© Paul Macleod Paulo Coelho è nato a Rio de Janeiro nel 1947. È considerato uno degli autori più importanti della letteratura mondiale. Le sue opere, pubblicate in più di centosettanta paesi, sono tradotte in ottanta lingue. Tra i premi più recenti ricevuti dall’autore, il “Crystal Award 1999”, conferitogli dal World Economic Forum, il prestigioso titolo di Chevalier de l’Ordre National de la Légion 4/481 d’Honneur, attribuitogli dal governo francese, e la Medalla de Oro de Galicia. Dall’ottobre del 2002 è membro della Academia Brasileira de Letras. Dal settembre 2007 è stato nominato Messaggero di Pace delle Nazioni Unite. http://paulocoelhoblog.com/ Altri libri di Paulo Coelho Il Cammino di Santiago L'Alchimista Brida Il dono supremo Le Valchirie Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto Monte Cinque Manuale del guerriero della luce Lettere d'amore del Profeta Veronika decide di morire Il Diavolo e la Signorina Prym 6/481 Undici minuti Lo Zahir Sono come il fiume che scorre La strega di Portobello Il vincitore è solo Aleph Il manoscritto ritrovato ad Accra Il cammino dell'arco PAULO COELHO ADULTERIO Traduzione di Rita Desti Coelho, Paulo, Adultério Copyright © 2014 by Paulo Coelho http://paulocoelhoblog.com/ Published by Sant Jordi Asociados, Agencia Literaria, S.L.U. 08019 Barcelona, España. www.santjordi-asociados.com/ All rights reserved. ISBN 978-84-616-9338-2 Diritti riservati per l’edizione stampata: © 2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano, Italia Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. “Vai dove le acque sono più profonde.” Luca, 5, 4 Oh, Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi. Amen. Ogni mattina, quando apro gli occhi su quello che chiamano un “nuovo giorno”, ho voglia di richiuderli e di non alzarmi dal letto. Eppure devo farlo. Ho un marito meraviglioso, perdutamente innamorato di me, titolare di un ragguardevole fondo di investimenti; ogni anno – seppure non lo desideri – il suo nome compare nell’elenco delle trecento persone più ricche della Svizzera, stilato dalla rivista “Bilan”. 12/481 Sono madre di due figli che, come dicono le mie amiche, rappresentano la mia “ragione di vita”. La mattina presto, devo preparare la colazione e accompagnarli a scuola, a cinque minuti di strada a piedi da casa. Frequentano a tempo pieno, e ciò mi consente di lavorare e di disporre del mio tempo. Dopo le lezioni, una tata filippina si occupa di loro fino a quando mio marito e io non rincasiamo. Il mio lavoro mi piace. Sono una giornalista piuttosto nota di una testata importante che si può trovare ovunque a Ginevra, la città in cui abitiamo. Una volta all’anno, vado in vacanza con la famiglia, perlopiù in località da sogno con spiagge meravigliose e in città “esotiche”, la cui popolazione povera ci fa sentire ancora più ricchi, privilegiati e grati per le benedizioni che la vita ci ha concesso. Non mi sono ancora presentata. Molto piacere: il mio nome è Linda. Ho trentun 13/481 anni, sono alta un metro e settantacinque e peso sessantotto chili; ogni giorno, mi vesto con gli abiti più belli e raffinati che il denaro possa comprare – grazie alla generosità di mio marito. Gli uomini mi desiderano, le donne mi invidiano. Eppure, ogni mattina, quando apro gli occhi su questo mondo ideale che tutti sognano e pochi riescono a conquistare, so che la giornata sarà disastrosa. Fino all’inizio di quest’anno, non mettevo in discussione niente: mi limitavo a condurre la mia vita, sebbene di tanto in tanto mi sentissi in colpa per il fatto di avere più di quanto meritassi. Poi, un giorno, mentre preparavo la colazione per la mia famiglia felice – ricordo che era appena iniziata la primavera e nel nostro giardino cominciavano a sbocciare i fiori –, mi sono chiesta: ‘Allora, è così?’ Una domanda che non avrei dovuto farmi. In qualche modo, scaturiva dall’affermazione di uno scrittore che avevo intervistato il 14/481 giorno precedente, il quale, a un certo punto, mi aveva confidato: “Non mi interessa essere felice. Preferisco vivere nell’innamoramento, anche se sono consapevole di quanto possa essere pericoloso, poiché si ignora sempre ciò a cui si va incontro.” Subito ho pensato: ‘Pover’uomo. È perennemente insoddisfatto. Morirà triste e amareggiato.’ L’indomani mi sono resa conto che io non correvo nessun rischio, poiché sapevo sempre a cosa andavo incontro: ogni nuovo giorno era perfettamente uguale al precedente. Ero innamorata? Be’, sì. Io amo mio marito: e questo mi garantisce che non cadrò in depressione per il fatto di essere costretta a vivere con lui soltanto per motivi economici, per amore dei miei figli o per preservare le apparenze. Abito nel paese più sicuro del mondo, e nella mia vita l’ordine regna sovrano: sono 15/481 una buona madre e una moglie comprensiva. Ho ricevuto un’educazione protestante molto rigida, che intendo trasmettere ai miei figli. Presto una grande attenzione a non compiere passi falsi, poiché sono consapevole che potrei rovinare tutto. Mi impegno con solerzia in ogni mia attività, cercando di evitare coinvolgimenti personali. Da ragazza, ho sofferto per amori non corrisposti, com’è accaduto a qualsiasi altra persona di questo mondo. Poi, da quando mi sono sposata, il mio tempo personale e intimo si è fermato. Fino al giorno in cui mi sono imbattuta in quel maledetto scrittore e nella sua risposta. Ma… che cosa c’è di sbagliato nella routine della quotidianità? A essere sincera, proprio niente. Solo… … Solo il terrore segreto che tutto cambi all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista. Dal mattino in cui questo pensiero nefasto si è formato nella mia mente, ho cominciato 16/481 ad aver paura. Sarei stata in grado di affrontare il mondo da sola, se mio marito fosse morto? ‘Sì,’ mi sono detta, ‘perché la sua eredità sarebbe sufficiente a mantenere generazioni di discendenti.’ E se fossi morta io, invece, chi si sarebbe occupato dei miei figli? Il mio adorato marito. Alla fine, comunque, lui si sarebbe risposato, perché è un uomo ricco, affascinante e molto intelligente. Ma i nostri figli avrebbero trovato serenità e fiducia nella nuova famiglia? Il mio primo passo è stato il tentativo di rispondere a tutti questi dubbi. E, quante più risposte trovavo, tante più domande mi si presentavano. Mio marito si cercherà un’amante, quando sarò vecchia? O forse c’è già un’altra donna nella sua vita, visto che non facciamo più l’amore come un tempo? Oppure può darsi che lui pensi che io abbia un altro uomo, dato che da qualche anno non dimostro più un grande interesse nei suoi confronti. 17/481 Non abbiamo mai litigato per gelosia, ed è qualcosa che ho sempre reputato davvero importante: ma, da quel mattino di primavera, ho cominciato a sospettare che ciò fosse dovuto a una totale mancanza di amore da entrambe le parti. Mi sono sforzata di non pensarci. Quella settimana, appena uscivo dal lavoro, andavo a far compere in Rue du Rhône. Non acquistavo nulla che mi interessasse in modo particolare, tuttavia avevo l’impressione di impegnarmi per un cambiamento. E ciò avveniva poiché avvertivo il bisogno di un oggetto che prima non consideravo utile, oppure poiché scoprivo un elettrodomestico di cui non conoscevo l’esistenza – anche se è davvero improbabile che compaia sul mercato un’assoluta novità tra i robot per cucina o le lavatrici. Evitavo di varcare la soglia dei negozi di articoli per bambini: non intendevo viziare i miei figli con regali quotidiani. E non entravo neppure 18/481 nelle boutique di prodotti maschili, affinché mio marito non cominciasse a sospettare della mia eccessiva generosità. Quando ritornavo a casa, nel regno incantato del mio mondo famigliare, tutto appariva meraviglioso per tre o quattro ore, finché non arrivava il momento di andare a letto. Era lì che, a poco a poco, l’incubo ha cominciato a materializzarsi. Credo che il trasporto e la passione appartengano ai giovani e che, alla mia età, la loro assenza possa venir considerata una condizione normale – e quindi non debba spaventare. Oggi, alcuni mesi dopo, sono una donna divisa tra la paura che tutto cambi e il terrore che ogni cosa rimanga immutata sino alla fine dei miei giorni. Alcuni dicono che, con l’avvicinarsi dell’estate, la nostra mente inizia a partorire idee piuttosto bizzarre: ci si sente più piccoli, più “bambini”, perché si passa più tempo all’aria aperta, e questo ci 19/481 consente di comprendere la dimensione del mondo. L’orizzonte si allontana, al di là delle nuvole e dei muri della casa in cui viviamo. È possibile. Ma io non riesco più a dormire bene, e non è per via dei primi caldi. Quando scende la sera e mi accade di restare sola, tutto mi terrorizza: la vita e la morte, l’amore e la sua assenza, il fatto che ogni cosa nuova si muti presto in un’abitudine, la sensazione di sprecare gli anni migliori in una routine che si protrarrà sino al mio ultimo respiro, la paura di affrontare l’ignoto, per quanto eccitante e avventuroso sia. Naturalmente, il pensiero della sofferenza altrui mi offre una sorta di consolazione. Accendo la TV, guardo un telegiornale. Ascolto sequele di notizie su incidenti, persone sfollate a causa di disastri naturali, profughi… Quanti sono i malati sul pianeta, in questo momento? Quante persone subiscono in silenzio – o anche protestando – ingiustizie e vessazioni? Quanti poveri, disoccupati 20/481 e carcerati calpestano il suolo dei cinque continenti? Cambio canale. Guardo una telenovela, poi un film, e mi distraggo per qualche minuto o qualche ora. Ho una paura tremenda che mio marito si svegli e mi domandi: “Che sta succedendo, amore mio?” So che dovrei rispondergli che va tutto bene. Ma sarebbe assai peggio – com’è già accaduto due o tre volte, il mese scorso – se, a letto, lui mi posasse una mano sulla coscia, la facesse scivolare lentamente verso l’alto e cominciasse a toccarmi. Sono in grado di fingere un orgasmo – l’ho già fatto in passato –, ma non posso impormi di eccitarmi. Dovrei dirgli che mi sento stanchissima e lui, senza lasciar trasparire la sua irritazione e il suo fastidio, mi darebbe un bacio; quindi si volterebbe dall’altra parte, scorrerebbe le ultime notizie sul tablet e rinvierebbe gli approcci al giorno dopo. E, a quel punto, 21/481 sarei io a dover sperare che fosse stanco, troppo stanco. Ma non può essere sempre così. Di tanto in tanto, bisogna che sia io a prendere l’iniziativa. Non posso respingerlo per due sere di seguito, altrimenti finirà per cercarsi un’amante, e io non voglio che ciò accada: non voglio assolutamente perderlo. Masturbandomi qualche momento prima del suo arrivo, riesco a eccitarmi – e questo mi permette di cedere alle sue avances senza dover fingere. Tutto torna alla normalità. “Tutto torna alla normalità” significa che niente sarà più come prima, come all’epoca in cui rappresentavamo ancora un mistero l’uno per l’altra. Penso che mostrare il medesimo ardore degli inizi dopo dieci anni di matrimonio sia un’aberrazione. E ogni volta che fingo un orgasmo, nel mio intimo mi sento un po’ morire. Un po’? Credo che mi stia svuotando 22/481 più rapidamente di quanto reputassi possibile. Le mie amiche dicono che sono una donna fortunata quando racconto loro, mentendo, che mio marito e io facciamo l’amore piuttosto spesso: d’altronde, anch’esse non sono sincere quando affermano di non sapere come i loro compagni riescano a conservare un grande interesse per i rapporti intimi. Sostengono che, nel matrimonio, il sesso è interessante solo nei primi cinque anni e che, dopo, ci vuole un po’ di “fantasia”. Chiudere gli occhi e immaginare che sia il tuo vicino a cavalcarti, facendo cose che tuo marito non oserebbe neppure pensare. Oppure sognare di essere posseduta contemporaneamente da entrambi, oggetto di ogni perversione possibile e di mille giochi proibiti. *** 23/481 Oggi, quando sono uscita per accompagnare i bambini a scuola, mi sono fermata a guardare il vicino. Non ho mai immaginato di fare l’amore con lui – preferisco fantasticare su un giovane cronista che lavora nella mia redazione e ha l’aria di vivere in uno stato di perenne sofferenza e solitudine. Non l’ho mai visto corteggiare una ragazza: forse il suo fascino risiede proprio in questo. Tutte le mie colleghe hanno affermato che gli piacerebbe “occuparsi di quel povero ragazzo”. Io credo che lui ne sia perfettamente consapevole, ma si accontenti di essere soltanto un oggetto del desiderio, niente di più. Forse prova il mio stesso timore: la paura terribile di fare un passo in avanti e rovinare tutto – il suo lavoro, la sua famiglia, la sua vita passata e quella futura. Ma, insomma… Stamattina, guardando il mio vicino, ho avvertito una tremenda voglia di piangere. Stava lavando la macchina e io 24/481 ho pensato: ‘Ecco un’altra persona simile a mio marito e a me. Un giorno, ci ritroveremo a fare questo genere di cose. I figli saranno cresciuti e avranno deciso di trasferirsi in un’altra città o, magari, in un altro paese; noi saremo in pensione e ci occuperemo del lavaggio dell’automobile, pur potendo pagare qualcuno per farlo al posto nostro. Eppure, dopo una certa età, è importante passare il tempo impegnandosi in attività semplici, per dimostrare al prossimo l’ottimo funzionamento del proprio corpo, la lucidità riguardo alla nozione del denaro e l’umiltà indispensabile per svolgere determinati lavori.’ Non penso che una macchina pulita possa cambiare la visione del mondo, eppure… Eppure stamane sembrava che quell’attività fosse l’unica cosa importante per il mio vicino. Il quale mi ha rivolto un caloroso “Buongiorno”, ha sorriso e si è rituffato nel lavoro, come se si stesse occupando di una scultura di Rodin. 25/481 *** Lascio l’auto in un parcheggio – “Usate i mezzi pubblici per andare in centro! Non inquinate l’ambiente!” –, prendo il solito autobus e, lungo il percorso fino al lavoro, mi ritrovo a osservare cose che ho già visto migliaia di volte. Ginevra non sembra affatto cambiata da quando ero una bambina: le vecchie case padronali resistono a stento, soffocate dai palazzi costruiti con l’autorizzazione di qualche sindaco folle che aveva scoperto la “nuova architettura” negli anni cinquanta. Ogni volta che mi trovo all’estero, avverto la mancanza di tutto ciò. Di questo scenario privo di alte torri di vetro e acciaio e di superstrade, ma segnato dalle radici degli alberi che crepano il cemento dei marciapiedi e fanno inciampare i passanti; dai giardini pubblici con misteriose aiuole delimitate da assi di legno nelle quali 26/481 germogliano mille varietà di erbe spontanee, perché “la natura è così”… Insomma, Ginevra è una città molto diversa da tutte le altre che si sono modernizzate e hanno perduto il loro fascino. Qui si dice ancora “Buongiorno” quando si incrocia uno sconosciuto lungo la strada, e “Arrivederci” quando si esce da un negozio dopo aver acquistato una bottiglia di acqua minerale, pur non avendo la minima intenzione di tornarci. Sull’autobus si chiacchiera amichevolmente con gli altri viaggiatori, anche se il resto del mondo immagina che gli svizzeri siano un popolo taciturno e riservato. Che grande equivoco! Ma, in fondo, è un fatto positivo che il mondo ci veda così, perché in tal modo riusciremo a preservare il nostro stile di vita almeno per altri cinque o sei secoli, prima che i nuovi barbari valichino ancora le Alpi con i loro meravigliosi equipaggiamenti elettronici, con gli 27/481 appartamenti dalle stanze minuscole e dai salotti enormi per far colpo sugli invitati, con le donne sempre truccate in maniera pesante, con gli uomini che parlano a voce altissima, disturbando i vicini, e con gli adolescenti che si vestono da ribelli, ma tremano di paura per i commenti e i giudizi dei genitori. Lasciamo tranquillamente che il mondo pensi che produciamo solo formaggio, cioccolato e orologi. Che creda che a Ginevra sorga una banca a ogni angolo di strada. Non siamo affatto interessati a cambiare questa percezione. Viviamo felicemente senza l’invasione dei nuovi barbari. Siamo armati fino ai denti – poiché il servizio militare è obbligatorio, in tutte le case svizzere c’è un fucile –, eppure è piuttosto raro che qualcuno spari a un altro. Viviamo felici senza cambiare nulla da secoli. Rivendichiamo l’orgoglio di esserci mantenuti neutrali quando l’Europa intera ha mandato a morire i propri figli in guerre senza senso. Non 28/481 dover giustificare a nessuno l’aspetto assai poco attraente di Ginevra, con i suoi caffè di fine Ottocento e le anziane signore che passeggiano nelle vie cittadine, ci procura una sorta di piacere particolare. “Viviamo felicemente” forse è un’affermazione falsa. Tutti sono felici, tranne me, che in questo momento mi sto recando al lavoro e mi domando che cosa ci sia di sbagliato nella mia persona. *** Un altro giorno e, come sempre, al giornale ci si adopera per reperire notizie interessanti, qualcosa che vada al di là del solito incidente automobilistico, della rapina (non a mano armata) e dell’incendio (sul luogo si stanno dirigendo decine di mezzi con personale altamente qualificato, operatori preparatissimi che entrano nel vecchio appartamento dove il fumo di un arrosto 29/481 dimenticato nel forno ha messo in allarme un intero isolato). Poi, di nuovo un ritorno a casa, il piacere di cucinare, la tavola apparecchiata e la famiglia riunita intorno a essa, a ringraziare Dio per il cibo che riceve. E un’altra sera nella quale, dopo cena, prima di andare a coricarsi, ciascuno ha un compito preciso: il padre aiuta i figli a fare i compiti, la madre pulisce la cucina, rassetta la casa e prepara la busta con i soldi per la domestica che arriverà domattina presto. Durante questi mesi, in alcuni momenti mi sono sentita molto bene. Rifletto, e mi dico che la mia vita non è priva di un senso, che quelli sono davvero i ruoli degli esseri umani sulla Terra. I bambini capiscono che la mamma è serena, mio marito si mostra più gentile e premuroso del solito, e la casa intera sembra brillare di una luce sfavillante. Agli occhi del vicinato, della città, dello stato – che qui si chiama “cantone” –, dell’intero 30/481 paese, costituiamo l’incarnazione della felicità. Poi mi infilo sotto la doccia e, all’improvviso, senza una spiegazione razionale, scoppio a piangere. Piango nel bagno, dimodoché nessuno possa sentire i miei singhiozzi e rivolgermi quella domanda che temo terribilmente: “Va tutto bene?” “Sì, perché non dovrebbe? Notate qualcosa che non va nella mia vita?” “Niente.” Semplicemente, la notte mi fa paura. E il giorno non suscita in me alcun entusiasmo. Ritornano le immagini felici del passato, le situazioni che avrebbero potuto essere, ma non si sono realizzate. Il desiderio di avventura mai tramutato in scelte. Il terrore di ignorare il destino dei miei figli. 31/481 E, a quel punto, i pensieri vorticano intorno a presagi negativi, sempre i medesimi, come se il demonio che mi spia da un angolo della stanza da bagno si preparasse a balzarmi addosso, a gridarmi che quella che io chiamo “felicità” è solo uno stato passeggero, che non può durare a lungo. Dovrei saperlo, no? Voglio cambiare. Ho bisogno di cambiare. Oggi, in redazione, mi sono mostrata più irritabile del solito, soltanto perché uno stagista ha tardato a recuperare il materiale che gli avevo chiesto. Io non sono così, ma sto gradualmente perdendo il contatto con me stessa. Incolpare quello scrittore e l’intervista è una sciocchezza. È accaduto mesi fa. Lui ha solo liberato il cratere di un vulcano che può scatenarsi in qualsiasi momento, seminando morte e distruzione. Se non fosse stato quell’uomo, avrebbe potuto essere un film, un libro, una persona con la quale ho 32/481 scambiato due o tre parole. Immagino che, per alcuni, la pressione interna impieghi anni per giungere all’esplosione (magari loro non ne sono neppure coscienti); poi, un bel giorno, una stupidaggine gli fa perdere il senno. A quel punto dicono: “Basta! Non ce la faccio più.” C’è chi si uccide. Chi divorzia. Altri, invece, mollano tutto e partono per le zone più povere dell’Africa con l’intenzione di salvare il mondo. Ma io mi conosco. So che la mia unica reazione sarà quella di soffocare ciò che sento, fino a quando un cancro mi ucciderà da dentro. Perché sono davvero convinta che gran parte delle malattie che ci colpiscono si sviluppino dalle emozioni represse. *** 33/481 Mi sveglio alle due di notte e resto immobile a fissare il soffitto, pur sapendo che la mattina dovrò alzarmi presto – qualcosa che francamente detesto. Anziché riflettere in modo costruttivo, magari cercando di analizzare che cosa mi sta succedendo, i miei pensieri fluiscono incontrollati. Ci sono giorni – pochi, grazie a Dio – durante i quali continuo a domandarmi se non farei meglio a cercare l’aiuto di uno psichiatra. Ciò che mi impedisce di mettere in pratica questa soluzione non è il lavoro né mio marito: sono i bambini. Non sono in grado di comprendere quello che provo, assolutamente no. Ogni sensazione è più intensa. Ripenso a una vita matrimoniale nella quale non è mai comparsa la gelosia. Noi donne, però, possediamo un sesto senso. Può darsi che mio marito abbia incontrato un’altra, e io stia percependo l’accaduto in modo inconscio. In 34/481 ogni caso, non ho alcun motivo per sospettare di lui. Non è un’assurdità? È possibile che, fra tutti gli uomini del mondo, io sia riuscita a sposare l’unico maschio assolutamente perfetto? Non beve, non esce la sera, non ha un appuntamento fisso settimanale con gli amici. La sua vita si riassume nel lavoro e nella famiglia. Sarebbe un sogno – se non fosse un incubo. Per me corrispondere a tutto ciò è un’enorme responsabilità. Mi rendo conto che, nel mio caso, parole come “ottimismo” e “speranza” – compaiono in tutti i libri che si prefiggono di rassicurarci e prepararci alla vita – non sono altro che… parole. I saggi che le hanno pronunciate forse stavano cercando il senso di ciascuna di esse, e ci hanno usati come cavie, per vedere le nostre reazioni ai diversi stimoli. In realtà, sono stanca di avere una vita apparentemente felice e perfetta. E questo 35/481 può essere soltanto il segno di una malattia mentale. Mi riaddormento con questo pensiero. Forse il mio problema è davvero serio! *** Vado a pranzo con un’amica. Ha suggerito di incontrarci in un ristorante giapponese del quale non avevo mai sentito parlare – è piuttosto strano, visto che adoro il cibo nipponico. Mi ha assicurato che si trattava di un locale eccellente, anche se distante dal mio posto di lavoro. È stato difficile arrivarci. Ho dovuto prendere due autobus, e poi chiedere informazioni sull’ubicazione della galleria che ospita quel “ristorante fantastico”. Entro, e ogni cosa mi sembra orribile: l’arredamento, i tavoli con le tovaglie di carta, l’assenza di una qualsivoglia vista sull’esterno. Ma la mia amica aveva davvero ragione: mangio i 36/481 migliori piatti giapponesi che abbia mai assaggiato a Ginevra. “Prima frequentavo sempre un certo ristorante: era discreto, ma niente di speciale,” dice lei. “Poi un amico che lavora all’ambasciata del Giappone mi ha suggerito questo. Ho trovato il locale orribile, penso che sia accaduto anche a te. I proprietari si occupano personalmente della cucina, e questo fa la differenza.” ‘Io vado sempre nei medesimi ristoranti e ordino gli stessi piatti,’ penso: non oso rischiare neppure in questo. La mia amica assume regolarmente antidepressivi. Di certo, non desidero affrontare con lei questo argomento: ormai sono giunta alla conclusione di trovarmi a un passo dalla malattia, ma mi rifiuto di prenderne atto. E nonostante abbia pensato che quella fosse l’ultima cosa che avrei voluto fare, mi ritrovo subito a parlarne. Le tragedie altrui 37/481 riescono sempre a mitigare le nostre sofferenze. Le domando come si sente. “Meglio. Molto meglio. Anche se le medicine hanno impiegato qualche tempo per fare effetto. Quando iniziano ad agire si recupera l’interesse per la vita, che riacquista colore e sapore.” In altre parole, la sofferenza è diventata un’ulteriore fonte di guadagno per le industrie farmaceutiche: ‘Sei triste? Prendi questa pillola, e le tue angustie finiranno.’ Con delicatezza, le domando se è interessata a fornire la sua testimonianza per un lungo servizio sulla depressione che uscirà sul giornale. “È inutile. Non ne vale la pena. Ormai le persone condividono ogni loro sensazione su internet. E poi ci sono le medicine…” “Di che cosa si discute su internet?” “Degli effetti collaterali dei farmaci. A nessuno interessano i sintomi altrui, perché si 38/481 tratta di elementi potenzialmente contagiosi. È possibile che, all’improvviso, si avvertano malesseri che prima non si sentivano.” “Nient’altro?” “Si parla anche degli esercizi di meditazione. Ma non credo che portino a grandi risultati. Io li ho provati tutti, ma sono migliorata soltanto quando ho deciso di accettare che avevo un problema.” “Ma il fatto di sapere che non si è soli non dà un certo sollievo? Discutere di ciò che si sente o si è provato a causa della depressione non è un fattore positivo?” “Assolutamente no. Chi è uscito da quell’inferno non ha il minimo interesse a sapere come continua la vita di chi è rimasto là dentro.” “Per quale motivo ci sono voluti così tanti anni per uscire da quello stato?” “Perché non avevo coscienza di essere realmente depressa. E perché, quando ne parlavo con te o con altre amiche, mi veniva 39/481 detto che erano tutte sciocchezze, che chi ha veramente dei problemi psichici non è nella condizione di sentirsi depresso.” È vero, l’ho detto anch’io. Insisto: penso che un articolo o un post in un blog potrebbero aiutare davvero le persone ad affrontare la malattia, magari spronandole a cercare aiuto. Poiché io non sono depressa, e non so che cosa si provi a vivere nella depressione – sottolineo questo aspetto –, le chiedo di raccontarmi come ci si sente. Lei esita. Ma è una mia amica, e forse nutre qualche sospetto. “È come trovarsi in trappola. Sai che sei imprigionata, ma non riesci a…” È proprio quello che avevo pensato alcuni giorni prima. A quel punto, inizia a elencare una serie di situazioni che, con ogni probabilità, accomunano tutti coloro che hanno visitato quello che definisce “l’inferno”. L’assoluta 40/481 mancanza di voglia di alzarsi al mattino. I gesti più semplici che necessitano di sforzi sovrumani. Il senso di colpa per il fatto di non avere alcun motivo per essere in quello stato, mentre nel mondo ci sono milioni di persone che soffrono davvero. Mi sforzo di concentrarmi sull’ottimo cibo giapponese che, a quel punto, sembra avere ormai perduto ogni sapore. La mia amica continua: “Apatia. Fingere allegria, tristezza, godimento, addirittura gli orgasmi… Fingere che ti stai divertendo, fingere di aver dormito bene, fingere di vivere… Fino a quando arrivi al punto in cui ti trovi di fronte a una linea rossa immaginaria e capisci che, se la oltrepassi, non ci sarà più ritorno. Allora smetti di piagnucolare, perché anche lamentarsi significa lottare. Accetti di vivere in una sorta di stato vegetativo, ma cerchi di nasconderlo a tutti. E questo ti costa una fatica enorme.” 41/481 “Ma… cosa ha scatenato la tua depressione?” “Niente in particolare. Ma per quale motivo mi stai facendo tutte queste domande? C’è qualcosa che non va?” “No. Assolutamente no!” È meglio cambiare argomento. Iniziamo a parlare del politico che intervisterò fra due giorni: un mio ex fidanzatino del liceo, il quale forse non ricorda neppure che ci siamo scambiati qualche bacio e mi ha palpato il seno quando non era ancora pienamente formato. La mia amica si entusiasma. Io cerco solo di non pensarci – ormai è una reazione pressoché automatica. L’apatia. Però non sono ancora arrivata a quello stadio: mi lamento della mia vita attuale, ma immagino che, nel volgere di poco tempo – mesi, giorni oppure ore –, potrebbe sopraggiungere una totale 42/481 mancanza di interesse, qualcosa che poi sarà molto difficile da superare. È come se l’anima stesse lentamente lasciando il mio corpo, dirigendosi verso un luogo che ignoro, un posto “sicuro”, dove non è obbligata a sopportare me e i miei terrori notturni. È come se io non mi trovassi realmente in questo ristorante giapponese decisamente brutto, ma che serve un cibo delizioso, e tutto ciò che sto vivendo fosse solo la scena di un film che guardo, senza volere – o potere – interferire. *** Mi sveglio e ripeto gli stessi gesti di sempre: mi alzo, mi lavo i denti, mi vesto per recarmi in ufficio, vado nella camera dei bambini e li chiamo, preparo la colazione per tutti, sorrido, mi dico che la vita è bella. E tuttavia, in ogni minuto e in ogni gesto, avverto un peso che non riesco a identificare: 43/481 mi sento come un animale che non capisce in quale modo sia stato preso in trappola. Il cibo perde sapore, mentre il mio sorriso si accentua sempre di più (per non destare sospetti); ricaccio in gola la voglia di piangere, in un luogo ammantato di una luce grigiastra. La conversazione con l’amica non mi ha affatto giovato: comincio a pensare che sto rinunciando a ribellarmi e sto scivolando velocemente verso l’apatia. È possibile che nessuno se ne accorga? No, certo che no. Comunque, io sarei l’ultima persona al mondo ad ammettere di avere bisogno di un aiuto. Ma, alla fine, questo non è un problema mio: il vulcano ormai ha eruttato ed è impossibile ricacciare la lava nel cratere, spianare la superficie, seminare un prato, piantare qualche albero, e far pascolare un gregge di pecore su quel terreno. 44/481 Era qualcosa che non meritavo. Mi sono sempre sforzata di rispondere alle aspettative di tutti. In ogni caso, è successo – e sembra che io non possa farci niente, se non assumere dei farmaci. Potrei inventarmi una scusa per scrivere un articolo sulla valenza sociale della psichiatria (il caposervizio lo apprezzerebbe molto) e, anche se non sarebbe eticamente corretto, avrei l’occasione per trovare uno specialista a cui chiedere aiuto. Di sicuro, non tutto può essere eticamente corretto. Non esiste alcun elemento ossessivo che martelli la mia mente, come, per esempio, mettersi a dieta. O la mania dell’ordine che porta a cercare insistentemente le pecche nel lavoro della domestica, la quale arriva alle otto del mattino e se ne va alle cinque del pomeriggio, dopo aver lavato, stirato, rassettato la casa e, di tanto in tanto, essere anche andata al supermercato. Non posso scaricare le mie frustrazioni sul ménage 45/481 famigliare, fino a diventare una madre asfissiante e opprimente, giacché i bambini ne risentirebbero per il resto della loro vita. Quando esco per andare al lavoro, vedo il vicino intento a lavare l’automobile. Ma non l’ha fatto ieri? Non riesco a frenare la mia curiosità: mi avvicino e gli domando il motivo di quel comportamento. “Erano rimaste alcune piccole chiazze,” mi risponde, dopo avermi dato il buongiorno, domandato come sta la mia famiglia e fatto un commento piacevole sul vestito che indosso. Guardo la macchina: un’Audi (uno dei soprannomi di Ginevra è “Audiland”). La carrozzeria mi sembra immacolata. Lui mi mostra alcune piccole aree che non sfavillano ancora. Protraggo la conversazione e, alla fine, gli domando qual è, secondo lui, la massima aspirazione delle persone. 46/481 “Be’, è piuttosto facile rispondere. Pagare le bollette. Comprare una casa come la nostra. Avere un giardino rigoglioso. Invitare al pranzo domenicale figli e nipoti. E viaggiare per il mondo dopo essere andati in pensione.” È questo che le persone desiderano dalla vita? Davvero? C’è proprio qualcosa che non va sul nostro pianeta, e non sono le guerre in Africa o in Medio Oriente. Prima di recarmi in redazione, devo intervistare Jacob, il mio vecchio fidanzatino. Ma neppure questo mi stimola – sto davvero perdendo ogni interesse per la vita. *** Mi fornisce delle informazioni che non ho chiesto sui programmi del governo. Gli pongo alcune domande con l’intenzione di metterlo in difficoltà, ma lui si barcamena con eleganza. Ha un anno meno di me, 47/481 quindi dovrebbe avere trent’anni, anche se ne dimostra trentacinque. È una considerazione che taccio, com’è naturale. Ovviamente mi ha fatto piacere rivederlo, per quanto sinora non mi abbia chiesto cosa ne sia stato della mia vita da quando, dopo la maturità, ognuno ha preso la propria strada. È concentrato su se stesso, sulla carriera, sul futuro, mentre io sono stupidamente attaccata al passato, come se fossi ancora un’adolescente che, nonostante l’apparecchio per i denti, è invidiata dalle compagne. Dopo qualche minuto, smetto di ascoltarlo e inserisco il pilota automatico. Sempre il medesimo copione, gli stessi argomenti – ridurre le tasse, combattere la criminalità, rafforzare il controllo sull’impiego dei francesi, i cosiddetti “frontalieri” (occupano posti di lavoro che spettano agli svizzeri). Anno dopo anno, i programmi politici si ripetono identici, e i problemi restano 48/481 irrisolti, giacché nessuno li affronta in modo serio. Dopo venti minuti di conversazione, comincio a domandarmi se il disinteresse sia una conseguenza della mia difficile condizione attuale. Assolutamente no. Non c’è niente di più noioso che intervistare un politico. Sarebbe stato meglio se mi avessero incaricato di occuparmi di un delitto: gli assassini sono molto più autentici. Se paragonati ai rappresentanti del popolo di qualsiasi altro luogo del pianeta, i nostri politici sono quelli meno interessanti e più scialbi. A nessuno importa della loro vita privata. Soltanto due elementi possono far esplodere uno scandalo: la corruzione e la droga. In un simile frangente, la storia acquista proporzioni gigantesche e, per l’assoluta mancanza di argomenti dei giornali, cattura un pubblico sempre più vasto. 49/481 Ma chi vuole davvero sapere se i nostri politici hanno un’amante, se frequentano bordelli o se hanno deciso di rivelare la propria omosessualità? Nessuno. Che continuino a svolgere il lavoro per cui sono stati eletti, che si preoccupino di non sforare il bilancio pubblico, e tutti vivremo tranquilli. Il presidente svizzero cambia ogni anno (proprio così, ogni anno), ma non è eletto dalla popolazione, bensì dal Consiglio Federale, un organismo costituito da sette “ministri” che governa il paese. In qualsiasi caso, il popolo adora decidere su ogni questione attraverso i referendum – il colore dei sacchi per la spazzatura (ha vinto il nero), il permesso per il porto d’armi (approvato da una maggioranza schiacciante: la Confederazione Elvetica è lo stato con più armi pro capite del mondo), il numero massimo di minareti che si possono costruire (quattro), la concessione di asilo ai profughi (non ho seguito il dibattito, ma penso che la legge sia 50/481 stata approvata e sia ormai in vigore) – e, ogni volta che passo davanti al Museo di Belle Arti, vedo i manifesti di nuovi quesiti referendari. “Signor König…” Siamo stati interrotti già una volta. Con gentilezza, Jacob chiede all’assistente di posticipare il prossimo impegno. Poiché il mio giornale è il più importante della Svizzera francese, l’intervista potrebbe diventare un elemento determinante per le prossime elezioni. Lui insiste falsamente per convincermi a rimanere e, per un momento, io fingo di accettare. Ma sono già soddisfatta. Quindi mi alzo, lo ringrazio e gli dico che ho tutto il materiale necessario per l’articolo. “Non manca niente?” Certo che manca qualcosa. Ma non tocca a me dire che cosa. 51/481 “Perché non ci vediamo più tardi, dopo il lavoro?” Gli spiego che devo andare a prendere i miei figli a scuola. Penso che abbia notato l’enorme vera d’oro al mio dito e abbia pensato: ‘Be’, quel che è stato, è stato.’ “Ah, certo. Allora che ne dici di pranzare insieme, uno di questi giorni?” Accetto. Anche se so di sbagliarmi spesso, mi dico: ‘Forse ha qualcosa di veramente importante da rivelarmi: un segreto di stato, una notizia che cambierà la politica nazionale e mi procurerà un’enorme considerazione presso il direttore del giornale.’ Lui si alza, si avvicina alla porta e la chiude a chiave. Poi torna verso di me e mi bacia. Ricambio quel bacio: è passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo baciati. Jacob, che forse un giorno potrei aver amato, adesso è sposato con una docente universitaria. E io sono la moglie di un finanziere, ricco ma gran lavoratore, e ho una famiglia. 52/481 Potrei respingerlo, dicendo che non siamo più due ragazzini, ma Jacob mi attrae. Non solo ho scoperto un nuovo ristorante giapponese, ma sto anche facendo una cosa terribilmente sbagliata. Sono riuscita a trasgredire le regole, e il mondo non mi è crollato addosso! Da tempo, non ero così felice. Attimo dopo attimo, mi sento sempre meglio, più coraggiosa, più libera. Allora faccio qualcosa che ho sempre sognato, fin dall’epoca del liceo. Mi inginocchio sul pavimento, gli abbasso la cerniera dei pantaloni e comincio a succhiargli il pene. Lui mi afferra per i capelli e si muove al ritmo delle mie labbra. Viene in meno di un minuto. “Splendido… Eccelso.” Non commento. Al limite, ha soddisfatto più lui che me: Jacob ha avuto un’eiaculazione precoce. *** 53/481 Dopo il peccato, arriva la paura di essere scoperta per il crimine commesso. Tornando verso il giornale, compro spazzolino e dentifricio. Ogni mezz’ora, mi rifugio nel bagno della redazione per controllare che non vi sia nulla sul mio viso o sulla blusa Versace con inserti di pizzo, perfetti per trattenere una traccia. Osservo i colleghi con la coda dell’occhio, ma nessuno – o nessuna, visto che le donne hanno una sorta di radar per queste cose – sembra aver notato alcunché. Perché l’ho fatto? Era come se un’altra persona si fosse impossessata della mia volontà e mi avesse trascinato in quella situazione, nella quale non c’era niente di erotico. Volevo forse dimostrare a Jacob di essere una donna indipendente, libera, padrona del mio corpo? Mi sono comportata in quel modo per far colpo su di lui o per 54/481 tentare di sfuggire a quello che la mia amica ha chiamato “inferno”? Tutto continuerà come prima. Non mi trovo di fronte a un bivio. So dove devo andare e spero che, con il passare degli anni, riuscirò a guidare la mia famiglia lungo una strada che non porti a reputare il lavaggio dell’automobile un evento straordinario. I grandi cambiamenti avvengono con il tempo – e io ne ho fin troppo a disposizione. Perlomeno è quello che spero. Quando rientro a casa, cerco di non mostrare né felicità né tristezza. E questo attira immediatamente l’attenzione dei bambini. “Mamma, sei un po’ strana, oggi…” Vorrei rispondere che è proprio così, perché ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare – comunque, non mi sento minimamente in colpa: ho solo paura di essere scoperta. 55/481 Arriva mio marito e, come sempre, mi dà un bacio; poi mi domanda com’è andata la giornata e che cosa prevede la cena. Gli rispondo con le frasi alle quali è abituato. Se non noterà una qualche variante nella nostra routine, non sospetterà che oggi pomeriggio ho fatto un pompino a un uomo politico. Il che, tra parentesi, non mi ha procurato alcun piacere fisico. E così adesso sto quasi impazzendo dal desiderio: ho voglia di un uomo, bramo i suoi baci; ho bisogno di sentire il dolore e il piacere di un corpo sopra il mio. *** Quando saliamo in camera, mi accorgo di essere eccitata, impaziente di fare l’amore con lui. Ma devo procedere con assoluta calma, senza fretta – non devo esagerare, altrimenti potrebbe insospettirsi. 56/481 Faccio un bagno e poi mi distendo al suo fianco; gli sfilo il tablet dalle mani e lo poso sul comodino. Comincio ad accarezzarlo sul petto, e subito si eccita. Era molto tempo che non facevamo sesso così. Quando i miei gemiti aumentano d’intensità, mi chiede di controllarmi per non svegliare i bambini: gli rispondo che sono stufa di controllarmi, che voglio poter esprimere ciò che sento. Ho una serie di orgasmi multipli. Mio Dio, amo da morire l’uomo che sta al mio fianco! Alla fine, siamo esausti e sudati. Decido di fare un altro bagno. Lui mi accompagna e inizia a scherzare, dirigendo il getto d’acqua della doccia sul mio sesso. Gli chiedo di smetterla perché è tardi e sono davvero stanca: dobbiamo dormire e, se continuerà, finirà per eccitarmi di nuovo. Mentre ci asciughiamo a vicenda, gli chiedo di portarmi in discoteca: quella richiesta è il tentativo di cambiare a ogni costo il mio modo di affrontare le giornate. Forse in 57/481 quel momento mio marito incomincia a sospettare che nascondo qualcosa. “Domani?” “Domani non posso. Ho la lezione di yoga.” “Ah! A proposito, posso farti una domanda diretta?” Il mio cuore si ferma. Lui prosegue: “Per quale motivo prendi lezioni di yoga? Sei una donna così calma, in armonia con te stessa, e sai perfettamente che cosa vuoi. Non ti pare di perdere tempo?” Il mio cuore ricomincia a battere. Non rispondo. Mi limito a sorridere; poi gli accarezzo il viso. *** Mi butto sul letto, chiudo gli occhi e, prima di addormentarmi, penso: ‘Forse sto attraversando la tipica crisi della persona sposata da molto tempo. Passerà. 58/481 ‘Nessuno può essere sempre felice: è pressoché impossibile. Nella vita si deve imparare ad affrontare la realtà. ‘Cara depressione, non ti avvicinare. Non infastidirmi. Trova qualcuno che abbia più motivi di me per guardarsi allo specchio e dire: »Che vita inutile.« Che tu lo voglia o no, io conosco un modo infallibile per sconfiggerti. ‘Depressione cara, con me stai perdendo il tuo tempo.’ *** L’incontro con Jacob König si svolge esattamente come immaginavo. Andiamo alla Perle du Lac, un ristorante costoso in riva al lago – un tempo era un locale ottimo, ma oggi gode delle sovvenzioni dell’amministrazione municipale, e… E, nonostante la cucina di bassissimo livello, continua a essere caro. Avrei potuto stupirlo con il 59/481 ristorante giapponese appena scoperto, ma so che mi avrebbe giudicata una donna con gusti pessimi: per talune persone l’ambiente è più importante del cibo. Quasi subito mi rendo conto di aver preso la decisione giusta. Jacob si adopera per dimostrarmi che è un profondo conoscitore di vini, valutando il “bouquet”, la “tessitura”, la “lacrima”, cioè quella traccia dall’aspetto oleoso che scivola sulla parete del bicchiere. In altre parole, mi vuole comunicare che è cresciuto, non è più il ragazzino dei tempi della scuola: ha imparato molto, si è fatto strada nella vita e adesso conosce il mondo, i vini, la politica, le donne e… le sue ex fidanzatine. Quante stupidaggini! Nasciamo e moriamo con un brindisi, bevendo vino. Sappiamo distinguerne uno buono da uno cattivo – ma questo è tutto! Ma fino a quando conobbi mio marito, tutti gli uomini che avevo incontrato – e che 60/481 si ritenevano affascinanti ed educati – consideravano la scelta del vino il loro momento di gloria solitaria. Si comportavano in modo identico: con un’espressione meditabonda, annusavano il tappo, leggevano l’etichetta, chiedevano al cameriere di versarne un assaggio, facevano roteare piano il calice, ne osservavano il contenuto in controluce, lo annusavano, lo assaporavano, lo deglutivano e, alla fine, approvavano con un cenno del capo. Dopo avere assistito a questa scena un’infinità di volte, decisi di cambiare ambiente e cominciai a frequentare i nerds, quelli socialmente esclusi dalle comitive universitarie. Al contrario dei degustatori di vino prevedibili e superficiali, i nerds erano autentici e non si impegnavano minimamente per far colpo su di me. Parlavano di argomenti che io non potevo comprendere. Pensavano, per esempio, che fosse obbligatorio conoscere almeno il termine “Intel”, “visto che è scritto 61/481 su tutti i computer”. Io non ci avevo mai prestato attenzione. I nerds mi facevano sentire un’ignorante totale, una ragazza senza attrattiva, e si interessavano più alla pirateria in internet che al mio seno e alle mie gambe. Così finii per tornare alla sicurezza dei degustatori di vino. Fino a quando incontrai un giovane che non tentava di impressionarmi con il suo gusto sofisticato né mi faceva sentire una scema con discorsi su pianeti misteriosi, hobbit e software che cancellano le tracce delle pagine web visitate. Dopo alcuni mesi di frequentazione, durante i quali visitammo più di cento paesini intorno al lago di Ginevra, mi chiese di sposarlo. Accettai all’istante. Domando a Jacob se conosce qualche discoteca, perché sono anni che ho abbandonato la vita notturna di Ginevra – “vita notturna”, si fa per dire – e ho voglia di 62/481 andare a ballare e a bere qualcosa. Gli brillano gli occhi. “Non ho tempo per queste cose. Sono onorato dell’invito ma, come sai, oltre a essere sposato, non posso mostrarmi in giro con una giornalista. Direbbero che le sue notizie sono…” “… Tendenziose?” “Esatto: tendenziose.” Decido di proseguire in quel piccolo gioco di seduzione che mi ha sempre divertito. Cos’ho da perdere? Ormai conosco tutte le strade, le scappatoie, le trappole e gli obiettivi. Gli chiedo di raccontarmi qualcos’altro di lui e della sua vita privata. In fin dei conti, gli spiego, non sono qui come giornalista, ma come donna ed ex fidanzatina dell’adolescenza. Carico d’enfasi la parola “donna”. “Io non ho una vita privata,” dice. “Purtroppo non posso averne una. Ho scelto 63/481 una carriera che mi ha trasformato in un automa. Tutto ciò che dico è monitorato, vagliato, discusso, pubblicato.” Non è proprio così, ma la sua sincerità è disarmante. Sta mostrandosi disponibile: vuole scoprire in quale campo si sta avventurando e fin dove si può spingere con me. Accenna al fatto che è “infelice nel matrimonio”: è ciò che fanno tutti gli uomini, dopo aver saggiato il vino ed essersi profusi in spiegazioni sul loro potere. “Negli ultimi due anni ho vissuto alcuni mesi di gioia e altri di sfide ma, per la maggior parte del tempo, ho dovuto occuparmi della mia carica, sforzandomi di compiacere i vari postulanti per essere rieletto. Sono stato costretto ad abbandonare tutti gli svaghi e le attività piacevoli – come andare a ballare con te, per esempio. Ormai mi è negato persino trascorrere qualche ora ascoltando musica, fumare o fare qualsiasi altra cosa che possa venire giudicata inopportuna.” 64/481 “Stai esagerando! Nessuno è interessato in un modo così morboso alla tua vita privata.” “Mah, tutto è dovuto al ritorno di Saturno. Ogni ventinove anni, il pianeta torna nel punto in cui si trovava quando siamo nati.” “Il ritorno di Saturno?” Jacob si rende conto di aver parlato troppo e dice che forse sarebbe meglio se tornassimo al lavoro. No. Il mio ritorno di Saturno si è già verificato, e adesso ho bisogno di sapere esattamente che cosa significa. Allora lui improvvisa una lezione di astrologia: Saturno impiega ventinove anni per tornare nel punto in cui si trovava il giorno della nostra nascita. Fino a quel momento, pensiamo che tutto sia possibile, che i sogni si avverino e che le mura intorno a noi possano essere abbattute. Quando il pianeta completa la sua rivoluzione, il romanticismo sparisce. Le scelte divengono definitive e i cambiamenti di rotta risultano pressoché impossibili. 65/481 “Non sono un esperto, è chiaro. Ma credo che la mia prossima occasione arriverà quando avrò cinquantott’anni, al ritorno di Saturno.” Penso: ‘A questo punto, per quale motivo mi ha invitato a pranzo, visto che non è più possibile scegliere un’altra strada, stando alla regola di Saturno? Ormai stiamo parlando da quasi un’ora…’ “Sei felice?” “Cosa?” “Ho notato qualcosa di strano nei tuoi occhi… Una tristezza inspiegabile per una donna attraente come te, con un matrimonio prestigioso e un ottimo lavoro. Mi è sembrato di vedere il riflesso dei miei occhi. Ti ripeto la domanda: sei felice?” Nel paese in cui sono nata e cresciuta, e dove ora cresco i miei figli, nessuno fa simili domande. La felicità non è un valore che possa essere misurato con precisione, sottoposto a referendum o analizzato da uno 66/481 specialista. Poiché non chiediamo agli altri neppure la marca della loro auto, è pressoché impensabile porre domande su qualcosa di così intimo e indefinibile. “Non è necessario che tu risponda. Il silenzio è già sufficiente.” No, il silenzio non è sufficiente. Non è una risposta. Indica solo sorpresa, perplessità. “Io non sono felice,” dice lui. “Ho tutto ciò che un uomo può desiderare, ma non sono felice.” Hanno versato qualcosa nell’acquedotto cittadino? Vogliono distruggere il mio paese con una qualche sostanza chimica che provoca una profonda frustrazione nella popolazione? Non è possibile che tutti quelli con cui parlo provino il medesimo disagio… Fino a quel momento non ne avevo parlato. Ma le anime in pena posseggono la peculiarità di riconoscersi e attrarsi reciprocamente, condividendo i loro dolori. 67/481 Per quale motivo non l’avevo capito? Perché mi ero concentrata sulla superficialità con cui parlava di temi politici o sulla pedanteria con cui assaggiava il vino? Il ritorno di Saturno, l’opposizione, l’infelicità: non mi sarei mai aspettata di sentire Jacob König trattare simili argomenti. E così, adesso, in questo preciso istante – guardo l’orologio: sono le 13:55 –, mi innamoro nuovamente di lui. Nessuno, neppure il mio meraviglioso marito, mi ha mai chiesto se sono felice. Può darsi che, nell’infanzia, i miei genitori o i miei nonni abbiano cercato di sapere se fossi allegra, ma niente più di questo. “Ci rivedremo?” Guardo davanti a me, e ormai non vedo più l’ex fidanzatino dell’adolescenza, ma un abisso al quale mi avvicino volontariamente, un baratro a cui non voglio assolutamente sottrarmi. In una frazione di secondo, mi rendo conto che, da adesso in poi, le notti 68/481 insonni diverranno più insopportabili, giacché ho un problema molto serio: sono innamorata. Tutte le spie rosse di allarme del mio essere razionale e del mio inconscio iniziano a lampeggiare. Ma io mi dico: ‘Sei un’ingenua, una sciocca: vuole soltanto portarti a letto. Gliene importa assai poco della tua felicità.’ Così, in un gesto quasi suicida, rispondo di sì. Forse andare a letto con qualcuno che mi ha appena toccato il seno quando eravamo adolescenti porterà un giovamento al mio matrimonio, com’è successo ieri: la mattina, ho fatto sesso orale con lui e, la sera, ho avuto orgasmi multipli con mio marito. Cerco di ritornare alla conversazione su Saturno, ma Jacob ha già chiesto il conto e parla al cellulare: sta avvisando qualcuno che arriverà con cinque minuti di ritardo. “Offrigli dell’acqua e del caffè, per favore.” 