DIZIONARIO BIOGRAFICO DEI MARCHIGIANI Progetto di Giovanni M. Claudi e Liana Catri il lavoro editoriale © Copyright 2007 by casa editrice il lavoro editoriale (Progetti Editoriali srl) casella postale 297 Ancona Italia www.illavoroeditoriale.com Tutti i diritti riservati Isbn 978 88 7663 409 3 COORDINAMENTO SCIENTIFICO E REDAZIONALE Giorgio Mangani COMITATO DEI COLLABORATORI Guido Arbizzoni ha scritto le voci dedicate a P.F. Paoli, A. Staccoli, T. Tomasi; Franco Battistelli ha scritto le voci relative alle personalità fanesi (G. Amiani, C. Boccacci, B. Borgarucci, I. Camerini, A. Castracane, B. Dionigi, G. B. Manzi, G. Montevecchio, P. Montevecchio, A. Negusanti, P. Negusanti, D. Rossi, G. Rusticucci, F. Scacchi, G. Speranza); Piero Maria Benedetti ha scritto la voce G. Ciacci; Antonio Brancati ha scritto la voce dedicata a Scevola Mariotti Junior; Anna Cerboni Baiardi ha scritto la voce dedicata a A. Antaldi; Bonita Cleri ha scritto e revisionato le voci relative agli artisti; Massimo Conti ha redatto le voci relative ad attori e cineasti (A. Albani Barbieri, L. Bizzarri, G. Barnabò, F. Cancellieri, G. Carancini, A. Castellani, G. Chiantoni, C. Del Duca, E. Duse, I. Illuminati, R. Marcellini, M. Mattòli, A. Ninchi, M. Pianforini, M. Puccini, L. Ricci, M. Tusco); Pacifico Cristofanelli ha scritto la voce dedicata a G. Moretti; Luciano Egidi ha revisionato e fornito documentazioni per le voci degli Osimani; Angelo Ferracuti ha scritto le voci G. Nibbi, A. Valentini, G. Vannicola; Enrico Gamba ha scritto le voci dedicate ai matematici del Ducato (S. Barocci, F. S. Brunetti, F. Commandino, G. Del Monte, I. Fusti Castrioti, B. Lanci, C. Leonardi); Mariano Guzzini ha scritto la voce G. Sturani; Anna Massucci ha redatto la voce dedicata a Romolo Murri; Sebastiano Miccoli ha riscritto la voce Italo Mancini; Vico Montebelli ha scritto la voce dedicata a G. Carlo Fagnano dei Toschi; Francesco Maria Moriconi ha scritto alcune voci di Sanbenedettesi illustri (A. Caselli, G. Caselli, D. Colonnelli, G. Giovannelli, S. Giovannelli, A. Guidi, G. Guidotti, A. Lampo, O. Pasqualetti, F. Pauri, F. Sciocchetti, G. Vespasiani); Giorgio Nonni ha scritto le voci dedicate a F. Barignani, C. Felici, A. Galli; Paola Olmi ha scritto la voce Matteo Ricci; Stefano Orazi ha revisionato la voce A. Celli; Diego Panizza ha riscritto la voce A. Gentili; Massimo Papini ha redatto e revisionato le voci relative alle personalità della storia politica del Novecento; Sandro Petrucci ha scritto le voci relative ai santi e beati; Lidia Pupilli ha redatto le voci G. Boccabianca, F. Belmontesi, E. Catalini, G. Gabrielli, R. Gabrielli Montevecchio, A. Jommi, Fam. Marcolini, R. Papò, A. Tanziani, G. Valentini; Massimo Raffaeli ha scritto le voci relative agli scrittori e poeti M. Ferretti e F. Scataglini; Luigi Rossi ha redatto le voci dedicate a G. Fracassetti e G. Leti; Marco Severini ha scritto le voci relative a A. Alessandrini, Fam. Amati, G. Amiani Tomani, S. Amiani Tomani, N.A. Angeletti, S. Anselmi, A. Anselmi, P. Ballanti, Fam. Benedetti, G. Berna, F. Bettacchi, U. Boccabianca, G. Bonomi, A. Borioni, F. Bracci, G. Bracci, O. Bracci, Fam. Bruti, A. Bruschettini, V. Buffarini, G. Caporioni, G. Carletti-Giampieri, G. Castellani, R. Castraane degli Antelminelli, Fam. Cattabeni, A. Cattabeni, V. Cattabeni, T. Cerquetti, A. Ceruti, Fam. Ciani, C. Ciavarini, Fam. Ciccarelli, G. Civilotti, M. Cola, E. De Povera, A. Donati, T. Donati, A. Elia, G. Falconi, F. Ferroni, V. Filippini, P. Filonzi, V. Franceschini, M. Froncini, R. Gabrielli Wiseman, E. Galeazzi, D. Gasparini, P.T. Generali, Fam. Gherardi-Benigni, L. La Marca, L. D. Lattanti, N. Laurantoni, C. Luzi, C. Machella, A. Maierini, M. Marcatili, E. Marinelli, A. Marini, F. Mariotti, R. Mariotti, F. Marzi, F. Masetti, G. Mattei, P. Mazzoleni, A. Mencucci, A. Michelini Tocci, P. Minucci, R. Molinelli, A. Benedetti di Montevecchio, S. Monti Guarnirei, A. Mugnoz, G. Murri Fraccagnani, S. Palmieri, A. Paolini, R. Paolucci, F. Penserini, G. Piccioni, G. Piccolomini, A. Polverari, R. Radi, F. Raffaelli, P. Ricci, G.F. Salvatori, E. Santarelli, A. Santini, F. Seneca, F. Senesi, F. Severi, L. Severi, G. Simoncelli, N. Spinozzi, E. Storoni, G. Tacconi, A. Tassetti, E. Teodori, N.G. Teodori, F. Tornabuoni Mannocchi, A. Tranquilli, G.I. Trevisani, F. Ugolini, A. Vecchini, R. Vecchini, A. Vernerecci, G. Vettori, V. Vettori, V. Volpini, A. Cannoni; Carlo Verducci ha scritto le voci dedicate a A. da Amandola, S. Baglioni, P. Bonvicini, G. Cellini, Cola da S. Vittoria, P. Ferranti. 3 NOTA DELL’EDITORE A quindici anni dalla prima edizione e a sette dalla seconda, il Dizionario biografico dei marchigiani viene pubblicato in una veste rinnovata, con numerose voci in più e un lavoro di aggiornamento compiuto soprattutto sui personaggi dell’Ottocento e Novecento, curato da Marco Severini. La nuova edizione su CD consente di proporre l’opera a un costo più contenuto e quindi a un pubblico ancora più ampio del precedente volume a stampa e con un apparato di immagini arricchito dal colore. Questa edizione è stata infatti progettata per un pubblico nuovo, con l’ambizione di costituire non solo un primo supporto della ricerca, ma di essere anche uno strumento per la scuola, che va riscoprendo sempre di più l’interesse per la storia e la cultura regionali. Nonostante la nuova veste, il Dizionario ha conservato tuttavia i criteri metodologici originari con i quali era stato concepito a partire dal lavoro pionieristico dei due curatori originari (Liana Catri e Giovanni Maria Claudi), successivamente aggiornato ed arricchito dai vari specialisti coinvolti, che hanno operato nelle edizioni successive al 1994. Il criterio inclusivo resta infatti la nascita nel territorio delle Marche di oggi, limitatamente ai deceduti alla data di edizione. L’Editore ringrazia tutti i collaboratori e quanti hanno segnalato a vario titolo errori e omissioni, contribuendo a fare di quest’opera, ormai citatissima ovunque, un’“opera aperta” ed un’ammiraglia del catalogo de il lavoro editoriale, notoriamente impegnato da ventotto anni nella rivisitazione critica della storia e della cultura delle Marche. Ancona, giugno 2007 4 BIBLIOGRAFIA AA.VV., I maestri della musica, Milano, De Agostini, 1988-90 AA. VV., Dizionario biografico del movimento sindacale nelle Marche 1900-1970, a cura di R. Giulianelli e M. Papini, Roma, Ediesse, 2006 N. AMICI, Matematici, fisici e astronomi delle Marche, in “Studi Marchigiani”, II, 1907 F. ABBONDANZIERI, Le scienze ed arti nobili ravvivate in Arcevia, Jesi, 1752 D. ALALEONA, Storia dell’oratorio musicale in Italia, Milano 1945 G. ANNIBALDI, Memorie inedite sui pittori di Jesi, in Guida di Jesi, Jesi, 1902 G. ANNIBALDI, Memorie inedite sui pittori di Jesi, in Guida di Jesi, Jesi, 1902 A. 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Contiene alcune composizioni poetiche degli arcadi e una cantata dello stesso Abbondanzieri, riccamente annotata per tutto il volume con notizie storiche su Arcevia e i suoi figli maggiori. Compose inoltre molte rime e diverse ne pubblicò, oltre al Componimento drammatico a due voci (Jesi, 1741). Abbati Olivieri Fabio (Cardinale; n. Pesaro 20 aprile 1658, m. Roma 9 febbraio 1738). Fu aiuto del cardinale Gianfrancesco Albani nella segreteria dei Brevi. Clemente XI lo nominò segretario dei Brevi nel 1700 e prefetto dei Palazzi Apostolici nel 1713, nonché cardinale del titolo dei SS. Vito e Modesto nel 1715. Alla morte di Clemente XI (1721) fu fatto il suo nome fra i papabili, ma la sua candidatura cadde per l’opposizione di Carlo VI. Alla morte di Innocenzo XIII (1724), il suo nome fu riproposto, ma cadde di nuovo con l’elezione di Benedetto XIII. La candidatura fu di nuovo proposta, senza esito, alla morte di questi, nel 1730. Abbati Olivieri Vincenzo (Compositore; n. Pesaro 13 marzo 1728, m. Pesaro 12 novembre 1794). Abbati Olivieri Giordani Annibale (Letterato; archeologo; n. Pesaro 17 giugno 1708, m. Pesaro 29 settembre 1789). Studiò prima a Bologna e poi a Pisa. In questa Università frequentò le lezioni del Tanucci, dell’Averani e del Grandi. Si laureò in diritto a Urbino nel 1727. Seguì un soggiorno romano molto proficuo per gli studi di antichità, soprattutto di epigrafia. La protezione dello zio Fabio, cardinale (➔), cugino di Clemente XI, gli facilitò l’acquisto di rarissimi reperti archeologici di cui andava arricchendo il suo museo. Ritornato a Pesaro nel 1735 non se ne allontanò più. Nel 1735 pubblicò il primo dei suoi numerosissimi testi a carattere antiquario e filologico. Nel 1737 uscì a Roma il suo lavoro sulle epigrafi pesaresi Marmora Pisaurensia notis illustrata, che ebbe grandi lodi dal Muratori e dal Maffei, e che fu arricchita dall’Abbati sino agli ultimi giorni della sua vita con scrupoloso puntiglio scientifico. Insieme a G.B. Passeri fu il primo a sostenere che le tavole Eugubine non erano scritte in etrusco ma in umbro. Tra le sue numerosissime opere storiche e antiquarie: Dissertazione sulla fondazione di Pesaro, Modena 1754, dove sostiene l’origine greca della città; Memorie del porto di Pesaro, 1774; Memorie di Gradara, terra nel contado di Pesaro, 1775; Memorie di Novillara, 1777; Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, 1785. Tra le opere di numismatica, Dissertazione sopra due medaglie sannitiche, Roma 1738, nonché molti altri saggi sullo stesso argomento. Per la sua vasta produzione in tutti i campi dell’antiquaria, Abbati era noto presso gli eruditi del suo tempo. Molti pezzi del suo museo sono oggi conservati nei Musei Olivierani di Pesaro. Abbruzzetti Valeria vedi Moriconi Valeria Accarigi Francesco (Giurista; n. Ancona verso il 1550, m. Pisa 4 ottobre 1622). Fu inviato giovanissimo allo Studio di Siena, ove ebbe come maestri Girolamo Benvoglienti e Celso Bargagli. Qui si laureò in legge il 12 giugno 1580 e, nel 1589, ottenne la cattedra di diritto. Nel 1593, dopo la morte del suo maestro Bargagli, fu promosso alla suprema “Cattedra Ordinaria di Legge”, che tenne per vent’anni. In questo periodo fondò a Siena l’Accademia degli Affilati con il motto “Acuimus: Acuimur”. Nel 1613 si trasferì a Parma e poi all’Università di Pisa dove ricoprì l’incarico di docente per quattro anni, sino alla morte. Fu sepolto a Pisa nella chiesa di S. Domenico. Acciaccaferri Pierantonio e Francesco (Intagliatori; San Severino Marche, sec. XVI). Poco si conosce della loro vita. Si sa che furono allievi ed aiuti di Domenico Indivini e di suo fratello Nicola, dopo la morte del maestro. Nel 1503 fu affidato a Pierantonio il compito di portare a compimento l’opera del fratello rimasta interrotta: il coro ligneo del Duomo di San Severino. Egli terminò nel 1513 questo lavoro in collaborazione con il figlio Francesco, anche lui intagliatore ed allievo dell’Indivini, come attesta l’iscrizione apposta: “Hoc chori Nicolaus Indivini Pierantonium Acciachaferri et filium faciendum curavit 1513”. I frammenti sono conservati nel civico museo di San Severino. Dell’A. e del figlio è anche il “Coro” della chiesa di S. Chiara a San Severino, che porta la data del 1511. Realizzato in collaborazione con il figlio è anche il “Crocifisso ligneo” sito nella cattedrale di 8 Annibale degli Abbati Olivieri 9 decadde. Fu anche critico e letterato, storico e grammatico e anche filologo di un certo rilievo, almeno a giudicare dai titoli e dai frammenti che di questi titoli ci restano. Tra essi: Didascalica, Pragmatica (andati interamente perduti), Annales (di cui ci sono rimasti alcuni frammenti in esametri sulle feste dell’anno), Praxidica (poema georgico perduto). Fu inoltre autore di epigrammi, poesie erotiche e di vario argomento, anch’esse perdute. S. Severino Marche. Nel 1526 eseguì anche la “Porta” e un “Tabernacolo” per il Palazzo Comunale della sua città. Si hanno sue notizie e del figlio Francesco sino al 1529. Il figlio di Francesco, Orazio, fu anche lui intagliatore. Insieme collaborarono alla realizzazione del “Coro” ligneo della chiesa superiore della Basilica di S. Francesco in Assisi. Acciaferri Anton Jacopo (Pittore; n. San Severino Marche, attivo XVI secolo). Ritenuto allievo del Pinturicchio, fu invece probabilmente alla scuola di Bernardino di Mariotto. Nel 1519, insieme al suo maestro, eseguì per il suo Comune alcuni stemmi e i “baculi” per la venuta del Legato. Si sa di un suo dipinto a tempera, andato disperso, rappresentante la Trinità ed eseguito verso il 1521 per la chiesa di San Francesco a San Severino. Era ancora vivo probabilmente nel 1525. Accorsoli Annibale (Militare; n. Cagli sec. XV, m. 1468). Cavaliere alla corte del duca Federico da Montefeltro a Urbino, comandava i balestrieri a cavallo. Nel 1456 combatté contro i fiorentini a Napoli. Morì nel 1456, corso in aiuto di Roberto Malatesta in difesa di Rimini. Aceti Antonio (Giurista; n. Fermo 1380, m. Fermo 1 settembre 1407). Conte di Monteverde, fu dapprima lettore a Fermo, poi lettore di diritto civile a Perugia. Nel 1386 fu podestà di Fermo di parte popolare, ma il primo novembre fu tra coloro che favorirono gli uccisori di Vanne Vanini. Acquistò tuttavia sempre più importanza nella sua città, che lo volle impegnare nella conquisa di Montegranaro. Nel 1395 ottenne che il “vessillifero” Antonio Jacobucci salvasse con lui la città minacciata di saccheggio dal conte di Carrara. Occupata Montegranaro, riuscì a farsela vendere per settemilacinquecento ducati. Per sedare l’insurrezione popolare cercò l’appoggio di Bonifacio IX che tuttavia assunse il potere lasciandogli il controllo della città. Segnò invece la fine del suo potere la venuta a Fermo di Andrea Tomacelli (fratello di Bonifacio IX) che vi stabilì l’autorità pontificia. Poco nota è l’attività dell’Aceti negli anni successivi. Egli non perdette però la benevolenza di Bonifacio IX il quale, nel 1401, lo nominò senatore di Roma. Successo a Bonifacio IX Innocenzo VII (1404), il Tomacelli dovette cedere la Marca al nipote del nuovo pontefice Ludovico Migliorati che entrò in possesso di Fermo nel 1405. Dopo circa due anni Migliorati, traendo pretesto dall’energica azione dell’Aceti in difesa della libertà dei priori cittadini, lo fece catturare la sera del primo settembre 1407 e poi decapitare. Due giorni dopo furono giustiziati anche i suoi figli Giovanni e Aceto. Acciarini Tideo (Umanista; n. Sant’Elpidio tra il 1430 e il 1440, m. dopo il 1490). Da giovane lo troviamo nel circolo dei Piccolomini, in particolar modo da Silvio, principe di Montemarciano. Per interessamento di Martino Nimira, dalmata di Arbe, ottenne l’ufficio di Rettore nelle scuole di umanità in varie città della Dalmazia, anzitutto a Spalato, dal 1469 al 1471, poi a Zara, verso il 1475, e infine a Ragusa, dal 1477 al 1480. Si trasferì poi a Cosenza e in altre città. Nel 1490 lo troviamo a Montesanto, nelle Marche, dopo di che mancano sue notizie. Insegnante ed educatore ricercatissimo, elegante poeta, desiderò e ottenne impieghi a corte, prima in quella degli Sforza, poi, forse, in Spagna, presso i sovrani cattolici, quale precettore del principe Giovanni delle Asturie. Tra le sue opere: Carmina, in lode dei principi Sforza; e De animorum medicamentis, dedicato ai sovrani di Spagna. Accio Lucio (Poeta latino, filologo, grammatico; n. Pesaro 170 a. C., m. 84 a. C.). Nato a Pesaro, colonia romana fondata quattordici anni prima della sua nascita, da Fulvio Nobiliore, era figlio di un liberto. Ebbe grande talento come poeta tragico e godé di molta rinomanza e fortuna presso i suoi contemporanei. Autore di molte tragedie di cui ci restano quarantacinque titoli. Sfruttò quasi tutti i cicli leggendari e adoperò liberamente grandi tragici greci e gli altri minori contaminandoli insieme nel corpo di una sola tragedia. Tra le sue opere, frequentemente ispirate ad argomenti di violenta tragicità: Atreo, Medea, Tereo, Prometeo, Agamennone, ecc. Scrisse anche due preteste, Brutus e Decius, andate perdute. Altro titolo rimastoci di Accio è l’Aeneadae. Tra le numerosissime tragedie da lui scritte ricordiamo alcuni titoli: Achilles, Troades, Hecuba, Clitemnestra, Atreus, Tereus, Prometheus, ecc. Nel giudizio degli antichi Accio si contendeva con Pacuvio il primato della tragedia, ma nell’età imperiale la sua fortuna Aceti De Porti Serafino (Serafino da Fermo) (Teologo; n. Fermo verso il 1496, m. Bologna 1540). Studiò prima a Fermo, poi a Padova. Tornato in patria, entrò nella Congregazione dei Canonici Regolari Lateranensi. Ordinato sacerdote nel 1527, iniziò una lunga serie di viaggi di predicazione in giro per l’Italia. La mistica di Serafino dipende da Battista da Crema, egli insiste sullo svuotamento della volontà, sull’orazione interiore e sull’opera della grazia. La sua opera più importante è il Trattato della mental orazione (1543). Molti suoi scrit10 Tra i suoi drammi (per i quali riceve nel 1963 il “Premio Betti”) Daccapo, 1964, L’invenzione della croce, 1964, Il segno, 1983. Ha pubblicato versi (Libertà clandestina, 1965, Il punto solidale, 1977, L’immagine dissimile e altri poemetti, 1981, I lampadari, 1984, Amici necessari come angeli, 1991) che si richiamano ad una vena sperimentale vicina a Rebora, e un romanzo, Come la luce immobile e dovunque (Garzanti). Amico e sostenitore di Franco Scataglini (➔), fu uno dei suoi primi prefatori. Nel 1998 ha ricevuto il ciriachino d’oro del Comune di Ancona per la sua attività letteraria. La sua ricca biblioteca è stata donata alla Comunale di Ancona. ti sono dedicati alle istituzioni fondate da Mario Zaccaria (Problemi sull’oratione e Trattato brevissimo della conversione). Direttore di coscienza di grande sensibilità e di aperta formazione culturale, l’Aceti nelle sue opere è rivolto a contrastare soprattutto l’espansione luterana in Italia. Altri suoi scritti sono: Trattato della discretione; Breve dichiarazione sopra l’Apocalisse di Giovanni, Milano 1538 e Lo specchio interiore, Bologna 1539. Acqua Camillo (Biologo; n. Osimo 1863, m. Roma 1933). Fu insigne cultore di scienze biologiche, libero docente in fisiologia vegetale, autore di opere di larga risonanza su argomenti di biologia e scienza della bachicoltura, fu fondatore della prima stazione bacologica italiana ad Ascoli Piceno. Acquaticci Giulio (Letterato, erudito; n. Treia 1603, m. 6 giugno 1688). Fu autore di varie opere filosofiche, matematiche, politiche, drammatiche, letterarie. Fu socio dell’Accademia dei Catenati di Macerata e di quella Georgica di Montecchio (Treia). Tra le sue opere a noi pervenute quelle riguardanti gli studi di astronomia (altra disciplina nella quale si distinse), il trattato sopra il libro De coelo di Aristotele dal titolo In librum Aristothelis de coelo, dove pone questioni di carattere cosmico-filosofico. Scrisse un eruditissimo elogio di Macerata in latino dal titolo De Maceratentium origine, una tragicommedia in cinque atti dal titolo La Cratilde, ambientata in Islanda, e numerose altre tragedie, tra le quali: L’Aleandro, ambientata a Salamina, l’Assalonne e L’Alessandro. Vanno menzionati anche due componimenti musicali dal titolo Il figliol prodigo e L’Agostino trionfante. Scrisse inoltre La gioventù coronata, dramma allegorico; Il tempio pellegrino, ovvero il poema della Santa Casa, che riuscì a pubblicare tre anni prima della sua morte, è considerato il suo capolavoro. Una sua attività parallela riguarda la progettazione e la realizzazione di propria mano di originali cannocchiali per l’osservazione degli astri. Acqua Filippo (Erudito, collezionista d’arte; Osimo 1737, m. XIX sec.). La storia non gli ha tributato particolari attenzioni. Il suo nome, dopo la morte, subì la sorte di svanire nel nulla o quasi sino alla recente riesumazione. Fu amico e contemporaneo di Luigi Lanzi (➔) che può considerarsi il fondatore della moderna storiografia artistica italiana. Questi ricorda nella sua prestigiosa opera l’Istoria pittorica l’Acqua quale possessore di una Sacra Famiglia di Dosso Dossi e di un Battesimo di Cristo di Sebatiano Filippi. In verità la sua raccolta d’arte doveva essere abbastanza eterogenea, ma è proprio nel campo del disegno antico che essa può essere annoverata fra le più importanti delle Marche, in special modo, per la presenza di un folto gruppo di disegni di scuola bolognese. A Bologna nel 1995 è stata promossa un’importante mostra di disegni emiliani dei secoli XVII-XVIII provenienti dalla Pinacoteca di Brera che raccoglie gran parte dei fogli riconosciuti più tardi provenienti dalla collezione Acqua. Adami Annibale (Scrittore; n. Fermo 1626, m. Roma 1706). Gesuita, professore al Collegio Romano. Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo: Seminarii Romani Pallas porporata, biografie di trentuno ex alunni cardinali, e La Spada di Orione, raccolta di elogi di militari, pubblicata sotto lo pseudonimo Primo Damascino e dedicata a Luigi XIV. Tradusse inoltre alcuni testi edificanti. Acqua Vincenzo (Vescovo; n. Osimo 1 maggio 1693, m. Spoleto 31 marzo 1772). Patrizio osimano, studiò a Roma, dove praticò l’avvocatura. Fu uditore di nunziatura in Francia. Nel 1759 fu fatto vescovo di Spoleto. Acquabona Plinio (Poeta e drammaturgo; n. Ancona 1913, m. Ancona 4 settembre 2002). Inizia a comporre versi molto giovane (esordisce negli anni Quaranta su “Prospettive” di Curzio Malaparte) che gli valgono la stima di Mario Puccini (➔) e Ugo Betti (➔). Partecipa alla seconda guerra in Montenegro e nel clima del dopoguerra matura una formazione culturale e spirituale che lo porta alla conversione al cristianesimo che caratterizza e pervade tutta la sua opera, ispirata da una profonda sensibilità morale e religiosa. Scrive versi, romanzi, drammi, dirige rappresentazioni teatrali cui dedica tutto il tempo che gli resta libero da un modesto impiego. Adami Ignazio (Letterato; n. Fermo XVII secolo). Fratello di Annibale Adami (➔), servì tra le guardie della regina Cristina di Svezia. Pubblicò opere di carattere astrologico, tra le quali una Litosophiae, sive de virtute lapidum. Adami Lorenzo (Uomo d’armi; n. Fermo, m. XVII secolo). Fece parte della squadra ausiliaria romana agli ordini di 11 Camillo Acqua Giulio Acquaticci 12 blicati sotto il titolo Adriani et Fachet Psalmi vespertini omnium festorum. G. Bichi, cavaliere di Malta, inviata a rinforzo delle navi maltesi e veneziane di L. Mocenigo. Ebbe il comando del vascello “La corona d’oro”, partecipando nel 1657 a numerose azioni nei Dardanelli per la guerra di Creta. Introdotto a Roma presso la regina Cristina di Svezia dal concittadino Decio Azzolino (➔), divenne suo gentiluomo di camera e poi capitano della sua guardia svizzera. Primo ministro accreditato a Roma nel 1661, fu inviato dalla regina a Stoccolma dal 1665 al 1667, al fine di riordinare l’amministrazione e prendere contatti politici per prepararne il ritorno in Svezia. Non si conosce né il luogo né la data della sua morte, ma nel 1667 era ancora vivente. Affede Mario (Poeta dialettale, commediografo; n. Treia 1868, m. Macerata 1940). Collaborò a giornali quali “La democrazia”, “Il risveglio” e “La provincia maceratese”, dirigendo “Don Falcuccio” e “Piff Paff”. Riscosse molti consensi soprattutto per la sua capacità di raccontare con arguzia e in modo brillante i piccoli fatti della vita paesana. Tra le sue opere ricordiamo: Buzzere, vinnelle e frescacce (Macerata 1890), Cuscì pe’ ride (Macerata 1887), Lu mutilatu (Macerata 1922), L’apu e la rosa (Macerata 1926), Un giorno ai bagni, Una serata ai burattini. Suoi sonetti e componimenti sono stati pubblicati in vari periodici maceratesi. Compose inoltre commedie dialettali, alcune delle quali (Perché, perché Marì?, Zi Annetta, Lu core che parla, E se non partissi anch’io), più volte rappresentate con successo. Adami Luigi (Letterato; n. Fermo XVII secolo). Nobile fermano, fu capitano delle guardie della regina Cristina di Svezia a Roma. Scrisse Elogi di uomini illustri. Adamo (Beato; n. Fermo seconda metà XII secolo, m. Fermo 1209 o 1213). Dopo un periodo di vita solitaria, vestì l’abito di monaco benedettino presso il monastero di San Savino di Fermo, di cui fu eletto abate. Una volta morto, il suo corpo venne trasferito nella cattedrale fermana. È invocato contro l’epilessia. La festa si celebra il 16 maggio. Agabiti Augusto (Teosofo, giurista; n. Pesaro 7 gennaio 1879, m. Roma 5 ottobre 1918). Visse a Roma dove fu a capo del più cospicuo gruppo di teosofi italiani, insieme a Decio e Olga Calvari. Nel 1910 l’Agabiti e gli altri teosofi romani si distaccarono dalla società teosofica di Annie Besant aderendo, in un primo tempo, alla lega teosofica indipendente fondata nel 1909 a Benares, poi costituendosi in gruppo autonomo, con spiccate tendenze per la ricerca mistica. Fu collaboratore nonché direttore della rivista teosofica dissidente “Ultra”. Fu anche bibliotecario alla Camera dei Deputati. In numerosi suoi saggi si adoperò per la diffusione delle teorie teosofiche di E. Petrovna Blavatskij. Tra le sue opere: La sovranità della società, Roma 1904; Libero esame e settarismo nella società teosofica, Milano 1910; Vivisezione animale e umana, Roma 1911, con prefazione di R. Murri; L’umanità in solitudine, Roma 1914, con prefazione di L. Luzzatti. Adiuto Foscardo (Agostiniano; n. Fano XIII secolo). Entrato nell’ordine agostiniano, divenne diacono della chiesa di Fano, e nel 1244 vescovo di Fano. Nel 1251 fu nominato rettore della Marca anconitana e ricevette Innocenzo IV a Fano con grandi onori in occasione del suo passaggio. Nel 1255 fu visitatore generale della Toscana per il suo ordine. Adriani Cesandro (Collezionista; n. Castelfidardo XVII secolo). Nato a Castelfidardo da Camillo Adriani e da Lucrezia, dedicò i suoi interessi a costituire una ricca collezione di libri greci, arabi, documenti scientifici, quadri, tra i quali opere di Federico Barocci, che fu suo amico e che lo ritrasse. Agabiti Pietro Paolo (Pittore, architetto; n. Sassoferrato 1470 o 1465, m. Cupramontana 1540 ca.). Incerta è la data della sua nascita. Seguace di Cima da Conegliano, subì anch’egli l’influenza di Alvise Vivarini. La sua prima opera a noi nota è la Madonna tra i SS. Pietro e Sebastiano del museo di Padova (1497). Un documento comunale a Serra de Conti parla di un grave fatto di sangue accaduto a Sassoferrato nel quale si trovò coinvolto il giovane Agabiti. È forse questa dunque la data in cui Pietro Paolo, per salvarsi dalla giustizia, lasciò Sassoferrato e andò volontariamente in esilio. In quanto a date precise nella vita dell’Agabiti ce ne sono poche. Si desume che egli sia andato in Romagna e quindi nel Veneto. Tornò poi nelle Marche, a Jesi, nel 1496. Dopo il 1510 fu di nuovo a Sassoferrato, dove dipinse la tavola di Catobagli (1511) e, nel 1524, il San Benedetto di Santacroce di Sassoferrato. Nel 1531 si Adriani Francesco (Musicista; n. San Severino Marche 1539, m. Roma 16 agosto 1575). Fu maestro di cappella a San Giovanni in Laterano dal 1573 al 1575. Era anche uno dei cantori pontifici. Fu grande contrappuntista ed esperto compositore di mottetti, inni, salmi, ecc. Morì a soli trentasei anni e venne sepolto nella basilica dei Santi Apostoli in Roma. Produzione certa dell’Adriani sono un libro di madrigali a sei voci (Venezia 1568) e due libri di madrigali a cinque voci (Venezia 1570). Musicò inoltre due sonetti facenti parte di una Corona della morte dell’illustrissimo Annibal Caro, su versi del nipote del celebre scrittore. Sono attribuiti a lui anche i Salmi a quattro voci (Venezia 1567) pub13 ritirò nel convento francescano della Romita presso Cupramontana, ove morì. Per quanto riguarda la sua formazione artistica, si formò sugli esempi di scuola veneta, poi fu preso dalle nuove maniere importate dal Lotto, dal Palmezzano e altri. Delle molte sue opere ricordiamo: la Natività (1511) nella chiesa di Santa Maria del Piano in Sassoferrato; la Madonna in trono tra i SS. Fortunato e Giovanni Battista (1519-1521) nella chiesa di San Fortunato presso Sassoferrato; la Madonna in trono tra i SS. Francesco e Antonio da Padova e la Rappresentazione delle Stimmate di San Francesco (1538) nella Pinacoteca di Jesi. Delle sue opere di architettura, di cui fanno cenno alcuni studiosi, non rimangono che le piccole logge di un palazzo di Sassoferrato, lavoro da collocarsi attorno al 1525. Esperienza determinante per quanto riguarda la sua ulteriore maturità artistica fu l’incontro nelle Marche con le opere che Antonio Solario eseguì a Fermo, Macerata, Osimo e in altri centri del piceno. Oltre le già citate, altre sue opere, datate e firmate, sono: Vergine con bambino, San Marco e Santa Maria Maddalena (1511; Museo civico di Sassoferrato); Vergine in trono con Bambino, San Giovanni Battista e San Girolamo (collezione privata milanese); Vergine in trono con Bambino, San Giovannino e Santa Caterina (1522; collezione George