I QUADERNI DEL MUSEC
RACCOLTA DI
TESI DI PERFEZIONAMENTO
a.a. 2008/2009
La gestione strategica delle tecnologie innovative nei musei e nei servizi culturali
(Raffaella Rosa Ardito) .............................................................................................. 3
Elementi di marketing strategico per i musei di minori dimensioni (Jenny Artusi) ... 15
Forme di gestione nel settore musicale e implicazioni sui sistemi di controllo (Chiara
Maria Bieker)........................................................................................................... 26
Indicatori di performance: l’esperienza italiana ed internazionale relativa alla
individuazione ed applicazione di indicatori di performance nelle biblioteche
accademiche (Marina Contarini) ......................................................................... 39
Politiche di marchio negli istituti culturali (Paola D’Alena)..................................... 53
Da bibliotecario a manager dell’informazione: gestire il management in biblioteca
(Marta Dalla Costa)................................................................................................. 60
Gli strumenti di analisi dei costi nei progetti di catalogazione (Chiara Deiola)........ 68
Lo sviluppo dei sistemi di membership nelle istituzioni culturali (Elisa Fabeni)...... 79
La valutazione dei risultati nei sistemi museali (Alessandro Furiesi) ....................... 99
Forme di gestione per i musei degli enti locali (Giuliani Valentina)....................... 110
Sistemi culturali territoriali e network culturali (Maria Elena Lorefice)................. 126
L'analisi del pubblico quale strumento per lo sviluppo dei musei (Roberta Madoi) 135
Le politiche di pricing nelle istituzioni culturali italiane (Monica Pasqualetto)...... 148
I piani strategici economico-finanziari per la valorizzazione nelle istituzioni culturali
(Giulia Piscitelli) ................................................................................................... 155
Reti e sistemi mussali: analisi ed applicazione di tale concetto nella realtà italiana
(Laura Ravalli)....................................................................................................... 169
Le politiche di fund raising: una comparazione internazionale (Francesco Sala) ... 183
La gestione strategica delle tecnologie innovative nei musei e
nei servizi culturali (Raffaella Rosa Ardito)
1. Una scelta strategica: l’ICT
La necessità di “divulgare” la cultura, raggiungendo un pubblico, il più vasto possibile,di “non
addetti ai lavori” ha trovato nel web uno dei veicoli più adatti e convenienti. Un settore come quello
dei musei e del cultural heritage in generale dovrebbe porre particolare attenzione nel permettere
un accesso alle informazioni che soddisfi le esigenze di tutte le persone interessate, anche di
persone disabili. Il Web è nato con una concezione strettamente testuale, ma è divenuto in
pochissimo tempo spiccatamente visivo: non solo i suoi contenuti sono spesso immagini e grafica,
ma la concezione stessa delle pagine web, la disposizione dei contenuti e dei link si basano
essenzialmente sull’uso della vista.
La telematica, vista nei suoi aspetti di accesso a informazioni e risorse remote e di interattività a
distanza, è uno dei settori tecnologici considerati oggi più promettenti in relazione alla
comunicazione e ai processi di insegnamento/apprendimento. Il valore educativo delle interazioni
fra gli attori dei processi formativi, assioma della didattica partecipata, ha trovato ulteriore
fondamento negli sviluppi delle reti telematiche e si colloca nel quadro più generale dell'interesse
per la cooperazione nell'ambito delle attività di tipo intellettuale e cognitivo (come nel caso delle
esperienze di interazione tra diversi paesi). Le funzionalità di base offerte dalla telematica
(accesso a risorse, comunicazione in tempo reale e differito) possono essere utilizzate
direttamente come risorse nell'ambito di processi didattici di tipo tradizionale o possono servire a
dare vita a modelli di insegnamento/apprendimento innovativi basati sulla comunicazione.
L’offerta dei Servizi educativi non può non tener conto delle trasformazioni sociali anche nelle
modalità di apprendimento e della necessità dell’alfabetizzazione tecnologica. Insomma per
rispondere alla domanda culturale della società non si può non pensare di introdurre le tecnologie
dell'informazione e della comunicazione nel campo della fruizione culturale.
Le tecnologie ricoprono un ruolo importante nell’insegnamento delle abilità di base, ma
sicuramente l’uso di alcuni strumenti informatici può risultare fondamentale per lo sfruttamento di
ambienti di apprendimento che consentono lo sviluppo di abilità superiori. Il loro potenziale nel
conseguimento di attitudine anche “tradizionali” fa sì che in molti paesi avanguardistici i documenti
programmatici includano riferimenti specifici al settore dell’educazione pre-primaria sull’uso
creativo e frequente del computer. In tutto il sistema formativo italiano, invece, pare fatichi ad
affermarsi, una solida cultura sull’uso pedagogico delle risorse informatiche e multimediali. Le
tecnologie debbono realmente e sistematicamente essere utilizzate in modo proficuo, nella varietà
di forme e di modi in cui queste possono produrre valore aggiunto al processo culturale, ed è
anche fattore determinante affinché possa maturare negli operatori del settore una nuova
concezione del proprio ruolo. Bisogna che i professionisti della cultura comprendano la
complessità della nostra epoca, la diversa posizione che la scuola, i musei, le biblioteche
occupano nella società rispetto a vent’anni fa, la presenza di molteplici forme di accesso
all’informazione, di una pluralità di media e di forme di conoscenza, la necessità di comprendere
che i bisogni umani (anche dei più giovani) sono oggi più che mai eterogenei e diversificati. Senza
capire tutto questo chiunque si occupi di promozione culturale rischia di non ricoprire una funzione
reale nella “società dell’informazione”. Il mancato possesso delle abilità di base nell’uso delle
tecnologie informatiche rappresenta oggi una grave forma di analfabetismo che il sistema
educativo non deve tollerare per i rischi sociali pesanti del “digital divide”. Per garantire le pari
opportunità educative occorre prevedere l’inclusione delle ICT negli istituti culturali educando al
loro impiego e rendendone obbligatorio l’uso come strumenti trasversali a tutte le discipline di tutti i
gradi scolastici. Se la funzione di un servizio culturale è quella di essere un polo attrattivo e
formativo territoriale non deve trascurare il rischio del possibile gap che può formarsi tra chi ha
accesso alla tecnologia e chi invece, per ragioni legate essenzialmente ad uno svantaggio
3
economico-socio-culturale, ne resta escluso, divenendo un potenziale “analfabeta tecnologico”1.
Nella società della “formazione permanente” non si può lasciare solo all’istituzione scolastica il
compito di dotarsi ed educare ai nuovi alfabeti digitali. Questi sono gli impegni che l’Italia non deve
disattendere.
Perché le tecnologie costituiscono un uso strategico? Secondo Carotenuto “…il computer, inteso
come gioco, come sfida ludica, fornisce un prezioso apporto al formarsi dei processi logici di ordine
superiore: astrazione, categorizzazione, analisi e così via. Usare il computer è la maniera migliore
per entrare in confidenza diretta, pratica, con i processi mentali. Perché dopotutto l’elaboratore
elettronico è una macchina che simula il funzionamento del nostro cervello”2. Per fare questo chi
propone servizi culturali ha necessità di conoscere le tecnologie se vuole creare con esse prodotti
efficaci e accattivanti che non siano una semplice traslazione di un linguaggio “tradizionale” su
un’interfaccia. In molti hanno discusso sulla probabilità che la presenza del computer come
strumento didattico al museo determini un sovraccarico cognitivo (Informations Overload) e
disorientamento. È proprio la presenza di un operatore che deve caricare l’esperienza e le attività
di senso integrando la presenza informatica con la programmazione museale (per esempio
svolgere un’attività sul tema di una mostra o su un problema territoriale che emerge dalla visita).
Stabilirsi degli obiettivi da perseguire per indirizzare il visitatore a vivere un’esperienza significativa,
servendosi anche attivamente del ICT per un’esperienza di apprendimento gratificante e
motivante. Inoltre numerose ricerche hanno dimostrato che l’uso dello strumento informatico è
efficace con soggetti in situazione di handicap come strumento di lavoro, indagine, ricerca,
conoscenza anche metacognitiva3. L’utilizzo privilegiato della rete non può essere quello ricettivo,
passivo, come grande contenitore di informazioni, ma deve promuovere forme di apprendimento
costruttivo e collaborativo che si verificano nell’ambito dei gruppi virtuali. De Kerckove sostiene
che uno dei principali vantaggi offerti da una didattica che utilizzi i collegamenti on line, consiste
proprio nella possibilità di creare comunità virtuali di persone che cooperino al raggiungimento di
uno stesso obiettivo, senza vincoli spaziali o temporali e dando vita ad un processo di pensiero
collettivo che, pur essendo molto simile al processo mentale individuale, ha il grande vantaggio di
essere prodotto da una sorta di “super-mente” che scaturisce dalla partecipazione di un grande
numero di pensieri individuali. Lo scambio interpersonale,favorito e promosso in grande misura da
una didattica che privilegi la dimensione dell’apprendimento collaborativo e del peer learning del
collegamento in rete, è inoltre particolarmente adatto a motivare ad un’attenta pianificazione e
acquisizione di opportune strategie di interrogazione delle banche dati per evitare un uso
fallimentare dello strumento.
E’ noto che lo scenario attuale vede schierate due opposte tendenze di pensiero, una portata a
demonizzare gli strumenti tecnologici, allarmata per i possibili rischi derivati dal loro uso smodato
(fra loro c’è chi auspica la nascita di una cultura della salute legata all’uso del computer fisica e
mentale), l’altra contraddistinta da un forte entusiasmo per le potenzialità connesse al loro utilizzo.
A seconda delle funzioni museali, dell’utenza, delle proposte, ogni realtà può scegliere la
tecnologia che più si presta ai fini della sua promozione e della sua mission. Un bravo curatore e
direttore deve sempre tenere presente la vision e la mission della sua struttura e monitorare con
costanza personale, visitatori e fruitore di ogni servizio. Tra gli strumenti, la lavagna interattiva e
multimediale touch screen, utile anche per creare collegamenti ipertestuali con la connessione
internet (dall’anno scolastico 2008-09 la sua presenza è stata incentivata anche nelle aule
1
In realtà molti dei possessori di tecnologie si accostano a questi strumenti solo per giocare. Si rischia così
che la loro reale conoscenza dello strumento sia limitata solo alle funzioni atte a soddisfare quel bisogno e
che anche questi non abbiano una molteplice cognizione delle ICT. Eppure, per Roberto Maragliano, il
bambino è un “essere multimediale”, dunque per avviarli ai nuovi linguaggi e traslare questa innata capacità
sul piano formativo basterebbe che istituzioni scolastiche e culturali li educassero ad un uso
consapevolmente e nel rispetto delle sue potenzialità.
2
Cfr. A. Carotenuto, Apprendere la telematica resti un gioco e una scoperta, in “Telema”, 24, 2001.
3
Fra gli studi sul tema, si rimanda a L. Giacco, C. Ricci, Computer e Handicap: una ricerca-intervento, in C.
Ricci, G. Tiberti, R. Panciotti, Handicap e Scuola. Dal sostegno all’allievo al sostegno alla classe; C. Ricci,
Didattica sostenuta da computer nell’insegnamento all’allievo con handicap psicofisico, in “HD Giornale
Italiano di Psicologia e Pedagogia dell’Handicap e delle Disabilità di Apprendimento”, vol. 78, 1995.
4
scolastiche)4, può sicuramente rivelarsi utile per musei con spazi e svariate proposte per utenti di
età scolare. L'ipertesto, poi, permette al lettore di organizzare l'informazione (visite a musei,
osservazioni o documenti su monumenti, quartieri,…) seguendo i percorsi personali di lettura, a
seconda dei propri scopi e interessi, senza ritrovarsi con un cammino obbligato da seguire: si tratta
di un testo nel testo, come una nuova forma di libro a struttura non sequenziale. Impegnare lo
studente nella produzione di suoi propri ipertesti e ipermedia, nell'ipotesi che le attività richieste per
fare ciò possano aiutarlo a sviluppare capacità di analisi ed organizzazione della conoscenza; e
nell'ipotesi che il computer possa fornire, per la concretezza di cui dicevamo e per l'utilizzabilità di
ciò che si realizza, un contesto ed una motivazione convincenti allo svolgimento di tali attività. Oltre
a esercitare l’uso di software applicativi generali come word processor, data base, editor grafici,
ambienti ipertestuali e strumenti di comunicazione a distanza, gli ipertesti hanno il vantaggio di
potersi inserire in percorsi d'apprendimento sugli argomenti più vari e attraverso l’utilizzo delle
diverse tipologie di fonti. La tecnologia ci permette di produrre e di verificare il prodotto, di
usufruirne continuamente senza usurarlo, di adeguarlo e aggiornarlo: sono queste le grandi
conquiste e i grandi vantaggi dello strumento che consente il passaggio dall'istruzione
programmata alla navigazione della conoscenza. L'ipertesto, un concetto di estrema semplicità, ha
avuto un impatto molto forte nel campo dell'educazione e delle tecnologie didattiche perché la sua
logica prevede che sia l’utente a costruire il percorso, a scegliere dove andare, cosa approfondire,
dove ritornare. Più che di un percorso sulla rete si dovrebbe parlare di una rete di risorse. Lo
svantaggio? La logica puramente ipertestuale ha il limite di lasciare abbandonato a se stesso chi
non ha maturità sufficiente, conoscenze disciplinari e metacapacità cognitive sufficienti per
costruirsi una adeguata struttura concettuale nel corso del processo di navigazione (Frau, Midoro e
Pedemonte, 1992), oltre al rischio di controllare scarsamente le fonti delle informazioni.
La tecnologia informatica come mezzo di produzione in mano agli studenti mostra un approccio
all'impiego del computer centrato sulla figura dello studente "autore-produttore" e quale fruitore di
software preconfezionati per l'apprendimento. Le potenzialità dell'elaboratore consentono di
produrre, costruire attraverso le fasi di selezione del tema e delle informazioni, di ideazione,
progettazione, realizzazione e verifica dei contenuti. L'idea ci rimanda alla teoria di Dewey, per
esempio, che ruota intorno all'ipotesi di un apprendimento integrato con il "fare" o del progetto di
scuola come "sistema di laboratori" sviluppata e sperimentata da De Bartolomeis negli anni '70.
I modelli innovativi per l'insegnamento e l'apprendimento possono portare a interessanti risvolti
come quello dei Learning Circles realizzati e sperimentati sull'AT&T Learning Network. Il modello
prevede la creazione di circoli di apprendimento (learning circles) tra musei o tra club di suoi
visitatori (reali o virtuali) attraverso la costruzione di un database condiviso da più utenti, come
mezzo di comunicazione con possibilità di commentare, importare, esportare e notificare; e infine
come strumento di costruzione collaborativa di documenti e quindi di conoscenza attraverso azioni
quali l'affissione di messaggi collegati gerarchicamente e la funzione di coauthoring. Situated
learning (Brown, Collins e Duguid, 1989) si riferisce ad una concezione della conoscenza che
diventa intrinsecamente collegata all'ambiente seguendo la teoria che l'apprendimento dovrebbe
aver luogo in situazioni realistiche o quanto più possibile prossimo ad un contesto reale. il museo,
al contrario dell'insegnamento scolastico tradizionale si inserisce molto di più nella cultura oggetto
dell'insegnamento: questo molto spesso avvia buone collaborazioni tra le due realtà che
rappresentano un momento di formazione e sperimentazione per il servizio culturale stesso.
Idee, progetti e risultati emergenti dalla costruzione di modelli specialistici di fruizione per i beni
culturali sono la vera strategia da adottare per potenziare il settore: occorre
che la documentazione sia reperibile anche in forma digitale, l’accessibilità ai beni culturali sia
anche fruibile con la realtà virtuale (ora limitatamente potenziata o realizzata ricalcando i linguaggi,
la grafica e l’impaginazione “statica” del museo “tradizionale”), e ammodernare le tecniche di
allestimento per i musei (Image Retrieval, Intelligenza Artificiale e Musei).
La Comunità Europea dà impulso a progetti per la definizione delle interconnessioni culturali tra
scenari archeologici europei dislocati, realizzando una rete di complementarietà virtuale, attraverso
4
Alcune esperienze di uso di tecnologie, anche in ambiente scolastico, nei processi formativi e culturali in
http://www.itabc.cnr.it/f_tutto.htm
5
progetti come NetConnect. Proprio per consegnare una panoramica d’insieme del patrimonio
archeologico della Magna Grecia distribuito negli istituti culturali della regione, oltre che per
accordare visibilità a quei beni, in Calabria si è realizzato un “Sistema Museale Virtuale”. Il progetto
nasce nell'ambito dei Programma Operativo Regionale (POR) 2000-20065. Mediante il sistema
QuickTime Virtual Reality (QTVR) sono stati realizzati moduli di visita virtuale dei musei e dei
parchi che consentono di esplorare i diversi ambienti da una posizione fissa con un angolo visuale
di 360°. L’attività di ricostruzione e modellazione tridimensionale di edifici e reperti dell'archeologia
utilizzando software di grafica 3D (con il quale si è anche provveduto alla modellazione e
animazione di maschere teatrali dell'antica Grecia, sempre per consentire all'utente uno specifico
livello di immersione e interazione), Sistemi Informativi Geografici e Web Semantico, costituisce il
valore aggiunto della fruizione on line sul quale puntare per suscitare l’interesse e la curiosità del
pubblico nei confronti delle radici culturali di un territorio. Se poi la documentazione reperibile
all'interno di un sito è associata a precise collocazioni sul territorio, si permette all'utente un
approccio innovativo all'informazione basato su un accesso di tipo geografico. L'accesso
geografico fa sì che l'utente navighi attraverso una serie di mappe tematiche del territorio
regionale, caratterizzate da un livello di dettaglio crescente, fino ad ottenere l'informazione
desiderata. La possibilità, attraverso l’interfaccia amministrativa, di aggiornamento costante del sito
da parte degli esperti migliora la qualità erogata del servizio. Ma la ricostruzione digitale della
texture e dei materiali originali che rende possibile la creazione 3D di un modello da utilizzare sia
per un eventuale restauro digitale che per la fruizione da parte di un vasto pubblico è un grande
vantaggio.
Inoltre consente la realizzazione di quei calchi che tangibilmente rendono possibile effettuare visita
significativa anche per i non vedenti, come dimostrano le esperienze del museo tattile di Ancona e
il progetto Omero di Bari, entrambe raccontate in questo lavoro6.
Il "restauro digitale" è una linea di ricerca che prevede una serie di elaborazioni e manipolazioni di
immagini digitali di un'opera d'arte effettuate al calcolatore. Si tratta pertanto di una metodologia
non invasiva eseguita mediante programmi di fotoritocco e di grafica 3D (e.g., Google SketchUp,
3D Studio Max, Autocad e Photoshop) che diviene fondamentale nei casi in cui non risulti possibile
eseguire l'intervento reale, per mancanza di tecniche valide o di fondi economici, oppure per
carenza di documentazioni, fatto che non consente di stabilire un preciso protocollo di intervento.
Prima l'esecuzione di rilievi fotografici , poi il restauro digitale che non significa agire nella più
totale libertà ma rispettando gli stessi principi della riconoscibilità (intervento di sostituzione o di
integrazione), della reversibilità (possibilità di rimuovere materiali e interventi del restauro stesso) e
del minimo intervento validi per le operazioni del restauro reale. Il restauro virtuale consente di
conquistare la conoscenza sensorialmente, di osservare le fasi di recupero di un bene, di vederne
con attenzione il prima, il durante e il dopo e forse di attribuirgli quel segno valoriale che nella sola
visione di un reperto può non percepire. Se poi un buon didatta riesce a guidare il ragazzo alla
scoperta e all’ascolto di quello che “l’oggetto ha da raccontargli” il visitatore imparerà ad
interrogarsi sulla valenza dei ritrovamenti, ad interpretare i fatti, a indagare sulla funzione del
reperto. Il restauro digitale si propone anche come strumento di divulgazione in quanto lavorare in
ambiente informatico determina la possibilità di strutturare in maniera multimediale il materiale
relativo al restauro dell'opera digitale supportato da commenti e filmati. A lavori ultimati si potrebbe
proporre la presentazione dei manufatti digitalmente restaurati mediante rappresentazione
stereoscopica, ossia con l’utilizzo di apposite lenti che danno la percezione di tridimensionalità e la
sensazione
di
interazione
con
l'oggetto
che
sta
osservando.
Grazie al Cultural Heritage e agli sviluppi tecnologici degli ultimi anni è possibile avvalersi di
strumenti dediti alla condivisione della conoscenza e alla visualizzazione grafica su tutti i display, e
quindi si può preservare le bellezze offerte dal patrimonio culturale che ci circonda e di renderle
disponibili alla moltitudine di utilizzatori attraverso la costituzione di una piattaforma che vuole
ospitare una community dedita alle arti della visualizzazione grafica su temi inerenti il patrimonio
culturale. L'idea progettuale consiste nel creare una Web Based Community relativa al Cultural
5
La realizzazione del progetto è stata possibile grazie all’Evolutionary Systems Group (ESG), un gruppo di
ricerca interdisciplinare attento ai temi dell’ICT nel campo museale.
6
Per approfondire le tematiche si rimanda anche agli studi compiuti nella Facoltà di Architettura di Ferrara.
6
Heritage. Ricostruzioni grafiche di reperti storici, ambienti virtuali e la possibilità di poterci navigare
offrono l'opportunità ai futuri utilizzatori di acquisire informazioni, video e audio, dalle proprie
postazioni e rappresentano quindi un ottimo strumento non solo di ricerca scientifica quanto di
promozione territoriale.
Abbiamo detto che la tecnologia porta più visitatori al museo, ma la vera rivoluzione che esse
devono essere in grado di compiere è quella di aiutare nella comprensione dei valori tramandabili
del museo, dei beni contenuti, delle iniziative, altrimenti si corre il rischio di trasformare la visita al
museo in uno status symbol, piuttosto che in un’esperienza formativa. Oppure resterà solo una
partecipazione appannaggio di pochi cultori o addetti a i lavori. È necessario che il museo sappia
parlare, attraverso le sue professionalità (allestitori, curatori, operatori educativi,…) il linguaggio del
visitatore senza banalizzare, ma consentendo un graduale approccio a temi, problematiche,
processi,
innovazioni
del
settore.
2. I servizi culturali
Il museo nasce originariamente come uno spazio fisico, ma con la rivoluzione francese si avvia
il processo di pubblicizzazione delle raccolte a vantaggio della diffusione della cultura e
nell’Ottocento le scuole e le accademie iniziano a concepirne anche un uso didattico7.
I servizi culturali rappresentano una risorsa educativa inesauribile da utilizzare sistematicamente
nell'insegnamento e nei processi formativi tout court. Essi trasmettono valori socialmente e
culturalmente importanti quali l’autenticità e la tangibilità dei documenti e dei reperti conservati, la
polifunzionalità dei linguaggi espositivi e comunicativi, la complessità del processo di
apprendimento e dell’attività di ricerca. L’ICOM, organizzazione internazionale dei musei e degli
operatori museali, nel suo Statuto definisce il museo “un'istituzione permanente, senza fini di lucro,
aperta al pubblico, al servizio della società e del suo sviluppo, che compie ricerche, acquisisce,
conserva e, soprattutto, espone le testimonianze dell'umanità e del suo ambiente a fini di studio,
educazione e diletto”. La didattica nei servizi culturali, affidata a esperti, può divenire uno
strumento capace di valorizzare un bene e renderlo accessibile e comprensibile al fruitore.
Le prime esperienze di didattica nei musei in Italia si registrano negli anni Cinquanta e Sessanta.
Ma già nel 1945 la direttrice della Galleria d'Arte Moderna di Roma, Palma Bucarelli, definisce il
museo come un centro produttore di cultura in funzione soprattutto educativa, come "parte
costitutiva ed integrante del sistema dell'informazione e della cultura di massa". Tra le esperienze
più significative8 nel settore didattico quella della Pinacoteca di Brera che, grazie alle scelte
avanguardistiche della direttrice, Fernanda Wittgens, promuove ricerche per approfondire le
modalità di apprendimento dei bambini che si imbattono in un’opera d’arte, visite guidate gratuite la
domenica mattina, corsi di educazione artistica presso centri culturali e biblioteche rionali. Tutto
questo per avvicinare tutta la cittadinanza alla cultura9. Una scelta strategica che ha evidenziato
questa
particolare
attinenza
agli
occhi
delle
altre
realtà
culturali.
Sin dalle prime sperimentazioni, la didattica nei musei ha una capacità attrattiva: il suo carattere
7
Si parte dall’assioma che l’azione congiunta di scuola e museo fin dai primi anni dell'età scolare, quando
l'individuo è più ricettivo e disponibile ad acquisire nuovi valori come l’abitudine a frequentare musei,
biblioteche favorendo l’acquisizione di costumi culturali. Già con l'Unità d'Italia si manifesta l'esigenza di
rendere partecipi tutti i cittadini alla cultura nazionale, dedicando particolare attenzione anche alla
costituzione presso le istituzioni scolastiche di "raccolte" e di veri e propri musei scolastici e sollecitando le
istituzioni scolastiche ad effettuare periodici "viaggi e visite d'istruzione".
8
Da citare anche l’esperienza de La Galleria Borghese di Roma che, negli anni '60, si avvale di un'équipe di
ricerca interdisciplinare per sperimentare la capacità attrattiva del museo nei confronti del grande pubblico,
tema dibattuto anche nel convegno coevo “Il museo come esperienza sociale”. Attraverso appositi strumenti
di indagine gli operatori museali si informano circa gli interessi e i bisogni di cultura soprattutto dei soggetti
socialmente e culturalmente deboli. Si propongono, pertanto, itinerari di visita flessibili per ottimizzare
quantità e qualità dell'apprendimento e risolvere i problemi dell'approccio al museo da parte degli alunni delle
scuole dell'obbligo, che per molti cittadini rappresentavano ancora l’ultima occasione formativa (stessi filoni
di ricerca e stesse finalità interessano la sezione didattica del Poldi Pezzoli, istituita nel 1973).
9
Negli anni Sessanta la Circolare della Pubblica Istruzione (C.M. 128/1970 del Ministero P.I.) istituisce
un’apposita Sezione Didattica presso la Galleria degli Uffizi.
7
interdisciplinare e la finalità sociale, pensiamo allo sforzo di accostare al mondo dei musei il
grande pubblico, incluso quello popoloso delle immigrazioni interne al Paese10.
Nonostante tutto molte sezioni didattiche sono, per risorse e personale, inesistenti o marginali nei
servizi culturali. Si ritiene che le competenze artistiche possano sopperire a quelle didattiche. O
molti sono vittima di un fraintendimento che vuole la didattica come una disciplina centrata sulla
promozione di attività per scolaresche. La didattica, in realtà, deve essere lo strumento del quale
disporre per favorire fruizione e comprensione a tutti i visitatori, non restando relegata o fine a se
stessa, ma giovando a tutto il sistema.
Ho scelto di non usare il termine “didattica museale” perché risulta a volte limitativo e ghettizzante:
le competenze didattiche, valide per se stesse, vengono messe al servizio del mondo culturale tout
court (se il problema dei servizi culturali, come mostrano i dati e le indagini di percezione, è quello
di un analfabetismo culturale a fronte di un incremento dei suoi fruitori). Ecco perché trovo più
corretto parlare di didattica a servizio dei musei o nei musei.
Anche quando si parla di “tecnologie per la didattica” o “tecnologie didattiche” bisogna fare
attenzione perché i due termini non si equivalgono. Il primo si riferisce a quelle tecnologie utilizzate
o utilizzabili nella didattica e ha una connotazione prevalentemente tecnologica, mentre il secondo
identifica un settore interdisciplinare centrato sui processi didattici.
La telematica, vista nei suoi aspetti di accesso a informazioni e risorse remote e di interattività a
distanza, viene considerata oggi uno dei settori tecnologici potenzialmente più rilevanti in relazione
ai processi di apprendimento.
Molte sono le realtà che svolgono attività di ricerca, come l’ITABC e ’Istituto Tecnologie Didattiche,
per la valorizzazione e il trasferimento tecnologico e di formazione nel campo della conoscenza,
conservazione, fruizione del patrimonio archeologico e, più in generale, storico.
3. Alcuni esempi
Nel 1994 nello spazio espositivo delle sale di palazzo Ruspoli viene presentata la mostra intitolata
“Nefertari: Luce d’Egitto”. Accanto alla visita reale viene si propone la ricostruzione virtuale della
tomba di Nefertari: indossando un paio di occhiali speciali se ne visitano gli ambienti, appena
restaurati, come se ci si trovasse al suo interno. Le nuove tecnologie digitali rappresentano il plus
valore di quella mostra anche grazie all’eccezionale e apprezzato realismo nel campo graficovisivo e tridimensionale. Questa volta la capacità di sovrapporre i due livelli spazio-temporali
(presente/passato) non sono affidati alla capacità immaginativa ma a una ricostruzione che, tra gli
altri vantaggi, è capace di salvaguardare dai danneggiamenti derivanti dall’esposizione al pubblico
e alla luce il bene artistico11. Le tecnologie sono state il linguaggio con cui leggere tutta la mostra,
dalle luci all’allestimento, che non affida la comunicazione esclusivamente all’immagine e
all’ascolto, ma la accompagna all’immersione sensoriale. Il risultato? Un’esperienza vincente per
tutti, in termini qualitativi e quantitativi. Una valutazione strategica (anche se costata per i tempi)
che non è riuscita a incidere modificando subito e radicalmente le modalità comunicative museali,
nonostante le prestazioni dei sistemi e dei processori siano via via sempre migliorate. Eppure si
era ritenuto che l’utilizzo delle nuove tecnologie all’interno dei beni culturali potesse finalmente
consentire “una diffusione intelligente ma di massa del patrimonio artistico”.
Gran parte dei finanziamenti per la ricerca in campo culturale è destinata alla technology driver.
Per Antinucci molti di questi finanziamenti non sono efficaci per il settore, poiché “finanziano
l’applicazione e l’avanzamento della tecnologia di per sé”. Molte ricerche usano, dunque, la
“tecnologia come fine e non come mezzo”, con il risultato di non “ripristinare il circuito tra le opere
e i fruitori”12. A dimostrarlo, i pochi finanziamenti nel settore della fruizione, quello che in realtà
(secondo i monitoraggi all’uscita dei musei) resta il vero problema sei servizi culturali italiani. I
10
Per modelli operativi, limitatamente agli insegnanti della scuola primaria che vogliono intraprendere
un’esperienza didattica in un museo, si rimanda, tra gli altri, a P. De Socio, C. Piva, (a cura di) Il Museo
come scuola. Didattica e patrimonio culturale, Carocci, Milano 2005. Il testo propone attività corredate da
materiale on line scaricabile dal sito di riferimento e presenta il museo come luogo (non solo fisico) capace di
fornire risorse “trasversali”, culturali ed educative.
11
F. Antinucci, Musei virtuali, Ed. Laterza, Roma Bari 2007.
12
F. Antinucci, Musei virtuali, Laterza, Roma-Bari 2007, pp.51-53.
8
visitatori dei musei sono aumentati, ma la maggior parte affolla solo i “soliti” poli e non acquisisce
conoscenza. Cosa spinga molti di loro alla visita? Il brand name. Non ne deriva la crescita sociale,
che è motore di quella crescita culturale che innesca il ciclo virtuoso di presenze, sensibilizzazione
al bene, partecipazione attiva, fundracing,…
Lo sviluppo di piattaforme digitali e tecnologie innovative per la valorizzazione e fruizione del
patrimonio culturale, l’applicazione di metodologie per la digitalizzazione del patrimonio e delle
attività culturali, la progettazione e l’allestimento di porte di accesso tematiche (Virtual Heritage
Centers) in questi anni hanno inseguito l’obiettivo di attirare frequentatori e turisti e sperimentare
l’applicazione dell’innovazione con successo valorizzandole e tutelandole. Con i nuovi sistemi
mesh e siti ben costruiti si vuole fornire assistenza al turista nell’organizzazione e sviluppo
dell’itinerario di visita, offrendo strumenti di narrazione comprensione dei luoghi e delle opere
culturali. La digitalizzazione rappresenta anche una grande possibilità di rivalutazione dei depositi
e dei magazzini di musei o collezioni attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie che possano
comunque consentirne la fruizione, per esempio su sito, di opere evitandone problemi di trasporto
e sicurezza. Inoltre trova soluzione anche un altro nodo problematico irrisolto, quello della
ricezione di parte dell’enorme patrimonio artistico non accessibile al pubblico13.
La galleria d'arte moderna di Piacenza, fra le prime ad essere visitabile in rete, ha conosciuto un
notevole incremento delle visite in loco proprio a seguito dell’esperienza virtuale, dimostrando
come il web non surroghi il reale bensì si presenti come una vetrina privilegiata dalla visibilità
globale. Il problema da risolvere definitivamente è legato, come per la produzione editoriale on
line, all’annosa gestione dei diritti d'autore. Altra complicazione è la comprensione del linguaggio
tecnologico: il museo virtuale non può proporsi come uno reale, ma deve adeguare i suoi
linguaggi, modificare obiettivi e proposte, affinché il suo sforzo sia ripagato, anche in termini
finanziari.
I Servizi Educativi del “Museo Tattile Statale Omero” di Ancona concorrono al raggiungimento delle
finalità del Museo attraverso distinti percorsi didattici e formativi (tra cui laboratori ali, linguistici, di
educazione artistica) rivolti alle scuole di ogni ordine e grado e alle persone non vedenti e ipovedenti che favoriscono un approccio plurisensoriale (trasformando tutti i sensi in canali di
conoscenza e percezione, anche estetica). Molti dei servizi sono rivolti anche alle persone adulte
non vedenti al fine di promuovere la formazione permanente e di assicurare pari opportunità di
crescita culturale e di integrazione sociale14. Copie delle più celebri sculture di tutti i tempi sono
percepite anche attraverso il tatto. Le attività, che consentono anche ai vedenti di conoscere un
nuovo e più completo campo percettivo, hanno trasformato questo museo in un punto di
riferimento internazionale nell'educazione estetica per i non vedenti e uno spazio innovativo per
tutti coloro che desiderano sperimentare la conoscenza delle opere d'arte attraverso il tatto. La
cultura non può emarginare, e per definizione deve restare, nei limiti del possibile, inclusiva.
Un esperimento simile è stato sviluppato anche per la fruizione del castello Svevo di Bari,
permettendo di raggiungere risultati antropici prima che formativi. Il progetto ha consentito ai non
vedenti un'esplorazione assistita, tattile e uditiva di modelli digitali tridimensionali, "toccando"
oggetti virtuali con un dispositivo speciale (interfaccia aptica), la quale restituisce sulla mano
dell'utente le stesse forze che avvertirebbe se l'interazione avvenisse nella realtà: i non vedenti
hanno appreso prima virtualmente a orientarsi nel castello e poi ne hanno fatto esperienza reale.
Da qualche tempo ci si è anche posto il problema di come rendere le applicazioni Web “accessibili”
(cioè usabili in qualche modo) a persone non-vedenti15. Il Politecnico di Milano (Laboratorio HOC
13
È sorto un esperimento denominato museo dell'invisibile e dell'invisitabile che nel '94 ha creato un primo
nucleo di galleria virtuale navigabile attraverso l'uso di internet e contenente tutte le opere immagazzinate
negli scantinati di una ricca raccolta. Tornando alle opere non facilmente fruibili si può pensare a tutti quegli
affreschi ed opere d'arte chiuse in edifici ed in palazzi storici non aperti al pubblico perché privati o sedi di
fondazioni, di ministeri, di uffici del governo, per finire alle opere d'arte esposte all'interno di uffici pubblici.
14
www.museoomero.it/.
15
In Italia è entrata in vigore la legge n. 4/2004 “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli
strumenti informatici”, la quale impegna tutte le pubbliche amministrazioni che forniscono servizi telematici a
renderli accessibili a persone disabili. “Web accessibility” resta un problema, perché un sito è di fatto
9
del Dipartimento di Elettronica e Informazione), con il determinante contributo del TEC-Lab
(Università della Svizzera Italiana), ha sviluppato una metodologia di progettazione innovativa
basata su un approccio linguistico al Web, denominato WED (WEb as Dialogue). Questo
approccio descrive l’accesso al Web utilizzando la metafora di un dialogo tra l’utente e il sito:
l’utente partecipa al dialogo (turno conversazionale) selezionando il bottone su cui cliccare; la
macchina partecipa offrendo contenuti (in risposta alle precedenti richieste dell’utente) e nuove
possibilità conversazionali (proposte di links che il sito offre e che l’utente può selezionare).
Una delle prime applicazioni concrete riguarda il Museo di Stato di Berlino, che ha adottato WED
per la realizzazione del sito della mostra su Edvard Munch, disponibile all’indirizzo
www.munchundberlin.org, dove è anche possibile trovare una sezione con tutte le informazioni su
come poter scaricare, installare e utilizzare lo screen-reader.
Le opinioni di persone non vedenti che hanno utilizzato il sito di Munch sono incoraggianti e ci
convincono che le soluzioni trovate possano davvero migliorarne l’interazione e la fruibilità. È
importante promuovere iniziative e incontri trasversali, in cui tutte le professionalità dell’ambito
culturale (operatori museali, ricercatori universitari, operatori privati e neolaureati) possano
confrontarsi e interagire. Non è fantastoria, ma l’unico modo possibile per mettere in contatto i
contenuti e le tecniche e le diverse conoscenze, per concorrere ad un reale e maturo progresso
culturale e sociale.
Il “Museums and the Web”, organizzato ogni anno in una differente città americana, riscontra la
situazione tecnologica dei musei nordamericani ed europei. Il web culturale si stia avviando ad una
fase di maturità, in cui i risultati educativi e comunicativi contano quanto, e forse più, delle
tecnologie impiegate per raggiungerli. Ormai molti musei investono notevoli risorse nel proprio sito
(alcuni realizzando i moderni linguaggi per la realizzazione di pagine web XHTML e i CSS),
considerato un ambito importante della propria comunicazione, e, i musei più grandi, esso si
autofinanzia grazie alle vendite e alle membership online. Di grande attualità, negli ultimissimi anni,
le sperimentazioni sui palmari, che possono rappresentare una evoluzione multimediale
dell’audioguida. Essa infatti permette al visitatore di ricevere sul proprio palmare testi e filmati
interattivi riguardanti l’opera che ha di fronte, e al museo di tracciare i comportamenti dei singoli
visitatori ricavandone dati preziosi per capire meglio la propria utenza e adottare scelte più
strategiche. A differenza di altre tecnologie, però, il palmare resta ancora uno strumento troppo
costoso e con problematiche da risolvere (legate alla scarsa autonomia delle batterie, per
esempio), anche se il rapido tasso di evoluzione della tecnologia fa sperare in applicazioni
disponibili in tempi recenti.
I curatori museali e bibliotecari ormai abituati a lavorare con i metadati, che servono per
classificare le opere, oggi guardano con molta attenzione al web semantico e all’utilizzo di
linguaggi come XML per la classificazione dei contenuti. Il “National Museum of Australia” ha
investito e ricercato molto sull’uso dei database delle collezioni per scopi educativi/culturali.
Se alcuni musei vedono nel podcasting, la pratica di mettere online dei file audio che i visitatori
possono scaricare e ascoltarsi nei propri lettori MP3 (come l’Ipod della Apple o lo Zen della
Creative), un potenziale concorrente delle proprie audioguide a pagamento, altri, più lungimiranti,
hanno cominciato a sperimentare le potenzialità del nuovo mezzo di comunicazione e
informazione. La rivista scientifica “Nature” da ottobre 2005 ha promosso un podcasting
settimanale, ovviamente scaricabili, per il grande pubblico che approfondisce le tematiche
scientifiche trattate nella rivista cartacea. In campo artistico uno dei primi esempi è rappresentato
dal San Francisco Museum Of Modern Art che ha lanciato gli Artcast, principalmente pubblicando
interviste ad artisti e critici, per stimolare i visitatori ad approfondire i pezzi esposti ascoltando in
galleria questi podcast culturali o
scaricando i file sul proprio MP3 player. Per promuovere la visita, l’utilizzo delle tecnologie e
“forgiare” una nuova figura di visitatore, il museo, per un periodo, ha addirittura proposto una
scontistica sul biglietto per chi si recasse al museo con i file già scaricati. Una strategia che ha
potenziato la conoscenza e gli incassi, permettendo di raggiungere con una mossa vincente due
obiettivi fondamentali per l’istituzione. Il MOMA di New York invece ha creato un programma
podcast sul sito incoraggiato i suoi visitatori ad autoprodurre file sulle collezioni del museo da
“illeggibile”, contiene troppi elementi, la navigazione tra pagine è complessa, e una pagina web ha
un’organizzazione interna concepita per essere vista, non letta.
10
condividere con altri utenti16. Insomma le tecnologie si mostrano indispensabili fonti e organizzatrici
per ricerca e divulgazione.
Negli Stati Uniti d’America un approccio educativo di successo è lo Story Telling che consiste nel
“raccontare storie” prendendo come spunto gli oggetti di una collezione museale. Le storie
possono essere vere, interpretazioni artistiche, inventate o proposte dai visitatori stessi; possono
essere raccontate con animazioni teatrali, ambientazioni, strumenti multimediali, comunicazioni
scritte. La parola d’ordine è “coinvolgere emotivamente lo spettatore”. E si sa, il racconto risulta
certamente più appassionante della descrizione, quello che conta è che il vero messaggio del
museo sia evidenziato. Questa predisposizione per il racconto spiega la “moda” raccontata nel
libro “Labirinti elettronici” per i videogiochi narrativi”, definizione usata per indicare una vasta
categoria di titoli all’interno del variegato e disordinato mondo dei videogame le cui trame
rimandano ai grandi protagonisti della letteratura per l’infanzia, e in particolare con la fiaba, il mito,
l’avventura. Il metodo pone una riflessione per chi progetta i contenuti multimediali on line e per
due categorie di operatori museali: gli educatori e gli allestitori, responsabili del messaggio che il
museo trasmette “con le parole” e con la disposizione degli oggetti.
Un caso emblematico sulle possibilità offerte dal web è rappresentato dal Museo Virtuale dell’Iraq
(la location reale è Baghdad). Il portale d’accesso virtuale www.virtualmuseumiraq.cnr.it, a cura
del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Ministero per gli Affari Esteri, propone un interessante
inquadramento geo-storico dell’area grazie a 70 reperti (dei quali 40 con ricostruzioni 3D), 22
filmati, 18 elaborazioni cartografiche di siti archeologici e 8 sale in home page dedicate ognuna alle
principali fasi di evoluzione di questo territorio e delle sue genti. Le vicissitudini politiche glocali
hanno reso difficile l’accesso reale al museo. Il museo virtuale rappresenta così una possibilità, in
certi momenti privilegiata se non unica, di esplorazione dei tesori dell'antica Mesopotamia. Il
pubblico virtuale pare abbia risposto molto positivamente, secondo quanto dichiarato il 22
settembre 2009 nell’ambito del convegno: “Il Museo Virtuale dell’Iraq. Il Cnr e le nuove tecnologie
per la cultura e la comunicazione”.
Il sistema virtuale di accesso alle collezioni è dotato infatti non solo di una guida virtuale che
accompagna il visitatore e che automaticamente adatta i contenuti relativi alla descrizione delle
opere tenendo in considerazione la navigazione dell’utente (opere già viste, artisti già visitati, etc.),
ma anche di un profilo da personalizzare che permette all’utente di definire manualmente i criteri di
accesso alla collezione virtuale. Esempi interessanti sono offerti dal Museo Virtuale del Canada
che, già da alcuni anni, permette ai suoi visitatori di creare un proprio museo personale o delle
mostre a partire dalle immagini digitali della collezione online, mentre il Metropolitan Museum di
New York, il National Museum of Wildlife Art e il Seattle Art Museum permettono di inviare ad altri
utenti la propria galleria personalizzata. Un simile principio è sfruttato anche da altri siti web di
musei che offrono ai visitatori virtuali la possibilità di creare spazi personali all’interno del sito in
cui, una volta registratisi, si possono salvare immagini, links, materiale e risultati di ricerche
precedentemente effettuati, mandare cartoline virtuali17. Questi spazi personalizzati possono
anche includere informazioni riguardanti la visita dell’utente al museo.
Il MusIL18 è un recente polo museale la cui sede centrale è Brescia, dove si è trasformata in sede
museale una ex fabbrica metallurgica. La museografia e l’allestimento sono state curate con
attenzione, mentre nel sito buona è la risoluzione delle immagini. Il polo museale conserva e
racconta la storia economica e cultura nel Novecento, la comunicazione della civiltà delle
immagini, storia della tecnica, del lavoro e dell'impresa, trasformazione del paesaggio fisico e
mentale, storia locale. I musei del sistema propongono progetti educativi (seguendo la metodologia
hands-on, toccare con le mani, conoscere attraverso il fare) la cui valenza non è discutibile dalla
descrizione presente nel sito. Il Museo del ferro San Bartolomeo offre una visita virtuale
trasponendo sul web il museo, senza consentire una reale interattività.
16
Il tuo podcast, Edizioni FAG, Milano, che contiene tutte le istruzioni su come realizzare gratuitamente un
podcast e interviste a esperti di radio e podcast con consigli tecnici e comunicativi per la realizzazione di
podcast, culturali e non, di qualità.
17
Un esempio è Ingenious, un sito di accesso alle collezioni digitali del Museo della Scienza di Londra, del
Museo Nazionale della Ferrovia e del Museo Nazionale della Fotografia, Film e Televisione. I sistemi Visite
Plus e In touch sono disponibili per la Città della Scienza di Parigi e il Museo della Scienza di Londra. Le
tecniche di personalizzazione possono anche trovare applicazione in loco con guide audio.
18
Si rimanda al sito http://www.musil.bs.it/flash.html.
11
Il CILEA (Consorzio Interuniversitario Lombardo per L'Elaborazione Automatica) E-museum, per la
gestione informatica e la presentazione su web dei musei di medie e piccole dimensioni, integra in
un’unica piattaforma, diversi moduli applicativi sviluppati dal consorzio stesso. Il sistema è
composto da diversi moduli adottabili separatamente e in fasi distinte, in funzione delle esigenze e
del livello di maturità del sistema informativo museale. Inoltre si offre a biblioteche e centri
documentali un supporto a progetti di digitalizzazione di opere cartacee, mediante affidamento
delle operazioni, consulenza o attività di formazione per la scelta dei dispositivi hardware e dei
software applicativi e specializzati. Nell'ambito di un progetto finanziato dal MiBAC ha realizzato un
software denominato CODEX [ml], che realizza, con interfaccia web, la navigazione guidata degli
oggetti digitali di una risorsa (es. le pagine digitalizzate di un libro antico) sfruttando la struttura
descritta nei metadati (è utilizzato lo standard MAG). Con l’AICA intendono realizzare un Museo
dell’informatica e del calcolo scientifico e un portale anticipa virtualmente la sua realizzazione19.
Vi sono poi musei che non esistono realmente, ma solo virtualmente, in Italia e come nel resto del
mondo. Per fare alcuni esempi prendiamo il caso di quelli dedicati alla storia dell’informatica, dei
computer e del calcolo scientifico. In Italia l’Università degli Studi di Udine propone un percorso
virtuale in 20 tappe dai primi rudimentali strumenti di calcolo ai computer più sofisticati dell'ultima
generazione20, oppure il "Museo Virtuale della Storia dell'Informatica in Italia", un progetto di
raccolta, organizzazione e archiviazione in un date base multimediale del materiale documentale e
interviste a esperti del settore, coordinato dall'Istituto di Elaborazione della Informazione del C.N.R.
di Pisa21, che intende sviluppare strumenti per una fruizione efficace per tutti i pubblici. Infatti si sta
realizzando una applicazione multimediale interattiva che, sviluppata con la tecnologia hypermedia
e permetta agli utenti di avere una visione complessiva dell'evoluzione del settore in Italia.
Iniziative simili si registrano a Boston con una mostra tradizionale e altre mostre interattive
accessibili via web "The Computer Museum". Altri progetti, come quelli presentati nell'"ENIAC
Virtual Museum" e nel "Colossus Rebuild Project", si prefiggono la ricostruzione e messa in opera
dei primi calcolatori22 .
Un rapporto pubblicato nel primo numero della rivista scientifica storico-didattica Mundus descrive
gli ultimi sviluppi di alcuni modelli di laboratorio/gioco, creati dall’insegnamento di Didattica della
storia dell’Università di Bari e dall’associazione Historia Ludens. Con la collaborazione
dell’Interaction Visualization Usability Lab del Dipartimento di Informatica della stessa sede
accademica, un’attività ludica svolta sul sito di Egnazia (ormai nella sua versione cartacea
ampiamente sperimentato e aggiornato) conosce una sua versione tecnologica realizzata con
l’ausilio di un cellulare Smartphone. A seguito del primo ciclo di sperimentazione, nonostante il
buon gradimento da parte degli utenti, sono emerse le prime criticità relative all’utilizzo della
tecnologia. Il dato davvero sorprendente è la capacità dell’attività di aiutare i fruitori nella
comprensione del sito, nell’orientamento e nella memorizzazione di alcuni processi storici.
Infine c’è tutto il mercato del software didattico che, almeno in alcuni paesi, è già decollato. Negli
USA ci sono dodici compagnie con oltre mille addetti che sviluppano integrated learning systems
cioè sistemi di computer in rete che mettono a disposizione software educativo completo per vari
settori disciplinari (lettura, matematica, lingue straniere, arti per vari livelli scolari). E già si sono
sviluppate le prime ricerche sul loro utilizzo nel campo cognitivo in senso più ampio.
Conclusioni
19
Cfr. http://www.museocilea.it/.
In www.tecnoteca.it/museo.
21
museoinf.isti.cnr.it
22
Il Museo della Strumentazione e Informazione Cristallografica, Istituto di Cristallografia – Sez. di Roma,
conserva modelli originali di strumenti del passato, materiali di interesse storico-scientifico databile ai primi
del ‘900 che hanno contribuito alla nascita di nuove tecnologie strumentali e la conseguente crescita delle
conoscenze e dell’innovazione tecnologica. Il sito è visitabile virtualmente.
20
12
Peter Samis del San Francisco Museum of Modern Art che ha testualmente citato “L’elefante nella
stanza, di cui non ci siamo ancora resi conto: che i nostri visitatori per lo più non usano alcun tipo
di supporto tecnologico. Non usano i palmari, i tour su cellulare, le audioguide, i chioschi
multimediali; si ostinano a leggere pannelli e didascalie.” Il dato positivo, però, è che quella fetta di
visitatori che usa i supporti tecnologici di buona qualità non vede deluse le sue attese e tende ad
apprezzare di più la visita. Esiste dunque un ampio “margine di utilità” per le tecnologie nei musei,
a patto però che non vadano a scapito del miglioramento dei mezzi tradizionali (didascalie,
allestimento, visite guidate).
La visita al museo deve garantire qualità e presentarsi utile (dal punto di vista formativo,
interpersonale,..) e interessante se si desidera che gli utenti popolino e movimentino le sale del
museo, incrementandone anche i ricavi. Perché non si deve mai dimenticare che il fine ultimo del
servizio culturale non può non essere la gestione autonoma della struttura che consentendone la
sussistenza, riesce a far conseguire il raggiungimento di tutti gli altri nobili propositi della sua
esistenza.
L'esplorazione del rapporto fra la tecnologia, la cultura e l’insegnamento è il terreno più fecondo
dove è possibile scoprire o inventare modalità didattiche nuove. E che queste, attraverso un
processo di astrazione, possono condurre alla individuazione di nuovi modelli di comunicazione
didattica.
Un nodo problematico e critico è l’uso improprio della tecnologia. D'altra parte è abbastanza tipico
il fatto di utilizzare tecnologie nuove ispirandosi a modelli tradizionali per poi arrivare in tempi
successivi a modelli innovativi che meglio sfruttano il potenziale offerto da quelle stesse
tecnologie. Questi modelli innovativi sono oggi la risorsa più carente, per questo la Comunità
Europea sta finanziando numerosi progetti di ricerca nel settore delle applicazioni didattiche della
tecnologia. Per quanto riguarda la telematica si è spesso assistito alla contrapposizione fra l'alto
profilo tecnologico dei progetti e la sostanziale povertà dei modelli didattici sottostanti.
Ora che i costi di tecnologie in grado di buone prestazioni sono più bassi, sarebbe auspicabile che
se ne dotassero anche gli istituti più piccoli. Manca la possibilità e l’attenzione a processi di ricerca
interni al museo e di studi mirati alle discipline che sembrano parallele a quelle di interesse
classiche culturali, ma che sono indispensabili alla sussistenza del progetto.
A parte alcune esperienze, come quella dell’Exploratorium, non sembra che i musei stiano
sfruttando molto le potenzialità di Second Life e del Web 2.0 in generale. Forse il mondo dei musei
non è ancora pronto per affrontare la rivoluzione copernicana dell’utente come creatore di
contenuto, invece che come puro “destinatario” o “consumatore” (come si ricorda in
http://www.archimuse.com/mw2007/speakers/) o forse pochi riescono a creare un museo virtuale
che non sia il museo reale portato sul web oppure quando si fanno indagini globali non si
considerano alcune diversità e che il 56% dell’umanità non ha accesso neppure al telefono, altro
che Internet e palmari.
Certo è che un museo per esistere oggi deve poter offrire qualità e quantità, anche nel settore
educativo (laddove per educativo non intendiamo solo le scolaresche) e un operatore culturale (ed
anche un insegnante) oggi non può non saper utilizzare le tecnologie se vuole parlare il linguaggio
del suo tempo e dei suoi ragazzi. Una scelta tecnologia è una scelta strategica in grado di
migliorare efficacia ed efficienza dell'istituto culturale.
L’utilizzo della tecnologia in ambito culturale, affinché non sia una mera dispersione di risorse
economiche e umane che mortifica entrambi i settori, deve migliorare la comunicazione e la
fruizione dell’arte. Filmati e ricostruzioni 3D, le reti mesh (che con tutti i suoi access point in grado
di dialogare tra loro e condividere, così, la stessa connessione Ethernet, è in grado di inoltrare
pacchetti verso un altro nodo, avendo ognuno funzione di routing), palmari di ausilio al visitatore
per l’orientamento e/o la segnalazione di informazioni pertinenti all’opera/reperto/monumento
osservato, workstation per generare immagini virtuali in movimento in tempo e luogo reale
modificano l’approccio al bene. Ma molti si chiedono: sono davvero funzionali alla comunicazione e
attrattivi per il pubblico? Purtroppo non tutte le esperienze sono state monitorate e hanno uno
storico troppo breve per compiere un’analisi integrale. Alcune iniziative e ricerche possono
sembrare folkloristiche, altre una “moda”. Quello che non bisogna mai perdere di vista è la loro
rilevanza ai fini dei beni e della promozione. Soprattutto la tecnologia applicata ai servizi culturali e
per la didattica consegue la sua finalità quando non solo riesce a incrementare il pubblico dei
13
visitatori, ma quando tale fruizione si concretizza in una reale trasmissione e comprensione della
cultura. Non vorremmo che le etichette tecnologiche continuassero a nascondere una latente
mentalità conservatrice del mondo culturale che limita l’accesso al significato del bene. La cultura
non è una moda, ma un’opportunità: bisogna che i suoi operatori siano in grado di fornire ad ogni
fruitore il codice, adeguato al suo background, di comprensione e interpretazione del bene e
assimilazione del suo messaggio. Si dirà: questo è compito per altri specializzati, allora occorre
che le diverse personalità dialoghino fra loro e concorrano, senza snaturasi, apportando la loro
specifica conoscenza per raggiungere il fine comune: utilizzare adeguatamente tutte le strategie
per promuovere e trasmettere effettivamente la cultura. Anche gli sviluppatori dei contenuti digitali
sono chiamati a interfaccino innanzitutto con chi ormai da anni si pone il problema di “raccontare” il
museo a diverse categorie di visitatori: le sezioni didattiche e gli educatori, che anche in Italia
hanno ormai raccolto un’ampia esperienza, basata sulla pratica quotidiana. Eppure, e questo
accade anche all’estero e nelle istituzioni più prestigiose e all’avanguardia, educatori online e
offline oggi non comunicano abbastanza. Solo risolvendo questo gap i servizi culturali
adempieranno pienamente al loro ruolo civile e sociale promuovendo la formazione del pensiero
civico in termini di tutela, conservazione e salvaguardia nell’età dell’istruzione come in quella
dell’educazione permanente.
C’è chi ritiene che la larga diffusione dei musei virtuali danneggi quelli reali. I musei tradizionali
svolgono una funzione assolutamente insostituibile poiché essi sono i depositari dei beni, quanto
meno nel loro aspetto fisico, ossia di tutto il materiale documentario, informativo, iconografico,
archeologico veicolato attraverso la rete. Non bisogna, puntualmente, di fronte ad una innovazione
chiudersi e temere nella fine di una vecchia esperienza, ma osservare la trasformazione e guidarla
nella direzione migliore.
14
Elementi di marketing strategico per i musei di minori
dimensioni (Jenny Artusi)
“A prescindere dalla forma giuridica qualsiasi realtà museale deve
realizzare processi volti a ripristinare e mantenere i beni culturali ad essa
affidati per motivi di tutela, ma anche svolgere iniziative finalizzate a far
conoscere e rendere più fruibile quelle opere che – a parere del curatore –
si trovano in condizioni fisiche tali da poter essere esposte”
(M. Magliacani, da Il Museo “crea” valore, 2008, p.43)
INTRODUZIONE: IL PERCHE’ DEL MARKETING
A partire da questa riflessione si comprende quanto importante sia diventata negli ultimi
tempi l’esposizione delle collezioni e il tema della fruizione e dei servizi al pubblico. In
questo contesto moderno si colloca, come una sferzata d’energia e d’innovazione il
marketing culturale I musei, nella loro evoluzione, avendo ampliato la loro immagine e le
loro offerte hanno raggiunto maggiore visibilità e quindi sono più condizionati dal rapporto
con il pubblico, con la collettività, con i sostenitori a vario titolo. Per questi condizionamenti
i musei non sono più realtà a sé stanti ma attori sociali importanti che devono rispondere
alla collettività delle loro scelte e azioni23. Qui s’inserisce la funzione del marketing come
analisi del pubblico, della società e della concorrenza. Esso deve essere anzitutto
strumento per il museo, assecondare la sua missione: quella di creare nel tempo un
pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Esso è un mezzo fondamentale per conoscere
i bisogni e i desideri dei visitatori e soddisfarli ampiamente offrendo prodotti, servizi,
programmi di qualità e al tempo stesso capaci di competere con la concorrenza. La sua
funzione è molto importante anche per il dialogo con la comunità in cui si trova, la
comunicazione con le istituzioni e con tutti i soggetti che interagiscono con il museo. Pur
tenendo sempre come obiettivi principali la diffusione della cultura e l’educazione culturale
del pubblico il marketing è una strategia importante per la sussitenza del museo stesso,
per assicurargli maggiori risorse, in termini di contributi finanziari e umani.
COS’E’ IL MARKETING CULTURALE
Secondo la definizione dei maggiori studiosi di marketing culturale esso è innanzitutto:
Un insieme di concetti, strumenti e metodi; ben condotto, un piano di marketing persegue in modo mirato gli
24
obiettivi e gli scopi del museo
Il marketing si è sviluppato dopo la rivoluzione industriale dell’800 con lo sviluppo
industriale e dei consumi. In una concezione moderna è nato negli anni Cinquanta del
ventesimo secolo quando si è spostata l’attenzione dal prodotto e dalla vendita al
consumatore. Il marketing ha avuto varie definizioni e varie sfumature. Nel 1960 McCarthy
definì il marketing secondo quattro elementi fondamentali che, pur creando un insieme, il
cosiddetto marketing mix, hanno una logica consequienziale: prodotto, prezzo,
distribuzione e promozione. Nel corso degli anni Settanta il marketing inizia ad evolversi in
molte forme e, accanto al marketing sociale, inizia a svilupparsi l’idea del marketing
culturale e artistico. Gli elementi che incidono sulle scelte di marketing sono:
Missione, trasformazioni temporali e specificità dell’azienda-museo
Il mercato: gruppo di consumatori che esprimono desideri, bisogni di prodotti, servizi, idee
l’ambiente: nel quale si colloca l’azienda25.
COME SI PIANIFICA: ELEMENTI DI MARKETING STRATEGICO
23
N. e P. KOTLER, Marketing dei musei, Torino, Edizioni Comunità, 1999, p. 49
Ibidem
25
F. COLBERT, Marketing delle arti e della cultura, Milano, EtasLibri, 2000, pp. 13-24
24
15
I principi fondamentali su cui si basano le strategie di marketing all’interno di un museo
sono:
−
Il rispetto della missione del museo
−
Non diventare mai il fine ma il mezzo
−
Saper coniugare tradizione e innovazione, conservazione e valorizzazione
Il marketing è uno strumento che deve “creare oppurtunità” attorno al museo senza farlo
diventare una macchina commerciale ma perseguire sempre la sua missione e il suo fine
istituzionale cioè la valorizzazione e l’esposizione delle sue collezioni. Gli obiettivi che il
museo si prefigge diventano quindi gli obiettivi del marketing stesso. Il museo deve essere
concepito come museo-azienda, senza snaturare la sua identità, ma con una gestione
ispirata al mondo imprenditoriale. Sulla base di questo concetto il museo deve formulare
scelte di marketing strategico che siano coerenti che siano adeguate ai bisogni degli utenti
attuali e potenziali, tenendo sempre conto delle scarse risorse disponibili26. Le strategie di
marketing avvengono tramite una complessa e articolata pianificazione che viene di
seguito presentata attraversi i suoi componenti fondamentali.
LA RACCOLTA DATI E INFORMAZIONI: La raccolta informativa è basilare per le analisi
da effettuare. Questi dati permettono a un’azienda museo sia di realizzare adeguate
strategie di marketing sia di correggere le strategie “a posteriori” sulla base dei risultati
ottenuti e poter pianificare meglio le attività future. I dati che il museo può utilizzare si
dividono in tre tipologie:
Dati interni: sono il sistema contabile, i rapporti di vendita, l’elenco clienti, i report da
contatti web, lo staff dell’azienda e studi recenti.
Dati secondari: vengono da organizzazioni governative e gruppi privati e servono
all’azienda per capire quant’è ampia e come si evolve la domanda di un prodotto e com’è il
mercato. Sono dati che si ottengono facilmente e con poca spesa ma che in genere
offrono una panomarica solo parziale e incompleta di dati.
Dati primari: sono quelli ottenuti osservando direttamente il mercato obiettivo tramite
tecniche di raccolta dati come sondaggi, indagini, ricerche di mercato. Le ricerche possono
essere fatte quando non sono troppo dispendiose.
Prima della raccolta dati è importante definire bene il problema da indagare e se esistono
già informazioni a riguardo. Bisogna poi decidere il budjet e lo staff disponibili per la
ricerca ed è utile sapere quando saranno disponibili i dati per avviare le attività di
marketing. La scelta del tipo di ricerca dipende dal budjet e dal tempo disponibili ed è
comunque oppurtuno, ove possibile, utilizzare insieme le tre tipologie di dati che si
integrano e si completano27.
L’ANALISI DEGLI AMBIENTI
1. analisi ambiente “d’interesse” = mercato e domanda
2. analisi ambiente normativo = istituzioni
3. analisi ambiente competitivo = concorrenza
4. analisi macroambiente
5. analisi interna
L’ambiente “d’interesse”: riguarda lo studio dei: membri del museo, visitatori, residenti nel
territorio, soci, sostenitori, media. Essa è fondamentale per capire quali devono essere i
destinatari delle strategie di marketing e come debbano essere organizzate per
coinvolgere sia i visitatori sia ai potenziali donatori e sponsor, importante aspetto per
26
27
M. MAGLIACANI, Il museo “crea” valore, Siena, Cedam, 2008
F. COLBERT, Marketing delle arti e della cultura, op. cit., 230-250
16
ottenere finanziamenti28. Il pubblico è un fattore fondamentale verso il quale i musei
storicamente non hanno mostrato molta attenzione. Questa situazione deriva dal fatto che
ha lungamente predominato il concetto di conservazione delle collezioni per le generazioni
future e per un ristretto numero di fruitori. Solo negli ultimi decenni, con l’apertura dei
musei ad un pubblico più ampio, si è posta attenzione sull’importanza di conoscerlo e
analizzare i visitatori per capire come soddisfare al meglio la domanda, per migliorare i
rapporto di comunicazione e come coinvolgere i non visitatori. Per l’analisi della domanda
è necessario studiare il perché i visitatori scelgono di visitare un museo. La visita ai musei
è considerata in genere un momento di socialità, anche per il timore che incute nella
maggior parte delle persone: la visita con familiari o amici permette di affrontare questo
disagio. La visita al museo è in genere legata a viaggi e vacanze. In genere la
frequentazione del museo è considerato un fatto eccezionale e i cittadini mostrano uno
scarso interesse verso i musei delle proprie città. Questa situazione si verifica con
maggiore frequenza in Italia rispetto ad altri paesi29. L’analisi del pubblico deve tenere
conto dei vari fattori che lo contraddistinguono: la provenienza, l’età, il livello d’istruzione, i
motivi della visita, le aspettative e le esigenze, il periodo dell’anno della visita ecc. Le
ricerche svolte negli Usa negli anni Ottanta e Novanta si sono occupate di analizzare: le
caratteristiche dei visitatori, il numero totale di visitatori e il processo decisionale dei
visitatori dei musei. Il processo decisionale di un visitatore è complesso e si basa su molti
fattori d’influenza: fattori entico-culturali, d’appartenenza sociale, legati al ciclo della vita,
allo stile di vita individuale, al gruppo di riferimento e/o appartenenza, alla frequentazione
o non con i musei durante l’infanzia. Ci sono anche le tendenze della società di tipo
politico, economico, tecnologico. L’efficacia di quest’analisi è capire perché le persone
visitano i musei nel tempo libero, cosa li porta a preferirli ad altre attività, capire perché
esistono visitatori e non visitatori e quindi quali strategie realizzare per mantenere costante
il coinvolgimento dei primi e suscitare l’interesse dei secondi30.
L’ambiente normativo: comprende tutte le forme istituzionali che sostengono in vari modi
le imprese culturali. Enti governativi statali e locali, associazioni professionali e istituzioni
dedite al’istruzione.
L’ambiente competitivo: deve essere analizzato a fondo in una prospettiva strategica. I
musei sono considerati a tutti gli effetti “attività del tempo libero”: la concorrenza per un
museo è rappresentata, oltre che dagli altri musei, anche da tutte le forme di divertimento
e intrattenimento, dalle città d’arte e dagli enti che organizzano esclusivamente mostre e
con attività varie come lo sport, le attività fisiche, i viaggi e l’istruzione permanente. La
concorrenza si divide in tre tipologie: dello stesso prodotto all’interno del settore culturale,
prodotti diversi di imprese di genere diverso ma sempre dentro al settore culturale e
prodotti diversi di settori diversi.
Il macroambiente: comprende fattori esterni che rappresentano oppurtunità o minacce per
il museo: fattori demografici, sociali, economici, commerciali, politici, geografici.
L’ambiente interno: analisi dello staff, monitoraggio della soddisfazione del pubblico e dei
servizi offerti. Analisi dei punti di forza e debolezza, dei propri programmi e capire come e
se devono essere migliorati.
SEGMENTAZIONE DEL MERCATO E POSIZIONAMENTO DEL “PRODOTTO”
Dopo aver attuato queste analisi la successiva azione del marketing è qualla di indivudare
i settori di mercato più interessanti per concentrarvi i propri sforzi operativi. Il museo non è
chiaramente in grado di soddisfare tutto il pubblico ma deve concentrarsi sulla parte che
considera potenzialmente più interessata: si segue il criterio del mercato obiettivo, cioè un
28
A. AVORIO, Il marketing dei musei, Formello, Seam, 1999, pp. 41-52
SOLIMA L., Il pubblico dei musei, Borgia (Rm), Gangemi Editore, 2000, pp. 28-30
30
N. e P. KOTLER, Marketing dei musei, op. cit., pp. 133-161
29
17
gruppo di consumatori cui rivolgere in modo specifico il proprio marketing. Questo criterio
si divide in tre fasi:
La segmentazione del mercato = il mercato viene articolato in più gruppi ognuno dei quali
ha delle caratteristiche omogenee rispetto a delle precise variabili. I segmenti di mercato
principali sono: enti pubblici, unione europea, sponsor fondazioni, donatori, acquirenti dei
diritti di riproduzione e d’esposizione, ivisitatori
La definizione del mercato obiettivo = scelta dei segmenti su cui operare
Il posizionamento del prodotto = definire un’offerta tale a acquisire una posizione
apprezzata dai clienti31
IL PRODOTTO: SVILUPPO DI ATTIVITA’, EVENTI, SERVIZI
Il prodotto è il cardine di ogni azienda e con esso si può intendere un bene tangibile, un
servizio, una causa, un’idea. Ci sono numerose strategie di marketing per assicurare la
creazione di un “buon prodotto”: prima di tutto proporre offerte diversificate e di qualità,
tenendo sempre presente le altre possibili scelte verso i competitori del tempo libero. I
musei dovrebbero valorizzare meglio le loro collezioni per stimolare e attrarre l’interesse
del pubblico. Le strategie possibili sono: l’esposizione a rotazione anche di opere che di
solito non vengono proposte per vari motivi. La cura dell’allestimento delle collezioni
permanenti è un altro fattore importante per attrarre il pubblico e invogliarlo alla visita:
creare percorsi che orientino il visitatore ma che al tempo stesso non lo obblighino, creare
ambienti alternati a luoghi per il riposo e il relax, creare situazioni piacevoli e familiari
grazie all’utilizzo strategico delle luci, dei colori, degli spazi. Le didascalie che
accompagnano le opere devono essere curate, avre testi brevi, ben illuminati, con una
grafica interessante e familiare. Curare quindi ogni aspetto della visita, dagli orari alla
segnaletica (interna-esterna), dalla disponibilità dei parcheggi alle informazioni sui mezzi
di trasporto ai vari servizi che nell’insieme possono rendere piacevole e confortevole
quest’esperienza. Gli obiettivi sono di far crescere sia il periodo di permanenza del
visitatore nel museo sia la durata della visita, che ridurre i costi globali della visita, che non
si limita all’acquisto del biglietto ma riguarda un’ampia serie di fattori molto incidenti sulle
scelte del visitatore (ad es. il tempo impiegato per raggiungere il museo e per la visita, i
parcheggi, i trasporti ecc).
Le “mostre evento” sono un’altra attività strategica. Prima di realizzare una mostra è
fondamentale conoscere il segmento di domanda a cui rivolgere la proposta e quindi come
orientare le scelte di marketing. Le mostre, se ben strutturate, portano con sé molti aspetti
positivi tra i quali: attrarre nuovi segmenti della domanda e fidelizzare quelli raggiunti,
aumentare le entrate e gli abbonamenti al museo, mostrare oggetti che di solito non
trovano spazio nell’esposizione permanente, promuovere un’immagine più dinamica del
museo e stabilire importanti legami con sponsor anche per attività future.
La didattica è un’offerta importante per i musei e si può realizzare tramite visite guidate,
laboratori e corsi per bambini e adulti, servizi di ricerca, incontri con le scuole.
Oltre all’attività espositiva il museo può sviluppare una serie di attività collaterali importanti
sia per la divulgazione del museo sia per incrementare le sue entrate. Varie iniziative
possono concorrere a migliorare e ampliare l’offerta museale: attività collaterali come
convegni, seminari, proiezioni, rassegne cinematografiche; attività accessorie per
migliorare la fruizione dei beni culturali da parte dei fruitori come: guardaroba, bookshop,
merchandising, caffetteria, ristorante ecc.
Le attività di merchandising permettono di coinvolgere gli attori economici del territorio con
la creazione di oggettistica, dare al museo delle entrate in termini finanziari ma anche un
ritorno d’immagine importante. Gli empori con articoli di vendita rispondono ad
31
A. AVORIO, Il marketing dei musei, op. cit., pp. 57-59
18
un’esigenza comune del visitatore di conservare un ricordo della visita a un museo o a una
mostra. Il punto vendita deve essere allestito nel modo migliore, con una valida
esposizione dei prodotti ed essere accogliente ed invitante. I prodotti proposti devono
rispondere ai criteri di: pertinenza, con il museo e la sua collezione e il suo territorio, di
qualità e di redditività. Anche per il punto vendita è fondamentale l’analisi del pubblico per
capire quali prodotti commercializzare e saper soddisfare le esigenze di vari segmenti.
Importante anche diversificare l’offerta dei prodotti32.
IL PREZZO: OBIETTIVI E STRATEGIE
Il prezzo è una voce con una composizione articolata: Il consumatore di prodotti culturali
deve quindi aggiungere al prezzo per il biglietto anche lo sforzo per acquistarlo, il tempo
impiegato, la durata dell’evento, il viaggio e lo sforzo psicologico di fare un acquisto,
connesso al rischio psicologico di non rimanere soddisfatti. Quindi tanto più i consumatori
sono informati e conoscono un prodotto tanto minore è il rischio d’insucesso. La
determinazione del prezzo è molto complicata ed equivale a definire il valore del prodotto
nel mercato e si definisce tenendo presente i seguenti fattori:
gli attori sociali: consumatori, concorrenti, distributori, vari livello di governo, gli sponsor. Il
prezzo deve essere il risultato più adeguato basato sull’equilibro tra questi attori.
gli obiettivi: sono divisi in quattro categorie:
legati ai profitti: tenere bassi i prezzi per incoraggiare l’ampio consumo e pareggiare costi
e ricavi senza cercare un margine
legati alle vendite: abbassare i prezzi per aumentare la possibilità delle vendite
legati all’equilibrio competitivo: fissare un prezzo costante e allo stesso livello degli
operatori della stessa categoria per mantenere un equilibrio competitivo e senza generare
una guerra di prezzi
legati all’immagine aziendale: L’azienda che vuole veicolare un’immagine di qualità può
determinare il prezzo di conseguenza mentre l’azienda che vuole sottolineare l’ampia
accessibilità del prodotto ai consumatori tende a proporre un prezzo più basso.
Insieme agli obiettivi da definire ci sono le strategie per raggiungerli. Alcuni tipi di strategie
sono: valutare la disponibilità del consumatore a pagare per un prodotto, considerare i
prezzi della concorrenza, valutare la profittabilità di un determinato prodotto33.
Il prezzo del biglietto di accesso al museo è un elemento molto articolato che viene
percepito in modo diverso dai vari segmenti di mercato del pubblico. Inoltre i visitatori sono
molto sensibili alla questione dell’accesso a pagamento nei musei. Si può generare
grande insoddisfazione presso il pubblico, forti cali nelle visite per lunghi periodi dopo
l’introduzione di un biglietto dove non esisteva oppure l’aumento del prezzo di un biglietto
già esistente. Quindi le strategie legate ai prezzi in base alle diverse categorie di visitatori
è un’ottima strategia per poter soddisfare la domanda e mantenere un buon pubblico e
non costituire elemento di ostacolo e freno per molti potenziali visitatori. Si può intervenire
con varie iniziative come la diversificazione dei prezzi, offrire sconti e offerte speciali per
determinati gruppi sociali, aumentare e facilitare la distribuzione dei biglietti34.
STRATEGIA DI FORMAZIONE DEL PERSONALE
La soddisfazione del pubblico non dipende solo dall’insieme dei prodotti e servizi offerti,
ma anche molto dall’immagine del museo, dall’accoglienza e dalla disponibilità del
personale, dal modo di proporre e presentare le offerte del museo. Una strategia di
marketing consiste anche nel migliorare il servizio offerto al pubblico tramite la creazione
di professionalità e la formazione dello staff del museo. Lo staff deve essere motivato e
32
A. AVORIO, Il marketing dei musei, op. cit., 63-91
F. COLBERT, Il marketing delle arti e della cultura, op. cit., pp. 142-163
34
A. AVORIO, Il marketing dei musei, op. cit., pp. 59-63
33
19
incentivato a offrire buoni servizi e a collaborare nelle strategie di marketing per
raggiungere gli obiettivi del museo. Creare professionalità istruite per soddisfare il
pubblico. L’utlizzo di personale costituito da volontari è una risorsa importante se gestita
bene: anche questa risorsa deve essere adeguatamente istruita e preparata.
LA DISTRIBUZIONE : LA STRUTTURA DEL MUSEO
Il luogo in cui avviene la maggior parte delle attività del museo è la struttura principale. Per
questo motivo essa deve essere curata in ogni aspetto, sia la sua immagine esterna, che
deve attrarre il pubblico, sia la sua organizzazione interna. L’orientamento più diffuso dei
musei è offrire un’immagine accogliente, funzionale e invitante. Spesso però si
frappongono a questi obiettivi molte difficoltà derivanti da vari fattori come la mancanza di
fondi sufficienti per il restauro, la conservazione o l’ampliamento delle strutture, la
collocazione dei musei in edifici storici che avevano altre destinazioni e quindi la difficoltà
di far fronte a esigenze moderne. In molti musei ci sono interventi anche molto semplici
ma efficaci riguardanti migliori allestimenti delle sale, l’organizzazione più razionale dei
percorsi, informazioni più accessibili e la collaborazione con le realtà sociali ed
economiche, produttive del territorio per creare offerte diversificate e rendere l’esperienza
della visita al museo più ampia e ricca di oppurtunità.
LA PROMOZIONE E LA COMUNICAZIONE
La promozione è un’attività essenziale del marketing e si basa sull’analisi del pubblico a
cui rivolgersi, quali mezzi utlizzare, quale budjet destinarvi e la tempistica. Le strategie di
promozione e comunicazione hanno come primo scopo quello di segnalare la presenza e
le competenze del museo. La comunicazione è sia interna (rappresentata dal museo
stesso ma è disponibile solo per chi già lo visita) sia esterna (si avvale dei vari mezzi per
raggiungere il potenziale pubblico). Il museo, come ogni altra azienda, necessita di un
piano di comunicazione che è finalizzata a due scopi: la creazione e stabilizzazione
dell’immagine; la sponsorizzazione e promozione di un prodotto/servizio35. I quattro
principali strumenti della promozione sono:
Pubblicità: offre numerosi vantaggi come il controllo del messaggio e la scelta del mezzo e
dei tempi di diffusione. Essa è un mezzo impersonale tramite cui l’azienda paga per
comunicare con il suo mercato obiettivo e serve per informare, persuadere, ricordare,. Il
messaggio pubblicitario ha una vita breve e si diffonde tramite vari tipi di mezzi: carta
stampata, radio, tv, affissioni, annunci sul sistema dei trasporti pubblici ecc.
Le pubbliche relazioni: sono una forma di comunicazione di tipo istituzionale, hanno
capacità di attrarre il pubblico in base alla loro forte credibilità (le notizie e i comunicati
ufficiali sono più credibili della pubblicità) e al superamento delle difese (raggiungono i
clienti che non apprezzano la pubblicità). Si sviluppano tramite comunicati stampa, le
conferenze stampa, i discorsi e le presentazioni, i redazionali nelle radio e in televisione.
Le modalità con cui vengono presentate queste comunicazioni sono stabilite dai media e
non gestite dalle aziende, quindi ci sono anche dei rischi.
Marketing diretto o personale: è un sistema più mirato di comunicazione che favorisce
contatti diretti e la possibilità di chiarire dubbi e offrire informazioni più mirate al pubblico e
anche ai possibili sponsor e sostenitori. Si avvale di tecniche come il telemarketing, la
comunicazione postale, i dialoghi e i contatti personali.
Promozione delle vendite: materiali promozionali e gratuiti per aiutare le vendite,
programmi promozionali di incoraggiamento e prodotti spin-off cioè collaterali rispetto alle
entrate principali dell’azienda e rispetto al prodotto principale che sono pensati per
accrescere le vendite.
35
CODA V., Comunicazione e immagine nella strategia dell’impresa, Torino, Giappichelli Editore, 1991, pp. 3-13
20
Le quattro componenti della promozione possono essere usate insieme; per i musei di
piccole dimensioni è molti difficile reperire i fondi per le forme più complesse di
promozione e tendono a utlizzare solo la comunicazione istituzionale perché gratuita36.
STRATEGIE PER LE FONTI DI SOSTENTAMENTO
Negli Stati Uniti e in Europa esistono molte problematiche legate ai finanziamenti ai musei
dovute a: riduzione dei fondi pubblici, poco sviluppo delle donazioni per le varie
problematiche connesse, incremento dei costi operativi e la tendenza ad eliminare i
privilegi fiscali e i sussidi di cui le istituzioni museali godono. Le strategie di marketing
sono indispensabili anche per affrontare risolvere queste problematiche e assicurare
maggiori risorse. E’ molto importante sviluppare politiche di marketing per il reperimento
delle risorse e del sostegno necessari per le varie attività del museo. Esse partono sempre
dall’analisi dei potenziali sostenitori per capire come e perché vogliono “legarsi”
all’istituzione museale. I motivi principali possono essere: ottenere la riconoscenza della
comunità in cui vivono, lealtà e attaccamento a un’istituzione, altruismo, soddisfazione
personale, ambizione ecc.I musei devono sfruttare a loro favore queste necessità dei
privati per ottenere fondi da loro, creando comunque un rapporto che presuppone uno
scambio reciproco. Oltre alle entrate provenienti dalla vendita biglietti di mostre, eventi,
sviluppo di attività collaterali e accessorie, ci sono altre forme di finanziamento:
Le donazioni: riguardano singoli individui, fondazioni, grandi società, amministrazioni
pubbliche. La strategia di marketing prevede l’identificazione dei donatori, la presentazione
di un progetto accurato, la richiesta di donazione e la sollecitazione dei donatori. In questo
panorama le Fondazioni sono realtà importanti per il finanziamento di progetti specifici dei
musei, perché sono molto legate al loro territorio e interessate ad essere coinvolte in
progetti che lo riguardano. Anche le imprese sono fonti importanti di sostentamento. In
Italia l’attività di sostegno delle imprese verso i musei si è sviluppata dagli anni Ottanta con
la presa di coscienza del valore del patrimonio, per l’insufficienza di fondi statali e
considerando il carattere policentrico della realtà italiana fatta di molte realtà locali. Questi
aspetti hanno indotto musei di minori dimensioni a cercare il sostegno delle aziende del
loro territorio.
Le sponsorizzazioni: sono un valido strumento che assicura uno scambio reciproco e
concreto di benefici e vantaggi e in genere si basa su accordi scritti. Il museo ne trae molti
vantaggi: grazie alle esposizioni e agli eventi organizzati si possono assicurare nuove
fasce di pubblico, dare un’immagine più vitale al museo e diversificare il prodotto. Le
sponsorizzazioni possono riguardare progetti specifici come restauri, organizzazione di
esposizioni ma anche iniziative per migliorare la gestione ordinaria e la fruizione del
museo. La sponsorizzazione è uno strumento importante anche per crescere il numero di
consumatori e per fidelizzarli: infatti le aziende che appoggiano una causa sostenendo
un’impresa non-profit riscuotono grande successo nel pubblico. Il museo deve valutare
con attenzione la scelta degli sponsor che devono essere realtà compatibili con la sua
missione e i suoi obiettivi. L’azienda, a sua volta, sceglie di sponsorizzare un museo sulla
base di precisi criteri legati: al tipo di istituzione sponsorizzata, ai progetti proposti, a
esigenze interne dello sponsor e in base al mercato, cioè alla concorrenza e a pressioni
politico-commerciali. L’azione strategica di sponsorizzazione si svolge con queste azioni:
--identificare e quantificare il valore commerciabile dell’azienda-museo—
-avere molte informazioni sull’azienda a cui ci si rivolge
--capire qual è il mercato obiettivo dell’azienda
--capire le esigenze dello sponsor
--capire quali sono i decisori primari all’interno dell’azienda a cui ci si rivolge
36
N. e P. KOTLER, Marketing dei musei, op. cit., pp. 291-352
21
I prodotti editoriali: le pubblicazioni possono essere una buona fonte di reddito per i musei.