69/481 Gli domando con chi era al telefono, e lui risponde che stava parlando con la moglie. È atteso dal direttore di una grande azienda farmaceutica: ha chiesto di incontrarlo e, probabilmente, vuole sovvenzionare con una consistente somma di denaro la fase finale della sua campagna per il Consiglio Nazionale. Le elezioni si avvicinano rapidamente. Ancora una volta, penso al fatto che è sposato. Che è infelice. Che non può fare niente di ciò che gli piace. Che corrono voci pettegole su di lui e sua moglie: sembra che il loro matrimonio sia piuttosto “aperto”. Devo assolutamente dimenticare la scintilla che mi ha fulminato alle 13.55 e rendermi conto che vuole soltanto usarmi. È qualcosa che non mi disturba, purché le cose siano ben chiare. Anch’io ho bisogno di portarmi a letto un uomo. *** 70/481 Ci fermiamo sul marciapiedi davanti al ristorante. Jacob si guarda intorno, come se fossimo una coppia clandestina. Dopo essersi accertato che nessuno ci sta osservando, si accende una sigaretta. Allora è questo il suo timore: che scoprano il suo vizio del fumo. “Come ricorderai, ero considerato lo studente più promettente della comitiva. Volevo dimostrare che era davvero così perché, alla fin fine, tutti abbiamo un’immensa necessità di amore e approvazione. Sacrificavo le uscite con gli amici per studiare e non deludere le aspettative del prossimo. Mi sono diplomato con voti eccellenti. Tra parentesi, perché è finita la nostra storia?” Se non lo ricorda lui, figurarsi io. A quell’epoca, tutti corteggiavano tutti, e non esistevano rapporti fissi. “Al termine dell’università, divenni un difensore d’ufficio e cominciai a frequentare 71/481 criminali e innocenti, canaglie e persone perbene. Quello che doveva essere soltanto un lavoro temporaneo mi insegnò una regola da applicare alla vita: dovevo aiutare il prossimo. La mia lista di clienti si allungava. La mia fama si diffuse per la città. Mio padre insisteva perché abbandonassi quell’incarico e andassi a lavorare nello studio legale di un suo amico. Ma io ero entusiasta per ogni causa che vincevo. E spesso mi impuntavo per contraddire una legge decisamente antiquata, che reputavo ormai inapplicabile. Anche nell’amministrazione pubblica c’erano molte cose da cambiare.” Queste informazioni compaiono nella sua biografia ufficiale, ma sentirle dalle sue labbra è diverso. “A un certo punto, pensai che potevo candidarmi per il Gran Consiglio cantonale. Feci una campagna elettorale assai modesta: disponevo di pochissimi soldi, perché mio padre era contrario. Solo i miei clienti mi 72/481 sostennero. Venni eletto con un esiguo margine di voti – comunque, ottenni un seggio.” Si guarda intorno di nuovo. Ha nascosto la sigaretta dietro la schiena. Nessuno lo sta osservando, così dà un’altra lunga tirata. Il suo sguardo sembra vuoto: è focalizzato sul passato. “Quando cominciai a lavorare in politica, dormivo soltanto cinque ore al giorno, ma ero sempre pieno di energia. Adesso vorrei poter disporre di diciotto ore di sonno. La luna di miele con le mie cariche pubbliche è finita. È rimasta solo la necessità di compiacere tutti, in particolare mia moglie, che si batte accanitamente perché io abbia un futuro radioso. Marianne ha sacrificato molte aspirazioni per la mia carriera, e io non posso deluderla.” È davvero questo l’uomo che solo alcuni minuti fa mi ha invitata a uscire di nuovo? Sarà proprio questo che vuole: uscire e chiacchierare con qualcuno che possa capirlo, con 73/481 una persona che vive una situazione analoga e avverte il medesimo disagio? Posseggo la dote di perdermi in fantasticherie con una rapidità impressionante. Mi stavo già immaginando tra lenzuola di seta in uno chalet sulle Alpi. “Allora, quando ci vediamo di nuovo?” “Decidi tu.” Suggerisce due giorni dopo. Gli dico che ho una lezione di yoga. Mi chiede di non andarci. Gli spiego che tutta la mia esistenza è costellata di assenze e che, da qualche tempo, mi sono ripromessa di essere più disciplinata. Jacob sembra rassegnarsi. Sono tentata di accettare, ma non voglio mostrarmi ansiosa o troppo disponibile. La vita sta tornando a essere stimolante. L’apatia è stata sostituita dalla paura, ed è una vera gioia temere di perdere un’occasione! 74/481 Ribadisco che è impossibile: sarebbe meglio vederci venerdì. È d’accordo, telefona al suo assistente e gli chiede di annotare sull’agenda un appuntamento. Finisce la sigaretta e ci salutiamo. Io non gli domando perché mi abbia raccontato quei particolari riguardo alla sua vita privata, né lui aggiunge qualcosa di importante a ciò che aveva detto al tavolo del ristorante. Mi piacerebbe credere che sia cambiato qualcosa durante quei momenti. Un altro pranzo fra le mie centinaia di colazioni di lavoro, con pietanze decisamente troppo elaborate e calici di vino che entrambi abbiamo finto di bere, ma che troneggiavano sulla tovaglia praticamente intatti al momento del caffè. Non si deve mai abbassare la guardia, nonostante tutta quella messinscena dell’assaggio. Il bisogno di compiacere tutti. L’opposizione di Saturno. Non sono sola. 75/481 *** Il giornalismo non possiede affatto il fascino glamour che la gente immagina – intervistare star e vip, ricevere inviti per viaggi fantastici, entrare in contatto con il potere, il denaro e il mondo oscuro ma intrigante dell’emarginazione. In realtà, i giornalisti trascorrono la maggior parte del tempo attaccati a un telefono, in postazioni di lavoro separate da bassi divisori di legno impiallacciato. La privacy è riservata ai capi, che esercitano la professione chiusi nei loro acquari di vetro trasparente, le cui tende si possono tirare a comando. Quando ciò avviene, continuano a sapere che cosa accade all’esterno, mentre ai sottoposti è preclusa la vista delle loro labbra da pesce che si muovono. A Ginevra, con i suoi 195.000 abitanti, il giornalismo è quanto di più noioso si possa immaginare. Do un’occhiata all’edizione di 76/481 oggi del giornale, anche se non nutro alcun dubbio riguardo ai contenuti – i molteplici incontri di diplomatici stranieri presso la sede delle Nazioni Unite, le solite proteste contro l’abolizione del segreto bancario e qualche altra notizia che merita l’onore della prima pagina, come “la mostruosa obesità che impedisce a un uomo di salire in aereo”, il “lupo che stermina pecore negli immediati dintorni della città”, i “fossili precolombiani rinvenuti a Saint-Georges” e, infine, con grande rilievo, “l’imbarcazione Genève che, dopo il restauro, ritorna a solcare le acque del lago più bella che mai”. Mi chiamano da una delle postazioni di lavoro. Vogliono sapere se sono riuscita ad avere informazioni esclusive durante la colazione con il politico. Com’era scontato, ci hanno visti insieme. Rispondo di no: niente che non compaia nella sua biografia ufficiale. Il pranzo è stato piuttosto un modo per avvicinarmi a una 77/481 “fonte”, come vengono definiti coloro che ci passano informazioni importanti – quanto più ampia è la sua rete di fonti, tanto più considerato è il giornalista. Il mio direttore mi comunica che un’altra fonte gli ha assicurato che, nonostante sia sposato, Jacob König ha una storia con la moglie di un altro politico. Avverto una fitta in quell’angolo oscuro dell’anima dove ha bussato la depressione che ho deciso di scacciare. Poi mi chiede se sono in grado di instaurare un rapporto più confidenziale con lui. Non che il giornale sia particolarmente interessato alla sua vita sessuale, ma quella fonte ha insinuato che potrebbe essere oggetto di un ricatto. L’amministratore delegato di un’azienda metallurgica estera è intenzionato a far scomparire ogni traccia di operazioni fiscali che potrebbero nuocergli nel paese dove ha sede, ma gli è precluso l’accesso alle alte sfere del dipartimento 78/481 federale delle Finanze. Ha bisogno di una “spintarella”. Il direttore mi spiega che il nostro bersaglio non è Jacob König, ma coloro che stanno tentando di corrompere e minare il nostro sistema politico. “Non sarà difficile. Basterà convincerlo che siamo dalla sua parte.” La Svizzera è uno dei pochi luoghi del mondo in cui la parola data è sufficiente a garantire un impegno. In gran parte degli altri paesi sarebbero necessari avvocati, testimoni e documenti firmati, oltre alla minaccia di adire le vie legali nel caso in cui i patti fossero violati. “Ci occorrono soltanto una sua conferma e alcune foto.” “Quindi devo cercare di entrare in confidenza con lui?” “Non dovrebbe essere difficile. Secondo alcune fonti, avete già fissato un 79/481 appuntamento: è riportato anche nella sua agenda ufficiale…” Ecco il paese del segreto bancario: in realtà, tutti sanno tutto di tutti. “Adotta la procedura di routine.” La “procedura di routine” è costituita da quattro mosse: 1. Esordire con domande riguardo a un argomento sul quale l’intervistato intende fare una dichiarazione pubblica. 2. Lasciarlo parlare per tutto il tempo che desidera, in modo da fargli credere che il giornale gli dedicherà un grande servizio. 3. Alla fine dell’intervista, quando il soggetto sarà ormai convinto di non correre alcun rischio, porre la domanda cruciale, l’unica davvero importante, facendogli capire che, se non risponderà, non gli verrà concesso lo spazio che si aspetta e che, quindi, avrà sprecato il suo tempo. 4. In caso di risposta evasiva, riformulare la domanda, evitando di soprassedere. L’interlocutore dirà che è un argomento che non interessa a nessuno: in 80/481 ogni modo, occorre ottenere una dichiarazione, almeno una. Nel 99% dei casi, l’intervistato cade nella trappola. Questo è quanto serve. Poi si può cestinare il resto dell’intervista e utilizzare la dichiarazione per costruire l’articolo, che non riguarderà l’intervistato, ma qualche altro tema importante, e conterrà verifiche giornalistiche, notizie ufficiali, informazioni ufficiose, resoconti di fonti anonime ecc. “Se si dimostra riluttante a rispondere, insisti: digli che siamo dalla sua parte. Sai come funziona il giornalismo. E ne terremo conto…” Sì, so perfettamente come funziona. La carriera dei giornalisti è breve quanto quella degli atleti. Raggiungiamo presto una sorta di gloria ma, subito dopo, dobbiamo cedere il passo alla generazione successiva. Sono pochi coloro che riescono a continuare nella carriera. Gli altri vedono crollare il proprio standard di vita, si danno alla critica, creano 81/481 blog, tengono conferenze e passano la maggior parte del loro tempo tentando di far colpo sugli amici. Non esiste uno stadio intermedio. Attualmente io appartengo alla categoria della “professionista promettente”. Se otterrò la famosa dichiarazione, è probabile che l’anno prossimo non sentirò questa frase: “Dobbiamo tagliare le spese, e il tuo contratto rientra tra queste. Di sicuro, non ti sarà difficile trovare un altro impiego.” Sarò promossa? Arriverò a decidere che cosa pubblicare, magari in prima pagina? Il lupo che stermina le pecore, l’esodo degli investitori stranieri verso Dubai e Singapore, o l’assurda penuria di immobili da affittare: una prospettiva davvero affascinante per i prossimi cinque anni… Torno alla mia postazione, faccio qualche telefonata senza importanza e leggo ogni articolo appena interessante sulle varie testate online. È un’attività che occupa anche i 82/481 colleghi accanto a me, i quali cercano disperatamente una notizia che impedisca una riduzione della tiratura del giornale. Qualcuno dice che sono stati trovati dei cinghiali lungo la ferrovia che collega Ginevra a Zurigo. Ci si può scrivere un articolo? Certo che sì. Proprio come la telefonata che ho appena ricevuto da una donna di ottant’anni: intendeva protestare contro la legge che proibisce il fumo nei bar. Ha detto che d’estate non c’è problema, ma d’inverno ci sarà molta più gente che morirà di polmonite rispetto a quella che finisce al cimitero per un cancro ai polmoni, visto che tutti saranno costretti a fumare fuori. Ma, in realtà, che cosa stiamo facendo qui, nella redazione di un giornale cartaceo? Credo di saperlo: intendiamo salvare il mondo per mezzo di un lavoro che adoriamo. *** 83/481 Seduta nella posizione del loto, mentre l’incenso spande il suo aroma nell’aria, ascolto una musica insopportabilmente simile a quella diffusa negli ascensori e mi appresto a cominciare la mia “meditazione”. Mi hanno consigliato di provare questa pratica qualche tempo fa, quando pensavano che fossi “stressata”. (In effetti lo ero, ma vivevo una situazione migliore del totale disinteresse per la vita che provo ora.) “Le impurità della ragione vi turberanno. Non dovete preoccuparvi. Accettate i pensieri che affioreranno. Non contrastate il loro flusso.” Perfetto, lo sto facendo. Allontano le emozioni tossiche, come orgoglio, disillusione, gelosia, rivalsa, senso di inutilità. Riempio lo spazio liberato con umiltà, gratitudine, comprensione, consapevolezza e grazia. 84/481 Penso che, nella mia dieta quotidiana, sto assumendo troppo zucchero, e questo è deleterio per la salute fisica e per lo spirito. Scaccio l’oscurità e la disperazione, e invoco le forze del bene e della luce. Mi ricordo ogni dettaglio del pranzo con Jacob. Intono un mantra insieme con gli altri allievi. Mi domando se le affermazioni del direttore corrispondano a verità. Jacob ha davvero tradito sua moglie? È realmente oggetto di un ricatto? L’insegnante ci chiede di immaginare di essere protetti da un’armatura di luce. “Dobbiamo vivere ogni singolo giorno con la certezza che questa corazza ci proteggerà dai pericoli, e che non saremo più legati alla dualità dell’esistenza. Dobbiamo impegnarci per trovare la ‘via di mezzo’, nella quale non esistono né gioia né sofferenza, ma soltanto una pace profonda.” 85/481 Comincio a capire perché spesso salto le lezioni di yoga. Dualità dell’esistenza? Via di mezzo? Queste espressioni mi suonano innaturali quanto l’indicazione di mantenere il valore del colesterolo totale entro i 200 mg/dL, come prescritto lapidariamente dal mio medico. L’immagine dell’armatura resiste solo per qualche secondo, poi si frantuma in mille pezzi ed è sostituita dalla certezza assoluta che Jacob sia affascinato da qualsiasi bella donna che gli si pari davanti. E io, cosa c’entro con questo? Gli esercizi continuano. Cambiamo posizione e, come in ogni lezione, l’insegnante insiste perché gli allievi si sforzino di “svuotare la mente” almeno per qualche secondo. Il vuoto è la sensazione che temo maggiormente e che più mi ha accompagnato nella vita. Se sapesse cosa mi sta chiedendo… 86/481 Comunque, non spetta a me giudicare una tecnica che esiste da secoli. Che cosa sto facendo qui? Credo di saperlo: mi sto impegnando per annullare lo stress. *** Mi sveglio di nuovo nel cuore della notte. Vado nella stanza dei bambini per controllare che stiano bene – è quasi un’ossessione che, di tanto in tanto, tormenta tutti i genitori. Poi torno a letto e rimango immobile a fissare il soffitto. Non ho le forze per dire che cosa voglio o non voglio fare. Perché non mi risolvo a lasciar perdere lo yoga? Perché non vado subito da uno psichiatra e comincio ad assumere degli antidepressivi? Perché non riesco a controllarmi e a smettere di pensare a Jacob? In definitiva, lui non ha mai lasciato 87/481 intendere di desiderare altro che una persona con la quale parlare di Saturno e delle frustrazioni che, prima o poi, tutti gli adulti sono costretti a fronteggiare. Non mi sopporto più. La mia esistenza sembra un film in cui la medesima scena si ripete all’infinito. Quando frequentavo la facoltà di giornalismo, ho seguito alcune lezioni di psicologia. In una di esse, il professore – un uomo piuttosto interessante, tanto in aula quanto a letto – disse che durante un’intervista un qualsiasi soggetto passerà invariabilmente attraverso cinque fasi: difesa, esaltazione di sé, autostima, confessione e… tentativo di accomodare la situazione. Nella mia vita, senza bisogno di essere intervistata, sono passata subito dall’autostima alla confessione. Comincio a dire a me stessa cose che sarebbe meglio che rimanessero nascoste. Per esempio: il mondo si è fermato. 88/481 Non solo il mio, ma quello di tutti coloro che mi circondano. Quando ci incontriamo con gli amici, parliamo sempre dei soliti argomenti e delle stesse persone. Sembrano conversazioni nuove, ma costituiscono soltanto uno spreco di tempo ed energia. Ci sforziamo di dimostrare che la vita continua a essere interessante. Tutti si adoperano per controllare la propria infelicità. Non solo Jacob e io ma, con ogni probabilità, anche mio marito: la differenza consiste nel fatto che non lo manifesta. Nella pericolosa fase di confessione in cui mi trovo, queste cose cominciano ad apparire evidenti. Non mi sento sola, no. Sono circondata di persone che vivono i miei stessi problemi, e tutte fingono che la loro vita scorra pacifica e serena. Proprio come me. Come il mio vicino. E, probabilmente, come il mio direttore e l’uomo che dorme al mio fianco. 89/481 Dopo una certa età, si inizia a indossare una maschera fatta di sicurezze e buonsenso. Con il tempo, essa si appiccica al viso, ed è impossibile rimuoverla. Da bambini, impariamo che se piangiamo, riceviamo affetto, e se mostriamo di essere tristi, otteniamo consolazione. Se non riusciamo a convincere con il sorriso, di sicuro ciò accadrà con le lacrime. Ma ormai non piangiamo più – tranne in bagno, dove nessuno ci vede o ci ascolta – né sorridiamo, se non ai nostri figli. Non manifestiamo i nostri sentimenti perché gli altri potrebbero giudicarci vulnerabili e approfittarsene. Dormire è il miglior rimedio. *** Il giorno stabilito, mi incontro con Jacob. Stavolta sono io a scegliere il posto, e ci ritroviamo nel bellissimo, ma poco curato, Parc 90/481 des Eaux-Vives, dove un altro pessimo ristorante beneficia delle sovvenzioni dell’amministrazione municipale. Mi è capitato di pranzare lì con un corrispondente del “Financial Times”. Come aperitivo, ordinammo due Martini, ma il cameriere ci servì del vermouth Cinzano. Nessun pranzo, per il mio incontro con Jacob – solo panini a un tavolo sul prato. Lui può fumare tranquillamente, giacché abbiamo una visione privilegiata di quello che ci circonda. Possiamo vedere chi viene e chi va. Ho deciso di mostrarmi immediata e sincera: dopo le frasi di circostanza (il tempo, il lavoro, “Com’è andata in discoteca?”, “Ci vado stasera”), gli domando subito se lo stanno ricattando per via di… Di una relazione extraconiugale. Non appare sorpreso. Vuole soltanto sapere se sta parlando con la giornalista o con l’amica. 91/481 Con la giornalista, per ora. Se mi conferma la faccenda, posso assicurargli che il giornale lo sosterrà. Non pubblicheremo alcunché riguardo alla sua vita privata, ma ci scateneremo contro i ricattatori. “Sì, ho avuto una storia con la moglie di un amico: immagino che tu lo conosca per via del lavoro. È stato lui a favorirla, dato che entrambi si sentivano prigionieri della routine del matrimonio. Capisci cosa intendo?” Il marito ha incoraggiato la loro storia? No, non lo capisco, tuttavia chino il capo in un cenno affermativo e ripenso a ciò che mi è accaduto l’altra sera, quando ho avuto degli orgasmi multipli con mio marito. “E la relazione continua?” “Entrambi abbiamo perso ogni interesse reciproco. Mia moglie ormai lo sa: ci sono cose che non si possono nascondere. Un nigeriano ci ha fotografati insieme e ora 92/481 minaccia di divulgare le immagini – ma questa non è una novità per nessuno.” “In Nigeria c’è la sede di quella famosa azienda metallurgica, vero? Tua moglie non ha minacciato di chiedere il divorzio?” “È rimasta imbronciata per due o tre giorni, soltanto questo. Ha grandi progetti per il futuro del nostro matrimonio, e immagino che la fedeltà non sia una componente fondamentale. Ha voluto mostrarsi gelosa, in qualche modo, per fingere che fosse una questione importante, ma è una pessima attrice. Poche ore dopo la mia confessione, sembrava aver già dimenticato tutto.” A quanto pare, Jacob vive in un mondo completamente diverso dal mio: le donne non sono gelose, i mariti spingono le mogli a intraprendere delle relazioni extramatrimoniali. Non è che mi stia perdendo troppe cose? “Non esiste niente che il tempo non sia in grado di sanare. Non credi?” 93/481 “Dipende. In molti casi, il tempo può anche aggravare il problema. È quello che sta accadendo a me. Però, io sono qui per intervistarti, non per essere intervistata: di conseguenza, non intendo commentare.” Lui prosegue: “Comunque, i nigeriani ignorano diverse cose. Mi sono accordato con il dipartimento federale delle Finanze per tendergli una trappola. Registreremo tutto, proprio come loro hanno fatto con me.” In quell’istante, vedo librarsi nell’aria il mio articolo, quello che rappresenterebbe la grande occasione per affermarmi in una professione sempre più decadente. Non c’è niente di nuovo da raccontare – né adulteri né ricatti né corruzione. Tutto rientra negli standard svizzeri di qualità ed eccellenza. “Credo che ormai tu abbia saputo tutto ciò che volevi: possiamo passare ad altro?” 94/481 Sì, gli ho chiesto tutto. E, in verità, non mi sovviene nessun altro argomento da affrontare. “Penso che tu non mi abbia chiesto perché ho voluto rivederti. Perché ho voluto sapere se eri felice. Immagini che io sia interessato a te come donna? Non siamo più adolescenti. Confesso che il tuo atteggiamento nel mio ufficio mi ha sorpreso: mi è piaciuto enormemente godere tra le tue labbra, venirti in bocca. Ma non è un motivo sufficiente per rincontrarsi qui, tanto più che non potrà accadere di nuovo in un luogo pubblico. Allora, non vuoi sapere perché ho voluto rivederti?” La scatola magica che conteneva la domanda sulla mia felicità – quella che mi ha colto più alla sprovvista – spande la sua luce in altri angoli oscuri. È possibile che non capisca che queste sono domande da non fare? 95/481 “Soltanto se vuoi dirmelo,” rispondo, per provocarlo e per tentare di disintegrare quella sua aria presuntuosa che mi rende tanto insicura. Poi aggiungo: “Ovviamente mi vuoi portare a letto. Non sarai il primo al quale rifilo un bel ‘no’.” Lui scuote il capo. Fingo di essere perfettamente a mio agio e mormoro una considerazione sulle onde che increspano il lago, di solito piatto. Restiamo a guardarlo per qualche momento, come se fosse la cosa più interessante del mondo. Fino a quando Jacob non riesce a trovare le parole giuste: “Come avrai notato, ti ho chiesto se eri felice perché mi sono riconosciuto in te. I simili si attraggono. È possibile che non sia stato lo stesso per te, ma non importa. Forse sei mentalmente esaurita e vivi nel convincimento che i tuoi problemi – inesistenti: sì, lo sai perfettamente che non esistono – ti stanno prosciugando ogni energia.” 96/481 Ricordo di aver avuto il medesimo pensiero durante il nostro pranzo: le anime in pena si riconoscono e si attraggono per spaventare i vivi. “Provo la stessa sensazione,” continua. “Con la differenza che i miei problemi sono forse più concreti. Comunque, mi sorprendo a odiarmi per non essere riuscito a risolvere questa o quella faccenda, giacché dipendo dall’approvazione di molte altre persone. E questo mi fa sentire inutile. Ho pensato di ricorrere all’aiuto di un medico, di uno specialista, ma mia moglie si è detta contraria. Ha affermato che, se qualcuno lo scoprisse, la mia carriera potrebbe esserne rovinata. Le ho dato ragione.” E così, parla di queste cose con la moglie. Forse stasera lo farò anch’io con mio marito. Anziché andare in discoteca, potrei sedermi di fronte a lui e raccontargli tutto. Come reagirebbe? 97/481 “Naturalmente ho compiuto molti errori. Adesso mi sto sforzando di guardare il mondo con occhi diversi, ma non funziona. Quando trovo qualcuno come te – credimi, ho incontrato tantissime persone che vivono in una condizione analoga –, cerco di avvicinarmi e studiare il modo in cui sta affrontando il problema. Ho bisogno di aiuto, e questa è l’unica maniera per ottenerlo. Capisci?” Ecco di che cosa si tratta veramente, allora. Non è sesso, né una grande avventura romantica che rischiari i grigi pomeriggi di Ginevra. È soltanto una terapia di sostegno, pressoché identica a quella riservata agli alcolisti e ai tossicodipendenti. Mi alzo. Guardandolo negli occhi, gli dico che, in realtà, sono molto felice e gli consiglio di rivolgersi a uno psichiatra. La moglie non può controllare ogni scelta della sua vita. Inoltre, nessuno lo verrebbe a sapere – esiste 98/481 il segreto professionale. Gli racconto della mia amica che, dopo aver seguito una cura a base di psicofarmaci, è guarita. Vuole davvero passare il resto della vita scontrandosi con il fantasma della depressione solo per essere rieletto? È questo che desidera per il suo futuro? Jacob si guarda intorno, alla ricerca di qualcuno in ascolto. Qualche momento prima, l’ho fatto anch’io, pur sapendo che eravamo soli – a parte qualche spacciatore nella zona nord del parco, dietro il ristorante: gente che non ha alcun interesse ad avvicinarci. Non riesco a fermare il flusso delle mie parole. Ascoltando me stessa, frase dopo frase, mi rendo conto che mi sto aiutando. Gli dico che la negatività si autoalimenta. Che deve cercare un’attività che gli dia una qualche gioia – andare in barca a vela o al cinema, oppure leggere. 99/481 “Non si tratta di questo. Non mi hai capito.” Sembra disorientato dalla mia reazione. “E invece ti ho capito, sì. Quotidianamente recepiamo migliaia di informazioni: manifesti in cui adolescenti truccate si fingono donne mature e offrono prodotti miracolosi per una bellezza eterna; storie strabilianti, come quella di una coppia di anziani che ha scalato l’Everest per festeggiare l’anniversario di matrimonio; pubblicità di nuovi e rivoluzionari attrezzi per il massaggio; espositori stipati di prodotti per dimagrire all’interno delle farmacie; film che diffondono un’idea falsa dell’esistenza; libri che promettono risultati fantastici in svariati campi; programmi di sedicenti esperti che consigliano i modi migliori per fare carriera o raggiungere la pace interiore. E tutto questo ci fa sentire vecchi, sfiancati da una vita ovvia e insulsa, mentre la pelle diventa flaccida, i chili si accumulano, e noi siamo 100/481 costretti a reprimere le emozioni e i desideri, perché non rientrano in quella che viene definita ‘maturità’. “Devi selezionare le informazioni che ti arrivano. Metterti uno schermo sugli occhi e un filtro sulle orecchie, e far entrare soltanto ciò che non ti affligge – a buttarti giù, basta la quotidianità. Credi che io non sia giudicata e criticata sul lavoro? Certo che sì, ogni benedetto giorno! Semplicemente ho scelto di prestare ascolto soltanto a ciò che mi fornisce uno stimolo per migliorare, a quello che mi aiuta a correggere i miei errori. Evito di ascoltare tutto il resto, oppure lo scarto senza prenderlo davvero in considerazione. “Sono venuta qui per chiederti spiegazioni su una storia complicata, nella quale si fondevano adulterio, ricatto e corruzione. Ma te la sei cavata in un modo splendido. Davvero non riesci a vederlo?” Quasi senza riflettere, mi risiedo accanto a lui, gli prendo la testa tra le mani perché non 101/481 possa sfuggirmi e gli do un lungo bacio. Jacob esita per una frazione di secondo, ma poi ricambia. Immediatamente, tutte le mie sensazioni d’impotenza, fragilità, fallimento e insicurezza lasciano il campo a un’immensa euforia. All’improvviso, sono diventata saggia, ho ripreso il controllo della situazione e ho trovato il coraggio di fare qualcosa che prima osavo soltanto immaginare. Sto avventurandomi in terre sconosciute e mari perigliosi, distruggendo piramidi e costruendo santuari. Adesso sono ancora padrona dei miei pensieri e delle mie azioni. Ciò che al mattino sembrava impossibile, nel pomeriggio è divenuto reale. Ora sento di nuovo, posso amare qualcosa che non possiedo; il vento non mi infastidisce più, anzi è diventato una benedizione, la carezza di una divinità sulla mia guancia. Il mio spirito è tornato. Mi sembra che durante il bacio siano passate centinaia d’anni. I nostri visi si 102/481 allontanano piano. Jacob mi accarezza il capo con dolcezza, ci guardiamo negli occhi: è uno sguardo che si perde nelle profondità dell’animo. Poi, di colpo, ritroviamo quel che abbiamo lasciato neppure un minuto prima. La tristezza. Che va a sommarsi alla stupidità e all’irresponsabilità di un gesto che – perlomeno nel mio caso – aggraverà la situazione. Restiamo insieme ancora per mezz’ora, chiacchierando della città e dei suoi abitanti, come se non fosse successo niente. Credo che fossimo molto vicini, quando siamo arrivati al Parc des Eaux-Vives; poi, nel momento del bacio, ci siamo fusi in un solo essere; adesso, invece, sembriamo due estranei che si sforzano di mantenere viva la conversazione, fino a quando ciascuno si deciderà a riprendere la propria strada senza grande imbarazzo. Non ci ha visto nessuno – non siamo in un ristorante. I nostri matrimoni sono salvi. 103/481 Vorrei chiedergli scusa, ma so che non è necessario. In fin dei conti, un bacio è soltanto un bacio. *** Non posso dire di sentirmi vittoriosa, ma perlomeno ho recuperato un briciolo di controllo su me stessa. A casa, tutto è uguale a sempre: prima stavo malissimo, e ora sto un po’ meglio, ma nessuno mi ha domandato niente. Mi comporterò come Jacob König: parlerò con mio marito dello strano stato d’animo nel quale vivo. Mi confiderò con lui, e sono certa che saprà aiutarmi. Eppure oggi tutto funziona alla perfezione! Perché rovinare questa bella realtà, confessando episodi dei quali non conosco nemmeno il valore? Continuo a lottare. Non credo che i miei tormenti attuali abbiano un qualche rapporto con la mancanza di taluni 104/481 elementi chimici nel mio organismo, come affermano certi siti internet in cui si parla anche di “tristezza compulsiva”. Oggi non sono triste: si tratta dell’inevitabile susseguirsi delle fasi della vita. Mi ricordo di quando la mia comitiva del liceo organizzò la festa di addio: passammo due ore a ridere a crepapelle e, alla fine, scoppiammo in un pianto dirotto, perché quell’allegra serata indicava che ci stavamo separando per sempre. La tristezza si protrasse per alcuni giorni, o forse per alcune settimane: non rammento con precisione. Ma il fatto che non ricordi è eloquente: tutto è passato. Superare i trent’anni è estremamente difficile e, con ogni probabilità, non ero ancora pronta. Mio marito sale al piano di sopra per mettere a letto i bambini. Io mi verso un bicchiere di vino ed esco in giardino. Il vento non è cessato. È qualcosa di familiare, qui, e soffia per tre, sei o nove giorni. In 105/481 Francia, un paese molto più romantico della Svizzera, lo chiamano “Mistral”, ed è sempre foriero di cieli tersi e temperature rigide. Se queste nuvole si allontanassero, domani sarebbe una splendida giornata di sole. Continuo a pensare alla conversazione nel parco, a quel lungo bacio. Non provo alcun pentimento. Ho fatto qualcosa che non mi ero mai permessa prima, e così ho cominciato ad abbattere i muri che mi imprigionavano. Mi importa assai poco di ciò che pensa Jacob König: non posso passare la vita cercando di compiacere gli altri. Finisco il bicchiere di vino, lo riempio di nuovo e, dopo tanti mesi, mi gusto queste prime ore in cui provo un sentimento diverso dall’apatia e dalla sensazione di inutilità. Mio marito scende perfettamente vestito e mi domanda quanto tempo mi ci voglia per prepararmi. Mi ero dimenticata che avevamo deciso di andare a ballare stasera. 106/481 Salgo di corsa a vestirmi. Quando ritorno a pianterreno, noto che è arrivata la babysitter filippina e ha sparpagliato i libri sul grande tavolo della sala. I bambini sono già a letto e non dovrà quasi occuparsi di loro: ne approfitterà per studiare – sembra che odi la televisione. Siamo pronti per uscire. Ho indossato uno dei miei abiti più eleganti, forse inadatto in un ambiente piuttosto informale. Ma che cosa importa? Devo festeggiare. *** Mi sveglio per il rumore di una persiana sbattuta dal vento: mio marito avrebbe dovuto verificare che fosse chiusa bene. Ora mi devo alzare per il solito rituale notturno: andare nella camera dei bambini per controllare che dormano sereni. Qualcosa, però, me lo impedisce. Che sia un effetto di ciò che ho bevuto? Mi ritrovo a 107/481 pensare alle onde che increspavano il lago, alle nuvole che ormai si sono dissolte e alla persona con cui stavo. Della discoteca ricordo assai poco: entrambi abbiamo trovato la musica insopportabile e l’ambiente noiosissimo. Mezz’ora dopo eravamo di ritorno a casa, ai nostri fedeli computer e tablet. E tutte le cose che ho detto a Jacob oggi pomeriggio? Non dovrei approfittare di questo momento per riflettere su me stessa? Ma questa stanza mi soffoca. Il mio meraviglioso marito dorme accanto a me: a quanto pare, non ha udito il rumore della persiana. Penso a Jacob disteso al fianco della moglie, mentre le racconta ogni sua sensazione (sono certa che tacerà al mio riguardo), sollevato dal fatto di avere qualcuno che può aiutarlo quando si sente più solo. Non credo alla sua descrizione di lei: se fosse davvero così, si sarebbero già separati – in fondo, non hanno neppure figli! 108/481 Mi domando se il Mistral abbia svegliato anche lui e di che cosa stiano parlando in questo momento. Dove abitano? Non è difficile scoprirlo: questo genere di informazioni è facilmente reperibile in redazione. Avranno fatto l’amore stasera? L’avrà penetrata con passione? Lei avrà mugolato di piacere? Sono sempre più sorpresa dal modo in cui mi comporto con lui. Sesso orale, consigli assennati, un bacio nel parco: non sembro nemmeno io! Chi è la figura femminile che si impadronisce di me quando sono con Jacob? L’adolescente provocante. Quella ragazza che aveva la sicurezza di una roccia e la forza del vento che oggi flagellava le acque del lago Lemano, di solito calme. È curioso il fatto che, quando ci si ritrova con i compagni di scuola, si pensi che siano rimasti gli individui del passato – e invece l’amico deboluccio è diventato forte, la più bella della classe ha un marito impresentabile, i due tizi inseparabili si sono allontanati e non si vedono da anni. 109/481 Ma con Jacob, almeno nei primi momenti del nostro incontro, sono stata io a tornare indietro nel tempo, fino a essere la ragazza che non teme alcuna conseguenza, perché ha soltanto sedici anni e il ritorno di Saturno che le porterà la maturità è ancora lontano. Tento di dormire, ma non ci riesco. Passo più di un’ora a pensare ossessivamente a lui. Poi mi viene in mente il vicino che lava la macchina: impegnato in un’attività che reputavo insulsa, avevo concluso che la sua vita fosse “senza senso”. Non stava facendo qualcosa di inutile: probabilmente si divertiva, s’impegnava in un esercizio fisico e accettava le cose semplici della vita come una benedizione, non come un’incombenza fastidiosa o una maledizione. Ecco che cosa mi manca: rilassarmi e godermi di più la vita. Non posso continuare a pensare a Jacob. Sto sostituendo la mia mancanza di allegria con qualcosa di concreto: un uomo. Ma non si tratta di questo. 110/481 Se mi rivolgessi a uno psichiatra, mi direbbe che il problema è un altro: la carenza di litio, una produzione assai bassa di serotonina, cose del genere. Il disagio non si è manifestato con l’arrivo di Jacob e non scomparirà con il suo allontanamento. E tuttavia non riesco a dimenticarlo. La mente rivisita decine, centinaia di volte il momento del nostro bacio. Mi rendo conto che il mio inconscio sta trasformando un problema immaginario in una difficoltà reale. Accade sempre così: ecco il motivo per cui insorgono le malattie. Non voglio più vedere quell’uomo in vita mia. È un emissario del demonio, mandato per destabilizzare qualcosa che era già insicuro, fragile. Come ho potuto innamorarmi così rapidamente di una persona che ormai neppure conosco? E poi… chi ha detto che sono innamorata? D’accordo, ho dei problemi, ma sono iniziati con la primavera. Se fino ad allora tutto è andato bene, non 111/481 vedo il motivo per cui la mia vita non debba tornare a funzionare. Mi ripeto quanto ho già avuto modo di dirmi: ‘È una fase, soltanto questo.’ Non posso mantenere vivo il fuoco e continuare a perseguire comportamenti nocivi. Non è forse questo che ho voluto fargli intendere oggi pomeriggio? Devo resistere e aspettare che la “crisi” passi. Altrimenti corro il rischio di innamorarmi per davvero, di vivere in modo permanente le sensazioni che ho avvertito per una frazione di secondo quando abbiamo pranzato insieme la prima volta. E, se ciò dovesse accadere, non riuscirò a mantenere tutto chiuso dentro di me. Al contrario, la sofferenza e il dolore dilagheranno ovunque. Mi rigiro nel letto per un periodo di tempo pressoché infinito; poi cedo al sonno e, dopo quello che mi sembra un istante, mio marito mi sveglia. È giorno, il cielo è azzurro e il Mistral continua a soffiare. 112/481 *** “È l’ora della colazione. Non preoccuparti: i bambini li preparo io.” “Perché non ci scambiamo i ruoli, almeno una volta? Tu vai in cucina e io vesto i bambini per la scuola.” “È una sfida? Be’, allora avrai la miglior colazione che tu abbia mai consumato in questi anni.” “No, non si tratta di una sfida: è soltanto un tentativo di introdurre qualche variante nella nostra quotidianità. A ogni modo, vuoi forse dire che la mia colazione non è particolarmente buona?” “Senti, è ancora presto per discutere. Forse ieri sera abbiamo bevuto troppo, e la frequentazione delle discoteche non si addice alle persone della nostra età. Comunque, d’accordo, prepara tu i bambini.” 113/481 Si allontana prima che possa rispondere. Prendo il cellulare e controllo gli impegni che mi attendono in questo nuovo giorno. Scorro la lista delle incombenze che dovrò obbligatoriamente portare a termine. Quanto più lungo è l’elenco, tanto più produttiva sarà la mia giornata. Molte annotazioni dell’organizer riguardano cose che mi ero ripromessa di fare il giorno prima, o nel corso della settimana, e che finora non sono riuscita a evadere. Ecco perché la lista continua ad allungarsi: di tanto in tanto, però, vengo assalita da una sorta di furore e cancello tutto, per ricominciare daccapo. È in quel momento che mi rendo conto che niente era davvero importante. Nelle annotazioni non figurano un paio di attività delle quali, di sicuro, non mi dimenticherò: scoprire dove abita Jacob König e trovare un momento per passare in macchina davanti a casa sua. 114/481 Quando scendo, la tavola è apparecchiata alla perfezione – una grossa ciotola con la macedonia di frutta, un’ampolla con l’olio d’oliva, un tagliere di formaggi, pane integrale, yogurt, susine. C’è anche una copia del mio giornale, posato a sinistra della tazza per il caffè – un gesto davvero gentile. Da tempo, mio marito ha abbandonato la carta stampata e legge le riviste e i quotidiani sull’iPad. Il nostro figlio maggiore chiede che cosa significa “ricatto”. Non mi spiego la sua domanda, fino al momento in cui il mio sguardo scivola sull’articolo in prima pagina, dove campeggia una grande foto di Jacob – una delle molte inviate alla stampa. Ha un’aria pensierosa, riflessiva. Accanto all’immagine, il titolo: “Deputato denuncia un tentativo di ricatto”. Non sono io l’autrice del pezzo. Mentre ero ancora per strada, il direttore mi aveva telefonato per dirmi che potevo annullare l’appuntamento con König: avevano appena 115/481 ricevuto un comunicato dal dipartimento federale delle Finanze e stavano lavorando al caso. Gli avevo spiegato che l’incontro era già avvenuto, che si era svolto in maniera più rapida di quanto avessi immaginato e che non era stato necessario usare la “procedura di routine”. A quel punto, il caposervizio della cronaca mi aveva spedito in un sobborgo (che si considera città, e ha persino un consiglio comunale) per “coprire” la protesta contro un negozio di alimentari accusato di vendere cibi scaduti. Avevo ascoltato il proprietario dell’esercizio, i vicini di casa e i loro amici, ed ero sicura che, per il pubblico, questo argomento fosse ben più interessante del fatto che un politico avesse denunciato un tentativo di estorsione. Tra parentesi, stamane l’articolo era in prima pagina, ma senza alcun rilievo: “Cibi scaduti: negozio di alimentari multato. Finora nessun intossicato in ospedale”. 116/481 La foto di Jacob sul tavolo della colazione mi disturba profondamente. Dico a mio marito che stasera vorrei parlargli. “Lasceremo i bambini da mia madre e andremo a cena fuori,” replica lui. “Anch’io ho voglia di passare un po’ di tempo con te. Noi due soli. E senza il rumore di quell’orribile musica da discoteca: non riesco proprio a capire come possa aver successo.” *** Era una mattina di primavera. Io mi trovavo in un angolo del piccolo parco, in una zona di solito deserta. Contemplavo le mattonelle del muro della scuola. Sapevo che c’era in me qualcosa che non andava. Gli altri bambini dicevano che mi davo arie di superiorità, e io non facevo alcunché per smentirli. Al contrario! Volevo che mia 117/481 madre continuasse a comprarmi abiti griffati e mi accompagnasse a scuola con l’automobile di lusso. Poi, quel giorno nel parco, mi resi conto di essere davvero sola. E che forse sarei rimasta tale per il resto dei miei giorni. Sebbene avessi soltanto otto anni, mi sembrava già troppo tardi per cambiare, per dire agli altri che, in realtà, ero come loro. *** Era estate. Frequentavo il liceo, e i ragazzi si inventavano sempre modi nuovi per corteggiarmi, sebbene mi sforzassi di tenerli a distanza. Le altre ragazze mi invidiavano, non accettavano quella sorta di privilegio; ma, nonostante questo, cercavano di diventarmi amiche e di stare sempre con me – per prendere ciò che rifiutavo. 118/481 E io rifiutavo praticamente tutti, perché sapevo che, se qualcuno fosse riuscito a entrare nel mio mondo, non avrebbe scoperto nulla di interessante. Preferivo rifugiarmi in quell’aria di mistero, lasciando immaginare agli altri delizie di cui non avrebbero mai goduto. Un giorno, mentre tornavo a casa, notai alcuni funghi spuntati dopo la pioggia. Si stagliavano nel verde, intoccati: tutti sapevano che erano velenosi. Per una frazione di secondo, considerai l’idea di mangiarli. Non ero particolarmente triste: volevo solo attirare l’attenzione dei miei genitori. Alla fine, decisi di non toccarli. *** Oggi è il primo giorno d’autunno, la stagione più bella dell’anno. Fra poco le foglie cambieranno colore, e ogni albero sarà 119/481 diverso dall’altro. Mentre sto raggiungendo il parcheggio, decido di prendere una strada che abitualmente non percorro. Mi fermo davanti alla scuola della mia infanzia. Il muro di mattonelle c’è ancora. Niente è cambiato, a parte il fatto che non sono più sola. Mi accompagna il ricordo di due uomini: uno che non avrò mai, e un altro con il quale andrò a cena stasera, in qualche splendido ristorante – mi porterà in un posto speciale, scelto con cura. Un uccello incrocia nel cielo: sembra giocare con il vento. Va ora a destra ora a sinistra, sale e scende, come se i suoi movimenti fossero dettati da qualche regola per me incomprensibile. Forse l’unica regola è quella del proprio divertimento. *** Ma io non sono un uccello, e non riuscirei a vivere la mia esistenza giocando. Molti 120/481 amici, magari meno facoltosi di me e mio marito, passano da un viaggio all’altro, da un ristorante all’altro. Ho tentato di comportarmi anch’io così, ma non ci sono riuscita. Grazie all’influenza del mio consorte, ho trovato un impiego. Lavorando, occupo il tempo, mi sento utile e do un senso alla vita. Un giorno, i miei figli saranno orgogliosi della loro madre; le mie amiche d’infanzia, invece, si sentiranno ancora più frustrate, perché io sono riuscita a costruire qualcosa di concreto, mentre loro dedicano ogni energia alla cura della casa, dei figli e del coniuge. Non so se tutti avvertano il mio stesso desiderio di far colpo sugli altri. Io lo vivo quotidianamente, e non lo nego: è stato un elemento positivo per la mia vita e mi ha spronato in molte situazioni. È qualcosa di benefico, purché non mi esponga a rischi superflui. Purché io riesca a conservare ogni cosa del mio mondo esattamente com’è oggi. 121/481 Appena arrivo al giornale, controllo gli archivi digitali delle informazioni sul governo. In meno di un minuto, entro in possesso dell’indirizzo di Jacob König, oltre a notizie su dove ha studiato e quanto guadagna; apprendo anche il nome di sua moglie e dove lavora. *** Mio marito ha scelto un ristorante a metà strada tra la nostra casa e il mio ufficio. Ci siamo già stati più volte: si chiama “Le Valon”. Ho apprezzato il cibo, il vino e l’ambiente – tuttavia, continuo a pensare che la cucina casalinga sia migliore. Tranne rari casi, ceno fuori solo quando la “vita sociale” me lo impone. Adoro cucinare. Adoro stare con la famiglia, avere la sensazione di proteggere i miei cari e, nel contempo, di sentirmi protetta. 122/481 Tra le attività inevase del mio elenco del giorno c’è “Passare in macchina davanti a casa di Jacob König”. Sono riuscita a resistere all’impulso. Devo affrontare già troppe difficoltà immaginarie per aggiungervi il problema reale di un amore non corrisposto. Quel che sentivo ormai è passato. Non ricapiterà. Sono attesa da un futuro di pace, speranza e prosperità. “Dicono che sia cambiata la gestione, e la qualità dei piatti sia diminuita,” commenta mio marito. Non ha importanza. Nei ristoranti, il cibo è sempre uguale: tanto burro, pietanze molto decorate e, visto che viviamo in una delle città più care del mondo, un prezzo esorbitante che non vale assolutamente il menù servito. Ma cenare fuori è un rito. Siamo accolti dal maître, che ci accompagna al “nostro” tavolo (lo sottolinea, anche se è da tempo che non mettiamo piede nel locale), ci domanda se 123/481 desideriamo il solito vino (certo che sì) e ci porge il menù. Lo scorro dall’inizio alla fine, prima di scegliere il piatto di sempre. Anche mio marito opta per il tradizionale “Agnello arrosto con lenticchie”. Il maître torna per illustrarci le specialità del giorno: ascoltiamo educatamente, commentiamo con un paio di parole gentili e ordiniamo le nostre pietanze abituali. *** Il primo bicchiere di vino – nessun esame meticoloso né assaggio rituale, visto che siamo sposati da dieci anni – finisce rapidamente, fra discorsi di lavoro e lamentele riguardo alla mancata visita dell’artigiano incaricato del controllo dell’impianto di riscaldamento di casa. “Come vanno gli articoli sulle elezioni di domenica prossima?” domanda mio marito. 124/481 “Mi hanno assegnato un argomento che reputo particolarmente interessante: ‘La vita privata di un politico può essere giudicata dagli elettori?’ Il pezzo costituisce un approfondimento dell’articolo che era in prima pagina stamane, quello in cui si parlava del deputato ricattato dai nigeriani. L’opinione generale degli intervistati è: ‘Non ci riguarda. Non siamo come gli Stati Uniti, e questo è un motivo d’orgoglio.’” Chiacchieriamo di altri argomenti d’attualità: la percentuale di votanti è salita del 38% rispetto all’ultima elezione per il Consiglio Nazionale; gli autisti del TPG (Transports Publics Genevois) si lamentano per i turni pesanti, ma sono contenti del loro lavoro; una donna è stata investita mentre attraversava sulle strisce pedonali; un treno ha deragliato, bloccando la circolazione ferroviaria per oltre due ore, e altre futilità del genere. 125/481 Mi verso un secondo bicchiere di vino, senza aspettare l’antipasto offerto dalla casa e senza domandare a mio marito com’è andata la sua giornata. Lui ha ascoltato con espressione interessata tutti i miei racconti. A questo punto, si starà domandando perché siamo qui. “Oggi mi sembri allegra,” dice, dopo che il cameriere ci ha servito la portata principale. All’improvviso, mi rendo conto che sto parlando ininterrottamente da venti minuti. “È successo qualcosa di speciale?” Se mi avesse fatto questa domanda il giorno in cui sono stata al Parc des EauxVives, sarei arrossita e avrei elencato la lista di scuse che mi ero preparata. E invece non ho niente da nascondere: la giornata è trascorsa nel solito tran tran, nonostante io mi sia sforzata di convincermi che sono molto importante per il mondo. “Allora, di che cosa volevi parlarmi?” 126/481 Mi preparo a confessare tutto, e porto alle labbra il terzo bicchiere di vino. A quel punto si avvicina il maître, cogliendomi di sorpresa mentre sto per saltare nell’abisso. Scambiamo qualche parola senza importanza: preziosi momenti della mia vita vengono sprecati fra gentilezze reciproche. Mio marito ordina un’altra bottiglia di vino. Dopo averci augurato buon appetito, l’uomo si allontana per andare a prenderla. È allora che comincio: “Mi dirai che ho bisogno di un medico. Be’, non è così. Rispetto tutti gli impegni e non mi sottraggo alle varie incombenze, in casa e al lavoro. Ma da alcuni mesi sono triste…” “Be’, francamente ne sono stupito. Ti ho appena detto che mi sembri più allegra.” “Certo. La mia tristezza è ormai diventata una routine: non la nota più nessuno. Sono felice di avere qualcuno con cui parlarne. Comunque, ciò che voglio dirti non riguarda affatto la mia apparente allegria. Non riesco 127/481 più a dormire bene. Mi sento egoista. Cerco di far colpo sugli altri, come se fossi ancora una bambina. Mi rifugio in bagno a piangere, senza alcun motivo. Negli ultimi mesi, ho fatto l’amore con trasporto soltanto una volta – e tu sai perfettamente quando è accaduto. Mi sono detta che tutto ciò appartiene a una fase di passaggio, che è una conseguenza dell’aver superato la soglia dei trent’anni, ma queste spiegazioni non mi bastano. Credo di star sprecando la mia vita: temo che un giorno mi guarderò indietro e mi pentirò di ogni cosa che ho fatto. Tranne che di essermi sposata con te e di avere avuto i nostri bellissimi figli.” “Ma questa non è la cosa più importante?” “Per molte persone, sì. Ma, per me, non è E le mie condizioni peggiorano sempre più. Dopo aver concluso gli impegni della giornata, nella mia testa inizia un dialogo interminabile. Ho il terrore che le cose cambino ma, nel contempo, avverto un 128/481 enorme desiderio di vivere qualcosa di diverso. I pensieri si affollano, si intersecano, si ripetono – e io non riesco più ad avere il controllo su niente. Non ti rendi conto di nulla perché stai dormendo. Ieri sera, ti sei accorto della persiana che sbatteva per il Mistral?” “No. Ma mi sembra di averle chiuse tutte.” “Ecco cosa voglio dire. Persino un vento che ha soffiato migliaia di volte dal giorno del nostro matrimonio riesce a svegliarmi. E accade anche quando ti giri nel letto o parli nel sonno. Non si tratta di una critica personale, credimi, ma a me sembra di essere circondata da un mondo assolutamente insensato. Per sgombrare il campo da ogni dubbio: amo i nostri figli e amo te. E adoro il mio lavoro. Ma tutto questo mi fa solo sentire peggio, giacché mi comporto in modo ingiusto con Dio, con la vita, con tutti.” Mio marito non ha quasi toccato cibo. È come se si trovasse davanti a un’estranea. 