Don Enrico Giovagnoli e il circolo Nova Juventus Venanzio Gabriotti lasciò Città di Castello per Faenza nel 1907. In seguito alla perdita del padre, deceduto nell'ottobre del 1906, era caduta su di lui la responsabilità del sostentamento della mamma e delle quattro sorelle; aveva accettato quindi di buon grado l'offerta di lavoro dell'Unione Agricola Faentina, allora in cerca di un segretario. Si trasferiva serenamente in Romagna, conscio di trovarvi un ambiente permeato da quei fermenti di rinnovamento cristiano che si irradiavano anche da Città di Castello e che lo vedevano da due anni impegnato in prima persona ed in modo autorevole. Cos'era maturato in lui in quel primo scorcio del secolo? In quell'epoca feconda, l'intraprendenza e l'acume di personaggi di elevata cultura e di spiccata sensibilità stavano risvegliando la cittadina umbra da un torpore secolare. In un contesto di accanite lotte politiche e sindacali, di espansione delle attività economiche e di fiorire di iniziative culturali, una delle personalità destinate a lasciare un'impronta considerevole fu don Enrico Giovagnoli. Completati gli studi teologici al Seminario laurea all'Apollinare, Giovagnoli mostrò il fermo intento di dare pratica progetti spiccatamente innovatori maturati insieme alla nuova generazione di sacerdoti. Avvicinò quei giovani che ne condividevano sia lo slancio evangelico che la volontà di rifuggire da un cristianesimo di facciata, passivo, tradizionalista, succube della spinta incalzante delle ideologie materialiste ed attuazione anticlericali, ed ai in Venanzio Don Enrico Giovagnoli Pio Romano con Gabriotti, di soli sei anni più giovane, trovò convinzione ed entusiasmo. Nacque così tra i due uno stretto sodalizio che sfociò nell'esperienza del circolo Nova Juventus. La sua nascita, nell'estate del 1904, scosse un ambiente fino ad allora refrattario alle innovazioni. Negli ultimi anni dell'Ottocento, in difficoltà per il perdurare di una forte pressione anticlericale, la Chiesa umbra non era stata in grado di far attecchire l'Opera dai Congressi. Mancava sostanzialmente un movimento cattolico ufficiale e i gruppi giovanili costituivano una presenza del tutto formale. Mentre i vescovi sollecitavano con scarso successo l'istituzione di comitati locali dell'Opera, si delinearono le prime aggregazioni di cattolici progressisti. Ispirate ad ideali democratico-cristiani, si prefiggevano, oltre a fini spirituali, anche una decisa azione per il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti. Questi fermenti trovarono un terreno assai fertile in diverse località umbre e don Romolo Murri, fondatore del movimento, ebbe seguaci sia a Gubbio che nell'Alta Valle del Tevere. La nascita di un "gruppo democratico-cristiano" fu annunciata a Città di Castello già nel 1901: "dicesi che vi apparterranno dei giovani", rivelò il settimanale "Unione Popolare", non nascondendo la diffidenza degli ambienti della sinistra. Il promotore, don Giuseppe Mambrini, aveva appena dato alle stampe un opuscolo aspramente contestato dai socialisti, tanto da indurre il loro esponente romagnolo Francesco Bonavita a sfidare il sacerdote in un pubblico contraddittorio. All'ostilità delle forze di sinistra fece riscontro la freddezza dello stesso ambiente cattolico. Quando, nel 1904, i democratici cristiani si riunirono a congresso, vennero subito alla luce netti contrasti con i conservatori e con le autorità ecclesiastiche, avverse ad un associazionismo spiccatamente autonomo e proiettato verso l'impegno politico. In tale contesto Giovagnoli, Gabriotti e gli altri giovani tifernati che diedero vita a Nova Juventus rifuggirono da posizioni estreme, attribuendo al precipuamente circolo formativi. fini Il loro periodico "Gioventù Nova" proclamò l'intento di una ricerca della verità appassionata "Nulla e senza trascureremo pregiudizi: che miri a completare questa affannosa ricerca della verità che è il tormento di tutte I circoli di Città di Castello e Gubbio le anime moderne, non i problemi della storia custode delle verità passate, non quelli della vita sociale che cercheremo risolvere alla luce del Vangelo, fonte della Verità". Giovagnoli dichiarò la propria