò a vita
al figlio, Paolo Blado, riconoscendo cosı̀ il pregio del lavoro svolto.35
Meno costanti e forse più difficili i rapporti degli stampatori con le autorità comunali. Saltuaria, legata all’iniziativa di singoli e mai organicamente
programmata fu la pubblicazione di opere indirizzate all’insegnamento universitario.36 Tuttavia la stampa e la vendita di testi di docenti consentı̀ a Mazzocchi, al lorenese Etienne Guillery e al bresciano Evangelista Tosini di sottoscriversi Romanae Academiae bibliopolae prima del 1527. Pio IV chiamò a
Roma il figlio di Aldo Manuzio, Paolo, che risulta già nel 1561 responsabile
della Tipografia del Popolo Romano, finanziata con i redditi dello Studium
Urbis.37 In seguito a difficoltà finanziarie la stamperia sarà affidata all’amministrazione capitolina, per passare quindi a vari tipografi e librai, e chiudere
poi intorno alla fine del secolo. La sede, che il papa sembra avesse richiesto
all’interno dell’edificio dell’università in costruzione, cambiò dal Campidoglio
a Fontana di Trevi, alla Minerva.38 Soprattutto dal confronto con la faticosa
attività editoriale della Sapienza emerge l’organizzazione del Collegio Romano, fornito di tipografia propria per pubblicazioni didattiche a basso costo destinate agli studenti: fu Ignazio di Loyola già nel 1556, anno della sua morte, a
prendere l’iniziativa.39 Pur se l’esempio più antico di impianto editoriale programmato in funzione dell’organismo ospitante è la tipografia del Collegio
34 M.G. BLASIO, Cum gratia et privilegio. Programmi editoriali e politica pontificia. Roma 14871527, Roma, Roma nel Rinascimento, 1988 («RR inedita», 2), pp. 39-45.
35 F. ASCARELLI – M. MENATO , La tipografia del ’500 in Italia, cit., p. 129.
36 F. PETRUCCI NARDELLI , Le tipografie e lo «Studium» nella Roma barocca, in Roma e lo Studium Urbis ..., Atti, cit., pp. 313-322.
37 G.L. MASETTI ZANNINI , Stampatori e librai a Roma ..., cit., pp. 170-175; F. A SCARELLI –
M. MENATO, La tipografia del ’500 in Italia, cit., pp. 115, 118-119.
38 F.M. RENAZZI , Storia dell’Università degli Studi di Roma detta comunemente la Sapienza, vol.
II, Roma, Pagliarini, 1804, p. 139; F. BARBERI, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo Romano
(1561-1570), con documenti inediti, Roma, Editrice Gela, 1986 (ristampa anastatica della edizione
Roma, 1942), p. 48.
39 F. ASCARELLI – M. MENATO , La tipografia del ’500 in Italia, cit., p. 114; O. HEIN – R. MADER ,
La stamperia del Collegio Romano, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», 115, 1992
[1993], pp. 133-146.
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SPAZIO URBANO E LUOGHI DEL SAPERE A ROMA NEL XVI SECOLO
Greco nella villa di Angelo Colocci sul Quirinale (1517-1519),40 l’officina
ignaziana fu la prima a Roma fornita di caratteri arabi e dal 1577 fu dotata
anche di tipi ebraici, già in uso in città dal secolo precedente; ha seguito gli
spostamenti dell’istituto e nel 1584 è stata posta nel complesso gregoriano,
funzionando intensamente fino al 1616. Sisto V nel 1587 fondò, in stretta relazione alla Biblioteca Apostolica, la Stamperia Vaticana, controllata da una
apposita congregazione cardinalizia e diretta dal veneziano Domenico Basa.41
Nel 1595 Clemente VIII gli affiancherà Aldo Manuzio il Giovane e infine nel
1610 l’officina si unirà con quella Camerale. Lo stesso Basa diresse successivamente la Tipografia della Congregazione dell’Oratorio (1593-1596), avviata
appositamente per l’edizione degli Annales ecclesiastici del cardinale Cesare
Baronio.42
L’itinerario che abbiamo proposto certamente vede il consolidarsi della
specializzazione funzionale che nel XV secolo aveva caratterizzato l’area circostante all’università con attività di studio e commerciali legate alla cultura. Nel
corso del Cinquecento, accanto alla lenta conquista di una adeguata rappresentatività della Sapienza, si moltiplicano i luoghi dell’istruzione e della conoscenza, spesso mutando più volte collocazione alla ricerca di una sede consona
per ubicazione e capienza, mentre la concentrazione di studenti43 e quella di
officine e di botteghe, con la loro fornitura di materie prime e di prodotti, integrano il tracciato dei luoghi di cultura nel disegno della città.
