Testis Temporum Collana di Fonti e Studi sul Medioevo dell’Italia Centrale e Meridionale diretta da Fulvio Delle Donne 4 Volume pubblicato con gli auspici dell’Istituto storico italiano per il medio evo In copertina: rielaborazione grafica della facciata della cattedrale di Sessa Aurunca GASPARRO FUSCOLILLO Croniche Edizione critica e studio linguistico a cura di Nadia Ciampaglia nuov segnali © 2008 Nuovi Segnali – Testis Temporum Via Corte Vecchia, 36 – 03032 Arce (FR) http://xoomer.alice.it/testistemporum [email protected] ISBN 978-88-89790-07-6 Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza l’autorizzazione esplicita dell’Editore o dell’Autore Premessa L’opera storica di Gasparro Fuscolillo, che qui viene interamente edita e rigorosamente studiata dal punto di vista linguistico, presenta una struttura piuttosto complessa. Come già ebbe modo di constatare Bartolommeo Capasso, che per primo la scoprì e la pubblicò parzialmente nel 1876, è costituita da un sommario in latino (le altre parti sono, sostanzialmente, tutte in volgare) della storia del Regno di Napoli; da un primo libro in cui vengono fornite informazioni sulle vicende, principalmente napoletane, degli anni che vanno prevalentemente dal 1432 al 1507; da un secondo libro, con successive aggiunte, che si occupa specificamente delle vicende di Sessa Aurunca soprattutto dei secoli XV e XVI; e da un terzo libro, in cui, a una parte ripresa dalla Breve informazione di Bartolomeo Caracciolo (che si trova anche nella Cronaca di Partenope), ne segue una che arriva al 1463, e che talvolta riporta notizie non ricordate da altre fonti cronachistiche. Se da un lato Fuscolillo offre una compilazione di fonti, dall’altro raccoglie annotazioni originali, importanti soprattutto per la storia particolare e municipale di Sessa. E, come osservava Capasso, il maggior pregio delle Croniche consiste nel loro carattere di fonte “decentrata” che, pur «senza omettere interamente le mutazioni politiche e gli avvenimenti principali d’Italia», non focalizza l’attenzione su Napoli, «che allora piucchè mai assorbiva l’attenzione e l’interesse di tutto il Regno». Ma sappiamo che il loro carattere periferico conferisce ad alcune fonti un valore aggiunto, in quanto non mediate da quei filtri politico-propagandistici che sono più forti nei centri dove viene gestito il potere. Un carattere periferico, unito a una certa ingenuità della scrittura, che permette di assistere a qualche vicenda da una prospettiva eccentrica. Solo per limitarci a uno spunto di riflessione offerto da quella parte del terzo libro finora inedita, in cui viene trattata la storia del Regno e che non trova riscontro in altre fonti, soffermiamoci brevemente sulla rappresentazione di Alfonso I d’Aragona, il Magnanimo. Alfonso compare per la prima volta nel par. III.37.4, chiamato da Giovanna II perché le porti aiuto. Fuscolillo afferma che il sovrano aragonese, che aveva organizzato una grande armata per attaccare Gerba, prima di recarsi a Napoli, conquista l’isola africana. In realtà, sappiamo che Alfonso, chiamato in soccorso di Giovanna alla fine del 1420, stava assediando Bonifacio, città che non gli riuscì di conquistare, e che si dedicò alla conquista di Gerba solo nel 1432. La confusione del cronista è evidente: del resto egli sintetizza molto il racconto delle vicende relative al Magnanimo, tanto da trascurare il ricordo del trionfo con cui il sovrano aragonese, nel 1443, festeggiò la conquista di Napoli. Una scelta volontaria, dettata forse da un intento propagandistico? Colpisce certo che, nella parte precedente del libro, egli descriva Federico II di Svevia come un tiranno (par. VI Premessa III.19.1) e, al contrario, Roberto d’Angiò come «lo più savio re in sapientia et scientia che fosse in terra dal tempo de Salamone» (par. III 26.1): ma il cronista prendeva senza modifiche quelle parti dalla Breve informazione. A proposito di Alfonso non esprime invece alcun giudizio. Si potrebbe avere l’impressione che la figura di Alfonso sia sminuita dal racconto di un aneddoto relativo alla conquista di Ischia, avvenuta nell’agosto del 1423 (che Fuscolillo colloca al 1421): mentre Alfonso stava scalando le mura del castello, cadde in mare «più de C gradi da alto; donne uno gaitano chiamato Francisco de Ronda se gictò in gippone in mare et pigliò lo dicto re et portòllo incollo, et quilli de le galere li pigliorno et lo tennero capo in su finché buttò l’acqua bevuta del mare» (parr. III.39.10-11). Episodio raccontato in maniera epica da Gaspare Pellegrino (II.263-264), che ribalta la situazione: fu Alfonso a salvare un uomo caduto in mare; ma anche, in maniera piuttosto simile a Fuscolillo, sia pure meno dettagliata, da Bartolomeo Facio (II.127) e nel De dictis del Panormita (II.22), che non forniscono, però, il nome del salvatore. Che Fuscolillo non avesse l’intento di ombrare la memoria dell’Aragonese lo si capisce del resto dal modo in cui continua il racconto: «et poi lo dicto re volse essere lo primo ad sallire, et fece sallire 400 persuni et cussì pigliorno lo castello de Yscha et poi la terra» (par. III.39.12). Egli vuole probabilmente solo raccontare un episodio insolito, che aveva colpito la sua fantasia, come si deduce dal successivo dialogo tra Alfonso e il suo salvatore, che, a precisa domanda del sovrano su quante figlie avesse, «resposse: “Io hagio cinco figliole femmene”. El re volse fosseli dato per dota de dicte figliole oncze 100, et a llui donò intrata de dudice oncze lo anno» (parr. III.39.10-11). Fuscolillo è quindi l’unico cronista a fornirci questi dettagli, confermati da un documento ora perduto e citato da Nunzio Federico Faraglia (Storia della regina Giovanna II d’Angiò, Lanciano, 1904, p. 256) con cui Alfonso ricompensava un certo Francesco Galvini da Gaeta, detto Ronno, per averlo aiutato in quel frangente. Non sappiamo a quale fonte attingesse. L’augurio è che la lettura delle Croniche, edite ora in maniera affidabile e integrale, proponga nuove ricerche, che possano tener presente l’opera di Fuscolillo non solo come preziosa testimonianza linguistica, ma anche come interessante testo cronachistico. Massimo Miglio Presidente dell’Istituto storico italiano per il medio evo A Fabio, che è volato leggero tra le braccia del Padre Questo lavoro nasce dal riadattamento della mia tesi di dottorato, discussa il 23 giugno 1998 presso l’Università Sapienza di Roma alla presenza della Commissione Giudicatrice Nazionale formata dai proff. Roberto Antonelli, Corrado Bologna e Paolo Merci. Il progetto di ricerca fu suggerito dal prof. Nicola De Blasi, che ne seguì lo sviluppo e che qui ringrazio. Il capitolo relativo alla descrizione del codice fu oggetto di minuziosa lettura da parte del compianto prof. Giorgio Fulco, sempre generoso di incoraggiamento, preziosi consigli e puntuali osservazioni, non solo di natura filologica: colgo qui l’occasione per un affettuoso e grato ricordo. La rappresentazione grafica riportata nel paragrafo II.4 è opera dell’ingegnere Alessandro di Gaeta, che ancora una volta è venuto in mio solerte e affettuoso soccorso, risolvendo con infinita pazienza e caparbietà tutti i problemi di natura informatica in cui mi sono imbattuta durante il lavoro. Ringrazio la dott. Fulvia de Falco per avermi sostenuto concretamente, ritagliando nel suo lavoro preziosi momenti come affettuosa baby-sitter delle mie bimbe, Maria Chiara e Viviana Francesca. Devo all’esempio dei miei genitori l’educazione all’onestà e al sacrificio, insegnamento tanto più caro ora che, da docente, assisto sconcertata al dilagare del vuoto: mi auguro di poterne fare dono, con umiltà, alle mie figlie. Esprimo infine la mia profonda gratitudine al prof. Fulvio Delle Donne, al cui sollecito interessamento e alla cui amicizia devo la pubblicazione del volume nella collana da lui diretta. Mio marito mi perdonerà se dedico questo libro al ricordo di un giovane amico che ha scelto di andar via mentre mia figlia nasceva: non ho come ripagare di tanta dedizione chi è sempre salda roccia, nei miei momenti di sconforto e abbattimento, se non nella consapevolezza di avere avuto in lui il dono più grande della mia vita. N. C. Introduzione Il Libro de le Croniche Più di un secolo è ormai trascorso dalla pubblicazione, tra l’altro parziale, del libro di cronache di un per altri versi ignoto canonico di Sessa Aurunca, Gasparro Fuscolillo, tramandato in unica ed autografa copia dal ms. XXVIII D 10 della Società Napoletana di Storia Patria. Con il titolo di Cronache de li antiqui ri del Regno di Napoli, il testo fu difatti edito nell’«Archivio Storico per le Province Napoletane» ad opera dell’emerito studioso napoletano Bartolomeo Capasso1, a cui non ne era sfuggito il valore di fonte “decentrata” e quindi funzionale ad una visione storica non più ridotta entro i confini della sola città di Napoli, «che allora piucché mai assorbiva l’attenzione e l’interesse di tutto il Regno»2, ma finalmente aperta anche ad una prospettiva municipale, grazie alla minuta e dettagliata, pur se ingenua, descrizione delle vicende di Sessa Aurunca. La cronaca di Fuscolillo, tuttavia, non è solo un interessante documento storico, ma anche una preziosa testimonianza linguistica. Opera di uno scrivente semicolto3 che scrive nell’unico modo che conosce, così “come parla”, la compilazione del canonico sessano, proprio in quanto scrittura “non pianificata” e dalla forte dimensione “orale”, si rivela difatti uno strumento utilissimo per la messa a fuoco di un’area, quella campano-settentrionale, di cui poche sono a tutt’oggi le testimonianze4 e permette di aggiungere un nuovo e interessante capitolo agli studi, relativamente recenti, di sintassi del parlato. In questo senso, l’indiscutibile ingenuità culturale del canonico sessano diviene però garanzia di autenticità fondamentale per chi si accosti alla lettura del testo con l’interesse non esclusivamente dello storico, ma anche del linguista. 1 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri del Regno di Napoli di D. Gaspare Fuscolillo, «Archivio Storico per le Province Napoletane», 1 (1876), pp. 35-81; pp. 533-64; pp. 621-48 [pp. 1-108 dell’estratto Bologna s. d.]. Sui limiti filologici e linguistici di tale edizione, nulla togliendo al merito di Capasso di aver fatto conoscere il testo di Fuscolillo, si tratterà diffusamente: cfr. § IV.2. 2 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 40. 3 Per un primo approccio alla categoria dei cosiddetti “semicolti”, cfr. F. BRUNI, Traduzione, tradizione e diffusione della cultura: contributo alla lingua dei semicolti, in Alfabetismo e cultura scritta nella storia della società italiana, Perugia 1978, pp. 195-234. Preferisce invece la definizione di “semincolti” Francesco Sabatini: cfr. ID., Prospettive sul parlato nella storia linguistica italiana (con una lettura dell’«Epistola napoletana» del Boccaccio), in F. ALBANO LEONI ET ALII, Italia linguistica: idee, storia, strutture, Bologna 1983, p. 193. 4 A parte la nota rassegna offerta da C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora, «Annali delle Università Toscane», 4 (1920), pp. 117-283. X Nadia Ciampaglia Pubblicando parte della raccolta di Fuscolillo con il titolo Cronache de li antiqui ri del Regno di Napoli, Capasso estendeva però all’intera opera quello che in realtà era senz’altro, nell’originario progetto compositivo del suo autore, unicamente l’incipit del primo5 e più breve di tre libri, costituito da una cronaca anonima del regno di Napoli6. Poco risalto, almeno per un lettore poco attento, era così dato alla parte più ampia e caratterizzante del codice: una lunga serie di notizie relative a Sessa Aurunca, in gran parte frutto di annotazione quotidiana e spontanea, che il canonico andava pazientemente raccogliendo lungo un ampio arco di tempo (tra il 1546 e il 1571) alternando il suo lavoro di solerte cronista a quello di puntuale e paziente indagatore di fonti del passato. Nella “svista” (se pure di svista si trattò e non, piuttosto, di semplice strategia editoriale) Capasso potè a buon conto incorrere tratto in inganno dalla intestazione che si legge nel quinto foglio di guardia anteriore del manoscritto, che forse, ma in tal caso erroneamente7, dové ritenere lasciata dallo stesso Fuscolillo come complessiva dell’opera: «Croniche de li Antiqui Ri del Regno di Napoli e successiuni di Regni, e di Morti di Ri con guerre, e che tratta tutta la vita de li Ri con multi Pontifici di D. Gasparo Fuscolillo Canonico di Sessa.». Non vi è alcun dubbio, tuttavia, che ben diverso era l’intento del nostro canonico, che anzi doveva considerare la propria raccolta opera ancora non compiuta e conchiusa; non al punto, almeno, da ritenere di poterla definitivamente racchiudere entro i margini di un unico titolo. Sulla natura “aperta” del proprio lavoro ci informa del resto lo stesso Fuscolillo, che nella nota di possesso finale accenna in modo inequivocabile ad alt(r)i libri e cartucze de adpu(n)ttature, non inserite nel proprio testo ma, a quanto pare, facilmente consultabili per chiunque avesse voluto: «Qu[i]sto libro d(e) le croniche ène d(e) dono Gasparro Fuscollillo de Sessa canonicho, et quello ch(e) no(n) sta i . quisto libro lo trovarrite alli alt(r)i libri mei che hagio fatti et cartucze de adpu(n)ttature, ch(e) no(n) le ho messe i(n) libro.» (c. 273v, IIa 388.1)8. Per questi motivi, sembra quanto mai opportuno abbandonare la definizione di Cronache de li antiqui ri del Regno di Napoli con cui la compilazione di Fuscolil5 Così difatti si legge a c. 4v: «Il primo libro de le croniche de li antiqui ri d(e)l regno d(e) Nap(u)li et succissiuni d(e) regni et d(e) morte d(e) ri co(n) guerre et ch(e) tracta tucta la vita de li ri co(n) multi po(n)tifici». 6 Per la struttura delle Croniche, cfr. § III.1. 7 Non vi sono dubbi, infatti, che il suddetto titolo è aggiunta seriore, poiché coevo alla legatura, che è moderna; cfr. § II.1. 