contrarietà al coinvolgimento diretto del circolo nella lotta politica; Nova Juventus si sarebbe certo interessata dei problemi degli operai e dei contadini, promuovendo anche iniziative per la loro elevazione spirituale e materiale, ma le scelte politiche avrebbero dovuto essere frutto della maturazione personale dei singoli aderenti. Solo rimanendo al di fuori delle bufere politiche, evitando che gli entusiasmi giovanili fossero utilizzati come "sgabello" dai vari partiti, Nova Juventus poteva sperare di formare dei giovani "nuovi", mossi da idealità cristiana, ma anche dotati di spirito critico; persone responsabili, pronte a testimoniare la loro fede sia nella vita privata che nell'adempimento degli impegni pubblici e dell'attività politica. L'intenso dinamismo del circolo fu subito coronato da lusinghieri successi. Si susseguirono incontri di studio e dibattiti, alternando l'analisi dei problemi di carattere educativo, morale e spirituale ad altri di stringente e spesso controversa attualità. In ambito religioso Nova Juventus si dedicò con particolare ardore all'Opera delle Prime Comunioni, che sorse quasi ovunque nelle campagne. Riprese vigore il ricreatorio festivo per i fanciulli e si costituirono un gruppo filodrammatico, una Schola Cantorum, animata dal giovane musicista Roberto Arcaleni, ed una fanfara. Inoltre, siccome si reputava che alla base del rigetto giovanile della religione vi fossero le precoci esperienze lavorative nelle botteghe artigiane e nelle officine, Nova Juventus tentò di offrire un'istruzione professionale in un ambiente attento anche alla formazione cristiana. Giovagnoli contribuì infatti alla fondazione della Scuola Editrice Cooperativa, una nuova tipografia promossa da alcuni operai che avevano lasciato lo Stabilimento Lapi, ed allestì un laboratorio di falegnameria nei locali del ricreatorio. In questo fervore di iniziative, il quindicinale "Gioventù Nova" diffuse con efficacia gli ideali del circolo, che già nel 1905 riuscì a costituire una prima sezione rurale, a Grumale, ed un'altra a Costacciaro, sull'Appennino umbro-marchigiano. Giovagnoli rappresentava l'anima dell'associazione, ma anche Venanzio Gabriotti vi recitava un ruolo di primissimo piano: ne fu a lungo presidente, ne arricchì la biblioteca, relazionò sugli aspetti organizzativi, concorse all'opera di divulgazione di principi e metodi, tenne conferenze per i soci. Mostrò sin dalla giovinezza una naturale predisposizione ad operare sul piano sociale e politico. Chiesero proprio a lui di illustrare i problemi più scottanti in tale campo: dopo uno "studio faticoso e profondo", mise a confronto le soluzioni della questione sociale proposte dalle ideologie liberale e socialista, soffermandosi sugli aspetti positivi e negativi dei due punti di vista e sottolineando il nuovo contributo offerto dal movimento sociale cristiano. Lungi dal suscitare plauso unanime tra i cattolici, Nova Juventus accrebbe la diffidenza dei conservatori e di vasti settori del clero, preoccupati per il successo di un circolo che, pur ufficialmente riconosciuto, si muoveva in modo autonomo ed originale e non emarginava affatto gli elementi più democratici o sospettati di "eresia modernista". Alcuni soci avevano infatti aderito alla sezione tifernate della Lega Democratica Nazionale. Era allora vescovo Aristide Golfieri, Giovani del Circolo Nova Juventus uomo anziano, mite e dedito agli studi, che non fece mistero delle sue perplessità e dichiarò di volersi "tenere alla larga" dai democratici della diocesi. Benché giungesse al punto di accusarli di aver "rinunciato al titolo di cristiani", non cedette alle pressioni dei più conservatori, smaniosi di veder reprimere o quanto meno censurare pubblicamente Nova Juventus, e si limitò ad intervenire con paterne ammonizioni ed accorati inviti alla moderazione. Alla sua morte, "Gioventù Nova" gli rese omaggio: "...ci ha sempre protetto e difeso contro chi voleva sopprimerci"; e inoltre: "...non fece attorno a sé il deserto, ma lasciò che dentro ai limiti concessi ad ognuno ciascuno svolgesse la sua attività e le sue inclinazioni". L'atteggiamento del vescovo permise quindi a Giovagnoli di riparare Nova