Sul finire del secolo la pianta di Antonio Tempesta mostra la raggiunta visibilità di numerose istituzioni (tavola 1). Ciò corrisponde al progressivo abbandono della consuetudine di utilizzare strutture abitative e alla messa a
punto di tipi edilizi appositamente dedicati che definiscono nuovi poli urbani,
basti pensare al caso esemplare del Collegio Romano. Al pari degli edifici residenziali e con simile qualità architettonica, quelli destinati alla formazione,
M.G. BLASIO, Cum gratia et privilegio. Programmi editoriali ..., cit., pp. 65-66; F. ASCA– M. MENATO, La tipografia del ’500 in Italia, cit., p. 102.
41 J. BIGNAMI ODIER , La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI ..., cit., p. 71; G.L. MASETTI
ZANNINI, Stampatori e librai a Roma ..., cit., pp. 175-179; F. ASCARELLI – M. MENATO, La tipografia
del ’500 in Italia, cit., pp. 128-129.
42 F. ASCARELLI – M. MENATO , La tipografia del ’500 in Italia, cit., p. 131; M.T. ROSA CORSINI ,
Sisto V e l’Oratorio di San Filippo Neri, in Roma di Sisto V ..., cit., pp. 504-506: 504.
43 Un censo della popolazione parrocchiale del 1592 registra fra varie categorie sociali anche
quella dei collegiali e degli scolari, indicando in tal modo l’importanza ad essa riconosciuta dalle
autorità ecclesiastiche. La rilevazione riferisce la maggiore presenza nelle parrocchie di Sant’Apollinare, di Santa Maria sopra Minerva e di Santo Stefano del Cacco, si veda T.J. DANDELET, Rome,
1592: An Introduction to a Newly Discovered Parish Census, «Memoirs of the American Academy
in Rome», L, 2005 [2006], pp. 207-220: 215.
40
RELLI
8
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FLAVIA CANTATORE
alla ricerca e all’apprendimento riconfigurano importanti porzioni topografiche, sostituendo eterogenee preesistenze con composti fabbricati e determinando anche l’aggiornamento della trama viaria. In tal modo anche attraverso gli interventi qui descritti è possibile leggere in filigrana quell’aspirazione all’efficienza e alla modernità che caratterizza la Roma di Sisto V, proprio mentre all’educazione si riconosce finalmente una realizzabile e decisiva
missione politica di riforma e ristrutturazione della società.
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1
2
Fig. 1. Anonimo, pianta di Roma alla fine del XVI secolo edita in Vita beati Patris Ignatii Loyolae...,
Anversa 1610 (da A.P. FRUTAZ, Le piante di Roma, vol. II, Roma, Istituto di Studi Romani, 1962, tav. 280).
Fig. 2. Gaspare De Vecchi (attr.), prospetto dell’edificio della Sapienza su via delle Catene (poi dei
Sediari), 1628 (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 108, c. 258).
3
4
Fig. 3. Antonio da Sangallo il Giovane,
proposta di sistemazione dello Studio e
dell’area urbana circostante (Firenze,
Gabinetto dei disegni e delle stampe
degli Uffizi, 1259Av). Fig. 4. Ricostruzione dell’insieme dei progetti leonini
in Campo Marzio (da M. TAFURI, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti, Torino, Einaudi, 1992,
fig. 18).
5
6
7
Fig. 5. L’isolato della Sapienza prima dei lavori commissionati da Gregorio XIII, 1579: a tratteggio obliquo gli edifici risalenti al pontificato di Alessandro VI, a puntinato chiaro gli edifici affittati a privati, a
tratteggio incrociato gli edifici privati, a puntinato scuro la cappella dei Santi Leone e Magno (ricostruzione di Anna Bedon, in EAD., Il palazzo della Sapienza di Roma, Roma, Roma nel Rinascimento, 1991,
fig. 3). Fig. 6. L’isolato della Sapienza prima del 1614: a tratteggio obliquo gli edifici del pontificato
di Alessandro VI, a tratteggio obliquo doppio le costruzioni di Giacomo Della Porta (1579-1602), a trattini obliqui gli interventi di Paolo Maggi (1602-1605), a tratteggio incrociato gli edifici affittati a privati
(ricostruzione di Anna Bedon, in EAD., Il palazzo della Sapienza di Roma, Roma, Roma nel Rinascimento,
1991, fig. 8). Fig. 7. Leonardo Bufalini, pianta di Roma, 1551, particolare (da A.P. FRUTAZ, Le piante di
Roma, vol. II, Roma, Istituto di Studi Romani, 1962, tavv. 201-202).
8
9
Fig. 8. Giovanni Battista Naldini, veduta del cortile del Belvedere dal palazzo di Niccolò V verso la
villa di Innocenzo VIII, 1560 circa (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, 2559A).
Fig. 9. Paul Letarouilly, pianta del piano terreno del Cortile del Belvedere (da P. LETAROUILLY, Le Vaticane et la basilique de Saint-Pierre, Paris, 1882, I, Ensemble des bâtiments, pl. 3).
TAVOLA I
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