In Italia esiste una coedizione, una collaborazione con le case editrici; negli Stati Uniti e in
Gran bretagna è diffusa invece la vendita per corrispondenza di cataloghi e di altri prodotti
offerti dal museo: pur con grandi problematiche, c’e’ la possibilità di ottenere grandi
entrate.
I diritti sulle riproduzioni delle opere d’arte: la concessione dello sfruttamento del
patrimonio artistico comporta numerosi vantaggli per i musei: vantaggi economici,
aumento della notorietà e diffusione immagine, invogliare nuove fasce di pubblico e
stabilire strette relazioni con il mondo delle imprese37.
IL MARKETING E I MUSEI DI MINORI DIMENSIONI - CASI SIGNIFICATIVI
Le strategie di marketing sono quindi attività molto complesse e articolate che
presuppongono, da parte dei musei che le intraprendono, un’ampia disponibilità di risorse,
in termini di risorse umane e finanziarie, di strutture, di competenze, di relazioni, di
professionalità. E’ evidente come questo tipo di attività vengano intraprese solitamente da
musei di grandi dimensioni, dotati di maggiori risorse, di maggiore visibilità e legati ai
grandi flussi turistici nazionali.
La realtà italiana è molto peculiare e specifica rispetto ad altre realtà europee e
internazionali come il caso degli Stati Uniti dove manca una secolare tradizione museale e
manca un patrimonio antico da gestire e valorizzare. La particolarità del territorio italiano e
del suo patrimonio culturale artistico e ambientale fa si che esista un “museo diffuso”, un
museo che percorre tutta la penisola da nord a sud, formato da tante realtà locali: piccole
città d’arte, musei locali pubblici e privati, piccole collezioni, biblioteche archivi ecc. In Italia
dagli anni Ottanta è iniziata, grazie ad una maggiore coscienza-consapevolezza di queste
realtà, una notevole crescita dei musei comunali, privati e degli enti ecclesiastici. Rispetto
ad altri paesi, in Italia esiste un grande numero di musei medio-piccoli che attraversano
l’intero territorio, pur concetrandosi soprattutto nel Nord Italia. La maggior parte sono
musei pubblici e questi appartengono soprattutto agli enti locali; anche i musei privati
hanno avuto una notevole crescita dagli anni Settanta38.
I musei di minori dimensioni: sono in genere quei musei strettamente legati al territorio in
cui sono localizzati, hanno poche risorse, non sono mete turistiche e hanno difficoltà a
ricevere prestiti da altri musei. Queste istituzioni non riescono facilmente a finanziare
mostre ed eventi speciali, la formazione per lo staff o a intraprendere altri servizi collaterali
e non hanno risorse sufficienti per la comunicazione con gli interlocutori sociali e attività di
promozione. La gestione dei musei locali è spesso legata alla pubblica amministrazione:
tali musei si configurano come un organo dell’ente locale o in una sua istituzione. Da qui
derivano problematiche operative, mancanza di risorse e di autonomia d’azione. I piccoli
privati sono gestiti da famiglie, da associazioni, da collezionisti, da singoli individui
appassionati d’arte che solitamente sono autonomi e cercano di sussistere da soli, ma che
necessitano comunque di contributi e della collaborazione da parte dei comuni che li
ospitano. ll problema principale di poter adottare iniziative di marketing strategico per un
museo di piccole dimensioni sono i finanziamenti anche perché in molti casi l’accesso al
museo è libero, non c’e’ la possibilità di avere entrate sicure dalla bigliettazione per
finanziare iniziative strategiche. Il marketing dunque, per la sua complessità di
organizzazione e per l’ampiezza dei costi, è un’attività molto trascurata. Grazie alla sua
stessa natura così sfaccettata e grazie alle molteplici oppurtunità che può offrire, il
marketing strategico viene adottato anche nei musei di minori dimensioni. Si presentano di
seguito come gli elementi di marketing strategico possono essere applicati a questa
categoria di musei.
37
38
F. COLBERT, Marketing delle arti e della cultura, op. cit., pp. 211-225
A. AVORIO, Il marketing dei musei, op. cit. 21-35
22
Dati e informazioni: La conoscenza e l’analisi del territorio è fondamentale per capire quali
tipo di persone lo abitano, quale può essere la domanda e quindi come sviluppare l’offerta
nel modo più efficace. Per i musei minori i dati più accessibili sono quelli interni e
secondari (istituzionali) perché si possono ottenere gratuitamente. I dati di mercato
implicano maggior dispendio di tempo, risorse umane e denaro e solitamente sono poco
utilizzati.
Analisi degli ambienti: l’analisi del territorio è molto importante per i musei che possono
stringere legami forti con la collettività, cercando di reperire i donatori e gli sponsor
nell’ambito delle aziende locali e di quelle istituzioni molto radicate nel territorio. Anche
una buona analisi del proprio pubblico è importante per migliorare le proprie attività e
cercare di soddisfarlo al meglio.
La segmentazione del mercato: la consapevolezza del mercato a cui ci si rivolge consente
ai piccoli musei di svilupparsi verso una direzione ben precisa, di indivudare una ben
definita area d’azione ed evitare quindi di disperdere risorse ed energie senza risultati ma
di definire un preciso target a cui rivolgersi.
Il prodotto – attività, servizi, eventi: anche per i musei di minori dimensioni, nei limiti delle
loro risorse e possibilità, è importante diversificare l’offerta al pubblico. L’organizzazione di
eventi, mostre e manifestazioni è importante per raggiungere visibilità, ottenere consensi e
anche sostegni concreti. E’ importante lo sviluppo di attività didattiche, visite guidate,
laboratori, l’utlizzo anche di strumenti innovativi e tecnologici per la divulgazione al
pubblico. Compatibilmente con gli spazi della struttura si possono realizzare laboratori
didattici, workshop per adulti e scuole, e conferenze a tema. Un museo può fare scelte
strategiche riguardo alla creazione di servizi collaterali che può sviluppare per il suo
sostentamento, anche con l’affidamento di queste attività a gestori esterni. I musei
possono sviluppare attività di ricerca scientifica e pubblicazioni per valorizzare le
collezioni, utilizzare i sistemi informatici, creare postazioni multimediali per attrarre il
pubblico più giovane.
Il prezzo: la questione del prezzo rappresenta per i musei di minori dimensioni una grande
problematica visto che spesso queste istituzioni non prevedono un biglietto d’ingresso. La
mancanza di entrate legate alla bigliettazione può essere allora colmata dalla creazione di
attività collaterali (come la creazione di un piccolo bookshop, un punto vendita, una
caffetteria, ecc.).
La formazione del personale: anche questo punto è molto critico: il personale dei musei, in
generale, è spesso carente, mancano adeguate professionalità e formazione. Nei musei di
minori dimensioni la situazione è di solito più grave visto che in molti casi essi sono gestiti
da personale poco specializzato. L’introduzione di strategie di marketing può essere un
momento importante di “revisione” di queste situazioni e di maggiore consapevolezza
dell’importanza del personale, sia dipendente sia volontario, per lo sviluppo del museo.
Distribuzione-struttura del museo: molti musei italiani soffrono della loro origine legata
nella maggior parte di casi a edifici storici che per la loro collocazione all’interno della città
e per la loro struttura mal si conciliano con le esigenze moderne di fruizione con tutti i
servizi e le necessità che essa comporta. I piccoli musei, hanno poca visibilità, sono poco
segnalati e sono spesso ignorati, a favore dei grandi musei delle principali città italiane
presi d’assalto dai turisti. Essi sono ignorati soprattutto dai residenti. Il problema della
visibilità della struttura museo potrebbe essere risolta con una maggiore azione di
comunicazione con il suo territorio ma anche con semplici interventi che non richiedono
grandi pianificazioni di marketing come ad esempio una migliore segnaletica esterna.
Promozione e comunicazione: sono strategie molto utili per contribuire alla visibilità del
museo ma sono spesso sacrificate per la necessità di far fronte, ragionevolmente, a spese
23
legate a necessità operative. La diffusione della conoscenza del museo è fondamentale
per far crescere il proprio pubblico e per reperire fondi per le varie attività, per stringere
legami con gli sponsor. Internet è uno strumento ancora poco utilizzato dai musei italiani
ma sarebbe uno strumento molto utile e valido. La gestione di un sito web è molto
dispendiosa ed è molto difficile che i piccoli musei riescano ad affrontare tale spesa. La
comunicazione è una valida strategia per farsi conoscere nel territorio, intraprendere il
dialogo con vari realtà del territorio e si può realizzare anche con mezzi meno dispendiosi.
Si possono curare i rapporti con il pubblico per fidelizzarlo tramite una mailing list con
l’invio di news letters. L’utilizzo di brochures, volantini, affissioni pubbliche, manifesti non
richiede enormi risorse. I musei di minori dimensioni non riescono solitamente a ricorrere
alla pubblicità sui media, specialmente quella televisiva, e si limitano alla carta stampata.
Essi privilegiano la comunicazione istituzionale che è gratuita (comunicati e conferenze
stampa). E’ importante creare reti di contatti con i giornalisti con la creazione di una
mailing list per tenerli sempre informati sulle attività del museo.
Donazioni e sponsorizzazioni: più degli altri musei queste sono strategie fondamentali:
deve in gioco anche la politica di fundraising, la capacità di coinvolgere le realtà locali,
produttive, imprenditoriali, creare progetto di sviluppo della struttura museale,
sottolineando i benefici estesi alle realtà territoriali.
Le collaborazioni strategiche tra musei = le reti museali: Un’altra strategia è la
collaborazione tra piccoli musei di un territorio, la creazione di strategie comuni, poter fare
pianificazioni di marketing insieme, dividerne i costi e i benefici. I piccoli musei possono
autopromuoversi e intrattenre contatti con le agenzie turistiche, l’industria dei viaggi e
dell’ospitalità. Ci sono vari aspetti, oltre alla divisione delle spese, come la possibilità di
proporre un maggior numero di servizi e offerte di maggiore qualità. La realtà italiana è
così etereogenea con un territorio disseminato di opere d’arte e musei che si presta molto
bene alla creazione di reti, particolarmente preziose per i musei di minori dimensioni fuori
dai grandi poli museali principali. Tramite la collaborazione i musei possono svilupparsi e
crescere. Le regioni hanno adottato delle leggi che permettono ai comuni di organizzarsi in
consorzi per provvedere allo sviluppo e al funzionamento dei musei.
Casi significativi di marketing strategico: si presentano di seguito alcuni esempi di musei di
piccoli dimensioni che hanno adottato con successo diverse strategie di marketing.
Creazione di una mostra-evento speciale e attività di promozione
Un caso interessante è stata la mostra sugli indiani d’America organizzata presso i Musei
Civici di Reggio Emilia per valorizzare la collezione Antonio Spagni (2004). Gli obiettivi
primari erano conservare la collezione ma al tempo stesso valorizzarla. Con questa
occasione i Musei civici hanno ripensato la loro mission…Questo museo di piccole
dimensioni si è trovato di fronte a nuove condizioni legate alle leggi di mercato che
spingono alla creazione di una struttura in forma aziendale, alla costruzione dell’evento
mediatico e con il conseguente ampliamento delle categorie del pubblico. Il museo si è
reinventato anche per attirare un target di pubblico più ampio rispetto a quello consueto
del museo civico. Quindi ha organizzato iniziative collaterali di didattica, visite guidate, cicli
di incontri sul tema della mostra. Sono stati individuati gli utenti ai quali rivolgere le
inizative e di conseguenza lo sviluppo di un marketing mirato. In presenza di un budjet
molto limitato si è provveduto a garantire un minimo di informazione con la stampa di
opuscoli informativi, un po’ di merchandising con cartoline in vendita durante la mostra,
manifesti e cataloghi. Sono state organizzate una conferenza stampa e comunicati stampa
durante il corso della manifestazione. E infine il ricorso a nuove tecnologie sfruttando il sito
dei musei civici con una pagina apposita dedicata alla manifestazione. La mostra della
collezione etnografica è stata coordinata con una mostra fotografica del fotografo
americano Edward Curtis sugli indiani d’america realizzata nella sede espositiva della
24
Provincia di Reggio Emilia, Palazzo Magnani. In questo caso il palazzo non godeva di
grande budjet per la comunicazione e la promozione. Quindi si è avvalsa di un’agenzia di
comunicazione esterna. Sono stati realizzati manifesti per i negozi, un grande manifesto
davanti alla mostra, l’acquisto di pagine pubblicitarie su giornali e riviste specializzate e
spot pubblicitari per emittenti locali39. citare PAGINE 21-37 EVENT MARKETING
CULTURALE
Coivolgimento delle realtà locali territoriali commerciali, imprenditori privati per la diffusione
dell’evento
Per le celebrazioni dei novecento anni della cattedrale di Parma si è scelto per comunicare
meglio e diffusamente il programma degli eventi creando un piano strategico di marketing
che coinvolgesse gli attori economici e sociali del territorio. Il comune ha prestato una
facciata dei totem turistici nella città per l’esposizione del programma, gli albergatori hanno
collocato un espositore con depliant, i parcheggi hanno contribuito finanziariamente alla
creazione di cartelli stradali con indicazioni sulle mostre, le Istituzioni culturali hanno
provveduto ad affiggere locandine e distribuire depliant, le FS hanno ospitato nelle stazioni
ferroviarie espositori e depliant informativi. In cambio questi servizi si è offerto la presenza
del marchio tra gli sponsor tecnici o convenzioni-agevolazioni sugli ingressi per le inziative
a pagamento. Anche se si tratta di un caso di ampio respiro, con un’ampia
programmazione di eventi il caso mostra come sia possibile un dialogo costruttivo per
favorire un marketing strategico e diffuso nel territorio basandosi su un criterio di scambio
di servizi40.
Creazione di una rete museale
Nel 2000 a San Miniato è stato studiato un sistema museale per far interagire le varie
realtà museali, culturali e monumentali del territorio. L’aspetto più significativo è lo studio
approfondito che è stato effettuato prima di realizzare l’iniziativa, con la creazione di
un’anteprima del sistema museale, una diffusa azione di comunicazione e informazione
nel territorio riguardo l’inizaitiva, con una prima analisi del numero dei visitatori dopo la
creazione della rete museale. Si è riscontrato l’esito positivo: una maggiore frequentazione
di alcuni musei normalmente trascurati e poco conosciuti41.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Il ruolo del marketing in Italia si lega al ruolo che può avere per i musei proiettati nel futuro.
La crescita dei musei e in particolare dei musei di piccole dimensioni. Il marketing è
un’attività importante da abbinare alla gestione ordinaria e operativa dei musei. Per il
futuro ci sono molte aperture e prospettive: di fronte al modello americano e britannico c’è
molto da imparare per acquisire buone conoscenze e competenze.
In questo studio è stata evidenziato il limite maggiore per lo sviluppo di strategie di
marketing cioè la mancanza di risorse per lo sviluppo di musei, specialmente per quelli di
minori dimensioni. Le strategie di marketing sono degli ottimi strumenti soprattutto nel
reperimento di fondi: una strada molto importante da percorrere è la ricerca di sponsor e
avviare una politica di partnership, insieme alla cura del proprio pubblico e alla cura dei
prodotti e dei servizi offerti. Il marketing per i piccoli musei è dunque un’attività
fondamentale per il loro sviluppo e grazie alle donazioni e alle sponsorizzazioni che si
possono ottenere, anche le spese per il marketing possono essere coperte.
39
GABARDI E. (a cura di), Event Marketing culturale. Nove casi di comunicazione di mostre, eventi e concerti,
Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 21-37
40
Ibidem, 112-114
41
MORETTI A. (a cura di), Strategia e marketing delle organizzazioni culturali, Milano, Franco Angeli, 2001, pp.
64-69
25
Forme di gestione nel settore musicale e implicazioni sui
sistemi di controllo (Chiara Maria Bieker)
1. Introduzione
L’economia sta facendo progressi nei confronti della cultura. Solo fino a pochi anni fa un
economista avrebbe sostenuto che la cultura non avesse alcuna importanza nella
performance economica42.
Oggi, finalmente, anche quanti lavorano nella “cultura”, quanti fino a poco tempo fa avrebbero
sostenuto che l’economia non dovesse aver nulla a che fare con la cultura, si stanno lentamente
ricredendo e il ricorso a strumenti tipici dell’economia non è più considerato al pari di una
profanazione.
In particolare, la nascita di un interesse scientifico e di una conseguente letteratura che indagasse
coerentemente i rapporti tra performing arts ed economia risale agli anni Sessanta e Settanta del
XX secolo, gli anni in cui videro la luce i lavori di Baumol, Throsby e Withers43. In Italia, per quanto
concerne specificamente l’ambito musicale, fu soprattutto con il dibattito che accompagnò la
trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato (D. Lgs. 367/1996 e D. Lgs. 134/1998)
che prese vigore la ricerca e cominciarono ad apparire i contributi più significativi in tal senso. La
critica iniziò a studiare le nuove possibilità che venivano offerte dal mutamento proposto dal
legislatore nella gestione delle organizzazioni operanti nel settore musicale così come le
implicazioni che ne potevano conseguire. In una decina d’anni molto è stato scritto sui teatri lirici.
Molto meno indagata, a mio avviso, è invece l’estrema disomogeneità della situazione delle realtà
musicali “diverse”.
Ciò può essere dovuto alla variegata abbondanza degli enti che operano in questo particolare
settore, poco inclini a essere ricondotti a una visione unitaria, al di là della macroscopica divisione
tra fondazioni lirico-sinfoniche e “altre attività musicali” proposta dalla legislazione.
Si ha l’impressione, inoltre, che la scelta della forma di gestione, pur essendo un aspetto vivo della
realtà, sia spesso trascurata, se non ignorata, anche da chi lavora quotidianamente in questo
ambito; tale situazione è riconducibile, almeno in parte, all’eterogeneità dei soggetti coinvolti. La
capillare diffusione sul territorio degli enti musicali produce infatti una stratificazione degli attori:
fatte salve alcune realtà di vertice, molto (troppo?) spesso le attività di organizzazione e
produzione degli spettacoli musicali sono affidate a persone volenterose ma prive di una
professionalità gestionale, non di rado competenti in ambito artistico ma non manageriale.
Si è inteso pertanto:
- indagare in che modo e in quale misura siano applicate le diverse forme di gestione nel settore
musicale, nel tentativo di individuare i motivi che portano i vari soggetti coinvolti a operare scelte
gestionali specifiche, attraverso una ricognizione dello status quo in Italia;
- proporre un’analisi dei punti di forza e di debolezza delle stesse.
2.
La varietà del panorama italiano
Il settore delle aziende di spettacolo si distingue per la prevalenza di istituzioni pubbliche o non
profit. È possibile a buon diritto definire queste realtà aziende, non per un eccesso di fiducia negli
strumenti economici o perché, come molti temono, si voglia snaturare tali istituti a favore di logiche
tendenti al solo profitto, ma perché ci riferiamo all’ ”ordine strettamente economico” di tali istituti44.
In quanto istituti non profit, essi sono pertanto oggetto di studio dell’economia aziendale, sono a
42
Casson 1993.
Baumol 1966, Throsby-Withers 1979.
44
Airoldi-Brunetti-Coda 2005.
43
26
tutti gli effetti aziende. In tali enti, sebbene il fine economico immediato non si configuri mai come
produzione di redditi, ciò non toglie che essi possano comunque produrre profitto. Questa
consapevolezza manca ancora quasi del tutto tra gli operatori.
Nella realtà del nostro Paese, le forme giuridiche che gli enti musicali possono assumere sono
due: ente pubblico e istituto di diritto privato. Queste a loro volta presentano diverse articolazioni:
-
l’ente pubblico può svolgere attività di spettacolo mediante:
o gestione diretta, la cosiddetta gestione in autonomia;
o gestione indiretta (L. 142/90):
♣ istituzione
♣ azienda speciale
-
l’istituto privato può presentarsi come:
o associazione
o fondazione
o cooperativa
o fondazione di partecipazione
Risulta perciò una gamma piuttosto ampia di possibilità cui consegue, nei fatti, un quadro quanto
mai eterogeneo. Ai diversi tipi di forma istituzionale previsti dalla legislazione si deve aggiungere la
disomogeneità delle diverse organizzazioni, anche all’interno di una sola delle possibili forme di
gestione. Infatti, la capillare diffusione del fenomeno musicale a diversi livelli nell’intero territorio
nazionale concorre alla nascita di realtà quanto mai diverse: un’associazione, per esempio, può
essere un grande organismo con un numero elevato di strutturati, una stagione articolata e densa,
ma anche una piccola azienda, sorretta da pochi volontari.
La legislazione italiana non ha contrubuito a rendere omogeneo tale panorama: essa non è mai
stata organica, essendo stata prodotta per lo più in modo sporadico e troppo specifico, senza
proporre una visione sistemica del fatto musicale italiano. La L. 800/1967, che coordina l’attività
musicale italiana, ha distinto la realtà in due macro categorie: gli enti lirici (ora fondazioni liricosinfoniche) e le “altre attività musicali”, in cui sono compresi teatri di tradizione, istituzioni
concertistiche-orchestrali, società dei concerti, lirica ordinaria, festival, concorsi.
In questo senso si pone anche il D.L. 367/1996, con cui gli enti lirici sono stati trasformati in
fondazioni lirico-sinfoniche, mantenendo la divisione proposta dalla L. 800/1967. Normando solo
una delle due realtà previste, inoltre, lo stesso decreto suggerisce una valutazione di merito a
favore delle fondazioni lirico-sinfoniche e lascia del tutto prive di regolamentazioni le “altre attività
musicali”, che pure rappresentano una vastissima fetta della produzione musicale italiana.
Di seguito si riporta sinteticamente la normativa relativa all’attività musicale in Italia. Si noti come la
normativa sull’”altra attività musicale” consista in prevalenza di decreti relativi l’assegnazione di
finanziamento. Nulla è stato fatto per una regolamentazione organica del settore.
¬
FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE:
 L. 26/2005
Conversione in legge del D.L. 314/2004
 D.L. 314/2004
Proroga dei termini
 D.L. 24/2003
Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle Attività dello Spettacolo
 D.M. 241/2002
Modifiche al D.M. 47/2002, recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle
attività musicali, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo
 Decreto Legge del 24 novembre 2000, n. 345
Disposizioni urgenti in materia di Fondazioni lirico-sinfoniche” convertito con Legge 26 gennaio
27
2001 n. 61
 Sentenza della Corte Costituzionale n. 503 del 18 Novembre 2000
Giudizio di legittimità del decreto legislativo 23 aprile 1998
 Decreto Ministeriale 10 Giugno 1999, n. 239
Regolamento recante criteri per la ripartizione della quota del Fondo unico dello spettacolo
destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 29
giugno 1996, n. 367
 Decreto Legislativo 23 Aprile 1998 n. 134
Trasformazione in Fondazione degli Enti Lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate
 Decreto Legislativo 29 giugno 1996 n. 367
Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di
diritto privato
 Legge 14 novembre 1979, n. 589
Provvedimenti per le attività musicali e cinematografiche
 Legge 14 agosto 1967, n. 800
Nuovo ordinamento degli Enti Lirici e delle attività musicali
 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche
¬
ALTRE ATTIVITÀ MUSICALI







D.L. 248/2007
“Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in
corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30
aprile 1985, n. 163”
D.M. 6 aprile 2006
Recante modalità per la determinazione della base quantitativa dei contributi per la musica
D.M. 21 dicembre 2005
Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in
corrispondenza agli stanziamenti del Fondo Unico dello Spettacolo, di cui alla Legge 30
aprile 1985, n. 163
Legge 17 aprile 2003 n. 82, e Testo coordinato
Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 18 febbraio 2003, n. 24, recante
disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo
Circolare 11 novembre 1989 n. 4, e successive modifiche e integrazioni
Promozione dello spettacolo italiano all’estero
Legge 14 novembre 1979, n. 589
Provvedimenti per le attività musicali e cinematografiche
Legge 14 agosto 1967, n. 800
Nuovo ordinamento degli Enti lirici e delle attività musicali
Nell’ultima relazione relativa allo stanziamento dei fondi del FUS (per l’anno 2007), la quantità di
enti per ciascuna tipologia prevista risultava la seguente:
-
14 Fondazioni Lirico-sinfoniche;
28 Teatri di tradizione
13 Istituzioni Concertistiche-Orchestrali
33 Attività liriche ordinarie
174 Attività concertistiche e corali
56 Rassegne e festival
24 Enti di promozione della musica e perfezionamento professionale
652 Complessi bandistici
22 Attività all’estero
Come si nota, il numero di “altre attività musicali” diverse dalle fondazioni lirico-sinfoniche è ben
lontano dall’essere trascurabile.
Nelle “altre attività”, nel 2007, sono state complessivamente presentate 2.088 istanze di
finanziamento, di cui sono state ammesse 1.075 (il 51,5%).
Tra i beneficiari del finanziamento, la forma giuridica prevalente è quella dell’associazione: 903
(84%). Seguono poi le fondazioni con 90 beneficiari (8,3%), gli enti pubblici con 55 (5,1%), le
28
cooperative con 16 (1,4%), i comitati con 8 (0,7%), gli enti religiosi, le S.p.a. e le S.r.l. con 1
beneficiario.
Fondazioni
Associazioni
Enti Pubblici
Cooperative
Comitati
Altro
Figura 1. Le forme istituzionali degli enti cui sono stati assegnati finanziamenti dal FUS nel 2007
L’assegnazione dei fondi, invece, vede la fondazione al primo posto con 30.556.000 euro, seguita
dall’associazione con 21.742.282 euro. Gli enti religiosi (450 euro), le S.p.a. (20.000 euro) e le
S.r.l. (25.000 euro) si piazzano in fondo alla classifica.
Tabella 1. La composizione del settore musicale italiano nel 2007 e l’assegnazione dei fondi.
3. Forme di gestione
Assetto istituzionale
Ampli e spesso vigorosi dibattiti sulla convenienza di introdurre e applicare logiche economicoaziendali nella gestione della cultura, come detto, interessano gli addetti ai lavori da alcuni
decenni. Coerentemente, la scelta della forma gestionale deve essere argomento di vivo interesse.
Essa dovrebbe auspicabilmente essere connessa in modo adeguato alla tipologia del progetto
culturale che si intende sviluppare e agli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere, e può definire la
possibilità di procedere in termini di efficacia ed efficienza.
È quindi chiaro che l’uso di strumenti tipici dell’economia aziendale non vuol dire snaturare l’attività
di gestione, produzione e valorizzazione del fatto artistico, bensì procedere, semplicemente, nel
29
senso di efficacia nella gestione ed efficienza nell’azione, secondo il principio di economicità,
monitorando risorse e risultati.
Il primo, ponderato momento di riflessione di chi governa un’azienda culturale dovrebbe pertanto
essere la scelta della veste giuridica adatta. Quest’ultima determina al contempo obblighi e diritti
dell’ente nei confronti di soggetti terzi e influisce sull’organizzazione interna.
Di seguito sono riportate le possibili forme giuridiche che assumono gli enti musicali con una
sintetica descrizione:
Tabella 2. Le diverse forme giuridiche: peculiarità, da Dubini 1999.
L’esistenza del Fondo Unico per lo Spettacolo, seppure esso subisca continue, pesanti, decrescite,
concorre a influire sulla scelta della forma giuridica, come pure sulla mission degli enti: infatti, il
Dipartimento dello Spettacolo definisce alcune linee guida e svolge attività di controllo, da cui
dipende poi l’assegnazione dei finanziamenti. Il FUS, istituito nel 1985 con la L. 163/1985, è
rifinanziato ogni anno con la legge finanziaria e viene ripartito tra i vari settori con un decreto del
Ministro per i beni culturali. Oltre ai vincoli definiti dalla legislazione statale, è opportuno tener
presente anche la legislazione concorrente, dal momento che, spesso, Regioni e Comuni sono
stati e continuano a essere fondamentali per la sopravvivenza degli enti musicali45.
La scelta della forma istituzionale si presenta pertanto quanto mai complessa, interessando gli
equilibri istituzionali, le attese dei soggetti economici partecipanti, i vincoli legati alla forma giuridica
prescelta, la possibilità o meno di ottenere contributi pubblici, anche in quanto essa è modello
dell'organizzazione decisionale all’interno dell’ente, e come tale influisce necessariamente
sull’organizzazione dello stesso.
45
Brunetti-Ferrarese 2007, pp. 26 ss.; Gallina p. 132.
30
Organizzazione interna
La gestione è l’insieme di “operazioni attraverso le quali l’impresa attua direttamente la produzione
economica […]. Una buona gestione richiede lo svolgimento di altre due grandi aree di attività
complementari […]: si tratta delle attività di organizzazione e di rilevazione”46. Per organizzazione
si intende primariamente la progettazione della struttura interna dell’ente, l’assegnazione di compiti
e responsabilità; la rilevazione è invece l’attività di raccolta e valutazione delle informazioni
necessarie al governo dell’istituto.
Affinché il governo dell’ente sia efficace, e sia in grado di contemperare gli interessi rispettando il
principio dell’economicità, è necessario che sia definita con chiarezza l’assegnazione del potere
decisionale, la struttura degli organi di governo e quindi la struttura gerarchica dell’intera
organizzazione.
Negli enti pubblici, di norma, il potere di gestione è del direttore dell’ente cui l’azienda musicale fa
capo. Nelle fondazioni si hanno invece un consiglio di amministrazione, il quale stabilisce gli
indirizzi di gestione, un sovrintendente, al quale fa capo la direzione artistica ed economica, un
collegio dei revisori, con compiti di controllo legale sull’amministrazione dell’ente. Infine, nelle
forme associative, cooperative e consorziali si ha generalmente un consiglio di direzione, cui può
affiancarsi un comitato di controllo.
La criticità tipica degli enti che operano in ambito musicale è la presenza in essi di una sorta di
“doppia anima”: quella economica, necessaria alla sopravvivenza dell’azienda ma troppo spesso
solo tollerata dagli operatori, e quella artistica, cui l’ente è, per definizione, votato. Si ravvisa una
profonda dicotomia tra anima artistica e anima economica che conduce a conflitti interni
all’organizzazione, quando non a vere e proprie confusioni di ruoli.
In realtà, da quanto sinora esposto, si possono rinvenire, accanto a questi, altri momenti
caratteristici nelle aziende di spettacolo, che possono essere schematizzati nei seguenti termini:
-
artistico (l’obiettivo culturale dell’istituto);
-
politico (rispetto dei vincoli istituzionali e verifica della correttezza dell’uso delle risorse);
-
imprenditoriale (orientamento alla dimensione economica - efficacia ed efficienza - nello
svolgimento della gestione;
-
manageriale (le attese della struttura tecnica dell’organizzazione ovvero dai prestatori di
lavoro)47.
Per tale motivo, sarebbe auspicabile che l’articolazione interna prevedesse una struttura in cui
ciascuno dei caratteri sia preso adeguatamente in considerazione e possa trovare la giusta
valorizzazione, ma anche dove tutte queste peculiarità possano coesistere armonicamente in una
struttura preferibilmente snella e dinamica.
Il caso delle fondazioni
Si tracceranno ora solo brevemente il profilo, l’evoluzione e i problemi legati alle fondazioni liricosinfoniche; come si è detto, la critica si è concentrata lungamente sulle prerogative di tali enti.
Le modifiche apportate per legge a questo tipo di strutture hanno aperto nuovi scenari di
cambiamento strategico e organizzativo, sulla via della aziendalizzazione delle istituzioni
culturali48. Alla base deve sempre esserci l’idea che l’attività delle fondazioni sia commisurata alle
risorse loro disponibili. L’art. 3 del D.Lgs. 367/96, infatti, stabilisce che “le Fondazioni perseguono,
senza scopo di lucro, la diffusione dell’arte musicale” e “operano secondo criteri di imprenditorialità
ed efficienza e nel rispetto del vincolo del bilancio”. Vincolo di bilancio deve essere inteso come
46
Airoldi-Brunetti-Coda 2005.
Divisione proposta in Brunetti-Ferrarese 2007.
48
Brunetti 2006.
47
31
“principio di economicità”49. La menzione dell’imprenditorialità fa riferimento a un approccio
competitivo nella conduzione dell’azienda musicale così come al ricorso alla creatività e
all’innovazione, anche al fine di trovare nuove forme di entrate allentando in tal modo il vincolo. La
menzione dell’efficienza sottolinea invece il fatto che l’uso delle risorse a disposizione dell’azienda
deve sempre essere priva di sprechi, nel tentativo di migliorare il rapporto tra le risorse consumate
e i risultati conseguiti (efficacia).
Gli organi di governo introdotti con la L. 367/96 sono:
-
presidente (il sindaco del comune dove ha sede la fondazione);
-
consiglio di amministrazione (è l’organo di governo, approva il bilancio, nomina e revoca il
sovrintendente; approva i programmi di attività artistica; ha ogni potere per
l’amministrazione ordinaria e straordinaria);
-
sovrintendente (dirige l’attività artistica; nomina e revoca il direttore artistico e musicale);
-
collegio dei revisori (l’organo di controllo; nominato con decreto del Ministro del Tesoro).
E’ fondamentale, per il miglior funzionamento possibile della fondazione, una giusta
consapevolezza da parte di questi soggetti della necessità di coniugare la ricerca di qualità
artistica nell’ambito del vincolo di bilancio. Ciò purtroppo si scontra con la forte componente di
conservatorismo tipica di questo ambiente. In tal senso, una soluzione auspicabile potrebbe
essere una maggior partecipazione dell’elemento privato nella gestione, poiché questo porterebbe
nuovi elementi e nuove esperienze manageriali, oltre a proporsi come attento controllore
dell’impiego dei contributi.
Le “altre attività musicali”
Con la trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, anche altre realtà operanti nel
settore musicale ed estranee al provvedimento legislativo hanno ricevuto un impulso a trasformare
la propria gestione. Si è assistito così alla trasformazione di numerose associazioni in fondazioni o
fondazioni di partecipazione.
Tuttavia, la varietà delle realtà presenti nel panorama italiano è tale che la maggior parte dei casi
non può essere ricondotta a modelli o categorie predefinite, in quanto ognuno di essi presenta
proprie caratteristiche peculiari che lo distingue dagli altri a livello di organizzazione e gestione.
Sulla base delle evidenze emerse a seguito della somministrazione di un questionario volto
all’analisi diretta di numerose aziende del settore, si può tentare comunque di dare una visione
d’insieme del panorama, pur nella consapevolezza dei limiti statistici di tale indagine50.
Dal punto di vista dell’organigramma sono emerse situazioni ben diverse, che vanno da una
semplice divisione delle responsabilità (un responsabile amministrativo e uno artistico, posti allo
stesso livello) a strutture gerarchiche più complesse (che prevedono, di norma, un presidente, un
consiglio direttivo, un direttore artistico, un collegio dei sindaci; può esserci, eventualmente, un
presidente onorario). I dati mettono in luce come non vi sia una netta suddivisione dei compiti
economici ed artistici, né è sempre chiaro a chi spetti il potere decisionale, tanto per le singole
attività che per la totalità dell’azienda.
Il piano delle attività è di norma competenza della direzione artistica (generalmente nominata dal
consiglio direttivo); certamente sarebbe preferibile, come accade tuttavia solo in pochi casi, che
esso fosse per lo meno presentato al consiglio per la sua approvazione.
49
Brunetti-Ferrarese 2007.
Al fine di indagare la realtà italiana attuale è stato ideato un questionario, proposto alla segreteria amministrativa di
varie aziende operanti nel settore musicale. Nella scelta delle stesse si è tentato di coprire, per quanto possibile, l’intero
ventaglio di possibilità offerto dalla scena musicale italiana.
50
32
La determinazione di aree di responsabilità risulta diversa caso per caso e in generale abbastanza
carente; ciò può essere letto anche come una spia di una scarsa attenzione per il controllo della
gestione, di cui la divisione in centri di responsabilità rappresenta uno dei momenti più importanti.
L’organo di governo è, di norma, il consiglio.
L’approvazione del bilancio può competere al consiglio, all’assemblea dei soci o a entrambi gli
organi congiunti.
In tutti i casi esaminati, è presente un organo di controllo (collegio dei revisori o dei sindaci).
Dal punto di vista della gestione economica tutte le realtà osservate ricevono tanto finanziamenti
pubblici quanto privati, in proporzioni molto variabili; in tutti i casi sono presenti le funzioni
marketing e fund raising, anche se spesso non è prevista una figura ad hoc all’interno dell’azienda.
Non sorprende che la considerazione di questi strumenti da parte degli addetti ai lavori interpellati
risulta molto scarsa. Sarebbe quindi auspicabile un cambio di mentalità, che permetta di entrare in
un’ottica più aziendale, anche in considerazione del fatto che tutte le realtà che hanno risposto al
questionario hanno chiuso l’ultimo bilancio in passivo.
4. Il controllo di gestione
Com’è ovvio, la scelta di una forma gestionale, anche se precipua e ponderata, non esaurisce lo
sforzo nella direzione di un’amministrazione virtuosa, né tantomento ne assicura il successo. Si
configura piuttosto come il sostrato sul quale innestare l’organizzazione e le scelte manageriali.
È il controllo di gestione a fornire gli strumenti atti a guidare la gestione verso il conseguimento
degli obiettivi stabiliti. Si tratta di un dispositivo mediante il quale l’organo di gestione può orientare
i comportamenti dei singoli verso il perseguimento dei fini dell’azienda (garantendo in tal modo
l’efficacia), mediante un’ottimale allocazione delle risorse (efficienza). I momenti che lo
contraddistinguono sono:
-
la preventivazione degli obiettivi e l’assegnazione delle risorse;
il monitoraggio e la valutazione dei risultati;
la correzione o la conferma delle azioni intraprese.
Concretamente, si è indagato se, e in quali forme, esso sia effettivamente attuato, e se vi sia
qualche relazione tra l’attività di controllo e la scelta della forma di gestione.
Le fondazioni
Con la riforma degli enti lirici in fondazioni di diritto privato (D.Lgs. 367/96) fu sancita l’adozione
nelle stesse di sistemi di controllo, il cui fondamento risiede nell’uso di strumenti di bilancio
riconducibili al paradigma economico-finanziario.
Tuttavia, tanto il legislatore quanto, bisogna dirlo, gli addetti ai lavori sono a tutt’oggi ancora ben
lontani dal ragionare per progetti, come invece suggerirebbe questo cambiamento; tale circostanza
deve essere imputata allo scarso dinamismo del fatto musicale, che spesso si chiude
nell’autoreferenzialità derivata da una situazione che è rimasta per molti anni immutata.
Il modello economico-finanziario è invece un utile paradigma di riferimento per la misurazione della
performance “sia per la sua consolidata applicazione nell’attività di rilevazione dei fatti gestionali
delle imprese, sia per il crescente richiamo a ‘formule aziendalistiche’ di gestione invocate dai
provvedimenti legislativi che riguardano le fondazioni di diritto privato”51. La normativa
richiederebbe:
-
51
la predisposizione di “un piano economico-finanziario triennale dal quale risulti che la
gestione potra' svolgersi in condizioni di equilibrio economico-finanziario”;
Brunetti-Ferraresi 2007, p. 85.
33
-
l’adozione di sistemi di scritture contabili e i libri contabili previsti dalle norme civilistiche
(Art. 16. Scritture contabili e bilancio: “1. La fondazione, anche quando non esercita attivita'
commerciale, deve tenere i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'art. 2214 del
codice civile. 2. Il bilancio di esercizio della fondazione e' redatto secondo le disposizioni
degli articoli 2423 e seguenti del codice civile, in quanto compatibili”);
-
la produzione di certificazioni dei bilanci;
-
si riserva particolare attenzione ai risultati del rendiconto economico (artt. 19 ss.).
Si richiede esplicitamente una contabilità analitica e un sistema di indicatori, infatti è esplicitamente
detto che progetti e programmi saranno “valutati secondo criteri oggettivi, collegati a meccanismi di
standardizzazione di costi e di determinazione di indicatori di rilevazione” (art. 24).
L’uso di tali strumenti non deve certamente limitarsi a una mera descrizione dello stato delle cose,
ma deve piuttosto essere considerato come un ausilio, una guida per i comportamenti dei membri
dell’organizzazione.
Le “altre attività musicali”
L’elaborazione di un controllo aziendale delle fondazioni e l’adozione da parte di queste di un
sistema di contabilità economico analitica, ha influenzato anche molte altre aziende dello
spettacolo. Ciò è certamente vantaggioso perché, come detto, l’adozione di un valido sistema di
controllo coadiuva i responsabili nel portare l’azienda al conseguimento degli obiettivi, favorisce
l’azione fondata sul principio di economicità e permette una valutazione del grado di efficacia.
Il controllo di gestione è tanto più importante in quelle aziende, come quelle che operano nel
settore musicale, in cui i contributi pubblici sono una delle forme principali di ricavo, essendo
sempre eticamente auspicabile la trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche; tuttavia non è di
secondaria importanza anche nell’ottica dei finanziatori privati, che possono in tal modo monitorare
l’uso dei propri finanziamenti, decidendo, di fronte a situazioni virtuose, di continuare nella propria
opera di sostegno.
Analogamente a quanto si è già avuto modo di osservare per quanto riguarda la forma di gestione,
anche in merito all’attività di controllo la situazione si presenta alquanto disomogenea. Non
essendovi infatti un quadro normativo di riferimento, ogni realtà si organizza in modo autonomo.
Non sembra esserci particolare affinità tra la scelta della forma di gestione e l’uso di strumenti di
controllo, al di là della prevedibile relazione tra sistemi organizzativi ben strutturati e presenza di un
sistema di controllo sviluppato.
Stando ai dati raccolti, tuttavia, in molte delle aziende musicali di maggiori dimensioni è previsto un
controllo di gestione (per tutte e tre le fasi caratteristiche già citate), ma spesso non è prevista una
figura di riferimento per questa funzione. Essa, invece, manca del tutto negli enti più piccoli.
Funzionale a tutto ciò è l’adozione in quasi tutti i casi di una contabilità economico-analitica,
seppure non manchino esempi di contabilità finanziaria negli enti pubblici.
La frequenza dei report varia molto di caso in caso: si oscilla tra i quindici giorni e l’anno. La
valutazione dei risultati e la conseguente correzione o conferma degli obiettivi spetta, di norma, al
consiglio direttivo o alla sola direzione economica.
Per quanto riguarda la valutazione delle attività, si riscontra una certa confusione circa gli indici
adottati a tal fine. Sembra dubbia la consapevolezza dell’importanza di tale strumento: in alcuni
casi i criteri di valutazione non sono proprio definiti, mentre in altri, pur rendendo merito al tentativo
di distinguere tra una valutazione qualitativa e quantitativa, gli indici proposti risultano piuttosto
semplicistici e privi di una reale efficacia applicativa. A livello quantitativo ci si limita spesso, infatti,
al mero calcolo del numero di spettatori o del numero di eventi realizzati; a livello qualitativo fra gli
indici adottati vengono indicati “la presenza di diversi generi musicali nella programmazione” e la
34
“critica della stampa”! Risulta evidente come in questo campo la strada da percorrere sia ancora
lunga.
Conclusione
Il sistema musicale italiano, ad oggi, è troppo diversificato per poter proporre una soluzione
universalmente valida al problema della scelta della gestione. Vi è infatti una notevole quantità di
possibili forme istituzionali, soprattutto nell’ambito degli istituti di diritto privato che stanno
divenendo i principali attori della scena musicale italiana. A ciò si accompagna il fatto che operino
sulla scena musicale, spesso addirittura collaborando tra loro, aziende culturali di diversissime
dimensioni e livelli di complessità.
Troppo spesso chi si trova nella posizione di gestire un’azienda musicale non conosce, o non
vuole conoscere, gli aspetti economici dell’organizzazione, con la conseguenza, portata a volte ad
estremi assurdi, che le scelte artistiche non solo precedono ma anche travalicano il fattore
economico.
A fronte di questa situazione, appare evidente l’importanza di una attenta riflessione su quali siano
i motivi che portano a preferire una forma di gestione piuttosto che un’altra. Innanzi tutto, è
fondamentale considerare lo stretto legame tra la forma di gestione e il sistema organizzativo
interno. Tanto l’analisi teorica che le evidenze empiriche hanno mostrato che è necessaria una
chiara assegnazione del potere decisionale, una netta separazione delle competenze le quali,
tuttavia, in un’azienda dai caratteri così particolari devono riuscire a coordinarsi e dialogare. Infine,
è necessario definire gli strumenti per il controllo della gestione, in modo che le scelte gestionali e
organizzative siano coerenti con gli obiettivi.
È quindi auspicabile un sistema di budgeting e report periodici per monitorare la gestione e
valutare eventuali scostamenti dagli obiettivi fissati; è importante quindi attuare strategie di
misurazione che risultino funzionali tanto alla consapevolezza interna quanto alla trasparenza nei
confronti della comunità: l’adozione di una contabilità economico-analitica e la creazione di centri
di responsabilità concorrono a favorire una capacità di programmazione e allocazione delle risorse
coerente con gli obiettivi dell’ente, promuovendo la trasparenza nell’impiego dei finanziamenti
pubblici e l’abilità di rendere conto della propria capacità di investirli.
Solo lavorando nella direzione dell’efficacia e dell’efficianza, monitorando risultati e obiettivi,
l’azienda musicale potrà quindi assicurarsi quell’autonomia e quella stabilità che le possono
consentire il raggiungimento non solo degli obiettivi economici, ma anche dei risultati artistici,
culturali, sociali che ne costituiscono il fine privilegiato.
35
Allegato 1
Questionario
Valutazione delle forme di gestione e delle implicazioni sui sistemi di controllo negli enti
operanti nel settore musicale in Italia
NB. Si prega di rispedire il questionario anche nel caso in cui sia stato compilato solo parzialmente.
È possibile inviarlo via posta elettronica all’indirizzo e-mail [email protected] o via fax al numero 040 9383000.
ϖ Informazioni generali sul Vostro ente:
¬ L’ente è privato o pubblico?________________________________________
¬ Qual è la forma di gestione (istituzione, associazione, fondazione, cooperativa,…)?______
¬ Vi sono stati cambiamenti nella forma di gestione nella storia dell’ente?________________
Se sì, quali?________________________
¬ È previsto un profitto derivante dall’attività svolta o l’ente è no-profit?__________________
ϖ Personale e collaboratori:
¬ Numero di dipendenti:
♣ a tempo indeterminato:____
o
come sono ripartiti?
 area artistica:____
 area tecnica:____
 area amministrativa:____
♣ a tempo determinato:_____
o
come sono ripartiti?
 area artistica:____
 area tecnica:____
 area amministrativa:____
¬ A quanto ammonta il totale di giornate Enpals dei dipendenti per l’ultimo anno
disponibile?__________
ϖ Gestione
¬ Può descrivere schematicamente l’organigramma dell’ente?_____________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
♣ Chi decide il piano delle attività?___________________________________________
♣ Sono previste aree di responsabilità?_______________________________________
♣ Se sì, quali?_____________________________________________________
♣ Qual è l’organo di governo (presidente, CdA,…)?_____________________________
36
♣ Chi approva il bilancio?__________________________________________________
♣ Chi propone i programmi di attività artistica?__________________________________
♣ Chi approva i programmi di attività artistica?__________________________________
♣ Chi nomina il direttore artistico (se presente)?_________________________________
♣ Esiste un organo di controllo (ad es. collegio dei revisori)?_______________________
−
È presente la funzione:
♣
marketing?________ È prevista una figura ad hoc?____________________________
♣
fund raising?______ È prevista una figura ad hoc?____________________________
♣
controllo di gestione?________ È prevista una figura ad hoc?____________________
A quale area fa capo?____________________________________________________
ϖ
Controllo di gestione
¬ Che tipo di contabilità è adottata (finanziaria, economica analitica)?___________________
¬ Nell’ente è prevista una forma di controllo:
♣ antecedente (budgeting)
sì___
no___
♣ concomitante (report periodici per controllare l’andamento dell’attività rispetto alle
previsioni)
sì___
no___
o Ogni quanto tempo sono previsti i report?__________________________________
o Chi, in seguito ai report, corregge o conferma gli obiettivi?_____________________
♣ susseguente (raffronto dei risultati ottenuti con quelli previsti in sede di progettazione)
sì___
no___
o Chi si occupa del bilancio dei risultati e della loro valutazione?_________________
¬ Sono definiti degli indici di valutazione dell’attività?
sì____
no____
♣ Se sì, di che tipo: quantitativo______ qualitativo_____
♣ Può specificarli? _____________________________________________________
ϖ Gestione economica
¬ Può definire, sul totale dei finanziamenti, la percentuale di quelli:
♣ pubblici:___
privati:___
¬ Quale è la percentuale dei finanziamenti rispetto ai ricavi totali?_____
¬ Di che natura sono i finanziamenti privati (se possibile indicare anche una
percentuale)?
♣ sponsorizzazioni: sì____
no____
37
♣ altre attività collaterali (didattica, laboratori, attività seminariali,...):
sì____
no____
♣ altro:______________________
¬ In che percentuale il costo del personale incide sul totale dei costi?______________
¬ È previsto un sistema di incentivazione?_____________________________
¬ In che percentuale i costi diretti di produzione incidono sul totale dei costi (senza
calcolare, quindi, affitti, manutenzioni,…)?____________________________
¬ L’ultimo bilancio disponibile era: attivo_____
passivo_____
in pareggio_____
ϖ Valutazioni personali:
−
−
−
Secondo Lei, quanto contano nell’economia dell’ente (da 1 a 5)?
♣
marketing?_____
♣
fund raising?______
♣
attività di controllo?______
Secondo Lei, l’ente risente di qualcuna di queste difficoltà (da 1 a 5)?
♣
cultura troppo conservativa _____
♣
poca esperienza in campo economico degli addetti ai lavori _____
♣
poca esperienza manageriale degli addetti ai lavori _____
♣
poca cultura musicale degli adetti ai lavori _____
♣
struttura organizzativa inadeguata ______
♣
altro:_____________________________________________________________
Osservazioni:___________________________________________________________
______________________________________________________________________
Grazie per la collaborazione!
38
Indicatori di performance: l’esperienza italiana ed
internazionale relativa alla individuazione ed applicazione di
indicatori di performance nelle biblioteche accademiche
(Marina Contarini)
“Se non puoi misurarlo, non puoi gestirlo” (Kaplan e Norton)
Questo contributo cercherà di presentare un inquadramento sul significato ed utilizzo dei sistemi di
misurazione delle prestazioni con particolare riferimento alla esperienze intraprese in Italia ed
all’estero per la misurazione delle prestazione delle biblioteche accademiche.
E’ utile chiarire come l’introduzione di un sistema di misurazione delle prestazioni, o ancor meglio
un sistema di programmazione e controllo della qualità, non sia mai finalizzato alla valutazione
delle prestazioni del singolo, ma si configuri quale strumento di pianificazione degli obiettivi di
miglioramento a breve e lungo termine, nonché delle strategie gestionali che, in particolare per le
organizzazioni no-profit (ma anche per quelle profit) hanno come orientamento l’accoglienza e il
soddisfacimento delle richieste ed aspettative dei propri utenti. Si tratta in particolare di predisporre
un sistema di rilevazione degli aspetti interni ed esterni ad una organizzazione che consentano di
individuare e risolvere le criticità nel conseguimento dei propri obiettivi in un’ottica di miglioramento
della capacità di utilizzo delle risorse (efficienza) e della capacità di rispondere, sia
quantitativamente che qualitativamente, ai bisogni della comunità di riferimento (efficacia).
Le biblioteche hanno sempre raccolto moltissimi dati statistici, ma non necessariamente
analizzandoli nell’ambito della propria mission o dei propri obiettivi, o valutandoli all’interno della
pianificazione strategica dell’organizzazione di riferimento, ovvero analizzando quali siano le
risorse informative e tecnologiche che possono sostenere le priorità istituzionali, e come possono
essere organizzate al meglio per dare il più proficuo contributo alle priorità identificate.
E’ pur vero, d’altro canto, che contrariamente a quanto si è verificato in altri paesi, in Italia solo
nell’ultimo decennio le organizzazioni pubbliche stanno avviandosi alla definizione dei propri piani
strategici, chiarendo all’interno della propria missione istituzionale, cosa l’organizzazione stia
facendo e cosa desideri essere (vision), quali siano i propri valori fondanti, i punti di forza e di
debolezza, le opportunità, finalità ed obiettivi, da cui devono derivare gli obiettivi strategici delle
diverse unità organizzative che le costituiscono.
Per un inquadramento teorico del campo di applicazione ed individuazione di indicatori di
performance è opportuno focalizzare preliminarmente quali siano le dimensioni da rilevare, qualora
una organizzazione intenda approntare un sistema di programmazione e controllo della qualità dei
servizi o prodotti offerti. Un sistema di programmazione e controllo della qualità si compone di
elementi strutturali e di elementi di processo: “gli elementi strutturali si riferiscono alla struttura
organizzativa del controllo ed agli strumenti, ed alle metodologie di programmazione, rilevazione e
controllo. Gli elementi di processo si riferiscono invece alle attività volte alla definizione degli
standard, ai processi di reportistica interna, ai fini dell’analisi degli scostamenti, ed ai processi di
comunicazione esterna, ai fini dell’accountability”(Donato). Gli indicatori di performance sono
elementi strutturali, in quanto strumenti di rilevazione e “focalizzano, in termini di programmazione
e controllo, le tre determinanti della qualità, ossia la validità tecnica, il tempo di intervento e
l’orientamento intersoggettivo. […] sono gli elementi capillari della programmazione, in quanto gli
standard rappresentano, nella generalità dei casi, l’attribuzione di una valore-obiettivo ad un
indicatore”(ibidem). Ovvero, “un indicatore è un “segnale” – numero o informazione – con cui è
possibile misurare qualcosa. Se serve per misurare una prestazione o un servizio si chiama
“indicatore di prestazione”. Siccome le prestazioni sono i risultati cui una biblioteca tende, gli
indicatori di prestazione segnalano il livello dei risultati raggiunti, sia positivi che negativi” (Sardelli)
Come vedremo, si possono individuare tre tipologie di indicatori, ovvero:
1. indicatori di attività, che misurano, in termini quantitativi, il numero delle attività svolte in un
determinato arco temporale;
2. indicatori di efficienza, che misurano, per quel livello di attività raggiunto, il costo sostenuto
(o il tempo, se è una misura indiretta del grado di assorbimento delle risorse presenti nella
struttura);
39
3. indicatori di efficacia (quantitativa e qualitativa) che misurano, in relazione agli obiettivi
(quantitativi o qualitativi) prefissati, il loro grado di raggiungimento.
La definizione di un sistema di rilevazione della qualità dei servizi è un’attività molto complessa in
quanto risulta necessario considerare le diverse dimensioni della qualità, quali: qualità attesa (gli
standard qualitativi che gli utenti ritengono siano in grado di soddisfare i propri bisogni), qualità
progettata (la traduzione della qualità attesa in caratteristiche del servizio); qualità erogata (i livelli
qualitativi effettivamente realizzati dal punto di vista interno); qualità percepita (le valutazioni dei
fruitori sui livelli qualitativi dei servizi); qualità paragonata (il confronto effettuato dai fruitori rispetto
a servizi analoghi svolti da altre strutture, oppure il confronto effettuato direttamente dall’ente
rispetto ai servizi di altri soggetti, il benchmarking).
Come verrà illustrato in seguito, le esperienze di misurazione delle prestazioni delle biblioteche, in
particolare quelle intraprese in Italia, si sono pressoché incentrate sulla misurazione della qualità
erogata, provvedendo alla misurazione della struttura in termini di valutazione dello stato e delle
dimensioni delle strutture fisiche, della capacità e della congruità del numero del personale, delle
risorse disponibili e dei processi, misurando cioè lo svolgimento delle attività, ossia adottando
indicatori “intermedi” che rappresentano una “presunzione di qualità” in quanto partono
dall’assunto che se i parametri della qualità erogata sono a livelli elevati, si “presume” che anche i
bisogni dei fruitori dei servizi siano soddisfatti. Solo nei progetti più recenti sono stati introdotti
indicatori “finali” ovvero parametri di esito, ossia misurazioni del grado di soddisfazione dell’utente
rilevate sulla base di apposite indagini. Sarebbe tuttavia auspicabile l’adozione contemporanea di
diversi sistemi di rilevazione delle performance di un’organizzazione quali un “sistema di
rilevazione delle informazioni economico-finanziarie, un sistema di programmazione e controllo
della gestione (obiettivi e risorse per conseguirli) ed infine un sistema di misurazione delle
performance qualitative e del grado di soddisfacimento dei bisogni degli utenti, associato al
sistema di programmazione e controllo della qualità dei servizi offerti” (Donato).
Se nei paesi anglosassoni le metodologie di pianificazione e misurazione risultano strumenti
manageriali in uso nel mondo dell’impresa sin dalla metà degli anni ’50, anche in questi paesi la
diffusione di una letteratura relativa all’ambito bibliotecario fatica a consolidarsi in quanto tali
metodologie venivano considerate un’intrusione dalla sfera aziendale che non potevano essere
applicate alla pianificazione e valutazione dei servizi e dei prodotti bibliotecari, considerati
qualcosa di diverso e non suscettibile ai vincoli della pianificazione. Nel 1964, tuttavia, nel Public
Libraries Act le biblioteche pubbliche inglesi vengono tenute per legge ad offrire “un servizio
onnicomprensivo ed efficiente”. E’ da rilevarsi poi come nelle comunità accademiche sia stato più
forte la resistenza ad adottare sistemi di pianificazione strategica e di misurazione, tuttavia già a
partire dagli anni ’70 almeno nei paesi anglosassoni, dove la richiesta di budget e di contributi
risultava connessa alla pianificazione di obiettivi e risultati in linea con quelli dell’istituzione di
appartenenza, essa risultò imprescindibile. Negli anni ’80 sorse un crescente interesse a livello
internazionale per condurre forme più chiare di misurazione delle performance nelle biblioteche
accademiche. Fu quindi istituito un gruppo di lavoro dell’International Federation of Library
Associations and Institutions (IFLA) cui fu affidato l’incarico di sviluppare delle linee guida per la
misurazione delle performance. Il risultato del Gruppo di lavoro fu la pubblicazione delle
International Guidelines for Performance Measurement in Academic Libraries del 1996, i cui
contenuti sono sottoposti ad una revisione condotta nel 2008.
Alla fine degli anni ’90 l’International Organization of Standardization attraverso il proprio Comitato
tecnico ISO 46 (Information and Documentation), Sub-Comitato 8 (Statistics and performance
evaluation) pubblicò lo standard ISO 11620 (Library performance indicators, 1998) che presentava
una serie di indicatori applicabili in tutte le tipologie di biblioteche del mondo. A questo documento
nel 2003 fu aggiunto un rapporto tecnico (ISO/TR 20983) di indicatori di performance per i servizi
elettronici delle biblioteche. Lo standard ISO presenta 5 categorie di indicatori:
1) percezione dell’utente
2) servizi pubblici (parte più ampia)
3) servizi tecnici
4) promozione dei servizi (mancano gli indicatori per quest’area)
5) servizi per l’utente
L’applicazione di indicatori di performance risulta in tutti i paesi maggiormente diffusa nelle
biblioteche pubbliche, dove ad esempio in Gran Bretagna nel 2001 vengono introdotti standard per
40
la biblioteca pubblica. Nelle biblioteche accademiche si assiste infatti ad una maggiore attenzione
nella valutazione della ricerca in relazione all’accreditamento degli prodotti della didattica, che in
qualche misura ha reso meno rilevante l’applicazione degli standard squisitamente bibliotecari.
Tuttavia, in relazione agli sviluppi teorici della misurazione delle prestazioni nelle biblioteche si può
rilevare come il menzionato standard ISO abbia fornito per la prima volta una precisa definizione
terminologica degli indicatori di cui vengono specificati gli obiettivi, i metodi per la raccolta dei dati
ed il calcolo degli indicatori, una interpretazione su ciò che i risultati del loro utilizzo possono
evidenziare, i fattori che possono determinare la scarsa efficacia della loro applicazione, e gli
indicatori collegati.
Anche il contributo dell’IFLA si configura come il primo tentativo a livello internazionale di definire
un set di indicatori applicabili in qualsiasi biblioteca accademica, in quanto il gruppo di lavoro si era
posto prioritariamente lo scopo di fissare quelli che vengono ritenuti essere gli scopi istituzionali e
gli obiettivi principali di una biblioteca universitaria, quindi “la nostra scelta di indicatori è
strettamente collegata a questi obiettivi” (IFLA) ed è poi specificato come la prestazione possa
essere valutata solo in relazione agli scopi che le singole biblioteche si propongono. Le linee guida
IFLA testimoniano altresì come le iniziali resistenze e difficoltà rilevate nella realtà accademica
circa l’applicazione di misurazione delle prestazioni delle biblioteche possano considerarsi in larga
parte superate. La finalità della misurazione viene espressa chiaramente nella premessa in quanto
“le biblioteche, come altre istituzioni che forniscono servizi, devono dimostrare di utilizzare le
risorse a disposizione per il giusto scopo e nel modo migliore, fornendo servizi di alta qualità”
(ibidem). Viene altresì chiarito che la misurazione delle prestazioni è la raccolta dei dati, non solo
statistici, che descrivono le prestazioni e la loro analisi. Sulla base dell’analisi dei dati raccolti si
tratta quindi di effettuare “il confronto tra ciò che la biblioteca sta facendo (prestazione), ciò che
deve fare (compito istituzionale) e ciò che si è proposta di fare (scopi)” (ibidem). Viene altresì
sottolineato come il livello di prestazione raggiunto dalla biblioteca nel conseguimento dei propri
obiettivi andrà poi messo in relazione ai bisogni degli utenti. Mettendo a confronto lo standard ISO
sugli indicatori di performance con le Linee guida IFLA risultano alcune importanti diversità di
approccio, che si ritiene interessante mettere in evidenza in quanto dalla letteratura professionale
sulla misurazione delle performance nelle biblioteche emerge che nei progetti condotti a livello
nazionale ed internazionale sono stati utilizzati sia indicatori della lista ISO 11602, che delle Linee
guida IFLA:
1) la prima differenza riguarda il fatto che gli indicatori ISO sono applicabili a tutte le tipologie
di biblioteca, rendendo difficile per i bibliotecari decidere se l’indicatore sia utile per il loro
tipo di biblioteca, mentre quelli IFLA riguardano le sole biblioteche accademiche.
2) Lo standard ISO contiene anche indicatori di efficienza (ad es. costo per titolo catalogato o
per prestito effettuato), intenzionalmente non presenti nelle Linee IFLA, dove si è
concentrata l’attenzione sull’efficacia dei servizi e non sull’efficienza poiché, date le enormi
differenze economiche e finanziarie tra biblioteche nei diversi paesi, non era possibile
elaborare indicatori di efficienza validi per tutti.
3) La descrizione degli indicatori ISO è meno dettagliata di quella degli indicatori IFLA e ciò
può negativamente influenzare la loro applicazione pratica.
4) Al fine di una precisa definizione, gli indicatori ISO sono stati isolati rispetto ad altre
dimensioni rilevate, cosa che non avviene per gli indicatori IFLA in cui sono maggiormente
evidenziate le loro relazioni al fine dell’analisi dei risultati delle rilevazioni pratiche.
Le linee IFLA sottolineano poi l’utilità di procedere alla misurazione delle prestazioni in quanto
l’analisi dei soli dati statistici, che riferiscono i soli dati positivi sull’uso della biblioteca, non danno
indicazioni su quanti non ne fruiscono; essa mette in correlazione i dati agli obiettivi della
biblioteca; utilizza, oltre ai dati obiettivi, anche quelli soggettivi, quali l’opinione degli utenti sui
servizi. Qui di seguito i 17 indicatori definiti nella prima edizione delle Linee guida IFLA:
Uso della biblioteca:
1. Tasso di penetrazione (nel bacino d’utenza potenziale): utenti reali/ utenti potenziali*100
2. Orari di apertura in relazione alla domanda: ore effettive di apertura/ore di apertura desiderate dagli
utenti
Qualità della collezione
3. Grado di copertura rispetto a liste di controllo preparate da esperti: n. titoli delle liste presenti nella
collezione/n. titoli della lista*100
41
4. Uso delle raccolte (generale): n. delle transazioni d’uso dei documenti (prestiti e consultazioni)/n.
complessivo dei documenti
5. Uso delle raccolte per aree tematiche: percentuale n. transazioni d’uso dei documenti
dell’area/percentuale annua accessioni dell’area, ed anche, percentuale n. transazioni d’uso dei documenti
dell’area/percentuale di bilancio annuo speso per acquisti dell’area
6. Percentuale di documenti non utilizzati: n. documenti ammessi al prestito non richiesti/n. documenti
della collezione*100
Qualità del catalogo
7. Tasso di successo nella ricerca di un documento noto: n. titoli reperiti nel catalogo/n. totale dei
documenti del campione*100
8. Tasso di successo nella ricerca per argomento: n. titoli reperiti dall’utente/n. titoli indicizzati nel
catalogo pertinenti all’argomento*100
Disponibilità dei documenti
9. Velocità di acquisto a) titoli ordinati prima della pubblicazione: n. giorni tra data pubblicazione e data di
ricezione/n. totale dei titoli presenti nel campione;
b) titoli ordinati dopo la pubblicazione: n. giorni tra data pubblicazione e data dell’ordine = velocità di media
di ordinazione, ed anche, n. giorni tra data dell’ordine e data di ricevimento = velocità di consegna.
Velocità di media di ordinazione + velocità di consegna = velocità media di acquisto
10. Velocità nel trattamento dei documenti: n. giorni tra data arrivo del documento e data in cui è reso
disponile/n. numero totale dei documenti del campione
11. Disponibilità: generale = n. documenti disponibili per il prestito e per l’uso in sede/n. documenti
richiesti
specifica = n. documenti disponibili per il prestito/n. documenti richiesti
12. Tempo di consegna dei documenti: calcolo dei tempi medi di ogni attività di ricerca e consegna del
documento (da scaffale aperto e da magazzino)
13. Velocità di prestito interbibliotecario: calcolo dei tempi di ogni attività di ricerca e consegna del
documento
Servizi di reference
14. Tasso di risposte corrette: n. richieste corrette/n. totale delle richieste effettuate*100
Uso remoto
15. Accessi remoti pro capite: n. annuo degli accessi remoti da parte degli utenti istituzionali/n. utenti
istituzionali
Soddisfazione degli utenti
16. Soddisfazione dell’utente: somma dei punteggi assegnati alle prestazioni dagli utenti del campione/n.
delle persone del campione
17. Soddisfazione dell’utente per i servizi ad accesso remoto: somma dei punteggi assegnati alle
prestazioni dagli utenti del campione/n. delle persone del campione
Nella seconda edizione delle Linee guida, IFLA ha aumentato a 40 i 17 indicatori dell'edizione
1996, rivolgendo la propria analisi non più solamente alle biblioteche accademiche, ma
comprendendo anche quelle pubbliche.
In ambito internazionale sono stati sviluppati diversi progetti di statistiche bibliotecarie che mettono
a disposizione sul web i dati raccolti: si pensi ad esempio a LibEcon/2000, progetto condotto con il
sostegno della Commissione europea e compatibile con gli standard internazionali - a cui
partecipava anche l'Italia - che forniva un database aggiornato annualmente con dati relativi alle
attività e ai costi ad esse associati delle biblioteche di diverse tipologie di tutti i paese dell’Unione
(progetto poi abbandonato per mancanza di fondi nel 2004); all'Association of Research Libraries,
che mette in rete i dati relativi a biblioteche americane, universitarie e non, dal 1989; allo SCONUL,
che raccoglie le statistiche relative alle biblioteche accademiche inglesi. In ambito europeo sono
anche da ricordare i progetti EQLIPSE (Evaluation and Quality in Library Performance: System for
Europe), svoltosi dal 1995 al 1997 ed EQUINOX (Library Performance Measurement and Quality
Management Systems) dal 1998 al 2000, che hanno coinvolto grandi biblioteche europee.
Passando all’esperienza italiana relativa alla misurazione delle prestazioni delle biblioteche
accademiche, va rilevato come già all’inizio degli anni ’90 vi siano state esperienze di
individuazione ed applicazione di indicatori di performance condotte tuttavia da singoli atenei, che
hanno intrapreso esperienze di autovalutazione finalizzate o alla definizione di strumenti gestionali
per i servizi bibliotecari, o all’attribuzione delle risorse economiche.
Ogni realtà aveva stabilito metodologie e standard diversi mutuandole dalla letteratura di
riferimento, o creando indicatori finalizzati agli scopi della rilevazione, qualora necessari a rilevare
particolari situazioni interne.
42
Nel 1998 viene finalmente intrapresa la prima rilevazione sulle biblioteche accademiche a livello
nazionale, effettuata per conto dell'allora Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica, dal Gruppo di ricerca dell'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario,
che mediante un questionario procedette ad una rilevazione di dati aggregati di ateneo e sulle
singole biblioteche. Le università censite dall'Osservatorio erano 67 ma la valutazione è stata
effettuata sulla base dei dati trasmessi da 43 atenei statali e da 7 università private, relativamente
a 1.508 strutture di servizio bibliotecario, facenti capo a 1.108 unità amministrative. Il gruppo di
ricerca definì un insieme di misure applicabili alle realtà universitarie, che riprendeva le voci
previste dal progetto europeo LibEcon/2000 e ne aggiungeva altre specifiche per la situazione
italiana, e individuò 22 principali indicatori di prestazione. Fu predisposto un questionario che
venne sottoposto agli atenei italiani, richiedendo i dati relativi agli anni dal 1995 al 1997. La finalità
perseguita dal progetto consisteva nella ”realizzazione di una metodologia di rilevazione e di
interpretazione dei dati significativi relativi alle biblioteche universitarie, che da un lato stimoli i
singoli atenei ad una costante attività di controllo dei servizi erogati, ed allo sviluppo di specifiche
capacità di autovalutazione, da diffondersi tra gli operatori professionali - bibliotecari e non coinvolti nei processi, dall'altro consenta una valutazione esterna comparativa dei servizi
bibliotecari negli atenei italiani” (Osservatorio). Si sottolineava altresì come non sarebbe stata
praticabile l'applicazione di indicatori a realtà spesso diametralmente opposte, in considerazione
della variegata situazione organizzativa e finanziaria delle biblioteche degli atenei italiani e come
fossero irrinunciabili alcuni dati di partenza relativi a:
- contesto operativo e di funzionamento;
- caratteristiche delle strutture, loro dimensionamento, funzionalità, organizzazione;
- risorse impiegate (umane, strutturali e finanziarie) nel loro dettaglio;
- output di servizio prodotti, dalla crescita del patrimonio alle consultazioni on-line.
Nella relazione preliminare del progetto viene sottolineato inoltre come acquisisse particolare
rilevanza l'indispensabile test cui sottoporre l'insieme degli indicatori proposti presso un campione
di università, per una prima verifica applicativa del modello, nonché della effettiva acquisibilità dei
dati necessari, spesso aggregati a livello di ateneo.
Il secondo progetto nazionale Misurazione e valutazione dell'offerta bibliotecaria degli atenei
italiani è stato proposto nel maggio 2002 dal Gruppo Interuniversitario per il Monitoraggio dei
sistemi bibliotecari (GIM) al Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario
(CNVSU) e si è concluso con la stipula di una convenzione tra il MIUR e l'Università di Padova, in
qualità di capofila di un gruppo di atenei. In questa indagine le università italiane erano 77 (1.164
biblioteche su 1.345 censite) e tutte, anche se non completamente, hanno fornito dei dati richiesti.
Questa iniziativa mirava a “definire una metodologia di rilevazione dei dati riguardanti l’offerta
bibliotecaria degli atenei, a condurre una rilevazione nazionale che mettesse a disposizione dati
aggiornati e attendibili relativi all'anno 2002 e ad elaborare i dati al fine di produrre una relazione
finale sugli aspetti delle biblioteche universitarie italiane ritenuti più significativi”. Le biblioteche
sono state invitate a compilare un questionario in linea avvalendosi di un Manuale delle definizioni,
che elencava tutte le 62 misure richieste (relative al 2001), corredate di definizione e di
metodologia di rilevazione. In questa indagine è stato previsto anche un questionario dedicato al
sistema bibliotecario nel suo insieme, allo scopo di acquisire informazioni sul ruolo, le competenze
e il profilo organizzativo dei sistemi bibliotecari e delle entità di coordinamento, nonché
sull'attitudine alle misurazioni e al radicamento delle prassi valutative. Circa le attività di definizione
e la scelta degli indicatori da elaborare, gli obiettivi, i fondamenti teorici, le modalità di lavoro, e le
linee di intervento hanno avuto un carattere di continuità rispetto al lavoro del Gruppo di ricerca su
misurazione e valutazione delle biblioteche universitarie. Sono stati elaborati ed analizzati i dati e
creato un insieme di 40 indicatori sulla base di standard nazionali e internazionali. A questa
seconda indagine nazionale del 2002 ne è seguita una terza sempre condotta dal Gruppo
Interuniversitario per il Monitoraggio dei sistemi bibliotecari nel 2007 in cui è stato richiesto
l’aggiornamento dei dati al dicembre 2006. In questa rilevazione gli indicatori sono 31, di cui 29
confermati dalla prima indagine e due nuovi.
Nei primi mesi del 2009 è stato infine avviato il Laboratorio biblioteche del progetto Good Practice
2009. Si tratta di un progetto di benchmarking condotto dal Politecnico di Milano, cui aderiscono 23
atenei italiani, partito nel 2007 con la rilevazione delle performance dei servizi contabilità,
personale, servizi alla didattica, ed esteso dal 2009 all’area approvvigionamento, servizi di
43
supporto alla ricerca e biblioteche. La rilevazione 2009 verrà presentata nel prossimo mese di
dicembre e ad oggi per l’analisi delle prestazioni delle biblioteche sono stati richiesti dati relativi
all’efficacia ed efficienza oggettiva e sottoposti 12 indicatori di efficacia oggettiva e 15 indicatori di
attività. Questa rilevazione include dati circa le spese di funzionamento dell’organizzazione non
comprese nelle precedenti rilevazioni nazionali, e rapporta i dati sui costi delle biblioteche ai costi
complessivi dell’ateneo. Oltre alla rilevazione della prestazioni delle biblioteche è stata altresì
effettuata una rilevazione dell’uso dei servizi e della soddisfazione degli utenti somministrando un
questionario online a tutto il personale docente e tecnico amministrativo dell’ateneo, ed invitando
gli studenti alla compilazione di questionari distribuiti presso un campione rappresentativo di
strutture del sistema bibliotecario.
Mettendo a confronto le summenzionate esperienze nazionali sulla valutazione delle prestazioni
delle biblioteche accademiche, si può rilevare come il progetto del 1998, costituendo la prima
esperienza di applicazione di indicatori ad una realtà organizzativa in quel momento fortemente
frammentata e diversificata, e dove era scarsamente diffusa una cultura organizzativa che mirasse
ad una costante attività di controllo dei servizi erogati, o all’uso di metodologie di autovalutazione
dei processi e degli obiettivi gestionali, i risultati ottenuti risentono di varie criticità. Ad esempio per
i dati aggregati degli atenei italiani viene indicato il valore medio, i valori estremi e la mediana,
nonché le medie calcolate tuttavia su quattro fasce dimensionali, individuate basandosi sul numero
di iscritti (maggiore di 55.000, compreso tra 30 e 55.000, tra 10 e 30.000, minore di 10.000).
A parte vengono riportate le medie relative agli atenei non statali per i quali non erano disponibili i
dati relativi agli studenti-equivalenti del periodo di rilevamento richiesto. Per gli indicatori calcolati
in rapporto all’utenza si era ritenuto corretto privilegiare il numero degli studenti, espresso in
studenti-equivalenti. Per gli atenei non statali, non essendo disponibile il numero di studenti
equivalenti, si è qui utilizzato quello degli studenti iscritti in corso: per questa ragione, un confronto
tra gli indici degli atenei statali e quelli relativi agli atenei non statali non è stato affrontato, ma
rimandato ad ulteriori approfondimenti. L’applicazione degli indicatori mise in evidenza come gli
investimenti complessivi (anche se il dato venne ritenuto ampiamente al di sotto di quello reale,
stanti le difficoltà di una rilevazione esaustiva connessa all’inadeguatezza dei sistemi contabili
delle università nel tener conto della destinazione effettiva della spesa), nonché gli anni-uomo di
risorse umane dedicate in rapporto all'utenza istituzionale, reggessero sostanzialmente il confronto
con quelle impiegate in nazioni storicamente all'avanguardia nei servizi bibliotecari. Inoltre ad
investimenti consistenti corrispondevano flussi di acquisizioni librarie considerevoli, che
testimoniavano l'assoluta rilevanza e centralità del patrimonio documentario delle biblioteche
universitarie nel quadro del sistema bibliotecario nazionale.
La rilevazione sottolineava tuttavia come alle risorse impiegate sembrasse non corrispondere un
adeguato livello di servizi, sia quantitativamente sia qualitativamente e come i dati sui servizi
erogati fossero generalmente rilevati con stime approssimative, e come nel loro complesso fossero
indicativi di un basso volume di servizi di base (a partire dall'accessibilità e dal prestito) e di
un'esigua e non diffusa presenza di servizi ritenuti essenziali, quali il prestito interbibliotecario. Il
Gruppo di ricerca effettuando la valutazione comparativa dei dati rilevò che, se essa fosse stata
adottata per finanziare o promuovere innovazioni, gli obiettivi principali sarebbero dovuti essere i
miglioramenti organizzativi e la concentrazione delle risorse in strutture adeguatamente
dimensionate. Anche il sostegno al potenziamento delle tecnologie informative e degli strumenti
informatici avrebbe dovuto essere connesso a soluzioni finalizzate all’aumento dei servizi sia in
termini di efficienza che di efficacia, che avrebbero dovuto altresì favorire l’accessibilità ai
documenti, sia su supporti tradizionali che innovativi.
Qui di seguito vengono riportati i principali indicatori presentati nella relazione conclusiva del
Gruppo di ricerca che possono essere ascritti a 4 diverse aree quali accessibilità, risorse offerte,
peso della biblioteca, efficienza:
cod.
1
ind.
media
Indicatori calcolati
Punti
di
servizio/
min
median max
a
0,72
1,3
rilevata
statali
Unità 1,34
7,33
medie raggruppamenti dimensionali media
per migliaia di studenti iscritti
non
statali
>55
30-55
10-30
<10
(NB)
1,3
1,34
1,38
1,38
2,07
44
Amm.ve
Posti / Punti di servizio
35
17,11
47,23
197,5
36
35
43
54,6
75,6
St. Equiv. / Punti di servizio
321
64
407
45222
326
321
313
437
1.053
St. Equiv. / Unità Amm.ve
648
83
581
6999
428
648
431
527
2.180
I.A.3
Studenti Equiv. / Posti
0,3986111 2,28
8,91
30,92
9,05
0,3986111 7,78
8,85
13,92
I.A.1
Mq / Studenti equivalenti
0,75
0,16
0,7
2,37
0,93
0,75
0,74
0,67
0,53
I.C.5
Volumi / Studenti Equivalenti
59,1
2,2
56,6
285,6
73
59,1
44,3
68,5
74,2
5,11
1,55
5,05
14,9
4,82
5,11
6,12
7,1
n.d.
0,37
0,09
0,39
1,66
0,34
0,37
0,45
0,58
0,39
2,36
0,18
2,13
6,96
1,77
2,36
3
2,44
2,36
780
25
965
9964
576
780
1003
1295
2580
Personale in bibl./ Tot.di 9,90%
5
ateneo
Personale profess. / Pers. in 43%
6
bibl.
4,80%
9,90%
24,80%
11,90%
9,90%
10,70%
10,20%
n.d.
11%
44%
86%
45%
43%
40%
52%
n.d.
Tot. Personale / Punti di
servizio
Stud. Equiv. / Personale
interno
Stud. Equiv. / Personale
profess.
Spesa Tot. / St. Equiv. (000)
2,71
0,82
3,83
16,63
3,01
2,71
2,6
4,71
5,21
123
29
134
425
129
123
116
99
189
288
74
303
3826
286
288
288
196
n.d.
615
76
575
1579
625
615
650
919
507
221
51
227
885
203
221
284
362
137
2.948
966
3.034
10.844
2.883
2.948
3.495
3.607
n.a.
1,8
0,68
1,71
4,33
1,81
1,8
1,48
1,83
1,78
31,10%
9,30%
32,10%
51,90%
31,30%
31,10%
34,50%
31,10%
27,10%
56,00%
34,60%
52,50%
86,30%
56,60%
56,00%
51,20%
57,40%
48,10%
3
Periodici correnti / Docenti
I.C.3
Periodici correnti / St. Equiv.
I.C.6
Acquisizioni / St. Equivalenti
4
Acquisizioni / Punti di servizio
I.B.3
I.B.6
I.B.1
I.B.2
II.A.1
II.B.3
II.B.2
II.B.1
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
4
Spesa Acquisiz. / St. Equiv.
(000)
Spesa Acquisiz. / Docenti
(000)
Spesa Personale / Spesa
7
Acquis.
Spesa Acquisizioni / Spesa
Tot.
Spesa Personale / Spesa
7
Totale
8
Il codice rimanda alla classificazione degli indicatori predisposta per il Rapporto della fase A, anche se in alcuni casi si tratta di una
variante rispetto alle definizioni
I volumi comprendono solamente libri e periodici, escludendo altre tipologie pur rilevate (manoscritti, audiovisivi, microformati, ecc.)
Le acquisizioni sono considerate come media degli anni 95 e 96, calcolando la differenza del posseduto di libri e periodici
Il personale in biblioteca è il totale delle risorse umane rilevate espresso in FTE; il totale del personale di ateneo è espresso in anni
uomo e ricavato dai dati CINECA
Il personale professionale è conteggiato come somma degli addetti dell’area delle biblioteche, a partire dal V livello
La spesa per il personale è limitata al personale interno, e calcolata in base ai costi medi per livello, di fonte CINECA
Non sono qui considerati i valori di tre atenei che paiono essere frutto di limiti nella rilevazione
Nella rilevazione GIM del 2002 al fine di conseguire una valutazione globale ed equilibrata dei vari
aspetti che caratterizzano le biblioteche e i sistemi bibliotecari di ateneo, sono state definite 5 aree
di interesse cui sono stati ascritti i 40 indicatori adottati: Le aree individuate erano: ”accessibilità”,
“efficienza/produttività/economicità”, “peso delle biblioteche in ateneo” e “vitalità del
patrimonio/offerta risorse”. Viene poi specificato quali indicatori devono essere ascritti alle 5 aree:
Accessibilità: deve comprendere indicatori relativi alla facilità di accesso alle strutture fisiche, alla
disponibilità degli spazi, all'accesso diretto ai documenti da parte degli utenti.
Efficacia, fruibilità, innovazione: deve comprendere indicatori fortemente orientati ai servizi agli
utenti, con particolare attenzione all'impiego delle risorse tecnologiche in favore degli utenti stessi.
Efficienza, produttività, economicità: deve comprendere indicatori di tipo strettamente
economico che permettano di valutare l'oculatezza della gestione delle biblioteche e dei sistemi
bibliotecari d'ateneo in termini di rapporto costi/benefici. Tali indicatori possono includere elementi
riferiti alle risorse umane, in termini di FTE, oltre che finanziarie.
Peso delle biblioteche in ateneo: deve comprendere indicatori che permettano di valutare
l'impatto organizzativo-gestionale delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari all'interno di
un'organizzazione complessa come l'università.
Vitalità del patrimonio, offerta risorse: deve comprendere indicatori orientati alla valutazione
della biblioteca intesa nella sua globalità, come offerta di servizi agli utenti e politica delle collezioni
45
tradizionali e digitali, in un'ottica dinamica di risposta alle attese e anticipazione delle esigenze
degli utenti, secondo criteri di miglioramento continuo della qualità.