Juventus dagli attacchi più diretti e brutali. Ma i suoi programmi innovatori in campo sociale suscitarono crescente ostilità. In effetti i giovani cattolici non nascosero le loro convinzioni democratiche: della Chiesa, scrivevano, "noi accettiamo docilmente e dogmi e morale", sottomettendoci alla sua autorità "con rispetto ed amore", ma proprio la nostra fede, ribadivano, ci pone "all'avanguardia dei riformatori sociali". Né poteva piacere ai tradizionalisti la loro fiducia nel progresso, che doveva essere accettato con entusiasmo e non con "riluttanza". Tali convinzioni approfondirono il solco tra Nova Juventus e gli avversari di fede cristiana, né costoro ammorbidirono il giudizio negativo quando anche contro il circolo si accanì la propaganda socialista, decisa ad arginarne la capacità di penetrazione tra i giovani della classe operaia e contadina. Il periodico socialista tifernate "La Rivendicazione" espresse severe e quasi irridenti critiche all'associazione di Giovagnoli: "Lo sappiamo, o poveri ragazzi più o meno chiercuti, voi non potete ricorrere a metodi sperimentali né fare indagini storiche positive per accettare la verità del passato e del presente, voi dovete andare diritti verso quello che i vecchi libri del dogma e dell'inquisizione sacerdotale hanno proclamato per vero con la vivente conferma dei vostri superiori e del papa". Per i socialisti, nemmeno i cattolici innovatori potevano liberarsi del condizionamento negativo di una dottrina che definivano un "bagaglio di roba vecchia costruita nei tempi in cui l'uomo era ancora più vicino alla scimmia di quel che oggi lo sia". Nova Juventus finì con il trovarsi in seria difficoltà nei primi mesi del 1906. Mai espresse in modo pubblico e formale, le accuse di modernismo e di insofferenza della gerarchia creavano turbamento e rallentavano considerevolmente l'azione evangelizzatrice. Gli amici di Gubbio riferirono costernati che del loro progettato circolo non se ne parlava più: "Hanno dipinto l'opera nostra come diabolica ... Hanno voluto vedere in questo progetto nientedimeno che la coda del diavolo...murrista". Il primo aprile alcuni giovani aderenti di Nova Juventus vennero aggrediti in pieno centro cittadino da un gruppo di coetanei del partito socialista. Venanzio Gabriotti, uno dei democratici cristiani coinvolti, se la cavò con una forte contusione al capo, ma un suo amico fu seriamente ferito da una coltellata al fianco. Gabriotti contestò la cronaca del settimanale "L'Alto Tevere", che parlò di un "alterco" tra giovani di opposte tendenze politiche, e sostenne di essere stato vittima di un'aggressione improvvisa e immotivata. L'esplosione di odio spinse "Gioventù Nova" ad amare riflessioni, non solo contro l'astiosa propaganda e "le insinuazioni malvagie dei nemici", ma anche contro "l'indifferenza con cui molti che sono pur amanti del bene hanno accolto l'opera nostra e lo scredito che molti compagni di fede gettano, essi che dovrebbero pur difenderci". Di lì a poco, ulteriore scoraggiamento provocò la condanna da parte della Chiesa di autori assai popolari tra i soci, come Leberthonniere e Fogazzaro. Proprio in quel periodo, inoltre, il vescovo di Nocera Umbra ritirò il riconoscimento ufficiale ad un circolo aderente al movimento di Giovagnoli e proibì la vendita di "Gioventù Nova" all'entrata delle chiese. L'avversione delle autorità ecclesiastiche indusse alcuni a prendere le distanze da Nova Juventus. Giovagnoli cercò di appianare ogni equivoco, ribadendo la sostanziale moderazione delle sue posizioni: "Non vogliamo atteggiarci a riformatori, non vogliamo essere modernisti ... non vogliamo ribellarci a nessuna autorità ... non facciamo politica ... vogliamo unicamente e solo la verità il bene e il trionfo di Cristo". Quindi lanciò una sfida al "critico di mestiere", che si adombra di tutto ciò che "è vestito a nuovo": "Lavoriamo ciascuno nella sua piccola sfera: seminiamo fiduciosi: colui che raccoglierà la messe giudicherà chi di noi due aveva ragione". Giovagnoli e i giovani collaboratori continuarono la difficile navigazione, cercando di salvaguardare ogni possibile spazio di iniziativa autonoma senza incorrere in esplicite condanne