Eneil, Montreal); Madonna in trono con Bambino e santi (1528; Pinacoteca civica di Jesi); Predella con Natività, Adorazione dei Magi, San Girolamo, San Sebastiano e San Rocco (1528; Pinacoteca civica di Jesi); Madonna con Bambino, San Lorenzo e San Demetrino (1530; Abbadia di San Lorenzo in Campo); Natività (1534; Museo cristiano di Esztergom, Budapest). Molti di questi dipinti testimoniano chiaramente - così come il San Francesco che riceve le stimmate, del 1528, alla Pinacoteca comunale di Jesi - l’intricata formazione dell’artista, influenzato da molti pittori quali il Cima, il Palmezzano, il Crivelli, nonché il Signorelli, con il quale l’Agabiti lavorò a Jesi dal 1507 al 1510. quale veniva designato erede il nipote Francesco M. I della Rovere, che lo inviò come ambasciatore da Giulio II a chiedere la ratifica della successione e il pontefice lo creò cavaliere dello Speron d’Oro. Agatoni De’ Maschi Dionigi (Uomo politico; n. Urbino verso il 1465, m. Urbino verso il 1525). Compiuti gli studi di legge a Padova, esercitò la magistratura in patria. Quando, nel 1502, Cesare Borgia assalì il Ducato di Urbino, Agatoni mise in salvo Guidobaldo da Montefeltro conducendolo prima a Monte Copiolo, poi a Sant’Agata, quindi a Meldola (allora possesso veneziano) e di lì a Ravenna e a Venezia. Dopo la congiura della Magione e il ritorno di Guidobaldo, Agatoni fu eletto gonfaloniere di Urbino e in tale veste, dopo la strage di Senigallia e la seconda fuga del duca, fu mandato presso il Valentino a trattare. Fu poi riconfermato alla magistratura e rimandato a Urbino perché inducesse i concittadini all’obbedienza (1503). Dopo il crollo dei Borgia e la restaurazione feltresca fu ancora confermato gonfaloniere della sua città. Alla morte di Guidobaldo (1508), lesse nel Duomo il testamento del duca, con il Agostini Camillo (Astronomo; Cartoceto (Pesaro), sec. XVI). Fra i suoi studi va ricordata l’opera Degli orbi celesti stampata a Pesaro nel 1582. Agnelli Giuseppe (Patriota; n. Urbino 13 novembre 1792, m. Ferrara 5 aprile 1856). Si laureò in legge a Ferrara. Nel 1812 divenne luogotenente dell’esercito del Regno Italico, nelle cui file rimase fino al 1814. Seguì G. Murat nella campagna del 1814-15 e alla caduta del Regno Italico si trasferì a Ferrara, dedicandosi alla professione legale. Nel 1831 fu membro del governo provvisorio e riordinò la Guardia Nazionale di cui fu colonnello. Nel 1849, quando Ferrara fu investita dalle truppe del maresciallo Haynan, con altri cinque cittadini si offerse in ostaggio per salvare la città dal bombardamento. Trasportato nella fortezza di Verona vi rimase prigioniero fino al 5 maggio dello stesso anno. Agostinelli Cesare (Anarchico; n. Ancona 30 ottobre 1854, m. Ancona 23 aprile 1933). Fu uno dei più noti esponenti anarchici della città. Nel 1880 aderì al Circolo di studi sociali di Ancona e, nel 1882, fu processato per aver preso parte a dimostrazioni a favore di A. Cipriani. Emigrò poi in Argentina con Malatesta. Rientrato nel 1887, riprese l’attività politica collaborando ai giornali “Il paria”, “Il libero patto”, “La campana”. Nel 1897 fu di nuovo arrestato e tradotto a Ponza, quindi processato ad Ancona per reati di stampa. Nel 1908 fu tra i collaboratori del giornale socialista-anarchico “Vita operaia”, dello “Sprone” e del settimanale “Volontà” uscito ad Ancona nel 1913 sotto la direzione del Malatesta. Dopo la “settimana rossa” del giugno del 1914, alla quale prese parte, dovette esulare. Alla fine della prima guerra mondiale si trasferì a Milano dove partecipò alla fondazione del periodico “Umanità nova”, seguitando la sua attività politica nel campo anarchico. Agostini Francesco (Pittore, scultore; n. Fabriano fine XV secolo, m. forse a Roma). Scrisse un trattato sulla pittura, oggi perduto nel quale discuteva di “tutte le qualità, le virtù et i vitii de l’arte, e de gli Artefici”. Come attestato da epigrafi ora scomparse, costruì e restaurò a sue spese due fontane di Fabriano: una nella piazza del Mercato (1519), l’altra presso Sant’Antonio (1559). Delle sue pitture, un San Girolamo, già nella collezione Fornari, è firmato e datato 1565. Nello stesso anno lo troviamo a Roma citato come perito in un trattato del 1566, relativo all’esecuzione della statua di Paolo IV (opera di Jacopo da Cassignola), in Santa Maria sopra Minerva. 14 Agostini Marcello (Letterato; n. Fano, verso il 1566-1646). Nacque da nobile famiglia e nel 1587 entrò nell’ordine della Compagnia di Gesù insegnando lettere, filosofia e teologia morale. Eccellente predicatore, fu ambasciatore dal re di Francia e scrisse Il teatro della continenza (Macerata, Salvioni 1623). Raccolse molte memorie antiche e storiche sulla città di Fano (Roma 1620 e 1641). Agostini Francesco Fabrizio (Letterato; n. a Cagli 7 luglio 1686, m. 9 febbraio 1761). Laureatosi all’Università di Perugia in diritto, fu podestà di Mondolfo nel 1714-15 e nel 1720 tenne il governo del marchesato di Vignola. Fu avvocato generale fiscale del cardinale Lante della rovere a Urbino e successivamente soprintendente delle cause criminali. Agostini Francesco Giuseppe (Matematico; n. Cartoceto, Pesaro, fine sec. XVIII). Forse parente di Camillo Agostini (➔). Fra le sue opere si ricorda uno Specimen geometriae (Fano 1746). Agostini Mezio (Compositore e direttore d’orchestra; n. Fano 12 agosto 1875, m. Fano 22 aprile 1944). Studiò al Liceo musicale di Pesaro con M. Vitali, C. Pedrotti, A. Vanbianchi, diplomandosi in pianoforte nel 1893 e in composizione nel 1894. Nel 1900 fu chiamato da Mascagni a coprire la cattedra di armonia nel Liceo musicale di Pesaro, cattedra che lasciò nel 1909, quando per concorso prese il posto di E. Wolf-Ferrari nella direzione del liceo musicale “Benedetto Marcello” di Venezia, incarico che tenne fino al 1940. Fu grande direttore d’orchestra, sia nel campo della musica lirica sia di quella concertistica. Fu anche ottimo pianista ed eseguì sue composizioni da camera insieme al Corti (violino) e a G. Crepax (violoncello). Scrisse, come i suoi colleghi della cosiddetta “generazione dell’80”, molta pregevole musica strumentale (sinfonie, suites, concerti, ouvertures, trii, quartetti, quintetti, pezzi per pianoforte e sonate varie). Notevole è il suo Trio in fa maggiore che vinse nel 1904 il primo premio al Concorso internazionale indetto dal periodico “Musica” di Parigi (tra i componenti la giuria, C. Debussy e P. Dukas), nonché una cantata A Rossini. Tra le sue opere liriche ricordiamo: Il cavaliere del sogno (1895), data per la prima volta a Fano nel 1897 e premiata al concorso Steiner di Vienna; Jovo e Maria (1896); La penna d’airone (1898); Alcibiade (1902); America (1904); Ombra (1907), rielaborata nel 1938 con il titolo La figlia di Navarra; L’anello del sogno (1928) e Lisa pazza per amore (1941). Abbandonò ogni attività nel 1940. Agostini Giuseppe (Pittore; n. Fabriano 1884, m. 1965). Pittore autodidatta attivo tra 1920 e 1940, ha dipinto vedute di Ancona postbellica. Agostini Ludovico (Letterato, poeta; n. Pesaro 6 gennaio 1536, m. Gradara 29 luglio 1612). Fu uno della lunga schiera dei petrarchisti del suo tempo. Avviato agli studi di legge a Padova, dovette fuggire per aver ucciso in duello un compagno di corso. Rientrato in Italia, riprese gli studi di legge a Bologna, dove si addottorò nel 1557. Ritornò poi a Pesaro. Tra il 1560 e il ‘69 si colloca una vasta produzione di versi di contenuto soprattutto amoroso, ma anche religioso, politico-religioso (canzone per l’elezione di Pio IV nel 1560, sullo schema della canzone all’Italia del Petrarca, e quella per l’elezione di Pio V del 1566). Gran parte del suo Canzoniere amoroso è dedicato alla cantante Virginia Vagnoli, senese (ben duecento composizioni poetiche). In seguito a numerose disgrazie familiari, il temperamento dell’Agostini divenne sempre più incline alla malinconia e alla meditazione religiosa. Divenne agente e uomo di fiducia di Paolo Maria della Rovere, continuando la sua produzione letteraria in versi e in prosa, scrivendo soprattutto contro gli infedeli (sonetti contro i Turchi nel 1570, vittoria di Lepanto nel 1571, ecc.). Nel 1582, dopo la morte del padre, lasciò Pesaro e si ritirò a Soria, iniziando un volontario esilio georgico durato quasi vent’anni. È questo il periodo più fecondo e più sereno della sua vita; ne è testimonianza l’opera Esclamazioni a Dio, venti soliloqui mistici. Ma l’opera sua maggiore è forse il dialogo L’infinito, in due libri, su riflessioni tratte da libri sacri. Nel 1590, dopo un viaggio in Palestina, si ritirò per un breve periodo presso il Cenobio Camaldolese di Fonte Avellana. Nel 1604 il duca Francesco Maria II della Rovere lo fece governatore della Rocca di Gradara, ove l’Agostini, seppur malato, trascorse gli ultimi anni della sua vita scrivendo. Quasi tutte le sue opere sono inedite. Le sue Rime sono conservate nella Marciana e nell’Oliveriana di Pesaro; altre si trovano nella Biblioteca Vaticana. Agostini (Augustini) Pietro Simone (Compositore; n. Monte Baroccio, Pesaro, prima metà XVII secolo, m. Parma 1 ottobre 1680). Per un breve periodo visse a Urbino e nel 1660 cercò, senza riuscire a ottenere l’incarico, di dirigere la cappella del duomo. Visse quindi a Milano dal 1669 al 1670 e dal 1674 al 1679 fu maestro di cappella all’Oratorio del SS. Crocifisso di Roma. Quando Ranuccio II Farnese gli affidò la direzione della cappella ducale, si trasferì a Parma, dove poi diresse anche la cappella della Chiesa della Steccata. Fu cavaliere dello Speron d’oro. Agostini Zamperoli Paolo Antonio (Letterato; n. Pesaro 22 novembre 1733, m. Como 29 novembre 1812). Membro di diverse accademie, fu oratore, poeta e studioso di antichità. Scrisse la storia della chiesa di Cagli e dei suoi vescovi. 15 dei Castelli, melodramma tragico in tre atti rappresentato per la prima volta e con buon successo al Teatro delle Muse di Ancona in occasione del carnevale del 1853. Divenne sacerdote nel 1780. Per aver giurato fedeltà al Dipartimento napoleonico, nel 1808, fu confinato dall’autorità ecclesiastica, durante la restaurazione, in un convento di Como, dove morì. Pubblicò diverse opere, tra le quali un Saggio di odi filosofico-morali (Pesaro 1765) e un Saggio sull’educazione cristiana (Urbania 1803). Alaleona Domenico (Compositore e musicologo; n. Montegiorgio 16 novembre 1881, m. Montegiorgio 29 dicembre 1928). Studioso della musica vocale dei secoli XVI e XVII, è tra i pionieri della musicologia in Italia. Fu anche compositore. Nell’opera Mirra (1913), che suscitò entusiasmi e polemiche e che venne rappresentata al teatro Costanzi a Roma nel 1920, applicò una nuova teoria armonica di sua invenzione, fondata sulla divisione dell’ottava in cinque parti uguali. Scrisse vari saggi di storia della musica, estetica musicale, musicologia, filologia musicale. Tra essi ricordiamo Studi sulla storia dell’oratorio musicale in Italia (1908). I suoi più noti saggi sono apparsi nel 1911 sulla “Rivista musicale italiana”. Insegnò estetica e storia della musica al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Nel 1926 fondò il gruppo dei Madrigalisti. Fece parte della “Giovane scuola d’avanguardia”. Molte sue composizioni sono di carattere vocale e corale, sinfonico e strumentale, spesso di tipo sacro. Nel 1923 pubblicò il Libro d’oro del musicista. È autore anche di importanti trascrizioni di musiche antiche, ha pubblicato impegnativi lavori di letteratura musicale in Italia e, oltre al già citato Libro d’oro, rilevanti scritti su Emilio de’ Cavalieri sul “Cicalamento delle donne al bucato” di Striggio, sulle “Laudi spirituali” e altri studi di carattere tecnico. Fu anche critico d’arte musicale e collaboratore di importanti quotidiani e riviste. Agostino d’Ancona vedi Trionfi Agostino Agostino da Ascoli (Teologo; Ascoli Piceno XIII secolo). Agostiniano, maestro di teologia, reggente dello studio di Padova, confessore apostolico. Fu anche autore di commentari sulla Fisica di Aristotele e sulle Sentenze di Pier Lombardo. Agostino da Montefeltro (al secolo Luigi Vicini) (Oratore sacro, patriota; n. Sant’Agata Feltria, Pesaro, 1 marzo 1839, m. Marina di Pisa 10 aprile 1921). Sacerdote secolare, canonico e, dal 1871, francescano, fu grandissimo predicatore. Destò un vero fanatismo ovunque predicasse, pronunciando orazioni che fecero clamore. Predicò nel Duomo di Pisa, al San Carlo al Corso in Roma, a Firenze, Bologna, Torino, Milano e in altre città d’Italia, dove pronunciò le sue forbite e travolgenti orazioni di fronte a studiosi, scienziati e schiere di popolo entusiasta. Parlava con oratoria elegante e dotta, ma anche appassionata di fervente patriottismo. Fuggito da Sant’Agata Feltria, soggetta al dominio papale, si arruolò nei “Cacciatori delle Alpi”. Fu ferito e a Fermo passò nell’esercito del generale Fanti. Seguì poi Garibaldi in Sicilia. A Milano combatté da eroe e fu fatto sottotenente sul campo. Gravemente ferito al Volturno, fu promosso capitano per il suo valore. Alaleona Giovanni Battista (Erudito; Macerata XVI-XVII secolo). Fu maestro delle cerimonie pontificie sotto Paolo V e appartenne all’Accademia dei Catenati. Sue opere furono: Oratio de Deo Trino et Uno habita ad Paulum V Pont. Opt. Ma. in Sacello vaticano (Roma 1606) e Relazione del Solenne Apparato fatto dai Signori della beatissima Vergine Assunta di Roma per l’oratione delle quaranta ore (Roma 1608). Compose inoltre discorsi sacri e un sermone in lode di San Carlo Borromeo. Agricola Filippo (Pittore, mosaicista; n. Urbino 1776, m. Roma 1857). Viene ricordato soprattutto come mosaicista. Fu allievo di G. Landi e di V. Camuccini. Dal 1840 fu direttore dello Studio vaticano del mosaico; dal 1843 Ispettore delle Pubbliche Pitture e, dal 1854, Presidente dell’Accademia di San Luca. Fu tra i più apprezzati esponenti del tardo neoclassicismo romano. Lavorò molto a Roma dove eseguì, con N. Consoni, i cartoni per i mosaici della facciata della Basilica di San Paolo fuori le mura. Agricola fu inoltre pittore e scultore, anche se di secondo piano. Come pittore ricordiamo il ritratto da lui eseguito a Costanza Perticari, ora alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma. È sua anche l’Addolorata nella chiesa della Beata Lucia a Narni. Alaleona Giuseppe (Letterato, giurista; n. Macerata 1670, m. Padova 1749). Studiò con P. Maffei e frequentò le lezioni di Francesco Manardi, laureandosi in giurisprudenza a Macerata nel 1689. Nel 1700 ricevette l’incarico di insegnare istituzioni nello stesso ateneo. Fu luogotenente di monsignor Vidman, governatore della Marca, e nel 1718 fu eletto uditore di Rota a Perugia. Dal 1721 insegnò anche presso l’Università di Padova, dove per sette anni insegnò istituzioni, quindi diritto cesareo. Fondatore della colonia arcadica Elvia di Macerata, per la quale prese il nome di Rosindo Lisiade, ne fu vice-custode. Fu ascritto ai Catenati, all’accademia dei Filergiti di Ajudi Egidio (Compositore; n. Fossombrone 1 giugno 1820, m. Fossombrone 7 agosto 1898). Musicista compositore, accademico di Santa Cecilia in Roma, nonché insegnante al Conservatorio di Bologna. Tra le molte opere liriche da lui scritte ricordiamo Igenia 16 critico cinematografico. Nel 1940 firma la sua prima sceneggiatura: Incanto a mezzanotte con la regia di M. Saffico. La sua carriera prosegue negli anni del dopoguerra durante il quale crea un vero e proprio sodalizio artistico con il regista Mario Costa. In qualità di sceneggiatore Albani Barbieri scriverà in totale undici film tra i quali Anna perdonami, Pietà per chi cade, La mina, Avventura in città e Battaglie sui mari mentre come attore va ricordata la sua interpretazione, nel ruolo di Paolo, in Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica. Forlì e a quella dei Ricovrati di Padova, della quale fu anche principe. Fu amico di Apostolo Zeno. Tra le sue numerose opere: La valgiatura tra Bajone e Ciancione mugnaj, della lettera toccante le considerazioni sopra la maniera di ben pensare... (stampata a sua insaputa a Lucca nel 1711), Orazione e varie poesie sopra Violante Gran Principessa di Toscana (Macerata 1714), Praelectrio ad tit. Institutionum de Haereditatibusquae ab intestato deferuntur (Padova 1728), Dissertazione istorico-legale recitata nell’Accademia de’Ricovrati di Padova in tempo del suo Principato, l’anno 1737, Dissertazioni, ecc.a profitto de’giovani studiosi della ragion civile (Padova 1741), varie Rime. Albani Gianfrancesco (Clemente XI) (Papa; n. Urbino 23 luglio 1649, m. Roma 19 marzo 1721). Lo zio materno Girolamo Mosca lo indirizzò alla carriera ecclesiastica. Dopo aver frequentato a Roma il Collegio romano, nel 1668 si laureò a Urbino in diritto, ma anche in filosofia e teologia. Nel 1670 divenne, a Roma, canonico di San Lorenzo in Damaso. Nello stesso tempo si introduceva nell’ambiente intellettuale romano, godendo, tra gli altri, la stima incondizionata della regina Cristina di Svezia. Nel 1677 Innocenzo XI lo fece referendario delle due segnature. Nel 1683 fu nominato vicario e giudice di San Pietro e in seguito ottenne la segreteria ai Brevi. Nel 1690 Alessandro VIII lo fece cardinale. Morto Innocenzo XII (27 settembre 1700), il 23 novembre 1700 fu eletto papa con il nome di Clemente XI. Se da un punto di vista politico, sia nelle relazioni con la Spagna che con la Francia, il pontificato di Clemente XI si può dire sia stato un susseguirsi di incertezze e di fallimenti, ben diverso fu invece il peso della sua azione papale nella sfera più strettamente religiosa e dogmatica. Il suo avvento segnò l’inizio di un progressivo irrigidimento della curia romana nel perseguire i giansenisti. Il suo pontificato fu infatti caratterizzato soprattutto dalla famosa questione “giansenista” in Francia. L’Albani, ormai consapevole che dietro a P. Quesnel non c’era più soltanto una ristretta pattuglia di teologi, ma un potente movimento ben organizzato all’interno della chiesa, si decise alla più assoluta inflessibilità. Nel 1705 emanò la bolla Vineam Domini contro di essi, a conferma delle costituzioni dei suoi predecessori Innocenzo X e Alessandro VII e in dura opposizione al silenzio ossequioso della dottrina di Giansenio. Nel 1713 fu emanata una nuova bolla, Unigenitus dei filius, contro le proposizioni contenute nel libro giansenista di Pascasio Quesnel: Les reflexiones morales. Ancora, nel 1716, il papa, la cui infallibilità veniva messa in dubbio dai teologi giansenisti, fu costretto a riaffermare in un concistoro il valore del supremo magistero papale. Altra famosa questione religiosa che ebbe il suo svolgimento critico durante il pontificato di Clemente XI, fu quella dei riti cinesi e malabarici, contro i quali si scagliò il Tournon, che ne decretò l’inammissibilità (1704), conquistandosi così la porpora cardinalizia nel 1707. In campo politico, Clemente XI cercò di mantenersi sempre neutrale Alam Bert vedi Amadio Lampo Albani Alessandro (Ecclesiastico, diplomatico, collezionista d’arte; n. Urbino 1692, m. Roma 1779). Nipote di Clemente XI, fu inviato a Vienna nel 1720 per trattare la restituzione di Comacchio occupata dagli austriaci. Nel 1721 fu fatto cardinale e poi bibliotecario del Vaticano. Fu ambasciatore d’Austria a Roma, protettore del Regno di Sardegna e degli Stati ereditari della Casa d’Austria e dell’Impero. Mecenate e amico del Winckelmann, da lui ereditò ricche collezioni che, con altre opere d’arte e cimeli dell’antichità, accolse nella celebre villa Albani (museo di villa Albani), da lui costruita nel 1758, in via Salaria a Roma. Il museo fu arricchito di quadri notevoli, dal XV al XVIII secolo, dai successori del cardinale Albani. Nella seconda metà del secolo scorso la villa con la sua raccolta d’arte passò in proprietà ai Torlonia. La biblioteca Albani, da lui fondata, costituisce anch’essa un’iniziativa di rilievo. Con le librerie del cardinale Nerli, di F. Cesi e dei disciolti Lincei, essa passò poi in parte nella biblioteca di Montpellier. Il resto andò diviso nel 1857, previa catalogazione, tra la Biblioteca Vaticana, B. Boncompagni e il governo prussiano. Albani Annibale (Ecclesiastico, diplomatico; n. Urbino 1682, m. Roma 1751). Nipote di Clemente XI, fu dapprima nunzio straordinario a Venezia (1709) per procurare la pace tra l’impero austriaco e gli stati tedeschi. Nel 1711 fu fatto cardinale. Fu poi segretario dei memoriali e camerlengo di santa romana chiesa. Nel 1730 fu consacrato vescovo di Sabina. Fu anche sottodecano del S. Collegio e Vescovo di Porto e di Santa Ruffina (1730). L’Albani si adoperò molto in sede diplomatica per far riconoscere dalla Santa Sede Augusto II re di Polonia. Inoltre pubblicò le bolle e i brevi dello zio come anche il pontificale Romanum Clementis XI auctoritate recognitum (1720). Albani Barbieri Alberto (Sceneggiatore, attore, critico cinematografico; n. Ancona 22 maggio 1907). Dopo la laurea in giurisprudenza collabora con giornali e periodici come 17 Gianfrancesco Albani (Clemente XI) 18 diti; Famiglie nobili aggregate dal 1552; Raccolta dei decreti pubblici e risoluzioni della Congregazione del Buon Governo della Consulta e altri tribunali di Roma; Inventario generale di tutti i protocolli dei notari e altri libri e scritture esistenti nell’archivio apostolico; Memorie per la storia di Ancona (quarantasette fascicoli con riassunto delle delibere consigliari dal 1378 al 1789); Notizie historiche dei vescovi di Ancona. L’abate Antonio Leoni (➔), per accordo intervenuto, fruì dei manoscritti dell’Albertini per la redazione di sue pubblicazioni storiche. Le sue opere furono donate al comune di Ancona e intelligentemente riordinate dal nipote Giuseppe (1816-1865). spettatore della guerra di successione di Spagna. Ciononostante non furono poche in questi anni le controversie e le lotte politiche e militari tra i vari stati europei (Spagna, Austria, Italia, ecc.), che coinvolsero, pur nolente, il papa, il quale solo con la pace di Utrecht prima (1713) e con quella di Rastadt poi (1714), poté ritenersi libero dalle strettoie delle lotte dei potenti avversari europei. È degna di menzione anche la politica culturale di Clemente XI. Fondò un’importante sezione orientale presso la Biblioteca vaticana, con il reperimento di numerosi manoscritti di valore. Notevole fu anche la sua sensibilità per la salvaguardia del patrimonio artistico-archeologico di Roma. Cagionevole di salute fin dal 1710, Clemente XI morì a Roma nel 1721. Albertini Gioachino (Compositore; n. Pesaro 30 novembre 1748, m. Varsavia 18 aprile 1812). La sua fervida attività di compositore si svolse ed ebbe grande fortuna prima in Italia, poi in tutta Europa e soprattutto in Polonia (1777). La sua opera lirica Circe, considerata uno dei suoi capolavori, fu molto rappresentata in Italia, dove fece il giro dei maggiori teatri della penisola, e all’estero, ove altrettanto se la contesero i più importanti teatri d’Europa. Fu direttore del teatro privato del principe Radzwill a Varsavia e a Nieswier. Nel 1782 divenne direttore d’orchestra alla corte del re Stanislao Augusto. Nel 1786 tornò a Roma ove insegnò canto e nello stesso tempo fu al servizio del principe Stanislao Poniatowski, nipote del re, il quale gli fece ottenere una pensione nel 1795. Nel 1804 tornò a Varsavia, dove morì. Tra le sue molte opere composte ricordiamo: La cacciatrice brillante (Roma 1772); Przyjazd pana (Varsavia 1781); Don Giovanni; Il maestro di cappella (Varsavia 1783); Virginia (1786); Scipione l’Africano (Roma 1789); La vergine vestale (Roma 1803). Albani Orazio (Diplomatico; n. Urbino 1576, m. Roma 1653). Fu ambasciatore a Roma per trattare la devoluzione degli stati ducali di Urbino alla sede apostolica. Fu senatore di Roma dal 1633 al 1645. Lo possiamo considerare il capostipite della famiglia Albani, originaria dell’Albania, che ebbe come primo esponente, insediato a Urbino nel 1464, tale Michele Lazii, i cui figli assunsero il nome di Albani. Tale famiglia iniziò appunto con Orazio a Roma la sua rapida ascesa. Alberti Costanzo (Pittore; n. Macerata 1751). Operò con molta probabilità prima a Fermo, quindi a Macerata, dove compare nelle opere della biblioteca comunale e nel santuario della Misericordia. Alberti Giuliano (Pittore; n. Macerata inizio XVIII secolo, m. Macerata 1786). Dell’Alberti ci resta nella chiesa di San Filippo Neri a Macerata una tela raffigurante San Pietro che piange e gli affreschi dell’altare e del soffitto della sacrestia. Albertini Luigi (Giornalista, uomo politico; n. Ancona 19 ottobre 1871, m. Roma 29 dicembre 1941). A Londra aveva studiato da vicino l’organizzazione del “Times”. Fece rapida carriera al “Corriere della Sera”, diventandone prima redattore con il fratello Alberto (➔), poi, nel 1898, amministratore, infine direttore nel 1900. Dotò l’azienda dei più moderni mezzi tecnici facendo del “Corriere” uno dei giornali più autorevoli e diffusi d’Europa, prendendo posizione indipendente su tutti i problemi politici e sociali. Fu grande interventista nel 1915, liberale, di tendenza piuttosto conservatrice, favorevole agli accordi con la Jugoslavia dopo la prima guerra mondiale. Fu avversario intransigente del fascismo che combatté anche in Senato, del quale era entrato a far parte nel 1914. Nel novembre del 1925 fu estromesso dal “Corriere” insieme al fratello; si dedicò allora agli studi storici e alla bonifica dei suoi terreni a Torrimpietra, vicino Roma. Tra i suoi scritti ricordiamo: La questione delle otto ore di lavoro (tesi di laurea, Torino 1893); Le origini della guerra (Torino 1943); In difesa Albertini Alberto (Giornalista; n. Ancona 1879, m. Napoli 1954). Fu redattore del “Corriere della Sera”, poi condirettore dello stesso (1920) assieme al fratello Luigi (➔). Nel 1925 furono entrambi allontanati dal giornale per atteggiamento ostile al fascismo. Tra i numerosi suoi scritti ricordiamo una pregevole Vita di Luigi Albertini. Albertini Camillo (Erudito; n. Ancona 1741, m. Ancona 1824). Scrittore, funzionario al municipio di Ancona nel 1762, cancelliere nel 1781 giubilato nel 1809. Continuò gratuitamente nel compito di archivistaprotocollista comunale. Appassionato studioso, di sentimenti apertamente papalini, ordinò sistematicamente il materiale archivistico municipale. Lasciò alcune opere manoscritte, fra cui Storia di Ancona dal 282 a.C. al 1824 in ventisette volumi ine19 l’accentramento del potere, avvenuto attraverso una politica antisignorile. In campo politico Clemente VIII ottenne numerosi successi, come la riconciliazione con Enrico IV, il recupero di Ferrara, alla morte di Alfonso II, la mediazione per raggiungere la pace di Vervins (1598) e quella di Lione. Ma in lui l’interesse strettamente religioso ha sempre avuto una forte preminenza su quello politico-ecclesiastico. Nell’ambito della riforma tridentina, peculiare importanza rivestono nel suo programma pastorale le edizioni della Vulgata e dei più salienti libri liturgici, portati a termine sotto il suo pontificato, l’apertura verso i cristiani separati, nonché l’evangelizzazione missionaria, allargata da Clemente VIII alle aree europee passate alla riforma. Si preoccupò anche dell’ortodossia e della sua tutela. Nel 1593 esce un nuovo indice dei libri proibiti. Ma ciò per cui Clemente VIII è rimasto più tristemente famoso è la condanna capitale ordinata contro Beatrice Cenci e Giordano Bruno (1600). A partire dal 1595, infatti, più di trenta furono le condanne capitali per eresia fatte eseguire. della libertà (Milano 1947); Venti anni di vita politica (Bologna 1953). Di questi, gli ultimi due sono stati pubblicati postumi. Aldobrandini Cinzio (Cardinale; n. Senigallia 1551, m. Roma 1 gennaio 1610). Figlio di Giulia, sorella di Clemente VIII Aldobrandini e di Aurelio Personeni, ottenne di poter assumere il cognome dello zio. Dopo aver studiato a Roma e a Perugia, nel 1578 si addottorò a Padova. Tornato a Roma restò a fianco dello zio Ippolito che accompagnò anche in Polonia. Quando Ippolito, nel 1592, fu assunto al pontificato, fu prescelto come segretario di Stato. Nel 1593 fu fatto cardinale e gli venne affidato il governo di Spoleto. Nel 1598 accompagnò Clemente VIII a Ferrara, riammessa agli Stati Pontifici, ove dovette assistere al trionfo del cugino Pietro che aveva acquistato nuovo prestigio agli occhi di Clemente VIII. Indispettito, dovette fuggire a Venezia e in seguito a Vicenza e a Chioggia. Nel 1599 si lasciò convincere a ritornare a Roma, dove riassunse le funzioni di Segretario di Stato, nonché la prefettura della Segnatura di Giustizia. Dopo la morte di Clemente VIII, schieratosi a favore di Alessandro de’ Medici (Leone XI), fu eletto penitenziere maggiore. In seguito assunse il titolo diaconale di San Pietro in Vincoli, chiesa nella quale fu sepolto dopo la morte. La sua abitazione romana fu centro di un’Accademia letteraria e