8 Nei rimandi al testo, si indicano d’ora in poi con I, II, III rispettivamente i tre libri di cui si compongono le Croniche, con S il sommario latino che li precede e, infine, con IIa le annotazioni spontanee del secondo libro (vale a dire le notizie raccolte nelle cc. 1012-273, giustapposte dopo il terzo); la prima cifra araba indica il paragrafo e la seconda il relativo segmento sintattico, secondo la divisione del testo adottata per l’edizione critica (cfr. § IV.1). Introduzione XI lo, sulla scia di Capasso, è stata finora citata da storici e linguisti: facendo nostre le parole del canonico, il testo sarà dunque d’ora in poi denominato Libro de le Croniche o, più semplicemente, Croniche. La scelta, si spera, potrebbe finalmente far leggere l’opera di Fuscolillo nella sua reale dimensione, liberandola dall’idea che in essa, ancora una volta, Napoli sia il centro fagocitante, storicamente e linguisticamente parlando, alla cui ombra tutto si sia svolto per secoli. Le Croniche, infatti, sono state piuttosto concepite dal canonico non solo secondo una linea diacronica, dal passato al presente, ma anche seguendo un razionale percorso che, partendo dalle origini e dalle imponenti vicende degli stati prenormanni e poi del regno di Napoli, giunge fino al Ducato di Sessa restringendo progressivamente l’angolo visuale e ponendo finalmente sulla scena, accanto a grandi personaggi, anche umili protagonisti: religiosi, ufficiali, soldati, maestri di scuola. Possiamo così guardare sì alla “grande storia”, ma con la prospettiva, ben diversa, degli abitanti del piccolo centro, che da quelle vicende dovevano, inevitabilmente, essere coinvolti. I. L’AUTORE I.1. Gasparro Fuscolillo, canonico di Sessa Aurunca Il nome di Fuscolillo sembra ignoto agli storici di Sessa Aurunca. Già Capasso aveva denunciato l’impossibilità di rintracciare ulteriori informazioni, al di là di quelle poche notizie che il canonico stesso aveva dato di sé nelle proprie carte. Il materiale d’archivio custodito nella curia di Sessa Aurunca9 permette solo di 9 Nella sala capitolare della Cattedrale di Sessa Aurunca si conservavano fino al 1997, stipati in un vecchio armadio e senza alcun ordine, fogli per lo più settecenteschi, talvolta raggruppati in fasci, e alcune rare carte del 1600. Il “vero” archivio era situato invece in una stanza annessa agli appartamenti vescovili, dove il primicerio allora in carica, p. Cosma Capomaccio, affermava di aver raccolto nel corso degli anni una gran mole di documenti, in origine conservati alla rinfusa nella piccola stanza adibita a suo studio nella Curia vescovile, al fine di sottrarli al continuo pericolo di furti e smarrimenti. Negli anni in cui scrivevo la mia tesi dottorato non mi fu permesso di visionare quest’ultimo materiale, certamente risalente ad un periodo più antico, della cui esistenza e importanza, al di là del bonario tentativo di “depistaggio” del primicerio, si aveva indiretta testimonianza in una bibliografia apprestata da uno studioso locale (cfr. F. BORRELLI, Appunti di storiografia Aurunca, Sessa Aurunca 1976), in cui si faceva riferimento a manoscritti sicuramente non conservati nel suddetto armadio. Il divieto, giustificato in modo non sempre coerente dal religioso più per una questione di forma (davvero “sconveniente” sarebbe stata una presenza femminile negli appartamenti del vescovo) che per il timore di furto o smarrimento del materiale, non ancora sottoposto a sistematica catalogazione, mi sembrò piuttosto dovuto ad una prevedibile gelosia, che preferiva affidare all’ambiente locale le memorie patrie e sottrarle a qualsiasi possibile “appropriazione” da parte di esterni. Per altre vie avevo potuto comunque appurare che il materiale conservato in tale archivio era effettivamente vasto, ma oggetto di studio da parte di un sacerdote legato alla Curia, impegnato a ricostruire storicamente la successione dei canonici del capitolo e timoroso di “fughe di notizie” prima della pubblicazione del suo lavoro. A nulla servì ogni mio tentativo di rassicurare in tal senso, spiegando la natura ben diversa XII Nadia Ciampaglia ricavare e silentio un termine ante quem per datarne la morte. Altri elementi utili per ricostruirne cultura e personalità si possono invece ricavare da alcune particolarità compositive delle Croniche, che mostrano d’essere opera di un cronista attento e scrupoloso, instancabile nel sottoporre le proprie carte ad un continuo lavorìo di perfezionamento, sollecito nel corredare il testo di rinvii interni ad utilità dei futuri lettori10, pedante talvolta sino all’eccesso, tanto da segnalare la presenza anche di minimi interventi lasciati da terzi, ma tuttavia abbastanza delicato da indicare l’inserimento di una futile notizia per mano di una bimba, orgogliosa d’aver ritrovato una fravola bellissima nel suo orto11, senza ricorrere alla netta stroncatura che pure non aveva risparmiato all’honorato homo et da bene Cristofano Grimaldo12. Gasparro13 Fuscolillo era un canonico del capitolo14 di Sessa Aurunca. È lui stesso a pregiarsi costantemente di questo titolo15. Il 1542 è il termine post quem della mia ricerca. Mi fu tuttavia concesso, grazie al cortese aiuto di un collaboratore della Curia, il sig. Antonio Jannello, che colgo qui l’occasione di ringraziare, di visionare le carte custodite nell’armadio della sala capitolare, cui pure il primicerio aveva affermato di aver negato l’accesso a chiunque prima del mio arrivo, con la promessa di catalogare sommariamente il contenuto dei fasci di volta in volta visionati. Svolgendo dunque con entusiasmo il compito che mi era stato assegnato, mi resi ben presto conto che tra quella mole di carte vi era ben poco di utile per la mia ricerca, a parte il prezioso catalogo apprestato dal canonico Creta di cui si dirà tra breve (cfr. infra). Ebbi comunque a buon conto modo di leggere un interessante manoscritto in folio settecentesco, segnato ms. n. 23 e intitolato «Campione del R.mo Cap. di Sessa rinovato da me can. A. Cox odierno procur. dove sono con ordine notati tutti li stabili colle di loro capacità e confini p(rese)nti, decime, morticci, terre prebendali e fraterie dei sig.ri Dignità e Canonici. A. D. 1739». Nel codice, utile anche per trarre indicazioni circa alcune località citate nelle Croniche, sono registrati beni ed annui redditi del capitolo a partire dal 1430. Tra i nomi citati compaiono spesso persone menzionate da Fuscolillo (come, ad esempio, Leonardo de Pippo, Testa, Pascali), ma non vi è alcuna traccia di beni lasciati al capitolo da Fuscolillo o di atti sottoscritti dai suoi eredi. Sparsi alla rinfusa nei fogli di alcuni fascicoli settecenteschi vi erano poi due piccoli pezzi di carta; nel primo, di cm. 9 × 13,5, si leggeva un atto del 26 febbraio 1534 con cui Mattia Pascali, spesso citato nelle Croniche, costituisce come fondo dotale della moglie, Giulia di Pippo, la metà di una bottega; l’altro, di cm. 19 × 27,5, è probabilmente una copia, in latino, di un atto sottoscritto dal giudice Cesare Fuscolillo, spesso citato nelle Croniche come redattore di instrumenta, nell’ottobre del 1537. 10 Cfr. § II.7. 11 Cfr. § II.9.1. 12 Cfr. infra e § III.4.1. 13 Gasparro e non Gaspare, come voleva Capasso: cfr. n. 213. 14 Il capitolo di Sessa Aurunca era composto da venticinque canonici tra cui erano comprese quattro dignità, ovvero il Primicerio seniore, il Primicerio juniore, il Canonico Arcidiacono e il Canonico Decano. Il titolo di canonico era concesso dal vescovo. I canonici formanti il capitolo avevano vari onori ed obblighi, fra i quali quelli di essere presenti alle celebrazioni in cattedrale in determinate funzioni, prestare servizio nel coro, etc. 15 In primo luogo, nella nota di possesso delle Croniche: «Quisto libro d(e) le croniche ène d(e) dono Gasparro Fuscollillo de Sessa canonicho, et quello ch(e) no(n) sta i . quisto libro lo trovarrite alli alt(r)i libri mei che hagio fatti et cartucze de adpu(n)ttature, ch(e) no(n) le ho messe i(n) libro.» (cfr. testo, IIa 388). Introduzione XIII del suo canonicato: nel maggio di quell’anno, infatti, il religioso cita se stesso tra i canonici presenti come testimoni alla redazione del testamento di messere Marco de Romano16. Sappiamo poi che nel 1555, quando il primicerio in carica era Sigismondo Floradasa, Fuscolillo, insieme a tale Geronimo Cirello, fu tra i canonici presenti all’atto con cui il consiglio di Sessa Aurunca stabilì di affidare duemila scudi a Cesare Fuscolillo con l’incarico di acquistare grano (cfr. testo, IIa 245.5). Nel 1531 Fuscolillo era a Napoli; e poiché in quell’occasione, come lui stesso scrive, aveva avuto modo di procurarsi una copia di un bando sul valore delle monete, non è da escludere che a questa data avesse già iniziato, se non a scrivere, senz’altro a raccogliere appunti per il proprio libro: «Die xi d(e) octo(m)bro 1531 io, do(n)no Casparro Fuscolillo, me retrovai i(n) Nap(u)li i(n)nel p(rese)nte a(n)no, qua(n)do se fece lo ba(n)no d(e) le expe(n)der(e) d(e) le monete: p(er)ta(n)to io sop(r)adicto ne pigliai la copia del dicto ba(n)no, quale se lege al p(rese)nte appresso.» (cfr. testo, II 28). Di certo, sappiamo solo che nel 1581 Fuscolillo doveva essere già morto. La data si ricava, e silentio, da un elenco ottocentesco, probabilmente da identificare con quello approntato nel 1802 dal canonico d. Gennaro Creta, cui accennano più volte storici locali17. Il manoscritto, cartaceo e rilegato in pergamena, di cm. 22 × 33, reca su un rettangolo di carta incollato sul piatto anteriore una vecchia segnatura (fasc. XXXVIII, n° 88) e il titolo: «Registro ed elenco dei canonici della cattedrale di Sessa dal 1581». Una mano recente ha poi aggiunto: «al 1944». L’autore afferma di utilizzare «i libri che sono, dopo tante vicende, del servizio del coro, così del defunto come del nuovo, e delle azioni delle prebende18 canonicali rimasti» (c. 1r). Il riferimento è al canonico Mario Vertunno, che «nel 1581 ordinò un libro nel quale descrisse le azioni delle prebende, le conclusioni capitolari, il servizio del coro ed altre notizie» (c. 4v). Ne risulta, ovviamente, che già per l’estensore ottocentesco non erano più reperibili nella Curia vescovile documenti più antichi19. 16 Durante la redazione dell’atto, difatti, sono presenti «(…) iodice m(essere) Leonardo d(e) Pippo, do(n)no Gasparro Fusculillo, do(n)no Marcho Bove, do(n)no Laure(n)tio d(e) Pippi, do(n)no Ioa(n)ni d(e) Me<d>ella, tucti preditti canonici d(e) Sessa.» (cfr. testo, II 53.8). 17 Fino al 1997 tale codice si conservava nel già citato armadio della Sala capitolare della Cattedrale di Sessa Aurunca: cfr. n. 9. 18 Le azioni delle prebende si effettuavano venti giorni dopo la morte del canonico ultimo possessore. 19 Nel suddetto armadio si trovava anche un fascicolo mutilo della parte anteriore e mancante di parecchie carte. Si tratta, come si evince dal primo foglio rimasto, numerato c. 138, del libro delle prebende che il canonico Tommaso Ferzella continuò a redigere a partire dall’8 luglio 1607, dopo la morte del Vertunno avvenuta il 4 dello stesso mese. Il fascicolo si interrompe definitivamente a c. 164r, con l’anno 1628. La parte mancante doveva evidentemente essere proprio il libro del Vertunno, fonte dell’elenco del Creta, andato perduto. Dell’elenco del Ferzella dové sicuramente giovarsi il canonico Creta; difatti quest’ultimo, ricordando il canonico Carlo Gattola sotto l’anno 1628 (c. 19r), ri- XIV Nadia Ciampaglia La compilazione inizia a c. 3r, dove si legge l’«Elenco de’ sig. dignità e canonici della cattedrale Chiesa di Sessa dell’anno 1581». In quest’anno sono ricordati il primicerio d. Pietro Florimonte e, tra gli altri, i canonici Ottavio Pascali e Lelio Sessa, tutti spesso menzionati da Fuscolillo; il suo nome, tuttavia, non figura tra quello dei religiosi che componevano il capitolo del 1581 ed è pertanto evidente che, a questa data, egli doveva essere già morto. La data post quem per la morte del canonico è il 1571. Risale difatti al settembre di quest’anno l’ultima annotazione presente nel manoscritto20, riguardante la costruzione del coro nella chiesa di S. Domenico di Sessa (cfr. testo, IIa 33). Che nel 1571 Fuscolillo fosse ancora vivo, del resto, lo sappiamo dal fatto che proprio in quell’anno il religioso aveva prestato i suoi appunti al già citato commissario genovese Cristofano Grimaldo21. La morte di Fuscolillo, dunque, può essere circoscritta al decennio compreso tra il 1571 e il 1581. Si tenga presente, comunque, che già a partire dal 1561 la sua registrazione cronachistica doveva aver subito, forse a causa dell’età avanzata, un notevole rallentamento, visto che le annotazioni, dopo questa data, diventano sempre più sporadiche22. E se pure non è da escludere che le notizie successive a quell’anno fossero in realtà state raccolte in altre cartucce di appunti, alla cui esistenza, del resto, lo stesso canonico allude esplicitamente23, va però detto che quelle aggiunte posteriormente negli spazi rimasti bianchi nel codice non vanno comunque oltre il 156424. È lo stesso Fuscolillo a dirci il nome dei suoi genitori, Giovanni e Maria, registrando la morte della madre25; nessun accenno, invece, alla morte del padre. Nel secondo libro delle Croniche il canonico annota in latino, sotto l’anno 1470, anche la morte di un proprio avo, di cui con ogni probabilità aveva tratto notizia dallo manda al «cit. lib. f. 164»: ebbene, il foglio 164 del suddetto fascicolo contiene proprio l’elenco dei canonici di quell’anno. Il libro delle prebende doveva comunque già essere danneggiato all’epoca dell’estensore ottocentesco, che in un altro passo afferma di non poter individuare il tempo della promozione al primiceriato di un tal Mario Minutelli «per mancanza de’ fogli nel cit. lib.» (c. 19r a): sembra dunque inverosimile che nell’archivio vescovile si possa eventualmente ritrovare un libro di prebende, anteriore al 1581, sfuggito alla ricerca del Creta. 20 In verità nell’ultima carta del codice (cfr. testo, IIa 385) si legge con difficoltà anche una notizia del 1577, ma non si può dire con certezza che essa sia stata redatta da Fuscolillo. 21 Cfr. § III.4.1. 22 Cfr. § III.1.5. 23 Cfr. supra e testo, IIa 388.1. 24 Cfr. § III.1.5. 25 «A dì 16 d(e) frebaro 1547 et d(e) mercudì, ad hora d(e) nona, trapassao da questa vita p(rese)nte mia matre chiamata p(er) nome Maria, co(n)sorte et mogliere d(e) Ioa(n)ni Fusculillo, et io do(n)no Gasparro, como suo figlio, ne ho facta memoria d(e) sua vita trapassata; et suo corpo se lassao ad Sa(n)to Do(m)minicho d(e) Sessa, q(u)ale nost(r)o S(ignor)e Idio li dona requiee all’anima sua, p(er) sua(m) misericordia(m), ame(n).» (cfr. testo, IIa 102). Introduzione XV stesso memoriale della Chiesa di Sessa Aurunca di cui si era avvalso per la redazione delle annotazioni più antiche copiate in questa sezione del codice26. Per quanto riguarda altri probabili parenti, Fuscolillo nomina spesso un tale Cesare Fuscolillo, da identificare senz’altro con il giudice che appose la sua firma in calce al già citato atto del 153727. Cesaro Fuscolillo partecipa a vario titolo alla vita pubblica del piccolo centro: nel 1544 redige una nuova versione del testamento di messere Marco de Romano (cfr. testo, II 54.14); nel giugno 1555 è nel consiglio di uomini inviati a Gaeta per ottenere un prestito di denaro con cui comprare grano (cfr. testo, IIa 245); nel luglio dello stesso anno è eletto cittadino (cfr. testo, IIa 250); nell’aprile del 1556 è incaricato di restituire alla città di Gaeta, con gli interessi, il denaro ottenuto in prestito l’anno precedente (cfr. testo, IIa 271); è annoverato nel gruppo di sei uomini incaricati dal governo di Sessa di raccogliere il grano da mandare a San Germano per ordine del commissario genovese Cristofano Grimaldo (cfr. testo, IIa 2); è ancora eletto ferriere di Sessa nel giugno 1559 (cfr. testo, IIa 59), mastro portolano nel luglio dello stesso anno (cfr. testo, IIa 66) ed è tra i sindaci nel settembre del 1560; come sindaco è infine presente alla redazione di un instrumentum nel luglio del 1561. Era invece dottore in medicina tale Lione Fuscolillo, di cui il canonico annota l’ingresso in Sessa il 3 agosto del 156728. Altri nomi di probabili parenti compaiono ancora nelle carte finali delle Croniche: qui Fuscolillo annota il matrimonio di Iulia Fuscolillo29, l’abbattimento di una bottega di proprietà di Fiella Fuscolillo30, 26 «An(n)o D(omi)ni 1470, die veneris me(n)sis agusti decimoseptimo predicti me(n)sis, mortuus est Fuscolillus d(e) Suessa cuius anima p(er) misericordia(m) Dei req(ui)escat in pace. Ame(n).» (cfr. testo, II 7). 27 Cfr. n. 9. 28 «A dì 3 d(e) agusto 1567, in dì de do(m)menecha, fece lo egresso et la intrata d(e) missere Lione Fuscolillo d(e) Sessa, doctor(e) i(n) medecina, lo q(u)ale se fece ta(n)to honore ch(e) fo cosa mirabile. Dove llà allo segio gra(n)de fece lo sermone, dove ce fo lo r(everen)do ep(iscop)o m(essere) Ioanplacito episcopo d(e) Sessa, lo signor(e) do(n)no Belardino d(e) Corduba in persono d(e) s(ignore) d[uch]a d(e) Sessa.» (cfr. testo, II 50). 29 «A dì 25 d(e)l mese d(e) octobro 1562 se maritao mada(m)ma Iulia Fuscolillo et pigliao p(er) marito m(essere) Ioa(n)fra(n)cisco Martino d(e) Sessa, et deo p(er) dota ducati cinquocentoquara(n)ta.» (cfr. testo, IIa 332). 