da parte delle autorità ecclesiastiche. Espressero "adesione incondizionata alle norme dettate dal Pontefice" e proclamarono la volontà di "tenersi al corrente degli errori moderni teologici e filosofici". Ma ribadirono che il dovere dell'ubbidienza riguardava solo questioni di fede e di morale, rivendicando al cattolico la libertà di compiere scelte secondo coscienza in campo sociale e politico. Così, accettarono di aderire alla Società della Gioventù Cattolica, organismo preposto ad un'azione pastorale uniforme e centralizzata, e all'Unione Popolare Italiana, l'organizzazione unitaria di tutte le associazioni, ma non persero occasione di sottolineare le aperture del cattolicesimo ufficiale verso la "sana modernità", invitandolo a superare ogni diffidenza nei loro confronti. L'insistenza di Giovagnoli nel voler condurre il circolo su un terreno di rinnovamento considerato troppo infido dai conservatori fece cadere nel vuoto le sue assicurazioni. In effetti "Gioventù Nova" non sconfessò mai i democratici cristiani, anzi continuò ad illustrarne senza remore le idee. Inoltre si spinse ad auspicare l'unione di tutti gli uomini "di buona volontà", così da raccogliere nel movimento riformatore "tutte le forze che coscientemente o incoscientemente sono animate da spirito cristiano, senza badar troppo alle loro idee politiche, ... purché siano animate dallo stesso spirito di rettitudine". A queste aperture verso gli avversari moralmente irreprensibili si accompagnava la condanna di quei credenti "che nella loro vita pratica sono pubblicamente immorali e libertini, ... che sfruttano i poveri e vivono del loro sudore, che fanno pompa ad ogni piè sospinto della loro etichetta di cattolici, mentre però la tengono come una merce guasta, a nascondere le molteplici e lacrimevoli miserie". Anche se non si potevano addurre prove convincenti di modernismo, tali coraggiose affermazioni tenevano comunque viva la diffidenza delle autorità ecclesiastiche e facevano gravare sul circolo la concreta minaccia di una sconfessione. In quell'"ora grigia" di difficoltà e di incomprensioni, i giovani di Nova Juventus confermarono la loro obbedienza alle autorità ecclesiastiche, riaffermando però di volersi porre dalla parte degli ultimi ("amiamo con gran cuore tutti i miseri, i traviati, i vinti della vita") ed offrendosi come punto di riferimento per quanti sentivano "potente l'assillo del dubbio". Le direttive esposte da Pio X nell'enciclica "Pascendi dominici gregis" parvero offrire l'attesa opportunità di dialogo. Giovagnoli dichiarò di accettare "docilmente" le disposizioni della Chiesa ed intravide ancora un'ampia possibilità di azione per la sua associazione: "Ci conforta una cosa, che l'enciclica non condanna la sana e beneintesa modernità né il progresso della scienza, ma solamente la modernità che è contraria alla fede, alla dottrina e tradizioni della Chiesa". Nonostante i problemi, quei mesi furono molto fecondi per Nova Juventus, che si diffuse in altre località umbre, nelle Marche e nella Romagna, fondando circoli anche in località lontane come Udine e Messina. Proprio all'inizio del 1907 i soci offrirono una "bicchierata d'addio" a Venanzio Gabriotti, in partenza per Faenza. L'esponente democratico cristiano era una figura ormai nota in città. Scriveva da tempo le corrispondenze locali per il "Corriere d'Italia", iniziando allora un'attività giornalistica portata avanti a lungo con passione, e si era trovato inevitabilmente coinvolto in alcune delle tante polemiche scoppiate in quell'epoca politicamente così rissosa. Ciò aveva contribuito a rafforzarne la tempra, abituandolo ad esprimere i propri convincimenti in pubblico senza tentennamenti e a rintuzzare gli attacchi degli avversari. Nell'accomiatarsi dal collaboratore che aveva condiviso tutte le sue battaglie, "Gioventù Nova" volle salutare lo "spargersi lontano" di amici: "Se ci reca dolore, ci conforta nella speranza che non è l'albero che si spoglia, ma sono i semi che si lanciano lontano dal loro stelo, per produrre nuovi fiori e nuovi frutti". L’estratto manca delle note presenti nel testo Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Città di Castello 1993).