artistica ove trovò ospitalità anche il Tasso, da lui protetto, il quale gli dedicò nel 1593 la Gerusalemme Conquistata e il dialogo Delle Imprese del 1594. Alla morte del poeta ne ereditò tutti gli scritti. Aleandri Alessandro (Giurista, letterato; n. Bevagna, Macerata, 15 agosto 1762, m. Bevagna 17 agosto 1838). Compiuti gli studi di diritto, si dedicò a ricerche di economia e di storia locale e assolse inoltre incarichi amministrativi in varie località dello Stato Pontificio. Proclamata la Repubblica Romana, fu nominato dai francesi prima senatore, poi segretario del Senato (1798) e presidente (1799), partecipando attivamente ai lavori legislativi dell’assemblea. Nello stesso anno fu nominato console nonché presidente del Consolato. Dopo la caduta della Repubblica si ritirò a vita privata, ma nel ristabilito Stato Pontificio divenne governatore di Bevagna, di Jesi, di Todi e assessore di Perugia. Fra i suoi scritti di agricoltura ed economia Dell’Ingrandimento dell’agricoltura e delle arti nello Stato Pontificio, nel quale proclamava la necessità di risanare a fondo le paludi pontine e ripristinare nella sua antica efficienza il porto di Terracina. Aldobrandini Ippolito (Clemente VIII) (Papa; n. Fano 24 febbraio 1535, m. Roma 3 marzo 1605). Della sua giovinezza non sappiamo quasi nulla. Nel 1569 fu uditore di Rota al posto del fratello Giovanni. Grazie all’appoggio del corregionale Sisto V (➔), pur non avendo particolari doti, né molte esperienze tanto in campo politico quanto in quello religioso, nel 1585 raggiunse i vertici della carriera ecclesiastica venendo eletto cardinale. Le favorevoli disposizioni di Sisto V gli vennero poi riconfermate nel 1586, quando fu nominato sommo penitenziere e, soprattutto, nel 1588, quando venne designato come legato a latere in Polonia. Dopo la breve parentesi del pontificato di Urbano VII e di Gregorio XIV venne eletto papa il 30 gennaio 1592. Falliti i tentativi di eleggere un candidato di Filippo II, anche la Spagna finì infatti per sostenere la sua elezione. In contrapposizione alla prontezza d’intuito e di decisioni di Sisto V, la caratteristica più saliente della personalità di Clemente VIII, che colpì molto i contemporanei, fu la sua pietà, esercitata spesso in modo quasi fanatico: digiuni, penitenze, ecc. Molte critiche gli procurarono all’inverso le sue eccessive attenzioni per i parenti, colmati di favori e di prebende, nonché Aleandri Ireneo (Architetto, ingegnere; n. San Severino Marche 8 aprile 1795, m. Macerata 6 marzo 1885). All’Accademia di San Luca di Roma fu discepolo di Raffaele Stern e di Giuseppe Camporese. Continuò e diffuse i canoni e le forme dell’architettura neoclassica con grandiosità e purezza. Divenne architetto del cardinale Benvenuti, vescovo di Osimo, nonché ingegnere pontificio per la provincia di Spoleto. Lavorò soprattutto nelle Marche e nell’Umbria. Era specializzato nella costruzione dei teatri. Tra essi ricordiamo quelli di San Severino (Teatro Feronia) del 1823, quello di Ascoli Piceno (Ventidio Basso) del 1841-46, quello di Spoleto (Teatro Nuovo), eseguito tra il 1854 e il 1864, e, più o meno dello stesso periodo, quello di 20 Ireneo Aleandri 21 Phenice (di argomento politico). Dimorò a Concordia, nel Veneto, fino al 1526. Gli ultimi suoi versi sono raccolti nell’Aurora (seconda edizione Bologna 1533). Del tutto particolare è stata la fortuna della sua Frottola alla pastorella, cui si deve soprattutto la sua fama. Sant’Elpidio, in provincia di Ascoli (Teatro Cicconi). Dal 1821 al 1829 costruì lo Sferisterio d Macerata, la facciata del palazzo comunale di Foligno (1850), l’ospedale di Treia, nonché il cimitero di San Severino Marche. Tra le sue altre opere più importanti: la Torre dell’Orologio a San Severino Marche; la Porta Romana nella stessa città; la Torre Campanaria di Otricoli, Terni; il restauro della Collegiata della stessa città. Ha progettato e costruito anche il palazzo dei principi Giustiniani-Baldini, che sorge sul lato del chiostro a destra dell’ingresso della Abbazia di Chiaravalle di Fiastra nei pressi di Tolentino. Alessandri Biagio (Medico; Corinaldo, Ancona, sec. XVI). Fu archiatra pontificio di Paolo VI (Gian Pietro Caraffa) nel 1556. Alessandrini Alessandro (Patriota e magistrato; n. Ancona 18 ottobre 1820, m. Catania 1° febbraio 1900). Laureatosi in legge a Ferrara, entrò giovanissimo nelle Società segrete, divenendo uno dei principali promotori delle scuole notturne ad Ancona. Volontario nella prima guerra d’indipendenza, combatté, nel 1849, come tenente nella difesa di Roma. Nel decennio successivo fu membro del Comitato nazionale per le Marche e, dopo il 1860, fu giudice del Tribunale di prima istanza ad Ancona, sostituto procuratore del Re a Macerata e Modena, procuratore del Re a Belluno, Chiavari e Genova e procuratore generale a Cosenza e Catania. Testimone attento e raccoglitore paziente di documentazione storica realizzò I fatti politici delle Marche dal 1° gennaio 1859 all’epoca del plebiscito, la cui pubblicazione iniziò nel 1865 per la “Rivista delle Marche e dell’Umbria” di G. Gabrielli (➔) ma fu per portata a termine postuma (Macerata, 1910), su impulso di G. Spadoni (➔). Aleandri Vittorio Emanuele (Storico dell’arte, San Severino Marche seconda metà del XIX secolo). Studioso della storia di San Severino, soprattutto per quanto riguarda i pittori locali. Alemanni Niccolò (Grecista, erudito; n. Ancona 10 gennaio 1583, m. Roma 24 luglio 1626). Studiò lettere latine e greche nel Collegio dei greci a Roma. La sua famiglia era di origine greca e volendo ritornare all’originaria patria, abbracciata la carriera ecclesiastica, si era fatto ordinare suddiacono da un vescovo di rito greco, ma poi passò al rito latino. L’Alemanni divenne celebre come maestro di greco. Tanto grande era la stima che i contemporanei ebbero di lui, che nel 1614, alla morte di Baldassarre Ansidei, fu incaricato della direzione della Biblioteca Vaticana e della direzione dell’Archivio Segreto di Castel Sant’Angelo. L’Alemanni svolse un’intensa attività di ricerche storiche, letterarie e antiquarie, tra cui ricordiamo la magistrale edizione principe di Procopii Caesariensis Anecdota... Arcana Historia (1623). Alessandrini, famiglia (Intagliatori; famiglia attiva a Montegiorgio, sec. XIX). Famiglia di artigiani intagliatori ed ebanisti attiva nel fermano nel sec. XIX. Noti Emidio (18181888), Nicola Antonio (1838-1898), Gaetano (18561926), Alfredo sen. (1870-1949), Raffaele (18771925), Nicola II (1900-1964), Arnaldo (1902-1984), Alfredo (1909-1988). Alessandri Baldassarre (Olimpo da Sassoferrato) (Madrigalista, musicista; n. Sassoferrato forse nel 1486, m. verso il 1539-40). È uno dei madrigalisti più noti della fine del XV secolo, periodo che segnò il trapasso dalle forme popolaresche a quelle madrigaliste di cui fu l’esponente più ragguardevole Pietro Bembo. Fa parte di un notevole gruppo di madrigalisti ai quali va annoverato il merito di aver distinto nel primo trentennio del secolo XVI la figura del poeta da quella del cantante-compositore. Del gruppo fanno parte anche Luca Dertonese, Sannazaro, Cariteo, Dragonetto e altri. Svolse la sua attività in prevalenza nella regione umbro-marchigiana, e soprattutto alla corte di Urbino. Scrisse i Sermoni (1519) e i Prohemii (1522), nonché libretti di rime amorose che egli stesso cantava accompagnandosi con il liuto. Appartengono a questo periodo l’Olimpia, la Gloria, la Camilla, il Lignaccio. Tra le opere pubblicate la prima volta con l’editore veneziano Maffeo Pasini, la Parthenia (ove denuncia il lusso e la corruzione del clero, la Pegasea e la Nova Alessandrini Federico (Giornalista; n. Recanati 5 agosto 1905, m. Roma 2 maggio 1983). Dirigente delle associazioni universitarie di azione cattolica, iniziò la sua attività giornalistica quale redattore dell’”Osservatore Romano”. Nel 1946 assunse la direzione in Roma del “Quotidiano”, organo dell’Azione Cattolica, che conservò fino al 1950. È stato condirettore dell’“Osservatore Romano”. Nel 1945 ha pubblicato il saggio I cattolici e il comunismo. Alfei o Alfeo Bartolomeo (Storico, letterato; n. Appignano, Macerata, 1460, m. Ancona verso 1557). Si avviò alla professione notarile, ma soprattutto all’insegnamento della letteratura. Già dal 1500 lo troviamo insegnante pubblico ad Ancona, dividendo gli interessi peda22 dell’Italia centrale, con particolare riguardo per la città di Spina (Comacchio), dirigendo anche i relativi scavi (1955-66) che hanno prodotto notevolissime documentazioni circa lo sviluppo insediativo dell’area e la sua funzione strategica nei commerci del mondo antico. gogici con Panfilo Sassi, l’Aquilano e il Tebaldeo. Dopo aver insegnato a Ragusa (1531-33), riprese l’insegnamento ad Ancona, ove morì assai vecchio. Curò la compilazione e la raccolta degli Statuti di Filottrano (1530) e di Appignano (1538). Ma l’interesse dell’Alfei per la vita politica del suo tempo è testimoniato soprattutto dagli Annali di Ancona dedicati ai maestri dell’università anconetana, rimasti inediti e giunti a noi attraverso il Cod. Ital. VII della Biblioteca Marciana di Venezia, nonché il Cod. B. Alfeo, Storia di Ancona (Archivio Comunale di Ancona). In quest’opera egli narra secondo lo schema cronachistico medievale la storia di Ancona dalle sue origini al 1555 circa, spesso ricorrendo a figure mitiche e favolose e accogliendo acriticamente le diverse fonti. Riguardo alle origini della città, l’Alfei accettò la versione di C. Pizzecolli (➔) divulgata dal Filelfo secondo cui la fondazione di Ancona sarebbe da attribuire all’imperatrice persiana Fede, discostandosi così dalla tradizione e riprendendo motivi, anche se leggendari, di provenienza umanistica. Algranati Cesare (Rocca d’Adria) (Giornalista; n. Ancona 1865, m. Bologna 1925). Noto con il pseudonimo di Rocca d’Adria, ebreo, verso i venti anni si convertì al cattolicesimo e per questo motivo fu diseredato. Nel 1890 cominciò a collaborare con periodici cattolici quali la “Libertà cattolica” di Napoli e “L’osservatore cattolico” di Milano. Nel 1892 fu chiamato a dirigere “L’Italia Reale” di Torino e qui si legò al Gruppo dei Giovani Cattolici Democratici del Piemonte pasando a dirigere nel 1897 il loro quotidiano “Democrazia Cristiana”. Molto forte fu la sua polemica contro il liberalismo, il giudaismo e la massoneria, in favore degli strati sociali più poveri. Ebbe grande successo il suo volume Come si diventa parroco d’azione cattolica. Lettera a un giovane sacerdote. Nel 1899 fu chiamato ad Ancona a dirigere il quotidiano “La Patria”. Nonostante il prestigio del giornale, l’ostilità crescente dei gruppi conservatori che lo finanziavano, lo costrinsero alle dimissioni. Si trasferì così a Bologna a dirigere “L’Avvenire” al quale diede un forte impulso cambiandone la testata in “L’avvenire d’Italia” nel 1902. Ispirava la sua azione giornalistica alle idee della Democrazia Cristiana e all’insegnamento del Toniolo. Alfieri Alessandro (Storiografo; n. Sassoferrato 1853, m. Sassoferrato 1911). Compì i suoi studi a Roma nel Seminario romano dove si laureò in filosofia, teologia e diritto. Fu prete e canonico. Insegnò nel seminario di Nocera. Le sue pubblicazioni storiche erano dedicate alla storia dell’Umbria. Fu anche poeta e novelliere. Tra le sue numerose opere storiche: Storia di Fossato di Vico (1900); La cronaca di Alessandro Borgia (1910); Frammenti storici (1909); L’umanista Giacomo Minutoli, pubblicata postuma da Antonio Castellucci nel 1913. Aliguccio Di Ciccarello vedi Olivuccio di Ciccarello Aliventi Oddo (Scultore; n. Sant’Angelo in Vado 1898, m. Roma 1975). Compie gli studi alla Scuola d’arte di Fano e, conclusa la prima guerra mondiale, si trasferisce a Roma, dove comincia a emergere con la partecipazione a diversi concorsi. Al 1931 risale il Lanciatore di palla, realizzato in marmo di Carrara per lo Stadio dei marmi al Foro italico, voluto da Mussolini. Nel 1936 viene inaugurato a Corridonia, già Pausola, il Monumento a Filippo Corridoni, il sindacalista socialista caduto nella prima guerra: Aliventi aveva vinto il concorso bandito per la realizzazione del monumento nel 1935 presentando due progetti. A pochissimi anni dopo risale l’esecuzione di quattro formelle in marmo al Ponte Duca d’Aosta a Roma con Il duca che arringa la folla, La morte di Filippo Corridoni, Il passaggio dell’Isonzo e La battaglia di Gorizia. Esegue opere anche nel paese natale per il duomo, dove è conservato il Monumento funebre al nunzio apostolico Torquato Dini e il busto di Pio XII. Negli anni Cinquanta, dopo una pausa, abbandona lo stile precedente maggiormente legato al novecentismo, per dedicarsi all’arte astratta. Alfieri Attilio (Pittore; n. Loreto 16 febbraio 1904, m. Milano 22 aprile 1992). Autodidatta, giovanissimo si trasferì a Milano. La sua attività ebbe inizio negli anni Trenta. Persico, Giolli, Carrà lo considerarono fin da allora uno dei maggiori innovatori della pittura moderna, in opposizione al “Novecentismo”. Per poter conservare la propria indipendenza artistica fece numerosi lavori di carattere pubblicitario. Proprio in questi lavori egli applica la tecnica del collage con grande arditezza formale, tecnica che la critica odierna vede come un’anticipazione di quelli che saranno i temi dell’informale, della popart e della mec-art. Alfieri Nereo (Archeologo; n. Loreto 3 novembre 1914, m. Ferrara 10 dicembre 1995). Laureatosi a Bologna nel 1937, ha operato presso le Soprintendenze Archeologiche delle Marche e dell’Emilia Romagna per poi ricoprire la cattedra di Topografia dell’Italia antica all’Università di Bologna dal 1966 al 1990. I suoi studi sono stati dedicati soprattutto alla rilevazione dell’antico insediamento romano 23 della Sala Maggiore di Palazzo Alessandrini di Offida, nonché gli affreschi decoranti le logge del Palazzo Benaducci a Tolentino. Ha eseguito inoltre una tela rappresentante il Transito di S. Giuseppe (chiesa di S. Catervo a Tolentino), e un Sacro cuore (Cappella del Carmine a Tolentino). Allegretti Carlo (Pittore; n. Monteprandone, Ascoli Piceno, 1554, m. forse Roma 1622). Ritornato, dopo la formazione a Venezia, nelle Marche, eseguì qui molti lavori. Essi sono connotati da un colorito molto acceso. Fra i suoi dipinti rimasti ricordiamo una Adorazione dei Magi e un Martirio di Santa Barbara (1608) nella chiesa di S. Agostino in Offida. Un’altra Adorazione dei Magi (1611), eseguita per la famiglia Quattrocchi, è nel duomo di Ascoli Piceno, opera che si può definire il suo capolavoro. Probabilmente è sua anche una Natività della Vergine nella Galleria Comunale di Ascoli Piceno. Allevi Giovanni (Medico; n. Offida 25 novembre 1870, m. Milano 6 giugno 1932). Si laureò in medicina a Bologna nel 1895 con una tesi sul saturnismo cronico. Nel 1915 ottenne la libera docenza in patologia del lavoro all’Università di Napoli, docenza che esercitò anche a Pavia e a Milano, dove tenne corsi di patologia del lavoro, malattie sociali, medicina sociale e professionale. I problemi del lavoro che lo interessavano come medico favorirono anche il sorgere di un preciso atteggiamento politico dell’Allevi che, sin da giovane, militò nel partito socialista. Ne sono testimonianza le sue pubblicazioni L’utopia riformista (1901) e Crisi del socialismo (Bari 1913). Fu vicino a F. Corridoni (➔) e alle posizioni del sindacalismo rivoluzionario. Allegretto di Nuzio (Pittore; n. Fabriano 1320 ca., m. Fabriano 1373). È il pittore più importante della scuola fabrianese anteriore a Gentile (➔). Fu in gioventù a Firenze (1346), poi lavorò a Fabriano e nei dintorni, istituendo una bottega artistica di molto credito. Priore della fraternita di Santa Maria del Mercato, lasciò nel testamento - che diede luogo a lunghe e gravi controversie - molti legati pii; partecipò anche alla vita del comune. Sentì gli influssi della scuola senese, ma con una fisionomia propria e originale, creando aggraziate immagini in una gioiosa ricchezza ornamentale. Sue opere principali si trovano a Fabriano: tavole nella pinacoteca civica, affreschi sulla vita di San Lorenzo nell’abside della cattedrale, affresche in Santa Lucia, affresco firmato in un’edicola di via San Filippo. Allevi Guglielmo (Archeologo, paleontologo, patriota; n. Offida 20 aprile 1834, m. Offida 30 aprile 1896). Fu affiliato alla massoneria. Studiò fisica e matematica a Macerata, legge a Bologna. Mentre frequentava il quarto anno di legge all’Ateneo bolognese si trovò implicato in agitazioni politiche e dovette ritirarsi nel suo paese abbandonando gli studi. Nel 1860 lo ritroviamo comunque fra i cospiratori della “Giovane Italia” nel comitato rivoluzionario di Offida. Fatta l’unità d’Italia, si diede all’insegnamento come professore di italiano, storia e geografia. Fu di idee repubblicane e pertanto fu sempre perseguitato dalla polizia politica e dovette riparare prima in Svizzera, poi in Germania, dove completò la sua educazione letteraria. Ad Heidelberg, in Germania, gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso quell’Università, ma, preso da nostalgia, ritornò in patria. Esordì prestissimo come poeta. Nel 1872 pubblicò a Lodi La gironda del montanino, divenuta poi Anni primieri, e altri testi poetici. Ma il suo maggiore interesse era per lo studio dell’archeologia, in particolar modo del territorio intorno ad Offida. Le sue scoperte vennero illustrate nei due volumi Offida preistorica e Tra le rupi del Fiobbo. Il Pigorini, grande etnologo, scrisse il suo necrologio. Fu membro dell’Accademia dei Lincei, che gli pubblicò alcuni importanti testi. Fu anche corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche e membro di importanti società storicoarcheologiche. Allegrini Francesco (Pittore; n. Cantiano, Pesaro, 1597 ca., m. Roma 1673). Iniziò lo studio dell’arte a Gubbio, perfezionandosi poi a Roma presso Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, prendendo molto dalle maniere del maestro. Lavorò soprattutto nella città umbra, tanto da essere chiamato pittore “eugubino”. In Roma affrescò la cappella di Sant’Antonio da Padova nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, nonché gli affreschi nella chiesa di San Marco e alcune volte del palazzo Pamphili (1655), e ancora eseguì alcuni dipinti nelle stanze del Sant’Uffizio. Negli ultimi anni della sua vita, sempre a Roma, dipinse alcune storie nelle Logge Vaticane, ma non le condusse a termine. Anche i suoi figli Flaminio e Angelica furono pittori, ma imitarono soprattutto il padre. Ad Angelica si attribuisce un quadro di Sant’Antonio nella chiesa di San Francesco a Gubbio. Allevi Alcide (Pittore; n. Offida 1831, m. 1893). Pittore che svolse la sua attività soprattutto in ambito locale, ha dipinto tra l’altro la volta del Teatro Serpente Aureo all’interno del palazzo comunale di Offida raffigurante Apollo e le Muse. Tra le sue principali realizzazioni le decorazioni del Teatro Comunale e Allevi Luigi (Teologo, umanista; n. San Ginesio 7 agosto 1873, m. Camerino 5 novembre 1954). Comunemente chiamato “il Professore” sentì ben presto grande 24 inventò la “proiezione ortografica della sfera” e quindi della sfera celeste. Nel 1604 fu reggente e professore di matematica e astronomia nello Studio di Verona e fu tra i primi ad osservare la stella “nova” che tante discussioni doveva suscitare tra gli astronomi del tempo. Lo stesso Keplero non escluse la possibilità che l’osservazione di questa stella da parte dell’Altobelli, che l’aveva avvistata al tramonto del 9 ottobre, fosse stata precedente a quella degli altri astronomi. Intorno a questa “nova” ebbe una fitta corrispondenza con Galilei. Per i suoi studi di astronomia costruì vari strumenti (quadranti, balestriglie, astrolabi, ecc.); compì inoltre studi sulla proiezione ortografica del percorso del sole. Ha lasciato molti trattati e opere di carattere scientifico, tra le quali: De proxima reipublicae venetae inclinatione ex astris coniectura (1607), De occultatione stellae Martis (1615), De nova stella; Genealogia seraphica, le famose Tabulae Regiae Astronomicae (1628). amore per la cultura classica, oltre che teologica e filosofica. Laureatosi nel 1895 in teologia a Macerata insegnò per molti anni lettere greche, scienze bibliche, teologia dogmatica e archeologia al Seminario di Camerino, mentre a Tolentino nel 1893 aveva avuto l’incarico di professore di botanica e zoologia. Pur condividendo le legittime aspirazioni dei lavoratori per una maggiore giustizia sociale, non si schierò mai con i seguaci di Carlo Marx. Collaborò attivamente alla fondazione dell’Azione Cattolica. Migliorò la formazione del clero con una intelligente riforma degli studi nei Seminari, promuovendo la diffusione della cultura classica e storiografica soprattutto delle Marche anche con numerosi articoli, studi e pubblicazioni nelle migliori riviste regionali e nazionali. Il suo nome è ricordato da Cesare Pavese nel suo libro Il mestiere di vivere. Almeri Giovanni Paolo (Compositore; n. Senigallia 17 agosto 1629, m. Senigallia 6 gennaio 1696). Sacerdote, a Venezia dal 1654 fu maestro di cappella del nunzio apostolico monsignor Boccapaduli. Tornato nella sua città natale, nel 1669 fu canonico e maestro di cappella del duomo. Pubblicò Motetti a voce sola (Venezia 1654) e Motetti sagri a 2 e 3 v. op. 2 (Bologna 1689). Amadei Amedeo (Compositore, organista, direttore d’orchestra; n. Loreto 9 dicembre 1866, m. Torino giugno 1935). Musicista assai versatile, fu allievo del padre Roberto. Studiò poi composizione all’Accademia Filarmonica di Bologna. Fu molto attivo come organista e maestro di coro, ma anche come direttore d’orchestra e di banda. Scrisse numerose composizioni per orchestra, banda, operette, pianoforte, ecc. Tra le operette ricordiamo: La favola della principessa e la piccola margherita, di fresca e gustosa ispirazione, e T’ las mai fair parei, che ebbe a Torino trecentoventicinque rappresentazioni consecutive. Altini Taddeo (Filosofo, religioso; n. Camerino, 1603; m. Civita Castellana, 1685). Vestì l’abito dell’ordine di S. Agostino. Profondo conoscitore di filosofia e di teologia ne fu professore e lettore a Perugia. Per molti anni resse la provincia della Marca e venne eletto da Urbano VIII Sacrista Apostolico e Vescovo di Porfirio, mantenendo le stesse cariche anche sotto il pontificato di Innocenzo X e di Alessandro VII, che gli concesse nel 1652 il vescovado di Civita Catellana. Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino ad Orte. Amadei Pietro (Compositore, organista; n. Loreto 21 marzo 1809, m. Loreto giugno 1877). Fu organista della Santa Casa di Loreto e poi vice-maestro della stessa. Scrisse varie musiche corali e pagine cameristiche. Altobelli Ilario (Astronomo; n. Treia luglio 1560, m. Treia 31 ottobre 1637). Matematico e profondo studioso di astronomia, nacque quattro anni prima di Galileo. Fu suo compagno negli studi e nelle ricerche e suo grande amico personale. Nel 1575, a quindici anni, vestì l’abito dei Minori Conventuali. Cominciò a dedicarsi allo studio delle lettere e della filosofia. Nel 1579 si appassionò anche allo studio della teologia e nel 1591 si laureò in discipline teologiche. Amava però anche dedicarsi a ricerche matematiche e astronomiche. Dette un fattivo contributo alla rivoluzione scientifica iniziata da Galilei e dai suoi discepoli. Le sue ricerche e i suoi studi gli procurarono una grande fama. Giunse a tale notorietà che molte accademie di scienze lo fecero socio ad honorem e la città di Recanati gli offrì la cittadinanza. Sul piano scientifico fece la scoperta dei “satelliti di Saturno”, Amadei Roberto (Compositore, direttore d’orchestra; n. Loreto 29 novembre 1840, m. Loreto 13 dicembre 1913). Figlio di Pietro (➔), fu organista della Santa Casa, poi di Cappella. Fu anche noto direttore d’orchestra in vari teatri italiani. Compose numerose opere liriche tra le quali ricordiamo: Bianca de Rossi; Luchino Visconti; Amore allegro. Fu anche autore di alcuni balletti (Bacco nelle Indie, Il talismano, ecc.). Amadio Lampo (Giornalista, Scrittore; n. San Benedetto del Tronto 4 gennaio 1915, m. Grottammare 29 settembre1987). Laureatosi in giurisprudenza partecipa alla seconda guerra mondiale col grado di tenente. Prigioniero in India, dopo la guerra, nel 1949, è corrispondente per la pagina sanbenedettese de “Il 25 Ilario Altobelli 26 oppure a Montefano, 31 luglio 1817, m. Montefano dopo il 1888). Allievo di P. Amadei (➔). Messaggero”. Più noto con lo pseudonimo Alam Bert, ha scritto in vernacolo e in lingua. Ha pubblicato nel 1958 Un medico non è un assassino. Romanzo giallo anatomico, nel 1961 Darahmsala. Piccole avventure di un prigioniero in India e nello stesso anno ad Ascoli Piceno esce Tre ladri a domicilio. Commedia in 3 atti. Amati (famiglia) (Famiglia nobile, Corinaldo, attestata fin dalla fine del XVI secolo). Tra i suoi discendenti si contano consiglieri, gonfalonieri ed ecclesiastici nati e vissuti nella località collinare. Nell’Ottocento si distinsero come carbonari e liberali Amato (n. 1819) e Benedetto (n. 29 ottobre 1823, m. 13 maggio 1854), fucilato in seguito a processo politico. Amadori Francesco (Scultore; n. Casteldurante, oggi Urbania, ai primi del 1500, m. Roma 3 dicembre 1555). Fu soprannominato “l’Urbino” e fu aiuto di Michelangelo per venticinque anni, cioè fino alla morte. Nei suoi Ricordi il Buonarroti ce ne dà notizie molto dettagliate. Egli infatti nei suoi scritti dimostra di essergli molto affezionato. Anche in alcune lettere di Michelangelo indirizzate al Vasari e al nipote si parla molto affettuosamente di lui. Secondo quanto ci riferisce Giovanni Papini nella Vita di Michelangelo, l’Urbino fu il suo assistente più affezionato e fedele. Si sa che Francesco aiutò Michelangelo nelle pitture del Giudizio universale e della Cappella Paolina, anche se il Cellini mostra di non stimare molto l’Urbino come artista. Ciononostante nel 1545 Michelangelo gli fece eseguire il busto di Cecchino Bracci che si può vedere ancor oggi nella chiesa dell’Ara Coeli. Amatore Nicola (Pittore; Belvedere di Jesi, Ancona; fine sec. XV). Il suo nome risulta sconosciuto anche nella zona di origine. A Visso (Macerata) nel Palazzo dei Priori sono conservate dodici sue piccole tele, in una delle quali appare la firma e la data del 1620. In esse sono raffigurate dodici Sibille con notevoli pregi cromatici. Nel 1632, sempre a Visso, dipinse una tela firmata nella quale è raffigurata la Madonna del Rosario, alcuni santi ed i misteri. In questa opera l’artista segue da vicino l’iconografia dell’omonimo quadro di Lorenzo Lotto, opera conservata nella chiesa di S. Nicolò di Cingoli. Ambrosi Ascanio (Pittore, architetto; n. Urbino 1556, m. Urbino 1609). Figlio di Guido Ambrosi, appartenne a una famiglia di artisti urbinati che godeva di una certa notorietà locale. Ascanio pare fosse allievo del Barocci; l’influenza del maestro si può infatti rilevare un po’ in tutta la sua opera. È del 1560 un Crocefisso per la Compagnia del Corpus Domini di Urbino, e del 1572 una Madonna per la chiesa di Santa Margherita nella stessa città. In Urbino l’Ambrosi ricoprì pure cariche pubbliche (fu anche sindaco). Notevole fu inoltre la sua opera di architetto. Negli anni che vanno dal 1585 al 1590 fu incaricato da Sisto V del prosciugamento delle paludi pontine. Amantini Tommaso (Stuccatore, maiolicaro; n. Urbania 9 marzo 1625, m. 1675 ca.). Fu dapprima discepolo di Francesco Bartoccini, passando poi alla scuola del pittore Federico Gioia di Borgo Sansepolcro, poi, nel 1642, aprì una fabbrica di maioliche. Nel 1648, alla morte del padre, si recò a Roma per dedicarsi interamente alla scultura, entrando nella bottega di Ercole Ferrara. Eseguì, in collaborazione col milanese Francesco Agustone, i lavori a stucco nella cattedrale di Osimo e, ad Urbino, le statue di David e di Giona nell’Oratorio di Santa Croce. Fu molto operoso anche in Ascoli Piceno dove, in Santa Maria delle Vergini (oggi scomparsa), lavorò in stucco il fastoso Altare Maggiore. Nel 1663 decorò l’Altare Laterale nella chiesa degli Angeli Custodi nella stessa città. Nel 1669 iniziò a decorare a stucco la chiesa di San Filippo Neri (in seguito demolita), opera che venne poi proseguita da Domenico e Marco Capobianchi. Nel 1675 gli fu commissionato da parte della Compagnia del SS. Crocifisso di Urbino, detta “Della grotta”, un bassorilievo raffigurante la Natività, opera che non poté portare a termine in quanto morì poco dopo averla iniziata. L’Amantini si può collocare tra la vasta schiera degli stuccatori e decoratori risalente alla famosa scuola urbinate del Brandani (➔), che dettò legge per lunghi anni nella zona. Ambrosi Donnino (Scultore; Urbino, attivo alla fine del XVI secolo). Dello scultore urbinate resta la statuetta bronzea della Fortuna, fusa a Senigallia nel 1593. Essa