Religioni e Società Rivista di scienze sociali della religione n. 32, settembre-dicembre 1998 I documenti Giovanna Fozzer : “L’anima per l’uomo spirituale è quasi carne”. Per un’indagine sul religioso in Cristina Campo Una lettera a MargheritaPieracci Harwell con inediti dialoghi/documenti Giovanna Fozzer "L'anima per l'uomo spirituale é quasi carne". Per un’indagine sul religioso in Cristina Campo Una lettera a Margherita Pieracci Harwell con inediti [Dopo molto silenzia, in cui avevano continuato a leggerla farse solo pochi amici e conoscitori, da qualche anno Cristina Campo, scrittrice rara di poche pagine riedita da Adelphi, sta trovando attenzione intensa e persino fama. II fatto si deve da un lato al crescente interesse che si va manifestando per la spirituale, nella accezione più vasta del termine, dall'altro al convegno di studi, aperto da Massimo Cacciari, tenutosi al Lyceum di Firenze i17-8 gennaio 1997, i cui Atti sono stati pubblicati presso 1'editore Scheiwiller nell'aprile 1998. Margherita Pieracci Harwell, italianista docente alla Illinois University di Chicago, fu per lunghi anni amica e corrispondente di Cristina, e destinataria di circa 250 bellis-sime lettere, di cui qui si citano non pochi passi. Chi scrive é lettrice di Cristina Campa dagli anni Settanta e rimedita da allora le sue tematiche, anche alla luce di scrittori spirituali come Angelus Silesius e Margherita Porete, che ha tradotta, o di Simone Wei1, che di Cristina Campo fu lettura decisiva. Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini, nacque a Bologna il 29 aprile 1923 da Guido Guerrini, che sarebbe poi divenuto direttore del Conservatorio di Firenze e quindi di Roma, e da Emilia Putti, sorella del celebre chirurgo ortopedico. Vittoria vis se a lungo con i genitori all'ospedale R1ZZoI1, circondata da piccoli handicappati e quindi mortificata dal possesso di un privilegio. Allo stesso tempo con quei piccoli si identificava, per solidarietá ma anche perché era nata con un difetto cardiaco, la cui minaccia e delimitazione con questa congiunte le furono rese note appena poté capire. Ma privilegio fu certo l'immersione infantile nel grande parco del Rizzoli, e non meno l'esenzione dall'obbligo di frequentare la scuola, che le permise d'imparare felicemente a leggere dalle fiabe. Cristina si trasferì a Firenze quando il padre vi fu nominato direttore del Conser-vatorio, e vi trascorse gli anni di guerra, funestati dalla morte della sua grandissima amica Anna Cavalletti, nel bombardamento di Firenze del 1944. Di poco successivo l'incontro - e l'amore - con il germanista Leone Traverso, che la iniziò alle grandi letterature ottocentesche europee. Fu lui a presentarla al gruppo degli scrittori fiorentini - Luzi, Macrì, Bemporad, Landolfi ed altri - di cui la Casa Editrice Cederna andava pubblicando allora le mirabili traduzioni, c111 tedesca dall'inglese dallo spagnolo dal russo, e colmava in tal moda il vuoto che si era creata in Italia con l'inasprirsi della xe-nofobia fascista, durante gli ultimi anni del regime. 101 Cristina traduce Mórike nel 1948 per le edizioni Cederna. AI periodo fiorentino appartiene la prima fase della produzione campiana,sia in versi che in prosa: le poesie di Passo d'addio (Scheiwiller 1956), ma anche i saggi di Fiaba e mistero, che apparirà solo nel 1962 da Vallecchi - quando 1'autrice risiede a Roma giá da qualche anno. A Roma si era trasferita a metà degli anni Cin-quanta, dopo la nomina del padre a direttore del Conservatorio, abitando con i genitori presso il Collegio di Musica al Foro Italico. Ai primi anni romani risale 1'incontro con Elémire Zolla, che le fu compagno nel periodo della creatività più compiuta; con lui iniziò nel 1968 la collaborazione regolare alla Rai. A Roma Cristina poco frequenta 1'am-biente letterario, e sempre meno dopo il `65, anno della scomparsa dei genitori, quando si trasferisce all'Aventino, vicino al monastero di Sant'Anselmo. Si intensifica allora la sua partecipazione alle iniziative dei grupp'i che lottano per la conservazione del grego-riano e della liturgia in latino, minacciati dalle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II. Dalla seconda metá degli anni Sessanta poesia e saggi testimoniano del fervore esclu-sivo con cui Cristina Campo persegue l'impegno di ricordare al nostro tempo quale rapporto di necessità leghi liturgia, tradizione, bellezza. I riti - affermerà nell'unica in-tervista che abbiamo di lei, del 12.4.72 su "II Tempo" - "sono [...] i veri modelli, gli ar-chetipi della poesia che é figlia della liturgia". Quando cessò a Sant'Anselmo la liturgia gregoriana, passò al Russicum di Via Merulana, attratta dal rito orientale. Ma alla* sua morte, nel gennaio 1977, le esequie si celebreranno - come dodici anni prima le esequie di ambedue i genitori - nella cripta del monastero benedettino dell'Aventino, a cui solo aveva attinto forza sotto l'assedio della Tigre Assenza. Giovanna Fozzer] Ma io non ho, davvero, che la poesia come preghiera - ma posso offrirla? E quando mai la sentirò così vera (non dico pura, ma é différente?) da poterla deporre 'a quell'altare - di cui non veda e forse non vedrò mai che i gradini come un cesto di pi-gne verdi, una conchiglia, un grappolo? Di giorno in giorno mi persuado sempre più che non ho altro rosario, altra spada, altro libro, altro rilizio che questo. E io non parto dall'amore di Dio - sto nel buio, ma vorrei fare qualche cosa che agli altri sembrasse nato alla luce... (lettera di Cristina Campo a MPH, del 24 luglio 1958) ... la poesia -presa e lasciata da me le mille volte come un capriccio, un lusso, una voluttà segreta e saltuaria alla quale si dovessero anteporre in ogni caso i "doveri'; e che in realtà era il solo dovere, quel che in religione si chiama dovere di stato o di stretto ri-gore: come lo é sempre il "talento" che ci é stato dato, sia pure piccolissimo; il quale non é un dono ma un prestito, che va trafficato, di aci ci sará chiesto conto e che, se non lo usiamo, ci sarà tolto... (lettera di Cristina Campo a MPH, del Capodanno 1970) Cara