La distribuzione degli indicatori nelle aree rivela un certo equilibrio, fatta eccezione per l'area "peso
delle biblioteche in ateneo", e dove 4 su 5 degli indicatori ad essa attribuiti sono stati proposti da
GIM e non hanno equivalenti in letteratura.
Anche in considerazione dei risultati rilevati dalla indagine del ’98, con l’area “peso delle
biblioteche in ateneo” si era ritenuto necessario approfondire aspetti più strettamente legati alle
scelte organizzative degli atenei sulle biblioteche per comprendere la politica bibliotecaria delle
università italiane e le sue linee di tendenza. Tutti gli indicatori relativi a quest'area sono ritenuti
significativi solo a livello di sistemi bibliotecari d'ateneo. Si riportano qui di seguito i 40 indicatori di
performance prescelti per l’indagine nazionale del 2002:
Nell'area “peso delle biblioteche in ateneo” sono stati individuati 5 indicatori:
n.
26
27
28
29
30
Nome indicatore
Personale FTE delle biblioteche / totale personale dell'ateneo * 100
Superficie totale delle biblioteche / totale superficie dell'ateneo * 100
Spesa totale per le biblioteche / spese complessive dell'ateneo * 100
EP area delle biblioteche / totale del personale area delle biblioteche * 100
Presenza di un bilancio autonomo del sistema bibliotecario d'ateneo
Nell'area "accessibilità" sono stati individuati 8 indicatori:
n.
1
2
3
4
5
6
7
8
Nome indicatore
Media delle ore di apertura settimanale
Superficie totale / utenti potenziali
Superficie accessibile al pubblico / superficie totale *100
Posti di lettura / utenti potenziali
Metri lineari a scaffale aperto occupati dai materiali / utenti potenziali
Metri lineari totali a scaffale aperto / metri lineari totali di scaffalatura * 100
Unità amministrative
Punti di servizio / unità amministrative
Nell'area "efficacia/fruibilità/innovazione" sono stati individuati 9 indicatori:
n.
9
10
11
12
13
14
15
16
17
Nome indicatore
Personal computer destinati al pubblico / utenti potenziali
Personal computer destinati al pubblico / posti di lettura * 100
Prestiti+ prestiti interbibliotecari passivi + document delivery passivi / utenti potenziali
Prestiti interbibliotecari attivi + document delivery attivi / prestiti interbibliotecari totali +
document delivery totali
Partecipanti ai corsi di formazione / studenti iscritti * 100
Prestiti interbibliotecari passivi + document delivery passivi / prestiti * 100
Accessi a banche dati / utenti potenziali
Ore di formazione per l'utenza / utenti potenziali
Inventari in OPAC / patrimonio documentario * 100
Nell'area “efficienza, produttività, economicità " sono stati individuati 8 indicatori:
n.
18
19
20
21
22
23
24
25
Nome indicatore
Spese della biblioteca per risorse bibliografiche / utenti potenziali
Spese della biblioteca per i periodici (cartacei + elettronici) / spese della biblioteca per
risorse bibliografiche * 100
Spese per risorse elettroniche / spese per risorse bibliografiche * 100
Spese totali della biblioteca / utenti potenziali
Spese della biblioteca per il personale / spese totali della biblioteca * 100
Prestiti + prestiti interbibliotecari totali + document delivery totali / personale FTE
Acquisizioni / personale FTE
Patrimonio documentario / personale FTE
Nell'area “vitalità del patrimonio, offerta risorse” sono stati individuati 10 indicatori:
n.
31
32
33
34
Nome indicatore
Utenti potenziali / personale FTE
Personale professionalizzato FTE (personale = o > cat. C dell'area delle biblioteche +
personale non dipendente professionalizzato) / personale FTE * 100
Personale FTE / punti di servizio
Docenti e ricercatori / personale professionalizzato FTE (personale = o > cat. C dell'area
delle biblioteche + personale non dipendente professionalizzato)
46
35
36
37
38
39
40
Patrimonio documentario / utenti potenziali
Periodici elettronici + Periodici cartacei: abbonamenti / docenti e ricercatori
Acquisizioni / utenti potenziali
Periodici elettronici / periodici totali correnti (elettronici + abbonamenti cartacei) * 100
Spese della biblioteca per risorse bibliografiche / spese totali della biblioteca * 100
Prestiti + prestiti interbibliotecari attivi + document delivery attivi / patrimonio documentario
Veniva poi sottolineato come il set di indicatori prescelti risentiva di una impostazione piuttosto
tradizionale che non teneva in debito conto della rapida evoluzione della tecnologia nella direzione
di prodotti digitali, che necessitano di adeguati strumenti di misurazione e valutazione.
Nella rilevazione condotta dal GIM nel 2007 è stata effettuata una revisione degli indicatori, che ha
portato alla modificazione di alcuni, alla eliminazione di altri e all’inserimento di due nuovi e alla
riduzione a 31 indicatori. Per facilitarne la lettura, gli indicatori sono stati divisi in 5 nuove aree, che
in parte ricalcano quelle dell’indagine del 2002 e che sono: “struttura”, “fruibilità”, “efficacia”,
“efficienza” ed un raggruppamento “descrittivo”. I cinque indicatori dell’area “struttura”
corrispondono a quelli della precedente “peso della biblioteca in ateneo”. In quest’area sono stati
modificati l’indicatore 29 modificato in “PTA EP area biblioteche / PTA EP ateneo”, ed il 30
modificato in “organizzazione SBA”. L’area di “fruibilità” raccoglie 8 indicatori che hanno lo scopo di
valutare l’offerta bibliotecaria in termini di accessibilità e fruibilità degli spazi e delle raccolte
bibliografiche e ricompone in quest’area indicatori che nella precedente indagine erano ascritti alle
aree "accessibilità" (1, 3 e 6), "efficacia/fruibilità/innovazione" (10, 17) ed “efficienza, produttività,
economicità" (20,38,40). L’area di “efficacia” raccoglie 8 indicatori che valutano l’offerta in termini
di spazi, collezioni, risorse finanziarie, utilizzo del patrimonio, servizi avanzati di formazione per gli
utenti e ricompone in quest’area indicatori che nella precedente indagine erano ascritti alle aree
"peso delle biblioteche in ateneo" (4), "efficacia/fruibilità/innovazione" (11,13,15,16), “efficienza,
produttività, economicità" (18,35) e viene inserito un nuovo indicatore n. 41 “superficie accessibile
al pubblico / utenti potenziali”, che ha lo scopo di verificare l’adeguatezza degli spazi destinati agli
utenti e all’erogazione dei servizi. L’area di “efficienza” raccoglie 5 indicatori che valutano
l’efficienza delle biblioteche, i carichi di lavoro e la produttività del personale, nonché l’investimento
degli atenei in risorse umane e ricompone in quest’area indicatori che nella precedente indagine
erano ascritti alle aree “efficienza, produttività, economicità " (22,23,24), “vitalità del patrimonio,
offerta risorse” (31) e viene inserito un nuovo indicatore n. 42 “(posti a sedere * ore di apertura) /
spese per PTA” che dà una misura del costo dell’offerta di servizi di base – apertura della
biblioteca e posti di lettura – al pubblico in rapporto alla spesa per il personale (solo quello
dipendente). Infine, l’area “descrittiva”, non presente nella rilevazione 2002, raccoglie 5 indicatori
che, pur illustrando aspetti rilevanti dei sistemi bibliotecari, non hanno un univoco senso di lettura e
quindi non possono essere utilizzati per la stesura di una graduatoria. Sono però utili per raffinare
l’analisi descrittiva. In questa nuova area vengono ricomposti indicatori che nella precedente
indagine erano ascritti alle aree "accessibilità" (7,8) e “efficienza, produttività, economicità "
(19,33,39). Si ritiene che la distribuzione degli indicatori dell’indagine 2007, ed anche la
delimitazione dei punti di rilevazione delle 5 nuove aree definite possa contribuire ad enucleare in
modo più chiaro i fattori maggiormente determinanti l’efficacia e l’efficienza dei servizi delle
biblioteche che, come è stato chiarito nelle rilevazioni precedentemente condotte, sono risultati
punti di criticità delle prestazioni delle biblioteche accademiche.
Rispetto alla indagine del ’98, le indagini GIM consentono poi maggiori prospettive di valutazioni
delle performance ampliando da un lato la mappatura di servizi erogati all’utenza e misurando
anche una più ampia gamma di risorse documentarie e tecnologiche che favoriscono l’accessibilità
alle risorse informative con il conseguente aumento delle transazioni nei servizi erogati. Anche la
dimensione dell’”efficienza” risulta più articolata e spalmata su una maggiore categoria di servizi al
pubblico, consentendo anche per quest’area di performance di avere a disposizioni maggiori
elementi di valutazione. Vale anche la pena segnalare come per il calcolo del valore degli indicatori
rispetto all’indagine del ’98 siano state adottate diverse tecniche statistiche. Il GIM aveva infatti
rilevato come i principali problemi che si sono posti dopo la compilazione degli indicatori erano di
duplice natura: “da un lato la difficoltà di leggere i posizionamenti degli Atenei sugli indicatori, in
quanto eventuali confronti valutativi non potevano prescindere dalle diversità strutturali a volte
troppo consistenti tra gli atenei, dall’altro la scelta ragionata di considerare molti indicatori che
rappresentassero aspetti diversi e specifici della vita delle biblioteche ha paradossalmente confuso
47
il quadro informativo risaltando la necessità di una semplificazione. Quindi si è riscontrata sia
un’esigenza di classificazione che una necessità di sintesi” (Catinella, Girardi, Ventura) che si è
tradotta nella adozione di tecniche statistiche quali la cluster analysis1 e l’analisi fattoriale2, di
modelli di regressione lineare3 per l’imputazione dei dati mancanti parziali, e del metodo hot-deck4
per l’imputazione dei dati mancanti.
In relazione al Laboratorio biblioteche del progetto Good Practice 2009, si può rilevare come siano
state definite 3 aree di interesse, articolate a loro volta in due livelli di valutazione, quella dei
“servizi diretti” e quella delle “risorse bibliografiche”, cui sono stati ascritti i 12 indicatori di efficacia
oggettiva. Le aree di questi indicatori sono “disponibilità” (3 indicatori per i servizi diretti e 3
indicatori per le risorse bibliografiche); “accessibilità” (1 indicatore per i servizi diretti e 1 indicatore
per le risorse bibliografiche); “partecipazione” (1 indicatore per i servizi diretti ed 1 indicatore per le
risorse bibliografiche); “rinnovamento” (1 indicatore per i servizi diretti ed 1 indicatore per le risorse
bibliografiche). Per quanto concerne gli indicatori di attività, essi sono relativi alle 17 sotto-attività
individuate nel modello, per le quali era necessario indicare la percentuale di tempo lavorativo
dedicato da ogni unità di personale della struttura. Le sotto-attività individuate sono: 1)gestione
monografie; 2)gestione periodici; 3)gestione risorse elettroniche; 4)catalogazione tesi; 5)prestito
agli utenti; 6)reference strutturata; 7)prestito interbibliotecario attivo e passivo; 8)document delivery
attivo e passivo; 9)formazione all’utenza; 10)gestione web; 11)gestione infrastruttura (postazioni);
12)gestione help desk sistema automazione; 13)gestione amministrativa; 14)gestione progetti di
innovazione; 15)presidio e gestione della sala; 16)altre attività; 17)attività extra. I 15 indicatori di
attività sono stati ascritti tuttavia a 10 delle sotto-attività come segue:
n. Descrizione
Unità misura
1
n° inventari (acquisti, scambi, doni e depositi)
n°
2
n° titoli attivi (inclusi doni e scambi)
n°
3
patrimonio on line disponibile
n°
4
n° tesi catalogate
n°
5
n° prestiti a domicilio + rinnovi (proroghe)
n°
6
n° ore di reference strutturata su appuntamento
n°
7
n° ILL attivo
n°
8
n° ILL passivo
n°
9
n° DD attivo
n°
Attività monitorata
1-gestione monografie
2- gestione periodici
10 n° DD passivo
n°
11 n° ore di formazione
n°
12 n° utenti formati
n°
13 n° postazioni utente gestite (no operatore)
n°
14 budget gestito direttamente
migliaia Euro
15 budget gestito indirettamente
migliaia Euro
3- gestione risorse elettroniche
4- catalogazione tesi
5- prestito utenti
6- reference strutturata
7- ILL attivo e passivo
7- ILL attivo e passivo
8- DD attivo e passivo
8- DD attivo e passivo
9- formazione all’utenza
9- formazione all’utenza
11- gestione infrastruttura
13- gestione amministrativa
13- gestione amministrativa
In attesa della presentazione dei risultati di questa analisi, si può rilevare come, rispetto alle due
indagini GIM, si sia proceduto ad una riduzione del numero complessivo degli indicatori prescelti
(27), si sia dato maggior peso alla rilevazione delle prestazioni connesse alla erogazione dei
servizi diretti ed alle risorse disponibili, nonché alla valutazione dell’efficienza nella loro attuazione,
prospettive certamente connesse alle criticità certamente individuali in tutti gli atenei e relativi alla
diminuzione delle risorse economiche disponibili ed alla vincolo della erogazione dei fondi di
funzionamento ordinario ai tetti di spesa per le risorse umane. Si segnala infine come in questa
rilevazione siano stati adottati 10 indicatori presenti nelle rilevazioni del GIM (2 in GP “superficie
accessibile al pubblico/utenti potenziali”; 3; 4 in GP rapporto invertito rispetto a GIM; 10; 11; 13;
17; 18; 35; 38).
48
Dall’analisi complessiva dei tre progetti di rilevazione nazionale sulle performance delle biblioteche
accademiche italiane si può certamente sottolineare come esse rappresentino un’encomiabile e
riuscita applicazione di metodologie e standard per la misurazione delle prestazioni, che risentono
di fattori di criticità relative alla frammentazione e varietà delle strutture organizzative dei sistemi
bibliotecari, nonché dei diversi dimensionamenti degli atenei quanto a risorse e bacino d’utenza,
che hanno indotto l’adozione di metodologie statistiche adeguate a creare dimensionamenti
confrontabili. Queste indagini si ritiene offrano un proficuo contributo nella direzione dell’adozione
di strumenti di pianificazione di obiettivi di miglioramento a breve e lungo termine, di strategie
gestionali user-oriented, di metodologie per la valutazione ed il controllo della qualità dei servizi
offerti dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza, il tutto nella direzione dello sviluppo di una
cultura organizzativa basata sulla pianificazione dei propri obiettivi di miglioramento, su un oculato
impiego delle risorse pubbliche e sull’orientamento all’utente. Come detto in precedenza, un limite
delle tre analisi nazionali illustrate è quello di avere rilevato la qualità erogata senza introdurre
contestualmente strumenti di rilevazione della qualità percepita, aspetto invece non trascurato dal
Laboratorio biblioteche del progetto Good Practice 2009.
In questa direzione, si ritiene che il modello della Balanced scorecard (Kaplan e Norton, 1992), il
cui proficuo utilizzo è stato sperimentato nel 2001 riorientato per l’uso della biblioteca dalle
biblioteche Universitaria Regionale di Muenster, Statale della Baviera e Universitaria statale di
Brema possa costituire un utile strumento per le biblioteche, non solo perché esso pone in
evidenza la relazione di causa ed effetto delle 4 prospettive rispetto alle quali effettuare la
pianificazione, misurazione e valutazione dei propri obiettivi di miglioramento (ovvero delle criticità
che ne impediscono il conseguimento), ma perché nei modelli precedenti si tendeva a porre
maggiore attenzione agli aspetti finanziari, mentre gli ideatori del modello chiarirono che vi sono tre
tipi di beni intangibili nella prospettiva dell’innovazione e dell’apprendimento essenziali per attuare
una strategia di attività:
•
•
•
il capitale umano: le competenze, abilità e conoscenze che possiedono gli addetti di
un’organizzazione;
il capitale informativo: i database, il sistema informativo, le reti e le infrastrutture
tecnologiche;
il capitale dell’organizzazione: la cultura dell’organizzazione, la sua leadership, quanto i
suoi componenti sono allineati con gli obiettivi strategici e la capacità degli addetti di
condividere le conoscenze.
49
Le quattro prospettive del modello Balanced Scorecard (Kaplan e Norton, 1992)
Prospettiva finanziaria
Obiettivi-Misurazioni
Prospettiva dei
processi interni
Prospettiva dell’utente
Obiettivi-Misurazioni
Obiettivi-Misurazioni
Prospettiva
dell’innovazione e
dell’apprendimento
Obiettivi-Misurazioni
Kaplan ha rilevato la difficoltà per le organizzazioni no-profit di definire i propri obiettivi strategici e
come in genere mission e vision vengano articolate come una serie di iniziative e di programmi
piuttosto che come obiettivi che l’organizzazione desidera raggiungere. Generalmente queste
organizzazioni implementano un sistema di misurazione delle performance come misurazione del
progresso raggiunto rispetto ai risultati delle loro iniziative. Tuttavia le iniziative devono esistere
unicamente per aiutare l’organizzazione a raggiungere i propri obiettivi strategici. La pianificazione
strategica ed il sistema di misurazione delle performance dovrebbero focalizzarsi sui risultati che
l’organizzazione intende raggiungere, non sui programmi e le iniziative che ha messo in atto.
50
Modello del Balanced Scorecard riorientato adattato dalle biblioteche Universitaria Regionale di
Muenster, Statale della Baviera e Universitaria statale di Brema per l’applicazione nelle biblioteche
(2001)
UTENTE
Raggiungiamo le
aspettative degli utenti?
indicatori- valore attualevalore da raggiungeremisurazione
FINANZE
Come possiamo allocare
risorse in una maniera
efficace?
indicatori-valore attualevalore da raggiungeremisurazione
Prodotti della
biblioteca
PROCESSI
Come organizzare i
nostri processi per
raggiungere le
aspettative degli utenti?
indicatori- valore attualevalore da raggiungeremisurazione
POTENZIALE
Come garantiamo
l’adeguatezza nel futuro?
indicatori- valore attualevalore da raggiungeremisurazione
Come detto, il modello consente di visualizzare le relazioni di causa ed effetto tra i valori da
raggiungere, la valutazione dei dati e le azioni intraprese. Limitando il numero dei punteggi della
carta ciò induce a decidere cosa sia veramente importante e ad identificare quei numeri che
realmente fanno la differenza. Nell’applicazione del modello della Balanced Scorecard delle
biblioteche tedesche è stata messa al primo posto la prospettiva dell’utente e all’ultimo quella
finanziaria: la ragione consiste nel fatto che se anche le biblioteche non devono realizzare un
profitto, devono corrispondere alle aspettative dei loro utenti
51
Gli indicatori di performance applicati nella prospettiva di questo modello sono i seguenti:
Prospettiva
UTENTE
PROCESSI
POTENZIALE
FINANZIARIA
Indicatori di performance
Percentuale raggiunta del gruppo di riferimento (percentuale degli utenti registrati ai
servizi della biblioteca nel gruppo di utenza primaria)
Quota della customer satisfaction
Criterio delle ore di apertura rispetto alla richiesta
Incidenza d’uso per membro del gruppo di utenza primaria
Quota di disponibilità (rapporto tra i prestiti immediati sul totale dei prestiti)
Proporzione del gruppo di utenza primaria che usa i servizi elettronici della biblioteca
Proporzione degli accessi remoti ai servizi elettronici della biblioteca sul totale degli
accessi
Produttività dello staff: processi gestiti per persona annualmente
Calcolo della media dei tempi dei processi intermedi (dal ricevimento alla disponibilità)
Il numero delle fasi coinvolte nella fornitura dell’unità di prodotto (per ogni servizio della
biblioteca)
Il rapporto dei costi dello staff
per la gestione dei servizi elettronici e
l’approvvigionamento di media elettronici
Il rapporto tra costi dello staff per la gestione di servizi tradizionali e
l’approvvigionamento di media a stampa
Quota del budget della biblioteca rispetto al budget complessivo dell’università o
dell’istituzione finanziatrice
Quota delle spese per tecnologie dell’informazione e della comunicazione
Numero di ore di formazione interna per persona (per area di servizio)
Numero di brevi periodi di malattia per persona
Costo procapite della biblioteca per il gruppo di utenza primaria
Costo della biblioteca per ogni caso di utilizzo
Rapporto tra il budget per prodotti multimediali ed il budget per lo staff
Proporzione tra i costi dello staff per i servizi della biblioteca ed il costo totale dello staff
Proporzione delle spese per risorse elettroniche sul totale del budget per prodotti
multimediali
Il modello è stato applicato anche in biblioteche accademiche statunitensi (es. Università della
Virginia e della California del Sud alla Roussier School of Education), nonché in molte biblioteche
australiane (es. Università di Monash). Anche per l’applicazione di questo modello di misurazione
occorre preventivamente valutare l’impatto sulla biblioteca in considerazione delle risorse umane e
di tempo disponibili.
Note
1 sotto il termine di cluster analysis si accorpano varie tecniche statistiche volte a riunire le unità costituenti
un certo insieme in gruppi omogenei rispetto a delle caratteristiche possedute da ciascuna delle unità
dell’insieme dato. Gli scopi di questa operazione, nota con il nome di classificazione, sono quelli di
individuare un numero limitato di gruppi (cluster) più o meno omogenei rispetto ad un certo
numero di caratteristiche, ossia definiti in modo tale che gli elementi appartenenti allo stesso gruppo risultino
molto simili tra loro, mentre quelli appartenenti a gruppi distinti risultino tra loro molto diversi.
2 un metodo statistico che si propone di individuare le dimensioni fondamentali del campo descritto da tutte
le variabili considerate. Si tratta, ossia, di verificare in che misura ciascuna delle variabili considerate
costituisca una ripetizione della descrizione effettuata da tutte le altre variabili e, quindi, se esista la
possibilità di raggiungere la stessa efficacia descrittiva con un numero minore di variabili non osservate,
dette fattori.
3 si tratta di imputare un valore mancante deducendolo, secondo un modello statistico, dagli altri valori
espressi.
4 consiste nel sostituire al valore mancante il valore osservato in un rispondente, detto donatore, scelto
casualmente all’interno di un gruppo di unità con caratteristiche simili all’unità portatrice della mancata
risposta.
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Politiche di marchio negli istituti culturali (Paola D’Alena)
“La prima cosa che va riconosciuta quando si parla di marchi, è che essi non sono soltanto nomi,
termini, simboli, disegni o combinazioni di essi, anche se è vero che questi elementi possono
differenziare certi prodotti ed aziende da altri. L’ingrediente aggiuntivo che fa di un marchio un
marchio di successo è la personalità”
Paul Temporal
Diverse definizioni per “marchio” più o meno tecniche e precise ma tutte fanno comunque
riferimento al significato originario della parola che si rifà alla pratica di marchiare a fuoco gli
animali. Il significato oggi diamo a questa parola non è così lontano dalle sue origini: il senso di
riconoscibilità e distinzione è il medesimo.
Oggi il significato si è allargato ad un livello immateriale andando ad icludere le funzioni di
garanzia di qualità, di evocazione di uno stile di vita, di concetti e valori.
Il marchio è un riassunto, ha una storia e una voce.
Se dico “Guggenheim”, “MoMA” o “Uffizi” so di cosa parlo, so cosa aspettarmi. Il valore di questi
marchi sta nella capacità, o potenzialità, di rispettare queste attese favorendo la fidelizzazione e
quindi la generazione di proventi stabili.
Nel senso comune il concetto di “marchio” viene collegato direttamente all’ambito commerciale e
dei servizi perchè è da quì che è partito il suo studio e la sua applicazione ed è in questi campi che
fino ad ora ha raggiunto i migliori risultati declinandosi in diversi significati e applicazioni.
Ma è possibile, è lecito, applicare questo ragionamento all’ambito culturale? E se si, come?
Secondo una letteratura già presente, anche se non ancora molto sviluppata, e secondo il mio
parere oltre che rispondere affermativamente alle prime questioni, l’applicazione di questi
ragionamenti nella gestione degli istituti culturali e dei musei in particolar modo, risulta, oggi,
necessario se non indispensabile.
Oggigiorno un istituto, sia esso fondazione o museo, non è più il solo modo attraverso il quale si
può fare esperienza di cultura non foss’altro che per il concetto stesso di cultura che si è ampliato
andando ad includere tutte le testimonianze di civiltà e di vita del’uomo: dalla definizione stessa di
bene culturale data dal Codice dei Beni Culturali possiamo notare come il termine cultura e il
relativo aggettivo possano essere equiparati al termine heritage, patrimonio.
È cambiato il modo di approcciarsi anche agli spazi culturali, ora sono diventati luoghi permeabili
dove vivere ed incontrarsi. Pensiamo al luogo, almeno nella cultura europea, che per definizione
invita all’incontro: la piazza. In questo senso diversi sono gli esempi che ci dimostrano come un
luogo dove si fa cultura abbia inglobato in se questa funzione: il Parco della Musica a Roma e la
nuova piazza coperta della Tate Gallery a Londra.
Ecco quindi che un istituto culturale si trova, nell’epoca della globalizzazione, a dover competere
per attrarre nuovi visitatori, nuovi sponsor rispettando regole che sono comuni alle marche
commerciali. Unicità, differenza e valori devono essere dichiarati in modo chiaro, netto e ogni
aspetto organizzativo concorre a questo: dalla chiarezza delle insegne alla cura degli spazi, dalla
competenza e cortesia del personale alla qualità dei servizi offerti. Il marchio acquisisce valore
attraverso tutte le sfere sensoriali e canali di contatto.
Anzi, in ambito culturale, il marchio acquisisce una marcia in più rispetto al suo significato comune,
un valore aggiunto simbolico composto da una serie di valori positivi quali l’espressione del genio
creativo, la bellezza, la testimonianza dell’heritage, la riflessione sui grandi temi dell’umanità tipica
dell’arte e l’universalità del suo messaggio ma anche in taluni casi, l’elevato valore monetario e,
come nell’arte contemporanea, la complessità elitaria del linguaggio.
E di questa luce riflessa bisogna rendersi conto al fine di usarla a proprio favore. Diversi sono
infatti i marchi tipicamente commerciali che si accostano alla cultura per nobilitare la propria
immagine, pensiamo alle case di moda che creano istituzioni culturali (Fondazione Prada o
Trussardi) o aziende storiche che realizzando il proprio museo ( Museo Ferragamo, Museo
Ferrari).
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Il passo che secondo me bisogna fare ora è quello inverso: se il mondo commerciale sente la
necessità di “ripulirsi” è bene che il mondo culturale usi questa occasione a proprio vantaggio
abbandonando la filosofia “del cappello in mano”.
In questa tesi, tuttavia, la mia volontà non è quella di analizzare le modalità secondo le quali
programmare una strategia per la costruzione del marchio in ambito culturale.
In queste pagine ricercherò in quali ambiti un istituto culturale, sia esso fondazione, museo
pubblico o privato, può ottenere maggiori profitti attraverso lo sfruttamento del proprio marchio. Per
spiegare in modo più efficace e chiaro questi concetti farò riferimento per lo più alla realtà
statunitense ben conscia della diversità legislativa e mentale nell’ambito della gestione dei beni
culturali.
In questo campo gli Stati Uniti sono i primi, a noi sta la scelta se considerarli unici o apripista.
I canali attraverso i quali un istituto culturale può sfruttare il proprio patrimonio immateriale al fine di
avere maggiori risorse e maggiore autonomia sono quindi :
1. l’estensione del marchio.
2. attività di licensing.
3. attività di merchandising.
4. sponsoring e reverse sponsoring.
5. l’accostamento di più marchi.
6. il franchising.
7. Il valore economico che i beni rivelano nel momento della loro vendita.
8. sistema di membership.
9. introiti derivanti dall’affitto degli spazi .
1. L’estensione del marchio
Con l’estensione del marchio il titolare di questo decide di sfruttare la capacità di attrarre il pubblico
ampliando ad altri settori la propria attività.
In ambito culturale alcuni esempi possono essere il Guggenheim Shop di Venezia, da non
confondersi con il bookshop interno al museo, la Guggenheim Cafeteria di New York o le varie
attività commerciali, 465 cira, che il National Trust inglese ha dislocato in tutto il territorio
nazionale.
Certo, il presupposto che sta alla base di un risultato positivo di queste iniziative è la coerenza che
queste devono avere con i valori che stanno alla base del successo del marchio in questione
altrimenti il rischio è la dispersione di questo valore aggiunto.
In ambito italiano un museo come gli Uffizi universalmente noto e rispettato avrebbe, in potenza, le
capacità per sostenere iniziative del genere.
2. attività di licensing
Attraverso una procedura di licensing il titolare di un marchio, un simbolo, una firma, ecc.
autorizza, da in “affitto”, un terzo ad utilizzare il medesimo per contraddistinguere la produzione e
realizzazione di prodotti e servizi simili a quelli già esistenti.
Per realizzare ciò è necessario innanzitutto che la proprietà intellettuale sia ben definita e protetta.
Avremmo quindi un accordo tra “licenzianti”, ovvero i proprietari o gli agenti ai quali la proprietà
(intellettuale) è affidata, e “licenziatari” che sono coloro che affittano tale proprietà. Questo accordo
deve essere ben definito in tutti i sui termini di validità compreso le royalties ossia la
remunerazione per il licenziante che si calcola in base percentuale sulla vendita dei prodotti, o
servizi, soggetti all’accordo di licenza, somme fisse, pagate anche su base periodica o la
combinazione tra queste due opportunità.
Elemento necessario perchè questo accordo sussista è il valore e la qualità della proprietà
intellettuale che determina il peso contrattuale di licenziatari e licenzianti.
Esempio di un accordo di l. potrebbe essere quello di un museo che concede in licenza il proprio
marchio per l’apertura di un altro museo con il medesimo nome.
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3. Il merchandising
Il merchandising ha caratteristiche comuni sia all’attività di licensing che all’estensione del marchio.
A differenza del primo il m. presuppone la realizzazione di oggetti e servizi diversi rispetto quelli
tipici dell’istituzione culturale mentre rispetto all’estensione del marchio il m. presuppone che il
titolare permetta ad un terzo di usare il marchio in un settore diverso da quello originario e per il
quale esso è noto.
In ambito museale, per merchandising, si intendono, per lo più, tutti quegli oggetti e gadget che
riportano il logo del museo e che vengono messi in vendita per lo più all’interno dei bookshop.
Siamo quindi in presenza di prodotti che si discostano da quelli tipici dell’istituzione ma sui quali
viene apposto il medesimo nome.
Anche in questo caso, come nell’estensione del marchio, il pericolo è quello dell’accostamento a
prodotti i cui valori risultano in contrasto con quelli originari e sui quali esso si basa. Tuttavia la
pratica del m. trova dei vantaggi nel momento in cui il rischio d‘impresa non è a carico
dell’istituzione culturale ma è responsabilità dell’azienda terza.
Questa pratica, almeno in Italia, viene però sfruttata poco e male. Il m. è pressochè l’unica attività
attraverso il quale si sfrutta il proprio marchio, che in questo caso è più corretto chiamare logo, e ci
si limita alla mera produzione di souvenir, matite e quaderni, borse o magliette. Perchè non fare
leva anche sulle capacità artistiche e culturali degli artigiani italiani? Creare un legame tra
artigianato locale e oggettistica museale per fare in modo che chi acquista si senta ancora più
immerso e partecipe del lifestyle proposto dall’istituzione in questione. Un oggetto di artigianato
fiorentino acquistato nella Galleria degli Uffizi assume in sé valori nobili e antichi come un oggetto
di design del MoMA ha garanzia di modernità, qualità e ricerca stilistica.
4. sponsoring e reverse-sponsoring
Per contratto di sponsorizzazione si intende un contratto atipico a prestazioni corrispettive con
funzioni di pubblicità. In ambito culturale avviene solitamente che un’impresa commerciale
(sponsor) stipuli un accordo con un’istituzione culturale (sponsee) con lo scopo di sostenere le
attività di quest’ultima ottenendo i cambio uno spazio pubblicitario come ad esempio l’inserimento
del proprio logo nel materiale di comunicazione dell’istituzione sponsorizzata.
Ma l’importanza di questa attività non è data dalla grandezzo dello spazio pubblicitario ma dal
mero accostamento dei loghi di sponsor e sposee. Ecco quindi che si rivela l’importanza del
marchio dell’istituto culturale: lo sponsor comunica ai propri clienti che sostiene i valori di
quest’ultimo nobilitando per così dire le proprie attività.
Per reverse-sponsoring si intende invece la possibilità dello sponsor di utilizzare il logo dello
sponsee nell’ambito della propria comunicazione e questo aspetto ha un’importanza, per quanto ci
riguarda, superiore allo sponsoring tradizionale: il pubblico al quale viene comunicato il marchio
dell’istituto culturale sponsorizzato è estraneo a quest’ultimo con l’effetto di un aumento del bacino
di potenziali visitatori.
Come già accennato l’attenzione nello scegliere da chi farsi sponsorizzare deve essere massima
pena la perdita di credibilità.
A questi ambito si riferisce l’attività di fundraising che piano piano sta prendendo piede anche in
Italia anche se con una connotazione di svalutazione nei confronti dell’istituto culturale che si
ritrova a chiedere sostegno e finanziamenti. Il punto di vista deve essere rovesciato: io, museo o
fondazione, offro a te, azienda, il mio prestigio in cambio di un contributo alle mie attività. Ma
questo è un percorso tanto facile da pensare quanto difficile da intraprendere.
Questi concetti sono stati recepiti dal codice per i beni culturali e paesaggistici del 2004 nel quale
si prevede infatti la possibilità di sponsorizzazione i beni culturali da parte di soggetti privati per
quanto riguarda la tutela, la valorizzazione del patrimonio culturale. La promozione avviene quindi
attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto
all'iniziativa oggetto del contributo.
L’articolo n. 120 del Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici recita infatti:
1. E’ sponsorizzazione dei beni culturali ogno contributo, anche in beni o servizi, erogato per la
progettazione o l’attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del
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patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il
prodotto dell’attività del soggetto erogante. Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative
del Ministero, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonchè di altri soggetti pubblici o di
persone giuridiche private senza fine di lucro, ovvero iniziative di soggetti privati su beni culturali di
loro proprietà. La verifica della compatibilità di dette iniziative con le esigenze della tutela è
effettuata dal Ministero in conformità alla disposizioni del presente codice.
2. La promozione di cui il comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio,
dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili
con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare,
da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione.
3. Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo
nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui
il contributo si riferisce.
La caratteristica più originale della sponsorizzazione rispetto alla pubblicità tradizionale è proprio
data dall'uso indiretto del messaggio pubblicitario; quest'ultimo viene, infatti, a essere inserito in un
diverso e autonomo evento, utilizzato per valorizzare e accrescere la conoscenza dell'impresa
sponsorizzata.
Per altro verso le differenze tra la pubblicità e la sponsorizzazione si basano esclusivamente sul
diverso metodo di comunicazione: nella prima, infatti, la durata del messaggio è breve, ma sempre
a disposizione dell'azienda, nella sponsorizzazione, invece, tale durata può essere molto lunga,
ma in ogni caso l'oggetto principale del messaggio non è la comunicazione dell'azienda, ma
l'avvenimento trasmesso. Infine nella pubblicità è sempre possibile per il ricevente sottrarsi alla
comunicazione, mentre con la sponsorizzazione è impossibile fare questo perché si verrebbe a
perdere l'evento che interessa. In relazione a queste finalità si evidenzia come la pubblicità tenda
sempre a privilegiare la «creazione delle vendite» del prodotto identificato dal marchio divulgato,
mentre la sponsorizzazione costituisce uno dei principali strumenti per creare condizioni più
favorevoli per la vendita del prodotto.
per quanto riguarda le spese di sponsorizzazione sono di regola conseguenti alla stipula di un
contratto tra le due parti, con il quale una si obbliga a pubblicizzare l'immagine dell'altra, la quale, a
sua volta, si obbliga a una prestazione in denaro, come corrispettivo per la richiamata attività di
divulgazione pubblicitaria. Sul piano strettamente tributario le spese in esame vengono annoverate
tra le spese di pubblicità e propaganda. Relativamente, poi, alla disciplina delle attività soggette a
imposta sugli intrattenimenti, va precisato che per le prestazioni di sponsorizzazione la detrazione
è pari a un decimo dell'imposta.
5. L’accostamento di più marchi
Sempre partendo dall’applicazione in ambito commerciale di queste attività, in questo caso siamo
di fronte al caso in cui due o più aziende decidono di commercializzare prodotti e servizi che siano
caratterizzati da entrambi i marchi in associazione. Avviene così che i due universi valoriali
caratterizzanti le due diverse aziende si sommino (effetto semantico) come i rispettivi clienti o
pubblici (effetto pubblicitario).
Anche in questo caso è da evitare accostamenti incoerenti per non incorrere nel danneggiamento
del marchio.
Dato che, come già detto, i marchi culturali sono caratterizzati da valori positivi è comune, almeno
oltralpe, che essi siano protagonisti di queste strategie.
Un esempio tra tutti è il Deutsche-Guggenheim di Berlino frutto dell’accostamento di Deutsche
Bank e Solomon R. Guggenheim Foundation.
Philip Ryland, direttore della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, in un intervista pubblicata
sul “Sole 24 ore” il 27 settembre 2008 a proposito del sodalizio banche-musei afferma che la jointventure tra Fondazione Solomon R. Guggenheim e la Deutsche Bank, che ha dato vita nel 1997 al
Deutsche Guggenheim di Berlino, prevede l’organizzazione di mostre in una kunsthalle dell’istituto
e la periodica commissione di una o più nuove opere ad artisti viventi. La proprietà dell’opera è poi
condivisa dai due partner. Per rispondere alla domanda sul ruolo che una collezione gioca per una
banca sempre Ryland afferma come in realtà le ragioni siano molteplici dal capital asset
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all’investimento, da strumento di comunicazione per una corporate image più soft alla ricerca di
prestigio e strumento di differenziazione del marchio ma anche capitale intellettuale e strumento di
formazione per il personale. E sul futuro dei rapporti tra banche e musei Ryland si dice ottimista in
quanto le banche collezioniste possiedono due delle quattro risorse necessarie a un museo: le
risorse finanziarie e le opere. In cambio l’ente offre la propria professionalità e conoscenza del
settore oltre all’operatività slegata da ogni interesse commerciale.
Secondo il mio parere, a proposito di questa collaborazione, a questi vantaggi possiamo
aggiungere anche il fatto che la Fondazione Guggenheim abbia legittimato l’arte contemporanea
come investimento: se la Deutsche Bank investe allora è un rischio che si può correre.
Solidità in cambio di prestigio.
Ecco perchè non vedrei nulla di strano in una collaborazione, ad esempio, tra la Galleria degli
Uffizi e il Monte dei Paschi di Siena, portatori entrambi di valori legati alla storia universalmente
riconosciuti e apprezzati.
5. Il franchising
Il marchio di un istituto culturale può essere anche sfruttato attraverso strategie di franchising che
commercialmente inteso possiamo definire come un accordo tra un soggetto titolare di un marchio
e di conoscenze (know-how) legate al suo sfruttamento (franchisor) e un terzo (franchisee)
secondo il quale il primo permette al secondo di usare il proprio marchio, fornische il know-how per
la realizzazione dei prodotti, l’offerta di servizi caratterizzati dal marchio stesso o la realizzazione di
punti vendita che abbiano un’immagine che rispecchia quella del franchisor.
Tra i primi esempi di questa pratica applicata nell’ambito culturale, secondo il mio parere, può
essere il caso del Louvre ad Abu Dhabi.
L’esportazione del marchio “Louvre” implicherà anche l’affitto delle collezioni francesi per mostre
temporanee. Non si tratta di un semplice prestito, ma di un vero e proprio contratto di affitto
temporaneo delle opere, cui si unirà una consulenza scientifica da parte dello staff del museo. Il
Louvre si è inoltre impegnato a fornire una serie di mostre progettate apposta per Abu Dhabi.
In modo analogo il Beaubourg aprirà una sede a Shanghai, il Musée Rodin in Brasile, e via di
questo passo. Siamo di fronte alla vera e propria applicazione del franchising al mondo dell’arte.
Proprio come nel franchising, i musei condividono i costi delle nuove sedi con enti economici di
altissimo livello.
Queste nuove realtà sapranno dare un vero impulso all’arte contemporanea e un effettivo
sostegno alla ricerca? Forse proprio questo è il compito di un’arte che ancora sappia rispondere
alle necessità del proprio tempo: saper fare i conti con le nuove circostanze, aprendosi a un
dialogo e a un confronto costruttivo con le realtà economiche, politiche e culturali dell’epoca in cui
viviamo.
7. Il valore economico che i beni rivelano nel momento della loro vendita
Nel momento in cui parliamo di come il marchio e il suo sfruttamento possano essere utili ai fini di
maggiori ricavi per un istituto culturale da non sottovalutare è il valore aggiunto che il marchio
appunto può dare ad un’opera nel momento in cui essa viene venduta. Ovviamente in questi casi
si parla di istituti in cui questo è possibile come collezioni private o fondazioni anche se in realtà, e
il Louvre ne è un esempio, escamotage per ovviare ai limiti imposti dalle leggi esistono.
In questo ambito in particolar modo il valore di un marchio di successo si traduce tangibilmente in
denaro in quanto si produce ciò che in inglese viene definito brand equity ovvero il prezzo in più
che si è disposti a pagare per un prodotto di marca, o marchio, rispetto a un simile ma privo, mi si
permetta l’uso di un termine mutuato dal mondo animale, di pedigree.
Per fare un esempio semplice in ambito commerciale basti pensare a quanto siamo disposti a
spendere in più pur di acquistare un Coca Cola rispetto ad una semplice cola con il marchio
dell’ipermercato di turno.
Ma è altrettanto chiaro che musei come il Guggenheim, la Tate o il Museum of Modern Art,
riconosciuti per il loro marchio particolarmente forte, abbiano il potere di trasmettere al lavoro degli
artisti che espongono nei loro spazi tutto il loro carico di valori e di prestigio che si traduce nel
mondo dell’arte come valore di “provenienza”. È la sicurezza di chi acquista che questi musei
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determinano e per questi motivi i collezionisti sono disposti a pagare di più. Su questo valore
aggiunto si può anche speculare organizzando mostre ad hoc per far lievitare le quotazioni di un
artista piuttosto che di una collezione.
Per quanto riguarda la realtà italiana questa strada è molto difficile sia per le leggi che limitano
l’alienazione delle opere d’arte sia per la scarsità di istituzioni che possiedono un tale potere tale
da influenzare il valore che possiedono. Forse il caso italiano in cui possiamo verificare più
facilmente questo meccanismo è la Biennale di Venezia dove in realtà le opere non possono
essere messe in vendita direttamente in quanto non si tratta di una fiera d’arte ma di una mostra
ma dove praticamente si stipulano accordi ufficiosi per una vendita successiva. Per esperienza
diretta ho potuto proprio vedere un noto gallerista italiano mentre accompagnava due collezionisti
a vedere un’opera che avrebbero acquistato a mostra teminata. Il valore di quell’opera sarà
sicuramente lievitato agli occhi dei due acquirenti.
8. sistema di membership
Anche attraverso un buon sistema di membership un istituto culturale può ottenere forti ricavi e
forse questo è il modo più semplice attraverso il quale il visitatore entra fa esperienza del lifestyle
evocato. I vari livelli che caratterizzano la costruzione di questi sistemi permettono l’accesso a
diversi, per così dire, gradi di confidenza con l’istituzione. Il meccanismo è chiaro: maggiore è il
mio contributo maggiore sarà il mio grado di familiarità e più forte sarà il marchio con il suo potere
evocativo più avrò il desiderio di far parte di quel mondo, più sarò disposto a spendere.
E su questo si deve investire proprio come ha fatto la Fondazione Guggenheim: un ottimo sistema
di membership che esprime proprio diversi gradi di intimità: dalla semplice borsa in regalo alla
possibilità di partecipare a viaggi organizzati riservati ai soci più importanti.
Far parte di un’istituzione cosi importante ad un grado così alto ha quindi un doppio significato: da
un lato la conferma del prprio potere economico dall’altro la luce riflessa che aumenta il mio
prestigio sociale.
9. affitto degli spazi
Da non sottovalutare è la possibilità di sfruttare il marchio di un istituto culturale anche in relazione
agli spazi che possono essere affittati magari per eventi importanti che condividono valori e
interessi. Un esempio tra tutti è, ancora una volta, il MoMa di New York che affitta i propri spazi a
grandi eventi dedicati alla moda internazionale o per ciò negli Stati Uniti vengono chiamati
charities, feste mondane mascherate da raccolte di beneficenza o viceversa. Certo il MoMA per
sua natura si presta a queste attività ma in Italia non sarebbe impossibile pensare che questi
metodi di reperimento fondi non sono un male necessario da sopportare ma opportunità per aprire
i musei ad un rinnovamento che ne permetta lo sviluppo.
La differenza principale che si nota dopo questa analisi, tra Stati Uniti e Italia, è la varietà e la
diversa natura dei finanziamenti in ambito culturale i quali sono necessari per far fronte alla
sempre più drastica riduzione dei sostegni pubblici. In Italia vi è un forte sbilanciamento delle
entrate che rende gli istituti culturali dipendenti dagli aiuti dello Stato. Ecco quindi che bisogna,
secondo il mio parere, accettare lo stato dei fatti che vede sempre più leggeri i sostegni statali,
giusto o sbagliato che sia, e iniziare ad esplorare ciò che per noi sono ancora nuove vie di
finanziamento.
Inoltre in Italia il concetto di “marchio culturale” è stato confuso con il concetto di “logo” dando vita,
specialmente dagli anni duemila, ad un curioso fenomeno di proliferazione di acronimi riguardanti
istituti culturali. La fonte di ispirazione è chiara: MoMA che sta appunto per Museum of Modern Art.
Ma mentre quest’ultimo è stato una rivoluzione nel 1929, anno nel quale il museo è stato aperto al
pubblico, in Italia si è semplicemente ripetuto il meccanismo senza pensare che questo potesse
essere più o meno adatto per le realtà nazionali. Non è ovvio e scontato che tutti i musei debbano
chiamarsi MAXXI, MACRO, MAMBO, MADRE, MART, MUDI, MAT ecc. ecc.
Quanti degli esterni ai lavori conoscono il significato di queste sigle? Quanti riferimenti preziosi si
perdono?
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Per fare solo un esempio, forse dire semplicemente Museo degli Innocenti riporterebbe alla mente
tutto una serie di ricordi e valori utili a far percepire in modo più efficace il “marchio” e sarebbe
molto più di impatto perchè immediatamente si farebbe riferimento alla storia di Firenze e all’arte
che tutti conoscono.
Un altro limite che forse impedisce la giusta applicazione di queste politiche in Italia è la
concentrazione delle forze per la creazione di un legame tra l’istituto culturale e la città che lo
ospita tralasciando le possibilità che stanno oltre le mura.
Ma soprattutto è necessario rendersi conto che questo tipo di approccio non è svilente per il bene
culturale perchè il valore del bene sta nella sua unicità e il marchio si basa su questo quindi la sua
protezione è essenziale.
Il rischio si materializza nel momento in cui si intende la politica di marchio come un modo per
sfruttare il bene non per ottenere fondi per la sua salvaguardia ma per semplice guadagno.
59
Da bibliotecario a manager dell’informazione: gestire il
management in biblioteca (Marta Dalla Costa)
Introduzione
Nella cultura generalizzata le biblioteche sono sempre state considerate istituzioni culturali aventi
funzioni di raccolta, conservazione e diffusione di documenti, ma recentemente, a questa ormai
troppo limitata e limitante concezione, se n’è aggiunta un’altra, di matrice imprenditoriale, che vede
la biblioteca come un’azienda tesa ad operare e ad erogare servizi in termini di qualità.
Le straordinarie trasformazioni intervenute negli ultimi anni nel mondo delle biblioteche hanno
modificato non solo la struttura tecnico-operativa che sta alla base delle attività in esse svolte, ma
il modo stesso di concepire la biblioteca.
Tutto ciò ha aperto indagini e dibattiti sui criteri della gestione, sulle valutazioni e i controlli da
potersi attuare in una biblioteca. Esattamente come le organizzazioni aziendali si sono trovate a
dover ripensare il proprio ruolo in relazione alla mutata realtà economica, tecnologica e culturale,
altrettanto le biblioteche sono state coinvolte in una prospettiva di riassetto, organizzativo ed
operativo, analizzabile con gli strumenti e i metodi tipicamente aziendali.
La discussione ha come suo fulcro una gestione delle biblioteche tendente a coniugare
un’approccio biblioteconomico consapevole a culture e metodologie organizzative. Definire e
successivamente mettere in pratica nuovi modelli di gestione consapevole può essere la via di
uscita da una crisi di legittimazione che affligge da tempo il mondo delle biblioteche.
E’ il momento di prefigurare nuovi cicli gestionali, nei quali possano convergere un’idea
comunicabile della funzione che le biblioteche sono in grado di svolgere nella
contemporaneità e nel futuro, un progetto coerente di sostenibilità dei loro programmi, una
strategia d’incoraggiamento e soddisfacimento della domanda di servizi bibliotecari, la
produzione di evidenza intorno agli effetti e ai benefici che essi determinano nella
collettività, nelle comunità e nelle esperienze di vita delle persone.52
L’adozione di metodologie di management, oltre ad avere alla sua base scelte di natura culturale e
ideologica, è connaturata alle esigenze di una gestione efficace della biblioteca, capace di
ottimizzare i risultati e di realizzare le reali e costanti finalità pubbliche del servizio bibliotecario.
Tutto ciò però non porta con sé in modo automatico la produzione di eccellenza nei servizi erogati:
il management, per produrre risultati tangibili, andrà gestito e calibrato tenendo conto delle diverse
fisionomie delle biblioteche e assegnando loro una precisa collocazione nel contesto socioculturale in cui si trovano ad operare.
Oggi è fondamentale puntare sull’integrazione complessiva tra biblioteca e ambiente, sul valore
aggiunto delle prestazioni bibliotecarie nonché sullo sviluppo dei valori di servizio, tra cui la
fruibilità a distanza, settore di notevole interesse da parte degli utenti.
Pensare alla biblioteca come ad un’organizzazione ci induce a ripensare la sua natura, i suoi fini,
gli obiettivi, il suo apparato metodologico e gli strumenti che servono ad analizzarne e a valutarne i
risultati.
In altre parole, la biblioteca (in quanto progetto culturale e di servizio per una comunità o
per la collettività) è sintesi e confronto nello spazio e nel tempo di saperi, linguaggi e testi,
raccolta mirata di documenti, apparato di mediazione e ricerca, nodo di una rete di servizi
bibliografici e documentari, ma è anche espressione di un agire organizzato che le è
peculiare. All’interno di un determinato contesto storico-sociale, l’agire organizzativo è ciò
52
Giovanni Di Domenico, Biblioteconomia e culture organizzative, Milano, Editrice Bibliografica, 2009, p. 10.
che permette alle biblioteche di integrare risorse, processi e servizi al fine di documentare,
conservare, mediare, condividere la conoscenza registrata53.
Fermarsi a riflettere sulle modalità organizzative di una struttura comporta il volgere la propria
attenzione non solo alle funzioni operative, alle competenze e pertinenze professionali, ma anche
agli obiettivi e ai fini, e alle strategie cui indirizzare gli impegni e le risorse.
Compito aggiunto della disciplina biblioteconomica sarà perciò l’individuazione e lo studio dei
principi su cui si fonda la progettazione, il funzionamento e la gestione delle biblioteche.
Le prospettive per le biblioteche verteranno quindi verso una definizione di proprie tecniche
gestionali mutuate dal management e di quelle promozionali tratte dal marketing, la capacità di
creare e mantenere relazioni proficue con gli interlocutori della biblioteca (stakeholders), la
valutazione sull’impatto della tecnologia informatica e sui servizi, lo sviluppo continuo delle
conoscenze e delle abilità dello staff bibliotecario.
La biblioteca, per poter dare il meglio di sé, dovrà agire simultaneamente come istituzione culturale
e come organizzazione aziendale, poggiando su una ben definita struttura organizzativa, composta
di valori, regole, ma soprattutto persone, tramite la quale sviluppare al meglio le proprie attività e
portare a realizzazione i suoi compiti istituzionali.
Dato perciò il presupposto per cui una biblioteca è un sistema di persone, conoscenze, abilità,
risorse documentarie e tecniche e ambiente, il “quid” su cui discutere sarà il modo maggiormente
efficace per organizzare e far rendere al massimo il capitale complessivo a disposizione del mondo
bibliotecario.
La situazione pregressa
Dato che il punto di partenza è il considerare una biblioteca come fosse un’organizzazione
aziendale, di fondamentale importanza sarà il definire cosa si intende per organizzazione. A tale
scopo si prenderà la definizione data da Marco Depolo nel 1998, per il quale essa è
uno strumento, costruito con diversi gradi di efficacia e di efficienza, ma comunque diretto
a coordinare gli sforzi di più individui in vista del perseguimento di un fine54.
Quest’affermazione mette in luce le caratteristiche peculiari di ogni organizzazione, consistenti, da
un lato nella sua funzione strumentale (raggiungimento di un fine), dall’altro nell’importanza
assegnata alle persone, il cui impegno permette di realizzare una precisa serie di obiettivi. Vi è
però anche l’invito a riflettere su quali possano essere i livelli di efficacia e di efficienza necessari al
perseguimento degli obiettivi prefissati, su come far interagire in modo vantaggioso le componenti
individuali ed umane con le finalità proprie dell’organizzazione, e infine, sulle modalità di relazione
che essa instaura con i suoi interlocutori o stakeholders.
Una biblioteca è una complessa entità costituita di persone – i bibliotecari – il cui agire è indirizzato
allo svolgimento di attività, consistenti nella raccolta, nel trattamento, nella conservazione e nella
diffusione dell’informazione, il cui esito dovranno essere servizi efficaci ed efficienti.
L’organizzazione bibliotecaria italiana tra otto e novecento appare strutturata secondo un modello
definito burocratico55. Nella visione di Weber l’organizzazione burocratica si basava su una
divisione del lavoro esplicitamente disciplinata da norme, leggi e regolamenti, su una rigorosa
gerarchia degli uffici ed un severo controllo delle attività operative. Il ricorrere a regole prestabilite
generava la convinzione di garantire, nello svolgimento del lavoro, non soltanto precisione,
uniformità e prevedibilità, ma anche una maggiore capacità di coordinamento.
53
Ibidem, p. 24.
54
Marco Depolo, Psicologia delle organizzazioni, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 37.
Max Weber, Economia e società, Roma, Donzelli, 2003.
55
L’adozione del modello burocratico nelle strutture bibliotecarie, probabilmente presa tout-court
dagli altri uffici pubblici dell’Italia post-unitaria, portò le biblioteche ad assumere una dimensione
organizzativa fondata su un forte centralismo, e quindi su una rigida gerarchia e una conseguente
netta divisione dei ruoli. La conseguenza fu che le attività bibliotecarie, intese come semplici
mansioni tecnico-operative, si basassero su un’impostazione meramente prescrittiva.
Questo tipo di organizzazione si è nel tempo dovuto scontrare con i mutamenti culturali, sociali e
tecnologici, della realtà in cui le biblioteche si trovavano ad operare. Ci si trovò perciò nella
necessità di individuare nuovi modelli organizzativi, in grado di superare i limiti imposti dalla
burocratizzazione e che permettessero alle strutture di entrare in sintonia con un ambiente sempre
più complesso.
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, fu proprio la nozione di “ambiente” a favorire, nel
mondo aziendale, la nascita di un nuovo modello, in base al quale l’organizzazione non veniva più
vista come una realtà chiusa ed autosufficiente, ma come un’entità aperta al mondo esterno, dal
quale attingere le risorse necessarie alla propria sopravvivenza, e nel quale poi immettere i risultati
della trasformazione di quelle risorse, producendo così una continua e ciclica interazione. Questa
concezione attribuisce particolare enfasi ai rapporti che le organizzazioni stabiliscono con il mondo
esterno nel quale operano e quindi ai principi che ne permettono l’esistenza, la crescita e la
conservazione nel tempo.
Questa tipologia organizzativa, definita sistemica, si configura perciò come un’entità complessa,
composta di vari elementi che interagiscono fra di loro e con il mondo circostante.
L’attività delle organizzazioni sistemiche consiste nel prelevare dall’ambiente limitrofo gli elementi
di cui necessitano (energia, materie prime), nell’elaborarli al proprio interno e nel rimetterli in
circolo sotto nuove forme (prodotti, servizi). Una raffigurazione di tutto ciò si trova nel ciclo di
Deming o PDCA56, in cui le diverse fasi operative messe in atto da un’organizzazione sono
cadenzate in modi precisi e sostanzialmente invariabili; si tratta di una sequenza continua e
ricorrente di quattro momenti: la pianificazione delle attività (plan), la loro effettiva realizzazione
(do), il puntuale controllo attraverso dispositivi di feedback (check) e infine la ripresa delle attività
sulla base delle verifiche e delle correzioni effettuate (act).
PLAN
(Programma)
DO
(Metti in atto)
CHECK
(Verifica)
ACT
Mantenere così
com’è
ACT
Seguire
costantemente
Rimedio
Miglioramento
56
Michele Santoro, E chiamala, se vuoi, organizzazione, in Biblioteche Oggi, marzo 2009, p. 60.
La visione sistemica, come modello gestionale/organizzativo, ha trovato un notevole riscontro
anche nel mondo delle biblioteche.
Secondo Alfredo Serrai è indubbio che la biblioteca possa essere considerata come un “sistema”,
dal momento che
presenta tutte e tre le caratteristiche dei sistemi: ha degli obiettivi da realizzare, è costituita
da un insieme di elementi che interagiscono per raggiungere quegli obiettivi, ha rapporti di
dipendenza e di scambio con l’ambiente57.
Infatti, da sempre la biblioteca persegue obiettivi definiti e precisi quali la raccolta, la
conservazione e la diffusione delle conoscenze; per fare ciò si avvale di una propria struttura,
costituita da uffici che interagiscono e operano dando vita ad uno scambio continuo con
l’ambiente, inteso sia come il contesto territoriale in cui una biblioteca si colloca, sia come l’ambito
accademico o scientifico di riferimento.
Questa visione, mostrando l’importanza del legame e della reciproca interazione fra le parti,
contribuisce ad attenuare quell’approccio rigidamente funzionale legato alla presenza di settori che
agiscono in maniera autonoma e separata, e richiama la necessità di una più stretta correlazione
fra le attività e i servizi, allo scopo di realizzare idonee condizioni di efficacia e di efficienza.
Il ruolo centrale assegnato al contesto socio-culturale in cui le biblioteche operano, conferma che
non è più possibile mantenere un regime di isolamento; le biblioteche sono obbligate ad aprirsi
sempre più al mondo esterno (in particolare in una fase in cui si assiste ad un aumento
esponenziale delle fonti informative) spingendole ad intensificare i rapporti non solo con altre
strutture similari, ma con un numero crescente di istituzioni esterne e stakeholders.
Nella realtà odierna, preso atto che la distinzione funzionale ed eccessivamente diversificata delle
attività e delle pratiche gestionali non ha più ragion d’essere, le biblioteche si sono indirizzate
verso forme strutturali più integrate, i cui confini organizzativi risultano sempre più “permeabili”,
quando non diventano così impercettibili e indefiniti da svanire del tutto. Ciò avviene perché alle
organizzazioni è richiesta una flessibilità sempre maggiore, una decisa reattività al cambiamento e
una capacità di acquisire risorse con criteri assai diversi da quelli del passato: tutti elementi che
trovano un forte ostacolo nel permanere di barriere organizzative, fisiche o logiche che siano,
mentre sono necessarie nuove modalità di intervento e di interazione con l’ambiente circostante.
Detto ciò, è chiaro che sia la visione burocratico-gerarchica che quella sistemica appaiono
insoddisfacenti di fronte ad una situazione sempre più problematica e complessa, perciò risulta
necessario guardare verso altre direzioni e individuare nuovi approcci in grado di permettere alle
biblioteche di dispiegare al meglio le proprie potenzialità e gestire le proprie risorse in un contesto
dominato da forti mutamenti.
La soluzione sembra venire da un insieme di teorie e concetti che prendono il nome di postmoderno.
La situazione di fatto.
Le posizioni post-moderne riflettono, all’interno delle organizzazioni, gli orientamenti e le tendenze
presenti nella società odierna: una società basata su strutture flessibili ed essenzialmente orientate
ai servizi e agli utenti degli stessi, e che nella rete trovano il loro più importante strumento di
sviluppo.
Per un’organizzazione improntata su prospettive postmoderne, la presenza di situazioni mutevoli
e/o problematiche influirà positivamente sulle decisioni gestionali, dando origine a prospettive
inedite e stimolanti. Il cambiamento sarà una delle variabili con cui ci si dovrà confrontare
quotidianamente, e attraverso la quale delineare soluzioni innovative e originali.
57
Alfredo Serrai, La biblioteca come sistema, in Biblioteconomia come scienza. Introduzione ai problemi a
alla metodologia, Firenze, Olschki, 1973, pp. 37-55.
In questa prospettiva appare di grande rilievo il valorizzare le differenze presenti nelle persone che
operano all’interno delle organizzazioni, e ciò potrà avvenire incentivando la flessibilità, l’autonomia
e l’iniziativa personale, oltre che mettendo in atto processi di apprendimento continuo, tali da
sviluppare le competenze e favorire la crescita degli individui e, di conseguenza, delle
organizzazioni stesse.
L’analisi fin qui condotta dimostra che gli approcci tradizionali non sono più in grado di riflettere
l’odierna realtà organizzativa, con maggiore evidenza nell’ambito bibliotecario, attraversato da
trasformazioni così profonde da non lasciare immutate né le modalità operative né tanto meno i
criteri che stanno alla base dell’erogazione dei servizi.5
La complessità – delle forme, dei linguaggi, dei modelli culturali, dei comportamenti, degli ambienti
tecnologici – sta assumendo piuttosto la forma della rete che del sistema, la forma, cioè,
dell’interdipendenza globale, della contemporanea appartenenza di individui e organizzazioni a
diversi network sociali e digitali, della diffusione, anche, di servizi informativi e contenuti di
conoscenza generati dall’interazione di più persone nel web e ordinati in forma collaborativa58.
Per comprendere il nuovo corso intrapreso dal mondo delle biblioteche, è quindi necessario
ripensare al loro impianto organizzativo riformulando le strategie e mettendo in pratica una serie di
attività originali ed inedite. Proprio in questo nuovo sistema bibliotecario trovano manifestazione
comportamenti, tendenze e punti di vista che ci indirizzano verso direzioni del tutto opposte
rispetto a quelle tradizionali.
Il diffondersi e l’allargarsi della disponibilità di fonti informative in rete ha totalmente modificato
l’idea tradizionale di biblioteca intesa con spazi fisici e complessi organizzativi ben definiti, e l’ha
aperta ad una più ampia interazione con ambienti diversi e collaborativi.
Ed è proprio la nozione di biblioteca senza pareti che da un lato sintetizza l’odierna realtà
bibliotecaria, dall’altro testimonia di un diverso approccio operativo, che le biblioteche
mettono in campo per governare una dimensione informativa così frammentata e dispersa
com’è l’attuale: difatti l’avvento del digitale (e il sovraccarico informativo che ne è
conseguito) porta a nuovi criteri di individuazione, selezione e utilizzo delle risorse, e
quindi a una drastica revisione dei metodi di costruzione e sviluppo delle raccolte,
favorendo l’impiego di modalità assai differenti da quelle finora adottate59.
Il fatto che la biblioteca sia un luogo in cui, per antonomasia, vi è una continua circolazione di
conoscenze - tecniche, culturali e scientifiche - costituisce uno straordinario arricchimento per il
personale bibliotecario. Questa situazione equivale ad un vero e proprio apprendimento
organizzativo, ossia ad un processo ininterrotto di acquisizione e successiva trasformazione delle
conoscenze che stimola la creatività e favorisce l’innovazione60.
Questa costante crescita professionale permetterà proprio la valorizzazione di quelle differenze, di
cui si è accennato più sopra, esistenti tra i componenti dello staff, rendendo massima la loro
flessibilità, autonomia e capacità operativa, oltre che, quindi, favorirne un più ampio coinvolgimento
non solo nella generale conduzione della biblioteca, ma anche nelle decisioni e nelle scelte
operative.
Tutto ciò che si è fin qui detto, conduce all’ipotesi che la gestione delle pratiche amministrativooperative, non sia più condotta in maniera separata ed autonoma, ma come un insieme, un
collage, dinamico e flessibile, di attività e servizi. Da un punto di vista gestionale, questa nuova
visione può assumere le forme dell’approccio per progetti e/o di quello per processi.
Questo moderno contesto organizzativo, evidenzia il declino di un’idea gerarchica, chiusa e
autosufficiente di biblioteca ed indica l’avvento di una nuova dimensione, in grado di rispondere
58
Leggasi questione sul Web 2.0.
Michele Santoro, E chiamala, se vuoi, organizzazione, in Biblioteche Oggi, marzo 2009, p. 66.
60
Silvia Profili, Il knowledge management. Approcci teorici e strumenti gestionali, Milano, Franco Angeli,
2004.
59
alla complessità e alla dinamicità presenti nella società con una costante valorizzazione degli
aspetti innovativi e della creatività personale.
La gestione per processi
Come già evidenziato, le notevoli trasformazioni intervenute nel mondo delle biblioteche negli
ultimi anni hanno modificato non solo la struttura tecnico-operativa che sta alla base delle attività
bibliotecarie, ma il modo stesso di concepire la biblioteca, non più come un organismo a sé stante,
avulso dal contesto di riferimento, ma un insieme di componenti strettamente correlati.
Si è perciò aperta la strada verso una nuova idea di gestione, sempre meno legata alla visione
gerarchico-organizzativa, strutturata per “funzioni” tra loro separate e poco, o per nulla,
comunicanti (i classici “uffici”: acquisizioni, catalogazione, periodici, ecc.) e sempre più prossima
ad uno stile manageriale semplificato, dinamico ed efficace.
Tra le possibili prospettive che il mondo del management è in grado di offrire alle biblioteche, una è
la gestione per processi, la cui metodologia è in grado di dar vita a sostanziali e concreti
cambiamenti all’interno delle organizzazioni, inducendole così a ripensare e riformulare la propria
struttura interna, i propri modus operandi e i rapporti con gli utenti.
Fondamentalmente, il processo può essere sintetizzato come una serie di operazioni da compiersi
per raggiungere un fine pre-determinato; con questo tipo di gestione la struttura si vede costretta
ad individuare, registrare e monitorare con esattezza l’intero flusso delle proprie attività. Inoltre,
caratteristica peculiare è che queste operazioni tagliano trasversalmente l’organizzazione,
superando i tradizionali confini gerarchici. Durante lo svolgimento di un processo può essere
necessaria la partecipazione di più unità, uffici o settori, in tal modo rendendo il flusso delle attività
indipendente dalla struttura organizzativa formale (v. schema61). Un risultato atteso da un tale
sviluppo in senso orizzontale dei processi è quello di rispondere alle richieste poste dagli utenti alla cui soddisfazione è orientato l’intero flusso delle attività - in modo preciso, chiaro, efficiente ed
efficace62.
UTENTE
U
T
E
N
T
PROCESSO
E
In un’organizzazione gestita per processi, il flusso delle operazioni non si sviluppa più o soltanto
all’interno delle diverse “funzioni”, ma, le diverse attività che costituiscono un processo sono
finalizzate al raggiungimento di un risultato (output) chiaro, definito e misurabile oltre che
finalizzato al soddisfacimento degli utenti.
La logica per processi si può evidenziare secondo lo schema seguente63:
INPUT
PROCESSO
materiali
istruzioni
OUTPUT
materiali
trasformazione
istruzioni
(aggiunta di
informazioni
Michele
Santoro, La gestione per processi in biblioteca: un’applicazione possibile?, in informazioni
Bibliotime, anno VII,
valore)
n. 2, documenti
luglio 2004, p. 3.
documenti
62
Vedasi, a titolo esemplificativo, la legge 7 agosto 1990, n. 241.
61
persone
63
persone
Michele Santoro, La gestione per processi in biblioteca: un’applicazione possibile?, in Bibliotime, anno VII,
n. 2, luglio 2004, p. 3.
PUNTO DI
MISURA
PUNTO DI
MISURA
PUNTO DI
MISURA
I vantaggi di una gestione per processi sono emersi con chiarezza negli ultimi decenni, spingendo
molte organizzazioni ad adottarla allo scopo di raggiungere la massima trasparenza e chiarezza
possibile nella gestione delle proprie attività; essa, peraltro, è stata accolta come uno dei requisiti
di base dalle norme UNI EN ISO 9000:2000 sui Sistemi di gestione della qualità.
La gestione per progetti
La gestione per processi non è sufficiente per rispondere a tutte le problematiche e le necessità
presenti nel mondo bibliotecario. A tal fine si è iniziato a pensare anche ad una gestione basata su
progetti.
Il progetto (dall’inglese project) è l’insieme delle attività – ideazione, esecuzione, verifica e
consegna – che permettono di realizzare un prodotto o un servizio;
esso è concepito, organizzato e coordinato al fine di realizzare, attraverso diverse fasi,
uno specifico risultato, prodotto o servizio entro un termine stabilito e nel rispetto di vincoli
di costo e standard di qualità64.
A livello organizzativo, questa modalità di lavoro può essere una delle scelte strategiche ideali per
dare linfa vitale allo sviluppo di una rete di servizi bibliotecari e documentari che sia all’altezza
delle contemporanee richieste e che ponga la biblioteca, come centro culturale, scientifico, porta
d’accesso alle conoscenze, organizzazione del sapere, tra le strutture che meglio sanno dare una
risposta ai profondi cambiamenti in atto nella società.
La biblioteca, complesso organizzato di risorse, processi e servizi, integrati al fine di documentare,
conservare, mediare, diffondere, condividere la conoscenza, è espressione di un particolare agire
gestionale, oltre che sintesi e confronto nello spazio e nel tempo di saperi, raccolta mirata di
documenti, apparato di mediazione e ricerca, nodo di una rete di servizi bibliografico/documentari.
Avviare una strategia di gestione per progetti, sarà utile per trasformare il modo di essere e di
operare di un’organizzazione bibliotecaria oltre che per sviluppare e diffondere processi di
apprendimento individuale e organizzativo. Questi ultimi saranno davvero efficaci se nella gestione
del cambiamento le professionalità saranno coinvolte e valorizzate in parallelo con le decisioni
strategiche, l’introduzione di procedimenti innovativi, l’aggiornamento tecnologico, l’ideazione di
nuovi servizi o prodotti.
Punto di partenza essenziale sarà, da una parte l’analisi della situazione ambientale e culturale, i
bisogni d’informazione e di conoscenza e le aspettative della collettività servita; dall’altra parte,
individuare i propri punti di forza e di debolezza, fissare degli obiettivi e indicarne le priorità,
decidere quali sono le situazioni da cambiare, in quale modo porvi rimedio, con quali tempi e quali
risorse, programmando già in anticipo le modalità di misurazione e valutazione dei risultati e
l’impatto dei cambiamenti mediante l’impiego di metodologie adeguate.
64
Giovanni Di Domenico, La biblioteca per progetti, Milano, Editrice Bibliografica, 2006, p.34.
Nelle biblioteche tutto ciò sarà orientato verso quattro direzioni:
1. lo sforzo di mettere gli utenti al centro delle proprie strategie e attività;
2. l’assunzione della qualità come valore organizzativo primario;
3. l’adozione consapevole di metodi e strumenti del management in relazione alla gestione
per processi;
4. l’ideazione e la condivisione di progetti per nuovi servizi.
Le finalità di ciascun progetto dovranno, ovviamente, configurarsi come contributo specifico al
conseguimento degli obiettivi generali della biblioteca. La stesura del documento di progetto
indicherà:

che cosa si intende modificare o introdurre ex-novo (l’oggetto),

qual è l’ambito d’intervento,

quale è il metodo di lavoro,

quali risultati si spera di ottenere (il prodotto/servizio),

entro quanto tempo (la durata),

con quale spesa (il costo).
In fase di preparazione dei progetti, in sede di biblioteca, le responsabilità verranno divise, in base
alla funzione e alla diversa responsabilità, tra Direttore Amministrativo, Direttore Centro di Ateneo
per le Biblioteche, Responsabile della biblioteca e bibliotecario con funzioni di Project manager. A
quest’ultimo sarà assegnata la diretta e formale responsabilità in merito all’esecuzione del progetto
stesso e al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Egli sarà il fulcro e il punto di raccordo di tutte
le informazioni e le conoscenze, responsabile del gruppo di lavoro, coordinatore nello svolgimento
delle attività, analista e solutore dei problemi.
L’introdurre tecniche di project management nelle biblioteche richiede lo sviluppo di profondi
cambiamenti nella mentalità e negli assetti organizzativi, nella distribuzione di ruoli e funzioni, nelle
consuetudini di lavoro. Ogni qualvolta si intraprende la strada del cambiamento, va da sé
l’imbattersi in ostruzionismi di varia natura e a vari livelli, ma ostacoli e condizionamenti sono pur
sempre identificabili e valutabili, perciò tali da essere anch’essi oggetto di studio e di valutazione e
obiettivo degli sforzi comuni per superarli.
Conclusioni
Da tutto ciò che si è finora detto, è evidente quanto alle biblioteche venga richiesto un notevole
sforzo di adeguamento al mutare dei tempi e, soprattutto, una maggiore flessibilità organizzativa,
un più evidente decentramento e coordinamento operativo, una più convinta valorizzazione e
arricchimento delle professionalità e delle competenze, un più deciso orientamento all’innovazione
e al risultato di servizio, e flussi di comunicazione meno burocratici e più improntati all’ascolto.
Le biblioteche che decidono di investire sul cambiamento, sulle politiche della qualità e
sull’innovazione di servizio si avviano a diventare ambienti in cui i progetti rappresentano la forma
prevalente e non occasionale dell’attività organizzativa.
Gli strumenti di analisi dei costi nei progetti di catalogazione
(Chiara Deiola)
Cenni sull’analisi dei costi
Le aziende, come anche gli enti pubblici o privati, necessitano di strumenti che
permettano loro di conoscere e gestire nel modo più idoneo le risorse consumate ed i costi
generati nell’erogazione dei servizi.
Strumento fondamentale risulta, a tal proposito, la contabilità, che è parte integrante
del sistema informativo aziendale e ha lo scopo di raccogliere ed elaborare i dati relativi ai
flussi monetari e di fornire le informazioni necessarie per il controllo e la gestione ottimale
dell’azienda.
-
La contabilità si divide in due macrosistemi:
contabilità generale
contabilità analitica o dei costi
L’analisi dei costi ha come oggetto i prodotti, siano essi beni o servizi, ed è
finalizzata a soddisfare particolari esigenze conoscitive della direzione aziendale: produce
informazioni atte a supportare i processi decisionali e di controllo dei responsabili
dell’impresa.
È, dunque, uno strumento conoscitivo, che esprime la logica economica su cui si basano
metodi e procedure della prassi aziendale, finalizzata al soddisfacimento delle esigenze
decisionali e di controllo (controllo di gestione):
«con l’espressione “contabilità dei costi” s’intende un insieme di determinazioni
economico-quantitative mediante le quali si calcolano i costi di particolari
oggetti, individuabili all’interno del sistema aziendale. I tipici oggetti di
determinazione dei costi sono i prodotti, siano essi beni o servizi»65.
Ma molti altri oggetti si prestano a una logica di questo tipo: dai centri di costo alle diverse
tipologie di clientela, dai canali distributivi ai processi gestionali, a seconda delle esigenze
conoscitive della direzione aziendale.
Secondo il Cinquini il concetto di costo assume tre diverse sfumature di significato. Si può,
infatti, parlare di costo tecnico, inteso come utilità consumate nel processo produttivo,
quindi relative ai materiali e ai servizi forniti dall’uomo. Di costo psicologico, inteso come
rinuncia da sopportare in vista di una «remunerazione»; e di costo monetario, inteso come
spesa sostenuta per l’acquisto di fattori produttivi. Tale ultimo significato, nel contesto della
contabilità analitica, va inteso più specificatamente come costo monetario di produzione,
come, cioè, «somma di valori attribuiti ai fattori consumati nei processi produttivi allo scopo
di conseguire un determinato risultato utile».
Intendendo per costo di un bene/servizio il valore monetario delle risorse
consumate per produrlo, in contabilità analitica è necessario effettuare una classificazione
dei costi, integrando la distinzione dei costi secondo la natura dei fattori fisico-economica
dei fattori produttivi, praticata di norma dalla contabilità generale. In particolare bisogna
distinguere tra:
- costi speciali e costi comuni
65
L. Brusa, Contabilità dei costi. Contabilità per centri di costo e activity based costing, Milano1995, p. 1
-
costi variabili e costi fissi
costi controllabili e costi non controllabili
costi parametrici, discrezionali e vincolati
costi effettivi e ipotetici
Gli scopi dell’analisi dei costi possono essere suddivisi in tre tipologie:
1. valutare le rimanenze dei vari elementi del patrimonio aziendale, al fine di
redigere il bilancio d’esercizio;
2. orientare le decisioni aziendali, secondo una logica di convenienza
economica;
3. permettere il controllo di gestione mediante il confronto tra i costi sostenuti.
Gli strumenti di analisi dei costi sono l’insieme delle regole attraverso le quali la
contabilità analitica ripartisce i costi complessivi dell’impresa tra gli specifici oggetti di
costo.
-
I due principali metodi di ripartizione dei costi sono:
la contabilità per centri di costo
il metodo ABC (Activity Based Costing)
La contabilità per centri di costo è così chiamata perché si serve dei “centri di costo”,
ossia di «quegli oggetti intermedi di calcolo che contribuiscono a rendere più attendibile il
calcolo del costo di prodotto»66. I centri di costo, in generale, possono essere identificati
con le unità organizzative della struttura aziendale (reparti, uffici, direzioni, laboratori, ecc.)
e si distinguono in:
- centri produttivi
- centri ausiliari
- centri funzionali
«Rispetto al modello semplicistico delle contabilità più rudimentali, la contabilità per
centri di costo consente una più corretta imputazione dei costi ai prodotti perché facilita
l’individuazione e la quantificazione del “servizio” dato dai vari fattori produttivi per
l’ottenimento dei prodotti stessi»67.
A livello pratico, consente di individuare tutti i costi sostenuti per produrre un certo
prodotto e di imputarli al prodotto stesso, in quanto vengono individuati e quantificati i costi
dei diversi fattori produttivi impiegati per l’ottenimento del prodotto mediante l’applicazione
del principio causale.
Tale procedimento può essere riassunto in quattro fasi:
1. imputazione dei costi dei vari fattori produttivi ai relativi centri di competenza
(ossia i centri che hanno determinato il fabbisogno delle risorse corrispondenti);
2. ribaltamento dei costi dei centri ausiliari e dei centri funzionali sui centri
produttivi;
3. quantificazione della produzione dei centri produttivi e calcolo dei coefficienti
unitari di costo del centro;
4. imputazione ai prodotti dei costi sostenuti (relativi a materie prime, centri
produttivi, costi indiretti rispetto ai prodotti).
La contabilità per centri di costo si rivela utile soprattutto per quelle aziende che non
dispongono di sofisticati strumenti di controllo gestionale, come piccole e medie aziende
industriali, organizzazioni pubbliche operanti nella produzione di beni e servizi.
L’activity based costing è anche detta contabilità dei costi basata sulle attività, in
quanto fa riferimento non ai centri di costo, ma alle attività: attraverso l’individuazione delle
66
67
L. Brusa, Contabilità dei costi. Contabilità per centri di costo e activity based costing, Milano1995, p. 41
Ivi, p. 46
attività richieste da un prodotto per il suo ottenimento determina con «un costo pieno di
prodotto»68.
Alla base di tale approccio sta la considerazione che tra il prodotto e il consumo di certe
risorse non ci sia un legame diretto: i costi, cioè, non sarebbero determinati direttamente
dal prodotto, bensì da tutto l’insieme delle attività che hanno portato all’ottenimento di quel
prodotto.
Tale processo si snoda attraverso tre fasi:
1. individuazione delle attività;
2. imputazione dei costi diretti ai prodotti;
3. individuazione e quantificazione dei cost drivers (determinanti di costo) relativi a
tutte le attività
4. calcolo del costo per unità di attività;
5. imputazione dei costi delle attività ai prodotti (in base al fabbisogno di attività di
ciascuno).
Oltre al calcolo del costo di prodotto, il metodo ABC consente l’analisi della struttura
del costo di prodotto.
L’analisi dei costi nei progetti di catalogazione
L’analisi dei costi, come già accennato, non è applicabile unicamente alla sfera
aziendale strettamente intesa, bensì a tutte quelle realtà in cui si renda necessario
verificare/ricavare una serie di determinazioni economico-quantitative attraverso il calcolo
dei costi di particolari oggetti individuati all’interno di un sistema finalizzato alla produzione
di beni o servizi.
Perciò, anche nel campo della catalogazione diventa fondamentale il ricorso alla logica
dell’analisi dei costi, al fine di gestire e coordinarne al meglio le attività.
Già da diversi anni, probabilmente sulla scorta della necessità di uno sfruttamento
ottimale delle esigue risorse disponibili imposta dalle forti delle forti limitazioni alla spesa
pubblica (di cui particolarmente risente il settore dei beni culturali), il Ministero per i Beni e
le Attività Culturali (MiBAC) lavorato con l’obiettivo di applicare anche al settore della
catalogazione tale sistema di valutazione, tipico del mondo imprenditoriale.
Una determinazione economica di questo tipo, infatti, oltre a garantire un’adeguata
ripartizione delle risorse finanziarie da parte del Ministero, mira a determinare, per quanto
possibile, una certa omogeneità su scala nazionale delle spese sostenute dagli enti
territoriali competenti per la realizzazione di tali attività.
Il riconoscimento da parte del Ministero della determinazione dei costi della
catalogazione come elemento imprescindibile nella realizzazione efficace ed efficiente del
programma di catalogazione dei beni culturali presenti sul territorio nazionale, muove le
mosse da un tentativo di applicazione dell’Articolo 17 del Codice dei Beni culturali e del
paesaggio (D. lgs. 42/2004 e successive modifiche), che sancisce che lo Stato, in
concorso con le Regioni, «assicura la catalogazione dei beni culturali e coordina le relative
attività», individuando metodologie comuni di raccolta, scambio, accesso ed elaborazione
dei dati a livello nazionale.
L’organo interno al MiBAC deputato a tali operazioni è l’ICCD (Istituto Centrale per il
Catalogo e la Documentazione) che, nato con finalità istituzionali di catalogazione,
68
Ivi, p. 124
documentazione e formazione, effettua il monitoraggio sulla gestione delle risorse
assegnate agli enti periferici non tanto finalizzandolo al controllo di gestione (non
avendone competenza), quanto a una definizione dei costi della catalogazione, con
l’obiettivo di accrescere la capacità previsionale sia a livello centrale che periferico
(rispetto alle risorse necessarie a realizzare una nuova catalogazione) e rendere fruibili le
informazioni già possedute.
In queste azioni l’ICCD è coadiuvato da una struttura d’appoggio, l’Osservatorio
sulla catalogazione che, tra gli altri, ha il compito di definire e aggiornare gli standard
relativi ai costi della catalogazione e di controllare la gestione dei fondi assegnati per
queste attività dai diversi centri di spesa. Agisce garantendo l’elaborazione e l’utilizzo di
strumenti univoci di rilevazione e di informazione per gli enti che si trovano a cooperare
nell’attività di catalogazione.
MiBAC
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
ICCD
Osservatorio per la catalogazione
Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
Soprintendenze
e
Istituti speciali
Uffici catalogo
Direzioni generali
di settore
Il Ministero definisce gli obiettivi politici generali, le Soprintendenze regionali curano
la programmazione degli interventi a livello territoriale, le Direzioni generali di settore (in
qualità di centri di responsabilità amministrativa) verificano l’attuazione di piani e
programmi e il raggiungimento degli obiettivi (da parte degli organi periferici da loro
dipendenti).