era collocata nella fontana di piazza Maggiore di Fano, realizzata nel 1576 e rinnovata nel 1582; era ritenuta troppo impudica e per questo fu spostata e collocata in una nicchia lungo lo scalone del palazzo malatestiano. Simboleggiava l’anima antica della Fano pagana. Ambrosini Alessandro (Giurista; n. Fossombrone seconda metà del XVI secolo, m. Fossombrone prima metà del XVII secolo). Dedicatosi agli studi giuridici, si laureò presto in “utroque iure”. Fu uditore a Milano per il cardinale Carlo Borromeo e, in seguito, sempre come uditore, fu in Spagna al seguito di monsignor Amati Basilio (Organista, compositore; n. Monte San Pietrangeli, 27 ti rapporti con Lorenzo il Magnifico. Ebbe grande notorietà fra i giuristi del suo tempo. Camillo Borghese (il futuro Paolo V), e a Roma con il cardinale Luigi Capponi. Fu poi vicario generale nelle diocesi di Cesena, Montepulciano e Perugia. Morì non prima del 1612 e non dopo il 1621. Di lui si conoscono pubblicate due opere: i Commentaria in Bullam Gregorii XIV Pont. Max. de immunitate et libertate ecclesiastica (Parma 1608), e le Decisiones Fori Episcopalis Perusini, in due tomi, di cui il primo stampato a Venezia nel 1610 e il secondo a Milano nel 1612. Ambrosio Giovanni vedi Guglielmo Ebreo da Pesaro Amiani Gregorio (Giurista, letterato; n. Fano, XVII secolo). Figlio del patrizio Pietro Amiani, fratello di Galeotto e quindi zio di Eustachio, nel 1627 conseguì la laurea in giurisprudenza a Bologna. Nel 1614 era incluso nell’ordine dei gonfalonieri di Fano con breve di papa Paolo V. Celebre giurista alla corte di Roma, fu anche agente per gli affari della Marca. In patria fondò nel 1641 l’Accademia degli Scomposti, per le cui adunanze mise a disposizione la sala maggiore del suo palazzo. Ambrosini Luigi (Scrittore, giornalista; n. Fano 2 novembre 1883, m. Torino 10 dicembre 1929). Si laureò nel 1906 in lettere a Bologna con il Carducci. Ebbe amico e compagno di studi Renato Serra. Nel 1906 si trasferì a Firenze dove collaborò con lo pseudonimo di “Cepperello” alla “Voce” di Prezzolini, e a molti quotidiani quali “La Stampa”, “Il Mattino”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “Il Secolo d’Italia”, “Il Tempo”, dove trattò con vivace versatilità argomenti di storia, di politica e di cultura varia, nonché questioni risorgimentali e di critica letteraria. Sul piano politico si era sempre più accostato a Giolitti, con grande scandalo di Prezzolini. Durante la prima guerra mondiale fu inviato in Germania come corrispondente della “Stampa”; in quest’occasione scrisse una serie di vivaci articoli raccolti poi nel volume Un mese in Germania durante la guerra. Testimoniano la sua partecipazione alla guerra anche i Racconti di guerra che restano tra le sue cose letterarie più pregevoli. Finita la guerra, rimase fedele a Giolitti. Fu un irriducibile oppositore di don Sturzo, del fascismo, nonché del socialismo, e per quanto non ne ritenesse pericolose le velleità rivoluzionarie, avversò nettamente anche Nitti. Al ritorno di Giolitti al governo, fu capo dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio (1920-21). Con l’avvento del fascismo dovette però troncare la sua attività giornalistica dopo i suoi violenti attacchi a Mussolini attraverso le colonne della “Stampa”. Processato nel 1926 a Napoli, la condanna gli precluse ogni attività giornalistica. Da allora si limitò ai suoi studi letterari. Pubblicò molti libri di narrativa per l’infanzia: Fra Baldino alla cerca e Teste di legno dei miei contemporanei, entrambi del 1920; Sempronio e Sempronella del 1922; Il Teocrito; l’Ariosto; Minori e minimi (Milano 1926); una nuova edizione dell’Orlando Furioso nel 1929; Cronache del Risorgimento e Scritti letterari, pubblicati postumi nel 1931. Amiani Nicola (Teologo, predicatore; n. Fano prima metà XVI secolo). Dopo aver frequentato corsi accademici a Perugia, Napoli, Venezia e Milano, terminò gli studi a Rimini nel 1557, ottenendo il titolo di maestro in teologia e predicatore. Indossò l’abito degli Eremitani di Sant’Agostino. La vicenda più movimentata della sua vita è datata attorno al 1556, quando fu carcerato per i suoi atteggiamenti di ribellione nei confronti di Roma. Dopo lunghe trattative il frate fu consegnato a Macerata al governatore e nel 1577 l’Amiani era di nuovo nella sua città intento agli studi. Amiani Pier Maria (Giurista; n. Fano 1702, m. Fano 1775). Entrò nel consiglio della comunità nel 1725. Si laureò l’anno successivo a Macerata. Nel 1732 fu eletto gonfaloniere. Si acquistò in breve tempo buon nome come letterato, tanto che nel 1739 era presidente dell’Accademia degli Scomposti. Tra i suoi scritti: Ragionamento sopra due antichi sigilli, ove narra la storia civile di Fano e Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi dei secoli bassi (1740), ove narra la storia ecclesiastica della sua città. Sua opera principale restano comunque Le memorie istoriche della città di Fano (1751), scritte a imitazione degli Annali d’Italia del Muratori, con un’appendice contenente tutti i vescovi della città di Fano che costituisce la parte più pregevole dell’opera. Scrisse inoltre la Dissertazione critico-lapidaria sopra l’antico arco di Fano innalzato dall’imperatore Augusto. Amiani Tomani Gregorio (Militare e politico; n. Fano 1832, m. Fano 1905). Di estrazione comitale, si laureò in filosofia e matematica presso l’Università di Roma. Intraprese la carriera militare, arruolandosi volontario in Emilia, combattendo tra le truppe garibaldine a Capua e al Volturno, e con l’esercito italiano durante l’assedio di Gaeta; come capitano di artiglieria partecipò alla terza guerra di indipendenza, militando in Tirolo ancora al fianco di Garibaldi. Lasciata la carriera Ambrosini Pietro (Giurista; n. Jesi 1403, m. Firenze 17 gennaio 1472). Si addottorò in diritto civile a Bologna nel 1428. Nel 1434 è podestà di San Severino Marche. Nel 1439 lo troviamo come lettore ordinario di diritto canonico nello Studio fiorentino, nel quale resta fino al 1451. Morì a Firenze, dove è sepolto nella chiesa della Badia. Il figlio Francesco fu in eccellen28 natore. Venne sepolto nella chiesa del castello di Ferrara. militare nel 1868, ricoprì importanti cariche amministrative a Fano: fu sindaco dal 1870 al 1873, sindaco supplente dal 1879 al 1880, assessore dal 1873 al 1876, mentre nel 1879 aderì alla Società costituzionale, fondata su un programma moderato-riformista; fu di nuovo sindaco di Fano a partire dal 1882. Partecipò anche ai principali enti cittadini e fu presidente della Congregazione di carità, promotore dell’Asilo civico infantile, presidente della Società per la costruzione del nuovo stabilimento balneare e, per ventidue anni, l’anima della Società dei reduci dalle patrie battaglie. Amici Giambattista (Cantante; n. Macerata 3 settembre 1825, m. Macerata 13 novembre 1884). Allievo del Concordia (➔), esordì nella cappella musicale della cattedrale di Macerata. Qui tenne anche una scuola di canto. Nel 1850 cantò a Tolentino con il tenore Eugenio Concordia in Chi la dura la vince di Luigi Ricci, quindi, nel 1851-1852, a Senigallia nel Furioso e nel Don Procopio, opera che replicò nel 1852 anche a Corfù. Dopo vari spettacoli ad Atene e Smirne, Giambattista Amici nel 1856 si esibì a Modena con la rappresentazione dei Due Foscari, e nel 1864 a Teramo, dove interpretava il ruolo di Nepomouch nel Venceslao di Bicking. Nel 1864 era a Macerata con Un ballo in maschera. Amiani Tomani Stefano (Patriota e studioso; n. Fano 1805, m. Fano 1885) Di estrazione comitale, studiò dapprima nel collegio dei Nobili di Urbino, rivelando passione per le lettere e le arti, e poi all’Università di Roma, dove l’amore per gli studi classici lo portò a realizzare studi critici su Anacreonte, Luciano, Omero e Cicerone. Aderì in gioventù alla causa patriottica: nel 1831 partecipò con Cristoforo Ferri al Comitato Nazionale e, dopo i moti riminesi del 1845, sorvegliato dalla polizia, dovette nascondersi a Fossombrone per evitare l’arresto. Dal 1847 al 1849 comandò la milizia popolare fanese (Guardia Civica e poi Guardia Nazionale) e nel 1859 ebbe una parte di rilievo nel movimento per l’annessione, reggendo insieme al conte Lodovico Bertozzi l’amministrazione della città. Restaurato per breve tempo il potere temporale, si rifugiò a Ravenna e rientrò nelle Marche nel 1860, convocato dal commissario Valerio; in seguito fu commissario di Camerino e di S. Severino e consigliere delegato in diverse città, e da ultimo a Pesaro. Cultore di patrie memorie, conosciuto per celebri motti ed epigrafi, realizzò pregevoli studi storici, come il Del teatro antico della Fortuna in Fano e della sua riedificazione (1867), la Guida storico artistica di Fano (pubblicata postuma nel 1981) e la Storia della città di Fano riguardante il periodo della rivoluzione accaduta il 9 febbraio 1831 scritta da un contemporaneo, opera incompiuta e inedita ma di notevole interesse. Amici Luigi (Scultore; n. S. Maria Nuova, Ancona, 26 aprile 1817, m. Roma 26 ottobre 1897). Fu trovato “esposto” sull’uscio di casa di un certo Carlo Ferretti di S. Maria Nuova che lo accolse con grande amore dandogli il nome di battesimo. Raccomandato dal marchese Angelo Ghislieri di Jesi (forse suo padre) dimorante in Roma, guardia nobile, andò in questa città giovanissimo dove fu ammesso nell’Ospizio di San Michele. Qui studiò disegno sotto la guida di Francesco Giangiacomo. Le sue prime opere furono ritratti scultorei, lodati per la vivacità e la morbidezza del tratto. Notevoli il busto di Pellegrino Rossi, del Principe e della Principessa Del Drago, e quello del Duca di Granata. La sua prima statua a figura intera fu un Dio Pan; eseguì poi la Madre pompeiana, composizione che gli dette una certa notorietà anche internazionale. Eseguì quindi la grande statua di un Colono uruguaiano per il cimitero di Montevideo. Vinse il concorso per il monumento a Gregorio XVI, monumento che realizzò poi nella Cappella Gregoriana della basilica di San Pietro nel 1854. Dal 1866 fu accademico di San Luca. Il suo allievo più noto fu lo scultore romano Giovanni Bigi, ammiratissimo al suo tempo per i suoi ritratti di illustri contemporanei. Tra le sue altre opere menzioniamo: Tritoni e ornamenti, nella fontana del Moro di Piazza Navona in Roma; Le leonesse che gettano acqua dalla fontana di Piazza Federico II in Jesi; la statua di Pio VIII in Vaticano; il busto di Camillo Cavour in Campidoglio. È ricordato soprattutto come vivace ritrattista; esplicò infatti tale capacità anche in una serie di piccoli marmi, terracotte e gessi, oggi conservati nel Caffè Greco e in casa Gubinelli a Roma, i quali ritraggono i frequentatori più assidui del celebre ritrovo romano. Amici Amico (Architetto militare, guerriero; n. Macerata forse nel 1539, m. Ferrara 1600). Assoldato da Enrico III re di Francia, combatté a San Quintino nel 1557. Passato al servizio della Repubblica di Venezia, combatté a Cipro nel 1571 contro i turchi, cadendo prigioniero. Grazie all’interessamento del magistrato comunale di Macerata venne liberato. Nominato in seguito comandante a Venezia, nel 1571 prese parte alla spedizione di Candia e fu nominato da Clemente VIII commissario generale delle truppe pontificie. Combatté quindi in Pannonia, dove fu promosso sergente maggiore dell’imperatore Rodolfo II. Nel 1597, dopo la resa di Ferrara, l’Amici fu prima nominato prefetto delle armi nella provincia ferrarese, quindi gover- Amico Da Rambona (Santo; n. Pollenza, m. Rambona, vissuto tra il IX e il X secolo). Le notizie e la fama del santo derivano sopratutto da uno scritto di San Pier Damiani, il 29 Giambattista Amici Luigi Amici 30 anconetano, e nel 1500 l’acquedotto per portare l’acqua dalla fontana di piazza grande a quella di San Nicolò. Lavorò anche a Loreto per la costruzione delle mura merlate attorno alla Santa Casa, succedendo nel lavoro a Baccio Pontelli che aveva iniziato la grandiosa opera. Nel 1512 diresse i lavori di ornamento della medesima basilica prima che Clemente VII vi inviasse Antonio da Sangallo a restaurarla. quale lo cita tra le persone sante ordinate da vescovi simoniaci. Era figlio del signore del castello di Monte Milone, l’attuale Pollenza. Entrò nel monastero di Rambona, fondato verso la fine del IX secolo, e vi divenne il secondo abate. L’iconografia lo ricorda con attrezzi agricoli, in relazione alle attività del monastero, e con un lupo, in riferimento a un miracolo per cui rese mansueto l’animale. Si narrano altri miracoli, in particolare legati alla cura dell’ernia. Amurri Antonio (Giornalista, scrittore; n. Ancona 1926, m. Roma 18 dicembre 1992). Giornalista, scrittore umorista e sceneggiatore, Amurri è stato redattore capo del giornale satirico “Il Traverso”. Come autore per la radio e la televisione ha firmato molte importanti trasmissioni di varietà e spettacoli leggeri, ricevendo numerosi premi. Al suo attivo una dozzina di libri di narrativa umoristica che guardano con occhio caustico alla vita in famiglia e al costume in generale. L’ultimo titolo della fortunata serie è Più di là che di qua. Altri titoli: Come ammazzare la moglie e perché (Mondadori 1974), Come ammazzare la suocera, Come ammazzare il marito senza tanti perché, Dimmi di Zi, Qui lo dico e qui lo nego (Mondadori 1990). Sono rimaste famose le sue trasmissioni televisive realizzate con Dino Verde. Amico di Avellana (Santo; n. Camerino 920-930, m. Sangro 1040-1050). Nato da una nobile famiglia, entrò in monastero molto giovane. Una volta ordinato sacerdote, convinse anche i familiari a intraprendere la vita monastica, accettata dal padre, dai fratelli e dai nipoti. Lui stesso rientrò in monastero e quindi passò a un’esistenza eremitica presso il monte Torano dell’Aquila (diocesi di Ascoli), dove accolse alcuni discepoli e compì opere di carità sopratutto durante una carestia. Superati i novant’anni, si spostò nel monastero di San Pietro di Avellana, fondato da San Domenico di Sora, nel territorio di Sangro, dove visse chiuso in una cella. Venne sepolto nello stesso monastero. Amorosi Antonio (Pittore; n. Comunanza 24 marzo 1660, m. Roma, 26 giugno 1738). Da ragazzo si trasferì a Roma per intraprendere gli studi filosofici, ma mostrando subito una forte tendenza per la pittura fu mandato a bottega presso Giuseppe Ghezzi (➔) padre del noto pittore Pier Leone (➔). Il Ghezzi inserì molto bene l’A. nel mondo artistico romano dove presto si affermò con le così dette “bambocciate”, piccoli quadri dove veniva ritratta la povera gente e i popolani in genere. Costanti ben individuabili nei suoi lavori come: Maestro di scuola, la Maestra di lavori, l’Educazione di famiglia, il Venditore dilegumi, il Vecchio bevitore, la Vecchia beghina ecc. Questa maniera fu introdotta in Roma dal vicentino Pasquale Rossi attivo anche nelle Marche. Anastasi Giovanni (Pittore; n. Senigallia 1654, m. Macerata 1705). Lavorò soprattutto nella città natale e a Rimini dove, in San Francesco, resta un quadro raffigurante S. Roberto Malatesta. A Senigallia la chiesa di Santa Croce conserva due sue opere: una Natività e una Epifania presso l’altare maggiore. Un’altra si trova in Santa Lucia di Montalboddo (oggi Ostra). Eseguì anche degli affreschi nel chiostro attiguo la Basilica di San Nicola in Tolentino che illustrano la vita di San Nicola. Anastasi Nino (Pittore, n. Ascoli Piceno, 1920, m. Ascoli Piceno, 1981). Dopo aver frequentato il Liceo artistico di Venezia si iscrive alla facoltà di Architettura, ma l’abbandona allo scoppio della guerra. Viene deportato in Germania dai tedeschi, nel campo di concentramento di Deblin, dove resta prigioniero fino al ‘45. Tornato ad Ascoli, si dedica all’insegnamento presso il locale Liceo scientifico. È autore di un vasto numero di oli, disegni, acrilici, acqueforti e tempere. Amoroso Pietro (Architetto; Ascoli Piceno XV-XVI secolo). Secondo alcuni sarebbe nato ad Ascoli Piceno, secondo altri invece nella vicina Comunanza. Altri ancora lo dicono di Montefano. Di sicuro si sa solo che nel 1470 l’Amoroso, insieme al figliastro Matteo di Antongiovanni, era ad Ancona, addetto alla costruzione del palazzo del Governo (ora prefettura). Disegnò la bella “arcata” rinascimentale che immette nel notabile severo cortile e, in seguito, i “pilastri polistili” con archi a sesto acuto entro il medesimo cortile, nonché la “porta” verso il Vescovado e la maggior parte delle “finestre a croce”. Com’è noto, alcuni di questi lavori sono stati erroneamente attribuiti a Francesco di Giorgio Martini. Attorno al 1480 l’Amoroso costruì due “rivellini” a difesa della testa e della coda del porto Andrea d’Ancona vedi Lilli Andrea Andrea da Jesi vedi Aquilini Andrea Andrea da Recanati (Medico; n. Recanati 1397). Ottenne dal Comune di Osimo un sussidio per studiare medicina a Padova. Esercitò poi a Venezia e, da pensionato, a Osimo nel 1379. Lasciò un sussidio per studenti 31 seguita poi nelle maggiori città d’Italia. Nel 1898 venne chiamato a Milano per insegnare pianoforte nell’istituto Bruni-Morandi. Qui fondò e diresse la scuola musicale Pasquale Anfossi dal nome del suo celebre antenato d’Imperia. Tra i suoi allievi più famosi ricordiamo Luisa Baccara e Arturo Benedetti Michelangeli. Fu per molti anni membro della commissione d’esami al Conservatorio G. Verdi di Milano e collaboratore della “Gazzetta Musicale”. Come compositore, fra le sue numerose opere ricordiamo: il poema sinfonico Rebellio, eseguito a Napoli nel 1883; la Cantata all’Italia per coro a quattro voci e orchestra (Napoli 1885-Ancona 1887); la Cantica sacra e cantica funebre (Ancona 1886); due ouvertures per orchestra (1881). osimani: cento zecchini ogni anno a 4 giovani che studiassero Filosofia, Medicina o Legge a Padova, dove Aurelio Ottoni Guarnieri nel 1790 fece collocare una statua in suo onore in Prato della Valle. Andrea di Giacomo (Erudito; n. Fabriano, Ancona, XIV secolo, m. forse 1326). Nel 1325 papa Giovanni XXII lo eleggeva abate dei Santi Andrea e Gregorio al Clivio di Scauro in Roma. Fu maestro in teologia, certamente tra gli eruditi più rappresentativi dell’ordine silvestrino. Scrisse infatti la Vita del santo fondatore, opera pubblicata a Venezia nel 1599. Scrisse anche la Vita del beato Giovanni a Baculo, anch’egli monaco silvestrino, dedicata a Francesco Peduli di Osimo. Angelelli Agostino (Letterato; n. Fabriano 1610). Maestro di eloquenza e di lettere latine a Roma, a Urbania (1557), in patria (1571-74; 1582-1604), dopo giubilato priore del comune (1608). Archeologo, umanista, raccoglitore appassionato di epigrafi e cimeli classici, fu in corrispondenza col Lambino, col Mureto, col Lipsio, col Manuzio e con altri insigni studiosi dell’antichità. Fu intimo amico del dotto perugino Marcantonio Bonciario. Fu autore del De laudibus caecitatis e di diverse epistole a dotti del tempo. Andrea di Mastro Andrea (da Recanati) (Medico, n. Recanati XIV sec., m. Recanati 1397). Poté studiare solo con un sussidio del Comune di Osimo, ma riuscì a laurearsi a Padova in medicina. Divenne famoso per la sua arte esercitando a Padova e a Venezia. Morendo lasciò un patrimonio al Comune di Osimo che lo aveva fatto studiare perché anche altri potessero seguire il suo esempio. Andreantonelli Sebastiano (Storico; n. Ascoli Piceno 1594, m. 1644). Studiò a Roma. Fu canonico di Ascoli Piceno e protonotaro apostolico. Fu iscritto a diverse accademie (Napolitana e principe di quella degli Umoristi). Si occupò di poesia e di storia ascolana. Diversi sono i suoi lavori storici, tra i quali si distinguono le Historiae Asculanae (Padova, 1673, un’epitome in volgare delle stesse vide la luce ad Ascoli Piceno nel 1676). Seguono la Vita del B. Serafino da Monte Granaro, l’Apologia per il Piceno contra i Fanesi, un volume sulle gesta di Niccolò IV. Angelelli Onofrio (Storico, erudito; n. Fabriano 1870, m. Fabriano 1938). Nato da famiglia di umili origini, si dedicò agli studi storici fabrianesi. Fu fondatore del periodico “Il cartaro”, poi redattore de “Il popolare” e “Il pensiero cittadino”, occupandosi per lo più della storia locale, e dell’arte e dell’animazione di un’intensa attività sindacale, culturale e scientifica. Nel 1937 pubblica Il mestiere del cartaro, uno spaccato delle condizioni di vita e delle abitudini dei mastri cartari fabrianesi. Alla storia della cartiera sono inoltre dedicati le Notizie storiche intorno all’Università dei cartari di Fabriano (1932) e L’industria della carta e la famiglia Miliani in Fabriano; alla storia fabrianese: Fabriano e il dominio francese nel 1798-99 e Episodi e figure del patriottismo fabrianese. Andreoli Pasquale (Studioso di aeronautica; n. Falconara 1774, m. Terranova, Caltanisetta, verso il 1830). Insieme al conte Francesco Zambeccari di Bologna si dedicò per tutta la vita a studi di aeronautica. Nel 1803 eseguirono insieme un’ascensione con un aerostato a gas idrogeno. Il 18 ottobre del 1807 l’Andreoli compì un’altra ascensione, continuando poi la serie degli esperimenti a Forlì e a Brescia, nonché in vari luoghi della Lombardia, del Veneto e della Toscana. Angeletti Nicola Antonio (Patriota; n. Santangelo in Pontano, Mc, 5 luglio 1791, m. Santangelo in Pontano 25 giugno 1870). Arruolatosi ventenne nell’esercito del Regno italico, combatté nel 1813 in Germania e poi, promosso capitano, al fianco di Murat. Carbonaro, esulò dopo i fatti del 1817 e prese parte alla rivoluzione napoletana del 1820-21, venendo arrestato a Messina mentre tentava di riparare in Grecia e patendo alcuni anni di carcere. Graziato nel 1825, esulò in Francia e poté tornare grazie all’amnistia piana: successivamente militò al servizio del governo provvisorio romano e poi della Repubblica Romana, comandando, col grado di maggiore, le piazze di Terracina e Loreto. Ripreso l’esi- Anfossi Giovanni (Musicista; n. Ancona 6 gennaio 1864, m. Milano 16 novembre 1946). Studiò musica prima nella sua città, poi al Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli, sotto la guida di F. Simonetti e di G. Martucci per il pianoforte, e di P. Serrao e P. Platania per il contrappunto e la composizione. Si diplomò nel 1887 con la cantata Ode all’amore per coro a quattro voci e orchestra. L’anno seguente vinse la cattedra di pianoforte al Collegio Reale di Verona, dove iniziò la sua attività concertistica,pro32 aver frequentato il liceo ad Ascoli Piceno, si era laureato in farmacia a soli ventidue anni nel 1909 presso l’Università di Camerino. Nel 1912, con le modeste economie realizzate, acquistava una farmacia. Nel 1929 iniziò una attività industriale fondando alla Palombella (frazione popolare di Ancona) un modestissimo laboratorio farmaceutico, dal quale, in seguito, si è sviluppato un grande complesso che va sotto il nome di ACRAF (Aziende Chimiche Riunite Angelini Francesco). Mazziniano e repubblicano nel campo politico, per le sue doti organizzative e il prestigio personale nel dopoguerra resse per quindici anni l’amministrazione comunale di Ancona. lio d’oltralpe con la caduta della Repubblica, tornò in Italia nel 1860, partecipando all’insurrezione garibaldina ed entrando nel 1862 nell’esercito italiano, assegnato al comando circondariale di Bologna. Angeli Marino (Monaco, pittore; n. Santa Vittoria in Matenano, Ascoli Piceno, 1405 o 1410, m. Santa Vittoria in Matenano 1463 ca.). È noto in particolar modo per il Trittico di Monte Vidon Combatte o per la Madonna delle rose tra San Sebastiano e San Biagio, datato e firmato “Frater Marinus Angeli de Sancta Victoria me fecit” (1448), trasferito nel 1923 dalla chiesa parrocchiale di Monte Vidon Combatte (Ascoli Piceno), alla Galleria Nazionale di Urbino; per il Polittico di Collina o Polittico di San Procolo, e infine per la Tavola di Falerone (San Francesco che riceve le stimmate). L’esame stilistico di queste opere ci porta verso i tre noti maestri della pittura marchigiana: Gentile da Fabriano (➔), Maestro di Staffolo (➔) e Arcangelo di Cola (➔). Angelini Giuseppe (detto Regina) (Pittore; nato Ascoli Piceno 1681, m. Ascoli Piceno 20 novembre 1751). Il Lanzi (➔), il Ricci e il Cantalamessa lo ritengono allievo di Ludovico Trasi (➔), di G. Giosafatti (➔) e del Palucci. Restano di lui ad Ascoli Piceno affreschi nella volta della chiesa di Paola e un quadro con Pio V che adora il Crocefisso nella chiesa di San Pietro Martire, nonché una Vergine in trono. Altri suoi dipinti sono andati distrutti. Fu anche noto pittore di fiori e paesaggi. Angeli Nicola (Giurista, poeta; n. Montelupone 1535, m. Ascoli Piceno 1604). Compì gli studi giuridici a Bologna, ove cominciò a scrivere rime amorose nello stile del Petrarca (Bologna 1563). Fu poi a Genova, lettore dell’Etica e della Poetica di Aristotele. Rientrato in patria, entrò al servizio del vescovo di Fermo, cardinale F. Peretti (➔), come segretario. Non abbandonò tuttavia l’attività poetica. Tra i numerosi componimenti in versi da lui scritti: A Pio V nella vittoria dei cristiani contro i turchi e la favola pastorale Ligurino, sul genere dell’Aminta del Tasso (Venezia 1574). Scrisse pure una commedia, L’amor pazzo (Napoli 1590), e le Pazzie di Orlando, nonché una tragedia, Arsinoe (Venezia 1594). Divenuto il cardinale Peretti papa col nome di Sisto V, l’Angeli lo seguì a Roma, ma in seguito tornò a Macerata, ove entrò nell’Accademia dei Catenati. Scrisse anche opere d’ispirazione religiosa come la Maddalena penitente (Fermo 1599) e il Canto della SS. Vergine di Loreto (Senigallia 1594). Angelini Igino (Industriale farmaceutico; n. Ancona 6 settembre 1913, m. Grottaferrata, Roma, 5 settembre 1993). Figlio di Francesco (➔), fondatore dell’azienda, si laureò in farmacia a Roma, dove si trasferì nel 1938. Qui crea il Centro ricerche Angelini, trasferito poi nel 1991 a Pomezia, centro nel quale sono stati messi a punto alcuni principi attivi ancora oggi considerati capisaldi nella cura di molte patologie. Dopo la seconda guerra mondiale la Angelini avvia le attività nel settore agricolo-zootecnico con la creazione di importanti società quali l’Isea, la Simem e le Aziende agricole. Negli anni Sessanta, contemporaneamente all’espansione del settore farmaceutico, nasce quello dei prodotti sanitari. Viene creata la Fater, i cui prodotti, con il marchio Lines, conquistano ben presto il mercato nazionale e internazionale. Nuove aziende nascono in Spagna e in Sudamerica. Nel 1964, alla morte del padre, diviene capo del laboratorio di Ancona, uno dei maggiori gruppi farmaceutici: l’Acraf. Angelini Arnaldo Maria (Ingegnere; n. Force, Ascoli Piceno, 2 febbraio 1909, m. 27 luglio 1999). È stato direttore generale dell’ENEL, e presidente dal 1973 al 1978, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, professore di elettrotecnica e di macchine elettriche alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma e, sempre all’Università di Roma, direttore dell’Istituto di Elettrotecnica e del Corso di perfezionamento in ingegneria nucleare. Presidente dell’EURATOM e dell’OPEN. Angelini Cantalamessa Argentina (Cantante; n. Ascoli Piceno 7 febbraio 1821, m. Ascoli Piceno 3 settembre 1896). Angelini Rota Gianfrancesco (Cantante; n. Visso 25 dicembre 1830, m. Castel Ritaldi, Perugia, 9 giugno 1915). Studiò dapprima letteratura e legge, per poi dedicarsi interamente al canto. Aveva infatti una bella voce da basso e ben presto si fece strada cantando in vari teatri italiani ed esteri. Fu in Francia e in Russia, dove interpretò Angelini Francesco (Industriale farmaceutico; n. Rotella, Ascoli Piceno, 30 novembre 1887, m. Ancona 12 luglio 1964). Nato da famiglia di modesta estrazione sociale. Dopo 33 Giuseppe Angelini 34 nel 1547. La stessa collaborazione con il padre la ritroviamo nella tavola di Visso raffigurante il Padreterno con i Santi Pietro e Paolo, sita nella chiesa collegiata di Santa Maria. In collaborazione con il fratello Fabio (➔) eseguì invece l’Incoronazione della Vergine (1570), Cristo in croce e Santi (1576) e la Madonna del Rosario (1584), siti tutti e tre nel Santuario della Madonna della Neve a Castel Santa Maria presso Cascia, opere queste firmate da entrambi i fratelli e datate. È inoltre datata 1584 e firmata anch’essa dai due fratelli l’Assunzione della Vergine, sita nella parrocchia di Ussita presso Visso. per primo il ruolo di “padre guardiano” nella Forza del destino di Verdi. Angelita Giovanni Francesco (Erudito, bibliofilo; n. Recanati 1550 ca., m. 1619). Nobile recanatese, fece parte dell’Accademia dei Disuguali; raccolse una collezione di antichità, pitture, sculture e curiosità naturali. Il suo interesse si rivolse principalmente alla storia di Recanati e all’attività editoriale, che egli sviluppò tra i primi nella sua città, venendo incaricato dal comune di pubblicare la revisione degli Statuti e delle Riformanze. Curò in particolare la pubblicazione di Origine e storia della città