Margherita, c'é tanta distanza tra Chicago, dove tu vivi e insegni, e Firenze, e i nostri pochi col-loqui del luglio 1997 hanno piú aperto che chiuso questioni e ipotesi sulla nostra capacità di capire, della scrittrice-pensatrice Cristina Campo, aspetti ancora poco esplorati. C'é un tema della tua riflessione a cui in particolare ho cercato di accostarmi, profondo e complesso come lo sento, snodo del percorso interiore di Cristina. Ma co-me sempre, e come lei stessa insegna, la risposta é nelle cose, da attendere più che da voler definire e scoprire. Quale e come 'accettabile` il. rapporto tra la spiritualità della scrittrice, l'altezza delle sue argomentazioni su ogni tema affrontata, e la sua battaglia per una Chiesa pre-conciliare, soprattutto. la sua appassionata. (aggiungerei disperata) partecipazione all'attività dell'associazione italiana « Una voce, per la salvaguardia della liturgia latinogregoriana», che non stupisce per quest'ultima determinazione, ma per il livello o meglio il tono della piccola pubblicazione 102 «Notizie». (Su quel giornaletto avevo visto riportati, negli anni SettantaOttanta, echi di battaglie interne alla Curia romana al limite della bassezza pettegola e diffamatoria, priva di carità e d'umiltà. Tut-tavia alcuni fascicoli che posso ora esaminare per la cortesia di Piero Polito,corrispondente fiorentino cui Cristina Campo li aveva inviati, presumibilmente negli ultimi anni Sessanta, mostrano soprattutto un'appassionata documentazione della `catastrofe' li-turgica conseguente al Vaticana II, e ne contestano vigorosamente 1'antidogmatismo; particolarmente interessanti il fascicoletto Vade merrtim del cattolico di sempre di fronte alla minacciata demolizione della sua Chiesa, libera trascrizione di un opuscolo france-se raccomandato da Mons. Marcel Lefèbvre, e il n°3 di «Documenti di "Una voce"», che vede l'ombra di Lutero sulla nuova Messa, e parla ad esempio di ereticale pseudo riforma, trionfo della protervia e dell'ignoranza. Qualche citazione: "Nel nuovo ordo missae é intaccato la stesso dogma. E un arbitrio, compiuto non si sa precisamente da chi e perché; contro il sentimento della stessa Congregazione dei Riti, e della maggioranza dei vescovi. Un arbitrio ingiustificato e ingiustificabile». "Abbiamo visto, in questi anni, abolire sublimi gesti di pietà e d'adorazione, che il segretario dell'ufficio addetto alla «riforma liturgica», padre Annibale Bugnini, osò pubblicamente definire «anacronistici e fastidiosi». In cambio, si é voluto imporre un rito piazzaiolo, vocife-rante e confusionario, supremamente squallido". Anche se lo stile non é certo il suo, sentiamo qui spunti vicini al sentire di Cristina Campo, e non solo suo). Chiudo la parentesi, lunga ma credo utile, e torno al nostro colloquio. Con l'inquietudine e la perfezione di una goccia di mercurio errante, la tua parola-richiesta ha continuato a scorrere sul piano mio interiore, e la lontananza é divenuta il sale del pensare in solitudine, pur in attesa delle tue risposte: Tu conoscesti da vicino Vittoria Guerrini /Cristina Campo in diverse fasi della sua vita, io l'ho soltanto letta. Non passo non immaginare, dei suoi ultimi anni romani, una interiorità sempre più diafana e traslucida che mi rimanda sovente al perlaceo della Piccarda dantesca: sprofondata in una solitudine malata, attenta a letture, voci, musica, suono di sfere forse celesti, e preda frequente di terrena angoscia, di terrori. Prima era stato il canto gregoriano, la musica in cui poté trovare pace luminosa a S. Anselmo, dove ci pare di vederla aggirarsi assetata di parola sacra ("potrà vederlo, forse, dopo vespro per tutto l'Avvento sarà in ritiro spirituale, le donne non sono ammesse in questa parte dell'abbazia", p.118 de Gli imperdonabili), poi al Russicum di Via Merulana. In questa stessa pagina (il titolo del saggio é Il flauto e il tappeto) c'é un ritratto della vita monastica che basterebbe da solo a mostrare l'approccio autentico, forte, armonico di Cristina Campo a tali temi e situazioni. Nel suo volume di prose s'incontrano esempi di saggi i più vari, e ci si chiede anche dove la lettrice-pensatrice trovasse indicazione di certi testi tanto rari e particolari; fors'anche nei parlatori e nelle sacrestie dove le accadeva di conversare con amabilità pari alla" deferenza. Ne scelgo tre, Ratisbonne, Manzoni, la Trinitá. Non basta una lettura, di solito, per penetrare le finezze e le profondità delle pagine di Cristina, che richiedono tante fasi d'attenzione quante probabilmente furono le. sue, ed é ogni volta un'alba nuova. Nella pagina sul breve racconto della propria conversione scritto dal banchiere A.M. Ratisbonne, la lettura alata della saggista sgombra il campo da ogni possibile roz-zezza e ironia gratuita: il suo é un leggere, un ascolto, alla lettera. E nella lettera, in quella sorta di fedeltà che non vede altro che quanto é scritto, senza chiusure, senza li-miti, consiste la sua via alla verità. La verità dello spirituale sta lì, nel rispetto del per-corso interiore seguito da ognuno, il Ratisbonne in questo caso. In fondo Cristina 103 Campo applica quel suo duplice metro che è unico, la sua eleganza mondana e di scrittura è la stessa con cui legge e accetta forme del religioso che a noi poterono sembrare degne di scherno, di quelle battute tipiche dell'attardato anticlericalismo ottocentesco che tanto hanno echeggiata ad esempio alle mie orecchie, e che possono aver improntato ribellioni e rifiuti poca profondamente motivati. Eleganza mondana a intellettuale è anche una sarta di impassibilità, di compostezza, che non consente impennate e approssimazioni polemiche, e "le buone maniere sono il principio della santità", assicurava Francesco di Sales citato a p. 107 de Gli imperdonabili. Come dice Cristina stessa, a pagina 125: "Con l'uomo trasformato, si trasforma il mondo. Esso si popola di figure e di meraviglie sempre sfiorate e mai neppure supposte: tutto ciò che c'era da sempre ma solo oggi c'è veramente". Ossia, siamo noi a non vede re, è Cristina a vedere. Poco prima (p:124) la