129/481 Dopo aver pronunciato quelle parole, mi sono sentita pervasa da una pace immensa. Ho rivelato il mio segreto. Avverto gli effetti del vino. Non sono più sola. Grazie, Jacob König. “Non pensi che sarebbe il caso di consultare un medico?” “Non lo so. Ma, se anche fosse così, mi rifiuto categoricamente di farlo. Devo imparare a risolvere i miei problemi da sola.” “Immagino che sia estremamente difficile riuscire a nascondere questo disagio, queste emozioni per tanto tempo. Grazie per avermi concesso la tua fiducia. Per quale motivo non me ne hai parlato prima?” “Perché solo negli ultimi tempi le cose sono diventate insopportabili. Oggi mi sono ricordata della mia infanzia e della mia adolescenza. Mi sono chiesta se il seme fosse già lì. Penso di no. A meno che la mia mente non mi abbia tradito per tutti questi anni – un’eventualità che reputo praticamente 130/481 impossibile. Vengo da una famiglia normale, ho avuto un’educazione normale, conduco una vita normale. Cosa c’è di sbagliato in me? Prima…” dico, fra le lacrime, “pensavo che la ‘crisi’ sarebbe passata presto, e non volevo preoccuparti.” “Di certo, non sei matta. Non hai lasciato trasparire niente, neppure per un istante. Non ti sei mostrata più irritabile, né hai perso peso. Se esiste un problema, esiste anche una via d’uscita.” Chissà perché ha parlato di perdere peso? “Potrei chiedere al nostro medico di prescriverti qualche ansiolitico che ti aiuti a dormire. Anzi, gli dirò che serve a me. Sono convinto che, se riuscirai a riposare, a poco a poco tornerai a dominare i tuoi pensieri. Forse dovremmo fare più esercizio fisico. Ai bambini piacerebbe tantissimo. Siamo troppo concentrati sul lavoro, e questo non va bene.” 131/481 Io non sono troppo concentrata sul lavoro. Contrariamente a ciò che pensa mio marito, quei reportage idioti mi aiutano a tenere la mente occupata, evitando che i pensieri incontrollabili s’impossessino di me, come accade non appena non ho qualcosa da fare. “In qualsiasi caso, abbiamo proprio bisogno di fare dell’esercizio fisico, di stare all’aria aperta. Di correre a perdifiato, fino a crollare per la stanchezza. E poi… magari dovremmo invitare più gente a casa…” Questo sarebbe l’incubo finale! Dover conversare, intrattenere gli ospiti, avere sempre un sorriso (forzato) sulle labbra, ascoltare disamine e opinioni sulla lirica e sul traffico e, alla fine, essere obbligata a rassettare la casa. “Durante il weekend, potremmo andare al parco dell’Haut Jura. È molto tempo che non facciamo una gita da quelle parti.” “Questo fine settimana ci sono le elezioni. E io sarò di turno al giornale.” 132/481 Restiamo in silenzio. Per due volte, il cameriere è venuto a vedere se avevamo terminato di mangiare, ma le nostre pietanze erano intoccate. La seconda bottiglia di vino finisce presto. Immagino che ora mio marito stia pensando a un modo per aiutarmi: ‘Come devo comportarmi? Cosa posso fare per renderla felice?’ Niente. Niente, oltre a quello che fa già. Qualsiasi altra cosa – presentarsi con una scatola di cioccolatini o un mazzo di fiori ecc. – la considererei un eccesso di affetto, e ne sarei profondamente disturbata. Riprendiamo a parlare e giungiamo alla conclusione che nessuno dei due è in condizione di guidare per tornare a casa: dovremo lasciare l’auto nel parcheggio del ristorante e venire a riprenderla domani. Telefono a mia suocera, le chiedo di ospitare i bambini per la notte. Domattina presto, li andrò a prendere per accompagnarli a scuola. 133/481 “Ma che cosa ti manca esattamente nella vita?” “Ti prego, non chiedermelo. Perché la risposta sarebbe: ‘Niente.’” Niente! Magari avessi dei problemi seri da risolvere. Non conosco nessuno che si trovi nella mia stessa situazione. Persino una mia amica, che per anni è stata depressa, si sta curando con successo. Io non penso di averne bisogno, perché non ho tutti i sintomi che mi ha descritto. In qualsiasi caso, mi rifiuto di affidarmi agli psicofarmaci, di entrare nel pericoloso mondo delle droghe legali. Quanto agli altri, possono essere irritabili, stressati, afflitti per una pena amorosa – e, in quest’ultimo caso, immaginare di essere depressi e di aver bisogno di medici e farmaci. Ma per me non è affatto così: penso che sia soltanto un cuore spezzato, qualcosa che accade dall’alba del mondo, da quando l’uomo ha scoperto quell’entità misteriosa che si chiama “Amore”. 134/481 “Se non vuoi andare da un medico, perché non cerchi di documentarti sull’argomento?” “Ovviamente, l’ho già fatto. Ho speso moltissime ore consultando siti che si occupano di psicologia. Mi sono dedicata più assiduamente allo yoga. Non hai notato che i miei ultimi libri acquistati rivelano un cambiamento di gusti letterari? Hai forse pensato che i miei interessi si fossero indirizzati verso il lato spirituale delle cose?” No! Sto cercando una risposta che non trovo. Dopo aver letto una decina di libri intrisi di principi di saggezza, ho capito che non mi portavano da nessuna parte. Avevano un effetto immediato ma, appena li chiudevo, quelle regole non funzionavano più. Erano parole, frasi che descrivono un mondo ideale che probabilmente non esiste neppure per chi le ha concepite. “Ma adesso, qui, a cena, ti senti meglio?” “Sicuro. Ma non si tratta di questo. Io voglio sapere in chi mi sono trasformata. Ora 135/481 sono così nel mio intimo, e ho un assoluto bisogno di comprendere.” Capisco che sta tentando disperatamente di aiutarmi, ma è smarrito quanto me. Insiste sui sintomi, e io gli ripeto che non è questo il problema, che ogni cosa può dirsi un sintomo. “Hai presente l’idea di un buco nero spugnoso?” “Vagamente.” “Ecco, è così.” Mi rassicura sul fatto che uscirò da questa situazione. Non devo giudicarmi. Non devo incolparmi per niente di ciò che mi sta accadendo. Lui è accanto a me. “Alla fine del tunnel c’è la luce.” Voglio crederlo, ma i miei piedi sono imprigionati dal cemento. “Comunque, non preoccuparti: continuerò a lottare. Ho lottato per lunghi mesi. Ho già affrontato periodi simili e, alla fine, tutto si è risolto. Un giorno mi sveglierò e, d’un tratto, questo sarà stato 136/481 soltanto un incubo lontano. Sono profondamente fiduciosa.” Mio marito chiede il conto; poi mi prende per mano. Chiamiamo un taxi. Io mi sento meglio. Aver fiducia in chi si ama dà sempre ottimi risultati. *** Jacob König, che cosa stai facendo nella mia camera, nel mio letto, nei miei incubi? Dovresti essere al lavoro: in definitiva, mancano meno di tre giorni all’elezione del Consiglio Nazionale e hai già sprecato ore preziose per la tua campagna, pranzando con me alla Perle du Lac e chiacchierando nel Parc des Eaux-Vives. Non ti sembra sufficiente? Perché insisti nell’aggirarti nei miei sogni e nei miei incubi? Ho fatto esattamente ciò che mi hai suggerito: ho parlato con mio marito – mi sono resa conto dell’amore che prova per me. 137/481 E quella sensazione che la felicità sia stata risucchiata dalla mia vita scompare quando facciamo l’amore in una maniera che avevamo dimenticato da tempo. Ti prego, vattene dai miei pensieri. Domani sarà una giornata difficile. Dovrò svegliarmi presto per portare i bambini a scuola, andare al supermercato, trovare un posteggio, pensare a un articolo originale su qualcosa di davvero scontato come la politica… Lasciami in pace, Jacob König. Vivo felice nel mio matrimonio. Anche se sto pensando a te: qualcosa che non sai e che non immagini nemmeno. Stasera vorrei che qualcuno mi raccontasse una storia a lieto fine, che intonasse una ninnananna per farmi addormentare… E invece no: riesco soltanto a pensare a te. Sto perdendo di nuovo il controllo. Malgrado sia una settimana che non ci vediamo, tu continui a essere presente. 138/481 Se non sparirai, mi vedrò costretta a farti visita a casa, a prendere un tè anche con tua moglie, per rendermi conto del fatto che siete felici, che io non ho alcuna chance, che tu hai mentito quando dicevi di vederti riflesso nei miei occhi e hai consapevolmente lasciato che mi ferissi con quel bacio neppure richiesto. Mi aspetto che tu mi capisca, prego per questo, perché neanch’io riesco a comprendere che cosa sto chiedendo. Mi alzo: voglio fare una ricerca in internet su “Come conquistare un uomo”. Invece digito la parola “depressione”. Devo essere assolutamente certa di cosa mi sta succedendo. Entro in un sito che permette all’utente di fare un’autodiagnosi: “Scopri se hai qualche problema psichico”. Mi trovo di fronte a una lista di domande: alla maggioranza di esse, rispondo: “No.” 139/481 Risultato: “È possibile che tu stia passando un momento difficile, ma nessun elemento indica che sei un soggetto depresso. Non hai bisogno di rivolgerti a uno psicoterapeuta.” Non l’avevo forse detto? Lo sapevo. Non sono malata. A quanto pare, sto inventandomi ogni cosa solo per attirare l’attenzione. O per ingannare me stessa, per rendere la mia vita più interessante, visto che ho dei problemi! I problemi richiedono sempre delle soluzioni, e io posso dedicare le mie ore, i miei giorni, le mie settimane alla loro ricerca. Forse è davvero una buona idea che mio marito chieda al nostro medico un farmaco per aiutarmi a dormire. Chissà che non sia lo stress sul lavoro – soprattutto in questo periodo di elezioni – la causa del mio stato? Vorrei sempre essere migliore degli altri, sia nella professione sia nella vita personale, ed è piuttosto difficile gestire tali aspettative. *** 140/481 Oggi è sabato, la vigilia delle elezioni. Ho un amico che sostiene di odiare i finesettimana perché la Borsa è chiusa e lui non ha altre distrazioni. Mio marito mi ha convinto che abbiamo bisogno di uscire. Ha motivato la decisione con il fatto che dobbiamo portare a spasso i bambini. Non possiamo star fuori due giorni, giacché domani sarò di turno al giornale. Mi suggerisce di indossare la tuta da jogging. Provo un grande imbarazzo al pensiero di vestirmi in quel modo, soprattutto per andare a Nyon, l’antica città che è stata un’importante colonia romana e ora conta meno di 20.000 abitanti. Replico dicendo che uso la tuta soltanto nei dintorni di casa, quando corricchiamo e facciamo esercizio fisico, ma lui insiste. Poiché non ho intenzione di questionare, mi adeguo ai suoi desideri. Di certo, non voglio più discutere con nessuno – è la mia 141/481 condizione attuale. Quanto più sto zitta, tanto meglio è. Mentre io farò una gita con picnic in una cittadina a meno di trenta minuti di auto da casa, Jacob sarà impegnato negli ultimi incontri con gli elettori, scambiando opinioni e consigli con assistenti e amici, agitato e forse stressato, ma contento per il fatto che la routine della sua vita sia infranta per qualche ora. In Svizzera, i sondaggi di opinione non contano molto, perché il voto è davvero segreto: in qualsiasi caso, sembra che verrà rieletto. Sua moglie avrà trascorso una notte insonne, ma per motivi assai differenti dai miei. Starà finendo di organizzare il ricevimento per gli amici, dopo la proclamazione dei risultati ufficiali. Andrà al mercato in Rue de Rive, dove settimanalmente vengono piazzati banchetti di legumi, verdure e carni di fronte all’ingresso della banca Julius Baer e alle vetrine di Prada, di Gucci, di Armani e 142/481 di altre prestigiose griffes. Sceglierà i prodotti migliori, senza preoccuparsi del prezzo. Poi, forse, prenderà l’auto e raggiungerà Satigny, per fare acquisti in una delle molte cantine che costituiscono l’orgoglio della zona: assaggerà varie annate di ogni etichetta e opterà per un vino che possa piacere ai veri intenditori – come suo marito, per esempio Tornerà a casa stanca, ma felice. Ufficialmente, la rielezione di Jacob non è avvenuta, ma perché non preparare la festa in anticipo? Mio Dio, ora si rende conto che il formaggio è troppo poco! Risale in auto e torna al mercato. Fra le decine di varietà esposte su un banco, sceglie quelle che rappresentano l’orgoglio dello stato di Vaud: il Gruyère (nelle tre varianti classiche: dolce, leggermente salato e invecchiato – è quello più caro di tutti, visto che la stagionatura può arrivare anche a ventiquattro mesi), la Tomme Vaudoise (ha una pasta 143/481 estremamente morbida, e si consuma grigliata o al naturale) e l’Etivaz (prodotto con latte di mucche alpine, lavorato su un fuoco di legna). Si chiede se non debba passare da una boutique per comprare un abito nuovo per l’occasione. Rinuncia: potrebbe essere accusata di ostentazione. È meglio che recuperi dall’armadio quel Moschino acquistato a Milano, allorché ha dovuto accompagnare il marito a un convegno sulla giurisdizione del lavoro in Europa. ‘Chissà come sta Jacob?’ si domanda. Lui ogni ora telefona alla moglie per chiederle se è opportuno che dica una cosa oppure un’altra, se è meglio che visiti questa strada o quel quartiere, se la “Tribune de Genève” ha pubblicato nuovi commenti riguardo alla sua campagna nell’edizione online. Conta su di lei e sui suoi consigli, spera che riesca ad alleviargli la tensione accumulata nelle visite, le domanda di 144/481 ricordargli i punti della strategia che hanno studiato insieme e vuole una conferma dell’impegno successivo. Come ha accennato durante la nostra conversazione al parco, continua nell’attività politica per non deluderla. Sebbene detesti tutto ciò che sta facendo, l’amore conferisce un aspetto diverso ai suoi sforzi. Se continuerà in questa brillante carriera, finirà per diventare presidente della Confederazione – una carica che non conferisce alcun potere reale, visto che, in Svizzera, i presidenti hanno un mandato annuale e sono eletti dalle Camere Federali riunite. Ma a chi non piacerebbe poter dire che il proprio marito è stato presidente della Confederazione Elvetica? È una chiave che può aprire tutte le porte. Che può generare inviti per conferenze in paesi lontani. Che può regalare una poltrona nel consiglio di amministrazione di una grande azienda. Probabilmente i coniugi König sono attesi da un futuro radioso, 145/481 mentre io – in questo preciso momento – ho davanti a me la strada e la prospettiva di un picnic, con indosso un’orribile tuta. *** Per prima cosa, ci rechiamo a visitare il museo romano; all’uscita, ci inerpichiamo sulla collina per ammirare alcune rovine. I nostri figli giocano. Ora che mio marito conosce i miei disagi, mi sento sollevata: non devo più continuare a fingere. “Andiamo a correre in riva al lago.” “E i bambini?” “Non ti preoccupare. Ci obbediranno, se gli diciamo di aspettarci in un posto.” Scendiamo fino alla sponda del Lemano, che gli stranieri chiamano “lago di Ginevra”. Lui compra un gelato ai bambini, li fa sedere su una panchina, e chiede loro di aspettare lì, mentre papà e mamma vanno a correre. Il maggiore protesta, dicendo che non ha 146/481 l’iPad. Mio marito va in macchina a prendere quel maledetto aggeggio. Da quel momento, lo schermo sarà la migliore tata possibile. I bambini non si muoveranno finché non avranno ucciso un determinato numero di terroristi in giochi che sembrano concepiti per gli adulti. *** Cominciamo a correre. Da un lato ci sono i giardini, dall’altro i gabbiani e le barche a vela che sfruttano il Mistral. Il vento non ha smesso di soffiare il terzo giorno, e neppure il sesto: ormai si sta avviando al traguardo dei nove giorni, quando si placherà per un certo periodo, portandosi via il cielo azzurro e il bel tempo. Proseguiamo la corsa per una quindicina di minuti: i bambini sono ormai lontani, ed è meglio tornare indietro. È molto che non mi alleno. Abbiamo corso per venti minuti, quando mi fermo sulla via 147/481 del ritorno: non ce la faccio più. Se devo proprio continuare, camminerò. “Su, avanti che ce la fai!” Mio marito mi sprona, continuando a saltellare per non perdere il ritmo della corsa. “Su, dài, non fermarti. Arriviamo sino alla panchina dei bambini.” Piego il corpo in avanti, appoggiando le mani sulle gambe. Il cuore mi batte all’impazzata: forse è colpa delle notti insonni. Lui continua a saltellare e a corricchiare intorno a me. “Forza! Sono sicuro che ce la fai! Il problema è solo questo: fermarsi. Continua per me, per i bambini. Non è soltanto una corsa utile per il fisico. Si deve prendere coscienza che, se c’è un traguardo, non si può desistere a metà strada.” Che stia riferendosi alla mia tristezza compulsiva? Si avvicina. Mi prende le mani e mi scuote dolcemente. Sono troppo affaticata per 148/481 correre, eppure mi sento ancora più stanca per opporre resistenza. Decido di accogliere l’esortazione di mio marito. Continuerò a correre con lui per altri dieci minuti, quelli che mancano per ritornare al punto di partenza. Passo davanti ai manifesti dei candidati al Consiglio Nazionale – non li avevo notati all’andata. Su uno di essi campeggia il viso sorridente di Jacob König. Aumento la velocità. Mio marito mi sorprende e accelera il passo. Arriviamo alla panchina in sette minuti, anziché nei dieci previsti. I bambini non si sono mossi. Nonostante lo splendido paesaggio circostante, con le montagne, i gabbiani e le Alpi all’orizzonte, hanno gli occhi fissi sullo schermo di quell’aggeggio che divora le anime. Mio marito si dirige verso i bambini; io, invece, tiro dritto. Mi guarda sorpreso e felice nel contempo. Probabilmente pensa 149/481 che le sue parole abbiano sortito un certo effetto, che stia cercando di saturare il mio corpo con le benefiche endorfine, che il nostro cervello produce ogniqualvolta svolgiamo un’attività che richiede uno sforzo fisico – correre, fare l’amore e raggiungere l’orgasmo… Questo ormone migliora l’umore, rafforza il sistema immunitario, protegge le cellule dall’invecchiamento ma, soprattutto, procura una sensazione di euforia e piacere. Tuttavia non avverto su di me nessuno di questi effetti: semplicemente, l’endorfina mi ha dato la forza per proseguire, oltrepassando l’orizzonte limitato della mia quotidianità. Perché ho avuto dei figli così meravigliosi? Quale destino mi ha fatto conoscere mio marito e innamorare di lui? Se i suoi passi non avessero incrociato i miei, adesso io sarei una donna libera? Sono pazza. Forse dovrei continuare a correre fino al manicomio più vicino, perché 150/481 queste non sono cose da pensare. Eppure, io continuo a pensarle. Corro ancora per alcuni minuti, poi torno indietro. A metà strada, ho provato una sorta di terrore al pensiero che il mio desiderio di libertà si realizzasse, e io non trovassi nessuno sulla panchina nel parco. E invece loro sono tutti lì, e sorridono all’arrivo della madre e della moglie amorosa. Li abbraccio. Sono sudata, sporca nel corpo e nella mente, ma li stringo forte a me. Nonostante ciò che sento. O, meglio, nonostante ciò che non sento. *** Non sei tu a scegliere la tua vita: è la vita che sceglie te. E se ciò che ti è stato riservato sono gioie o tristezze, questo va oltre la tua comprensione. Accetta e va’ avanti. 151/481 Non scegliamo le nostre vite, ma possiamo decidere il modo in cui gestire le gioie e le tristezze. In questa domenica pomeriggio, mi trovo nella sede di un partito per motivi professionali: sono riuscita a convincere il mio direttore, e ora tento di persuadere me stessa sull’opportunità di essere qui. Sono le 17:45 e tutti stanno festeggiando – i seggi elettorali chiudono alle 14:00 ed è possibile votare per posta. Al contrario di quello che immaginavo nei miei pensieri morbosi, nessuno dei candidati darà un ricevimento. Dunque, oggi non sarà il giorno in cui avrò l’occasione di varcare la soglia della casa dove vivono Jacob e Marianne König. Appena arrivata, ho subito raccolto alcune informazioni. Ha votato più del 45% degli “aventi diritto al voto” – un record. Al primo posto è risultata eletta una donna; Jacob ha conquistato un’onorevole terza piazza, che gli consentirà di entrare nel governo, nel 152/481 caso in cui il partito decida di proporlo per un incarico. La sala principale è addobbata con palloncini gialli e verdi; sono già cominciati i brindisi, e alcuni presenti si rivolgono a me con le dita a “V”, in segno di vittoria: forse sperano che la loro immagine sia pubblicata sul giornale di domani. Ma i fotografi non sono ancora arrivati: oggi è una bellissima giornata festiva. Quando Jacob mi vede, volge lo sguardo altrove, in cerca di qualcuno con cui parlare di argomenti che, nella mia mente, immagino assai poco interessanti. Devo lavorare, o almeno fingere di farlo. Dalla borsa estraggo un registratore, un blocco per appunti e una penna biro. Mi aggiro per la sede del partito e raccolgo dichiarazioni del tipo: “Ora possiamo approvare il decreto sull’immigrazione”, oppure: “Gli elettori si sono resi conto di aver fatto 153/481 una scelta sbagliata alle ultime elezioni e hanno deciso di rivotarmi.” La prima eletta dichiara: “Per me, il voto delle donne è stato fondamentale.” Léman Bleu, un’emittente televisiva locale, ha impiantato uno studio nel salone di rappresentanza. La giornalista e commentatrice politica – l’oscuro oggetto del desiderio di nove dei dieci uomini presenti – si sforza di porre domande intelligenti, ma ottiene risposte preconfezionate, approvate dai vari uffici stampa e dai consulenti per la comunicazione. A un certo punto, Jacob viene invitato a fare una dichiarazione, e io tento di avvicinarmi per ascoltarlo. Una donna mi blocca. “Salve, sono Madame König. Jacob mi ha parlato molto di lei.” Che donna! Bionda, occhi azzurri, con un elegante cardigan nero accompagnato da una sciarpa rossa di Hermès. Tra parentesi, sembra l’unico capo griffato che indossa. Gli altri 154/481 saranno stati confezionati dal più raffinato grand couturier di Parigi, il cui nome va mantenuto segreto per evitare le solite imitazioni. La saluto, cercando di assumere un’aria sorpresa. “Jacob le ha parlato di me? L’ho intervistato e, qualche giorno dopo, abbiamo pranzato insieme. Sebbene i giornalisti non debbano esprimere opinioni sugli intervistati, penso che suo marito sia un uomo davvero coraggioso per aver denunciato al pubblico il tentativo di ricatto.” Marianne – o “Madame König”, come si è presentata – finge di essere interessata alle mie frasi. Deve saperne più di quanto il suo sguardo dimostri. Che Jacob le abbia parlato del nostro incontro nel Parc des Eaux-Vives? Devo affrontare l’argomento? La diretta di Léman Bleu è cominciata, ma la donna non sembra interessata ad ascoltare le parole del marito: indubbiamente conosce 155/481 a memoria ciò che sta dicendo. Dev’essere stata lei a scegliere la camicia celeste, la cravatta grigia, la giacca di flanella dal taglio perfetto e persino l’orologio – non troppo costoso, per non comunicare ostentazione, ma neppure economico da poter essere interpretato come un segno di disprezzo verso una delle principali industrie del paese. Le chiedo se vuol rilasciare una qualche dichiarazione. Risponde che, se riguarda il suo incarico di professore associato presso il dipartimento di filosofia, psicologia e scienze dell’educazione dell’Università di Ginevra, ne sarà particolarmente onorata. Come moglie di un politico appena rieletto, la reputa un’assurdità. Penso che mi stia provocando, e così decido di ripagarla con egual moneta. Le dico che ammiro la sua dignità, perché quando è venuta a conoscenza della relazione del marito con la moglie di un amico, non ha sollevato alcuno scandalo. E 156/481 ha mantenuto un atteggiamento riservato anche quando la storia è finita sui giornali, poco prima delle elezioni. “Non poteva che essere così. Quando si tratta solo di sesso consensuale, di una relazione nella quale l’amore non c’entra, sono favorevole alla massima libertà nei rapporti.” Starà forse insinuando qualcosa? Non riesco a guardare dritto nelle grandi acquemarine dei suoi occhi. Comunque mi accorgo che usa un trucco leggero: non ha bisogno di molti belletti. “Ma voglio confessarle una cosa,” aggiunge. “È stata una mia idea far avere la notizia al suo giornale tramite un informatore anonimo e rivelare tutto nella settimana delle elezioni. Le persone dimenticheranno presto l’infedeltà, ma ricorderanno per sempre il coraggio con cui mio marito ha denunciato la corruzione e il tentativo di ricatto, pur correndo il rischio di dover 157/481 affrontare una situazione famigliare problematica.” Ride della sua ultima frase e mi avverte che sono dichiarazioni off the record – ossia, non devono essere pubblicate. La informo che, secondo le regole del giornalismo, l’off the record va chiesto prima di cominciare a trattare un argomento. Il giornalista può essere d’accordo o no. Domandarlo dopo è come cercare di fermare una foglia caduta nel fiume, mentre le acque la stanno portando lontano. A quel punto, nemmeno la foglia può decidere il proprio destino. “Ma lei non si opporrà alla mia richiesta, vero? Non ha alcun interesse a danneggiare mio marito.” Sono passati meno di cinque minuti dall’inizio della conversazione, e siamo già divise da un’evidente ostilità. Seppure con un certo disagio, accetto che le dichiarazioni rimangano off the record; mentre lei annota, 158/481 nella sua memoria prodigiosa, che la prossima volta dovrà avvertire prima. Ogni minuto apprende qualcosa di nuovo. Ogni minuto si avvicina un po’ di più al compimento delle sue ambizioni. Sì, delle sue ambizioni, visto che Jacob ha dimostrato di essere infelice nella vita che conduce. Lei continua a fissarmi. Decido di ritornare al ruolo di giornalista e le chiedo se vuole precisare o aggiungere qualcosa. “Ha organizzato un ricevimento per gli amici intimi?” “Assolutamente no! Avrebbe richiesto un sacco di lavoro. E, inoltre, ormai è stato eletto. Le feste e le cene vanno organizzate prima, per raccogliere fondi e voti.” Di nuovo, mi sento un’imbecille. Mi impongo di fare almeno un’altra domanda. “Jacob è felice?” In quel momento, mi rendo conto di aver toccato il fondo del pozzo. 159/481 Madame König assume un’aria condiscendente e risponde con pacatezza, come se fosse una professoressa che spiega la lezione: “Ma certo che è felice. Qualcosa le fa pensare che non lo sia?” Questa donna merita di essere uccisa e squartata. Un paio di persone si avvicinano contemporaneamente: un assistente che intende presentarmi alla prima eletta e un tizio che vuole salutare lei. A quel punto, le dico che è stato un piacere conoscerla. Vorrei aggiungere che, in un’altra occasione, avrei piacere di approfondire – off the record, ovviamente – il suo concetto di “sesso consensuale” con la moglie di un amico, ma non c’è tempo. Le porgo il mio biglietto da visita, nel caso in cui possa aver bisogno di qualcosa, ma il mio gesto non viene ricambiato. Prima che mi allontani, però, davanti all’assistente della trionfatrice della tornata elettorale e all’uomo che è venuto a salutarla 160/481 e a complimentarsi per la vittoria del marito, lei mi trattiene per un braccio e dice: “Ho incontrato quella nostra amica che ha pranzato con mio marito. Mi ha fatto pena. Mostra sempre di essere forte, quando in realtà è tremendamente fragile. Finge di essere sicura, mentre si domanda in continuazione cosa pensano gli altri di lei e del suo lavoro. Dev’essere una persona terribilmente sola. Come sa, mia cara, noi donne abbiamo un sesto senso acutissimo, che ci consente di individuare chi vuol minacciare i nostri rapporti. Non è così?” “Certo che sì,” rispondo, senza alcuna emozione. L’assistente assume un’espressione contrariata. La prima eletta mi sta aspettando. “Comunque, quella donna non ha alcuna chance,” conclude Marianne König. Poi mi tende la mano. Io la saluto e la vedo allontanarsi senza ulteriori chiarimenti. *** 161/481 Per l’intera mattinata di lunedì, chiamo con insistenza il cellulare privato di Jacob, ma non ottengo mai risposta. Attivo la funzione “Nascondi il numero del chiamante”, pensando che si rifiuti di parlare con me. Tento altre volte, ma sempre invano. Allora telefono a un paio di membri del suo staff. Mi viene detto che, in questo giorno successivo alle elezioni, è occupatissimo. Be’, io ho un’assoluta necessità di parlargli: insisterò. Decido di usare uno stratagemma, al quale ricorro con una certa frequenza: chiamare dal cellulare di qualcuno che non compare nella rubrica della persona che sto cercando. Dopo due squilli, Jacob risponde. “Sono io. Ho bisogno di incontrarti con urgenza.” Lui risponde educatamente: mi dice che oggi è impossibile, ma che mi richiamerà. 162/481 Poi aggiunge: “È il tuo nuovo numero, questo?” “No, è quello di un cellulare che mi hanno prestato. Non rispondevi alle mie chiamate.” Lui scoppia a ridere, come se stesse affrontando un argomento assai serio e avesse deciso di stemperare la tensione. Immagino che sia circondato da varie persone: è abile a dissimulare. “Qualcuno ha scattato una foto nel parco e ora vuole ricattarmi,” gli dico, mentendo. Soggiungo che è stata colpa sua, perché ha risposto al mio bacio. Gli elettori che l’hanno votato pensando che avesse tradito la moglie solo una volta saranno molto delusi. Anche se è stato eletto alla Camera Bassa, rischia di non poter diventare consigliere federale. “Va tutto bene?” Rispondo affermativamente e riattacco, dopo avergli chiesto di mandarmi un messaggio con il luogo e l’ora in cui incontrarci l’indomani. 163/481 Mi sento benissimo. Come potrebbe essere altrimenti? Adesso ho qualcosa di cui preoccuparmi, nella mia vita così noiosa. Le mie notti insonni, ormai, non sono più affollate di pensieri incontrollabili: finalmente so cosa voglio. Ho una nemica da annientare e un obiettivo da raggiungere. Un uomo. Non è amore – forse potrebbe anche esserlo, ma non è importante. Il mio amore mi appartiene e sono libera di offrirlo a chi voglio, anche se non viene ricambiato. Certo, sarebbe fantastico se fosse corrisposto, ma se ciò non accadrà… pazienza! Non rinuncerò a scavare sul fondo del pozzo in cui mi trovo, perché so che laggiù, oltre la terra, c’è l’acqua – l’acqua chiara e viva. Mi rallegro per questi pensieri: sono libera di amare qualsiasi persona al mondo. Posso decidere senza dover chiedere il permesso a nessuno. Quanti uomini si sono innamorati 164/481 di me senza essere corrisposti? Eppure mi corteggiavano, mi facevano regali, si umiliavano davanti agli amici. E nessuno si è mai irritato per i miei rifiuti. Quando mi rivedevano, nei loro occhi c’era sempre il luccichio della conquista non ancora ottenuta, il sogno di una felicità che magari avrebbero continuato a inseguire per il resto della vita. Se loro si comportavano così, perché non potrei fare altrettanto? È intrigante lottare per un amore non corrisposto. Può non essere divertente. Può lasciare ferite profonde e insanabili. Ma è intrigante – soprattutto per chi, come me, da alcuni anni ha cominciato ad aver paura di correre qualsivoglia rischio e a vivere momenti di autentico terrore di fronte all’eventualità che le cose potessero cambiare senza riuscire a controllarle. 165/481 Non ho più intenzione di reprimere sensazioni e sentimenti: questa sfida mi sta salvando. *** Sei mesi fa abbiamo acquistato una lavatrice nuova e, perciò, siamo stati obbligati a cambiare gli attacchi per l’acqua. Contestualmente, abbiamo deciso di rifare anche le vecchie tubature, il pavimento e tinteggiare le pareti. E così il locale di servizio si è trasformato in un ambiente più bello della cucina. Per evitare il contrasto, abbiamo deciso di ristrutturare anche la cucina ma, a quel punto, ci siamo resi conto che la sala avrebbe avuto bisogno di un intervento. Quindi abbiamo rifatto pure la sala, che è diventata molto più accogliente dello studio, nel quale non avevamo effettuato alcun cambiamento da quasi dieci anni. 166/481 Nel giro di poco tempo, abbiamo iniziato i lavori nello studio. Insomma, a poco a poco, la ristrutturazione ha riguardato l’intera casa. Mi auguro che qualcosa di analogo si verifichi nella mia vita: che le piccole cose conducano a grandi trasformazioni. *** Passo un bel po’ di tempo investigando sulla vita di Marianne, che si presenta in maniera molto formale come “Madame König”. È nata in una famiglia ricca: suo padre è azionista di una delle più importanti aziende farmaceutiche del mondo. Le foto sul web la ritraggono sempre elegante – sia nelle occasioni mondane sia durante le manifestazioni sportive. È sempre vestita in modo appropriato. A differenza di me, non andrebbe mai a Nyon in tuta, o in una 167/481 discoteca affollata di giovani con indosso un abito Versace. Probabilmente è la donna più invidiata di Ginevra e dintorni. Sebbene sia erede di una considerevole fortuna e sia sposata con un politico in grande ascesa, sta facendo una brillante carriera come docente universitario. Ha scritto due tesi: quella di dottorato, su “Vulnerabilità e psicosi dopo il pensionamento”, è stata pubblicata dalle Éditions Université de Genève. Un paio di suoi lavori hanno trovato spazio sulla prestigiosa rivista “Les Rencontres”, nelle cui pagine sono apparsi anche testi di Adorno e Piaget. La versione francese di Wikipedia ospita una scheda su di lei, per quanto non risulti particolarmente aggiornata: viene descritta come una studiosa dei problemi riguardanti “i conflitti, le aggressioni, i comportamenti psicotici negli anziani”, con particolare riferimento agli ospiti delle case di riposo della Svizzera Romanda. 168/481 Di sicuro, ha una conoscenza approfondita delle angosce e delle estasi che caratterizzano le nostre vite – una comprensione talmente precisa che le ha permesso di non risultare turbata dal “sesso consensuale” del marito. È una stratega assai lucida, perché è riuscita a fare in modo che un giornale autorevole credesse a un informatore anonimo. Comunque, non penso che quel tizio appartenga al giro delle nostre fonti abituali. Sarà stato uno dei pochissimi “battitori liberi” che operano nella Confederazione e che raramente risultano affidabili. È una manipolatrice: ha saputo trasformare un evento potenzialmente devastante in una lezione di tolleranza e complicità all’interno della coppia, oltre che in una battaglia contro la corruzione. È una calcolatrice visionaria: la sua ambizione le suggerisce di non avere dei figli, per adesso. C’è ancora tempo. In tal modo, può adoperarsi per realizzare i suoi desideri 169/481 senza essere disturbata da pianti nel cuore della notte o da vicini che la incitano a lasciare il lavoro per badare alla prole. (È esattamente ciò che accade a me.) Possiede un istinto sopraffino: non mi ha reputato una minaccia. Malgrado le apparenze, io non rappresento un pericolo per nessuno, tranne che per me stessa. Ecco il tipo di donna che voglio distruggere senza alcuna pietà. Di sicuro, non è la poverina che si sveglia alle cinque del mattino per andare a lavorare in centro, senza un permesso di soggiorno e che muore di paura all’idea che la sua clandestinità venga scoperta dalla polizia. Non è la signora perbene sposata con un alto funzionario delle Nazioni Unite, indefessa frequentatrice di ricevimenti, che sembra premurarsi soltanto di mostrare al mondo la sua ricchezza e la sua felicità, anche se tutti sanno che il marito ha un’amante di vent’anni più giovane di lei. E non è neppure 170/481 l’amante di quel medesimo funzionario dell’ONU – con il quale, peraltro, lavora –, una giovane che, nonostante la passione e l’impegno che profonde in ufficio, non otterrà mai alcun plauso, ma soltanto il biasimo perché “ha una relazione con il capo”. Non è la donna d’affari solitaria e potente, obbligata a trasferirsi a Ginevra, la sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, dove tutti prendono estremamente sul serio i rischi derivanti dalle avances sul lavoro e, di conseguenza, non osano neppure guardarsi in faccia; quella stessa professionista che trascorre la sera fissando una parete dell’immenso appartamento in affitto e che, di tanto in tanto, paga un gigolò per distrarla e farle dimenticare che passerà il resto della vita senza un marito, senza figli e senza amanti. No, Marianne non è associabile a nessuna di queste figure: è una donna completa, realizzata. 171/481 *** Ho dormito meglio. Dovrei incontrare Jacob prima del weekend. Almeno è quanto mi ha promesso, e dubito che avrà il coraggio di cambiare idea. Lunedì, nella nostra unica conversazione telefonica, mi è sembrato nervoso. Mio marito è convinto che la giornata trascorsa a Nyon mi abbia giovato. Non immagina neppure che è stato proprio quello il momento in cui ho scoperto cosa mi facesse realmente stare male: la mancanza di passione, di avventura. Ho ritrovato in me uno dei sintomi della depressione: una sorta di autismo emotivo. Il mio mondo, prima così ampio e ricco di possibilità, ha cominciato a ridursi via via che aumentava il bisogno di sicurezza. E questo perché? Dev’essere un’eredità che ci arriva dai nostri antenati che vivevano nelle 172/481 caverne: i gruppi offrono protezione; gli individui isolati sono destinati a soccombere. Comunque, sappiamo perfettamente che, anche se apparteniamo a una collettività, è impossibile controllare e proteggerci da ogni evento che riguarda la nostra vita – come, per esempio, i capelli che cadono o una cellula che si trasforma in tumore. Ciononostante viviamo in una falsa sicurezza che ci fa dimenticare la nostra vulnerabilità. Quanto più riusciamo a ignorare i limiti della vita, tanto meglio siamo in grado di affrontarli. Anche se si tratta soltanto di un approccio psicologico, anche se sappiamo che, prima o poi, la morte arriverà senza chiedere permesso, è estremamente positivo fingere di avere tutto sotto controllo. Negli ultimi tempi, l’agitazione e il turbamento hanno squassato il mio animo, come le onde di un mare in tempesta. Ho analizzato il mio percorso fino a qui, e mi sono detta che è come se stessi facendo un 173/481 viaggio transoceanico su una zattera, nel periodo delle burrasche. Mi domando se riuscirò a sopravvivere, ora che non c’è più modo di tornare indietro. Ci riuscirò, ne sono sicura: ho affrontato vittoriosamente altre tempeste, in passato. Ho compilato una lista di azioni sulle quali devo concentrarmi quando mi sento in procinto di sprofondare nuovamente nel buco nero: – Giocare con i figli. Leggere storie dalle quali sia possibile trarre degli insegnamenti utili sia a loro sia a me: alcune favole e novelle non hanno età. – Osservare il cielo. – Bere diversi bicchieri d’acqua gelata. Può sembrare una cosa piuttosto banale, ma ogniqualvolta la faccio, mi sento rinvigorita. – Cucinare: l’arte più bella e più completa. Oltre ai cinque sensi, stimola una dote nascosta del nostro essere, vale a dire il 174/481 desiderio di condividere la parte migliore di noi. È la mia terapia preferita. – Redigere l’elenco delle mie rimostranze. Reputo questa pratica una grande scoperta. Quando mi irrito per qualcosa, elaboro una lamentela e la annoto. Alla fine della giornata, mi rendo conto di essermi arrabbiata senza motivo. – Sorridere, anche quando si vorrebbe piangere. È l’azione più difficile da compiere tra quelle presenti nella lista ma, con qualche sforzo, si ottengono buoni risultati. I buddisti dicono che un sorriso sul volto – anche se falso – finisce per illuminare l’anima. – Fare due bagni (o docce) al giorno, invece di uno solo. Anche se l’acqua distribuita in città secca la pelle a causa dell’alta percentuale di calcare e cloro, è una pratica che aiuta a eliminare le scorie del corpo e dell’anima. Tutte queste azioni ora danno risultati migliori perché ho un obiettivo: conquistare 175/481 un uomo. Sono una tigre braccata, senza via di fuga, e ho un’unica chance: attaccare con furore. *** Finalmente ho la data e il luogo: domani alle 15, al ristorante del campo di golf di Cologny. Ci saremmo potuti vedere in un qualsiasi bistrot o in un bar di una traversa che unisce le due vie dello shopping, ma Jacob ha scelto il ristorante del club golfistico. A metà pomeriggio. Perché a quell’ora il locale sarà vuoto, e potremo avere una privacy maggiore. Devo trovare una scusa credibile per il direttore, ma non sarà un grosso problema. In definitiva, ho scritto un articolo sulle elezioni che, alla fine, è stato ripreso e citato da molti altri giornali nazionali. 176/481 ‘Un posto discreto’: ecco che cos’avrà pensato lui. ‘Un posto romantico’: ecco che cosa mi dico io, con la mia mania di credere a tutto ciò che desidero. L’autunno ha donato agli alberi tonalità dorate. Forse inviterò Jacob a fare una passeggiata. Penso meglio quando sono in movimento. E ancora meglio quando corro, com’è successo a Nyon. In qualsiasi caso, non credo che sarà possibile. Eh eh eh. Stasera, abbiamo cenato a casa: un pasto a base di raclette (formaggio fuso “raschiato” sul piatto di portata), carne cruda e rosti (patate grattugiate e saltate in padella), serviti con panna acida. Quando i miei famigliari mi hanno chiesto se c’era qualcosa di speciale da festeggiare, ho risposto di sì: il fatto che eravamo insieme e potevamo goderci una cena tranquilla. Più tardi, ho fatto il secondo bagno della giornata, lasciando che l’acqua lavasse via le mie ansie. Dopo essermi spalmata la crema sul corpo, sono 177/481 andata nella camera dei bambini per leggergli una storia. Li ho trovati incollati ai tablet: l’uso di quell’aggeggio dovrebbe essere proibito ai minori di quindici anni! Gli ho detto di spegnerli – hanno obbedito controvoglia –, ho preso un libro di racconti popolari, ho aperto una pagina a caso e mi sono messa a leggere: Durante l’Era glaciale, molti animali morivano a causa del freddo. Fu allora che i porcospini decisero di raggrupparsi, in modo da riscaldarsi e proteggersi a vicenda. Ma gli aculei ferivano i compagni più vicini – proprio quelli che fornivano maggior calore. Per questo motivo, si allontanarono di nuovo. E ricominciarono a morire per il gelo. A quel punto dovettero compiere una scelta: o venir decimati e rischiare di scomparire dalla faccia della Terra, oppure 178/481 accettare il fastidio degli aculei del prossimo. Saggiamente, decisero di tornare a unirsi. E impararono a convivere con le piccole ferite che un rapporto molto stretto può causare, comprendendo che la cosa più importante era il calore dell’altro. E così sopravvissero. I bambini mi hanno chiesto se li porterò a vedere un porcospino. “Ce ne sono nel giardino zoologico?” “Non lo so.” “Che cos’è l’Era glaciale?” “Un periodo nel quale faceva molto freddo.” “Come in inverno?” “Sì, ma quell’inverno continuò per millenni: non finiva mai.” “Perché non si strapparono le spine prima di mettersi vicini?” Mio Dio, avrei dovuto scegliere un’altra storia! Spengo la luce e inizio a cantare la 179/481 ninnananna di un piccolo paese alpino, mentre li accarezzo. Qualche momento dopo, stanno già dormendo. Mio marito mi ha portato del Valium. Mi sono sempre rifiutata di assumere psicofarmaci, perché temo la dipendenza: ora, però, ho bisogno di essere in forma per il giorno dopo. Prendo una compressa da 10 mg e scivolo in un sonno profondo, senza sogni. Non mi sveglio a metà della notte, come mi è accaduto spesso negli ultimi tempi. *** Arrivo in anticipo sul luogo dell’appuntamento, oltrepasso il casale che ospita la reception del circolo del golf e mi inoltro nel prato. Cammino fino agli alberi che lo delimitano, decisa a godermi ogni momento di questo splendido pomeriggio. 180/481 Malinconia. Quando arriva l’autunno, è la prima parola che mi viene in mente. Perché so che l’estate è finita, che i giorni saranno sempre più corti – e noi non viviamo nel mondo incantato dei porcospini durante l’Era glaciale: ci risulta impossibile sopportare anche la più piccola ferita che ci infliggono gli altri. Le notizie provenienti da alcuni paesi già raccontano di persone che muoiono per il freddo, di strade bloccate dalla neve, di aeroporti chiusi. Si accendono i camini, si tirano fuori dagli armadi le trapunte pesanti. Ma questo accade solo nel mondo che abbiamo testardamente “civilizzato”. Il paesaggio naturale è magnifico: gli alberi, finora quasi identici gli uni agli altri, acquistano un’individualità e colorano le foreste di mille tonalità diverse. Per molte entità, il ciclo della vita sta per arrivare al termine. Tutto riposerà per un periodo e 181/481 resusciterà in primavera, magari in forma di fiore. L’autunno è il tempo migliore per dimenticare le cose che ci amareggiano o infastidiscono. Dobbiamo lasciare che si stacchino da noi come foglie secche e sforzarci di tornare a danzare; approfittare di ogni momento di sole per rinfrancare il corpo e lo spirito, prima che il disco dorato si trasformi nella fioca presenza di una lanterna nel cielo. *** Da lontano, noto che Jacob è arrivato. Mi cerca all’interno del ristorante, sulla terrazza; poi si avvicina al barista, il quale fa un cenno nella mia direzione. Ora mi ha visto e agita una mano per salutarmi. Mi avvio piano verso la sede del circolo. Voglio che ammiri il mio vestito, le mie scarpe, la mia giacca da mezza stagione, la mia camminata. 182/481 Anche se ho il cuore che batte all’impazzata, mantengo un’andatura calma. Penso a cosa dirgli. Per quale misteriosa ragione abbiamo deciso di rincontrarci? Perché entrambi ci sforziamo di assumere un atteggiamento controllato, pur sapendo che siamo legati da qualcosa di profondo? Temiamo forse di inciampare e cadere, com’è già successo molte altre volte? Mentre cammino, mi sembra di avanzare in un tunnel che non ho mai percorso: quello che conduce dal cinismo alla passione, dall’ironia all’abbandono. Chissà cosa pensa Jacob mentre gli vado incontro? Devo forse spiegargli che non dobbiamo essere spaventati e che, “se il Male esiste, è nascosto nelle nostre paure”? Malinconia: ecco la parola che mi sta trasformando in una donna romantica, che mi fa ringiovanire passo dopo passo. Continuo a pensare alle parole da dirgli non appena sarò davanti a lui. Forse è meglio 183/481 che smetta di cercarle, e aspetti che fluiscano in modo spontaneo al momento giusto. So che sono già dentro di me. Posso non riconoscerle, magari non accettarle, ma esse si dimostreranno più forti del mio autocontrollo. Perché non voglio ascoltare le mie parole, prima di offrirle a Jacob? È la paura a impedirmelo? Che cosa può esserci di peggiore di una vita grigia, triste, nella quale i giorni sono tutti uguali? Che cosa può esserci di più angosciante del terrore che tutto scompaia – compresa la mia stessa anima –, e che io mi ritrovi assolutamente sola in questo mondo, dopo aver avuto tutto per essere felice? Vedo le ombre delle foglie degli alberi che cadono. Dentro di me, sta accadendo qualcosa di analogo: a ogni passo, cade una barriera, salta una difesa, crolla una parete, e il mio cuore – ormai libero – si illumina della luce dell’autunno e ne gioisce. 184/481 Di cosa parleremo oggi? Della musica che ho ascoltato in macchina, venendo qui? Del vento che soffia tra le fronde? Della condizione umana, delle sue contraddizioni, della sua oscurità e della sua redenzione? Parleremo di malinconia, e lui dirà che è una parola triste. Io invece dirò che è nostalgica, che si riferisce a qualcosa di dimenticato e fragile: siamo tutti così, allorché fingiamo di non vedere il cammino attraverso cui la vita ci conduce senza chiederci alcun permesso, allorché neghiamo il destino che vuole portarci verso la felicità, mentre noi bramiamo soltanto la sicurezza. Ancora qualche passo: altre barriere s’infrangono, altra luce mi pervade il cuore. Decido di sottrarmi a ogni controllo: voglio vivere appieno questo pomeriggio che non si ripeterà mai più. Non devo convincere Jacob a fare altrettanto. Se non lo capirà ora, lo comprenderà più avanti. È solo questione di tempo. 