di Recanati (Venezia 1601) di Gasparo Garbezza e I pomi d’oro, lezioni due de’Fichi, e de’ Meloni con una lezione sopra le lumache (Recanati 1607), uno dei primi testi italiani su questo frutto, analizzato nelle sue proprietà simboliche e naturali. Angelucci Fabio (Pittore; n. Mevale di Visso, Macerata, attivo fra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo). Figlio di Gaspare (➔) e fratello di Camillo (➔), con il quale collaborò in molte opere. In tutta la sua produzione è chiara l’influenza di Raffaello (➔), di Giulio Romano, Daniele da Volterra e dei michelangioleschi in genere. Angelo Clareno vedi Clareno Angelo Angelucci Gaspare (Pittore, intagliatore; n. Mevale di Visso, Macerata, attivo tra il 1518 e il 1563). Padre di Camillo (➔) e Fabio (➔), è documentato nel 1518. Di lui poi non si sa più nulla nei periodi che vanno dal 1518 al ‘38 e dal 1538 al ‘45. Del 1538 è una Madonna in Trono e Santi eseguita per la parrocchia di Sant’Andrea a Villa Sant’Antonio nei pressi di Visso. Con il figlio Camillo lavorò nel 1547 alla Pace tra Guelfi e Ghibellini nella chiesa collegiata di Santa Maria a Cascia. Angelo Da Camerino (Teologo, medico, filosofo; n. Camerino XIII secolo, seconda metà, m. Cirado o Roma marzo 1314). Filosofo e teologo agostiniano. Insegnò medicina all’Università di Perugia nel 1260. Nel 1294 divenne archiatra del pontefice Bonifacio VIII (Benedetto Caetani). Nel 1311 fu creato patriarca di Grado da Clemente V. Angelo da Cingoli vedi Clareno Angelo Angelo da Fossombrone (Professore; n. Fossombrone XIV secolo). Fu nominato nel 1395 alla cattedra di logica dell’Università di Bologna, dove restò fino al ‘400. Pubblicò il De motu locali a Venezia nel 1499. La Biblioteca vaticana possiede dei codici con altre sue opere. Angelucci Teodoro (Angelutius) (Medico, letterato; n. Belforte del Chienti, Macerata, 1540, m. Montagnana di Padova 1600). Fu medico, filosofo, poeta, oratore, latinista. Trascorse buona parte della giovinezza a Belforte, sino a quando, per un giovanile errore (si presume una storia d’amore) dovette lasciare il paese per trasferirsi prima a Roma, poi a Venezia. Fu anche a Parigi dove frequentò i corsi di filosofia e medicina conseguendo il titolo di dottore. L’Angelucci scrisse molte opere di filosofia, medicina e poesia. Tra esse ricordiamo il De natura et curatione febris malignae del 1593 e il componimento poetico In lode della pazzia, indirizzato all’amico Tommaso Garzoni e l’opera: Sententia nova quod Methapisica sint cadem quae Phisica. La sua fama è anche legata alla traduzione, molto lodata dai contemporanei, che egli fece dell’Eneide in versi sciolti (opera che fu stampata postuma a Napoli nel 1649) e che qualcuno attribuisce però a suo fratello, il gesuita Ignazio, anch’egli valente letterato e poeta. Angelo da Tolentino (Francescano; n. Tolentino XIII secolo). Appartenne al gruppo di Angelo Clareno (➔) e degli “spirituali” marchigiani, pertanto finì con loro incarcerato come ribelle. Fu però liberato da Raimondo Gaufridi, ministro generale dell’ordine francescano che, riconosciuta la sua innocenza, lo mandò in missione in Armenia (1290). In seguito lo troviamo in Francia e in Inghilterra, poi di nuovo in Armenia. Ebbe vari incarichi come ambasciatore. Angelucci Camillo (Pittore; n. Mevale di Visso, Macerata, attivo intorno alla seconda metà del XVI secolo). Era figlio di Gaspare (➔), capostipite di una cospicua e attiva famiglia di pittori, scultori e intagliatori che hanno operato soprattutto in Umbria e nelle Marche nel periodo che va dal 1518 al 1603 circa. Collaborò con il padre Gaspare nel dipinto raffigurante la Pace tra Guelfi e Ghibellini, tavola della chiesa collegiata di Santa Maria a Cascia (Perugia), eseguita Angiolello da Carignano (Guido del Cassero) (Uomo d’armi; Fano, XIV secolo). Nobile cittadino di Fano che, invitato a venire a parlamento con Malatestino Malatesta a Cattolica fu annegato per ordine dello stesso Malatestino dopo il 1312 perché 35 nei collegi di Tivoli e Bologna e si perfezionò all’Istituto di scienze sociali di Firenze. Studioso appassionato e di vivace ingegno, si distinse come valido promotore culturale: iscritto nel 1882 alla Società Geografica Italiana, nel 1887 istituì l’Accademia dei Filopatridi e nel 1888 fondò la “Nuova Rivista Misena”, rivista che avviò una qualificata specializzazione storico-artistica. Nel 1891 fu nominato socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria romagnola, e nel 1892 fu tra i primi ad aderire a quella marchigiana. Ispettore degli scavi e dei monumenti di Arcevia e poi di Fabriano e Sassoferrato, pubblicò diversi studi su Arcevia e sulle Marche, spaziando dall’arte alla storia, in buona parte pubblicati sulle principali riviste marchigiane (come “Le Marche” grimaldiane); tra i suoi scritti, Clemente VIII di passaggio per Senigallia nel 1598 (1894), Un quadro di Federigo Barocci a Senigallia (1906), La pianta panoramica di Arcevia disegnata da Ercole Ramazzani nel 1594 (1907). non conquistasse la Signoria di Fano. Lo ricorda Dante nell’Inferno (canto XXVIII, 77). Annibal Caro vedi Caro Annibale Annibaldi Giovanni Junior (Storiografo; n. Cupramontana 7 novembre 1904, m. Jesi 29 ottobre 1981). Allievo di Pericle Ducati, si laureò a Bologna in archeologia. Dal 1929 fu direttore della Biblioteca e Pinacoteca di Jesi, oltre che Ispettore delle Belle Arti della stessa città. Dal 1931 fu ispettore presso la Soprintendenza alle Antichità degli Abruzzi e Molise. Dal 1946 al 1969 fu titolare della Soprintendenza alle Antichità delle Marche. Infine Conservatore onorario del Museo di Ancona. Giovanni junior fu profondo conoscitore della storia jesina e del territorio circostante. Tra i suoi studi: L’Architettura delle antichità delle Marche, Roma 1965; A proposito del ritrovamento del dialogo contro i Fraticelli, Falconara 1970; L’azione repressiva di Martino V contro i ribelli di Jesi e i Fraticelli di Maiolati, Masaccio e Mergo, Falconara 1974. È stato anche redattore dell’Enciclopedia dell’Arte Antica (1965), nonché curatore della rubrica “Dizionario Biografico dei Marchigiani Illustri” per il quindicinale letterario-artistico “Il Picchio”. Tra gli altri suoi numerosi scritti: Andrea da Jesi, Firenze 1981 e L’insurrezione antifrancese di Cingoli nel febbraio 1797 in un racconto coevo, del 1977. Resoconto della sua attività di archeologo sono: Scavi e scoperte nel campo dell’archeologia cristiana in Ancona del 1971. Altri suoi scritti di rilievo sono: Il Museo Nazionale delle Marche in Ancona, 1969; Archeologia, in AA. VV., Le Marche, 1965; Fasti archeologici, 194951; I resti archeologici sotto San Ciriaco, Ancona 1951. Anselmi Luciano (Scrittore; n. Fano 1934, m. Pergola 1996). Personalità schiva e amante della vita di provincia, Anselmi inizia la sua attività come giornalista collaborando a “Il Mondo” di Pannunzio e alla “Fiera letteraria”. Nel 1967 avvia la sua collaborazione con la terza pagina de “Il Resto del Carlino”. Comincia a pubblicare i suoi primi romanzi nel 1960: Niente sulla piazza (1960); Gramignano (1967); Un viaggio (1969); Zio e nipote (1970); L’ospite (1971); Storie parallele (1973); Tapioca (1974); Gli anni e gli anni (1977); Piazza degli Armeni (1982); Paese (1987). Affianca alla sua attività letteraria il lavoro critico sui suoi autori preferiti, Proust, Balzac, Simenon, ecc. sui quali scrive saggi, oltre ad occuparsi di teatro, per il quale ha scritto una trentina di testi. Particolare notorietà e successo hanno avuto i suoi libri gialli, una passione cominciata per caso nel 1970 con Il caso Lolli che ha partorito la fortunata serie delle avventure del commissario Boffa. Annibali Domenico (Contraltista; n. Macerata intorno al 1705, m. Roma dopo il 1779). Nel 1725 andò a Roma a interpretare Il Germanico di Niccolò Porpora. In seguito al crescere della sua fama di ottimo cantante, si recò poi a Venezia e in altre città italiane, chiamatovi da vari teatri. Passò quindi alla corte di Sassonia dove conobbe J. Adolf Hass e con lui si recò a Londra. Nel 1736 l’Annibali venne scritturato da Händel per il suo nuovo teatro del Covent Garden, e qui debuttò nell’opera Poro di Händel nella parte del protagonista. Interpretò molte altre opere di Händel, fra le quali: Arminio (1737), Didone (1937) e Giustino e Berenice, sempre del ‘37. Fu in seguito nominato cantore di camera del re di Polonia. Da Dresda, dove dimorò fino al 1764, si recò (1739) a Roma, ove interpretò l’opera Astarto di Terradellas. Chiuse la sua attività operistica nel 1752 cantando a Dresda nell’opera L’Adriano in Siria di Hass. Nel 1776 ritornò a Macerata, ma circa tre anni più tardi si stabilì a Roma, dove si spense nel 1779. R. Mengs lo ritrasse (Milano, Brera). Anselmi Sergio (Storico; n. Senigallia 11 novembre 1924, m. Senigallia 7 novembre 2003). Fu educato dal padre, protestante evangelico, ad una disciplina rigorosa di studio e di impegno; non essendosi presentato alla chiamata alle armi dell’Italia fascista, fu dichiarato renitente alla leva e passibile di fucilazione, rifugiandosi con altri concittadini nei pressi di Umbertide. Dopo gli studi classici, si iscrisse all’Università laureandosi, dopo aver lavorato come interprete per le truppe alleate, nel luglio 1949 con una tesi in Storia della filosofia sull’estetica di Hegel. Iscrittosi al PSIUP poi PSI, sostenne attivamente, in occasione della consultazione referendaria, le ragioni del voto favorevole all’introduzione del divorzio. Fu, nella città natale, assessore al Bilancio e, dal 1970 al 1977, alla Pubblica istruzione, restituendo alla collettività il Palazzetto Anselmi Anselmo (Erudito; n. Arcevia 1859, m. Arcevia 1907). Studiò 36 Sergio Anselmi 37 Osimo e nel 1791 si laurea in giurisprudenza a Pesaro. Trasferitosi poi a Roma, proseguì gli studi di diritto presso ‘’Accademia ecclesiastica, tanto da diventare membro del tribunale della rota romana. In quegli stessi anni si dedicò con sempre crescente interesse anche allo studio della filologia e dei classici latini, avviando con l’illustre latinista Gaspare Garatoni un progetto di edizione delle rime catulliane a cui l’Antaldi lavorò fino agli ultimi anni della sua vita ma che non vide mai la luce. Nel 1803 si trasferì definitivamente a Pesaro; due anni prima aveva sposato Lucrezia Hercolani dei principi Hercolani di Bologna. Oltre a una biblioteca ricca di libri rari e di manoscritti, tra i quali facevano spicco i codici danteschi conosciuti oggi come Antaldini e quelli di Catullo. Antaldi possedette una cospicua raccolta di opere d’arte, specie pittoriche, e una collezione di disegni di vari maestri, tra i quali alcuni di Raffaello (➔). Dall’amore per l’arte, dal particolare interesse per le memorie e per i documenti della storia patria, sulla scia di quel gusto colto ed erudito intorno all’antico che aveva visto a Pesaro importanti figure quali Annibale Olivieri (➔) e Giambattista Passeri (➔), nacquero le Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini, datato 1805, conservato nella biblioteca Oliveriana di Pesaro, che rimase anch’esso inedito ma che fu di aiuto all’abate Zani nella stesura della sua Enciclopedia metodica delle arti. Personaggio eclettico, colto, ricco di interessi culturali, l’Antaldi intrattenne rapporti con importanti personalità italiane e straniere, tra cui Bartolomeo Borghesi, monsignor Gaetano Marini, Giuseppe Antinori, Pietro e Gaetano Giordani, Melchiorre Delfico, Giacomo Trivulzio, Vincenzo Monti, Giulio Perticari, Gioacchino Belli, Teodoro Heyse e molti altri. Nella biblioteca pesarese è conservato un cospicuo carteggio, in parte pubblicato a cura di Tommaso Casini nel 1892. Altre lettere si conservano nelle biblioteche di Savignano, Cesena, Rimini, Forlì e Bologna. Tra le opere edite dell’Antaldi meritano menzione: Sonetti quaresimali, 1792; Versi epitalamici, 1804; Sull’emendazione proposta dal P. Antonio Brandimarte M.C. di un luogo di Plinio Seniore nella descrizione del Piceno, 1823; Scelta di racconti storici e favolosi tratti da ottimi testi di lingua italiana, 1824, editi sotto lo pseudonimo di Terenzio Mazzoli. Fu inoltre l’Antaldi che annotò e pubblicò nel 1806 per i tipi Gavelli di Pesaro i due volumi delle Opere del canonico Giovan Andrea Lazzarini (➔). Partecipò attivamente alla vita politica pesarese: dopo l’arrivo dei francesi fu eletto nel 1798 moderatore del circolo di Pesaro e tribuno della repubblica romana per il dipartimento del Metauro. In seguito fu, durante il Regno italico, membro del collegio elettorale dei dotti, podestà dal 1808 al 1811, poi, più tardi, varie volte a capo del municipio di Pesaro. Fu consigliere governativo dal 1831 al 1837 e ripetutamente pro-legato della provincia. Baviera, in precedenza usato come deposito dei vigili urbani. Professore ordinario di storia e filosofia nei licei e, dal 1961, assistente di A. Caracciolo in storia economica presso la Facoltà di Economia di Urbino, passò a quest’ultimo ateneo come professore associato e poi, come ordinario, a quello di Ancona. Nel 1965 fondò con Caracciolo e R. Paci i “Quaderni storici delle Marche”, rivista stampata in una tipografia senigalliese e di cui fu redattore e condirettore e che raccolse attorno a sé un gruppo di studiosi marchigiani (W. Angelini, D. Cecchi, E. Sori, B. G. Zenobi) e non (E. Galli della Loggia): trasformatasi la rivista nel 1970 in “Quaderni storici”, edita da il Mulino, ne tenne la condirezione, uscendone nel 1983. Nel 1978 creò l’attuale Museo della Mezzadria (con oggetti raccolti insieme ad alcuni appassionati dell’agricoltura per documentare la vita e il lavoro dei campi all’interno della cultura mezzadrie) e fondò un’altra rivista destinata a lasciare un rilevante solco negli studi economicosociali, “Proposte e ricerche”, mentre dal 1992 assunse la direzione del Centro Sanmarinese di Studi storici. In queste molteplici esperienze, come del resto negli oltre 270 lavori scientifici pubblicati, sviluppò le tesi e gi spunti più fecondi della scuola annalistica e braudeliana, prediligendo le tematiche economico-sociali dell’età moderna e contemporanea e la storia delle Marche nelle sue due anime, quella contadina-mezzadrile e quella marina, dell’Adriatico dei traffici e della navigazione, dei rapporti tra le due sponde, dei tanti prestiti tra l’una e l’altra. Promotore culturale instancabile e vero “intellettuale di provincia”, ha fondato, a Senigallia, l’Associazione per la storia dell’agricoltura marchigiana e quella “Amici del Molo”, stimolando inoltre la nascita della locale Università per Anziani. Lavori principali: Economia e vita sociale in una regione italiana tra Sette e Ottocento (1971); Mezzadri e terre nelle Marche: studi e ricerche di storia dell’agricoltura fra Quattrocento e Novecento (1978); Storie di Adriatico (1996); Ultime storie di Adriatico (1997); Agricoltura e mondo contadino (2001); Perfido Ottocento (2002); Conversazioni sulla storia, a cura di V. Conti (2004). Ansevino (Santo; n. Camerino sec. IX). Confessore di Lodoviso II imperatore fu fatto vescovo della sua città natale nell’850. Antaldi Andrea (Architetto; n. Urbino 4 settembre 1776). Dopo gli studi al Collegio di Osimo ha lavorato con Vincenzo Nini (➔) a Urbino e poi all’Imperiale di Pesaro. Antaldi Antaldo (Erudito; n. Urbino 16 agosto 1770, m. Pesaro 14 gennaio 1847). Figlio del nobiluomo Giovan Battista e di Marta, di altra famiglia Antaldi, compie i suoi primi studi nel collegio Campana di 38 Antaldo Antaldi Carlo Antognini Francesco Antolisei Lamberto Antolisei 39 Antici Bartolomeo (Giurista; n. Recanati 1430 ca., m. forse a Napoli nel 1473). Appartenente all’antica famiglia Antici, fu dottore di legge, segretario e ministro a Napoli presso la corte del re Alfonso e di Ferdinando, suo figlio. Amico di Francesco Fidelfo, pubblicò un Liber moralium; pare che siano a lui attribuibili le Institutiones grammaticae dedicate al figlio del re Ferdinando. mano”e in altre testate locali e nazionali, cura la prima raccolta di autori marchigiani, Poeti marchigiani del Novecento (Bucciarelli, 1965) e poi Scrittori marchigiani del Novecento (Bagaloni, 1971), per dare inizio in seguito ad una sua casa editrice, L’Astrogallo, attiva ad Ancona tra 1973 e 1977, che ha pubblicato, tra le altre, opere di Franco Scataglini (➔), Valerio Volpini (➔), Franco Matacotta (➔), Carlo Bo. Antici Giulio (Politico; n. Recanati 1825, m. Recanati 1911). Sindaco di Recanati per venticinque anni, partecipò alle cinque giornate di Milano del 1848. Fu l’ideatore del nuovo palazzo comunale edificato in occasione del centenario leopardiano. Antolisei Francesco (Giurista; n. San Severino Marche 6 dicembre 1882, m. Rapallo 1967). Ha insegnato diritto e procedura penale nelle Università di Sassari, Parma, Genova e Torino. Tra le sue molte opere scritte in tal senso: L’offesa e il danno nel reato (1930); La volontà nel reato (1932); L’evento e il nuovo Codice Penale (1932); Pene e misure di sicurezza (1933); Il rapporto di causalità nel diritto penale (1941); La capacità a delinquere (1934); Problemi penali odierni (1940); Manuale del diritto penale (1954-59); Scritti di diritto penale (1955). Antici Ruggero (Cardinale; n. Recanati 1811, m. 1883). Fu nominato da Pio IX patriarca di Costantinopoli nel 1866 e cardinale nel 1875. Antolisei Lamberto (Avvocato, letterato; n. Tolentino 24 novembre 1858, m. Macerata 27 luglio 1935). Avvocato di vasta e profonda cultura, grande oratore, dominava l’uditorio nelle aule giudiziarie. Fu uno dei più noti penalisti dell’epoca. Il 3 luglio del 1904 fu eletto deputato del Partito Socialista (e confermato nella XXII legislatura), partito del quale nelle Marche fu anche il fondatore. Militò nella corrente riformista e fu più volte rieletto con votazioni plebiscitarie. Morì poverissimo in ospedale. Antici Tommaso (Giurista; n. Recanati 1731, m. 1812). Nunzio pontificio in Germania, in Polonia e a Parma, fu fatto cardinale da Pio VI nel 1789. Antinori Giovanni (Architetto; n. Camerino 28 gennaio 1734, m. Roma 24 giugno 1792). Studiò architettura a Roma. Dopo aver insegnato all’“Accademia portoghese” per qualche tempo, fu chiamato a Lisbona al servizio del re Giuseppe I. Qui lavorò molto riedificando e restaurando soprattutto gli edifici danneggiati dal terremoto del 1755. Sue opere principali a Lisbona sono: il Castello Reale e gli edifici della Piazza del Commercio. Lasciato il Portogallo, fece ritorno a Roma ove ebbe incarichi di rilievo dalla famiglia Doria. Qui infatti curò la trasformazione del cortile del Palazzo Doria in sala da ballo per festeggiare la venuta dell’imperatore Giuseppe II. Abbellì inoltre Villa Pamphili con un lago sovrastato da cascate digradanti. Innalzò anche gli obelischi a piazza del Quirinale (1783), a Trinità dei Monti e a piazza di Montecitorio (1789). Per speciali difficoltà tecniche, queste opere suscitarono l’entusiasmo dei contemporanei. Lavorò molto anche in Toscana nell’abbazia di Monteoliveto Maggiore (Siena) e nelle Marche a Lanciano di Camerino dove, nell’antico fortilizio sulla sinistra del fiume Potenza, è visibile una villa la cui maestosa galleria è opera sua. Antonelli Armando (Musicista, compositore; n. Matelica 4 settembre 1886, m. Roma 1960). Diplomato in composizione, fu professore di questa materia al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Direttore della Cappella Giulia in Vaticano e compositore di un certo prestigio; scrisse musiche sacre e profane dal vasto respiro compositivo. Antonelli Ferruccio (Medico, psicologo; n. S. Elpidio a Mare, Ascoli Piceno, 19 ottobre 1927; m. Roma 1999). Lo sport italiano ha scoperto l’importanza della psicologia nella tecnica moderna per suo merito. È stato tra i primi docenti della Scuola dello Sport del Coni. Antonelli Giuseppe (Sacerdote; n. Osimo, 1861; m. Roma, 1944). Si interessò di archeologia, scienze naturali, medicina. Fu insegnante a Osimo e a Roma. Antognini Carlo (Critico letterario ed editore; n. Ancona 1937, m. Ancona 1977). Tra i primi lettori della letteratura marchigiana con uno sguardo regionalista, ha cercato di delineare nei suoi studi il carattere della cosidetta “marchigianità” come invariante dell’estetica degli scrittori e poeti novecenteschi attivi nella regione. Oltre a scrivere sull’ ”Avvenire d’Italia”, “La Fiera Letteraria” l’“Osservatore ro- Antonelli Giovanni Battista (Architetto; n. Ascoli Piceno primo decennio XVI secolo, m. Toledo 27 marzo 1588). Continuò l’attività paterna distinguendosi come uno dei più valenti architetti militari al servizio della Spagna. Dopo aver iniziato a lavorare in Italia con il padre 40 stro al doge di Genova Matteo Senarega e in questa città sembra si sia trattenuto a lungo, forse fino al 1598. Girolamo, si recò nelle Indie occidentali. Qui, nel 1529, progettò l’apertura, nel Nicaragua, di un canale che permettesse alle navi spagnole dirette in Perù il passaggio dal Mar delle Antille al Pacifico. Nel 1542 era nel Guatemala, ove diresse i lavori per la ricostruzione della città di Santiago dei cavalieri (ora Nuova Guatemala), distrutta da un terremoto. Andò in seguito nell’Honduras, ove fece alcune opere di fortificazione. Tornato in Europa nel 1557, si recò nelle Fiandre al seguito di Emanuele Filiberto di Savoia, partecipando all’assedio di S. Quintino. Fu uno dei principali esecutori del programma di rafforzamento dei presidi spagnoli nell’Africa settentrionale voluti da Filippo II. Una delle sue maggiori realizzazioni fu la fortificazione dell’importante scalo di Mezalquivir, presso Orano (1565). Antonini Antonio (Architetto; n. Collamato, Ancona, 1629, m. Roma 1696). Indossò l’abito sacerdotale. Divenuto architetto, fu tra l’altro autore del rinnovamento di quella che fu chiamata “l’insignificante” facciata del palazzo comunale che fa angolo con il Loggiato di San Francesco in Fabriano. Gli vengono attribuite molte costruzioni e altrettanti sono i restauri. Fra i progetti realizzati, il duomo di Rimini, il duomo di Soriano e il duomo di Costigliano di Rieti. Antonio da Amandola (Beato; n. Amandola 17 gennaio 1355, m. 25 gennaio 1450). Nato da famiglia di agricoltori in un villaggio sulle pendici del Monte Berro, detto anche montagna di Amandola, nei pressi dell’antico monastero benedettino di Sant’Anastasio, dove fu avviato agli studi, completò la formazione sacerdotale nel convento dei romitani di Sant’Agostino, in Amandola. Fu, fino alla morte, priore degli agostiniani, fornendo un contributo decisivo per la trasformazione del vecchio romitorio in ampio e fiorente convento. Di provato rigore morale, fu proclamato beato l’11 luglio 1759 dal pontefice Clemente XIII. Antonelli Leonardo (Cardinale; n. Senigallia 6 novembre 1730, m. Senigallia 28 gennaio 1811). Nipote del cardinale Nicola Maria Antonelli (➔), fu segretario del conclave del 1758 (che creò papa Clemente XIII), di cui tenne un diario. Nel 1766, come assessore del santo uffizio, esaminò l’opera del teologo Febronio. Nel 1775 fu fatto cardinale e titolare di Santa Sabina da Pio VI e inoltre prefetto di Propaganda Fide nel 1780. Ottenne poi dalla Russia l’arcidiocesi di Mogilëv. Nel 1791 divenne vescovo di Palestrina di Porto e di Santa Rufina, e nel 1800 penitenziere maggiore. Nel 1807 fu eletto vescovo di Ostia e Velletri, decano del S. Collegio e segretario del Santo uffizio. Arrestato durante la repubblica romana nel 1798, ne fu subito espulso. Nel 1800 partecipò al conclave di Venezia. Partecipò anche alle trattative per i concordati con la Francia e il Regno Italico e accompagnò Pio VII a Parigi per l’incoronazione di Napoleone. Durante l’occupazione dello Stato Pontificio fu relegato a Spoleto, poi a Macerata e quindi a Senigallia, ove morì. Fu uomo di vasta e solida erudizione letteraria e raccolse una ricchissima libreria di cui fu bibliotecario Francesco Cancellieri. Antonio da Fabriano (Antonio Agostino di Ser Giovanni da Fabriano) (Pittore; n. Fabriano prima metà XV secolo, m. 1487 o 1490). Membro del consiglio di credenza di Fabriano, oltre che pittore, Antonio fu anche commerciante e allevatore di bestiame. È datato 1451 il suo San Girolamo di Fabriano, dove si notano forti influenze culturali fiamminghe, forse assimilate da incisioni nord-europee. È del 1474 il trittico di San Clemente a Genga, Ancona. Tra le sue opere più significative sono gli affreschi del Convento di San Domenico a Fabriano, molto deteriorati, databili dopo il 1472. Antonelli Nicola Maria (Cardinale; n. Senigallia 8 luglio 1698, m. Roma 25 settembre 1767). Zio di Leonardo (➔), fu fatto cardinale da Clemente XIII nel 1759, nonché segretario di Propaganda Fide. Fu anche esimio orientalista. Scrisse anche opere di storia ecclesiastica e di liturgia sotto lo pseudonimo di E. de Azevedo S.J. Fra queste: Ragioni della Sede Apostolica sopra il Ducato di Parma e Piacenza, Roma 1741, e un Compendium summae S. Thomae, destinato agli studenti del collegio di Propaganda. Antonio Da Fermo (Erudito, giureconsulto; n. Fermo 1336). Si può identificare con quell’”Antonius quondam domini Angari de Firmo, iurisperitus, iudex, vicarius et assessor” del podestà di Modena. Onorato dai Cantagalli, nel 1372. Per incarico di Beccario Beccaria, podestà di Genova, trascrisse la Commedia di Dante Alighieri. Inoltre è opera sua il Codice Ludiano 190 che si trova nella Biblioteca Comunale di Piacenza, che risulta il più antico a noi noto. Antonio da Fossombrone vedi Plonio Antonio di Francesco Antoniano Antonio (Pittore; n. Urbino, attivo nella seconda metà del XVI secolo). Allievo urbinate del Barocci, fu identificato da alcuni con Antonio da Urbino detto il Sordo d’Urbino (Urbino 1560-1620). Nel 1596 fu incaricato di consegnare una Crocifissione del mae- Antonio da Montolmo (Fisico, n. Corridonia, 1330, m. 1396). Fu lettore di medicina e astrologia a Bologna dal 1384 al 1390. 41 Antonio di Simone Francesco (Architetto, scultore, Monte Calende, Pesaro, XV secolo). Fu il progettista dell’Ospedale Vecchio di Urbino. Antonio da Pesaro (Pittore; Pesaro XV secolo). Poco si conosce della sua vita, nonché della sua attività artistica. Fra le opere a lui attribuite ricordiamo: Pietà (affresco), alla Pinacoteca Comunale di Camerino, e parte degli affreschi nelle arcate della navata destra di San Francesco in Pesaro. Antonioni Emilio (Pittore; n. Fano 1895, m. Fano 1968). Si diploma alla Scuola d’arte di Fano per trasferirsi poi a Roma, dove studia al museo artistico industriale e alla scuola di nudo dell’Accademia inglese di belle arti. È quindi attivo a Pesaro, dove decora ceramiche nella fabbrica Molaroni, realizza decorazioni ad affresco nella provincia, a Fano fregia il prospetto dell’ospedale di Santa Croce e il soffitto della caserma Paolini. Antonio da Recanati vedi Colombella Antonio Antonio da Sant’Elpidio (Teologo agostiniano; Sant’Elpidio XIV secolo). Nel 1383, già maestro in teologia, lo troviamo reggente dello Studio Agostiniano presso la Curia romana. Fece una traduzione in volgare del De claris mulieribus del Boccaccio che, data alle stampe a Venezia nel 1506 da Vincenzo Bagli. Antonozzi Francesco (Pittore; n. Osimo, sec. XVIII). Allievo del Toschi. I Gallo e i Dittaiuti gli commissionarono delle tele, quattro delle quali sono tuttora conservate presso il palazzo Gallo di Osimo. Antonio da Urbino vedi Antoniano Antonio Antonio di Agostino di Ser Giovanni (Pittore; n. Fabriano 1489 ca.). Conosciuto comunemente come Antonio da Fabriano, fu il pittore più importante della scuola fabrianese nel periodo che seguì a Gentile (➔). Sue opere più importanti sono il Crocifisso del museo Piersanti a Matelica, il San Girolamo della collezione Fornari emigrato in America, lo stendardo di San Clemente a Genga, il polittico a Santa Croce di Sassoferrato, a Fabriano la Dormizione della Vergine e una Madonna e Santi nella Pinacoteca civica, forse una grande Crocifissione e altri affreschi nel refettorio di Santa Lucia dei Domenicani, un affresco nel palazzo Baravelli. Fu capostipite della nobile famiglia Manari; prese anche parte alla vita pubblica del comune (1484). Antracini Francesco (Medico; n. Macerata Feltria sec. XVI). Fu archiatra pontificio di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni) nel 1566. Antracino Giovanni (Medico, poeta; n. Macerata Feltria seconda metà XV secolo, m. Roma). Egli fu detto anche Maestro Giovanni da Macerata. Insegnò medicina prima all’Ateneo di Padova, poi in quello di Roma con grande competenza e prestigio. In quest’ultima sede fu chiamato da Leone X come suo archiatra. Annibal Caro (➔), lo nomina e lo elogia vivamente anche come poeta. In seguito fu archiatra anche di papa Adriano VI. Antonio di Lorenzo di Alessandro (Pittore; San Severino Marche prima metà XVI secolo). Fu prima allievo del padre assieme al fratello Giovanni Gentile, poi di Bernardino di Mariotto. È documentato per aver dipinto nel 1514 stemmi con Anton Jacopo Acciaferri (➔). È datata e firmata 1548 la tavola con Madonna incoronata e Santi dipinta in collaborazione con il fratello Giovanni Gentile, attualmente nel duomo di San Severino Marche. Apolloni Agostino (Pittore, stuccatore, ceramista; n. Sant’Angelo in Vado, notizie dal 1520 al 1602). Studiò pittura nella bottega di suo zio Luzio Dolci (➔). Nel momento di maggior splendore nella produzione di maioliche (1520-80), egli apre a Castel Durante (Urbania), un laboratorio di ceramica al quale in seguito ne aggiunge altri due. Verso il 1580, quando la richiesta di maioliche diminuisce, l’Apolloni riprende la sua vecchia attività di pittore e stuccatore. Fra le sue opere più significative in questo campo gli affreschi nella volta della chiesa di Santa Caterina in Urbania (1520) e una Crocefissione su tavola nella chiesa di San Francesco, sempre in Urbania. Tra le sue opere in ceramica menzioniamo un semibusto in terracotta dipinta da ritenersi un suo autoritratto e un busto della moglie Ludovica Brunori. Antonio di Piergiacomo (Architetto; San Severino Marche XVI secolo). Di lui ci è nota un’unica opera: la ricostruzione della chiesa di Santa Maria del Glorioso presso San Severino Marche. Appiani Francesco (Pittore; n. Ancona 29 gennaio 1704, m. Perugia 2 marzo 1792). Fu allievo di Domenico Simonetti detto il “Magatta” (➔). Si trasferì poi a Roma alla scuola di F. Trevisani e di F. Mancini (➔). Si recò in Antonio di Cristoforo (Scultore; Cagli XIV-XV secolo). Di lui ricordiamo, per mancanza di ulteriori notizie biografiche, le seguenti opere: il portale gotico e portico nella fiancata sinistra del duomo di Cagli (1424) e l’altare destro della chiesa di San Francesco a Cagli. 