scrittrice sfiora con quelle sue parole-canto-del-destino uno dei passi della narrativa novecentesca che più sono sprofondati nella nostra memoria, o almeno nella mia, e che affiora se chiamato da intense affinità: nello Zivago di Pasternak, il ritorno a Mosca di Lara, il suo passare sotto le finestre gelate della casa nel vicolo, proprio il giorno in cui vi è esposta la salma dell'amato. Nulla pareva più romanzesco del seguito dl coincidenze che ve 1'avevano portata, ma nulla più vero di tali sequenze, nei momenti decisivi della nostra vita, come dimostra anche la vicenda di Ratisbonne (p.125). "L'odore di cose divine mette in fuga il mondo", e noi siamo nel, il mondo, se non sentiamo il divino, se non siamo aperti ad accoglierlo, senza preclusioni. Faceva parte dell'eleganza intellettuale di Cristina Campo anche occuparsi di temi e scritti che negli anni Sessanta-Settanta sarebbero parsi a moltissimi inammissibili, ridicoli, nella confusione allora dominante tra religioso e clericale. La considerazione che la saggista applicava era assolutamente netta e nata dal vero. Leggendo e rileggendo il poco da lei scritto, anche testi non entrati ne Gli imperdonabili e comunque in gran parte risalenti assai addietro, e da lei approfonditi e limati come dimostra il passaggio da Fiaba e mistero (1962} a Il flauto e il tappeto (1971), mi par di capire. che ella pensò ben presto in quasi perfetta maturità, e che le sue convinzioni religiose risalgono a lontano, all'educazione avuta in casa, oltre che ad una sua particolare inclinazione- sensibilità. Forse lesse ben presto i vangeli come lesse le fiabe, infinite volte ritornandovi, ed entrando nelle loro tematiche con un'autonomia e una naturalezza ai più di noi sconosciuta. Si riscontra, nei suoi saggi e nelle ultime poesie, una sua familiarità precisa con molti testi sacri e devoti. Beata lei, visto che in anni contigui (i Quaranta e Cinquanta, per così dire) noi incontravamo, della religione cattolica, aspetti che ci hanno poi scoraggiati per decenni a seguirla; parlo per me, ma credo di poter dire anche per molti altri. Di salute cagionevole fin da piccola, I'istruzione religiosa di Vittoria/Cristina avvenne in gran parte non in qualche scuola o convento, ma direttamente nelle letture; ella ebbe contatto con i testi in epoca in cui la "dottrina" ci veniva ammannita in forme tanto autoritarie e lantane dallo spirituale, che il resto della vita non ci basta per liberarci dalla voglia di polemizzare. Il privilegio (del dolore? della solitudine tra i libri? del dono intellettuale eccezionale?) consentì a Cristina Campo di saltare questo lunga nostro fossato e di giungere, con leggerezza, ossia ancora in modo spirituale, ad alternare meditazione e conversazione mondana, e sia pure per lo più mondano religiosa come poteva e farse può aversi soprattutto a Roma. Ne ricavo un piccolo esempio dalla tua lettera del settembre 1997: Cristina racconta di una cena, da qualche signora romana, dov'erano Heschel - ortodossissimo rabbino -, un mussulmano ortodosso e lei ed Elemire Zolla che osservavano 104 le vigilie, secondo le regole preconciliari -- e tutti insieme esclamano: "Antiecumenici di tutto il mondo unitevi! " Il commento di padre Giovanni Vannucci, a cui la cosa fu raccontata ridendo: "Loro non si rendono conto del male che possono fare-». Fu mai non-mondana la visita di Cristina a sacrestie e cardinali? Me lo chiedo, e ri-cordo la pagina d'una sua lettera che tu citi a p. 29$ della Tigre Assenza, sulle sue lettu-re, dai canoni del Concilio di Trento alla Pascendi, e in cui dice che il suo telefono squilla soltanto a chiamate di Cardinali, Vescovi, prelati, Abati e preti, "la gente meno noiosa del mondo", ben diversa dagli scrittori con cui parlava un tempo: Soprattutto tra le Badesse e le Priore dei tanti conventi che ho visitato in cerca di brandelli di gregoriano, ho trovato creature che hanno compreso quanto Platone e sul cui volto raggia una tale gioia perpetua da attirare l'anima come il miele le api, talché si vorrebbe dire ogni volta che si va da loro "Facciamo qui tre Tabernacoli.:, " Un altro passo d'altra lettera a p. 299 parla d'un suo ritorno da Roma a Firenze, re-staurata dopo l'alluvione, dove tutto le appariva meraviglioso, ad esempio una visita alla Galleria Cantipi: Qui a Roma non ho nulla di tutto questo, la conversazione fiorentina non esiste, non c'é un luogo dove si possa bere il tè come da Doney, con un amico che ti mostra una medaglia commemorativa della congiura dei Pazzi incisa dal Pollaiolo e ritrovata nelle fondamenta del ?'empio Malatestiano dove l'aveva celata Leon Battista Alberti.,. A Roma non vedo c’è 'pochissima gente "sublime» - un Arcivescovo, un. Vescovo, alcuni preti e monaci, con i quali la conversazione sarebbe fuori luogo, come tra ufficiali e soldati al fronte ...] Mi chiedo quanto potresti aggiungere tu. Margherita, con i tuoi ricordi di testimone talora diretta di questi contatti e visite. Cristina lesse con delizia (e acribia, dobbiamo aggiungere) tanti testi che per noi; fermi alla superficie del pregiudizio, alla sua non libertà, rimanevano e forse rimangono bigotti e crudeli. Lesse con attenzione,lei , calandosi - parrebbe con perfetto abbandono - nella materia che aveva davanti, diven-tando, per capirla, la cosa stessa (così si sarebbe espressa Margherita Porete). Trascrivo altri due passi della tua del settembre scorso: Avevo verso Sant'Alfonso de' Liguori (e ne avevo talora parlato a Cristina) un vec-chio risentimento, risalente alle ore d'adorazione nella chiesa di Loreto, a Belluno, dove - ero dell'Azione Cattolica - ne leggevo durante la meditazione passi di lettere scritte a certe monache, in cui come padre spirituale le metteva in guardia contro il piacere del mangiare le cattive sbobbe dei conventi, che sempre piacere era (bisognava mangiar le sbobbe con disgusto): Quando ebbe letto, lei, opere di S. Alfonso, mi disse anni dopo; "Lei non aveva capito niente ". Aveva ragione. Scrivendone ora (7/9/97), mi sono resa conto all'improvviso che il disgusto si doveva intendere