185/481 Nonostante il freddo, ci siederemo in terrazza, così potrà fumare. All’inizio, avrà un atteggiamento difensivo: mi chiederà della foto che ci hanno scattato nel parco. Presto passeremo a parlare della possibilità di vita su altri pianeti, della presenza di Dio, sovente obliata nelle nostre vite caotiche. Chiacchiereremo anche di fede, di miracoli e di incontri stabiliti ancor prima della nostra nascita. Discuteremo dell’eterna lotta tra la scienza e la religione. Ci confronteremo sull’amore, vissuto sempre come un desiderio e una minaccia, nel contempo. Lui sosterrà che la mia definizione di malinconia è inesatta, ma io mi limiterò a bere il tè in silenzio, osservando il tramonto sulle montagne dello Jura, felice di essere viva. Ah, parleremo anche di fiori, sebbene i soli visibili saranno quelli all’interno del bar, provenienti da qualche serra. Comunque, in 186/481 autunno, è splendido parlare di fiori: infonde la speranza della primavera. Ancora pochi metri. Poi i muri della mia prigione crollano completamente. Sono rinata. *** Quando gli sono di fronte, lo saluto con tre piccoli baci sulle guance, secondo la tradizione svizzera (all’estero, quando do il terzo bacio, l’altro si sorprende sempre). Percepisco il suo nervosismo e suggerisco di rimanere in terrazza: non avremo gente intorno, e lui potrà fumare indisturbato. Il cameriere lo riconosce. Jacob ordina un Campari col seltz e io chiedo un tè – l’avevo già deciso. Cerco di aiutarlo a rilassarsi, parlando della natura, degli alberi e della bellezza insita nei cambiamenti. Perché si cerca di replicare sempre il medesimo modello? È 187/481 qualcosa di sbagliato, di innaturale. Non sarebbe meglio considerare i mutamenti come una fonte di conoscenza, e non come sfide da affrontare alla stregua di nemici? Lui continua a essere nervoso. Risponde in maniera meccanica, come se volesse troncare subito la conversazione, ma io non glielo permetterò. Questo è un giorno unico nella mia vita e merita di essere vissuto e onorato in ogni suo attimo. Seguito a parlare, sciorinando gli argomenti che ho pensato mentre camminavo, utilizzando quelle parole che mi rifiutavo di ascoltare. Sono meravigliata dal loro flusso convincente e preciso. Parlo degli animali domestici. Gli domando se capisce il motivo per cui le persone li amano tanto. La risposta di Jacob è piuttosto scontata, e così decido di passare al tema successivo: perché è così difficile accettare la diversità delle persone? Perché si promulgano leggi atte a favorire la creazione di nuove “tribù”, anziché accettare 188/481 semplicemente quelle differenze etniche e culturali che possono rendere la nostra vita più ricca e più interessante? Mi ascolta, poi dice che non ha voglia di discutere di politica. Allora gli racconterò dell’acquario che ho visto stamane nella scuola dei bambini, quando li ho accompagnati. Dentro c’era un pesce che nuotava in tondo sfiorando le pareti di vetro. Ho pensato: ‘Sono certa che quella creatura non ricorda dove ha iniziato a girare e non sa che non arriverà mai da nessuna parte. Forse è questo il motivo inconscio per cui ci piacciono i pesci degli acquari: ci ricordano noi stessi, nutriti e pasciuti, ma impossibilitati a oltrepassare delle pareti di cristallo. Jacob accende un’altra sigaretta. Nel portacenere ci sono già due mozziconi. Allora mi accorgo che sto parlando da molto tempo, in una sorta di trance di luce e pace, senza concedergli alcuno spazio per esprimere i 189/481 suoi sentimenti. “Vuoi parlarmi di qualcosa?” “Della foto nel parco,” risponde cautamente, perché si è reso conto che sto vivendo un momento di particolare sensibilità. “Ah, la foto. Esiste, esiste! È impressa indelebilmente nel mio cuore, e solo con l’aiuto di Dio riuscirò a cancellarla. Puoi accertarti della sua esistenza con i tuoi occhi, perché tutte le barriere che proteggevano il mio cuore sono crollate a mano a mano che, lungo il prato, mi avvicinavo a te. No, non dirmi che non conosci il cammino, perché sei già stato laggiù varie volte, sia nel passato sia negli ultimi giorni. Ma io mi sono sempre rifiutata di accettarlo. Ecco perché comprendo la tua riluttanza: siamo uguali, noi due. Non devi preoccuparti, ti guiderò io.” Dopo queste parole, Jacob mi prende dolcemente una mano, mi sorride e… affonda la lama: 190/481 “Non siamo più due adolescenti. Tu sei una persona meravigliosa e, a quanto mi è dato sapere, hai una famiglia splendida. Ti è mai venuto in mente di far ricorso alla terapia di coppia?” Per un attimo, sono disorientata. Poi mi alzo e mi avvio verso la macchina. Senza dirgli addio. Senza piangere. Senza guardarmi indietro. *** Non provo nessuna sensazione. Non penso a niente. Decisa, oltrepasso la mia automobile e proseguo lungo la strada, senza una meta precisa. Non c’è nessuno ad aspettarmi alla fine della camminata. La malinconia si è trasformata in apatia. Devo trascinarmi per andare avanti. Poi, dopo cinque minuti, mi ritrovo davanti a una grande villa settecentesca. So cos’è successo in quel posto: qualcuno ha creato 191/481 un mostro famoso ancora oggi, sebbene pochi conoscano il nome della donna alla quale deve la vita. Il cancello che affaccia sul giardino è chiuso, ma non si tratta di un impedimento assoluto. Posso scavalcare la recinzione, sedermi sulla fredda pietra di una panchina e figurarmi che cosa accadde lì nel 1817. Ho bisogno di distrarmi, di dimenticare tutto ciò che mi ispirava prima e di concentrarmi su qualcosa di diverso. Immagino un giorno qualunque di quell’anno, quando Lord Byron decise di esiliarsi qui. Sia nel suo paese d’origine sia a Ginevra era odiato, e veniva accusato di organizzare orge e ubriacarsi in pubblico. Forse era un uomo profondamente annoiato. O malinconico. O arrabbiato. Poco importa. Ciò che conta è che, in quel giorno del 1817, arrivarono alla villa dei compatrioti. Il poeta Percy Bysshe Shelley e la sua fidanzata diciottenne, Mary. C’era anche 192/481 un’altra persona, della cui identità non sono sicura – forse era una sorellastra di Mary. Probabilmente hanno discusso di letteratura, si sono lagnati del tempo, della pioggia, del freddo, dei ginevrini, dei soggiornanti inglesi, della mancanza di tè e whisky. Probabilmente hanno letto le loro poesie e si sono elogiati a vicenda. Si reputavano individui speciali e importanti e, a un certo punto, decisero di fare un patto: entro un anno sarebbero tornati in quel luogo, ciascuno con un libro in cui fosse descritta la condizione umana. È ovvio che, scemato l’entusiasmo riguardo al progetto e svaniti i commenti sulle aberrazioni insite nell’essere umano, tutti si dimenticarono dell’accordo. Nonostante Mary fosse presente, non le venne chiesto di cimentarsi in quella prova: forse perché era una donna, e la sua condizione, oltretutto, risultava aggravata dalla gioventù. Eppure quella conversazione 193/481 l’aveva colpita profondamente. Si disse che anche lei avrebbe potuto scrivere qualcosa, magari solo per far passare il tempo. Aveva il tema: si trattava soltanto di svolgerlo – e non divulgare il testo, quando lo avesse terminato. Invece, quando tornarono in Inghilterra, Shelley lesse il manoscritto e la incoraggiò a pubblicarlo. Ma non solo: poiché era ormai famoso, decise che l’avrebbe presentata a un editore e si sarebbe occupato della prefazione. Dapprima Mary si mostrò riluttante; poi acconsentì, imponendo una condizione: il suo nome non avrebbe dovuto comparire né sulla copertina né nel frontespizio. La prima tiratura di cinquecento copie andò esaurita rapidamente, e Mary pensò che il successo fosse ascrivibile alla presenza di una prefazione di Shelley. Anche per verificare quest’ipotesi, accettò di firmare con il proprio nome la seconda edizione del libro. Da allora, il romanzo non ha mai cessato di 194/481 essere reperibile nelle librerie del mondo intero. Ha ispirato scrittori, produttori teatrali, registi cinematografici, feste di Halloween e balli in maschera. Di recente, un importante critico l’ha definito “l’opera più creativa del Romanticismo, e forse degli ultimi duecento anni”. Nessuno è mai riuscito a spiegare davvero il motivo della sua popolarità. La maggior parte delle persone non lo ha mai letto, ma praticamente tutti ne hanno sentito parlare. Il romanzo racconta la storia di Victor, uno scienziato svizzero, nato a Ginevra ed educato dai genitori a intendere il mondo attraverso la scienza. Ancora bambino, vede un fulmine cadere su una quercia e si domanda se la vita possa derivare da un fenomeno del genere, e se possa essere creata dall’uomo. E come una moderna versione di Prometeo, la figura mitologica che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini – (nessuno ricorda che Mary utilizzò come sottotitolo del 195/481 suo libro “Il moderno Prometeo”) –, si adopera per ripetere l’impresa di Dio. Ma, nonostante il grande impegno, non è in grado di gestire le conseguenze del suo esperimento. Il titolo del libro è Frankenstein. *** Oh, mio Dio, è un caso se sono finita qui? Oppure è stata l’invisibile e implacabile mano dell’Essere in cui confido nelle ore di afflizione a condurmi alla villa e a farmi ricordare questa storia? Mary conobbe Shelley quando aveva sedici anni – sebbene lui fosse sposato, non si piegò alle convenzioni sociali e seguì l’uomo che riteneva l’amore della sua vita. Sedici anni! E sapeva già esattamente cosa voleva. E anche il modo di ottenerlo. Io ho trentun anni, desidero una cosa diversa a ogni ora, e sono incapace di conquistarla – d’accordo, posso camminare in un 196/481 pomeriggio d’autunno pervasa di malinconia e romanticismo, ripensando a ciò che avrei detto quando fosse giunto il momento, ma… Non sono Mary Shelley. Sono Victor Frankenstein e il suo mostro. Ho cercato di infondere la vita in qualcosa di inanimato, ma il risultato può dirsi identico a quello del romanzo: uno scenario di terrore e distruzione. Non ho più lacrime. Non c’è più disperazione. Mi sento come se il cuore avesse rinunciato a battere e il mio corpo si adeguasse a quella stasi, giacché non riesco neppure a muovermi. È autunno, e il pomeriggio scivola rapidamente nella sera: il bellissimo tramonto è sostituito dal crepuscolo. Arriva la penombra, e io sono ancora qui, seduta a fissare la villa, immaginando i suoi inquilini che scandalizzano la borghesia ginevrina all’inizio dell’Ottocento. Ma dov’è il fulmine che diede vita al mostro? 197/481 Non c’è nessun fulmine. Il traffico, già scarso nella zona, si riduce ulteriormente. I miei figli staranno aspettando la cena, e mio marito – che è al corrente della mia condizione – fra poco comincerà a preoccuparsi. Ma è come se avessi una palla di ferro legata a una caviglia: non riesco ancora a muovermi. Lo so, sono una perdente. *** Si può essere obbligati a chiedere perdono per aver ridestato un amore impossibile? Assolutamente no. Perché anche l’amore di Dio per l’essere umano può dirsi impossibile. Non sarà mai corrisposto in modo adeguato, eppure Lui continua ad amarci. E ci ha amato al punto di mandare il Suo unico figlio a spiegarci che l’Amore è la forza che muove il sole e le 198/481 stelle. In una delle epistole ai Corinzi (la prima, che nella mia scuola dovevamo imparare a memoria), l’apostolo Paolo dice: Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E tutti sappiamo il perché. Spesso ci accade di udire quelle che sembrano stupende idee per trasformare il mondo, ma vengono esternate con parole pronunciate senza emozione, prive di Amore. Per quanto logiche e intelligenti siano, non ci toccano. Paolo confronta l’Amore con la Profezia, con i Misteri, con la Fede e la Carità. Perché l’Amore è più importante della Fede? Perché la Fede è soltanto una strada che ci conduce all’Amore. Perché l’Amore è più importante della Carità? Perché la Carità è soltanto una delle manifestazioni dell’Amore. E il Tutto è 199/481 sempre più importante della Parte. Inoltre, anche la Carità è una delle molte espressioni che l’Amore utilizza per far sì che l’uomo si avvicini al prossimo. Tutti sappiamo che, nel mondo, c’è tanta Carità senza Amore. Ogni settimana, a poca distanza da qui, viene organizzato un ballo di beneficenza. Le persone pagano enormi somme per un tavolo, per partecipare e divertirsi, con indosso abiti costosissimi e gioielli favolosi. Alla fine, escono convinte che il mondo sia migliore grazie ai denari raccolti per i migranti della Somalia, per i derelitti dello Yemen, per gli affamati dell’Etiopia. Non si sentono più in colpa per il crudele spettacolo della miseria, ma non si domandano neppure dove e come i loro soldi verranno impiegati. Chi non si può permettere di andare al ballo, offre una moneta quando si trova a passare davanti a un mendicante. A posto! È assai facile lasciare uno spicciolo a un 200/481 accattone incontrato per strada. In genere, è più facile farlo che passare oltre. Che grande sollievo – e con una moneta soltanto! Per noi è qualcosa di estremamente economico, e ci risolve il problema del senso di colpa. Eppure, se amassimo veramente quell’essere umano, ci impegneremmo per fare molto di più. Oppure non faremmo niente. Non gli daremmo nessuno spicciolo, e – chissà? – forse i nostri sensi di colpa per quella scena di miseria potrebbero risvegliare il vero Amore. Altrove, Paolo confronta l’Amore con il sacrificio e il martirio. Oggi comprendo appieno le sue parole. Anche se diventerò la donna più famosa del mondo, anche se sarò più ammirata e desiderata di Marianne König, ma nel mio cuore non regnerà l’Amore, non servirà a niente. Niente. 201/481 Nelle interviste con artisti e politici, con assistenti sociali e medici, con studenti e impiegati, pongo sempre una domanda: “Quale obiettivo vuole raggiungere con il suo lavoro?” Alcuni rispondono: “Formare una famiglia.” Altri dicono: “Fare carriera.” Dopo aver approfondito l’argomento, quando glielo richiedo, nella maggior parte dei casi la risposta è: “Migliorare il mondo.” Vorrei andare sul Ponte Mont-Blanc e distribuire a tutti gli automobilisti e i passanti un volantino sul quale campeggerebbero queste parole, scritte con lettere dorate: È una supplica che rivolgo a coloro che intendono impegnarsi per il bene dell’umanità: non dimenticate che, anche se i vostri corpi finiranno bruciati in nome di Dio, i vostri sacrifici non serviranno a niente se non c’è Amore. A niente! Il dono più grande che possiamo fare agli altri è la scintilla dell’Amore che illumina le nostre vite. È lì il vero linguaggio universale, 202/481 quello che ci permette di parlare cinese o i dialetti dell’India. Da giovane ho viaggiato molto: le esperienze all’estero appartenevano al rito di passaggio di qualsiasi studente. Ho conosciuto paesi poveri e paesi ricchi, e spesso non parlavo l’idioma locale. Eppure in tutte quelle occasioni la silenziosa eloquenza dell’Amore mi è servita per farmi capire. Il messaggio dell’Amore si palesa nel modo in cui l’essere umano conduce la propria vita, e non nelle parole o nelle azioni. Nell’epistola ai Corinzi, Paolo dice che l’Amore è composto di molte cose, esattamente come la luce. A scuola ci viene insegnato che, quando un raggio di sole attraversa un prisma, esso si scompone nei colori dell’iride. Allo stesso modo, con le sue parole Paolo ci rivela l’arcobaleno dell’Amore. Ma quali sono le componenti che generano lo splendore del miracolo più alto? Sono le virtù che conosciamo assai bene – ne 203/481 sentiamo parlare tutti i giorni – e che possiamo praticare in qualsiasi momento. Pazienza: L’Amore è paziente. Bontà: L’Amore è benigno. Generosità: L’Amore non arde di gelosia. Umiltà: L’Amore non si pavoneggia, non è orgoglioso. Delicatezza: L’Amore non si comporta in maniera sconveniente. Dedizione: L’Amore non persegue i propri interessi. Tolleranza: L’Amore non si rivela intransigente. Innocenza: L’Amore non mostra risentimento per il male subìto. Sincerità: L’Amore non gioisce dell’ingiustizia, ma gode per la verità. Tutte queste benedizioni ci possono aiutare nella vita quotidiana, nell’oggi e nel domani, nell’eternità. Quando cerchiamo di mettere in relazione l’amore con Dio sorge un grande problema. 204/481 Come si manifesta l’amore per Dio? Attraverso l’amore per l’uomo. Per raggiugere la pace del Cielo, dobbiamo trovare l’amore sulla Terra. Senza quest’ultimo, non valiamo niente. Io amo, e nessuno può privarmi del mio sentimento. Amo mio marito, che mi ha sempre sostenuto. E credo di amare anche un uomo conosciuto nell’adolescenza: mentre camminavo verso di lui in uno splendido pomeriggio d’autunno, ho lasciato che ogni mia difesa scivolasse sul prato che calpestavo, come una veste di seta. Ora mi è impossibile ricreare una qualsiasi protezione: sono vulnerabile, eppure non provo né rammarico né pentimento per quell’azione. Stamattina, mentre prendevo un caffè e il giardino era illuminato da una luce soave, mi è tornata alla mente quella camminata, e mi sono chiesta ancora: sto forse cercando di creare una difficoltà reale per allontanare i 205/481 miei problemi immaginari? Sono davvero innamorata, oppure ho semplicemente trasferito tutte le sensazioni sgradevoli di questi ultimi mesi in una fantasia? Non può essere così. Dio non è ingiusto e non permetterebbe mai che mi innamorassi in questa maniera se non esistesse almeno una possibilità di essere corrisposta. Talvolta l’Amore vuole che si lotti per conquistarlo. Ebbene, è ciò che farò. Nel percorso che dovrò affrontare per arrivare a quella che considero una forma di giustizia, mi impegnerò per scacciare ogni elemento maligno, ma evitando l’esasperazione e l’impazienza. Quando Marianne sarà lontana e Jacob starà al mio fianco, mi ringrazierà per il resto della vita. Se deciderà di andarsene di nuovo, potrò rifugiarmi nella sensazione di avere lottato fin dove potevo. Sono una donna nuova. Sto andando in cerca di qualcosa che non posso limitarmi ad 206/481 aspettare. Lui è un uomo sposato e vive nella convinzione che un passo falso possa compromettere la sua carriera. Su cosa devo concentrarmi, allora? Sulla sua separazione dalla moglie, innanzitutto: dev’essere un atto quasi automatico. *** Per la prima volta nella vita, incontrerò uno spacciatore. Vivo in un paese che ha deciso di isolarsi dal mondo, e che si reputa enormemente soddisfatto della sua attuale condizione. Quando si visitano i piccoli borghi nei dintorni di Ginevra, c’è qualcosa che appare subito evidente: non esistono aree dove parcheggiare – se è possibile, bisogna rifugiarsi nel garage di un conoscente. Il messaggio è molto chiaro: “Evita di venire qui, forestiero, perché la vista del lago laggiù, l’imponenza delle Alpi all’orizzonte, i 207/481 fiori di campo in primavera e le tonalità ambrate dei vigneti in autunno, fanno parte dell’eredità dei nostri antenati, che hanno vissuto in questo luogo senza essere disturbati. Poiché vogliamo preservare quella tranquillità avita, evita di venire, forestiero. Anche se sei nato e cresciuto in un paese vicino, non abbiamo alcun interesse a conoscere ciò che vuoi dirci. È in una metropoli che devi cercare un parcheggio per la tua automobile: là hanno creato innumerevoli spazi proprio per questo.” Viviamo talmente isolati dal resto del mondo che crediamo ancora alla minaccia di una guerra nucleare. Nella Confederazione, ogni cittadino deve disporre di un posto in un rifugio antiatomico. Di recente, un deputato ha proposto di abrogare questa legge, ma il parlamento si è espresso in senso contrario: sì, probabilmente non ci sarà mai una guerra nucleare, ma esiste la minaccia delle armi chimiche, e il dovere dello stato è quello 208/481 di proteggere tutti gli svizzeri. E così, si continuano a costruire costosissimi rifugi antiatomici ma, fintantoché l’Apocalisse resta soltanto un’ipotesi lontana, quei locali si trasformano in cantine e magazzini. Nonostante i nostri sforzi per continuare a essere un’isola di pace, quasi inviolabile per talune nefandezze del mondo, alcuni elementi maligni riescono a varcare la frontiera. Le droghe, per esempio. I vari governi si adoperano per reprimerne la vendita, ma spesso si disinteressano di chi compra. Pur vivendo in un paese ordinato e tranquillo, anche gli svizzeri sono stressati dal traffico, dalle responsabilità, dalle scadenze e dalle routine. Le droghe incentivano la produttività (la cocaina) e allentano la tensione (l’hashish). Per non dare un cattivo esempio al mondo con la loro liberalizzazione, ci adeguiamo, proibendo e tollerando nel contempo. 209/481 Eppure, ogniqualvolta il problema della droga comincia ad assumere proporzioni importanti, “casualmente” qualche personaggio pubblico viene fermato per possesso di “sostanze stupefacenti”, per usare una definizione giornalistica. La notizia ha ampio risalto sui media, e quell’arresto dovrebbe fungere da esempio, scoraggiando i giovani dall’imboccare una simile strada e rassicurando la popolazione sul fatto che le autorità vigilano attentamente – e che chi infrange la legge, alla fine, paga sempre! Comunque, è qualcosa che capita al massimo una volta all’anno. Io, però, non credo che qualche personaggio importante decida di evadere dalla propria routine solo una volta ogni dodici mesi, recandosi nel sottopasso all’altezza del Ponte Mont-Blanc per fare acquisti da uno degli spacciatori che stazionano lì a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se fosse così, i pusher sarebbero già spariti per mancanza di clienti. 210/481 Arrivo sul posto. Ci sono numerose famigliole che passeggiano, ignorate dagli spacciatori. Quegli individui non creano fastidi, non si avvicinano a nessuno, tranne quando passa una coppietta di giovani che chiacchiera in una lingua straniera, o quando un distinto signore in giacca e cravatta percorre il sottopassaggio e torna indietro subito dopo, fissando negli occhi uno di loro. Gli passo davanti con andatura calma, sbuco di fronte a un chiosco, prendo un’acqua minerale e mi lamento per il freddo con un tizio che non ho mai visto, il quale non mi degna di una parola, immerso nel suo mondo. Decido di ritornare sui miei passi: gli spacciatori sono sempre lì. Cerco di stabilire un contatto visivo, ma c’è troppa gente – qualcosa di piuttosto raro. È ora di pranzo, e le persone dovrebbero essere sedute ai tavoli dei costosissimi ristoranti della zona, impegnate a concludere un affare o a sedurre la 211/481 fanciulla arrivata in città alla ricerca di un impiego. Aspetto qualche minuto e ripasso per la terza volta. Di nuovo, mi sforzo per stabilire un contatto visivo: a un certo punto, un losco figuro mi fa un cenno con il capo, invitandomi a seguirlo. Non avrei mai immaginato di vivere una situazione simile, ma quest’anno è stato talmente diverso e assurdo che non mi stupisco più dei miei comportamenti. Fingo un’aria disinvolta e lo seguo. Camminiamo per due o tre minuti, fino al Giardino Inglese. Passiamo accanto a turisti che scattano foto davanti all’Orologio Fiorito, una delle attrattive della città. Superiamo la piccola stazione del trenino turistico che percorre le vie del centro – mi ricorda Disneyland. Infine arriviamo alla promenade del porto e ci fermiamo a contemplare l’acqua. Sembriamo una coppia che ammira il Jet d’Eau, la gigantesca fontana il cui getto può 212/481 raggiungere i centoquaranta metri d’altezza e che da molto tempo è diventata il simbolo di Ginevra. Il tizio aspetta che io dica qualcosa. Dubito che la mia voce risulterà ferma, malgrado il grande autocontrollo che traspare dalla mia postura. Così rimango zitta, costringendo lui a rompere il silenzio: “Erba, speed, acido o neve?” Ecco, sono perduta. Non so che cosa rispondere, e lo spacciatore capisce di avere a che fare con una novellina. Sono stata messa alla prova, e non l’ho superata. Il giovane uomo ride. Gli domando se pensa che sia una poliziotta. “Certo che no. Un’ispettrice di polizia saprebbe benissimo di cosa sto parlando.” Gli spiego che, per me, è la prima volta. “Si capisce… Una tipa vestita come te non si prenderebbe mai la briga di venire personalmente. Potrebbe chiedere a un nipote o a un collega di lavoro se gli avanza qualcosa 213/481 dal suo consumo personale. Ecco perché ho deciso di portarti sulla riva del lago. Avrei potuto passarti la roba mentre camminavamo, e ora non sarei qui a sprecare il mio fiato. E invece voglio sapere esattamente cosa stai cercando, oppure se ti serve un consiglio, una raccomandazione o… un qualche genere di aiuto.” Quel tizio non perde tempo. Probabilmente si stava annoiando da morire nel sottopasso. L’ho percorso tre volte e non ho mai visto neppure l’ombra di un cliente. “Va bene. Ti ripeterò l’offerta con parole che dovresti capire: hashish, anfetamine, LSD o cocaina?” Gli domando se ha crack o eroina. Risponde che sono droghe proibite. Sono tentata di ribattere che anche quelle che ha menzionato sono vietate, ma sto zitta. “Non è per me,” gli spiego. “È un omaggio per una mia nemica.” 214/481 “Stai pensando a una vendetta? Hai intenzione di uccidere qualcuno con un’overdose? Be’, in questo caso, signora cara, ti prego di rivolgerti altrove.” Fa per allontanarsi, ma io lo trattengo e gli chiedo di ascoltarmi. Credo che il mio interesse per la sua mercanzia abbia già fatto raddoppiare il prezzo. “Per quanto ne so, quella tizia non usa droghe,” gli dico. “Vuoi sapere il motivo del mio astio: sta pregiudicando la mia relazione. Comunque, intendo solo tendergli una trappola.” “È qualcosa che va contro i precetti di Dio.” Incredibile! Un tale che vende sostanze che causano dipendenza, potenzialmente letali, tenta di ricondurmi sulla retta via! Gli racconto la mia storia. Sono sposata da dieci anni, e ho due figli meravigliosi. Mio marito e io possediamo il medesimo modello 215/481 di cellulare, e un paio di mesi fa ho preso involontariamente il suo. “Non usate un codice di sicurezza sul bloccaschermo?” “No, affatto. Ci fidiamo l’uno dell’altra. Anche se lui lo usa, forse in quel momento era disattivato! È così che ho scoperto quasi quattrocento sms e una serie di fotografie di una donna attraente, bionda, importante. Ho fatto qualcosa che avrei dovuto assolutamente evitare: una scenata. L’ho accusato, gli ho domandato chi fosse quella tizia: mi ha risposto che si trattava della persona di cui era innamorato. Ed era contento che lo avessi scoperto, prima che avvertisse il bisogno di raccontarmi tutto.” “Capita piuttosto spesso.” Lo spacciatore è passato da buon pastore a consulente matrimoniale! Ma io proseguo, perché mi sto inventando tutto, e il racconto mi sta entusiasmando. “Gli ho detto che doveva abbandonare la nostra casa. Ha 216/481 acconsentito e, il giorno successivo, ha lasciato me e i nostri due figli per andare a vivere con l’amore della sua vita. Lei, però, lo ha accolto malissimo: trovava molto più interessante avere una relazione con un uomo sposato, piuttosto che vivere con un compagno che non aveva scelto.” “Le donne… È impossibile capirvi.” Lo penso anch’io. Continuo la mia storia: “Gli ha detto che non si sentiva pronta per la convivenza, ed è finito tutto. Come immagino che accada nella maggior parte dei casi, lui è tornato a casa, chiedendomi di perdonarlo. L’ho fatto. Del resto, desideravo soltanto il suo ritorno. Sono una donna innamorata, e non saprei vivere senza la persona che amo. Ma adesso, dopo alcune settimane, ho notato che è cambiato di nuovo. Poiché evita di lasciare il cellulare incustodito, non ho modo di sapere se hanno ripreso a incontrarsi. Però sospetto di sì. Quella donna – bionda, indipendente, piena di fascino e 217/481 potere – sta portandomi via la cosa più importante nella vita: l’amore. Sai cos’è l’amore, vero?” “Ho capito cosa vuoi. Ma la faccenda è molto pericolosa.” Come può aver capito, visto che non ho ancora terminato il mio racconto? “Hai intenzione di tendere una trappola a quella donna. Non dispongo della merce che ti serve, signora cara. Perché il tuo piano riesca, ci vorrebbero almeno trenta grammi di cocaina.” Estrae il cellulare da una tasca, digita qualcosa e mi mostra il display. È comparsa una pagina del portale CNN Money, con il prezzo delle droghe. Sono sorpresa. Mi dice che si tratta di un reportage recente, sulle difficoltà incontrate nello smercio dai grandi cartelli della droga. “Come puoi vedere, il prezzo è molto alto: la trappola ti costerà circa 5000 franchi. Ne vale la pena? Non è più economico andare a 218/481 casa di quella donna e farle una scenata? Inoltre, da quanto ho capito, non potresti accusarla di niente.” Da buon pastore, si era trasformato in consulente matrimoniale. E, da consulente matrimoniale, adesso è diventato un consigliere finanziario, che cerca di convincermi a non sperperare il mio denaro. Gli dico che accetto il rischio. So di avere ragione. E perché trenta grammi; non ne basterebbero dieci? “È la quantità minima per essere considerati trafficanti. La pena è molto più pesante rispetto a quella per i consumatori e i piccoli spacciatori. Sei sicura di volerlo fare? Perché, tornando a casa o andando da quella donna, la polizia ti potrebbe fermare, e tu non sapresti come spiegare il possesso di tutta quella droga.” Chissà se gli spacciatori sono tutti così: forse ne ho incontrato uno particolare. Mi piacerebbe immensamente chiacchierare per 219/481 ore con quest’uomo navigato ed esperto ma, a quanto pare, è una persona molto occupata. Mi chiede di tornare dopo una mezz’ora con il denaro in contante. Quindi mi dirigo verso uno sportello bancomat, sorpresa della mia ingenuità. È ovvio che gli spacciatori non si muovano con addosso grandi quantità di droga: se li arrestassero, sarebbero considerati dei trafficanti! Quando ritorno alla promenade, lo trovo lì ad aspettarmi. Gli consegno il denaro discretamente, e lui mi indica un contenitore di rifiuti poco distante. “Ti chiedo solo un favore,” dice. “Fa’ in modo che la roba non sia a portata di mano di quella donna: potrebbe confondersi e ingerirla. E allora sarebbe un autentico casino.” Quest’uomo è unico: pensa a tutto. Se fosse il dirigente di una multinazionale, guadagnerebbe una fortuna con i bonus deliberati dagli azionisti. 220/481 Quando sto per riprendere la conversazione, lui si è ormai allontanato. Volgo lo sguardo verso il contenitore dei rifiuti. E se non ci fosse niente? Impossibile: questa gente ha una reputazione da difendere, non farebbe mai una cosa del genere. Mi avvicino al posto indicato e mi guardo intorno. Nel bidone dell’immondizia c’è una busta di carta: la prendo e la infilo in borsa. Un momento dopo, salgo su un taxi per tornare alla redazione del giornale. Sono di nuovo in ritardo. *** Ho la prova del delitto. Ho pagato una fortuna per qualcosa che ha un peso assai esiguo. Ma come posso essere sicura che quel tale non mi abbia ingannato? Devo scoprirlo da sola. 221/481 Noleggio due o tre film che hanno come protagonisti dei drogati. Mio marito è sorpreso dal mio nuovo interesse. “Non starai pensando di rifugiarti nella tossicodipendenza, eh?” “Certo che no! È una ricerca per il giornale. A proposito, domani rincaserò tardi. Ho deciso di scrivere un articolo sulla villa di Lord Byron, e devo passare da quelle parti. Non preoccuparti.” “Non mi preoccupo più. Anzi, penso che le cose siano migliorate molto dopo la gita a Nyon. Dobbiamo prendere l’abitudine di andare fuori, magari per capodanno… La prossima volta, lasceremo i bambini da mia madre. Ho parlato con alcune persone preparate su questo argomento, e…” L’“argomento” dev’essere quello che considera il mio stato di depressione. “Con chi ne hai parlato? Con qualche amico che potrebbe lasciarselo sfuggire al primo bicchiere di troppo?” 222/481 “Nient’affatto. Con uno psicologo che si occupa di terapia di coppia.” Oddio! La terapia di coppia è stata l’ultima cosa che ho sentito quel pomeriggio tremendo al circolo del golf. Non è che quei due si stanno parlando a mia insaputa? “Forse la causa dei tuoi problemi sono io. Non ti ho dato tutte le attenzioni che meriti. Parlo sempre di lavoro o dei miei impegni. E così si perde la componente romantica indispensabile per la felicità della famiglia. Preoccuparsi solo dei figli non è sufficiente. Ci vuole altro, fintantoché siamo ancora giovani. Magari potremmo tornare a Interlaken: è stato il nostro primo viaggio dopo esserci conosciuti, ricordi? Potremmo salire sullo Jungfrau e goderci il panorama da lassù.” Uno psicologo che si occupa di terapia di coppia: ci mancava solo questo! *** 223/481 La conversazione con mio marito mi riporta alla mente un vecchio adagio: “Non c’è peggior cieco di colui che non vuol vedere.” Come può pensare di non avermi dato tutte le attenzioni che merito? Da dove ha tirato fuori questa idea balzana, visto che generalmente sono io che non lo accolgo a letto con le braccia e le gambe spalancate? Tranne che in quella famosa occasione, è da tempo che non abbiamo un rapporto sessuale intenso e davvero appagante. In una relazione sana, per la stabilità della coppia il sesso è una componente indispensabile – conta più che pianificare il futuro o parlare dei bambini. Il mio ricordo di Interlaken è associato a passeggiate per le vie del paese nel tardo pomeriggio – perché trascorrevamo la maggior parte del tempo chiusi in camera a fare l’amore e a bere vino dozzinale. 224/481 Quando amiamo qualcuno, non ci accontentiamo di conoscere solo la sua anima, ma vogliamo impadronirci anche del suo corpo. È necessario? Non lo so, ma è l’istinto a spingerci ad agire. E non esiste orario per farlo, né regola che valga la pena di rispettare. Niente è più intrigante della scoperta, della timidezza che lascia il campo all’audacia, dei gemiti sommessi che si trasformano in grida o parolacce. Sì, in parolacce – avverto uno smisurato desiderio di ascoltare cose proibite e “sporche”, mentre un uomo si muove dentro di me. In quei momenti, nella mia mente si affollano sempre le stesse domande: “Sto smaniando troppo?”, “Devo muovermi più veloce o più piano?”… Sono quesiti inusuali e strani che, pronunciati con voce ansimante, forse costituiscono un elemento disturbante, anche se fanno parte dei rituali della scoperta, dell’iniziazione, della conoscenza e del rispetto reciproco. È molto importante 225/481 parlare, allorché si cerca di costruire un’intimità perfetta. Se non accadesse, il silenzio rappresenterebbe una frustrazione e l’indizio di una menzogna. Poi arriva il matrimonio. Ci si sforza di mantenere i medesimi comportamenti, e talvolta ciò avviene – nel mio caso, hanno resistito fino a quando sono rimasta incinta, un fatto che si è verificato ben presto. A quel punto, quasi all’improvviso, ci si rende conto che le cose sono cambiate. – Si fa sesso soltanto di sera, preferibilmente poco prima di dormire. Da parte di entrambi, viene vissuto come un obbligo, senza interrogarsi se l’altro ne abbia voglia o no. L’assenza di rapporti sessuali genera sospetti: di conseguenza, è preferibile attenersi al rito. – Se l’amplesso non è stato appagante, è meglio tacere: forse la volta successiva sarà diverso. Alla fin fine, ormai si è sposati e si ha tutta la vita davanti. 226/481 – Poiché non c’è nulla di nuovo da scoprire, bisogna imparare a trarre il massimo piacere dalle cose conosciute. Il che equivale a mangiare cioccolata tutti i giorni, senza variare né marca né varietà: non è un sacrificio, d’accordo, ma è possibile che non esista altro? È ovvio che esiste: aggeggi che si possono acquistare nei sexy shop, club di scambisti, rapporti a tre, feste a luci rosse a casa di amici disinibiti… Reputo tutto questo assai rischioso, per una persona come me. Poiché non riesco a immaginare le conseguenze, preferisco non rischiare. Passano i mesi o gli anni e, parlando con gli amici, si scopre l’esistenza di una sorta di mito: gli orgasmi simultanei – eccitarsi insieme, contemporaneamente, accarezzandosi le medesime zone erogene e gemendo all’unisono. Ma com’è possibile provare piacere se si deve prestare attenzione a ogni 227/481 minima variante dei propri gesti? Non sarebbe più naturale dire: “Toccami, fammi impazzire, e poi io farò lo stesso con te”? No, è impensabile: non può funzionare così. Meglio ritornare alla consuetudine: la comunione dev’essere “perfetta”. Ossia, inesistente. Ma… attenzione ai gridolini e ai gemiti: si rischia di svegliare i bambini. Un paio di minuti dopo, entrambi pensano: ‘Ah, per fortuna che è finita. Ero stanchissimo/a, e non so proprio come sia riuscito/a a farcela. Se non fossi stata/o tu…’ Poi, si girano e si augurano reciprocamente la buonanotte. Infine arriva il giorno in cui ambedue si rendono conto che devono assolutamente spezzare la routine. Ma, anziché frequentare i club di scambisti, andare nei sexy shop stipati di articoli erotici (di aggeggi dei quali si ignora il funzionamento), o partecipare a festini a casa di amici pazzerelli che non 228/481 esitano a sperimentare nuovi giochetti, decidono di… Di trascorrere qualche giornata senza i figli. Di programmare un viaggio romantico. Senza sorprese. Nel quale tutto sarà previsto e organizzato in ogni particolare. E trovano che sia un’idea grandiosa. *** Ho creato un account con un’email falsa. Ho la droga. L’ho testata – nessun imbroglio. (Ho giurato solennemente che non ripeterò mai più quell’esperienza, perché regala sensazioni bellissime.) So come entrare nell’università senza farmi vedere per piazzare la busta nella scrivania di Marianne. Devo solo individuare un cassetto che apre di rado: forse questo è il momento più rischioso del piano. Mi è stato suggerito dallo spacciatore, e voglio prestare ascolto alla voce dell’esperienza. 229/481 Non posso chiedere aiuto a qualche studente: devo occuparmi personalmente di ogni cosa. Devo alimentare il “sogno romantico” del mio immaginario consorte e intasare il cellulare di Jacob con i miei messaggi d’amore e di speranza. La conversazione con lo spacciatore mi ha fornito un’idea, che ho subito messo in pratica: mandargli quotidianamente degli sms con frasi d’amore e d’incoraggiamento. Può funzionare in due modi. Il primo è che Jacob si renda conto che gode del mio sostegno e che l’incontro al circolo del golf non mi ha turbato affatto. Se questo non funziona, il secondo prevede che, a un certo punto, Madame König si prenda la briga di controllare il cellulare del marito. Vado in internet, copio l’estratto di un testo che mi pare intelligente, lo incollo nel campo dell’sms e premo il pulsante “Invio”. Dal giorno delle elezioni non è successo niente di importante a Ginevra. Il nome di 230/481 Jacob non è più comparso sulla stampa, e io non ho assolutamente idea di cosa stia facendo. Nell’ultimo periodo, soltanto un fatto ha mobilitato l’opinione pubblica: il dibattito sull’opportunità che l’amministrazione annulli la tradizionale festa di capodanno. Secondo alcuni consiglieri, le spese sono esorbitanti. Ho avuto l’incarico di appurare che cosa significhi esattamente “esorbitanti”. Sono andata in municipio e ho scoperto la cifra che dovrebbe essere stanziata: 115.000 franchi – la somma che io e la collega della postazione accanto paghiamo di tasse. Ossia, con i soldi delle imposte di due cittadini, retribuiti con uno stipendio discreto, ma non straordinario, si potrebbero rendere felici migliaia di persone. E invece no. Bisogna economizzare, perché non si sa che cosa ci riservi il futuro. Nel frattempo, le casse della municipalità si rimpinguano: è ininfluente che manchi il sale da spargere 231/481 sulle strade d’inverno per evitare che si formi il ghiaccio e si verifichino incidenti, che non si provveda alla riparazione dei marciapiedi ammalorati, che ovunque si effettuino lavori dei quali non si comprende l’utilità. La gioia e l’allegria non sono contemplate: è importante mantenere le apparenze – e, sottinteso, non far capire a nessuno che siamo ricchissimi. *** Domani devo svegliarmi presto per andare al lavoro. Il fatto che Jacob abbia ignorato i messaggi ha finito per avvicinarmi a mio marito. Comunque, intendo continuare nel mio percorso di rivincita. In verità, la volontà di portare a compimento il piano di vendetta è ormai scemata, ma detesto abbandonare i progetti a mezza via. Vivere significa prendere decisioni e subirne le conseguenze. È da molto tempo 232/481 che non lo faccio, e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui, all’alba, mi ritrovo a fissare il soffitto dopo una notte quasi insonne. Seguitare a spedire messaggi a un uomo che mi respinge è una perdita di tempo e di denaro. Non m’interessa più la sua felicità. Anzi, a questo punto, mi auguro che viva nell’infelicità: gli ho offerto la parte migliore di me, e lui mi ha suggerito di ricorrere alla terapia di coppia. È anche per questo che voglio vedere quella strega in galera: sono pronta ad accettare le fiamme del Purgatorio per secoli e secoli. Voglio? Da dove arriva questa idea feroce? Sono stanca, enormemente stanca, e non riesco a dormire. “La depressione colpisce più le donne sposate che quelle nubili”: era la tesi esposta in un articolo pubblicato sull’edizione di ieri del giornale. 233/481 Io, però, non l’ho letto. È un anno strano, questo, molto strano. *** È un periodo particolarmente proficuo per la mia vita: sto realizzando tutti i miei sogni di adolescente, sono felice… Poi, all’improvviso, accade qualcosa. È come se un virus avesse infettato il computer. Comincia il decadimento, lento ma inesorabile, che precede la devastazione. Tutto funziona con tempi dilatati. Alcuni programmi richiedono lunghi minuti e molta memoria per aprirsi. Certi file – immagini, documenti – spariscono senza lasciare traccia. Cerchiamo invano di scoprire l’origine del malfunzionamento. Chiediamo aiuto ad alcuni amici “smanettoni”, ma neppure loro riescono a individuare il problema. Di certo, quel computer sta collassando, e sembra non 234/481 appartenerti più. Adesso è del virus che si annida da qualche parte nelle sue memorie. D’accordo, possiamo sostituire la macchina, ma la nostra preoccupazione si sposta su tutto ciò che abbiamo archiviato nell’hard disk. Quanto tempo abbiamo impiegato per catalogare e ordinare quelle cose? Sono perdute per sempre? Non è giusto. Non ho il minimo controllo su ciò che mi sta accadendo. Sull’assurda passione per un individuo che, a questo punto, penserà che lo stia assediando. Sul matrimonio con un uomo che si prodiga per starmi vicino, ma che mi nasconde le sue debolezze e le sue vulnerabilità. Sull’insano desiderio di distruggere una donna incontrata una sola volta, con l’illusione che questo annichilirà i miei fantasmi interiori. Molti affermano che il tempo cancella ogni male: è assolutamente falso. 235/481 In realtà, il tempo cancella soltanto le cose belle che vorremmo serbare per sempre. E ci dice: “Non illuderti, la realtà è questa.” Ecco perché dimentico presto ciò che leggo per risollevarmi il morale. Nella mia anima c’è un buco che drena tutta l’energia positiva, lasciando solo il vuoto. Conosco l’esistenza di quella voragine – sono mesi che convivo con essa –, ma ignoro il modo di sfuggire alla trappola. Jacob pensa che io abbia bisogno di una terapia di coppia. Il mio direttore mi considera una giornalista eccellente. I miei figli si sono accorti delle modificazioni del mio comportamento, ma non mi hanno detto niente. Mio marito ha capito il mio disagio solo quando, in quel ristorante, mi sono confidata con lui. Prendo l’iPad sul comodino. Moltiplico 365 per 70. Il risultato è 25.350: è la media dei giorni di vita di un individuo normale. Quanti ne ho sprecati ormai? 236/481 Le persone che mi circondano non fanno che lamentarsi: “Lavoro otto ore al giorno e, se otterrò una promozione, dovrò lavorarne dodici”, “Da quando mi sono sposato, non ho più tempo per me”, “Ho cercato Dio, e mi ritrovo costretto ad andare a messe e cerimonie religiose.” Quello che si persegue con entusiasmo nell’adolescenza – amore, lavoro, fede – finisce per trasformarsi in un fardello estremamente pesante non appena si raggiunge l’età adulta. Esiste una sola maniera per sfuggire a questo sortilegio: attraverso l’Amore. Amare significa trasformare la schiavitù in libertà. Ma io, per ora, non sono capace di amare. Provo soltanto odio. E, per quanto assurdo possa sembrare, questo non dà alcun senso ai miei giorni. *** 237/481 Raggiungo il luogo dove Marianne tiene le lezioni di filosofia: un edificio che, con mia grande sorpresa, è situato all’interno dell’Ospedale Universitario di Ginevra. Mi domando se il corso pomposamente indicato nella sua biografia non sia un seminario extracurricolare, senza alcun valore accademico. Ho posteggiato l’auto davanti a un supermercato e, per arrivare fin qui, ho camminato per circa un chilometro: entrando, ho visto un complesso di edifici bassi al centro di un prato ancora verde, ingentilito dalla presenza di un laghetto, e un gran numero di frecce segnaletiche. In quell’area sorgono le sedi di vari dipartimenti che, sebbene sembrino avulsi l’uno dall’altro, possono tranquillamente essere definiti complementari: per esempio, la struttura per il ricovero ospedaliero degli anziani e la clinica che ospita gli individui affetti da turbe mentali. Il 238/481 reparto psichiatrico è ospitato in una splendida costruzione dell’inizio del Novecento, e costituisce un centro di formazione d’eccellenza per neurologi, psicologi, psichiatri, psicoterapeuti e assistenti specializzati che arrivano da tutta l’Europa. Passo davanti a una struttura stranissima, che mi ricorda i tableaux dei riflettori installati al termine delle piste di atterraggio negli aeroporti. Per conoscere la sua utilità, devo leggere una targa posta accanto alla base. È una scultura intitolata Passaggio 2000, un’installazione di “musica visiva” costituita da dieci barriere di passaggi a livello equipaggiate con luci rosse. Mi domando se l’autore sia uno dei degenti del reparto psichiatrico ma, continuando nella lettura, scopro che si tratta dell’opera di una famosa scultrice. Rispettiamo l’arte, d’accordo. Ma nessuno mi dica che tutti gli artisti sono normali. 239/481 È ora di pranzo – per me, l’unico momento di pausa della giornata. Nella mia vita, gli eventi più interessanti sono accaduti all’ora di pranzo – incontri con amiche, politici, fonti e spacciatori. Le aule saranno vuote. Non posso dirigermi alla mensa universitaria dove, con nonchalance, Marianne – cioè Madame König – si starà scostando una ciocca di capelli biondi dal viso, mentre gli studenti più grandi saranno immersi in mille fantasticherie per escogitare la maniera di sedurre quella donna così affascinante, e le ragazze staranno ammirando e invidiando quel modello di eleganza, classe e intelligenza. Vado alla reception e domando dove si trova lo studio di Madame König. Vengo informata che adesso non può ricevermi perché è l’orario del pranzo. Replico dicendo che non ho alcuna intenzione di interrompere la sua ora di pausa e che l’aspetterò davanti alla porta della stanza. 240/481 Sono vestita in modo quasi anonimo: sono una di quelle persone cui si rivolge uno sguardo appena, dimenticandosi subito di averle incontrate. C’è un unico elemento che può destare qualche sospetto: gli occhiali scuri indossati in un giorno nuvoloso. Faccio in modo che la receptionist noti i piccoli cerotti al di sotto delle lenti: di sicuro, penserà che sono reduce da un intervento di chirurgia plastica. Sorpresa del mio autocontrollo, mi incammino verso l’aula dove Marianne fa lezione. Immaginavo che avrei avuto paura e che avrei rinunciato a metà strada – e invece no. Sono nella tana del nemico, e mi sento completamente a mio agio. Se un giorno dovessi decidere di scrivere qualcosa su me stessa, mi ispirerei a Mary Shelley e al suo Victor Frankenstein: anch’io sarei animata dal desiderio di spezzare la routine e cercare una ragione appagante per la mia vita priva di interesse e di sfide. Chissà se riuscirei a 241/481 creare un mostro capace di far condannare gli innocenti e salvare i colpevoli. In ognuno di noi esiste un lato oscuro. In fondo, tutti bramano di sperimentare il potere assoluto. Allorché mi è capitato di leggere storie di tortura e di guerra, ho notato che, nel momento in cui esercitano il potere, i carnefici sembrano dominati da un’entità perversa e sconosciuta ma, quando fanno ritorno a casa, si trasformano in docili padri di famiglia e in mariti eccellenti. Mi ricordo di un giorno, quando ero ancora giovane, nel quale il mio fidanzato di allora mi chiese di occuparmi del suo barboncino – un cane che detestavo. Dovevo dividere con quell’essere peloso le attenzioni del ragazzo che amavo. E invece io volevo tutto il suo amore. In quell’occasione, decisi di vendicarmi di quell’animale irrazionale, che non dava alcun contributo alla crescita del genere umano, e la cui passività scatenava amore e affetto. 242/481 Cominciai a tormentarlo fisicamente, premurandomi di non lasciare segni: lo punzecchiavo con uno spillo infilzato sulla punta di una scopa. Il cane gemeva e abbaiava, ma io continuai finché non ebbi saziato il mio insano desiderio di rivalsa. Quando il mio ragazzo tornò, mi abbracciò e mi baciò, ringraziandomi per essermi occupata del suo barboncino. Facemmo l’amore, e la nostra vita proseguì. I cani non parlano. Ripenso a quella storia, mentre mi dirigo verso lo studio di Marianne. Come ho potuto essere così cattiva? Probabilmente perché la cattiveria alligna in ogni essere umano. Ho visto uomini perdutamente innamorati delle mogli perdere la testa e picchiarle e, un attimo dopo, chiedere scusa in lacrime. Siamo animali incomprensibili. Ma perché dovrei inguaiare Marianne, visto che posso incolparla soltanto di avermi snobbato durante una festa? Perché ho escogitato un piano, ho rischiato la galera comprando una grossa quantità di droga e ora mi ritrovo a cercare di piazzarla in un cassetto della sua scrivania? Perché lei ha ottenuto ciò che io non ho avuto: le attenzioni e l’amore di Jacob. È una motivazione sufficiente? Se lo fosse, in questo momento il 99,9% delle persone sarebbe intento a strologare tempi e metodi per distruggersi a vicenda. Ma forse è perché mi sono stancata di lamentarmi. Perché le notti insonni mi hanno portato sull’orlo della pazzia. Perché, alla fin fine, credo di star bene nella mia follia. Perché non verrò scoperta. Perché voglio smettere di pensarci in maniera ossessiva. Perché sono seriamente malata. Perché non sono l’unica. Se il romanzo di Frankenstein 244/481 ha goduto di un successo ininterrotto dal momento della prima pubblicazione è perché tutti si riconoscono nello scienziato e nel mostro. Mi fermo. “Sono gravemente malata?”: è una possibilità reale. Forse dovrei uscire di corsa da qui e recarmi da uno psichiatra. Lo farò, ma prima devo portare a compimento il mio piano, anche se – più tardi – il medico potrebbe avvisare la polizia: in qualsiasi caso, sarebbe obbligato a offrirmi protezione per via del segreto professionale, ma dovrebbe preoccuparsi di evitare un’ingiustizia. Mi avvicino alla porta dello studio. Rifletto sui vari “perché” che ho elencato lungo i corridoi. Entro, senza alcuna esitazione. E mi ritrovo davanti un tavolo semplice, senza cassetti. Solo un piano di legno che poggia su gambe tondeggianti, adatto soltanto per appoggiarvi qualche libro, una borsa e poco altro. 245/481 Avrei dovuto immaginarlo. Mi sento frustrata e sollevata nel contempo. I corridoi, prima silenziosi, ricominciano ad animarsi: gli studenti si dirigono verso le aule per le lezioni pomeridiane. Esco senza voltarmi indietro, e mi incammino in direzione opposta alla loro. Alla fine del corridoio c’è una porta. La apro e mi ritrovo all’aperto, davanti alla struttura per il ricovero ospedaliero degli anziani. Sorge alla sommità di un terrapieno e ha muri massicci; sono sicura che lì dentro il riscaldamento è già acceso. Mi dirigo verso l’ingresso e, alla reception, chiedo di una persona di cui invento il nome. Mi viene detto che, probabilmente, è ricoverata altrove: Ginevra ospita un’infinità di cliniche. La receptionist – un’infermiera – si offre di fare una ricerca. Dico che non è necessario, ma lei insiste: “Non mi costa nulla.” Per evitare ulteriori sospetti, accetto la sua offerta. Mentre sfaccenda al computer, 246/481 prendo un libro dal bancone e comincio a sfogliarlo. “Storie per l’infanzia,” spiega l’infermiera, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. “I pazienti le adorano.” Non sono stupita. Apro una pagina a caso: Un topolino era depresso a causa della paura del gatto. Un grande mago ebbe pena di lui e lo trasformò in gatto. A quel punto, si ritrovò ad aver paura del cane, e il mago lo trasformò in cane. Allora cominciò a temere la tigre. Mostrando un’enorme pazienza, il mago usò tutti i suoi poteri per trasformarlo in tigre. Inutile: a quel punto, ebbe paura del cacciatore. Il mago si rassegnò e decise di riportarlo alla condizione originaria di topolino, dicendo: “Nessun incantesimo della mia arte ti potrà mai aiutare, giacché non riesci a comprendere il senso della tua crescita. È meglio che torni a essere ciò che sei sempre stato.” 