42 Bambino, San Francesco e San Nicola di Bari. La sua arte è senza dubbio manieristica. Ha tuttavia pregi di composizione sobria e sicura tecnica nel disegno, nonché di vivacità coloristica. Nelle sue opere si sente l’influsso dello spoletino Giovanni Spagna con lontane reminiscenze michelangiolesche e del Barocci (➔). Anche i suoi figli Marcantonio e Antonio furono pittori. seguito a Spello, ove dipinse il ritratto della principessa Teresa Pamphili. Poi a Perugia (1743) dove visse per quasi mezzo secolo stringendo amicizia con il paesaggista Alessio De Marchis, e ove fu operosissimo. Appiani Paolo (Teologo, umanista; n. Ascoli Piceno 9 dicembre 1639, m. Roma 20 febbraio 1709). Gesuita, studiò giurisprudenza a Bologna e teologia a Roma. Dal 1677 al 1678 fu alla Penitenzieria di San Pietro in Vaticano, e poi a Fano e a Firenze, ove entrò in relazione con illustri letterati come il Magliabecchi e il Fagiuoli. Fu anche accademico dell’Arcadia (1704). Tra i suoi scritti biografici: la Vita di Sant’Emidio vescovo di Ascoli e martire, Roma 1702; Vite degli Arcadi illustri, Roma 1714; e una Vita Francisci Stabilis (vulgo) Cecco d’Ascoli, tentativo di riabilitazione del suo concittadino dall’accusa di astrologia ed eresia. Sono inoltre da menzionare: Carmina pacifici maximi poetae asculani, Parma 1691; L’Historia di tutte le heresie di Domenico Bernino, Roma 1709; e le Lune Tolomee, Siena 1685, miscellanea di prosa e versi in onore di F. Maria de’ Medici governatore di Siena. Aracinti Rodolfo (Letterato; n. Monterubbiano 1492, m. Monterubbiano 1555). Pubblicò nel 1511 un poemetto dedicato al pontefice Giulio II (Julides), fu maestro di Annibal Caro (➔) e scrisse un poema dedicato al duca di Camerino G.M. Varano dal titolo Judicium Paridis. Araldi Giovanfrancesco (Teologo; n. Cagli intorno al 1528, m. Napoli 10 maggio 1599). Nel 1551 lo troviamo a Roma nella Compagnia di Gesù, ricevuto dallo stesso Ignazio di Lojola. Nel 1552 fu mandato a Napoli a fondare e organizzare la compagnia. Qui insegnò grammatica e dottrina cristiana, compì studi di teologia e venne consacrato sacerdote nel 1553. Scrisse numerose opere a carattere religioso, tra cui ricordiamo un Ristretto della dottrina christiana, Napoli 1553, Chronico della Compagnia di Gesù di Napoli, fonte copiosa di notizie religiose e artistiche della città dal 1552 al 1596. Aquilini Andrea (Andrea da Jesi) (Pittore; n. Jesi 1491 o 1492, m. 1543). L’Aquilini appartiene a una famiglia di artisti che, attiva dal Quattrocento, si estinguerà nel Settecento; ricevette numerose committenze per pitture, indorature di insegne, stemmi e mazze che, per il loro stesso carattere effimero, sono andate disperse e che ci sono riferite da diverse indicazioni d’archivio che lo vedono affiancare Pietro Paolo Agabiti (➔), alla cui scuola evidentemente si era formato. Sposò la sorella del pittore fanese Giuliano Presutti (➔), attivo nel territorio jesino presso la cui bottega fu indirizzato il figlio Antonuccio, noto come Antonuccio da Jesi. Altre sue opere andarono disperse e distrutte; rimane, firmata e datata 1525, la Madonna in trono tra i Santi Antonio abate e Francesco, con Crocifissione nella lunetta, nella chiesa di Santa Maria a San Marcello. Arcangeli Ageo (Giurista; n. Treia 7 febbraio 1880, m. Roma 14 maggio 1935). L’Arcangeli occupa una posizione di rilievo fra quel gruppo di studiosi che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, furono promotori del rinnovamento della scienza italiana del diritto commerciale. Egli contribuì con ricerche, rimaste fondamentali, soprattutto sugli atti di commercio e sui titoli di credito. Laureatosi a Macerata, ventiduenne era già professore di diritto commerciale a Urbino. Passò quindi a Camerino, Perugia, Sassari, Macerata e Parma. Succedette a V. Polacco nella cattedra di diritto civile a Padova (1920). Nel 1926 subentrò a L. Bolaffio all’Università di Bologna nella cattedra di diritto commerciale e quindi, nel 1930, passò all’Università di Roma, quale professore ordinario di diritto agrario. Nel 1922 iniziò anche una fortunata carriera politica. Deputato nella 28ª e 29ª legislatura, divenne in seguito sottosegretario alle finanze (1934-35). Fu vicepresidente della delegazione italiana a Ginevra per l’unificazione del diritto cambiario. Dopo aver aderito al fascismo contribuì all’elaborazione della teoria corporativa dell’agricoltura. Aquilini Arcangelo (Pittore; n. Jesi verso il 1552, m. Spoleto 1611). Quella degli Aquilini è una famiglia di pittori che operarono a Jesi e fuori nei secoli XV-XVII. Arcangelo, figlio di Antonuccio di Andrea, è il più importante della famiglia. Stabilitosi a Spoleto nel 1599, vi operò per tutta la vita. Fu membro dell’Accademia romana di San Luca e godette molta considerazione nella sua patria di adozione. Si conservano di lui a Spoleto tre opere: una tela firmata nella chiesa di Sant’Ausano (rappresentante la Pietà con figure di santi e nel fondo una veduta di Spoleto); un affresco nella chiesa di San Nicolò (ora distrutta) dello stesso argomento; un altro affresco nella facciata del palazzo Angelini Paroli, rappresentante la Vergine in trono con Arcangeli Giovanbattista (Architetto, ingegnere militare; n. Pesaro 1571, m. Ferrara 30 ottobre 1615). Architetto al servizio delle più potenti famiglie della sua epoca, fu ingegnere militare e in questa qualità fortificò il porto di 43 Agostini (➔) nelle Giornate soriane (IV giornata), autore di un trattato di fortificazione. Militare con il grado di colonnello il secondo, suo parente, fu abile nel progettare scene, macchine per teatri e lavori di prospettiva. Senigallia, collaborò alla sistemazione del castello di Ferrara, con G. Battista Aleotti, dove morì. Arcangeli Pacifico (Cappellano militare, medaglia d’oro; n. Treia 14 marzo 1888, m. Montegrappa 5 luglio 1918). Fu anche letterato e poeta. Morì sul Montegrappa nella prima guerra mondiale in un’azione eroica, per la quale gli fu conferita la medaglia d’oro alla memoria; unico cappellano militare al quale sia stata assegnata questa decorazione. Arduini Sante (Medico, filosofo; Pesaro XIV secolo). Esercitò l’attività di medico a Venezia, ove compose, tra il 1424 e il 1426, un trattato intorno ai veleni, L’opus de venenis, Venezia 1492. L’Arduini è noto inoltre per aver scritto un trattato riguardante la fisiologia: il De prolificatione. Arcangelo Di Cola (Pittore; n. Camerino verso il 1390, m. dopo il 1429). Fu uno dei protagonisti della pittura dell’Italia centrale nella prima metà del secolo XV. Notizie della sua attività vanno dal 1416 al 1429. Lo troviamo prima a Città di Castello (1416), ove dipinge una Maddalena nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Pubblico, poi a Firenze, nel 1419. Le uniche opere documentate di Arcangelo Di Cola che possono costituire un caposaldo per la ricostruzione critica della sua attività, sono andate perdute. Unico valido sostegno per la ricostruzione del suo percorso artistico è il dittico, noto come Dittico Longland, oggi a New York, recante il nome dell’artista. Per alcuni, questo è ritenuto il più antico documento pittorico di Arcangelo Di Cola, per altri invece sarebbe preceduto dalla Madonna in trono con due angeli (al Museo di Camerino), con evidenti derivazioni di Gentile da Fabriano (➔). In seguito fu sensibile alla scuola riminese (Madonna in trono con santi e Crocifissione, Coll. Cini) e a quella fiorentina (Madonna in trono e sei angeli, 1426). Ma soprattutto durante il suo soggiorno fiorentino fu influenzato da Masaccio. Influssi di questo maestro si possono rilevare nel dittico di New York (Madonna in trono e Crocefissione). Nel 1425 è attivo a Camerino. Arincoli Venanzio (Frate cappuccino, bibliotecario; n. Castel San Pietro di Camerino 18 maggio 1873, m. Ascoli Piceno 26 luglio 1959). Di famiglia contadina, spinto da precoce vocazione religiosa studia nel convento di Camerino per essere ammesso al noviziato. Ordinato sacerdote nel 1896, due anni dopo entra nella famiglia dei Cappuccini di Ostra Vetere dove rimane fino al 1900, quando viene trasferito ad Ascoli Piceno. In questo ambito si adopera per l’apertura di un circolo di studio con annessa biblioteca per giovani lavoratori presso il convento di Ascoli. Verso il 1910 si adopera per la costituzione della “Società Tipografica Cooperativa” coerentemente con la sua attività di propugnatore delle “Associazioni di preti lavoratori” che provoca i primi attriti con i superiori, soprattutto per la sua denuncia di immoralità anticristiana rivolta ad alcuni prelati della Diocesi ascolana, in primis al Vescovo Bartolomeo Ortolani. La polemica trova spazio e cassa di risonanza sui giornali locali in tal modo esponendo il frate non solo ai richiami dell’obbedienza, ma anche all’accusa di eresia modernista. Già prima del 1910 sono suoi rapporti epistolari con Paul Sabatier, Romolo Murri (➔) e con Gennaro Avolio, direttore della Modernista “Battaglie d’oggi” da quegli anni stampato ad Ascoli dalla “Società Tipografica Cooperativa”. L’attività di questa tipografia, da lui promossa con alcuni amici modernisti, è molto importante nella storia culturale di quegli anni. La tipografia, che col tempo diverrà vera casa editrice che dà lavoro ad ex sacerdoti condannati per modernismo, stamperà, oltre ad opuscoli di questo movimento, la rivista Bylichinis della facoltà teologica battista di Roma. le sue posizioni sociali e religiose, sospette di eresia, ne fanno presto decretare l’allontanamento dall’Ordine cappuccino e dalla Chiesa. Si vede così costretto ad accettare nel 1911 l’incarico di bibliotecario dal comune di Ascoli; a questa occupazione affianca quella della ricostituita biblioteca circolante che fa capo alla Società “Pro Cultura”. Propagandista in un primo momento della “Lega democratica nazionale” di Murri se ne distaccherà per la piega contraria al suo fondatore che viene prendendo con Donati e Cacciaguerra. Nel 1919 aderisce al partito socialista, senza prendere parte Archetti Alberto (Pittore; n. Jesi 1914, m. 1986), Pittore, disegnatore, scultore. Ardizi Nicola (Ingegnere; n. Pesaro, attivo nel 1740, m. Pesaro 22 settembre 1772). Di illustre famiglia pesarese, progettò la sistemazione del porto di Pesaro e in particolare del molo. Collaborò come disegnatore all’iconografia del volume dedicato al porto di Pesaro dall’Olivieri (➔). Ardizio Curzio (Letterato; n. Pesaro XVI secolo). Rimatore e letterato alla corte dei duchi di Mantova, fu anche pittore e forse fece un ritratto del suo amico Torquato Tasso. Arduini Girolamo I e II (Architetti, attivi a Pesaro rispettivamente nel 1574 e 1680 ca.). Cavaliere il primo, citato da Ludovico 44 1552). Laureatosi in medicina a Padova nel 1499 si trasferì subito a Roma fino al famoso “sacco” del 1527, allorché fece ritorno nella città natale. Nel 1531 era alla corte di Urbino, e nel 1534 ad Ancona. Il suo vero nome era Salvatico, nome che abbandonò nel periodo romano, assumendo quello di Arsilli. La più celebre composizione poetica dell’Arsilli è il De poetis urbanis (1524), in cui vengono elencati circa duecento poeti umanisti viventi a Roma dall’inizio del secolo XVI. Egli scrisse anche un Helvetiados liber, composizione poetica sulla battaglia di Novara del 1513 vinta dagli svizzeri. Sono suoi anche due libri di Praedictiones mediche, rimaneggiamento dei pronostica di Ippocrate. Scrisse inoltre un trattato sulla pesca, Piscatio, dedicato a Guidobaldo II. Compose anche numerosi versi d’amore per una certa Parmilla di Senigallia da lui amata. Mentre era a Roma, dove dimorò per lungo tempo, esercitò anche l’arte medica. A Roma strinse amicizia con Sebastiano del Piombo il quale gli fece un ritratto (1522-25). alla sua attività. Nel 1920 sposa Giuseppina Leonardi, figlia di un anarchico, conosciuta nel 1913 e il rito civile gli costa anche la scomunica, dal momento che non aveva mai rinunciato ai voti. I più di tremila volumi da lui raccolti per la biblioteca circolante sono attualmente conservati presso la biblioteca comunale di San Bendetto del Tronto. Armaroli Leopoldo (Giurista, uomo politico; n. Macerata 4 maggio 1766, m. Appignano, Macerata, 9 giugno 1843). Si laureò in diritto civile ed economico nel 1786 a Macerata. Dopo aver esercitato l’avvocatura per quasi dieci anni, nel 1794 ebbe la cattedra di diritto civile nella stessa città. Ritornato a Macerata dopo un breve soggiorno a Roma, fu nominato presidente del tribunale criminale del Dipartimento del Musone (1798). Criticò molto il famigerato sistema giudiziario dello stato pontificio, rilevandone le ingiustizie e le crudeltà. Dopo l’annessione delle Marche al Regno Italico, nel 1808 l’Armaroli fu nominato presidente della corte di giustizia civile criminale del Dipartimento del Tronto. L’anno dopo fu fatto senatore del Dipartimento del Musone. Caduto il sistema napoleonico, egli si ritirò nel 1815 nella sua villa di Appignano. Ma nel 1831, dopo lo scoppio della rivoluzione, ritornò alla ribalta politica. Artesi Domenico (Politico; n. Amandola, Ascoli Piceno, 1858, m. Amandola 1928). Entrò nel 1870 nel seminario di Fermo e completò gli studi nel seminario Pio di Roma, dove fu ordinato sacerdote nel 1882. Tornato a Fermo, dopo aver conseguito le lauree in teologia e in diritto canonico, insegnò teologia nel seminario e nel 1890 fu nominato provicario generale. Fondò nel 1897 il battagliero settimanale “La voce delle Marche”, che diresse fino al 1907. Dal 1896 al 1907 fu l’animatore del movimento cattolico a Fermo e uno dei più attivi esponenti di quello marchigiano. Negli stessi anni promosse a Fermo e in altri centri banche popolari, casse rurali e società operaie di mutuo soccorso. Armellini Mariano (Predicatore, erudito; n. Ancona 10 dicembre 1662, m. San Feliciano di Foligno 4 maggio 1737). Nel 1688, vestì l’abito benedettino in San Paolo fuori le mura. Compì gli studi filosofici e teologici a Montecassino, dopo di che insegnò a Pavia e a Firenze e qui strinse amicizia con Antonio Magliabecchi. Si diede poi alla predicazione sin dal 1722. Nel 1723 fu eletto abate di Sant’Eugenio in Mantova e poi di San Pietro in Assisi e infine, nel 1731, del monastero del suo ordine in Siena e a Foligno. Viaggiò molto per visitare biblioteche e consultare manoscritti. Scrisse la Bibliotheca benedectina cassinensis (1732), opera molto importante per la storia della sua congregazione, nonché Adtitiones et correctiones (1735). Arzeni Bruno (Traduttore, poeta; n. Corridonia 1905, m. Macerata 1954). Dopo aver frequentato le scuole ed ssersi laureato a Roma, insieme a Lino Liviabella (➔), cui rimase legato da profonda amicizia per tutta la vita, divenne allievo prediletto del grande germanista Giuseppe Gabetti, con il quale si laureò con una tesi su F. Hölderlin ottenendo, nel 1933, una borsa di studio per l’Università di Monaco di Baviera. Chiamato a insegnare all’Università di Erlangen (Norimberga) e poi, nel 1935, all’Università di Monaco di Baviera come docente di letteratura italiana si sposò in Germania con Helga Steinmeyer. A causa di una grave malattia dovette però fare ritorno a Macerata dove si dedicò prevalentemente all’attività di traduttore. Tradusse per la casa editrice Bruckmann di Monaco Pirandello, Panzini (➔), Tombari e altri scrittori italiani. Scrisse una biografia di Thomas Mann e la traduzione di alcune sue opere maggiori. Per la Santoni di Firenze tradusse infine numerose opere di Goethe, Alcuni dei suoi versi originali sono stati raccolti nella raccolta L’orma (1966). Arrigoni vedi Laurentini Giovanni Arsilli Benedetto (Drammaturgo; n. Senigallia 8 agosto 1608). Fu noto soprattutto come autore drammatico. Acquistò, infatti, grande fama ancor giovanissimo, scrivendo numerose opere tra le quali: Le meraviglie d’amore, commedia in prosa che ebbe due edizioni (Perugia, presso Pietro Tommasi, 1626 e 1628); una tragedia in versi sciolti intitolata Anna Bolena e due composizioni drammatiche: Gli scherzi di Venere e La gabbia degli stolti. Arsilli (Salvatico) Francesco (Medico, poeta; n. Senigallia 1475 ca., m. Senigallia 45 Leopoldo Armaroli Francesco Arsilli (Salvatico) 46 medico romano suo contemporaneo ed amico, che fu pubblicata in due volumi a Ginevra nel 1718. Ascani Giovanni Andrea (Scultore; n. Fossombrone, Pesaro, sec. XVIII). Eseguì fra il 1756 e il 1767 completandolo il rivestimento della parte superiore della facciata di San Nicolò a Tolentino iniziata, a suo tempo, dall’Orlandi. Astenio Lorenzo (Erudito; n. Macerata Feltria tra il 1435 e il 1440, m. Fano 1508). Dopo aver compiuto i primi studi di retorica nella città natale, nel 1472, già noto come erudito, andò a Cagli come scriba di Girolamo Riario e contemporaneamente svolse attività di editore per la tipografia di Roberto da Fano e di Bernardino da Bergamo. I testi da lui curati dimostrano un gusto filologico sorvegliato e puntiglioso. Nel 1476 si trasferisce a Urbino come bibliotecario di Guidobaldo da Montefeltro (➔). Nel 1490 è a Rimini come maestro di Pandolfo e Carlo Malatesta. Qui compila un importante dizionario storico-geografico di tutte le città del mondo (già iniziato a Urbino), che si conserva manoscritto nella Biblioteca Vaticana. Asclepi Giuseppe (Astronomo, scienziato; n. Macerata 1706, m. Roma 1776). Nel 1721, dopo aver studiato nel collegio illirico di Loreto, entrò nella Compagnia di Gesù. Insegnò a Roma grammatica e retorica, poi fu lettore di filosofia a Perugia e insegnò matematica e fisica a Siena. Dal 1759 sostituì il Boskovich al Collegio romano. Tornato nel 1773 a Macerata per un breve periodo, si trasferì poi definitivamente a Roma, ove nel 1776 morì. L’Asclepi è considerato il progenitore della teoria della tensione dei vapori saturi e non saturi e fra i primi che raccolsero osservazioni barometriche di luoghi diversi. Atanagi Dionigi (Letterato; n. Cagli 1504, m. Venezia 1573). Fu uno dei più celebri letterati del XVI secolo. Terminati gli studi in patria andò a Roma nel 1532, dove rimase fino al 1540, frequentando l’Accademia della Virtù fondata da Claudio Tolomei in casa di Francesco Colonna. Fu poi a Macerata, ancora a Roma (dove entrò nell’Accademia dello Sdegno), ancora a Cagli nel 1557. Di qui fu chiamato dal duca di Urbino con l’incarico di rivedere l’Amadigi di Bernardo Tasso, che frequentava la corte urbinate, cosa che l’Atanagi fece, ponendo la propria residenza a Pesaro, curandone l’edizione che fu stampata a Venezia nel 1560. Morì per una ferita infertagli sembra da un suo collaboratore, Mercurio Concorreggio, che era il vero traduttore dell’opera Il libro degli uomini illustri di Gaio Plinio Cecilio (Venezia 1562). Tra le sue opere: Versi e rime, lettere a personalità illustri del suo tempo, sonetti, ecc. Asdrubali Francesco (Medico, ostetrico; n. Loreto 4 ottobre 1756, m. Roma 7 luglio 1832). Studiò medicina nell’ateneo romano e a Parigi dimostrando presto grande interesse per l’ostetricia. Fu professore di Ostetricia nell’Archiginnasio della Sapienza a Roma e per quarant’anni all’ospedale di S. Rocco in Roma. Tant’è vero che Pio VI (Angelo Braschi) pensò di fondare nel 1786 per lui a Roma una cattedra di ostetricia separata da quella di chirurgia. A tale scopo l’Asdrubali fu inviato a Parigi per perfezionarsi in tale materia con Alphons Le Roy e con il Baudelocque (1786). Ritornato a Roma ottenne la cattedra alla Sapienza in questa disciplina. Fu socio del collegio medico, direttore della clinica di maternità, nonché membro delle Accademie mediche di Bruxelles, di Napoli e di Perugia. Ideò le forbici “embriotomiche” che portano il suo nome e che fanno ancora parte dello strumentario ostetrico. Tra le sue opere ricordiamo la più importante: il Trattato completo di ostetricia teorica e pratica in cinque volumi (1795-1812). Atanagi Monaldo (Buffone di corte; n. Cagli, m. dopo 1564). Fratello di Dionigi (➔), era buffone di corte di Guidubaldo II della Rovere (➔) e scrisse alcuni diari (dal 1555 al 1558, Biblioteca comunale Urbania) sulle abitudini e gli avvenimenti di corte, dove ricorda anche il fratello. Fu a Parigi, alla corte estense e poi a Fossombrone alla corte del cardinale Giulio della rovere, infine accompagnò il duca a Venezia. I suoi diari diedero origine a una moda che fu imitata in seguito ed ebbero un certo successo. Fu anche cantante e clavicembalista. Assalti Pietro (Medico, matematico, orientalista, letterato; n. Acquaviva Picena 23 giugno 1690, m. Roma 1731). Figlio di Felice e Sofonisba Assalti compì gli studi di retorica e di filosofia all’Università di Fermo (istituita da Papa Bonifacio VIII) adottorandosi a soli diciannove anni ed apprendendo anche diverse lingue. Con una grande preparazione umanistica venne mandato a Roma per perfezionarsi. Qui, per concorso, fu aggregato fra i pubblici lettori dell’Archiginnasio romano, e tra gli scrittori della Biblioteca vaticana. Nel 1719 gli fu conferito anche l’insegnamento di Anatomia e poi nel 1721 anche quello di Botanica e medicina teorica. Oltre che ad alcuni studi di medicina e a una teoria sulla funzione della milza, si dedicò a curare l’edizione delle opere del Lancisi, (la Methallotheca) altro grande Atti Ugo (Santo; n. Serra S. Quirico, Ancona, 1230 o ’35, m. Serragnaldo di Sassoferrato, forse 26 luglio 1273). Figlio di Attorre ricco gentiluomo di Serra S. Quirico. Ebbe un fratello maggiore di nome Giuseppe (anche egli discepolo di S. Silvestro ➔) e forse anche un secondo fratello di nome Enrico. Giovanissimo viene mandato all’Università di 47 (Bologna), ove iniziò i suoi studi filosofici, in seguito compì gli studi di teologia e di diritto canonico a Monte Oliveto Maggiore e a Roma. Trasferitosi a Firenze, si dedicò con grande fervore agli studi della fisica, con particolare riguardo ai fenomeni sismici. Pubblicò, fra l’altro, interessanti studi sui terremoti di Bologna (1779), della Calabria, della Sicilia (1783) e dell’Umbria (1785), oltre ad altri pregevoli lavori di carattere scientifico. Bologna a completare gli studi di lettere e scienze liberali. Da qui, interrotti gli studi per una forte vocazione mistica e contro la volontà paterne, abbandonò Bologna recandosi presso S. Silvestro nel monastero di San Giovanni a Sassoferrato. Qui completato il noviziato rimase per qualche tempo. Andò quindi a Montegranaro per fondarvi un altro monastero, e qui nel 1564 lo Statuto Comunale lo proclamò fondatore del paese. Nel 1756 viene annoverato ufficialmente fra i “beati”. Aurispa Giovanni (Umanista; n. Montefortino, m. 1459). Portò da Costantinopoli diversi codici di Platone, Plutarco, Sofocle ed Eschilo. Atti Ungaro (Uomo d’armi; Sassoferrato XIV secolo, notizie fino al 1371). Fu uno degli esponenti di maggior spicco della famiglia dei conti Atti che, a fasi alterne, ressero Sassoferrato per circa quattro secoli. Nel 1346 Ungaro fu capitano di ventura a Firenze, alleata di Perugia contro Arezzo. Nel 1349 difese invano Sassoferrato contro i Malatesta. Nel 1351 fu podestà a Pergola e tentò di impadronirsene, ma il Bastardo di Pergola glielo impedì. Fece poi guerra a Gubbio strappando la fortezza di Tiego tra Scheggia e Pascilupo, che tenne per lungo tempo. Quando il cardinale E. Albornoz riconquistò la Marca per lo Stato della Chiesa, anche Sassoferrato dovette cedere e Ungaro andò a prestare ubbidienza al cardinale a Orvieto. Nel 1358 aiutò l’Albornoz a espugnare Forlì con l’aiuto anche delle milizie dei Varano (➔), signori di Camerino. Come riconoscimento gli fu assegnato il Vicariato di Sassoferrato per dieci anni, cioè fino al 1365. Alla scadenza, Sassoferrato divenne libero comune e Ungaro fu creato governatore di Roma. Aurispa Livio (Giurista, patriota; n. Macerata 26 giugno 1775, m. Macerata 23 febbraio 1844). Nel 1788 si laureò in giurisprudenza a Macerata, ottenendo l’anno dopo la cattedra di istituzioni civili nella stessa Università. Nel 1815 strinse relazioni con i carbonari, cooperando all’impresa di G. Murat. Nel 1820 divenne uno dei maggiori esponenti del movimento liberale di Macerata, e in seguito venne arrestato dietro delazione assieme ad altri cospiratori. Fu portato a Roma e imprigionato a Castel Sant’Angelo insieme a G. Pasini, B. Ilari, A. Cellini e G. Capanna. Nel novembre fu arrestato anche il figlio Pirro. Nel 1821 fu condannato a sette anni di fortezza, da scontarsi nella Rocca di Civitacastellana. Per ragioni di salute gli fu condonato un anno di carcere e terminò la pena nel convento dei minori osservanti di Cingoli. Ne uscì libero nel 1827. Dopo la rivoluzione del ‘31 accettò l’incarico di governatore di San Severino, che però dovette lasciare in seguito al ristabilimento del governo pontificio. Attili Giuseppe (Organaro; n. Ortezzano di Ascoli Piceno 14 marzo 1692, m. 10 dicembre 1779). Organaro attivo nell’Ascolano e nel Fermano. Aurispa Pirro (Medico, patriota; n. Macerata 11 aprile 1799, m. Macerata 4 novembre 1868). Figlio di Livio (➔), fu patriota e cospiratore come il padre, e venne arrestato, scontando il carcere prima a Roma e poi a Macerata. Nel 1822 si laureò in medicina a Bologna e nel 1834 ottenne la cattedra di patologia generale e medicina legale all’Università di Macerata. Nel 1848 fu tra i professori universitari di Macerata che spinsero gli studenti a prendere le armi per la liberazione del lombardo-veneto. Ripristinato il governo pontificio, fu chiusa l’Università di Macerata con la destituzione di tutti i professori. Nel 1851 gli fu concesso di tornare a far parte del collegio medico-chirurgico della città. Durante l’epidemia di colera del 1853, prestò assistenza attiva ai colerosi delle province marchigiane. Nel 1856 pubblicò l’opuscolo Sul colera pestilenziale, basato sulle osservazioni da lui fatte durante l’epidemia. Augeni Orazio (Medico, filosofo; n. Monte Santo, ora Potenza Picena, 1527; m. forse Padova 1603). Figlio di Ludovico (nato a Potenza Picena nel XV sec.) anche esso medico e professore di medicina pratica nonché archiatra di Clemente VII (Giulio dei Medici) nell’anno 1523, studiò medicina a Camerino, a Fermo e a Pisa come allievo di Giovanni Argentier e in seguito a Ferrara e a Padova. Fu lettore di Logica all’Università di Macerata per altri due anni e di Medicina Teorica alla Sapienza di Roma per oltre cinque anni. Passò poi a Torino come primario lettore di medicina nel 1580, indi si trasferì a Pavia, dove per 16 anni fu lettore di Medicina Pratica. Infine fu chiamato a Padova quale primario lettore di Medicina Teorica. Augusti Francesco (Fisico, filosofo; n. Senigallia sec. XVIII). Di nobile famiglia fu scenziato e fisico di un certo valore, nonché filosofo e teologo. Vestì l’abito di monaco olivetano presso il Monastero di S. Michele in Bosco Avena Renato (Musicista, direttore d’orchestra; n. Ancona 9 ottobre 1870). È noto soprattutto come direttore d’orchestra, ma anche come compositore di canzoni 48 Pirro e Livio Aurispa Decio Azzolino 49 degli undici cardinali che formarono il gruppo detto “lo squadrone volante”, disposto a eleggere solo chi fosse apparso più utile alla Chiesa. Si adoperò in modo particolare all’elezione del cardinale Chigi (Alessandro VII), e così per altri conclavi da dove uscirono papa Clemente IX, Clemente X e Innocenzo XI. Sotto Clemente IX fu segretario di Stato. Alessandro VII gli affidò la direzione degli affari, molto dissestati, della regina Cristina di Svezia, con la quale ebbe una fitta e importante corrispondenza e relazione intima. Bello, colto, brillante, amante dell’arte e collezionista, patrono dei marchigiani a Roma, l’Azzolini seppe conquistarne il favore, diventandone erede universale. popolari. Fu a capo dell’orchestra del Casinò municipale di San Remo. Azzi Tommaso (Giurista; n. Fossombrone 1561, m. Fossombrone, 1611). Laureatosi in diritto, fu uditore alla Rota di Macerata. Scrisse da giovane, nel 1583, l’opera De ludo scacchorum in legali methodo tractatus, che dedicò al duca di Urbino Francesco Maria I (➔). Azzolini (o Azzolino) Decio (senior) (Cardinale; n. Fermo 1549 o 1550, m. Roma 9 ottobre 1587). Figlio di Pompeo (➔), visse solamente trentotto anni. È uno dei componenti più importanti della famiglia Azzolino. Fu segretario particolare del cardinale Perretti, vescovo di Montalto, il quale apprezzò tanto la sua fedeltà, le virtù e capacità di lavoro, che quando, nel 1585, fu eletto papa con il nome di Sisto V (➔), lo volle come “segretario intimo”, cioè come suo più vicino collaboratore. Nel 1585 Sisto V lo nominò cardinale del titolo di San Matteo di Merulana. Anche dopo aver ricevuto la porpora, egli rimase al fianco del pontefice, assumendo interamente la direzione degli affari di stato. Azzolini Lorenzo (Prelato, diplomatico; n. Fermo 1583, m. forse Narni novembre 1632). Datosi alla vita ecclesiastica, visse molto tempo a Roma. Fu scelto da Urbano VIII a segretario e consigliere di Stato. Il 17 gennaio 1630 fu eletto vescovo di Ripatransone, trasferito due anni dopo a Narni. Ebbe commenti lusinghieri come letterato da parte di G.V. Rossi e del Crescimbeni (➔). La maggior parte delle sue rime sono rimaste inedite. Postuma è la Satira contro la lussuria (Venezia 1685), come anche il poemetto Il cuore rinovato di Santa Caterina da Siena (Jesi 1646). Azzolini Decio (junior) (Cardinale; n. Fermo 11 aprile 1623, m. Roma 8 giugno 1689). Fu detto “junior” per distinguerlo dall’omonimo cardinale suo parente (➔). Il cardinale Barberini lo introdusse come segretario presso G. Panciroli che, diventato cardinale, lo ebbe come suo conclavista nel conclave ove fu eletto papa Innocenzo X (1644). Il nuovo papa lo favorì e, dopo rapida carriera, fu da lui fatto cardinale a soli trentuno anni (1654). Morto Innocenzo X (1655), fu uno Azzolino Pompeo (Giurista, scrittore; n. Fermo 1495, m. forse 1551). Figlio di Pierleone Azzolino, fu governatore di Adria, ambasciatore della città di Fermo, avvocato e scrittore. Della sua attività ci restano vari repertori giuridici e il manoscritto della sua opera di agronomia De terminis sive agrorum finibus. 