anche per metafora: é facile adattarsi alla misura del mondo - ma il genio della santità é proprio nel non adattarvisi, nel vederne sempre lucidamente il limite, che non, può e non deve soddisfare il cuore umano. La grandezza dei Provenzali é l'aver dichiarato che nulla in terra può soddisfare il cuore umano. Averlo dichiarato 105 suppongo, su un terreno per così dire laico; perché, su un terreno esplicitamente religioso, non l'avevano sempre detto tutti? Vedi la formulazione di Agostino 'Il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te; ossia nell'Assoluto. Del resto, religione non é questo volere “più`e altro” non `contentarsi'? E riporre tutto l'amore in ciò che é meno che Assoluto, non é questa l'idolatria (anche per Simone Weil: fare dei ponti case)? Quindi la grandezza dei Provenzali sarebbe stata il riportare l'amore alla sua propria misura di aspettazione, incolmabile nel qui ed ora - e ne nascerebbe l'idea che secondo Denis de Rougemont é sottesa a tutta la poesia occidentale, di amore impossibile, come la disperata definizione dell'uomo in Leopardi "creatura ugualmente cupida e incapace di infinito". Già sono evidenti le radici dell'asserzione della giovanissima studentessa Margherita che legge } de' Liguori poche lettere da lui scritte alle monache; e quindi la distanza tra il tuo e 1'atteggiamento di Cristina adulta, che di lui aveva letto forse tutto, e che non si fermava alle apparenze, all'evidenza prima, ma era già oltre. Questo dico per i cammini suoi mentali, interiori, salvo tutto il suo soffrire, di malattie, di estenuazioni, di passioni, gelosia d'amore o altra che fosse. A ben riflettere, dovrebbe essere solo questo il rimpianto della nostra vita, se il rimpianto avesse senso: il tempo in cui siamo rimasti involuti da opinioni, vecchie im-pressioni che non abbiamo deposto ben presto, dopo una precisa e rapida verifica, dopo aver riflettuto, capito, ed essere andati oltre, nella libertà del continuare a pensare, a verificare, ad amare l'oggetto considerato, al di lá del pregiudizio estetico od altro. Non é anche questa una pur piccola forma di quella idolatria di cui parla la tua Simone Weil? Dovresti essere specialmente in grado di deciderlo tu, che in casa di M.me Wéil sei'vissuta,ché hai. veduto e praticato la stanza di Simone; che sei depositaria si-lenziosa di tanti dati preziosi cui ti avevano dato accesso in primis gli studi weiliani di Dwight.Harwell, condotti a contatto con casa Weil, e rimasti inediti per la scomparsa precoce di lui, cesura anche della tua vita. Le doti di visione .di Cristina Campo erano così forti da consentirle di leggere dentro la pagina, non solo la pagina; forse anche per averne bruciato molte tappe la sua vita non poté essere che breve. E probabile che il suo leggere fosse un'assai rara maestria d'attenzione: questo senza infallibilità alcuna, tanto che se Cristina ebbe libri di tutta la vita, Le mille e una notte o i vangeli ad esempio, ebbe anche libri che 1'affascinarono solo per paco, e an-che lei sbagliò sovente per precipitazione, idealizzando autore o persona nella sua mente appassionata, attribuendole quasi le proprie doti, come succede sovente alla umiltà dei forti, dei generosi. Monicelli ad esempio, di cui si parla nelle Lettere a un amico lontano? Lettrice `periodica' dei testi campiani, ho avvertito sempre che il piú segreto esse-re della scrittrice era più forte, più nobile di quanto e di quanti la circondavano, che emanava su di loro una luce che da soli non avevano, si trattasse di persone o di cose. La sua lettura quindi di Alfonso Maria de' Ligciori metteva a fuoco "il più", come lo chiamerebbe Margherita Porete. Il limite, il limitare su cui ci soffermiamo noi, non sapendo penetrare e accogliere in noi (c'é pure questo modo antitetico all'altro di prendere `alla lettera') anche affermazioni come quelle del santo, predicatore, doveva essere quasi sconosciuto a Cristina Campa, che lo valicava in quella comunione profonda con la cosa, in quello che é anche il distacco eckhartiano, il puro e amoroso intelligere, senza pre-giudizio. E questo c assai lontano dall'estetismo in cui si vuole racchiuderla«per l'eleganza della scrittura e per i suoi disdegni aristocratici ed estremi; a parte la sua disperazione quasi apocalittica riguardo al presente, che chiamerei ceronettiana. 106 Il tuo rancore per il precetto del santo, giovanile sdegno in sé generoso, privo però, come ogni polemica, di oltre, era una scelta dualistica, oppositiva non dialettica: in questa trappola (ora la chiamerei anche della cultura di sinistra) continuiamo a cadere, ma negli anni Cinquanta credo vi ci spingesse il disdegno per una proposta religiosa e una predicazione che poco o nulla ci diceva dello Spirito, del Logos, dell'Uno-Amore. Conoscere é amare, amare rispettare, senza aggredire ciò che vogliamo capire, chiudendoci in difese. E farcene sommergere e invadere, onda circolare da cui uscire salvi proprio non opponendo resistenza. Posso immaginare il disdegno con cui Cristina re-spinse il tuo rifiuto della spiritualità del Liguori solo per averne letto quell'ammoni-zione. La sua via era appunto divenire la cosa stessa, non-esserci, nel giudizio, con il proprio io. "Conduci te stesso come un uomo' che non esiste", era il precetto dell'abate Poemen (in Detti e fatti dei Padri del deserto p.157). C'é insomma una forma superiore di attenzione, per dir così, che significa essere sempre nel presente, non caricarsi vanamente fardelli-luoghi comuni anziché scaricarli, essere ogni giorno nuovi, nuova alba d'un giorno mai stato prima, tabula su cui imprimere l'apprendimento -intellezione nuova. Invece noi diamo per scontato, soffriamo di attaccamento. Se avessimo la forza del distacco, di non affezionarci a nulla che non sia divino, ovvero, che non sia verità! Tu lo chiami Assoluto, infatti. Distacco, come fede, sono anche parole campiane. L'immagine delle pesche dall'a-nima spicca, quale compare nel saggio Della fiaba (p. 33 de Gli imperdonabili) e nella seconda strofe di Diario bizantino (p. 45 de La tigre assenza) é