L’ICCD svolge il fondamentale ruolo di coordinamento tecnico delle attività di
catalogazione e documentazione finalizzate alla creazione del Catalogo Generale del
patrimonio architettonico, archeologico, storico-artistico e demoetnoantropologico.
Per agevolare il coordinamento tecnico delle attività a livello nazionale, nel 2002
l’ICCD ha realizzato il sistema INSPE (sistema per l’Indagine sui Sistemi Periferici), che
consente l’automazione delle funzioni di rilevamento e di analisi statistica dei dati
quantitativi relativi alle campagne di catalogazione svolte dagli enti periferici, allo scopo di
far emergere le attività e gli elementi che concorrono alla definizione dei costi diretti e
indiretti della catalogazione.
Mediante tale sistema, si è consolidata l’automazione della raccolta di dati di tipo
dinamico sull’attività catalografica statale, potenziando una banca dati dettagliata in grado
di restituire il monitoraggio del flusso di catalogazione programmato e realizzato
annualmente a livello statale in Italia, dalla maggior parte delle Soprintendenze territoriali,
degli Istituti speciali, dei Poli museali e dell’ICCD stesso. La rilevazione annuale permette,
infatti, di raccogliere informazioni dinamiche sia sulle schede lavorate e prodotte che sulla
spesa, programmata e sostenuta, del processo catalografico, prendendo come unità di
riferimento la singola attività da realizzare nell’ambito dei vari progetti.
Per adempiere a tale funzione, gli enti predispongono la presentazione di progetti e
di attività da finanziare (di cui, presumibilmente, una parte potrebbe essere realizzata nel
corso dell’anno successivo) sulla base delle esigenze del patrimonio, delle linee guida e di
indirizzo del Ministero e dell’ICCD e tenuto conto, anche se solo parzialmente, delle
risorse che si prevede di poter ottenere. I principali obiettivi da perseguire sono
solitamente diffusi attraverso circolari che l’Istituto trasmette annualmente ai vari soggetti
preposti alla catalogazione statale, con la finalità di orientare la formulazione delle
proposte progettuali.
Tramite il sistema INSPE è possibile costituire un'unica banca dati nazionale che
raccoglie sia i dati di programmazione e riepilogo delle attività, che dati di censimento sul
catalogato, consentendo un primo livello di analisi statistica che evolverà attraverso
ulteriori funzioni di valutazione qualitativa delle modalità di catalogazione, e relativo
controllo degli esiti.
L’intero sistema è sviluppato su tecnologie web-based, l’accesso riservato ai soli utenti
autorizzati: attraverso opportuni meccanismi di autenticazione e autorizzazione permette
all'operatore di accedere ad una propria area riservata, inserire e modificare i dati di
propria competenza ogni qualvolta questa operazione si renda necessaria.
Il costo delle schede è stato diviso in due parti: la redazione della scheda e la
creazione degli allegati.
Le schede elaborate dall’ICCD sono di 21 tipologie e individuano altrettanti tipi di beni che
è possibile catalogare (Tabella 1).
Gli allegati sono parte integrante delle schede e comprendono:
- fotografie
- disegni
- schizzi
- mappe catastali
- mappe di tipo CTR o IGM
- planimetrie
- rilievi
- georeferenziazione cartografica per GIS
- altro
L’analisi dei costi della catalogazione è articolata secondo quattro parametri:
- costi per tipologia di scheda cartacea
- costi per livello di completamento (inventario, precatalogo, catalogo)
- costi per allegati relativi a ogni scheda (disegni, rilievi, foto)
- costi per attività (catalogazione, digitalizzazione, ecc.)
Il costo delle schede di catalogo e degli allegati è, in linea di massima, proporzionale al
tempo di lavoro impiegato dai compilatori per la loro estensione, essendo la catalogazione
un’attività complessa che coinvolge una pluralità di conoscenze e competenze tecniche.
Per avere un’idea del funzionamento di tale sistema e delle informazioni utili che se ne
possono trarre, si prendano ad esempio i dati relativi ai costi di catalogazione per l’anno
2000.
Sfruttando i dati raccolti, l’ICCD ha potuto stilare delle statistiche sull’andamento
qualitativo e quantitativo dell’attività di catalogazione riferita a quell’anno.
Il budget assegnato dal MiBAC all’attività di catalogazione e ripartito tra le
amministrazioni coinvolte era stato di circa 6,5 milioni di euro, dei quali la rendicontazione
analizzata dall’ICCD riporta una spesa effettiva di 2,6 milioni di euro (55,1% per l’attività di
schedatura e 28,4% per gli allegati).
In particolare, i dati relativi ai costi di produzione delle schede sono stati utilizzati al fine
di esaminare e quantificare i costi effettivi della schedatura a livello locale, con lo scopo di
elaborare alcuni parametri di sostegno alla programmazione delle attività.
L’analisi dei costi della catalogazione si riferisce alla sola fase relativa alla redazione
delle schede e alla realizzazione degli allegati (escludendo i costi del personale, delle
attrezzature informatiche e degli spazi fisici per la realizzazione delle schede), attività
finanziate dai fondi ordinari del MiBAC. L’intento principale è stato quello di giungere
all’identificazione di un tariffario di riferimento per il costo di ogni singola scheda, essendo i
prezzi variabili, oltre che in base alla tipologia delle schede, anche in base ai luoghi
geografici di compilazione (in alcune regioni, ad esempio, la compilazione di una stessa
tipologia di scheda costerà di più che in altre).
La banca dati ha raccolto i dati confluiti da 53 uffici catalogo delle soprintendenze (su
64 totali), e sono stati stimati i valori medi, minimi e massimi dei prezzi di mercato delle
schede.
I prezzi variano in base alla complessità del bene e alla sua localizzazione (in un
museo, nel territorio, all’aperto, all’esterno, ecc.) e a seconda della modalità di
realizzazione:
- elaborazione di schede nuove;
- rielaborazione di schede attraverso processi di destrutturazione (revisione,
aggiornamento, integrazione) e informatizzazione);
- informatizzazione di schede preesistenti.
In conclusione, è stato individuato il tariffario indicato dalla Regione Lazio (Tabella 2)
come riferimento più idoneo per la creazione di un prezzario delle schede di catalogo a
livello nazionale.
La Regione Lazio ha differenziato il prezzo delle schede in base a:
- modalità di elaborazione
- collocazione territoriale dei beni
- complessità della scheda
Tabella 1
SETTORE
Archeologico
Architettonico
e per il paesaggio
Storico-artistico e
demoetnoantropologico
Altre
SIGLA
RA-N
TMA
E
MA-CA
SITO
A
SU
CS
T
TP
PG-B
OA-D-N
S (S-MI)
F
SAS-US
BDM
BDI
AUT/BIB
SIC
SMO
BENE
TIPOLOGIA
BENE
Reperto archeologico
Tabella di materiale archeologico
Etnografia
Monumenti e complessi archeologici
Sito archeologico
Architettura
Settore urbano
Centro storico
Territorio comunale
Settore extraurbano
Parchi e giardini
Opere d’arte, disegni e numismatica
Stampe
Fotografia
Saggio stratigrafico
Beni demoetnoantropologici materiali
Beni demoetnoantropologici immateriali
Autore/bibliografia
Strumenti scientifici
Strumenti musicali - organi
Mobili
Mobili
Mobili
Immobili
Territoriali
Immobili
Territoriali
Territoriali
Territoriali
Territoriali
Immobili
Mobili
Mobili
Mobili
Immobili
Mobili
Mobili
Archivi
Mobili
Mobili
TPA
Furto
Eventi
Tabella 2 (Tariffario elaborato sulla base dei dati del BUR Regione Lazio del 20/04/2002)
Prezzario di riferimento per attività catalografiche
N°
artic
.
SCHEDA /
LIVELLO
BAP
1
A/i
BAP
2
A/i
TIPOLOGIA
BENI
BAP
BAP
3
4
A/p
A/p
BAP
5
A/p
BAP
6
A/p
BAP
7
SU/p
BAP
8
SU/p
BAP
BAP
9
10
PG
PG
BAP
11
rilievi
BAP
12
territorio
comunale:
T+TP+CS+
SU+A
BAP
13
censimento
BAP
14
AUT/BIB
BAP
15
DESCRIZIONE
Scheda A/i (inventariale) informatizzata. Sono compresi: il reperimento
e la predisposizione dello stralcio della mappa catastale; l'allestimento
delle fotografie sugli appositi cartoncini per allegati.
Informatizzazione della scheda A/i (inventariale), a partire da una
scheda cartacea già compilata.
Scheda A/p (precatalogo) informatizzata, escluso il rilievo dell'edificio.
Sono compresi: il reperimento e la predisposizione dello stralcio della
mappa catastale; l'allestimento delle fotografie sugli appositi cartoncini
per allegati; l'indagine storico- archivistica e bibliografica; le schede
Archivio controllato Bibliografia.
Scheda A/p (precatalogo) informatizzata, compreso il rilievo dell'edificio.
Sono compresi: il reperimento e la predisposizione dello stralcio della
mappa catastale; l'allestimento delle fotografie sugli appositi cartoncini
per allegati; l'indagine storico- archivistica e bibliografica; le schede
Archivio controllato Bibliografia; gli elaborati grafici del rilievo.
Destrutturazione
(revisione,
aggiornamento,
integrazione)
e
informatizzazione della scheda A, dal vecchio tracciato cartaceo al
nuovo tracciato informatizzato. Sono compresi: il reperimento e la
predisposizione dello stralcio della mappa catastale; l'allestimento delle
fotografie sugli appositi cartoncini; le schede Archivio controllato, la
Bibliografia.
Informatizzazione della scheda A/p (precatalogo), a partire da una
scheda cartacea già compilata
Scheda SU settore urbano) / precatalogo, escluso il rilievo del settore.
Sono compresi: la compilazione delle schede SU/A delle singole unità
edilizie incluse nel settore urbano; il reperimento e la predisposizione
dello stralcio della mappa catastale con la perimetrazione di tutti i settori
urbani del centro storico; l'allestimento delle fotografie sugli appositi
cartoncini per allegati; l'indagine storico-archivistica e bibliografica; le
schede Archivio controllato e la Bibliografia.
Scheda SU (settore urbano) / precatalogo, compreso il rilievo del
settore. Sono compresi: la compilazione delle schede SU/A delle
singole unità edilizie incluse nel settore urbano; il reperimento e la
predisposizione dello stralcio della mappa catastale con la
perimetrazione di, tutti i settori urbani del centro storico, l'allestimento
delle fotografie sugli appositi cartoncini per allegati; l'indagine storicoarchivistica e bibliografica; le schede Archivio controllato Bibliografia; gli
elaborati grafici del rilievo.
Scheda PG (parchi e giardini) senza rilievo.
Scheda PG (parchi e giardini) con rilievo.
Esecuzione di rilievi architettonici al di fuori dell'attività di schedatura,
secondo le specifiche tecniche per la documentazione grafica elaborate
dal C.R.D., tariffe professionali.
Predisposizione, secondo le norme I.C.C.D., della documentazione e
degli elaborati cartografici propedeutici alla catalogazione e relativi ai
territori comunali definiti dai progetti di catalogazione del C.R.D. per
comune. Sono compresi: individuazione e perimetrazione, su C.T.R
1:10.000, di tutti i nuclei abitati nel territorio comunale, da catalogare
con schede CS; suddivisione, su C.T.R. 1:10.000, del territorio
comunale, non compreso nelle aree CS, in settori extra-urbani, da
catalogare con schede TP; suddivisione, su mappe catastali 1:2.000 o
1:1.000, dei nuclei abitati in settori urbani, da catalogare con schede
SU; individuazione, su mappe catastali 1:2.000 o 1:1.000, delle
emergenze architettoniche, da catalogare con schede A.
Censimento delle emergenze architettoniche da catalogare nei comuni
individuati dal C.R.D. e compilazione di una scheda A/i (inventariale)
informatizzata per ogni edificio. Sono compresi: l'individuazione degli
edifici da schedare, nonché il reperimento e la predisposizione dello
stralcio della mappa catastale.
Informatizzazione delle schede Archivio controllato Bibliografia, a partire
da una scheda cartacea già compilata.
Censimento e informatizzazione in data-base di schede non I.C.C.D.
già esistenti presso la struttura regionale (modelli già strutturati e/o
informatizzati in Access, Excel, etc.) e relative a Beni architettonici,
PREZZI (netto IVA)
Da:
A:
€ 87,80
€ 10,30
€ 176,60
€619,80
€ 878,00
€ 77,50
€ 103,30
€ 20,70
€ 413,20
€1.1879
€ 1.446,10
€ 175,60
€ 464,80
€774,70
€ 1.032,90
€ 77,50
€ 5,20
€ 20,70
BA
16
RA/p
BA
BA
BA
17
18
19
RA/p
RA/c
RA/c
BA
20
MA/CA
BA
21
SI
BA
22
SI
BA
23
RA
BA
24
TMA
BA
25
SI
BA
26
MA/CA
BA
27
informatiz.
BA
28
TMA/i
BA
29
allegati
grafici
PSAD
30
PSAD
31
PSAD
32
PSAD
33
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
34
35
36
37
38
39
40
41
42
OA-D-NS.MI/c
OA-D-NS.MI/p
OA-D-NS.MI
OA-D-NS.MI
BDM/c
BDM/c
BDM/c
BDM/p
BDM/p
BDM/p
BDM/p
BDI/c
BDI/c
PSAD
43
BDI/c
PSAD
44
BDI/c
PSAD
PSAD
PSAD
PSAD
45
46
47
48
BDI/c
BDI/c
BDI/p
BDI/p
PSAD
49
BDI/p
PSAD
50
BDI/p
PSAD
PSAD
51
52
BDI/p
BDI/p
PSAD
53
BDI
PSAD
54
BDI
bibliografia, documentazione d'archivio, grafica e fotografica, per 100
schede informatizzate.
Scheda RA informatizzata: precatalogazione di reperti archeologici museali e non (in particolare i reperti di nuovo accesso, ad esempio i
reperti da ricognizione territoriale).
Scheda RA come voce precedente, ma senza informatizzazione.
Scheda RA di catalogazione di reperti archeologici - museali e non
Scheda RA come voce precedente, ma senza informatizzazione.
Scheda MA/CA: catalogazione di monumenti e/o complessi
archeologici, comprendente uno schizzo misurato in scala 1:50 e lo
stralcio della C.T.R. (Carta Tecnica Regionale) scala 1:10.000 o, in
alternativa, dell'I.G.M. scala 1:25.000.
Scheda di Sito (SI): catalogazione di siti da indagini di superficie,
esclusa redazione di scheda TMA, compresi in allegato: lo stralcio della
C.T.R. scala 1:10.000 o, in alternativa, dell'I.G.M. scala 1:25.000 e la
realizzazione di una fotografia a colori di cui vanno consegnati il
negativo e 4 stampe formato 10x15.
Scheda di Sito come voce precedente, ma completa di scheda TMA
Destrutturazione di scheda RA, consistente nella revisione (nella
definizione rientrano anche il riesame dell'edito e la destrutturazione di
cataloghi di musei), nell'aggiornamento, nell'integrazione, nella bonifica
di vecchie schede e nella digitazione dei dati:
Destrutturazione di scheda TMA, consistente nella revisione (nella
definizione rientrano anche il riesame dell'edito e la destrutturazione di
cataloghi di musei), nell'aggiornamento, nell'integrazione, nella bonifica
di vecchie schede e nella digitazione dei dati:
Destrutturazione di scheda SI, consistente nella revisione (nella
definizione rientrano anche il riesame dell'edito e la destrutturazione di
cataloghi di musei), nell'aggiornamento, nell'integrazione, nella bonifica
di vecchie schede e nella digitazione dei dati:
Destrutturazione di scheda MA/CA, consistente nella revisione (nella
definizione rientrano anche il riesame dell'edito e la destrutturazione di
cataloghi di musei), nell'aggiornamento, nell'integrazione, nella bonifica
di vecchie schede e nella digitazione dei dati:
Informatizzazione di schede cartacee anche attraverso la digitazione
dei dati e/o conversione di schede da un programma informatico ad
altro (mediante passaggio cartaceo).
Scheda di inventariazione (con tabella scritta di stima dei valori
proposti) di materiali (di nuovo accesso o meno).
Documentazione grafica di reperto. La variabilità di compenso
nell'ambito delle tariffe è legata alla complessità del disegno da
eseguire, al numero delle viste, delle sezioni e dei particolari richiesti.
Scheda OA-D-N e S-MI di catalogo informatizzata.
€ 31,00
Scheda OA-D-N e S-MI di precatalogo informatizzata.
€ 23,20
Destrutturazione, compresa revisione, aggiornamento, integrazione,
bonifica di vecchie schede OA-D-N e S-MI
Informatizzazione di schede cartacee e/o conversione di schede da un
programma informatico ad un altro (mediante passaggio cartaceo).
Scheda BDM di catalogo, sul campo, informatizzata.
Scheda BDM di catalogo, in museo, informatizzata.
Scheda BDM di catalogo, in museo, non informatizzata.
Scheda BDM di precatalogo, sul campo, informatizzata.
Scheda BDM di precatalogo, sul campo, non informatizzata.
Scheda BDM di precatalogo, in museo, informatizzata.
Scheda BDM di precatalogo, in museo, non informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, sul campo, informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, sul campo, non informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, sul campo, per eventi complessi
rappresentazioni, spettacoli, ecc.) informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, sul campo, per eventi complessi
rappresentazioni, spettacoli, ecc.) non informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, in archivio, informatizzata.
Scheda BDI di catalogo, in archivio, non informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, sul campo, informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, sul campo, non informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, sul campo,per eventi complessi
rappresentazioni, spettacoli, ecc.): informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, sul campo, ,per eventi complessi
rappresentazioni, spettacoli, ecc.) non informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, in archivio, informatizzata.
Scheda BDI di precatalogo, in archivio, non informatizzata.
Destrutturazione, consistente nella revisione, nell'aggiornamento,
nell'integrazione, nella bonifica e nella digitalizzazione e revisione di
schede FKM o FKN o FKC cartacee in schede BDI informatizzate.
Destrutturazione, consistente nella revisione, nell'aggiornamento,
€ 18,20
€ 20,70
€ 23,20
€361,50
€ 15,50
€ 31,00
€ 20,70
€ 1.032,90
€103,30
€ 180,80
€ 25,80
€ 232,40
€ 15,50
€ 15,50
€ 31,00
€ 51,70
€ 5,20
€ 10,30
€ 10,30
€ 15,50
€ 18,80
€ 33,60
€ 23,20
€ 12,90
€ 51,70
€ 31,00
€ 28,40
€ 46,50
€ 43,90
€ 20,70
€ 18,10
€ 51,70
€ 49,10
€ 95,50
€ 93,00
€ 31,00
€ 28,40
€ 46,50
€ 43,90
€ 82,60
€ 80,10
€ 20,70
€ 18,10
€ 23,20
€ 18,10
PSAD
55
BDM
PSAD
56
BDM
PSAD
PSAD
57
58
F/c
F/c
PSAD
59
F/c
PSAD
60
F/c
PSAD
PSAD
61
62
F/p
F/p
PSAD
63
F/p
PSAD
64
F/p
PSAD
PSAD
65
66
F/i
F/i
PSAD
67
F/i
PSAD
68
F/i
nell'integrazione, nella bonifica e nella digitalizzazione di scheda FKM o
FKN o FKC cartacee in schede BDI non informatizzate.
Destrutturazione, consistente nella revisione, nell'aggiornamento,
nell'integrazione, nella bonifica e nella digitalizzazione di vecchie
schede FKO cartacee (1978) in schede BDM informatizzate.
Destrutturazione, consistente nella revisione, nell'aggiornamento,
nell'integrazione, nella bonifica e nella digitalizzazione di vecchie
schede FKO (1989) o BDM (1999) strutturate in schede BDM
informatizzate.
Scheda F di catalogo, informatizzata
Scheda F di catalogo, non informatizzata
Scheda F di catalogo, sul campo e/o in archivio non
ordinato,informatizzata
Scheda F di catalogo, sul campo e/o in archivio non ordinato, non
informatizzata
Scheda F di precatalogo, informatizzata
Scheda F di precatalogo, non informatizzata
Scheda F di precatalogo, sul campo e/o in archivio non
ordinato,informatizzata
Scheda F di precatalogo, sul campo e/o in archivio non ordinato,non
informatizzata
Scheda F di inventariazione, informatizzata
Scheda F di inventariazione, non informatizzata
Scheda F di inventariazione, sul campo e/o in archivio non ordinato,
informatizzata
Scheda F di inventariazione, sul campo e/o in archivio non ordinato,
non informatizzata
€ 23,20
€ 18,10
€ 31,00
€ 28,40
€ 51,70
€ 49,10
€ 20,70
€ 18,10
€ 46,50
€ 43,90
€ 15,50
€ 12,90
€ 41,30
€ 38,70
Accordi MiBAC - CEI
Se l’odierna legislazione nazionale in materia di beni culturali ha incluso i beni di
proprietà degli enti ecclesiastici sotto la giurisdizione del Codice dei Beni culturali solo con
le modifiche apportate al testo nel 2008 (D.Lgs. 62/2008), fin dal 2002 l’ICCD ha rilevato la
necessità di coinvolgere gli enti ecclesiastici nelle attività di catalogazione, siglando con la
CEI (Conferenza Episcopale Italiana) una convenzione sulla tutela dei beni culturali
ecclesiastici, stipulata in attuazione delle disposizioni dell’Intesa 13 settembre 1996 tra il
Ministero per i beni culturali e ambientali e il presidente della CEI.
La Convenzione ICCD-CEI (8 aprile 2002) definisce le modalità di collaborazione
per l’inventario e il catalogo dei beni culturali mobili appartenenti agli enti e alle istituzioni
ecclesiastiche. Definisce un piano coordinato di programmazione degli interventi e di
integrazione delle rispettive banche dati, di adesione agli standard metodologici adottati
dall’ICCD, di coordinamento delle attività delle diocesi e delle soprintendenze attraverso la
reciproca comunicazione delle campagne d’inventariazione che s’intende promuovere.
Anche le Regioni possono concorrere alla catalogazione dei beni ecclesiastici secondo
modalità da concordare con la CEI.69
Una sistematica attuazione di tali accordi, oltre ad assicurare l’uniformità dei
prodotti catalografici, accrescerebbe la quantità di informazioni disponibili in materia di
beni culturali, rafforzando le opportunità di valorizzazione e aumentando, al contempo, il
controllo sul territorio attraverso la reciprocità delle segnalazioni e la disponibilità
finanziaria complessiva da destinare a tale settore.
69
Conferenza Stato-Regioni 1 febbraio 2001
Un caso studio: la catalogazione delle opere d’arte della Chiesa del Carmine di Bosa
(OR)
Nell’ambito della catalogazione CEI, su richiesta del vescovo e dell’ufficio beni
culturali, si procede a stilare un prospetto elementare dei costi delle schede e dei relativi
allegati necessari all’inventariazione delle opere d’arte presenti nella chiesa del Carmelo di
Bosa.
Il tempio, edificato dai padri carmelitani nella seconda metà del XVIII secolo
sull’area di una precedente chiesa dedicata a Santa Maria del Soccorso, ospita al suo
interno un interessante repertorio di opere d’arte, che vanno da un corpus di altari lignei di
gusto tardobarocco, a un gruppo di argenti liturgici, passando attraverso a una serie di
sculture lignee databili dal XV al XIX secolo.
Le tipologie delle schede scelte sono per la maggior parte di catalogo, alcune
(quelle riferite alle opere monumentali) di precatalogo, tutte informatizzate. Gli allegati
richiesti sono fotografie digitali, in media due scatti per ogni opera.
Nr.
progr.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
34
36
37
OGGETTO
Altare
Altare
Altare
Altare
Altare ligneo
Altare ligneo
Altare ligneo
Altare ligneo
Pulpito
Bussola
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Scultura
Dipinto
Dipinto
Dipinto
Altorilievo
Ostensorio
Pisside
Calice
Calice
Turibolo
Navicella
Croce astile
Croce
d’altare
Reliquiario
Reliquiario
Organo
TIPOLOGIA SCHEDA (sigla)
LIVELLO COMPLETAMENTO
e ATTIVITA’
PREZZO UNITARIO
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
OA
precatalogo informatizzata
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precatalogo informatizzata
precatalogo informatizzata
catalogo informatizzata
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precatalogo informatizzata
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catalogo informatizzata
catalogo informatizzata
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OA
catalogo informatizzata
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OA
OA
SMO
catalogo informatizzata
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precatalogo informatizzata
€ 31,00
€ 31,00
€ 23,20
Allegati
Tipologia
Costo unitario
Totale scatti
Fotografia digitale
€ 4,00
80
Costo totale schede
Costo totale allegati
COSTO COMPLESSIVO
€ 1092,40
€ 320,00
€ 1412,40
Lo sviluppo dei sistemi di membership nelle istituzioni culturali
(Elisa Fabeni)
Nel presente lavoro si cercherà di individuare le caratteristiche fondamentali dei programmi di
membership e il loro sviluppo nei musei italiani, evidenziando gli elementi di cui tener conto nella
loro progettazione e strutturazione utilizzando i principi di analisi del marketing.
In Italia lo sviluppo dei sistemi di membership nelle istituzioni culturali si può definire ancora in fieri,
soprattutto se confrontato con realtà anglosassoni e statunitensi. La sua diffusione è però molto
rapida ed attualmente numerose istituzioni culturali hanno un programma di membership
strutturato su più livelli, il che testimonia quanto l’adozione di questo strumento stia risultando
efficace.
La decisione di riportare esempi di programmi di membership solamente di musei italiani,
escludendo altre categorie di istituzioni culturali, è stata presa per evitare una mescolanza
disordinata di informazioni, poiché si è osservato che istituzioni culturali di diverso settore seguono
logiche differenti nell’utilizzo di questo strumento.
Lo strumento della membership rientra tra le possibili tecniche di marketing e di fundraising, le
entrate delle quote annuali rappresentano, infatti, un’entrata fissa, ma il valore della membership
non è individuabile primariamente nelle entrate, quanto nel valore relazionale di questo strumento.
Il fundraising non è solo l’attività di raccolta fondi, ma piuttosto un’attività strategica il cui obiettivo è
garantire la sostenibilità nel tempo di una organizzazione, promuoverne lo sviluppo e il
radicamento sul territorio, creare un rapporto duraturo con il donatore.
L’attività di fundraising attraverso lo strumento della membership consiste, da parte dell’individuo o
dell’azienda, nell’associarsi all’istituzione culturale pagando la relativa quota annuale; da parte
dell’istituzione culturale proponente nell’offrire dei benefits di vario genere. La membership
individuale ha naturalmente costi e benefits di diverso livello rispetto alla corporate membership,
l’offerta dedicata alle aziende. Il programma di membership rappresenta, quindi, l’insieme di tutti i
livelli e i benefici che sono offerti dalle istituzioni culturali a coloro che, divenendone membri,
condividono ed aderiscono alla loro mission.
Colbert individua quale scopo del marketing l’ottimizzazione del rapporto tra le aziende e i clienti e
la massimizzazione della loro soddisfazione reciproca, rilevando che la nozione di marketing
sottintende essenzialmente quattro elementi: un bisogno del consumatore, la soddisfazione di
questo bisogno, un legame tra l’azienda ed il consumatore e l’ottimizzazione dei profitti.70
Mutuando la definizione di Colbert, il marketing culturale è “l’arte di raggiungere quei segmenti di
mercato che possono potenzialmente essere interessati al prodotto, adattando le variabili
commerciali (prezzo, distribuzione e promozione) al prodotto, per mettere il prodotto in contatto con
un sufficiente numero di consumatori e per raggiungere gli obbiettivi coerenti con la missione
dell’impresa culturale.”71 Se si applicano tali parole alla membership, è possibile evincere quanto si
allinei perfettamente sui medesimi obiettivi e, di conseguenza, quanto sia complessa la sua
strutturazione per i numerosi ambiti di conoscenza che interessa. Non si tratta di proporre un
semplice abbonamento o tesseramento, ma di affrontare uno studio degli stakeholders e delle loro
aspettative, dei loro desideri, del territorio in cui vivono ed agiscono, determinare il target da
raggiungere, delineare una scala adeguata dei benefits da proporre, individuare gli strumenti
comunicativi e promozionali più adatti. La studiosa Angela Besana condensa con precisione in
poche parole le caratteristiche principali del fundraising scrivendo che:
…il fundraising è il complesso delle attività che un’impresa culturale intraprende per raccogliere
fattori produttivi utili alla realizzazione della propria mission. Non si tratta di raccogliere soltanto
del denaro. Il fundraising è tanto rivolto ad un pubblico eterogeneo (singoli, famiglie, imprese,
non profit, credito e mercato finanziario, enti pubblici, organizzazioni internazionali, ecc.) quanto
70
71
Colbert F., Marketing delle arti e della cultura, ETAS libri, Milano, 2000, p. 7.
Ivi, p. 15
ha come obiettivo di assemblare i mezzi più diversi: denaro, materie prime (inkind), servizi
(consulenze tributarie o di comunicazione), branding, spazi per lo svolgimento dell’attività
culturale, magazzini, ecc.72
Queste parole, a loro volta, se lette immaginandole rivolte alla membership, offrono la possibilità di
comprendere quanto questa tecnica sia complessa e richieda l’applicazione di competenze in vari
settori per poter essere efficace. Il punto nodale di questa citazione è nella dichiarazione che non si
tratta solo di raccogliere denaro, aspetto di importanza cruciale sia per il fundraising sia per la
membership. Gli abbonamenti, scrive Silvia Bagdadli, più che una finalità economica hanno un
obiettivo educativo e di sviluppo del senso di appartenenza ai cittadini del patrimonio culturale ed
inoltre consentono di non penalizzare economicamente i frequentatori assidui dei musei.73
Secondo lo studioso Marco Ferretti, ogni campagna abbonamenti, se organizzata con efficacia,
consente al museo di:
• Farsi conoscere e pubblicizzare esposizioni permanenti, mostre ed eventi;
• Confermare gli abbonati della stagione precedente;
• Attrarre ulteriori appassionati; incassando in via anticipata gli ingressi al museo, eventi,
mostre, percorsi formativi ecc. Questa ulteriore risorsa consente all’istituto di pianificare in
misura più accurata le proprie attività in un’ottica di perseguimento della mission
istituzionale.74
Benedetta Briglia nel suo testo sul fundraising e le fondazioni lirico-sinfoniche, trattando
l’argomento delle campagne di tesseramento soci, scrive che le persone che sostengono le
organizzazioni non profit possono essere definite in vari modi: amici, soci, sostenitori, donatori,
sponsor e altro ancora; ma sottolinea che il termine socio è però il solo che oltre a indicare una
persona che dona denaro o qualcosa di valore all’organizzazione implica anche qualcosa di più
profondo.
L’essere socio, infatti, sviluppa un senso di fedeltà e di lealtà, di appartenenza e di partecipazione
attiva alla mission dell’organizzazione. Sono i singoli individui, che accomunati dall’interesse verso
una medesima attività culturale, si riuniscono in associazioni, tipo le associazioni di “amici” (amici
della musica, del festival, del teatro) che finanziano l’attività attraverso le quote dei soci. […]
Quasi tutte le organizzazioni in cambio del pagamento di una quota offrono determinati vantaggi ai
loro soci. […] In realtà il maggior vantaggio di iscrizione per gran parte delle persone è di tipo
morale e psicologico, come il senso elitario di appartenenza a un gruppo che distingue e
caratterizza la persona.75
Marco Ferretti ci ricorda che “gli abbonamenti rappresentano politiche tariffarie attraverso cui
l’istituzione museale si propone di attrarre e fidelizzare i visitatori. Naturalmente la sola leva prezzo
risulta poco efficace se non sostenuta dall’offerta di un prodotto di qualità e di interesse e rilevanza
storica ed artistica.”76
Prendendo come riferimento il ciclo del fundraising si può evincere quanto tutte le sue fasi siano
importanti e necessarie per la strutturazione di un programma di membership: definizione e
conoscenza della causa, analisi dei pubblici di riferimento, identificazione delle necessità, ricerca
dei volontari e dei collaboratori, identificazione dei donatori, redazione del budget, definizione delle
tecniche del fundraising da impiegare, definizione del piano di fundraising (tempistica e valutazione
intermedia delle performance), scelta e comunicazione dei contenuti e dei media, misurazione delle
performance della raccolta fondi. Ogni singola fase si rispecchia nei passaggi occorrenti per la
72
Besana A., L’arte in chiave economica: letture ed approfondimenti di economia della cultura e dell’arte, Milano, LED
Edizioni Universitarie, 2003, p. 57.
73
Bagdadli S., Il museo come azienda: management e organizzazione al servizio della cultura, ETAS, Milano, 1997, p.
136.
74
Ferretti M., Le fonti di finanziamento dei musei in Ferretti M., Nova C., Zangrandi A., Finanziare i musei: promuovere
qualità e orientamento al futuro, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 19.
75
Briglia B., Il fund raising e le fondazioni lirico-sinfoniche: una nuova forma di sostegno alla cultura, Schena editore,
Fasano, 2006, p. 111.
76
Ferretti M., op. cit., p. 19.
strutturazione della membership, non è possibile tralasciare nessun elemento nella valutazione
della strategia da mettere in atto per creare un programma di adesione adeguato.
Importanti le parole riferite al fundraising in generale di Pier Luigi Sacco, assolutamente applicabili
alla membership:
Per un’organizzazione culturale scegliere la strada della raccolta fondi significa da un lato
impegnarsi alla massima trasparenza e apertura nelle proprie modalità di gestione e uso delle
risorse ricevute, e dall’altra accettare di mettersi in discussione, aprirsi al dialogo con chi dona,
con le sue aspettative, con le sue motivazioni: senza questo atteggiamento, il fundraising, per
quanto tecnicamente abile, porta a un vicolo cieco. […] Possiamo affermare che il senso
autentico del fundraising culturale sta nel fatto che prima ancora di creare condizioni di
sostenibilità per un’attività culturale, esso crea in primo luogo condizioni di accesso a contesti di
esperienza potenzialmente ricchi e stimolanti per chi dona.77
Chi decide di sottoscrivere la membership ha sicuramente un importante corrispettivo che lo
motiva, cioè è gratificato dal fatto di sostenere e partecipare a un progetto artistico d’utilità
educativo-sociale, poiché i soli benefits, per quanto fondamentali, non potrebbero giustificare da
soli la scelta di aderire ad un sistema di membership museale.
Fabio Donato, nel suo studio sul management dei teatri lirici, rileva quanto l’idea alla base della
membership proposta dalla Royal Opera House di Covent Garden a Londra sia quella di costruire
un network di relazioni a valere nel tempo che siano fondate sulla reciproca fiducia e sulla
condivisione di un progetto culturale di ampio respiro. Proprio per questo i rapporti con i finanziatori
esterni non assumono la finalità di puro procacciamento di fondi finanziari, ma si pongono
l’obiettivo di realizzare una fitta rete di relazioni che favoriscano lo sviluppo dell’istituzione nel
tempo.78 In riferimento al grado di coesione sociale con la comunità vi potrebbe essere una
autovalutazione delle attività realizzate. Infatti, grazie all’analisi dell’adesione al programma di
membership e alla soddisfazione dell’offerta culturale rilevata presso la comunità locale è possibile
costruire un sistema di misurazione che potrebbe essere composto da indicatori qualitativi,
indicatori quantitativi monetari ed indicatori quantitativi non monetari. 79
Importante non dimenticare che i membri potrebbero, se coinvolti e motivati adeguatamente,
diventare donatori e sostenitori, per questa ragione le indicazioni di Antonio Foglio inerenti i
donatori/sostenitori sono mutuabili anche per il sistema di membership:
I donatori/sostenitori vanno curati, informati, in particolare per continuare a godere del loro utile e
costante supporto; bisogna far loro giungere notizie precise sui risultati conseguiti; ciò sarà
sicuramente una valida motivazione, sempreché si evidenzino buoni risultati conseguiti, per
continuare ad avere il loro supporto.
I fondi si devono raccogliere non solo esprimendo delle richieste circa i bisogni, ma invece
evidenziando e portando a conoscenza dei donatori/sostenitori i risultati conseguiti. Fare
conoscere ciò che si fa, come lo si fa, gli obiettivi che si sono raggiunti, sono motivazioni che
incoraggiano i donatori/sostenitori abituali a continuare nelle loro contribuzioni e quindi anche ad
80
averne dei nuovi.
Scrive Sacco, riferendosi ai donatori, ma anche in questo caso parole da immaginare indirizzate a
chi sottoscrive la membership:
Al donatore non si chiede necessariamente denaro. In primo luogo, gli si chiede attenzione e
partecipazione nei confronti di una causa socialmente meritoria; a questa causa si può
contribuire in varie forme: donando tempo, competenze professionali, legami relazionali, ma
anche, in alcune circostanze, la propria credibilità personale. Contribuire non significa quindi
semplicemente conferire risorse, ma soprattutto lasciarsi coinvolgere: e quindi non è solo dare,
ma anche, e sarei tentato di dire soprattutto, ricevere. La raccolta fondi ha un senso quando
dietro di essa ci sono obiettivi, esperienze, risultati già raggiunti o ragionevolmente possibili il cui
77
Sacco P. L., (a cura di), Il fundraising per la cultura, Meltemi editore, Roma, 2006, p. 19.
Donato F., Il management dei teatri lirici, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 76.
79
Ivi, p. 246.
80
Foglio A., Il marketing dell’arte: strategia di marketing per artisti, musei, gallerie, case d’asta, show art, FrancoAngeli,
Milano, 2005, pp. 110-111.
78
conseguimento può rendere chi si lascia coinvolgere più ricco di esperienza, più consapevole,
più aperto e sensibile a ciò che è altro da sé.81
Affermazioni che trovano corrispondenza nelle parole di Rachel Adam di The Sage Gateshead
inerenti l’impegno da dedicare al donor care, che considera elemento importante e di sfida del
fundraising per coinvolgere gli individui e le imprese:
C’è bisogno di coinvolgere il donatore in quello che succede giorno dopo giorno, può essere
l’invito a un concerto o a un evento, fagli provare i nostri servizi di accoglienza, o quelli di
educazione e partecipazione. Dopo di che viene la fase più difficile: il prendersi cura del
donatore, perché dopo che si è riusciti a coinvolgere la persona devi prenderti cura di lei e farle
percepire che continua ad essere parte del progetto della tua organizzazione. Questo è uno degli
aspetti più difficili e soprattutto la parte del nostro lavoro che richiede più tempo e attenzione, ma
è davvero la fase più importante perché se fai sentire i donatori partecipi della tua missione e dei
tuoi progetti saranno essi stessi a promuovere la tua organizzazione presso altri e coinvolgere
più individui.82
Si può capire quanto, di conseguenza, il prendersi cura dei membri sia fondamentale per ottenere
buoni risultati di feedback e fidelizzazione dal programma di membership, soprattutto nell’ottica
della territorialità e quindi della forza del “passaparola”. L’importanza di queste affermazioni in
realtà evidenzia la caratteristica fondamentale della membership, la sua finalità, che come abbiamo
detto non è solo economica, ma piuttosto mira alla fidelizzazione, al coinvolgimento, alla creazione
di relazioni e valori profondi tra l’istituzione e l’utente.
È necessario, di conseguenza, che la membership si direzioni verso la personalizzazione
dell’offerta e del programma culturale, tenendo conto dei bisogni degli stakeholders, delle strategie
da individuare e mettere in atto per favorire la loro fidelizzazione, delle aspettative di
coinvolgimento relazionale: tutti fattori indispensabili per costruire un’offerta ad hoc per il target
individuato. In questo modo si viene incontro alle motivazioni maggiori dell’adesione al programma
di membership, ovvero il coinvolgimento e la partecipazione, e non solo i vantaggi economici. Per
questa ragione spesso i programmi di membership hanno un obiettivo educativo e mirano a
sviluppare nei cittadini il senso di appartenenza al patrimonio culturale del contesto in cui
agiscono.
Variabili da prendere in considerazione nella strutturazione di un programma di membership
Le azioni principali da prendere in considerazione per strutturare un programma di membership
efficace sono: individuare i presumibili aderenti alla membership ed i mezzi di comunicazione e
promozione più adeguati per raggiungere il target prescelto; comprendere quali sono gli obiettivi
che gli utenti vogliono conseguire nel sostenere un’istituzione culturale e, nello specifico un museo
e la sua offerta culturale; analizzare preventivamente le motivazioni alla base della decisione di
divenire membro; studiare il territorio, i competitors e la domanda della comunità che vi abita.
L’analisi deve portare a disegnare il profilo del sostenitore (persona o impresa) così da fornire validi
elementi informativi da utilizzare nel momento in cui si proporrà la membership.
Nell’analisi dei criteri da adottare si possono utilizzare le variabili del marketing, identificabili in
“variabili controllabili ed incontrollabili”. Come ricorda Colbert, ogni strategia di marketing è
costituita dalle stesse quattro componenti: prodotto, prezzo, distribuzione e promozione. Insieme le
“quattro p” compongono il cosiddetto marketing mix e il marketing di successo dipende da un abile
equilibrio di queste parti.83 La membership è da considerarsi un prodotto complesso offerto dalle
istituzioni culturali, nello specifico di questo studio dal museo.
Le parti di un marketing mix sono chiamate “variabili controllabili”. Le variabili macro ambientali,
note anche come variabili incontrollabili, esercitano una costante influenza sia sul mercato sia sulla
vita di una organizzazione. Ci sono cinque variabili principali del macro ambiente: l’ambiente
81
Sacco P.L., op.cit., p. 18.
Ivi, p. 136.
83
Colbert F., op. cit., p. 20.
82
demografico, l’ambiente culturale, l’ambiente economico, l’ambiente politico legale e l‘ambiente
tecnologico.84
Uno dei principi fondamentali del comportamento del consumatore è la triade individuo-prodottosituazione. Questo principio prevede che le dinamiche di un mercato, o anche semplicemente di un
segmento di mercato, possano essere comprese solo se si prendono in considerazione tutti i tre
fattori: il consumatore, il prodotto acquistato e la situazione d’acquisto. Solo a questa condizione si
possono apprezzare la ricchezza e complessità dei comportamenti del consumatore.
Per capire come e perché i consumatori si comportano in un determinato modo si devono studiare i
loro processi decisionali e gli svariati criteri impiegati.85
Ci sono cinque variabili individuali: il coinvolgimento del consumatore nel prodotto offerto (rischio
funzionale, rischio economico, rischio psicologico e rischio sociale), l’esperienza del consumatore,
il profilo socio demografico del consumatore, la personalità, i benefici ricercati.86
Nel testo di Kotler e Kotler i membri sono divisi in gruppi:
Generalmente i membri si dividono in tre gruppi: molto attivi, coloro che contribuiscono
significativamente alla vita del museo con il proprio tempo, denaro ed energia; moderatamente
attivi, coloro che partecipano spesso alle attività del museo ma non vi sono particolarmente
coinvolti; non attivi, coloro che partecipano raramente ma rimangono membri del museo. E’ utile
conoscere la percentuale di membri attivi, moderatamente attivi e non attivi di un museo. Un
elevato o crescente numero di non attivi è segno che il museo non riesce a rappresentare un
valore sufficientemente elevato agli occhi di questi membri. I musei dovrebbero esaminare i tre
gruppi per scoprire cosa ne determina la soddisfazione o l’insoddisfazione. Monitorandone le
predisposizioni, un museo può aumentare la soddisfazione dei propri membri.
L’organizzazione di un programma di sviluppo di una base di membri generalmente deve
affrontare problemi quali un esiguo numero di membri in generale, una combinazione di membri
poco produttiva, troppi membri non attivi, troppe rinunce. Sviluppo di una base di membri è la
definizione generale data all’obiettivo di creare un buon programma per i membri. I quattro punti
principali di tale sviluppo sono: classificazione dei membri, attrazione dei membri, motivazione
dei membri e conservazione dei membri.87
Ultime, ma non meno importanti, le variabili situazionali, vale a dire il periodo (mese, giorno,
stagione) in cui si fa l’acquisto, il tempo disponibile del consumatore per l’acquisto, la presenza o
l’assenza di gruppi di riferimento, il clima economico e il posto in cui si prende la decisione.88
La strategia di pricing ha grande importanza per l’offerta di membership, poiché individuare il giusto
prezzo è fondamentale per attirare la domanda e non ostacolarla. Il prezzo ha un forte potere di
sensibilizzazione della domanda ed è un elemento di primaria importanza nella decisione di
acquisto del fruitore. La difficoltà, quindi, è rappresentata dall’individuare il prezzo che l’utente è
disposto a riconoscere in un prodotto offerto, fatto che comporta la necessità di svolgere un attento
controllo sulle offerte di prodotti e servizi fatti da organismi concorrenti presenti sul mercato, sul loro
grado di accettazione, sulla loro formulazione. La politica di prezzo ha un ruolo basilare
nell’influenzare il processo decisionale dell’utente nell’acquisto del prodotto e le variabili che
entrano in gioco in tale processo sono di diversa tipologia: variabile psicologica, variabile di
differenziazione, variabile di redditività, variabile prezzo-qualità, variabile costi aggiuntivi.89
Il problema della formulazione del prezzo di adesione alla membership si pone in termini diversi da
museo a museo, come qualsiasi politica di pricing, dovrà però tenere presente alcuni elementi
indispensabili:
-
84
La missione dell’istituzione e gli obiettivi che si propone di raggiungere;
Analisi preventiva dei soggetti e del mercato, che fornirà tutti i necessari elementi conoscitivi
per quotare l’offerta ad un prezzo accettabile da parte del target scelto;
Ivi, p. 76.
Colbert F., op. cit., p. 93.
86
Cfr. Ivi, pp. 95-100.
87
Kotler N., Kotler P., Marketing dei musei: obiettivi, traguardi, risorse, Einaudi, Torino, 2004, p. 385.
88
Colbert F., op. cit., p. 108.
89
Cfr. Foglio A., op.cit., pp.266-267.
85
-
La tipologia di benefits offerti e le relative caratteristiche, con valutazione del valore effettivo
e del valore simbolico;
I costi;
I prezzi delle offerte concorrenziali;
La disponibilità dell’utente.90
Il successo di un’offerta di membership dipende dall’interesse che è in grado di suscitare, dalla
chiarezza e dalla completezza degli elementi che la formano e con cui viene recepita, dalla
personalizzazione che è in grado di assicurare, dalla pertinenza tra domanda ed offerta, dalla
rispondenza tra ciò che viene promesso e ciò che viene tradotto in realtà. Chiaramente un sistema
di verifica della soddisfazione dei membri è indispensabile per poter adeguare l’offerta alle attese
espresse. Kotler e Kotler descrivono la motivazione che determina il forte interesse dei musei a
motivare i propri membri:
Un elevato o crescente tasso di non rinnovo dell’appartenenza al museo rappresenta l’indicatore
definitivo dell’insoddisfazione dei suoi membri. I tassi di rinnovo consentono di effettuare un
controllo annuale, nel quale ogni membro vota se il “prodotto” vale il costo o l’impegno. I musei
investono molte risorse per incoraggiare i rinnovi, pertanto lo staff del museo deve poter
determinare le principali ragioni per le quali i membri non rinnovano le tessere di appartenenza.
Lo sviluppo e la conservazione della propria base di membri richiede considerevoli investimenti.
Lo staff deve monitorare continuamente il flusso dei membri al fine di mantenerlo costante.91
Vi è anche la possibilità di convertire un membro in un volontario che offre al museo tempo, lavoro
ed esperienza. In definitiva i vantaggi che un buon gruppo di membri offre a un museo valgono
ampiamente i costi sostenuti per programmarne lo sviluppo e la conservazione.92
Tipologie di programmi di membership
La membership è in una fase di pieno sviluppo nei musei italiani, probabilmente per i tempi di crisi,
dato che risulta essere uno strumento di fundraising, ma la motivazione di tale diffusione risiede
probabilmente nell’altra peculiarità di tale strumento, la sua capacità aggregante e relazionale, la
possibilità che offre di creare affezione e coinvolgimento non solo ai programmi del museo, ma al
museo in se stesso, creando così un pubblico sempre più ampio e partecipe, un pubblico a cui
relazionarsi e con cui confrontarsi. Non è un caso, infatti, che la membership sia proposta sempre
più spesso da musei di arte contemporanea, musei scientifici e musei con un alto potenziale di
interazione con il proprio pubblico.
Scrivono Kotler e Kotler:
Nella maggior parte dei casi, chiunque può diventare membro di un museo. I musei possono
reclutare membri in due modi principali. Il primo consiste in un approccio di marketing di massa,
in cui vengono inviati per posta o distribuiti capillarmente alcuni volantini che descrivono i
vantaggi dell’appartenenza al museo. Il secondo è rappresentato da un approccio per segmenti e
target, in cui il museo si rivolge a gruppi specifici. In qualsiasi comunità, la maggioranza dei
residenti non è facilmente disposta a diventare membro del museo. Per questa ragione
l’approccio per target è più appropriato. […] La miglior fonte di reclutamento sono i visitatori e i
partecipanti ai programmi dei musei. […] Un museo dovrebbe intervistare un campione di clienti
potenziali per conoscere le ragioni per le quali essi potrebbero decidere o meno di diventare suoi
membri. […] i membri potenziali possono nutrire interessi divergenti nei confronti di un museo.
Alcuni possono essere interessati ai programmi educativi; altri alle opportunità interpersonali e
sociali.93
90
Cfr. Foglio A., op. cit., p. 274.
Kotler N., Kotler P., op. cit., p. 391.
92
Ivi, p. 392.
93
Ivi, pp. 388-389.
91
Il programma di membership normalmente è suddiviso in due sezioni: la membership individuale e
la corporate membership, a loro volta segmentate in vari livelli di adesione per cui, in base alla
entità della sottoscrizione, vengono fatti corrispondere diversi benefici. Non essendo una semplice
donazione, ma una sottoscrizione, l’individuo o l’impresa riceve una serie di vantaggi di vario tipo. I
vari livelli di adesione, suddivisi in base all’entità della quota di adesione richiesta, rispecchiano i
vari segmenti di target che si intende raggiungere (studenti, famiglie, classi, liberi professionisti,
appassionati, etc.). Lo schema è strutturato di solito su base annuale, quindi un individuo e
un’impresa diventano sostenitori di una organizzazione non profit versando una quota annuale.
Membership individuale
Nell’ottica di creare un’offerta di benefits e, di conseguenza, di membership che funzioni è
necessario, come è stato esposto, uno studio approfondito del prodotto offerto, delle sue
caratteristiche, del modo in cui la mission dell’istituzione si rispecchierà nel prodotto, del territorio e
del target che si vuole raggiungere, della strategia di prezzo da adottare.
Numerosi sono gli studi che hanno affrontato il tema dei benefits più apprezzati dalle imprese, più
difficili da reperire sono i dati inerenti la membership individuale.
Nel testo di Neil Kotler e di Philip Kotler, Marketing dei musei, si trova una esauriente tabella dei
vari tipi di agevolazioni derivanti dall’essere membri di un museo che suddivide per categorie le
varie possibilità, naturalmente incrementabili in base alla specificità del museo. Si riporta la tabella,
poiché offre un panorama dei benefits proponibili e, allo stesso tempo, trasmette l’idea di quanto la
professionalità e la conoscenza approfondita dell’istituzione siano necessarie già nella fase di
analisi e strutturazione dei benefits per poter progettare un sistema di membership adeguato ed
efficace, oltre naturalmente alla conoscenza degli strumenti di marketing e fundraising,.
Tabella II.I
Vari tipi di agevolazioni derivanti dall’essere membri del museo, per categorie:
Ingresso gratuito
- Ingressi ai musei, alle mostre temporanee, ai teatri Omnimax
- Ingresso convenzionato per altri musei
Sconti
- Dal 10 al 20 per cento di sconto nei negozi e nei ristoranti
- Sconti per eventi particolari, lezioni, conferenze, concerti, visite alle mostre temporanee, viaggi,
seminari
- Sconti sulle fotografie, le fotocopie e gli altri servizi del museo
- Sconti sulla partecipazione ad altre attività e organizzazioni culturali, o a cene e attività
ricreative, e sulla fruizione dei servizi di ristorazione inclusi nell’area
Benefici e agevolazioni
- Parcheggio gratuito
- Servizio di guardaroba gratuito
- Accesso alla sala riservata ai membri
- Passeggini gratuiti per i bambini
- Prenotazione riservata per le mostre temporanee e nessuna lista di attesa
- Ingresso libero alla biblioteca del museo (ai visitatori si richiede la prenotazione)
Eventi sociali
- Anteprime delle mostre temporanee e serate di apertura
- Pernottamento dei membri
- Eventi riservati alle famiglie con bambini
- Intrattenimenti nei giorni festivi
- Aste
- Serate mensili riservate ai single o ai giovani professionisti
- Cene con il direttore del museo
- Riunioni del collegio dei membri o del consiglio di amministrazione
Cultura
- Incontri di istruzione permanente, conferenze, laboratori
- Visite guidate alle mostre temporanee
- Incontri con i curatori
- Programmi per i collezionisti
- Viaggi studio
Informazione
- Bollettini informativi o riviste mensili o bisettimanali
- Invio di posta speciale riservata ai membri
- Informazione anticipata sulle mostre e i programmi
- Calendario a muro
Riconoscimento
- Menzioni nel rapporto annuale del museo, nei bollettini e negli specifici opuscoli
- Inclusione nei pannelli murali all’entrata principale del museo
- Cerimonie di ringraziamento
Regali
- Borse a tracolla per i nuovi membri
- Carte di riconoscimento plastificate
- Estrazione di premi
- Pass gratuiti per gli ospiti
Corporate membership
La corporate membership è ancora poco diffusa in Italia, rispetto a quanto avviene presso
istituzioni americane ed anglosassoni, ma inizia a diffondersi anche presso le istituzioni culturali
italiane, poiché è uno strumento fondamentale per coinvolgere i destinatari in un rapporto duraturo
di continuità e fidelizzazione con l’istituzione di cui viene condivisa la mission, con l’obiettivo finale
di costituire una solida base economica per la programmazione delle attività. Questa modalità di
coinvolgimento costituisce non solo un momento di raccolta fondi, ma soprattutto un sistema per
creare una base di partecipazione con l’istituzione culturale.
Proprio l’estensione nel tempo differenzia il rapporto di membership dalla sponsorship e dalla
partnership, legate normalmente ad eventi e progetti specifici.
Individuare i benefits adeguati per la corporate membership è fondamentale, ancor più che per la
membership individuale, poiché nelle imprese normalmente permane un interesse economico,
nonostante il valore filantropico e sociale implicito nella scelta di sottoscrizione. I benefits offerti alle
imprese, infatti, se rispondenti alle diverse esigenze dell’interlocutore aziendale, si dimostrano un
fattore decisivo nel successo di un’attività strategica di raccolta fondi.
Nel testo di Pier Luigi Sacco, Il fundraising per la cultura, i benefits più apprezzati dalle imprese
sono raggruppati in tre grandi categorie:
a) benefit di visibilità e comunicazione: rispondono alle esigenze di qualificazione dell’immagine,
diffusione dei valori dell’impresa e ottenimento di consenso presso pubblici mirati […]
b) benefit sul fronte delle politiche di marketing: rispondono ad esigenze di differenziazione rispetto
alla concorrenza, creazione di occasione di lancio di nuovi prodotti, apertura di nuovi canali di
business. In questa tipologia rientrano i benefit che consentono: utilizzo gratuito di spazi
dell’istituzione culturale per presentazione di materiale promozionale dell’azienda o di suoi
prodotti (sampling); sviluppo di iniziative di comarketing; concessione dell’immagine
dell’istituzione o di mostre/spettacoli sponsorizzati per finalità commerciali dell’azienda.
c) benefit per attività di pubbliche relazioni: rispondono all’esigenza di tessere e qualificare le
relazioni all’interno e all’esterno dell’impresa, sviluppare attività di pubbliche relazioni,
coinvolgere le risorse interne, attivare nuovi contatti, sperimentare nuove modalità di relazione
con i pubblici interni ed esterni dell’azienda. Tra questa tipologia di benefit si possono citare:
possibilità di fruire, in modo privilegiato, degli eventi dell’istituzione da parte dei dipendenti/clienti
dell’azienda (conferenza stampa, serate inaugurali, vernissages, prime di spettacoli, previews di
mostre, incontri/cene con gli artisti, pass per le prove, viaggi culturali con la guida dei curatori del
museo); concessione di biglietti gratuiti o a prezzi agevolati per dipendenti/clienti, abbonamenti
gratuiti, diritto di prelazione per acquisto di ulteriori biglietti, possibilità di utilizzo o affitto a tariffe
ridotte degli spazi del museo o dell’istituzione culturale per eventi aziendali o iniziative di
pubbliche relazioni di alto livello; copie di cataloghi o prodotti editoriali da omaggiare a
dipendenti/clienti, prezzi agevolati per l’acquisto di prodotti del merchandising per
dipendenti/clienti.94
ESEMPI DI PROGRAMMI DI MEMBERSHIP PROPOSTI PRESSO MUSEI ITALIANI
In questa sezione saranno presentati alcuni programmi di membership attualmente in vigore presso
i musei italiani indicati. La scelta dei musei, oltre ad essere legata naturalmente alla presenza di
un’offerta di membership, si è orientata principalmente verso musei di arte contemporanea, dato
che risultano essere per rilevanza numerica i più orientati all’impiego di questo strumento. Il
materiale è stato principalmente reperito sui siti internet delle istituzioni e tramite richiesta di
informazioni più dettagliate ai responsabili dei programmi di membership.
La necessità di utilizzare una metodologia di ricerca di questo tipo deriva dalla mancanza di
letteratura specifica sulla membership e dalla conseguente difficoltà di reperire dati statistici ed
informazioni sull’argomento già elaborati. Naturalmente il presente lavoro non è esaustivo e
rappresenta solo lo spunto per un’eventuale attività di ricerca approfondita sull’argomento.
PEGGY GUGGENHEIM COLLECTION – VENEZIA
Diventa amico della collezione e lascia che l’arte diventi parte della tua vita
Questo lo slogan con cui si presenta il programma di membership della collezione Peggy
Guggenheim di Venezia, il più longevo nel panorama italiano. La sua struttura e il sistema di
benefits esclusivi ne hanno determinato il successo costante, soprattutto a livello di corporate
membership. Si tratta di un’offerta basata sui principi del marketing, sullo studio degli stakeholders
e sulle loro esigenze, sull’idea di esclusività e partecipazione, si può infatti trovare questo invito sul
sito della collezione:
Diventa socio e fai che il museo, le mostre e gli eventi entrino a far parte della tua vita. In
compagnia o da solo potrai visitare la Collezione ogni qualvolta lo vorrai evitando le code e
sentendoti a casa tua. Avrai modi di conoscere altre persone che condividono la stessa passione
per l'arte e potrai partecipare alle attività riservate ai soci e con la stessa tessera accedere ai
principali musei italiani di arte moderna e contemporanea.
La struttura è su più livelli e sottolivelli, è un prodotto complesso e articolato in un’offerta studiata
nei minimi dettagli, ogni tipologia di membership ha un nome, un prezzo ed una serie di benefits
correlati. Le macrocategorie sono due: una rivolta al singolo individuo, l’altra alle aziende.
Amici della collezione - Membership individuale
La membership individuale si divide in cinque livelli.
1. BEOPEN - Open Pass, prezzo 39 €
Tessera personalizzata
Calendario eventi riservato ai soci
Comunicazione esclusivamente via e-mail
Invio delle e-news mensili
Entrata gratuita ai principali musei di arte moderna in Italia
Sconto del 30% sul catalogo della collezione permanente
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Sacco P.L., op. cit., pp. 181-182.
Sconto del 15% nei negozi e Café della Collezione Peggy Guggenheim
Accesso alla biblioteca
Sconto sull'audioguida della collezione permanente
2. BEYOUNG - Young Pass, prezzo 19 €
(fino ai 26 anni non compiuti)
Gli stessi vantaggi del livello precedente
3. BEINDIVIDUAL - Individual Member, prezzo 80 €
Gli stessi vantaggi del livello precedente e:
Ingresso ai musei Guggenheim (New York, Berlino, Bilbao)
Catalogo omaggio della collezione permanente al momento dell'iscrizione
Invio a casa delle comunicazioni e della newsletter semestrale
Invito alle inaugurazioni delle mostre temporanee della Collezione
4. BEDUAL - Dual Member, prezzo 110 €
Gli stessi vantaggi del livello precedente e tessera addizionale per un ospite
5. BEFAMILY - Family Card, prezzo 120 €
Gli stessi vantaggi del livello precedente e:
Entrata gratuita per i figli fino a 18 anni non compiuti
Posti riservati ai Kids Day
Festa delle famiglie
Si può poi entrare a far parte del Guggenheim Circle, la quota di adesione è di 320 euro ed è
indirizzata, come indicato sul sito, ad appassionati d’arte e d’architettura, di viaggi unici e nuove
tendenze, intendendo il museo quale fonte d’ispirazione per uno stile di vita e di relazione,
attribuendo all’arte un significato più ampio di modus vivendi. L’ammissione al Guggenheim Circle
avviene su invito da parte di un socio, chiaramente giocando sulla caratteristica di esclusività. I
benefits per i soci sono:
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Tessera per il socio e seconda tessera per un ospite
Calendario eventi riservato al Circle
Partecipazione alle attività degli Amici della Collezione
Invito alle inaugurazioni delle mostre temporanee della Collezione
Ingresso ai musei Guggenheim a New York, Berlino e Bilbao
Entrata gratuita ai principali musei di arte moderna in Italia
Catalogo omaggio della collezione permanente al momento dell'iscrizione
Invio a casa delle comunicazioni e della newsletter semestrale
Invio delle e-news mensili
Sconto del 15% nei negozi e nei Café Guggenheim
Accesso alla biblioteca
Sconto sull'audioguida della collezione permanente
Ulteriore livello di adesione è la possibilità, rigorosamente su invito, di essere ammessi a The
international friends, un gruppo internazionale di collezionisti che vive il museo in prima persona
con un calendario dedicato; la quota annuale è di mille euro. I benefits per i soci sono:
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Tessera per il socio e seconda tessera per un ospite
Calendario eventi riservato agli International Friends
Una visita privata a museo chiuso per il socio e i suoi amici
Partecipazione alle attività degli Amici della Collezione e del Guggenheim Circle
Cataloghi delle mostre della collezione
Invito alle inaugurazioni delle mostre temporanee della Collezione
Ingresso ai musei Guggenheim a New York, Berlino e Bilbao
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Entrata gratuita ai principali musei di arte moderna in Italia
Catalogo omaggio della collezione permanente al momento dell'iscrizione
Invio a casa delle comunicazioni e della newsletter semestrale
Invio delle e-news mensili
Sconto del 15% nei negozi e nei Café Guggenheim
Accesso alla biblioteca
Sconto sull'audioguida della collezione permanente
Intrapresae - Corporate membership
Intrapresæ Collezione Guggenheim è una partnership strategica tra la Collezione Peggy
Guggenheim e un gruppo di aziende virtuose che condividono la passione per l'arte e credono nella
comunicazione culturale come innovativa forma di comunicazione aziendale. Nasce nel 1992 ed è
il primo progetto di corporate membership in un museo italiano. L'adesione a Intrapresæ offre alle
aziende l'opportunità di partecipare attivamente al dialogo tra arte e impresa per la valorizzazione e
condivisione di creatività e innovazione. Le aziende partner versano una quota annuale al museo e
in cambio possono godere di una serie di benefits che vanno dall’uso di spazi del museo per eventi
privati, alla possibilità di vedere il proprio nome veicolato in tutte le forme di comunicazione del
museo. Negli anni Intrapresae è diventato anche una sorta di Club, formato da persone con le
stesse passioni e le stesse idee sul rapporto sempre più stretto tra impresa e cultura.
I rappresentanti di Intrapresae si riuniscono, viaggiano, propongono nuove iniziative e nuovi
progetti, conoscono artisti, realtà e persone che altrimenti non avrebbero l’opportunità di incontrare,
partecipano agli eventi più esclusivi del museo. Anche per questo è previsto un numero massimo di
Intrapresae (24) e il principio dell’esclusività merceologica (non vi sono aziende concorrenti tra
loro). Aderire al progetto Intrapresae Collection Guggenheim implica una fee di ingresso di 10.350
euro (+ i.v.a.) e un contributo annuale di 20.700 euro (+ i.v.a.).
I benefits offerti sono:
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Il logo di Intrapresae con il nome dell’azienda è inserito in tutte le forme di
comunicazione delle attività della Collezione (cataloghi, striscioni, locandine,
pubblicità, etc.).
Possibilità di utilizzare gratuitamente gli spazi della Collezione a Venezia fino a 6
volte in un anno ed avere agevolazioni per l’utilizzo degli spazi degli altri musei
Guggenheim per l’organizzazione di grandi eventi, cene, ricevimenti, incontri
aziendali, cocktail e quant’altro.
Presenza del nominativo su targhe affisse alla Collezione a Venezia e al Museo
Solomon R. Guggenheim di New York.
Prelazione sulla possibilità di essere coinvolti come partner nelle attività e nei
progetti culturali della Fondazione (mostre ed altri eventi).
Possibilità di partecipare a riunioni e a importanti momenti decisionali del museo,
come la riunione del Comitato Consultivo della Collezione Peggy Guggenheim
(Advisory Board).
Possibilità di organizzare visite private al museo e alle sue mostre per clienti.
Ricevere biglietti per l’ingresso gratuito alla Collezione (100 biglietti validi per una
persona) e altri biglietti per l’ingresso ai vari musei Guggenheim (20 biglietti validi
per 2 persone).
Ricevere tessere particolari per i dirigenti d’azienda per visitare i musei Guggenheim
e avere sconti particolari negli spazi commerciali (6 Corporate Courtesy Card), oltre
ad altri importanti musei nel mondo (2 Art Pass).
Possibilità di accesso gratuito dei propri dipendenti e loro ospiti alla Collezione a
Venezia e al museo Guggenheim di New York.
Possibilità, previa autorizzazione della Fondazione, di vendere alcuni prodotti
aziendali selezionati presso gli shop della Collezione e di utilizzare e personalizzare
il merchandising museale come omaggio aziendale.
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Ricevere 2 cataloghi di ogni mostra organizzata presso la Collezione e 5 cataloghi
della collezione permanente all’atto dell’adesione.
Inviti ad avvenimenti particolari e prestigiosi per i dirigenti, come la colazione
ospitata in occasione della Regata Storica sulla terrazza della Collezione a Venezia.
CLUB GAMEC DI BERGAMO
Il "Club GAMeC" è un'associazione culturale, senza fini di lucro, nata nel 2005 per promuovere e
sostenere la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo nella diffusione della
conoscenza dell'arte del nostro tempo. Il Club è aperto a tutti coloro che ne condividono le finalità e
che, iscrivendosi, potranno beneficiare dei seguenti vantaggi:
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Invito alla Vernice di ogni manifestazione organizzata dalla GAMeC
Invito alla preview del direttore/curatore
Ingresso gratuito alle mostre organizzate dalla GAMeC
Sconto del 20% sulle pubblicazioni della GAMeC
Sconto su gadget prodotti dal Club GAMeC e/o dalla GAMeC
Informazione in anteprima su eventi e manifestazioni organizzati dalla GAMeC
Invito a partecipare a tutte le iniziative e attività organizzate dal Club GAMeC
Opportunità di partecipare con tariffe agevolate a viaggi organizzati dal Club GAMeC
Reciprocità benefit con MACROAmici (Roma).
La membership è strutturata su cinque livelli, ognuno dei quali ha una quota associativa
diversa, la validità di sottoscrizione è 1 gennaio-31 dicembre 2009, i benefits proposti ai
membri sono identici, con alcune differenze solo per le classi:
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Studenti: 20 €
Amici: 50 €
Famiglie: 80 € (il nucleo familiare è inteso composto da genitori + figli con età
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inferiore a 18 anni)
Sostenitori: 200 €
Classe: 50 €
Il Club GAMeC propone ai suoi Soci iniziative legate alla programmazione del museo, ma non solo.
Accanto a previews, conferenze, incontri con artisti favoriti dal programma del museo,
l'associazione organizza viaggi ed uscite in occasione di eventi espositivi e fiere (ad es. La
Biennale di Venezia, Biennale di Istanbul, MANIFESTA, ARCO, FRIEZE, etc.), visite a musei sia a
livello nazionale che internazionale.
Le quote associative Club GAMeC sono molto contenute proprio per consentire un facile accesso.
Attualmente il tesseramento permette l'ingresso gratuito illimitato al museo e uno sconto sulle
pubblicazioni GAMeC, oltre alla possibilità di partecipazione a tutte le iniziative riservate ai Soci.
L’associazione si sta muovendo per l'attivazione di convenzioni con associazioni legate a musei a
noi vicini (in particolare musei associati AMACI) proprio per cercare di intessere relazioni che
possano favorire un avvicinamento all'arte contemporanea in particolare.
Il Club GAMeC conta circa 200 Soci ogni anno.
Dal punto di vista del sostegno dell’associazione al museo, il Club si è attivato per la creazione di
un'emeroteca con riviste a consultazione gratuita per il pubblico, ha donato l'opera Untitled (we
die,) – Senza Titolo (Noi muoriamo,) dell’artista Victor Man, ha contribuito alla realizzazione del
catalogo pubblicato in occasione della mostra di Marcello Maloberti, si sta adoperando per
contribuire al finanziamento del catalogo che uscirà a conclusione della personale dell'artista Aaron
Curry, ora in corso alla GAMeC.
I Soci appartengono principalmente alle categorie AMICI e FAMIGLIE. Non ci sono al momento
classi iscritte. Non si è verificata nessuna variazione considerevole nel corso degli anni se non
passaggi di "categoria" da STUDENTI ad AMICI o da AMICI a FAMIGLIE (per graduale
coinvolgimento dei famigliari).
Essendo le quote di adesione basse, tutte le iniziative in sostegno a GAMeC hanno richiesto
operazioni di fundraising che hanno coinvolto i Soci nel finanziamento delle singole attività. Un
esempio è rappresentato dalle cene per i soci del Club GAMeC con gli artisti.
MAMBO & CO.
Il MAMbo di Bologna propone un programma di membership individuale suddiviso in vari livelli,
mentre è in fase di costruzione l’offerta di corporate membership.
MAMbo community
Fare parte della Community significa sostenere le attività del Museo d'Arte Moderna di Bologna
vivendo ogni evento da protagonista. Alcuni dei benefits proposti sono l’ingresso libero per un
anno, visite guidate speciali, sconti presso teatri, hotel e ristoranti convenzionati; lo slogan
proposto è unisciti a noi per tracciare insieme le nuove strade del contemporaneo.
La proposta si articola su tre livelli principali:
Individual
€ 21 sostenitori <30 anni
€ 50 sostenitori = > 30 anni
-MAMbo Card
-un ingresso illimitato al museo per un anno di iscrizione
-sconto audioguide mostre (ove previsto)
-newsletter dedicata
-inviti ad eventi speciali del Museo
-invito (+ 1 per ospite accompagnato) ad inaugurazione mostre
-visita riservata alle mostre
-invito a mezzo posta della brochure con la programmazione quadrimestrale del museo
-sconti dedicati
-10% di sconto presso bar/ristorante Ex Forno
Family
€ 75
due sostenitori che vivono allo stesso indirizzo
-2 X Community Individual
-entrata illimitata gratuita al museo per i figli entro 18 anni di età
-eventi Didattica Programma Family gratuiti riservati ai figli entro 12 anni di età
Prestige
€ 1.000
Oltre all'opportunità di usufruire di tutti i benefits Individual:
-visite riservate e incontri con gli artisti invitati dal MAMbo
-6 pass di ingresso al Museo per ospiti
-1 catalogo omaggio per ogni mostra
-eventi esclusivi dedicati (visite alle mostre con il Direttore e con i curatori, incontri con esperti
d'arte, eventi speciali della didattica, etc.)
-possibilità di usufruire delle sale museali (sala conferenza, foyer e altre), a seconda delle
disponibilità, a tariffe agevolate
-festa annuale riservata (natalizia/estiva e/o serata dedicata)
MAMbo club/Corporate supporting membership
È in via di costituzione il MAMbo Club, un gruppo ristretto di aziende che offrono con continuità il
loro supporto all'attività culturale e didattica del museo. I membri del MAMbo Club, attraverso un
contributo annuale, sostengono le attività del museo, godendo a loro volta di numerosi benefits,
come programmi dedicati ai propri dirigenti e dipendenti, la possibilità di vedere il proprio nome e/o
logo nel materiale informativo del MAMbo, usufruire di visite guidate e utilizzare alcuni spazi del
museo per eventi.
MART MEMBERSHIP
La Mart Membership nasce insieme al Mart ed offre l'opportunità di avere libero accesso a tutte le
sedi espositive del museo e il diritto, secondo il profilo scelto, ad un'articolata serie di vantaggi,
privilegi ed opportunità esclusive. Si tratta di un programma di membership ben strutturato ed
articolato, studiato ed indirizzato principalmente all’utenza territoriale, quindi con un taglio calibrato
sulle esigenze e le richieste effettive dei membri. Negli anni ha ottenuto un buon successo a livello
territoriale, poiché la struttura museale è divenuta un centro culturale attivo e coinvolgente per il
territorio.
Il sistema di membership è strutturato su sette diversi livelli, compresi i livelli di corporate
membership, ed è quindi possibile optare per il livello finanziario di coinvolgimento, scegliendo tra
le seguenti categorie: studente, artista, amico, individuale, sostenitore, sostenitore associazione,
sostenitore azienda. La card personale della membership del Mart ha validità annuale a partire
dalla data di emissione.
Le categorie studente/artista/individuale hanno diritto agli stessi benefits, unica differenza, oltre al
prezzo dell’adesione, è la possibilità per i possessori di card artista e individuale di partecipare alle
visite guidate alle principali mostre e alla preview della grande mostra annuale con date
comunicate dall’ufficio Amici del Museo.
Il prezzo della membership annuale è:
• Studente € 20
• Artista € 70
• Individuale € 70
I benefits proposti a questi tre livelli di membri sono:
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ingresso gratuito alle mostre, alla collezione permanente e agli eventi nelle sedi del Mart
accesso privilegiato e senza attese alle mostre e alla collezione permanente attraverso la
corsia preferenziale prenotati
invito all’inaugurazione delle mostre
invio gratuito del programma annuale e delle newsletter del Mart
tariffa agevolata per alcune iniziative della sezione didattica del Museo
sconto del 10% presso il bookshop per editoria e merchandising
sconto del 10% sulle consumazioni effettuate presso la caffetteria del Mart
ingresso gratuito o ridotto nei musei convenzionati
La card Amico costa € 110 e prevede, oltre ai benefits base delle prime 3 categorie:
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visita guidata gratuita alle principali mostre e alla preview della grande mostra annuale
(date comunicate dall’ufficio Amici del Museo)
possibilità di partecipare a viaggi di particolare interesse artistico, organizzati dal Museo, in
Italia e all’estero, accompagnati da personale del Museo
sconto del 50% sull’acquisto di una copia (per nucleo familiare) del catalogo della grande
mostra annuale
L’adesione in qualità di Sostenitore ha un prezzo di € 320; è la categoria più esclusiva, che dà
diritto ad un uso del museo veramente intensivo: cene riservate, spazi prestigiosi per i consigli
d'amministrazione oltre, naturalmente, a tutti i vantaggi delle categorie precedenti e:
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ingresso gratuito alle mostre, alla collezione permanente e agli eventi nelle sedi del Mart
anche per i componenti del nucleo familiare
possibilità di partecipare a viaggi di particolare interesse artistico, organizzati dal Museo, in
Italia e all’estero, accompagnati da un curatore del Museo
una copia gratuita del catalogo della grande mostra annuale
sconto del 50% sull’acquisto di una copia (per nucleo familiare) del catalogo della grande
mostra annuale
invito alla cena annuale riservata presso il Museo
una visita guidata gratuita alla collezione permanente o alla grande mostra annuale per un
gruppo di amici e/o familiari (min. 10 - max 30 persone, biglietti d’ingresso partecipanti non
Membership a carico del gruppo)
utilizzo, gratuito ed esclusivo, della sala Amici del Museo (max due volte al mese,
prenotazione obbligatoria)
utilizzo, a tariffe agevolate, della sala conferenze (30% sconto, spese tecniche escluse), del
ristorante e di altri spazi del Museo (prenotazione obbligatoria)
possibilità di organizzare, a tariffe agevolate, con l’appoggio e l’assistenza dell’Ufficio Amici
del Museo, serate esclusive e riservate negli spazi del Museo
L’adesione in qualità di Sostenitore associazione ha un prezzo di € 650, prevede gli stessi benefits
della categoria Sostenitore, con l’ulteriore possibilità di:
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ingresso gratuito alle mostre e agli eventi nelle sedi del Mart per il consiglio direttivo
un utilizzo gratuito della sala conferenze per un incontro dell’associazione (spese tecniche
escluse)
Il Sostenitore azienda a fronte di una quota di adesione di € 1500 offre gli stessi benefits della
categoria Sostenitore associazione con alcuni benefits mirati:
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ingresso gratuito alle mostre e agli eventi nelle sedi del Mart per il Consiglio di
Amministrazione e per il personale dell’azienda
invito alla cena annuale riservata per gli Amici ed organizzata in Museo o presso altre sedi
una visita guidata gratuita alla collezione permanente o alla grande mostra annuale per un
gruppo di amici e/o familiari (min. 10 – max. 30 persone, biglietti d’ingresso partecipanti
non Membership a carico del gruppo)
un utilizzo gratuito della sala conferenze per un incontro dell’azienda (spese tecniche
escluse)
esclusivo regalo natalizio per il Consiglio di Amministrazione
GLI AMICI DEL CASTELLO – RIVOLI (TORINO)
La strutturazione della membership offerta presso il Castello di Rivoli di Torino è molto semplice,
almeno da quanto rilevabile tramite il sito internet del museo. La quota di iscrizione dà diritto
all'entrata gratuita al museo per il socio ed un ospite, all'invio gratuito dei cataloghi pubblicati dal
museo e lo sconto del 10% sulle restanti pubblicazioni. La tessera è strettamente personale e
scade con la fine dell'anno. La quota associativa per l'anno 2008 era di 900 euro, sul sito web del
museo non è visibile l’aggiornamento per il 2009. La comunicazione online in merito non è
eccellente, probabilmente la promozione della membership avviene tramite altri canali più idonei
alla tipologia di membri del museo. I soci possono partecipare gratuitamente alle conferenze, ai
concerti e alle performances organizzati dal museo e sono invitati alle visite guidate in anteprima
delle mostre. Nel corso dell'anno vengono organizzati viaggi sia Italia che all'estero, con visita a
mostre, a gallerie d'arte e a studi di artisti. Si è voluto citare questo museo poiché si tratta di un
museo con numerosi fruitori, con una notevole importanza nazionale. Istituzione che conosce e
non ignora quindi le possibilità correlate ad un sistema di membership che, però non promuove sul
sito.
MADRE – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DONNA REGINA – NAPOLI
Il MADRE offre da due anni un programma di membership affidato al settore marketing del
museo, naturalmente l’obiettivo è creare una comunità di sostenitori del museo che hanno
l'opportunità di usufruire di speciali benefits e privilegi, attraverso l’acquisto della CartaMadre. Ci
sono tre tipologie di carte personalizzate di durata annuale: Carta Giovani, Carta Individuale e
Carta Aziende.
Carta Giovani (18-25 anni), costo 25 euro, offre i seguenti vantaggi:
♣
♣
♣
♣
♣
♣
♣
1 guida del museo
ingresso gratuito alle mostre, alla collezione permanente e agli eventi del Madre
sconto del 10% presso il bookshop per editoria e merchandising
sconto del 10/15% sulle consumazioni effettuate presso il ristorante caffetteria
invito all’inaugurazione delle mostre, alle attività e agli eventi culturali
newsletter
tariffe agevolate sui servizi e sugli eventi museali (visite guidate, audioguide, eventi
animazione etc…)
Carta Individuale, costo 50 euro, oltre ai vantaggi della Carta Giovani offre:
♣ invito (+ 1 ospite accompagnatore) all’inaugurazione delle mostre, alle attività e agli eventi
culturali
♣ invito ad un evento comprensivo di visita guidata gratuita al museo con aperitivo per il
possessore della carta e un suo ospite
Carta Aziende, costo 1000 euro, offre i seguenti benefits:
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2 cataloghi omaggio della collezione permanente
2 cataloghi omaggio all’azienda per ogni mostra in programma
ingresso gratuito alle mostre e agli eventi del museo per il personale dell’azienda
invito all’inaugurazione delle mostre
tariffe agevolate sui servizi e sugli eventi museali per il personale dell’azienda (visite
guidate, campus, audioguide, eventi animazione etc.)
sconto del 10% presso il bookshop per editoria e merchandising
sconto del 10/15% sulle consumazioni effettuate presso il ristorante caffetteria
Sconto e agevolazioni per l’utilizzo degli ambienti e servizi del museo in occasione di eventi
dell’azienda
1 visita guidata gratuita alla collezione permanente e/o alle mostre con aperitivo al museo
per i dipendenti dell’azienda
esclusivo regalo natalizio per la direzione dell’azienda
utilizzo gratuito della sala conferenza per 1 incontro/conferenza (spese tecniche escluse)
ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO DEL PATRIMONIO INDUSTRIALE DI BOLOGNA
L’Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale nasce nel 1997 come ONLUS, per
consolidare il rapporto che lega realtà produttiva e mondo della formazione, attraverso la
promozione del progetto culturale del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna.
L’Associazione, in collaborazione con il Museo, l’Istituto Tecnico Aldini-Valeriani e la
Fondazione Aldini-Valeriani, promuove progetti per la valorizzazione e la promozione della
cultura e formazione tecnica.
La mission dell’associazione è sintetizzata nello slogan Dalla cultura all’impresa,
dall’impresa alla cultura, mentre l’idea fondamentale è espressa perfettamente dall’Ing.
Fabio Rangoni, Presidente di Mortara Rangoni Europe “Attraverso il museo le aziende guardano al
proprio
passato,
attraverso
l’Associazione il museo guarda al proprio futuro”.
Dal 2005 l’Associazione è riconosciuta dalla Regione Emila-Romagna e raggruppa le più
significative industrie, fondazioni e associazioni di categoria dell’area industriale
bolognese e opera in vari campi, dalla produzione, ai servizi fino all’istruzione.
L’Associazione è composta dalle principali aziende del territorio, provenienti dai settori che si sono
imposti come gli storici motori di sviluppo dell’economia locale: dal packaging alla motoristica, dal
biomedicale all’eterogenea realtà produttiva delle piccole e medie imprese.
Farsi ponte tra il mondo della cultura, rappresentato dal Museo, e quello dell’impresa locale è uno
degli obiettivi primari dell’Associazione, nell’ottica di sensibilizzare le nuove generazioni alla vitalità
del settore industriale.
Gli obiettivi dell’associazione sono:
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sostenere l’offerta culturale del museo, la programmazione didattica e l’ampliamento
delle collezioni
coltivare l’eccellenza del fare impresa e delle competenze tecniche legate alle attività
produttive del nostro territorio
valorizzare la cultura storica industriale bolognese e lo sviluppo economico- produttivo
organizzare progetti a favore dell’innovazione e della ricerca
promuovere progetti formativi finalizzati alla diffusione della cultura tecnica e al rilancio
dei saperi tecnico-scientifici.
L'Associazione è un club di eccellenza che vede la collaborazione tra piccole e grandi
imprese nella promozione di azioni di sviluppo e innovazione in vari campi, dalla produzione, ai
servizi fino all'istruzione.