30 «A dì 26 d(e)l mese d(e) iennaro 1558, d(e) merchudì, fo derogate se[u] scassate la potecha d(e) mastro Loisi d(e) Pari et un’alt(r)a potecha co(n) me(m)bri d(e) sopra ch(e) erano d(e) m(essere) Belardino Soave, ch(e) ce le ve(n)deo alla t(er)ra seu università d(e) Sessa m(essere) Ioa(n)frac(isc)o Soave et sua mat(r)e mada(m)ma Fiella Fuscolillo d(e) Sessa co . la autorità d(e) lo sop(r)adicto m(essere) Ioa(n)fra(n)cisco Soave.» (cfr. testo, IIa 335). XVI Nadia Ciampaglia la morte di un tale Francesco Fuscolillo “bastardo”31 e, infine, la partenza da Sessa di Francesca Fuscolillo32. Sono probabilmente discendenti del nostro cronista anche i chierici Mario e Geronimo Fuscolillo, citati nella compilazione del canonico Creta. Il primo è presente al capitolo del 19 maggio 1584 (c. 5v); il secondo, invece, compare insieme ad Ottavio Pascali nell’elenco delle persone chiamate a pagare un tributo al capitolo di Sessa in seguito alla disputa sorta con gli eredi di Benedetto di Francesco per il pagamento di un legato di cento ducati sottoscritto da quest’ultimo a favore del capitolo stesso; l’instrumentum fu redatto da Geronimo Sisto nel 19 marzo 1619 (c. 20r). II. IL CODICE La trasmissione delle Croniche è affidata al ms. XXVIII D 10 della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. Il codice, cartaceo, in 8°, di mm. 200 × 135 e di carte V + 273 + I, è da ritenere, per le caratteristiche materiali e per le modalità compositive dell’opera, testimone parzialmente autografo ed unico33. 31 «A dì 27 d(e) frebaro 1556 trapassao da questa vita p(rese)nte Fra(n)cisco Fuscolillo bastardo.» (cfr. testo, IIa 378). 32 «A dì 15 del mese d(e) iulio 1558 se partìo da Sessa ma(d)da(m)ma Fra(n)cesca Fuscolillo et adao ad s[t]ar(e) in Nap(u)li ad star(e) co . la moglier(e) d(e) lo s(ignore) Nardone.» (cfr. testo, IIa 379). 33 Il manoscritto apparteneva a Bartolomeo Capasso, che è il primo a darne segnalazione: «Il cod. Ms. che contiene tutte queste scritture, è da me posseduto» (B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 38). Per lungo tempo, tuttavia, le Croniche sembrano aver destato attenzione solo per la presenza, nelle carte iniziali, di un breve sommario latino ritenuto da Capasso fonte della seconda parte della Cronaca di Partenope ovvero della Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo. Come testimone della Breve Informazione, il codice fu dunque inserito dallo studioso napoletano nell’elenco delle sue Fonti per la storia delle province napoletane («Archivio Storico per le Province Napoletane», 1, 1886, fasc. 1-4 e ivi, 2, 1887, fasc. 1), lavoro che fu poi ripubblicato nel 1902, insieme a quello più tardo dell’Indicazione delle fonti…dal 568 al 1077 (cfr. «Archivio Storico per le Province Napoletane», 5, 1890, fasc. 3), per cura di Oreste Mastroianni (B. CAPASSO, Le fonti della storia delle province napolitane dal 568 al 1500, con note ed un copioso indice di Oreste Mastrojanni, Napoli 1902), che si limitava però a indicarne la presenza presso la Società Napoletana di Storia Patria (B. CAPASSO, Le fonti della storia…, cit., p. 134 e n. 2). Dopo la pubblicazione di Capasso occorre ancora un secolo perché le Croniche siano nuovamente oggetto di segnalazione; nel 1975, difatti, Francesco Sabatini cita il codice Fuscolillo come testimone della Cronaca di Partenope e, in particolare, della tradizione autonoma della Breve Informazione (F. SABATINI, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli 1975, pp. 266-7, n. 309 e n. 312). È lo stesso Sabatini, nel 1983, a richiamare finalmente l’attenzione sull’interesse soprattutto linguistico delle cronache di Fuscolillo, citandole come esempio «pescato un po’ a caso dal mare delle trascurate, ignote e in gran quantità distrutte scritture dei mediocolti e semincolti dei secoli andati» (F. SABATINI, Prospettive sul parlato…, cit., p. 193). Le Croniche vengono così inserite nel corpus di testi utilizzati per lo studio della sintassi del parlato da P. D’Achille (ID., Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi di testi dalle Origini al secolo Introduzione XVII La prima e l’ultima carta del manoscritto sono piuttosto sciupate e danneggiate nel margine esterno; due tagli obliqui, quasi paralleli, lo attraversano da c. 1 a c. 70 e sono stati pertanto operati sul libro chiuso; nelle carte seguenti, in corrispondenza dei tagli, è visibile un solco fino a c. 98 circa. È strappato il magine esterno delle cc. 60-68. Il codice è privo di ornamentazioni; con lo stesso inchiostro utilizzato per la scrittura sono state tracciate due manine con l’indice puntato a c. 21v ed una piccola corona a c. 22v. II.1. Legatura La legatura è moderna, in pergamena e con risguardi di carta; presenta un taglio lungo il bordo anteriore, sicché sono visibili i piatti costituiti da fogli di cartone pressati. Il dorso è liscio e reca nel margine superiore la scritta: Fus<co>lil./ Croniche di Napoli./ MSS; in quello inferiore si legge invece la collocazione odierna, che è ripetuta nel margine superiore del risguardo anteriore. I fogli di guardia fanno parte di un fascicolo autonomo e sembrano essere stati aggiunti con la legatura; infatti, il primo anteriore e l’ultimo posteriore hanno una consistenza identica a quella dei risguardi. In essi, così come accade nel terzo e quarto anteriori, sono visibili solo i filoni, mentre è invece di difficile identificazione la filigrana nel secondo e nel quinto (dove sembrerebbe essere raffigurata una grande corona). In quest’ultimo foglio si legge il titolo: «Croniche de li Antiqui Ri del Regno di Napoli e successiuni di Regni, e di Morti di Ri con guerre, e che tratta tutta la vita de li Ri con multi Pontifici di D. Gasparo Fuscolillo Canonico di Sessa». Questa scritta è senz’altro coeva alla legatura, poiché presenta i medesimi caratteri che vi si leggono sul dorso. II.2. Cartulazione La cartulazione è coeva, in cifre arabe segnate nel margine superiore destro di ogni foglio e tratteggiate in modo uniforme fino a c. 252. Nel gruppo che va dalla c. 253 alla c. 273, corrispondenti agli ultimi due fascicoli del codice, i numeri appaiono invece più piccoli e di forma differente rispetto alle carte precedenti (ciò è chiaramente visibile, ad esempio, nel tratto del 4 e dell’8). Forse questi ultimi fogli, in cui XVIII, Roma 1990), che si servirà, tuttavia, dell’edizione Capasso, non sempre attendibile (cfr. § IV.2). Come testimone della Breve Informazione il codice è ancora menzionato da Livio Petrucci, che però lo definisce, erroneamente, «sei-settecentesco» (L. PETRUCCI, Il volgare a Napoli in età angioina in Lingue e culture dell’Italia meridionale (1200-1600), Roma 1993, p. 30, n. 10). Nello stesso anno, infine, N. De Blasi riporta dall’edizione Capasso un breve assaggio del testo di Fuscolillo, citato tra coloro che non sono toccati da preoccupazioni linguistiche e «scrivono più o meno nell’unico modo che conoscono» (cfr. P. BIANCHI - N. DE BLASI - R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania. I’ te vurria parlà, Napoli 1993, p. 97). XVIII Nadia Ciampaglia si leggono, in sostanza, notizie progressive degli anni 1557-5834, sono stati aggiunti al nucleo principale solo successivamente e per questo motivo sono numerati in modo diverso. La numerazione delle carte è comunque posteriore all’assemblaggio dei fascicoli e talvolta imprecisa, come conferma il fatto, ad esempio, che la c. 254r inizia mutila, benché quella precedente sia regolarmente numerata come 253. È un lapsus calami anche il salto di numerazione tra la c. 174 e la c. 176, cui non corrisponde in realtà la caduta di una carta: nel testo non sembra infatti esserci lacuna e i due fogli in questione, del resto, fanno parte di fascicolo che costituisce un quaternione perfettamente integro35. È pure uno scorso di penna la numerazione della carta 0222, senz’altro da emendare in 0212, poiché la notizia in essa annotata continua, senza interruzione o lacuna alcuna, nella successiva c. 0213 con cui costituisce, tra l’altro, un unico bifolio. La numerazione 82, infine, è ripetuta erroneamente in due carte successive36. Dopo la c. 109 le carte risultano numerate nella sequenza 1012, 1013 etc. fino a 1031; dopo la caduta di una carta, si continua da 133 a 189. In questo punto deve essere caduto un intero fascicolo; la numerazione dei fogli riprende infatti da 021 seguendo quest’ordine37: 021, 022, 23, 024, 25, 026, 027, (…), 029, 0210, (…), 022238, 0213, (…), 0218, 0219, 0220, 0221, 0222, 0223, 0224, 0225, 0226, 0227, 0228, 0229, (…), 0231. Poiché le cc. 029 e 0210 sono in successione, è evidente che le prime due cifre si riferiscono al fascicolo e le rimanenti alla carta; abbiamo così, a parte le carte cadute, una corretta sequenza da 02-1 a 02-31. Da c. 232 fino a c. 273 la cartulazione prosegue senza altre particolarità. II.3. Filigrane I fogli del manoscritto presentano almeno tre tipi di filigrana diversa. Nelle carte39 1-98, corrispondenti ai primi due libri e alla maggior parte del terzo, è visibile un’identica filigrana, ma il disegno è di difficile interpretazione e non trova riscontro nel Briquet. Quelle da c. 101 a c. 261, corrispondenti alla parte finale del terzo libro e alla quasi totalità delle annotazioni spontanee relative a Sessa Aurunca (vale a dire circa due terzi dell’intero codice) presentano invece una filigrana40 di 4 cm. 34 In effetti, nell’ultimo fascicolo del codice (cc. 270-3) si leggono anche poche altre notizie relative ad anni differenti; si tratta, però, di annotazioni isolate e non inserite in una più ampia sequenza cronologica: cfr. § III.1.5. 35 Cfr. § II.4. 36 Queste carte vengono quindi indicate, nella presente edizione, come 82 e 82bis. 37 Tra parentesi tonde si indicano i luoghi del codice in cui le lacune del testo testimoniano con certezza la caduta di carte. 38 S’è già detto, però, che la numerazione di questa carta va però senz’altro emendata in 0212. 39 Il disegno è più facilmente visibile nelle cc. 3-4, 20-23, 24-35, 26-33, 36-39, 40, 44-47, 49, 5156, 52-55, 59, 60-67, 79-83, 80-82bis, 88-89, 96-97. 40 Questa filigrana è visibile nelle coppie di carte 101-108, 103-106, 1012-1013, 1021-1022, 134, 136-138, 141-148, 143-146, 149-150, 156-157, 160-163, 161-162, 168-171, 169-170, 174-182, 177- Introduzione XIX di diametro, rappresentante un agnello pasquale racchiuso in un cerchio, simile al Briquet n. 50 (Roma 1535; Napoli fino al 1565). Il disegno è, per la forma dello stendardo, molto simile anche al n. 57, in cui il cerchio è sormontato da una stella (Napoli 1530), al n. 59, dov’è sormontato da una corona (Napoli 1548) e al n. 60 (Napoli 1570), in cui è invece sormontato da una croce. Solo in c. 267 il disegno della filigrana rappresenta un semicerchio in cui è racchiusa una stella, simile al Briquet n. 6087 (Napoli, 1579). L’esame del fascicolo permette tuttavia di appurarare che essa costitusce un unico foglio con la c. 264, in cui invece si intravede un semicerchio sormontato da una croce; sicché, in definitiva, la filigrana risulta composta da una stella in cui è inscritto un cerchio, racchiusa a sua volta in un cerchio sormontato da un lato da una croce, simile al Briquet n. 6089 (Marigliano 1532, Napoli 1532-40). L’indicazione fornita dal supporto cartaceo adoperato, quindi, spingerebbe a porre come confini della scrittura gli anni tra 1532 e il 1565. II.4. Fascicolazione Il codice risulta formato da un gran numero di quaderni spesso mutili, la cui struttura, in particolar modo a partire da c. 1012, appare fortemente irregolare e di difficile ricostruzione. I fascicoli, cuciti strettamente ed incollati sul dorso, non presentano richiami (come forse è naturale aspettarsi, trattandosi fondamentalmente di testo spontaneo e non di lavoro di trascrizione) e molte carte risultano tagliate ed incollate sui quaderni. Per alcune di esse è stato comunque possibile ipotizzare l’appartenenza al fascicolo originario grazie all’esame delle filigrane: le cc. 174 e 182, ad esempio, dovevano senz’altro in origine costituire un unico bifolio, poiché in esse sono visibili rispettivamente la parte inferiore e quella superiore della filigrana rappresentante un agnello pasquale (cfr. § II.3). Sembra quindi utile rappresentare graficamente, per quanto possibile, la struttura del codice41: 180, 184-189, 186-187, 0222-0213, 0219-0222, 0228-0229, 233-242, 235-240, 236-239, 258-263, 260-261. 41 Per la rappresentazione grafica della struttura del codice mi richiamo ai criteri suggeriti da A. PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli, Roma 1984, pp. 77-8 e A. STUSSI, Nuovo avviamento agli studi di filologia italiana, Bologna 1989, pp. 19-20. In ogni quaderno le linee tratteggiate indicano la caduta di una carta. A scopo esemplificativo, si noti che il secondo quaderno è un ternione integro, formato da sei carte piegate in tre bifoli; il primo quaderno è un duerno (costituito da due bifoli) e ha la prima carta aggiunta; il terzo in origine era composto da sei bifoli, ma ha una struttura fortemente irregolare, mancando complessivamente di quattro carte ed avendo la prima aggiunta. D’ora in poi, quando si renderà necessario far riferimento ai fascicoli, si inizierà però a contarli considerando come primo quello costituito dalle cc. 1-6, in cui inizia effettivamente la scrittura, senza considerare quello le cui carte sono segnate in cifre romane, che è costituito, invece, dai fogli di guardia della legatura. Nadia Ciampaglia XX I II III IV V 24 25 26 27 28 2 3 29 30 31 32 33 58 59 60 61 62 63 85 86 87 88 1 64 65 66 67 68 69 89 90 91 92 93 94 95 96 4 5 36 37 7 6 38 39 8 40 41 42 43 44 45 70 71 72 73 97 98 99 100 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 46 47 48 49 74 75 76 77 101 102 103 104 105 106 107 108 109 20 21 50 51 52 53 78 79 80 81 1010 1011 1012 22 54 23 55 56 57 bis 82 82 83 84 1013 1014 1015 1016 1017 1018 Introduzione 1019 1020 1021 151 152 172 173 0210 0211 1022 1031 132 133 134 135 136 137 155 156 157 158 159 174 176 177 178 179 180 181 182 153 154 0222* 0213 0219 0220 XXI 138 139 140 160 161 141 142 143 144 184 185 186 0221 0222 164 165 166 167 162 163 187 188 189 0223 0224 0225 0226 149 145 146 147 148 168 169 021 022 23 024 0227 0228 150 170 171 25 026 027 028 029 0229 0230 0231 0232 Nadia Ciampaglia XXII 233 234 235 236 237 244 245 246 247 248 238 239 240 241 242 243 253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 249 250 270 271 251 252 272 273 Tentiamo ora di riassumere i dati raccolti. Fino a c. 109 si riconoscono abbastanza facilmente tredici fascicoli, formati per lo più da quattro o sei fogli piegati. A partire da c. 1012, invece, le cose si complicano notevolmente e risulta molto difficile individuare con sicurezza i quaderni: se ne contano almeno diciotto, spesso mutili o formati per giustapposizione di carte sciolte e successivamente incollate. Questa situazione rispecchia fedelmente la struttura del testo e costituisce un indizio interessantissimo per comprenderne le modalità compositive. Infatti, fino a c. 109 si susseguono secondo un “progetto” prestabilito da Fuscolillo, come si dirà, i primi tre libri delle Croniche; di seguito si addensano invece nel codice annotazioni giornaliere relative a Sessa Aurunca e dunque un tipo di scrittura di per sé non pianificata42. Il manoscritto, almeno per quest’ultima sezione, sembra essersi formato 42 Cfr. § III.1. Introduzione XXIII quindi per successivo assemblaggio di fascicoli o, per usare le parole dello stesso Fuscolillo, di cartucze de adpu(n)ttature43. II.5. Le caratteristiche materiali della scrittura L’analisi delle caratteristiche materiali della scrittura (ductus, modulo, colore d’inchiostro adoperato) offre indizi preziosi per entrare nell’officina del nostro cronista e risalire ai modi con cui egli è andato componendo il proprio libro44; possiamo così cogliere la struttura “progressiva” delle Croniche e, in taluni casi, formulare ipotesi circa le differenti fasi di redazione delle annotazioni45. Di questi aspetti ci si varrà analizzando il contenuto del codice; per ora sarà sufficiente dare solo qualche breve indicazione. Nelle carte del manoscritto, prive di riquadratura e righe orientative, si alternano in modo alquanto movimentato e talvolta caotico blocchi di testo in cui la scrittura presenta caratteristiche molto differenti. In primo luogo, con un identico modulo e stesso tipo di inchiostro, sul nerogrigio, sono stati redatti a cc. 4v, 40r e 66v i paragrafi46 relativi ai “titoli” dei tre libri di cui si compongono, secondo la suddivisione fornita dallo stesso Fuscolillo, le Croniche: è palese, dunque, che essi sono stati apposti posteriormente47. La scrittura presenta una relativa uniformità da c. 1r fino ai primi tre righi di c. 38r: il modulo è alquanto piccolo, con una certa continuità di ductus e di inchiostro (marronenero) e i righi risultano ben allineati, con un minimo di diciotto per carta fino ad un massimo di ventuno; per lo più, tuttavia, le carte contengono venti righi ed è abbastanza costante lo spazio lasciato vuoto a pié pagina. Tutto fa pensare ad un lavoro ordinato, pianificato e costante, quale può essere appunto quello di copia da altro testo; l’ipotesi è peraltro avvalorata dal fatto che in questa sezione del codice i fascicoli hanno una struttura regolare. In effetti in queste carte si leggono il Sommario latino ed il primo libro, scritture non spontanee48. Nella c. 38, invece, la scrittura assume all’improvviso caratteristiche differenti rispetto a quelle che si ravvisano nelle carte immediatamente precedenti e successive: l’inchiostro è più sbiadito, il ductus più rapido, il modulo più grande. Vi si 43 Cfr. testo, IIa 388.1. Sull’argomento si è ampiamente dilungato A. Petrucci, per il quale «una più attenta, minuta e tecnica considerazione dei fattori produttivi della trasmissione testuale» è indispensabile per una corretta comprensione della struttura dei testi (cfr. A. PETRUCCI, Scrivere il testo, in La critica del testo. Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma 1985, p. 209). 45 Cfr. § III.3. 46 Si indicano così, d’ora in poi, i singoli blocchi di scrittura, dai confini ben definiti e scanditi dagli “a capo”. 47 Il loro inserimento, infatti, è databile post 1558: per le ipotesi di datazione e composizione, cfr. § III.1.3. 48 Cfr. § III.1.1 e III.1.2. 44 XXIV Nadia Ciampaglia leggono notizie del 1561, 1562 e 1563, che il canonico ha con tutta probabilità49 inserito solo in un secondo momento nella parte finale del quinto fascicolo, rimasto vuoto. La c. 39, difatti, è bianca. Da c. 40r a 66r l’uniformità ravvisata nella prima sezione si interrompe bruscamente e si alternano, anche nella stessa carta, blocchi di testo che presentano ductus differente, redatti con tonalità d’inchiostro che vanno dal nero, nero-grigio, al marrone. Anche il modulo cambia continuamente da un paragrafo all’altro, tendendo in taluni casi ad ingrandirsi; lo specchio di scrittura, inoltre, è più variabile: le annotazioni infatti si estendono talvolta nel margine inferiore dei fogli fino ad occupare tutto lo spazio disponibile. Si individuano comunque blocchi di testo uniformi per ductus ed inchiostro, benché situati in carte differenti, e questo è ovviamente indizio della loro sincronicità; altri paragrafi risultano inseriti successivamente a pié pagina. Il brusco e continuo mutamento delle caratteristiche materiali della scrittura rivela per questa sezione del codice un lavoro discontinuo, avvenuto in tempi e modi differenti. Queste carte sono occupate dal secondo libro, costituito solo parzialmente da annotazioni spontanee e in misura maggiore da notizie tratte da fonti differenti50. Da c. 67r la scrittura presenta invece caratteristiche simili a quelle riscontrate per le cc. 1r-38r. La somiglianza è in particolar modo evidente tra la c. 82vbis e la c. 32v, che sembrano essere state redatte con un ductus e una tonalità di inchiostro quasi identico. L’inchiostro adoperato, di colore nero-grigio, è relativamente uniforme fino a c. 69v e inizia a diventare più sbiadito a partire da c. 70r, per poi nuovamente farsi più scuro; il ductus ha un andamento costante, risultando inizialmente abbastanza piccolo (in particolar modo nelle carte 67r-77r51) e tendendo lentamente, ma progressivamente, ad ingrandirsi a partire da c. 89 circa, sicché si passa dalle ventidue righe per carta, in media, di c. 67r, alle quindici di c. 109v. Questa sezione del codice è occupata dal terzo libro52, una scrittura non spontanea la cui stesura, da quanto si evince, dové essere avviata in tempi non troppo distanti da quelli del primo libro53. Infine, a partire da c. 1012r fino a 273v, il quadro diviene nuovamente vario e movimentato, molto vicino a quello che s’è tracciato per le cc. 40r-66r. La scrittura utilizza tutto lo spazio disponibile nella pagina, invadendone spesso il margine in49 L’ipotesi è avvalorata dal fatto che le caratteristiche materiali della scrittura di questa carta sono molto simili a quelle delle cc. 55r, 56r e 1031, in cui pure si leggono avvenimenti accaduti a Sessa Aurunca nel 1561: cfr. § III.1.2, n. 88 e n. 97. 50 Cfr. § III.1.3. 51 Sono quelle tramandanti la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo nella redazione diretta: cfr. § III.1.4. 52 Per la struttura di questo libro che tramanda, sostanzialmente, la sopra menzionata Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo (cfr. n. 51), contaminandola con alcune notizie di Sessa Aurunca ed ampliandola con riferimenti alla storia di re Ladislao fino alle vicende del principe di Rossano, cfr. § III.1.4. 53 Cfr. § III.1.2. Introduzione XXV feriore. Anche in questo caso, tuttavia, è possibile individuare blocchi di testo che, benché si trovino in punti ben distanti del codice, sono però uniformi per ductus ed inchiostro e dunque, con ogni probabilità, di redazione sincrona. In queste carte, che presentano un unico tipo di filigrana54, si leggono annotazioni originali relative a Sessa Aurunca. II.6. Le integrazioni di Bartolomeo Capasso Alcune notizie comprese tra le cc. 40r-66r (corrispondenti al secondo libro) sono state segnalate nel margine esterno sinistro, in corrispondenza della formula di apertura (Anno Domini, Die…), con un asterisco o una crocetta tracciati con inchiostro nero e con un tratto di penna sottile. L’inchiostro sembrerebbe uguale a quello adoperato per annotare manca a c. 16r e 19r a segnalare la caduta nel codice delle cc. 17 e 18. Con lo stesso inchiostro, tratto e modulo, sono state evidenziate anche alcune annotazioni riguardanti il medesimo avvenimento, trascritte in modo pressoché identico (fatta eccezione per alcune minime variazioni di tipo linguistico) in luoghi diversi del codice. Ad esempio, a c. 48r, nel margine sinistro della notizia relativa al 14 settembre 1532, si legge c. 50; ed infatti a c. 50 si può leggere la medesima notizia, nel cui margine sinistro la stessa mano annota: c. 48. Analogamente, a c. 50v, in corrispondenza di un’annotazione relativa all’anno 1534, si legge dupl.; in effetti la notizia si legge identica anche a c. 52v, dove è stato annotato dupl. f. sov. Ancora, a c. 53r, in corrispondenza di una notizia datata aprile 1539, si legge dupl. v. app.; ed infatti, nel verso della stessa carta, si legge nuovamente la stessa notizia, pure segnalata con un asterisco. Si legge ancora dupl. nel margine sinistro di due notizie a c. 54, rispettivamente del novembre e giugno 1539; la prima è stata espunta con tratti obliqui dallo stesso Fuscolillo, che dové accorgersi di averla già trascritta precedentemente55. Tutte queste indicazioni sono con ogni probabilità da attribuire a Bartolomeo Capasso. Allo stesso studioso si devono senz’altro due piccole integrazioni apposte alle carte iniziali del terzo libro56: rispettivamente cacciorno a c. 68r (cfr. testo, III 7.5) e provenzali a c. 73r (cfr. testo, III 20.1). L’intervento mira a colmare due piccole lacune ed è scaturito senz’altro da collazione con un altro manoscritto. Le suddette lezioni sono tra l’altro confermate dal cod. X. C. 31 della Biblioteca Nazionale di Napoli. Forse lo stesso Capasso è infine l’autore di alcune interventi effettuati nelle carte del primo libro miranti a correggere le date di altrettanti avvenimenti; ad esempio, la data della morte di re Ludovico a Cosenza, avvenuta secondo Fuscolillo il 6 novembre 1434, è emendata da una mano più tarda e con ductus sottile, in 14 (cfr. testo, I 11.1); la stessa mano emenda in 27 la data di conquista di Costantinopoli 54 Cfr. § II.3. Cfr. testo, I 41 e apparato. 56 Cfr. n. 51. 55 XXVI Nadia Ciampaglia per mano dei turchi, segnata da Fuscolillo sotto il 17 maggio 1452 (cfr. testo, I 26.1). II.7. Le integrazioni di Fuscolillo Sono numerosissimi gli interventi lasciati dallo stesso Fuscolillo tra le carte del suo libro, finalizzati ad integrare, correggere, perfezionare la propria cronaca, in un instancabile e continuo lavoro di perfezionamento. Si tratta solo in parte di brevi indicazioni lasciate ad uso dei futuri lettori per rimediare ad alcuni errori nella disposizione delle notizie o per rimandare ad altri luoghi del codice in cui ritrovare, eventualmente, notizie relative agli stessi argomenti (ad es., reverte folium, sequita ut supra…etc.); molto più mumerose sono invece le integrazioni alle proprie annotazioni apposte successivamente dal religioso, di cui si tratterà in uno specifico paragrafo, perché esse sono chiave fondamentale per cogliere la natura progressiva57 delle Croniche. Sono infine da attribuire senz’altro a Fuscolillo due breve indicazioni che palesano inequivocabilmente l’origine della fonte adoperata: La Copia da Napuli58 a c. 66v (cfr. testo, I 1) e Copia de li Capuani 59 a c. 144v (cfr. testo, IIa 40.18). II.8. Le correzioni di Cristofano Grimaldo Si rivelano molto interessanti (e per questo se ne tratterà ampiamente più avanti60) alcune piccole correzioni apportate al testo di Fuscolillo nelle carte cc. 165r-167v; in questo caso, difatti, grazie ad una successiva e, a quanto sembra, risentita precisazione dello stesso canonico, conosciamo il nome dell’incauto emendatore: Cristofano Grimaldo, commissario genovese della grassa, inviato a Sessa nel 1556, cui il libro era stato dato in prestito nel 1571. II.9. Le altre mani Accanto alla mano dominante da identificare, pur in quelle variazioni dovute ai differenti tempi e modi di scrittura, come appartenente a Fuscolillo (cfr. fig. n. 1), si riconoscono facilmente nel codice almeno altre quattro mani, che d’ora in poi si indicano con α, β, γ, δ. Discorso più ampio sarà necessario per la mano β, cui si devono anche gli apporti più sostanziosi, perché non v’è dubbio sul fatto che il suo intervento sia avvenuto sotto indicazione (se non addirittura sotto dettatura) del canonico. In alcuni casi, infatti, β si alterna pacificamente nelle stesse carte e addirit57 Cfr. § III.3. 58 L’annotazione precede l’inizio della Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo tramandata dal terzo libro (cfr. n. 51). 59 L’annotazione, dell’aprile 1548, in parte redatta dalla mano β2, riguarda alcuni miracoli verificatisi nella Chiesa di Capua: cfr. § II.9.2 e n. 70. 60 Cfr. § III.4.1. Introduzione XXVII tura nella scrittura di una medesima notizia a Fuscolillo, senza inserisi a pié pagina o sfruttando spazi comunque lasciati vuoti. Discorso differente vale invece per la mano α, il cui “contributo” è sanzionato a chiare lettere dal canonico, e per la mano δ, a cui si deve la trascrizione in un fascicolo autonomo (cc. 270-272) di un bando che il religioso deve aver inserito nel corpo del proprio libro. Alcune brevi integrazioni in fine paragrafo sono state lasciate infine, oltre che da Fuscolillo, da almeno altre due mani non identificabili con α, β, γ, δ o con Capasso, accettate tuttavia a testo perché interpretate come segno della struttura “aperta” e potenzialmente “a più mani” tipica dei libri di memoria: Et vensero li ’taliani a c. 29v, dopo la narrazione dell’episodio della disfida di Barletta (cfr. testo I 93.11); de peso se(n)<z>a le decine e rotoli a c. 182v, dopo l’annotazione del peso di una campana in una notizia del 1549 redatta da γ (cfr. testo, IIa 151.1), clausola, quest’ultima, lasciata dalla stessa mano che annota «E chi no(n) lo crede cerchi lo sacchetto de li <vermicelli>» ad integrazione di una notizia del 1556 relativa all’andamento dei prezzi a Sessa a c. 241v (cfr. testo, IIa 279.2). (Fig. n. 1) II.9.1. Mano α Si deve alla mano α un’unica, breve, annotazione relativa all’anno 1569, inserita nello spazio rimasto vuoto nel margine inferiore di c. 66r (cfr. testo, II 62). La XXVIII Nadia Ciampaglia scrittura è di base italica, con le aste superiori delle lettere inclinate verso destra e le inferiori verso sinistra61; limitatissimo è l’uso dei segni di abbreviazione62. Benché lo scrivente adoperi, nell’unica posizione utile, l’apostrofo63 (mai adoperato, peraltro, da Fuscolillo64), le lettere sembrano tracciate con lentezza, senza legamenti, e il ductus appare in sostanza tremolante e insicuro; α mostra quindi di possedere maggior dimestichezza con le norme dell’interpunzione (che lentamente vanno diffondendosi nel corso del ’500), ma ha di sicuro una minor padronanza dello strumento scrittorio: la mano infatti non è ferma e la scrittura procede in modo non allineato, con un effetto “onda”. Si tratta senz’altro di un intervento “non autorizzato” dal canonico, che solo in questo caso si preoccupa di avvisare il lettore, con una successiva integrazione, circa la futilità dell’evento annotato65: il ritrovamento di una fragola “bellissima” nell’orto dello stesso Fuscolillo ad opera della piccola Vittoria della Pietra che, da quanto detto, è probabilmente la stessa fiera autrice dell’ingenua annotazione. II.9.2. Mano β Alla mano β si possono attribuire alcuni paragrafi66 relativi alle annotazioni del secondo libro compresi tra le cc. 139-232; in essi la scrittura, di base italica, presenta difatti alcuni macrotratti comuni: – i titulus, che Fuscolillo traccia come semplici tratti orizzontali, sono invece spesso tondeggianti ed arcuati; raramente vengono compendiati il che e la preposizione de, per i quali il canonico sceglie sempre la forma abbreviata; – è sempre rispettata la distinzione tra e congiunzione ed è forma verbale: la prima infatti è segnata con et, mentre il verbo è indicato con e seguito da una virgola (e,). Fuscolillo, invece, sceglie di distinguere il verbo dalla congiunzione facendo seguire nel primo caso la e da una sola lineetta (e/); talvolta, invece, chiude tra due lineette oblique i monosillabi isolati (/e/ /o/ /a/) con un uso che si riscontra solo in β 34-6. Va detto, tuttavia, che il più delle volte il canonico non distingue correttamente il verbo dalla congiunzione; – quasi sempre nelle serie A dì… il monosillabo è seguito da virgola; – i segni di interpunzione sono più evoluti rispetto a quelli noti a Fuscolillo (che adopera solo due punti e linee oblique): benché in modo oscillante sono adoperati il punto fermo seguito da maiuscola, il punto mobile, la virgola. Caratteristiche simili si riscontrano nel paragrafo β IIa 206. L’abbreviazione, infatti, è adoperata una sola volta per segnare p(er), scritto del resto in una seconda occorrenza in forma piena. Analogamente sono scritte senza abbreviazione le preposizioni del, de (tre occorrenze), della (due occorrenze), che in Fuscolillo sono quasi sempre compendiate. Anche in β e in γ il de è raramente scritto in forma abbreviata. 63 Il segno compare nel sintagma sopto all’orto (cfr. testo, II 62). 64 L’uso dell’apostrofo, difatti, si registra solo in β IIa 206. 65 Cfr. § III.3. 66 Si tratta dei §§ IIa 34-5-6, 40.12-41, 196.2-12, 203-4, 206.1-5, 229-30-31, 232, 236-7, 240, 244. 