una figurazione del concetto di fede come distacco quale lo enuncia il pensiero religioso speculativo, e "a spiccarsi il cuore dalla carne, o, se vogliamo l’anima dal cuore, é chiamato l'eroe di fiaba, poiché con un cuore legato non si entra nell'impossibile", commentava Cristina. E, ancora, distacco é perfetta attenzione: ovvero, come scriveva Simone Weil: "E unicamente a Dio che si può pensare con la pienezza dell'attenzione. Viceversa, é unicamen-te con la pienezza dell'attenzione che si può pensare a Dio. Dio é l'attenzione senza di-strazione. Bisogna imitare l'attesa e 1'umilrá di Dio"(Quaderni 3, p.217). E ancora: "L'attaccamento fabbrica illusioni, e chiunque vuole il reale deve essere distaccato" (Quaderni 2, p. 293). Cristina Campo supera il dualismo e sfocia nell'Uno per una via per così dire natu-rale di pensiero, non filosofica in senso proprio, quasi un soffio che percorre, che sol-leva e fa respirare i suoi testi rivelatori. E questa specularità unitiva ella riscontra, con un acume certo non nostro, in testi che pure ci sentiamo da sempre vicini: Con tanta eleganza Manzoni riuscì a dissimulare le segrete implicazioni simboliche dei Promessi Sposi, la loro obliqua, sfuggente costruzione tutta giuochi di specchi, ,di echi, di silenzi, tutta affermazioni per contrario e negazioni per eccesso [quanto `autobiografica' questa finissima lettura!] da persuadere veramente il mondo, durante cento anni, di avere inaugurato il romanzo realistico, moralistico; apologetico, lo studio mi-croscopico del noto "guazzabuglio, " e Dio sa che altro. Se qualcuno lo lesse diversamente, sembra che abbia taciuto. Poco sopra, nello stesso saggio (Una divagazione: del linguaggio), aveva scritto: Quale delicata allusione si può rivolgere a Don Abbondio, quale nobile iperbole, quale bella, calda forma retorica? II divino rabbuffo pastorale che il Cardinale Borromeo terrá al suo parroco é segnato dall 'inizio da quel sigillo di disperazione che é l'implacabile, minuziosa, desertica esplicitezza. 107 Con l'Innominato era bastato un accento, come una fiamma bettata su un cumulo di fascine "portentosamente stagionate", "qui, desolatamente, il Cardinale accumula sempre nuova legna nel focolare, già sapendo 'benissimo che non vi é fuoco per arderla" (pp.93-94 de Gli imperdonabili). Chi mai prima di Cristina Campo aveva esamina-to in modo tanto ravvicinato questo passo manzoniano? Non frutto, la sua meditazione, di scuole di pensiero, ma di "una sapienza tra le più strane", come aveva scritto Guido Ceronetti per l'uscita (Einaudi 1971) di Poesie amorose e teologiche di J.Donne. Ancora Ceronetti (Gli imperdonabili, p. '280) osserva, di questa lettura campiana di Cardinale-Innominato: "questo é capire saggiando, avvicinare una lampada essendo tale». E non é che un esempio tra i numerosissimi, per mostrare quella forma di pene-trante attenzione, porta aperta sull'oltre nel quale Cristina si situava naturaliter. "Due mondi - e io vengo dall'altro" é cadenza che risuona. tre volte nella prima strofa di Diario bizantino. Nella prima parte del saggio suo fondamentale, Sensi soprannaturali, é presente an-che la sua concezione del mistero della Trinità, di tanto rara comprensione (ad esempio alla domanda del figlio C.G. Juncg, il padre, pastore protestante, rispose di non averlo mai capito). E. quasi malgrado la cortina opulenta, la commozione delle sue immagini ("il corpo maciullato- di Gesù ) Cristina sembra intuire il senso profonda della circola-zione trinitaria, trovare una sua via per questa intellezione che così chiara diventa nel pensiero religioso speculativo, nell'idea echartiaina della nascita del Figlio nell'anima del giusto'in quanto giusto. In una intensa lettura degli aspetti carnale-miracolistici del passaggio del Verbo sulla terra, Cristina Campo si inoltra dove i vangeli si fermano, dopo aver accennato alla guarigione dell'emorroissa o alla resurrezione del "ragazzo putrefatto», e interpreta - di nuovo alla lettera - i miracoli, i segni, sfociando così nella sua Trinità, nella sua Terza Persona. E il suo commosso calarsi nel mistero della conce-zione di Maria (p. 235) é certamente a sua volta una via di conoscenza: e non potrá contemplare la Terza [Persona], nella tenera irrisione della sua forma di colomba, chi non si sia velato il capo dinanzi al dardo sidereo che ingravida un'adole-scente iniziata nel segreto del Tempio. É la sua strada dei sensi soprannaturali, di cui parlò con forza Massimo Cacciari in-troducendo al Lyceunl fiorentino, il 7 .gennaio 1997, le Due giornate di studio su Cristina Campo. É interessante questa via intuitiva, attraverso il sensibile, via di trasformazione del sensibile in spirituale e divino, derivata forse in leí soprattutto dalla cono-scenza dei Padri, dalla conoscenza - ossia, dall'amore - di quell'intreccio di fiabesco e di ascetico che tanto la affascinava. Ma si torna sempre al punto, alla profondità della sua lettura dei fatti e degli scritti, di cui tu, Margherita, hai detto con'tanta intensità nella relazione al convegno. Ancora una rapida folgore ceronettiana: "1'erudizione non era che il manifestarsi della sua ispirazione, il rivelarsi in lei della parola abscondita " (Gli imperdonabili, p. XV). . Vorrei dire che della perfezione Cristina volle liberarsi, sfociando (in particolare nelle ultime poesie) nel liturgico -spirituale e basta; o potremmo parlare, per lei, di `seconda' perfezione. Fu la barriera estetica - lo sapeva bene - a trattenerla a lungo su un 108 discrimine, insieme ad altre pastoie, quali {é ancora ipotesi mia} certe equivoche fascinazioni che direi stregonesche: ma c'era in lei un flessibile nastro d'acciaio, una dire-zione precisa da sempre. Sigillo di disperazione era apposto al suo destino, nella tempesta che é vivere una perenne aspirazione alla `prima` perfezione. E vi sono mari di desolazione nelle sue let-tere (ad Alessandro Spina ad esempio), per non riuscire a scrivere nella stanchezza, nella malattia; ma v'é anche un consapevole, elegante darsene pace. Sorella di perfezione, la disperazione ci riporta a