Fare parte dell'associazione significa prendere parte a eventi legati alla formazione, alla cultura
tecnica e alla valorizzazione del Patrimonio Industriale, in sinergia con i partner istituzionali e
gli sponsor. Benefits dedicati ai soci:
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Eventi per i soci in sala auditorium
Come da Statuto Associativo, il Museo del Patrimonio industriale mette a disposizione
dei Soci, previa richiesta e prenotazione concordata con la Segreteria del Museo, la
Sala Auditorium, per organizzare convegni, riunioni aziendali o eventi legati al settore
industriale.
La sala ha una capienza massima di 90 posti ed è dotata di tutte le più moderne
strutture audio e video che sono a disposizione dei Soci. Per ulteriori informazioni
rivolgersi alla Segreteria dell'Associazione o a quella del Museo.
Visite a porte chiuse: i soci possono concordare visite guidate gratuite, individuali o
per gruppi, anche a porte chiuse.
Abbonamento a Scuola Officina, rivista semestrale di cultura e informazione tecnica, a
cura del Museo del Patrimonio industriale di Bologna.
Partecipazione alle attività museali: i soci hanno la possibilità di partecipare
attivamente alla vita del Museo del Patrimonio industriale, organizzando Meeting,
Convegni e iniziative in Museo sia rivolte all'interno della propria realtà sia di
coinvolgimento di un pubblico più vasto.
AMICO DI EXPLORA DI ROMA
Una sola visita non basta!
Questo lo slogan del Museo Explora di Roma, che propone la membership come forma di
abbonamento annuale. L’offerta è rivolta prevalentemente alle famiglie, in questo caso i diversi
livelli di adesione sono strutturati sul diverso numero di componenti familiari, si può scegliere infatti
la formula di carta che più rispecchia le caratteristiche e le esigenze del nucleo familiare a cui si
appartiene:
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1 bambino 0-3 anni + 1 accompagnatore: 50 euro
1 bambino 0-3 anni + 2 accompagnatori: 65 euro
1 bambino + 1 accompagnatore: 70 euro
1 bambino + 2 accompagnatori: 95 euro
2 bambini + 1 accompagnatore: 100 euro
2 bambini + 2 accompagnatori: 130 euro
3 bambini + 2 accompagnatori*: 150 euro
*solo su questa formula, ogni componente aggiuntivo: 10 euro
Ogni Carta Amici è valida 12 mesi dall’emissione, prima di ogni visita è necessario prenotare e
ritirare i biglietti omaggio in biglietteria, la Carta è strettamente personale per i bambini, mentre gli
adulti accompagnatori possono variare.
Benefits per i possessori della Carta Amici:
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Ingresso gratuito per 12 mesi ad Explora
Parcheggio gratuito durante la visita
Sconto 10% su: shop, punto ristoro, feste di compleanno, campi estivi e invernali,
notte al museo.
Newsletter informativa su attività ed eventi
Invito alle inaugurazioni delle mostre di Explora
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Riduzioni con enti e aziende convenzionati: Bioparco, Città della Scienza di Napoli,
Kid’s world, Libreria Mel Ragazzi, Teatro Eliseo, Centre Culturel Saint Louis De
France, Palaexpo (Palazzo delle Esposizioni, Scuderie del Quirinale), Teatro Valle.
Da notare la comunicazione inerente la possibilità di detrarre la sottoscrizione dalla dichiarazione
dei redditi in quanto considerata liberalità ad una onlus, ai sensi dell’ art. 13 del D.lgs 460/97,
segnalata sulla pagina web del museo dedicata alla membership.
MEMBERSHIP MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI MILANO
Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano offre quattro
tipologie di card pensate per vivere il Museo a un prezzo simbolico, in compagnia di una persona a
scelta o della famiglia. La card ha validità annuale dalla data della sua emissione.
I quattro livelli di membership proposti sono:
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Individuale, costo 50 €, consente l’ingresso gratuito e illimitato al Museo e una visita
guidata al sottomarino Enrico Toti per il possessore e un suo ospite
Famiglia, costo 100 €, consente l’ingresso gratuito e illimitato al Museo e una visita
guidata al sottomarino Enrico Toti per la famiglia con al massimo 3 bambini
Membership Studente, costo 35 €, consente l’ingresso gratuito e illimitato al Museo e
una visita guidata al sottomarino Enrico Toti per il possessore e un suo ospite
Sostenitore, il costo è rappresentato da una donazione a partire da 300 €, offre
l’ingresso gratuito e illimitato al Museo e al sottomarino Enrico Toti
CONCLUSIONI
Grazie a questo campione esemplificativo è possibile comprendere quanto lo sviluppo della
membership sia in evoluzione nei musei italiani, con evidenti e considerevoli differenze sia nella
strutturazione sia nella promozione dell’offerta di ogni singola realtà museale. Sarebbe
interessante avere i dati di adesione e metterli in rapporto con la tipologia di istituzione, oltre ai dati
relativi all’incidenza delle quote della membership rispetto alle entrate complessive del museo, la
tipologia e la frequenza di fruizione dei membri. L’analisi di tali dati offrirebbe la possibilità di
costruire una comparazione basata su dati reali e commensurabili, sarebbe l’occasione di
verificare l’esistenza di indicatori di risultato e di performance per costruire un sistema di confronto
e rendere fattibile la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia della membership.
Ottenere questi dati è notevolmente difficile, per motivazioni legate alla riservatezza dimostrata
dalle istituzioni museali nel rilasciare informazioni in merito.
La ricerca sull’argomento è di notevole interesse e si presta ad approfondimenti di estrema utilità
per la valorizzazione e la diffusione della membership, uno strumento versatile, poliedrico e
relazionale, che può promuovere e diffondere la mission dell’istituzione in modo capillare sul
territorio fidelizzando e rendendo partecipi i suoi fruitori.
Il presente lavoro, quindi, rappresenta il principio di un eventuale studio successivo ulteriormente
approfondito e mirato.
Università degli Studi di Ferrara
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN
ECONOMIA E MANAGEMENT
DEI MUSEI E DEI SERVIZI CULTURALI
(MUSEC)
LA VALUTAZIONE
DEI RISULTATI
NEI SISTEMI MUSEALI
Anno Accademico:
2008/09
Tesi di perfezionamento di:
dott. Alessandro Furiesi
La valutazione dei risultati nei sistemi museali (Alessandro
Furiesi)
I sistemi museali
Negli ultimi decenni i musei italiani hanno sperimentato vari modelli gestionali ed organizzativi per
cercare di adattarsi ai cambiamenti della società e della pubblica amministrazione.
La richiesta di tagli e di una maggiore efficienza ed efficacia nei servizi ha coinvolto anche queste
strutture culturali i cui amministratori hanno cercato le vie più diverse per trovare una soluzione ed
una risposta a queste esigenze.
È anche per questo motivo, fra gli altri, che sono nati i sistemi museali, concepiti come strumenti di
collaborazione fra musei e fra i musei e le altre forze sociali, culturali ed economiche del territorio.
Questo modello di organizzazione è oggi ampiamente diffuso su tutto il territorio nazionale e dopo
una esperienza più che ventennale si possono analizzare i risultati che sono stati ottenuti in un
notevole numero di casi.
Va precisato che nel caso dei sistemi museali il termine “territorio di riferimento“ è stato usato in
tutte le sue connotazioni: sia come delimitazione geografica, come ad esempio per il sistema
museale del Valdarno, in provincia di Arezzo; sia, e questo è capitato più spesso, intendendo il
territorio come l’area amministrata da uno stesso ente o la sola area cittadina. Per questo la
maggior parte dei sistemi oggi esistenti raccoglie i musei di una stessa città o comune o provincia.
Anche il Ministero dei Beni Culturali agli inizi di questo secolo ha istituito dei sistemi museali
formati solo da musei e monumenti di proprietà dello Stato, che ha poi dotato di autonomia
amministrativa con lo scopo di conservare e valorizzare il patrimonio che si trovava nelle raccolte
di alcuni fra i più grandi musei italiani. Sono così nati, fra gli altri, i Poli museali di Firenze, Roma,
Napoli e Venezia oltre alla Soprintendenza Autonoma di Pompei, cinque Poli che raggruppano
gran parte dei principali musei e monumenti italiani.
Esistono anche delle città d’arte dove sono presenti più raggruppamenti di musei: ad esempio
Firenze dove convivono il Polo Museale Fiorentino, i Musei Civici Fiorentini e la rete dei Musei
Ecclesiastici.
La nascita dei sistemi museali è stata favorita dalla presenza, nello stesso ambito territoriale di più
musei, monumenti e strutture espositive, anche di tipologie e di proprietà diverse; possono essere
raggruppati infatti musei di proprietà Statale, di enti locali, di enti religiosi o di privati cittadini.
Si tratta di una situazione estremamente comune in Italia, dove la grande quantità di beni culturali
diffusi sul territorio ha portato nel corso degli ultimi due secoli alla nascita di migliaia di musei. La
maggior parte di essi ha dimensioni medio piccole e sono nati con lo scopo di accogliere beni
archeologici, artistici o demoetnoantropologici in una logica di coincidenza fra luoghi di
provenienza (contesti per cui erano stati prodotti in origine o aree di ritrovamento) e luoghi di
conservazione ed esposizione, che è la tipicità del sistema museale italiano.
Questa molteplicità di musei – concentrati anche in centri abitati piuttosto piccoli – collegata con la
tendenza al risparmio che negli ultimi anni si è diffusa fra gli enti pubblici, ha avuto come
conseguenza quella di cercare di ottenere risorse dalla valorizzazione dei propri musei e beni
culturali. Queste operazioni di risparmio e di ottimizzazione delle spese necessarie per gestire le
strutture museali sono state attuate cercando di collegare i musei del territorio in una rete.
Nella stragrande maggioranza dei casi sono stati uno o più soggetti pubblici, soprattutto gli enti
locali, che hanno promosso la creazione di sistemi museali; molto spesso gli amministratori lo
hanno fatto con l’unico intento di attirare più turisti grazie ad una offerta multipla (le card dei musei
o i biglietti combinati), alla realizzazione di depliant promozionali o iniziative varie.
In molti casi invece l’operazione è stata preceduta da ampie ricerche, in particolare da schedature
e catalogazioni dei beni culturali e dei monumenti del territorio, compiute con l’intento di conoscere
il proprio patrimonio culturale e lo stato di conservazione; a questi studi sono seguiti piani per la
conservazione, promozione e valorizzazione.
In svariati altri casi i sistemi museali, sono stati creati senza essere stati supportati da piani di
fattibilità e nemmeno da studi e analisi, ma solamente da una volontà politica o da interessi
comuni. Inoltre, se il processo di aggregazione non è stato condiviso, non solo dagli enti, ma
anche da chi gestiva i musei, può avere causato delle difficoltà che hanno poi inciso sull’effettivo
risultato dell’operazione.
Spesso può infatti verificarsi una differenza difficilmente recuperabile fra la mission del sistema e
quella di singoli musei, come ad esempio un eventuale contrasto fra le necessità legate alla
conservazione dei materiali esposti o certi monumenti e la loro valorizzazione a fini turistici (ad
esempio il numero chiuso per impedire il degrado di un monumento può essere in contrasto con
una campagna promozionale destinata ad aumentare i visitatori del sistema, rendendo difficile
accogliere tutte le richieste).
Quali sono gli obiettivi di un sistema museale?
Analizzando le convenzioni, gli statuti e i regolamenti dei sistemi museali si può notare come,
nonostante esista una sorta di schema base che poi tutti modificano in parte adattandolo alle
proprie esigenze, la mission, gli obiettivi e le modalità di attuazione possano essere molto diversi
fra sistema e sistema.
Gli scopi per cui vengono creati i sistemi museali sono molti, ma sostanzialmente possono tutti
rientrare nella definizione di museo che viene data dalla legislazione: “Struttura comunque
denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e fruizione pubblica di raccolte di
beni culturali”. Pertanto si può definire sistema museale un raggruppamento di strutture comunque
denominate e con un’organizzazione che abbia come fine la valorizzazione, la gestione o fruizione
e la conservazione di beni culturali, siano essi mobili o immobili.
Molti sistemi museali sono nati con l’obiettivo di provvedere principalmente alla conservazione e
tutela del patrimonio; gli enti che hanno istituito i sistemi hanno ritenuto la raccolta delle risorse e la
gestione di esse potevano essere utilizzate in maniera più proficua se i musei costituivano un
raggruppamento. Questo in effetti può essere vero soprattutto se, ad esempio, vengono creati
uffici unici dedicati alla tutela, alla promozione, al prestito e alla catalogazione. Questo è l’obiettivo
prioritario dei sistemi museali realizzati con musei statali o promossi dal Ministero dei Beni
Culturali.
La maggior parte dei sistemi museali vedono però al centro della loro creazione i musei civici, di
proprietà degli enti locali; a questi enti la legislazione lascia le competenze sulla valorizzazione dei
beni culturali e questo è l’obiettivo prioritario per cui sono nati i sistemi museali. In questo caso si è
cercato di “fare sistema” creando degli organismi unitari di controllo e di gestione, ma destinati
soprattutto alle esigenze della valorizzazione intesa a tutti i livelli, dalle attività didattiche rivolte alle
scuole, alla promozione turistica, alla produzione di cataloghi e pubblicazioni. Ai musei civici poi si
sono aggregati musei di altri enti o di privati e molti altri tipi di realtà museali, espositive,
monumentali che si trovano nel territorio.
Questi sistemi museali locali sono nati quasi sempre partendo da strutture museali già esistenti e
funzionanti, con lo scopo di farne un punto di interesse turistico; in molti casi la presenza di
strutture attivate ha permesso agli enti locali di poter valorizzare spazi, aree, monumenti che
dovevano essere aperti al pubblico o strutture di nuova acquisizione (per esempio monumenti
aperti dopo grossi restauri) a cui doveva essere trovato una destinazione. Attraverso la loro
valorizzazione in molti casi si è cercato anche di far convergere risorse, sia sotto forma di contributi
che di introiti da visitatori, per consentirne l’apertura al pubblico.
Molti enti locali hanno deciso così di rivolgersi al turismo e hanno ritenuto che un’offerta integrata
fosse un sistema valido per aprirsi o proporsi al turismo culturale. Infatti nella maggior parte dei
casi la creazione di un sistema museale è collegata alla creazione di un biglietto unico fra le
strutture che fanno parte del sistema. Purtroppo questa operazione se non è compiuta con
adeguate misure cautelative, può tradursi più in una monetizzazione del bene culturale che in una
sua vera e propria valorizzazione.
Un caso in cui una politica integrata dei musei e la creazione di un sistema museale ha funzionato
è quello di Volterra, dove esiste un biglietto cumulativo per i tre musei principali del sistema:
Museo Etrusco Guarnacci, Pinacoteca Civica e Museo di Arte Sacra, attivato nel 1991. Lo scopo
della sua creazione era quello di aumentare il numero dei visitatori dei musei più piccoli
(Pinacoteca e Museo di Arte sacra), che non erano molto famosi, pur esponendo opere di
eccezionale valore, utilizzando il richiamo del museo Etrusco, molto più famoso. Il risultato si è
visto subito dopo pochi anni, già dal 1996, quando la Pinacoteca si è assestata intorno ai 30.000
visitatori all’anno rispetto ai 14.000 che segnava prima dell’istituzione del biglietto unico, senza
diminuire il numero dei biglietti staccati nella struttura, segno che si trattava comunque di visitatori
aggiuntivi che erano provenienti dagli altri musei e avevano gradito l’offerta; questi visitatori non
sarebbero probabilmente entrati nella Pinacoteca, limitandosi alla visita del museo etrusco. Stessa
cosa, seppur con numeri diversi per il Museo di Arte Sacra (da 6000 si è passati a circa 9-11 mila
annui), e per il Museo Etrusco (che da 90-100 mila si è assestato intorno ai 110000) sebbene per
quest’ultimo museo l’aumento percentuale sia molto inferiore rispetto agli altri due.
Casi esaminati
Per esemplificare quanto possano essere diversificati gli obiettivi e le scelte strategiche dei sistemi
museali di seguito esamino sommariamente il caso di quattro importanti sistemi museali
provinciali: Modena, Ravenna, Siena e Grosseto.
Da questi esempi si può osservare che le mission dei sistemi non siano molto dissimili fra loro,
essendo legate sostanzialmente alla valorizzazione dei beni conservati nei musei, ma gli obiettivi e
le scelte strategiche operate da ciascun sistema possono essere piuttosto diversi.
I quattro sistemi che qui ho preso in esame hanno varie caratteristiche comuni: infatti tutti
occupano un intero territorio provinciale (anche se non tutti i musei che si trovano nel territorio
provinciale sono tenuti a parteciparvi), includono al loro interno musei di diverse tipologie e
dimensioni, sono musei appartenenti a vari tipi di proprietari (Musei statali, Musei di Enti locali,
Musei religiosi, Musei e raccolte private), in tutti i sistemi presi in esame vi sono delle città dove
sono stati organizzati dei sistemi museali cittadini che convivono o no con la rete provinciale:
Modena, Ravenna, San Gimignano, Massa Marittima. Infine il coordinamento di tutti i sistemi è
sotto il controllo della Provincia che lo esercita sia attraverso i propri uffici, che con la
collaborazione del personale dei musei.
Il sistema museale di Modena ha obiettivi legati soprattutto alle finalità scientifiche e divulgative dei
musei, che sono due delle funzioni principali dei musei. Il sistema cerca di raggiungere l’obiettivo
creando una collaborazione fra le raccolte, creando sinergie fra i musei e sviluppando anche
percorsi sia tematici, che territoriali, con lo scopo di aumentare al massimo la divulgazione e la
comunicazione relative ai culturali conservati nei musei. Inoltre il sistema distribuisce contributi
provinciali, anche provenienti da sponsor.
Le iniziative che vengono organizzate sono destinate principalmente alle scuole del territorio
provinciale, ed esiste un ampio sistema di offerte didattiche, estremamente vario, ben promosso
nelle scuole e corredato di apparati didattici a disposizione degli insegnanti e degli alunni. Anche la
formazione degli operatori – soprattutto degli operatori didattici – è un obiettivo prioritario del
sistema, che realizza per mezzo di corsi di formazione riservati al personale dei musei e con
aggiornamenti periodici.
Si pensa anche ai cittadini e in parte ai turisti, ma da quello che traspare nella comunicazione e nei
dati dei visitatori è che a queste categorie venga dedicata minore attenzione rispetto che alle
scolaresche. Non esiste una card cumulativa del sistema museale di Modena e non vi sono
nemmeno delle politiche di bigliettazione e di accesso unitarie per i musei che fanno parte della
rete.
Gli obiettivi del sistema museale di Ravenna sono ben definiti e sono i seguenti:
•
coordinamento e finanziamento
•
promozione e valorizzazione
•
schedatura e catalogazione
•
conservazione e restauro
•
impiantistica di sicurezza
•
attività editoriale e didattica
•
aggiornamento e formazione del personale.
Come si vede il sistema punta molto sulla formazione del personale e sulla collaborazione fra i
musei. Ogni museo deve sottoscrivere una convenzione in cui si impegna a partecipare al sistema
in maniera attiva, non vengono distribuiti contributi provinciali se non per progetti di rete o condivisi
fra più musei. La didattica ha una parte importante nelle attività che devono svolgere i musei, nel
1999 fu anche istituito un “Laboratorio provinciale per la didattica museale che “si pone come
luogo di coordinamento di tutte le iniziative organizzate nel campo della didattica museale, teso a
migliorare servizi come la qualificazione professionale degli operatori museali, l'aggiornamento
degli insegnanti, il rapporto tra il mondo della scuola e le istituzioni culturali, la comunicazione con
l'esterno”.
Inoltre viene posta molta attenzione sull’attuazione degli standard e sugli adeguamenti normativi in
materia di catalogazione, accessibilità, sicurezza, standard museali, qualità dell’offerta didattica;
ogni museo inoltre deve avere regolamenti, carta dei servizi e requisiti di accessibilità. La
provincia, a sua volta, fornisce, per mezzo del sito internet, strumentazioni sufficienti per
adeguarsi, almeno sul piano normativo (esiste nel sito una sezione chiamata “servizi ai musei”).
A Ravenna si punta molto sulla valorizzazione anche a fini turistici, promuovendo non solamente i
musei, ma anche una serie di percorsi tematici fissi, mostre temporanee e le altre iniziative
occasionali o periodiche che si svolgono ogni anno nei musei della provincia. Il sistema ha creato
una guida ai musei denominata “andar per musei”. Non vi sono card provinciali e politiche comuni
di bigliettazione.
Il sistema museale della provincia di Siena invece punta molto sulla collaborazione fra musei per la
raccolta e per progetti di valorizzazione anche turistica. Ma a differenza delle altre province i
comuni e i proprietari hanno costituito una fondazione di partecipazione. La Fondazione Musei
Senesi è un soggetto che si occupa di coordinare i musei del sistema gestendo soprattutto
l’organizzazione dei progetti di sistema (grandi mostre, eventi, ecc.) e la distribuzione di contributi
erogati dalla provincia o dal Monte dei Paschi di Siena che è un socio della fondazione.
L’attività del sistema è coordinata dal consiglio di amministrazione della fondazione per mezzo di
un direttore e si avvale di un comitato scientifico e di un collegio dei direttori dei musei che ha
compiti soprattutto consultivi. Importante è stata la creazione di un ufficio stampa e comunicazione
unico, che ha saputo valorizzare ulteriormente la valorizzazione dei musei.
il sistema museale di Siena organizza biglietti cumulativi, ma solo occasionalmente ed in
occasione di eventi di dimensione provinciali. Non vi sono card cumulative fra i musei, salvo che
per il piccolo sistema museale di San Gimignano; ogni ente proprietario continua a mantenere
autonoma la gestione del personale e in parte anche la promozione turistica. Esiste una guida
unica dei musei senesi e una collana coordinata di guide di ciascun museo della provincia.
La provincia di Grosseto punta invece molto più sulla valorizzazione turistica che sulle altre attività.
Il nome del sistema “Musei di Maremma” è stato proprio scelto perché evocativo di luoghi
suggestivi e di grande bellezza ed è prevista la partecipazione a talune riunioni anche di un
rappresentante dell’APT della provincia.
Anche gli standard e il raggiungimento di certi livelli qualitativi nell’applicazione degli standard
museali e nelle politiche di accoglienza sono obiettivi del sistema, che però concentra la maggior
parte delle risorse sulla promozione del territorio.
È l’unico dei quattro sistemi qui esaminati che ha suddiviso il territorio in aree geografiche
omogenee (Le Colline Metallifere, il Monte Amiata, Grosseto e Castiglione della Pescaia, le Colline
del Fiora e dell’Albegna, la Costa di Argento), ognuno con un proprio referente.
È anche l’unico sistema che ha istituito una vera e propria card per i musei (chiamata Musei Card),
ampiamente pubblicizzata sul sito internet. La card di Grosseto, inoltre, non offre ai visitatori sconti
solo per gli ingressi nei musei del sistema, ma permette anche di assistere agli spettacoli dei
cinque festival teatrali della provincia.
Determinazione degli obiettivi
Alla luce di questi esempi, che però illustrano solo una minima parte del mondo dei sistemi museali
italiani, appare evidente che non è facile individuare dei parametri per effettuare una valutazione
della performance che possa andar bene per tutte le realtà, ma si può solamente individuare delle
caratteristiche comuni.
Per capire quali siano queste caratteristiche bisogna però adesso chiedersi quali debbano essere i
risultati che deve perseguire un sistema museale.
Va stabilito pertanto quali siano gli obiettivi e le finalità istituzionali di un sistema museale,
considerando che una volta creato esisterà un unico soggetto di cui vanno misurate le
performances, pertanto non si dovranno misurare i risultati dei singoli musei, ma solo il complesso
dei valori del sistema.
Sarebbe sbagliato anche ritenere che per la valutazione del risultato del sistema museale si
debbano sommare i risultati dei singoli musei. Questo può essere vero per alcuni indicatori di tipo
quantitativo, come ad esempio il numero dei visitatori, che certamente va anche considerato sia
come somma delle parti (il totale dei visitatori che hanno visitato tutti i siti del sistema) sia
l’incidenza di questi valori per ogni singolo museo, esaminandolo anche nelle varie ripartizioni
(biglietti singoli, biglietti cumulativi, card, biglietti interi, ridotti, gratuiti, ecc.) in modo da capire quali
siano i meccanismi che muovono i visitatori.
Bisogna inoltre capire quali siano gli obiettivi di un sistema museale e in quale modo si differiscano
da quelli dei singoli musei. Non sempre sono facili da definire, spesso non lo sanno nemmeno gli
stessi musei che partecipano ed i loro promotori istituzionali; infatti su buona parte degli atti
istitutivi dei sistemi (convenzioni, statuti, regolamenti, ecc.) questi obiettivi non vengono indicati
con chiarezza. Vi possiamo trovare articoli che citano scopi generici come la valorizzazione,
l’efficienza del sistema, la migliore promozione – dei musei e della città – oppure viene ripetuta la
mission singolo museo, spesso quello principale. Ma soprattutto è difficile che vengano
determinate le strategie attraverso cui raggiungere questi obiettivi.
La creazione di un biglietto unico è l’elemento che spicca spesso negli atti costitutivi e di
conseguenza un elemento che è sempre presente nelle relazioni è il numero di biglietti cumulativi
che sono stati venduti, ma non sempre il biglietto unico è l’elemento che può rappresentare al
meglio lo scopo per cui è stato creato un sistema museale.
La valutazione
Il metodo migliore per effettuare una valutazione dei sistemi museali è quello della analisi
multidimensionale, attraverso la misurazione e l’osservazione di vari parametri, con il modello della
balanced scorecard, che può essere applicato anche alle istituzioni culturali.
Gli indicatori possono essere i seguenti:
1)
indicatori economico finanziari.
Con questi indicatori si può valutare quale sia la capacità di un sistema museale di mantenere un
adeguato equilibrio di bilancio, attraverso la programmazione delle risorse, e anche di quantificare
l’efficacia e l’efficienza dei servizi offerti dal sistema museale. Poiché i sistemi sono solitamente
composti per la maggior parte da musei pubblici la contabilità sarà di tipo finanziario, quella
utilizzata dagli enti pubblici italiani, che consente un controllo sul processo autorizzatorio, ma che
rende più difficile la verifica degli obiettivi di efficacia ed efficienza. Importante per un sistema
museale è anche la capacità di rendere partecipe la collettività su come siano stati impiegati i fondi
pubblici, non solo predisponendo relazioni di bilancio dettagliate, ma anche comunicando
chiaramente le proprie attività.
2)
indicatori sulla qualità dei servizi realizzati.
Si riferiscono alla capacità di raggiungere gli standard e gli obiettivi qualitativi programmati. Gli
standard di qualità dei musei sono ben conosciuti, infatti già dal 2000 esiste un atto di indirizzo
sugli standard da raggiungere nei musei italiani e molte regioni hanno definito quali debbano
essere gli standard di qualità dei musei, alcune di esse sono arrivate a consegnare il
riconoscimento dell’accreditamento a chi ha raggiunto determinati standard qualitativi. Possono
essere anche aggiunti ulteriori elementi, non sempre richiesti, come ad esempio la Carta dei
Servizi o la Carta dei Servizi Didattici.
Nei casi esaminati precedentemente, ad esempio, possiamo pensare per Modena di effettuare una
valutazione basata sull’esame di questionari distribuiti agli insegnanti delle scuole che hanno
partecipato alle attività didattiche in cui vengano posti quesiti sul servizio offerto dai musei. Nel
caso di Ravenna potrebbe essere invece esaminata la quantificazione del numero di musei che si
sono adeguati agli standard di qualità o che li hanno superati.
Il livello di soddisfazione del pubblico è certamente un indicatore importante per tutti i sistemi, si
ottiene solitamente con questionari dove gli utenti possano esprimere il loro giudizio, sia sull’intera
organizzazione di sistema, sui singoli musei, su alcuni servizi offerti.
3)
indicatori sulla qualità organizzativa interna.
Sono finalizzati ad ottenere la verifica della funzionalità dei processi organizzativi, cioè dell’insieme
delle attività che sono state messe in campo per la realizzazione dei servizi. Solitamente
l’elemento principale per la valutazione di questi processi è l’analisi dei tempi di realizzazione delle
iniziative programmate.
Poiché spesso le difficoltà che possono essere notate in fase di valutazione dipendono dalla
interazione fra uffici o musei diversi, questo può essere un elemento importante nel determinare i
risultati delle performances di un sistema museale, proprio per la sua caratteristica intrinseca di
essere formato da più organizzazioni che interagiscono sempre fra di loro. Certamente è
importante per la valutazione la possibilità che il sistema abbia istituito dei soggetti, come centri di
servizi, uffici informativi o altro, appositamente per l’organizzazione e il coordinamento tutte o parte
delle attività del sistema. La Fondazione Musei Senesi è un esempio di come si possa lavorare per
ottenere una qualità ed una efficienza organizzativa interna.
Queste valutazioni possono essere condotte sull’attività quotidiana, ma anche in occasione di
iniziative particolari, soprattutto mostre, eventi o spettacoli che prevedano il coinvolgimento di più
musei o uffici di musei diversi.
4)
indicatori sullo sviluppo delle conoscenze e delle competenze interne.
Misurano la capacità dell’organizzazione di aggiornarsi e di migliorare continuamente il proprio
patrimonio intellettuale interno. Si tratta di un indicatore estremamente interessante nelle logiche di
rete, dove l’esistenza di più musei può portare anche alla nascita di una sana competizione fra gli
operatori di ciascuna struttura; questa, combinata con la capacità delle figure ai vertici
dell’organizzazione (amministratori, direttori, dirigenti), può portare ad un aumento delle
performances degli operatori.
Nel caso del sistema museale di Modena l’elevato numero di iniziative formative organizzate
internamente è un caso in cui sarà più facile di altri poter valutare le capacità di sviluppo del
personale museale, non tanto in termini di quantità di corsi a cui hanno partecipato, quanto di
qualità, misurando cioè quanto questi operatori hanno saputo applicare nel proprio settore
lavorativo quello che hanno appreso nei corsi.
5)
indicatori sullo sviluppo delle tecnologie innovative
Si tratta di indicatori che misurano la capacità di applicare le nuove tecnologie. Nel caso di sistemi
museali le applicazioni delle nuove tecnologie possono essere legate ai processi di comunicazione
esterna oppure all’allestimento museale o alla didattica.
Vista l’elevata quantità di possibilità di applicazione di queste tecnologie nel settore museale
avranno un valore maggiore quelle tecnologie applicate con risultati positivi in quegli ambiti che
costituiscono i principali obiettivi del sistema museale.
Ad esempio per Grosseto potranno essere valutati maggiormente se applicati alla comunicazione
esterna piuttosto che nel percorso espositivo, come potrebbe avvenire nel caso del sistema
museale di Siena.
6)
indicatori sulla qualità delle relazioni con gli interlocutori sociali.
Il sistema museale deve realizzare un rapporto con il territorio, è importante poi che questo venga
concretizzato superando il singolo museo. Se in un territorio dove si trova un sistema museale gli
interlocutori sociali ed economici si rivolgono direttamente ad esso, invece che al singolo museo,
questo ha raggiunto un risultato positivo. Il risultato può essere meglio valutato se il sistema si è
dotato di un organismo terzo, costituito appositamente o già esistente, che fa da centro direzionale
e da intermediario fra i musei e gli stakeholders territoriali.
Quando, ad esempio, un organizzazione turistica propone ai proprio clienti la visita dei musei o di
alcuni di essi secondo un determinato percorso, non privilegiando esclusivamente un museo,
questo è un risultato utile per il sistema.
Inoltre la valutazione può basarsi anche su un piano di osservazione riferito ai risultati ottenuti sul
territorio, coerenti con le finalità istituzionali del sistema museale. In questo caso vanno rilevati,
oltre ai precedenti, anche indicatori di carattere indicativo non monetario (visitatori), di carattere
qualitativo e anche report descrittivi.
Il numero di visitatori è un parametro che viene seguito molto spesso per valutare i risultati sia dei
musei che dei sistemi museali, ma non sempre è il parametro più corretto da seguire. Infatti a un
osservatore superficiale – e secondo l’ottica di molti enti che ne hanno promosso l’istituzione – il
numero di visitatori ottenuto dal sistema dovrebbe essere un buon parametro con cui poter
valutare il grado di valorizzazione ottenuto.
Certamente tutti i musei aspirano ad avere un numero di visitatori alto, ma avere un alto numero di
fruitori non sempre indica di aver raggiunto un buon grado di valorizzazione del proprio patrimonio
culturale. Infatti spesso questa operazione trasforma la valorizzazione dei beni culturali in una vera
e propria “monetizzazione” secondo la logica che un elevato numero di visitatori corrisponde a un
elevato numero di biglietti, di vendite al bookshop, di audioguide, tutti servizi che vengono pagati e
quindi consentono al museo o al sistema museale di ottenere un guadagno economico.
Se inteso in questo senso un alto numero di visitatori non sempre rispecchia politiche legate ad
una buona valorizzazione, cioè ad operazioni che migliorano la conoscenza e il valore del
patrimonio culturale considerato come unico e irriproducibile, favorendone la trasmissione e alle
nuove generazioni. Valorizzare vuol dire anche creare iniziative imprenditoriali che possano
attivare flussi economici e ricchezza diffusa.
In questa ottica il numero dei visitatori deve essere scomposto con una ripartizione che non sia
solamente temporale e quantitativa (ad esempio se e quanti visitatori sono aumentati e in che
periodo), ma anche qualitativa. Ad esempio può essere un indice interessante valutare quante
siano state le scolaresche, sia che abbiano partecipato ad attività didattiche o no; un ulteriore
parametro per un sistema museale è quante persone abbiano visitato più siti e quanto tempo
abbiano trascorso nel territorio di riferimento del sistema.
Uno degli scopi per cui i musei si raggruppano è quello di consentire l’accesso a più strutture con
prezzi agevolati o di favorire la creazione di percorsi. Capire e poter valutare quanto sia stata
sfruttata questa possibilità è certamente più importante del numero complessivo dei visitatori.
Un importante riscontro di quanto il sistema abbia contribuito all’economia del territorio è valutare
se grazie all’istituzione di politiche di promozione e di visita che prevedano l’accesso a più siti, il
numero e il tempo medio di permanenza dei turisti che soggiornano nel territorio sia aumentato
oppure no. È facilmente intuibile quanto l’aumento del tempo di permanenza possa incidere
sull’economia turistica di un territorio.
Un altro parametro da utilizzare in questo piano di osservazione è la quantità di attori sociali ed
economici del territorio di riferimento che si pongono in relazione con il sistema e sia la qualità e la
quantità di risultati ottenuti. Per esempio calcolando quanti rapporti con le aziende del territorio
siano stati intrecciati, quante forme di parternariato, di sponsorizzazione, di membership siano
state strette fra il sistema museale, le aziende e gli imprenditori o quante forme di collaborazione
siano state attivate con le associazioni culturali e sociali.
Un esempio che esemplifica questo tipo di attività è quello del Museo dell’Accademia Etrusca di
Cortona (MAEC), che fin dall’inizio ha avuto come obiettivo la valorizzazione turistica e si è rivolto
alle aziende turistiche del territorio, ottenendo buoni risultati sia in termini di numero di visitatori, sia
di accordi con aziende. Questo museo collabora anche con altre realtà culturali del territorio
cortonese proponendo attività destinate ai turisti che vedano collegati i servizi offerti dal museo e
quelli, ad esempio, dei festival teatrali.
L’intreccio di legami che si sono creati intorno a questo museo – e che si sono creati su
progettazione del museo – vede pertanto collaborare con il MAEC non solo le imprese turistiche,
ma anche con operatori culturali di altra natura, aziende del territorio e associazioni cittadine.
Oggi è difficile che gli enti pubblici si pongano nell’ottica di valutare i risultati ottenuti, compresi i
musei e i sistemi museali. Ma proprio i sistemi museali, per l’alta incidenza che hanno sul territorio,
per il numero di stakeholders potenzialmente interessati, per la gran parte di beni e attività culturali
presenti in Italia, possono essere istituzioni che forniscono una gran quantità di dati. Lo scopo delle
valutazioni, quello di usarle per migliorare i servizi e la qualità delle offerte museali, può essere
anche utile per operazioni che consentano di collegare la realtà museale con la realtà quotidiana
delle persone che vivono e che lavorano nel territorio, dando una dimensione nuova e uno scopo
ulteriore per l’esistenza dei sistemi museali.
Forme di gestione per i musei degli enti locali (Giuliani
Valentina)
CAPITOLO 1
TIPOLOGIE MUSEALI IN ITALIA E IL LORO ASSETTO GIURIDICO
"1. Il museo è un’ istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del
suo sviluppo. E’aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali
e immateriali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e,
soprattutto, le espone ai fini si studio, educazione e diletto.
2. Questa definizione di MUSEO deve potersi applicare senza alcuna limitazione dipendente
dalla natura dell’amministrazione responsabile, dagli ordinamenti locali, dal sistema di
funzionamento o dall’indirizzo delle collezioni dell’istituzione interessata”1
L’ICOM - International Council of Museum - conferisce all’istituzione museale una valenza in
campo di ricerca storica, didattica, di valorizzazione e fruizione di tutti gli oggetti in esso contenuti,
ma anche di autonomia istituzionale che prescinde le diverse proprietà giuridiche a cui il museo, a
seconda della sua tipologia, è soggetto95.
1.1 Tipologie museali
Si riporta qui di seguito la classificazione dei musei esistenti sul territorio in base alle categorie
adottate da ICOM, EGMUS e ISTAT:
♣ Musei d’arte. Riguardanti l’arte e le arti applicate, comprendono i musei di scultura, le
gallerie di pittura, i musei di fotografia e cinema, i musei di architettura, le gallerie di
esposizione dipendenti dalle biblioteche e dai centri di archiviazione.
♣ Musei di storia e di archeologia. I primi hanno lo scopo di presentare l'evoluzione storica
di una regione o di un paese nel corso dei secoli o riferendosi a periodi di tempo limitato. I
secondi si distinguono per il fatto che le loro collezioni provengono in parte o in totalità da
scavi. Sono compresi in questo gruppo le collezioni di oggetti storici, musei commemorativi,
militari ecc.
♣ Musei di scienza e storia naturale. Si riferiscono a discipline come biologia, geologia,
botanica, zoologia, paleontologia, ecologia ecc.
♣ Musei delle scienze e delle tecniche. Si riferiscono a scienze esatte o tecniche come
l'astronomia, la matematica, la fisica, la chimica, le scienze mediche ecc. Sono inclusi in
questa categoria i planetari e i centri scientifici.
♣ Musei di etnografia e antropologia. Espongono materiale che si riferisce a cultura,
strutture sociali, credenze, costumi, arti tradizionali, ecc.
♣ Musei specializzati. Riguardano la ricerca e l’esposizione di tutti gli aspetti relativi a un
tema o ad un soggetto unico non incluso nelle categorie precedenti.
♣ Musei territoriali (regionali). Hanno come scopo illustrare le dinamiche storiche e socioculturali di una regione più o meno ampia. In tali musei confluiscono diversi aspetti: entità
storica o culturale, un'entità etnica, economica e sociale; per siffatte ragioni non sono legati
ad un tema specifico, ma ad aspetti di identità territoriale.
♣ Musei generali. Contengono collezioni eterogenee che non sono ascrivibili ad una
determinata caratteristica.
95
Estratto dallo Statuto dell’ICOM (art. 2 Definizioni), adottato dalla 16° Assemblea Generale dell’ICOM (l’Aja, Paesi Bassi, 5 settembre
1989) e modificato dalla 18° Assemblea generale dell’ICOM (Stavanger, Norvegia, 7 luglio 1995), nonché dalla 20° Assemblea
Generale (Barcellona, Spagna, 6 luglio 2001).
♣ Altri musei Non rientrano in nessuna delle categorie precedenti
♣ Monumenti e siti Strutture architettoniche o scultoree e zone topografiche che presentano
un interesse speciale dal punto di vista archeologico, storico, etnologico o antropologico.
♣ Giardini zoologici e botanici, acquari e riserve naturali Sono accumunati da un unico
intento quello di presentare esemplari viventi.
1.2 Assetto giuridico
Accanto alla classificazione in base al bene contenuto, vi è un’altra di carattere giuridico che
sancisce l’appartenenza del complesso museale ad un ente piuttosto che ad un altro. In definitiva il
museo può considerarsi:
• pubblico se appartiene ad uno dei seguenti enti pubblici: Organi istituzionali,
Ministeri, Aziende autonome, Regione, Provincia autonoma, Provincia, Comune,
Consorzio, Comunità montana, Camera di commercio, Università, Istituto culturale
pubblico, Appartenente ad altro stato estero;
• privato se appartiene ad uno dei seguenti enti, organismi o soggetti privati: Ente
ecclesiastico, Ente religioso, Università non statale, Istituto culturale privato,
Fondazione, Cooperativa, Associazione, Srl, Spa, Privati cittadini, Istituzioni
straniere, Organizzazioni internazionali o appartenente ad altro stato estero;
• misto se appartiene contemporaneamente ad un ente pubblico ed un ente privato.
Tali assetti giuridici conferiti dalla forma di istituzione museale dipendono in maniera inequivocabile
dalle condizioni del contesto territoriale in cui si opera, oltre che dalle normali condizioni interne.
CAPITOLO 2
LA GESTIONE
In Italia esistono diverse gestioni dell’istituzione museale:
♣ musei di competenza statale
♣ musei di competenza dell’ente locale
♣ musei di competenza privata e fondazioni.
Dopo la normativa n. 1080/1960, la regolamentazione si è avuta con il D. lgs. n. 490/1999, -Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali- con il quale si chiariva
l'uso e la valorizzazione dell'ambiente, con precisi riferimenti al territorio, all'edilizia, al valore
catastale, ecc…96. Con questa legge si è cercato di dare un preciso assetto giuridico al patrimonio
artistico in esame, ma questa regolamentazione riguarda solo le raccolte statali. I musei statali,
almeno come istituzione, hanno come riferimento il citato decreto legislativo; gli altri musei di
competenza degli enti locali prendono di norma il modello del ‘museo statale’; hanno un preciso
regolamento istitutivo che ne regola il funzionamento, la gestione, il personale e il bilancio,
seguendo le norme del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e istituzioni, dotandosi
così di uno stato giuridico (anche svincolandosi dalla materia pubblica e privata). Fondamentale è
il codice deontologico a cui il museo si deve attenere in quanto a funzioni primarie e compiti, come
quelli dell’acquisizione, incremento della collezione, inventariazione, catalogazione, ordinamento,
documentazione restauro, e soprattutto fruizione dei beni che preserva al pubblico. Di rilievo sono
96
Si riporta testualmente l'art. 99 del D. lgs. n. 490/1999 che determina con precisione la denominazione e destinazione d'uso dei siti di
interesse artistico e archeologico, e regolamentazione degli stessi Istituti: "1. L'apertura al pubblico dei musei, dei monumenti, delle aree
e dei parchi archeologici statali, degli archivi di Stato e delle biblioteche pubbliche statali è disposta e regolamentata dal Ministero. 2. Ai
fini del comma 1 si interde per: a) museo: struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e la
fruizione pubblica di raccolte di beni culturali; b) area archeologica: sito in cui insistono i resti di un insieme edilizio originariamente
concluso per funzione e destinazione d'uso complessiva; c) parco archeologico: ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze
archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto in modo da facilitarne
la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici."
le considerazioni di Montella sul D. lgs n. 112 del 1998, nel quale si sancisce per la prima volta,
rispetto al passato, la scindibilità del concetto di gestione da quello di valorizzazione e tutela,
inserendo tra le varie funzioni oltre alle già citate ‘valorizzazione e tutela’, anche quella di
‘promozione’ del bene culturale; lo studioso, ancora, sottolinea come alla nozione di gestione è
stato conferito il significato di “attività diretta mediante l’organizzazione di risorse umane e
materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali”, determinando così la sua
evidente confluenza nella sfera della valorizzazione e non in quella della gestione pura97. La scelta
verso una determinata tipologia gestionale piuttosto che un’altra appare inutile se prima non si
attua un processo di costruzione dell’assetto gestionale attraverso cui è possibile: a) definire
l’insieme delle funzioni gestionali da espletare mirando ad una evidenziazione delle specificità da
un punto di vista di costi e ricavi; b) rappresentare la gestione della risorsa in un orizzonte
dinamico e pluriennale; c) delineare la natura della gestione (profit/non profit) e contribuire a
definire la forma istituzionale (pubblica diretta, mista, Spa, fondazione, ecc...).
2.1 Forme di gestione per i beni culturali
Occorre analizzare in campo legislativo quali sono state le linee programmatiche adottate. Uno dei
principali riferimenti legislativi in tema di gestione dei beni culturali attualmente in vigore l’ha fornito
il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio -Codice Urbani- (modificato dal D. lgs n.156/2006), in
cui all’art. 115 comma 2, viene stabilito che le attività di valorizzazione dei beni culturali di
appartenenza pubblica possono essere gestite in forma diretta o indiretta98.
2.1.2 Gestione in forma diretta
La gestione in forma diretta è svolta attraverso gli stessi enti titolari -le amministrazioni- con
strutture dotate di autonomia scientifica, finanziaria e contabile e provviste di un qualificato
personale tecnico, adottando anche la forma di gestione consortile pubblica99.
Tale gestione, a differenza di quello che si crede comunemente, è una delle più importanti
innovazioni apportate al codice del 2004, poiché prevede che ogni struttura quale museo,
biblioteca, archivio, parco archeologico, area archeologica, complesso monumentale, dovrebbe
essere affidata ad organizzazioni autonome sia da un punto di vista decisionale -avendo propri
organi, regole, bilancio- che finanziario; naturalmente questa direttiva si può considerare in
massima parte ancora utopica100.
2.1.3 Gestione in forma indiretta
La gestione in forma indiretta è attuata da parte delle amministrazioni, tramite concessione a terzi
delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, ed è conferita attraverso gare
d’appalto sulla base della valutazione comparativa dei soggetti specifici101. La concessione a terzi
viene attuata, dopo aver sostenuto diversi studi di fattibilità che dimostrino una gestione
autosufficiente ad opera del soggetto affidatario; ciò comporta che tale affidamento sia possibile
solo per alcuni servizi regolati da apposito contratto nel quale sono determinati i contenuti del
progetto di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da
97
M. Montella, Valore e valorizzazione del patrimonio culturale storico, Electa per le Belle Arti, Milano 2009, p. 47 e note.
Si riporta per una corretta interpretazione il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio -Codice Urbani- (modificato dal D. lgs
n.156/2006) all’art. 115 Forme di gestione , il comma 1: “1. Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono
gestite in forma diretta o indiretta”.
99
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio -Codice Urbani- (modificato dal D. lgs n.156/2006) art. 115 Forme di gestione Comma 2: “
2. La gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni dotate di adeguata autonomia scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni medesime possono attuare la
gestione diretta anche in forma consortile”.
100
Cfr. Linee guida per la gestione innovativa dei beni culturali. Vademecum. Terzo rapporto. Cangemi Editore, 2009, p. 78.
101
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio -Codice Urbani- (modificato dal D. lgs n.156/2006) art. 115 Forme di gestione comma 3:
“La gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte
delle amministrazioni cui i beni pertengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112 comma 5, qualora siano conferitari dei
beni ai sensi del comma 7, mediante procedure di evidenza pubblica sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti. I
privati che eventualmente partecipano ai soggetti indicati all’art. 112 comma 5, non possono comunque essere individuati quali
concessionari delle attività di valorizzazione”.
98
assicurare e dei servizi da erogare, le professionalità degli addetti, i servizi essenziali, che devono
essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene102.
Inoltre viene sancito al comma 4 dell’art. 115 in riferimento proprio alla ‘gestione indiretta’ che “lo
Stato , le regioni, le amministrazioni ricorrono a tale gestione al fine di assicurare un miglior livello
di valorizzazione dei beni culturali”103; ne consegue che il concetto di gestione si va a legare a
quello di valorizzazione, andando a delineare ancora una volta come non si riesca a fornire una
visione chiara e pratica della gestione -attività che, in quanto tale, trova sua chiara espressione in
elementi numerici e tangibili, e non nelle dinamiche legislative, che non offrono delle linee guida di
effettiva attuazione104-.
Nell’ambito di tali leggerezze procedurali il concetto di ‘gestione’ deve peraltro sottostare
nuovamente ‘alla gestione per valorizzazione’, come se la normale attività di tutela non fosse
anch’essa una forma di gestione.105
2.1.4 Gestione profit /non-profit
Le forme di gestione diretta e indiretta non coprono l’intera panoramica gestionale, per questo
sarà opportuno attuare una distinzione fra forme di gestione non profittevole e profittevole. In
definitiva la gestione diretta può essere condotta dal solo proprietario del bene (monosoggettiva) o
da un insieme di soggetti (plurisoggettiva); in quest’ultimo caso si procederà alle forme di gestione
indiretta106.
Al primo gruppo (monosoggettivo) appartengono:
• le soprintendenze speciali o poli museali, a livello statale;
• le istituzioni e l’azienda speciale, a livello locale.
Al secondo gruppo (plurisoggettivo) appartengono:
• le fondazioni, nella tipologia delle fondazioni di partecipazione;
• le convenzioni;
• l’ufficio unico
CAPITOLO 3
GLI ENTI LOCALI E LA GESTIONE DEI MUSEI
3.1 Regolamentazione legislativa: il Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.)
Premesso che -come è sancito nel Testo Unico Enti Locali D. lgs n. 267/2001 (d’ora in poi
T.U.E.L.)- per enti locali si intendono: […] “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità
montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”107; si evince che alle diverse realtà
amministrative –comuni, province, città metropolitane, e altro- fanno seguito altrettante tipologie
museali, che necessitano, data la diversa natura istituzionale e territoriale, di altrettante gestioni.
Gli enti locali regolano la gestione dei servizi pubblici locali tramite le normative sancite nel
T.U.E.L., distinte per settore; prevedono per il settore pubblico l’affidamento a istituzioni, aziende
speciali, aziende speciali consortili e consorzi, per il non profit l’affidamento a fondazioni e
associazioni, per il privato a società di capitali miste.
102
Linee guida …cit. p. 79.
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio –‘Codice Urbani’- (modificato dal D. Lgs n.156/2006) art. 115 Forme di gestione comma 4
“ Lo Stato, le regioni, le amministrazioni ricorrono a tale gestione al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni
culturali. La scelta tra le due forme di gestione […] è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economicafinanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti. la gestione in forma indiretta è attuata nel rispetto dei parametri di
cui all’art. 114”.
104
M. Montella, Valore e valorizzazione …cit, pp. 47-52.
105
S. BONINI-BARALDI, Management, beni culturali e pubblica amministrazione, Franco Angeli Milano 2007, pp. 48-49.
106
Linee guida…cit, p. 79.
107
Normativa regolata nell’ art. 2, comma 1, del T.U.E.L. (Testo Unico degli Enti Locali) varato il 12 agosto 2000 con D. R.
103
La gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica è sancita dall’art. 113bis del
T.U.E.L.108 e si distingue in gestione con affidamento:
•
diretto
1. istituzioni;
2. aziende speciali, anche consortili;
AMBITO PUBBLICO
3. società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali,
regolate dal codice civile (Società di capitali miste);
4. associazioni (solo se sono costituite o partecipate dall’ente);
5. fondazioni (solo se sono costituite o partecipate dall’ente);
•
AMBITO PRIVATO
AMBITO NON PROFIT
in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del
servizio, non è opportuno procedere ad affidamento ai soggetti sopra indicati, ed è
lo stesso Ente locale che gestisce l’istituzione109.
3.2 Il museo quale servizio pubblico
In Italia, con l’ordinamento delle autonomie locali vengono definiti ‘pubblici’ tutti i servizi alla cui
gestione provvedono Comuni e province, purché debbano avere ad oggetto beni e attività, con
finalità di promozione territoriale e sociale. Di conseguenza sono ‘pubblici’ tutti i servizi forniti dagli
Enti locali e territoriali.
Organizzando il museo come attività propria dell’Ente locale, cioè come servizio pubblico,
l’istituzione museale è chiamata a svolgere solo attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e
controllo, mentre la gestione del servizio sarà affidata ad una struttura apposita, autonoma, di cui
possiede il controllo strategico110.
Se il museo è un servizio pubblico, allora l’Ente dovrà distinguere l’attività di programmazione e di
indirizzo da quella di gestione; quest’ultima attività verrà attuata con l’affidamento del servizio a
terzi con un contratto, nel quale l’Ente deve chiarire le condizioni per cui venga rispettato un
corretto espletamento di quanto richiesto nel pieno conseguimento delle finalità precedentemente
individuate dall’ente stesso. In definitiva nel contratto deve essere indicato: durata, modalità di
108
L’articolo 1, modificato dal D.lgs. n. 448 del 28 dicembre 2001 e dal D.lgs n. 269 del 30 settembre 2003, così recita:” Ferme restando
le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a
: a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari
del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più
importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. 2. È consentita la gestione in economia quando, per le
modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1. 3.
Gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro
costituite o partecipate. [4. Quando sussistono ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono
essere affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore.] 5. I rapporti tra
gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi di cui al presente articolo sono regolati da contratti di servizio.
109
Cfr. G. FARNETI-R. LEVY ORELLI, Evoluzione dell’assetto istituzionale ed analisi dei modelli gestionali dei servizi museali negli enti
locali alla luce di alcune evidenze empiriche, in Misurare e comunicare i risultati. L’’accountability del museo, a cura di B. SIBILIO PARRI,
Franco Angeli Milano 2004, pp. 131-149, in part. pp.144-145.
110
G. ROLLA, Profili gestionali ed organizzativi di un museo, in L’offerta culturale...cit. pp. 279-300, in part. p. 287.
espletamento del servizio, obiettivi qualitativi, aspetti economici del rapporto costituito, modalità di
determinazione delle tariffe, diritti degli utenti, poteri di controllo e verifica da parte dell’ente locale
dell’attività svolta. L’altra funzione cui il contratto deve assolvere è quella di creare una rete fra gli
obiettivi di politica culturale dell’ente locale e quelli del soggetto preposto, assicurandone una
corretta gestione secondo le linee programmatiche socio-politiche e di sviluppo territoriale111.
3.3 Forme di gestione diretta nel settore pubblico: l’istituzione, l’azienda speciale e le
aziende speciali consortili
3.3.1 L’Istituzione
Comuni e province dispongono, per gestire i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, di
una gestione diretta di tipo monosoggettivo: l’istituzione. Essa si presenta come una struttura che
gode di una certa autonomia sia da un punto di vista organizzativo che finanziario, poiché il suo
Statuto e Regolamento interno -da qui anche la modalità di disciplina delle Entrate e delle Uscitesono definite dal consiglio di Giunta del Comune o della Provincia di riferimento. Bisogna chiarire
che l’istituzione non è autonoma in tutto e per tutto essendo comunque disciplinata dalle normative
comunali o regionali, quali esse siano, ma gode di una certa soggettività legata al bilancio: esso
non transita per l’ente comunale, ma viene allocato direttamente a livello ‘dell’Istituzione’. Questo
permette un notevole margine decisionale nella capacità di adottare scelte libere di destinazione
dei suoi fondi (monetari), senza essere soggiogata da pressioni o influenze dettate da un
particolare ente politico o istituzionale. Detta struttura inoltre decide in definitiva la propria gestione,
con organi e uffici autonomi, con consiglio d’amministrazione e presidente; può dotarsi al massimo
vertice di un direttore generale che si occupa sia della gestione ordinaria e di tutti gli aspetti legati
al personale da impiegare, sia delle scelte di carattere scientifico, conservativo o espositivo; ma da
un punto di vista finanziario le legge prevede che l’ente che la crea deve provvedere alla copertura
dei costi sociali; il che implica che tutte le responsabilità imputabili a problemi giuridici e difficoltà di
vario genere sono a carico dell’Ente generativo, in quanto l’istituzione non gode di personalità
giuridica ed è per questo che è l’Ente stesso che deve risponderne.
In quanto a organizzazione può essere paragonata per alcune caratteristiche alle ‘sovrintendenze
speciali’ consentendo nello stesso tempo un’apertura verso più soggetti estranei all’ente pubblico.
La forma dell’istituzione garantisce, dato il forte legame con l’ente proprietario, una certa sicurezza
in merito alla gestione del patrimonio storico-artistico sia a livello di conservazione che di
integrità112.
Per la sussistenza di tale forma di gestione devono peraltro persistere i seguenti presupposti:
•
l’ente locale deve decidere di espandere l’attività conservativa ed espositiva, per una
maggiore fruizione ad un più vasto pubblico;
• l’ente locale deve dotarsi di un progetto di gestione sia a livello di organizzazione strutturale
che di collaborazione con altri enti e soggetti esterni;
• l’ente locale dovrà garantire risorse finanziarie per il progetto e consentire un’autonomia
gestionale minima per l’Istituzione;
• la struttura museale per funzionare efficacemente deve dotarsi di: un direttore, un supporto
tecnico e operativo minimo di personale qualificato (conservatori e altro) e un gruppo
operativo ed esecutivo per l’amministrazione e la custodia;
• l’utenza di pubblico deve essere sollecitata e informata attraverso dei meccanismi di
promozione di forte impatto territoriale, al fine di determinare una spinta dell’istituzione
museale, finora sommersa, verso una maggiore conoscenza locale e regionale;
Se, al contrario non fossero rispettati tali requisiti, l’istituzione a carattere locale dovrebbe
assurgere al semplice ruolo di luogo atto per la conservazione e la raccolta di beni, nell’ambito di
111
Ibidem.
Cfr. M. VILLANI, Il Museo decentrato. Aspetti e problematiche per una riqualificazione territoriale, in L’offerta culturale. Valorizzazione,
gestione, finanziamento, a cura di GAETANA TRUPIANO, Roma Biblink 2001, pp. 129-160, in part. pp. 133-135.
112
una staticità che per troppo tempo l’ha caratterizzata, non andando ad implementare le effettive
potenzialità della stessa struttura museale113.
3.3.2 L’Azienda speciale
Accanto all’istituzione vi è una seconda forma di gestione diretta quella dell’azienda speciale a
carattere totalmente pubblico. L’azienda speciale è uno strumento dell’ente locale con autonomia
giuridica e imprenditoriale e dotato di un proprio statuto approvato dal Consiglio Comunale o
provinciale mirante ad una gestione, quanto più possibile, efficace, efficiente, e rispettante i criteri
di economicità.
L’unico obbligo che ha l’azienda speciale è il pareggio di bilancio. Essa non rispecchia le
dinamiche economiche di azienda-impresa per cui bisogna ricavare utili o profitti, ma deve
perseguire un equilibrio tra costi e ricavi; tutto ciò che è in eccedenza potrà anche essere utilizzato
per pagare gli eventuali costi sociali. Inoltre tale forma di gestione agisce solo qualora ci sia un
unico soggetto attuatore. Infatti pur essendo definita monosoggettiva (un unico ente attuatore), può
tuttavia adattarsi alla forma di gestione integrata, previa la stipula di una convenzione fra ente
attuatore e la stessa azienda speciale114.
3.3.2.1 L’azienda speciale consortile
E’ un’organizzazione dotata di personalità giuridica che, nell’evolversi anche successivo della
normativa, si e’ andata individuando come strumento privilegiato per la gestione dei servizi non
aventi caratteristiche industriali, definiti poi nella finanziaria del 2004 come servizi non aventi
rilevanza economica. E’ un’organizzazione composta da soli enti pubblici (scelta voluta dagli stessi
amministratori), con piena autonomia giuridica e gestionale.
La rappresentanza dei comuni e’ garantita attraverso l’organo assembleare.
3.4 Forme di gestione diretta settore non profit plurisoggettiva: associazioni, fondazioni,
3.4.1 Associazioni
L’ente può scegliere la forma della gestione di affidamento diretto ad associazioni da loro
partecipate o costituite. Premesso che, le associazioni (riconosciute e non) nella forma giuridica
del settore non profit italiano sono regolate dal Libro I del Codice Civile (artt.14-42) insieme alle
fondazioni e ai comitati, si deduce che la forma associativa è un’organizzazione costituita da un
gruppo di persone che si uniscono per perseguire uno scopo e una finalità comune. Queste,
proprio per la loro natura non profit a differenza delle società a carattere profit, non possono
perseguire finalità di tipo economico e commerciale115. Le associazioni in quanto tali possono
concorrere alla gestione dei servizi museali solo se sono riconosciute giuridicamente, ossia dotate
di personalità giuridica, ne sono escluse quelle non riconosciute. Per questo aspetto rimandiamo
sia al D. lgs n. 368 del 1998 istitutivo del MiBAC che qualificava le associazioni e le fondazioni a
strumenti gestionali del Ministero (con successivo regolamento del D. M. del 27 novembre 2001 n.
491) sia all’art. 113 bis del T.U.E.L. che stabilisce che Comuni e province possono affidare
direttamente ad associazioni riconosciute e a fondazioni da loro partecipate o costituite i servizi
sociali e culturali116.
3.4.2 Fondazioni e fondazioni di partecipazione
Le fondazioni, in particolare quelle di partecipazione, sono divenute strumento tipico per la
gestione dei beni culturali dall’emanazione del D. lgs n. 366 del 20 ottobre 1998. Le fondazioni
113
Ivi, p. 134.
Linee guida…cit, p. 82.
115
G.P. BARBETTA-F.MAGGIO, Nonprofit. Il nuovo volto della società civile, il Mulino Bologna, (2° ed. 2008), p. 34.
116
Linee guida…cit. p. 83.
114
tradizionali sono regolate dal Libro I del Codice Civile, che si esprime in questi termini: una
fondazione è un patrimonio, distaccato dal suo titolare, a cui è conferita una personalità giuridica,
che ha finalità di perseguire uno scopo specificato dall’atto- lo statuto- che dà vita alla fondazione
stessa. Al momento della costituzione vengono stabiliti gli scopi del patrimonio costituito e le regole
per la sua organizzazione interna. Le fondazioni hanno un consiglio di amministrazione che
determina la sua peculiarità di forma di gestione privata. In periodi di forti recessioni economiche,
le fondazioni, operando grazie al solo patrimonio, possono incorrere in problemi di
immobilizzazione patrimoniale, per cui per ovviare a tale criticità si è adottata la forma della
fondazione di partecipazione. Quest’ultima, non profit, cerca di coniugare i vantaggi
dell’accumulazione e della indipendenza patrimoniale, con quelli dei modelli associativi, dove i
soci, attraverso un impegno comune fra risorse economiche e personali, cercano di raggiungere gli
stessi risultati propostisi. Gli elementi caratteristici di una fondazione di partecipazione sono i
seguenti:
1. la possibilità del socio fondatore di partecipare direttamente all’amministrazione come
membro del consiglio d’amministrazione;
2. la possibilità, ove prevista dallo statuto, di espansione del numero dei soci fondatori,
mediante manifestazioni di volontà successive;
3. la possibilità di aggiornamento dello scopo, attraverso gli apporti dei successivi fondatori117.
Hanno adottato la forma della fondazione di partecipazione gran parte delle fondazioni liriche
italiane118, ma anche nel settore della promozione dell’arte la Quadriennale di Roma o la Triennale
di Milano, nonché a livello di istituzione museale il Museo Egizio di Torino119.
Casi studio per una Fondazione di partecipazione:
a) Il Museo Egizio di Torino
Il Museo Egizio viene gestito dal 19 dicembre 2005 attraverso una fondazione di partecipazione:
‘Fondazione Museo delle Antichità Egizie’. La Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino,
costituita ufficialmente il 6 ottobre 2004, rappresenta il primo esperimento di costituzione, da parte
dello Stato, di uno strumento di gestione museale a partecipazione privata; è stata fondata
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che conferisce in uso per trent’anni i propri beni, in
collaborazione con la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di
San Paolo e la Fondazione CRT.
La Fondazione si propone di accogliere gli standard internazionali dell’ICOM ripresi anche con
decreto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di adottare come guida del suo operato
verso il Museo Egizio la definizione di museo redatta dall’ ICOM120; essa inoltre richiede
determinati impegni agli altri fondatori, ossia enti territoriali e pubblici, soggetti privati, diversi dal
Ministero. E se da un lato il Ministero conferisce in uso ‘il museo’, come bene culturale, gli altri enti
devono necessariamente adeguarsi fornendo le dovute risorse finanziarie per la costituzione del
fondo patrimoniale. A questo punto di notevole importanza è l’atto di convenzione: una sorta di
patto fra le varie parti, attraverso cui vengono disciplinati gli accordi fra i soggetti coinvolti,
soprattutto in termini di copertura delle spese per la gestione della struttura museale121.
Nelle fondazioni di partecipazione possono essere coinvolte anche tutte quelle società di capitali
che perseguono le medesime finalità della fondazione, dato che quest’ultima non ha scopo di lucro
né distribuisce utili.
117
Cfr. G. FRANCHI SCARSELLI, Sul disegno di gestire i servizi culturali tramite associazioni e fondazioni, in “Rivista di arti e diritto on line”,
n. 3 2000, Aedon Il Mulino; vedi inoltre E. BELLEZZA –F.FLORIAN, Le fondazioni del Terzo millennio, Firenze 1998, pp. 63-64.
118
Le fondazioni liriche istituite in Italia sono 14: il San Carlo di Napoli, La Scala di Milano, Il Maggio fiorentino, il Comunale di Bologna,
il Verdi di Trieste, la Fenice di Venezia, il Massimo di Palermo, Il Carlo Felice di Genova, il Petruzzelli e Teatri di Bari l'Opera di Roma,
l'Accademia di Santa Cecilia, il Lirico di Cagliari e il Regio di Torino.
119
Linee guida …cit. pp.84-85.
120
S. FOÀ, Lo Statuto tipo della fondazione museale: il caso del Museo Egizio di Torino, in “Rivista di arti e diritto online”, n. 2 2003,
Aedon, Il Mulino.
121
Ibidem.
b) I Musei Civici di Venezia
La ‘Fondazione Musei Civici di Venezia’ è stata istituita con delibera del Consiglio Comunale di
Venezia il 3 marzo 2008, al fine di gestire e valorizzare l’immenso patrimonio culturale e artistico
dei Musei Civici Veneziani. Operativa dal 1 settembre 2008, è configurata come una fondazione
di partecipazione e ha un unico socio fondatore, il Comune di Venezia. Favorisce l’aggregazione
di ‘soci partecipanti’122, pubblici e privati, che contribuiscono alla vita della fondazione,
sostenendone e condividendone le finalità istituzionali. Gli organi della Fondazione sono:
il Consiglio di Amministrazione, il Presidente, il Direttore, il Comitato scientifico e il Comitato di
direzione, il collegio Revisori dei Conti. La Fondazione gestisce e promuove un sistema
museale ricco, articolato, complesso ed economicamente sano; gode di una totale autonomia
amministrativa e gestionale –facente capo al Consiglio di Amministrazione –, che consente agilità
operativa, programmazione, una forte e trasparente motivazione imprenditoriale, un assetto
aziendale efficiente e razionale, la capacità di aggregare e reperire risorse. Da questo sistema non
partono solo le tradizionali proposte di ogni musealità consolidata (ricovero, conservazione, studio,
valorizzazione), ma anche un variegato corpus di servizi culturali orientati in: ricerca, formazione,
creatività, specializzazione, tutela, divulgazione, didattica e infine comunicazione. Il comune
denominatore per tutti i sopra citati aspetti risulta essere: la qualità dell’offerta, l’attenzione alla
domanda sociale, l’alta valenza educativa ed etica e l’equilibrio economico. I complessi culturali
coinvolti in questo ampio sistema museale sono:
1. Palazzo Ducale
2. Museo Correr
3. Museo Archeologico Nazionale*
4. Sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana**
5. Torre dell’Orologio,
6. Ca’ Rezzonico Museo del Settecento Veneziano
7. Museo di Palazzo Mocenigo e Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume
8. Casa di Carlo Goldoni e Biblioteca di Studi Teatrali
9. Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna e Museo d’Arte Orientale*
10. Museo Fortuny
11. Museo del Vetro
12. Museo del Merletto
13. Museo di Storia Naturale
3.5 Forme di gestione settore pubblico-privato: le società di capitali miste
Le società di capitali miste prevedono la compartecipazione di più soggetti: enti locali, soci privati,
o soci pubblici extralocali, cioè enti pubblici di carattere nazionale o regionale, ovvero anche enti,
pubblici locali non direttamente interessati al servizio, perché non appartenenti alla stessa
circoscrizione territoriale. Questa forma di gestione realizza la finalità di messa in partecipazione
nella gestione dei servizi pubblici di più soggetti di natura e capitali diversi. I soci privati non sono
individuati dall’ente in maniera soggettiva, ma dovranno essere ammessi alla società da costituire
attraverso un procedimento di gara pubblica con relativo bando di gara, al fine di tutelare la
122
I soci partecipanti ai sensi dello Statuto (art.9), sono persone giuridiche, pubbliche o private, che entrano attivamente nella vita e
nella gestione dei musei, con un apporto non solo economico ma anche di idee e di esperienza: per condividere i fini istituzionali della
Fondazione · per sostenere i Musei e il loro sviluppo per entrare nel futuro della nostra storia. Più di un’esperienza entusiasmante, più di
un’opportunità straordinaria: si tratta qui di contribuire a determinare le sorti di un immenso patrimonio che appartiene all’umanità.
Si può diventare soci partecipanti contribuendo in denaro o in beni e servizi in favore dei Musei, per non meno di 500.000 euro all’anno.
I Soci Partecipanti ovviamente godono di prerogative esclusive, non solo benefit ma soprattutto un ruolo istituzionale, consultivo e
propositivo. La partecipazione è possibile con le modalità indicate nel Regolamento.
*
Soprintendenza speciale per il Polo Museale Veneziano.
**
Direzione generali per i Beni Librari, le Istituzioni culturali e il Diritto d’Autore.
concorrenza fra imprese partecipanti e di garantire una corretta formazione della struttura
societaria.123 I vantaggi sono ascrivibili alle tre sfere di attuazione:
•
•
•
gestionale (dinamicità e duttilità gestionale);
maggiore operatività (minori complicazioni in relazione alla sfera operativa del soggetto,
che per operare sia a livello territoriale che extraterritoriale);
economico-finanziario (maggiore attenzione per le logiche economiche e maggiori
opportunità per il reperimento delle risorse).
CAPITOLO 4
I MUSEI CIVICI
“Il museo civico sta ad indicare una istituzione di tradizione cittadina dove sono conservate, per lo
più , opere e collezioni di varia natura e tipologia”124.
(A.M. Visser Travagli)
Dal grafico n. 4 emerge che sul territorio nazionale il 77% dei musei è di proprietà dei Comuni.
Quello del ‘Museo civico’ è un fenomeno tipicamente italiano. Ha avuto origine nel Settecento, con
il proliferare delle idee illuministe ispirate dalla ragione e dal senso di bene comune, raggiunse poi
grande diffusione nell’Ottocento, soprattutto nel periodo dell’Unità d’Italia, quando il senso della
nazionalità popolare era fortemente intriso negli animi dei rappresentanti delle realtà cittadine che
cominciavano a costituirsi. Il museo civico è divenuto il detentore del senso storico o meglio come
giustamente l’ha definito Andrea Emiliani “la cellula attorno cui cresce fisiologicamente il frutto
della storia”125.
La molteplicità di beni contenuti all’interno dei Musei civici ne ha determinato l’effettiva difficoltà di
inserimento in un contesto coerente ed omogeneo: la poliedricità di beni costituisce anche il suo
limite, identificando il museo come un luogo atto al solo conservare e avulso dalle dinamiche
cittadine, che sono spesso orientate verso cambiamenti. Per cui in sostanza, mentre le città si
adeguano alle tempistiche moderne, i musei civici in larga parte, sembrano rimanere statici, non
riuscendo ad inserirsi appieno nel vissuto della città e dei suoi stessi abitanti per quanto siano essi
stessi protagonisti dell’ambiente urbano. Ciò spiega come mai i cittadini finiscono per divenire da
protagonisti dell’istituzione museale ad estranei, non identificandosi in una struttura che dovrebbe
essere riflesso di quella realtà cittadina di cui protagonisti e partecipi inconsapevoli.
Un ruolo importante lo svolgono gli stessi contenitori, se si pensa che dei musei civici il 27% ha
sede in palazzi e case storiche, il 30% in ex chiese e in ex conventi, il 20% in rocche e castelli e un
10% in scavi classici e archeologici e parchi126. Pochissimi sono i musei progettati per essere tali; e
se da un lato il background storico dell’edificio o di qualsiasi altra struttura è importante perché
esso stesso diventa una parte attiva da conservare e tutelare andando ad incrementare la valenza
storica e il significato che la struttura assume; nello stesso tempo ne ha rappresentato i vincoli,
limitando l’effettiva superficie espositiva, le aule didattiche (non dotate di apparecchiatura
multimediale), l’accesso per i diversamente abili, la stessa capienza dei depositi, i servizi e
quant’altro. Se si aggiunge che i criteri di allestimento per alcune realtà museali sono ormai
sorpassati e inefficaci andando a stridere con la voglia di modernità del XXI secolo, si può
facilmente intuire lo stato in cui si trovano i musei civici, oggi. Ma le cose stanno cambiando.
I musei civici si stanno modificando gradualmente uniformandosi ai mutamenti socio-territoriali
dell’ambiente in cui si trovano. Si stanno riappropriando della città –loro contesto di originedivenendo dei musei urbani. Questa direttiva si è rivelata necessaria per arrestare
quell’irreversibile processo di declino cui il museo locale stava andando incontro: luogo di polvere
123
G. ROLLA, Profili gestionali…cit. pp. 290-291.
Per una storia dei musei civici cfr. A. M VISSER TRAVAGLI, Museo civico-museo della città-museo e città. Profilo storico, trasformazioni
e nuovi compiti di un’istituzione museale, in I Musei della città “Rivista Arte e Storia” a cura di D. CALABI, P. MARINI E C.M. TRAVAGLINi,
anno III, n.1-2, Gennaio-dicembre 2008, pp. 51-71.
125
A. MOTTOLA MOLFINO-C. MORIGI GOVI, La gestione dei Musei civici. Pubblico o privato?, Umberto Allemandi, Torino1996.
126
Ivi, p. 20.
124
e silenzio, senza attrezzature adeguate, senza personale tecnico altrettanto valido, il tutto in uno
stato di completo abbandono.
E se le varie normative che disciplinano l’attività degli Enti Locali (TUEL) ne hanno affidato la
gestione ai relativi Enti, per quanto riguarda la tutela e conservazione è ancora lo Stato che se ne
fa portavoce, per cui il museo continua ad essere, riproponendo una citazione della Visser
Travagli, un “servo di due padroni”127.
Un valido esempio è il Museo della città di Urbino, un museo pressoché senza collezioni, che offre
la testimonianza storica della città che lo ospita; è “un luogo evocativo, un luogo di elaborazione
della memoria, incentrato sulle attività e sulle iniziative che vi svolgono, per riannodare le fila di
una comunità ormai indebolita e incerta“128. È in queste dinamiche: un museo della città e per la
città.
CAPITOLO 5
IL SISTEMA MUSEALE LOCALE
PER UNA NUOVA PROPOSTA DI GESTIONE INTEGRATA
Il sistema museale locale è un’entità organizzativa istituzionalizzata, caratterizzata da un
coordinamento funzionale e da una forte interdipendenza con le componenti di diversa natura e
condizione giuridica ad esso aderenti e si può configurare come un soggetto giuridico distinto ed
autonomo rispetto agli enti proprietari dei musei.
Tale sistema si basa su una rete codificata di relazioni tra istituzioni museali di differente titolarità,
dimensione, tipologia, ed altri servizi culturali, che ad esso si correlano, collegati funzionalmente in
maniera stabile, al fine di coordinare, integrare e potenziare i servizi offerti al pubblico del proprio
territorio.
Gli obiettivi sono il coordinamento e l’integrazione anche con diverse tipologie di offerta culturale
presenti sul territorio, al fine di migliorare la quantità e qualità dei servizi.
Il carattere di condivisione -in merito a servizi, risorse umane, scambio di informazioni e dati e la
stessa messa in partecipazione di beni strumentali all’interno di un sistema museale locale
integrato-, comporta vantaggi su più ambiti: economico, tecnico-organizzativo, promozionale e
delle risorse umane.
127
128
•
Ambito economico
1. condivisione degli immobili, strumentali e patrimoniali e delle risorse umane;
2. riduzione dei costi di formazione del personale;
3. produzione e gestione di iniziative temporanee e di eventi culturali;
4. costi di promozione e pubblicità su un maggior numero di eventi con positive
ricadute sull’indotto del settore terziario (alberghi, ristoranti, esercizi commerciali);
5. convenzioni con associazioni ed enti di vari natura per sconti ed agevolazioni di
accesso ai musei del sistema, che permetteranno ai soggetti convenzionati
l’inserimento nei programmi annuali di visite al sistema museale con percorsi
personalizzati.
•
Ambito tecnico-organizzativo
1. gestione ordinaria;
2. qualificazione della programmazione e progettazione degli interventi, con riferimento
alla tutela, valorizzazione, ricerca, mediante dei sistemi di partenariato ad ampio raggio;
3. migliore supporto organizzativo nel rispetto delle carte di servizi o altri impegni di
servizio rivolti ai pubblici nell’ottica di un miglioramento e un aggiornamento
dell’offerta educativa e culturale.
•
Ambito promozionale
1. maggiore coerenza e visibilità degli interventi di comunicazione e promozione del
sistema territoriale.
Si veda A. M. VISSER TRAVAGLI, Museo civico…cit. p. 64.
Ivi p. 70.
•
Ambito delle risorse umane
1. coordinamento metodologico ed organizzativo nel reclutamento, nella formazione,
nell’impiego e nell’aggiornamento del personale tecnico-specialistico a tutti i livelli;
2. possibilità di utilizzare risorse tecnico-scientifiche per l’intero sistema museale;
3. razionalizzazione dell’uso del personale con possibilità di modalità di autonomia
all’interno del sistema;
4. gestione congiunta di processi di formazione e di accompagnamento professionale
5. possibilità di instaurare accordi più articolati con l’Università per collaborazioni di
varia natura ed entità.
APPENDICE
LA PUGLIA PER UN SISTEMA MUSEALE INTEGRATO*
1. Cronistoria dell’attività regionale nel settore della valorizzazione e tutela dei beni culturali
La Puglia è stata una delle prime Regioni del Meridione a produrre una normativa legislativa ampia
e precisa sui beni culturali: impegno che trova attuazione nel D. lgs n.21 del 1979 e che proseguirà
nel corso degli anni Ottanta destinando diversi capitali per la riorganizzazione dei beni culturali.
Bisogna sottolineare che il detto decreto è il primo che utilizzi il termine ‘sistema museale’
descrivendone caratteristiche e finalità. La legge veniva accompagnata anche da una norma che
disciplinava gli archivi e le biblioteche promulgata nello stesso anno, producendo però effetti
diversi per musei e biblioteche e archivi. Infatti le direzioni delle Soprintendenze ai beni Librari
essendo trasferite di competenza alle Regioni, potevano operare in maggiore autonomia.
Diverso era la situazione per i musei. Questi appartenevano ad enti quali Comuni, Province, Enti
ecclesiastici e privati, che data la natura dell’oggetto che custodivano, erano orientati più a
prediligere l’aspetto conservativo, chiudendosi verso altre prospettive provenienti dall’esterno, quali
potevano essere la fruizione e la valorizzazione129.
Nel 1988 avviene un arresto dell’adeguamento delle norme in ambito culturale: la normativa del
1979 viene abrogata per difficoltà relative alla modalità di finanziamento -questo sancisce anche il
blocco del progetto ‘Atlante’ già in itinere, iniziativa di grande rilevanza perché mirava alla
ricognizione del patrimonio culturale nella regione- dalla fine degli Anni Ottanta per un intero
decennio la Puglia sembra immobilizzata, in quanto le iniziative in ambito culturale e le stesse
norme legislative subiscono un arresto; forte è il contrasto tra la produzione legislativa degli anni
Settanta e il diradamento dei Novanta, discrepanza che viene maggiormente accentuata se si
considera che in ambito nazionale vi è proprio negli anni Novanta una direttiva politica verso una
maggiore consapevolezza ai problemi di valorizzazione, tutela e gestione dei beni culturali, volontà
che si manifesta nella promulgazione di diversi atti in materia di valorizzazione, tutela e gestione
del patrimonio culturale (D.Lgs. 490/1999 e D.lgs 42/2004)130.
La ripresa dell’organizzazione del sistema museale pugliese si ha con le nuove opportunità di
finanziamento offerte dalla programmazione integrata tra Regione, Ministero per i Beni Culturali e
*
Dati emersi dal Convegno 1+1=3… verso il sistema museale provinciale Capitanata 2020, Foggia Palazzo della Dogana 19 ottobre
2009.
129
Art. 8 :1) Gli enti locali provvedono alla istituzione ed al funzionamento dei musei nell’ambito della programmazione regionale
secondo un piano regionale di sviluppo degli Istituti museali. 2) Gli Enti locali, nell’ambito della loro piena autonomia , possono
consorziarsi o associarsi con altri enti pubblici, ecclesiastici, morali e privati, per dar luogo alla formazione di Sistemi Museali.3)L’Ente
locale, qualora non sussistano o siano attuabili per il museo istituto o da istituire adeguate condizioni di funzionalità, di personale, di
locali idonei, di mezzi, di conversazione, di servizi didattici, e di informazione, può consorziarsi con altri comuni per le finalità di cui alla
presente legge, fatta salva l’autonomia istituzionale ed operativa dell’Ente. 4) Il Sistema museale, da definire dopo l’avvenuta
classificazione dei musei di cui all’art. 4 della presente legge, tenuto conto della natura del museo, della omogeneità del territorio, della
consistenza dei mezzi, realizza i servizi tecnici e culturali, richiesti dai musei associati, e ne coordina l’attività. 5)L’adesione o la
permanenza dell’Ente ecclesiastico nel sistema museale avviene sulla base delle norme dettate dal diritto canonico.
130
Confronta lo Studio sulle politiche della regione Puglia in materia di sistemi museali. Analisi curata dal Laboratorio per l’Analisi, la
Ricerca, la Tutela, le Tecnologie, e l’Economia per il Patrimonio Culturale della Scuola Normale di Pisa diretta dal Prof. Salvatore Settis.
Commissione Europea. Nascono i progetti PIT (Promozione Integrata Territoriale) e PIS
(Promozione Integrata Settoriale). Tra i progetti PIT si ricorda quello promosso dalla comunità
montana dei Monti Dauni che mirava a mettere in rete alcuni musei di nuclei urbani, individuando
come centri nevralgici quelli di Sant’Agata di Puglia e Pietramontercovino; nell’ambito dei progetti
PIS si ricorda il progetto di unificazione del Barocco Pugliese denominato Itinerario turistico
culturale Barocco Pugliese (PIS n. 11) che abbracciava le aree del foggiano e del leccese131 e il
Polo Museale Puglia Imperiale guidato dal Comune di Canosa.
2‘Capitanata 2020’ verso il sistema museale provinciale ‘working in progress’…
“La sfida che la Provincia di Foggia vuole intraprendere, in collaborazione con il suo territorio
di riferimento, riguarda la costituzione e la successiva gestione organizzativa di un sistema
museale provinciale in grado di assicurare una offerta educativa e culturale che proietti la
Capitanata nel XXI secolo puntando soprattutto sulla coltivazione dei talenti e delle aspirazioni
giovanili”.
(Saverio Russo- Raphael M. Aboav)
GRAFICI
Grafico 1
Musei e Istituti sim ilari non statali per natura giuridica
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
PUBBLICO
PRIVATO
Rielaborazione grafica di V. Giuliani su dati ISTAT 2006. Nella casistica ISTAT non è stata inserita la
tipologia dell’Assetto Giuridico Misto.
Grafico 2
Di seguito è rappresentata l’incidenza di gestione diretta e indiretta per i Musei e gli Istituti similari
non statali
131
Viste le peculiarità territoriali e la vasta area interessata è contraddistinto da altri tre sotto poli territoriali di riferimento: area ‘dell’Alto
Tavoliere’, comune capofila San Severo; area ‘Barocco Leccese’, comune capofila Lecce; e l’area ‘Centro Meridionale’, comuni capofila
Martina Franca e Francavilla Fontana.