61 62 Introduzione XXIX In questa mano si possono notare però, per quanto minime, alcune differenze relative alla grandezza del modulo e allo spessore del tratto. Per prudenza, poiché risulta difficile stabilire se si tratti di mani diverse o se, piuttosto, quelle variazioni della scrittura talvolta più lenta, piccola ed accurata, talvolta più disordinata e con caratteri più grandi, dipendano piuttosto dalle occasioni differenti in cui essa si è svolta67, si è preferito ripartire ulteriormente i suddetti paragrafi in tre distinti sottogruppi, che si indicano d’ora in poi con β1, β2, β3. β1 Si riconducono a questa mano (cfr. fig. n. 2) i paragrafi IIa 34, 35, 36 (cc. 139r143r). Il modulo è piccolo, ma la scrittura pare non accurata. Solo qui (e talvolta in Fuscolillo) si registra l’uso di chiudere tra due lineette oblique i monosillabi isolati (/e/, /o/, /a/). (Fig. n. 2) β2 Appartengono sicuramente ad un unico sottogruppo (cfr. fig. n. 3) i paragrafi IIa 206.1-5 (c. 029r) e 235-237 (c. 0224r), in cui la scrittura68, ben scandita, lenta e accurata, è con tutta probabilità dipendente da una fonte. Alla stessa mano si possono per congettura attribuire anche i paragrafi IIa 40.12-18 e 41.1 (cc. 144r- 67 Si considerino, ad esempio, i paragrafi IIa 34-6, in cui si narra dettagliatamente quanto accaduto a Napoli nel maggio 1547 in seguito al tentativo del viceré di instaurare l’inquisizione. In questo caso la mano β, copiando verosimilmente da una fonte, scrive di continuo senza interruzioni; la scrittura appare quindi uniforme per ductus e modulo (alquanto piccolo) e si dispone in circa 23-5 righi per carta. Un numero regolare di righi (26-8) si conta anche nella fitta scrittura del lungo § 244, un racconto ben strutturato, probabilmente di ascendenza letteraria, relativo alla nascita di un “anticristo” nelle lontane terre di Babilonia. Nei paragrafi in cui si leggono invece singole notizie di carattere “spontaneo”, la scrittura al contrario appare più rapida e disordinata, come è naturale che accada in una annotazione occasionale. 68 Le differenze nel tratteggio delle lettere, rispetto al gruppo precedente, sono più evidenti per le lettere d e g. XXX Nadia Ciampaglia 146r), dichiaratamente copiati da altra fonte69, ed inoltre il lungo § IIa 244 (cc. 0231r-232r), ugualmente redatto in modo molto accurato. (Fig. n. 3) β3 Appartengono sicuramente ad un unico sottogruppo (cfr. fig. n. 4) i paragrafi IIa 196.2-12 (c. 024r), 203-4 (c. 027r) e 232 (c. 0223v). Per supposizione si è attribuito a questa mano anche il § IIa 240 (c. 0229r) e il gruppo dei §§ IIa 229-3031 (cc. 0222r-0223v). (Fig. n. 4) Indipendentemente dalla suddivisione operata, tutti questi interventi sono sicuramente avvenuti dietro “consenso” del canonico. Ad esempio, Fuscolillo scrive pacificamente nel verso della c. 143, subito dopo l’episodio trascritto da β1 nei §§ 34-6 o continua la scrittura del § 206 a c. 029r, lasciato a metà da β2. Al contrario, β3 continuerà la trascrizione di una notizia che il canonico aveva cominciato a scrivere nel § 196 a c. 024r. Esemplare è poi il caso del § IIa 40 a c. 144r, in cui si legge una lunga annotazione, relativa all’aprile del 1548, riguardante alcuni eventi miracolosi avvenuti a Capua, nella Chiesa di S. Maria in Hierusalem. In questa carta il ductus di Fuscolillo si presenta inizialmente accurato e “lento”, ma già a partire dal verso il modulo tende ad ingrandirsi e il tratto appare meno accurato e “fretto69 Cfr. n. 70. Introduzione XXXI loso”, come quello di una mano ormai stanca; negli ultimi righi di c. 145r, da como a li fino a c. 145v, inizia a scrivere β2, ed è indicativo che non vi sia assolutamente variazione nella tonalità d’inchiostro adoperato: il canonico ha certamente ceduto la penna a qualcun altro, perché completasse la scrittura (cfr. fig. 5). E difatti non si tratta qui di un’annotazione spontanea, ma della trascrizione di un atto emesso dallo stesso primicerio di Capua70. (Fig. n. 5) Fuscolillo, inoltre, doveva sicuramente sottoporre a rilettura le annotazioni scritte dalla mano β per integrarle, quando necessario, come accade in questo caso (si indica in corsivo l’integrazione aggiunta in fine paragrafo dal canonico): 70 Cfr. testo, § IIa 40.18: «et in fede io p(r)emicerio Pa(m)philo Mollo di Cap(ua), in persona del sup(r)adicto capitolo, per li miraculi appare(n)ti da dì in dì faczio fede». Segue l’annotazione, stavolta di Fuscolillo: Copia de li capuani. L’integrazione è stata inserita successivamente da Fuscolillo alla fine del paragrafo, nel piccolo spazio rimasto libero, con caratteri ravvicinati e rimpiccioliti: l’inchiostro adoperato infatti è diverso da quello usato per la redazione della notizia, ma è uguale a quello che il canonico adopererà nella carta seguente. Nadia Ciampaglia XXXII «A dì 3 iugno 1553 intrao de(n)tro di Nap(u)li p(er) mar(e) lo sopradicto cardenale, vicerr(é) de Nap(u)li co(n) molti triu(m)phi; et ve(n)ne p(er) maro, et allo molo gra(n)de li uscìo inco(n)tro tucta Nap(u)li).» (cfr. testo, IIa 206.5.6). Sarà utile rappresentare ora schematicamente la divisione operata, indicando anche brevemente anno e contenuto delle annotazioni: TAV. A β1 IIa 34-6 c. 139-143 maggio 1547 Insurrezione a Napoli contro il tentativo di instaurare l’Inquisizione. β2 β2 β2 IIa 40.12, 41 IIa 206.1-5 IIa 235-6-7 c. 145-6 c. 029r c. 0224 aprile-maggio 1548 maggio 1553 ottobre 1554 marzo 1555 β2 β3 IIa 244 IIa 196.2-12 c. 0231 c. 024-6 1554 dicembre 1552 β3 IIa 203-4 IIa 232 c. 0223 c. 029 febbraio 1553 gennaio (1554 ?) β3 IIa 229-31 c. 0222 ottobre 1554 Miracoli nella chiesa di Capua. Visita del cardinale Pietro Pacecco. Copia del bando emanato da Pietro Pacecco relativo al prezzo del grano e dell’orzo. Nascita di un Anticristo in Babilonia. Visita a Sessa del vescovo ed accoglienza. Morte di don Pietro da Toledo. Onori per il nuovo dottore entrato in Sessa. Accenno al bando promulgato da P. Pacecco. Ingresso a Napoli del Marchese del Guasto. Luminarie in Sessa fatte da D. Lope de Herrera. Elezione di papa Marcello II. novembre 1554 β3 IIa 240 c. 0229 aprile 1555 Lo schema proposto mostra chiaramente che l’attribuzione dei paragrafi ai sottogruppi β1, β2, β3, inizialmente operata unicamente in base ai fattori materiali di trasmissione testuale, trova ulteriore conferma nel tipo di contenuto dei paragrafi stessi. Difatti, in β3 si leggono unicamente annotazioni giornaliere, da ritenere “spontanee”; in β1 un unico lungo racconto dipendente da una fonte; in β2, fatta eccezione per i pochi righi del IIa 206, un brano “letterario” (IIa 244), la copia di un bando (IIa 235-7) e il resoconto di fatti accaduti a Capua (IIa 40.12, 41.1), tratti, come s’è visto71, da una fonte locale. Si noti, infine, che le annotazioni “spontanee” della mano β riguardano tutte un arco di anni compreso tra il 1552 ed il 1555. Sarà interessante verificare, nel corso dello studio linguistico72, se la suddetta divisione possa essere ulteriormente avvalorata da differenti scelte linguistiche operate da β1, β2 e β3. 71 72 Cfr. n. 70. Cfr. § V. Introduzione XXXIII II.9.3. Mano γ La mano γ redige, in una scrittura di tipo mercantesco e con caratteristiche ben distinte dalle mani precedenti, le annotazioni comprese nelle cc. 181v-182v73, che costituiscono la parte finale del venticinquesimo fascicolo (cfr. fig. n. 6). Le notizie, tutte relative al settembre 1549, sembrano assumere un andamento quasi giornaliero74 e riguardano avvenimenti vari: la nomina degli ufficiali, la recita di egloghe e commedie, l’entrata in città di alcuni personaggi illustri in visita al duca di Sessa. Anche in questo caso si tratta di un intervento sicuramente guidato da Fuscolillo: la mano γ, infatti, inizia a scrivere a c. 181v continuando una sequenza cronologica delle annotazioni precedentemente iniziata dal canonico, dal 3 gennaio al 20 agosto 1549, proseguendo la compilazione fino al 15 settembre dello stesso anno75. (Fig. n. 6) Per quanto riguarda le consuetudini grafiche, è usata la virgola dopo il monosillabo isolato a nella serie A dì (in 146.1, 147.1, 148.1, 150.1, 151.1); la virgola compare talvolta anche dopo in (in Sessa 148.3, in loco 149.2, in te(m)po 151.1, in lo castello 152.1); in un sol caso compare il segno di abbreviazione per la congiunzione et 147.1 (il segno tachigrafico è simile alla cifra 2). Raramente è adoperata la forma abbreviata per il de. 73 Si tratta dei §§ IIa 146-152; il § IIa 152 si interrompe mutilo per la caduta della c. 183. Le notizie (che recano sempre l’anno di indizione) sono rispettivamente del 3, 5, 9, 11, 12, 14, 15 settembre. 75 Tipica di questa scrittura è la forma abbreviata del ch(e), spesso tracciato con un unico tratto di penna. 74 XXXIV Nadia Ciampaglia II.9.4. Mano δ Sicuramente più professionale è infine la mano δ, cui si deve, in una “bastarda” cancelleresca, la copia di un bando del 1546 trascritto nelle cc. 270r-272r76. La scrittura è svolazzante, ben allineata, con uno stretto spazio tra i righi, che si dispongono fino ad un massimo di venticinque per carta. L’analisi delle caratteristiche materiali della scrittura, della fascicolazione (le cc. 270-3 fanno parte, infatti, di un duerno isolato) e della filigrana (differente dagli altri tipi riscontrabili nel codice) lasciano facilmente supporre che Fuscolillo, procuratasi una copia del bando, l’abbia inserita nel corpo del libro e ne abbia quindi numerato le carte, continuando in seguito a scrivere nel verso dell’ultimo foglio, che era vuoto e che attualmente costituisce la carta finale del codice, in cui si leggono solo brevissime e frettolose annotazioni, non inserite in sequenze cronologiche77 e apposte, con tutta probabilità, quando l’assemblaggio dei fascicoli era oramai concluso. III. IL TESTO III.1. Struttura e modalità di scrittura L’analisi dei fattori materiali di trasmissione testuale ha senz’altro dato un’ampia idea del lavoro febbrile con cui il canonico andava raccogliendo e assemblando materiale per la propria compilazione. È tempo ora di illustrare il contenuto del codice e di comprendere le modalità compositive dell’opera risalendo, attraverso i dati fin qui forniti, al “progetto” originario di Fuscolillo, al di là dell’apparente disorganicità in cui si presenta ora il testo. III.1.1. Il Sommario Latino Le Croniche iniziano a cc. 1r-4v con un breve sommario latino riguardante gli stati prenormanni, da Bartolomeo Capasso ritenuto fonte, pur tradotta ed ampliata, della Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo78. La narrazione, in effetti, presenta con quest’ultima molti punti di contatto e, di conseguenza, è possibile individuare 76 Si tratta dei §§ IIa 372-4. Cfr. Tav. E, § III.1.5. 78 «Certo è però che un sommario latino composto dopo la morte di Carlo I fu la fonte principale del Caracciolo tradotta ed amplificata» (B. CAPASSO, Le fonti della storia…, cit., p. 134). «Una copia di questo Sommario latino si conserva da me nel cod. Fuscolillo» (ID., cit., p. 134, n. 2). Di diverso parere era G. Maria Monti: «… Ma il fatto che quel sommario è contenuto solo in sole quattro carte di quel ms. del sec. XVI ed è tanto scheletrico da contenere notizie ben note e semplici ci fa dubitare della ipotesi dell’illustre storico»: cfr. G. M. MONTI, La “Cronaca di Partenope” (Premessa all’edizione critica), estratto dagli «Annali del Seminario Giuridico Economico della R. Università di Bari», 5, fasc. 2 (1932), p. 27. 77 Introduzione XXXV somiglianze anche con la Summa di Lupo de Spechio, che pure si serve ampiamente della Cronaca di Partenope, non senza omissioni ed aggiunte79. Il sommario inizia con l’enumerazione dei diversi d(o)m(ini) e delle differenti province in cui era suddiviso il regno di Sicilia prima dell’unificazione (cfr. testo, S. 1-11): «Ante(quem) regniu(m) Sicilie esset integratu(m) et vintu(m), era(n)t diversi d(o)m(ini) q(ui) do(m)minaba(n)tur diversis p(ro)vinciis, p(ro)ut infra scribit(ur).» (cfr. testo, S. 1). La narrazione prosegue con il racconto della venuta di Roberto il Guiscardo, che fu investito duca di Puglia da papa Nicolò, e le vicende dei successori della dinastia normanna fino a Federico II, per poi concludersi con la morte di re Manfredi a Benevento per mano di Carlo I (cfr. testo, S. 12-20). Nell’ultimo paragrafo (cfr. testo, S. 21), che ha struttura differente dal resto della compilazione perché per la prima volta compare l’indicazione della data con la formula «Anno Domini 1264», si accenna alla dominazione di Carlo I nel regno di Sicilia e alla successiva ribellione dell’isola, che se dedit a re Pietro d’Aragona (cfr. testo, S. 21). Il Sommario latino, così come la Summa di Lupo de Spechio, amplia la Cronaca di Partenope con l’indicazione del nome del papa, Nicolò, che investì del ducato di Puglia Roberto il Guiscardo (S. 12.3); sembra però contaminare due fonti, volendo Roberto morto sì a Casioba (S. 12.4), ma non in Vulgaria, come si legge nella Cronaca80, bensì in Romania, come trascrive anche Lupo; ancora, in esso si menziona il numero dei fratelli con cui Roberto il Guiscardo venne in Italia (S. 12.1), omesso dalla Summa, ma non il nome del principe di Capua che lo chiamò, la data in cui fu acclamato capo dei normanni e il motivo per cui successe al principe di Salerno suo cognato, vale a dire l’aver sposato la sorella Sichelgaita. III.1.2. Il primo libro Nell’ultimo paragrafo di c. 4v si legge l’incipit del primo libro, che si conclude nei primi tre righi di c. 38r: «Il primo libro de le croniche de li antiqui ri d(e)l regno d(e) Nap(u)li et succissiuni d(e) regni et d(e) morte d(e) ri co(n) guerre et ch(e) tracta tucta la vita de li ri co(n) multi po(n)tifici.» (cfr. testo, I 1). S’è già detto81 che in queste carte la scrittura è uniforme e costante, segno di un lavoro continuativo e ordinato, come può essere appunto quello di copia da un altro testo. 79 Cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO, Summa dei re di Napoli e Sicilia e dei re d’Aragona, Napoli 1990, pp. 30-8. 80 Cfr. A. ALTAMURA, Cronaca di Partenope, Napoli 1974, p. 119. 81 Cfr. § II.5. XXXVI Nadia Ciampaglia Il primo libro risulta formato, sostanzialmente, da una cronaca anonima del regno di Napoli, il cui nucleo fondamentale, a parte le prime quattro notizie riguardanti gli anni 1265, 1282, 1332, 1414 (tratte con ogni probabilità da altra scrittura e forse qui inserite da Fuscolillo per creare una ideale continuità con il sommario latino precedente, che si conclude in effetti con l’anno 1264) si estende dal 1432 (ingresso di Alfonso I a Napoli) al 150782. La sua composizione deve verosimilmente collocarsi tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI83; difatti, le notizie iniziano relativamente ad infittirsi a partire dal 1432, ma solo dopo il 1478 diventano molto più numerose, fino a raggiungere il picco massimo con l’anno 1501 (sotto il quale se ne registrano ben venticinque). Seguono poi altre annotazioni, che pure non dovevano far parte del nucleo originale, relative alle lotte di predominio tra Carlo V e Francesco I. Le prime due, rispettivamente del 1516 e del 1526, recano per la prima volta l’anno d’indizione; altre quattro notizie, relative agli anni 1527-29, si trovano a partire da c. 36r84 e si distinguono immediatamente dalle precedenti perché più dettagliate. Anche in questo caso non è da escludere che l’inserimento sia stato finalizzato, nelle intenzioni del nostro cronista, a creare una sorta di continuità nella strutturazione delle Croniche: il nucleo fondamentale del secondo libro, infatti, a parte le notizie più antiche, tratte dal Chronicon Suessanum (e trascritte, in realtà, in due sole carte, le 40-41, che risultano però essere state aggiunte posteriormente al fascicolo) riguarda proprio il gruppo di anni 1526-46. Si può dunque così schematizzare la struttura del primo libro: 82 Nel dettaglio, le notizie riguardano i seguenti anni: 1432 (3 notizie); 1433 (2); 1434; 1435 (3); 1438 (2); 1442; 1445; 1448; 1449; 1450; 1451 (2); 1452 (3); 1455; 1456 (1); 1457; 1458 (2); 1459; 1460 (3), 1461 (2); 1463; 1465 (3); 1469; 1471; 1476 (2); 1477; 1478 (5); 1479 (7); 1480 (3); 1481 (2); 1485 (5); 1486 (8), 1487 (3); 1488 (2); 1490; 1495 (18); 1496 (9); 1497 (6); 1498 (4); 1499 (7); 1500 (11); 1501 (25); 1502 (13); 1503 (15); 1504 (1); 1505 (4); 1507 (5). Dopo la notizia del 3 dicembre 1481 (presa di Otranto per mano del duca di Calabria) la caduta della c. 12 provoca una lacuna nella registrazione cronachistica, che riparte dal 20 settembre 1485. Analogamente, la caduta delle cc. 17 e 18 giustifica il salto delle annotazioni che, dopo la registrazione della conquista di Granada, segnata sotto l’anno 1490, ripartono con il 1495. 