Ceronetti, di Cristina affine spiri-tuale principalmente per la visione apocalittica del presente e per i disdegni profetici che cadono da altezze vertiginose nella considerazione delle cose', della loro possibile o impossibile dignità e verità. {Ricorderò qui solo il compianto per la perdita del canto gregoriano nella liturgia cattolica}. Ma anche per quel capire le cose invisibili agli altri, illuminarle di bagliori momentanei e assolutî. Il linguaggio dei due é tuttavia diverso; diremo, per brevità, meno visibilmente tragico e biblico quello di Cristina. Analoga si manifesta I'impossibilità di citare da entrambi, così densa e concatenata la loro scrittura, che ogni tentativo di proporla abbreviata é quasi solo un frantumare e miseramente ridurre. . Le affinità tra i due rari scrittori non sono riconducibili a identità, com'é naturale. A proposito di un passo della sua traduzione del salmo 57 ripreso da Cristina, Ceronetti scriveva (Gli imperdonabili, p. 281): Sapere che qualcuno é rimasto, in ginocchio, nel tempio deserto, basta a fare di quel tempio qualche cosa di più, di un triste monumento storico. Ma non riuscir mai, e se c'é troppo sforzo diminuisce la grazia, a mettere d'accordo scavo di un testo sacro e rispetto della tradizione fiorita sul suo baratro.... il commentare monotono dei santa é sovente una speciosità sovrapposta, potente e vischiosa, che sbarra angelicamente le porte del te-sto. Anche se quest'osservazione commenta un'affermazione di E. Zolla, non ci sarà difficile vederla come un'interpretazione che si discosta da quelle di Cristina Campo lettrice, pure impareggiabile, di testi devoti. Un altro esempio: per la saggista il rifiuto di "annodarsi e snodarsi - soavemente ciecamente" nella scrittura del dio é limite-per-dita di santità, per Ceronetti "la vipera che cerca di sfuggire alla voce dell'incantatore incarna [...] anche un nobile rifiuto solitario, c una riottosità che non manca di gran-dezza". Ceronetti sembra anche qui ricusare quell'abbandono alle cose, eckhartiana Gelassenheit che Cristina conosce per le sue vie, tanto affini a quelle del pensiero reli-gioso speculativo, che pure dovette aver esplorato in parte minima {anche se si sa che lesse e citó Eckhart, e se tradusse qualche distico di Angelus Silesius}. A detta di Zolla, Ceronetti fu il primo e l'unico a capire Cristina Campo ai suoi esordi di saggista - o quasi. E mi pare chiaro -- e ricordo che tu concordavi - che una affinità forte quanto rara produsse questa intellezione dell'uno per 1'altra (e viceversa, dato che Ceronetti fu tra i pochi frequentatori certi della casa di Roma). Era Ceronetti ad aver capito: ossia, un autore a sua volta assolutamente a meno da appartenenze e scuole, un autore 'unico' e isolato, traduttore speciale e in anticipo di libri a vario titolo `scandalosi', in cui affondava la spada audace e doverosamente 'arbitraria'- ovvero, autonoma. Responsabile di scelte - del suo ingegno. Non-conformismo senza coloriture politiche mi parrebbe di poter anche chiamare quello di entrambi: nella scelta delle letture, dei-temi da trattare nei saggi, da vivere interiormente. 109 Nei primi anni Sessanta, `bigotti' in politica e nel religioso - per certi nostri ricordi almeno poca attenzione della critica aveva trovato Fiaba e mistero. E ora, a vent'anni dalla scomparsa di Cristina Campo, mi pare si veda chiaramente che é stato il risveglio in atto da molti anni dell'interesse per lo spirituale e il cosiddetto `mistico' a rendere possibile la rilettura di Cristina e l'inizio di una comprensione dei suoi testi, che vada oltre gli abusati termini quali perfezione, sprezzatura e simili, ripe-tuti non di rado in una tautologia che non raggiunge e nemmeno coglie l'affondo della relazione di Cacciari al Convegno del Lyceum. Mi pare altresì che medesima origine abbia la spinta impressa da Adelphi, con la pubblicazione de Gli imperdonabili (1987) e poi de La tigre assenza (1991), entrambi da te curati: e in questo caso, l'attenzione ti-pica dell'editore per certa materia spirituale non rischia, forse malgrado lui, l'equivoco dell'estetismo, soglia senza oltre sovente sfiorata. Trascrivo ora la tua del dicembre 1997, e in appendice due delle preziose lettere a 'te di Cristina, nelle quali mi toccano in particolare alcune precise conferme a certe mie intuizioni: . Cara Giovanna, ... J Indubbiamente la morte dei genitori catalizza la `conversione' di Cristina; sulla forma che questa `conversione' assume deve aver notevolmente influito Elémire Zolla, ma. la spinta interna é, secondo me, precipitata da quella perdita. Cfr. le lettere dal 1965 in poi - specie dopo il 13 giugno, data in cui annuncia la morte del padre. Nella grande lettera sul Breviario (di cui ti accludo copia) - dopo le lunghe istruzio-ni, fioriscono illuminazioni sulla- preghiera, di altezza e bellezza `nove', in cui il `concreto dell'espressione prelude ai grandi Canti usciti su «Conoscenza religiosa» (certe espressioni e immagini di quegli Inni derivano dal breviario, per esempio). Ma a quel `concreto ' la religiosità di Cristina - anche quella in nuce ,e perfino la sua forma cava tendeva da sempre. Era ancora degli anni fiorentini il suo riportare, total-mente aderendovi, la frase di Turoldo sullo stato violento in cui doveva sopravvivere in lei priva in tutto del concreto nutrimento dell’amore sensibile e della sua sublimazione nel pane e nel vino della comunione. Altro adepto del senso, Turoldo: "Io non ho mani che mi accarezzino il volto" - o é necessariamente così quando la parola é parola poeti-ca (vedi anche John Donne)? E la ragione per cui padre Vannucci non appare incatena-to al senso é forse che la sua mai fu in senso proprio parola poetica; e forse, per la stessa ragione, neppure davvero lo fu quella di Platone? Bisogna anche notare che l'altissima pagina sulla preghiera segue alla faticosa serie di `istruzioni' per l'uso del breviario medesimo: se ne deve forse dedurre che é il premio ,fiore, di quella umiltà e di quella pazienza, magari perfino mortificazione. Un'altra riflessione s'impone