4000
3000
2000
1000
0
DIRETTA
INDIRETTA
concessione a terzi o affidamento a soggetto autonomo
altre forme(consortile pubblica, forma associata o affidam ento in house)
condotta dal solo soggetto titolare
Rielaborazione grafica di V. Giuliani condotta su dati ISTAT 2006
Grafico 3
Musei, monumenti e aree archeologiche per forma giuridica anno 2006 (2007 per gli istituti
statali)
4%
5%
6%
9%
7%
3%
3%
40%
12%
7%
2% 2%
Stato
Comune
Regione
Provincia
Altri enti pubblici
Ente ecclesiastico
Università statale
Società di persone o capitali
Associazioni riconosciute
Fondazione
Privato cittadino
Altri soggetti privati
Fonte: Dossier 2009 Touring Club su elaborazione dati Sistan –Mibac e Istat
* Amministrazione dello Stato, Comunità montana, unione di comuni, istituto o scuola di ogni ordine e grado, istituto o
ente di ricerca, consorzio di diritto pubblico, altro ente pubblico.
**Società cooperativa, consorzio o altra forma di cooperazione, università non statale, altro soggetto privato.
Grafico 4
Musei non statali per tipologia di collezione
15%
30%
5%
16%
4%
13%
9%
8%
Archeologici
Scienza e Tecnica
Specializzato
Arte
Storia naturale e Scienza
Territorio
Storia
Etnografia
Rielaborazione grafica di V. Giuliani da fonti ISTAT 2006
Grafico 5
Presenza di bilancio nei musei e Istituti similari non statali
2%
19%
79%
Bilancio autonomo
Privi di bilancio autonomo
Rielaborazione grafica di V. Giuliani da dati ISTAT 2006
Grafico 6
Non indicato
Musei e Istituti similari non statali per forma giuridica
0%1%
0%
5% 0% 5%
3%
3% 4%
2%
77%
Amministrazione dello Stato
Regione
Provincia
Comuni
Comunità Montane
Unione di Comuni
Istituto o scuola
Università
Istituto o ente di ricerca
Consorzi di diritto pubblico
Altro Ente pubblico
Il dato numerico in quanto a Unione di Comuni, Istituto o Ente di ricerca e Consorzio di diritto pubblico
poiché va da un minimo di 1 ad un massimo di 11, è stato attribuito in ambito percentuale il valore
indiscriminato dello 0%.
Elaborazione
grafica
di
V.
Giuliani
da
dati
ISTAT
2006
Sistemi culturali territoriali e network culturali (Maria Elena
Lorefice)
1. I sistemi culturali territoriali.
Negli ultimi anni il tema della valorizzazione del patrimonio culturale è sempre più considerato
strategico per lo sviluppo del territorio.
L’ approccio globale integrato consiste nel reperire sul territorio un insieme di risorse culturali di
natura sia materiale sia immateriale che siano nel complesso l’espressione dell’identità di una
realtà territoriale, del suo passato, ma anche di un suo possibile sviluppo futuro.
L’approccio consiste nel considerare il patrimonio culturale non solo per il suo valore intrinseco, ma
soprattutto per la sua valenza d’uso, per la sua qualità di testimone della civiltà, della tradizione e
dell’identità.
Questa visione del patrimonio culturale può declinarsi come segue:
• Un approccio integrato riferito al patrimonio materiale di tipo archeologico, monumentale,
ambientale e al patrimonio culturale immateriale che consta di arte, letteratura, paesaggio,
folklore, tradizioni popolari, artigianato, antichi saperi, ecc.
• Un approccio territoriale, dove gli interventi si focalizzano sulla relazione tra l’aspetto
strutturale, concreto dei luoghi e delle attività di produzione e, dall’altra, i modelli culturali (le
mentalità, i comportamenti, gli usi, le culture) attraverso i quali si vivono e si interpretano i
luoghi e le attività.
• Un approccio strutturante, che parte dalla presa di coscienza che l’integrazione fra cultura,
sviluppo e territorio non è scontata e dipende dalla programmazione, dove il ruolo degli
attori economici e sociali e la costruzione di ampi partenariati fra soggetti pubblici e privati
diventano importanti. Per attuare una gestione territoriale dello sviluppo integrato è
necessario dunque strutturare alcune procedure, rapporti, reti, sistemi organizzativi,
strumenti di coordinamento e di sostegno destinati a funzionare in modo sostenibile sul
territorio e a perdurare nel tempo. 132
Con sistema culturale territoriale, pertanto, si intende un insieme di risorse e di interrelazioni in
un contesto geografico preciso, che integri il processo di valorizzazione delle risorse culturali, sia
materiali sia immateriali, con le infrastrutture e gli altri settori di produzione connessi.133
Le istituzioni culturali (musei, biblioteche, teatri, associazioni, fondazioni, ecc.), così come le
imprese, sono localizzate in uni spazio geografico dal quale traggono, in misura variabile, risorse e
competenze necessarie alla propria attività. Il territorio può quindi essere considerato una risorsa
non solo in quanto “contesto” (geografico e fisico), ma come insieme di elementi sedimentati nel
tempo (istituzioni, cultura, relazioni sociali, capacità) che hanno un ruolo propulsivo sull’attività
d’impresa, attraverso le risorse di capitale umano e di capitale sociale in esso disponibili.
Si afferma dunque l’idea che i sistemi territoriali possano essere basati su uno specifico milieu
locale. Il territorio è, pertanto, definito come “l’insieme delle componenti di dotazione (naturali,
artistiche, strutturali, urbanistiche, infrastrutturali) e sistemiche (imprese, organizzazioni sociali,
istituzioni culturali, enti istituzionali) circoscritto in un definito spazio fisico”.
Nell’economia globale, infatti, il territorio non si qualifica più soltanto come contesto geografico in
quanto la valorizzazione del patrimonio di risorse e competenze disponibili permetterebbe la
trasformazione delle specificità locali in fattori distintivi a livello globale. 134
132
F. Nigro, Cultura e Territorio. I sistemi culturali territoriali, Carocci Editore, Roma 2006, pp. 17-18.
Ibid., p. 20.
134
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, pp. 1-2.
133
2. Il processo di sviluppo dei sistemi culturali territoriali.
Il processo di sviluppo di un sistema culturale territoriale è ispirato da una idea-forza ed è articolato
in generale in quattro fasi:
1. Fase preparatoria (perché e per chi?) : quali sono i fattori e le risorse che caratterizzano il
territorio? Quali sono i soggetti coinvolti e coinvolgibili? Quali sono le potenzialità da
valorizzare e quali i limiti e vincoli da circoscrivere o superare? Questa fase di ricognizione
e descrizione è volta a tracciare il profilo del contesto territoriale (in termini di risorse,
aspetti caratterizzanti, bisogni, situazione istituzionale, attori interessati) al fine di
individuare il sistema di relazione tra le risorse e l’idea-forza.
2. Fase di Definizione (che cosa? In quale prospettiva?): qual è la visione d’insieme, la
strategia? Quali sono gli obiettivi, le questioni prioritarie e i temi chiave? In questa fase si
analizzano e si fissano gli obiettivi al fine di definire la strategia di sviluppo.
3. Fase di pianificazione (come e quando?): quali sono le linee di azione e le tappe da
percorrere in un tempo dato? Quali sono gli strumenti? Chi sono gli attori impegnati
nell’attuazione? Come assicurare la governance e la partecipazione? Qual è la struttura
giuridico-istituzionale più adatta? Quali sono i mezzi e le risorse da mobilitare? Questa fase
è volta alla definizione degli obiettivi e delle strategie integrate di valorizzazione e sviluppo.
4. Fase di realizzazione (attuazione del piano d’azione): questa fase consiste nell’avvio della
messa in opera del piano d’azione e nella realizzazione dei progetti e degli interventi da
questo previsti.135
La valorizzazione delle risorse culturali è il motore centrale del processo di sviluppo dei sistemi
culturali territoriali.
Gli obiettivi specifici della valorizzazione delle risorse culturali sono:
• incrementare la conoscenza delle risorse culturali, sia per acquisire i dati necessari agli
interventi di conservazione sia per definire i contenuti e i valori culturali da comunicare;
• conservare il patrimonio culturale per favorire la sua valorizzazione in termini di fruizione e
di opportunità di sviluppo socioeconomico locale;
• innovare la gestione delle risorse culturali per favorirne la fruizione e la valorizzazione
integrata con il contesto territoriale e socioeconomico;
• accrescere il senso di appartenenza e la consapevolezza dei valori del patrimonio culturale
nelle popolazioni locali.
Il perseguimento di questi obiettivi si basa sulla convinzione che la programmata valorizzazione
delle risorse culturali possa congiuntamente realizzare una serie diversificata di output:
• la conservazione delle risorse stesse che devono essere disponibili per le future
generazioni;
• la produzione di servizi culturali per rendere le risorse fruibili fisicamente e culturalmente;
• la produzione di identità sociale (coscienza sociale che trasforma il bene culturale il bene
collettivo);
• input per altri processi produttivi (da quelli strettamente connessi alla conservazione e
valorizzazione del patrimonio all’industria culturale, al turismo, ecc.)
In quest’ottica la strategia di valorizzazione delle risorse culturali è composta dalla
programmazione integrata delle seguenti attività e azioni di lungo periodo:
1. Conoscenza e diffusione della conoscenza.
• Attivare forme e strumenti sempre aggiornabili di conoscenza costante del patrimonio
culturale utili a fornire indirizzi per le attività di tutela e di conservazione e orientamenti per
la valorizzazione.
135
F. Nigro, Cultura e Territorio. I sistemi culturali territoriali, Carocci Editore, Roma 2006, pp. 36-37.
•
Avviare attività di ricerca continua finalizzata ad accrescere la dotazione di risorse culturali
e ad approfondire la conoscenza e l’interpretazione delle loro reciproche connessioni e
relazioni fisiche e di senso.
• Definire uno specifico programma di comunicazione e diffusione della conoscenza per
accrescere la consapevolezza e il senso di appartenenza delle popolazioni locali.
• Definire un programma di informazione e comunicazione, eventualmente articolato per
categorie di domanda (ricerca scientifica, turismo culturale, turismo generico, ecc.).
2. Conservazione, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e paesistico
ambientale.
• Definire un programma di conservazione sulla base dei dati forniti dall’attività di conoscenza
e ricerca e nell’ottica di una valorizzazione integrata delle risorse.
• Definire uno o più programmi di valorizzazione, tenendo conto delle risorse relazionabili,
secondo una logica di integrazione che sviluppi le sinergie tra le singole risorse e ricostruisca
quadri organici di comprensione dei fenomeni e che, in coerenza con il programma di
conservazione e di comunicazione preveda:
♣ Individuazione dei legami concettuali e fisici tra le risorse e dei relativi livelli di
integrazione per definire le potenzialità del sistema integrato;
♣ Individuazione dei luoghi fisici della valorizzazione e dei possibili fattori di rischio
compresenti;
♣ Miglioramento dell’accessibilità, della connessione e della fruizione delle risorse
attraverso la formazione di itinerari, circuiti, reti di luoghi fisici che costituiscono
la peculiarità del territorio;
♣ Adeguamento dei livelli e delle modalità di comunicazione, presentazione e
informazione negli itinerari, nei siti, nei musei, nei singoli beni.
• Definire forme e strumenti di gestione del patrimonio culturale finalizzati a migliorare le
capacità di tutela e di conservazione, a sostenere i programmi di valorizzazione integrata, a
facilitare il coinvolgimento dei privati e a favorire la produzione di output nei confronti del
contesto territoriale, socio economico e produttivo.136
Pertanto, la gestione strategica del territorio, a partire dal patrimonio di risorse e competenze
disponibili, richiede innanzi tutto:
• il superamento di logiche competitive,
• il raggiungimento di accordi tra attori (pubblici e privati) per creare una visione condivisa e
stimolare tutti questi soggetti al disegno complessivo del territorio.
Infine, una buona strategia sistemica territoriale si esplica attraverso un’azione di governance che
coinvolge tutti gli attori locali, dalle imprese alle istituzioni culturali, attraverso:
• l’emanazione di norme e regolamenti (che definiscono un sistema di incentivi e vincoli
attraverso i quali indirizzare le azioni degli attori locali);
• interventi diretti sul territorio (quali la destinazione d’uso delle aree territoriali, la
pianificazione urbanistica, gli investimenti in strutture e infrastrutture);
• lo stimolo e il sostegno alla nascita di aggregazioni (di imprese e istituzioni culturali)
promuovendo le politiche della qualità e rafforzando l’azione promozionale e
commerciale.137
Attivare forme di relazione/aggregazione, infatti, significa superare l’alternativa secca tra
competizione e collaborazione, dato che le imprese quanto le istituzioni culturali, seppur
conservando la loro autonomia gestionale, partecipano alla realizzazione di progetti strategici codefiniti, i cui esiti sono ripartiti fra tutti i soggetti partecipanti.138
136
Ibid., pp. 143-146.
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, pp. 5-7.
138
Ibid., p. 15.
137
3. I network culturali.
Un sistema culturale territoriale può essere definito come “il contesto relazionale evoluto all’interno
del quale è possibile tentare di perseguire efficacemente progetti di valorizzazione integrata del
patrimonio culturale, nella sua accezione più ampia, mettendo in rete l’insieme delle risorse e degli
attori locali e realizzando le sinergie necessarie” [F. Nigro].139
Da questa definizione si evince quanto risulti indispensabile mettere in rete entità autonome (nel
nostro caso istituzioni culturali), cioè costruire un network di tipo culturale, al fine di conseguire i
vantaggi di cui sopra.
Un network può essere descritto come un insieme di nodi e legami tra soggetti partecipanti. Al
centro della relazione, si pone un’attività si scambio tra i componenti della rete, che conduce a
forme di interazione pluri-soggettiva.
La fiducia (trust) esprime la convinzione, in ogni membro, della volontà degli altri di cooperare nella
gestione del processo di creazione e scambio delle risorse necessarie al network, prescindendo da
forme di opportunismo.
Dato che all’interno di un network le risorse sono disponibili in modo frammentato, l’interazione
conduce all’attivazione di tali risorse e le fa divenire fonte di opportunità. L’appartenenza ad un
network permette dunque di accedere ad un potenziale di innovazione, dando vita ad un circolo
virtuoso140:
relazione
opportunità
opportunità
relazione
Dare vita a progetti culturali in rete comporta, pertanto, la necessità di integrare competenze,
professionalità, saperi e istituzioni diverse.
4. Un particolare tipo di network culturale: la rete museale.
In una realtà come quella Italiana, in cui una parte consistente dei musei censiti rientra nella
categoria dei musei “minori” (si tratta cioè di musei di piccole o piccolissime dimensioni, con
collezioni di modesta entità sul piano quantitativo, per lo più gestiti in assenza di personale
specializzato che vi si dedichi a tempo pieno). Una risposta alla difficoltà per chi è “piccolo” di
coprire ruoli e attività museali a tutto tondo può derivare dall’integrazione di una singola istituzione
in un insieme più vasto.
Emerge, infatti, un bisogno ineludibile: far sì che la gestione della cultura possa essere condivisa
con altri partner, che possano goderne i benefici ma anche condividerne il rischio attraverso uno
strumento partecipativo idoneo a promuovere il territorio nel suo insieme, oltre alle singole
emergenze storico artistiche ambientali, e a sviluppare una visione strategica che non separi, ma
integri, le funzioni di tutela, conservazione e valorizzazione.
La risposta è offerta proprio dalle reti o sistemi museali che consentono, come detto in
precedenza, di porre in comune risorse, di fruire di servizi comuni, di ottenere economie di scala o
139
F. Nigro, Cultura e Territorio. I sistemi culturali territoriali, Carocci Editore, Roma 2006, p. 31.
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, pp. 102-104.
140
di scopo, con benefici sia per l’organizzazione interna dei musei, sia nella quantità e qualità dei
servizi che essi diventano così in grado di erogare.
Si possono individuare diversi modelli organizzativi distinguendo:
•
rete informale: basata su accordi tra soggetti a svolgere insieme una parte delle funzioni
museali. E’ adatta alla condivisione di attività come la comunicazione e la promozione ed è
estremamente flessibile. Questa struttura organizzativa non prevede costi strutturali, si
presta ad un inclusione graduale dei soggetti interessati ed è particolarmente adatta per
sperimentare la condivisione di progetti tra i partner.
•
rete formale: fondata invece su un accordo ufficiale (associazione, consorzio di comuni,
convenzione) e prevede la creazione di una struttura/soggetto gestionale e di
coordinamento che svolga funzioni centralizzate. Questa struttura organizzativa è adatta a
condividere più funzioni e attività complesse, ma comporta personale dedicato, maggiori
costi di gestione e minore autonomia dei singoli soggetti aderenti.
Vanno pure distinte:
•
le reti volontarie: nate per impulso delle istituzioni interessate;
•
le reti non volontarie: nate su spinta esterna, ad esempio su proposta di un ente
impegnato alla loro creazione per conseguire i propri obiettivi, oltre che a favore dei
soggetti stimolati ad interagire fra loro.
•
le reti guidate: quando un museo o un ente svolge la funzione di centro-rete per l’intero
sistema, assolvendo a compiti di coordinamento o assumendo funzioni di sistema, gestite
su delega o in nome e per conto dei musei aderenti e fruibili da essi sulla base delle
convenzioni o degli accordi sottoscritti.
Infine si esistono anche:
•
reti territoriali: create in base alla localizzazione geografica. I limiti territoriali dipendono in
ogni caso dalla volontà dei soggetti aderenti di rispettare i confini amministrativi, oppure di
superarli e considerare come filo conduttore uno o più aspetti culturali su cui definire il
territorio di ricaduta di un progetto.
•
le reti tematiche: caratterizzate dall’omogeneità tipologica dei musei coinvolti che, a loro
volta possono avere dimensione regionale, nazionale o anche internazionale.
•
le reti miste: quando al loro interno sono presenti istituzioni con caratteristiche e funzioni
diverse, disponibili a collaborare su ambiti di comune interesse, nel quadro – ad esempio di una logica di «distretto», tesa a creare condizioni ottimali di sviluppo e a valorizzare le
molte e diverse esternalità derivanti dalle attività culturali.
I vantaggi derivanti dall’appartenenza a un rete sono evidentemente molteplici: si va dalla
riduzione dei costi, realizzata in base a una miglior ripartizione di spese fisse comuni, per l’effetto
“dimensione” che consente di realizzare economie di scala; al miglioramento sia delle dotazioni (di
mezzi, servizi, personale ecc.), sia delle prestazioni (con un potenziamento dei servizi erogati),
grazie alla possibilità di conseguire collettivamente obiettivi difficili da raggiungere singolarmente;
all’accrescimento delle capacità di raccolta di finanziamenti, al miglioramento di immagine che può
derivarne. Le motivazioni prevalenti risultano essere comunque due in particolare: "in via
prioritaria, il miglioramento dell’efficienza operativa delle organizzazioni coinvolte e, in secondo
luogo, la possibilità di sfruttare sinergie realizzate attraverso una condivisione di risorse e
competenze".141
5. I vantaggi e le opportunità.
141
http://www.uncem.it
Tramite il network si riesce in genere a fornire un maggior numero di servizi ai visitatori, senza che
ogni unità ne abbia un costo proporzionale. Si noti però che l’obiettivo primario da raggiungere non
è tanto l’efficienza ma il miglioramento della qualità e quantità dei servizi e dell’attività del sistema,
che è ottenibile però solo grazie alla possibilità di lavorare attraverso la rete. In molti casi infatti i
musei sono di dimensioni minime e dunque non è ipotizzabile per i singoli proprietari svolgere
neppure le attività vitali.
Si analizzano di seguito, più dettagliatamente, i vantaggi realizzati attraverso la costruzione dei
network :
• Razionalizzazione delle attività con la relativa riduzione dei costi.
• Il raggiungimento di standard minimi di qualità e lo sviluppo di iniziative di maggiore rilievo e
qualità (Province, Regioni ed Unione Europea hanno infatti stanziato molti fondi a
disposizione di progetti che siano però presentati da reti museali che rispettino gli standard
minimi di qualità previsti dal documento di indirizzo).
• L’incremento dei servizi offerti ed il loro adeguamento ai livelli richiesti dalla domanda.
• L’incremento di visitatori per il sistema e il rimando di pubblico fra le diverse realtà culturali.
La possibilità di scambiarsi visitatori tramite la costruzione di percorsi culturali o strumenti di
informazione e promozione rappresenta un vantaggio determinante.
• Maggiore facilità di accesso ai finanziamenti pubblici messi a disposizione dai promotori
(Provincia, Regione, Unione Europea) che destinano le loro risorse, come detto in
precedenza, a progetti che soddisfino standard minimi di qualità e siano presentati da più
attori congiuntamente, per promuovere e valorizzare la cultura su un determinato territorio.
Qualora vi sia resistenza alla partecipazione, la leva economica diviene un incentivo efficace
per vincerla. Per i musei più piccoli partecipare vuol dire spesso avere le risorse per
restaurare e riaprire la sede.
• Maggiore visibilità e prestigio. I musei più piccoli guadagnano visibilità e prestigio grazie al
loro inserimento nella rete.
• Collaborazione e confronto fra istituzioni.
• Diffusione fra il pubblico dell’immagine di sistema grazie alla creazione di un marchio. Per il
network culturale il marchio è indispensabile per acquisire un’identità riconoscibile. Il marchio
è infatti un segno identificativo che, opportunamente associato alla rete, la rappresenti e ne
distingua le connotazioni. In questo modo i possibili fruitori distingueranno facilmente la
provenienza dell’offerta. Anche un marchio territoriale può apportare effetti positivi agendo:
sulla notorietà del territorio, fungendo da elemento sintetico di riconoscimento nell’ambito di
qualsiasi iniziativa promozionale o commerciale; sull’immagine del territorio, trasferendo
attraverso i propri elementi grafici e simbolici, segni dotati di significato al mercato, che
definiscono la personalità del territorio. Il marchio deve conferire all’offerta un peso simbolico
in grado di sollecitare l’adesione ed eventualmente la fedeltà dei target.142
• Effetto di trascinamento per i musei e le istituzioni culturali di dimensioni minori. I grandi
musei del territorio, promuovendo iniziative e offrendo servizi quali il biglietto unico possono
invogliare i visitatori a recarsi nei musei più piccoli. Inoltre, il biglietto unico consente
all’utenza di visitare tutti i tesori presenti sul territorio senza fargli percepire il “peso” delle
divisioni esistenti tra i proprietari dei musei.143
• Condivisione di informazioni, competenze e professionalità per l’intero circuito. Spesso i
musei più piccoli non possiedo personale per attività di ricerca scientifica, direzione, ecc.
Entrando a far parte del sistema possono avvalersi dell’aiuto di personale qualificato. Inoltre,
le informazioni condivise garantiscono una conoscenza complessiva, e non più parziale
come in precedenza, del patrimonio culturale. Spesso le reti avviano il censimento del
patrimonio culturale e la creazione di database per consentire la condivisione delle
informazioni raccolte.
• Potenziamento della attività di promozione e comunicazione. Il processo comunicativo deve
però essere pianificato tenendo conto di numerosi fattori, tra cui: gli obiettivi raggiungere,
142
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, pp. 54-55.
143
S. Bagdadli, Le reti di musei. L’organizzazione a rete per i beni culturali in Italia e all’estero, EGEA, Milano
2001, p. 79.
•
l’immagine, caratteristiche dei target prescelti (sulla base di variabili demografiche,
socioeconomiche, psicografiche e stile di vita), il budget disponibile. Internet, per esempio
costituisce una considerevole potenzialità.
Creazione di un sito web comune per tutti i musei del sistema. Occorrono però alcuni
accorgimenti. Il sito deve essere gradevole esteticamente; facile da usare; deve garantire la
semplicità nello svolgimento delle operazioni fondamentali (ricerca di informazioni,
prenotazioni, modalità di pagamento, ecc.); mantenere aggiornato il sito in modo continuo, al
fine di garantire la costante aggiunta di nuove informazioni; gestire le relazioni on-line e la
comunicazione con chi accede al sito, pone domande specifiche, ecc.144
Dopo la fase di costituzione, molte reti si scontrano con le difficoltà di carattere organizzativo e
gestionale che si presentano nella fase operativa. La rete non si realizza e si concretizza solo
stilando accordi e rispettando regole, ma soprattutto sentendo di farne parte, contribuendo con le
idee e con i fatti alla sua crescita. Credere che la rete sia un’opportunità fa si che lo diventi sul
serio. Per riuscire in questo è fondamentale che i vantaggi e le opportunità che la rete può offrire
siano ben chiari a tutti gli attori coinvolti; per questo è necessario rendicontarle costantemente,
comunicare gli obiettivi raggiunti, commentare e discutere le problematiche emerse.
Ad oggi si può dire che il vero obiettivo in tema di reti museali, una volta superata la fase teorica,
sia il raggiungimento di una struttura operativa ed efficiente, in grado di rappresentare un sostegno
concreto alle esigenze delle singole unità che compongono la rete.
In una prospettiva futura è ipotizzabile una concorrenza tra sistemi culturali e altre realtà culturali
presenti sul territorio: ciò impone alle reti di ragionare anche in un’ottica di benchmarking145 per
fare delle comparazioni, individuare le debolezze, migliorare la fornitura dei servizi imparando da
chi fa meglio.146
6. Alcuni esempi.
Di seguito sono riportati due esempi interessanti di reti museali realizzate sul territorio italiano.
Un’esperienza piemontese interessante è quella dell’ Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone
(Ecomuseo Cusius). Istituito nel 1997 mediante l’associazione di enti locali, piccoli musei e siti
visitabili, una cooperativa agricola, laboratori, giardini botanici e percorsi all’aperto è un esempio di
come le reti possano essere strumenti organizzativi ampi e inclusivi e possano aggregare tipologie
di beni e soggetti molto diversi tra loro, tutti ugualmente coinvolti nel processi di valorizzazione
culturale e turistica del territorio.
L’Ecomuseo ha funzionato come un efficiente organizzazione a rete per i piccoli musei aderenti. In
questi anni ha dato loro la possibilità di iniziare la catalogazione delle collezioni, ha definito
un’immagine coordinata, ha favorito l’apertura dei singoli musei in orari e giorni concordati
coincidenti con i periodi di maggiore affluenza turistica, ha progettato programmi didattici con le
scuole, dato vita a ricerche e pubblicazioni, a incontri ed eventi in rete. Non solo ha avuto un
effetto moltiplicatore per quanto riguarda le attività e i progetti dei singoli, ma ha attirato risorse
economiche non accessibili a ciascun museo separatamente, ha raccolto la domanda di un target
turistico e di un pubblico alla ricerca di un’offerta culturale articolata e di una fruizione autentica del
territorio.
La caratteristica di questa rete è di aggregare musei e beni non musealizzati (ne fanno parte il
Museo dell’ombrello e del parasole di Gignese, il Museo dell’arte e della tornitura del legno di
Pettenasco, il Museo del rubinetto e della sua tecnologia a San Maurizio d’Opaglio, il Museo degli
alberghieri di Armeno, il Museo etnografico dello strumento a fiato di Quarta Sotto, la Fondazione
Museo arti e industri Forum di Omegna, la collezione Calderaia di Arte Sacra di Ameno) che messi
144
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, pp. 194-196.
145
Le reti di musei: dalla teoria alla pratica, abstract a cura di Space S.p.A., 2004, p. 6.
146
U. Martini, Management dei sistemi territoriali. Gestione e marketing delle destinazioni turistiche, G.
Giappichelli Editore, Torino 2005, p. 169.
in rete, riescono a trasferire alcuni aspetti importanti della cultura locale salvaguardando ognuno la
propria specifica tematica.
Il coordinamento dell’offerta museale ha messo queste realtà, per lo più gestite da personale
volontario e associazioni culturali, nelle condizioni di attirare l’attenzione di turisti ed escursionisti di
giornata già presenti sul territorio, ma attratti esclusivamente dalle emergenze artistiche di maggior
pregio.
Questa rete non ha una struttura gestionale unica; ogni museo ha un ente gestore autonomo e
l’Associazione coordina le attività e i progetti di comune interesse.
La rete del Lago d’Orta non ricalca confini amministrativi, ma si riferisce ad un territorio
interprovinciale (alcuni dei siti dell’Ecomuseo sono in Provincia di Novara e altri nel VerbanoCusio-Ossola) che trova unicità nei riferimenti culturali.
La rete museale si inserisce nel progetto più ampio dell’Ecomuseo, che considera il patrimonio
nella sua accezione più ampia, culturale e ambientale, materiale e immateriale, legandolo a
obiettivi di sviluppo sostenibile del territorio e soprattutto ad una partecipazione diretta della
comunità nei processi decisionali.
La Regione Piemonte ha dedicato un apposito capitolo di finanziamento agli ecomusei regionali
(Legge regionale 31/95) che non è destinato direttamente ai musei e alle reti museali; in questo
caso l’Ecomuseo ha partecipato alle spese di coordinamento della rete, ma ha anche svolto attività
di fund raising per gli investimenti sulle strutture e gli allestimenti.147
Fuori dal Piemonte, la Provincia di Macerata ha creato un proprio sistema museale, il Sistema del
Museo Diffuso della Provincia di Macerata, che si contraddistingue per la varietà dei soggetti
coinvolti. Nel 2002 è nato in progetto di coordinamento dei beni culturali del territorio provinciale
gestiti da un’Associazione appositamente costituita di cui fanno parte Comuni, Diocesi, e Soggetti
privati proprietari di musei o di beni culturali.148
Obiettivo del Sistema Museale è “promuovere e realizzare la gestione coordinata di musei, parchi
archeologici e quant’altro riferibile al Sistema del Museo Diffuso, di offrire agli aderenti servizi di
consulenza tecnica e scientifica e di promozione turistica al fine di apprestare le condizioni per
permettere agli aderenti stessi di raggiungere livelli minimi qualitativi e quantitativi nelle dotazioni e
nelle prestazioni. Compito dell’Associazione è inoltre l’organizzazione e gestione di itinerari
artistici, storici, turistico-culturali, rivolti alla promozione dell’offerta culturale del territorio
provinciale nel suo complesso. Inoltre si propone si predisporre azioni di monitoraggio e controllo
degli standard, di valutare l’analisi della domanda e dell’offerta e di svolgere attività di tipo
promozionale”.149
L’approccio che contraddistingue questo sistema è, come per l’Ecomuseo, incentrato su una
concezione diffusa del patrimonio che non si esaurisce all’interno dei musei, ma è fatto di beni e
testimonianze sparse. Anche in questo caso il livello di formalizzazione delle relazioni è alto e
comprende una gestione comune..
Il soggetto che ha sollecitato la creazione del sistema è la Provincia e ne consegue che i confini
territoriali sono stati definiti con un criterio amministrativo più che da motivazioni prettamente
culturali.150
7. Conclusioni.
La valorizzazione di un territorio attraverso i suoi “giacimenti culturali” messi in rete può dare frutti
migliori solo se esiste un progetto di rilancio del territorio stesso più complesso ed esteso che porti
alla costituzione di un sistema culturale territoriale, ovvero alla sinergia fra differenti istituzioni
(culturali, di servizio, turistiche, industriali, ecc.).
147
A. Bollo, L. Dal Pozzolo, A. Gariboldi, L. Marasso, Progetto di rete museale della cultura Walser, studio di
fattibilità a cura della Fondazione Fitzcarraldo, 2007, pp. 9-12.
148
Ibid., p. 12.
149
http://www.sistemamuseale-mc.it
150
A. Bollo, L. Dal Pozzolo, A. Gariboldi, L. Marasso, Progetto di rete museale della cultura Walser, studio di
fattibilità a cura della Fondazione Fitzcarraldo, 2007, pp. 12-13.
Il sistema culturale territoriale costituisce la cornice teorica di matrice economico-politicoindustriale all’interno della quale collocare e comprendere il potenziale della forma organizzativa a
rete per la gestione delle istituzioni museali e culturali in genere.
In questa direzione si potranno concentrare per il futuro gli sforzi di ricerca e di supporto alle
amministrazioni locali che vogliano rilanciare il proprio territorio attraverso la dotazione di risorse
culturali.151
151
S. Bagdadli, Le reti di musei. L’organizzazione a rete per i beni culturali in Italia e all’estero, EGEA,
Milano 2001, p. 180.
L'analisi del pubblico quale strumento per lo sviluppo dei
musei (Roberta Madoi)
Premessa
Il pubblico dei musei ha avuto per molto tempo un ruolo secondario, soprattutto in Italia, sia nelle
decisioni operative che nelle riflessioni teoriche dei responsabili delle istituzioni museali. Solo negli
ultimi decenni, una serie di fattori - quali la riduzione costante dei finanziamenti pubblici agli enti
culturali, l‘aumento e la diversificazione delle opzioni di consumo nel mercato del tempo libero,
l’imporsi di nuovi paradigmi nei modi, nelle funzioni e nelle forme di fruizione - ha portato ad una
maggiore consapevolezza della necessità dei musei di confrontarsi con i propri contesti di
riferimento.
La promozione della dimensione educativa e sociale del museo inoltre è strettamente legata alla
capacità di queste istituzioni di offrire servizi di qualità orientati al pubblico. In questa direzione si
pongono, tra l’altro, anche le disposizioni sulle funzioni e sugli ambiti di attività dei musei italiani
contenute nell’Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e
sviluppo dei musei approvato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (con Decreto 10 maggio
2001, n. 258): uno strumento normativo di notevole importanza culturale per i musei italiani,
finalmente sollecitati a dotarsi di dichiarazioni sulla loro missione e, soprattutto, ad attivare
processi di sviluppo dei servizi orientati al visitatore.
Nel corso degli ultimi anni è dunque emersa la consapevolezza dell’importanza di analizzare i
visitatori dei musei, rilevando come le indagini sul campo basate sull’osservazione dei
comportamenti di fruizione siano in grado di offrire risultati e indicazioni molto utili all’effettivo
miglioramento della qualità dei servizi museali. La crescente considerazione attribuita a questi
studi rispetto al passato è in effetti riconducibile al riconoscimento della loro validità, non solo come
contributi conoscitivi, ma soprattutto quali strumento di supporto alla programmazione strategica di
un museo ed allo sviluppo di conseguenti attività di marketing e di comunicazione.
La conoscenza dei diversi “pubblici”, effettivi e potenziali, in termini sia quantitativi sia qualitativi, è
pertanto uno degli strumenti di riferimento fondamentali delle istituzioni per impostare e
promuovere nuove politiche di offerta museale e per migliorare la qualità dei servizi offerti,
aggiungendo questi obiettivi concreti ai compiti tradizionali di conservazione e di studio.
Sia pur senza pretese di esaustività, il presente lavoro intende delineare un quadro sintetico152
riguardante i principali studi condotti sul pubblico dei musei negli ultimi decenni, distinguendone
l’approccio metodologico e valutandone la possibile ricaduta sia sul versante della strategia e delle
decisioni a medio-lungo termine, sia su quello strettamente operativo.
Le principali indagini sul pubblico museale
Come sottolinea Ludovico Solima in uno dei suoi ultimi contributi su questo argomento 153, il
quadro delle indagini sul pubblico dei musei risulta molto variegato ed evidenzia diverse sensibilità
e gradi di sviluppo, sia a livello tipologico – con la maggiore propensione, ad esempio, a condurre
152
In questo breve elaborato, del resto, non si può che rimandare gli approfondimenti ad una bibliografia critica molto
ampia, che interessa approcci e punti di vista interdisciplinari (sociologici, psicologici, economici, urbanistici, ecc.).
153
Solima, Ludovico., “Visitatore, cliente, utilizzatore: nuovi profili di domanda museale e nuove traiettorie di ricerca”, in:
Alessandro Bollo (a cura di), I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 65-76. Le
diverse sintesi di Solima sui principali studi condotti finora sul pubblico dei musei si sono distinte tra i principali riferimenti
del presente lavoro, a partire da: Il pubblico dei musei. Indagine sulla comunicazione nei musei statali italiani, Gangemi
editore, Roma, 2000; fino al recente “Individuo, condivisione, connettività: la dimensione polisemica del pubblico della
cultura” in L’arte dello spettatore. Il pubblico della cultura tra bisogni, consumi e tendenze, a cura di Francesco De Biase,
Franco Angeli, Milano, 2009 (pp. 48-57); insieme ai numerosi contributi di Alessandro Bollo, (tra cui: Il museo e la
conoscenza del pubblico: gli studi sui visitatori, Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia-Romagna,
Bologna, 2004) e al saggio curato da Maria Mercede Ligozzi e S. Mastandrea, Esperienza e conoscenza del museo,
Electa, Milano. 2008 (in particolare pp. 10-14).
tali studi nei musei scientifici e di storia naturale, rispetto a quelli d’arte o di documentazione
storica – sia, soprattutto, nell’ambito dei diversi contesti nazionali.
I primi approcci, ancora di carattere pionieristico, sono stati condotti negli Stati Uniti intorno agli
anni venti del Novecento, in particolare, da Benjamin I. Gilman (1916)154, che parlando di “fatica
museale” cominciò ad evidenziare l’importanza dell’intero processo di fruizione del visitatore,
costituito oltre che dall’impegno intellettuale anche dallo sforzo fisico, con la conseguente
necessità di tenerne conto nell’allestimento di nuove strutture museali.
Gli anni venti e trenta del XX secolo hanno invece visto l’affermazione dei primi studi focalizzati
sull’osservazione del modo in cui il visitatore entra in relazione con le raccolte del museo, per
favorire un approccio pedagogico nella progettazione degli strumenti di guida alla visita155. Questa
nuova attenzione rispecchia, tra l’altro, la concezione stessa del museo che in quegli anni inizia ad
affermarsi a livello internazionale, e che intende il museo quale uno dei luoghi deputati a
promuovere la crescita sociale e culturale degli individui, e quindi della collettività, al pari della
scuola o di altre istituzioni.
Successivamente, dal secondo dopoguerra agli anni sessanta, si sviluppano invece due principali
filoni di analisi 156: il primo basato sul profilo socio-demografico dei visitatori, volto a comprendere i
vari aspetti della domanda museale e la capacità del museo di attrarre uno spettro più o meno
ampio e diversificato di pubblico; il secondo, fondato sulla valutazione dell’attitudine del museo ad
incrementare, attraverso la visita delle collezioni, processi di conoscenza e apprendimento ulteriori.
I visitatori sono quindi analizzati in quanto ricettori potenziali di una comunicazione, articolata su
più livelli, indagando l’influenza di ciascuna componente (dall’edificio e dai percorsi,
all’allestimento, fino all’illuminazione, e ai supporti informativi) per la corretta comprensione del
messaggio loro destinato 157. Si indagano, in definitiva, le relazioni tra significato e comunicazione
sottese, ad esempio, alla redazione di un pannello informativo, analizzato sia nelle sue
caratteristiche fisiche, che nei contenuti, per verificarne l’efficacia sotto il profilo della
comunicazione. La progressiva diffusione di questi studi favorisce, soprattutto a partire dagli anni
ottanta, lo sviluppo di ricerche sul pubblico condotte con risorse e professionalità interne (mentre
sino ad allora le indagini erano state svolte prevalentemente da professionisti esterni), focalizzate
su ambiti di analisi specifici (percorsi di visita, elementi in grado di catalizzare l’interesse, ecc.) 158.
Le indagini promosse negli ultimi vent’anni si caratterizzano invece per una maggiore attenzione
all’esperienza di visita e alle motivazioni legate alla decisione di visitare un museo. L’interesse
maggiore per le scelte dei visitatori pare riconducibile in parte anche alle crescenti pressioni
competitive verificatesi, a partire dagli anni novanta, con la diffusione di internet e di prodotti di
intrattenimento domestico, in grado di scoraggiare lo svolgimento di attività fuori casa, assorbendo
porzioni di tempo libero sempre maggiori. Le alternative di consumo offerte dagli sviluppi delle
nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione si moltiplicano infatti rapidamente,
imponendo un incremento di attenzione da parte dei musei per interpretare i cambiamenti e
coglierne semmai le possibili opportunità, soprattutto nei confronti di quanti non cercano un
rapporto solo con le collezioni fisiche, ma intendono interagire con le risorse digitali. Si comincia, in
sostanza, ad interpretare il web non solo quale “vetrina” pubblica facilmente accessibile e adatta a
rafforzare la capacità di attrazione del museo, ma anche come uno strumento in grado di veicolare
nuovi contenuti informativi, in modo più flessibile ed efficace. I destinatari del sito di un museo, già
visitatori o visitatori potenziali del museo, diventano quindi oggetto di analisi approfondite, anche in
154
Gilman, Benjamin Ives "Museum Fatigue" in The Scientific Monthly, Volume 2, n.1,1916, pp. 62-74; in Solima, 2008,
cit.
155
in particolare: Robinson, E.S., The Behaviour of the Museum Visitor, American Association of Museums, Washington,
DC., 1928 (accessibile in: http://eric.ed.gov/ERICDocs/data/ericdocs2sql/content_storage_01/0000019b/80/36/7b/42.pdf)
e Melton, A.W. “Distribution of attention in Galleries of Science and Industry”, in Museum News, 14 (3), 1936, pp.6-8; e
idem, “Some behaviour characteristics of museum visitors”, in Psychological Bulletin, 30, 1933, pp. 720 - 721.
156
Cfr.: Rentschler, R., Reussner, E., Museum Marketing Research: from Denial to Discovery?, 2002 (accessibile in:
http://www.gestiondesarts.com/fileadmin/templates/main/PDF_Publications/Cahiers/Museum_Markeint_Research.pdf)
157
McManus, P.M., “Le contexte social: un des déterminants du comportement d’apprentissage dans les musées”, in
Publics et Musées, n.5, 1994, pp.59-77 (cit. in Solima, 2008, p. 60).
158
Beer, V., “Great expectations: Do museums know what visitors are doing?”, in Curator , vol. 30, n. 3, 1987, pp. 206215.
questo caso per migliorare la comprensione del profilo dell’utente, così come le caratteristiche
dell’esperienza di fruizione via internet 159. La diffusione di applicativi interattivi multimediali in
continua evoluzione tecnologica, on-line ed off-line, capaci di coinvolgere in prima persona il
visitatore, ha arricchito dunque il panorama degli spunti di riflessione delle più recenti indagini 160.
Per la prima volta inoltre il visitatore viene visto quale utente o cliente, vale a dire non solo come
destinatario di un sistema di offerta integrato, ma piuttosto alla stregua di un individuo dotato di
uno spettro diversificato di preferenze da intercettare attraverso lo sviluppo di un approccio attento
alle tendenze di mercato (marketing-oriented) 161. Mentre in precedenza il fulcro dell’attenzione
ruotava intorno alle collezioni del museo, l’affermazione di tecniche di marketing determina
pertanto in questi anni uno spostamento d’interesse proprio verso i visitatori del museo 162. Con
l’affermazione di un approccio manageriale alla gestione dei musei diviene dunque necessario
collaudare una serie di “indicatori” attraverso i quali monitorare e valutare l’uso delle risorse
disponibili. E tra questi indicatori è evidente il ruolo centrale del pubblico dei visitatori, destinatari
primari dell’offerta culturale del museo 163.
Le differenti tipologie di indagine di questo periodo, rafforzate dal dibattito sul ruolo sociale del
museo particolarmente vivace in Francia e nel mondo anglosassone già alla fine degli anni
sessanta, ampliano la varietà degli approcci metodologici, sottolineando l’esigenza di adottare
punti di vista e criteri di tipo interdisciplinare, e con il contributo di diverse professionalità. A questa
consapevolezza rimanda del resto una letteratura critica molto vasta, che guarda al pubblico
attingendo a discipline complementari, quali la sociologia, la psicologia, l’economia e l’urbanistica.
Al tempo stesso si assiste alla tendenza di isolare porzioni di domanda distinte da comportamenti
di fruizione relativamente omogenei e basate su parametri di tipo socio-demografico, come ad
esempio il pubblico giovanile o gli anziani, per valutare sistemi di offerta specifici e riuscire meglio
ad incrociare i bisogni espressi dai singoli segmenti individuati 164.
In queste indagini inoltre cominciano a trovare spazio anche fattori quali la capacità di spesa del
visitatore e le determinanti che influenzano la sua propensione a destinarla a beni e servizi
culturali. E strettamente connessa a queste esigenze di conoscenza della dimensione economica
dei fenomeni culturali emerge anche l’idea che il museo possa contribuire allo sviluppo locale,
rafforzando la capacità di attrazione di tutto il territorio nei confronti dei flussi turistici.
Con gli anni duemila compaiono infatti anche i primi studi sull’impatto economico determinato dalla
presenza di uno o più musei in un dato ambito territoriale, coll’intento d’indagare quindi anche al di
fuori e oltre il museo, nel più ampio contesto circostante 165. Superando i confini del museo si
verificano casi di indagini rivolte non più soltanto alla domanda più o meno soddisfatta (quella,
cioè, dei reali visitatori), ma anche e soprattutto a quella potenziale, rimasta ai margini delle
precedenti ricerche. In una prospettiva di sviluppo i “non-visitatori” assumono infatti un grande
interesse, rappresentando un aggregato di pubblico potenziale senz’altro superiore, anche solo dal
punto di vista quantitativo, al pubblico effettivo 166.
Parallelamente si sente l’esigenza di analizzare la frequenza delle visite museali, distinguendo tra
domanda locale, per stimolare forme di fidelizzazione nei confronti di un singolo museo, e
domanda collocabile nell’ambito di contesti più ampi e non necessariamente consolidati in circuiti
collaudati di turismo culturale, per esplorare nuove modalità d’offerta meno consuete o
convenzionali. Tra gli stimoli in grado di favorire la ripetizione di una visita nel corso del tempo può
159
Peacock, D., Brownbill, J., “Audiences, Visitors, Users: Reconceptualising Users Of Museum On-line Content and
Services”, in Museum and the WEB, 2007 (cfr.: http://www.archimuse.com/mw2007/papers/peacock/peacock.html).
160
Solima, Ludovico, “Musei 2.0 nuove tecnologie della comunicazione e generazione periferica della conoscenza”, in
Economia della cultura, n. 3, 2007.
161
Doering, Z.D., "Strangers, guests, or clients? Visitor experiences in museums" [Electronic version], in Curator, 42(2),
1999, pp. 74-87.
162
Hooper-Greenhill, E., Museums and the Shaping of Knowledge. Routledge, London, 1992.
163
Basso A.; Funari S., "A quantitative approach to evaluate the relative efficiency of museums", in Journal of Cultural
Economics, vol. 28, 2004, pp. 195-216.
164
Lemerise, T., "The role and place of adolescents in museums: Yesterday and today", in Museum Management and
Curatorship, vol. 14, n. 4, dic.1995, pp. 393-408.
165
Solima, Ludovico, Rapporto sull'economia dei beni culturali in Campania, Electa, Milano, 2006.
166
Kirchberg, V. "Museum Visitors and Non-Visitors in Germany: A Representative Survey", in Poetics - Journal of
Empirical Research on Literature, the Media and the Arts, vol.24, 1996, p.239-258.
ad esempio figurare l’abbinamento ad altri eventi di richiamo - musicali, teatrali, cinematografici,
artistici - o alla fruizione di risorse locali di tipo eno-gastronomico, di artigianato, e altro ancora. La
ricerca in queste direzioni non può naturalmente trascurare la valutazione del grado di
soddisfazione del pubblico, basata sulla realizzazione di indagini mirate, spesso ancora
scarsamente valorizzate.
Le ricerche sul pubblico nel contesto italiano
L’analisi delle ricerche e dei contributi disponibili evidenzia come, nel panorama internazionale, il
settore museale italiano vada considerato ancora ai primi passi nel campo di questi percorsi di
indagine. L’avvio di un filone di studi e rilevazioni sui visitatori dei musei da noi ha preso piede solo
da poco più di un decennio. Come affermano i saggi critici già in parte citati di Ludovico Solima e
Alessandro Bollo167, le indagini sulla domanda museale in Italia vengono condotte spesso in modo
asistematico, e la stessa geografia delle rilevazioni presenta forti squilibri territoriali. Alla crescente
sensibilità verso questi temi che caratterizza le regioni centro-settentrionali (Piemonte, Lombardia,
Veneto ed Emilia-Romagna, in particolare), fa infatti da contraltare la minore attenzione loro
attribuita dai musei localizzati nelle regioni meridionali. Le indagini sui visitatori, nei pochi casi in
cui vengono realizzate, sembrano essere ancora il risultato di scelte episodiche, dettate quasi da
un’esigenza di sperimentazione più che di reale conoscenza di un fenomeno. L’ancora contenuta
consapevolezza delle rilevanti implicazioni gestionali legate ad una ricognizione attenta ed
accurata dei profili di comportamento del visitatore, insieme all’endemica scarsità di risorse
finanziarie, contribuiscono a sottovalutare l’opportunità stessa di promuovere indagini sulla
domanda, nonché la possibilità di avvalersi dei risultati ottenibili, come fossero opzioni facoltative,
o a cui attribuire scarsa attenzione.
Dalle ricerche compiute finora sul pubblico dei musei italiani emergono tuttavia già numerosi spunti
in grado, ad esempio, di fornire indicazioni sulla segmentazione del mercato, sulle possibilità
offerte da specifiche nicchie, o su come raffinare le proprie tecniche di promozione e sui target ai
quali rivolgerle. Si comincia insomma a comprendere come conoscere il pubblico significhi offrire
una gamma di esperienze capaci di venire incontro alle diverse aspettative dei visitatori:
l’esperienza ricreativa, socializzante, educativa, estetica, celebrativa, emozionante. Non ci si limita
pertanto ad esaminare e valutare i soli servizi cosiddetti aggiuntivi, per l’accoglienza e
l’orientamento dei visitatori. L’idea di qualità dell’offerta investe ogni aspetto della vita del museo.
La soddisfazione di tutte le componenti dell’attuale “clientela”, e soprattutto la capacità di attrarre al
museo nuove fasce di pubblico, appaiono pertanto come la sfida che i musei sono chiamati oggi
ad affrontare.
Il fatto tuttavia che molte delle ricerche muovano ancora da iniziative individuali di un singolo
istituto o di un gruppo di ricerca autonomo produce una conseguente varietà negli approcci
metodologici adottati, rendendo molto difficili valutazioni in chiave comparativa delle analisi
realizzate a livello nazionale 168. Persino la maggior parte delle stesse istituzioni statali ha atteso
solo gli ultimi anni per avviare rilevazioni sistematiche e coordinate, attraverso la creazione di
strutture specifiche, quali ad esempio gli “Osservatori” locali sui consumi culturali, in grado di
proporsi quali punti di riferimento per l’avvio e la realizzazione di tali indagini. Per questi motivi
manca ancora una letteratura critica di studi e ricerche in grado di individuare scelte metodologiche
condivisibili.
Prima di osservare più da vicino una selezione dei dati raccolti, può essere utile riassumere alcuni
concetti emersi di carattere generale, direttamente connessi agli approcci metodologici adottati.
Se, ad esempio, possono essere intuibili le fasi operative da svolgere nella conduzione di una
ricerca, che necessariamente prevedono:
- la definizione degli obiettivi;
- l’analisi delle risorse umane e finanziarie occorrenti,
- la definizione della metodologia e della relativa tecnica di ricerca,
- la raccolta dei dati;
167
Cfr. note 2, 9 e 14.
Solima, Ludovico., “I musei e i loro visitatori: le esperienze italiane di analisi della domanda”, in Il museo della parte
del visitatore, Atti della IV Conferenza regionale dei Musei del Veneto, Treviso, 21-22 sett. 2000, pp. 87-106.
168
- l’analisi dei dati e l’interpretazione delle informazioni ottenute;
- la redazione finale del rapporto di ricerca;
meno scontati possono essere le nozioni generali di pubblico, inteso quale oggetto d’indagine, o le
modalità di rilevamento preferibili, così come, infine, gli obiettivi auspicabili e le finalità
fondamentali da porsi.
Quale pubblico?
Il termine apparentemente semplice di “pubblico del museo” rimanda di per sé a una pluralità di
concetti, di rappresentazioni e di punti di vista piuttosto eterogenei tra loro. Si tratta infatti di una
nozione poco chiara ed efficace, quando la si utilizza come categoria capace di dare univocamente
luogo a rapporti di inclusione o di esclusione. Infatti, chi fa parte del pubblico? Solo chi visita le
collezioni o le mostre, o anche chi fruisce di altri servizi (i laboratori didattici, gli archivi, le
fototeche, il bookshop, la caffetteria)? Il visitatore occasionale che entra in un museo una sola
volta, o chi lo frequenta con assiduità? o anche quelli che potenzialmente potrebbero farlo?
In primo luogo, ad esempio, può essere utile distinguere tra “pubblico reale”, “pubblico potenziale”
e “non pubblico”.
Il primo, come è facilmente intuibile, comprende quelle persone che, sia pur con gradi di
coinvolgimento diversi, frequentano il museo e partecipano alle sue attività. Dal punto di vista dello
sviluppo rappresenta quel nucleo di persone a cui indirizzare strategie di fidelizzazione e di
rafforzamento del legame con l’istituzione museale: i visitatori occasionali possono ad esempio
diventare “abituali”, oppure chi già frequenta con assiduità può essere coinvolto in forme diverse di
partecipazione o di volontariato culturale.
Il “pubblico potenziale” comprende invece quei soggetti che potenzialmente potrebbero essere
interessati alle proposte del museo, ma per svariati motivi - riconducibili a fattori diversi, quali le
difficoltà di accesso, la mancata conoscenza o informazione, l’indisponibilità di tempo, l’errata
percezione dell’istituzione, la bassa disponibilità di spesa - non instaurano relazioni di alcun tipo
con il museo. Si tratta di bacini di utenza comunque importanti, basti pensare ai giovani con meno
di vent’anni d’età, alle minoranze etniche, agli anziani: nei loro confronti il museo può sperimentare
strategie di ampliamento del pubblico, quali progetti mirati nei contenuti e un’adeguata
pianificazione di marketing e comunicazione, in grado di innescare meccanismi di incentivazione
che trasformino l’interesse latente in intenzione, la semplice predisposizione in comportamento
partecipativo.
Il “non pubblico” invece è composto da quella parte di popolazione che, oltre a non frequentare mai
un museo, non sente neppure l’esigenza di farlo. Si tratta di un ampio numero di persone che
rimane sostanzialmente indifferente all’offerta delle istituzioni museali, e che non vede nel museo
uno spazio in grado di soddisfare i desideri e le aspettative connessi al tempo libero. In proposito
vale la pena ricordare, ad esempio, che secondo le statistiche ISTAT del 2001 in Italia solo il
28,6% delle persone sopra i sei anni d’età hanno visitato almeno una mostra o un museo nel corso
di quell’anno. Questo significa, viceversa, che è addirittura il 72% circa dei residenti in Italia ad
essere estraneo o indifferente all’esperienza museale.
Quale metodo?
Una volta definiti gli obiettivi - vale a dire il tipo di problema che s’intende affrontare e le
caratteristiche dei soggetti che si è deciso di osservare - e valutati al tempo stesso i tempi e le
risorse a disposizione, si hanno gli elementi per decidere l’approccio metodologico più opportuno
da adottare.
In questa prospettiva la distinzione più generale è tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa.
L’approccio quantitativo è finalizzato prevalentemente a misurare i fenomeni e a generalizzare i
risultati ottenuti. Le informazioni sono acquisite attraverso procedure standardizzate, tali da
consentire la codificazione, la misurazione e l’interpretazione statistica dei dati raccolti. Gli
strumenti più utilizzati nelle indagini sul pubblico dei musei sono le interviste strutturate, realizzate
con il supporto di un questionario di rilevazione, che può essere distribuito direttamente sul luogo,
oppure in via indiretta (tramite telefono, posta o internet). Basate essenzialmente sui valori
derivanti dal conteggio o dalla stima degli ingressi al museo, queste informazioni evidenziano, in
prima istanza, la capacità di attrazione di un museo.
L’utilizzo dell’approccio qualitativo presuppone invece una minore attenzione per la misurabilità e
per la possibilità di generalizzare. L’interesse è incentrato sulla comprensione dei fenomeni, da
raggiungere attraverso le rappresentazioni che ne danno i soggetti coinvolti e attraverso i filtri e le
categorie concettuali utilizzati dal rilevatore, il cui punto di vista soggettivo può avere un ruolo
importante nell’interpretazione dei dati.
Alla tradizione della ricerca qualitativa appartengono diversi metodi quali quello antropologico,
quello biografico e degli studi di casi specifici, in cui si fa prevalentemente ricorso all’osservazione,
al colloquio e all’intervista, accompagnata a volte dall’analisi di testi e materiale documentario.
In ambito museale gli strumenti più utilizzati con l’approccio qualitativo sono:
• i focus group
• le interviste in profondità
• l’analisi del registro dei visitatori (o guest book)
• l’indagine osservante.
In particolare, il focus group consiste in una riunione di gruppo della durata di alcune ore, durante
la quale, anche attraverso la sollecitazione al dialogo e l’utilizzo di "tecniche proiettive" (quali libere
associazioni di idee, completamento di frasi, simulazione di situazioni), i partecipanti esprimono
pensieri e opinioni in modo non strutturato, valorizzando la componente istintiva e spontanea su
quella razionale. Questa tecnica di ricerca è stata utilizzata per la prima volta nel contesto museale
all’inizio anni ottanta, negli Stati Uniti. Da allora sono stati sempre più numerosi i musei che hanno
fatto ricorso a questo strumento di indagine relativamente economico, che può coinvolgere diverse
categorie di persone: non solo i visitatori ma, ad esempio, anche gli esperti museali, o il personale
del museo. Le discussioni, guidate da un moderatore preparato, sono utili per conoscere le
aspettative e le percezioni dei visitatori, i comportamenti e le motivazioni nei confronti di una
determinata esperienza, così come il gradimento rispetto a nuove attività o nuovi programmi
educativi o possibili servizi. Esse consentono anche di attivare dinamiche di gruppo, interazioni
spontanee basate sul confronto, utili per una migliore comprensione di criticità, attese e valutazioni
relative agli argomenti in discussione.
Nelle interviste in profondità si instaura invece un dialogo “a due voci”, più o meno libero. Esse
possono cioè fondarsi semplicemente su un tema di fondo, lasciando all’intervistatore la libertà di
cogliere gli spunti forniti dal soggetto intervistato, oppure possono rientrare entro un canovaccio
prestabilito, comprendente le questioni principali da trattare.
La cosiddetta indagine osservante, infine, si rivela particolarmente adatta all’ambito dei beni
culturali e consiste nell’osservazione e nell’interpretazione dei comportamenti di fruizione dei
visitatori, sia nell’ambito del percorso di visita, sia all’esterno nei percorsi di avvicinamento al
luogo. In questo caso non vi è alcuna forma di partecipazione del rilevatore, né di interazione o di
condizionamento tra chi osserva e chi viene osservato. L’osservazione diretta dei comportamenti
del pubblico risulta in definitiva una tecnica molto utile per:
- la rilevazione dei percorsi di visita e dei relativi tempi di sosta
- l’individuazione del potere attrattivo o repulsivo degli elementi in esame (dagli oggetti esposti,
alle vetrine, ai pannelli, alle didascalie, ecc.)
- la valutazione dell’affaticamento da visita
- la stima del livello di interazione con gli oggetti del percorso museale
Le indagini basate sull’approccio qualitativo consentono, in sintesi, di identificare il profilo dei
visitatori del museo in termini socio-demografici, o di individuarne le modalità di fruizione e di
comportamento; permettono di analizzare il .processo decisionale di acquisto, comprendendo quali
siano i bisogni, le motivazioni e le determinanti nella scelta del consumo museale, così come di
ottenere informazioni sul livello di soddisfazione della visita e raccogliere opinioni e pareri in merito
ad aspetti specifici dell’offerta culturale.
Data la loro complessità, molte indagini sul pubblico dei musei si avvalgono in ogni caso
dell’utilizzo integrato e complementare di diverse tecniche di ricerca. Un metodo prevalentemente
quantitativo come il questionario strutturato può essere ben integrato, ad esempio,
dall’applicazione di strumenti di natura qualitativa come i focus group, più adatti alla comprensione
di argomenti sfaccettati, come le motivazioni, il processo decisionale, la valutazione
dell’esperienza o la stessa percezione del museo. Non sempre, dunque, la distinzione tra i diversi
strumenti può essere così netta, ma è importante essere consapevoli delle caratteristiche, dei
vantaggi e dei limiti che ciascuno comporta.
Occorre tra l’altro tenere presente anche i fattori che possono ostacolare e ridurre l’efficacia di
un’indagine, quali ad esempio: la scarsa chiarezza negli obiettivi; la carenza di coinvolgimento
delle persone incaricate della raccolta dei dati; errori di valutazione nella scelta del metodo, o
nell’organizzazione dei tempi; l’utilizzo di personale poco preparato, scelto in base alla sua
economicità piuttosto che alle reali competenze; la stessa incapacità di interpretare i risultati delle
indagini, con conseguente impossibilità di utilizzo concreto.
Quali temi di ricerca?
Per un singolo museo, le informazioni realmente utili sono invece quelle rilevanti dal punto di vista
strategico e decisionale. Un insieme di dati, anche molto interessanti sul piano della pura
conoscenza, ma privi di utilità pratica o di spunti per le attività operative, possono infatti finire per
tradursi solo in un dispendio di tempo e risorse.
In questo senso sono evidenziabili qui alcuni temi di ricerca particolarmente significativi, affrontati
con maggiore frequenza dalle principali indagini in Italia e all’estero, indicandone gli strumenti più
adeguati e le ricadute possibili in termini di pianificazione strategica, marketing e comunicazione.
Tra questi temi, il profilo socio-demografico dei soggetti indagati, descritto mediante questionari,
rappresenta di solito il punto di partenza della conoscenza di un pubblico. A livello informativo,
offre se non altro un primo quadro di riferimento utile per indirizzare alcuni ragionamenti di
carattere generale, anche se spesso insufficienti, per pianificare strategie di marketing, come la
segmentazione e il posizionamento, o individuare potenziali target.
Al secondo posto seguono le analisi sulle modalità di fruizione e sul tipo di comportamento tenuto
dal visitatore durante l’esperienza di visita (tempi, frequenza, compagnia, utilizzo di servizi
aggiuntivi, ecc.). Questo tipo di informazioni può essere utile al museo per progettare le attività di
comunicazione e promozione, e per valutare l’efficacia dei servizi aggiuntivi presenti, o al tempo
stesso per impostare azioni di marketing, quali incentivi alla visita, riduzioni di prezzo per
determinate tipologie di visitatori o altro ancora.
Altro obiettivo senz’altro importante è poi la comprensione delle motivazioni alla visita che
sostengono il processo decisionale. Questo tipo di conoscenza è utile per valutare l’efficacia delle
scelte di marketing e comunicazione. Un pubblico mosso dal desiderio di un appagamento
immediato, in cui il ruolo delle componenti emozionale e affettiva diventa cruciale, potrebbe essere
particolarmente sollecitabile da un’efficace campagna stampa, o di affissione esterna, e dalle
capacità evocative e simboliche del museo stesso. Al contrario, i visitatori che maturano la scelta
della visita con largo anticipo, quale frutto di un processo decisionale fortemente cognitivo,
avranno bisogno di informazioni più dettagliate e organizzate, disponibili in anticipo.
Accanto al collaudato utilizzo del questionario, in questo caso anche i focus group e le interviste
sono strumenti assai efficaci per mettere a fuoco le motivazioni reali dell’esperienza culturale, i
benefici ricercati nella visita, le sensazioni associate al museo.
Per migliorare i punti di debolezza e valorizzare gli aspetti maggiormente apprezzati e apprezzabili,
è invece importante comprendere il livello di gradimento legato all’esperienza museale nel suo
complesso, senza trascurare l’analisi delle sue componenti, riconducibili - per ricordarne qualcuna
- ai servizi di accoglienza, alla disponibilità di materiali informativi, alla sintonia con l’allestimento, ai
costi richiesti per l’accesso, fino alla cortesia del personale. Per questo tipo di valutazioni sono
utilizzabili tutti gli strumenti menzionati (dal questionario al focus group). L’analisi del libro dei
visitatori, ad esempio, offre spesso indicazioni che, senza pretese di completezza o
rappresentatività, testimoniano delle sensazioni e delle emozioni suscitate dalla visita e
consentono di raccogliere giudizi sull’esperienza e sui servizi disponibili.
Un altro significativo filone di conoscenza è quello che riguarda l’utilizzo dei mezzi di
comunicazione da parte delle diverse categorie di pubblico a cui ci si rivolge. Tenere presenti le
abitudini di consumo e le consuete vie di esposizione ai media dei principali target di visitatori
permette infatti di aumentare l’efficacia della comunicazione, e di economizzare o ridurre eventuali
modalità poco di conto, considerando le croniche difficoltà di investimento in questa direzione da
parte dei musei. Le modalità conoscitive più a portata di mano sono anche in questo caso i
questionari e i focus group.
Un ambito d’indagine rimasto finora poco esplorato è poi quello che cerca di valutare l’impatto
della visita dal punto di vista del possibile contributo per le acquisizioni cognitive del pubblico.
Questo approccio, condotto mediante diverse tecniche: dai questionari alle interviste telefoniche,
intende verificare quanto l’esperienza museale sia in grado di suscitare stimoli e interessi di
approfondimento ulteriore su qualche tema specifico. In alcuni casi le interviste telefoniche sono
state utilizzate per misurare empiricamente a posteriori il livello di apprendimento e il grado di
acquisizione delle informazioni in un periodo successivo alla visita.
Anche l’attenzione al comportamento del pubblico durante la visita, analizzato tramite la cosiddetta
indagine osservante dei visitatori, può essere molto utile, in particolare per testare l’efficacia dei
percorsi espositivi e degli apparati di comunicazione che li illustrano, e per sondare il livello di
affaticamento e i tempi di fruizione della visita, in modo da venire incontro anche alle esigenze
meno dichiarate dagli utenti.
Le principali finalità
Come già accennato, la conoscenza del pubblico non può che contribuire ad orientare
positivamente le istituzioni museali sia sul piano delle scelte strategiche più generali, sia su quello
strettamente operativo e concreto. E’ infatti la fonte conoscitiva forse più efficace per migliorare la
soddisfazione dell’utente e la qualità complessiva della sua esperienza.
In sintesi, se ben utilizzata, una migliore comprensione delle esigenze, delle aspettative, delle
abitudini e delle reazioni dei visitatori può aiutare la gestione di un museo in particolare nelle
seguenti tre direzioni:
o la pianificazione strategica
per identificare innanzitutto le opportunità di sviluppo di nuovi progetti o di attività già esistenti
attraverso una programmazione di medio o lungo termine; per orientare le decisioni riguardanti la
soluzione di problemi o debolezze di offerta, individuati nelle risposte del pubblico (tra cui la politica
dei prezzi, l’eventuale inefficienze nei servizi di accoglienza, l’utilizzo di mezzi di comunicazione
fuori target, e altro ancora); per valutare infine la percezione esterna del museo, in modo da
valorizzarne le caratteristiche positive.
o
l’attività di marketing
per individuare i segmenti di pubblico su cui è bene investire per estendere o diversificare il
bacino di utenza, o per instaurare rapporti di fidelizzazione; per valutare l’indice di gradimento
soprattutto nel caso di cambiamenti nel sistema di offerta (quali variazioni di orario, di
pagamento d’ingresso o dei servizi previsti), così come per venire incontro alle motivazioni e
alle modalità di fruizione dell’esperienza di visita; per riconoscere inoltre i cambiamenti di tipo
socio-demografico, o legati agli stili di vita del proprio pubblico. Per essere in grado, infine, di
offrire indicazioni precise agli eventuali sponsor o partner delle iniziative da condividere.
o
la comunicazione e la promozione
per testare l’efficacia della comunicazione e sviluppare quelle attività che accrescono l’impatto
nei confronti delle categorie di pubblico di riferimento; per analizzare i materiali e lo stile di
comunicazione più adatto per i target individuati e al tempo stesso per Individuare le attività
promozionali più adatte.
Alcuni esempi
Come già affermato, la mancanza di indicazioni metodologiche condivise e riconosciute rende
piuttosto difficile un confronto comparativo delle indagini svolte sul pubblico museale, volendo
considerare l’intero ambito nazionale. Da questo punto di vista il lavoro più significativo è stato
forse lo studio promosso dall’Ufficio Studi del Ministero per i Beni e le Attività culturali, curato da
Ludovico Solima e intitolato “Il museo si interroga”, riferito alla campagna di rilevamento svolta nel
luglio 1999 in dodici musei statali d’arte o di archeologia (quattro dei quali nelle regioni
settentrionali, cinque nel centro Italia, i rimanenti tre al Sud e nelle isole). Lo studio ha inteso in
particolare indagare l’efficacia degli strumenti comunicativi utilizzati in alcuni rappresentativi musei
statali, verificando al tempo stesso la loro congruenza nei confronti delle aspettative dei visitatori.
L’indagine si è basata sulla raccolta di dati mediante un questionario a domande “chiuse” con
risposte multiple, articolato in cinque sezioni: le prime due riguardavano le fonti d’informazione
abituali dei visitatori interpellati e i canali di comunicazione a disposizione dei musei; la terza si
riferiva all’esperienza museale e ai diversi fattori in gioco durante la visita; seguita dalla quarta
sezione focalizzata per la prima volta sul grado di percezione delle differenti funzioni del museo
(sociale, culturale, relazionale, ludica), mentre l’ultima mirava a rilevare informazioni sui dati
anagrafici del pubblico coinvolto 169. Tra i numerosi spunti di riflessione che emergono da questo
studio, di particolare interesse sono quelli riguardanti la dimensione percettiva dell’immagine del
museo, messa a fuoco attraverso un processo associativo che tende a verificare concretamente le
funzioni più importanti attribuite al museo, visto ad esempio alternativamente come “piazza“ e
luogo di socializzazione (8%), “scuola” (28%), “tempio” e luogo sacro (34,3%), “laboratorio”
(10,8%).
Nello stesso periodo e immediatamente dopo sono seguite poi altre indagini a livello regionale e
locale, tra cui si distinguono in particolare quelle svolte, ad esempio, in Veneto (con le rilevazioni
telefoniche in 210 musei regionali tra il 1998 e il 1999), in Emilia Romagna (con il censimento di
326 musei riferito all’anno 2000)170, in Piemonte (sui musei civici torinesi, nel 2001, e su quindici
musei piemontesi tra il 2007 e il 2008)171, in Lombardia (con l’indagine su dodici realtà museali tra
il 2002 e il 2003)172. Di notevole interesse anche l’indagine condotta nel 2006 in ambito
provinciale, su ventisei musei del sistema museale della provincia di Modena, mediante interviste e
focus group 173, seguita l’anno successivo da un approfondimento sul pubblico giovanile con età
compresa tra i 14 e i 19 anni (considerato spesso “non-pubblico”) con l’obiettivo di mettere a fuoco
motivazioni, atteggiamenti e percezioni dei ragazzi nei confronti della frequentazione dei musei 174.
Pur senza addentrarsi in un’analisi capillare dei molteplici dati disponibili che richiederebbe
valutazioni più approfondite e dettagliate di quanto consentito in questa sede, è tuttavia possibile
tentare una comparazione sintetica delle informazioni raccolte, per esempio, nel corso delle ultime
due indagini compiute in Piemonte e in Lombardia, grosso modo con analoghi obiettivi e su un
campione di istituzioni a grandi linee confrontabile. Di seguito sono sintetizzate le informazioni
riguardanti la scelta del campione dei musei oggetto delle due indagini - quindici istituzioni culturali
in Piemonte, contro dieci musei civici della Lombardia, sparsi nei due territori regionali -, i criteri
metodologici e gli obiettivi, il periodo di raccolta dei dati.
Il campione selezionato e i riferimenti metodologici
Piemonte (2007-08)
Lombardia (2003)
Elenco e tipologia dei musei scelti per le indagini
L’indagine ha interessato 15 realtà culturali
169
Lo studio si è rivolto alle seguenti 10 istituzioni
Per i risultati del lavoro si rimanda a Solima, Ludovico, Il pubblico dei musei. Indagine sulla comunicazione nei musei
statali italiani, Gangemi editore, Roma 2000.
170
Cfr. Carlini, Laura, Musei in trasparenza. Indagine statistica sui musei dell’Emilia-Romagna, a cura dell’IBC EmiliaRomagna, Bologna 2003.
171
Osservatorio culturale del Piemonte, Indagine sul pubblico dei musei piemontesi, a cura della Fondazione
Fitzcarraldo (supervisione di Alessandro Bollo), Torino 2009.
172
Fondazione Fitzcarraldo, Indagine sul pubblico dei musei lombardi, Regione Lombardia, Milano 2004.
173
Bollo, Alessandro, Gariboldi, Alessandra, “Il visitatore al centro. Esperienza, percezione e gradimento dei visitatori
del Sistema Musei della Provincia di Modena”, I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, Franco Angeli, Milano, 2008,
pp. 77-106.
174
Idem, “Non vado al museo! Esplorazione del non pubblico degli adolescenti”, I pubblici dei musei.(cit. 2008), pp. 107136.
selezionate sul territorio regionale:
- Arca di Vercelli
- Castello di Racconigi di Racconigi
- Castello di Rivoli di Rivoli
- Filatotio Rosso di Caraglio
- Forte di Exilles di Exilles
- Museo Clizia di Chivasso
- Museo dei Campionissimi di Novi Ligure
- Museo del Territorio del Biellese di Biella
- Reggia di Venaria di Venaria
- GAM di Torino
- Museo del Cinema di Torino
- Museo Egizio di Torino
- Palazzo Bricherasio di Torino
- Palazzo Madama di Torino
- Palazzo Reale di Torino
museali lombarde:
- Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate,
- Civico Museo Donizettiano di Bergamo,
- Civiche Raccolte Archeologiche e
Numismatiche di Milano,
- Musei Civici di Como,
- Museo Civico di Palazzo Te,
- Musei Civici di Pavia,
- Museo Civico di Santa Giulia di Brescia,
- Museo Civico di Storia Naturale di Milano,
- Sistema Museale di Cremona,
- Villa Manzoni di Lecco.
Periodo del rilevamento
L’indagine si è svolta nei seguenti tre momenti:
o prima fase invernale: tra l’8 dicembre 2007 e
il 6 gennaio 2008,
o seconda fase primaverile: tra il 24 aprile e il
2 giugno 2008,
o ultima fase estiva: dal 1 agosto al 9
settembre 2008.
Il lavoro si è svolto tra i mesi di luglio 2002 e
maggio 2003, scandito da cinque incontri
preliminari tra i componenti del gruppo di lavoro;
il periodo del monitoraggio si è concentrato tra
marzo e maggio 2003.
Metodologia adottata
Distribuzione di un questionario, sulla base di un Distribuzione di un questionario all’ingresso del
metodo di campionamento stratificato
museo, disponibile anche in lingua inglese o
sistematico casuale (questionari raccolti: 6.322). francese (questionari raccolti: 2.633).
Obiettivi
L’indagine ha inteso delineare:
- il profilo socio-culturale dell’utenza e
eventuali cambiamenti rispetto ai risultati
delle ricerche precedenti;
- la provenienza del pubblico e le forme di
mobilità dei visitatori;
- la capacità dei musei di essere radicati nei
territori di appartenenza e di fungere anche
da attrattori turistici;
- l’efficacia degli strumenti di comunicazione
utilizzati;
- le motivazioni e i comportamenti di fruizione.
Gli obiettivi specifici della ricerca sono stati:
-
la definizione del profilo socio-demografico
dei visitatori
l’analisi dei consumi culturali dei visitatori
l’analisi di fasi e di aspetti del processo
decisionale dell’utenza
l’analisi delle modalità di fruizione
la valutazione del gradimento
dell’esperienza di visita.
Principali indicazioni emerse
Piemonte (2007-08)
Lombardia (2003)
L’identità del pubblico
Il 57% del campione è rappresentato dalle
I dati registrano una prevalenza lieve del
donne, mentre l’età media generale è di 40 anni
e la fascia d’età prevalente è quella tra i 46 e i
64 anni (30%), con una scarsa presenza di
pubblico anziano, sopra i 65 anni (10%, in
prevalenza maschile), e con variazioni in
relazione a singoli musei (ad es.: l’età media al
Museo del Cinema scende a 34,4 anni).
In merito al titolo di studio, il livello culturale è
medio-alto: il 37% è laureato e il 36% è
diplomato. La professione prevalente svolta
dagli intervistati è di tipo impiegatizio (25%).
pubblico femminile (52,2%). Per quanto riguarda
l’età, prevale la fascia compresa tra i 26 e i 55
anni (73% del campione, contro il 44% della
popolazione italiana compresa nella stessa età),
scarsa (4,6%) l’affluenza di anziani sopra i 65
anni (che della popolazione italiana
costituiscono il 17,1%).
Il titolo di studio prevalente è di livello medio-alto
(43,3% diplomati, 32% laureati, 7,4% con diploma post-laurea). I visitatori sono mediamente
forti consumatori di prodotti artistici e culturali.
Relazione dei musei con il turismo
I visitatori provenienti da fuori Piemonte
superano quelli che abitano sul territorio
regionale: l’incidenza complessiva dei visitatori
da altre regioni italiane è del 37,2% (contro il
13,7% nel 2001), quelli che arrivano dall’estero
sono il 10,5% (erano meno del 3% nel 2001).
Per quanto concerne le provenienze
extraregionali: Lombardia (21,4%), EmiliaRomagna (14,5%) e Veneto (11,5%) sono le
regioni più rappresentate; quattro stranieri su
dieci invece provengono dalla Francia. Le
presenze extraregionali sono state più alte nei
giorni festivi e nei fine settimana, con sensibili
variazioni nei singoli musei (ad es.: a Palazzo
Bricherasio e alla Reggia di Venaria si registra
una forte presenza di torinesi - rispettivamente il
63% e il 51% vive nella provincia di Torino mentre al Museo Egizio e al Museo del Cinema
la maggioranza proviene da fuori regione, il 61%
per il primo e il 58% nel secondo).
Il 65% dei visitatori risiede in Lombardia, mentre
il 32,8% proviene da altre regioni e l’11,2%
dall’estero. I dati evidenziano un rapporto
piuttosto consolidato con la comunità di
riferimento (circa il 40% delle visite hanno un
ambito di provenienza locale), una buona
capacità di intercettare fasce di pubblico
provenienti da fuori regione e dall'estero, contro
una relativa debolezza d'attrattiva per la
dimensione inter-provinciale.
Il 28,4% di quanti hanno risposto al questionario
visita i dintorni dopo il museo, mentre il 27,7%
ritorna a casa o al lavoro. L’ingresso al museo,
molto spesso, sembra costituire una tappa
all’interno di un processo di consumo del tempo
disponibile, da abbinare ad altre attività (siano
esse lo shopping, il ristorante ola pizzeria, la
scoperta dei dintorni o la visita ad altre istituzioni
museali).
La comunicazione
Le modalità prevalenti di conoscenza dei musei
sono le informazioni pregresse (32,6%) e il
passaparola (27,3%). Seguono la
comunicazione su quotidiani (16,5%) e la
pubblicità esterna (13,1%). Solo una persona su
dieci dichiara di essere venuta a conoscenza di
un museo piemontese attraverso il web.
Notevole anche il ricorso alle guide turistiche
(quasi il 15% dei turisti stranieri dichiara di
essere venuto a conoscenza di un museo
attraverso una guida).
La conoscenza pregressa dell'istituzione
museale e il passaparola sono i principali vettori
di conoscenza. I canali di comunicazione
commerciale di massa (TV e radio) risultano
essere poco efficaci (e i musei stessi ne fanno
un uso limitato). Il 45,1% dei visitatori ha
dichiarato di aver deciso di visitare il museo il
giorno stesso, il 29% di aver deciso nell’ultima
settimana e circa il 26% ha affermato di aver
preso la decisione con largo anticipo.
Motivazioni e comportamenti di fruizione
Le motivazioni principali della visita sono
l’arricchimento culturale (44%) e l’interesse
specifico per i contenuti proposti (37%). Una
persona su quattro dichiara come motivazione la
“curiosità”, una su cinque l’interesse per la
mostra temporanea. In alcuni musei è molto
forte l’incidenza di persone alla prima visita
L'interesse per la mostra temporanea (30,7%) e
per il tema trattato (29,4%) sono le motivazioni
prevalenti. L'esposizione temporanea si
dimostra inoltre un buona occasione per visitare
poi anche le collezioni permanenti (il 65,8% dei
visitatori di una mostra hanno poi visto anche le
collezioni permanenti e nel 52% dei casi si tratta
(80% al Museo Nazionale del Cinema, 78% a
Palazzo Reale, 67% a Palazzo Madama), al
contrario il pubblico dell’arte contemporanea si
dimostra maggiormente fidelizzato (il 58% aveva
già visitato il museo).
Elevati i livelli di soddisfazione per l’esperienza
vissuta: solo il 4% dichiara di essere poco o per
nulla soddisfatto.
Prevale infine la dimensione sociale della visita
(circa un visitatore su dieci si reca al museo da
solo, l’80% con il partner o con amici e
conoscenti).
di persone che non avevano mai visto il museo).
Il livello medio di soddisfazione per l’esperienza
di visita è sicuramente positivo: il 47,5% degli
intervistati ha dichiarato di essere molto
soddisfatto e il 47,2% abbastanza soddisfatto.
L’offerta centrale (opere, competenza del
personale, orari) sono valutati positivamente,
mentre al contrario l’apparato multimediale e
quello inerente all’assistenza e all’ospitalità sono
stati valutati lacunosi. La visita è per lo più
un'esperienza sociale: prevalente la dimensione
di coppia (il 28,6 % dei visitatori è andato al
museo con il partner/coniuge), o di gruppo
ristretto di amici e parenti.
L’analisi sommaria dei dati più significativi raccolti consente già di individuare alcune indicazioni
generali per le due realtà messe a confronto, che di massima presentano comunque numerose
analogie. A distinguersi, sia pur lievemente, per vivacità e capacità d’attrazione, è forse il sistema
museale torinese, caratterizzato da una lunga stagione di investimenti su cultura e beni culturali,
che, anche attraverso la risonanza mediatica del recente evento olimpico, hanno contribuito a
posizionare Torino e il territorio regionale nella geografia delle destinazioni turistico culturali a
livello nazionale, modificando la percezione degli stessi residenti. Un aspetto comune ai due
contesti regionali è invece la scarsa partecipazione del pubblico anziano. Si tratta di un segmento
di popolazione destinato a crescere numericamente, caratterizzato da livelli di istruzione via via più
elevati e che, grazie alla maggiore disponibilità di tempo libero, potrebbe rappresentare un target di
riferimento importante per le politiche museali e per una pianificazione mirata di servizi e di
promozione degli eventi. Un coinvolgimento più attivo e partecipativo della cosiddetta terza età
potrebbe inoltre servire per avvicinare al museo anche le fasce di utenza più giovani attraverso il
consolidarsi di prassi di fruizione in cui le generazioni più anziane introducono i giovani e
giovanissimi all’esperienza di visita. Si tratta peraltro di indicazioni che non riguardano nello
specifico solo la situazione di questi due contesti regionali, né solo quella dei musei.
Considerazioni conclusive
Le riflessioni che emergono dall’osservazione dei comportamenti dei visitatori dei musei portano a
considerare i tanti ruoli che queste istituzioni hanno il compito di assumere, le tante funzioni, i tanti
spazi e i diversi modi di viverli, i contenuti e i diversi modi di avvicinarsi e di interagire con
l'esperienza conoscitiva. L’analisi dei rilevamenti infatti mette in luce la complessità dello spazio
del museo anche attraverso la molteplicità di comportamenti e di vissuti evidenziata dagli stessi
visitatori.