247/481 L’infermiera non riesce a trovare il mio degente immaginario. Mi scuso per averle fatto sprecare del tempo, la ringrazio per la disponibilità e mi accingo ad andarmene. A quanto pare, però, è contenta di poter chiacchierare con qualcuno. “Pensa davvero che la chirurgia plastica possa aiutare?” La chirurgia plastica? Ah, sì. Mi ricordo dei piccoli cerotti sotto le lenti scure. “La maggior parte dei nostri pazienti si è sottoposto a un’operazione di quel tipo. Se fossi in lei, cercherei di evitarla, in futuro: determina uno squilibrio fra il corpo e la mente.” Non ho chiesto la sua opinione, ma sembra che si senta investita di un dovere umanitario, e prosegue: “La vecchiaia è più traumatizzante per coloro che pensano di poter controllare il passare degli anni.” Le domando la sua nazionalità. “Ungherese,” risponde. 248/481 Ah, ecco. Gli svizzeri non esprimerebbero mai un’opinione senza essere interpellati. La ringrazio di nuovo ed esco, togliendomi gli occhiali e i cerotti. Il trucco ha funzionato, ma il piano no. Il campus è di nuovo deserto. Ora sono tutti occupati a imparare come si pensa, come ci si preoccupa, come si condiziona il pensiero altrui. Dopo una lunga camminata, ritorno al parcheggio dove ho lasciato l’auto. Da lontano posso vedere il reparto psichiatrico dell’Ospedale Universitario: dovrei stare là dentro? *** “Siamo tutti così?” domando a mio marito, dopo che i bambini si sono addormentati e noi ci apprestiamo a coricarci. “Così come?” 249/481 “Come me. Che prima mi sento benissimo e, un momento dopo, sto malissimo.” “Penso di sì. Nella vita, ci sforziamo di controllare ogni gesto e ogni emozione, per evitare che il mostro esca dal suo nascondiglio.” “È vero.” “Non siamo chi desidereremmo essere. Siamo ciò che la società richiede, gli individui che i nostri genitori hanno deciso che fossimo. Ci adoperiamo per non deludere nessuno, abbiamo un immenso bisogno di essere amati. E, di conseguenza, soffochiamo la parte migliore di noi. A poco a poco, la luce dei nostri sogni si trasforma nel mostro dei nostri incubi. E diventiamo schiavi delle cose non realizzate, delle possibilità non vissute.” “Per quanto ne so, in passato la psichiatria definiva quest’atteggiamento un disturbo maniacodepressivo, ma ora – forse per mostrarsi politicamente corretta – preferisce 250/481 indicarlo con il termine ‘depressione bipolare’. Chissà dove avranno pescato una simile definizione. Il Polo Nord e il Polo Sud hanno caratteristiche tanto diverse? Comunque, deve riguardare una minoranza…” “Sì, certo, è una minoranza a esprimere una doppia personalità. Ma penso che il mostro viva in quasi tutte le persone.” Da un lato, la pazza che si intrufola in un’università per far incriminare un’innocente, senza saper spiegare il motivo del suo odio; dall’altro, la donna che si occupa amorevolmente della famiglia e si adopera per la felicità dei suoi cari, senza neppure chiedersi se ciò che prova confligge con la complessa realtà che vive. “Hai presente il Dr. Jekyll e Mr. Hyde?” A quanto pare, Frankenstein non è l’unico libro sempre ristampato da quando fu esaurita la prima edizione: Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, che Robert Louis 251/481 Stevenson scrisse in tre giorni, ha beneficiato del medesimo destino – e di un numero altrettanto cospicuo di trasposizioni cinematografiche. La vicenda si svolge a Londra, nel XIX secolo. Il medico e ricercatore Henry Jekyll è convinto che il Bene e il Male esistano in ogni essere umano. È deciso a dimostrare la sua teoria, derisa da quasi tutti i suoi conoscenti. Lavorando instancabilmente nel suo laboratorio, riesce a elaborare una formula. Ma per non mettere a rischio la vita di altre persone, beve egli stesso la pozione. Il risultato è l’incarnazione del suo lato demoniaco in un individuo che battezza con il nome di Mr. Hyde. Jekyll crede di poter controllare la comparsa e le azioni di Hyde, ma ben presto si rende conto di essere profondamente in errore. Allo stesso modo, quando la nostra componente cattiva viene liberata, finisce per offuscare tutte le qualità di cui disponiamo. 252/481 È qualcosa che riguarda l’intero genere umano. Accade per i tiranni che, di solito, all’inizio sono animati da buonissime intenzioni, ma che, pian piano, per perseguire il loro Bene immaginario, si affidano a una delle manifestazioni peggiori della natura umana: il terrore. “Sì, ricordo la trama del romanzo. Mi ha sempre confuso e spaventato. Ma è qualcosa che può accadere a chiunque di noi?” “No. Solo una piccola minoranza è priva di una nozione precisa di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.” “Io non so se questa minoranza sia davvero così esigua: a scuola, ho vissuto una situazione che poteva ricordare il libro di Stevenson. Avevo un professore preparato e gentile che, all’improvviso, si trasformava in un essere rozzo e violento: i suoi cambiamenti mi disorientavano. Tutti gli studenti ne avevano paura, perché era impossibile 253/481 prevedere come sarebbe stato un momento, un’ora o un giorno dopo. “Ma chi avrebbe osato reclamare? In fin dei conti, gli insegnanti hanno sempre ragione. Inoltre, tutti pensavano che avesse qualche difficoltà in casa, qualche problema che presto si sarebbe risolto. Finché, un giorno, perse il controllo, e il suo Mr. Hyde aggredì uno dei miei compagni. La direzione venne informata dell’episodio, e fu allontanato dall’istituto. Da allora, ho sempre avuto una sorta di timore verso le persone che dimostrano grande gentilezza e disponibilità.” “Come le cosiddette tricoteuses.” “Esatto.” Quelle donne reclamavano giustizia e pane per i poveri e lottavano per liberare la Francia, per porre rimedio al malgoverno di Luigi XVI. Durante il Regime del Terrore, si recavano di buon’ora nella piazza dov’era collocata la ghigliottina, prendevano posto in prima fila e lavoravano a maglia 254/481 mentre aspettavano i condannati a morte. Probabilmente erano madri di famiglia che, durante il resto della giornata, si occupavano amorevolmente di figli e mariti. Alla mattina, però, passavano il tempo sferruzzando tra un’esecuzione e l’altra. “Comunque, ricorda: tu sei più forte di me. È qualcosa che ho sempre patito. E forse è il motivo per il quale non ho mai esibito i miei sentimenti: non bisogna rivelare la propria debolezza.” Non sa che cosa sta dicendo. Ma la conversazione è ormai finita. Dopo qualche istante, si gira e si addormenta. E io rimango sola con la mia “forza”, a fissare il soffitto. *** Una settimana dopo, mi risolvo a tradire un giuramento che avevo fatto a me stessa: decido di andare da uno psichiatra. 255/481 Ho fissato tre appuntamenti con tre medici diversi. Ci sono riuscita, anche se avevano l’agenda piena – a Ginevra c’è più gente squilibrata di quanto si immagini. Esordivo dicendo che si trattava di un’urgenza. Le segretarie replicavano che “Tutto è urgente”, mi ringraziavano per la fiducia riposta nel “professore”, ma erano spiacenti: non potevano cancellare le visite degli altri pazienti. A quel punto, ho deciso di ricorrere al solito asso nella manica: comunicare la mia professione. Il termine “giornalista”, seguito dal nome di una testata importante, è una sorta di parola magica, in grado di aprire o far chiudere innumerevoli porte. Nel caso specifico, sapevo che il risultato sarebbe stato favorevole: ho ottenuto tutti gli appuntamenti chiesti. Non l’ho detto a nessuno – né a mio marito né al mio direttore. Il primo specialista – un uomo abbastanza strano, con un 256/481 accento britannico – si è premurato di avvisarmi che non lavorava in convenzione con gli enti previdenziali. Ho avuto il sospetto che esercitasse in Svizzera illegalmente. Con molta calma, gli ho spiegato che cosa mi stava succedendo. Ho usato gli esempi di Frankenstein e della sua creatura mostruosa, e del Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Gli ho chiesto di aiutarmi a gestire il mostro che viveva in me e che minacciava di sfuggire al mio controllo. Mi ha domandato che cosa realmente rappresentavano quei riferimenti. Di certo, non gli avrei mai rivelato i dettagli della mia situazione, poiché avrebbero potuto compromettermi – specialmente il piano elaborato per far incriminare Marianne König con l’accusa di traffico di stupefacenti. Ho deciso di raccontargli una bugia: gli ho spiegato che ero tormentata da pulsioni omicide, e pensavo di uccidere mio marito nel sonno. Quando mi ha chiesto se io o lui avessimo un amante, gli ho detto di no. 257/481 Capiva perfettamente: comunque era una situazione ancora nella norma. Un anno di terapia, con tre sedute alla settimana, avrebbe ridotto del 50% il mio istinto assassino. Sono rimasta scioccata dalla sua affermazione. E se, nel frattempo, avessi ucciso mio marito? Mi ha risposto che stavo vivendo soltanto un “transfert”, una “fantasia”, giacché i veri potenziali omicidi non cercano mai aiuto. Prima che uscissi, mi ha comunicato che il suo onorario ammontava a 250 franchi; poi ha detto alla segretaria di fissare degli appuntamenti regolari a partire dalla settimana successiva. L’ho ringraziato, dicendo che avrei dovuto consultare la mia agenda, prima di poter confermare gli impegni. Quando ho chiuso la porta, sapevo già che non sarei tornata. Il secondo psichiatra era una donna. Non aveva alcuna preclusione sulle convenzioni con gli enti previdenziali, e mi sembrava più 258/481 disposta ad ascoltarmi. Ho ripetuto la storia che talvolta avvertivo il desiderio di uccidere mio marito. “Be’, è qualcosa che capita anche a me,” ha replicato, con un sorriso sulle labbra. “Comunque entrambe sappiamo che, se le donne realizzassero i loro desideri segreti, moltissimi bimbi sarebbero orfani di padre. Si tratta di un impulso ‘normale’.” Normale? Dopo una conversazione durante la quale mi ha spiegato che ero “intimidita dal matrimonio”, che “non avevo spazio per crescere” e che la mia sessualità “mi procurava una serie di scompensi ormonali ampiamente citati nella letteratura medica”, ha preso un ricettario e ha scritto il nome di un noto antidepressivo. Ha aggiunto che gli effetti del farmaco si sarebbero consolidati nel giro di un mese e che, fino ad allora, avrei dovuto convivere con i miei disagi: poi, tutto sarebbe stato soltanto uno spiacevole ricordo. 259/481 Purché continuassi a prendere le compresse, ovviamente. Per quanto tempo? “La durata della cura è assai variabile. Ma credo che, nel giro di tre anni, potrà ridurre la dose giornaliera.” Un problema derivante dall’utilizzo delle casse previdenziali consiste nel fatto che la parcella dello specialista viene inviata a casa del paziente. Ecco il motivo per cui ho pagato in contanti, prima di chiudermi la porta dello studio alle spalle e giurare – ancora una volta – di non tornare più in quel posto. A quel punto, mi sono recata al terzo consulto. Di nuovo, un uomo in uno studio il cui arredamento, con ogni probabilità, era costato una fortuna. Al contrario dei due colleghi, ha preso sul serio la mia immaginaria pulsione omicida, dopo avermi ascoltato con attenzione. Correvo davvero il rischio di uccidere mio marito. Ero una potenziale assassina. Stavo perdendo il controllo di me stessa: se il mostro che viveva nel mio intimo 260/481 fosse riuscito a liberarsi, non sarei più stata in grado di fermarlo. Alla fine, con grande prudenza, mi ha domandato se facessi uso di stupefacenti. “Mi è accaduto solo una volta,” ho risposto. Non mi ha creduto. Ha cambiato argomento, parlando dei conflitti che tutti siamo costretti ad affrontare nella quotidianità. Poi è tornato sulla questione delle droghe. “È indispensabile che si fidi di me. Nessuno si droga una volta soltanto. Sappia che è protetta dal mio segreto professionale. Verrei radiato dall’albo, se rivelassi qualcosa del genere. È meglio sgombrare il campo da ogni equivoco, prima di fissare il prossimo appuntamento. Non è solo lei che deve accettarmi come medico; anch’io devo accettarla come paziente. È così che funziona.” 261/481 “No, non faccio uso di droghe,” ho ribadito. “Conosco la legge sul segreto professionale, e non sono qui per mentirle. Voglio soltanto risolvere i miei problemi, per evitare di fare del male a persone che amo o che mi sono vicine.” Sul suo volto affascinante e perfettamente rasato è comparsa un’espressione convinta. Ha annuito, prima di replicare: “Ha impiegato anni per accumulare tutti questi elementi negativi, e ora vuole liberarsi di essi in un battibaleno, dalla sera alla mattina… Non è possibile con la psichiatria o la psicanalisi: non sono uno sciamano che, con un tocco delle dita e una formula magica, scaccia gli spiriti maligni.” Chiaramente era un commento ironico, ma quelle parole mi avevano appena fornito un’eccellente idea. I miei giorni di ricerca in ambito psichiatrico erano finiti. *** 262/481 Post Tenebras Lux. Dopo le tenebre, la luce. Mi trovo davanti al Muro dei Riformatori: un monumento lungo circa cento metri, al centro del quale si ergono quattro statue imponenti, fiancheggiate da figure più piccole in bassorilievo. Uno dei soggetti principali – il secondo partendo da sinistra – è più alto degli altri, ha la barba lunga e regge con entrambe le mani ciò che, nella sua epoca, era più letale di una mitragliatrice: la Bibbia. Mentre aspetto, penso: ‘Se quell’uomo fosse nato oggi, tutti – soprattutto i francesi e i cattolici –, lo considererebbero un terrorista.’ Infatti le tattiche che utilizzava per far trionfare quella che reputava la verità suprema mi portano a paragonarlo a Osama Bin Laden, seppure con enormi distinguo riguardo alla perversione di quest’ultimo. Entrambi perseguivano il medesimo fine: instaurare uno stato teocratico, nel quale 263/481 coloro che non avessero osservato le leggi divine, avrebbero dovuto essere puniti. In qualsiasi caso, nessuno dei due ha avuto la minima esitazione quando si è trattato di ricorrere al terrore per raggiungere i propri obiettivi. Chi raffigura quella statua? Giovanni Calvino che, per due volte, scelse Ginevra come base della propria lotta religiosa. Una battaglia che vide la condanna a morte e il sacrificio di centinaia di persone. Non solo di cattolici che non volevano abiurare la propria fede, ma anche di scienziati che, in cerca della verità (e magari di un rimedio per una qualche malattia), sfidavano l’interpretazione letterale della Bibbia. Il caso più famoso riguarda Michele Serveto, teologo e medico spagnolo, autore di un importante studio sulla circolazione sanguigna polmonare, che per le sue ricerche e per una disputa sulla Trinità fu condannato al rogo. 264/481 Non è sbagliato punire eretici e blasfemi. Giacché in tal modo non diventiamo complici dei loro crimini […]. Non si tratta qui dell’autorità dell’uomo: è Dio che parla […]. Dunque, se Egli esige da noi atti di così estrema gravità, affinché Gli venga dimostrato che Lo gratifichiamo degli onori dovuti e Lo poniamo al di sopra di ogni considerazione umana, dobbiamo essere pronti a non risparmiare né parenti né consanguinei, e a dimenticare qualsivoglia umanità, quando si tratta di combattere per la Sua gloria. La ferocia e la morte non si limitarono al cantone di Ginevra: alcuni seguaci di Calvino, probabilmente gli individui effigiati nei bassorilievi, diffusero la sua dottrina intollerante nell’intera Europa. In Olanda, nel 1566, vennero distrutte numerose chiese, e molti “ribelli” – ossia, coloro che praticavano una fede differente – furono assassinati. Tantissime opere d’arte con soggetti 265/481 sacri furono bruciate, con il pretesto dell’“idolatria”: in poco tempo, una parte considerevole del patrimonio storico e culturale dell’umanità andò perduta. Eppure nei libri scolastici dei miei figli Calvino è descritto come un grande umanista, un uomo dalle idee nuove che “liberò” gli svizzeri dal giogo cattolico. Un rivoluzionario meritevole di onori e gloria nei secoli dei secoli. Dopo le tenebre, la luce. ‘Che cosa passava nella mente di quest’uomo?’ mi domando, guardando il suo volto di pietra. ‘Ha trascorso notti insonni sapendo che le famiglie venivano decimate, che i figli erano separati dai genitori e che la terra stava intridendosi di sangue? Oppure era talmente convinto della propria missione da non avere alcuna remora. Credeva che ogni suo atto potesse trovare una giustificazione in nome dell’amore?’ Ecco il dubbio 266/481 che mi assilla, il nocciolo dei miei problemi attuali. Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Alcune testimonianze raccontano che, nell’intimità, Calvino era un uomo buono, che seguiva gli insegnamenti di Cristo e compiva sorprendenti gesti di umanità. Era temuto, ma anche amato – e, grazie a questo amore, infiammava le folle. Poiché la storia è scritta dai vincitori, nessuno ricorda le sue atrocità. Oggi è soltanto il medico dell’anima, il grande riformatore, colui che ci salvò dall’eresia cattolica – dai suoi angeli, dai suoi santi, dalle vergini, dall’oro, dall’argento, dalle indulgenze e dalla corruzione. *** Arriva l’uomo che aspettavo e le mie riflessioni si interrompono. È uno sciamano cubano. Gli spiego che ho convinto il mio direttore riguardo all’opportunità di 267/481 pubblicare un articolo sui metodi alternativi per combattere lo stress. Il mondo degli affari pullula di persone che, un momento prima, si comportano con estrema generosità e, subito dopo, sfogano la propria rabbia sugli individui più deboli – di solito, i loro sottoposti. Gli uomini risultano sempre più imprevedibili. Gli psichiatri e gli psicanalisti hanno gli studi affollati e non riescono più a seguire i pazienti. E nessuno può aspettare mesi o anni per curarsi la depressione. Il cubano ascolta senza commentare. Gli domando se possiamo continuare la nostra conversazione in un bar: siamo all’aperto, e la temperatura è scesa di alcuni gradi. “È la ‘nuvola’,” dice lui. Poi accetta il mio invito. La “nuvola” staziona nei cieli di Ginevra fino a febbraio o marzo: solo di tanto in tanto il Mistral la allontana, spazzando il cielo, ma 268/481 facendo abbassare ancora di più la temperatura. “Com’è arrivata a me?” “Mi ha parlato di lei uno dei sorveglianti del giornale. Il direttore voleva che intervistassi psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, ma mi sarei ritrovata con un articolo già pubblicato centinaia di volte.” Sto pensando a un pezzo diverso, originale, e lo sciamano può fornirmi argomenti nuovi. “Non potrà pubblicare il mio nome. La mia attività non è riconosciuta né dagli enti previdenziali né dagli ambienti scientifici.” Immagino che voglia dirmi: “Ciò che faccio è illegale.” *** Parlo per quasi venti minuti, tentando di metterlo a suo agio, ma il cubano non replica mai: si limita a studiarmi. Ha la pelle bruna e 269/481 i capelli brizzolati; è piuttosto basso e indossa giacca e cravatta. Non avrei mai immaginato che uno sciamano si vestisse in quel modo. Gli assicuro che le sue dichiarazioni resteranno anonime e che mi impegno a mantenere il segreto sulla sua identità. Voglio sapere soltanto se sono in molti a rivolgersi a lui. Mi hanno riferito che è in grado di curare e guarire. “È falso. Io non so curare né guarire. Solo Dio può farlo.” “D’accordo. Ma capita quasi ogni giorno di incontrare qualcuno che, all’improvviso, assume un atteggiamento strano. E allora ti domandi: ‘Che cos’è accaduto a questa persona che pensavo di conoscere così bene? Per quale motivo si sta comportando in maniera tanto aggressiva? Sarà a causa dello stress derivante dal lavoro?’ Poi, l’indomani, ecco che l’altro è tornato normale. Provi un grande sollievo ma, poco tempo dopo, 270/481 sopraggiunge un nuovo cambiamento: ti senti come se, di colpo, uno sconosciuto ti avesse strappato il tappeto da sotto i piedi. E questa volta, anziché chiederti che cosa non va in quel tizio, ti domandi dove hai sbagliato.” Il cubano tace. Non si fida ancora di me. “Esiste una cura per questo?” “Sì, esiste, ma appartiene a Dio.” “Va bene. Ma… in che modo Dio cura?” “In moltissimi modi. Mi guardi negli occhi.” Obbedisco, e scivolo in una sorta di trance: uno stato nel quale mi sembra di perdere il contatto con il mondo reale. “In nome delle forze che guidano il mio lavoro, per i poteri a me conferiti, chiedo agli spiriti che mi proteggono di distruggere la sua vita e quella dei suoi famigliari, se denuncerà la mia attività alla polizia o segnalerà la mia presenza all’ufficio confederale per l’immigrazione.” 271/481 Traccia alcuni segni nell’aria, intorno al mio capo. È una scena surreale: vorrei alzarmi e andarmene. Ma, quando mi risolvo a muovermi, lui è tornato normale – né particolarmente cortese né antipatico. “Adesso chiedi pure. Mi fido di te,” dice, passando al “tu”. Sono piuttosto spaventata. Non ho alcuna intenzione di mettere nei guai quest’uomo. Gli chiedo di versarmi un’altra tazza di tè; poi gli spiego esattamente cosa desidero: secondo i medici che ho “intervistato”, per la cura è necessario molto tempo. Il sorvegliante del giornale mi ha detto che – misuro attentamente ogni parola – Dio lo utilizza come un tramite: attraverso di lui può curare e guarire la depressione. “Innanzitutto, siamo noi a creare confusione nelle nostre menti – e la depressione non è altro che uno stato confusionario. Niente arriva dall’esterno. Per risolvere il problema, è sufficiente chiedere aiuto a uno 272/481 spirito protettore, il quale penetra nell’anima e si preoccupa di sistemare tutto ciò che crea disagio. È facile: peccato che nessuno creda più alla presenza di quegli esseri benevoli. Essi ci osservano, desiderosi di soccorrerci, ma nessuno li invoca. Il mio lavoro consiste nel chiamarli quando una persona è in difficoltà e attendere che svolgano il loro compito. Soltanto questo.” “E se, in un momento di aggressività, una persona concepisce un piano per distruggerne un’altra, magari diffamandola sul lavoro o facendola accusare ingiustamente?” “È qualcosa che capita tutti i giorni.” “Penso di saperlo. Ma mi chiedo, quando la carica aggressiva si dissolverà, quando tutto tornerà nella normalità: quella persona non si sentirà divorata dal senso di colpa?” “Certo. E, con il passare degli anni, la sua condizione peggiorerà.” 273/481 “Allora il motto della Riforma Protestante e della città di Ginevra è sbagliato: ‘Dopo le tenebre, la luce’.’” “Cosa?” “Niente. Stavo divagando sul monumento nel parco dell’università.” “Comunque, sì: c’è luce alla fine del tunnel, se è questo che vuoi dire. Ma accade che, quando la persona ha attraversato l’oscurità ed è arrivata dall’altra parte, ha lasciato dietro di sé un’enorme scia di distruzione.” “Capisco. Ma torniamo al motivo del nostro incontro: il suo metodo.” “Non è il mio metodo. Altri lo hanno usato nel corso degli anni contro lo stress, la depressione, l’irascibilità, le manie suicide e le mille altre maniere che l’essere umano ha escogitato per farsi del male.” Mio Dio, sono davanti alla persona che cercavo. Devo mantenere il sangue freddo. “Possiamo definirlo come…” 274/481 “… Come una trance autoindotta. O autoipnosi. Oppure meditazione. In ogni cultura, ha un nome differente. Comunque, ricorda che la Società Medica della Svizzera si oppone risolutamente a questo genere di esperienze.” Gli spiego che faccio yoga, anche se non riesco ad arrivare a uno stadio di conoscenza in cui i problemi vengono organizzati e risolti. “Stiamo parlando della tua persona o di un articolo per il giornale?” “Di entrambi.” Devo agire con estrema cautela, perché so di non poter avere segreti per quest’uomo. Ne ho avuto la certezza nel momento in cui mi ha chiesto di guardarlo negli occhi. Gli spiego che la sua preoccupazione per l’anonimato è del tutto ridicola – molta gente sa che riceve nella sua casa di Veyrier. E molte persone, tra cui alcuni funzionari federali responsabili della sicurezza 275/481 carceraria, ricorrono ai suoi servigi. È quanto mi ha raccontato il sorvegliante del giornale. “Hai un problema con la notte,” afferma lui. Vero. Il mio problema si manifesta in quelle ore. Ma perché? “Per il semplice fatto di essere buia, la notte ha il potere di far rivivere in noi i terrori dell’infanzia, la paura della solitudine e dell’ignoto. Tuttavia, se riusciamo a vincere quei fantasmi, saremo in grado di sconfiggere facilmente anche quelli che ci tormentano durante il giorno. Non avremo paura delle tenebre, se scegliamo di affidarci alla luce.” Mi sento come davanti a un insegnante di scuola elementare, che mi sta spiegando cose tremendamente ovvie. “Non potrei venire a casa sua perché faccia…” “… Un rituale di esorcismo?” Non avevo pensato a quel termine, ma forse è proprio quello che mi serve. 276/481 “Non è necessario. In te, vedo molte tenebre, ma anche tanta luce. E sono convinto che, alla fine, essa prevarrà.” Sto per piangere: quest’uomo è penetrato davvero nella mia anima, e non riesco a spiegarmi come ci sia riuscito. “Di tanto in tanto, abbandonati alla notte, fermati a guardare le stelle e lasciati inebriare dalla sensazione dell’infinito. Con i suoi sortilegi, la notte è anche un cammino verso l’illuminazione. Proprio come il pozzo scuro sul fondo del quale c’è l’acqua che vince la sete, la notte porta con sé – celata tra le sue ombre – la fiamma che incendia le nostre anime, consentendoci di avvicinarci ai misteri di Dio.” Chiacchieriamo per quasi due ore. Lo sciamano cubano mi ripete che devo soltanto abbandonarmi alla vita, lasciarmi trasportare; poi aggiunge che tutti i miei timori – persino i più grandi – sono infondati. Gli parlo del mio desiderio di vendetta. Lui 277/481 ascolta senza commentare né esprimere un giudizio. Parlo, e parlo, e parlo – e mi sento sempre meglio. Mi invita a uscire e a fare una passeggiata nel parco. Vicino a un ingresso, vedo i riquadri bianchi e neri di alcune scacchiere dipinti sul cemento e una schiera di pezzi in plastica. Nonostante il freddo, alcune persone stanno giocando. Lo sciamano cammina in silenzio – io, invece, continuo a parlare, ora ringraziando ora maledicendo la vita che la sorte mi ha riservato. Ci fermiamo davanti a una delle scacchiere. Adesso lui sembra più interessato al gioco che alle mie parole. Taccio e comincio a seguire le varie mosse, sebbene non sia particolarmente attratta dalla partita. “Devi arrivare sino alla fine,” dice, quasi all’improvviso. “Sino alla fine? Tradisco mio marito, escogito piani per mettere la cocaina in un cassetto della mia rivale e avvertire la polizia…” 278/481 Lui scoppia a ridere. “Vedi quei giocatori? Sono obbligati a fare la mossa successiva. Non possono evitarla, altrimenti sarebbe come rassegnarsi alla sconfitta. Magari arriverà un momento in cui essa è inevitabile, ma almeno avranno lottato sino alla fine. In noi, c’è già tutto, in molteplici forme. Non c’è niente da trovare. Pensare di essere buoni o cattivi, giusti o iniqui, è una grande sciocchezza. Oggi Ginevra è coperta da una nuvola: anche se accadrà tra mesi, noi sappiamo che se ne andrà. Abbi fiducia, lasciati trasportare.” “Cercherò di farlo. Nessuna raccomandazione, per evitare che faccia qualcosa di sbagliato?” “No, nessuna. Se sbaglierai, te ne renderai conto da sola. Come ti ho detto, nella tua anima la luce è maggiore delle tenebre. Ed è per questo che dovrai giocare la tua partita sino alla fine.” 279/481 Nella mia vita, credo di non aver mai ascoltato un consiglio così assurdo. Lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e gli domando qual è il suo onorario. “Nulla,” mi risponde. *** Di ritorno al giornale, il direttore mi domanda perché ho tardato tanto. Gli spiego che, trattandosi di un tema molto delicato e controverso, ho stentato a ottenere le spiegazioni di cui avevo bisogno. “Non è che stiamo favorendo delle pratiche illecite, visto che è qualcosa di controverso?” “Incoraggiamo comportamenti poco virtuosi, bombardando i giovani con notizie che spingono a consumi smodati? Promuoviamo gli incidenti, parlando di auto che raggiungono la velocità di duecentocinquanta chilometri orari? Favoriamo la depressione e le 280/481 manie suicide, pubblicando articoli su persone di successo e instillando in molti lettori la convinzione di non valere niente?” Il direttore non è in vena di discussioni. Sarebbe davvero interessante parlare di queste cose, anche in considerazione del fatto che uno degli articoli più importanti dell’edizione odierna del giornale si intitolava: “La nostra Catena della Felicità raccoglie 8.000.000 di franchi per i bambini asiatici”. Scrivo un pezzo di seicento parole – il massimo abitualmente concesso dal mio caposervizio –, elaborato soltanto attraverso ricerche condotte in internet, visto che non sono riuscita a utilizzare alcunché della conversazione con lo sciamano, che si è trasformata in un consulto. *** Jacob! 281/481 Èappena resuscitato e mi ha mandato un messaggio, invitandomi a prendere un caffè insieme – come se non ci fossero mille altre cose interessanti da fare nella vita. Dov’è finito il sofisticato degustatore di vini? Dov’è l’uomo che possiede il più forte afrodisiaco del mondo: il potere? Soprattutto, dov’è l’innamorato della mia adolescenza, che ho conosciuto in un’epoca nella quale tutto era possibile per entrambi? Si è sposato, è cambiato e mi invita a prendere un caffè con un sms. Non poteva dimostrarsi più fantasioso e propormi una corsa nudi a Chamonix? Forse sarei stata più interessata… Non ho alcuna intenzione di rispondere. Mi sono sentita snobbata, umiliata dal suo silenzio per settimane. Pensa che accetterò entusiasta solo per l’onore di avermi proposto di condividere qualche momento della sua giornata? 282/481 Quando sono a letto, ascolto (con gli auricolari) uno dei nastri registrati durante la conversazione con lo sciamano. Quando fingevo ancora di essere solo una giornalista – e non una donna spaventata da se stessa –, gli avevo domandato se l’autoipnosi (o “meditazione”: la definizione che preferiva) fosse in grado di far dimenticare una persona. Avevo affrontato l’argomento in modo che non potesse intendere se mi riferissi a una situazione amorosa o a un evento traumatico – il tema della nostra conversazione in quel momento. “È molto difficile rispondere,” aveva detto. “Comunque, è possibile indurre un’amnesia selettiva, anche se non conduce a un risultato definitivo: di solito, la persona è associata ad altri fatti ed eventi, e non si può cancellarla completamente dalla propria memoria. Inoltre, dimenticare è sbagliato: è molto più corretto affrontare la situazione.” 283/481 Ascolto l’intera registrazione. Prendo appunti sull’agenda, mi riprometto di agire in un certo modo, mi sforzo di scacciare un pensiero ricorrente dalla mente – ciononostante, prima di addormentarmi, invio un messaggio a Jacob, accettando l’invito. Non riesco a controllare il mio comportamento: ecco il problema. *** “Non ti dirò che ho sentito la tua mancanza, perché non mi crederesti. Non ti racconterò che non ho risposto ai tuoi messaggi perché temo di innamorarmi di nuovo.” Di sicuro, non credo a niente di tutto questo. Ma lascio che continui a spiegare ciò che è indecifrabile. Siamo seduti in un bar piuttosto anonimo di Collongessous-Salève, un paesino francese di confine, che si trova a quindici minuti d’auto dal mio posto di lavoro. I pochi avventori sono camionisti e 284/481 operai di una cava di pietra situata nelle vicinanze. Sono l’unica donna nel locale, a parte la barista che sfoggia un trucco pesante e si muove svelta tra il bancone e i tavoli, scambiando battute con i clienti. “Da quando sei ricomparsa nella mia vita, vivo in una sorta di inferno. Dal giorno in cui sei venuta a intervistarmi in ufficio e ci siamo concessi quei momenti d’intimità…” Ci siamo concessi? Noi due? Io gli ho fatto un pompino. Lui non ha fatto un bel niente. “Non posso dire di essere infelice, no. Ma mi sento sempre più solo, anche se nessuno se ne accorge. Succede persino quando sto con persone amiche, in un ambiente rilassante, a conversare amabilmente: annuisco, sorrido, ma mi risulta impossibile prestare attenzione a ciò che si dice. A un certo punto, adduco la scusa di un impegno importante e me ne vado. Comunque, so che cosa mi manca: tu.” 285/481 È arrivato il tempo della vendetta. “Non pensi di aver bisogno di una terapia di coppia?” “Credo di sì. Ma non riesco a convincere Marianne. Per lei, la filosofia è in grado di spiegare tutto. Ha notato che sono diverso, ma attribuisce i miei comportamenti alla fatica delle elezioni.” Lo sciamano aveva ragione, quando diceva che bisogna arrivare sino alla fine. Jacob ha finito per salvare la moglie da un’imputazione per traffico di stupefacenti. “Le mie responsabilità sono aumentate, e non mi ci sono ancora adattato. Secondo lei, presto mi sarò abituato alla nuova realtà. E tu?” E io cosa? Che cosa vuol sapere esattamente? I miei sforzi per resistere sono stati vanificati quando l’ho visto seduto solitario a un tavolino d’angolo, con un Campari davanti: appena ho varcato la soglia del locale, un 286/481 sorriso ha illuminato il suo volto. Siamo di nuovo due adolescenti, stavolta con il diritto di ordinare bevande alcoliche senza infrangere la legge. Stringo le sue mani: sono ghiacciate – non so se per il freddo, l’emozione o la paura. “Va tutto bene,” rispondo. Poi suggerisco di incontrarci prima, la prossima volta: l’ora legale è terminata, e annotta presto. Concorda, e mi dà un bacio lieve sulle labbra, preoccupandosi di non attirare l’attenzione degli altri avventori. “Le belle giornate di sole di quest’autunno mi angustiano tremendamente. Apro le tende dell’ufficio e vedo le persone giù in strada: alcune camminano mano nella mano, senza dover preoccuparsi di qualche conseguenza. Io, invece, non posso mostrare al mondo il mio amore.” Amore? Che lo sciamano cubano si sia impietosito di me al punto di chiedere un aiuto particolare agli spiriti benevoli? 287/481 Mi aspettavo una miriade di cose da questo incontro, ma non che Jacob fosse capace di aprire la propria anima come sta facendo ora. Il cuore mi batte sempre più forte – per la gioia, per la sorpresa. Non domanderò né a lui né a me perché ciò stia succedendo. “E, credimi, non si tratta di una forma di invidia per la felicità altrui. Semplicemente, non so spiegarmi perché gli altri possono essere felici, mentre io…” Chiede il conto e paga in euro. Superiamo il posto di frontiera a piedi, e ci avviamo verso le nostre auto parcheggiate cento metri più avanti, in Svizzera. Non siamo nella condizione di scambiarci effusioni, e ci salutiamo con i tradizionali tre bacetti, prima di riprendere la strada segnata dai nostri rispettivi destini. Com’è accaduto al circolo del golf, quando arrivo alla macchina, non sono ancora in grado di guidare. Mi infilo un berretto per 288/481 proteggermi dal freddo e comincio a girovagare senza meta nelle vie di La Mure, l’area elvetica di Collongessous-Salève. Passo davanti a un ufficio postale e a un parrucchiere. Vedo un bar aperto, ma preferisco continuare a camminare all’aria aperta. Non sono minimamente interessata a capire che cosa sta succedendo. Voglio solo che accada. “‘Apro le tende dell’ufficio e vedo le persone giù in strada: alcune camminano mano nella mano, senza dover preoccuparsi di qualche conseguenza. Io, invece, non posso mostrare al mondo il mio amore,’” ha detto Jacob. Quando ho avuto la sensazione che nessuno – assolutamente nessuno: né sciamani né psichiatri né mio marito – fosse in grado di capire ciò che provavo, lui è riuscito a spiegarmi l’origine e l’essenza del mio disagio. La solitudine, nonostante io viva circondata da persone care, che mi augurano ogni bene, ma che probabilmente si 289/481 preoccupano di aiutarmi soltanto perché condividono la mia stessa situazione – una sorta di isolamento dal mondo – e perché, con il loro gesto di solidarietà, intendono proclamare un concetto che non sanno esprimere: “Io sono utile, anche se sono solo.” Sebbene la mente possa arrivare a convincersi che tutto va bene, la nostra anima è smarrita, confusa, incapace di guarire il malessere che ci tormenta. Ci invia segnali che non sappiamo interpretare: non guardiamo mai nel nostro cuore, e seguitiamo a svegliarci al mattino e a occuparci dei nostri figli, dei nostri mariti, dei nostri amanti, dei nostri capi, dei nostri impiegati, dei nostri studenti, delle decine di persone che costituiscono il nostro mondo fisico. Per il prossimo, abbiamo sempre il sorriso sulle labbra e una parola di incoraggiamento – nessuno può o vuole raccontare la propria 290/481 solitudine, soprattutto quando gli altri finiscono per rappresentare la pietra angolare dell’esistenza. Ma la solitudine esiste e continua a minare, a corrodere, il nostro vero essere, visto che dobbiamo impiegare ogni energia per apparire felici: ci imponiamo determinati atteggiamenti, ma ci risulta impossibile ingannare pure noi stessi. In ogni caso, ci ostiniamo a mostrare soltanto la rosa sontuosa, evitando accuratamente di far vedere lo stelo spinoso che ci ferisce e ci fa sanguinare. E questo anche se sappiamo che tutti, in un qualche momento della vita, si sono sentiti totalmente e assolutamente soli. Reputiamo sconveniente e umiliante dire: “Sono solo, ho bisogno di compagnia. Devo uccidere il mostro che mi sta rubando la gioia di vivere e, a differenza dei draghi delle favole, non è soltanto il frutto della fantasia.” Ci limitiamo ad aspettare un cavaliere virtuoso che, con spada e lancia, vinca la bestia e la 291/481 ricacci nell’abisso: ma quell’eroe non arriva mai. Comunque, non possiamo perdere la speranza. E allora ci dedichiamo a nuove esperienze, compiamo scelte che esigono forza e coraggio – molto più di quanto sia necessario. Nel nostro cuore, le spine aumentano, diventano più taglienti e devastanti, eppure dobbiamo sopportare il dolore: non possiamo desistere, abbandonare la sfida. Come se la vita fosse una gigantesca partita a scacchi, tutti sono in attesa del risultato. Fingiamo che non sia importante vincere o perdere, bensì competere, e ci adoperiamo affinché i nostri veri sentimenti siano indecifrabili, nascosti, ma poi… … Poi, anziché cercare la compagnia e il conforto degli altri, ci isoliamo sempre più, per poter leccarci le ferite in silenzio. Oppure partecipiamo a cene e pranzi con persone lontanissime dalla nostra vita, con le quali ci ritroviamo a conversare di argomenti 292/481 insignificanti. Ci distraiamo per qualche ora, beviamo e festeggiamo ma, dentro di noi, il drago è sempre vivo. Poi, a un certo punto, le persone davvero vicine si accorgono del nostro disagio e si sentono in colpa perché non sanno renderci felici. Quando ci domandano se abbiamo qualche problema, rispondiamo che va tutto bene, anche se non è così. Anzi, le cose vanno davvero male. A coloro che ci offrono aiuto, vorremmo dire: “Ti prego, lasciami in pace: non ho più lacrime per piangere né cuore per soffrire. Per me, non c’è altro che insonnia, vuoto, apatia. Credo che tu viva la mia stessa situazione, perciò…” Ma gli altri insistono, dicono che si tratta solo di un periodo difficile, di una depressione passeggera: si sentono assaliti dal terrore al pensiero di pronunciare la parola maledetta: “solitudine”. Nel frattempo, noi seguitiamo indefessamente a sperare nella comparsa del cavaliere dall’armatura splendente: soltanto 293/481 l’eroe può donarci la felicità, uccidendo il drago, eliminando le spine dallo stelo della rosa e assaporando il suo profumo. Alcuni affermano che siamo ingiusti con la vita. Altri si rallegrano della nostra situazione, poiché sono convinti che sia proprio ciò che meritiamo: la solitudine e l’infelicità derivano dal fatto che, a differenza di loro, noi abbiamo tutto ciò che desideriamo. Poi, un giorno, quelli che sono ciechi cominciano a vedere. Quelli che sono tristi, si consolano. Quelli che soffrono, gioiscono. Arriva il cavaliere e ci libera dal mostro – e, di nuovo, la nostra vita acquista un senso. Eppure sentiamo ancora il bisogno di mentire e ingannare, anche se con motivazioni diverse. Chi non ha mai avvertito il desiderio di abbandonare tutto e di inseguire un sogno? Nel sogno esiste sempre un elemento di rischio, un prezzo da pagare: in alcuni paesi, esso può condurre a una 294/481 sentenza di lapidazione; in altri, può causare indifferenza o ostracismo. Di certo, però, ogni sogno ha un costo. Anche se continuiamo a mentire e gli altri fingono di crederci e di invidiarci, nascostamente sparlano alle nostre spalle, dicendo che siamo individui spregevoli, pericolosi. Tu non sei un uomo che inganna la moglie – qualcuno che si tollera e spesso si ammira –, ma un’adultera, una donna che va a letto con un altro e che tradisce il consorte – quel povero marito, sempre così comprensivo e premuroso. Ma soltanto tu sai che il tuo compagno non è in grado di allontanare la solitudine che ti devasta. Non hai mai cercato di parlargli di ciò che ti manca perché lo ami e non vuoi perderlo. Di certo, un cavaliere dall’armatura scintillante, che ti fa immaginare avventure in terre lontane, si dimostra sempre assai più forte della tua aspirazione a condurre una vita tranquilla, anche se nella situazione in cui ti trovi, gli altri pensano che 295/481 la soluzione dei tuoi problemi sia una pietra al collo e un tuffo nell’acqua profonda – oltretutto, sei un pessimo esempio. E il fatto che tuo marito sopporta ogni cosa in silenzio contribuisce a peggiorare lo scenario. Non protesta né urla. Si dice che passerà. D’accordo, passerà, ma per ora ti sta soffocando. E così la situazione si protrae per un mese, due mesi, un anno… E tutti sopportano in silenzio. Per cambiare, non occorrono permessi. Ti guardi indietro e ti rendi conto che la pensavi come coloro che ti accusano. Anche tu condannavi le adultere e immaginavi che, se fossero vissute in un altro paese, avrebbero pagato con la lapidazione. Poi è capitato a te. E allora hai trovato un milione di giustificazioni per il tuo comportamento: ti sei ripetuta che hai il diritto di essere felice, fosse pure per poco tempo, perché i cavalieri che uccidono i draghi esistono solo nelle 296/481 fiabe dell’infanzia. I draghi autentici non muoiono mai. A questo punto, tu non puoi negarti il piacere di vivere una favola adulta almeno una volta nella vita. E così arriva il momento che, per mesi o anni, ti sei sforzata di evitare a ogni costo: quello che ti obbliga a prendere una decisione, a scegliere se continuare a stare insieme o separarsi. Nel contempo, ti assale la paura di sbagliare, quale che sia la decisione che prenderai. Allora desideri ardentemente che qualcuno scelga al tuo posto, che ti caccino da casa o dal letto, perché è impossibile continuare una vita di falsità. Pensi: ‘In fondo, non esiste più nessuna comunione: siamo due persone totalmente diverse l’una dall’altra.’ È una presa di coscienza nuova, una cosa che non avevi neppure immaginato, e che non sai dove ti condurrà. Di sicuro, è una situazione che farà soffrire un’altra persona, o forse due, oppure tutti, ma… 297/481 Ma, soprattutto, distruggerà te – qualunque sia la tua scelta. *** Il traffico è bloccato. Proprio oggi! Ginevra ha meno di 200.000 abitanti ma, in alcuni frangenti, diventa il centro del mondo. Centinaia o migliaia di individui si riversano qui da paesi lontani per quelle che vengono pomposamente definite “riunioni al vertice”. Incontri che di solito si svolgono nei grandi alberghi e nelle ville dei dintorni e che, di rado, creano intralci alla viabilità. Gli unici fastidi possono derivare dal rumore degli elicotteri che sorvolano la città. Non so che cosa stia accadendo oggi: la polizia ha chiuso una delle strade principali. Ho letto i quotidiani ma, come accade talvolta, non mi sono soffermata sulle pagine dedicate alla cronaca cittadina. Comunque, so che i rappresentanti delle grandi potenze 298/481 si sono ritrovati a Ginevra per discutere, “in territorio neutrale”, la minaccia della proliferazione delle armi nucleari. Indubbiamente è un evento importante, ma non pensavo che potesse sconvolgere la mia quotidianità. E molto. Come al solito, rischio di arrivare in ritardo: avrei dovuto utilizzare i mezzi pubblici, anziché prendere questa stupida macchina. *** Nell’Europa ricca si spendono annualmente circa 74.000.000 di franchi per ingaggiare investigatori privati che seguano, fotografino e forniscano le prove del tradimento del proprio coniuge. Se in molti paesi del continente le famiglie vivono nella morsa della crisi, le imprese falliscono e licenziano i dipendenti, il mercato legato all’infedeltà sta conoscendo un autentico boom. 299/481 Comunque, non sono solo i detective privati ad aver incrementato i propri guadagni. Le software houses hanno immesso sul mercato numerose applicazioni per gli smartphone che possono essere utilizzate in un rapporto clandestino. Oltre a queste due categorie, anche gli alberghi hanno visto aumentare le loro entrate. Poiché è assodato che un cittadino svizzero su sette ha una relazione extraconiugale (come risulta dagli studi ufficiali dell’istituto di statistica della Confederazione), considerando il numero dei matrimoni in essere, si può affermare che 450.000 persone sono potenzialmente alla ricerca di una camera d’albergo discreta dove potersi incontrare. Per attirare la clientela, il direttore di un lussuoso hotel ha dichiarato: “I nostri sistemi di pagamento consentono di far comparire sull’estratto conto della carta di credito la voce ‘Pranzo nel ristorante dell’albergo X’, anziché ‘Soggiorno presso…’” È 300/481 perfettamente inutile aggiungere che quella struttura alberghiera ha scalato le classifiche di coloro che possono permettersi di pagare 600 franchi per l’affitto pomeridiano di una stanza. Ebbene, è proprio lì che mi sto dirigendo. Dopo mezz’ora di traffico stressante, lascio la macchina al posteggiatore e salgo in camera. Grazie ai servizi telematici dell’hotel, so esattamente dove andare senza dover chiedere alla reception. Dal piccolo bar sul confine francese fino a qui non sono stati necessari né giuramenti né spiegazioni – e neppure un altro incontro – perché Jacob e io avessimo la certezza che volevamo proprio questo. Probabilmente entrambi avevamo paura di ripensarci e, magari, di rinunciare – abbiamo finito per decidere senza troppi dubbi e domande. *** 301/481 Non è più autunno. È di nuovo primavera, e io sono tornata ai miei sedici anni – Jacob ne ha quindici. Misteriosamente, ho recuperato la verginità dell’anima – visto che quella del corpo è ormai perduta per sempre. Ci baciamo. Mi ritrovo a pensare: ‘Mio Dio, avevo dimenticato le sensazioni dell’amore. Vivevo nella costante preoccupazione di cercarlo – in che modo? Dove? Quando? –, e mi consegnavo passiva alle spiegazioni e ai comportamenti di mio marito. Era tutto sbagliato. Ormai non ci concedevamo più totalmente l’uno all’altra.’ Forse Jacob ora si fermerà. Non ci siamo mai spinti oltre i baci: lunghi e deliziosi baci, scambiati in qualche angolo riparato della scuola. Ma io già desideravo che tutti ci vedessero, che mi invidiassero. Adesso, però, lui non si ferma. La sua lingua ha un gusto amaro, una mistura di 302/481 sigaretta e vodka. Provo vergogna, mi sento tesa. ‘Forse dovrei fumare una sigaretta e bere un goccio di vodka anch’io, per raggiungere una condizione di parità!’ penso. Lo allontano con delicatezza, mi avvicino al minibar e, d’un fiato, tracanno una mignon di gin. L’alcol mi brucia la gola. Gli chiedo una sigaretta. Jacob me la porge, dopo avermi ricordato che, anche se non ci sono rilevatori d’incendio, in camera è vietato fumare. Un’altra stupida regola – e un’altra trasgressione che mi regala un piacere proibito. Aspiro una boccata, e mi sembra di star male: non riesco a capire se l’origine del malessere sia la vodka o la sigaretta. Nel dubbio, vado in bagno e la getto nella tazza del water. Lui mi ha seguito, e adesso mi afferra da dietro, mi bacia la nuca e le orecchie, e mi stringe forte. Sento il suo corpo aderire al mio, e la sua erezione scivolare tra le natiche. 