50 B provinciale a Mantova e a Ravenna, ove fu anche segretario della Camera del Lavoro. Dopo la vittoria della sinistra rivoluzionaria al congresso di Reggio Emilia (1912), fu incaricato alla direzione dell’“Avanti”, organo del partito. Dal 1919 al ‘21 e dal ‘24 al ‘29 fu deputato per l’Emilia. Nel 1921 fu anche segretario del Psi. Nel ‘24 si pose all’opposizone del fascismo; non ebbe più così la possibilità di intervenire in parlamento. Partecipò alla secessione dell’Aventino. Fra i suoi scritti ricordiamo: Il diritto di proprietà e gli operai, Ferrara 1884; Cavallotti e Costa, Milano 1887; La democrazia ferrarese dal 1882 al 1889, Mantova 1889; Mazzini e il socialismo, Mantova 1893. Bacchiani Alessandro (Giornalista, saggista; n. Pesaro 22 ottobre 1869, m. Roma). Fu allievo di Ernesto Monaci, di Giulio Beloch e di Giuseppe della Vedova. È stato redattore della “Tribuna”, poi del “Giornale d’Italia”, del “Piccolo” e della “Voce d’Italia”, trattando per lo più temi di politica estera, coloniale e questioni romane. Nel 1909 pubblicò un lavoro su Giovanni da Verazzano e le sue scoperte nell’America Settentrionale. Scrisse inoltre un secondo saggio su I fratelli da Verazzano e l’eccidio di una spedizione (1926). Fu consigliere della Reale Società Geografica Italiana, socio della Deputazione Romana di Storia Patria, presidente della Commissione Governatoriale per la toponomastica urbana. Badaloni Nicola (Medico e uomo politico; n. Recanati 2 dicembre 1854, m. Roma 1945). Fu medico illustre, autore di apprezzati lavori di patologia, legato al servizio di condotta tra i braccianti del Polesine a Trecenta. Nel 1885-86 fu aiuto assistente alla Cattedra di Materia Medica all’Università di Padova. Nello stesso anno fu deputato socialista e nel 1920 fu eletto senatore. Lottò anche dai banchi parlamentari contro le malattie sociali quali la pellagra e la malaria, soprattutto del Polesine. Nel 1895 ottenne all’Università di Perugia la libera docenza in Patologia e Clinica Medica, poi a Siena la libera docenza in Patologia Generale. Bacci Andrea (Medico, filosofo, naturalista; n. Sant’Elpidio 1524, m. Roma 24 ottobre 1600). Studiò lettere a Matelica sotto la guida di G. Paolo Perriberti. Compì in Siena gli studi filosofici e medicina. In medicina e filosofia ebbe a Roma maestro Modestino Casini (➔). Nel 1551 esercitò la sua professione in Serra San Quirico (Ancona). Poi si trasferì a Roma dove gli fu amico e aiuto il cardinale Ascanio Colonna. Nel 1567 ottenne la cattedra di botanica e farmacologia alla Sapienza, cattedra che conservò per tutta la vita. Nel 1587 fu nominato archiatra di Sisto V (➔) fino alla morte del pontefice. Fu un brillante studioso, un naturalista di vasta cultura, autore di molte opere di idrologia, di farmacologia, di zoologia, di mineralogia e di storia che testimoniano un’alta preparazione medico-biologica. Tra i suoi scritti sono da ricordare quello intorno alla storia di Roma antica De thermis, lacubus, fluminibus, balneis totius orbis libri VII (1571), che contiene preziose indicazioni sulla termoterapia e pregevoli disegni. Tra le opere di soggetto specificatamente medico vanno ricordate: Tabula semplicium medicamentorum (1577) e De venenis et antidotis prolegomena (1586), nonché Tabula de Theriaca quae... (1582). Enorme fama ebbe ai suoi tempi l’opera De naturali vinorum historia, de vinis Italiae et de conviviis antiquorum libri VII (1596). In essa si trovano acute osservazioni e interessanti notizie sulle bevande alcoliche in uso allora in Europa. Fra i suoi allievi si ricorda Modestino Cassini (➔). Venne sepolto in San Lorenzo in Lucina. Badia Giuseppe Antonio (Medico; n. Ancona 1695, m. Torino 1782). Esercitò la medicina a Torino, ove gli fu conferita la cittadinanza. Nel 1729 fu chiamato a leggere la teorica medica all’Università di Torino, e nel 1739 fu promosso alla cattedra primaria di medicina pratica. Nel 1750 venne collocato a riposo con il titolo di medico consulente di corte e poi, nel 1753, fu nominato medico personale del re. Secondo il De Renzi fu il primo a dare notizia dell’esistenza del ferro nel sangue. Dei suoi studi sulla composizione ematica trattò nell’opera Storia rara di un sangue cavato col siero nero, ed esperienze sopra lo stesso, Parma 1722. Baffi Giovan Battista (Medico; n. Corinaldo, Ancona, sec. XVII, m. Perugia 1750). Fu insigne e dotto medico, lettore di medicina all’Università di Perugia. Pubblicò molte opere fra le quali un eruditissimo volume su Avicenna, che si conserva manoscritto nell’Università di Urbino. Bacci Giovanni (Giornalista, uomo politico; n. Belforte all’Isauro, Pesaro, 1857, m. Milano 9 agosto 1928). Fu direttore della “Rivista” di Ferrara, del quotidiano “Mentana” e della “Provincia di Mantova”. Nel 1903 entrò nel Partito Socialista e ne fu consigliere Bagaloni Gilberto (Editore; n. Ancona 21 febbraio 1920, m. Agugliano 51 Andrea Bacci 52 to di Bologna, nella quale città morì di apoplessia. Come scrittore sono notevoli le Decisioni con l’indicazione coram Cerro. 1995). Iscritto all’albo dei giornalisti dal 1950, Bagaloni inizia la sua attività come giornalista collaborando con “Il Tempo”. È stato il fondatore dell’ufficio stampa del Comune di Ancona, che ha diretto fino al 1976. Nel 1972 comincia la sua attività di piccolo editore con l’antologia in due volumi Scrittori marchigiani del Novecento, a cura di R. Antognini, la prima raccolta dedicata alla letteratura dei marchigiani, iniziando un filone di studi e di interessi vivo ancora oggi. L’attività editoriale della Gilberto Bagaloni editore si protrae per diversi anni con l’edizione di numerose pubblicazioni d’arte su Walter Piacesi, Orfeo Tamburi, Georges Rouault, diversi autori marchigiani (Francesco Scarabicchi, Giuseppe Brunamontini, Duilio Scandali). È stato presidente del WWF delle Marche e impegnato ambientalista, autore anche di una monografia intitolata Le mani sull’ambiente, edita in due edizioni. Nel 1990 ha ricevuto la medaglia d’oro del Comune per la sua lunga carriera giornalistica. Balami (famiglia) Famiglia di musicisti. Gabriele (n. Pergola 1655, m. Urbino, 11 marzo 1730) fu sacerdote, maestro di cappella del duomo di Fano dal 1680 al 1682 e direttore della cappella del duomo di Urbino dal 1684 al 1704 e dal 1711 alla morte. Compose l’opera Alidoro ovvero l’amore onesto compagno della fortuna (Ferrara 1700) e musica sacra. Bernardino, fratello di Gabriele (n. 1664, m. Urbino 21 luglio 1745), entrò a far parte della cappella del duomo di Urbino nel 1685 come cantore e violinista; nel 1699 fu nominato organista e vi rimase fino al 1730. Nel 1735 fu eletto maestro di cappella; nel 1737-38 maestro di cappella e organista; alla fine del 1738 lasciò, rimanendo organista, la direzione della cappella al figlio Domenico. Tommaso, fratello di Gabriele e Tommaso, fu cantore e sopranista del duomo di Urbino dal 1684 al 1687, quindi contraltista dal 1711. Bagazzotti Camillo (Pittore; n. Camerino, notizie dal 1535 al 1573). Sembra abbia lavorato nel 1555 con Lorenzo Lotto ai dipinti del coro della Casa di Loreto. Ci sono pervenute di lui due opere firmate: una Madonna del Rosario (1572), che si trova nella cappella del Rosario della chiesa parrocchiale di Boschetto di Gualdo Tadino, Perugia, e una Comunione di Santa Lucia (1573), nella collegiata di Santa Maria Maggiore a Spello, Perugia. Questa data del 1573 è l’ultima certa che abbiamo del Begazzotti. Baldantoni Giuseppe (Liutaio; n. Ancona 19 marzo 1784, m. Ancona 5 gennaio 1873). Fu allievo di Girolamo Nappi che, amante della liuteria, insegnava i suoi allievi anche quest’arte. Il Baldantoni approfondì la tecnica della liuteria studiando le Regole per la costruzione de’ violini, viole, violoncelli e violoni di Antonio Bagatella, Padova 1786. Elaborò in base alle sue ricerche strumenti di buona fattura sullo schema classico di Antonio Stradivari. Baglioni Silvestro (Fisiologo; n. Belmonte Piceno, Ancona, 30 dicembre 1876, m. Roma 30 luglio 1957). Figlio di agricoltori iniziò gli studi prima nel ginnasio di Montalto Marche e poi nel liceo di Fermo. Nel 1902 si laureò in Medicina e Chirurgia all’Università di Roma. Dal 1902 al 1904 fu assistente del Prof. M. Werworn all’università di Gottingen, e in Italia divenne aiuto del gabinetto di fisiologia all’Università di Napoli. Conseguita la docenza in fisiologia sperimentale nel 1913 vinse la cattedra di fisiologia umana a Sassari. Nel 1917 venne chiamato a dirigere l’Istituto di fisiologia all’Università di Pavia, e nel 1918 successe alla cattedra di fisiologia tenuta dal professore L. Luciani suo conterraneo (➔) all’Università di Roma. Baldassarre da Fossombrone (Letterato; n. Fossombrone XV secolo, m. Mantova). Fu segretario e cancelliere del marchese di Mantova Ludovico III. Venne imprigionato per cause ignote e presto liberato per l’interessamento di Jacopo Piccinino. Un incunabolo del 1475, stampato presso Severino da Ferrara, ci conserva la sua unica opera: il Menzoniero o Bosadrello, raccolta in cinquantasette sonetti caudati, composti a richiesta dalla sposa di Ludovico, Barbara Hohenzollern. Baldassarre Olimpo da Sassoferrato vedi Olimpo da Sassoferrato Baldassarri Aldo (Giurista; n. Mondavio 1885). Fu professore di diritto internazionale all’Università di Bari. Fra le sue numerosissime opere scritte nel campo giuridico: La neutralizzazione, 1912; Il fondamento dell’estradizione, 1914; Gli effetti della naturalizzazione straniera del cittadino rispetto all’ordinamento giuridico italiano, 1928. Bagni Francesco (Teologo, filosofo, giureconsulto, oratore; vissuto a Fano alla fine del XVII secolo, m. 1694). Nel 1670 fu auditore della Legazione di Urbino sotto il cardinale Cerri, di cui era già stato aiutante di studio nella rota romana. Fu poi vicario generale dello stesso, quando divenne vescovo di Ferrara; nel 1681 protonotaio apostolico, canonico di Ferrara e abate di Fossanuova. Dopo la morte del cardinal Cerri, passò al servizio del cardinale Duranzi, lega- Baldassini Girolamo (Erudito; n. Jesi 8 novembre 1711, m. Jesi 2 febbraio 1780). Compì gli studi grammaticali e filosofici a 53 opere di vario argomento in rima e in prosa, dialoghi, poemetti didascalici, rime, opere geografiche, ecc. Tuttora validi tra i suoi numerosi scritti le Egloghe (1590), i Dialoghi scritti tra il 1580 e il ‘90, i Quattro libri della nautica, dello stesso anno, poema didascalico di fine fattura intorno all’arte di costruire e di governare una nave, e una scelta di Versi e prose ordinata e annotata in seguito da F. Ugolini (➔) e da F.L. Polidori (Firenze 1859). Fu anche rinomato architetto, anche se delle sue opere è rimasta memoria solo della chiesa di Santa Chiara in Urbino. Jesi, poi gli studi giuridici ed esercitò l’avvocatura a Roma. Si occupò di ricerche storiche ed erudite. La sua opera principale è rappresentata dalle Memorie istoriche dell’antichissima e regia città di Jesi (Jesi 1765), con una copiosa appendice di documenti. È autore inoltre di una Collectanea Doctorum Sacrae Rotae decisionum et Sacrae Congregationis Concilii Resolutionum ad Sacrum Concilium Tridentinum (Jesi 1761); delle vite di alcuni beati e santi: B. Mattia Nazzarei (Roma 1768), S. Serafino da Montegranaro (Jesi 1770), B. Gentile Finaguerra (Jesi 1771), Servo di Dio P.F. Francesco Ripanti di Jesi (Roma 1774) e di scritti vari di memorie ecclesiastiche. Baldini Giovan Jacopo (Medico, archiatra; n. Apiro, Macerata, 25 marzo 1581, m. Roma 1 febbraio 1656). Figlio di modestissima famiglia. Ottavio Barsi, signore del luogo, lo mandò a sue spese a studiare prima a Roma e poi a Padova, dove il 28 maggio del 1603, a soli ventidue anni, ottenne a pieni voti la laurea in filosofia e medicina. Per lungo periodo esercitò la professione di medico ad Apiro dove fu anche Confaloniere; in seguito si trasferì a Corinaldo, dove fu molto apprezzato dal Card. Giustiniani che lo chiamò a Roma come suo medico personale e del Cardinale Scipione Borghese che guarì da grave malattia. Salvò anche la vita al pontefice Urbano VIII (Maffeo Barberini) che lo nominò suo archiatra (1623) e membro del Collegio dei medici di corte. Nel 1644 fu archiatra anche di Innocenzo X (Giovan Battista Pamphili 1644) e nel 1655 di Alessandro VII (Fabio Chigi). Diventò molto ricco, con i suoi lasciti venne costruita la Collegiata di S. Urbano. Baldassini Tommaso (Erudito; n. Jesi 19 ottobre 1635, m. Jesi 15 aprile 1703). Nel 1661 entrò nella Congregazione dell’Oratorio. Fu iscritto all’accademia jesina dei Riverenti. Fu uomo pio, erudito e buon poeta. La sua fatica principale sono le Notizie istoriche della regia città di Jesi (Jesi 1703), stampate mentre l’autore moriva e non riusciva a rivederle. Il Lancellotti gli attribuisce alcuni conmponimenti drammatici, molte liriche e tragedie tra cui l’Armenia convertita. Pubblicò inoltre quattro vite: Vita di monsignor Lorenzo Cibo de’ Principi di Massa (Roma 1690), Vita della serva di Dio suor Maria Felice Spinelli (Bologna 1692), Vita del servo di Dio P. Giovanni Battista Magnani (Jesi 1681), Vita della Ven. serva di Dio suor Alessandra Sabina da Roccacontrada (Senigallia 1696 e Jesi 1733). Baldi Bernardino (Poeta, scienziato, storiografo, architetto; n. Urbino 5 giugno 1553, m. Urbino 10 ottobre 1617). Per la sua mente poliedrica fu chiamato il “Varrone” del suo tempo. Apprese il primi elementi di greco e latino alla scuola dell’umanista urbinate Giannantonio Turoneo e fece gli studi matematici sotto la guida del celebre Federico Commandino (➔). Nel 1573 s’iscrisse alla facoltà di medicina a Padova e successivamente alla facoltà di logica e filosofia. Nel 1580 è a Mantova dai Gonzaga; nel 1586 a Roma, che gli ispirò la sua opera lirica forse più originale: i Sonetti romani, pubblicati in Versi e prose nel 1590. Abate, segretario e storico del duca di Urbino, fu amico di Marcantonio Vergili e della poetessa Laura Battiferri (➔). Scrisse una poderosa opera, Vite de’ matematici, riassunta poi in una Cronica contenente le biografie di duecentodue matematici dell’antichità, del medioevo, fino al suo contemporaneo Cristoforo Clavio; è quindi considerato il primo storico della scienza in epoca moderna. La sua biografia di Copernico è la più antica fra quelle pervenuteci, data al 1588, e riporta notizie inedite. Tra le sue opere storico-letterarie più salienti Vita e fatti di Federico da Montefeltro duca di Urbino e quella di Guidobaldo di Urbino. Fu poliglotta e compose grammatiche e vocabolari in varie lingue (arabo, persiano, ungherese, ecc.). Scrisse inoltre altre Balducci Antonio (Violinista; n. Senigallia 18 novembre 1815, m. Senigallia 6 marzo 1842). Allievo del violinista bolognese Giovanni Gotti e poi primo violino in reputatissime orchestre. Nel 1838 diresse nella sua città l’opera Il Furioso di G. Donizzetti. Nel 1834 il comune di Città di Castello lo nominò Maestro di strumenti ad area. Morì giovanissimo a soli ventisette anni di tisi. Fra le sue composizioni più pregiate un Gran Pot-purrì dedicato a Vincenzo Monti, edito da Ricordi. Balducci Giuseppe (Compositore; n. Jesi 2 maggio 1796, m. Bologna). Fu allievo dello Zingarelli a Napoli e attivo specialmente in questa città. Alla Biblioteca dell’Accademia Filarmonica di Bologna è conservata una sua biografia manoscritta. Della sua attività di compositore si ricordano specialmente opere liriche tra le quali: Il sospetto funesto (1820), L’amante virtuoso (1823), Le nozze di Don Desiderio (1823), Riccardo l’intrepido (1926), Le streghe di Benevento (1837), Bianca Turenga (1838), Il conte di Marsico (1839). Baligani Tano (Uomo d’armi; n. Jesi seconda metà XVII secolo, m. 54 Bambozzi Benvenuto (Venerabile; n. Abbadia di Osimo 1809, m. Osimo 1875). Detto “Bambozzetto”, divenne conventuale nel 1833. Condusse una vita ascetica e di penitenza. Fu a Urbino, Camerano, Fratterosse e Osimo. È autore di Riflessioni, Metodo di vita religiosa e La perfezione cristiana. I suoi resti furono trasportati nel 1903 dal cimitero maggiore alla Basilica di S. Giuseppe da Copertino. 8 marzo 1328). Fu prima ghibellino e poi guelfo. Nel 1306 alleato di Pandolfo (➔) e Ferrantino Malatesta nella lotta fra Fabriano e Jesi. Occupa Senigallia, Fano e Pesaro, assediando invano Jesi. Baligani e i Malatesta furono sconfitti ed egli catturato e poi liberato dai suoi stessi concittadini. Nel 1321 lo troviamo, ormai guelfo, in lotta contro i ghibellini della Marca, e tre anni dopo all’assedio di Jesi, divenuta ghibellina, assedio che, con l’aiuto degli anconetani, portò felicemente a termine. Divenne così Signore di Jesi. Nel 1328, visti vani i tentativi di sconfiggerlo, il capo dei ghibellini, Nicolò Boscareti, chiese aiuto a Ludovico il Bavaro che inviò grandi forze al comando di Giovanni Chiaramonte di Sicilia. Jesi, assalita, venne occupata nonostante la strenua difesa. Il Baligani venne decapitato l’8 marzo del 1328, non perché guelfo, ma per aver tramato contro le istituzioni di Firenze, che poco prima lo aveva prescelto quale capitano. Bandini Cornelio (Uomo d’armi; n. Camerino XV secolo, m. Asti 1545). Condottiero di Rodolfo da Varano (➔), con il quale fece la campagna di Casalmaggiore catturando prigioniero il capitano Pallavicino. Fu conte palatino e famigliare di Pietro Strozzi. Combatté anche contro i fuorusciti fiorentini a Montemurlo. Bandini Melchiorre (Militare; n. Camerino inizi 1400, m. 1473). Di famiglia senese stabilitasi a Camerino alla fine del XIII secolo, fu cavaliere gerosolimitano e cancelliere dell’ordine, ha fondato in Puglia la città di Maruggio. Balsamino Pietro Simone (Musicista; n. Urbino 1554 ca., m. Venezia prima metà XVII secolo). Fu compositore, cantore e suonatore. Dopo essere rimasto alcuni anni al servizio del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere (➔), nel 1594 fu maestro di cappella nel duomo di Venezia. Durante la permanenza a Venezia si dedicò alla composizione e pubblicò Novellette a sei voci, comprendente venti canzoni pubblicate nel 1594 per l’editore Riccardo Amadino. La prefazione di quest’opera decanta i pregi di un nuovo strumento a corde da lui stesso inventato, chiamato Cetarissima. Aveva corde disposte in sette ordini, veniva suonato con il pollice e una penna sorretta dall’indice e dal medio, e aveva un timbro dolcissimo e la possibilità di esecuzione all’ottava sopra e alla quarta sopra l’ottava. Lo strumento si prestava a effetti nuovi di grande efficacia espressiva, soprattutto nel madrigale e ottenne una discreta fama. Nel 1596 il Balsamino pubblicò, sempre a Venezia, per l’editore Niccolò Moretto, una tragicommedia dal titolo La perla in rima libera. Barbaresi Sante (Politico; n. Castelvecchio di Pesaro 1887). Studiò all’Università di Roma laureandosi in legge. Nel 1913 iniziò a Pesaro la sua professione. Aderì al Partito socialista e divenne presto segretario della federazione pesarese. Dal 1920 fu direttore del giornale “Il Progresso”, che si muoveva sulla linea del massimalismo e con le istanze più rivoluzionarie. Barbaresi però ruppe ben presto con la la linea massimalista dominante nel partito, accusandola di verbosità e di elettoralismo. A Livorno, nel gennaio del ’21, fu tra i fondatori del PCdI. Il mese successivo viene nominato segretario della federazione provinciale di Pesaro-Urbino del PCdI, carica che ricoprì fino alla metà del ‘22. Nel frattempo diresse anche “Il progresso comunista” e, una volta sciolto, “Bandiera rossa”, con sede a Fano, con l’ausilio attivo della moglie Adele. Nel 1921, e ancora nel 1924, fu candidato alle elezioni politiche ma non fu eletto. Bambini Eustachio (Musicista; n. Pesaro 1697, m. Pesaro 1770). Fu maestro di cappella, prima a Cortona (1723-28), poi a Pesaro (1728-31). Nel 1745 si trasferì a Milano dove divenne impresario del teatro Ducale, acquistandosi molti meriti per capacità organizzativa e per dignità artistica. Nel 1750 gli fu affidata la direzione del teatro e l’incarico di diffondere in Francia l’opera buffa italiana. Nel 1752 giunse a Parigi in occasione della riapertura del teatro dell’Opera Comique. Nell’agosto del ‘52 la sua compagnia esordì nel celebre teatro con La serva padrona di G.B. Pergolesi (➔), dove si esibì la famosa cantante Anna Tonelli divenuta poi sua moglie. Anche il figlio Felice (n. Pesaro 1727 ca., m. Parigi) fu compositore e pianista. Barbarino (Barberino) Bartolomeo (detto il Pesarino) (Compositore, organista, poeta; n. Fabriano 1565 ca., m. poco dopo il 1617). Fu organista, poeta e compositore. È ricordato come uno dei primi autori di monodie accompagnate. Dal 1593 al 1594 fu contraltista nella cappella della Santa Casa di Loreto, quindi musico presso monsignor Giovanni della Rovere dal 1602 al 1605. Dal 1602 fu organista nel duomo di Pesaro e in seguito musico del vescovo di Padova. Probabilmente fu anche al servizio del duca di Urbino. Morì probabilmente dopo il 1617 in località non conosciuta. Ci sono pervenute numerose sue composizioni; tra queste cinque libri di Madrigali per cantare 55 Benvenuto Bambozzi Bruno Barilli 56 Rovere (➔), condusse un’apprezzata attività di ambasciatore. Nell’estate del 1558 è a Firenze presso il duca Cosimo I de’ Medici, l’anno successivo compie un’ambasceria a Roma, ove si sta celebrando il conclave in seguito alla morte di Paolo IV. Nel luglio del 1570 si intensificano le incursioni ottomane nel Mediterraneo e Barignani assiste a Venezia alle trattative per la costituzione di una lega tra la repubblica veneta, Pio V e Filippo di Spagna. Ma gli interessi del Ducato d’Urbino riconducono il Barignani di nuovo a Firenze nel 1573 per una delle ultime missioni in nome di Guidobaldo, che morirà poco dopo. Nel 1574 chiede udienza a papa Gregorio XIII in qualità di segretario del nuovo signore Francesco Maria II della Rovere (➔). Due opuscoli latini autografi si conservano manoscritti nella biblioteca Oliveriana di Pesaro. Il primo, in forma di racconto, è intitolato Amorum libellus ed è diviso in due parti: De principio amoris e De amore eius litterario; il secondo ha per titolo De sceleribus quae in bello patrantur ed è scritto in forma di dialogo. Dal diario di Francesco Maria II della Rovere si ha notizia di una commedia composta dal Barignani e recitata a corte nel 1589, di cui non si è sinora trovata traccia. L’opera di più vasto interesse è comunque un poema in esametri latini dal titolo mitologico Gigantomachia. L’opera fu composta attorno al 1550 con chiari intenti encomiastici nei confronti di Guidobaldo II ed ha per soggetto una battaglia ingaggiata dai titani e dai giganti contro Giove per il predominio dell’Olimpo. sopra il chitarrone o altri strumenti da una sola voce (Venezia, Amadino 1606-1614), un libro di Canzonette a una e due voci (Venezia, Amadino 1616) e due libri di Mottetti. Barbetta Carlo (Drammaturgo; n. Senigallia XVII sec.). Nel 1647 scrisse il dramma l’Amorosa libertà, lavoro musicato poi dal maestro Francesco Ferrari, dedicato al poeta latino Giacomo Giuseppe Baviera, pubblicato in Macerata, presso Filippo Carnacci, a cura del senigalliese Giacomo Moresi. Barboni Leonida (Cineasta; n. Fiuminata 1909, m. 1970). È stato un importante direttore della fotografia cinematografica italiana, vincitore di diversi “Nastri d’argento”. Ha lavorato con Bolognini, Lizzani, de Filippo, Castellani, Zampa, Monicelli, Risi, Blasetti, De Sica e Germi. Barboni Tito (Politico; n. Fiuminata, Macerata, 14 aprile 1872, m. Milano 1940). Laureatosi in lettere e in legge, insegnò al liceo di Camerino, dove si avvicinò alle idee socialiste. Con più aperto impegno negli anni a cavallo del secolo divenne direttore dell’“Aurora”, organo della federazione socialista di Urbino e Cagli, e fu tra i maggiori organizzatori e propagandisti nelle campagne marchigiane. Colpito da una grave condanna politica, nel 1902 fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, a Losanna, e poi a Bellinzona, dove sostituì Serrati nella segreteria del Psi in Svizzera e dove divenne direttore de “L’avvenire del lavoratore”, organo dell’organizzazione politica degli emigranti italiani. Divenuto amico di Mussolini, appoggiò l’interventismo come necessità rivoluzionaria, con articoli su “Utopia” e su “Il popolo d’Italia”. Nel 1915 pubblicò a sue spese il saggio Internazionalismo o nazionalismo di classe? che gli diede una certa fama, anche perché aspramente criticato da Lenin. Barignani Pietro (Poeta, letterato; n. Pesaro fine 1400, m. 1440-50). Tipica figura di poeta e cortigiano cinquecentesco, il Barignani fu in rapporto di amicizia con molti scrittori del tempo. S’interessò alle dispute sulla lingua, prese parte attiva alla vita letteraria delle corti di Pesaro e Urbino e di quella papale. Fu in rapporto con Giovanni Sforza, signore di Pesaro, con Guidobaldo da Montefeltro (➔) e con il suo successore Francesco Maria della Rovere (➔). Conobbe Pietro Bembo, nonché il poeta milanese Renato Trivulzio e inoltre Gianfrancesco Valerio, al quale dedicò una serie di sonetti. Nel 1516 è a Roma ove fa parte dell’Accademia Romana. Qui non manca di celebrare le lodi di Leone X e di Clemente VII. Tra le sue composizioni poetiche ricordiamo Rime diverse di molti eccellentissimi autori, Venezia 1545, e I fiori delle rime dei poeti illustri, Venezia 1558. Barbalarga Benedetto (Ingegnere; n. Osimo 1887, m. Osimo 1951). Progettò tra l’altro la chiesa di San Sabino, l’Ospizio Recanatesi, il fonte battesimale di S. Palazia. Autore del poemetto La Battaja del porcu (Osimo, 1924 e quattro successive edizioni) sotto lo pseudonimo di “El fiu de Pietru”, nel quale canta liberamente il fatto d’armi. Barignani Silla (Ingegnere militare; attivo a Pesaro 1600 ca., m. Pesaro dopo il 1613). Gentiluomo del duca Francesco Maria II della rovere (➔), fu militare nelle Fiandre, ingegnere e soprintendente del porto di Pesaro. Barignani Fabio (Giurista, diplomatico; n. Pesaro 26 ottobre 1532, m. Pesaro 6 dicembre 1584). Figlio di Alessandro e nipote del più famoso Pietro (➔), poeta che si meritò una citazione nell’Orlando Furioso, Fabio Barignani nacque a Pesaro, città nella quale i suoi avi si erano trasferiti attorno alla metà del XV secolo da un castello del bresciano. Giurista e diplomatico a lungo al servizio di Guidobaldo II della Barilatti Achille (Martire della Resistenza; n. Ancona, m. Muccia, Macerata, marzo 1944). Barilatti è uno dei più noti 57 di viaggio (da Parigi, Londra, Africa, Balcani, Austria, Spagna, ecc.), tanto che lui stesso si definì “viaggiatore volante”. Fu tra i primi in Italia a intuire la grandezza di Stravinsky e il primo a rileggere criticamente le opere verdiane. Con la sua incendiata scrittura fu un geniale dissacratore ed eversore delle idee crociane. Nel 1929 dette vita a Roma alla rivista letteraria “La Ronda”, che fondò a nome della sua profonda devozione a Leopardi (➔). I suoi resoconti critici sono puro stimolo e pretesto alla sua estrosa immaginazione che evoca, con intelligenza sempre folgorante e geniale e con una vivacità che spesso è dono poetico, figure, paesaggi e prospettive di un allucinato barocco. Questa specie di allucinaziona lirica, dove ogni particolare realizzato è portato al limite del surreale, è anche il carattere costante dei suoi libri di viaggio (Il sole in trappola, 1941; Ricordi londinesi, 1955; Il viaggiatore volante, 1946; Lo stivale, pubblicato postumo, 1952). Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo ancora: Delirama, Roma 1924; Il sorcio nel violino, 1926; Il paese del melodramma, 1931. Ma il suo canto del cigno è forse il suo Capricci di un vegliardo, 1951, “pagine splendenti e nere di sdoppiamento allucinato” (Marco Vallora), in cui narra di se stesso a braccetto con il suo scheletro. “Mastico la coda della mia vita, sepolto in me stesso”. Bene dice Montale: “nato dalla musica, torna a risolversi in musica”. Alcuni inediti del Barilli, per lo più lettere e appunti, sono stati pubblicati a cura di A.M. Ligi in “Paragone” nel 1952, “Il Mondo” (1962) e in “Galleria” (1963). Einaudi ha pubblicato nel 1989 i suoi Taccuini inediti. partigiani marchigiani, morto da eroe nella guerra di Liberazione. Dopo l’8 settembre, prese contatto con i patrioti locali e venne subito destinato al comando partigiano di Montalto, Ascoli Piceno, assumendo il nome di battaglia di Gilberto della Valle. Nel marzo del 1944 fu catturato dai fascisti e tenuto prigioniero nel palazzo Paparelli. Da lui si volevano sapere i nomi dei capi partigiani suoi compagni, ma egli, pur torturato, non parlò. Al contrario offrì la sua vita in cambio di quella di altri partigiani con lui imprigionati, che erano in procinto di essere fucilati. Ma riuscì a salvarne solamente cinque. Portato nei pressi di Muccia, venne fucilato. Barili Lorenzo (Cardinale, scrittore, patriota; n. Ancona 1801, m. Ancona 1875). Laureato in teologia con tanto splendore che papa Leone XII volle conferirgli un’annua pensione. Consacrato sacerdote (1827), resse la cattedra di logica e metafisica nel seminario di Ancona e successivamente vi assunse la carica di prefetto. Mantenne compromettente corrispondenza con l’abate Petrocchi, arrestato nel ‘31, e combatté energicamente le teorie del Lamennais. Caduto in disgrazia, dovette rinunciare alla cattedra (1834) e, lasciato l’ufficio di ginnasiarca, fu nominato direttore della Biblioteca civica di Ancona (1836-1850). Uditore del cardinale Di Pietro, nunzio a Napoli e a Lisbona (1842-43), cameriere segretario presso la regina di Portogallo (1846). Vicario di Ancona del cardinale Cadolini (1848 ➔), designato deputato presso il maresciallo austriaco Winpffen durante la difesa di Ancona nel 1849. Fu delegato apostolico nei paesi dell’America del sud (1851-56), nunzio a Madrid (1856), arcivescovo di Tiana (1857). Barlocci Giovanni (Librettista; n. Montefiore, Ascoli Piceno, seconda metà XVII secolo). Nel 1690 entrò nell’Arcadia di Roma, ove fece parte anche delle Accademie dei Quirini e degli Infecondi. Prese forse gli ordini minori. Fu autore di molti libretti per musica, alcuni assai fortunati, messi in scena varie volte in tutta Italia. Il primo che possiamo attribuirgli con certezza è l’Oreste, rappresentato a Roma nel 1722 con musica di Benedetto Micheli. Del 1728 è La finta cameriera, musicata dal napoletano Gaetano Latilla. Tale libretto divenne La giardiniera contesa e poi La nobiltà immaginaria, ed ebbe uno strepitoso successo venendo rappresentato a Vienna, Londra, Parigi e in tutte le maggiori città italiane (fu anche tradotta in tedesco). La musica dell’edizione tedesca è di Baldassarre Galuppi. Il Barlocci scrisse poi Madama Ciana, musicata dal Latilla e rappresentata a Roma nel 1738. Anch’essa cambiò titolo divenendo Donna Marzia e poi L’ambizione delusa. Gli vengono attribuiti ancora due libretti: La commedia in commedia e La libertà nociva, musicati da Rinaldo di Capua. Il primo fu rappresentato a Roma nel 1738, poi a Venezia nel 1749 e infine a Milano nel 1774 con il nuovo titolo L’ambizione delusa. Il secondo venne rappresentato a Roma nel 1740 e replicato poi a Firenze e a Venezia. Barilli Bruno (Letterato, giornalista, musicista; n. Fano 14 dicembre 1880, m. Roma 15 aprile 1952). Era deciso a diventare un grande compositore e per questo studiò composizione prima al Conservatorio di Parma, avendo come maestro il Righi, poi, dal 1901, a Monaco di Baviera con il celebre direttore Felix Mottle. Da vecchio confesserà: “la letteratura non è per me che un incidente che dura da quarant’anni”. Tornato in Italia nel 1910, si dedicò soprattutto alla critica musicale, scrivendo saggi estrosi e caustici che gli procurarono grande fama. In questo periodo compose due opere: Medusa (Milano 1910) ed Emiral (Roma 1915), in stile verista (Fedele d’Amico). Collaborò come corrispondente di guerra al “Corriere della Sera” (1914) e al “Resto del Carlino” (1915). Sempre nel campo della critica musicale collaborò con la “Concordia di Roma”, con il “Tempo” (1917-22) e al “Corriere Italiano” (1923-24), nonché con “La Gazzetta del Popolo”, “Il Popolo di Roma”, “Il tempo illustrato”, “Il risorgimento liberale”, “L’Unità”, alternando ad articoli di critica musicale scritti e corrispondenze 58 (Galleria Borghese a Roma), Enea che fugge da Troia (sempre alla Borghese), il Commiato di Gesù dalla Madre (Chantilly), La vocazione di Sant’Andrea (Bruxelles), L’Assunta (Dresda), L’Annunciazione (1582-84, alla Pinacoteca Vaticana), sempre alla Vaticana, notevole per il suo pathos religioso, la Beata Michelina (1606), e L’incontro di Cristo con la Maddalena (Galleria degli Uffizi, Firenze). Eseguì inoltre una decina di ritratti, quasi tutti per i duchi di Urbino. Il più noto quello di Francesco Maria della Rovere agli Uffizi. Grande originalità ebbero i suoi sistemi d’incisione all’acquaforte detta a “più riprese”. Tra le sue incisioni più note la Madonnella fra le nubi, copiata poi da molti artisti, L’Annunciazione, Le stimmate e L’estasi di San Francesco. Barnabò Guglielmo (Attore; n. Ancona 11 maggio 1891, m. Ancona 31 maggio 1954). Dopo aver intrapreso gli studi in legge Barnabò a ventisei anni ha il suo battesimo del fuoco sul palcoscenico di un teatro di Como recitando nella compagnia di Annibale Ninchi (➔). In seguito lavora con Alda Borelli, Maria Melato, M. Abba, S. Tofano e T. Eliseo, impegnato soprattutto nel ruolo di caratterista comico partecipa anche a compagnie di rivista. Dalla metà degli anni Venti inizia a lavorare nel cinema, a cui alterna l’attività teatrale, recitando in circa ottanta film, venti dei quali nel biennio ‘42/’43. Fra le sue interpretazioni cinematografiche, nel ruolo a lui più congeniale del “burbero buono” e dell’uomo duro ma probo, sono da ricordare: La bellezza del mondo (1926), Passaporto rosso (1935), Scipione l’Africano (1937), Maddalena zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941), I nostri sogni (1943), Fabiola (1949), Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica, Il nemico numero 1 (1953) e Pane amore e fantasia (1954) e La bellezza del diavolo di Renè Clair. Barocci Michele vedi Barozio Michele Barocci Simone (Scienziato; n. Urbino, m. Urbino 1608). Costruttore di strumenti scientifici e di orologi, fratello del pittore Federico Barocci (➔), Simone è “figlio d’arte”. Il padre Ambrogio era un incisore che “lavorava di cavo e di rilievo modelli, sigilli et astrolabi”; suo bisnonno, anch’egli Ambrogio, di professione scultore, era giunto da Milano in occasione della fabbrica del palazzo ducale, stabilendosi poi a Urbino. Merito di Simone è di aver specializzato nel settore della strumenteria l’attività del padre, fondando a Urbino un’officina di strumenti scientifici; altro merito è di aver cresciuto un certo numero di allievi tra cui Fabio Liera, Panezio Panezi, Lorenzo Vagnarelli (➔); quest’ultimo assicurò la continuità dell’officina. Ciò è potuto avvenire anche grazie al vivace ambiente tecnico-scientifico che si era costituito ad Urbino nel secondo Cinquecento; in collaborazione col matematico Federico Commandino (➔) e con l’anatomista Bartolomeo Eustachi (➔) Barocci realizza nel 1568 uno dei primi compassi di riduzione, strumento per dividere i segmenti in qualsivoglia numero di parti uguali. In seguito collabora con Guidobaldo del Monte (➔) e con Muzio Oddi (➔) per costruire strumenti da loro escogitati o perfezionati. L’opera del Barocci è nota e apprezzata in Italia e in Europa, Galileo Galilei ad esempio, commissiona all’officina urbinate la costruzione di modelli del “compasso geometrico e militare”. Barocci Federico (detto il Fiori) (Pittore; n. Urbino 1535, m. Urbino 30 settembre 1612). Fratello di Simone, scienziato (➔). Il Cinquecento e particolarmente la colta città di Urbino ebbero l’indubbia originale personalità del Barocci, il quale, staccandosi in maniera del tutto nuova dalla corrente manieristica del tempo, si può dire abbia aperto la strada al barocco. Barocci studia dapprima in patria con Battista Franco, poi a Pesaro con lo zio Bartolomeo Genga. Viene quindi mandato a Roma dove viene incoraggiato a proseguire l’attività artistica da Taddeo Zuccari (➔), da Michelangelo e dal Vasari. Qui si trattenne per poco (1561-1563). In questi anni dipinse alcuni affreschi nel Casino di Pio IV. Ammalatosi poi gravemente, tornò a Urbino da dove non si mosse più; fu infatti sempre cagionevole di salute. Il Barocci ha lasciato più di cento opere, centinaia di disegni, incisioni e miniature. Tra i suoi lavori maggiori, per il duomo di Perugia: la Deposizione della croce (1560) e il Riposo in Egitto (1573, ora in Vaticano), dipinto per Simonetto Anastagi e considerato uno dei suoi capolavori. Per Arezzo ricordiamo la Madonna del Popolo (1579, ora a Firenze agli Uffizi); per Senigallia la Deposizione di Cristo (1579-82), nella chiesa della Croce; per Ravenna Il martirio di San Vitale (1593, ora alla Galleria di Brera); per Roma due quadri per la chiesa Nuova: La visitazione e la Presentazione al tempio (1594); per Genova la Crocefissione (1595). Altri notevoli dipinti sono: Il Cenacolo a Santa Maria sopra Minerva a Roma, la Madonna del San Simone al palazzo Ducale di Urbino, il Riposo nella fuga d’Egitto (già nella chiesa parrocchiale di Piobbico, ora a Madrid), un San Francesco che riceve le stimmate sempre al palazzo Ducale di Urbino, Cristo deposto (già nella chiesa della Croce a Senigallia, ora a Bologna), Madonna del Rosario (duomo di Senigallia), San Girolamo Baroncelli Baldassarre (Uomo d’armi; n. Offida 1380 ca., m. Fermo 1436). Pare sia discendente di quel Francesco Baroncelli, successore di Cola di Rienzo come “Tribunus”. Egli combatté contro gli ascolani in difesa della propria città. Fu poi a Napoli al servizio di re Ladislao e in seguito dei conti di Carrara. Nel 1427 papa Martino V lo nominò Capitano della Montagna Bolognese. Nel 1433 Eugenio IV lo fece Connestabile e Condottiero delle truppe pontificie, nonché Capitano della Gardia di Castel Sant’Angelo. Nel 1435 fu nominato Senatore di Roma a 59 Bartolini Luigi (Incisore, pittore, scrittore; n. Cupramontana 8 febbraio 1892, m. Roma 16 maggio 1963). Tra i maggiori incisori italiani contemporanei, fu una rivelazione degli anni Trenta anche come scrittore. La sua opera letteraria è infatti parte altrettanto significativa di quella incisoria e pittorica, ed egli costituisce “una delle punte più alte (ancorché delle più trascurate) dell’espressionismo italiano”. Frequentò contemporaneamente le Accademie di belle Arti a Roma, a Siena e a Firenze, e i corsi universitari di lettere e medicina. Fu straordinario acquafortista, liberando anche l’acquaforte dalle pastoie accademiche e involutive imperanti. Dal 1914 eseguì più di millecinquecento incisioni di ogni tipo, partecipando dal 1919 alle principali mostre di incisione in Italia e all’estero. Nel 1935 fu premiato alla seconda Quadriennale di Roma per la migliore acquaforte. Sue illustrazioni apparvero su numerose riviste e quotidiani nazionali come il “Bargello”, “L’Italia Letteraria”, il “Tevere”, “Il Frontespizio”, “Il Selvaggio”. Alla sua tecnica sapiente e scaltrita di estrema raffinatezza si aggiunge un delicato lirismo che a volte rasenta il patetico (le Farfalle imbalsamate, la Finestra del solitario, lo Scarabeo, il Martin pescatore, ecc.). Le incisioni del Martin pescatore, con l’atmosfera di caccia, sono fra le sue incisioni più belle e famose. Bartolini fu anche pittore, ma i suoi quadri non sono stati mai troppo apprezzati dalla critica (con la sola eccezione di Lionello Venturi), anche se recentemente l’intera sua produzione è stata più attentamente considerata. Bartolini classifica la sua opera grafica in “maniera bionda” e “maniera nera”. Nella prima prevale la linea pura, il tratteggio leggero, la ricerca della luce. Con il passare degli anni la linea si accentua sempre più e con essa il tratteggio, fino a raggiungere, nella “maniera nera” (dopo il 1945), toni vicini alla grafica espressionista (cfr. Lepidotteri imbalsamati). Fu accademico di San Luca e socio artista d’onore degli Incisori d’Italia. Come scrittore il Bartolini, pur agganciandosi al “bozzettismo” agreste e paesano, con venature spesso ironiche e sarcastiche, allarga molto la sua angolatura, ben al di là dell’angusta visione provinciale. Esordì come poeta nel 1924 con una raccolta intitolata Il guanciale. Sei anni più tardi (1930), usciva la sua prima opera narrativa, Passeggiata con la ragazza, raccolta di racconti accompagnati da acquaforti. Altri suoi lavori di scrittura sono: Il ritorno sul Carso (1930), il Molino della carne (1931), L’orso e altri amorosi capitoli (1933), Polemiche (1940), Follonica (1940), il Cane scontento (1942), Poesie e satire (1944), Ladri di biciclette (1946) poi ripubblicato da Mondadori, da cui fu tratto il celebre film omonimo di Vittorio De Sica e Zavattini, e che Stefano Malatesta definisce “uno dei più bei libri del dopoguerra”. Tra i suoi testi letterari successivi al 1949: Amata dopo (1949), Le acque del Basento (1960), L’eremo dei frati bianchi (1963), Poesie (1963). seguito delle sue imprese nella difesa di Castel Sant’Angelo. Nello stesso anno fu fatto Podestà di Bologna, poi con Francesco Sforza e Sigismondo Malatesta partecipò alla riconquista dei territori della chiesa espugnando Forlimpopoli, Forlì e il Castello di Lugo (1436). Fece assassinare Antonio Bentivoglio, suo nemico personale, e organizzò l’attentato a Francesco Sforza. Fallito il tentativo, fu catturato dallo Sforza e costretto a confessare con la tortura (1436). Venne quindi inviato prigioniero a Fermo, ove, in un “incidente” provocato, fu ucciso. Baroni Giamaglia Filippo (Compositore; n. Ancona 1670 ca., m. Ancona dopo 1710). Col fratello Antonio Giuseppe fu allievo del Padre Scipione Lazzarini (➔). Fu maestro di cappella della cattedrale di Osimo dal 1679 al 1683. Pubblicò: Canoni a 2 v., parte all’unisono chiusi, et altri risoluti, et alcuni alla dritta e alla riversa, et in diverse forme op. I (Bologna 1704) e Psalmodia vespertina totius anni, duplici choro perbreviter concinenda... op. 2 (Bologna 1710). Bartocci Feltre (Politico; n. Camerino 1903, m. Camerino 1979). Già giovanissimo si fa notare per svolgere attività politica tra gli operai a Camerino. Nel 1920 si trasferisce a Roma, dove lavora come muratore. Nel 1921 entra a far parte degli Arditi del popolo. Nel 1924 è a Camerino, dove organizza il locale gruppo giovanile comunista, assumendo il nome di battaglia “Biella”. Nel 1925 emigra in Lussemburgo. L’anno seguente è espulso per la sua attività politica e ripara in Francia. Anche da qui viene espulso e fa ritorno in Lussemburgo. Nel 1928 è ancora una volta in Francia. Nell’ottobre del 1936 parte per la Spagna e si arruola nelle Brigate Garibaldi. Partecipa alla guerra civile e nella difesa della città universitaria sul fronte di Madrid. Nel ’37 torna in Francia e diventa dirigente del Partito comunista nella Mosella. Nel gennaio del ‘38 torna in Spagna, dove resta come commissario politico sino alla fine della guerra. Solo nel marzo del ’42 fa ritorno in Italia. Arrestato, viene inviato al confino a Ventotene. Nell’agosto del ’43 fa ritorno nelle Marche. Dopo l’8 settembre è uno dei principali esponenti della resistenza nell’alto Maceratese. Bartolelli (dei) Giovanni Peruzzo Dossa (Matematico; Fano XV secolo). Di nobile famiglia, matematico, cosmografo e abile disegnatore di carte geografiche, come afferma Antonio Costanzi nei suoi Commentari ai fasti di Ovidio. Fu dei priori nel 1463 dopo la cacciata dei Malatesta. Abile architetto e meccanico, fu prescelto dal senato fanese nel 1478 per disegnare un porto all’Arzilla. In suo onore fu coniata una medaglia nel 1474. 60 Luigi Bartolini 61 giornò a lungo conoscendovi il Petrarca, che in quegli anni frequentava il corso di diritto. Nella compilazione della sua opera maggiore, Milleloquium veritatis Augustini, fu aiutato dal maestro Dionisio da Modena. Si tratta di una raccolta di “excerpta” delle opere di Sant’Agostino, di cui Bartolomeo da Urbino era assiduo studioso. Con questo lavoro egli portava a termine un testo che già Agostino aveva iniziato ma lasciato incompiuto per il sopravvenire della morte. Il Petrarca, su richiesta di Bartolomeo, compose alcuni versi a conclusione di quest’opera. Nel De romani pontificis... auctoritate, contro i teologi di Lodovico il Bavaro, e in un compendio del De Regimine principis di Egidio Romano, Bartolomeo sostenne le dottrine curialiste. I Commentarii dall’Antico e Nuovo Testamento da lui estratti dalle opere di Sant’Agostino furono pubblicati nel 1542 da J. Gast come cosa propria. In premio alle sue fatiche, Bartolomeo da Urbino ebbe da Clemente VII la cattedra episcopale di Urbino (1347). Bartolini Ottavio (Cantante; n. Monte San Giusto 1825, m. Roma 14 ottobre 1894). Bartolo da Sassoferrato (Severi Alfani Bartolo) (Giurista; n. Venatura di Sassoferrato 1314, m. Perugia, 1357 o 1359). È considerato uno dei più grandi giuristi che l’Italia abbia avuto. L’universalità del suo pensiero provocò quello che potremmo chiamare “il bartolismo” deteriore, per cui gli furono disinvoltamente attribuite opere che mai erano uscite dalla sua penna. Iniziò gli studi giuridici giovanissimo sotto la guida di Cino da Pistoia a Perugia, addottorandosi a Bologna nel 1334. Fu professore e giudice a Todi, a Pisa e a Perugia, ove rimase sino alla morte. Fu inviato dai perugini (che gli conferirono la cittadinanza onoraria) presso l’Imperatore Carlo IV a Pisa, il quale lo nominò suo consigliere giuridico. Per alcuni secoli le sue opere fecero testo nel campo del diritto; fra le sue numerose pubblicazioni: I Commentari (diffusi per tutta Europa), da lui dettati intorno alle singole parti del “corpus iuris”; per quanto riguarda il diritto privato, il De substitutionibus, il De successione ab intestato, De praescriptionibus, De fluminibus seu tyberiadis; riguardo al diritto processuale, De iurisdictione, de arbitris, de natura actionis, de citatione, de praesumptionibus, de procuratoribus, de testibus, quaestio inter Virginem Mariam et diabulum; riguardo al diritto penale, De quaestionibus, de percussionibus, de cicatricibus; riguardo al diritto canonico, De minoritis; riguardo al diritto pubblico, Tractatus repressaliarum, de tyrannia, de regimine civitatis, de Guelphis et Ghibellinis, de statutis, de insigniis et armis. Vanno ricordate inoltre le numerose Quaestiones e una ricca serie di Consilia, universalmente note. Tutte queste opere ebbero un’incredibile serie di riedizioni per secoli. Per sua precisa disposizione, Bartolo da Sassoferrato fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Perugia, dove gli fu eretto un mausoleo. Dopo la sua morte furono istituite cattedre per illustrare le sue opere accanto alla “glossa accursiana”; da lui prese il nome tutta la corrente del diritto europeo (detta bartolista). Particolarmente celebri sono rimaste le sue teoriche sugli statuti e sui loro conflitti, sulle enfiteusi temporanee dei beni ecclesiastici, sull’obbligatorietà dei patti nudi in materia commerciale, sui marchi di fabbrica, sull’actio spolii, sull’esecuzione parata degli strumenti guarentigiati. Nel campo del diritto pubblico alcuni suoi trattati interessano la storia del pensiero politico del Rinascimento. Le edizioni complete delle sue opere sono circa cinquecento, pubblicate fra il 1504 e il 1548 in dieci volumi. Bartolomeo di Maestro Gentile (Pittore; n. Urbino 1465 ca., m. 1538). Ebbe come maestro Giovanni Santi (➔), padre del Sanzio (➔), l’influenza del quale è ben visibile in tutta la produzione artistica di Bartolomeo. Dal 1497 egli collabora col maestro firmando alcune opere che rivelano lo stile del Santi. Questo è soprattutto chiaro nella Madonna che si trova attualmente al Museo di Lilla, proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino a Pesaro (datata 1497). Dalle sue opere più tarde invece risulta la derivazione da Timoteo Viti (➔) e dal Perugino. Nel 1507 lo troviamo a Montemarciano (Ancona), dove lavora per Giacomo Piccolomini, signore del luogo, e nel 1531 a Montefabbri, ove opera nella chiesa di San Gaudenzio. Bartolucci Giuseppe (Drammaturgo, saggista, giornalista; n. Fratterosa, Pesaro 18 agosto 1923, m. Roma 22 settembre 1996). Tra i suoi lavori di maggior interesse: La scrittura scenica (Lerici, Roma 1968); insieme a D. Rinaldi Immagine immaginaria (Studio Forma, Torino 1978) e con L. Capellini Il segno teatrale (Milano, 1978). Menzioniamo inoltre: Mutations; L’esperienza del teatro immagine (Macerata, Nuova Foglio). Bartolucci fonda nel 1972 un teatro esistenziale nuovo e rivoluzionario che rifiuta lo spettacolo in quanto tale. insieme al suo gruppo (“Il Carrozzone”) presenta spettacoli tra i quali ricordiamo i Presagi e Presagi del vampiro. Altro suo noto lavoro è Vedute di Porto Said che porta alle estreme conseguenze la ricerca dei Presagi e ne costituisce la continuazione logica. La prima rappresentazione del gruppo del “Carrozzone” si è avuta nel 1976 a Salerno con Il giardino dei sentieri biforcati. Ha scritto poi la Donna stanca incontra il sole (1972), punto di riferimento di una certa importanza nel suo iter artistico. Bartolomeo da Urbino (Carusi Bartolomeo) (Teologo; n. Urbino fine XIII secolo, m. Urbino 1350). Teologo agostiniano, fu discepolo di A. Trionfi (➔), nonché di Dionisio di Modena, che ebbe come maestro a Bologna. Qui fu lettore e sog62 Bartolo da Sassoferrato 63 a Praga, vi interpretò la parte del Conte d’Almaviva nelle Nozze di Figaro di Mozart (1787), che lo apprezzò molto ammirandone l’intelligenza scenica e vocale, tanto da presceglierlo nel Don Giovanni del 1787, interpretazione che fu definita eccezionale e certamente la più vicina all’ispirazione mozartiana. Si racconta che avesse chiesto a Mozart di sostituire l’aria “Fin ch’han dal vino” e Mozart avrebbe risposto che l’avrebbe fatto se il pubblico non avesse applaudito. Cantò pure a Varsavia con un vasto repertorio comprendente Salieri, Paisiello e lo stesso Mozart, nonché a Parigi (1790) in opere di Paisiello, Cimarosa, Cherubini, ecc. Il Bassi raggiunse l’apice della sua carriera artistica tra il 1794 e il 1796 trionfando a Praga, Dresda, Lipsia, Varsavia. Nel 1806 si trasferisce a Vienna e poi a Praga, ove inizia la nuova attività di regista mettendo in scena un nuovo Don Giovanni rimasto famoso. Chiamato nel 1815 da F. Morlacchi, si trasferisce a Dresda come direttore di scena del Teatro Italiano. Basili Basilio (Cantante, compositore; n. Macerata 21 marzo 1804, m. forse New York 1853). Figlio e allievo di Francesco (➔), fu per alcuni anni cantore nel santuario di Loreto e debuttò a Ferrara nel 1826 nella Sposa fedele di Pacini. Cantò quindi in varie città d’Italia e il 14 settembre 1827 prese parte alla rappresentazione dell’Otello di Rossini (➔) al teatro de la Cruz a Madrid. Abbandonò poi l’attività di cantante, stabilendosi in Spagna. Si dedicò alla composizione e alla direzione d’orchestra. Sposò l’attrice Teodora Lamadrid, dalla quale ebbe la figlia Enriqueta, cantante anche lei. Per diversi anni fu direttore d’orchestra in diversi teatri madrileni. Nel 1844, al teatro Ventadour di Parigi, presentò e diresse, con una compagnia spagnola, una serie di opere, fra cui una propria. Fu, inoltre, maestro di canto. Per il teatro compose zarzuele, opere buffe, opere comiche, tutte rappresentate a Madrid (La novia y el concierto, 1839; El recluta, 1839; Il carrozzino da vendere, 1839; El ventorrillo de Crespo, 1841; El contrabandista, 1841; Los solitarios, 1843; La pendencia, 1843; El diablo predicator, 1846. Inoltre musica sacra (Ave Maria e Offertorio); musica vocale (Fede e speranza) e numerosi canzoni. Pubblicò a Milano Esercizi per voce di basso con accompagnamento di pianoforte. Basso Lucio Flavio Silva Nonio (Tribuno militare; n. Urbisaglia, I sec. d. C). Tribuno militare nel 60 d.C., ufficiale romano nel 73, fu triumviro e patrono di Urbs Salvia per la quale fece costruire l’anfiteatro, pontefice massimo, senatore e console nell’81 d. C. Basili Francesco (Compositore, maestro di cappella; n. Loreto 14 febbraio 1767, m. Roma 25 marzo 1850). Figlio di Andrea, studiò con lui, con G.B. Borghi e con C.Jannacconi a Roma. Fu maestro di cappella a Foligno (1786 circa), Macerata e al santuario di Loreto (1809-28). Dal 1827 al 1837 fu censore del conservatorio di Milano e nel 1837 fu nominato maestro della cappella Giulia a San Pietro in Vaticano. Fu inoltre membro delle accademie di Bologna, Roma, Modena e della Regia accademia di belle arti di Berlino. Per il teatro compose: La bella incognita (Roma 1788), La locandiera (Roma 1789), Achille all’assedio di Troia (Firenze 1797), Il ritorno di Ulisse (Firenze 1799), Antigona (Venezia 1799), Conviene adattarsi (Venezia 1801), L’unione mal pensata (Venezia 1801), Lo stravagante e il dissipatore (Venezia 1805), L’ira di Achille (Venezia, 1817), L’orfana egiziana (Venezia 1818), Gli illinesi (Milano 1819), Il califfo e la schiava (Milano 1819), Isaura e Ricciardo (Roma 1820); gli oratori Sansone in Tannata (Napoli 1824) e La sconfitta degli Assiri, la cantata Arianna e Teseo e inoltre numerosa musica sacra. Basso Ventidio Publio vedi Ventidio Basso Bastiani Giuseppe (detto Giuseppino da Macerata) (Pittore; n. Macerata seconda metà XVI secolo, m. Macerata dopo il 1630). Fu allievo del maceratese Gaspare Gasparrini (➔) e molto attivo a Macerata, nonché nelle maggiori città marchigiane. Delle sue opere, influenzate dai Carracci e da Reni, L’estasi di San Francesco (1600) nella chiesa di Santa Maria delle Vergini a Macerata, opera firmata e datata, nonché gli affreschi della cappella della stessa chiesa, una Madonna col Bambino (1606), La decollazione di San Giovanni Battista (1610) nella chiesa di San Giovanni decollato a Stroncone, Terni, La consegna delle chiavi a San Pietro nella chiesa dei Cappuccini a Macerata. Basvecchi Pier Olimpo (Violinista; n. Recanati 1829-30, m. Recanati 4 gennaio 1871). Fu tra i più celebri violinisti del suo tempo e tenne concerti in Italia e all’estero. Battelli Angelo (Fisico; n. Macerata Feltria 28 marzo 1862, m. Pisa 11 dicembre 1916). Studiò dapprima a Sassocorvaro, Pesaro, poi a Urbino, ove fu allievo di A. Serpieri. Iscrittosi alla Facoltà di fisica dell’Università di Torino nel 1880, nell’84 vi si laureò. Divenuto docente a Pisa nel 1893, creò un moderno laboratorio con un’ampia schiera di ricercatori e allievi. Nel 1894 divenne direttore della rivista di Bassi Luigi (Cantante; n. Pesaro 4 settembre 1766, m. Dresda 13 settembre 1825). Si trasferì presto a Senigallia, ove pare studiasse con P. Morandi. Nel 1783 lo troviamo a Firenze dove è allievo del cantante P. Laschi, che lo fa debuttare al teatro La Pergola raccomandandolo poi al direttore d’orchestra del Teatro Italiano di Praga D. Guardasoni. Chiamato 64