anche per la lettera della Domenica in Palmis (3 apri-le) del `66: "E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate se Dio non interviene,noi le viviamo con intensità inesprimibile di chi si è innamorato di una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una passione, é parte della Grazia .Questo sentimento, che le cose amate sono condannate a sparire, aggiunge indubbiamente, per Cristina, al loro incanto -per quel suo sogno di fedeltà dolorosa che le faceva desiderare un matrimonio dove l'impegno, irrevocabile, fosse solo dalla sua parte. É un sentimento che, per le cose, sa era già espresso compiutamente nel Diano d Agosto, poi con-fluito in Parco dei cervi: "Eppure amo il mio tempo perché... " Così, più amabili sono gli "imperdonabili" perché il mondo li perseguita e dispregia. Questo era anche un tratto weiliano - vero amore é quello nel quale il senso della precarietà dell'amato non in-duce a sottrarsi; rinnegandolo, alla pena che porterà la sua perdita - altro punto di coin-cidenza tra i due spiriti, profondo, Margherita Appendice. Lettere inedite di Cristina Campo kMargherita Pieracci Harwell sabato S, Quaresima 1966 Cara Margherita, in questi giorni di Quaresima nei quali comincia a usare il Breviario, vorrei sugge-rirle di leggere ogni sera le lezioni del Mattutino, con le loro Omelie e i loro Responsori. (Queste lezioni si trovano nel Proprio, non nell'Ordinario: Feria II ad Matutinum ): Si ricordi che il Mattutino si legge di notte, quindi se è lunedì lei deve leggere quello del martedì (feria III) e cosí via: [-] Ci vuole un po' di tempo per imparare a comporre questi mosaici, a distinguere gli inni, i capitoli, le antifone per annum da quelli delle feste o dei periodi speciali. Si sbaglia, ma non si legge nulla che non sia bello sempre. Per ora, cercherei di tenermi a una lettura regolare dei Mattutini soltanto. In più, può recitare l' fficium Defunctorum che non richiede pratica perché é completo in se .stesso e;la sera. Compieta, l'ultima delle ore canoniche, immutabile per tutto Panno tranne l'Antifona della Vergine (in questo periodo: Ave Regina Coelorum) e che contie-ne tutto, assolutamente, quanto occorre per affrontare la notte [ ...]. In un'altra lettera le dirò qualcosa delle piccole ore, poi delle grandi; o questo cumu-lo di spiegazioni non servirà che a confonderla. Le unisco la Crux monastica, complemento del Breviario. Essa é giá in sé una com-pleta piccola cosmogonia e mostra con quale logica superiore sia organizzato il brevia-rio, dove si uniscono il giro del sole, il ciclo dell'anno e 1'itinerarium mentis in Deum. Senza dubbio la musica, con i suoi sette toni, vita di questa parole e stagioni, le mancherà. Cerchi sempre di recitare gli Uffizi recto tono, cioè su una sola nota (come il Sa-cerdote quando canta Dominus vobiscurn) e senza dar loro espressione alcuna. All'aste-risco nel versetto, o alla crocetta, piccola pausa. Alla fine di ogni salmo un Gloria, natu-ralmente, salvo nell'ufficio dei morti: Vorrei tanto che lei scoprisse nel breviario un segreto che solo in questi giorni mi si é fatto chiaro nella mente: come sia la preghiera a far tutto, e l'uomo non sia, come sempre, che un vaso en upoméne. É la preghiera a impadronirsi lentamente dell'uomo, non l'uomo della preghiera, é lei a bere l'uomo e dissetarsene `e solo in seconda istanza la cosa é reciproca: L'espressione: "assorbito nella preghiera" é letteralmente esatta. Il metodo, la costanza necessaria, hanno il solo scopo di produrre il vuoto che renda pos-sibile questo assorbimento. É come nella Cena: "Desiderio desideravi..." É lui per pri-mo ad aver fame di noi. É la preghiera (opus Dei) a voler essere pregata, cioè nutrita da noi. II tempo qui é variabile; come sempre la primavera alterna dolcezza e crudeltà. Io non ho giardino, ma davanti alla mia finestra, che é triplice, come un bow-window del tempo di Jane Austen, l'albero di gincobiloba é ancora nudo e secco. Anche a Sant'Anselmo c'é poco verde; solo sulle mura i rampicanti (credo rose) cominciano a germogliare. Di me non posso dirle nulla per ora. Dopo settimane che immagino figura terrena delle pene del Purgatorio, la parola si ritira di nuovo dentro il tronco, come i germogli dopo la gelata. Del resto é Quaresima. Bisogna vivere tutto il piú umilmente possibile, e dare quel. che si ha - la sofferenza in questi casi - come l'obolo della vedova: nulla e tutto allo stesso tempo.... . Cristina 111 Dom. in Palmis 1966 Cara Margherita, Stamane abbiamo portato palme e ulivi in processione per i chiostri e i giardini di S.Anselmo, e il coro dei monaci cantava le dolci antifone: "Pueri Haebreorum portantes ramos olivarum..." e "Gloria laus et honor sit tibi, Rex Xte Redemptor: cui puerile decus prompsit Hosanna pium". I monaci portavano tutti queste altissime palme, il solo abate, tutto in porpora, un ramo fiorito di rose gialle, mirto e altri, boccioli, come una verga fiorita,fortemente in quell’attimo c’erano molti bambini che senza comprendere le parole agitavano graziosamente i loro rami; anche, in silenzio, come grandi ventagli,durante la lettura del Passio. E tra quei bambini ce n'erano di storpi, bellissimi, come sempre questi bambini colpiti, e due giovinette cieche, sorridenti. Tutto era un po' un miracolo, a cominciare dall'Abate che, gravissimamente malato (ha le vene di una gamba aperte, é tutto una piaga fin sulle spalle), ha celebrato una Messa solenne di un'ora e tre quarti, dopo mezz'ora di processione, can perfezione e lentezza: maestoso, anch'egli un poco graziosamente puerile, senza lasciare un gesto o un inchino. E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate se Dio non interviene, noi le vivia-mo con l'intensità inesprimibile di chi si é innamorato di una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una passione, é parte della Grazia. Le mando questa immaginetta per il suo breviario. Il quale forse non é un libro da leggere solo di sera e nel silenzio. Credo anche sia il libro che dovrebbe crearci ovun-que, a seconda della nostra fedeltà, sera e silenzio. j... J