303/481 Dove sono finiti i miei principi morali? Quali pensieri occuperanno la mia mente quando uscirò da questa stanza e riprenderò la vita normale? Mi riporta in camera. Di colpo, mi volto e lo bacio: ancora un gusto di tabacco, saliva e vodka. Gli mordicchio le labbra, mentre lui mi accarezza il seno: è la prima volta che accade. Mi sfila il vestito e lo getta in un angolo. Per qualche attimo, mi vergogno del mio corpo – ormai non sono più un’adolescente, e la nostra primavera a scuola è molto lontana. Siamo immobili, in piedi, uno di fronte all’altra. Oltre le tende aperte, il lago è una sorta di barriera naturale fra noi e le persone che abitano i palazzi della riva opposta. Nella mia immaginazione, voglio credere che qualcuno ci stia osservando: è qualcosa che mi eccita ancor più dei suoi baci sul seno. Sono una donna di facili costumi, una puttana pagata da un uomo per scopare in un 304/481 albergo, una prostituta pronta a soddisfare qualsiasi desiderio. Questa sensazione svanisce presto. Ancora una volta, mi sento come se avessi sedici anni, quando mi masturbavo pensando a lui. Gli stringo la testa contro il mio petto e gli chiedo di mordicchiarmi i capezzoli: gemo di dolore e di piacere. Jacob è ancora vestito, mentre io sono nuda. Spingo la sua testa verso il basso e lo imploro di leccarmi il sesso. Lui però mi getta sul letto, si toglie in fretta gli indumenti e si sdraia su di me. Le sue mani cercano freneticamente qualcosa sul comodino: perdiamo l’equilibrio e ruzzoliamo sul pavimento. Una scena da adolescenti alla prima esperienza sessuale – siamo dei principianti, sì, ma non ce ne vergogniamo. Finalmente trova ciò che stava cercando: un profilattico. Mi chiede di infilarglielo con le labbra. Inesperta e maldestra, mi cimento nell’impresa, anche se non riesco a spiegarmi 305/481 quell’esigenza. Dubito che pensi che io sia ammalata o che abbia una vita sessuale promiscua. Comunque, rispetto la sua volontà. Percepisco il sapore sgradevole del lubrificante che ricopre il lattice, ma mi impongo di continuare. Mi sforzo di non lasciar trasparire il mio disagio: è la prima volta che faccio l’amore con il preservativo. Al termine dell’operazione, mi chiede di girarmi di spalle e appoggiarmi al letto. Mio Dio, sta accadendo davvero! E proprio per questo sono una donna felice! Inizia a possedermi da dietro – ed è qualcosa che mi spaventa. Gli dico di voltarsi, ma non risponde. Si ferma, muove la mano sul comodino e poi mi massaggia l’ano con un dito. Capisco che sta spalmando della vaselina o una sostanza simile. Mi chiede di masturbarmi e, molto lentamente, comincia a penetrarmi. Sono di nuovo un’adolescente, per la quale il sesso è un doloroso tabù. Mio Dio, fa 306/481 davvero male. Smetto di masturbarmi, afferro le lenzuola e mi mordo le labbra per non urlare di dolore. “Dimmi che ti fa male. Dimmi che non l’hai mai fatto. Urla!” mi ordina, all’improvviso. Ancora una volta, gli obbedisco. Ma evito di dire che l’ho già fatto quattro o cinque volte – e non mi è mai piaciuto. Il ritmo dei suoi movimenti cresce. Lui geme di piacere; io, di dolore. Mi afferra per i capelli come se fossi un animale, una cavalla: ora si muove sempre più velocemente. Di colpo, si ritrae e scivola fuori da me. Si strappa il preservativo, mi fa girare e viene sul mio viso. Cerca invano di soffocare i gemiti: sono più forti della sua volontà. Qualche momento dopo, si sdraia adagio sopra di me. Sono spaventata e affascinata nel contempo da quella situazione. Poi Jacob si alza, va in 307/481 bagno a gettare il preservativo e torna in camera. Si ridistende accanto a me e si accende una sigaretta: come portacenere utilizza il suo bicchiere della vodka, poggiato sul mio ventre. Restiamo in silenzio per lunghi minuti, a fissare il soffitto. Lui mi accarezza. Non è più l’uomo violento di qualche minuto prima, ma il giovane romantico che, a scuola, mi parlava di galassie e di astrologia. “Dobbiamo cancellare gli odori e lasciare tutto in ordine, qui.” La frase mi riporta bruscamente alla realtà. A quanto pare, per lui non è la prima volta. Ecco spiegata la faccenda del preservativo e la preoccupazione per l’aspetto della stanza. Silenziosamente lo insulto e lo odio, ma nascondo la mia rabbia dietro a un sorriso. Gli domando se conosce un sistema efficace per eliminare gli odori. Mi dice che sarà sufficiente che io faccia un bagno appena arrivata a casa, prima di 308/481 abbracciare mio marito. Poi mi consiglia di gettare nell’immondizia le mutandine, perché la vasellina può lasciare qualche traccia. “Se lui sarà già rincasato, entra frettolosamente e di’ che devi andare in bagno con urgenza.” Mi sento nauseata. Ho aspettato un tempo lunghissimo per comportarmi da tigre e ho finito per essere usata come una cavalla. Ma la vita è così: la realtà non si avvicina mai alle fantasie romantiche dell’adolescenza. “Grazie per i consigli, li seguirò.” “Vorrei che ci vedessimo ancora.” Ecco. Sono state sufficienti queste parole semplici per trasformare in paradiso ciò che sembrava un inferno, un errore, un passo falso. “Sì, anch’io vorrei incontrarti di nuovo. Ero nervosa e intimidita, ma sono sicura che la prossima volta sarà più bello.” “In realtà, è stato bellissimo.” “Sì, è stato bellissimo: me ne rendo conto solo adesso.” Entrambi sappiamo che questa 309/481 storia è destinata a finire, ma ora non mi interessa. Non parlerò più. Cercherò soltanto di godermi questi momenti accanto a Jacob, aspetterò che finisca la sigaretta, mi vestirò e scenderò per prima. Uscirò dalla medesima porta attraverso la quale sono entrata. Salirò nella mia solita auto e guiderò fino alla stessa casa dove torno tutte le sere. Entrerò frettolosamente, dicendo che ho mangiato qualcosa di indigesto e devo andare subito in bagno. Farò una doccia, eliminando le poche tracce di lui che mi sono rimaste addosso. Solo allora potrò baciare mio marito e i miei figli. *** In quella stanza d’albergo, non eravamo due persone intenzioni. animate dalle medesime 310/481 Io inseguivo una storia romantica; Jacob era mosso dall’istinto del cacciatore. Io cercavo il ragazzo della mia adolescenza; lui desiderava la donna attraente e disinibita che l’aveva intervistato prima delle elezioni. Io ero convinta che la mia vita avrebbe potuto trovare un altro senso; lui pensava solo che il pomeriggio gli avrebbe regalato qualcosa di più interessante delle noiose e interminabili discussioni nell’aula del Consiglio Nazionale. Per lui si è trattato di una semplice distrazione, anche se pericolosa. Per me, è stata un’esperienza crudele e pressoché imperdonabile, nella quale ho riversato il mio narcisismo e il mio egoismo. Gli uomini tradiscono perché è insito nel loro codice genetico. Le donne, invece, lo fanno per mancanza di autostima e, oltre al corpo, offrono sempre anche una parte del proprio cuore. Un autentico crimine. Una 311/481 rapina. È peggio che assaltare una banca perché, se vengono scoperte (e ciò accade molto spesso), procurano dei danni irreparabili alla propria famiglia. Per gli uomini, si tratta solo di uno “stupido errore”. Per le donne, è un assassinio spirituale di tutti i loro affetti, di quelli che le sostengono come madri e mogli. È qualcosa che adesso riguarda anche me che, coricata accanto a mio marito, immagino Jacob disteso vicino a Marianne. Di sicuro, nella sua mente si affollano i pensieri legati all’indomani: l’agenda fitta di appuntamenti, gli incontri politici, le promesse e gli impegni da mantenere. Mentre io, come un’idiota, fisso il soffitto e mi sforzo di ricordare ogni secondo trascorso in quella stanza d’albergo – rivedo ogni fotogramma del film porno di cui sono stata protagonista. Ricordo con precisione quando, guardando fuori dalla finestra, ho desiderato che qualcuno stesse osservando la scena con un 312/481 binocolo – magari masturbandosi nel vedermi sottomessa, umiliata, sodomizzata. Quel pensiero mi ha eccitato in modo morboso! Mi ha fatto quasi impazzire, poiché ho scoperto qualcosa di me che ignoravo completamente. Ho trentun anni. Non sono più una bambina, e pensavo di non avere alcun lato nascosto. Invece, non è così. Sono ancora un mistero per me stessa, ma adesso ho varcato una soglia e voglio andare oltre, sperimentare tutto ciò che esiste: orge, rapporti sadomaso, bondage, feticismo… Ecco perché non riesco a dire: “Non desidero più Jacob. Non lo amo. Tutto è nato da una fantasia generata dalla mia solitudine.” Sì, è possibile che non lo ami davvero. Ma amo ciò che ha risvegliato in me. Mi ha trattato senza riguardi, mi ha tolto ogni dignità. Non ha avuto né pudore né rispetto: sono stata un oggetto nelle sue mani. Ha fatto 313/481 esattamente ciò che voleva, mentre io – come sempre – cercavo di compiacere chi mi stava umiliando. La mia mente veleggia verso un luogo segreto e sconosciuto, dove sono una dominatrice. Rivedo Jacob nudo, ma adesso sono io a impartire gli ordini. Gli lego le mani e i piedi, mi siedo sul suo collo e lo costringo a baciarmi il sesso, ancora e ancora. Dopo svariati orgasmi, gli dico di girarsi e lo penetro con le dita: prima uno, poi due, e poi tre. Lui geme di dolore e di piacere, mentre lo masturbo con l’altra mano: sento lo sperma caldo che mi bagna le dita. Le avvicino alle labbra e inizio a leccarle, una dopo l’altra. Gli accarezzo il viso con i polpastrelli. Lui vorrebbe che il gioco continuasse, ma dico basta: sono io che decido! Prima di addormentarmi, vado in bagno a masturbarmi: ho due orgasmi, uno dopo l’altro. *** 314/481 La solita scena: mio marito legge le notizie sull’iPad, mentre i bambini sono pronti per andare a scuola. Un raggio di sole entra dalla finestra. Sparecchio la tavola della colazione e mi mostro serena ma, in realtà, ho una tremenda paura che lui sospetti qualcosa. “Oggi mi sembri felice.” Sì, lo sono, ma non dovrei esserlo. Il pomeriggio in albergo ha rappresentato un rischio enorme, specialmente per me. Quel commento di mio marito può celare un sospetto? Ne dubito. Lui crede ciecamente a tutto ciò che gli dico. Non perché sia un idiota – non oso neppure pensarlo –, ma perché ha fiducia in me. Ed è qualcosa che mi irrita terribilmente perché, in realtà, io non sono affidabile. O, meglio, lo sono, seppure in una maniera particolare. Sono stata condotta in quell’albergo da circostanze che ignoro. È 315/481 una buona scusa? No, è pessima. Perché nessuno mi ha obbligato ad andarci. Ma posso sostenere che mi sentivo sola, che non ricevevo le attenzioni di cui avevo bisogno, che le mie gratificazioni si riducevano a comprensione e tolleranza. Posso affermare di avere sempre avvertito la necessità di essere sfidata, contrastata e sollecitata in ogni mia azione. Posso dire che è qualcosa che capita a tutti, anche se solo in sogno… Ma, in fondo, è accaduta una cosa davvero semplice: sono andata a letto con un altro uomo perché volevo assolutamente farlo. Soltanto questo. Nessuna giustificazione intellettuale o psicologica. Volevo scopare. Punto. Conosco donne che hanno scelto il matrimonio per la sicurezza, la posizione sociale, i soldi. L’amore occupava l’ultimo posto della loro lista. Io, invece, mi sono sposata per amore. 316/481 Ma allora, perché ho scelto di tradire mio marito? Perché mi sento sola. E per quale motivo? Boh. “È bellissimo vederti contenta,” mi dice lui. Rispondo che stamane mi sento davvero felice. “È per questa splendida giornata d’autunno, per la casa ordinata e perché sto con l’uomo che amo.” Mio marito si alza e mi dà un bacio. Pur non avendo capito il senso della nostra conversazione, i bambini sorridono. “Anch’io sto con la donna che amo. Ma perché me lo dici ora?” “Perché no?” “Voglio che tu me lo ripeta stasera, quando saremo a letto.” Mio Dio, ma chi sono?! Perché sto dicendo queste cose? Perché non si insospettisca? Per quale motivo non mi comporto come ogni mattina: da moglie efficiente che si 317/481 preoccupa del benessere della famiglia? Cosa sono queste smancerie? Se comincio a essere troppo affettuosa: forse inizierà a subodorare la tresca. “Non riuscirei a vivere senza di te,” aggiunge, mentre si risiede a tavola. Sono perduta. Ma, curiosamente, non mi sento affatto colpevole per ciò che è accaduto ieri. *** Quando arrivo al lavoro, il direttore mi fa i complimenti per l’articolo pubblicato nell’edizione odierna. “In redazione sono arrivate molte email di apprezzamento per la storia con il misterioso cubano. Diversi lettori vogliono sapere chi è. Se ci consentirà di divulgare il suo indirizzo, avrà lavoro a iosa.” Lo sciamano cubano! Se leggerà il giornale, si accorgerà che nell’articolo non 318/481 compare nemmeno una parola delle sue dichiarazioni. Ho assemblato il testo recuperando materiali da vari blog sullo sciamanesimo. A quanto pare, le mie crisi non si limitano alla vita coniugale, ma stanno cominciando a interessare anche la mia professione. Racconto al direttore del momento in cui il cubano mi ha fissato negli occhi e, tracciando alcuni segni intorno al mio capo, ha minacciato me e la mia famiglia nel caso avessi rivelato la sua identità. Mi esorta a non credere a questo genere di cose; poi mi chiede se me la sento di dare il suo indirizzo a una sola persona: sua moglie. “È piuttosto stressata.” Dico che lo siamo tutti, compreso lo sciamano. Non posso promettere niente, ma gliene parlerò. Mi prega di telefonargli subito, adesso. Quando il cubano mi risponde, sono sorpresa dalla sua reazione: mi ringrazia di 319/481 essermi comportata correttamente, omettendo la sua identità, e si complimenta per le mie conoscenze sull’argomento. Contraccambio i ringraziamenti, gli parlo delle ripercussioni dell’articolo e gli domando se possiamo fissare un altro appuntamento. “Ma abbiamo parlato per due ore! Dal materiale della nostra conversazione puoi ricavare molti altri articoli.” Gli spiego che il giornalismo non funziona così. Di quanto è stato pubblicato, assai poco arriva dalla nostra chiacchierata: la maggior parte del contenuto è frutto di una ricerca. Ora, però, voglio trattare l’argomento da un punto di vista diverso. Il direttore è sempre accanto a me e ascolta le mie parole, gesticolando. Alla fine, allorché il cubano sembra deciso a riattaccare, torno a insistere sull’appuntamento, dicendo che l’articolo merita un approfondimento: gli dico che vorrei analizzare il ruolo della donna in questa ricerca “spirituale” e 320/481 che la moglie del mio capo vorrebbe incontrarlo. Scoppia a ridere. Ribadisco che non violerò mai il patto sulla sua identità, ma gli ripeto che tutti sanno dove abita e i giorni in cui riceve. Gli chiedo di rispondermi “Sì” o “No”. Se non vuole proseguire questa conversazione, o questa esperienza, cercherò qualcun altro. Di sicuro, non avrò difficoltà a trovare dei suoi colleghi in grado di prendersi cura di persone sull’orlo di una crisi di nervi. Forse utilizzano metodi differenti ma, dev’essergli chiaro, non è l’unico sciamano che opera in città. Stamane sono arrivate in redazione molte telefonate: quasi tutte provenivano da guaritori africani alla ricerca di una visibilità per il loro lavoro, oltre che di un guadagno maggiore e della conoscenza di qualche personaggio importante che potesse evitargli un foglio di via. Per qualche minuto, il cubano seguita a mostrarsi riluttante ma, alla fine, la vanità e 321/481 la paura della concorrenza prevalgono. Fissiamo un appuntamento a casa sua, a Veyrier. Sono impaziente di vedere come vive – qualcosa che renderà più “vivo” l’articolo. *** Sono a Veyrier, a casa dello sciamano in una stanza trasformata in ambulatorio. Su una parete campeggia un manifesto con alcuni diagrammi che sembrano appartenere alla tradizione indiana: la posizione dei centri energetici, i punti di corrispondenza degli organi sulla pianta dei piedi… Sopra un mobile sono disposti vari oggetti di cristallo. Abbiamo avuto una conversazione interessantissima sul ruolo della donna nelle pratiche sciamaniche. Il cubano mi ha spiegato che la nostra nascita è accompagnata da autentiche “rivelazioni” – un fenomeno che ha maggior rilievo nei neonati di sesso 322/481 femminile. Ha aggiunto che, in tutte le civiltà, le divinità dell’agricoltura e della fecondità hanno sempre le sembianze di una giovane e che, fin dagli albori del genere umano, sono state le femmine a scoprire le proprietà medicamentose delle varie erbe. Le donne si dimostrano molto più sensibili verso il mondo spirituale rispetto agli uomini, e questo le rende più soggette a quelle crisi che, fino a qualche tempo fa, i medici definivano “manifestazioni isteriche” e che oggi vengono chiamate “disturbi bipolari” – la tendenza a passare dall’entusiasmo estremo alla tristezza profonda, anche più volte al giorno. Abitualmente gli spiriti preferiscono entrare in contatto con gli esseri femminili, poiché sono in grado di comprendere in modo più profondo una lingua che non si esprime con le parole. Mi sforzo di adottare il suo lessico e gli chiedo se, proprio per l’acuta sensibilità, una 323/481 donna non possa essere costretta a compiere un’azione contro la sua volontà. Lui non capisce la domanda, per cui la riformulo. “Se le donne sono così instabili al punto di passare dalla gioia alla tristezza, allora…” “Ho mai usato il termine ‘instabile’? Assolutamente no. Di certo, è il contrario. Malgrado la sensibilità estremamente acuta, le donne hanno una maggiore perseveranza rispetto agli uomini.” “Anche nell’amore, vero?” Concorda. E io inizio a raccontargli che cosa mi sta succedendo; poi scoppio a piangere. Lui rimane impassibile. Ma non ha un cuore di pietra. “Quando si tratta di un adulterio, la meditazione non serve pressoché a niente. In fondo, la persona è felice per quello che sta accadendo. Mantiene la propria sicurezza e, nel contempo, vive l’avventura. È una situazione ideale.” “Ma… che cosa spinge all’adulterio?” 324/481 “Non posso esprimermi al riguardo: non è il mio campo. Io ho una visione molto personale dell’argomento, ma penso che non debba comparire sulle pagine di un giornale.” “La prego, mi aiuti…” Lo sciamano accende un incenso e mi invita a sedere nella posizione del loto di fronte a lui; poi fa altrettanto. Ora quell’uomo austero ha l’aspetto di un saggio benevolo, pronto ad aiutarmi. “Se, per una qualsivoglia ragione, un individuo sposato decide di incontrare un’altra persona, ciò non significa necessariamente che il rapporto di coppia stia implodendo. E non credo neppure che la principale motivazione di quella scelta riguardi il sesso. Interessa piuttosto la noia, la mancanza di passione per la vita, la scarsità di sfide. Di solito, si tratta di un insieme di fattori.” “Ma per quale motivo succede?” 325/481 “Perché, allontanandoci da Dio, viviamo un’esistenza frammentata. Ci sforziamo di ritrovare l’unità, ma non conosciamo la strada per recuperare quella condizione: di conseguenza, i nostri giorni sono caratterizzati da una costante insoddisfazione. La società determina e condiziona i nostri comportamenti, ci dice cos’è buono e cos’è cattivo, ma questo non risolve il problema…” Mi sento risollevata, come se avessi acquisito un diverso tipo di percezione. Nei suoi occhi leggo che ha vissuto una situazione analoga: ecco perché ne parla in modo così chiaro. “Ho avuto un paziente che, ogniqualvolta incontrava l’amante, diventava impotente. Eppure adorava stare con lei, una donna che ricambiava con grande ardore i suoi sentimenti.” Non riesco a trattenermi: gli domando se quell’uomo sia lui. 326/481 “Sì. Ed è per questo che mia moglie mi ha lasciato. Forse non è un motivo che può determinare una decisione così estrema, ma…” “E lei come ha reagito?” “Avrei potuto invocare l’aiuto di uno spirito benevolo, ma lo avrei pagato nella prossima vita. Eppure avevo il disperato bisogno di capire perché si fosse comportata così. Per resistere alla tentazione di farla tornare con un rituale magico, ho iniziato a studiare l’argomento.” Forse malvolentieri, il cubano assume un’aria professorale. “Alcuni ricercatori dell’Università del Texas hanno cercato di trovare una risposta per una domanda che tantissimi individui si pongono: perché gli uomini tradiscono più delle donne, pur sapendo che il loro comportamento è autodistruttivo e provoca sofferenza alle persone che amano? Alla fine, gli studiosi hanno concluso che gli uomini e le 327/481 donne avvertono il medesimo desiderio di tradire il partner, ma gli esseri di sesso femminile sono dotati di maggiore autocontrollo.” Lo sciamano guarda l’orologio – forse ha un altro appuntamento. Lo prego di continuare e mi accorgo che, in un certo modo, è contento di poter aprire la propria anima a qualcuno. “La preservazione e la continuazione della specie sono state possibili attraverso incontri brevi, che avevano l’unico obiettivo di soddisfare l’istinto sessuale e non prevedevano alcun coinvolgimento emotivo da parte del maschio. Di conseguenza, le donne intelligenti non dovrebbero dare la colpa agli uomini per i loro comportamenti spicci. Essi tentano di resistere, ma sono biologicamente inadatti ad affrontare la situazione. Sono troppo tecnico?” “No.” 328/481 “Hai notato che gli esseri umani temono più i ragni e i serpenti che le automobili, sebbene le morti per incidente stradale siano assai più numerose di quelle causate da queste creature? Questo succede perché alcune aree della nostra mente sono rimaste ferme all’epoca delle caverne, quando serpenti e ragni rappresentavano un pericolo considerevole. Ed è sempre ascrivibile a quel periodo il bisogno dell’uomo di avere tante donne. Allora, andando a caccia, il maschio ha appreso dalla natura che la preservazione della specie era una priorità: doveva ingravidare quante più donne possibile.” “Ma le donne non si preoccupavano di preservare la specie?” “Certo! Ma, mentre per l’uomo l’impegno dura al massimo undici minuti, per la donna comporta nove mesi di gestazione per ogni figlio. E, dopo, l’obbligo di nutrirlo e proteggerlo dai pericoli – dai ragni e dai serpenti. Ecco perché il suo istinto si è evoluto in 329/481 maniera diversa, e gli stimoli affettivi e i sistemi di autocontrollo sono diventati più importanti.” Quest’uomo sta parlando di se stesso. Tenta di giustificare i propri comportamenti. Mi guardo intorno e osservo la grande stampa indiana, i cristalli, gli incensi. In fondo, siamo tutti uguali. Commettiamo i medesimi errori e seguitiamo a porci le stesse domande, per le quali non c’è risposta. Il mio interlocutore guarda di nuovo l’orologio; poi dice che la nostra conversazione è terminata. Sta per arrivare un altro paziente, e vuole evitare un incontro in sala d’attesa. Si alza e mi accompagna alla porta. “Non intendo essere maleducato, ma le chiedo di non cercarmi più. Le ho detto tutto ciò che deve sapere.” *** Nella Bibbia è scritto: 330/481 Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; da lì vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima. Davide mandò a chiedere chi fosse la donna. Gli dissero: “È Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Ittita.” Davide mandò a prenderla. Ella andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalle sue impurità. Poi ella tornò a casa. La donna concepì e fece sapere a Davide: “Sono incinta.” […] La mattina seguente, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mezzo d’Uria. Nella lettera aveva scritto così: “Mandate Uria al fronte, dove più infuria la battaglia; poi ritiratevi da lui, perché egli resti colpito e muoia.” […] Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; parecchi del popolo, della gente di Davide, caddero e perì anche Uria l’Ittita. […] 331/481 Dopo che [Betsabea] ebbe finito i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere a casa sua. Lei divenne sua moglie e gli partorì un figlio. Davide – il grande re, il saggio amministratore, l’intrepido guerriero – non solo commise adulterio, ma fece assassinare il rivale, approfittando della sua lealtà e della sua obbedienza. Io non ho bisogno di giustificazioni bibliche per adulteri e assassini. Ma questa storia è rimasta impressa nella mia mente fin dai tempi della scuola, quando Jacob e io ci baciavamo di nascosto in primavera. Abbiamo dovuto attendere quindici anni perché quei baci si ripetessero, ma quando è finalmente accaduto, la scena è stata assai diversa da come l’avevo immaginata. Lui mi è sembrato sordido, egoista, sinistro. Eppure mi è piaciuto immensamente, e mi sono augurata che si ripetesse presto. Nelle ultime due settimane, Jacob e io ci siamo già 332/481 incontrati quattro volte. A poco a poco, le ansie e le tensioni sono scomparse. Abbiamo avuto rapporti sia normali sia trasgressivi e fantasiosi, anche se non sono mai riuscita a realizzare la mia fantasia di afferrargli la testa e costringerlo a baciare il mio sesso, fino a farmi svenire di piacere. Sono sulla buona strada, comunque. *** A poco a poco, la presenza di Marianne è sempre meno importante nella mia relazione con Jacob. Ieri ci siamo rivisti, e non ho pensato a lei nemmeno un momento. Non desidero più che Madame König ci scopra o che chieda il divorzio: voglio poter avere un amante, senza rinunciare a ciò che ho conquistato faticosamente – mio marito, i miei figli, il mio lavoro e la mia casa. Mi chiedo quale sarà il destino della cocaina che ho nascosto in sala, e che può 333/481 venir scoperta in ogni momento. Mi è costata un sacco di soldi. Non credo di poter rivenderla. Sarebbe una scorciatoia verso il carcere di Vandoeuvres. Per quanto mi riguarda, ho giurato di non assumerne mai più. Potrei regalarla ad alcune persone che la usano, ma rischierei di rovinarmi la reputazione o, peggio ancora, di ritrovarmi di fronte alla richiesta di procurarne dell’altra. La realizzazione del sogno di andare a letto con Jacob, prima mi ha innalzato verso le stelle, poi mi ha sprofondato in una realtà piuttosto difficile da affrontare. Ho scoperto che non si trattava di un grande amore, bensì di una passione carnale, probabilmente destinata a esaurirsi in breve tempo. Ecco perché adesso vorrei troncare la storia: ho vissuto una splendida avventura – il piacere della trasgressione, alcune esperienze sessuali nuove, momenti di gioia disinibita. E tutto senza alcuna traccia di rimorso. Mi 334/481 sono concessa un meritato regalo, dopo tanti anni di comportamenti integerrimi. Sono in pace con me stessa. O, meglio, lo ero fino a oggi. Dopo molti giorni di quiescenza, il drago si è ridestato e ha iniziato a risalire l’abisso nel quale era stato confinato. *** Sono io il problema, oppure è il Natale che si avvicina? Questo è il periodo dell’anno nel quale mi sento più depressa – comunque, non mi sto riferendo a un malessere di origine ormonale o alla mancanza di taluni elementi chimici nell’organismo. Sono contenta che, a Ginevra, le consuetudini che accompagnano la nascita di Cristo non siano esagerate e pacchiane come in altri paesi. Mi è capitato di trascorrere le feste di fine anno a New York: ebbene, ovunque c’erano luci, decorazioni, vetrine inghirlandate, renne 335/481 finte, campane, fiocchi di neve artificiale, alberi con palline di mille colori, musiche e cori – e sorrisi stampati sui volti della gente. Camminavo, e mi sentivo estranea a tutto quel clamore variopinto: avevo la certezza di essere un’aberrazione. Anche se non ho mai assunto dell’LSD, immagino che sia necessaria una dose consistente per vedere tutti quei colori. Il clima natalizio di Ginevra si esaurisce in qualche luminaria nelle due vie dello shopping, forse a esclusivo beneficio dei turisti. (“Comprate! Portate ai vostri figli un ricordo dalla Svizzera!”) Poiché non sono ancora passata da quelle parti, le sensazioni tristi non possono essere dovute al Natale. Nei dintorni di casa non ho visto nessun Babbo Natale che scala un balcone o un comignolo per ricordarci che dobbiamo sentirci felici per tutto il mese di dicembre. Mi rigiro nel letto, come al solito, mentre mio marito dorme. Abbiamo fatto l’amore. 336/481 Negli ultimi tempi è capitato più di frequente: non so se ciò sia dovuto ai miei tentativi di allontanare eventuali sospetti, o a uno scatenamento della mia libido dopo le recenti esperienze. Di certo, adesso mi sento sessualmente più attratta da lui. Che non si è mai mostrato geloso e non mi ha mai chiesto spiegazioni sui miei ritardi – soltanto la prima volta, quando mi sono dovuta precipitare in bagno per eliminare ogni traccia di odori e gettare nell’immondizia gli slip macchiati, seguendo le istruzioni di Jacob, mi ha posto un paio di domande. Ora porto sempre con me un paio di mutandine di ricambio, faccio la doccia in albergo, e già quando sono nell’ascensore il mio trucco è impeccabile. Non mostro più di essere tesa o sospettosa. Due o tre volte, mi è capitato di incontrare dei conoscenti: li ho salutati e, a pianterreno, mi sono allontanata nella hall, lasciandoli probabilmente in preda a un dubbio – “Che abbia un amante?” Be’, è qualcosa che giova 337/481 al proprio morale ed è assolutamente sicuro. Comunque, se anch’essi si trovavano a scendere dalla stanza di un albergo, nonostante abitino in città, forse… Mi addormento ma, pochi minuti dopo, sono di nuovo sveglia. Victor Frankenstein ha creato il suo mostro, il Dr. Jekyll ha fatto emergere Mr. Hyde. Non è che sia spaventata dall’eventualità di ritrovarmi a vivere una situazione analoga, ma forse dovrei stabilire già adesso alcune regole di comportamento. Posseggo un lato onesto, gentile, affettuoso, professionale: so reagire con prontezza nei momenti difficili, soprattutto durante le interviste, quando alcuni dei miei interlocutori si dimostrano aggressivi o tentano di sottrarsi alle domande. Adesso, però, sto scoprendo un lato più spontaneo, selvaggio, impaziente, che non si manifesta soltanto nella stanza d’albergo dove mi incontro con Jacob, ma comincia a influire anche sulla 338/481 mia quotidianità. Per esempio, mi irrito più facilmente se un commesso si trattiene a chiacchierare con un cliente, quando c’è la fila. La spesa al supermercato è diventata soltanto un dovere, e non mi soffermo più a controllare prezzi e date di scadenza. Se qualcuno fa un’affermazione sulla quale non concordo, ribatto senza aspettare un momento. Discuto di politica. Difendo film che tutti detestano e critico quelli che tutti amano. Adoro stupire le persone con giudizi assurdi e avulsi dal contesto. Insomma, non sono più la donna discreta che sono sempre stata. Gli altri hanno cominciato a notarlo. “Sei diversa,” mi dicono. Di solito, questa frase costituisce il preambolo di un altro commento: “Forse stai nascondendo qualcosa.” Parole che ben presto potrebbero trasformarsi nella spiacevole espressione: “Se cerchi di nasconderlo, vuol dire che stai facendo qualcosa che non dovresti.” 339/481 Può essere solo paranoia, certo. Ma oggi sento che dentro di me vivono due persone distinte. Davide doveva soltanto ordinare ai suoi servitori di portargli Betsabea. Non era obbligato a dare alcuna spiegazione a nessuno. Eppure, quando si ritrovò di fronte a una situazione problematica, spedì in guerra il marito della donna. Nel mio caso, è diverso. Per quanto discreti siano gli svizzeri, ci sono due momenti nei quali non si riesce a riconoscerli. Il primo è nel traffico. Se tardiamo una frazione di secondo a partire quando il semaforo diventa verde, subito gli altri guidatori attaccano a strombazzare; se cambiamo corsia, cogliamo sempre un’espressione accigliata nel retrovisore, anche se abbiamo diligentemente azionato la freccia. Il secondo caso riguarda i cambiamenti nella vita – casa, lavoro, atteggiamenti. In Svizzera regna la stabilità, e tutti si 340/481 comportano come ci si aspetta. È come se ci fosse una voce suadente che dice: “Per favore, non tentare di essere diverso. Non cercare di reinventare te stesso, altrimenti costituirai una minaccia per l’intera società. Al paese sono occorsi anni e fatiche per arrivare alla condizione di ‘opera compiuta’, fa’ in modo che non ritorni a una fase di ‘ristrutturazione’.” *** Con l’intera famiglia mi trovo nel luogo in cui William, il fratello di Victor Frankenstein, fu ucciso. Qui, per secoli, c’è stato solo un pantano. Poi, quando Ginevra diventò una città rispettabile grazie all’opera di Calvino, il posto fu bonificato e vi vennero condotti i malati: morivano di freddo e di fame, ma almeno l’abitato era risparmiato dalle epidemie. 341/481 Plainpalais è uno spazio molto vasto, l’unico punto nel centro cittadino dove la vegetazione è quasi inesistente. D’inverno, il vento ti gela le ossa; d’estate, il sole ti spacca la testa. Un’assurdità: figurarsi all’epoca della Riforma. Ma da quando si pensa con raziocinio ai bisogni degli altri? È sabato, e l’area è disseminata di banchetti d’antiquariato. La fiera è diventata un’attrazione locale, ed è consigliata dalle guide turistiche come un’“esposizione che merita una sosta”. Manufatti cinquecenteschi sono mischiati a videoregistratori. Antiche sculture di bronzo, provenienti dall’Asia, sono esposte accanto a orribili mobili degli anni ottanta. Il mercato brulica di gente. Alcuni intenditori esaminano meticolosamente gli articoli e discutono a lungo con i venditori. Gran parte dei frequentatori – turisti e curiosi – scova oggetti pressoché inutili, ma finisce per acquistarli, visto che “sono a buon mercato”. Tornano a 342/481 casa, magari li usano una volta, poi li relegano in soffitta o in garage, pensando: ‘Non serve a niente, ma il prezzo era davvero irrisorio.’ Devo controllare i bambini in continuazione, perché vogliono toccare tutto: dai preziosi vasi di cristallo ai sofisticati giocattoli dei primi del Novecento. Perlomeno stanno scoprendo che, oltre ai giochi elettronici, esiste una vita intelligente. Il più grande mi chiede di comprare un pagliaccio di metallo con le membra snodabili e la bocca movibile. Mio marito sa che l’attrattiva del giocattolo durerà soltanto fino all’arrivo a casa: gli dice che è “vecchio” e che potremo trovare qualcosa di più “nuovo” e interessante sulla via del ritorno. Proprio in quel momento, la loro attenzione viene attirata da alcune scatolette contenenti biglie di vetro, con le quali un tempo i ragazzini erano soliti giocare nei giardini delle proprie abitazioni. 343/481 Il mio sguardo scivola su un piccolo quadro che ritrae una donna nuda, sdraiata sul letto, e un angelo nell’atto di allontanarsi. Chiedo al venditore quanto costa. Prima di dirmi il prezzo (una sciocchezza), l’uomo mi spiega che è la copia di un’opera famosa eseguita da qualche anonimo pittore locale. Mio marito assiste alla scena in silenzio e, quando non ho ancora ringraziato l’ambulante per l’informazione e mi sono diretta verso il banco accanto, ha già acquistato il dipinto. Perché lo ha fatto? “Raffigura un mito dell’antichità. A casa, ti racconterò la storia.” Sento un bisogno immenso di innamorarmi di nuovo di lui. Per la verità, non ho mai smesso di amarlo – l’ho sempre amato e lo amerò sempre –, ma la nostra convivenza si è trasformata in qualcosa di assai vicino alla monotonia. Se l’amore può resistere a questo, la passione è destinata a soccombere. 344/481 Sto vivendo un periodo molto complicato. So che la relazione con Jacob non ha futuro, eppure mi sono allontanata dall’uomo con il quale ho costruito la mia vita. Chi dice che “Basta l’amore”, mente. Non è vero, e non lo è mai stato. Purtroppo le persone credono ai libri e ai film – una coppia che cammina sulla spiaggia tenendosi per mano, contempla il tramonto e fa l’amore appassionatamente tutti i giorni in qualche albergo affacciato sulle Alpi. È qualcosa che mio marito e io abbiamo fatto in passato – ma quella magia è durata soltanto un paio d’anni. Poi si pensa al matrimonio. Alla scelta e all’arredamento della casa, ai progetti sulla camera dei bambini, ai baci, ai sogni, ai brindisi con lo champagne nel salotto vuoto che presto si trasformerà nel luogo che immaginiamo. Due anni dopo è già nato il primo figlio, nella casa non c’è più spazio neanche per uno spillo e, se decidiamo di 345/481 introdurre un nuovo complemento d’arredo, corriamo il rischio di dare l’impressione di voler fare colpo sugli altri, passando la vita ad acquistare e lustrare pezzi di antiquariato (che saranno venduti per pochi soldi dai nostri eredi e, con ogni probabilità, finiranno alla fiera di Plainpalais). Dopo tre anni di matrimonio, uno conosce esattamente ciò che l’altro pensa. Alle feste o nelle cene, siamo obbligati ad ascoltare storie che abbiamo udito mille volte, fingendo sorpresa e, di tanto in tanto, venendo chiamati a confermarle. Da momento di passione, il sesso si muta in obbligo, e perciò i rapporti diventano sempre più radi. In poco tempo, facciamo l’amore solo una volta a settimana – nella migliore delle ipotesi. Eppure le mogli si incontrano e raccontano della foga e del trasporto dei rispettivi mariti – bugie, soltanto bugie. Lo sanno tutte, ma nessuna vuole ammetterlo. 346/481 Poi arriva il momento delle relazioni extraconiugali. Le donne fanno commenti – sì, li fanno! – sui rispettivi amanti e sui loro ardori insaziabili. Quelle storie contengono una particola di verità, giacché molte fantasie arrivano dritto dal mondo incantato della masturbazione – reale quanto quello di chi ha scelto di concedersi al primo venuto, indipendentemente dalle sue qualità. D’un tratto, le “fortunate” acquistano abiti costosi e si mostrano reticenti riguardo ai loro impegni: nonostante la sensualità navigata, vorrebbero assomigliare alle sedicenni – le adolescenti, però, sono perfettamente consapevoli del fascino che possiedono. Alla fine, arriva il momento della rassegnazione. Il marito passa intere giornate fuori casa, assorbito dal proprio lavoro, mentre la moglie dedica un tempo sempre maggiore alla cura dei figli. In qualche modo, mio marito e io ci siamo ritrovati a vivere questa 347/481 situazione, ma adesso io sono disposta a fare qualsiasi cosa per cambiarla. Il mio amore, da solo, non basta. Ho bisogno di innamorarmi nuovamente di lui. L’amore non è soltanto un sentimento, è un’arte. E, come qualsiasi arte, non è sufficiente l’ispirazione, ci vuole anche molto impegno. *** “Per quale motivo l’angelo si allontana, lasciando la donna sola?” “Non è un angelo. È Eros, il dio greco dell’amore. E la giovane nuda sul letto è Psiche.” Stappo una bottiglia e verso il vino nei bicchieri. Mio marito posa il quadro sulla mensola del caminetto spento – nelle case con un impianto di riscaldamento è solo un elemento decorativo. Poi comincia a parlare: 348/481 “C’era una volta una principessa bellissima, ammirata da tutti, chiamata Psiche, che tuttavia nessuno osava chiedere in sposa. Disperato, il padre interpellò il dio Apollo. Questi gli disse che Psiche avrebbe dovuto essere lasciata sola, vestita a lutto, sulla cima di una montagna. Prima che sorgesse il sole, un serpente si sarebbe avvicinato per prenderla come sposa. Il re obbedì. Tremando di freddo e di paura, la fanciulla attese per l’intera notte l’arrivo del futuro marito. Infine si addormentò. Al risveglio, si ritrovò in un bellissimo palazzo, incoronata regina. Tutte le notti, lo sposo si recava nelle sue stanze, e facevano l’amore. Per la sua felicità, per avere ogni cosa che desiderava, il marito le aveva imposto un’unica condizione: non avrebbe mai potuto vederlo in viso.” ‘Che cosa orribile!’ penso, ma non oso interromperlo. “Per lungo tempo, la fanciulla visse felice. Aveva affetto, lussi, gioia – ed era 349/481 innamorata dell’uomo che ogni notte scivolava nella sua stanza. Talvolta, però, era assalita dal timore di essere sposata con un orrendo serpente. Una sera, mentre il marito dormiva, accese una lanterna. Fu allora che vide, coricato accanto a sé, un uomo bellissimo: Eros. La luce lo svegliò. Allorché si rese conto che l’amata non era stata in grado di esaudire il suo unico desiderio, si dileguò. Disperata, per poter riavere il suo amore, Psiche accettò di affrontare una serie di prove che Afrodite – madre di Eros – le impose. Nell’ultima, quella più difficile, aprì un’ampolla che conteneva l’essenza del sonno profondo e cadde addormentata, senza possibilità di risvegliarsi. È perfettamente inutile che ti dica che la suocera, folle di invidia per la bellezza della giovane, si adoperò in ogni maniera per ostacolare la riconciliazione della coppia.” Fremo dal desiderio di conoscere il finale della storia, anche se mi sembra una 350/481 fantasiosa rivisitazione di una delle favole di Apuleio. “Pazzamente innamorato di Psiche, Eros si era pentito della sua intolleranza verso la moglie. Con un sotterfugio riuscì a entrare nella stanza dove giaceva e a risvegliarla con la punta della sua freccia. ‘Hai rischiato di morire per la tua curiosità,’ le disse. ‘Cercavi una rassicurazione per i tuoi dubbi, e hai distrutto il nostro rapporto.’ Ma nell’amore nulla va distrutto per sempre. Animati da tale consapevolezza, gli innamorati si rivolsero a Giove, implorando il suo aiuto affinché la loro unione fosse eterna. Il dio supremo utilizzò blandizie e minacce per ottenere l’assenso di Afrodite e, alla fine, i suoi sforzi furono coronati da successo. Da quel giorno, Psiche – il nostro lato inconscio, ma logico – ed Eros – l’amore – furono legati per sempre.” Verso un altro bicchiere di vino a entrambi e poggio il capo sulla sua spalla. 351/481 “Chi non accetta questa evidenza e seguita a cercare una logica nei rapporti umani, magici e misteriosi, non sarà mai in grado di apprezzare le cose migliori della vita.” Oggi mi sento come Psiche, sola su quella vetta, infreddolita e spaventata. Ma, se sarò capace di superare la mia notte e abbandonarmi al mistero e alla fiducia nella vita, mi sveglierò in un palazzo. Ho soltanto bisogno di tempo. *** Alla fine arriva il giorno in cui le due coppie si ritrovano insieme a una festa – un ricevimento offerto da un noto conduttore di Léman Bleu. Ne abbiamo parlato ieri, nel nostro letto d’albergo, mentre Jacob fumava la solita sigaretta, prima di rivestirsi e andarsene. A quel punto, mi sarebbe stato impossibile declinare l’invito, visto che avevo confermato 352/481 la mia presenza. Neppure lui avrebbe potuto mancare: un improvviso cambiamento di programma sarebbe stato “pessimo per la carriera”. Quando mio marito e io raggiungiamo la sede dell’emittente televisiva, una hostess ci informa che il party si svolge all’ultimo piano. Un attimo prima di entrare nell’ascensore, squilla il mio cellulare: esco dalla fila e mi rifugio in un angolo dell’atrio per discutere con il direttore del giornale. Gli invitati continuano ad arrivare, sorridenti; mi salutano con un cenno discreto del capo: a quanto pare, conosco tutti. Il direttore mi dice che gli articoli sullo sciamano – il secondo è stato pubblicato ieri – stanno riscuotendo un grande successo. Devo assolutamente scriverne un altro, per concludere la serie. Gli spiego che il cubano non vuole più parlare con me. Mi chiede di trovare qualcun altro: qualcuno che “padroneggi l’argomento e frequenti 353/481 quell’ambiente”, perché non c’è nulla di peggio di un pezzo che riporta le solite opinioni dei cosiddetti “esperti” (psicologi, sociologi ecc.). Non conosco nessuno con tali caratteristiche ma, poiché devo raggiungere mio marito, gli dico che mi impegnerò nella ricerca. In quel momento, passano Jacob e Marianne König e mi salutano. Il direttore stava quasi per riattaccare, quando ho deciso di continuare la conversazione. Che Dio mi scampi dal salire in ascensore insieme con loro! “Che ne pensi di una doppia intervista a un pastore di pecore e a un pastore protestante?” chiedo. “Non sarebbe interessante raccontare i loro modi di affrontare lo stress e la noia?” Lui replica dicendo che è un’idea eccellente, ma insiste sul fatto che sarebbe molto meglio trovare qualcuno che “padroneggi l’argomento e frequenti quell’ambiente”. D’accordo, ci proverò. 354/481 Ormai le porte si sono chiuse e l’ascensore è partito. Posso riattaccare senza timore. A quel punto, spiego al direttore che non vorrei essere l’ultima ad arrivare al party. Sono già in ritardo di due minuti – qui in Svizzera il ritardo è considerato riprovevole. È vero, ultimamente mi sto comportando in modo strano, ma qualcosa non è cambiato nei miei atteggiamenti: detesto andare alle feste. E non riesco a capire perché piacciano così tanto alla gente. Sì, alla gente piacciono. Anche quando si tratta di eventi “professionali”, come il cocktail di stasera – proprio così, è un cocktail, non una festa –, le persone si agghindano, si truccano, dicono agli amici – con una certa aria annoiata – che purtroppo martedì dovranno obbligatoriamente presenziare a un ricevimento in cui si festeggia il decennale di “Pardonnez-moi”, presentato dal bello, intelligente e fotogenico Darius Rochebin. Ci saranno solo personaggi davvero 355/481 “importanti”: gli altri dovranno limitarsi a guardare le foto pubblicate sull’unico rotocalco di attualità diffuso in tutta la Svizzera francese. Frequentare questo genere di party conferisce status e visibilità. Di tanto in tanto, il nostro giornale si occupa di simili eventi, e il giorno successivo la redazione è subissata di telefonate degli assistenti delle celebrità: chiedono se le foto in cui compaiono verranno pubblicate, aggiungendo che sarebbe un gesto “apprezzatissimo”. Dopo l’invito, è importante accertarsi che la presenza ottenga il giusto risalto, qualcosa che si concreta in una bella immagine sul giornale due giorni dopo, nella quale il personaggio compare con un abito confezionato per l’occasione (anche se non lo si confessa mai) e con un sorriso identico a quello sfoggiato in mille altre feste e ricevimenti. Per fortuna, io non sono la responsabile della pagina di cronaca: 356/481 nella mia attuale condizione di mostro di Frankenstein sarei già stata licenziata. Le porte dell’ascensore si aprono sulla piccola hall dell’ultimo piano, dove stazionano un paio di fotografi. Proseguiamo verso il salone principale, dal quale si gode una magnifica vista sulla città. Pare che la famosa nuvola abbia deciso di collaborare con Darius, sollevando il proprio manto grigio: laggiù in basso scintillano miriadi di luci. Dico a mio marito che non intendo fermarmi a lungo. Poi attacco a parlare in modo frenetico, per allentare la tensione. “Quando vuoi, ce ne andiamo,” dice lui, interrompendomi. Mi ritrovo impegnata a salutare un’infinità di persone, che mi trattano come se fossi un’amica intima. Ricambio utilizzando il medesimo contegno, anche se ignoro i loro nomi. Quando la conversazione si prolunga, ricorro a un trucco infallibile: presento mio marito, senza aggiungere altro. Dopo avergli 357/481 stretto la mano, lui chiede il nome all’altro, abbassando il capo. Io ascolto la risposta e, quasi sillabando, dico: “Tesoro, non ti ricordi di…?” Che cinismo! Alla fine dei convenevoli, ci spostiamo in un angolo, e lì commento acidamente: “Perché le persone hanno la pretesa che ci si ricordi sempre di loro? È una situazione davvero imbarazzante. È possibile che si ritengano così importanti? Per il mio lavoro, io incontro gente nuova ogni giorno: mi risulta impossibile fissare tutti i loro nomi nella memoria.” “Sii più comprensiva, più tollerante. E poi, sono qui per divertirsi…” Mio marito non sa che cosa sta dicendo. Fingono soltanto di divertirsi: in realtà, vogliono principalmente mettersi in mostra, godere di una certa attenzione e, in qualche caso, incontrarsi con qualcuno per concludere un affare. Il destino di queste 358/481 persone – che si ritengono bellissime e potenti, perché partecipano a un ricevimento esclusivo o sfilano su un tappeto rosso – è nelle mani di un redattore di cronaca sottopagato. E di un grafico che riceve le foto per posta elettronica e sceglie lo spazio che occuperanno nel nostro mondo piccolo, tradizionale e convenzionale. È lui che impagina le varie immagini delle celebrità, lasciando un modesto riquadro in cui collocare una panoramica della festa (o del cocktail, o della cena, o del party). Lì, tra le teste anonime di persone che si ritengono importanti, con un pizzico di fortuna qualcuno riesce a riconoscersi. Darius è salito sul palco e inizia a raccontare le esperienze vissute con le diverse personalità durante i dieci anni del programma. Mi rilasso e, insieme con mio marito, mi avvicino a una delle enormi vetrate. Il mio radar interiore ha già individuato i coniugi 359/481 König. Voglio mantenermi a distanza: credo che Jacob desideri la medesima cosa. “C’è qualcosa che non va?” Ecco. Oggi sono il Dr. Jekyll o Mr. Hyde? Victor Frankenstein o il suo mostro? Dovrei rispondere: “No, amore. Sto solo evitando l’uomo con cui sono andata a letto ieri. Sospetto che, in questa sala, tutti sappiano della nostra tresca, che la parola ‘amanti’ sia stampata sulla nostra fronte”? Sorrido e dico che, come ormai sarà stanco di sentire, non ho più voglia di frequentare feste e ricevimenti. In questo momento, mi piacerebbe tanto essere a casa, a occuparmi dei figli che abbiamo affidato alla babysitter. Non sono una persona che ama sbevazzare; tutta quella gente che mi saluta e vuole chiacchierare mi confonde: perché dovrei fingere di interessarmi ad argomenti insulsi, magari rispondendo con una domanda per avere il tempo di prendere un salatino e masticarlo senza apparire maleducata? 360/481 Dal soffitto cala uno schermo e parte un montaggio con gli ospiti più importanti di “Pardonnez-moi”. Alcuni li ho incontrati per lavoro, ma perlopiù sono personalità straniere di passaggio a Ginevra. La nostra città è un crocevia del mondo, e partecipare a quella trasmissione è quasi obbligatorio. “Be’, possiamo andarcene. Il patron ti ha visto. Abbiamo compiuto il nostro dovere sociale. Noleggiamo un film, e godiamoci il resto della serata.” No. Ci fermeremo ancora per qualche momento, perché ci sono Jacob e Madame König. “Aspettiamo. Può sembrare maleducato andar via prima del clou della serata.” Darius comincia a chiamare sul palco alcuni degli ospiti del programma, che raccontano brevemente la loro esperienza. Mi sto annoiando da morire. I single lasciano vagare lo sguardo nel salone, alla ricerca di donne sole. Le signore, invece, si osservano 361/481 vicendevolmente, analizzando abiti, trucco, e gli uomini che hanno accanto. Persa nei miei pensieri, guardo la città giù in basso, aspettando che arrivi il momento per scivolar via senza alcun biasimo. “… Te!” Io? “ Amore, sta chiamando te!” Darius Rochebin mi ha appena invitato sul palco, e io non l’ho sentito. Sì, ho partecipato alla sua trasmissione con la ex presidente della Confederazione per parlare di diritti umani. Ma non sono così importante. Ed è qualcosa che non immaginavo proprio. Non ci eravamo accordati e, di conseguenza, non mi sono preparata nemmeno un discorsetto di circostanza. Darius mi chiede nuovamente di salire con un cenno. Tutti mi guardano sorridendo. Avanzo verso il palco: sono segretamente felice, perché Marianne non godrà di questo onore. E tanto meno Jacob – voleva soltanto 362/481 trascorrere una serata tranquilla e gradevole, senza discorsi politici. Salgo sul palco improvvisato – in realtà è una scalinata che collega i due saloni in cima alla torre della TV –, do un bacio a Darius e comincio a raccontare un aneddoto assai poco interessante sulla mia partecipazione al programma. I single continuano la loro cerca; le donne seguitano a scrutarsi. Le persone vicine fingono di interessarsi alle mie parole. Io tengo lo sguardo fisso su mio marito – un oratore conosce il trucco di usare qualcuno del pubblico come interlocutore privilegiato che lo sostenga. Durante il mio breve discorso, colgo un’immagine che non mi sarei mai aspettata di vedere: Jacob e Marianne König accanto a mio marito. È accaduto in meno di due minuti, nel tempo che ho impiegato per raggiungere il palco e iniziare a parlare. Adesso i camerieri circolano tra gli invitati, i quali 363/481 chiacchierano amabilmente e si guardano intorno. Mi affretto a ringraziare. Il pubblico applaude. Darius mi dà un bacio. Tento di raggiungere mio marito e i König, ma vengo fermata da individui che mi elogiano per cose delle quali non ho affatto parlato: dicono che sono una persona meravigliosa, reputano splendidi i miei articoli sullo sciamanesimo, mi suggeriscono nuovi argomenti, mi porgono i loro biglietti da visita e si offrono discretamente come fonti di qualcosa che potrebbe essere molto “interessante”. Impiego una decina di minuti per liberarmi. Quando mi avvicino alla meta, nel punto in cui mio marito e io stavamo prima dell’arrivo degli intrusi, i tre stanno sorridendo. Si congratulano per il mio discorsetto e mi ripetono che sono stata bravissima. Poi mio marito pronuncia una frase che suona come una sentenza: 364/481 “Madame König vuole che ceniamo insieme. Le ho detto che sei stanca e che i bambini sono con la tata, ma lei ha continuato a insistere. Non accetta scuse…” “Proprio così. Immagino che nessuno di noi abbia cenato, no?” dice Marianne. Jacob concorda, con un sorriso ebete stampato in volto: ha l’espressione di un agnellino diretto al macello. In una frazione di secondo, la mia mente partorisce almeno duecentomila scuse. Ma perché dovrei utilizzarle? Ho una discreta quantità di cocaina da usare in qualsiasi momento, e la cena potrebbe costituire un’ottima opportunità per capire se portare a compimento il mio piano. Inoltre, ho una curiosità morbosa di scoprire qualche particolare del rapporto di Jacob con sua moglie. “Con molto piacere, Madame König.” *** 365/481 Marianne opta per il ristorante dell’Hotel des Armures: una scelta che dimostra una mancanza di originalità, visto che è il locale dove di solito si portano gli ospiti stranieri. Si trova nel cuore della città vecchia, il personale parla moltissime lingue, la fonduta è eccellente, ma… Ma, per chi abita a Ginevra, è decisamente un luogo scontato. Arriviamo dopo i König. Jacob è ancora in strada: sfida il freddo in nome del vizio del fumo. Marianne è già dentro. Dico a mio marito di entrare per non lasciarla sola; io aspetterò che “Monsieur König” finisca di fumare. Mi risponde che preferirebbe il contrario, ma insisto – non sarebbe educato lasciare al tavolo due donne sole, sia pure per pochi minuti. “L’invito ha colto alla sprovvista anche me,” dice Jacob, non appena mio marito ha varcato la soglia del locale. 