È inoltre importante riuscire ad incrociare tutti i dati che provengono dall'osservazione, per
maturare una maggiore consapevolezza della reale fruizione del museo da parte dei suoi
frequentatori, comprendendo i punti critici (tematici, strutturali, di supporto o di contenuto) del
museo, per contribuire a migliorare ulteriormente il servizio fornito.
Queste attività d’indagine andrebbero tuttavia inquadrate entro una chiara cornice metodologica,
che impone, per una corretta interpretazione dei dati raccolti, la loro comparazione con altri dati,
statisticamente omogenei ma differenziati sotto il profilo settoriale o temporale: in altre parole, non
si può pretendere di conoscere il proprio pubblico raccogliendo informazioni solo su un campione,
anche se significativo, di questi visitatori.
Particolare attenzione andrebbe infine dedicata al rapporto che i musei instaurano con le comunità
locali del proprio contesto, con l’obiettivo d’incrementare le potenzialità di attrazione delle singole
strutture museali, spesso trascurate se non addirittura ignorate.
Le indagini, ancora carenti, sul pubblico potenziale e sul “non-pubblico” possono invece costituire il
punto di partenza per promuovere iniziative efficaci di sviluppo dell’offerta di servizi, accompagnate
da attività di marketing e di comunicazione finalizzate ad ampliare il consueto bacino di riferimento
del pubblico museale.
In questa prospettiva, lo svolgimento di studi sui visitatori e sui non-visitatori acquista una
differente e più significativa importanza all’interno delle scelte strategiche del museo. Diventa
fondamentale, in definitiva, alimentare con continuità la raccolta sistematica di informazioni utili alla
comprensione dei modi in cui si attiva e si sviluppa la relazione tra il museo ed il proprio pubblico.
Le politiche di pricing nelle istituzioni culturali italiane (Monica
Pasqualetto)
E’ solo nella prima metà degli anni ’90 che si comincia a parlare in Italia di “gestione” dei beni
culturali. Appare subito chiaro però che l’applicazione di metodologie puramente gestionali
nell’ambito dei servizi culturali non è così scontata. Si fa strada un certo scetticismo nei confronti di
una pratica che potrebbe portare ad intendere il museo esclusivamente come azienda e, di
conseguenza, gestito con le stesse modalità proprie di un’impresa.
Secondo la ormai diffusa definizione di museo che lo individua come “… un’organizzazione
permanente senza fine di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo …” (ICOM) lo scopo
dell’istituzione museale non è tanto quello, proprio di un’ impresa, di dare un rendimento
economico, quanto promuovere la ricerca e diffondere la conoscenza così come enunciato anche
dall’Associazione Americana dei Musei secondo la quale lo scopo principale dei musei è quello di
raggiungere il maggior numero di visitatori, attraverso l’aspetto educativo estetico e culturale delle
loro collezioni (Avorio).
In questo senso l’introduzione di un titolo d’ingresso può rappresentare un ostacolo al
raggiungimento di questa missione.
E’ pur vero però che si rende sempre più necessario assicurare all’istituzione culturale una certa
stabilità economica, a prescindere dagli interventi di carattere pubblico o privato, e un utilizzo delle
risorse interne ed esterne tali da raggiungere o cercare di raggiungere l’auspicato equilibrio
economico. Molte istituzioni culturali in Europa e nel mondo si stanno muovendo in questo senso
studiando e dando vita ad iniziative commerciali che consentano un rendimento da poter sfruttare
direttamente.
Che cos’è il prezzo
In senso stretto il prezzo è l’importo in denaro richiesto per un determinato prodotto o servizio. In
senso ampio è la somma di tutti i valori che i consumatori scambiano con i benefici derivanti dal
possesso o dall’utilizzo di un prodotto o servizio.(Kotler –Armstrong)
Il prezzo ha come sua caratteristica la flessibilità, può infatti essere modificato con grande rapidità
a differenza del prodotto, delle strategie distributive o di una nuova strategia di promozione. Inoltre
è di immediata percezione da parte del consumatore, il quale può non essere in grado di percepire
subito la differenza di due prodotti, ma coglie rapidamente il messaggio del prezzo che diviene
così uno strumento utile per determinare il valore dell’offerta. Richiamando la definizione di M.
Nuccio il prezzo “serve ad assegnare al prodotto un valore per il consumatore, il quale lo può
utilizzare come strumento di scelta”. Una scelta importantissima che coinvolge in questo caso il
fruitore del bene culturale che deve poter avere gli elementi necessari per scegliere di visitare quel
bene e non un altro ed uscirne soddisfatto ed arricchito.
Se la missione principale di un museo è quella di conservare ma anche diffondere la cultura è
necessario che il bene culturale sappia usare gli strumenti della comunicazione per raggiungere il
potenziale visitatore. Il ruolo del marketing diviene determinante per accrescere la competitività sul
mercato , ottimizzare le risorse perseguendo l’obiettivo dell’equilibrio economico. (Re )
Il Marketing culturale
F. Colbert definisce il marketing culturale come “l’arte di raggiungere quei segmenti di mercato che
possono potenzialmente essere interessati al prodotto . . . per raggiungere gli obiettivi coerenti con
la missione dell’impresa culturale”. Questo presuppone che anche un’ istituzione culturale faccia
proprie e accetti di funzionare con le regole di mercato, senza dimenticare di essere un luogo di
pensiero, di memoria e di riflessione: sì quindi alle regole del mercato civile, no alla legittimazione
di una società del mercato.
Il marketing agisce attraverso sei variabili presentate come le sei P: product (prodotto), place(qui
inteso come luogo fisico della fruizione), presentation (presentazione), promotion (promozione),
price (prezzo), people (persone). (Bagdali). Il prezzo è quindi solamente una delle leve del
marketing-mix, l’unico elemento tuttavia che produce ricavo a differenza delle altre tre componenti
che generano invece dei costi.
Delle sei P che compongono il concetto di marketing-mix solamente alcune possono essere
utilizzate ed integrate tra loro nel settore culturale per comunicare l’immagine e migliorare il
rapporto con il pubblico:
-
Prodotto : nel caso dell’istituzione museale il prodotto è sicuramente la collezione, una
corretta gestione e la valorizzazione di questo patrimonio è sicuramente uno dei primi
elementi di successo. La gestione del magazzino, attraverso una rotazione delle opere in
mostra, consente di valorizzare al meglio l’esperienza di visita. Così come un allestimento
accattivante e la presenza di servizi didattici, visite guidate o mostre temporanee a
carattere tematico.
-
Place: inteso come luogo fisico delle fruizione ,dovrebbe presentare le caratteristiche
necessarie a garantire una visita confortevole. Quindi una buona capacità di fornire
informazioni e una chiara segnaletica che indichi il percorso ragionato di visita con
didascalie che aiutino meglio a comprendere l’oggetto della visita. I suggerimenti di Avorio
indirizzano verso un museo che dovrebbe poter fornire una serie di servizi quali: il desk
informazioni, una sala di attesa, un guardaroba, dei servizi sanitari in numero adeguato, un
infermeria, un punto telefonico. Da non tralasciare servizi e facilitazioni per visitatori disabili.
Un buon esempio di quanto sopra esposto è senz’altro la sede espositiva dell’Arsenale di Venezia,
dove è attualmente in corso la 53° Esposizione Internazionale di Art Visive: nel corso degli anni
sono stati via via restaurati e resi utilizzabili numerosi spazi all’interno e all’esterno dell’Arsenale.
Lungo il percorso di visita sono state pensate e realizzate numerose aree di sosta di cui una di
notevole bellezza e suggestione alla fine del percorso, il Giardino delle Vergini. Questo spazio
verde, dotato anche di una caffetteria, consente ai visitatori non solo di riposare e rilassarsi alla
fine di un lungo un percorso espositivo, impegnativo sia dal punto di vista fisico ma anche
psicologico e della concentrazione, ma nel contempo di poter godere e scoprire il luogo che ospita
la manifestazione ed apprezzarlo anche come luogo storico.
-
Promotion: una buona promozione aiuta a vendere il prodotto, è quindi da auspicare una
buona strategia comunicativa con lo scopo di dare una immagine positiva del bene
culturale e induca il possibile fruitore ad avvicinarsi ad esso. Partendo con lo stabilire le
categorie di persone che si vuole raggiungere si passerà poi al contenuto, al modo al
momento e al luogo della comunicazione, tutti fattori questi vengono ovviamente influenzati
dal tipo di pubblico. Per una buona promozione è necessario prevedere un budget, ma
sono poche le istituzioni culturali che dispongono di un budget adeguato al loro piano
promozionale e quando questo avviene si tende in ogni caso a privilegiare le manifestazioni
temporanee. (Avorio)
Secondo la definizione di P. Lewis, citato anche da Bagdali, il marketing museale “è un processo di
management che conferma la missione di un museo o galleria ed è responsabile dell’efficiente
identificazione, anticipazione e soddisfazione dei bisogni dei suoi utilizzatori”. Compare in questa
definizione il termine utilizzatori anziché visitatori a sottolineare l’importanza del ruolo di coloro che
possono essere identificati come gli stakeholders primari di un museo: non consumatori
disinteressati o visitatori di passaggio, ma attenti fruitori e qualificati destinatari di un servizio.
Sempre Avorio suggerisce per evitare i rischi di uno sviluppo non controllato della funzione del
marketing di avere ben chiara la missione del museo e delle sue priorità, curandone la tutela,
l’allestimento espositivo, per consentire al bene culturale di mettersi in comunicazione con l’utente,
e da ultimo la cura dei servizi e la promozione.
L’annuale relazione sui musei realizzata dal Centro Studi del Touring Club Italiano mette in
evidenza come “la crisi globale . . . . un ulteriore riduzione dei fondi pubblici destinati alla cultura . .
. la contrazione del mecenatismo privato la crescente competizione tra destinazioni turisticoculturali . . . hanno rinfocolato il tema delle opportunità offerte dalla cultura come carburante di un
nuovo modello di sviluppo”. Quindi una “maggiore valorizzazione e messa a reddito del patrimonio
culturale pubblico anche attraverso iniezioni di imprenditorialità”.
Il rischio è che un marketing spinto snaturi la funzione propria del bene culturale. Iniziative come
l’apertura di Mac Donald’s al Louvre (La Repubblica, martedi 22 settembre 2009) o l’auspicato
cambiamento di “linguaggio” per rendere i musei (ma anche le biblioteche) più “friendly … luoghi
con personale sorridente, dove si trovano libri, stampe, bar funzionanti, gadget” (intervista di Mario
Resca a La Stampa del 26/08/2009), possono sicuramente essere il trampolino per un aumento di
visitatori (utilizzatori). L’aumento degli utilizzatori porterebbe un conseguente aumento degli
incassi, proprio grazie a quei servizi commerciali collaterali che in Europa e negli Stati Uniti sono
ben consolidati, mentre sono quasi inesistenti in Italia. Per contro esiste il rischio che si assista al
proliferare di musei “luna park”, secondo la definizione di Jean Clair (ex direttore del Museo
Picasso), perdendo di vista la vera “mission” dell’istituzione culturale.
Situazione attuale
Ma in Italia chi stabilisce il prezzo del biglietto?
Il Regio Decreto del 1885, n. 3191, approva un nuovo regolamento per la riscossione della tassa
d’ingresso nei musei, nelle gallerie, negli scavi e nei monumenti nazionali che viene poi sostituito
con il biglietto di’ingresso vero e proprio con la legge del 25 marzo 1997, n. 78. Succesivamente
l’art. 103 del Codice dei Beni Culturali ( D. Lgs n. 45, 24 febbraio 2004) stabilisce che “l’accesso
agli istituti ed ai luoghi della cultura può essere gratuito o a pagamento” lasciando “al Ministero,
alle regioni ed agli altri enti territoriali la facoltà di stipulare intese per coordinare l’accesso ad essi”.
Dove è previsto l’accesso a pagamento, Ministero, regioni e altri enti pubblici territoriali
determinano
- i casi di accesso libero o di titolo gratuito
- le categorie di biglietti e i criteri attraverso i quali giungere alla determinazione del prezzo
- le modalità di emissione, distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e riscossione del
corrispettivo, affidando queste mansioni anche a terzi convenzionati pubblici e privati, e ricorrendo
anche all’utilizzo di nuove tecnologie informatiche e al sistema della prevendita e vendita affidata a
terzi.
- agevolazioni per l’accesso che devono essere regolate in modo da non creare discriminazioni
ingiustificate nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea.
In Italia i musei pubblici sono quasi tutti a pagamento, quelli statali concedono in appalto a
concessionari privati la gestione dei servizi aggiuntivi tra i quali i servizi di prenotazione, prevendita
e biglietteria (Massimiliano Nuccio), ma le indicazioni sul prezzo fornite dall’amministrazione
risultano vincolanti e le società che hanno in gestione i servizi di biglietteria non hanno alcuna voce
in capitolo nella definizione delle strategie discriminatorie..
Questa mancanza di autonomia gestionale limita di fatto l’incentivazione ad allargare l’offerta verso
una serie di servizi che potrebbero dare vita ad un ritorno economico e, non meno importante, il
fatto che oltre l’85% degli incassi viene mediamente versato annualmente all’Erario dalle società
concessionarie e quindi non direttamente a beneficio dell’istituzione che ha generato quell’introito
(Avorio). La possibilità di attuare una articolata differenziazione dei prezzi, attraverso
l’identificazione dei diversi target, darebbe la possibilità all’istituzione culturale di svolgere il proprio
ruolo divulgativo, adattando se necessario la visita ai diversi profili di utenza, ed eliminando
attraverso una politica di riduzioni una possibile barriera economica-
Esempi
Un recente studio ci offre un’analisi circa le politiche di pricing messe in atto dai principali musei di
Roma.
Il lavoro ha preso in considerazione alcuni tra i più rilevanti istituti museali romani individuando le
strategie di prezzo e analizzando gli strumenti promozionali per incentivare la fruizione culturale.
I musei presi in considerazione sono:
Musei Capitolini, il Vittoriano, le Scuderie del Quirinale, Galleria Borghese, Galleria di Arte Antica,
castel S. Angelo, Musei Vaticani
I criteri per la diversificazione del prezzo sono stati così articolati:
età, reddito (studenti, anziani ,disabili), professione (guide, interpreti, professionisti nell’ambito dei
beni culturali, ricercatori) aggregazione sociale (associazioni sportive, religiose, culturali), tempo
(possibilità di visita gratuita in un particolare giorno della settimana o dell’anno), momento
dell’acquisto (vendita last minute, prenotazione), vendite collegate (possessori di card, vendita di
due o piu servizi con prezzo scontato)
Il lavoro mette in evidenza come le prime tre categorie (età, reddito e professione) siano prese in
considerazione da tutti i musei analizzati. Viene applicata la gratuità alle categorie under 18 e over
65, per gli studenti, i docenti universitari e le guide turistiche. Favoriscono di un ingresso ridotto i
giovani tra i 18 e i 25 anni.
MUSEI
Biglietto intero
Ridotto
Mostre/esposizioni Prenotazione
temporanee
Musei Capitolini
€ 6,50
€ 4,50
+ € 1,50
Vittoriano
Gratuito
Scuderie
Quirinale
€ 10.00
€ 7,50,
(mostre)
€4,00
scolaresche
Galleria
Borghese
€ 8.50
€ 5,25
Obbligatoria
scuole o gruppi
per
€ 9,00/7,00
+ € 1,50 si evita la fila
in entrata/obbligatoria
per le scuole
+ € 5,00
Attualmente biglietto
unico museo +mostra
(ticketeria.it)
Gall. Arte Antica
€ 6,00
€ 3,50
Castel S. Angelo
€ 10,00
€ 7,50
Musei Vaticani
€ 14,00
€ 8,00 - € 4
Biglietto unico museo
+ mostra
Tratto in comune con tutti i musei è la possibilità di offrire la visita gratuita ai membri ICOM. DA
questi dati si nota che le politiche di pricing sono in gran parte statiche e slegate da particolari
promozioni e scontistica., così come non appare alcuna scelta strategica legate al momento
dell’acquisto o della fruizione, non vi sono infatti particolari benefici derivanti dalla prenotazione se
non quello di saltare la fila.
Questa staticità viene presa in esame anche dal già citato lavoro del Centro Studi del Touring Club
Italiano che ha individuato i 30 musei italiani più visitati: nel 2008 solo 4 musei hanno aperto al
pubblico tutti i giorni dell’anno anche se il numero complessivo di giornate di apertura supera le
312 giornate. Questo significa che molti istituti hanno chiuso solo in corrispondenza delle festività
natalizie e pasquali mentre in alcuni casi si è adottato un giorno di chiusura settimanale. In 28 dei
30 musei considerati si entra pagando, con un costo medio del biglietto intero di euro 8,9 e di euro
6,5 per il ridotto con una riduzione variabile tra il 26% e il 48% sul biglietto intero. I servizi offerti
sono quelli tradizionali delle visite guidate, del bookshop e della prenotazione telefonica. Meno
praticati invece i servizi come la prevendita on line, le audio guide o la caffetteria che risultano
essere attivi in poco più della metà dei 30 musei presi in esame. Viene sottolineata in particolar
modo la quasi totale inesistenza di servizi per i più piccoli, fascia di pubblico che dovrebbe essere
tenuta in maggior considerazione in quanto “educabile” e potenziali fruitori adulti. L’eccezione è
data dai musei scientifici che offrono laboratori e percorsi per bambini, ma dove vi è un unico baby
parking attivo presso il Museo del Mare a Genova.
Un ultimo aspetto sottolineato dalla relazione del TCI è quello della comunicazione
museo/visitatore. La gran parte dei musei oggi non parla abbastanza e con sufficiente chiarezza al
visitatore: la segnaletica interna ed esterna è spesso un aspetto critico poco efficace che necessita
invece un cambiamento radicale. La comunicazione è strumento indispensabile per il
raggiungimento degli obiettivi di notorietà, accessibilità e fruibilità.
Il museo privato
Il Museo Ebraico di Venezia è un piccolo museo dondato dalla Comunità Ebraica veneziana nel
1953- E’ un museo diffuso, un complesso urbanistico architettonico e museale unico nel suo
genere per la sua specificità. Dal museo è possibile accedere al complesso delle sinagoghe, sono
infatti presenti in Ghetto cinque sinagoghe, tre delle quali visitabili quotidianamente con visite
guidate in partenza fissa dal Museo alla mezz’ora di ogni ora in più lingue. La valorizzazione, la
promozione e la gestione complessiva del museo è affidata da tempo ad una azienda privata che
versa alla Comunità Ebraica una quota fissa annuale per i diritti di gestione più una percentuale
sugli introiti superata una quota di incasso prefissato. Il Museo non beneficia di contributi pubblici,
fatta esclusione per un contributo della Regione Veneto investito nei lavori di restauro e di
ampliamento che sono incominciati nel 2005 ed ora in fase di conclusione. Alla fine dei lavori il
museo sarà dotato di un nuovo spazio espositivo per mostre temporanee o manifestazioni, un
nuovo e arricchito percorso di visita, e di una terrazza allestita con tavoli sedie e vele antisole che,
uno spazio di riposo e di meditazione con vista sul Campo di Ghetto. L’attenta gestione delle
risorse umane in relazione alle necessità del museo e la diversificazione dei servizi offerti consente
a questa struttura museale di giungere ad un sostanziale equilibrio di bilancio
Il Museo segue orari di apertura diversificati:
Dal 1 giugno al 30 settembre: dalle 13.00 alle 19.00
Dal 1 ottobre al 31 maggio: dalle 10.00 alle 18.00
Viene chiuso in corrispondenza delle festività ebraiche, il sabato, il 25 dicembre, il 1 gennaio e il 1
maggio, inoltre in corrispondenza con l’ingresso dello Shabbat o di altre festività ebraiche il museo
può chiudere prima rispetto all’orario stabilito.
Il biglietto è quantificato in € 3 euro intero, € 2 ridotto. La riduzione è applicata agli studenti dai 6 ai
26 anni, ai gruppi superiori alle 20 unità, ai soci FAI e Touring, ai possessori di Venice Card
Transport e carta Rolling Venice. L’ingresso è gratuito per i bambini sotto i 6 anni, i possessori di
Venice Card Transport e culture e per gli accompagnatori di disabili.
Nel 2005 sono stati avviati i lavori di restauro, messa a norma e ampliamento del museo, per
questo il prezzo del biglietto, aggiornato nel 2001, non avuto ritocchi fino ad oggi, Questa politica
ha reso possibile, pur con tutti i disagi derivanti dalla presenza di un cantiere, di non chiudere il
museo e di rendere partecipe il visitatore delle migliorie in atto stimolandolo a ritornare nella visita
del museo con il nuovo allestimento
Ogni mezz’ora è’ possibile effettuare l’ingresso al Museo con visita guidata alle Sinagoghe con una
maggiorazione di € 5,00 sia sul biglietto intero, sia sul ridotto. Questo è possibile grazie alla
presenza in museo, durante tutto l’orario di apertura, di personale altamente specializzato. Le
partenze ravvicinate di tour guidati consente di usufruire innanzitutto di un servizio, come la visita
guidata appunto, che facilita la visita e la comprensione del messaggio senza dover ricorrere ad
una prenotazione preventiva, e sono in grado di attirare visitatori che giungono al Museo non come
meta predefinita, ma come punto di passaggio di un itinerario nella città.
Ulteriori possibilità di visite guidate su prenotazione, diversificate per durata (da 1 a 2,30 ore circa),
per tipologia di siti visitati (solo sinagoghe, museo + 3 o 4 sinagoghe) completano l’offerta per
rendere il museo altamente in relazione con la città e il visitatore.
Lo statuto del Museo pone particolare riguardo alla mission educativa e di conoscenza della
shoah, è molto articolato dunque il programma di visite e laboratori didattici riservate alle
scolaresche. Un biglietto a tariffa unica (stabilito in base alle direttive statutarie per cui il biglietto
per il pacchetto visita+sinagoga deve essere conteggiato la metà dell’intero per quello stesso
pacchetto) di € 4 per studente (gruppi da 15 a 30 persone) consente la visita guidata del Museo e
di una sinagoga della durata di 1 ora.
Durante tutto l’anno scolastico vengono proposte numerose attività didattiche finalizzate alla
conoscenza della religione e della cultura ebraica diversificate durante i mesi dell’anno. Tra
dicembre e gennaio sono proposti laboratori gratuiti in preparazione al Giorno della Memoria.
All’interno del Museo si trova una caffetteria con tavoli e sedie, la sua posizione adiacente alla
libreria Aleph fa si che questo divenga un luogo di riposo e di approfondimento. La libreria Aleph
dispone del catalogo più completo in Italia di titoli in commercio di argomento ebraico in più lingue,
oltre ad un catalogo di CD e DVD di musica klezmer, sefardita e israeliana. Attraverso la Sefer
Card, la cui sottoscrizione è gratuita, si può accedere ad uno sconto del 10% sulle pubblicazione e
sull’oggettistica.
Nell’edificio accanto al museo ha sede la biblioteca e l’archivio “Renato Maestro”, che offre a
studiosi e specialisti assistenza nelle ricerche d’archivio e nell’elaborazione di tesi di laurea,
mettendo a disposizione le sue sezioni di storia, narrativa e religione. La biblioteca intende
contribuire a diffondere la conoscenza della civiltà e della cultura ebraiche e, in particolare, della
storia degli ebrei a Venezia e in Italia
L’attenzione posta al rispetto della missione e delle priorità del museo inserito nell’ambiente storico
nel quale ha avuto vita, l’ ampia offerta dei servizi forniti, la comunicazione nei confronti dell’utenza
realizzata attraverso adesione a card e circuiti museali, ma anche pubblicizzando il “prodotto”
attraverso la stampa (locale, nazionale, specializzata) e il web sono, in questo caso, un esempio di
intersezione fra marketing e cultura che possono coesistere e trarne reciproco profitto.
Il biglietto gratuito
In conclusione volevo soffermarmi un momento su un caso non-pricing: il Centro Culturale
“Claudio Trevi” della Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige.
Il Centro Trevi situato in posizione centrale a Bolzano, è un Centro Culturale dotato di una struttura
multifunzionale con due sale espositive utilizzate anche per proiezioni e convegni con due foyer
d’accesso alle sale. Comprende un Centro Audiovisi, con lo scopo di promuovere il cinema e
multimedialità con una mediateca aperta al pubblico; un Centro Multilingue, con lo scopo di
diffondere le diverse lingue e culture, con una biblioteca speciale aperta pubblico, spazi di lettura,
consulenza linguistica. Tutti gli eventi, le mostre, le manifestazioni che hanno luogo all’interno della
struttura hanno la peculiarità di essere tutte assolutamente gratuite. E’ evidente però che il
semplice fatto che le strutture esistono non sono sufficienti da sole allo sviluppo del pubblico, la
cultura è difficile anche da regalare.
Nel periodo che va dal 1998 al 2004 l’Assessorato alla cultura italiana della Provincia di Bolzano
ha quindi dato avvio ad un processo di “sensibilizzazione ai consumi culturali” nella fondata
convinzione che “un’iniziativa culturale…porta una persona ad uscire di casa quando soddisfa due
desideri…: imparare qualcosa mentre si provano delle emozioni in un contesto socializzante
(Lampis)”
Ovviamente cio è stato possibile grazie a una certa disponibilità finanziaria e a una politica volta
alla ricerca del nuovo
Il primo obiettivo da raggiungere è stato quello di informare la cittadinanza circa i servizi culturali
offerti dall’amministrazione provinciale adottando una importante campagna di manifesti. Si sono
adottate, in modo anche provocatorio, delle scelte grafiche pubblicitarie che copiavano quelle delle
grandi distribuzioni alimentari con degli slogan che richiamavano il filone del benessere per il corpo
tipo “Non dimenticare di allenare anche la tua mente”. L’uso del mezzo televisivo di carattere
locale è stato di fondamentale importanza per raggiungere anche coloro che appartengono alla
categoria “casa-lavoro-tv” con delle brevi produzioni di 15 minuti a ridosso del telegiornale in cui si
si illustrava il panorama culturale.
In tutte le iniziative si è sempre cercato il modo di raggiungere le fasce di pubblico non
particolarmente interessate all’arte. Nell’iniziativa “Incontri virtuali” (1998) attraverso appunto
alcune tecniche di realtà virtuale si potevano confrontare tra loro grandi opere del patrimonio
culturale italiano esposte in luoghi anche molto lontani uno dall’altro. A questa è seguita l’iniziativa
“Incontri Reali”: una sola opera (come ad esempio La Dama con liocorno di Raffaello) attorno alla
quale è stato costruito un progetto di propedeutica dell’arte. La componente formativa si è rilevata
la forte leva per attrarre un pubblico che solitamente non aveva interesse alla cultura. Infatti nel
periodo preso in esame si è verificato un cambiamento nelle abitudini dei cittadini: il Centro
Culturale Trevi dove si sono svolte queste iniziative è passato in due anni da 9.000 a 40.000
visitatori. Certo vi è stato un grande impegno economico, cosa che non tutte le amministrazioni si
possono permettere, per comunicare la cultura e sviluppare le occasioni di apprendimento. Ma
grazie a questi interventi di carattere formativo e divulgativo è probabile che ora, lo studente, o la
casalinga o chi non si sarebbe mai avvicinato ad un museo sia invogliato a cercare La Dama con
liocorno nella sua sede espositiva abituale, la Galleria Borghese a Roma, dando così avvio ad un
circolo virtuoso di cultura che chiama cultura.
Nessuna politica di pricing, ma nemmeno alcuna politica di non-pricing saranno in grado di attrarre
visitatori, se prima non sarà stimolato ogni singolo potenziale visitatore al riconoscimento di una
propria“coscienza culturale”. Quella coscienza che è strumento indispensabile per decifrare l’arte
in tutte le sue manifestazioni e ci fa desiderare di avvicinarci autonomamente ad un prodotto
culturale per trarne soddisfazione, arricchimento interiore ma anche divertimento,
indipendentemente dal costo del suo biglietto d’ingresso.
I piani strategici economico-finanziari per la valorizzazione nelle
istituzioni culturali (Giulia Piscitelli)
Il museo come azienda di servizi
L'interesse degli economisti aziendali verso il funzionamento e la gestione delle istituzioni culturali
data ormai da più di un decennio. La convinzione che siano necessari più alti profili di efficienza e
di produttività ha condotto a interrogarsi sugli strumenti volti al riorientamento strategico delle
istituzioni culturali, anche nell'ipotesi che tali cambiamenti producano un trascinamento positivo
sul contesto produttivo del territorio. Il dibattito in Italia si è concentrato in modo particolare sul
museo, visto l'immenso patrimonio di cui le istituzioni museali dispongono e l'esistenza di una
domanda in forte crescita che spesso non viene soddisfatta. Pertanto si è indagata la possibilità di
coniugare il concetto di azienda con quello di museo, che tradizionalmente ne era lontanissimo.
Silvia Bagdadli, nella introduzione al suo “Il museo come azienda”, una delle prime pubblicazioni
rivolte sia agli addetti al settore dei beni culturali, sia alla comunità economico-scientifica, così si
esprime:
“Ci preme innanzi tutto di fugare il sospetto [...] che azienda sia soltanto l’ente operante secondo le regole di
mercato e orientato alla redditività, valori potenzialmente in conflitto con quelli caratterizzanti l’attività museale.
Al tempo stesso, tuttavia, si vuole evitare che il ragionare, per così dire, da ‘intenditori d’arte’, porti a pensare da
un lato, che questi istituti debbano sfuggire a qualsiasi logica economica e, dall’altro, che non siano degni di
attenzione da parte della comunità scientifico-economica.”175
Occorre in ogni caso verificare la validità dell’accostamento azienda-museo. In questo senso, la
prima considerazione da fare è che anche il museo esercita attività economica.
Su questo punto così scrive Cecilia Chirieleison:
“Se consideriamo che l‘attività economica si esprime nella produzione, scambio e consumo di beni economici,
ossia atti a soddisfare i bisogni delle persone, risulta evidente che il museo, dal momento che produce anche e
soprattutto servizi offerti al pubblico […] per la soddisfazione appunto di un bisogno culturale, esercita attività
economica” 176
Tuttavia tale considerazione, pur apparendo necessaria, non è senz’altro sufficiente. La
giustificazione dell’abbinamento museo-azienda è stata trovata nella collocazione deI museo tra le
aziende di servizi. In quest’ottica l’esposizione della collezione viene intesa come il servizio di base
del museo. Così facendo, non si nega l’importanza delle attività di conservazione e tutela, che anzi
sono anch’esse viste come servizi rivolti alle generazioni future, ma si pone l’accento
sull’esposizione per poter sottolineare la necessità di “produrre sforzi per avvicinare il cittadino al
museo e per utilizzare al meglio le risorse a disposizione”177. Si evidenzia poi come il museo eroghi
servizi ‘periferici’ come i servizi educativi, le mostre temporanee, i servizi tipicamente
museografici (ad esempio cataloghi, fototeche, biblioteche messi a disposizione del pubblico) e i
servizi commerciali, che tutti insieme costituiscono, uniti al servizio centrale, il sistema dell’offerta
di servizi.
Anche i servizi offerti dal museo posseggono le caratteristiche tipiche di quelli erogati da tutte le
aziende di servizi: intangibilità, simultaneità tra produzione e consumo, eterogeneità, e
deperibilità.178
Circa la prima, è evidente che chi entra in un museo “acquista” una prestazione immateriale, che sia
la pura esperienza visiva o l’approfondimento delle proprie conoscenze, anche se tale prestazione
avviene tramite beni tangibili (la stessa collezione, i supporti audiovisivi, ecc). Il servizio offerto dal
museo, inoltre, viene prima venduto, poi prodotto e consumato contemporaneamente, fornendo al
visitatore la possibilità di decidere come effettuare la visita, facendogli assumere una parte attiva
nel processo di erogazione del servizio. In aggiunta, anche per il museo, come per tutte le aziende di
175
Bagdadli S., Il museo come azienda, Milano, Etaslibri, 1997, p. 7.
Chirieleison C., “La gestione strategica dei musei”, Milano, Giuffrè, 2002, p. 6.
177
Bagdadli S., op. cit, p. 83.
178
Bagdadli S., op. cit., p. 85.
176
servizi, risulta difficile stabilire standard, a causa dell’eterogeneità dei servizi offerti; ciò è evidente
soprattutto nel caso della visita individuale, ma anche nel caso delle visite guidate l’esperienza è
vissuta a livello individuale, e in ogni caso le variabili riguardanti le risorse umane in gioco (la
capacità della guida o le caratteristiche del gruppo) rendono difficile la standardizzazione. Infine,
anche per il museo vale la nozione di deperibilità, nel senso che i servizi non possono essere
risparmiati o conservati, rendendo così difficile rispondere alle variazioni della domanda; da qui ad
esempio i limiti che sono necessari per regolare l’afflusso dei visitatori sia per preservare le opere
esposte sia per mantenere alta la qualità dell’esperienza di visita.
Stabilito che il museo è un’azienda di servizi, è importante mettere in rilievo che esiste una cultura
organizzativa che caratterizza le imprese di servizi di successo. Tale cultura, secondo Normann,
presenta i seguenti aspetti: “orientamento alla qualità e all’eccellenza, orientamento al cliente,
investimento nelle persone e orientamento ad una tecnologia sociale elevata.”179
Nel 1997, Bagdadli, mettendo a confronto la cultura aziendale teorizzata dagli studiosi e la realtà
italiana segnalava una divaricazione forte:
“La cultura dominante nei musei pubblici italiani porta i caratteri della pubblica amministrazione: una scarsa
attenzione al servizio e al cliente, scarso orientamento all’innovazione,una rigidità dovuta al rispetto di regole e
procedure che nel tempo hanno sostituito valori e obiettivi. (...) Una cultura dunque ben lontana da quella
indicata da Normann per le aziende di servizi di successo, e, al tempo stesso, ben radicata nel contesto sociale
che pone forti barriere al cambiamento culturale e organizzativo, anche per la carenza di professionalità adatte a
guidarlo”180
E ancora oggi, nel 2009, Massimo Montella sottolinea che la cultura aziendale non ha ancora fatto il
suo ingresso a pieno titolo nelle istituzioni culturali, tanto che così apre, citando anche Fabio
Donato, il suo recente “Valore e valorizzazione del patrimonio culturale storico”:
“Se, rinunciando a pregiudizi, si osservasse che ‘il fine ultimo dell’economia è il soddisfacimento dei bisogni’,
che le scienze economiche possono essere di aiuto in campi diversi e che anche per la gestione del patrimonio
storico e artistico ‘l’applicazione delle conoscenze proprie delle discipline economico-aziendali significa [...]
l’introduzione di principi, criteri e strumenti volti a favorire il raggiungimento delle finalità istituzionali con la
migliore efficacia ed efficienza possibile’, il vantaggio sarebbe per tutti cospicuo”.181
Verso la valorizzazione: il percorso di aziendalizzazione delle istituzioni culturali
Secondo gli studiosi, dunque, il concetto di museo, e di istituzione culturale in genere, può essere
utilmente coniugato con quello di azienda, ma nella realtà italiana il “connubio” non è ancora
avvenuto. E’ tuttavia riconoscibile un “percorso di aziendalizzazione” che ha portato l’istituzione
museale a quella che viene definita la terza fase della sua storia, dopo le due lunghissime fasi
precedenti del collezionismo e della conservazione. Si tratta della fase della valorizzazione, che
segna un decisivo spostamento a favore dell’assunzione di un’ottica economico-aziendale.
Oggi “la valorizzazione viene intesa quale la capacità di avviare iniziative che consentano, in modo
complementare e sinergico, di
• migliorare e rafforzare la conoscenza ed il valore identitario del patrimonio culturale per
la comunità locale
• favorire la trasmissione del patrimonio culturale nelle medesime o in migliori condizioni
di conservazione alle future generazioni
• creare attorno ad esso autonome iniziative imprenditoriali che consentano l’attivazione di
flussi economici e la creazione di ricchezza diffusa, per il miglioramento della qualità
della vita della comunità tutta”182
Il termine valorizzazione compare per la prima volta in un testo di legge italiano nel 1964,
all’interno del provvedimento istitutivo della Commissione Franceschini, ma non assume in quel
179
Bagdadli S., op. cit., p. 94.
ibidem
181
Montella M., Valore e valorizzazione del patrimonio culturale storico”, Milano, Electa, p. 21.
182
Donato F., La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio”, Firenze, Olschki, 2008, p. 4.
180
contesto una piena funzione giuridica, restando probabilmente a livello di calco linguistico
dell’espressione mise en valeur presente nella legge francese n. 62-903 di due anni prima.183 La
valorizzazione viene poi riconosciuta come necessità in alcune norme degli anni ’70, ma non viene
distinta dalla tutela. E’ solo a partire dagli anni ’80 che diventa elemento centrale di alcuni
interventi legislativi ad hoc, quali i corposi finanziamenti inseriti nel FIO (Fondo Investimenti
Occupazione), nel fondo per i “Giacimenti culturali”, negli interventi straordinari per il
mezzogiorno. Il settore dei beni culturali diventa beneficiario di stanziamenti per centinaia di
miliardi di lire che tuttavia, data anche la loro natura di interventi speciali e non ordinari, la
farraginosità della normativa, l’assenza di un chiaro progetto politico, rimangono in buona parte
inutilizzati. Appare in ogni caso rilevante il fatto che sta cambiando la mentalità: i beni culturali
vengono visti come beni potenzialmente produttivi di ricchezza e occupazione, ma anche come
veicolo di crescita della comunità attraverso un impiego culturale del tempo libero. Tali
provvedimenti sono infatti la risposta ai profondi mutamenti in corso nella società italiana di quegli
anni: è cominciata la stagione dell’uso intensivo dei musei da parte del mondo della scuola e di
quello del turismo. Le sale dei musei si riempiono di gente, diventando anche aule didattiche o
contenitori per mostre e manifestazioni diverse. Si profila dunque impellente la creazione di servizi
fino ad allora inesistenti (bagni, guardaroba, parcheggi, bar, ristoranti, ecc.) e ci si misura con il
problema del rapporto col pubblico. In entrambe le direzioni si muove la cosiddetta Legge Ronchey
(14/1/93 n.4) recante “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali” che pone maggiore
attenzione alle condizioni di fruibilità, potenziando tra l’altro orari e giorni di apertura e
consentendo l’incremento del personale addetto.
E’ un passaggio importante nel percorso di aziendalizzazione184 in funzione della valorizzazione
che qui si sta tracciando. Si tratta infatti dell’assunzione come dato di fatto dell’esistenza di un
“cliente” del museo, le cui esigenze vanno conosciute e riconosciute, e del progressivo sbiadimento
dell’immagine del museo come istituzione che trova solo al suo interno la propria ragion d’essere.
Altrettanto importante è l’opportunità data ai musei di reperire risorse presso fonti diverse da quelle
statali, affidando a privati la gestione dei servizi aggiuntivi. E’ evidente che si sta procedendo verso
una maggiore autonomia economico-finanziaria e si sta affermando una tendenza verso una
mentalità più imprenditoriale.
La valorizzazione diventa un orientamento molto presente nel corso degli anni ’90, quando sia il
sistema di governo dei beni culturali, sia i modelli di gestione delle istituzioni che se ne occupano
divengono oggetto di numerosi interventi legislativi che si muovono in tre principali direzioni: la
ricerca di nuove fonti di finanziamento, il tentativo di un maggiore coinvolgimento dei privati, la
sperimentazione di nuove forme di gestione in vista di un effettivo decentramento di competenze
alle Regioni.
Con il decreto legislativo 112 del 1998, che rientra nel quadro della legge Bassanini sul
conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli enti locali (59/97), si fornisce una definizione
di valorizzazione, identificata come “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e
conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione” e se ne precisano gli
ambiti di seguito riportati sinteticamente:
1) conservazione 2) accesso e diffusione della conoscenza 3) fruizione agevolata 4) studi e
ricerche 5) attività didattiche 6) mostre 7) eventi culturali 8) itinerari culturali185
Così facendo si procede alla distinzione tra tutela e valorizzazione, non solo nella precisazione delle
funzioni, ma anche nella indicazione dei soggetti che ne sono responsabili, infatti mentre la tutela
viene assegnata in modo esclusivo allo Stato, la valorizzazione è attribuita alla collaborazione tra
Stato, Regioni ed enti locali.
183
Cfr. Montella M., op. cit,, p. 32.
Per le osservazioni precedenti sul percorso di aziendalizzazione dei musei, come per quelle seguenti, cfr.
Chirieleison C., op. cit., p. 71 e seguenti.
185
Cfr. art. 152 comma 3 riportato in Montella M., op.cit.
184
Si giunge poi alla promulgazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs 22 Gennaio
2004, n.42) che così dichiara all’art. 6:
“La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette
a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo
della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di
conservazione del patrimonio culturale. In riferimento ai beni paesaggistici la valorizzazione
comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela
compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed
integrati.”
E all’art. 111:
“Le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed
organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di
competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all’esercizio delle funzioni
ed al perseguimento delle finalità indicate all’Articolo 6. A tali attività possono concorrere,
cooperare o partecipare soggetti privati.”
Il Codice chiarisce definitivamente che, come afferma Montella, “si è largamente affermata la
consapevolezza che un ampio uso del patrimonio sia, in una società democratica di massa, la
premessa indispensabile per ogni obiettivo di tutela, giacché il valore dei beni anche di cultura
consiste, di fatto, in quello riconosciuto da una quota del corpo sociale estesa”186
Ed è ormai accettato che la valorizzazione dei beni culturali “da un lato, è in grado di generare
risorse aggiuntive da destinare al comparto della tutela, dall’altro, attraverso la creazione di
ricchezza non solo economico-finanziaria, ma anche culturale, può favorire e facilitare l’effettiva
fruizione attuale e futura del patrimonio, che è il fine ultimo della tutela.”187
E’ comunque vero che il processo di aziendalizzazione e la cultura aziendale che vi sottende
trovano ancora ostacoli e resistenze nel mondo degli addetti al settore dei beni culturali. Vi è chi,
fortemente legato alla sua formazione umanistica, continua a considerare alla stregua di uno
stravolgimento mercificante l’acquisizione della mentalità imprenditoriale. D’altro canto vi è una
tendenza a indirizzare la valorizzazione verso “logiche di entertainment in gran parte risolte con
effetti emozionali e simbolici”188 o a esercitarla in modo rigidamente formale e sterilmente
procedurale.
In questa sede non è possibile esaminare con attenzione i problemi che questa fase comporta. E’
comunque chiaro che per affrontare le questioni relative alle fonti di finanziamento e ai soggetti
deputati alla gestione, come quelle attinenti alla misurazione dei livelli di efficacia e di efficienza,
non è più sufficiente agire settorialmente o episodicamente, è necessario avere una visione di
insieme e di lungo periodo. E dunque è necessario avere un orientamento strategico di fondo.
Il concetto di strategia e di gestione strategica
L’orientamento strategico di fondo, cui si è fatto riferimento nel paragrafo precedente, è un concetto
che si deve a Vittorio Coda, uno dei padri dell’economia aziendale. Esso riguarda l’identità
profonda dell’azienda, profonda non solo perché radicata, ma anche perché invisibile e intangibile.
Si tratta della visione dell’impresa e del suo futuro che soggiace a tutte le sue scelte strategiche, e
che “anche se raramente viene esplicitata, discussa e vagliata criticamente, ma rimane per lo più
implicita, informa di sé tutta la realtà e la vita dell’impresa.”189 E’ una variabile complessa, che
riunisce più elementi: le coordinate spazio–temporali, qualitative e quantitative della missione
186
Montella M., o. cit., p. 34.
Chirieleison C., op. cit., p. 86.
188
Montella M., op. cit., p. 50.
189
Coda V., “L’orientamento strategico dell’impresa”, Torino, UTET, 1988, p. 25.
187
aziendale; i fini, il ruolo e i modelli di comportamento aziendali; i concetti di base ispiranti
l’impostazione gestionale e organizzativa complessiva.
Il concetto di orientamento strategico di fondo si è delineato all’interno del dibattito sulla nozione di
strategia che ha coinvolto la comunità scientifica, portando al superamento della vecchia
concezione di pianificazione strategica di lungo periodo.
A proposito di tale dibattito, Vittorio Coda individua due principali scuole di pensiero.
“Alcuni autori vi includono sia i fondamentali fini perseguiti che le politiche intese a realizzarli [...]. Altri,
invece, assumono fini e obiettivi di fondo come dati e fanno della strategia un concetto evocativo dei modi in cui
l’impresa reagisce al suo ambiente e dispiega le sue risorse in vista dei suoi fini.”190
Nel primo caso, sostiene Coda, prevale un’idea vagamente ‘ingegneristica’ del sistema aziendale, in
cui i fini vengono determinati dal livello più alto della gerarchia prima dei mezzi per conseguirli.
Nell’altro è una concezione ‘organicista’ a prevalere.
“[...] riconoscere che i fini dell’impresa si qualificano e si definiscono anche in relazione al campo di attività cui
l’impresa è vocata e ai modi prescelti per conseguirli, significa pensare l’impresa come come un organismo
vivente che non soltanto funziona in vista di certi scopi, ma trova la sua ragion d’essere – e quindi il suo scopo –
anche in un certo modo di funzionare; che non solo raggiunge certi fini grazie a un certo modo di operare nel suo
ambiente, ma riesce ad operare in quel certo modo grazie anche al conseguimento dei suoi fini; che, insomma,
persegue la realizzazione piena di sé o, meglio, di una certa visione del suo futuro continuamente soggetta ad
evolversi.”191
Preferendo questa seconda strada, Coda giunge alla definizione seguente:
“[...] la strategia definisce l’identità, effettiva o ricercata, dell’impresa definendo che cosa essa fa o vuole fare;
perché lo fa o lo vuole fare; come lo fa o lo vuole fare. E questa identità viene progressivamente a definirsi sia in
termini di idee, convinzioni, atteggiamenti configuranti l’orientamento strategico di fondo dell’impresa (OSF),
sia in termini di indirizzi strategici in cui l’OSF si concretizza.”192
Diverse sono poi le strategie attraverso cui l’OSF si concretizza193, come diversi sono i processi di
gestione strategica. Qui interessa soffermarsi su questi ultimi, poiché hanno avuto echi interessanti
nel dibattito inerente alle istituzioni culturali.
Esiste un modello classico di impostazione strategica, in cui il momento della formulazione, inteso
come momento conoscitivo-decisionale, precede quello della realizzazione. A questo modello
corrisponde una forma di pianificazione strategica che ormai viene considerata superata. Qui il
pensiero è separato dall’azione e conduce a un “approccio verticistico” criticabile anche per
“l’eccessiva rigidità e meccanicità che non permette adeguamenti alle dinamiche ambientali.”194 Il
modello della gestione come attività di learning by doing prevede, invece, il continuo monitoraggio
dell’ambiente e un continuo processo di apprendimento imprenditoriale. Si tratta in questo caso di
un intimo connettersi di pensiero e azione, di “un approccio meno procedurale e più basato sulla
sperimentazione pilotata, sulla verifica, sugli adattamenti continui.”195 Il terzo modello corregge il
rischio insito nel learning by doing di affidarsi alle sole ‘strategie emergenti’, ossia a quelle che
sono frutto dell’apprendimento prodotto dall’esperienza, rischio che consiste nella perdita del
controllo strategico dell’impresa. Infatti, “un’efficace gestione strategica è una qualche
combinazione dell’approccio tradizionale (di formulazione di strategie deliberate) e dell’approccio
basato sull’apprendimento organizzativo (di formazione di strategie emergenti).”196
Il piano strategico economico-finanziario
190
Coda V., op. cit., pp. 21-22.
Coda V., op. cit, p. 23.
192
Coda V., op. cit., p. 24.
193
Coda individua i seguenti tipi di strategie: di portafoglio, economico-finanziaria, sociale, organizzativa, competitiva,
funzionale di gestione tipica. Cfr, Coda V, op. cit., pp. 53-57.
194
Cuccurullo C. , Tommasetti A., “Il management strategico nei musei: strumenti e tecniche di elaborazione di un
piano strategico” in Sibilio Parri, B. (a cura di), Definire la missione e le strategie del museo, Milano, F. Angeli, 2004 ,
p. 50.
195
ibidem
196
Coda V., op. cit. p. 68.
191
Il piano strategico economico-finanziario nel mondo aziendale
L’esplicitazione e la formalizzazione della strategia avvengono attraverso il piano strategico
economico-finanziario (business plan), che così viene definito da Antonio Borello
“uno strumento alla base di un processo di pianificazione sistematico ed efficace. […] E’ da intendersi come uno
studio che da una parte include l’analisi del mercato, del settore e della concorrenza, e dall’altra il piano
sviluppato dall’azienda su come presentarsi, con quali prodotti/servizi, perseguendo quali strategie, attraverso
quale organizzazione; proiettando questa visione d’insieme nel breve periodo, attraverso la quantificazione dei
diversi elementi che consentano di determinare il grado di attrattività economica e fattibilità finanziaria
dell’iniziativa, e nel lungo periodo, attraverso l’esplicitazione di una visione imprenditoriale chiara e
coerente.”197
Ne consegue che il piano fa riferimento alle strategie deliberate, generate con un procedimento
logico basato su un metodo e sull’utilizzo di strumenti.
E’ necessario però sottolineare che non esiste un unico modo di intendere questo strumento. Vi è
infatti quella che è possibile chiamare ‘visione ristretta’, secondo la quale il business plan è un
piano redatto nella fase iniziale di sviluppo dell’idea col solo fine di valutare l’attrattività e la
finanziabilità del progetto. Esiste anche una visione più allargata:
“In questa concezione estesa, il business plan ha molteplici finalità: se inizialmente verifica la bontà economica
dell’idea imprenditoriale, successivamente si estende alla valutazione più completa del progetto, includendo
anche l’analisi della sostenibilità finanziaria. Per passare infine alla definizione del piano operativo che guidi le
decisioni correnti dell’imprenditore.”198
E’ evidente che se si intende esaminare il business plan come strumento della strategia si deve fare
riferimento a quest’ultima concezione.
E’ inoltre bene ricordare che la forma del piano cambia notevolmente a seconda delle sue finalità:
“concepire un piano economico-finanziario che fornisca le informazioni necessarie alla guida dell’impresa è
operazione diversa dal preparare un piano da sottoporre all’attenzione di una banca d’affari. In alcuni casi, il
contenuto è proprio differente; in altri, varia il grado di approfondimento dell’analisi in alcune sezioni del
piano.”199
Un business plan, nell’accezione allargata cui si è fatto riferimento, assolve a molte funzioni, si
compone di varie parti e comprende varie fasi di costruzione. Le funzioni del piano sono rivolte sia
all’interno dell’azienda che all’esterno. Dal punto di vista interno, infatti, il piano svolge un
compito informativo e di guida dei processi decisionali, e assiste l’imprenditore in un
comportamento da un lato sempre reattivo agli stimoli del mondo esterno, dall’altro efficace ed
efficiente a livello di gestione. Consente, infine, se la redazione del piano vuole essere completa ed
efficace, di coinvolgere a vari livelli il personale dell’azienda: un pre-requisito importante per la
creazione di consenso. Allo stesso tempo, però, il business plan “può essere lo strumento in grado di
convincere operatori economici non appartenenti all’impresa in merito alla credibilità del business
aziendale. E’ così esplicitata la sua funzione esterna.”200
Nella figura riportata di seguito, sono sintetizzate tutte le funzioni svolte dal business plan.
197
Borello A., “Il business plan. Dalla valutazione dell’investimento alla misurazione dell’attività d’impresa”, Milano,
McGraw-Hill, 2005, p. XI.
198
Borello A., op. cit., pp. XIII-XIV.
199
Borello A., op. cit., p. XII.
200
Borello A., o. cit., p. XIV.
Fig. 1 Le funzioni del business plan
Fonte: Borello A., “Il business plan. Dalla valutazione dell’investimento alla misurazione dell’attività d’impresa”, Milano, McGrawHill, 2005
Si può dire che un business plan si compone di due parti strettamente correlate tra loro: una parte
iniziale descrittiva e una contenente i dati economico-finanziari.
“La parte descrittiva, indispensabile per introdurre il lettore all’esposizione dei dati che avverrà nella seconda
parte del piano, oltre alla presentazione dell’impresa o del progetto e alla trasmissione della visione
imprenditoriale sottostante, si compone di quelle analisi e studi necessari per una corretta comprensione del
mercato, della concorrenza, del prodotto/servizio offerto e del piano strategico e operativo. Inoltre, sempre a
livello descrittivo, viene esposto il piano di finanziamento…”201
Anche il piano organizzativo relativo alle risorse umane è compreso in questa parte. La finalità della
parte economico-finanziaria è quella di consentire, attraverso numerosi prospetti, una corretta
interpretazione di quanto esposto nella prima parte e una valutazione accurata del progetto.
Il piano si suddivide poi in diverse fasi di costruzione. Esiste infatti una prima fase dedicata alla
fattibilità economica, nella quale “in definitiva, vengono comparate nel tempo le maggiori voci di
costo e di ricavo al fine di verificare se il progetto è economicamente interessante”202;
successivamente è necessario prendere in considerazione la fattibilità economico-finanziaria,
valutando “i maggiori flussi finanziari, in entrata e in uscita […] per capire se il progetto, oltre che
economicamente valido, è anche finanziariamente sostenibile in relazione alle fonti di credito su cui
verosimilmente si pensa di fare affidamento”; e infine è necessario “valutare l’accesso alle fonti di
finanziamento. Una volta effettuata l’analisi di tutti i fattori e individuato il prodotto/servizio, è
indispensabile assicurare al progetto le risorse necessarie per il suo avvio”203.
Dunque, è soprattutto nella parte descrittiva che emerge quanto il business plan sia uno strumento
fondamentale dal punto di vista strategico: è in questa parte, infatti, che il piano esplicita l’analisi
dell’ambiente esterno, l’orientamento strategico di fondo e le strategie deliberate, sia sociali che
competitive. Mentre le strategie sociali sono volte a creare consenso sulle azioni intraprese, sia
all’interno che all’esterno dell’azienda, le strategie competitive “sono quei piani d’azione che
determinano il modo di operare nell’ambito del mercato e del settore”204. Alcune di queste si
riferiscono al livello aziendale, e riguardano l’ambito organizzativo, economico-finanziario,
produttivo e comunicativo; altre afferiscono invece al livello di area d’affari205 e hanno l’obiettivo
di definire i confini dell’azione commerciale di ciascuna area (strategie di copertura del mercato) e
a definire contenuti e caratteristiche dell’offerta (strategie di offerta). Gli obiettivi individuati
201
Borello A., op. cit., p. XXIV.
Borello A., op. cit., p. XIV.
203
ibidem
204
Borello A., op. cit., p. 32.
205
Per aree d’affari si intendono tutte le combinazioni prodotto/mercato individuate dall’azienda successivamente alla
segmentazione del mercato.
202
nell’ambito di queste due strategie rappresentano il punto d’incontro tra la dimensione strategica e
la dimensione operativa del piano.
Nella figura sottostante è riportato uno schema riassuntivo del conseguimento del successo
aziendale tramite lo studio e l’analisi di tutti gli elementi a cui si è fatto riferimento.
Fig. 2 Schema riassuntivo: mercato/settore/strategie e conseguimento del successo aziendale
Fonte: Borello A., “Il business plan. Dalla valutazione dell’investimento alla misurazione dell’attività d’impresa”, Milano, McGrawHill, 2005
E’ infine essenziale che l’imprenditore si doti di un adeguato sistema di controllo al fine di
verificare la validità delle azioni intraprese e di consentire, se necessario, una riformulazione del
piano dal punto di vista strategico o operativo in caso di insoddisfacenti livelli di performance.
L’indagine si deve sviluppare ai medesimi livelli di analisi seguiti durante la pianificazione, in
modo da poter confrontare le previsioni fatte in sede di pianificazione e i dati rilevati a consuntivo,
e deve avvenire attraverso strumenti di natura differente, al fine di rilevare sia elementi qualitativi
che quantitativi. Il controllo deve cioè riguardare l’impresa, le aree d’affari e i prodotti/servizi così
come le aree gestionali e le leve manageriali e deve avvenire sia nell’area operativa206 che nell’area
economico finanziaria207.
Il piano strategico economico-finanziario all’interno delle istituzioni culturali
Affrontare la questione dei piani strategici delle istituzioni culturali presenta alcuni problemi per lo
meno quando si tratta di realtà del nostro paese. Il primo è legato all’ancora scarsa diffusione
dell’uso di questo strumento; durante la ricerca di casi di studio è stato interessante notare come nel
mondo anglosassone sia dato libero accesso al piano strategico di alcuni dei maggiori musei tramite
206
“Il controllo operativo si compone di
• controllo dei costi, atto a verificare l’efficienza della gestione e la validità della struttura di business adottata
• controllo della qualità, il cui scopo è di indagare sulla coerenza dei processi esistenti alla erogazione
ottimale di prodotti e servizi
• controllo commerciale, che invece misura l’andamento delle vendite e la qualità dell’output aziendale”
Borello A., op. cit., 216.
207
“Il classico metodo di controllo si basa sui valori contenuti nei bilanci di esercizio e negli schemi di riclassificazione
economico-finanziaria predisposti dal management. In questo senso, un metodo efficace ed intuitivo di rappresentazione
dei risultati consiste nel confronto fra tali grandezze economiche. E proprio attraverso il rapporto fra valori contabili si
costruiscono gli indici di bilancio” Borello A., op. cit., 221.
il loro sito internet, mentre, quando l’attenzione si è spostata al nostro paese, non è stato possibile
reperire on-line alcun piano, anche relativamente ai nostri grandi musei. Questo è senz’altro dovuto
a un tipo di organizzazione estremamente diverso, ma anche al fatto che, probabilmente, non è
sentito come necessario mettere a disposizione dell’utenza remota questo tipo di documento. Il
secondo problema è riferito invece alle tematiche affrontate dalla letteratura su questo argomento.
E’ difficile reperire studi che affrontino il business plan come strumento della strategia nel settore
culturale.
Alcuni studiosi descrivono modelli di gestione strategica “presentando i metodi e gli strumenti
attraverso cui analizzare i problemi strategici e assumere le decisioni”208. Tali autori considerano
infatti come problema principale il fatto che le istituzioni culturali manchino “di una propria
capacità di ‘gestione strategica’ nel senso di un impiego sistematico e continuo di processi, metodi e
strumenti che consentono di formulare obiettivi strategici, di creare i presupposti per la loro
realizzazione e di controllarne gli effetti.”209 L’obiettivo principale di questi autori è quindi quello
di offrire modelli attraverso cui le aziende culturali “possono modificare il loro approccio alla
strategia, tralasciando la pianificazione formale e non limitandosi agli aspetti di marketing, ma
focalizzandosi soprattutto sugli aspetti prioritari della strategia: le direttrici e il posizionamento.”210
I riferimenti sono allora agli strumenti che possono valutare l’efficacia delle strategie direzionali,
intese come il filo conduttore che congiunge il passato (i valori cui l’azienda fa riferimento), il
presente (definito dalla mission211 aziendale) il futuro prossimo (obiettivi212) e di lungo periodo
(vision213); ma si richiamano anche strumenti, come l’analisi SWOT, che intersecando i dati
riguardanti punti di forza e di debolezza interni all’azienda con le opportunità e le sfide provenienti
dall’ambiente esterno, permettono di comprendere la posizione strategica dell’azienda.214 In questo
modo si possono anche valutare le alternative strategiche alla luce di elementi correlati alle
dinamiche ambientali e alle capacità organizzative.
Altri autori concentrano invece la propria attenzione sul processo che porta alla redazione del piano,
fornendo quindi una visione meno analitica e più operativa, allo scopo di guidare gli addetti al
settore culturale nelle fasi di stesura del piano stesso. Si tratta dunque di fonti difficilmente
comparabili fra loro. Questa disparità rende poi ancora più difficile il confronto tra quanto avviene
nel mondo aziendale e quanto invece avviene nelle istituzioni culturali.
Tuttavia si può dire senz’altro che il motivo di fondo per cui è necessario un piano strategico sia
comune al mondo delle imprese e a quello delle istituzioni culturali: interpretare e descrivere
l’ambiente esterno e definire la propria identità, al fine di determinare uno sviluppo ottimale e i
cambiamenti necessari per raggiungerlo, attraverso una serie di obiettivi che portano a piani
d’azione più specifici. Più in generale si può dire che, per le istituzioni culturali, il piano strategico
provvede a strutturare e a portare avanti le finalità istituzionali.
Anche i significativi cambiamenti che hanno investito nell’ultimo quarto di secolo il settore
culturale sono determinanti nell’indurre le istituzioni culturali a dotarsi di un piano strategico. Gail
208
Cuccurullo C., Tommasetti A., op. cit., p.66.
Cuccurullo C., Tommasetti A., op. cit., p. 48.
210
Cuccurullo C., Tommasetti A., op. cit., p. 66.
211
La mission definisce “il profilo attuale dell’organizzazione in termini ‘di scopo distintivo e ragione d’essere’: deve
individuare la tipologia di visitatori che rappresentano il target dell’azienda culturale, i mercati nei quali operare,
l’estensione geografica del proprio bacino d’utenza, la filosofia organizzativa in termini di valor, aspirazioni e priorità,
ed infine la definizione dell’immagine aziendale” Cuccurullo C., Tommasetti A., op. cit., p. 58.
212
Gli obiettivi sono punti di riferimenti concreti e tangibili per la realizzazione della visione. Tali obiettivi devono
essere: “misurabili; riferiti a precisi orizzonti temporali; realistici; gerarchizzati; coerenti (con il piano strategico
perseguito” Borello A., op. cit., p. 32.
213
La vision è la “direzione di marcia” seguita dall’azienda, che “anche se può apparire generica o irrealistica come in
un sogno, dischiude però una prospettiva di sviluppo di lungo periodo” Coda V., op. cit., p. 127.
214
“Le strategie di posizionamento fanno riferimento specialmente alla capacità delle aziende di competere con i propri
concorrenti attraverso la leadership di costo […], la differenziazione […], la focalizzazione” Cuccurullo C., Tommasetti
A., op. cit., p. 62.
209
Dexter Lord e Kate Markert215 individuano come causa di questi cambiamenti il successo delle
istituzioni culturali, e in particolare dei musei, presso il pubblico. I musei hanno saputo rispondere
con flessibilità alla sempre maggiore diversificazione della domanda. Questo li ha portati ad essere
non più meri contenitori espositivi, ma luoghi dedicati all’educazione e alla comunicazione, motori
dell’economia, attrattori turistici e molto altro. Le autrici individuano con precisione diciotto
aspetti, interni ed esterni alle istituzioni, di questo cambiamento216; riportarli tutti occuperebbe
troppo spazio, di seguito sono citati i più importanti: aumento della concorrenza dovuto all’aumento
del numero dei musei; necessità di avere accesso ad altri finanziamenti oltre a quelli già assicurati;
una domanda sempre più qualificata e la conseguente necessità di aumentare la professionalità degli
addetti; la crescente importanza delle nuove tecnologie; il rilievo sempre maggiore assunto dalle
cosiddette “blockbuster exibitions”.
In ogni caso, anche nelle istituzioni culturali il piano rappresenta il punto di raccordo tra la
dimensione strategica e la dimensione operativa, che sono riportate in due documenti distinti:
“One prepared by the director provides a broad overview of where the museum is headed, places the museum’s
mission in context, and summarizes the museum’s goals and strategies for the next three to five years. The
second document is an action plan that details – year by year, department by department – what staff will
accomplish over the planning horizon, and addresses the financial, human, and facility resources they need to
do the job. It is a working document that is formulated by staff with leadership from senior management and the
director…”217
Di seguito, si riporta una schematizzazione del processo che porta alla redazione di un piano
strategico nelle istituzioni culturali. Si tratta, naturalmente di un modello che opportunamente
adattato può trovare numerose e diverse applicazioni nella realtà.
215
Cfr. Dexter Lord G., Markert K., "Manual of strategic planning for museums", Lanham, AltaMira, 2007.
Cfr. Dexter Lord G., Markert K., op. cit., pp. 2-3.
217
Dexter Lord G., Markert K., op. cit., p. 91.
216
Fig. 3 Schema del processo di pianificazione strategica in un’istituzione culturale
Fonte: Dexter Lord G., Markert K., "Manual of strategic planning for museums", Lanham, AltaMira, 2007
Lo schema individua fasi, persone e documenti coinvolti nella redazione del piano.
Il processo che procede “from problems to strategies” prevede due fasi, in qualche modo speculari
tra loro. La prima fase è di analisi e mira all’individuazione delle principali caratteristiche
dell’ambiente sia esterno che interno all’azienda, dei principali problemi emergenti dall’analisi
ambientale e dei principali parametri di confronto. Compiendo un movimento inverso a quello di
analisi, ossia con un orientamento dall’esterno verso l’interno dell’azienda e da una base più larga a
una sempre più stretta fino ad arrivare al “comitato direttivo”, il processo di formulazione delle
strategie individua linee strategiche generali, finalità e obiettivi che informano i piani d’azione dello
staff.
Le persone che conducono le fasi del piano sono diverse. L’analisi è infatti affidata a gruppi di
consulenti, la delineazione delle linee strategiche generali è affidata a un comitato direttivo
rappresentativo sia della direzione che dello staff, mentre la dimensione operativa è portata avanti
dallo staff. La direzione ha naturalmente un ruolo di leadership e di coordinamento; il comitato
direttivo ha un ruolo di controllo della “regolarità del processo”; i consulenti hanno sostanzialmente
il ruolo di “facilitatori”; lo staff ha, come già detto, un ruolo operativo.
E’ evidente il coinvolgimento di tutti i livelli che compongono la struttura organizzativa
dell’istituzione, e ciò può contribuire a far capire che, anche nelle istituzioni culturali, il piano
strategico riveste un ruolo fondamentale per la costruzione del consenso sia presso gli stakeholders
che presso il personale addetto.
Lo schema mostra anche i diversi strumenti/documenti che è necessario usare per arrivare a redigere
un piano completo ed efficace: report, discussion paper, worskhop, piani di lavoro stanno ad
indicare come obiettivi diversi siano condivisi tramite strumenti diversi.
Il punto cruciale dell’intero processo è rappresentato dal momento chiamato retreat, una giornata o
più in cui la direzione, il comitato direttivo, lo staff e chiunque altro “abbia voce in capitolo” nella
vita del museo fissano e approvano in maniera definitiva il piano strategico che delinea gli obiettivi
strategici principali. A questo, seguiranno i piani operativi curati dai vari membri dello staff con
ruoli di responsabilità (quelli che nello schema sono chiamati department plans).
I dati economico-finanziari, che tanta importanza hanno nel business plan aziendale, fanno parte in
questo caso del piano operativo a cui abbiamo appena accennato, e vanno a comporre il budget,
ossia il programma d’azione connesso ai costi economici e finanziari. Essendo delineato
successivamente all’approvazione degli obiettivi strategici generali è fondamentale che sia coerente
con questi, altrimenti vi sarà uno scostamento tra quello che l’organizzazione ha intenzione di fare e
quello che realmente fa.
Esempi di piani strategici economico-finanziari nelle istituzioni culturali
Premessa
I piani strategici economico-finanziari che è stato possibile reperire, non allegati per questioni di
spazio, sono tutti disponibili sulla rete tranne quello relativo alla Fondazione IDIS di Napoli. E’
stato internet, infatti, a costituire la principale fonte di riferimento: solo in un caso su quindici
tentativi il contatto “personale” ha avuto successo.
Il piano strategico del National Museum of Science and Industry (Londra)
lI National Museum of Science and History (NMSI) comprende tre musei: lo Science Museum e il
National Media Museum ubicati a Londra, e il National Railway Museum ubicato invece a Shildon,
nei pressi di York.
Il piano strategico stilato riguarda il biennio 2009-2010 e prende in considerazione tutte le strutture
sopra nominate. Per ognuno di questi sono infatti individuati i principali obiettivi strategici da
raggiungere, incanalati nelle linee guida riguardanti più in generale l’intero gruppo di istituti che
concretizzano una vision quanto mai chiara ed ambiziosa: the most admired museum.
L’elemento – guida della valorizzazione, in questo caso, è dato dalla centralità riservata alle
persone, intese sia come staff sia come visitatori. La gestione delle risorse umane si può riassumere
nel motto “recruit the right people”, nello sviluppo di abilità e talenti e nella costante ricerca della
qualità. Il riferimento è a leaders, managers e supervisori, mentre le capacità a cui si punta sono
quella di lavorare in gruppo e le capacità creative.
Per quanto riguarda invece i visitatori, è sottolineata la necessità che il museo diventi “completely
customer-focused”. La ragione di questa scelta è dovuta alla situazione esterna (definita di economic
downturn), che comporta un aumento della concorrenza sia per quanto riguarda i finanziamenti sia
per quanto riguarda l’afflusso di visitatori. Il riferimento ai principi del marketing è chiaro ed
esplicito: “Marketing must be at the genesis of our creative ideas”
In sintesi, si può affermare che la NMSI, nella propria ricerca del successo, stia focalizzandosi su
quelli che Normann enuncia come aspetti principali delle migliori aziende di servizi che abbiamo
già citato nel primo paragafo: “l’orientamento alla qualità e all’eccellenza; l’orientamento al cliente;
l’investimento nelle persone e l’orientamento ad una tecnologia sociale elevata”218
Il piano strategico della Fondazione IDIS Città della Scienza (Napoli)
Un approccio simile a quello delineato per il NMSI si può ritrovare nel piano strategico della
Fondazione IDIS, di natura privata, che a Napoli gestisce il Science Centre chiamato “Città della
Scienza”. Anche in questo caso si sono progettati interventi per la valorizzazione delle risorse
umane attraverso un cambiamento del modello organizzativo.
218
94.
Normann R., “Service management”, John Wiley and Sons, Chichester, 1984, p. 216 citato in Bagdadli S., op. cit., p.
Il cambiamento organizzativo, esplicitato nella stessa missione del museo, era necessario: il piano a
cui si fa riferimento infatti, che copre il periodo 2008-2010, segue una fase in cui Città della
Scienza, per due anni e mezzo, era stata gestita da un ente diverso dalla fondazione (una società
mista pubblico-privata). Pertanto l'obiettivo strategico principale era la ripresa della gestione delle
attività da parte della nuova gestione.
Si punta innanzi tutto a ottimizzare l’impiego delle risorse umane, ridefinendo modalità e criteri
della gestione organizzativa e mappando le competenze professionali interne. L’altro grande intento
del cambiamento descritto è quello di rivedere il sistema di valutazione e incentivazione,
introducendo elementi valutativi basati sulla “gestione per obiettivi” e “raggiungimento dei
risultati” ed affiancando al sistema di monitoraggio, legato agli aspetti del controllo economicogestionale, l’uso di metodologie omogenee per la valutazione dei risultati qualitativi delle attività
svolte. La finalità è il recupero dell’efficienza e la valorizzazione delle risorse umane attraverso
politiche di incentivazione non solo di tipo monetario, variabili e legate al superamento degli
obiettivi (premi di produzione).
Essendo Città della Scienza un centro fortemente dotato dal punto di vista degli immobili e delle
attrezzature, una seconda modalità di valorizzazione riguarda il miglioramento di strutture;
ovviamente sono previste anche azioni di marketing diretto, promozione e pubblicità istituzionale.
Infine, viene sempre ricercato l'equilibrio tra la qualità scientifica delle attività e la loro sosteniblità
economica; di più, si prevede che venga da tali attività un contributo al raggiungimento del budget
previsionale approvato alla fine di ogni anno solare per l'anno a venire e la loro. In tal modo ognuna
delle molteplici attività valorizza la fondazione sia sul piano finanziario che culturale.
Non è stato purtroppo possibile avere un’idea complessiva della strutturazione e dell’allocazione
delle risorse; è stato però possibile capire quali sono la struttura dei costi (produzione, personale,
struttura) e le principali fonti di finanziamento della fondazione oltre ai ricavi delle attività e dei
servi commerciali. Le voci sono così definite: contributo pubblico, Legge 6/2000, Provincia di
Napoli, Comune di Napoli.
Il piano strategico del Victoria and Albert Museum (Londra)
Il celeberrimo Victoria and Albert Museum di Londra, stilando il proprio piano strategico per il
biennio 2008-2009, compreso in quello più generale del quinquennio 2007-2012, ha adottato un
approccio diverso da quelli visti finora. La valorizzazione viene in questo caso raggiunta soprattutto
attraverso il miglioramento dell’accessibilità: infatti, uno degli obiettivi strategici è “to provide
optimum access to the collections and services for diverce audiences, now and in the future.”
Migliorare l’accessibilità significa, innanzi tutto, migliorare l’accessibilità degli edifici. E’
l’obiettivo che si cerca di raggiungere tramite la costruzione del nuovo edificio della sede di South
Kensington. Ma significa anche riconoscere l’importanza delle nuove tecnologie e sviluppare
strategie per utilizzarle nella maniera migliore: proprio per questo “a new senior group was formed
early in 2008 […] a plan for systematic digitisation of the collections will be among the priorities
for this group. […] Another is the integration of the disparate systems currently in use […] It also
has a role in increasing efficency.” Come si vede l’uso delle nuove tecnologie riguarda tutte le aree:
l’utenza remota, i visitatori del museo e lo staff del museo stesso.
Il V&A può contare su finanziamenti governativi (Grant in Aid – GIA) che coprono i costi del
personale e di manutenzione ordinaria. Le mostre temporanee, così come la costruzione del nuovo
edificio a cui si è fatto riferimento e molta dell’attività di ricerca sono finanziate da fondi esterni: In
particolare si tratta di proventi derivanti da attività commerciali del museo, donazioni, corporale
membership, entrate derivanti dalle esposizioni temporanee e da mostre itineranti, entrate derivanti
da corsi, conferenze ed eventi. In particolare, la costruzione dell’edificio di South Kensington fa
parte del cosiddetto FuturePlan “the major vehicle for delivering the Museum’s vision […] have
been mainly fundend from non-GIA sources such as private donations, grants, and the Heritage
Lottery Fund”. Infatti, su un budget totale di 11.300.000 sterline, solo 1.366.000 vengono dai fondi
governativi.
Il piano strategico per la valorizzazione dei beni culturali dell’area Nolana
E’ questo un caso particolare, scelto innanzi tutto perché la valorizzazione è l’obiettivo esplicitato
fin dal titolo, in secondo luogo perché le modalità attraverso cui si intende raggiungere questo
obiettivo rispecchiano le peculiarità della situazione italiana.
Si tratta di un’iniziativa portata avanti da alcuni Comuni della regione Campania, compresi nel
territorio limitrofo al comune di Nola, grazie a un finanziamento regionale. L’obiettivo è quello di
attivare strategie sinergiche per realizzare interventi di restauro e rifunzionalizzazione dei beni
storico artistici dell’area e un “circuito di visita, […] attività di comunicazione, marketing ed eventi
che si realizzeranno per fasi successive.”
La prima fase di questo progetto è iniziata nel 2000, grazie a un investimento regionale di più di
12.000.000 di euro, che ha permesso di portare avanti una prima parte degli interventi di restauro.
Questi continueranno nel quinquennio 2007-2013, fase in cui saranno attivate anche le attività
comuni, definite attraverso il coinvolgimento delle istituzioni e delle comunità coinvolte, la
creazione di un calendario unico di eventi, la creazione di un circuito unico composto da vari
itinerari e l’integrazione con adeguati servizi di supporto (trasporto, accoglienza ricettività).
Perché il piano sia condotto con efficacia, è emersa l’esigenza di dare una rappresentatività stabile
ai territori coinvolti: è emerso, insomma, il problema della governance di questo progetto. Per
concretizzare questa esigenza si è proposta la sperimentazione di un Sistema Turistico Locale, in
attesa dell’approvazione della nuova legge regionale sul turismo a valle della quale la
sperimentazione sfocerà nella sua compiuta realizzazione.
In questo caso, quindi, valorizzare vuol dire mettere in rete piccole realtà diffuse sul territorio al
fine di rafforzarne la conoscenza e il valore identitario; una soluzione efficace nella realtà italiana,
caratterizzata da quello che si può chiamare museo diffuso.
Alcune considerazioni conclusive
I casi di studio presi in esame mettono in evidenza, malgrado la sommarietà dell’analisi, le diverse
vie intraprese per giungere alla valorizzazione.
Solo in uno fra i piani esaminati, tuttavia, questa è l’elemento centrale dichiarato del progetto; forse
non è un caso che si tratti di un intero territorio che presenta le caratteristiche tutte italiane del
cosiddetto “museo diffuso” e che necessita di attività forti di messa in rete per prendere corpo.
Appare, dunque, come un tentativo iniziale in un contesto in cui le potenzialità sono rilevanti ma le
realizzazioni fortemente insoddisfacenti. La valorizzazione è considerata quindi volano
dell’economia locale per creare, tramite l’attivazione di strategie sinergiche, qualcosa che ancora
non c’è.
Negli altri casi, invece, la valorizzazione è agganciata a istituzioni già forti e riconosciute: non si
configura come obiettivo specifico da raggiungere ma come tensione continua verso la
concretizzazione della propria vision e come denominatore comune di tutti gli obiettivi dichiarati. In
questi casi sembra di poter dire che la valorizzazione è il fine ultimo della gestione.
In queste istituzioni i documenti prodotti rispecchiano le caratteristiche descritte nella letteratura
economico-aziendale: dal punto di vista formale è riconoscibile pur con le ovvie differenze il
modello del business plan; dal punto di vista sostanziale si ha l’impressione di avere a che fare con
istituzioni che hanno una forte consapevolezza della propria identità e un chiaro orientamento
strategico di fondo.
Dunque il percorso di aziendalizzazione a cui ci siamo riferiti sembra qui avviato e la natura di
azienda di servizi senz’altro acquisita.
Reti e sistemi mussali: analisi ed applicazione di tale concetto
nella realtà italiana (Laura Ravalli)
Introduzione
La numerosità delle istituzioni museali presenti in Italia, la loro diversa dimensione e l’elevata
densità in un arco territoriale ridotto, ci differenzia dalle altre nazioni, e richiede modalità di
organizzazione e gestione che possano tenere conto di queste caratteristiche. Negli ultimi dieci
anni la politica culturale nei confronti dei musei ha sviluppato l’idea che la riunione di istituzioni
museali in reti di collaborazione o in sistemi organizzativi sia funzionale all’efficienza delle singole
istituzioni, e produca vantaggi economici, potendo condurre a risparmi di gestione.
Il lavoro che verrà di seguito sviluppato cercherà di descrivere il sistema di relazioni di reti e
sistemi museali, analizzando la loro applicazione nel contesto Italiano. Si partirà dalle definizioni di
“sistema museale” e di “rete” stessa, vittime di una confusione terminologica e concettuale.
Verranno indagate le diverse tipologie di reti, tematiche o territoriali, insieme agli aspetti
organizzativi e gestionali delle stesse; si cercherà di individuare quali sono i fattori determinanti
che spingono alla loro costituzione, assieme ai vantaggi con esse conseguibili. Seguirà un
excursus sulla normativa di riferimento, che metterà in luce l’importanza delle varie legislazioni
regionali riguardo ai sistemi museali, e di conseguenza, il ruolo sempre maggiore degli enti locali
nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale, che, negli ultimi dieci anni, hanno fatto della
messa in sistema in ambito culturale uno degli obiettivi primari.
Parte centrale del lavoro sarà costituita dall’analisi e dall’applicazione dei concetti di rete e
sistema nella realtà italiana. Verranno analizzati alcuni esempi locali, quali: il sistema museale
provinciale di Ravenna, Bologna dei Musei, il sistema dei musei dell’Umbria e il sistema senese.
I. Le “reti” e i “sistemi museali”, terminologia e definizioni
Nel cercare di tracciare un quadro riassuntivo riguardo a queste istituzioni, la prima difficoltà che
si incontra è di genere semantico. Le definizioni di “rete” e “sistema” museale tendono a
sovrapporsi o ad essere usate in maniera indifferenziata: “… non è stato chiarito se esista una
differenza fra i due, e non sono stati definiti i limiti entro i quali un raggruppamento di musei può
essere definito Rete o Sistema, cosicché alcuni economisti usano i due termini come sinonimi”219.
Attualmente vi sono numerosi raggruppamenti istituzionalizzati che possono essere considerati reti
o sistemi, sia che i musei appartengano a enti proprietari diversi, sia che essi facciano capo ad una
stessa amministrazione. Si parla di reti e sistemi anche per alcuni raggruppamenti temporanei o
permanenti la cui costruzione è finalizzata al raggiungimento di un particolare obiettivo, come è il
caso del progetto Bologna Musei. L’indeterminatezza dei due concetti e la varietà di tipologie
hanno indotto a tentare una definizione di queste organizzazioni e a determinarne i limiti.
Riferendosi soprattutto alle imprese, Powell e Smith-Doerr (1994) hanno dato una denominazione
di rete che può essere applicata anche ai musei: “un intreccio di relazioni non competitive che
connette unità autonome in assenza di controllo e direzione unitaria”220. Viene sottolineata
l’autonomia delle diverse entità, il che presuppone una parità di diritti e doveri, e l’assenza di
controllo di una direzione unitaria. Molte tra quelle che vengono considerate reti, consistono invece
in sistemi verticistici che hanno all’apice il promotore della rete stessa, nella maggior parte dei casi
un ente pubblico (Provincia, Comune, Regione) o una delle entità della rete eletta a centro del
219
220
G. Pinna, 2004, articolo pag. 26
W. W .Powell e L. Smith-Doerr, 1994
sistema. In questi casi sia le regole di partecipazione alla rete, sia quelle di comportamento dei
singoli membri sono decise a priori, senza un reale coinvolgimento dei soggetti chiamati a
partecipare alla rete stessa. Un’ organizzazione verticistica delle collaborazioni, secondo Pinna,
non è definibile come rete museale, ma rappresenta piuttosto un sistema di musei221. Un’altra
definizione di rete è contenuta in Baroncelli e Boari: “organizzazioni basate su relazioni ripetute tra
singoli musei che hanno per progetto la gestione comune di risorse tangibili finalizzate a operazioni
di sviluppo culturale e patrimoniale o di tipo amministrativo”222
Attingendo nuovamente dall’economia, si può ricordare che la classificazione delle reti di imprese
proposta da alcuni economisti223, sulla base del meccanismo di coordinamento, prevede tre tipi
fondamentali: la rete burocratica, la rete proprietaria e la rete sociale. Le reti burocratiche hanno
modalità di coordinamento fra imprese che non toccano gli elementi proprietari, si basano su
contatti formali e prevedono una struttura centrale. Le reti proprietarie prevedono un collegamento
fra imprese garantito dal possesso di azioni. Le reti sociali si basano sui meccanismi di relazioni
interpersonali e sociali preesistenti e sono caratterizzate da reciprocità, da condivisione di
informazioni e da relazioni di fiducia. Queste ultime più si avvicinano all’idea di rete museale,
mentre le prime due rientrano piuttosto nel campo dei sistemi; si tratta infatti di strutture
verticistiche, coordinate attraverso normative burocratiche stabilite dal vertice. L’obiettivo è quello
di ottimizzare le risorse in un’ottica economica, di conseguire una maggiore efficienza.
Anche S. Bagdadli cita la definizione data da Powell e Smith-Doerr di “trama di relazioni non
competitive che connette entità autonome in assenza di controllo e direzione unitaria” per le reti,
riferendosi ai “sistemi” come istituzioni che comprendono musei appartenenti ad un unico
proprietario, e “da un punto di vista organizzativo, si configurano piuttosto come divisioni di una
stessa azienda”224.
Un’ulteriore distinzione viene operata tra le reti di musei, o reti culturali integrate omogenee, e i
distretti culturali, definiti reti culturali integrate eterogenee225. Guido Venturini parla di sistema
museale con riferimento ad un determinato ambito geografico, o ad uno specifico settore
tipologico, al fine di evidenziare l’esigenza di realizzare un coordinamento fra i musei, almeno per
quanto concerne l’erogazione di servizi. Secondo Venturini, la gestione in comune dei servizi e
delle attività consente di ottimizzare le risorse di ciascun elemento dell’insieme, e può realizzare
sinergie derivanti dal fatto che le relazioni non sono somma quanto potenziamento delle parti”226.