83 Così anche Capasso: «Meditando sul contesto di questa cronaca, rilevasi che la medesima fu assai probabilmente composta verso la fine del secolo XV ed i primi anni del XVI in Napoli, perché gli avvenimenti pubblici e privati, che vi si narrano, appartengono principalmente a questa città, e perché non vi si trova alcuna annotazione speciale, che possa farla attribuire a Sessa. Rilevasi inoltre che essa (…) si accorda moltissimo coi Giornali di Giuliano Passaro e che talvolta offre date più precise di costui» (B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 36). 84 Nel margine esterno di c. 36r si legge inoltre l’annotazione di Fuscolillo: Copia da Nap(u)li. Introduzione XXXVII TAV. B. PRIMO LIBRO 1265 1282, 12 febbraio 1332, 12 marzo 1414, 18 agosto 1432-1507 1516, 30 novembre 1526, 4 ottobre 1527, 5 maggio 1527, 12 aprile 1529, 17 agosto 1528, 6 marzo Morte di Manfredi a Benevento per mano di re Carlo I. Pietro d’Aragona recupera la Sicilia, ribellatasi ai francesi. Incomincia la costruzione della chiesa della ‘Nunciata’ di Napoli. Re Ladislao è avvelenato a Firenze e muore ad Aversa. 85 Sbarco del viceré di Spagna don Carlo de la Noya . Lotta di papa Clemente VII contro il cardinale Colonna. Spedizione dei Lanzichenecchi a Roma. Monsignore de lu Treccho, capitano del re di Francia, assedia Napoli. 86 Incoronazione di Carlo V a Bologna . Il colonnello di fanteria Frabicio Maramaldo entra a Sessa per contrastare il 87 campo francese posto da Monsignore de lu Treccho a Napoli . A c. 38r una linea di demarcazione divide gli ultimi righi del primo libro da quattro annotazioni, tutte relative a Sessa Aurunca, che devono essere state inserite successivamente nella carta rimasta parzialmente vuota88; difatti, la c. 39, che è anche l’ultima del quinto quaderno, è bianca89. 85 In questa annotazione si precisa che questi catturò il re di Francia Francesco I a Pavia, il che sarebbe però accaduto solo nel 1525, come si legge del resto correttamente a c. 43v (cfr. testo, II 16). 86 La notizia risulta inserita a pié pagina e per questo motivo interrompe il corretto ordine cronologico. Il lapsus è segnalato dallo stesso Fuscolillo con l’annotazione posteriore reverte folliu(m), preceduta da asterisco. Su questi fatti il canonico tornerà a c. 1021r-v (cfr. testo, IIa 14-17 e tav. E, § III.1.5), narrando l’ingresso trionfale dell’imperatore a Bologna. 87 In particolare quest’ultima notizia, che si conclude nei primi tre righi di c. 38r, è stata inserita in un’ottica differente dalle precedenti, poiché l’interesse principale non è più rivolto a Napoli, ma a Sessa: il canonico, infatti, riferisce le battaglie che vi si svolsero e rapidamente, accennando al passaggio in città e nei territori vicini delle truppe dirette a Napoli, annota: «quale fece multo da(n)no i(n) dicta cità d(e) Sessa». Su questi fatti Fuscolillo tornerà nel secondo libro, a c. 47 (cfr. testo, II 23) ricordando l’alloggiamento a Sessa di soldati italiani avvenuto il 3 marzo 1528. 88 Le notizie (rispettivamente del gennaio 1561, febbraio e aprile 1562, dicembre 1563, situate nella c. 38) interrompono difatti bruscamente l’uniformità di scrittura delle carte precedenti, poiché sono state redatte con inchiostro più chiaro e modulo diverso, più rapido e più grande. Ductus identico, benché l’inchiostro sia leggermente più scuro, si riconosce più avanti, a c. 55r e 56r, e nella c. 1031, che risulta tagliata ed incollata sul fascicolo (cfr. il prospetto grafico riportato nel § II.4 e infra, n. 97); anche in queste carte si leggono notizie di avvenimenti accaduti a Sessa nel 1561. La stesura di tutte le suddette annotazioni deve essere stata, pertanto, sincrona. 89 Poiché il secondo libro inizia subito dopo, a c. 40, nella prima carta del fascicolo successivo (che risulta però, insieme alla c. 41, tagliata ed incollata posteriormente) è evidente che Fuscolillo alternava alla copia del primo libro l’annotazione di altre notizie in differenti fascicoli o cartucze; non si spiegherebbe, oppure, per quale motivo egli non abbia iniziato la scrittura del secondo libro nella c. 39, che non era ancora stata riempita. Solo più tardi il cronista sarebbe ritornato nelle carte bianche o solo parzialmente scritte, occupando lo spazio rimasto libero. S’è già detto, del resto, che la scrittura della parte finale del primo libro presenta caratteri simili a quella del terzo (cfr. § II.5). Nadia Ciampaglia XXXVIII III.1.3. Il secondo libro Il secondo libro inizia a c. 40r: «Qui come(n)cza lo secu(n)do libro de le cose antique et cronich(e) d(e) Sessa, qual co(n)siste in ecc(lesi)e antiq(u)e d(e) Sessa et multe cose ch(e) haveno havuto li sessani, d(e) gente allogiati ch(e) haveno havuto, d(e) danno et interesse ne la cità d(e) Sessa.» (cfr. testo, II 1). In questo libro si leggono annotazioni di vario tipo riguardanti Sessa Aurunca disposte in sequenze cronologiche non sempre corrette. S’è gia detto90 che in questa sezione del codice i continui cambiamenti d’inchiostro e di ductus sono senz’altro diretta conseguenza di una scrittura diacronica e progressiva e, quindi, di un lavoro avvenuto in fasi e modi differenti. Sarà utile, in primo luogo, sintetizzare in uno schema l’effettivo ordine delle annotazioni nel secondo libro. Nella prima cella a sinistra si indicano carte del codice e numero di paragrafo secondo la divisione del testo operata nell’edizione critica; nella seconda, gli anni a cui si riferiscono le notizie; nella terza, infine, si riassume rapidamente il contenuto di ciascuna. Le annotazioni che risultano trascritte per due volte91, con minime variazioni (sostanzialmente, di tipo fonetico), vengono segnalate con un asterisco e racchiuse tra parentesi quadre. Se l’anno è scritto in corsivo, si intende che la notizia è stata redatta in latino. TAV. C SECONDO LIBRO c. 40r-v [2-5] c. 40v-41v [6-13] 1118 1200 1113 1450 1485 147092 1281 1345 1281 ? 1390 1511 90 I Saraceni conquistano Gerusalemme. I veneziani conquistano Costantinopoli. Costruzione della Cattedrale di Sessa. Ingresso di Federico II in Sessa. Eclissi di sole. Morte di Fuscolillo di Sessa. È fusa una campana nella chiesa di S. Giovanni. Andrea d’Ungheria viene ucciso. È fusa un’altra campana nella chiesa di S. Giovanni. ? Un fulmine colpisce il campanile della Cattedrale di Sessa. Guerra tra papa Giulio II e il re di Francia. Cfr. § II.5. Si tratta delle notizie del 14 settembre 1532 (cfr. testo, II 26 e II 31), maggio 1534 (cfr. testo, II 32 e II 36), 10 aprile 1539 (cfr. testo, II 39 e II 43), 10 giugno 1539 (cfr. testo, II 40 e II 45). 92 La notizia è stata inserita a pié pagina. 91 Introduzione c. 43r [14] c. 43v [15] c. 43v [161, 2, 3, 17] c. 44r [18] c. 44r [191,2] c. 44v [193,4] c. 45r-47r [20-21] 1524 (17 settembre) 1524 (19 settembre) 1525 (26 febbraio) 1525 (6 dicembre) 1545 (24 ottobre) 1525 (6 dicembre) 1526 (18 agosto) 1527 (25 dicembre) 1527 (4 marzo, 27 marzo) 1527 (27 agosto) 1527 (6 luglio) 1526 (20 settembre) 1526 (settembre) 1526 (1, 2, 4 dicembre) c. 47r [22] c. 47r-v [23] c. 47v [24] c. 48r [25] 1527 (15 maggio) 1528 (3 marzo) 1527 (25 luglio) 1531 (4 agosto) c. 48r [26*] 1532 (14 settembre)* c. 48r [27] c. 48v-49 [28-30] c. 50r [311, 2*, 3] 1532 (5 settembre) 1531 (11 ottobre) 1532 (27 giugno) 1532 (14 settembre)* 1532 (20 luglio) c. 50v [32*] 1534* (maggio) 93 XXXIX Nasce il figlio della duchessa di Sessa. La duchessa muore. I francesi sono sconfitti a Pavia. Si monta l’organo nuovo nell’episcopato di Sessa. Si accorda il suddetto organo93. Prezzo dell’organo. Muore il duca di Sessa. Cinquemila fanti spagnoli stanziati a Sessa. Andamento del tempo a Sessa. Muoiono per un’infezione 40 persone. Il viceré di Napoli si rifugia in Sessa per evitare il contagio. L’armata di Carlo V guidata da Ascanio Colonna attacca Clemente VII ed assalta Roma. Valore del grano a Sessa. L’armata del viceré di Napoli don Carlo de la Noya smonta a Gaeta; il cardinale Pompeo Colonna entra in Sessa; sono stanziati a Sessa 1500 fanti spagnoli. Valore del grano a Sessa. Alloggiano in Sessa 1500 soldati italiani. Cinque uomini sono impiccati a Cascano. Appare una cometa; se ne traggono auspici per la guerra tra i Turchi e Carlo V. *Appare una cometa e segue un periodo di buona stagione (è la stessa del §312). Il marchese di Villafranca diviene viceré. Copia del bando sul valore delle monete. Muore il cardinale Colonna. Cfr. c. 48r, §26. Entra in Napoli Andrea Doria. *Carestia a Sessa e prezzo del grano (è la stessa del §3694). Questa notizia, relativa al 1545, si inserisce tra le due molto simili (fatta eccezione per l’indicazione del prezzo dell’organo) del 6 dicembre 1525. È da escludere che questa datazione, per semplice scorso di penna, sia da emendare in 1525; piuttosto, l’accordatura dell’organo dové essere compiuta proprio negli anni in cui Fuscolillo trascriveva le notizie in questione, ed è per questo motivo, con ogni probabilità, che l’episodio è stato segnalato, di riflesso, proprio in questo luogo. La tesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che a c. 65v si legge un’annotazione del 1546 verosimilmente giornaliera: «…questa matina, ch(e) ène martedì, ch(e) so(n)no 17 d(e) agusto…» (cfr. testo, II 59.3). 94 In questo unico caso, la notizia replicata presenta differenze più marcate, come si può notare da un rapido confronto: «An(n)o D(omi)ni 1534 in Sessa fo ta(n)ta carastia ch(e) lo grano valeva lo tu(m)mulo vinti carlini et la carastia era p(er) o(n)gni parte d(e) re(n)gno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano et la estate passata fo pegio, ch(e) qua(n)do se co(m)m<e(n)>czao ad semi- XL c. 50v-51r [33] c. 51r-v [341, 2, 3] Nadia Ciampaglia c. 51v-52r [35] c. 52v [36*] c. 53r [37] c. 53r [38] c. 53r [39*] 1533 (26 gennaio) 1534 (4 aprile) 1534 (7, 12 maggio) 1533 (15 giugno) 1534 (maggio) 1536 (24 marzo) 1538 (18 gennaio) 1539 (10 aprile) c. 53v [40*] 1539 (10 giugno) c. 53v [41] 1539 (20 novembre) c. 53v [42] c. 53v [43*] c. 54r [44] c. 54r [45*] c. 54r-v [46] 1257 (6 marzo) 1539 (10 aprile) 1264 1539 (10 giugno) 1540 (giugno) c. 54v [47] c. 54v [48] 1512 1518 (22 aprile) c. 55r [49] c. 55v [50] c. 56r [51] c. 56v-59r [52] 1561 (ottobre) 1567 (3 agosto) 1561 (ott.-nov.) 1546 (gennaio) c. 59v-60v [53] c. 60v-62v [54] c. 62v [55] c. 62v [56] manca c. 65r [58] 1542 (14 maggio) 1544 (29 dicembre) 1544 (2 gennaio) 155296 (9 aprile) – 1544 (24 dicembre) Si costruisce una bottega. Terremoto a Sessa. Prezzo del grano. Truppe di fanti alloggiano a Sessa. Cfr. c. 50v, §32. Carlo V passa per Sessa e va a Roma. Muore Agostino Nifo. *È venduto il demanio di Sessa (è la stessa del §43). *In una bottega si conserva una pietra di marmo (è la stessa del §45). *Si innalza l’icona nuova sull’altare dell’episco95 pato di Sessa . Il mare straripa da Gaeta a Castellammare. * Cfr. §39. Miracolo nel cielo di Nocera. *Cfr. §40. Disputa tra Sessa e Roccamonfina per l’approvvigionamento d’acqua. Nasce Gioanfrancesco di Transa. Si costruisce un nuovo orologio a S. Giovanni in Piazza. Lite tra Sessa e i terzieri. Entra in Sessa Leone Fuscolillo. Si costruisce il tribunale di Sessa. Copia di un brano della prima sessione del Concilio di Trento. Testamento di Marco de Romano Modifiche al testamento di Marco de Romano. Muore Marco de Romano. La gelata distrugge le vigne. Tiberio Crispo è nominato cardinale. nar(e) valeva q(ui)(n)dici carlini et se(m)pre salliva d(e) preczo, ch(e) la ge(n)te se moriano d(e) fama et ch(e) no(n) se poteva haver(e) pane, ta(n)ta la fo[.]lla ch(e) stava alla piacza. Et a dì 16 d(e) magio ve(n)ne ta(n)to grano ad Scauli ch(e) scese lo tu(m)mulo carlini cinquo, ch(e) ve(n)ne da Sicilia.» (cfr. testo, II 32). «An(n)o D(omi)ni 1534 in Sessa fo ta(n)ta carastia ch(e) lo grano valeva lu tu(m)mulo circha vinti carlini. Et la dicta carastia era p(er) o(n)gni parte intorno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano, ch(e) se ne fece pocho p(er) la estate passata et d(e) ch(e) se co(m)micziò ad se(m)minar(e) da octob(r)o p(er) fi’ al p(rese)nte giorno se(m)pre valeva q(uin)dici carlini lu tu(m)mulo, ch(e) d(e) manera se moriano d(e) fama alcuna p(er)sona. Et al 16 d(e) magio ve(n)ne ta(n)to grano ad Scauri ch(e) scese lu tu(m)mulo cinquo carlini.» (cfr. testo, II 36). 95 Questa notizia è stata riscritta e successivamente espunta dallo stesso Fuscolillo dopo il § II 44. 96 La notizia, probabilmente, è stata inserita successivamente a pié pagina. Introduzione c. 65r-66r [59] 1546 (17 agosto) c. 66r [60] ? c. 66r [61] c. 66r [62] mano α 1564 (19 febbraio) 1569 (2 agosto) XLI Bartolomeo Albano prende possesso dell’episcopato di Sessa grazie al procuratore, il vicario Geronimo de la Marra. Galeazzo Florimonte fa spostare sull’altare maggiore il corpo del vescovo Guastaferro. Viene in Sessa l’arcivescovo di Capua. Vittoria della Preta trova una fragola nell’orto di Fuscolillo. Riassumendo, la notizia più antica è del 1113 (II 4), la più recente del 1546 (II 59). Oltre questa data si leggono in effetti anche tre isolate notizie a cc. 55r-56r, relative rispettivamente agli anni 1561, 1567 e 1561, e una del 1564 a c. 66r; ma almeno le prime tre, a guardare le caratteristiche della scrittura, devono essere state inserite in un secondo tempo nelle pagine rimaste bianche nel codice97, così come s’è già detto per l’annotazione del 1569, inserita dalla mano α98 nel margine inferiore di c. 66r. Le annotazioni per la parte più antica furono, come precisa Capasso99, tratte e tradotte, non senza errori e sviste100, dal Chronicon Suessanum101. Derivano sicuramente dal Chronicon102 le notizie del 1113 a c. 40v (costruzione della Cattedrale di Sessa, II 4), del 1188 a c. 40r (conquista saracena di Gerusalemme, II 2), del 1200 a c. 40r (conquista di Costantinopoli da parte dei veneziani, II 3), del 1257 a c. 53v (inondazione del mare da Gaeta fino a Castellammare, II 42) e del 1264 a c. 97 Difatti, le suddette carte risultano riempite solo parzialmente (rispettivamente da 7 e 12 righe) e restano in parte vuote. Le due notizie del 1561 che si leggono a cc. 55v e 56r presentano identico modulo ed inchiostro e devono quindi essere state scritte contemporaneamente. Ne consegue che la notizia del 1567 che le divide, a c. 55v, deve essere stata aggiunta a pié pagina successivamente. Si ricordi, inoltre, che notizie riguardanti lo stesso arco di tempo sono state inserite, con medesimo ductus, anche in c. 38r/v e c. 1031: cfr. supra, nn. 49 e 88. Anche la notizia del 1564 deve essere stata apposta successivamente. 98 Cfr. II.9.1. 99 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 37. 100 Cfr. § III.1.3.1. 101 Il Chronicon Suessanum fu pubblicato da Pelliccia (ID., Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli così italiani, come latini appartenenti alla storia del Regno di Napoli, Napoli 1780, to. I), che utilizzò un codice membranaceo scritto nel 1411 e conservato dalla famiglia Malatini, che l’aveva a sua volta ereditato dal dott. Bartolomeo de Cistis, medico di Sessa, vissuto nella metà del XV sec. Il Chronicon inizia con il 1103, anno della fondazione del Duomo di Sessa Aurunca, e prosegue fino al 27 agosto del 1348, dove si arresta mutilo per la mancanza del codice da cui fu tratto (B. CAPASSO, Le fonti della storia…, cit., pp. 121-2 e note). Non è dato pertanto sapere se vi fossero contenute anche le notizie riportate del secondo libro relative ad anni successivi al 1348. D’altronde, il canonico ha registrato in questo libro anche alcuni eventi che, pur rientrando in tale arco di tempo, non sono però stati annotati dal Chronicon: è probabile pertanto che per questi ultimi, come suggerisce Capasso, egli abbia utilizzato anche qualche memoriale o calendario della Chiesa di Sessa (B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 37). 