Lei sa che casa siano le strade, verso le otto di sera, dalle parti di Piazza Fiume... Scopersi di colpo che per quelle vie molto più che infernali si poteva far qualcosa che né in albergo, né in chiesa, né in alcun altro luogo che la propria casa, si può fare: piangere. Piansi felicemente per circa mezzo chilometro, grata dal profondo del cuore che non un'anima mi gettasse un'occhiata - e a un tratto mi accorsi che stavo recitando due versetti di un Salmo: "Euntes ibant et fle-bant mittentes semina sua... Venientes autem venient cum exultatione, portantes mani-pulos suos...u. Li applicavo ai miei genitori, dei quali quella sera, sola per quelle strade, non riuscivo ad accettare il dolore ,la passione da loro patita per due anni - e a poco a poco, ripetendo quei versetti, il pianto si tramutò in soavissima forza. j...J In questo modo si può anche portare il SS. Sacramento appeso al collo in una piccola teca d'ora, come il padre MayerJ lo portava quando veniva da mio padre; e un'orrenda Volkswagen può trasformarsi per un attimo nel carro dell'Etiope che viene ricordato quando si benedice un'automobile. [.. Forse. Chicago é al di là di tutto e io non dovrei parlare. Mi perdoni. Ma leggere Rousseau per gli uffici é un masochismo che mi supera. Ed é un masochismo, tra l'altro così "antico": come leggere Renan (le do un alltra idea?). X, con le sue orrende suddivisioni e sintesi junghiane ("un po' di questo e un po' di quello, un po' di Dio e un po' di buon demonio addomesticato») suggerirebbe Boccaccio. Ma io non posso suggerire nul-la perché da un po' di tempo mi accade qualcosa di tanto strano. L'altra sera ho preso in mano i Taccuini del Dottor Cechov un libro che fino a due anni fa era la mia delizia, e dopo 10 minuti l'ho riposato. Una volgarità impalpabile, sottile, la volgarità del laico, dell'incredulo, evaporava da certe piccole osservazioni di quell'uomo per tanta versi adorabile. Cos, per rallegrarmi senza la minima ombra di noia (la volgarità é veramente di una noia desertica), ripresi una grande biografia del Curato d'Ars. Si muore di paura, a leggerla, ma di noia - oh di noia no certo. E il solito caso del Santo deformato dalla demoniaca perversità del secolo in bravo piccolo parroco di villaggio, tutto nature, igno-rante quanto basta e santamente puerile. Mentre si tratta di una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come l'uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai volare. Non mi stupisce che Simone lo amasse tanto. A proposito di Simone, le racconterò la prossima volta del convegno che si é svolto su di lei qui a Palazzo Barberini. Splendido ad eccezione di quel poverissimo Padre Perrin, del quale Mime[la madre di Simone WeilJ aveva ben ragione di diffidare. ~... J Prego molto per lei, e vorrei dirle: si rimetta a Dio ~... J, cessi se può questa ri-cerca angosciosa che, finché dura, temo -possa crearle intorno quei risucchi quei re folli che non possono non tener lontane le giuste soluzioni. Dio la vuole in attesa. Evidentemente c'é il tempo necessario all'attesa. lo come lei attendo, da dieci mesi , e non le dico le forme di questa attesa per-ché in parte le sa e in parte non sono comunicabili: Ma la cosa giusta verrà al momento giusto se non turberemo con moti scomposti il lavoro del Tessitore. Impariamo dai bambini che non conoscono il significato della parola; domani. L'ansia é il demonio, ~... J, .1l demonio che- io combatto giorno e notte. Combattiamolo insieme, e l'una per l'altra: vuole. ? Perdoni questa lettera precipitosa, dirotta e predicatoria. Cristina Notizia bibliografica 1943-45 Prime traduzioni: 1943 B.von Tórne, Conversazione con Sihcalius (1937), Monsalvato, S.Casciano VP. (Firenze) 1944 K. Mansfield, Una tazza di té e altri racconti, Frassinelli, Milano 1945 Prima poesia: "Si ripiegano í bianchi abiti estivi" (pubblicata poi in Passo d'addio) 1948 traduce E.Mórike, Poesie, Cederna, Firenze 1953 Il catalogo dell'editore Casini di Roma presenta I'indice del progetto di volume Ottanta poetesse, a cura di Vittoria Guerrini, mal realizzato 1956 Progetto della rivista, dal significativo nome weiliano, che C.Campo vorrebbe fondare: L'Attenzione 1956 Passo d'addio, ScheiwilIer, All'insegna del Pesce d'oro, Milano 1958 W.C.Williams: II fiore é il nostro segno, Scheiwiller, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1959 Il numero 39-40, Maggio-Agosto, A.VII di «Letteratura» ha una sezione dedicata a S.Weil, a cura di C.Campo 1961 Prima edizione Einaudi di William Carlos Williams: Poesie, tradotte e presentate da C. Campo e V. Sereni (1967 Seconda edizione Einaudi)r 1962 Fiaba,, e mistero, Vallecchi, Firenze 1963 La cittá di rame, traduzione di A.Spina, Introduzione di C:Campo, Seheiwiller, All'insegna del Pesce d'oro, Milano . 1963 S.Weil, Venezia salva, traduzione di C. Campo, Morcelliana, Brescia (1987 Nuova edizione, Adelphi, Milano) 1963 Mistici dell'Occidente (a cura di E. Zolla), Garzanti, Milano (C. Campo contribuisce con varie traduzioni) 1969 Appaiono su «Conoscenza religiosa», rivista diretta da E.Zolla, pubblicata tra il 1969 e il 1983 da La Nuova Italia, Firenze, le poesie di C. Campo "Missa Romana" e "La tigre assenza" 1971 Il flauto e il. tappeto, Rusconi, Milano 1971 J.Donne, Poesie amorose Poesie teologiche, Einaudi, Torino 1972 Intervista, la'sua unica, sul «Tempo» di Roma (16 aprile) 1973 Racconti di un Pellegrino russo Rusconi, Milano., Introduzione di C.Campo 1975 Detti fatti dei Padri del deserto, Rusconi, Milano, Introduzione di C.Campo 1975 C. Trungpa, Nato nel Tibet, Rusconi, Milano, Introduzione di C. Campo 1969-77 Poesie e traduzioni in «Conoscenza religiosa»; le ultime uscite poco dopo la morte 1987 Gli imperdonabili, Adelphi, Milano (prose) 1989 Lettere a un amico lontano, Sclleiwiller, Milano 1991 La Tigre Assenza, Adelphi, Milano (poesie e traduzioni di poeti) 1998 Sotto falso nome (a cura .di M. Farnetti, scritti sotto vari pseudonimi), Adelphi, Milano . 1998 Lettere a Piero Polito: L’Infinito nel finito a cura di Giovanna Fozzer,Ed Via del vento ,Pistoia GIOVANNA FOZZER