Ancora, parlando di reti e sistemi durante il convegno internazionale: “L’Azienda Museo: dalla
conservazione di valore alla creazione di valori”, svoltosi nei giorni 6 e 7 novembre 2003 a Firenze,
Venturini ha chiarito che: “Il distretto culturale identifica un sistema di offerta territoriale
caratterizzato da un’alta densità di risorse o attività culturali di pregio e da un’integrazione di servizi
culturali e turistici, ove insistono esperienze di valorizzazione che hanno anche per obiettivo lo
sviluppo delle filiere produttive collegate dell’economia locale. La natura delle risorse in gioco e la
loro valenza sociale facilitano la convergenza di interessi da parte di soggetti pubblici e privati:
questo si traduce di frequente nell’affermazione di forme organizzative e gestionali tipiche del
distretto, quali le reti e i sistemi, modelli che ben si integrano con quelli di governance turistica,
come ad esempio il Destination Management”227
221
secondo la definizione di “sistema” di Von Bertalanffy, (1968)
Baroncelli A., Boari C., p. 408.
223
Grandori e Soda, 1995
224
S. Bagdadli, 2001, pp. 2-3
225
P. Seddio, Dalle reti interistituzionali alla costituzione di un sistema di governance pubblica territoriale, in Creare e
valorizzare i distretti museali, op. cit
226
G. Venturini, La gestione del distretto museale dal punto di vista turistico, in Creare e valorizzare i distretti museali
a
cura di B. Sibilio Parri. Francoangeli, 2004
227
articolo tratto dal sito: http://www.dirittodellearti.it/sitovar/azienda.html
222
II. Tipologie di reti e sistemi. Vantaggi e svantaggi
Per sistema si intende quindi un modello di coordinamento strutturato tale da formare un
complesso organico e, nel caso dei musei, di dar vita un livello relazionale forte tra le singole unità
che spesso interessa anche l’ambito gestionale, con investimenti e dotazione di strutture ad hoc
gestionali e di servizio, non sostenibili dal museo singolo. La rete invece costruisce la relazione tra
i singoli attraverso la condivisione di attività e progetti, ma con un margine di autonomia più ampio
senza prevedere, di norma, un accentramento della gestione, né la costruzione di strutture
organizzative e gestionali addizionali rispetto alla strutturazione dei singoli musei.
Indicazioni sul sistema di relazioni che caratterizza una rete museale possono essere tratte
dall’esame delle varie tipologie di rete individuate in letteratura. Una prima distinzione può essere
quella tra reti informali e reti formali: nelle prime il sistema di relazioni tra i musei coinvolti è
costituito da collaborazioni e accordi spontanei e personali, senza che vi siano procedure
strutturate, predeterminate. In questo tipo di reti, assumono un’importanza centrale le relazioni e i
contatti interpersonali tra gli operatori, proprio perché non si è in presenza di accordi o intese
ufficiali che forniscano una cornice istituzionale al tipo di relazioni possibili tra i musei. Le reti
possono poi essere volontarie o involontarie, a seconda del fatto che nascano per impulso dei
musei stessi o che siano l’effetto di una spinta esterna, proveniente di solito da istituzioni che
incentivano la creazione di reti o sistemi con l’obiettivo di valorizzare un territorio e al contempo
gestire al meglio i finanziamenti. Spesso, in Italia, il ruolo di promotore è svolto dalle province, che
a loro volta agiscono sulla base della spinta proveniente dalla legislazione regionale, come è
avvenuto ad esempio per i sistemi museali delle province di Modena, Ravenna, Rimini, Siena.
Le reti possono essere distinte in tematiche (dette anche omogenee) o territoriali. Le reti
tematiche sono caratterizzate da un’organizzazione di forma prevalentemente orizzontale, con
poca o nessuna gerarchia. La funzione svolta dagli appartenenti è ciò che unifica e tiene insieme il
sistema. Non creano in genere progetti comuni, anche se possono accrescere le capacità dei
singoli membri. Essendo i limiti tematici e non territoriali, potrebbero, in teoria, estendersi
all’infinito. Le reti territoriali si distinguono in cittadine, regionali, nazionali, internazionali, e possono
comprendere, in prima istanza, reti formatesi tramite legami informali. Un passo successivo è
rappresentato dalla creazione di gruppi di lavoro comuni; si passa poi alla creazione di un sistema
che preveda un soggetto responsabile, con compiti di coordinamento di un insieme di attività
comuni. Questo soggetto può essere esterno, come un’amministrazione locale, o uno degli
associati, cui viene riconosciuto il possesso di specifiche caratteristiche o risorse. Nel primo caso,
le attività comuni saranno tipicamente quelle di comunicazione o di tipo amministrativo, mentre nel
secondo caso si tratterà di aspetti più vicini all’attività tecnica dei soggetti associati, come la
gestione dei servizi e attività museali fruibili anche dalle altre unità del sistema.
In tutti i casi, le reti si caratterizzano per la bassa gerarchia e divisione funzionale tra membri, e
come conseguenza, anche per una relativamente maggiore capacità di evoluzione autonoma, in
genere difficilmente prevedibile al momento della loro creazione.
Al lato opposto si situano i sistemi ad integrazione verticale, nati da un progetto comune,
normalmente proveniente dall’esterno, che costituisce il collante dei membri. Può esistere una più
o meno accentuata complementarietà tra le parti; si possono svolgere funzioni diverse, in una
logica di squadra. I confini sono in questo caso molto netti, e l’ingresso di nuovi membri è regolato
con precisione, proprio per la grande capacità decisionale assunta dal soggetto promotore.
Tuttavia, come sottolinea Maggi228, questi confini sono decisi più in funzione degli aspetti formali e
degli obiettivi del promotore, che sulla base di una reale coerenza territoriale. I sistemi possono
anche presentare caratteristiche di alta omogeneità degli aderenti, e scarsa connotazione
territoriale, come nel caso di un gruppo di musei in cui un soggetto ricopre, in virtù delle maggiori
risorse, un ruolo di coordinamento su musei dello stesso tipo, indipendentemente dalla loro
collocazione geografica. I loro obiettivi sono facilmente più definibili al momento della
progettazione, e si presentano quindi come strutture più rigide di fronte a cambiamenti della
228
Maggi, Dondona, 2006
situazione complessiva determinati dall’ingresso di nuovi aderenti, come pure dall’evoluzione
specifica di ciascun membro.
Lo spettro dei possibili modelli di articolazione dei musei non è definito solo dalle relazioni che
legano tra loro le singole istituzioni culturali. Nei progetti territoriali viene preso in considerazione
un altro aspetto, per la costruzione di sistemi integrati locali, ovvero le relazioni con altre forme
organizzative presenti e la collocazione che ogni aggregazione assume in un contesto reticolare
più vasto. Questo tipo di organizzazione territoriale viene definita “distretto culturale”, con un
termine che chiama in causa concetti quali la cooperazione tra soggetti diversi, operata secondo
una logica di complementarietà funzionale: si coopera svolgendo ruoli diversi, con una finalità
unica o prevalente. Il distretto in senso marshalliano è un elemento altamente specializzato, che fa
parte di un sistema più grande, e la divisione dei compiti risponde alla funzionalità che deve
assolvere nei confronti di questo.229 La letteratura più recente immagina invece un sistema
autocentrato, che si confronta eventualmente con altri sistemi complementari, e nel quale la
divisione dei compiti è funzionale ad una logica di sviluppo endogeno. Il distretto museale presenta
le caratteristiche di concentrazione spaziale delle istituzioni, di legame con la storia sociale e
culturale del territorio in cui è localizzato, di l’unitarietà del contenuto delle collezioni, e si
caratterizza per l’esistenza di gerarchie organizzative che esprimono una politica unitaria.
Tab. 1: Confronto tra distretto, rete e sistema
Forma di
organizzazione
Concentrazione
spaziale dei
musei
Unitarietà di
contenuto
Ambito di
eccellenza
Gerarchie
organizzative
Distretto
museale
Si
Si
Internazionale
Deboli
Rete
museale
No
No
Nazionale
No
Sistema
museale
Si
No
Nazionale
Si
Sono forme che si avvicinano alla tipologia reticolare da un lato, per l’assenza di forte
gerarchizzazione, e dall’altro sono decisamente territoriali, vista l’importanza dell’appartenenza ad
un determinato ambito geografico e culturale, con la conseguente integrazione di molte diverse
risorse locali. Alcuni sistemi territoriali con struttura reticolare complessa, quali, per esempio, alcuni
ecomusei di grande estensione, presentano apparenti analogie con i distretti culturali. La
differenza risiede in parte in un elemento di scala, e in parte nel valore aggiuntivo che viene
conferito al distretto dalla centralità istituzionale che il patrimonio assume, come asse di riferimento
dei progetti di sviluppo locale. Per il distretto, a differenza del sistema, contano di più le relazioni
verticali con il territorio, piuttosto che quelle orizzontali tra i musei.
Reti e sistemi si configurano come collaborazioni strategiche, finalizzate al miglioramento del
grado di raggiungimento degli obiettivi delle istituzioni partecipanti. Teoricamente, possono essere
individuati almeno tre vantaggi derivanti dalla costruzione di legami tra i vari musei. In primo luogo,
il perseguimento di una maggiore efficienza economica nella produzione dei servizi. Con la messa
a sistema si consente di ridurre l’incidenza dei costi fissi totali, distribuendoli su un numero
maggiore di utilizzatori e di sfruttare meglio le economie di scala, soprattutto nel caso di musei di
229
Sacco, Ferilli, 2006
piccole dimensioni. Diversi studiosi230 sottolineano come, in questo modo, possa essere aumentata
la gamma dei servizi offerti senza incorrere in un aumento proporzionale dei costi, e sviluppare
attività che le singole istituzioni, da sole, non avrebbero potuto intraprendere. In secondo luogo,
sistemi e reti presentano vantaggi di contenuto più strategico, come il coordinamento nella
formazione del personale, l’ampliamento della visibilità dell’offerta, con ritorno di immagine e
miglioramento della visibilità del museo; una più efficace programmazione degli interventi, migliore
scambio di informazioni, il confronto tra le singole parti. Anche la legittimazione nei confronti degli
stakeholder cresce, con la possibilità di svolgere al meglio l’attività di fund raising e quella di
riuscire ad accedere, attraverso la cooperazione, a forme di finanziamento altrimenti non
perseguibili. Infine, la creazione di una rete può portare valore aggiunto all’intero sistema
territoriale. Le istituzioni culturali possono essere messe in relazione con altri attori del settore
turistico, per incrementare la fruizione del luogo.
Per ottenere risultati apprezzabili, bisogna innanzitutto considerare, oltre ai vantaggi, anche i
relativi costi di coordinamento e di funzionamento, e in seconda istanza le implicazioni negative
che queste istituzioni possono comportare.
Chirieleison individua sei diverse modalità di coordinamento che possono essere utilizzate dai
musei: si parte dai legami informali, costituiti da contatti interpersonali; seguono i gruppi di lavoro e
comitati, i cui membri mantengono l’appartenenza all’organizzazione d’origine. Il terzo modello è
rappresentato da sistemi interorganizzativi limitati ad una determinata area o attività, il quarto da
unità organizzative esterne rispetto ai singoli musei, dotate di budget e struttura propri. Gli ultimi
due modelli sono costituiti da organizzazioni focali, in cui un museo si fa coordinatore del sistema,
e dalla costruzione di una vera e propria organizzazione centralizzata, dove, oltre al compito del
coordinamento, il museo al vertice effettua anche una serie di attività che possono essere utilizzate
dagli altri membri della rete stessa.
La scelta tra le diverse strutture organizzative è fondamentale ai fini strategici, dal momento che
sussiste un alto rischio di generare strutture burocratizzate, poco agili e funzionali, che producano
nuovi problemi e conflitti decisionali. Le difficoltà possono dipendere dalla eterogeneità delle
istituzioni, e dalla resistenza nei confronti di un accentramento troppo marcato, che possa sottrarre
autonomia alle parti. In questo senso, reti e sistemi si presentano come tipologie dal
comportamento differente.
Un’importante caratteristica che distingue fra loro reti e sistemi è legata alla “mobilità delle loro
frontiere”231. Essendo concepite come strutture in grado di evolvere, le reti si presentano come
modelli difficilmente prevedibili nelle loro trasformazioni future, con conseguenze importanti sulla
maggiore o minore difficoltà di misurazione dei risultati. I sistemi, normalmente concepiti per
obiettivi predefiniti, sono teoricamente più facili da valutare rispetto alle reti, per natura meno
prevedibili nel loro sviluppo.
Le reti omogenee sembrano più facili da gestire e sembrano avere più successo di quelle
eterogenee232. Una spiegazione di ciò è che gli scopi cooperativi sono più facilmente raggiungibili
tra istituzioni omogenee. Se invece l’obiettivo è quello di attirare maggiori finanziamenti pubblici, o
se si vogliono ridurre i costi di gestione, le reti disomogenee sono più efficienti. Questo aspetto
dev’essere valutato in funzione dell’obiettivo che si vuole perseguire con la creazione di una rete.
La distanza fisica tra i membri di una rete può costituire una difficoltà, soprattutto riguardo alla
comunicazione tra essi: le reti distribuite su un territorio ristretto paiono più efficaci di quelle
disperse. Per l’Italia, l’ambito provinciale pare costituire la dimensione naturale per la rete. Le reti
che consentono una migliore razionalizzazione delle risorse sembrano essere quelle
maggiormente centralizzate e integrate, anche se possono sorgere delle resistenze da parte dei
responsabili delle singole istituzioni, costretti a rinunciare in parte alla loro autonomia.
In sostanza, se alla maggiore centralizzazione si accompagna la perdita di autonomia delle scelte
artistiche da parte delle singole istituzioni, a una maggiore efficienza e razionalizzazione rischierà
di unirsi un tasso di conflitto più elevato, che potrebbe portare ad un blocco decisionale.
230
Bagdadli, 2001 e Chirieleison, 2002
Maggi, Dondona, op. cit
232
Bagdadli, 2001
231
III. Normativa di riferimento. Assetti istituzionali delle forme a rete
Il processo per la valorizzazione e la gestione del patrimonio museale italiano da parte degli enti
locali è stata sollecitato prima con la legge 142 del 1990 sull’Ordinamento delle autonomie locali,
poi con la legge 4 del 1993 detta Legge Ronchey e infine con il D.Lgs. 112 del 1998, sul
Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, che ha
introdotto il principio di sussidiarietà e il concetto di standard minimi, in modo da mettere i musei in
condizione di garantire “un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, la loro sicurezza e la
prevenzione dei rischi”233. La normativa ha quindi sollecitato Regioni, Province e Comuni a cercare
le forme organizzative e gestionali più adatte alla valorizzazione dei beni culturali. Più
recentemente, il Testo Unico sugli Enti Locali D.Lgs. 267/2000, il D.Lgs. 490/1999 e soprattutto la
legge 42/2004 (Testo Unico dei Beni Culturali) hanno fissato la ripartizione delle mansioni relative
alla cultura tra lo Stato e gli Enti Locali in funzione di un sempre maggiore affidamento agli enti
locali delle stesse, fatta salva la generale attribuzione della tutela dei beni allo Stato.
Secondo il T.U.E.L., “il profilo dell’ente regione che ne emerge, soprattutto se si focalizza
l’attenzione sulle funzioni inerenti ai beni e ai servizi culturali, appare ancora di incerta
connotazione”234. Si è creata una contraddizione: da un lato, il Testo Unico degli Enti Locali
attribuisce alle regioni forti compiti di coordinamento e indirizzo programmatico, dall’altro, le
Regioni dispongono, di fatto, della sola leva finanziaria per la programmazione dei beni culturali,
visto che il potere di autorizzare interventi rimane prerogativa dello Stato; il rischio è quello di una
duplicazione di competenze e procedure tra Stato e regioni. Restano infine sfumati i contorni delle
aree di collaborazione. Alcune regioni hanno cercato di creare supporti alle autonomie locali per il
corretto esercizio di attività di gestione del patrimonio culturale; questo significa affrontare il tema
delle diversificate soluzioni organizzative potenzialmente adottabili per garantire al meglio i criteri
di efficienza, efficacia ed economicità.
Nel 2004, col Testo Unico dei Beni Culturali, si è cercato di aumentare la possibilità d’azione degli
Enti Locali. È stata individuata una distinzione di ruoli da cui sembra emergere la volontà di
disegnare Provincia e Comune come soggetti responsabili della gestione dei servizi, mentre la
Regione, in qualità di soggetto dotato di poteri legislativi, dovrebbe accentuare il suo ruolo di
governo, di regolatore della programmazione e di coordinamento delle attività degli enti locali.
Diverse regioni, come la Toscana, l’Emilia Romagna e l’Umbria, si sono mosse in questa
direzione.
L’art. 35 della Legge Finanziaria per il 2002, che determina i contenuti del nuovo art. 113 bis del
D. Lgs 267/2000, riforma l’impianto generale della disciplina dei servizi pubblici degli enti locali,
distinguendo tra i sevizi di rilevanza industriale e quelli che invece ne sono privi, e predisponendo
per ognuna delle due tipologie un diverso regime giuridico di riferimento. Nella legge mancano gli
elementi di qualifica volti ad individuare quali siano in concreto i “servizi culturali” a cui si fa
riferimento, e l’ente locale non ha da rispettare particolari vincoli definitori di tipo legislativo
nell’individuazione dei servizi culturali e del tempo libero, se non quello generico derivante dall’art.
112 del D.Lgs. 267/2000. I servizi culturali risultano così inquadrati tra i servizi privi di rilevanza
industriale e risultano sottratti a priori al regime di concorrenza per il mercato. Il Testo Unico è
stato aggiornato nel 2008; secondo l’art.113/bis, da un punto di vista tecnico, possono essere
ipotizzate diverse soluzioni che permettano la cooperazione, il coordinamento e la gestione di
servizi in forma associata tra più musei, anche quando dipendenti da enti locali diversi. Si
stabilisce che gli enti locali possano procedere all’affidamento diretto dei servizi culturali non solo
alle Istituzioni, ma anche ad aziende speciali, consortili, a società di capitali a partecipazione
locale, o ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate. Con la sottoscrizione di una
convenzione, il servizio erogato da un unico comune può essere usufruito anche da altri enti
233
D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Capo V Beni e attività culturali, Art. 150 Gestione. I contenuti del d.l. 112 sono stati
riassunti all’interno del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
234
Bagdadli, op. cit. pag. XIV
sottoscrittori; con il consorzio, invece, tutti gli enti sono coinvolti nell’erogazione del servizio,
mentre i poteri e le responsabilità sono in ragione delle quote di partecipazione. Dopo le modifiche
apportate alla L. 142/90 dalla 437/95, i consorzi possono esercitare anche funzioni amministrative
e quindi essere utilizzati al posto delle convenzioni per gestire delle organizzazioni museali.
In Italia, molte amministrazioni locali si stanno interrogando sull’opportunità di passare da una
gestione diretta delle singole istituzioni ad un altro assetto gestionale che supporti la cooperazione
tra musei: associazione, istituzione, fondazione, azienda speciale, impresa. In astratto, gli
strumenti utilizzabili sono molteplici. Gli istituti giuridici normalmente impiegati per le attività di
natura privatistica, quali le società di capitali o le aziende speciali, sono poco adatte, ma possono
costituire una modalità interessante se le attività comuni riguardano essenzialmente quelle di
gestione di servizi a pagamento, o nel caso si dia vita ad un’unica azienda. Altri strumenti,
generalmente utilizzati nelle attività senza scopo di lucro, quali l’istituzione, l’associazione e la
fondazione possono rappresentare validi modelli gestionali per i network culturali, ciascuno con
vantaggi e caratteristiche proprie. Ciò che non bisogna scordare è che l’eccessiva attenzione
all’ingegneria istituzionale diventa sterile quando non si è in presenza, innanzitutto, dalla capacità
di formulare un programma valido per il sistema che si intende creare; la mission, il ruolo culturale
ed educativo della rete museale, pensato secondo un criterio logico, deve quindi rimanere
prioritario.
IV. Analisi del concetto di reti e sistemi nella realtà italiana
Alcune ricerche235 hanno riscontrato che le reti di musei attive in Italia si sono finora caratterizzate
per: alta formalizzazione (reti burocratiche), bassa o media connettività, elevata centralizzazione,
elevata dimensione, origine del progetto negli amministratori locali. Si è potuto constatare che le
forme relativamente accentrate di organizzazione presentavano vantaggi di maggiore efficienza
gestionale e possibilità di razionalizzazione, anche se la riduzione di autonomia che implicano può
comportare, a sua volta, potenziali conflitti. Al contrario, legami informali o reti debolmente
accentrate presentano il vantaggio di superare le resistenze potenziali delle istituzioni che
perseguono una loro indipendenza.
Un altro elemento che emerge dalle indagini è che la valorizzazione di un territorio attraverso le
sue risorse diffuse, organizzate in modalità reticolari o di sistemi, può rivelarsi efficace solo in
presenza di progetti complessivi di rilancio del territorio stesso.
La regione Emilia Romagna ha promosso la creazione si sistemi museali a partire dagli anni ’90.
La L.R. n. 20 del 1990 “Norme in materia di musei di enti locali” faceva già riferimento alla
cooperazione tra musei di enti locali, statali e privati, e sottolineando il ruolo di coordinamento e
potenziamento della attività museali da parte delle province. I piani di intervento hanno di
conseguenza privilegiato richieste di finanziamento che davano attuazione a progetti di
competenza provinciali che prevedessero un alto grado si coordinamento. A partire da ciò sono
nati i primi sistemi provinciali: Rimini nel 1993, Ravenna nel 1995-6 e Modena, nel 1998. Con la
L.R. n. 18 del 2000 “Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali” la
Regione ha provveduto a ridisegnare il quadro di competenze istituzionali a livello regionale e
locale, definendo il ruolo dei diversi soggetti interessati, pubblici e privati, e i compiti dell’Istituto
regionale per i beni artistici, culturali e ambientali (IBACN). Viene ribadita una logica di sistema, di
valorizzazione, di integrazione tra saperi, competenze ed esperienze, di sinergia fra le risorse. La
regione dà rilievo alle modalità di esercizio della gestione dei beni, utilizzando strumenti quali: piani
provinciali, accordi di programma, convenzioni. Uno degli obiettivi della regione è quello di
incanalare in sistemi le varie istituzioni, per migliorarne servizi e prestazioni.
235
Sinatra, 2004
IV. 1. Il sistema della Provincia di Ravenna
L’idea di attivare un sistema museale nella provincia di Ravenna nacque intorno ai primi anni
Novanta in un’ ottica di promozione e valorizzazione dei beni culturali e sotto la spinta della
regione Emilia Romagna. Forte era infatti l’esigenza di fornire un supporto a tutti gli istituti che non
riuscivano ad ottenere risorse finanziarie, tecniche e umane non solo per la realizzazione di
progetti che richiedevano un livello di professionalità ampio, ma anche per lo svolgimento delle
normali attività museografiche. Con queste premesse nel corso del 1997, la provincia invitò gli enti
locali e i privati titolari di musei, ad aderire a un sistema che fosse aperto a tutti quei musei
regolarmente funzionanti e fruibili. La provincia si è fatta carico, in un triennio, di consolidare il
sistema e di individuare collaborazioni con l’Istituto per i beni artistici, culturali e ambientali della
regione, l’Università di Conservazione dei beni culturali di Ravenna, la Soprintendenza per i beni
ambientali e architettonici delle province di Ravenna, Ferrara, Forlì e Rimini. Collaborando alla
predisposizione delle istruttorie provinciali per la formazione dei piani d’intervento regionali, si è
posta come ente intermedio fra regione e comuni.
Il sistema si proponeva di promuovere: un servizio coordinato di informazione sulle attività
museali del territorio (calendari di eventi culturali, mostre e iniziative temporanee); una rete di
collaborazioni e di consulenze che permettessero una riqualificazione dell’offerta museale tale da
produrre cambiamenti nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale provinciale;
attività editoriali tese a produrre opuscoli, guide didattiche e una rivista periodica da diffondere
anche per via informatica. Sempre il sistema avrebbe dovuto proporre alla provincia programmi di
aggiornamento ed informazione per direttori ed operatori dei musei e costituire un punto di
riferimento per tutti coloro che si occupavano di valorizzazione del patrimonio museale e di
didattica nel territorio provinciale. L’intenzione della provincia era quella di delineare un sistema
che valorizzasse le singole istituzioni e creasse percorsi significativi per i visitatori, trasformando
realtà locali e di piccole dimensioni in un’organizzazione di livello più alto. Ciò significava creare
canali di comunicazione tra i musei, in un gioco di riferimenti e di tematiche comuni, capace di
fornire un surplus di significato e di valore alle singole realtà di cui si componeva la rete. La
provincia, in veste delle sue competenze formali, avrebbe voluto assumere un ruolo volto a
sviluppare e consolidare il compito di promozione e valorizzazione dei beni culturali, nell’ottica di
superamento delle dimensioni municipalistiche.
Il sistema museale opera dunque su diversi livelli di intervento che vanno dal coordinamento, alla
promozione e valorizzazione dei musei, alla schedatura e catalogazione dei reperti, alla
conservazione e alla didattica e formazione del personale. Per fare ciò si avvale della consulenza
del comitato scientifico, composto dai responsabili provinciali del progetto nonché dai direttori di
tutte le venti istituzioni culturali coinvolte (15 musei civici e 5 privati).
Una caratteristica di tutte le iniziative realizzate è stata quella di essere discusse e progettate
all’interno del comitato scientifico, che prende collettivamente decisioni comuni in base alle reali
necessità dei musei partecipanti. Ogni museo mantiene la propria autonomia per la gestione
complessiva delle attività di esposizione, conservazione e restauro; il contributo che dà al sistema
è quello di condividere capacità progettuali ed esperienze nella definizione delle linee guida, delle
iniziative e delle attività congiunte e nella realizzazione della rivista. Bisogna sottolineare, quindi,
che la rete non si occupa delle esigenze specifiche di un singolo museo, ma persegue un interesse
generale e collettivo. Lo scambio di informazioni e competenze, tuttavia, non avviene ancora
direttamente fra i musei, ma solo nell’ambito dei comitati e perciò con la mediazione della
Provincia. Le iniziative approvate dal sistema museale provinciale all’interno del comitato
scientifico vengono finanziate con i fondi degli enti proprietari, con fondi a carico della Provincia e
con i trasferimenti della Regione. Non essendo prevista una quota fissa di partecipazione dei
singoli musei, i comuni e gli enti collaborano sia versando una quota variabile di anno in anno a
secondo dei progetti, sia mettendo a disposizione spazi e attrezzature dei rispettivi musei e
soprattutto attraverso la partecipazione attiva dei propri collaboratori alla progettazione ed
elaborazione delle iniziative del sistema.
Uno dei principali risultati conseguiti dalla rete è stato la collaborazione fra comuni e provincia nei
riguardi dei progetti di catalogazione, schedatura, ricerca, promozione e valorizzazione del
territorio, formazione e didattica. Difatti i servizi di informazione e didattica sono stati ampliati, la
catalogazione delle opere di tutti gli istituti è in via di completamento e sono stati raggiunti gli
standard minimi in termini di dotazione e di strutture, presupposto per un progressivo
miglioramento della qualità dei servizi. Il numero di visitatori dei singoli musei sembra essere
aumentato. Sono invece emerse delle difficoltà riguardo al coordinamento di tante differenti realtà
museali, ognuna strettamente dipendente dalle politiche seguite dai comuni di appartenenza. A ciò
si aggiunge un altro grande ostacolo riscontrato: quasi tutti i comuni o gli enti proprietari
dimostrano una scarsa volontà di investire nel settore museale, col rischio che alcuni progetti
senza finanziamento.
IV. 2. Bologna dei musei
La rete museale bolognese nasce da un progetto particolarmente complesso sotto il profilo
istituzionale, perché tenta di centralizzare i servizi di comunicazione e marketing necessari al
sistema senza modificare la natura dei vari musei coinvolti. Siamo in presenza di una rete che lega
istituzioni indipendenti in un unico sistema di marketing e di relazioni con il pubblico. Il progetto
"Bologna dei Musei" è stato avviato alla fine del 1996 dall’Amministrazione comunale in accordo
con l’Università degli Studi di Bologna, con la Regione Emilia-Romagna e col Ministero per i Beni e
le Attività Culturali. La collocazione della città di Bologna è importante per il corretto funzionamento
della rete: Bologna, dal punto di vista culturale, rappresenta una caso di grande interesse in
quanto sede della più antica Università del mondo e tra le prime città in Italia in termini di spese in
cultura e tempo libero. Tali elementi fanno capire che in questa città erano presenti i presupposti
necessari per la creazione di un sistema museale capace di unificare un patrimonio ricco, ma
anche frammentato e mal organizzato.
Il sistema museale bolognese è composto da 38 musei di cui 12 musei civici, 1 museo statale, 4
musei ecclesiastici, 4 privati, 16 universitari e uno appartenente ad una Fondazione di diritto
pubblico. Il contenuto di questi musei è diviso nei due assi scientifico-tecnologico e culturaleartistico. Si tratta, quindi, di una realtà piuttosto diversificata e non solo per contenuto. Anche dal
punto di vista organizzativo si possono riscontrare notevoli divergenze: accanto a musei strutturati
e organizzati, aperti al pubblico regolarmente e dalle dimensioni medio grandi, troviamo anche
musei accessibili solo su prenotazione o aperti esclusivamente in occasione di mostre
temporanee.
L’obiettivo primario del sistema è stato quello di valorizzare tutti i musei della città nel loro insieme
realizzando una serie di sevizi comuni in grado di incrementare in maniera sostanziale la loro
attrattività presso il grande pubblico cittadino, ma anche nazionale e internazionale. Per questo
motivo è stato ideato un unico sistema di marketing e di relazione con il pubblico che permette di
agevolare il funzionamento dei singoli musei. Inoltre il sistema ha previsto la progettazione di un
marchio identificativo, “Bologna dei Musei”, capace di abbracciare allo stesso tempo tutte le
iniziative senza intaccare le diverse immagini delle singole istituzioni museali. E’ stata, infine,
avviata un’intensa campagna di comunicazione istituzionale, a fianco di quella più tradizionale
volta a promuovere i singoli musei, per lanciare sul mercato nazionale e internazionale il marchio
“Bologna dei Musei”, attraverso una serie di iniziative tra le quali un cd-rom, il sito internet, la
produzione del catalogo dell’intero sistema museale e guide dei singoli musei. Grande attenzione è
stata rivolta alle attività organizzative soprattutto nel campo della didattica, ad esempio attraverso
la creazione di aule dotate di tecnologia multimediale dove vengono predisposti percorsi di visita
specifici a seconda della scuola e del livello formativo raggiunto. È stata rivista anche la politica
tariffaria e la gestione, allo scopo di promuovere l’immagine del sistema nel suo complesso. Sono
state, per esempio, organizzate a livello di rete esposizioni temporanee sperimentali e innovative,
mirate a colpire la sensibilità del pubblico e a richiamare l’attenzione sul sistema. Infine è stata
definita una politica di prezzo necessaria per l’integrazione del sistema. L’offerta è, in questo caso,
triplice: si può scegliere tra un biglietto unico, rivolto principalmente ai cittadini di Bologna, un
biglietto cumulativo, per i turisti di passaggio e un biglietto integrato “In Bus ai Musei”, sempre per i
turisti e valido tre giorni.
Il sistema museale così costituito ha permesso di proporre un maggior numero di servizi, di offrirli
a costi minori, di attivare iniziative di qualità superiori, di scambiare informazioni, di accedere a
maggiori finanziamenti, di creare circuiti di visitatori tra istituzioni museali coinvolte, di migliorare
l’immagine di ogni ente partecipante e di effettuare attività di promozione e valorizzazione delle
collezioni, senza accrescere proporzionalmente i costi. Esiste, quindi, la possibilità, da parte dei
singoli musei inseriti nel sistema, di ottenere reciproci vantaggi e di raggiungere una maggiore
efficienza senza rinunciare troppo alla propria autonomia.
Parallelamente sono sorti problemi per il fatto che non tutte le organizzazioni della rete bolognese
condividono la stessa mission e non aderiscono completamente alla sua visione strategica.
Difficoltà che sembrano derivare principalmente dalla carenza di fiducia da parte degli operatori
appartenenti alle diverse istituzioni museali verso l’ente direttivo, visto a volte non come un ente di
servizio e di supporto, ma un organismo centralizzatore.
IV. 3. Il sistema dei musei senesi
In Toscana, sulla spinta della legislazione regionale, si verificarono due grandi momenti culturali:
quello legato alle biblioteche e quello legato ai musei, nato in seguito alla L.R. n. 89 del 1980 e che
prevedeva la costituzione di reti museali. Alla fine degli anni ’80, la provincia di Siena e la Regione
hanno iniziato a lavorare alla realizzazione del sistema, che ha preso il via grazie alla delibera del
30 novembre 1993.
Lo scopo principale del sistema museale senese andava ricercato nella valorizzazione dei beni
culturali e museali e, in particolare, nella progettazione di forme di coordinamento gestionale e
promozionale delle varie realtà esistenti nel territorio provinciale attraverso la ristrutturazione, il
riallestimento, la riorganizzazione dei musei stessi. La maggior parte delle istituzioni esistenti,
infatti, si trovavano in condizioni piuttosto precarie, mancando di qualsiasi forma di servizio.
L’intervento iniziale dell’amministrazione provinciale intese agire in questo senso cercando di
ridurre il ritardo di alcune strutture rispetto ad elementi fondamentali quali l’arredo architettonico, il
personale di custodia, la comunicazione con il pubblico e la stessa apertura dei musei. Il tutto con
l’obiettivo di adeguare a standard minimi di accessibilità e comunicazione 25 poli museali differenti,
distinti nei sottosistemi: storico-artistico, archeologico, demo-etnoantropologico, scientifico. In
massima parte si tratta di istituti che dipendono dal Comune, ma sono da segnalare anche altri tipi
di soggetti dipendenti da enti privati o da altre istituzioni pubbliche.
La gestione ordinaria dei singoli musei, pur essendo inseriti nel sistema, dipende
dall’amministrazione comunale del territorio competente e la partecipazione al sistema è intesa più
come un’opportunità che come un dovere o responsabilità. Ogni singolo museo può affidare parte
dei suoi servizi ad associazioni esterne, quali cooperative, Pro-loco o associazioni culturali, in
modo da ridurre i costi di gestione. Si trattava di creare un sistema museale provinciale in cui i
musei aderenti mantenessero la propria autonomia gestionale e partecipassero ad esso
contribuendo, insieme alla Provincia che svolgeva un ruolo di coordinamento, alla scelta delle più
adeguate modalità di azione. In questo modo, gli istituti coinvolti hanno la possibilità di venire a
diretto contatto l’uno con l’altro, scambiandosi competenze ed informazioni utili allo svolgimento
dei propri compiti.
Le iniziative relative alla rete nella sua totalità necessitavano del consenso di tutti, espresso
nell’ambito del comitato di gestione, costituito da un rappresentante delle soprintendenze
competenti, un rappresentante del sistema museale (proveniente dalla provincia), un
rappresentante comunale, un rappresentante della proprietà nel caso dei musei storico – artistici
della Chiesa e dai direttori delle istituzioni. È da rilevare che non tutti i musei del sistema avevano
un direttore. In tal caso essi erano gestiti prevalentemente dal comitato stesso. Anche dove il
direttore esisteva, il comitato di gestione poteva intervenire nell’ambito delle attività di competenza
del sistema. Per partecipare al sistema, i comuni della provincia non avevano l’obbligo di
pagamento di alcuna quota associativa; dovevano però sostenere le spese relative alla gestione
ordinaria dei musei di loro proprietà e alla gestione degli appalti. In ciascuna istituzione, infatti,
l’offerta di servizi al pubblico era data in appalto a società esterne, per lo più cooperative di
promozione turistica dei comuni in cui esse erano presenti.
La definizione delle attività comuni, la creazione del comitato di gestione ed in generale la
gestione di tutto il sistema era stata affidata ad una convenzione stipulata nel 1997 tra la provincia
di Siena, i comuni e le istituzioni culturali coinvolte. In più i comuni si erano trovati a dover
interagire con cinque Curie arcivescovili proprietarie di strutture museali, il che aveva reso
necessaria la stipulazione di un accordo fra questi soggetti per il godimento pubblico di questi
musei. Gli obiettivi della convenzione stipulata tra tutti gli attori coinvolti riguardavano: il
coordinamento con le istituzioni culturali di studio, di ricerca e di formazione esistenti sul territorio
operanti nel settore museale e delle attività culturali connesse; il coordinamento e la promozione
della realizzazione e dell’eventuale riorganizzazione funzionale ed espositiva dei musei della
provincia; la creazione di itinerari turistici culturali che potessero servire alla valorizzazione
economica del territorio. L’obiettivo era quello di indirizzare l’utenza, concentrata prevalentemente
a Siena, verso il territorio provinciale e di distribuire i flussi turistici in modo più omogeneo durante
l’anno.
L’attuazione del sistema museale, soprattutto all’inizio, aveva creato qualche problema, in
particolare laddove si era trattato di intervenire in presenza di una realtà locale già organizzata e
ben radicata sul territorio. Le difficoltà erano sorte anche nei musei in cui mancava un referente
diretto cui fare riferimento e, di conseguenza, non esisteva un quotidiano controllo sull’andamento
delle diverse attività ed iniziative. Un’ulteriore problema poteva nascere dalla grande varietà dei
musei aderenti che presentavano bisogni ed esigenze specifiche le quali richiedevano interventi
adeguati a ciascuna singola realtà.
Fra le azioni prodotte dalla rete senese, si trovano: la pubblicazione di guide illustrate per ogni
museo, riproduzioni che utilizzano iconograficamente il marchio del sistema come magliette,
ombrelli, borse; la creazione di un logo comune associato a ciascuno dei musei aderenti e
presente in ogni forma di comunicazione e promozione del sistema, la pubblicazione di depliant
illustrativi, cataloghi e manifesti, l’ideazione di cartelli segnaletici dentro e fuori i musei. Le varie
attività del sistema vengono finanziate dal sistema stesso attraverso i fondi della provincia, del
Monte dei Paschi di Siena e dell’UE e attraverso i ricavi provenienti dalla vendita del
merchandising; ai comuni spettano invece i costi di gestione ordinaria e quelli per il personale. È
stato inoltre possibile lo sfruttamento di economie di scala derivanti dalla riduzione dei costi di
promozione e comunicazione ripartiti tra i musei coinvolti. I risultati raggiunti dalla rete sono stati:
l’aumentata qualità e la varietà dei servizi offerti all’utenza, la maggiore visibilità data ad ogni
partecipante, la valorizzazione del territorio della provincia, richiamando l’attenzione dei media, del
turismo e della popolazione stessa.
IV. 4. Il sistema museale umbro
La regione Umbria sembrava, in passato, non avere un turismo proporzionato all’enorme quantità
di beni culturali presenti sul territorio, ed ha tentato di dare una spiegazione a questo fenomeno
arrivando alla conclusione che sul territorio era assente una formula organizzativa capace di
valorizzarne il patrimonio. Si pensò quindi che la messa in sistema dei singoli musei potesse
rappresentare una valida soluzione per ridare valore al territorio potenzialmente ricco di attrattive,
ma mal gestito. Quando la regione, nel 1989, acquisì la gestione dei musei, si trovò di fronte una
situazione critica, dal momento che la maggior parte delle istituzioni erano chiuse, o mancanti di
strutture basilari come i sistemi d’allarme, e delle strutture standard di accoglienza ai visitatori.
A seguito della L.R. 35/1990 che disciplinava la creazione della messa in sistema, la regione
predispose un censimento dei musei e delle raccolte di riferimento regionale che portò
all’individuazione di 120 istituzioni museali appartenenti ad enti locali, a privati, a comuni e ad
istituzioni ecclesiastiche. A partire da questo censimento la regione ha aperto 39 musei, inserendo
quelli che rispondevano a determinati standard di qualità.
Le prime attività svolte sono state rivolte alla riapertura delle strutture museali ed al riallestimento
di quelle con maggiori problemi. Per il raggiungimento degli obiettivi si agì in una duplice direzione:
innanzitutto intervenendo con opere di ristrutturazione, censimento, inventariazione e
catalogazione dei beni e delle collezioni e con la pubblicazione di una serie di cataloghi scientifici
affidati a specialisti delle università. La seconda direzione di intervento riguardò la gestione dei
musei, poiché risultava inutile finanziarne la riapertura in mancanza di personale e fondi. A tale
scopo il sistema museale umbro si avvalse di cooperative fondate dai partecipanti ai corsi di
formazione per operatori museali organizzati dalla regione. In questo caso, vengono inclusi nel
“Sistema Museale Regionale dell’Umbria” non solo le istituzioni museali del territorio, ma anche
tutti quei servizi di utilità comune e quei criteri e strumenti di organizzazione generale senza i quali
i singoli musei, specie se di limitate dimensioni, faticherebbero a .sopravvivere.
Delle cinque cooperative attualmente presenti in Umbria, qui si analizzerà quella che gestisce la
maggior parte dei musei del sistema (33 su 39), la “Sistema Museo”. Gli appalti di gestione
all’epoca garantivano solo la sopravvivenza economica, ma non consentivano di produrre utili.
Partendo da questa considerazione si è cercato di costruire delle altre possibilità di business
attorno alla gestione museale, investendo in due direzioni: verso la produzione culturale all’interno
dei musei, con l’organizzazione di eventi come mostre temporanee, concerti, teatro; e verso
l’utilizzo dei servizi educativi come la didattica museale, le visite guidate e la gestione dei
bookshop. La Sistema Museo si occupa oggi di tutta la gestione operativa dei musei, dal controllo
dei sistemi di allarme ai servizi di biglietteria e di accoglienza al pubblico, dalla gestione dei
bookshop alla custodia delle sale, dalla manutenzione ordinaria delle collezioni al controllo delle
condizioni ambientali delle sale espositive (umidità, luminosità ecc.). La regione in questo ambito
svolge solo una funzione di controllo e di programmazione generale, curandosi delle attività di
restauro e di riallestimento, cioè delle attività a maggiore caratterizzazione scientifica. La
cooperativa promuove attività didattiche in tutte le strutture museali gestite. Queste prevedono, a
fianco di iniziative specifiche realizzate dai singoli musei, anche l’utilizzo di laboratori didattici.
Sempre la cooperativa si occupa delle visite guidate e della realizzazione di attività promozionali e
di marketing come: biglietti cumulativi; progettazione grafica e contenutistica di depliant, poster per
tutti i musei; inserzioni su quotidiani e pubblicità sulle radio locali. Le attività relative alla gestione
delle strutture vengono finanziate dalla trattenuta quasi totale dei ricavi derivanti dalla vendita dei
biglietti e dalla gestione dei bookshop. Altra fonte di introiti deriva dalla fornitura dei servizi
educativi. La terza e ultima fonte di finanziamento deriva da corrispettivi fissi delle amministrazioni
comunali.
Attualmente il sistema non è ancora strutturato gerarchicamente, ma consiste più che altro in una
serie di servizi svolti a livello di sistema e messi a disposizione di tutte le istituzioni coinvolte. La
debolezza dell’aspetto normativo non è in grado di fornire strumenti efficaci per coordinare il
sistema ad un livello superiore. In questo caso l’efficacia del progetto è garantita esclusivamente
dalle parti coinvolte che responsabilmente accettano di entrare nel sistema e muoversi all’interno
di questo contesto. Una struttura “leggera” come questa rappresenta sia il miglior pregio del
sistema, che il suo limite più evidente, in quanto è sempre presente il rischio di frammentazione.
V. Conclusioni
La prima parte del lavoro è stata rappresentata da un excursus sul significato dei concetti di “reti”
e “sistemi”, che tendono a sovrapporsi e ad essere usati indifferentemente. I termini di “rete” e
“sistema” appaiono nei discorsi per qualificare insiemi di soggetti legati da relazioni di
collaborazione, mentre le differenze che stanno alla base, ovvero la gerarchizzazione, la
spontaneità nella nascita di network, il ruolo dei singoli musei, sono fondamentali per lo sviluppo
del sistema stesso e per la vita delle singole istituzioni.
I casi italiani illustrati si riferiscono esclusivamente a sistemi, e presentano elementi molto simili
tra loro. Innanzi tutto siamo in presenza di network creati da enti locali esterni, che in mancanza di
un intervento politico centrale diretto, hanno preso spunto diversamente dagli atti legislativi ed
hanno realizzato sistemi a sé stanti per caratteristiche e struttura. Si tratta di reti burocratiche236,
che prevedono cioè una formalizzazione dei rapporti ed un soggetto con compiti di coordinamento
e controllo, implicando perciò aspetti gerarchici. Il rapporto tra le parti è formalizzato tramite
convenzione, strumento che facilita le relazioni fra istituzioni che operano nella pubblica
amministrazione e l’accesso ai finanziamenti. Sono sistemi di grandi dimensioni, tre provinciali e
uno regionale, caratterizzati da gradi piuttosto elevati di centralizzazione, il cui perno è costituito
dall’ente locale che ne è promotore; Bologna sembra riservare alle parti un grado di autonomia
maggiore, di fronte ad un sistema quale quello Umbro, fortemente centralizzato. La connettività fra
i nodi del sistema risulta medio-bassa.
Il conseguimento di una migliore efficienza economica si rivela una determinante importante alla
nascita dei network. Lo scopo per cui i singoli musei sono messi in relazione è quello di
valorizzare, promuovere, migliorare l’immagine, la qualità e la quantità dei servizi, attraverso lo
sfruttamento di economie di scala. Si riesce così a fornire un maggior numero di servizi, senza che
ogni unità ne subisca proporzionalmente i costi, soprattutto se si prendono in considerazione
quelle istituzioni di dimensioni molto piccole, che senza il sistema rischiavano di soccombere. La
visibilità dei singoli è aumentata; la possibilità di scambiarsi visitatori tramite la costruzione di
percorsi culturali o strumenti di informazione e promozione per il rimando del pubblico è una
determinante indicata da diversi esempi. Anche il raggiungimento di standard minimi di qualità è
più facilmente perseguibile se inseriti in una rete relazionale. I costi del sistema sono per lo più
legati ad attività di coordinamento, a carico quasi sempre del centro o ente promotore, ed è
possibile anche accedere a risorse pubbliche messe a disposizione da organi di livello superiore,
che destinano finanziamenti ai vari progetti.
Inizialmente l’attività dei network è costituita da interventi di restauro, ristrutturazione o riapertura
delle sedi e di inventariazione; in seguito i sistemi svolgono per lo più attività di valorizzazione,
promozione, informazione e comunicazione. Lo sviluppo di un’immagine comune e la maggiore
visibilità del sistema nel suo complesso diviene spesso uno degli obiettivi principali; il centro svolge
inoltre attività di gestione e di amministrazione dei progetti comuni. La gestione dei servizi viene
affidata in genere a cooperative (Umbria e Siena), che possono gestire in maniera centralizzata
anche la didattica. Nei casi di Ravenna e Bologna, per la didattica sono stati realizzati laboratori
provinciali; la centralizzazione dell’attività scientifica si ha soprattutto per quei sistemi dove le
istituzioni non sono dotate di personale specifico (per esempio, il sistema umbro).
Lo sviluppo di un progetto di rete e la scelta dell’assetto istituzionale deve partire dall’esame della
consistenza del patrimonio culturale e delle realtà produttive e di servizi presenti sullo specifico
territorio. Inoltre deve essere chiaramente definito il progetto culturale della potenziale rete, ovvero
gli obiettivi da raggiungere e le attività da svolgere in comune. Solo sulla base di questi elementi
sarà possibile definire il tipo di rete da costituire, stabilendone l’estensione geografica, la
numerosità delle istituzioni da coinvolgere, l’omogeneità o la disomogeneità delle collezioni, i
meccanismi di coordinamento, l’assetto istituzionale.
Gli svantaggi che un’organizzazione a sistema può generare investono soprattutto il piano della
produttività culturale del sistema stesso, che potrebbe agire negativamente sull’individualità e sulla
specificità culturale dei musei. Ogni istituzione museale possiede un proprio patrimonio culturale
che va oltre l’aspetto materiale delle collezioni. L’organizzazione verticistica incide sullo sviluppo
della cultura individuale di ogni museo partecipante, a vantaggio della cultura del museo caposistema, o della cultura politica dell’ente organizzatore. Ad esempio, la centralizzazione dell’attività
scientifica e della didattica, di cui si è parlato precedentemente, o l’utilizzo di moduli espositivi
omogenei, se da un lato possono diventare un supporto, dall’altro rischiano di portare
all’omogeneizzazione dei contenuti, che incide negativamente sul meccanismo di produzione del
patrimonio e sulla crescita culturale complessiva della comunità territoriale cui la rete appartiene.
236
Bagdadli, 2001
Quando il personale scientifico rimane esterno ai musei, le possibilità di sviluppo degli stessi sono
quasi nulle.
Alla luce di queste riflessioni, reti e sistemi si svelano come due realtà profondamente diverse,
separate da differenze fondamentali che “risiedono nella finalità intrinseca dell’organizzazione,
nell’orientamento dei vantaggi, nel diverso uso politico e nella capacità o meno di creare un
plusvalore culturale rispetto ai singoli musei”237.
La finalità del sistema è essenzialmente economica, e consiste sempre nell’ottimizzazione delle
risorse, da raggiungere attraverso la diminuzione dei costi di gestione; la finalità della rete è
soprattutto culturale, la collaborazione paritaria tra soggetti tende alla crescita delle loro capacità
produttive, e quindi all’aumento della capacità di creare patrimonio culturale, di diffonderne i
significati. I vantaggi stessi, nel sistema, sono orientati in primis verso l’ente organizzatore, mentre
nella rete sono orientati in primo luogo verso i soggetti componenti, e i visitatori. Un ultimo
parallelismo non può non sottolineare come il sistema appaia un soggetto statico, mentre la rete è
un sistema dinamico che tende alla crescita. Pinna trova che si possa fare un uso politico
differente dei due modelli: “..mentre l’organizzazione piramidale del sistema e la sua capacità
omologatrice dei singoli partecipanti fanno del sistema uno strumento di controllo sui contenuti e
sull’azione culturale dei musei, la rete, con la sua organizzazione paritaria, non è utilizzabile come
strumento politico”238. Il sistema, in quanto semplice aggregato di unità, non è in grado di produrre
plusvalore culturale, mentre la rete è un’organizzazione che sviluppa proprietà distinte rispetto a
quelle delle singole parti, che creano una dialettica tra loro sviluppando del valore aggiunto. La rete
possiede caratteristiche di struttura: non è solo un’organizzazione di musei, ma un’istituzione con
un’identità propria, mentre il sistema è assimilabile ad uno strumento la cui esistenza è
determinata dalla finalità che si propone. Gli obiettivi condivisi sono non tanto di tipo culturale, ma
più amministrativo-commerciale.
Un network quindi, per riuscire a garantire vantaggi nel tempo non solo economici, ma soprattutto
culturali, con ricadute positive sul territorio, deve avere prima di tutto obiettivi condivisi, una
mission specifica, una buona autonomia delle parti; deve porre attenzione alle fasi di ricerca e
documentazione per la creazione di valore aggiunto, e deve essere percepito come strumento di
tutela e di formazione, prima ancora che economico.
Trovare un equilibrio tra queste finalità e la necessità di un intervento verticistico, laddove la
sopravvivenza delle istituzioni sia minacciata, è a mio parere una delle sfide più importanti che la
realtà museale italiana dovrà affrontare.
237
238
Pinna, 2004, pag. 28
op. cit, pag. 28
Le politiche di fund raising: una comparazione internazionale
(Francesco Sala)
“Proprietà! Proprietà! Tutto per la proprietà!”239
1. Introduzione
Consideriamo il sostegno finanziario al settore culturale da parte di soggetti privati.
Parliamo di sponsorship e mecenatismo, ovvero della capacità, da parte di soggetti che
producono cultura, di attrarre a proprio vantaggio il sostegno di aziende e/o privati cittadini.
Osserviamo come nei paesi di cultura anglosassone questo sostegno si presenti in
maniera più strutturata e rilevante di quanto non accada nei paesi di cultura – così
vogliamo definirla – latina. Guardiamo, a titolo puramente esemplificativo, all’idea di
fundraising così come si esprime negli Stati Uniti d’America: le differenze con quanto
accade – o meglio: non accade – in un paese come l’Italia sono macroscopiche.
Abbiamo passato in rassegna la letteratura sul tema del fundraising prodotta negli ultimi
anni nel nostro paese. Pur nella difficoltà di rintracciare dati univoci che permettessero
confronti inconfutabili, abbiamo tentato una comparazione tra i volumi del finanziamento
privato alla cultura in Italia e in altri tre paesi: Spagna, Gran Bretagna e – appunto – Stati
Uniti. Due nazioni anglosassoni e due latine; due nazioni liberiste e due stataliste; due
nazioni dalla consolidata esperienza multietnica e due nazioni culturalmente più
omogenee. Infine: due nazioni aconfessionali ed essenzialmente laiche e due nazioni che,
al contrario e pur con sfumature tra loro diverse, riconoscono come carattere denotativo
del proprio sistema sociale l’apparato valoriale proprio del cattolicesimo. Abbiamo
analizzato, nei quattro casi, la possibilità di donare: ovvero la felicità e facilità di
condizioni che i rispettivi regimi fiscali pongono a incoraggiamento dell’attività di
fundraising. Non abbiamo riscontrato differenze tali da giustificare una così forte disparità
di comportamenti. Abbiamo quindi posto attenzione alla intenzione di donare, cercando di
giustificare questa predisposizione come il naturale prodotto di un modo diffuso di
partecipare la cosa pubblica e di intendere il ruolo del singolo all’interno della società,
come la risultante di una combinazione di fattori socio-economici direttamente derivati
dalla maturità del sistema capitalistico espresso in ogni paese.
2.
Il problema delle fonti
Abbiamo riscontrato una singolare povertà di materiali esaustivi sul tema del fundraising,
tanto a livello locale-nazionale, tanto a livello extra-nazionale. Una povertà quantitativa,
qualitativa e, infine, persino metodologica. Di fundraising si è scritto poco. Ancora meno
si è fatto per quanto riguarda la sua specifica declinazione a vantaggio del settore
culturale. Mancano nel nostro paese studi sistematici, fatta eccezione per i contributi offerti
negli ultimi anni da soggetti come il Centro Studi Philantropy, Fondazione Fitzcarraldo,
goodwill (la minuscola non è un refuso); e dall’Università di Bologna, quest’ultima tenutaria
presso il distaccamento di Forlì del primo master di formazione in tecniche per il
fundraising mai avviato in Italia. Il materiale fino ad oggi licenziato si sofferma – a
proposito è significativa la produzione di Valerio Melandri, tra i primi teorici del fundraising
nel nostro paese – con particolare attenzione sulle tecniche e sulla pratica, trattando in
modo sommario la filosofia e la teoria che crea – dovrebbe creare – virtuose politiche di
sostegno privato al no-profit della cultura. Non è stato possibile, ad oggi, identificare uno
239
James Jones – La sottile linea rossa (1962) – RCS, Milano 1999
studio dal quale emergesse il senso profondo della donazione; soprattutto non si sono
trovati riscontri sulle motivazioni reali per cui in alcuni paesi – fatalmente i soliti Stati Uniti
d’America – il sostegno privato alla cultura sia una realtà consolidata e partecipata a livello
collettivo, mentre in situazioni come quella italiana rappresenti ancora oggi un motivo di
eccentricità. In sintesi: le distanze e le differenze sono avvertite da più parti, ma mai
analizzate con attenzione.
La natura dei dati presentati in molte delle fonti è poi piuttosto aleatoria. Lo è per quanto
riguarda i periodi cui si riferisce: basti pensare che per il caso italiano i numeri più
attendibili risalgono all’indagine condotta da Carla Bodo e Celestino Spada nel decennio
1990 – 2000, pubblicati solo nel 2004240. Ma lo è anche per quanto concerne il tipo di dati
messi a comparazione. Non sempre è nettamente distinta la differenza tra sponsorship –
ovvero l’espressione in modo diretto o indiretto, da parte dello sponsor, di “finalità
economiche, collegate essenzialmente alle strategie di comunicazione dell’azienda241” e
mecenatismo o erogazione liberale; in alcuni casi è difficile distinguere la portata del
contributo frutto di fundraising all’interno di macro-dati che contemplano voci
onnicomprensive relative all’apporto finanziario generato da soggetti privati, compattando
donazioni, proventi di bigliettazione ed altre voci di entrata non direttamente riconducibili al
sostegno dell’ente pubblico.
Ampliando il cono ottico e rivolgendolo alla situazione internazionale lo stato dell’arte non
cambia. L’unica indagine comparativa tentata in Italia, raccolta ne “Il fundraising per la
cultura” a cura di Pier Luigi Sacco (Meltemi editore – Roma 2006), legge tre casi limite –
quello italiano, britannico e statunitense – sulla scorta di dati tra loro non omologhi, ne
sotto il profilo temporale ne metodologico, e non può quindi che offrire una “sensazione”
più o meno credibile, più o meno inconfutabile, in merito agli orientamenti seguiti nei tre
paesi oggetto d’indagine.
Caso limite è quello spagnolo: constatata l’assenza di materiale utile alla ricerca – non
solo edito, pubblicato, censito in Italia: ma anche in patria – ci siamo rivolti direttamente
all’Asociacion Española de Fundraising e ad alcuni docenti che, negli atenei iberici,
trattano il tema del fundraising nell’ambito di corsi di economia per i beni culturali.
Abbiamo ottenuto un’unica risposta: Levi Perez, dell’Università di Oviedo, ha testimoniato
come ad oggi effettivamente manchi un rapporto ufficiale sull’entità del sostegno privato a
beneficio della cultura.
Un panorama tanto aleatorio dimostra come, non solo in Italia, il tema del fundraising
rappresenti un mare magnum all’interno del quale, senza gli adeguati strumenti, è difficile
mantenere la rotta. E rappresenta un parziale alibi là dove questa ricerca dovesse
apparire lacunosa o pretestuosa.
3. Dati sul fundraising
Nel 2000 il finanziamento pubblico (statale e federale) a sostegno di organizzazioni
culturali senza fini di lucro toccava, negli Stati Uniti d’America, appena l’11%242 delle
risorse complessive. Il 49% derivava da redditi propri: il rimanente 40% era dovuto
all’intervento privato, fosse esso espressione di singoli individui (20%), fondazioni nate
specificatamente per operare in ambito culturale (13%) oppure aziende o fondazioni
aziendali (7%).
240
Carla Bodo, Celestino Spada (a cura di) – Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1990-2000 – Il
Mulino, Bologna 2004
241
Stefania Coni, Luca Dal Pozzolo – I contributi alla cultura: imprese e fondazioni, in Rapporto
sull’economia della cultura in Italia 1990-2000, op. cit.
242
Ombretta Agrò Andruff, Clayton Press – Il fundraising per la cultura:la situazione negli Stati Uniti
d’America, in Il fundraising per la cultura a cura di Pier Luigi Sacco – Meltemi, Roma 2006
In Gran Bretagna243, nel periodo compreso tra 1998 e 1999, invece, l’intervento privato
non copriva che il 27% della spesa complessiva, distribuito in un 13% a carico di singoli
individui, un 9% elargito da imprese ed un 5% donato da fondazioni.
Nel settore culturale l’anno 2000 ha visto244, in Italia, alla voce “sponsorizzazione e
mecenatismo” una spesa da parte di soggetti privati pari a 1.053 miliardi di lire, di poco
superiore al 2% di quanto è stato complessivamente speso per l’intero comparto. Una
ricerca245 del 2006 condotta dal Directorate General Internal Policies dell’Unione Europea
su dati dedotti dal Premio Impresa e Cultura 2004 parla invece, sempre in riferimento
all’anno 2000, di un investimento nella cultura da parte delle sole aziende private pari al
4,2%. Pur in assenza di una stima relativa alle erogazioni liberali espresse dai singoli
cittadini possiamo ragionevolmente pensare che nel nostro paese il volume dell’intervento
privato nel settore della cultura sia abbondantemente inferiore – in proporzione – rispetto a
quanto avviene in Stati Uniti d’America e Gran Bretagna.
La medesima ricerca dell’Unione Europea è l’unica fonte ufficiale attendibile dalla quale
emergono dati utili in merito alla situazione spagnola. In riferimento all’anno 2003 la
percentuale di finanziamento privato alla cultura è stata stimata nel 2,3%, ma con una
precisazione determinante: il dato riguarda esclusivamente l’apporto dei tre “top sponsor”
del settore, rappresentati da tre fondazioni. Si tratta di un altro dato che, pur nella sua
lacunosità, ci permette di affermare con una buona dose di certezza come in Spagna il
concorso privato al sostegno dell’arte e della cultura sia, come per l’Italia, ancora in ritardo
rispetto al modello anglosassone.
Un’ulteriore distanza tra il caso anglosassone e quello latino è dato dalla rilevanza del
ruolo delle fondazioni bancarie nel sostegno alla cultura; un argomento che per essere
trattato correttamente meriterebbe un focus sul concetto stesso di “fondazione” così come
viene inteso dai rispettivi orientamenti legislativi nazionali. Prendiamo il caso degli Stati
Uniti dove esistono in sintesi tre tipi differenti di fondazioni private: quelle indipendenti,
create da un singolo individuo – spesso da una famiglia – al fine di orientare a scopi
benefici parte del proprio patrimonio personale; le corporate foundations, nate invece
come “costole” di aziende dalle quali cessano di dipendere; infine le operating
foundations, costituite con l’obiettivo unico di provvedere al sostegno di attività interne.
Un esempio efficace di quest’ultimo tipo di fondazione private è dato dal Getty Trust,
creato per amministrare la collezione e le attività culturali connesse al Paul Getty Museum.
La fondazione bancaria è considerata un tipo di soggetto che proprio – esclusivamente –
in ambito mediterraneo246 riveste un ruolo tanto determinante per il sostegno alla cultura.
Due dei tre “top sponsor” spagnoli cui prima si faceva riferimento sono fondazioni
bancarie: Caja Madrid e La Caixa (Barcellona). In Italia le erogazioni per il settore culturale
sono il capitolo di spesa più oneroso per le fondazioni bancarie247: nel periodo 1993 –
2000 hanno oscillato tra il 27% ed il 36%.
4. La possibilità di donare
243
Roberta Comunian – Il caso inglese: analisi delle problematiche e delle best practices nell’ambito del
fundraising per la cultura in Gran Bretagna, in Il fundraising per la cultura, op. cit.
244
Marianna Martinoni – Il caso italiano: mercati, attori e prospettive del fundraising per la cultura in Italia, in
Il fundraising per la cultura, op. cit.
245
Directorate General Internal Policies of the Union (a cura di) – Financing the arts and culture in the
European Union, studio 2006
246
Directorate General Internal Policies of the Union (a cura di) – Financing the arts and culture in the
European Union, studio 2006
247
Stefania Coni, Luca Dal Pozzolo – I contributi alla cultura: imprese e fondazioni, in Rapporto
sull’economia della cultura in Italia 1990-2000, op. cit.
Negli Stati Uniti le prime riflessioni in merito alla necessità di incentivare il sostegno alla
cultura da parte di privati risalgono al 1926, quando il primo collaboratore dei Rockfeller
per le azioni filantropiche, Abraham Flexner, si preoccupò di organizzare un convegno nel
quale discutere questo tipo particolare di intervento finanziario. Tra i risultati di questo
primo momento di riflessione la progressiva attenzione da parte delle fondazioni
statunitensi verso il panorama culturale: dal ruolo pioneristico svolto – chiaramente – dalla
Fondazione Rockfeller si è progressivamente giunti alla maturità espressa da un soggetto
come la Andrew W. Mellon Foundation, nata nel 1969 e ancora nel 2002 riconosciuta
come il principale sponsor privato della cultura di tutti gli Stati Uniti, con un’erogazione
complessiva di quasi 26 milioni di dollari.
La lunga tradizione degli Stati Uniti è stata affiancata da un felice sistema fiscale, che da
sempre – i primi provvedimenti risalgono al 1917 – si preoccupa di creare condizioni per
incentivare il sostegno privato a progetti di pubblico interesse, compresi naturalmente
quelli culturali. Pur con differenze a volte sostanziali tra uno stato e l’altro, il governo
federale offre una ricca serie di agevolazioni sia al singolo cittadino sia all’azienda o
fondazione che decida di sostenere progetti culturali, intervenendo in modo differente a
seconda del tipo di contributo erogato.
Pr quanto riguarda le donazioni in contanti, molto popolari negli Stati Uniti (dove
ricordiamo che il 20% del sostegno privato alla cultura è espresso da singoli cittadini), è
prevista una deduzione dalle tasse “sino a un limite massimo pari al 50 per cento del
profitto lordo dichiarato nell’anno dell’avvenuta donazione. In caso l’ammontare delle
donazioni superi tale limite, il governo permette di scaricare eventuali eccessi negli anni
successivi, purché tale sgravio abbia luogo entro cinque anni dalla donazione248”. Una
donazione di prodotti finanziari (dalle azioni ai buoni del Tesoro fino alle obbligazioni) gode
di una deduzione dalle tasse inferiore, pari al 30% del proprio reddito lordo, anche in
questo caso potenzialmente “spalmato” in cinque anni. Ancora diverso è il comportamento
nei confronti delle donazioni da parte di aziende, poiché “si tende a dare meno enfasi
all’aspetto filantropico del donare e più alla creazione di relazioni professionali con l’ente
beneficiario di tale sostegno249”: ne consegue che i fondi che le aziende americane
destinano al sostegno alla cultura sono quelli propri delle aree marketing e sviluppo più
che quelli destinati alle erogazioni liberali. La deduzione dalle tasse non supera, per le
aziende, il 10% delle entrate tassabili.
In Gran Bretagna è solo dal secondo dopoguerra che il tema del sostegno privato alle arti
e alla cultura diventa argomento di dibattito, entrando a più riprese e con modalità diverse
– a seconda dei periodi – nell’agenda politica del partito conservatore. Ed è proprio dal
1979, con il primo governo di Margareth Thatcher che la questione viene affrontata in
modo sostanziale: “tre elementi furono usati per rendere il settore culturale particolarmente
attraente: l’offerta di agevolazioni fiscali, l’istituzione di una organizzazione di supporto e
coordinamento e uno schema di incentivazione per incoraggiare le compagnie private a
sponsorizzare le organizzazioni artistico-culturali250. A tal proposito ha svolto un ruolo
determinante l’introduzione, nel 1984, del Business Support Incentive Scheme (BSIS), un
programma che prevedeva incentivi finanziari per le imprese che sostenevano progetti
culturali, tale per cui lo Stato prevedeva una corrispondenza finanziaria all’intervento da
parte delle imprese stesse, per un importo non inferiore alle 1000 e non superiore alle
50.000 sterline. Si trattava di un modo per aumentare il valore delle sponsorizzazioni e,
248
Ombretta Agrò Andruff, Clayton Press – Il fundraising per la cultura:la situazione negli Stati Uniti
d’America, in Il fundraising per la cultura
249
Ombretta Agrò Andruff, Clayton Press – Il fundraising per la cultura:la situazione negli Stati Uniti
d’America, in Il fundraising per la cultura
250
Roberta Comunian – Il caso inglese: analisi delle problematiche e delle best practices nell’ambito del
fundraising per la cultura in Gran Bretagna, in Il fundraising per la cultura, op. cit.
insieme, di stimolare i soggetti culturali all’attività di fundraising; il tutto in un contesto che
creava naturali sinergie tra Stato e sfera privata. Il programma, nel periodo compreso tra il
1984 e il 1992, è stato in grado di attrarre a beneficio del settore culturale 32 milioni di
sterline da parte di imprese private, cui vanno sommati 16 milioni messi a disposizione
dallo Stato.
Ad interventi di questo tipo va aggiunta la determinazione di procedure fiscali a beneficio
dell’attività di donazione: consideriamo che fin dal 1947 le erogazioni liberali da parte di
individui godono di benefici; dal 2000 è invece attivo un nuovo sistema di deduzioni in
favore delle imprese.
Anche in Spagna esistono strumenti di agevolazione fiscale volti a incentivare la
partecipazione privata al sostegno della cultura, tutti introdotti in tempi recenti e comunque
successivi alla fine della dittatura franchista. Le imprese private possono dedurre dalle
tasse fino ad un massimo del 10% dell’imponibile solo nel caso rivolgano le proprie
donazioni a soggetti accreditati; ma esistono altre forme di “incoraggiamento”, come ad
esempio misure fiscali favorevoli all’acquisto di opere d’arte finalizzato alla donazione a
realtà no-profit.
In Italia251 il tema del sostegno privato alla cultura è stato affrontato con attenzione non
prima degli anni ’80, ed ha vissuto – almeno in una sua prima fase – di una certa
confusione metodologica, essenzialmente basata sulla non sempre chiara differenza tra le
spese di rappresentanza e quelle per “pubblicità e propaganda”. Nel primo caso
rientravano investimenti sostenuti “dal’impresa per offrire un’immagine positiva di sé252”,
mentre nel secondo si annoveravano “quelle spese con le quali si porta un determinato
prodotto a conoscenza della generalità dei consumatori253”. A proposito è da segnalare il
D.P.R. 917/1986 che considerava le spese di sponsorizzazione per eventi e
manifestazioni culturali al pari di quelle pubblicitarie, permettendo per entrambe la
deduzione integrale, là dove invece prevedeva per le spese di rappresentanza una
deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare complessivo. Una indicazione
puntualizzata dalla Risoluzione ministeriale n°9/204 del 1992, dove la parificazione tra
spese di sponsorizzazione e pubblicità viene motivata alla luce della presenza di “un
contratto la cui caratterizzazione è costituita, di regola, da un rapporto sinallagmatico tra lo
sponsor e il soggetto sponsorizzato, in base al quale le parti interessate fissano clausole
contrattuali in relazione agli scopi che esse intendono raggiungere”. Risulta evidente la
distanza concettuale di una visione così stratificata rispetto alle strategie di marketing e
comunicazione che le aziende oggi perseguono.
Nell’ambito del mecenatismo in senso proprio, invece, i primi riferimenti legislativi
risalgono alla legge 512/1982 per quanto concerne i beni culturali, e alla legge 163/1985
per quanto attiene invece, nello specifico, il settore delle performing arts. Il quadro è
piuttosto complesso e privo dei necessari strumenti applicativi: basti pensare al fatto che la
512/1982, ancora oggi, manca del proprio regolamento di attuazione. In sostanza,
nell’ambito dei beni culturali, le agevolazioni previste interessano, per quanto riguarda le
persone fisiche, una detrazione dall’imposta lorda sul reddito pari al 19% dell’importo della
donazione; per quanto riguarda invece i titolari di reddito d’impresa, l’agevolazione si
misura in una deduzione dal reddito imponibile dell’intero importo della donazione. Per
251
Giovanni Chiarion Casoni – La spesa pubblica indiretta: la fiscalità, in Rapporto sull’economia della
cultura in Italia 1990-2000, op. cit.
252
Massimo Sterpi – Dalla ciliegina sulla torta alla torta: le agevolazioni fiscali per gli investimenti delle
imprese in cultura, in La defiscalizzazione dell’investimento culturale, a cura dell’Osservatorio Impresa e
Cultura – Sipi Editore, Roma 2002
253
Massimo Sterpi – Dalla ciliegina sulla torta alla torta: le agevolazioni fiscali per gli investimenti delle
imprese in cultura, in La defiscalizzazione dell’investimento culturale, op. cit.
quanto attiene invece alle performing arts viene posto un limite massimo delle spese
oggetto di deduzione o detrazione, fissato nel 2% del reddito complessivo dichiarato.
Un contributo determinante nell’evoluzione dell’intervento privato è arrivato dalla legge
342/2000 che ha introdotto per le imprese la piena deducibilità delle spese per erogazioni
liberali in ambito culturale, di fatto riconducendo ad unità le due norme appena descritte.
Interessante, a proposito di questa legge, la specifica contenuta nell’articolo 38, dove si
introduce un “tetto al coacervo delle donazioni” oltre il quale il beneficiario viene tassato,
mentre il donatore – chiaramente – no.
Si è osservato254 che nel 2001, a fronte di un tetto fissato in 270 miliardi di lire si sono
avute, in un periodo oggetto di monitoraggio relativo a soli 60 giorni, 32 miliardi di lire di
erogazioni. Nel 2002, ridotto il tetto a 175 miliardi di lire, le erogazioni sui 12 mesi hanno
raggiunto appena i 27 miliardi.
In conclusione si può dimostrare come in Italia “soprattutto alla luce degli interventi
legislativi più recenti – il quadro sia tutt’altro che sfavorevole e che, quindi, non manchino
in questo momento gli strumenti e le agevolazioni fiscali che consentono e favoriscono tale
investimento in cultura. Ciò che ancora manca è piuttosto una adeguata conoscenza di
queste agevolazioni ed una vera e propria “cultura” imprenditoriale dell’investimento in
cultura […] non vi sono più veri ostacoli – se non mentali – all’investimento dell’impresa in
cultura255”.
5. L’intenzione di donare
Escludiamo per un attimo l’esempio rappresentato dagli Stati Uniti, dove la precocità
dell’analisi sul tema del fundraising ha contribuito a creare le condizioni perché si
sedimentasse una vera e propria cultura dell’intervento privato a beneficio di settori di
utilità pubblica. Guardiamo semmai alla vicinanza temporale – davvero prossima alla
contemporaneità – dei primi interventi legislativi a vantaggio di sponsor privati in Gran
Bretagna ed in Italia: strumenti nati con analoghe aspettative, la cui divergente risoluzione
non può essere interamente ricondotta all’applicazione di varianti tra loro differenti. Là
dove sono mancati una consonanza ed un allineamento su comportamenti virtuosi
significa che si sono sviluppate condizioni culturali tra loro talmente distanti da rendere il
gap difficilmente colmabile.
Tra il 1904 ed il 1905, pubblicando a puntate il saggio Die protestantische Ethik und der
Geist der Kapitalismus, Max Weber riflette sull’origine storica del capitalismo, sulla sua
formulazione squisitamente occidentale, riconducibile “a quella mentalità economica […]
che assume il profitto come uno scopo degno di venir perseguito di per sé, prescindendo
da qualsiasi condizione edonistica o utilitaristica, e che fa quindi del suo perseguimento
una massima etica256”.
Una riflessione che nasce dall’analisi di dati inconfutabili desunti dal contesto offerto dalla
Germania, riferiti al “carattere prevalentemente protestante del possesso di capitale e del
ceto imprenditoriale257” correlati alle differenze di scolarizzazione tra giovani protestanti e
giovani cattolici. Per cui Weber disegna un circolo virtuoso – o vizioso: dipende dai punti di
vista – in base al quale i primi, perché prodotto di una élite economica e quindi culturale
possono accedere ad una formazione migliore e pertanto essere più competitivi una volta
254
Stefania Coni, Luca Dal Pozzolo – I contributi alla cultura: imprese e fondazioni, in Rapporto
sull’economia della cultura in Italia 1990-2000, op. cit.
255
Massimo Sterpi – Dalla ciliegina sulla torta alla torta: le agevolazioni fiscali per gli investimenti delle
imprese in cultura, in La defiscalizzazione dell’investimento culturale, op. cit.
256
Pietro Rossi in Sociologia della Religione (1920) di Max Weber – Edizioni di Comunità, Torino 2002
257
Max Weber, op. cit.
inseriti nel mondo del lavoro. Una riflessione che non tocca esclusivamente le posizioni
imprenditoriali o dirigenziali, ma si spinge fino a quelle che Weber definiva le “élites
operaie più colte”, ovvero le maestranze altamente specializzate. In sostanza, a parità di
condizioni – a proposito Weber insiste nella sua tesi sull’irrilevanza di distinzioni etniche
tra tedeschi “autentici”, polacchi e altre minoranze – i protestanti raggiungono maggiori
risultati sotto il profilo professionale.
Weber trova conferma alla propria tesi misurandosi direttamente con la vorticosa società
statunitense di inizio XX secolo: nel corso del suo soggiorno a St. Louis (1904) ha
l’opportunità di perfezionare l’analisi osservando il dinamismo imprenditoriale, puramente
capitalista, di quanti appartengono alla miriade di sette e confessioni religiose, più o meno
dirette filiazioni del protestantesimo, che affollano il ricco ed eterogeneo palcoscenico
sociale americano.
La conclusione è immediata: lo spirito capitalistico non può che essere l’evoluzione
dell’etica protestante così come essa si è manifestata nel calvinismo, dove l’incentivo al
lavoro era finalizzato non a “procacciarsi la salvezza, ma per assicurarsi di essa. Che se
poi la fatica era compensata dalla prosperità, si poteva vedere in ciò una prova ulteriore
della benevolenza divina258”. Il capitalista non nasce quindi dall’esperienza del mercante
medioevale; né, come invece riteneva Sombart, dall’attività finanziaria storicamente
condotta dagli ebrei: ma “nel Calvinismo, intento a cercare nel “mondo”, cioè nell’attività
economica, il presagio del destino dell’aldilà”259. Ed è per questo motivo che Weber dedica
alle chiese e sette del Nord America l’ultima parte del saggio, elaborata nella sua versione
meglio definita solo nel 1906, una volta metabolizzato il viaggio negli Stati Uniti: perché
identifica un nesso causale tra la diffusione di un credo – anzi: molteplici credo –
riconducibili all’etica calvinista e l’accelerazione nel processo di emancipazione del
capitalismo.
L’atto di nascita dello spirito del capitalismo, a questo punto, viene siglato nel momento in
cui con il passare del tempo, fatalmente, si stempera l’afflato “mistico” di cui è carica la
nuova religione; ovvero quando si perde progressivamente di vista la connessione con
“l’eterno”, razionalizzando il rapporto con il miraggio della salvezza ultraterrena: a questo
punto “la ricerca del profitto perderà la giustificazione religiosa che aveva nel
Protestantesimo ascetico per trasformarsi in uno scopo autonomo, fornito di un valore
intrinseco260”.
Possiamo oggi sostenere che esista un legame tra lo spirito del capitalismo, così come
teorizzato oltre cento anni fa da Weber e la predisposizione da parte di una determinata
società al fundraising?
Crediamo non sia un azzardo ritenere che una maturità, da parte di una persona fisica o
un soggetto d’impresa, tale da scegliere di sostenere economicamente programmi di cui
beneficia l’intera comunità sia un prodotto del capitalismo. Là dove accettiamo che “tra la
ricerca personale della salvezza […] e il conseguimento della salvezza in virtù
dell’appartenenza a un’istituzione depositaria dei meriti acquisiti mediante il sacrificio di
Cristo esiste […] un’opposizione insormontabile261”. Sposiamo la tesi di Weber secondo
cui la determinazione di un percorso di fede individuale ha, con la Riforma, gettato le basi
dell’individualismo che caratterizza lo spirito capitalistico. La mutata responsabilità di “sé
verso se stessi” – pur con tutte le contraddizioni proprie del luteranesimo – significa ipso
facto un cambiamento della responsabilità di “sé verso gli altri”, una rilettura più
consapevole del ruolo dell’uomo all’interno della società, e del rapporto del singolo nei
confronti del concetto stesso di proprietà. Per cui, seguendo il filo tracciato da Weber,
258
Roland Bainton – La riforma protestante (1952) – Einaudi, Torino 1958
Pietro Rossi, op. cit.
260
Pietro Rossi, op. cit.
261
Pietro Rossi, op. cit.
259
possiamo pensare che in una società dove l’adesione alla Riforma ha creato le condizioni
per giungere a forme mature di capitalismo si sia parallelamente prodotta una
considerazione tale del concetto di proprietà per cui il bene pubblico, proprio perché
patrimonio della collettività, è percepito dall’individuo, in primo luogo, come patrimonio
personale, degno di ogni cura ed attenzione. Di contro, in riferimento ad una morale che –
è il caso di quella cattolica – nell’imperscrutabilità del volere divino accetta implicitamente
una parziale limitazione al proprio libero arbitrio, possiamo riconoscere l’atteggiamento
diametralmente opposto, per cui il bene pubblico, proprio perché della collettività, è
responsabilità di un soggetto “altro” (lo Stato?) e non dell’individuo. A suffragio di questa
teoria cediamo ad una provocazione letteraria e guardiamo alla rilevanza culturale che un
testo come I promessi sposi ha avuto nella formazione di generazioni di italiani.
Guardiamo alla peste, la “scopa” che spazza via insieme a Don Rodrigo, che certo merita
una punizione, anche il pio Cristoforo; pensiamo alla “morale” di Renzo e alla replica di
Lucia, con l’amara conclusione per cui “ i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato
cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che
quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili
ad una vita migliore”.262
Una tale forma di fatalismo può essere concausa culturale per la storica fragilità del
sistema capitalistico italiano, parcellizzato in una miriade di piccole-medie imprese e solo
raramente esaltato dall’emergere di grandi gruppi; poco incline a vivere il proprio ruolo di
elemento attivo all’interno della società e quindi orientato a non partecipare, se non
sporadicamente, a rilevanti attività di mecenatismo. A titolo di esempio basti osservare il
fiorire, negli Stati Uniti, delle fondazioni indipendenti; là dove le erogazioni liberali sono, in
Italia, appannaggio prevalentemente di soggetti nati in contesti bancari. In un paese come
il nostro dove il 97,67% della popolazione è battezzata secondo il rito cattolico e l’87,8% si
dichiara credente cattolico263 non si è sviluppata una forma di partecipazione individuale al
benessere della collettività pari a quella dei paesi protestanti: questo in senso lato,
uscendo quindi dal tema del fundraising ed affrontando ambiti tra i più disparati, dalla
tutela del patrimonio fino ai più scottanti temi di libertà individuale (vedi i recenti dibattiti su
accanimento terapeutico e aborto).
A suffragio di questa tesi portiamo come contributo un’analisi sulle intenzioni di voto dei
cattolici in Spagna, realizzata da José Ramon Montero e Kerman Calvo264. In effetti il caso
spagnolo può apparentemente confutare questo punto di vista: un paese dove, al pari
dell’Italia, il 97% della popolazione risulta battezzato come cattolico e il 75% si professa
credente ha compiuto negli ultimi anni significativi cambiamenti in termini di politiche
sociali (il più eclatante, secondo parametri cronachistici, riguarda il matrimonio tra
omosessuali). La morale cattolica non sembrerebbe quindi, a prima vista, un deterrente
allo sviluppo di un contesto sociale più attento alle libertà individuali. Montero e Calvo
hanno invece elaborato un modello di analisi statistica per cui “è stata utilizzata una
graduatoria ove il valore 0 è riferito a chi si definisce «per nulla religioso», e il 10 a chi si
considera «molto religioso». La media spagnola è a livello 4,4 — chiaramente al disotto di
quella europea, che si colloca al 4,9. Di fatto, i livelli di religiosità in Spagna sembrano
sintonizzarsi piuttosto con quelli dei paesi a maggioranza protestante, ove in generale la
religiosità è minore. Quasi tutti i paesi a maggioranza cattolica presentano punteggi più
elevati, come l’Italia (6,1) e il Portogallo (5,7), superati solo dalla Polonia (6,6)”. Il cambio
262
Alessandro Manzoni – I promessi sposi (1840) – a cura di Cesare Segre, Edizione Bruno Mondadori,
Milano 2000
263
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/01_Gennaio/17/cattolici.shtm
264
http://www.italianieuropei.net/content/view/967/1/
di orientamento culturale in Spagna, certamente accelerato dalla reazione alla dittatura
franchista, è inconfutabilmente legato alla maturazione di un modello laico.
Con nuovo e doveroso riferimento alla “rimozione” delle motivazioni dottrinali e alla
razionalizzazione della morale religiosa, proponiamo in questa differenza di orientamenti
culturali la distanza di comportamento, in termini di sensibilità al fundraising, tra i modelli di
società anglosassoni e quelli latini.
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I QUADERNI DEL MUSEC