102 Per la comparazione delle notizie, cfr. § III.1.3.1. XLII Nadia Ciampaglia 54r (un prodigio verificatosi nel cielo di Lucera, da Fuscolillo banalizzato in Nocera, II 44). È interessante notare che tutte le suddette annotazioni si leggono nelle prime due carte del secondo libro, carte che risultano tagliate ed incollate sul fascicolo originario, mutilo della prima, la c. 42103. Fanno eccezione le notizie del 1257 a c. 53v e del 1264 a c. 54r, che presentano però ductus e inchiostro identico alle precedenti e sono perciò senz’altro state redatte nello stesso tempo. A carta 43, che è dunque la prima nel fascicolo originario, le notizie partono dall’anno 1524 ed iniziano, oltre che a divenire progressive, a recare anche l’indicazione del giorno e del mese, divenendo sempre più fitte (più notizie per ciascun anno). Il nucleo del secondo libro riguarda dunque, fondamentalmente, il gruppo di anni 1526-1546. Le notizie degli anni 1526-28 costituiscono un microgruppo a parte. In esse si narrano episodi relativi alle lotte dei Colonnesi contro papa Clemente VII, in parte già annotati nella parte finale del primo libro (dove pure le notizie iniziano a divenire più dettagliate con l’anno 1527)104, ma qui visti tuttavia in altra ottica, vale a dire nella misura in cui esse interessarono e coinvolsero, a diverso titolo, Sessa e i territori vicini (passaggio di truppe, reclutamento di uomini, etc.). Ad esempio, a c. 47v si legge una notizia del 3 marzo 1528 relativa ai danni arrecati a Sessa dalle truppe di Fabrizio Maramaldo, ivi stanziate: il racconto dell’ingresso in Sessa del colonnello e dei danni che ne conseguirono, tuttavia, era stato già inserito da Fuscolillo nelle ultime carte del primo libro, sebbene con un breve accenno105. Se si aggiunge a questo che a c. 48v Fuscolillo afferma di essere stato nel 1531 a Napoli, dove ebbe modo di prendere una copia di un bando (che trascriverà di seguito) promulgato dal cardinale Colonna, luogotenente di Carlo V, si può cautamente ipotizzare che siano questi, più o meno, gli anni in cui il canonico inizia, se non a scrivere, almeno a raccogliere materiale per le sue Croniche: «Die xi d(e) octo(m)bro 1531 io, do(n)no Casparro Fuscolillo, me retrovai i(n) Nap(u)li i(n)nel p(rese)nte a(n)no (…)» (cfr. testo, II 28). L’unica annotazione giornaliera sembrerebbe essere quella del 17 agosto 1546, in cui si legge: «A dì 17 d(e) agusto 1546, (quart)e idictionis, lo r(everen)do do(n)no Hyeronimo d(e) la Marra, archidiacono et vicario d(e) Sessa, como p(ro)curator(e) del r(everen)do m(essere) Bartholomeo Albano have pigliata secura possessione de lo episcopato de Sessa p(er) nome et parte del r(everen)do Bartholomeo Albano ep(iscop)o d(e) Sessa (…). P(er)ta(n)to questa matina, ch(e) ène martedì, ch(e) so(n)no 17 d(e) agusto, have pigliata secura possessione del sop(r)adicto episcopato d(e) Sessa; p(er)ta(n)to se ne ène facto istrome(n)to publico p(er) mano d(e) notar(e) Ioa(n)ni Floradasa d(e) Sessa, iodice (…)» (cfr. testo, II 50). 103 Cfr. il prospetto grafico riportato in § II.4. Si veda la notizia del 4 ottobre 1526 (§ III.1.2). 105 Cfr. § III.1.2 e n. 87. 104 Introduzione XLIII Non tutte le notizie del secondo libro, difatti, nascono come annotazioni giornaliere e spontanee, almeno fino al 1539; la scrittura delle notizie relative a quest’anno è difatti sicuramente avvenuta dopo il 1547106, il che spinge a interpretare il 17 agosto 1546 come termine a quo se non della raccolta del materiale, senz’altro della scrittura delle Croniche. Inoltre, le annotazioni contenute nel secondo libro non solo sono troppo sporadiche107 per essere frutto di una compilazione giornaliera, ma inoltre si trovano spesso scritte per due volte in modo identico, il che implica che devono essere state copiate da un’altra scrittura. In definitiva, si contano due sole notizie per l’anno 1531108, tre per l’anno 1532 (di cui una scritta due volte), due per il 1533, quattro per il 1534 (di cui una ripetuta), una per il 1536, una per il 1538, tre del 1539 (tutte copiate due volte). Per gli anni successivi si leggono una notizia del 1540, una del 1542, tre del 1544 e, oltre a quella sopra riportata, un’altra del 1546, che però è copia in latino di un brano del Concilio di Trento. In definitiva, il secondo libro è solo in parte frutto di annotazione spontanea; sostanzialmente, è costituito piuttosto da materiale tratto da altre fonti, con un lavoro avvenuto in tempi e modi differenti e progressivamente orientato a costruire un’ideale continuità dal passato al presente, restringendo l’angolo visuale dalle vicende più ampie del regno a quelle più circoscritte del ducato di Sessa. Le successive e stratificate fasi di intervento di Fuscolillo, che febbrilmente tentava di ristrutturare il proprio libro seguendo evidentemente un progetto che andava man mano definendosi con maggior chiarezza, provocano quel disordine cronologico nella successione delle notizie, disordine che è però, di questo work in progress, il segno più prezioso. L’analisi delle caratteristiche materiali della scrittura e della fascicolazione fornisce però elementi essenziali per ricostruire le modalità in cui il testo è andato strutturandosi. Ad esempio, le notizie tratte dal Chronicon Suessanum sono state sicuramente inserite solo in un secondo momento e tutte contemporaneamente da Fuscolillo, benché ora si leggano in punti differenti del codice: la notizia del 1264 (II 44), difatti, scritta nel primo paragrafo di c. 54r, presenta inchiostro e ductus identici a quella del 1257 (II 42) a c. 53v e a quelle del 1188 (II 2) e 1200 (cfr. testo, II 3) di c. 40r e non vi è alcun dubbio, pertanto, sulla loro sincronicità. Fuscolillo deve averle inserite successivamente, là dove era materialmente possibile. Alcune furono così aggiunte a pié pagina o in qualche spazio delle carte lasciato bianco; le prime due, invece, furono scritte su un foglio successivamente giustapposto al fascicolo originario. Difatti, le notizie del 1188 e 1200 si trovano a c. 40r, subito dopo il titolo iniziale, ma s’è già detto che questa carta (come anche la c. 41) non fa106 Le notizie relative al 1539 di c. 54r presentano un colore d’inchiostro identico a quello delle correzioni interlineari di I 106.5 (ad mare) e IIa 79.1 (in coverno); ora, poiché quest’ultima annotazione riguarda il 1547, è ovvio che le correzioni suddette e, di conseguenza, le notizie del 1539 sono da datare almeno post 1547. 107 Come si vedrà, nell’ultima sezione del codice le notizie divengono progressive e minuziose a partire dal 1543: cfr. § III.1.5. 108 Aggiungo che la notizia del 1531 a c. 48v sembra avere lo stesso inchiostro di una notizia del 1558 scritta a c. 147r: cfr. n. 140. XLIV Nadia Ciampaglia ceva parte del fascicolo originario. L’inserimento di queste notizie è da datare sicuramente post 1558, perché esse sono state redatte con inchiostro e ductus uguale a quello di una notizia del novembre 1558 a c. 147r109. Poiché il titolo del secondo libro si legge pure a c. 40r (e i titoli dei tre libri, come s’è già detto, sono pure sincroni) abbiamo la conferma di quanto ipotizzato: essi sono stati apposti posteriormente alla stesura dei libri stessi, e dunque Fuscolillo deve aver ritenuto compiuto il suo lavoro almeno dopo l’anno 1558. Il secondo libro dovrebbe ritenersi concluso a c. 66r, visto che nel verso della carta successiva il canonico iniziò a trascrivere il terzo; tuttavia in seguito (da quanto detto, almeno dopo il 1558), Fuscolillo deve aver continuato a raccogliere una gran quantità di appunti relativi a Sessa Aurunca e, non potendoli più inserire in questo punto del codice, deve aver iniziato ad assemblarli dopo l’ultima carta del terzo libro, in quelle che abbiamo definito “annotazioni del secondo libro”. Altre notizie furono invece aggiunte ancora nel secondo libro, laddove era possibile, magari sfruttando gli spazi bianchi nel margine inferiore delle carte o fogli per qualche motivo lasciati vuoti, come s’è visto, ad esempio, per le annotazioni a cc. 55v e 56r. Le notizie inserite si riconoscono facilmente, perché in esse il modulo tende inspiegabilmente a rimpicciolirsi e l’inchiostro adoperato risulta differente da quello usato nei paragrafi immediatamente precedenti e successivi, che presentano invece una tonalità simile; esse, inoltre, interrompono inevitabilmente le sequenze cronologiche originarie. Questo, ad esempio, è chiaramente visibile per l’ultimo paragrafo di c. 41r, in cui Fuscolillo annota la morte di un suo avo avvenuta nel 1470 (cfr. testo, II 7); l’inserimento della notizia nel margine inferiore del foglio interrompe il blocco compatto, scritto con inchiostro più chiaro, delle cc. 40v-43v; allo stesso modo, la notizia del 1264 di cui s’è già detto (cfr. testo, II 44), interrompe la successione cronologica delle due notizie immediatamente precedenti e successive, entrambe del 1539 (cfr. testo, II 43, II 45). Risulta inserita successivamente anche la notizia del 1552 (cfr. testo, II 56). Altri nuclei compatti si trovano nelle cc. 44r-47v (notizie del 1526, ’27,’26,’27,’28,’27), e nelle cc. 48r-50r (fino al primo paragrafo; notizie del 1531, ’32, ’32, ’31,’32). III.1.3.1. Fuscolillo e il latino Il canonico Fuscolillo, sollecito cronista e puntuale lettore ed emendatore di sé stesso110, si rivela però, a dir il vero, ben poco ferrato nell’uso del latino, mostrando dunque di non essere sfuggito alla degenerazione che l’uso delle litterae oramai subiva, anche da parte degli stessi chierici. In latino, come s’è appena visto, il religioso aveva trascritto un sommario latino sugli stati prenormanni premesso, quasi a 109 La somiglianza è particolarmente evidente per la notizia del 1531 a c. 48v. Per gli interventi operati da Fuscolillo sul proprio testo, per lo più finalizzati a rimediare ad errori nell’assemblaggio dei fascicoli e nella successione cronologica delle annotazioni, cfr. § III.3. 110 Introduzione XLV scopo nobilitante, alle proprie annotazioni111, un resoconto della prima sessione del Concilio di Trento (cfr. testo, II 52) e alcune notizie tratte dal Chronicon Suessanum112, cimentandosi in qualche caso in una sommaria traduzione. L’operazione, però, doveva essere risultata più ardua del previsto. Nel Sommario, ad esempio, i numerosissimi errori di ordine sintattico rendono spesso difficile la ricostruzione del testo latino, che è costantemente alterato ed investito anche da fenomeni fonetici propri del volgare; Fuscolillo poi, traducendo dal Chronicon, incappa in sviste e paretimologie, secondo modi tipici della produzione dei semicolti. Dunque, nel Sommario si registra raddoppiamento delle consonanti intervocaliche in do(m)minaba(n)tur S 1.1, do(m)minabat S 4.1, co(m)mites S 11.1; armonizzazione vocalica in cotolici S 12.5; betacismo in Venive(n)tum S 12.7, Veneventu(m) S 20.1; sviluppo er > ar in i(m)paratore(m) S 2.1, imparator(e) S 7.1; indebolimento della protonica con a- in luogo di o- in accupavit S 15.1, appresus S 12.6, appressu(m); raddoppiamento fonosintattico in a ppapa S 12.6. Notevole è l’assimilazione della consonante finale in i . mayori S 16.1 e il dileguo della r postconsonantica in Tanchedus S 17.4; l’incertezza fonetica è rivelata anche da diversis S 10.1, in cui la r è stata inserita nell’interlinea. Anche per quanto riguarda le grafie compaiono usi tipici del volgare: ma(n)gna, re(n)gium, rengio. Numerose sono le sviste; si legge, ad esempio, me(n)sis seu in luogo di me(n)sis sex (cfr. testo, S. 12.8), mortus et invece di mortuus est (cfr. testo, S 14.2). Nel brano relativo alla prima sessione del concilio di Trento si registra rotacizzazione di l in grorificent II 52.6. Per quento riguarda invece le notizie tratte e tradotte dal Chronicon Suessanum (cfr. testo, §§ II 2, 3, 4, 42, 44), il canonico sembrerebbe, a prima vista, compendiare senza difficoltà. Si considerino, tuttavia, i passi in questione e i relativi brani del Chronicon113: TAV. D A li 1188 fo presa la cità d(e) Ierusalem da li sarracini, et fo in dì d(e) la natività d(e) sa(n)to Ioa(n)ni Batista. (II 2) A li 1200 fo presa la cità d(e) Costa(n)tinopoli da li franchi et veneciani, et la cità d(e) Sessa fo data allo co(n)te Riccho d(e) l’Aq(ui)la ch(e) era co(n)te d(e) Fu(n)di, et la signoriò alcuni a(n)ni. Et in questo an(n)o re Goglelmo secu(n)do hebbe lo regno d(e) Nap(u)li. (II 3) 111 Anno Domini MCLXXXIIX. Hierusalem a Saracenis capta est in die Nativitatis Sancti Joannis Baptistae. Anno Domini MCC. Capta fuit Civitas Constantinopolitana a Francis, et Venetis, et Comes Riccardus de Aquila habuit civitatem Suessae, quam reddidit ei Abbas Rogerius, Presbiter Severinus, Philippus Horadosa, Vincismundus de Rocca, et plures alii de Suessa, et in dicto anno Federicus II habuit Regnum. Cfr. § III.1.1. Cfr. § III.1.3. 113 Per le notizie tramandate dal Chronicon si utilizza la trascrizione fornita da F. BORRELLI, Appunti di storiografia Aurunca…, cit., pp. 14-33. 112 XLVI Nadia Ciampaglia A dì 14 d(e) iunio m° c°xiij fo edifichata la Catredale ecc(lesi)a d(e) lo episcopato d(e) Sessa ad laude del nost(r)o S(ignor)e Idio et d(e) sa(n)to Pet(r)o et Paulo apo(sto)li. (II 4) Anno D(omi)ni 1257, d(e) do(m)menecha ad 6 d(e) marczo, ad hora d(e) vespera da la cità d(e) Gaeta p(er) fine ad Castello ad mar(e) lo mare uscìo da lo termino suo p(er) uno tiro d(e) valestra, et durò una hora. Et in questo a(n)no fo gra(n)ne carastia, et lo seque(n)te a(n)no fo tanta grassa ch(e) mai p(er) pariczi te(m)pi fo ta(n)ta. (II 42) Anno D(omi)ni 1264 fo visto lo sole spartuto in tre parte, et in ciascune parte fo visto lo vexillo bia(n)cho (con) la noce rossa, et fo sop(r)a Nocera, ad tal ch(e) li sarracini d(e) Nocera lo scrissero ad re Ma(n)freda et ce stavano stupefacti. Et fo del mese d(e) agusto. (II 44) Anno Domini tus Suessae. MCIII fuit fundamentum Episcopa- Anno MCCLVII. Die Dominica 6. mensis Maii V indictionis. in hora vespertina a Civitate Caijetae usque ad Castrum maris per totum litus maris, mare reversum fuit retro longe a litore per unum jactum balistae durans per horam unam, postea taliter tumuit mare in litore, quod exiit ultra solitos terminos ultra modum; ex dicto anno maxima fuit victualium inopia, ita quod valuit tumulus grani ducati tribus cum dimidio, et ordei ducatis duobus, et Casisa Olei tar. 1/2, et fabarum tumulus tar. II ½, et Ciceronum tar. IV, sed sequenti anno fuit tanta fertilitas, quae alios nunquam fuit. Anno Domini 1264. de mense Augusti sol divisus est in tres partes, et in qualibet parte divisum fuit vexillum, cum Cruce rubea supra Luceriam, ita quod Saraceni Luceriae valde obstupuerunt, et miserunt ob hanc causam Nuncios ad Dominum Regem Manfredum, qui erat tunc apud Lucam Pensilem. Nel § II 3 Fuscolillo trascrive erroneamente Goglelmo secu(n)do in luogo di Federicus II della fonte. Il lapsus potrebbe essere stato indotto dalla terza notizia registrata dal Chronicon, immediatamente successiva a quella della conquista di Gerusalemme per mano dei Saraceni, in cui si registra in effetti la morte di Rex Guglielmus Secundus. Nel § II 44 invece, Luceriam è banalizzato in Nocera; più notevole, infine, la falsa ricostruzione della cruce rubea, apparsa miracolosamente nel cielo di Lucera, che diventa addirittura una noce rossa114. Il canonico riporta nelle Croniche anche una notizia, in latino, riguardante la morte di re Andrea, ucciso ad Aversa nel 1345. L’annotazione, tuttavia, non sembra assolutamente dipendere dal Chronicon: An(n)o D(omi)ni m°ccc°xxxxv°, die ultimo mar- Eoque anno 17. Settembris XIV Indictione praecii, fuit i(n)terfectus d(omi)ne Andreas cui su(n)t dictus Dominus noster Rex Andreas apud civitastra(n)gulatus in civitate Averse. (II 9) tem Aversae, in Ecclesia S. Petri de Mayella crudeliter occisus fuit, et turpiter inde projectus, et cum fune in guttere ligatus. 