366/481 Cerco di comportarmi in modo naturale, come se tutto fosse normale. Si sente in colpa? È preoccupato per una possibile fine del suo infelice matrimonio? “Con quella megera che sembra un pezzo di ghiaccio,” vorrei aggiungere. “No, affatto. Ma si dà il caso che…” La nostra conversazione viene interrotta proprio dall’arpia. Con un sorriso diabolico sulle labbra, mi saluta con i consueti tre bacetti e ordina al marito di spegnere la sigaretta e di entrare subito. Il suo atteggiamento sembra voler dire: “Nutro qualche sospetto su voi due. Non è che avete una tresca? Attenti, io sono una donna furba, molto più furba e intelligente di quanto pensiate.” Tutti ordiniamo le solite portate, fonduta e raclette, tranne mio marito: è stufo di mangiare sempre formaggio e vuole qualcos’altro, così ripiega sull’immancabile würstel, che pure appartiene al menù offerto agli 367/481 ospiti stranieri. Chiediamo anche del vino, ma adesso Jacob non lo assaggia, facendo roteare il bicchiere, annusando il bouquet e indirizzando un cenno affermativo al cameriere – quella era solo una stupida messinscena per impressionarmi il primo giorno. Mentre aspettiamo le pietanze chiacchierando del più e del meno, svuotiamo la prima bottiglia: ne domandiamo subito un’altra. Prego mio marito di smettere di bere, altrimenti dovremo nuovamente lasciare l’automobile dove abbiamo parcheggiato, in centro – siamo più lontani da casa, stavolta. Arrivano le comande. E noi apriamo la terza bottiglia di vino. Le banalità continuano. Pettegolezzi sulle sedute del Consiglio Nazionale, complimenti per i miei due articoli sulla cura dello stress (“Una proposta alquanto insolita”), il possibile crollo dei prezzi degli immobili a causa dell’abolizione del segreto bancario che farà migrare a Singapore o a Dubai migliaia di investitori 368/481 esteri, il luogo dove trascorreremo le feste di fine d’anno. Mi aspetto che il toro scenda nell’arena da un momento all’altro, ma ciò non avviene. Decido di abbassare la guardia. Bevo qualche bicchiere di vino – forse eccedo – e mi sento rilassata e allegra. Poi, all’improvviso, il cancello della plaza de toros si spalanca. “L’altro giorno mi è capitato di parlare con alcuni amici di quel sentimento idiota che si chiama ‘gelosia’,” dice Marianne König. “Qual è la vostra opinione al riguardo?” Qual è la nostra opinione riguardo a un argomento che non dovrebbe essere affrontato in una cena come questa? La megera ha formulato assai bene la domanda. Avrà impiegato l’intera giornata per elaborarla. Ha definito la gelosia un “sentimento idiota”, con l’intenzione di rendermi ancora più vulnerabile. “Io sono cresciuto fra terribili scenate di gelosia,” replica mio marito. 369/481 Cosa? Perché parla della sua vita privata? E con un’estranea, oltretutto. “Quindi mi sono ripromesso che, se un giorno mi fossi sposato, questo non sarebbe mai accaduto. All’inizio, è stato difficile, perché istintivamente siamo portati a controllare tutto, persino gli aspetti insondabili della vita, quelli che riguardano l’amore e la fedeltà. Alla fine, però, ci sono riuscito. E posso affermare che mia moglie, la quale incontra ogni giorno molte persone e magari rincasa con un certo ritardo, non è mai stata oggetto di una critica o un’insinuazione.” Non me ne aveva mai parlato: non sapevo che fosse cresciuto fra scenate di gelosia. L’arpia riesce a imporre sempre la propria volontà: “Andiamo a cena… Spegni la sigaretta… Parliamo del tale argomento…” Le parole di mio marito potrebbero avere due motivazioni. La prima: diffida di quest’invito e cerca di proteggermi. La seconda: mi sta dicendo, davanti a tutti, 370/481 quanto io sia importante per lui. Gli accarezzo lievemente una mano. Non l’avrei mai immaginato. Pensavo che, semplicemente, non gli interessasse conoscere le beghe della mia professione. “E tu, Linda, non sei gelosa di tuo marito?” L’invito a cena ha abbattuto la barriera del “lei” del nostro primo incontro. Io? “Certo che no: mi fido ciecamente di lui. Penso che la gelosia sia un sentimento da gente malata, insicura, priva di autostima, che si sente inferiore ed è convinta che chiunque possa rappresentare una minaccia per la sua relazione. E tu?” Marianne è caduta nella sua stessa trappola. “Come ho già detto, la reputo un sentimento idiota.” “D’accordo. Ma, se scoprissi un tradimento di tuo marito, come reagiresti?” 371/481 Jacob impallidisce. Fa appello a tutto il suo autocontrollo per non trangugiare l’intero bicchiere di vino dopo la mia domanda. “Mah! È difficile rispondere. Credo che le occasioni non gli manchino poiché, di certo, ogni giorno si incontrano persone insicure, annoiate dal proprio matrimonio e destinate a condurre una vita mediocre e ripetitiva, e allora… Immagino che anche nel tuo lavoro ci sia qualcuno così, che passa direttamente dall’incarico di cronista alla pensione…” “Sì. E non sono pochi,” rispondo, senza lasciar trasparire alcuna emozione nella voce. Poi prendo dell’altra fonduta. Lei mi guarda fissa negli occhi: so che sta parlando di me, ma non voglio che mio marito sospetti qualcosa. Non me ne importa niente di lei e di Jacob – lui non sarà stato capace di reggere la tensione e avrà confessato ogni cosa. 372/481 La mia calma mi sorprende. Forse è il vino, oppure il mostro che si è risvegliato e si sta divertendo. Ma probabilmente è il grande piacere che mi deriva dal tener testa a quella donna che crede di sapere tutto. “Continua,” dico, per incoraggiarla, mentre intingo una fetta di pane nel formaggio fuso. “Come puoi immaginare, le donne frustrate o trascurate non costituiscono una minaccia per me. Anche se, al contrario di te, io non ho una fiducia cieca in Jacob. So che mi ha tradito varie volte, perché la carne è debole.” Jacob ridacchia nervosamente, e beve un altro sorso di vino. Anche questa bottiglia è finita. Con un cenno, Marianne chiede al cameriere di portarne un’altra. “Comunque, il tradimento può essere considerato una componente di un rapporto normale. Se il mio uomo non è desiderato e corteggiato da quelle sfigate, dev’essere 373/481 veramente poco interessante. Non provo gelosia, ma qualcos’altro: sai che cosa? Eccitazione. Alcune volte mi spoglio, gli vado vicino, spalanco le cosce e lo invito a ripetere ogni gesto che fa con loro. Altre, gli chiedo di raccontarmi gli amplessi con le amanti, e questo mi procura orgasmi incredibili.” “Sono soltanto fantasie di Marianne,” commenta Jacob, senza troppa convinzione. “Frutto della sua immaginazione. L’altro giorno mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto andare in un club di scambisti a Losanna.” Ovviamente non stava scherzando, eppure abbiamo riso tutti, Marianne compresa. Stupefatta, scopro che Jacob adora essere definito un “macho infedele”. Mio marito è rimasto colpito dalla risposta di Madame König e le chiede di approfondire la faccenda dell’eccitazione che prova al pensiero delle avventure del coniuge. Poi le domanda l’indirizzo del club di scambisti, mi fissa con occhi scintillanti e dichiara che, anche per noi, è 374/481 arrivato il momento di provare qualcosa di diverso. Non riesco a capire se stia cercando di gestire la situazione quasi insopportabile che aleggia sul nostro tavolo, o se sia realmente interessato a sperimentare quel genere di trasgressione. Marianne non conosce l’indirizzo, ma può comunicargli il numero di telefono con un sms. È il momento di entrare in azione. Dico che, in genere, chi è geloso cerca di mostrare il contrario in pubblico. Ama insinuare, sperando di ottenere qualche informazione sui comportamenti del partner – un’azione piuttosto ingenua, che raramente porta a qualche risultato. “Io, per esempio, potrei avere una storia con Jacob, e tu non lo sapresti mai, perché non sono così idiota da cadere in questo genere di trappole,” aggiungo, con un tono di voce alterato. Mio marito mi guarda, sorpreso dalle mie parole. 375/481 “Tesoro, non credi di star esagerando?” “Niente affatto. Non sono stata io a iniziare questo discorso, e non ho idea di dove Madame König voglia arrivare. Da quando ci siamo seduti, ha continuato a provocare e insinuare – e adesso sono proprio stufa. Non hai notato il modo in cui mi scrutava, mentre parlavamo di un argomento che non interessa a nessuno a questo tavolo, tranne che a lei?” Marianne mi guarda con occhi sgranati: penso che non si aspettasse una reazione di questo tipo – è abituata ad avere tutto sotto controllo. Soggiungo che ho conosciuto molte persone ossessionate dalla gelosia, non perché pensino che il marito o la moglie li tradiscano, ma per il fatto che non sono al centro dell’attenzione, come vorrebbero. Jacob chiama il cameriere e chiede il conto. Splendido: poiché ci hanno invitato, saranno loro a pagare. 376/481 Guardo l’orologio e mi fingo stupita e preoccupata: è già passato l’orario concordato con la tata! Mi alzo, ringrazio e, scortata da mio marito, mi avvio verso il guardaroba per prendere il cappotto. Adesso, al tavolo, i König parlano delle incombenze che comportano i figli. “Ha pensato che mi stessi riferendo a lei?” domanda Marianne a Jacob. “Non credo proprio. Non ce ne sarebbe motivo.” Mio marito e io usciamo nel freddo della sera, senza scambiarci una parola. Sono irritata e irrequieta. E attacco a dire che quella donna stava proprio riferendosi a me: è talmente nevrotica che già il giorno delle elezioni aveva fatto alcune insinuazioni. Vuole sempre mettersi in mostra, dev’essere follemente gelosa di un idiota obbligato a comportarsi bene, e che pretende di controllare con modi dittatoriali per garantirgli un futuro in politica – in realtà, vorrebbe essere 377/481 al posto di Jacob, a imporre ogni sua volontà. Mio marito mi invita a calmarmi: forse ho bevuto troppo. Passiamo davanti alla cattedrale di San Pietro. La bruma avvolge la città; c’è un’atmosfera da film dell’orrore. Mi figuro Marianne dietro un angolo, armata di un pugnale e pronta ad ammazzarmi: una scena della Ginevra medievale, quando la città era perennemente in lotta – ora con i Savoia, ora con il potere episcopale, ora con gli stessi svizzeri. Né il freddo né la camminata mi tranquillizzano. Prendiamo la macchina e, quando arriviamo a casa, mi precipito in bagno e ingoio due compresse di Valium, mentre mio marito congeda la babysitter. Dormo per dieci ore filate. L’indomani, quando mi alzo per la solita routine mattutina, mi sembra che mio marito si comporti in maniera meno affettuosa del solito. 378/481 È un cambiamento quasi impercettibile: comunque, qualcosa della serata di ieri deve averlo turbato. Sono confusa, non so come reagire: non ho mai preso due tranquillanti insieme. Avverto un disagio che non assomiglia affatto a quello provocato dalla solitudine e dall’infelicità. Esco per andare in redazione e, meccanicamente, controllo il cellulare. C’è un messaggio di Jacob. Esito: vorrei cancellarlo senza leggere, ma la curiosità ha il sopravvento sull’odio. Me l’ha spedito questa mattina, molto presto. “Hai rovinato tutto. Lei non pensava affatto che avessimo una storia: ora ne ha la certezza. Sei caduta in una trappola che M. non aveva organizzato.” *** 379/481 Più tardi, dovrò affrontare l’enorme seccatura di andare al supermercato e fare la spesa, proprio come una donna frustrata e trascurata. Forse Marianne ha ragione: sono soltanto questo – oltre che un passatempo sessuale per lo stupido cagnolino che dorme nel suo letto. Guido in modo assai pericoloso: non riesco a smettere di piangere, e le lacrime quasi mi impediscono la vista delle altre auto. Nelle mie orecchie risuonano clacson e proteste: cerco di rallentare, ma gli strombazzamenti e gli improperi aumentano. Se ho commesso una stupidaggine facendo nascere dei sospetti in Marianne, è stato ancora più sciocco mettere a repentaglio tutto ciò che possiedo – mio marito, la mia famiglia, il mio lavoro. Mentre guido, con gli ultimi strascichi degli effetti delle due compresse di Valium e con la rabbia che monta, mi rendo conto che adesso sto rischiando anche la vita. 380/481 Posteggio in una strada laterale e piango. I miei singhiozzi sono così forti da richiamare l’attenzione di un passante: si avvicina e mi chiede se può aiutarmi. Rispondo di no, e lo sconosciuto si allontana. In verità, ho davvero bisogno di aiuto – di molto aiuto. Sto sprofondando in me stessa, nel mare di fango della mia anima, e non riesco a mantenermi a galla. Sono pervasa dall’odio, da un astio tremendo. Immagino che Jacob non voglia vedermi mai più. È solo colpa mia: ho oltrepassato i limiti, nel tentativo di scongiurate i sospetti, di cancellare i dubbi sul mio comportamento recente. Potrei telefonargli e chiedergli scusa, ma credo che non mi risponderà. Forse sarebbe meglio se chiamassi mio marito e gli chiedessi come va. Conosco la sua voce, e capisco quando è irritato e teso, nonostante sia un autentico maestro nel dissimulare le sue emozioni. No, non voglio sapere se c’è qualche problema. 381/481 Ho troppa paura. Sento lo stomaco chiuso, ostruito da una pietra. Con le mani serrate sul volante, mi abbandono di nuovo a un pianto dirotto. Urlo a perdifiato, batto i pugni, do in escandescenze nell’unico posto che reputo sicuro al mondo: la mia auto. Il samaritano sconosciuto ora mi osserva da lontano: magari teme che faccia una sciocchezza. No, non farò niente. Voglio soltanto piangere: non penso che sia chiedere troppo. Ho la sensazione di avere abusato di me stessa. Vorrei tornare indietro, ma è impossibile. Vorrei escogitare un piano per recuperare il terreno perduto, ma non sono in grado di ragionare. Posso solo piangere, vergognarmi e odiare. Come ho potuto essere tanto ingenua? Come ho potuto pensare che Marianne stesse parlando di cose che conosceva? Forse perché mi sentivo colpevole – una criminale. Volevo umiliarla, annientarla davanti al marito, affinché lui non mi considerasse più 382/481 soltanto un trastullo. Nel mio intimo, sapevo di non amare quell’uomo, che mi stava restituendo la gioia perduta e mi allontanava dal pozzo di solitudine in cui ero sprofondata. Adesso comprendo che quei giorni appartengono definitivamente al passato. Devo tornare alla realtà, al supermercato, alle giornate sempre uguali, alla sicurezza della mia casa – prima era davvero importante, poi si è trasformata in una prigione. Ho bisogno di raccogliere i cocci di me stessa. E, forse, devo confessare a mio marito l’intera faccenda. So che comprenderà. È un uomo buono, intelligente, che ha sempre messo la famiglia al primo posto. E se invece non capisse? Se decidesse che siamo arrivati a un punto di non ritorno, che è stanco di vivere con una donna che prima si lamentava della depressione e adesso si straccia le vesti perché è stata abbandonata dall’amante? 383/481 I singhiozzi stanno scemando, e la mia mente riacquista lucidità. Devo andare in redazione: non posso trascorrere l’intera giornata in questa piccola strada fiancheggiata da case dove vivono coppie felici, sulle cui porte campeggiano rutilanti decorazioni natalizie. La via si è animata, ma i passanti non mi degnano di uno sguardo mentre, impotente, io vedo il mio mondo che crolla. Ho bisogno di riflettere. Devo stabilire una lista di priorità. Nei prossimi giorni, mesi e anni, riuscirò a fingere di essere una moglie amorevole? Devo impormi di abbandonare quest’aria da animale ferito. Non ho mai avuto una grande considerazione della disciplina, ma non posso comportarmi come una squilibrata. Mi asciugo le lacrime e guardo oltre il parabrezza. Devo accendere il motore? Non ancora. Aspetto qualche altro momento. C’è una ragione per la quale dovrei rallegrarmi per questo tracollo: cominciavo a essere 384/481 stanca di vivere nella menzogna. Ma… fino a che punto mio marito non ha mai sospettato niente? Gli uomini si accorgono quando le donne fingono l’orgasmo? È possibile, ma non ho alcun modo di saperlo. Scendo dall’auto, raggiungo la colonnina del parchimetro e pago per un periodo di sosta piuttosto lungo: in tal modo, potrò girovagare fino a quando ne avrò voglia. Telefono in redazione e invento una scusa: uno dei bambini ha avuto la diarrea e devo portarlo dal pediatra. Il direttore ci crede subito: gli svizzeri non mentono. E invece io lo faccio. È già accaduto molte volte. Ho perso il mio amor proprio, e ora non so dove sono finita. Gli svizzeri vivono in un mondo reale; io, in uno immaginario. Gli svizzeri sanno affrontare e risolvere i problemi; io, incapace di una simile impresa, ho creato una situazione nella quale avevo la famiglia ideale e l’amante perfetto. *** 385/481 Cammino in questa città che amo, con i suoi palazzi e i suoi negozi che, tranne nelle aree turistiche, sembrano appartenere agli anni cinquanta del secolo scorso. Fa freddo ma, grazie a Dio, non c’è vento, e questo rende la temperatura sopportabile. Nel tentativo di distrarmi e calmarmi, entro in una libreria, poi in una macelleria e, qualche minuto dopo, in un negozio di abbigliamento. Ogni volta che mi ritrovo in strada, mi rendo conto che la temperatura rigida contribuisce a spegnere il falò in cui mi sono trasformata. È possibile predisporsi ad amare l’uomo giusto? Certamente sì. Il problema è riuscire a dimenticare l’uomo sbagliato, che è entrato nella tua vita senza chiedere permesso, semplicemente perché stava passando da quelle parti e ha trovato la porta aperta. Di preciso, che cosa speravo di trovare in Jacob? Fin dall’inizio, sapevo che la nostra 386/481 relazione era senza futuro, anche se non immaginavo che sarebbe finita in un modo così umiliante. Forse cercavo solo quello che ho avuto: avventura e gioia. O forse volevo qualcosa di più: vivere al suo fianco, aiutarlo a far carriera, fornirgli quel sostegno che non riceveva più dalla moglie, offrirgli quell’affetto che, in uno dei nostri primi incontri, si era lamentato di non avere. E, come si prende un fiore dal giardino altrui, strapparlo da quella casa per piantarlo nel mio terreno, pur avendo la certezza che i fiori non resistono a un simile trattamento. Vengo assalita da un’ondata di gelosia, ma stavolta non ho lacrime da versare: in me, c’è soltanto rabbia. Mi siedo su una panchina alla fermata di un autobus. Rimango a osservare le persone, concentratissime nei loro mondi talmente piccoli da rientrare nello schermo di un cellulare, dal quale non staccano gli occhi. 387/481 Gli autobus si susseguono. Alcune persone scendono e si allontanano camminando in fretta, forse per il freddo. Altre salgono lentamente: magari non hanno la minima voglia di arrivare a casa, al lavoro, a scuola… Nessuna mostra rabbia o entusiasmo, nessuna rivela felicità o tristezza: sono solo anime in pena che affrontano meccanicamente la missione che l’universo gli ha riservato il giorno della loro nascita. Dopo lunghi minuti, finalmente mi rilasso. Ho individuato alcuni pezzi del mio rompicapo interiore. Uno è costituito dal motivo di quest’odio che viene e va, come gli autobus che mi passano davanti. Può darsi che abbia perso la cosa più importante della mia vita: la famiglia. Sono stata sconfitta nella battaglia per la ricerca della felicità, e questo non solo mi umilia, ma mi impedisce di scorgere il cammino. E mio marito? Stasera gli parlerò con estrema franchezza, confessandogli tutto. Ho 388/481 l’impressione che, alla fine, mi sentirò leggera e libera, anche se mi ritroverò a pagarne le conseguenze. Sono stanca di mentire – a lui, al direttore, a me stessa. Ma, per il momento, non voglio pensarci. Adesso è la gelosia a divorare i miei pensieri. Non riesco ad alzarmi dalla panchina perché il mio corpo è prigioniero di catene invisibili – catene grosse e pesanti, pressoché impossibili da trascinarsi appresso. Marianne diceva che ama ascoltare i racconti delle avventure extraconiugali del marito mentre è a letto con lui, e poi chiedergli di fare… Di fare le stesse cose che faceva con me? Quando Jacob ha preso il preservativo dal comodino, la prima volta, avrei dovuto capire che frequentava altre donne. Da come mi ha posseduta, avrei dovuto rendermi conto che ero soltanto “una in più”. Spesso sono uscita da quel maledetto albergo con questa sensazione, ripetendomi che non avrei accettato di rivederlo – ero comunque 389/481 consapevole che si trattava soltanto di un’altra delle mie menzogne e che, se mi avesse telefonato, sarei stata subito pronta, nel giorno e all’ora che avesse voluto. Sì, sapevo perfettamente tutto questo. E cercavo di convincermi che era un’avventura, una storia di sesso. Ma non era così. Oggi mi rendo conto che, nonostante lo abbia negato nelle mie notti insonni e nei miei giorni vuoti, ero innamorata di lui. Perdutamente. Non so cosa fare. Immagino – in verità, ne sono certa – che tutte le persone sposate provino una segreta attrazione per qualcun altro. È qualcosa di proibito – ma l’illecito costituisce l’aspetto più stimolante della vita. Sono pochi quelli che trasformano le fantasie in realtà: uno su sette, secondo le statistiche ufficiali. Però credo che soltanto uno su cento arrivi al punto di lasciarsi trasportare dall’immaginazione, com’è accaduto a me. Per la maggior parte delle persone, si tratta solo di una passione passeggera – fin 390/481 dall’inizio, si sa che non durerà molto. Brevi momenti carichi d’emozione per rendere il sesso più erotico, accompagnati da esclamazioni come “Ti amo” nel momento dell’orgasmo. Non più di questo. Ma se mio marito avesse un’amante, come reagirei? Sarei dura e risoluta. Direi che la vita è ingiusta, che non valgo niente, che sto invecchiando; poi gli farei una scenata, piangerei a dirotto per la gelosia – in realtà, sarebbero lacrime d’invidia: ‘Perché lui ci riesce, e io no?’ Me ne andrei sbattendo la porta, mi trasferirei a casa dei miei genitori con i bambini. Due o tre mesi più tardi, mi pentirei del mio gesto e cercherei una scusa per tornare, immaginando che sarebbe qualcosa che vuole anche lui. Dopo quattro mesi, sarei terrorizzata al pensiero di dover ricominciare tutto daccapo con un’altra persona. Al quinto mese, mi inventerei un modo per ritornare sui miei passi, “per il bene dei bambini”, ma sarebbe troppo tardi: lui 391/481 vivrebbe già con l’amante, una tipa molto affascinante, più giovane e piena di energia, con la quale avrebbe ritrovato il gusto di vivere. Squilla il cellulare. Il direttore mi chiede come sta mio figlio. Gli dico che sono alla fermata di un autobus e sento malissimo: comunque, è tutto a posto, tra poco sarò al giornale. Se un individuo vive nel terrore, non riesce a vedere la realtà. Preferisce rifugiarsi nelle proprie fantasie. Io non posso continuare a trascinarmi in questo stato: devo assolutamente riprendermi. Forse il lavoro potrebbe aiutarmi. Mi alzo dalla panchina alla fermata dell’autobus e mi avvio verso la macchina. Guardo le foglie morte sul selciato. Mi dico che, a Parigi, le avrebbero già raccolte. Ginevra è una città molto più ricca, eppure quel fogliame disseccato è ancora lì. 392/481 Un giorno, quelle foglie appartenevano a un albero, a un essere vivente che ora si appresta a scivolare nella quiescenza. Quella pianta si è mai preoccupata delle fronde che la coprivano, la alimentavano e le consentivano di respirare? No. Ha mai pensato agli insetti che stavano lassù, che impollinavano i fiori, mantenendo viva la natura? No. L’albero pensa solo a se stesso: le foglie e gli insetti vengono abbandonati al proprio destino quando non sono più necessari. Ecco, io sono come una di quelle foglie cadute sul selciato, che ha vissuto credendo di essere eterna ed è morta senza conoscerne il motivo, che ha amato il sole e la luna, che ha assistito silenziosa al passaggio degli autobus e dei tram sferraglianti – nessuno l’ha mai avvertita della presenza dell’inverno. Le foglie hanno vissuto un’esistenza magnifica sino al giorno in cui sono ingiallite e l’albero gli ha detto addio. 393/481 Non “Arrivederci”, ma “Addio”, poiché sapeva che non sarebbero tornate mai più. Per staccarle dai rami e allontanarle da sé, ha chiesto aiuto al vento. L’albero sa che potrà crescere soltanto se riuscirà a riposare. E se crescerà, sarà rispettato. E potrà generare dei fiori ancora più belli. *** Basta! Per me, ora, la terapia migliore è il lavoro, perché ho già pianto ogni mia lacrima e rimuginato su tutto. Senza riuscire a liberarmi di niente. Come un automa, arrivo nella strada dove ho parcheggiato e vedo un ausiliare del traffico che scansiona la targa della mia auto con un aggeggio elettronico. “È sua quest’auto?” “Sì.” Senza parlare, il sorvegliante continua il suo lavoro. Anch’io resto in silenzio. A 394/481 questo punto, i dati della targa saranno già stati acquisiti dal sistema informatico cittadino e, dopo un’elaborazione quasi istantanea, avranno generato un accertamento di infrazione che mi sarà recapitato in una busta con una finestrella trasparente nella quale compare il logo discreto della Polizia Municipale accanto al mio indirizzo. Avrò trenta giorni per pagare i 100 franchi della contravvenzione – comunque, potrei anche decidere di far ricorso, investendo 500 franchi per le spese legali. “Ha sforato di venti minuti. Anche se ha pagato per oltre un’ora, qui la sosta è consentita solo per mezz’ora.” Mi limito ad annuire. L’uomo è sorpreso – non l’ho implorato di annullare la contravvenzione, sostenendo che non lo farò più, e tanto meno sono corsa verso di lui, quando l’ho visto inquadrare la targa della mia macchina. Non ho avuto nessuna delle reazioni a cui è abituato. 395/481 Dal suo aggeggio elettronico esce un biglietto, simile allo scontrino di un supermercato. Lo inserisce in una busta di plastica (per proteggerlo dalle intemperie) e si muove verso il muso dell’auto per infilarlo sotto un tergicristallo. Io premo il pulsante nella chiave, e le luci lampeggiano, indicando l’apertura delle portiere. L’uomo si rende conto che stava per compiere un gesto assai sciocco: come spesso capita a me, agiva meccanicamente. Il suono che segnala l’apertura degli sportelli lo richiama alla realtà: mi si avvicina e mi consegna l’avviso di contravvenzione. Ci allontaniamo entrambi soddisfatti. Lui perché non ha dovuto ascoltare le solite proteste; io perché ho ricevuto una punizione: è soltanto una parte di quello che merito. *** 396/481 Non so – ma lo scoprirò presto – se mio marito stia facendo ricorso a ogni briciolo del suo autocontrollo o se, davvero, non dia alcuna importanza a ciò che è accaduto. Rincaso senza ritardi, dopo un’altra giornata di lavoro, durante la quale ho dovuto informarmi su alcuni argomenti davvero banali: l’addestramento dei battellieri, il surplus di alberi di Natale sul mercato, l’introduzione di comandi elettronici nelle intersezioni ferroviarie – queste ricerche mi hanno reso immensamente felice, giacché le mie condizioni fisiche e psicologiche non mi avrebbero permesso un grande impegno mentale. Preparo la cena come se fosse una delle solite sere, identica a mille altre vissute in questa casa. Guardiamo distrattamente la televisione, prima che i bambini salgano in camera, attratti dai tablet e dai giochi in cui 397/481 uccidono terroristi o soldati, a seconda della giornata. Carico la lavastoviglie. Mio marito si premurerà di mettere a letto i figli. Finora abbiamo parlato soltanto di incombenze. Non saprei dire se lui sia stato sempre così – forse non vi ho mai badato –, o se sia particolarmente strano oggi. Lo scoprirò fra poco. Mentre è al piano superiore, accendo il caminetto: è la prima volta quest’anno – contemplare il fuoco mi tranquillizza. Sto per rivelargli qualcosa che forse già conosce, ma ho bisogno di tutti gli alleati possibili. Ecco perché stappo anche una bottiglia di vino e appronto un tagliere di formaggi. Bevo un sorso e inizio a fissare le fiamme. Non mi sento né ansiosa né impaurita. Basta con la doppia vita. Qualsiasi cosa accada, sarà un vantaggio per me. Se il nostro matrimonio dovrà finire, che ciò avvenga in un giorno d’autunno inoltrato, prima di Natale, mentre 398/481 guardiamo le lingue del fuoco e chiacchieriamo da persone civili. Lui scende, nota il tavolino apparecchiato, ma non fa domande. Si siede accanto a me sul divano, e guarda le fiamme. Beve tutto il vino del suo bicchiere e, quando mi accingo a versarne dell’altro, fa un gesto con la mano: è sufficiente così. Rompo il silenzio con un commento stupido: “Oggi la temperatura è scesa sotto zero.” Lui annuisce. A quanto pare, dovrò prendere l’iniziativa. “Mi spiace davvero per quello che è successo ieri sera, a cena.” “Non è stata colpa tua. Quella donna è davvero strana. Però, ti prego, evita di portarmi nuovamente a quel genere di ricevimenti.” Il suo tono di voce è calmo. Ma, come si impara fin da bambini, prima delle tempeste esiste sempre un momento in cui il vento si placa e tutto appare tranquillo. 399/481 Decido di insistere sull’argomento. “Marianne ha dimostrato di essere davvero gelosa, pur nascondendosi dietro la maschera della donna emancipata e disinibita.” “Forse hai ragione. Ma la gelosia è quel sentimento che continua a soffiarci nelle orecchie le parole: ‘All’improvviso, potresti perdere tutto ciò che hai ottenuto con mille sforzi.’ È qualcosa che ci rende completamente ciechi: verso quello che viviamo con gioia, verso i momenti felici, verso i legami creati con amore e fatica. Come può l’odio azzerare l’intera storia di una coppia?” Sta preparando il terreno. Vuole che gli racconti tutto: è proprio ciò che desidero. Continua: “A tutti capita di vivere delle giornate nelle quali diciamo: ‘Be’, sto vivendo un’esistenza che esula totalmente dalle mie aspettative.’ Ma se la vita ti domandasse cos’hai fatto per cambiarla e renderla accettabile, che cosa risponderesti?” 400/481 “È una domanda rivolta a me?” “No. Sto interrogando me stesso. Niente avviene senza fatica. Bisogna avere fede. Ed è necessario abbattere le barriere dei pregiudizi – il che richiede coraggio. Per avere coraggio, occorre dominare la paura. E così via. È indispensabile non scontrarsi con la propria quotidianità. Non si può ignorare che la vita è schierata al nostro fianco, e anch’essa vuole migliorare. Dobbiamo agire per aiutarla e aiutarci, giorno dopo giorno!” Mi verso un altro bicchiere di vino. Lui ravviva il fuoco, aggiungendo della legna. Quando avrò il coraggio di iniziare la mia confessione? Comunque, mio marito non sembra disposto a lasciarmi la parola. “Rifugiarsi in un sogno non è affatto semplice come appare. Al contrario. Può risultare pericoloso. Con il sogno, scateniamo energie fortissime, e non possiamo più nascondere a noi stessi il vero significato della 401/481 vita. Quando sogniamo, accettiamo di pagare un costo per la realtà immaginata.” Adesso! Più aspetto, più sarà la sofferenza che entrambi vivremo. Alzo il bicchiere, faccio un brindisi e dico che qualcosa turba profondamente il mio animo. Mio marito replica dicendo che ne abbiamo già parlato al Valon, quando gli ho aperto il cuore e gli ho raccontato del mio timore di essere depressa. Ribatto che non mi sto riferendo a quello. Lui mi interrompe e prosegue il suo ragionamento: “Inseguire un sogno ha un prezzo. Può corrispondere alla rinuncia a determinate abitudini, al tormento di nuove difficoltà, alla tristezza di molte delusioni ecc. Ma, per quanto esoso sia quel costo, non è mai alto come il prezzo pagato da chi non ha vissuto. Perché questi, un giorno, si guarderà indietro e sentirà il proprio cuore che dice: ‘Hai sprecato la tua esistenza.’” 402/481 Non posso certo affermare che mi stia spianando la strada. Non devo confessargli una marachella, ma qualcosa di molto più doloroso, cattivo, minaccioso. “Sì, ma…” Sorride. “Ho considerato la mia gelosia nei tuoi confronti, e posso dirmi felice. Sai perché? Perché la imputo al fatto che devo dimostrarmi sempre degno del tuo amore. Devo lottare per il nostro matrimonio, per la nostra comunione – una realtà che non riguarda soltanto i figli. Io ti amo. Affronterei qualsiasi prova, sopporterei qualsiasi peso, per averti sempre accanto. Tuttavia non potrei impedirti di andartene, se tu lo volessi. Ecco perché, se quel giorno arriverà, sarai libera di inseguire la tua felicità. Il mio amore per te è talmente grande che mi proibirebbe di renderti infelice.” I miei occhi si riempiono di lacrime, anche se non ho capito esattamente di cosa stia 403/481 parlando. È un discorso sulla gelosia, o mi sta lanciando un messaggio? “Non temo la solitudine,” prosegue. “Ho paura di vivere nell’illusione, vedendo una realtà alla quale aspiro e non quella quotidiana.” Mi prende una mano. “Sei la benedizione della mia vita. E, di sicuro, io non sono il miglior marito del mondo, visto che difficilmente manifesto i miei sentimenti. So che ne avverti la mancanza: magari è qualcosa che ti rende insicura, che ti fa pensare di non essere importante per me. Ebbene, non è affatto così. Dovremmo sederci più spesso davanti al caminetto e parlare: chiacchierare di mille argomenti, tranne che di gelosia. La gelosia non mi interessa, non ci riguarda. Forse ci gioverebbe un bel viaggio insieme, noi due soli. O festeggiare il capodanno fuori, magari in qualche posto dove siamo già stati.” “E i bambini?” 404/481 “Sono certo che i nonni sarebbero felicissimi di occuparsene,” dice. Dopo un attimo, si avvia a concludere. “Quando si ama, bisogna essere pronti a tutto. Perché l’amore è come un caleidoscopio, quel gioco che ci affascinava da bambini. È in continuo movimento e non si ripete mai. Chi non riesce a comprendere questa semplice verità è condannato a soffrire per un dono che esiste solo per renderci felici. Ma c’è qualcosa di ancora più triste, l’ho capito ieri sera a cena: le persone come quella donna mostrano un’enorme preoccupazione per ciò che gli altri pensano del loro matrimonio. Per me, non è minimamente rilevante: conta soltanto quello che pensi tu.” Appoggio la testa sulla sua spalla. Quanto avevo da dire ha perso ogni importanza. Mio marito sa perfettamente che cosa sta accadendo e riesce ad affrontare la situazione in una maniera che esula dalle mie capacità. 405/481 *** “È semplice: purché tu non agisca in modo illegale, operare sul mercato finanziario – guadagnando o perdendo soldi – non può esserti proibito.” L’ex magnate si sforza di mantenere gli atteggiamenti di uno degli uomini più ricchi del mondo. Ma la sua fortuna è svanita in meno di un anno, allorché i grandi finanzieri hanno scoperto che vendeva soltanto illusioni. Cerco di mostrare interesse per le sue parole. In fondo, sono stata io a chiedere al direttore di abbandonare definitivamente gli articoli sulle cure alternative per lo stress. È passata una settimana da quando ho ricevuto il messaggio di Jacob, in cui mi diceva che avevo rovinato tutto. Una settimana da quando ho girovagato in lacrime per le strade di Ginevra – presto, quel giorno mi verrà ricordato anche dall’arrivo della multa. 406/481 Una settimana dalla conversazione con mio marito davanti al caminetto. “Dobbiamo sempre conoscere un modo per vendere un’idea. È in questo che consiste il successo: riuscire a vendere ciò di cui si dispone,” prosegue l’ex magnate. Penso: ‘Mio caro, nonostante la tua prosopopea, la tua aura di serietà, la suite in questo albergo di lusso dalla quale si gode una magnifica vista sulla città… Nonostante gli abiti confezionati da una sartoria londinese, quel sorriso e quella chioma abilmente colorata per dare un’impressione di «naturalezza»… Nonostante la sicurezza con cui parli e ti muovi, posso assicurarti che conoscere un modo di vendere un’idea non è la fonte del successo. Bisogna trovare qualcuno che la compri. E questo vale per gli affari, per la politica e per l’amore. Caro il mio ex milionario, immagino che tu capisca perfettamente di che cosa sto parlando: potrai supportare le tue parole con 407/481 esemplificazioni grafiche, diagrammi, presentazioni – ma la gente chiede risultati.’ Anche l’amore vuole dei frutti, per quanto tutti affermino che non è vero, che l’atto di amare trova la somma giustificazione in se stesso. È vero? Se rimanessi a passeggiare nel Giardino Inglese, con indosso il giaccone di pelle comprato da mio marito in Russia, osservando l’autunno, sorridendo al cielo e dicendo: “Io amo, e ciò basta”, questo trasformerebbe la realtà? Ovviamente, no. Io amo, ma pretendo di avere in cambio qualcosa di concreto – camminare mano nella mano, i baci, il sesso focoso, i sogni da condividere, la possibilità di costruirsi una famiglia, di educare i figli, di invecchiare accanto alla persona amata. “È indispensabile avere una meta molto precisa per ogni passo che facciamo. Ed essere ottimisti,” spiega il mio patetico interlocutore, con un sorriso apparentemente fiducioso. 408/481 A quanto pare, sono di nuovo sull’orlo della follia. Finisco per rapportare alla mia situazione affettiva tutto ciò che ascolto o leggo, compresa la barbosa intervista con quest’uomo sgradevole. Mi ritrovo a pensarci in ogni momento della giornata – mentre cammino per la strada, mentre cucino, mentre spreco momenti preziosi della mia esistenza ascoltando discorsi che, invece di distrarmi, mi spingono sempre di più verso l’abisso. “L’ottimismo è contagioso…” L’ex magnate non smette di parlare: è sicuro di risultare convincente, di essere un’ottima carta per il giornale – la pubblicazione del colloquio segnerà l’inizio della sua redenzione. È davvero splendido intervistare individui del genere: è sufficiente porre una domanda, e parlano per ore. A differenza delle conversazioni con lo sciamano, stavolta non presto alcuna attenzione alle parole del mio interlocutore. Il registratore è 409/481 acceso, ma so già che ridurrò questo monologo a seicento parole – quattro o cinque minuti di intervista. “L’ottimismo è contagioso,” ripete lui. Se fosse così, basterebbe avvicinarsi alla persona amata con un sorriso immenso, cento progetti e mille idee, e… E conoscere il modo per vendere il pacchetto. Funzionerebbe? No. Piuttosto è contagiosa la paura, il terrore di non trovare qualcuno che ci accompagni sino alla fine dei nostri giorni. È il panico a spingerci ad agire in modo sconsiderato, ad accettare anche una persona sbagliata, convincendoci che sia quella giusta, l’unica, il compagno o la compagna che Dio ha posto sulla nostra strada. In brevissimo tempo, il desiderio di sicurezza si trasforma in amore sincero, la vita diventa più dolce e più facile, e rinchiudiamo i nostri sentimenti in una scatola da conservare in fondo all’armadio della mente: rimarrà lì, nascosta e invisibile, per sempre. 410/481 “Alcuni sostengono che sono uno degli uomini che può vantare le migliori relazioni nel mio paese. Conosco imprenditori, politici, industriali. Le mie aziende stanno soltanto attraversando un momento di difficoltà temporaneo. Ben presto, lei potrà scrivere del mio ritorno.” Anch’io sono una persona con ottime relazioni, che conosce il tipo di soggetti che lui frequenta. Tuttavia non ho intenzione di adoperarmi per alcun ritorno. Desidero solo un epilogo civile per una di queste “relazioni”. Perché le cose che non hanno una conclusione chiara finiscono sempre per lasciare una porta aperta, una possibilità insondata, una chance che tutto possa tornare come prima. Non è qualcosa che mi attrae, anche se conosco molte persone che adorano questo genere di situazione. Che cosa sto facendo? Voglio fare un paragone tra l’economia e l’amore? Cerco di 411/481 scovare delle correlazioni tra il mondo finanziario e quello affettivo? Da una settimana, non ho notizie di Jacob. Da una settimana, dopo la serata trascorsa a parlare davanti al caminetto, il rapporto con mio marito è tornato alla normalità. Riusciremo a risollevare il nostro matrimonio? Fino alla primavera di quest’anno ero una persona normale. Poi, un giorno, mi sono resa conto che tutto ciò che avevo sarebbe potuto scomparire all’improvviso e, anziché reagire da individuo intelligente, sono sprofondata nel panico. E questo mi ha portato all’inerzia. All’apatia. All’incapacità di reagire e cambiare. E dopo notti e notti insonni, dopo giorni e giorni nei quali non sono riuscita a trovare alcuno stimolo nella vita, ho fatto ciò che più temevo: ho sfidato il pericolo senza cautelarmi – molte persone covano il germe dell’autodistruzione. Per caso – o forse perché il destino intendeva mettermi alla prova –, mi sono imbattuta in 412/481 qualcuno che mi ha afferrato per i capelli (non soltanto in senso letterale, ma anche figurato), mi ha scrollato, ha allontanato la polvere che stava soffocandomi e mi ha fatto respirare di nuovo. Tutto assolutamente falso. Una felicità analoga a quella che i tossicodipendenti trovano nella droga. Prima o poi l’effetto svanisce, e la disperazione diventa ancora più forte. L’ex magnate inizia a parlare di soldi. Non gli ho chiesto niente al riguardo, ma lui ha deciso di affrontare l’argomento. Avverte la necessità impellente di dichiarare che non è povero, che è in grado di mantenere il suo stile di vita per decenni. Non sopporto più di restare in questo posto. Lo ringrazio per l’intervista, spengo il registratore e mi accingo a recuperare il cappotto. 413/481 “È libera, stasera? Magari potremmo vederci per un drink, e concludere questa conversazione,” dice lui, con un sorriso. Non è la prima volta che mi accade. In verità, per me è quasi una regola. Sono bella e intelligente – sebbene Madame König non lo ammetta – e, in varie occasioni, mi sono servita del mio fascino per ottenere informazioni che normalmente certe persone non rivelerebbero ai giornalisti, temendo di vederle pubblicate con titoli a caratteri cubitali. Ma gli uomini… Ah, gli uomini! Si inventano mille maniere per nascondere le proprie debolezze, eppure una qualsiasi diciottenne riesce a manipolarli senza grandi sforzi. Lo ringrazio per l’invito, ma gli dico che ho già un impegno. Sono tentata di domandargli come abbia reagito la sua ultima fidanzata all’ondata di notizie negative su di lui e sul crollo del suo impero. Comunque, riesco 414/481 perfettamente a immaginarlo: al giornale, però, questo non interessa. *** Esco, attraverso la strada e arrivo al Giardino Inglese dove, qualche minuto prima, immaginavo di passeggiare. Proseguo fino a una gelateria artigianale all’angolo di Rue 31 du Décembre. Mi piace il nome di questa strada, perché mi ricorda sempre che, prima o poi, un altro anno si concluderà e, come al solito, io farò grandi promesse per quello successivo. Prendo un cono al pistacchio e cioccolato. Cammino fino al molo, mangiando il gelato e osservando uno dei simboli di Ginevra, il Jet d’Eau che s’innalza verso il cielo e crea una cortina di minuscole gocce davanti ai miei occhi. Dei turisti si avvicinano e scattano alcune fotografie, che risulteranno poco 415/481 illuminate – non sarebbe più semplice comprare una cartolina? Ho visto monumenti e statue in tutto il mondo. Uomini imponenti del cui nome si è ormai persa la memoria, ma che sono sempre lì, in groppa ai loro magnifici destrieri. Donne che levano al cielo corone o spade, a simboleggiare la vittoria, scomparse anche dai libri scolastici. Bambini ignoti e solitari, la cui innocenza perduta si ritrova nella pietra scolpita da qualche artista dimenticato, durante sedute di posa che si protraevano per ore e giorni. Alla fine, con rare eccezioni, non sono mai le statue a connotare l’immagine di una città, bensì le cose inattese. Quando Gustave Eiffel costruì la sua torre di ferro forgiato per l’Esposizione Universale, non immaginava certo che sarebbe diventata il simbolo di Parigi – nonostante la presenza del Louvre, dell’Arc de Triomphe e dei Jardins du Luxembourg. Una mela incarna New York. Un 416/481 ponte scarsamente trafficato è l’effigie di San Francisco. Un altro, sul Tago, offre la raffigurazione di Lisbona. Una cattedrale incompiuta è l’emblematico monumento che rappresenta Barcellona. È qualcosa di analogo al Jet d’Eau di Ginevra, che schizza verso il cielo nel punto in cui le acque del lago Lemano incontrano quelle del fiume Rodano, generando una corrente fortissima. Per sfruttare quell’energia – siamo maestri nell’arte dello sfruttamento –, verso la fine dell’Ottocento, venne costruita una centrale idroelettrica ma, quando gli addetti chiudevano le valvole, spesso le chiusine saltavano per la tremenda pressione. Poi un ingegnere ebbe l’idea di installare una grossa fontana, che consentisse all’acqua di defluire. Con il tempo, alcune soluzioni ingegneristiche risolsero il problema, e la fontana divenne superflua. Con un referendum, però, i ginevrini decisero di non smantellarla. 417/481 Molte fontane abbellivano la città, ma come rendere visibile quella in mezzo al lago? Vennero installate delle potenti pompe, e nacque un “monumento mutante” che lancia nell’aria 500 litri d’acqua al secondo, alla velocità di 200 chilometri orari. Il suo getto è osservabile anche da un aereo che vola a 10.000 metri di quota – io l’ho visto! Nessuno ha pensato di dargli un nome: per tutti è soltanto il “Jet d’Eau”, un simbolo della città di Ginevra – nonostante la presenza di statue di uomini a cavallo, donne eroiche e bambini solitari. Una volta, ho domandato a Denise, una ricercatrice scientifica, che cosa ne pensasse del monumento. “Il nostro corpo è composto principalmente d’acqua, che costituisce un ottimo conduttore per le correnti elettriche che veicolano le informazioni. Anche l’amore è un’informazione, e influisce sul funzionamento dell’intero organismo. Ma è pure un 418/481 sentimento che muta e si rinnova di continuo. Ecco perché penso che il Jet d’Eau sia il più bel monumento all’amore concepito dall’uomo, visto che cambia e non è mai uguale a se stesso.” *** Prendo il cellulare e chiamo l’ufficio di Jacob. D’accordo, potrei raggiungerlo sul suo numero personale, ma non intendo farlo. Parlo con il suo assistente e gli comunico che sto andando lì. Il collaboratore mi riconosce. Mi chiede di attendere in linea per una conferma. Dopo un momento di silenzio, si scusa e mi dice che “Monsieur König” non può ricevermi. Voglio fissare un appuntamento all’inizio dell’anno nuovo? Rispondo che ho bisogno di incontrarlo subito: è una questione urgente. Non è che “una questione urgente” apra sempre le porte ma, in questo caso, sono 419/481 convinta di avere delle ottime chance. Stavolta l’assistente impiega dieci minuti per rispondermi. Poi mi chiede se è possibile spostare l’incontro all’inizio della settimana successiva. Gli ripeto che sarò lì nel giro di venti minuti. Ringrazio e concludo la conversazione. *** Jacob mi chiede di rivestirmi subito – in fin dei conti, il suo ufficio è un luogo pubblico, pagato con i soldi dell’amministrazione, e se dovessero scoprirlo, lui potrebbe finire in galera. Io osservo i pannelli di legno intagliato delle pareti e i bellissimi affreschi sul soffitto. Sono nuda, sdraiata su un divano in pelle piuttosto logorato dal tempo. Lui appare sempre più teso. In giacca e cravatta, consulta l’orologio, ansioso. La pausa pranzo è terminata. Il suo assistente è 420/481 tornato, ha bussato discretamente alla porta, ha udito le parole: “Sono in riunione”, e non ha insistito. Da allora, sono passati quaranta minuti – ormai alcuni colloqui e appuntamenti saranno stati cancellati. Quando sono entrata, Jacob mi ha salutato e, con un gesto formale, mi ha indicato la sedia davanti alla sua scrivania. Non ho dovuto ricorrere all’intuito femminile per capire quanto fosse spaventato. Qual era il motivo di quell’incontro? Non mi rendevo conto dei suoi innumerevoli appuntamenti, visto che è ormai prossima la sospensione dei lavori parlamentari e ci sono importanti questioni da risolvere? Non ho letto il messaggio nel quale mi diceva che Marianne aveva subodorato la nostra tresca? Prima di incontrarci di nuovo, avremmo dovuto aspettare un po’ di tempo, lasciare sedimentare le cose. “Ovviamente, ho negato tutto. Ho finto di essere profondamente colpito dalle sue 421/481 insinuazioni. Le ho detto che mi sentivo offeso nella dignità. Che ero stufo di quella diffidenza, che poteva informarsi ovunque sulla rettitudine del mio comportamento. Non era stata proprio lei a sostenere che la gelosia è un segno di inferiorità? Ho cercato di spiegare, rassicurare, ma lei si è limitata a rispondere: ‘Smettila di comportarti da stupido. Non intendo lamentarmi: voglio solo dirti che ho scoperto la ragione per la quale ti mostravi così gentile e educato, di recente.’ È stato un… “ Non gli ho consentito di terminare la frase. Mi sono alzata e l’ho afferrato per il colletto. Ha creduto che volessi aggredirlo. Ma io gli ho dato un lungo bacio. Jacob non ha avuto alcuna reazione: probabilmente pensava che fossi andata lì per fargli una scenata. Ho continuato a baciarlo sulla bocca e sul collo, mentre gli allentavo la cravatta. Lui mi ha respinto. Gli ho dato uno schiaffo. 422/481 “Prima devo chiudere a chiave la porta. Anch’io avvertivo una tremenda nostalgia.” Ha percorso lo studio perfettamente arredato con mobili ottocenteschi, ha fatto ruotare la chiave nella toppa e, quando è tornato indietro, io ero già quasi nuda: indossavo solo le mutandine. Mentre gli toglievo furiosamente i vestiti, ha cominciato a baciarmi i seni. Io gemevo di piacere, ma mi ha tappato la bocca con una mano: ho scosso la testa e ho continuato a gemere piano. “Come puoi immaginare, anch’io mi gioco la reputazione. Perciò non devi preoccuparti.” È stato l’unico momento in cui ci siamo fermati e ho detto qualcosa. Poi mi sono inginocchiata e ho cominciato a succhiargli il pene. Lui mi teneva il capo, seguendo il ritmo – più veloce, sempre più veloce. Io, però, non volevo che mi eiaculasse in bocca. L’ho spinto via e sono andata verso il divano 423/481 di cuoio; mi sono seduta, con le gambe aperte. Lui si è accovacciato e ha cominciato a leccare il mio sesso. Quando ho avuto il primo orgasmo, mi sono morsa una mano per non urlare. L’ondata di piacere sembrava non finire mai, e io continuavo a addentare la mia carne. Allora ho sussurrato il suo nome, l’ho pregato di entrarmi dentro e di fare tutto ciò che voleva. Lui mi ha penetrata, afferrandomi le spalle e sbattendomi in modo selvaggio. Mi ha sollevato le gambe fin quasi all’altezza delle spalle, per poter affondare di più. Ha accelerato il ritmo, ma io gli ho ordinato di non venire ancora. Lo volevo di più, sempre di più. Mi ha spinto sul pavimento. Mi ha detto di mettermi a quattro zampe, come un cane. Poi mi ha penetrata e sbattuta di nuovo, mentre mi serrava i fianchi con le mani. Dai suoi gemiti soffocati, ho capito che stava per godere: non riusciva più a trattenersi. L’ho 424/481 allontanato, mi sono voltata e gli ho chiesto di entrare di nuovo, ma guardandomi negli occhi e riversandomi addosso quelle oscenità che mi mormorava spesso durante gli amplessi. L’ho contraccambiato con le cose più volgari che una donna possa sussurrare a un uomo. Lui seguitava a chiamare il mio nome, a implorare di dirgli che lo amavo. Ma io gli ritornavo solo sconcerie e pretendevo che mi trattasse come una prostituta, una puttana da strada, che mi usasse come una schiava, come una donna che non merita alcun rispetto. Il mio corpo era percorso da un’infinità di brividi. Il piacere arrivava a ondate. Ho goduto ancora e ancora, mentre lui si sforzava di non venire per prolungare quel piacere. I nostri corpi si urtavano con violenza, provocando rumori sordi: adesso nessuno si preoccupava più che potessero venire uditi oltre la porta. 425/481 Avevo lo sguardo fisso nei suoi occhi e ascoltavo il mio nome ripetuto a ogni movimento, quando mi sono resa conto che stava per eiaculare, ma era senza preservativo. Mi sono scostata e l’ho fatto scivolare fuori: gli ho chiesto di venirmi in faccia, sulla bocca, dicendo che mi amava. Jacob ha obbedito, mentre io mi masturbavo e godevo insieme a lui. A quel punto, mi ha abbracciato, ha appoggiato la testa sulla mia spalla, mi ha pulito il volto con le dita e ha detto più volte che mi amava, che aveva sentito tremendamente la mia mancanza. Ora mi chiede di vestirmi, ma io non mi muovo. È tornato a essere l’individuo beneducato che gli elettori ammirano. Avverte che c’è qualcosa che non va, ma non riesce a spiegarsi cosa sia. Pian piano, capisce che non mi trovo lì soltanto perché è un amante meraviglioso. “Perché sei venuta? Che cosa vuoi?” 426/481 Mettere un punto finale. Concludere questa storia che mi spezza il cuore e riduce a brandelli la mia emotività. Guardarlo negli occhi e dirgli che è finita. Che non si ripeterà mai più. Nell’ultima settimana ho vissuto una sofferenza quasi insopportabile. Ho pianto lacrime che pensavo di non avere e mi sono smarrita in labirinti di pensieri: mi vedevo trasportata nel campus dell’università, dove insegna Marianne, e ricoverata a forza nel reparto psichiatrico lì accanto. Ho pensato di avere fallito in tutto, tranne che come giornalista e come madre. In ogni minuto, mi sono ritrovata a sfiorare la morte e la vita nel contempo, fantasticando sulle infinite situazioni che avrei potuto vivere con lui, se fossimo stati ancora due adolescenti che guardavano insieme al futuro. Poi mi sono resa conto di aver toccato il fondo del pozzo della disperazione: non avrei potuto sprofondare più giù. Se volgevo lo sguardo verso 427/481 l’alto, vedevo un’unica mano tesa: quella di mio marito. Anche se ha sospettato qualcosa, il suo amore si è rivelato più forte. Mi ero imposta di essere onesta, di raccontargli ogni cosa, di levarmi quel peso dall’anima, ma non ce n’è stato bisogno. Lui mi ha fatto capire che, indipendentemente dalle mie scelte, sarebbe stato sempre accanto a me – in quel momento, il mio fardello è diventato leggero. Mi colpevolizzavo e pretendevo di giustificarmi, anche se non mi incolpava né mi condannava. Ripetevo a me stessa: ‘Non sono degna di quest’uomo: non sa chi sono realmente.’ Invece sì, lo sa perfettamente. Ed è questo che mi permette di avere ancora rispetto per me stessa, di recuperare il mio amor proprio. Perché, se un uomo come lui, che non avrebbe alcuna difficoltà a trovare una nuova compagna, sceglie di restare al mio fianco, allora valgo davvero qualcosa – molto. 428/481 Quasi all’improvviso, ho scoperto che potevo tornare a dormire accanto a lui senza sentirmi sporca, senza pensare che lo stessi tradendo. Ho percepito tutto il suo amore e ho creduto di meritarlo. Mi alzo, raccolgo i vestiti e mi dirigo verso il bagno privato dell’ufficio di Jacob. Sa che è l’ultima volta in cui mi vede nuda. ‘Il processo di guarigione sarà lungo,’ penso, mentre rientro nell’ufficio. Immagino che lui si stia dicendo la stessa cosa, provando le medesime sensazioni. Anche Marianne vuole che questa avventura abbia fine, per poter riabbracciare il marito con l’amore e le certezze del passato. Non mi trattengo e glielo chiedo. “Sì, è così. Ma lei non mi ha mai detto niente. Ha capito cosa stava succedendo e si è chiusa ancora di più in se stessa. Non è mai stata affettuosa, ma ora sembra un automa. Si dedica al lavoro compulsivamente: è il suo modo di scacciare i problemi.” 429/481 Mi sistemo la gonna, mi infilo le scarpe ed estraggo dalla borsa una busta: la appoggio sul piano della scrivania. “Che cos’è?” “Cocaina.” “Non sapevo che tu…” ‘Non è necessario che tu lo sappia,’ penso. ‘Non è necessario che tu sappia fino a che punto ero disposta ad arrivare per conquistare l’uomo che mi aveva fatto innamorare perdutamente. La passione c’è ancora, ma la fiamma si affievolisce giorno dopo giorno: so che finirà per estinguersi. Qualsiasi rottura è dolente e penosa – e io posso già sentire il dolore in ogni fibra del mio corpo. È l’ultima volta che ci vediamo soli. Da questo momento, ci incontreremo a feste e cocktail, in occasione di elezioni e conferenzestampa, ma non godremo mai più di una qualche intimità, com’è accaduto anche oggi. È stato bellissimo fare l’amore in quel modo, porre fine alla nostra storia con gli stessi 430/481 gesti con cui l’avevamo cominciata: concedendoci totalmente l’uno all’altra.’ Io sapevo che era l’ultima volta. Lui, no – comunque, non avrebbe potuto replicare. “Che devo farne?” “Gettala via. Mi è costata una fortuna, ma buttala via. Così mi libererai da un vizio.” Non gli spiego di quale vizio sto parlando. Una cattiva abitudine, il cui nome è Jacob König. Noto la sua espressione di sorpresa e sorrido. Mi congedo con i tradizionali tre bacetti sulle guance ed esco. Nell’ingresso, mi volto verso il suo assistente e lo saluto. Lui svia lo sguardo, fingendo di essere concentrato su una pila di carte, e mormora una vaga formula di commiato. Quando sono sul marciapiedi, chiamo mio marito e gli dico che preferisco trascorrere il capodanno a casa, con i bambini. Se vuole andar fuori, prenotiamo per Natale. *** 431/481 “Facciamo un giro prima di cena?” Annuisco, ma non mi muovo. Continuo a guardare il parco davanti all’albergo e, più oltre, lo Jungfrau, coperto di nevi eterne e illuminato dal sole pomeridiano. Le potenzialità del cervello umano sono davvero affascinanti: dimentichiamo un odore fino al momento in cui lo risentiamo, cancelliamo una voce dalla memoria fino a quando non la udiamo di nuovo, e persino le emozioni che sembravano sepolte per sempre possono ridestarsi, allorché torniamo nel luogo che le aveva originate. Viaggio all’indietro nel tempo, fino all’epoca del nostro primo soggiorno a Interlaken. Avevamo preso una stanza in un alberghetto economico, girovagavamo da un lago all’altro e, nonostante le mete delle nostre gite fossero sempre le solite, ci sembrava di scoprire un nuovo cammino ogni giorno. Lui aveva deciso di partecipare alla 432/481 Jungfrau Marathon, quella folle gara il cui percorso si snoda fra le montagne. Io ero orgogliosa del suo spirito di avventura, della sua voglia di sfidare l’impossibile, di pretendere sempre di più dal suo corpo. Per cimentarsi in quella corsa folle arrivavano persone dai quattro angoli del pianeta. Gli alberghi erano completi, e i concorrenti fraternizzavano nei molti bar e ristoranti di quella piccola cittadina di 5000 abitanti. Non ho idea di come sia Interlaken adesso, ma dalla finestra mi sembra più vuota, più distante. Siamo scesi nel miglior albergo. Abbiamo una bella suite. Sul tavolino c’è il cartoncino di benvenuto con la firma del direttore: ci augura una splendida permanenza e ci offre una bottiglia di champagne – l’abbiamo già bevuta. Mio marito mi chiama: torno alla realtà. Scendiamo per una passeggiata prima che faccia buio. 433/481 *** Se mi domanderà come sto, mentirò: non posso rovinare la sua gioia. Le ferite del mio cuore stentano a guarire. Mentre passeggiamo, lui si ferma a contemplare la panchina sulla quale ci sedemmo una mattina, dopo aver preso un caffè, e fummo avvicinati da una coppia di hippy stranieri che ci chiese qualche spicciolo. Passiamo davanti a una chiesa, e le campane iniziano a suonare. Mi bacia, e io contraccambio il bacio, sforzandomi di nascondere ciò che sento. Non ci teniamo per mano a causa del freddo – non sopporto i guanti. Arriviamo fino alla stazione ferroviaria. Lui compra lo stesso souvenir che acquistò allora – un accendino con il simbolo della città. All’epoca, fumava e gareggiava nelle maratone. Oggi non fuma più e dice di avere poco fiato. Ogni volta che affrettiamo la 434/481 camminata, ansima: sebbene abbia cercato di nasconderlo, ho notato che appariva piuttosto stanco dopo la corsa sulla riva del lago, a Nyon. Ci fermiamo in un bar dall’apparenza simpatica e prendiamo un drink. Il cellulare vibra. Impiego un’eternità per cercarlo nella borsa. Quando finalmente lo trovo, hanno già chiuso la comunicazione. Sul display campeggia l’icona di una chiamata persa: era l’amica che soffriva di depressione e che, grazie alla terapia farmacologica, ha ritrovato la propria serenità. “Se vuoi tornare, a me non dispiace.” Gli domando per quale motivo dovrei voler tornare in albergo. La mia compagnia lo disturba? Preferisce piazzarsi nella hall ed essere infastidito dal cicaleccio di persone che passano le ore al telefono, a parlare di nulla? Mi sembra quasi irritato con me. Forse è un effetto dello champagne, oltre che del 435/481 drink a base di acquavite che abbiamo appena bevuto. Il suo nervosismo ha un potere calmante su di me: mi fa sentire a mio agio. Sono rassicurata sul fatto di avere accanto un essere umano, con emozioni e sentimenti. “Com’è strana Interlaken senza la gente della maratona,” commento. “Pare una città fantasma.” “Non ci sono piste da sci, qui.” D’altronde, sarebbe impossibile impiantarle. La cittadina sorge in una valle, fiancheggiata da montagne altissime, con due laghi alle estremità. Ordina due gin: forse vuole combattere il freddo con l’alcol. Gli dico che stiamo esagerando: non beviamo così da moltissimo tempo. Si incupisce. “Sono passati dieci anni da quando siamo stati qui la prima volta: ero giovane, allora. Avevo mille ambizioni, amavo gli spazi aperti 436/481 e non ero affatto intimidito dall’ignoto. Forse sono cambiato troppo.” “Non dire così. Non puoi sentirti vecchio…” Non replica. Beve d’un fiato il proprio liquore e prende a fissare il vuoto. Non è più il marito perfetto e, per quanto incredibile possa sembrare, questo mi rallegra. Usciamo dal locale e ci avviamo verso il centro. Lungo la strada, siamo affascinati da un ristorante con un bar magnifico, ma abbiamo già prenotato altrove. “Prendiamo un altro gin?” dice, appena entrati. Un cartello informa la clientela che la cena viene servita a partire dalle ore 19. Chi è l’uomo che mi sta accanto? Non è che Interlaken abbia risvegliato in lui memorie perdute, magari sollevando la tempesta del terrore? Non rispondo. E comincio ad aver paura. 437/481 Gli domando se dobbiamo annullare la prenotazione al ristorante italiano e cenare qui. “Mi è indifferente.” Indifferente? Non è che stia provando il medesimo disagio che ho vissuto quando mi ritenevo depressa? Per me non è “indifferente”. Voglio cenare nel ristorante italiano che abbiamo prenotato. Quello dove ci siamo giurati amore eterno. “Questo viaggio è stato una pessima idea. Preferisco tornare a casa domani stesso. Ero animato dalle migliori intenzioni: volevo rivivere l’alba del nostro amore. Ma… è possibile? Ovviamente, no. Siamo cambiati. Adesso ci ritroviamo a gestire pressioni che prima non c’erano. Dobbiamo provvedere a tutte le necessità dei nostri figli: l’alimentazione, la salute, l’istruzione… Concentriamo i divertimenti nel fine settimana – è ciò che fanno tutti – e, poiché siamo restii a 438/481 uscire, pensiamo che ci sia qualcosa di sbagliato in noi.” “A me non piace andar fuori. Preferisco stare in casa senza far niente.” “Anch’io. Ma… i nostri figli? Loro desiderano altro. Non possiamo fargli trascorrere le giornate incollati allo schermo di un tablet o di un computer. Sono bambini. E allora ci imponiamo di portarli da qualche parte, adottiamo gli stessi atteggiamenti dei nostri genitori verso di noi, identici a quelli che i nostri nonni utilizzavano con loro. Facciamo una vita normale. Ci comportiamo come una famiglia emotivamente equilibrata. Se uno di noi ha bisogno di aiuto, l’altro è sempre pronto a soccorrerlo con ogni sua forza: a fare il possibile e l’impossibile.” “È vero. Anche a fare un viaggio in un posto pieno di ricordi, per esempio.” Un altro gin. Lui resta in silenzio per qualche momento, prima di replicare. 439/481 “Proprio così. Ma pensi che i ricordi possano riempire il presente? Al contrario, mi stanno soffocando. Sto scoprendo che non sono più la stessa persona. Fino a quando siamo arrivati qui e abbiamo bevuto quella bottiglia di champagne, andava tutto bene. Adesso, però, mi sono reso conto che la mia vita è molto diversa da quella che sognavo durante il nostro primo soggiorno a Interlaken.” “E cosa sognavi?” “Stupidaggini. Che comunque rappresentavano il mio sogno: qualcosa che avrei potuto realizzare.” “Che cosa pensavi di fare, in realtà?” “Vendere tutto ciò che avevo, comprare una barca e girare il mondo insieme a te. Mio padre si sarebbe infuriato, se non avessi seguito la sua strada, ma non era minimamente importante. Ci saremmo fermati nei porti, avremmo trovato piccoli lavori saltuari e, dopo aver raccattato un po’ di denaro, 440/481 saremmo salpati di nuovo. Passare serate con sconosciuti, scoprire luoghi che non figurano nelle guide turistiche. L’avventura. Il mio unico desiderio era l’av-ven-tu-ra.” Ordina un altro gin e lo ingolla con una velocità impensabile. Ho deciso di non bere più: comincio ad avvertire una sensazione di nausea. Finora non abbiamo mangiato niente. Vorrei dirgli che, se avesse lottato per realizzare il suo sogno, sarei stata la donna più felice del mondo. Ma è meglio che taccia, altrimenti si sentirà peggio. “Poi è arrivato il primo figlio.” “E allora? Ci sono milioni di coppie con figli che girano il mondo, all’avventura.” Lui riflette per un paio di minuti. “Milioni, non direi. Forse migliaia.” Il suo sguardo è diverso: non rivela più aggressività, bensì tristezza. “Ci sono giorni in cui ci fermiamo ad analizzare il nostro passato e il nostro presente. Quello che abbiamo imparato e gli 441/481 errori che abbiamo commesso. Io ho paura di quei bilanci. Mi sforzo per sostenere di avere sempre compiuto le scelte opportune, magari affrontando dei sacrifici. Mi illudo, mi inganno, ma credo che non sia una mancanza grave.” “Perché non facciamo ancora due passi? Hai uno sguardo strano, spento.” Lui sferra un pugno sul bancone. La proprietaria del locale ci guarda, spaventata. Ordino un altro gin, per me. La donna dice che il servizio bar è terminato, e ci consegna il conto. Mi aspetto una reazione da mio marito, ma si limita a estrarre una banconota dal portafogli e gettarla sul bancone. Mi prende per mano e, insieme, usciamo nell’aria gelida. “Temo che, se continuerò a pensare a tutto ciò che non si è realizzato, finirò in un buco nero.” 442/481 Conosco questa sensazione. Ne abbiamo parlato al Valon, quando gli ho aperto la mia anima. Lui sembra non ascoltarmi. “… E laggiù, sul fondo, sentirò una voce che mi dice: ‘Niente di tutto questo ha un senso. L’universo esisteva già miliardi di anni fa, e seguiterà a esistere dopo che sarai morto.’ Noi viviamo nella particella microscopica di un enorme mistero, e continueremo a non avere risposta ad alcune delle domande che ci siamo posti fin dall’infanzia: esiste la vita su qualche altro pianeta? Se Dio è buono, perché permette la sofferenza e il dolore? Questioni del genere. E il tempo continua a passare. Spesso, senza alcuna ragione apparente, vengo assalito da un terrore immenso. A volte capita mentre sono al lavoro, o guido, o sto mettendo a letto i bambini. Allora li guardo con tenerezza e paura, e mi chiedo: ‘Che ne sarà di loro? Adesso vivono in un paese che offre sicurezza 443/481 e tranquillità. Ma sarà ancora così, in futuro?’ Capisco che cosa vuol dire. E credo che non sia l’unico ad avere quelle preoccupazioni. “Ti osservo mentre prepari la colazione o la cena, e mi accade di pensare che, fra una cinquantina d’anni o forse meno, uno di noi due dormirà solo nel letto, piangendo ogni notte al ricordo di un passato felice. Ormai cresciuti, probabilmente i nostri figli saranno lontani. Il sopravvissuto sarà malato, bisognoso dell’aiuto di estranei.” Si zittisce, e continuiamo a camminare in silenzio. Passiamo davanti a un cartello girevole che annuncia una festa di capodanno. Lui gli tira un calcio violento. Due o tre passanti ci guardano. “Scusami. Non volevo che la conversazione prendesse questa piega. Siamo venuti qui affinché ti sentissi meglio, sollevata dalle 444/481 pressioni che siamo costretti a subire tutti i giorni. Poi ho iniziato a bere…” Sono sgomenta. Arriviamo nei pressi di un gruppo di ragazzi e ragazze che chiacchierano allegramente, fra lattine di birra sparpagliate ovunque. Mio marito, generalmente timido, si avvicina e li invita a bere. I giovani lo guardano impauriti. Scusandomi, gli dico che siamo brilli, e che un’ulteriore dose di alcol potrebbe essere deleteria. Lo prendo sottobraccio e proseguiamo. Da quanto tempo non lo facevo! Era sempre lui che mi proteggeva, mi aiutava, risolveva i miei problemi. Oggi sono io che lo sorreggo, per evitare che cada. Ha cambiato di nuovo umore: ora sta cantando una canzone che non ho mai sentito. Quando ci avviciniamo alla chiesa, le campane riattaccano a suonare. “Che bello!” dico. “È un buon segno.” 445/481 “Io ascolto le campane perché ci parlano di Dio. Ma Dio ascolta noi? Abbiamo trent’anni o poco più, e non troviamo più alcun senso nella vita. Se non ci fossero i nostri figli, quale sarebbe la ragione che ci spinge a continuare?” Vorrei replicare, ma non ho risposte. Finalmente arriviamo al ristorante nel quale ci giurammo amore eterno. Ceniamo in un’atmosfera deprimente, nonostante il lume di candela e il fatto di trovarsi in uno dei luoghi più belli della Svizzera. *** Quando mi sveglio, fuori è ormai giorno. Ho dormito un sonno profondo, senza sogni, e non mi sono mai svegliata durante la notte. Guardo l’orologio: le nove. Mio marito è ancora tra le braccia di Morfeo. Vado in bagno e mi lavo i denti; poi ordino la colazione per entrambi. Indosso la 446/481 vestaglia e mi dirigo verso una finestra: ammirerò il paesaggio, fino a quando non busseranno alla porta con il breakfast. Alzo lo sguardo: il cielo è costellato di deltaplani! Atterrano nel parco davanti all’albergo. A pilotarli devono essere dei principianti, visto che dietro di loro scorgo sempre un’altra persona – un istruttore? Penso che quello sport sia un’autentica follia. Gli uomini sono arrivati al punto di rischiare la vita per sconfiggere la noia e il tedio? Atterra un deltaplano, poi un altro. Gli amici dei piloti filmano tutto, pieni di allegria. Immagino che, da lassù, si goda una vista stupenda: le vette, il fondovalle… Provo una forte invidia verso quegli ardimentosi incoscienti, perché io non avrei mai il coraggio di salire su uno dei loro trabiccoli. Bussano alla porta. Il cameriere entra con un vassoio d’argento, sul quale si staglia un vaso con una rosa. Ovviamente ci sono anche 447/481 il caffè (per mio marito), il tè (per me), i croissant caldi, e poi crostini, pane, marmellate di vari gusti, uova, succo d’arancia, i quotidiani (compreso quello locale) e quant’altro può rendere felice il risveglio di una persona. Sveglio mio marito con un bacio – non ricordo l’ultima volta che è accaduto. Si desta di soprassalto, poi sorride. Ci sediamo alla piccola tavola imbandita e gustiamo le delizie che ci hanno servito. Commentiamo la sbronza della sera prima. “Penso che ci volesse. Comunque, non prendere troppo sul serio le mie elucubrazioni. Il botto dell’esplosione di un pallone spaventa tutti, ma si tratta solo di aria che fuoriesce: è inoffensivo.” Vorrei dirgli che mi sono sentita tremendamente bene scoprendo le sue debolezze, ma mi limito a sorridere e continuo a sbocconcellare il mio croissant. 448/481 Anche lui nota i deltaplani. Gli brillano gli occhi. Ci vestiamo e scendiamo per goderci la mattinata. Inaspettatamente si ferma alla reception e comunica che partiremo oggi. Poi chiede di far portare giù le valigie e paga il conto. “Sei sicuro di voler partire? Non potremmo restare fino a domani?” “Non credo che sia opportuno. La serata di ieri dovrebbe averci fatto capire che è impossibile viaggiare a ritroso nel tempo.” Ci avviamo verso l’ingresso, attraversando la lunga hall dal soffitto di cristallo. In una delle brochure dell’hotel, ho letto che i due edifici del complesso alberghiero si trovavano sui marciapiedi opposti di una strada, smantellata per far posto al grande corridoio trasparente. A quanto pare, il turismo prospera, malgrado non vi siano piste da sci. Anziché varcare la soglia, mio marito svolta a sinistra e raggiunge il portiere. 449/481 “Possiamo fare un volo in deltaplano?” Possiamo? Io non ho la minima intenzione di salire su uno di quei trabiccoli. L’uomo si avvicina a un espositore e gli porge un opuscolo. “Qui può trovare tutte le informazioni.” “E come si arriva lassù in cima?” Il portiere spiega che non è necessario arrivare fin lassù: è sufficiente fissare l’orario, e gli addetti verranno a prenderci in albergo. “Non è pericoloso veleggiare tra catene montuose, senza averlo mai fatto prima? Esiste qualche tipo di controllo federale o cantonale sugli istruttori e sulle attrezzature?” “Signora, io lavoro qui da dieci anni e, almeno una volta all’anno, mi concedo un volo in deltaplano. Le assicuro che non c’è mai stato alcun incidente.” 450/481 Pronuncia queste parole sorridendo: probabilmente ha ripetuto questa frase migliaia di volte. “Allora, prenotiamo? Si va?” “Non sono sicura di volerlo fare. Perché non ci vai da solo?” “Sì, potrei… E tu potresti aspettarmi nel parco con la videocamera. Di certo, devo e voglio fare questa esperienza nella vita. Un salto nel vuoto mi ha sempre terrorizzato: devo affrontarlo. Ieri abbiamo parlato del momento in cui ci adeguiamo alla vita, senza preoccuparci di saggiare i nostri limiti. Per me è stata davvero una serata tristissima.” “Lo so,” dico. Lui chiede al portiere di fissare un orario. “Stamane o nel pomeriggio? Nelle ore pomeridiane, potrete ammirare il tramonto che si riflette sulla neve tutt’intorno.” “Stamattina. Adesso,” rispondo io. “Per una o due persone?” 451/481 “Due, se partiremo subito.” Se non avrò modo di pensare a quello che sto facendo. Se non avrò il tempo di sollevare il coperchio della scatola dalla quale usciranno i miei demoni – paura dell’altezza, dell’ignoto, della morte, della vita, delle sensazioni estreme. Sì, ora o mai più. “Ci sono voli di venti minuti, di mezz’ora e di un’ora.” Nessun volo da dieci minuti? Nessuno. “Volete lanciarvi da 1350 o da 1800 metri?” Sto cominciando a pensare di desistere. Tutte queste informazioni non erano affatto necessarie. “Scelgo la quota più bassa: continuo a temere quel salto.” “Tesoro, ma non ha senso. Non succederà niente… In qualsiasi caso, se dovesse accadere qualcosa, le conseguenze sarebbero identiche. Equivalenti a una caduta dal settimo piano di un palazzo, da ventun metri.” 452/481 Il portiere scoppia a ridere. Rido anch’io, per nascondere i miei sentimenti. “Mi sono dimostrata ingenua pensando che cinquecento miseri metri avrebbero cambiato il nostro destino.” Il portiere telefona a qualcuno. “Sono disponibili solo lanci da 1350 metri.” Il mio sollievo è più assurdo della paura che ho provato alcuni momenti fa. “Perfetto!” La macchina sarà davanti all’ingresso dell’hotel fra dieci minuti. *** Mi trovo davanti all’abisso, insieme con mio marito e altre cinque o sei persone, in attesa di lanciarmi. Durante il percorso fino a quassù, ho pensato ai miei figli e alla possibilità che perdano entrambi i genitori. Poi 453/481 mi sono resa conto che non voleremo insieme. Dobbiamo indossare una tuta termica e un casco. Che scopo ha quella sorta di elmo? Mi farà arrivare al suolo con il cranio intatto, dopo un volo di mille metri, anche se dovessi sbattere contro una roccia? “Il casco è obbligatorio.” Perfetto. Lo infilo – è simile a quello dei ciclisti che circolano per le vie di Ginevra. È una faccenda davvero stupida, ma non ho voglia di discutere. Guardo davanti a me: prima del baratro, c’è un declivio coperto di neve. Posso interrompere il lancio dopo pochi passi, scendere fin quasi al ciglio e risalire a piedi. Non sono obbligata a saltare. Io non ho mai avuto paura del volo aereo. Gli aerei hanno sempre fatto parte della mia vita. Ma lì siamo tranquillamente seduti in cabina: il deltaplano, invece… La fusoliera è 454/481 uno scudo che ci trasmette un senso di protezione. E questo significa molto. Molto? Sì, perlomeno secondo la mia modesta comprensione delle leggi della fisica. Comunque, ho bisogno di convincermi: mi serve un’argomentazione migliore. D’accordo, l’aereo è fatto di metallo. E trasporta persone, bagagli, motori, tonnellate di carburante infiammabile. Il deltaplano, invece, è leggero, si muove con la forza del vento, obbedisce alle leggi della natura, come una foglia che cade dall’albero. Ecco, la sua poesia è una buona argomentazione. “Ti lanci tu per prima?” “Va bene.” Se mi succede qualcosa, lo saprà subito e potrà occuparsi dei nostri figli. Inoltre, si sentirà tremendamente in colpa per il resto della vita – anche per aver partorito un’idea così malsana. Io, invece, sarò ricordata come la compagna perfetta, quella che era sempre accanto al marito, nel dolore 455/481 e nella gioia, nell’avventura e nella quotidianità. “È pronta, signora?” “Sei tu l’istruttore? Mi sembri piuttosto giovane. Preferirei andare con il responsabile: sai, è la mia prima volta.” “Mi lancio da quando ho sedici anni, l’età richiesta delle autorità. Ho volato in diverse località del pianeta, cinque anni fa. Stia tranquilla, signora.” Il suo tono condiscendente mi irrita. Chi è più vecchio e ha qualche timore dovrebbe essere rispettato. Sono sicura che andrà in giro a raccontare le mie paure. “Si attenga alle istruzioni. E, quando cominceremo a correre, non si fermi più. Per il resto, lasci fare a me.” Istruzioni. Come se padroneggiassimo la situazione: il responsabile dei lanci si è limitato a spiegarci che il rischio maggiore deriva dal fatto di fermarsi durante la rincorsa. Poi ha aggiunto che, toccato il 456/481 suolo, dovremo corricchiare fino a quando non avremo la sensazione che i nostri piedi siano ben saldi sul terreno. Il mio sogno: i piedi saldamente piantati sul terreno. Mi avvicino a mio marito e gli chiedo di lanciarsi per ultimo, così avrà modo di conoscere il mio destino. “Vuole portare la videocamera?” dice l’istruttore. È possibile montarla su una sorta di antenna in alluminio rigido, lunga circa mezzo metro. No, assolutamente no. Prima di tutto, perché non sto facendo quell’esperienza per mostrarne il video agli altri. Poi, nel caso riesca a superare il panico, sarei più preoccupata di filmare che di ammirare il paesaggio. È qualcosa che ho imparato da ragazzina, durante un’escursione sul Cervino con mio padre: mi fermavo ogni tre passi per scattare una foto. A un certo punto, lui si irritò: “Credi che questa bellezza e quest’imponenza possano essere contenute in un fotogramma 457/481 di pellicola? Racchiudi le immagini nel tuo cuore. È più importante che adoperarsi per mostrare agli altri ciò che si vive.” Il mio istruttore, dall’alto dell’esperienza dei suoi ventun anni, comincia a fissare alcune corde intorno al mio corpo, servendosi di grossi moschettoni di alluminio. Poi l’imbragatura con il doppio sedile viene agganciata alla velatura con il trapezio dei montanti: io starò davanti, lui dietro. Potrei ancora rinunciare al lancio, ma ormai non ho più coscienza dei rischi. Ho smarrito la mia volontà. Ci mettiamo in posizione: il veterano ventunenne e il responsabile dei lanci discutono del vento. L’istruttore si sistema sul seggiolino. Posso sentire il suo respiro sulla nuca. Sporgo la testa e mi volto – e vedo una scena che mi impaurisce: sulla neve bianca campeggia una fila di deltaplani variopinti, i cui sedili accolgono varie persone. Sull’ultimo, scorgo mio 458/481 marito: indossa il casco da ciclista. Probabilmente si lancerà tre o quattro minuti dopo di me. “Pronta? Via! Cominci a correre.” Resto immobile. “Su, avanti, corra.” Gli dico che non voglio volteggiare nell’aria. Voglio planare dolcemente. Per me, cinque minuti di volo sono più che sufficienti. “Me lo spiegherà quando saremo in cielo. Ma adesso, la prego, si muova, c’è la fila. Dobbiamo lanciarci ora.” Priva di volontà, obbedisco agli ordini. E comincio a correre verso il baratro. “Più veloce!” Accelero: gli stivali fanno schizzare una poltiglia nevosa tutt’intorno. In realtà, non sono io la persona che corre, ma un automa azionato da comandi vocali. Attacco a urlare – non per la paura o l’eccitazione: è soltanto l’istinto. Sono di nuovo una donna delle 459/481 caverne, come diceva lo sciamano. Una donna che ha paura di ragni e serpenti, e quindi grida. Si grida sempre nella vita, poiché la paura non ci abbandona mai. All’improvviso, i miei piedi si staccano dal suolo: stringo forte le corde dell’imbragatura e smetto di urlare. L’istruttore corre ancora per un paio di secondi, poi… Poi stiamo volando. Ora è il vento ad avere il controllo delle nostre vite. *** Durante il primo minuto di volo, non apro gli occhi – non voglio avere alcuna cognizione dell’altezza, delle montagne, del pericolo. Mi sforzo di immaginarmi a casa, in cucina, mentre narro ai miei figli un episodio di questo viaggio, qualcosa che riguarda la cittadina, o la camera d’albergo. Non potrò certo raccontargli che, la prima sera, il loro 460/481 padre si è ubriacato ed è crollato sul marciapiedi mentre tornavamo in albergo per andare a dormire. Né posso dirgli che, dopo aver vinto la paura, ho volato in deltaplano: di sicuro, vorrebbero fare la stessa cosa – o peggio, costruirebbero una “macchina volante” e si lancerebbero dal primo piano di casa. A quel punto, mi rendo conto che sto comportandomi da stupida: perché tenere gli occhi chiusi? Nessuno mi ha costretto a lanciarmi. “Le assicuro che non c’è mai stato alcun incidente,” ha detto il portiere. Apro gli occhi. E quel che vedo – e quel che sento – è qualcosa che non potrò mai descrivere appieno. Ecco la valle che collega i due laghi, con la cittadina nel mezzo. Volo libera nello spazio, librandomi in cielo, in un silenzio quasi perfetto: il deltaplano disegna circoli lenti, sorretto e spinto dal vento. Ora le montagne non hanno più un aspetto 461/481 minaccioso: sono delle amiche vestite di bianco, illuminate da un sole splendente. Mi rilasso: le mie mani allentano la presa sulle corde. Spalanco le braccia, come se fossero le ali di un uccello. L’istruttore si accorge del mio cambiamento poiché, invece di continuare la discesa, inizia a salire, sfruttando le correnti d’aria calda. Scorgo un’aquila: naviga nel nostro medesimo oceano, muovendo appena le ali per controllare il suo misterioso volo. Dove sta andando? Forse da nessuna parte: vuole soltanto divertirsi, godersi l’infinita bellezza che la circonda… Ho l’impressione di comunicare telepaticamente con l’aquila. L’istruttore decide di seguirla: è la nostra guida, adesso. Ci indica il percorso verso il cielo – verso la porta dell’eternità. Provo le stesse sensazioni della corsa sulla riva del lago, a Nyon, quando avrei voluto continuare finché il mio corpo non fosse stramazzato sul terreno. 462/481 L’aquila mi parla: “Vieni. Tu sei il cielo e la terra, il vento e le nuvole, la neve e i laghi.” Mi sembra di essere nel ventre di mia madre, serena e protetta, e di percepire il mondo per la prima volta. Fra poco nascerò e mi trasformerò in un essere umano che cammina sul suolo terrestre. Adesso, però, sono ancora in un rifugio accogliente, dove niente mi angustia o mi impedisce di muovermi. Sono libera. Sì, sono libera. L’aquila non mi ha mentito: sono le montagne e i laghi. Non ho né passato né presente né futuro. Sto scivolando nell’Eternità. Per un attimo, mi chiedo se tutti i miei compagni di volo provano queste sensazioni: ma ha qualche importanza? Non voglio pensare agli altri. Sto fluttuando nell’Eternità. La natura mi parla come se fossi la sua figlia prediletta. La montagna mi sussurra: “Tu possiedi la mia forza.” I laghi mi mormorano: “Tu hai la nostra pace e la nostra 463/481 calma.” Il sole mi dice: “Brilla come me. Dimentica il tuo corpo. E ascolta.” Allora comincio a sentire quelle voci interiori che, da troppo tempo, erano soffocate dai pensieri compulsivi, dalla solitudine, dai terrori notturni, dal timore dei cambiamenti e dalla paura dell’immobilità – il terrore che tutto restasse com’era. Più saliamo e più mi allontano da me stessa. Mi ritrovo in un altro mondo, dove le cose si compenetrano in modo perfetto. Lontano da quella vita fatta di incombenze, desideri irrealizzabili, sofferenze e amarezze. Non ho niente e sono tutto. L’aquila comincia a planare verso la valle. Con le braccia spalancate, imito il movimento delle sue ali. Se qualcuno mi vedesse in questo momento, non saprebbe chi sono: adesso sono luce, spazio e tempo. Mi muovo in un altro universo. L’aquila mi dice: “Ecco, questa è l’Eternità.” 464/481 Nell’Eternità non esistiamo: siamo solo uno strumento della Mano che ha creato le montagne, la neve, i laghi e il sole. Attraverso il tempo e lo spazio, sono tornata all’attimo in cui la materia è stata creata e le prime scintille sono saettate in ogni direzione. Sì, voglio servire la Santa Mano. Provo mille sentimenti, le idee si formano e si dissolvono. La mia mente ha abbandonato il corpo e si è fusa con la natura. Tra poco, l’aquila e io scenderemo nel parco di fronte all’albergo, ed è qualcosa che mi rattrista. Ma perché preoccuparsi di quello che accadrà nel futuro? Ora sono qui, in un ventre materno che racchiude il nulla e il tutto. Il mio cuore riempie ogni angolo dell’universo. Vorrei trovare le parole per spiegare ciò che sento, per fissarlo nella mia memoria: passa un istante, e ogni mio pensiero svanisce – e ciò che era vuoto torna a essere colmo. 465/481 Il mio cuore! Intorno a me, prima scorgevo un universo gigantesco: adesso tutto è racchiuso in un minuscolo punto del mio cuore, un punto che è pronto a espandersi all’infinito, occupando ogni spazio. È uno strumento. Una benedizione. Mi impongo di essere lucida, di capire almeno una piccola parte delle mie sensazioni, ma lo Spirito del Potere è più forte. Lo Spirito del Potere: la sua essenza. È la percezione dell’Eternità a offrirmi una misteriosa sensazione di potere. Posso tutto, anche cancellare la sofferenza del mondo. Sto volando e parlando con gli angeli, ascoltando voci e rivelazioni che presto dimenticherò – purtroppo –, ma che in questo momento sono reali come l’aquila che mi precede. Non sarò mai in grado di spiegare ciò che sento, neppure a me stessa: è davvero importante? Quello è il futuro, e io 466/481 non ci sono ancora arrivata: vivo nel presente. Di nuovo, la razionalità scompare dalla mia mente: sono felice. Mi inchino al mio cuore gigantesco, colmo di luce e potere: esso può sopportare ciò che è avvenuto nel passato e quello che accadrà nel futuro, sino alla fine dei tempi. Ho la certezza che il suo amore trionferà. Adesso percepisco dei suoni terreni – un latrare di cani. Ci stiamo avvicinando al suolo e, pian piano, la realtà si riavvicina. Fra poco poserò i piedi sul corpo celeste che mi ospita, ma so che con il mio cuore – il mio immenso cuore – ho conosciuto tutti i pianeti, tutte le stelle e tutti i soli. Vorrei rimanere in questa dimensione, ma il mondo reale si sta materializzando. A destra, scorgo il grande albergo. I laghi sono ormai nascosti dai boschi e dalle montagne. Mio Dio, non posso continuare a esistere qui, per sempre? 467/481 “È impossibile,” risponde l’aquila. Ci ha guidato fino al parco, dove atterreremo fra qualche istante, e adesso si congeda: ha trovato una corrente ascensionale e risale in cielo, senza un battito d’ali, sfruttando il vento. “Se tu rimanessi in questa condizione, dovresti abbandonare il mondo,” mi dice. “E allora?” Comincio a parlare con l’aquila, ma mi accorgo che agisco in modo razionale, tentando di discutere. “Come potrò continuare a vivere nel mondo dopo aver sperimentato l’Eternità?” “Impegnati per essere te stessa,” replica, ma le sue parole sono quasi impercettibili. Poi si allontana nel cielo, ed esce dalla mia vita, per sempre. Avverto un sussurro: l’istruttore mi ricorda che, nel momento in cui i miei piedi toccheranno il suolo, dovrò corricchiare. Vedo il prato sotto di me. Quello che prima desideravo tanto – raggiungere il terreno solido –, ora rappresenta la fine di qualcosa. 468/481 Di che cosa, esattamente? I miei piedi toccano pesantemente la superficie erbosa. Corro per qualche secondo, mentre l’istruttore controlla le oscillazioni della velatura. Scende e mi libera dall’imbragatura. Mi guarda. Io fisso il cielo: scorgo soltanto alcuni deltaplani colorati che si avvicinano al punto in cui mi trovo. Mi accorgo di star piangendo. “Si sente bene?” Capisco che, anche se dovessi ripetere quell’esperienza, non vivrei più le medesime sensazioni. “È tutto a posto?” Annuisco. È impossibile che comprenda ciò che ho vissuto. E invece lo capisce. E mi dice che, almeno una volta all’anno, gli accade di volare con persone che hanno la mia stessa reazione. “Quando gli chiedo che cos’hanno provato, non riescono a spiegarlo. È capitato anche ad alcuni miei amici: sono entrati in una sorta 469/481 di trance e si sono ripresi solo al momento dell’atterraggio, senza ricordare niente.” Per me è completamente diverso. Comunque, non ho intenzione di spiegarglielo. Lo ringrazio per il suo atteggiamento soccorrevole. Sono tentata di dirgli che mi piacerebbe rivivere in ogni istante della mia vita ciò che ho provato lassù. Poi mi dico che il volo è finito, e non sono obbligata a dare spiegazioni a nessuno. Mi allontano e vado a sedermi su una panchina del parco, aspettando mio marito. Scoppio di nuovo in lacrime. Quando atterra, mi raggiunge. Un enorme sorriso illumina il suo volto: è stata un’esperienza fantastica. Continuo a piangere. Lui mi abbraccia e mi conforta, dicendomi che è tutto passato, che non avrebbe dovuto obbligarmi a fare qualcosa contro il mio volere. “Non è come pensi,” replico. “Non dire niente, per favore. Fra poco mi sarò ripresa.” 470/481 Alcuni addetti vengono a recuperare le tute termiche e i caschi. Io mi comporto come un automa ma, pian piano, ogni gesto mi riporta gradualmente in quel mondo che definiamo “reale”, nel quale non vorrei assolutamente stare. Ma non ho scelta. Posso soltanto chiedere a mio marito di lasciarmi sola per qualche minuto. Mi domanda se preferisco entrare nell’albergo, perché fa freddo. “No, sto bene qui.” Rimango su quella panchina per quasi mezz’ora, piangendo – lacrime benedette, che purificano la mia anima. Poi capisco che devo tornare definitivamente nel mondo. Mi alzo e rientro in albergo. Carichiamo le valigie in auto e ripartiamo per Ginevra. Durante il viaggio, ascoltiamo la radio – almeno non siamo obbligati a chiacchierare. A poco a poco, un terribile mal di testa si impadronisce di me. So che cosa sta accadendo: il sangue riprende a circolare 471/481 forte nel cervello, nelle aree dove risiedono i centri della memoria. La sublimazione dei ricordi è sempre accompagnata dal dolore. Adesso nell’abitacolo regna il silenzio: lui non avverte il bisogno di chiarire le sue affermazioni di ieri, proprio come io non devo spiegare ciò che ho sperimentato oggi. Il mondo è perfetto. *** Manca solo un’ora alla fine dell’anno. Poiché l’amministrazione municipale ha deciso di tagliare le spese per la tradizionale festa di capodanno, i fuochi d’artificio saranno drasticamente ridotti. Meglio così: ho visto così tanti spettacoli pirotecnici che non mi suscitano più le medesime emozioni di quando ero una bambina. Non posso dire che proverò nostalgia per questi 365 giorni. Ci sono stati giorni ventosi, tuoni e fulmini; i marosi hanno quasi 472/481 rovesciato la barca della mia vita ma, alla fine, sono riuscita ad attraversare l’oceano e approdare sulla terraferma. Terraferma? No, in nessun rapporto è concepibile. È proprio la mancanza di sfide, la sensazione che non ci siano più novità, a distruggere l’unione di due persone. È indispensabile che uno rappresenti sempre una sorpresa per l’altro. Tutto comincia con una grande festa. Arrivano gli amici, l’officiante ripete per l’ennesima volta le frasi studiate per il primo matrimonio che ha celebrato – “Dovete edificare la vostra casa sulla roccia, non sulla sabbia” –, gli invitati tirano il riso. La sposa lancia il bouquet: le nubili la invidiano segretamente, mentre le maritate sanno che sta intraprendendo un cammino assai diverso da quello descritto nelle favole. E poi, a poco a poco, la realtà si impone. E quasi tutte si rifiutano di accettarla. Vorrebbero che il compagno fosse sempre 473/481 esattamente l’individuo con il quale hanno scambiato la fede sull’altare. Come se si potesse fermare il tempo. No, è impossibile. Inaccettabile. La saggezza e l’esperienza non trasformano l’uomo, proprio come il tempo. L’unica cosa che può trasformarlo è l’Amore. Mentre veleggiavo nel cielo azzurro, ho capito che il mio amore per la vita, per l’universo, era più forte e più potente di tutto. *** Mi ricordo di un sermone che un giovane pastore pressoché sconosciuto scrisse nell’Ottocento, analizzando la prima epistola di San Paolo ai Corinzi e le diverse sfaccettature che l’Amore rivela a mano a mano che cresce. Egli ci dice che molti dei testi spirituali di oggi sono rivolti solo a una parte dell’uomo. Offrono Pace, ma non parlano di Vita. 474/481 Discutono la Fede, però dimenticano l’Amore. Parlano di Giustizia, però non citano la Rivelazione – quella che ho avuto lanciandomi con il deltaplano a Interlaken, e che mi ha permesso di emergere dal buco nero che io stessa avevo scavato nella mia anima. Mi auguro di possedere sempre la lucidità per capire che solo l’Amore Vero è in grado di vivificare gli amori terreni. Allorché doniamo ogni parte di noi all’altro, non abbiamo più nulla da perdere. E allora scompaiono la paura, la gelosia, il tedio e la routine – e resta solo una luce immateriale a colmare un vuoto che non ci spaventa, ma ci avvicina all’essere amato. Una luce che muta continuamente, e quel mutamento la rende splendida e affascinante e ricca di sorprese – non sempre sono le sorprese desiderate, tuttavia finiamo per accettarle volentieri. Abbondare nell’Amore significa abbondare nella Vita. 475/481 Amare per sempre significa vivere per sempre. La Vita Eterna è indissolubilmente legata all’Amore. Ma perché vogliamo vivere in eterno? Perché desideriamo trascorrere ogni giorno della nostra vita con la persona amata? Perché ci impegniamo per stare accanto a qualcuno degno del nostro amore, a qualcuno che sappia amarci come pensiamo di meritare? Perché vivere significa amare. Perfino l’amore per un animale – un cane, per esempio – può giustificare la vita di un essere umano. Smarrendo il proprio legame d’amore con la vita, l’uomo perde anche la ragione per continuare a vivere. Dobbiamo sempre sforzarci di cercare l’Amore, giacché esso ci porterà anche le altre cose. In questi dieci anni di matrimonio, ho avuto quasi tutto ciò che una donna può desiderare e ho sofferto per pene immeritate. Ebbene, guardando al passato, posso dire 476/481 che soltanto in pochi momenti – perlopiù molto brevi – ho vissuto quello che reputo l’Amore Vero: quando ho visto nascere i miei figli, quando mi sono seduta mano nella mano con mio marito a contemplare le Alpi o il Jet d’Eau. Ma sono questi rari momenti che giustificano la mia esistenza, perché mi dànno la forza di proseguire nel mio cammino e rallegrano i miei giorni – per quanto io abbia fatto di tutto per renderli tristi. Vado alla finestra e osservo la città. Anche se la neve prevista non è arrivata, penso che questo sia uno dei miei capodanni più romantici: stavo morendo, e l’A-more mi ha resuscitato. L’Amore: la sola cosa che sopravvivrà al genere umano. L’Amore. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Nessuno può costringersi ad amare – e tanto meno può obbligare qualcun altro a farlo. Si può soltanto guardare l’Amore, innamorarsene e imitarlo. 477/481 Non esiste altro modo per imparare ad amare: non ci sono formule magiche o pratiche misteriose. Dobbiamo amare gli altri, noi stessi, i nemici – e allora nella nostra vita non mancherà nulla. Se vedremo in televisione tutte le tragedie del mondo, ma scopriremo in esse una particola d’Amore, capiremo che l’umanità ha imboccato la via della salvezza. Perché l’Amore genera Amore. Colui che sa amare, ama e gioisce con la Verità, non la teme, perché sa che essa redime ogni colpa. Bisogna cercare la Verità senza preconcetti o intolleranze, con innocenza e umiltà: ciò che troveremo, ci ripagherà. Forse “sincerità” non è il termine più appropriato per una certa peculiarità dell’Amore, ma non riesco a trovarne altri. Di sicuro, non mi sto riferendo alla schiettezza che umilia il prossimo: l’Amore Vero non vuole mai che si rivelino le debolezze degli 478/481 altri per schernirli, ma pretende che nessuno taccia le proprie e chieda aiuto quando è in difficoltà. Penso con tenerezza ai König. Involontariamente, mi hanno riavvicinato a mio marito e alla mia famiglia. Spero che siano felici in quest’ultima notte dell’anno e che, alla fine, la mia storia con Jacob abbia riunito anche loro. Sto forse tentando di giustificare il mio adulterio? No. Ho soltanto cercato la Verità – e l’ho trovata. Mi auguro che abbiano egual fortuna tutti coloro che hanno vissuto un’esperienza analoga. Dobbiamo essere in grado di amare con maggior consapevolezza. Il nostro obiettivo nel mondo è: imparare ad amare. La vita ci offre migliaia di opportunità per imparare. Ogni uomo e ogni donna, in tutti i momenti della vita, ha sempre un’opportunità di affidarsi all’Amore, di consegnarsi alla 479/481 sua grazia. La vita non è un lungo giorno di festa, bensì un apprendistato senza fine. La cui lezione più importante è: imparare ad amare. Amare sempre meglio. Perché spariranno le lingue, le profezie, i paesi, la solida Confederazione Elvetica, Ginevra, la mia strada, i pali della luce, la casa in cui abito, i mobili del salotto… E scomparirà anche il mio corpo. Soltanto una cosa resterà impressa per l’eternità nell’anima dell’Universo: il mio amore. Nonostante gli errori, le scelte che hanno fatto soffrire gli altri e i momenti nei quali ho pensato che l’amore non esistesse. *** Mi allontano dalla finestra. Chiamo i bambini e mio marito. Dico che, secondo la tradizione, dobbiamo salire sul divano 480/481 davanti al caminetto e, a mezzanotte, scendere con il piede destro. “Amore, sta nevicando!” Ritorno di corsa alla finestra e guardo verso un lampione. Sta nevicando davvero! Com’è possibile che non lo abbia notato? “Possiamo uscire?” chiede uno dei bambini. “Non ancora. Prima dobbiamo salire sul divano, mangiare dodici acini d’uva e conservare i semi per avere prosperità tutto l’anno: è quello che ci hanno insegnato i nostri antenati.” Un passo con il piede destro, e poi usciremo a festeggiare. Sono certa che l’anno nuovo sarà meraviglioso. Ginevra, 30 novembre 2013 @Created by PDF to ePub