114 Nel testo edito si è pertanto preferito emendare in croce. Introduzione XLVII Fuscolillo incorre comunque in un banale errore di trascrizione dalla fonte per un probabile scambio di lettura delle consonanti f/s o per lo scioglimento errato di una forma compendiata in luogo di est; difatti, cui su(n)t stra(n)gulatus è evidentemente da emendare in qui fuit stra(n)gulatus. Anche le altre notizie in latino presenti nel secondo libro abbondano di errori che spesso ne rendono difficile la comprensione; talvolta lo stesso Fuscolillo ha corretto successivamente alcune sviste (cfr. apparato al testo). III.1.4. Il terzo libro Nel verso di c. 66 inizia il terzo libro: «Qua come(n)cza el terczo libro d(e) cronich(e) del Regno d(e) Napuli, quale co(n)siste la gra(n)de(n)cze d(e) re Ladislao co mmulte guerre appresso, co(m)me(n)sa(n)do da li 1055 alla incarnatione d(e) Cristo.» (cfr. testo, III 1). Il testo deve essere stato copiato da Fuscolillo a Napoli, come lo stesso canonico avvisa115; analogo avvertimento darà anche Lupo de Spechio iniziando la compilazione della propria Summa con la nota rassegna degli stati prenormanni116. Il contenuto del libro è specificato nella carta successiva (c. 67r): «Breve co(m)posicione facta d(e) le croniche d(e) questo regno d(e) Sicilia ch(e) hora se chiama regno d(e) Nap(u)li, inco(m)me(n)cza(n)do da dì ch(e) dicto Nap(u)l(i) era sopto lo dominio de lo imperator(e) d(e) Costa(n)tinopoli, p(er) tucto il te(m)po ch(e) regnò il s(erenissi)mo re Ferr[ante] d(e) ’Ragona re d(e) Sicilia et d(e) Nap(u)li como ho dicto; et ultimatame(n)te scriverrò d(e) alcuni gesti d(e) dicto re Ferra(n)te co(n) la guerra d(e)l ducha Ioa(n)ni d(e) Agioia f[ino] alla presa d(e) pre(n)cepe d(e) Rossano quale opera fo […].» (cfr. testo, III 1). In questo libro, dunque, Fuscolillo trascrisse in primo luogo, contaminandola però con alcune notizie di Sessa Aurunca, la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo detto Carafa, «un’esposizione delle principali vicende del Regno dagli stati prenormanni agli Angioini, con brevi notizie fino a Giovanna I»117, databile tra il 1347 e il 1350 e confluita successivamente nella Cronaca di Partenope, di cui costituisce la seconda parte (cc. 66r-77v); continuò poi la narrazione trattando della storia di re Ladislao e di Giovanna II fino alle lotte di Ferrante I d’Aragona con i baroni del Regno e con il principe di Rossano (1463), punto in cui la narrazione si interrompe mutila, per la caduta in questo luogo del codice di due carte (le nn. 110 e 111). 115 Segue infatti l’annotazione di Fuscolillo: La Copia da Nap(u)li. Cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO, Summa dei re…, cit., p. 68, r. 5. 117 Cfr. F. SABATINI, Napoli angioina…, cit., pp. 134-8. 116 XLVIII Nadia Ciampaglia Sarà utile accennare ora brevemente allo sviluppo della narrazione. A c. 77v, narrando della morte di Andrea d’Ungheria per mano della regina Giovanna (è il luogo in cui si conclude la Breve Informazione nella tradizione diretta, cioè quella trasmessa isolatamente, cui anche le Croniche attingono) Fuscolillo amplia la fonte: difatti, accennando alla discesa del re d’Ungheria per far vendetta del fratello, riferisce il nome di due sessani, Cola di Toralto e suo figlio Angelo, che non sono compresi nell’elenco di coloro che furono colpiti dalle ire del re secondo la tradizione della Cronaca di Partenope118: «Qual re, p(er) opera d(e) certi baroni et gentilomini del regno et de Luise// primcipe de Taranto, (con) consentime(n)to d(e) dicta regina Ioa(n)na fo inpiccato in Aversa in lo monasterio d(e) Sa(n)to Piet(r)o d(e) Mayella dell’ordine d(e) sa(n)to Benedicto; do(n)ne, vene(n)do lo fr(at)e d(e) dicto re ch(e) era re in Ungaria, ne fe’ ve(n)decta gra(n)ne et fe’ iustificar(e) multi baroni, et la regina se salvò i(n) lo Castello Novo p(re)na et poi fugìo in Gaeta. Et tra li alt(r)i signori et ge(n)tilomini d(e)l regno foro prisi sospecti m(issere) Cola d(e) Thoralto et m(issere) Ang(e)lo suo figlio, sessani, et foro posti p(re)soni alle turri d(e) Capua; et poi foro ma(n)dati ad chiamari dal mast(r)o iusticiero d(e) lo re d(e) Ungaria in Nap(u)li, et fo talgliata la testa al dicto m(issere) Cola d(e) Toralto como traditor(e) et fo seppellito ad Sa(n)to Dominico d(e) Nap(u)li; m(issere) Ang(e)lo suo figlio fo liberato et (com)posto p(er) dinari.» (cfr. testo, III 26.7-11). Gli eventi successivi sono narrati rapidamente, con la morte della regina Giovanna nel 1362 e quella di Carlo III nel 1385. A questo punto, Fuscolillo inserisce nel racconto un flashback con un ulteriore riferimento alle vicende di Sessa Aurunca: a partire da c. 78v, infatti, si legge che la regina Giovanna, prima di morire, aveva concesso la signoria di Sessa a Goffredo di Marzano, che ottenne la riconferma del titolo da Carlo III. Inizia poi la storia di re Ladislao: «et morto ch(e) fo lo dicto Carlo terczo ne remasero dui figlioli, uno mascolo et una femmina. El mascolo si chiamava La(d)dislao (…).» (cfr. testo, III 27.4). In particolare, il racconto si sofferma sulla prigionia del duca di Sessa, amorevolmente accudito dal vicecastellano Bonomo di Transa. Con la morte di re Ladislao, il regno passa alla regina Giovanna sua sorella (c. 86v), che concede la libertà al detto duca; questi ricompensa Bonomo di Transa rendendolo cittadino sessano. Di seguito, di fronte al pericolo rappresentato da Luigi d’Angiò, la regina chiede ed ottiene l’aiuto di Alfonso d’Aragona; nascono presto però dissidi per il Regno. Le vicende vengono comunque narrate sempre tenendo d’occhio quanto contemporaneamente accadeva nel territorio di Sessa. Il terzo libro si interrompe quindi con il 1463 e la sconfitta del principe di Rossano. Di seguito l’explicit (c. 109v): 118 Cfr. A. ALTAMURA, Cronaca di Partenope, cit., p. 147. Introduzione XLIX «et qua fo fine all’opera del terczo libro, ch(e) q(ui)lli verra(n)do app(re)sso ve porra(n)no narrar(e) più destesame(n)te ch(e) è ad fine, p(er)ch(é) lo dicto duca Ioa(n)ni se imbarcò et se ne andò in P(ro)ve(n)cza el […]». S’è già detto che fonte di Fuscolillo fu la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo. Il canonico attinse però alla versione trasmessa nella sua redazione autonoma119: per questo motivo si leggono molte divergenze rispetto alla Cronaca di Partenope, che di quella costituisce un particolare adattamento. Ad esempio, a differenza della Cronaca e come nella Summa e nella Breve Informazione120, nel cod. Fuscolillo si fa menzione del nome del papa Nicolao che investì Roberto il Guiscardo del ducato di Puglia; come nella Summa e nella Breve Informazione, c’è il riferimento a chiese, monasteri e ospedali fatti edificare da Roberto il Guiscardo e dai suoi discendenti nel regno et [nel]l’isola d(e) Sicilia (cfr. testo, III 8)121, etc. Sarebbe ovviamente interessantissimo (ma impossibile in questa sede) stabilire in quale ramo della tradizione si inserisce il nostro testo; possiamo però dire con certezza che non vi è dipendenza diretta dal cod. X C 31 -che, ad esempio, banalizza de mano de Baro, miraglia d(e)l regno (cfr. testo, III 13.6), confermato dalla Summa e dal codice Petazza, in mano da Baroni; o che, ancora, scrive che Roberto il Guiscardo si spense in Roma laddove la Summa, il cod. Fuscolillo e il cod. Petazza scrivono Romania- e che, viceversa, le nostre Croniche hanno molti punti di contatto con il testo trasmesso dal cod. Petazza, pur non dipendendo direttamente neppure da quest’ultimo122. Mi piace però segnalare che un aneddoto simile a quello relativo all’ingresso di Alfonso I a Napoli, tramandato brevemente dal cod. Petazza e ignoto anche ai Diurnali del Duca di Monteleone, come segnala Livio Petrucci123, è ampiamente raccontato dal codice Fuscolillo (cfr. testo, III 39. 9-13), che riferisce invece alquanto dettagliatamente i particolari della poco regale caduta in acqua del re, giunto di notte per conquistare Ischia, mentre saliva da una ripa con scale et funi e il relativo sollecito salvataggio ad opera di tale Francisco de Ronda, che in cambio del suo eroico gesto poté ottenere una cospicua dote per le sue cinque figliole. 119 La tradizione della Breve Informazione risulta per ora affidata a soli tre testimoni; i primi due, alquanto tardi perché cinque-seicenteschi, sono il X C 31 e il Vindob. Lat. 71 della Biblioteca Nazionale di Napoli; più interessante risulta la testimonianza del Palatino 951 della Biblioteca Nazionale di Firenze, databile ai primi del Quattrocento, del possessore e copista Luigi Petazza (cfr. L. PETRUCCI, Il volgare a Napoli in età angioina…, cit., pp. 29-32). 120 Come testo di riferimento si assume quello tramandato in modo autonomo dal cod. X C 31 della Biblioteca Nazionale di Napoli. 121 Anche nel cod. X C 31 si legge in questo Reame et nell’Insula di Sicilia (c. 81) vs. nello rengno dell’isola de cicilia della Summa: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO, Summa dei re…, cit., p. 70, 4.1. 122 L’asserzione è frutto di collazione, con relativa individuazione di errori disgiuntivi, condotta direttamente da chi scrive. 123 Si tratta di brevi appunti diaristici, relativi agli anni 1420-21, tramandati dalle c. 77v, rr. 18-23: cfr. L. PETRUCCI, Il volgare a Napoli in età angioina…, cit., pp. 29-30. Nadia Ciampaglia L III.1.5. Annotazioni del secondo libro Da c. 112r (1012) fino a c. 273v si leggono ancora, disposte in serie di anni non sempre ordinate secondo una corretta sequenza cronologica, annotazioni spontanee relative a Sessa Aurunca. Non appare quindi in alcun modo giustificato il titolo di «annotazioni del III libro» sotto cui Capasso ne pubblicò un assaggio nella già citata edizione del 1876, visto che, tra l’altro, Fuscolillo doveva ritenere quel libro concluso, come si evince dall’explicit sopra menzionato, a c. 109v. Poiché, inoltre, il quattordicesimo fascicolo risulta mancante di due carte iniziali (la 110 e la 111)124, non è da escludere che il canonico vi avesse apposto un altro titolo. Si è scelto pertanto di far riferimento alle notizie raggruppate in questa sezione del codice definendole piuttosto annotazioni del secondo libro. È infatti verosimile che qui siano state inserite solo in un secondo momento cartucze de adpu(n)ttature redatte quando la scrittura del secondo libro e/o l’assemblaggio dei primi tre libri era oramai concluso125. Anche per questo libro l’analisi delle caratteristiche materiali della scrittura (che ora utilizza spesso tutto lo spazio disponibile nella pagina, invadendone il margine inferiore, e assume un andamento alquanto mosso, presentando continue variazioni di ductus e modulo) e della fascicolazione (che risulta alquanto irregolare, poiché i quaderni sono spesso mutili o formati per giustapposizione di carte sciolte e successivamente incollate) permette di ricostruire, almeno in parte, le differenti e stratificate fasi di intervento di Fuscolillo sul proprio testo. Analogamente, anche qui, per quanto con gran fatica, è possibile rintracciare i fili di paragrafi che, benché situati in luoghi diversi e ben distanti del codice, presentano tuttavia una uniformità di inchiostro e ductus tale da lasciar supporre per essi una redazione sincrona. Sarà utile schematizzare ora la struttura di questa sezione raggruppando le carte per serie di anni riportati e, quando possibile, ponendole contemporaneamente in relazione alle condizioni materiali della scrittura e al contenuto126. 124 Cfr. il prospetto grafico riportato in § II.4. Si anticipa che l’assemblaggio dei primi tre libri sarà probabilmente avvenuto entro il 1561, poiché le notizie relative a quest’anno e ai seguenti si trovano in realtà o inserite, dove possibile, in qualche carta rimasta vuota, o scritte nel margine inferiore delle pagine o, ancora, annotate su fogli incollati successivamente sui quaderni. 126 In ogni griglia si raggruppano serie di notizie uniformi per ductus ed inchiostro o in cui, comunque, non vi siano bruschi cambiamenti. Qualora vi sia invece differenza, i gruppi della stessa griglia vengono separati con una lineetta obliqua o racchiusi tra parentesi tonde; in tal caso si dà in nota motivazione della variazione di scrittura (dovuta, nel caso più frequente, ad un eventuale inserimento della notizia a pié pagina). Se non specificato, si intende che il giorno del mese non è stato espresso dallo stesso Fuscolillo; con il punto interrogativo si indicano notizie non databili a causa di un guasto meccanico della tradizione. 125 Introduzione LI TAV. E cc. 1012r-1018v [1-13] ANNOTAZIONI DEL SECONDO LIBRO 1556 (?, 26 luglio, 12 Gruppo di notizie, uniforme per inchiostro agosto (3 noti- e ductus, che occupa un unico fascicolo, il zie), 13 agosto, 14°. Le annotazioni riguardano l’ingresso (…), 1 settembre a Sessa di commissari per richiedere gra(2 notizie), 22. no e bestiame da inviare ai soldati stan26.27 settembre, ziati ai confini del regno e il passaggio a 24 ottobre, 12 di- Sessa di compagnie di soldati diretti a S. Germano per militare a Roma nel campo cembre. del duca d’Alba contro papa Paolo IV. manca cc. 1021-1022v [14-17] manca manca 1529 (12 agosto, otto- Gruppo di notizie, omogeneo per inchio127 bre, 4 novembre) stro e ductus ; costituisce un fascicoletto autonomo, il 15°, sul quale è stata giustapposta la c. 1031 (cfr. § II.4). Vi si narra l’ingresso trionfale di Carlo V d’Austria a Bologna. manca c. 1031r-v manca manca 1561 (9 settembre, 4 La carta è tagliata ed incollata sul fascinovembre-19 colo precedente, il 15°; l’inserimento è da datare ovviamente post 1561. Le notizie settembre) del 1561 hanno ductus ed inchiostro ugua/ 1535128 (1 settembre) li a quella del gennaio 1561 (c. 38r) e a quelle dell’ottobre e novembre 1561 (cc. 55r e 56r): esse sono dunque di redazione sincrona. La notizia del 1535 è stata espunta dallo stesso Fuscolillo e ha inchiostro identico a quella del 1571 a c. 137v: è stata dunque inserita post 1571. manca 127 [18-20] manca manca La scrittura, per inchiostro e ductus, è simile alla parte finale del primo e del terzo libro; le annotazioni devono quindi ritenersi ad essi sincrone. Si tratta non di notizie giornaliere, bensì di brani, copiati da qualche altra scrittura, che risultano tra l’altro tematicamente collegati con la parte finale del primo libro, in cui pure si annota sotto il 17 agosto 1529 l’incoronazione di Carlo V a Bologna (cfr. testo, I 105). La scrittura, a differenza di quanto accade in quest’ultima sezione del codice, è più accurata e non invade mai il margine inferiore delle carte. Il modulo è comunque abbastanza grande, l’inchiostro adoperato è nero; nelle carte si contano rispettivamente quindici e diciassette righe. 128 La notizia è stata successivamente espunta dallo stesso Fuscolillo, che annota: «Ut sup(r)a co(n) li dui alt(r)i adpresso sidici lo trovarrete ad un alt(r)o libro la verità i. questa partita sola». Se il riferimento non è ad altre notizie relative alla elezione di ufficiali ma, come è più probabile, ad annotazioni dello stesso anno, si avrebbe qui un’ulteriore conferma dell’esistenza di altre cartucce di appunti contenenti gruppi di notizie dell’anno 1535, non inserite nelle Croniche; ed infatti non vi si trova, a parte questa, alcuna notizia del 1535. Nadia Ciampaglia LII cc. 133r-137r [21-31] 1543 (29 maggio, 31 agosto) / 1544 (31 agosto)129 1543 (1 settembre) 1534 (22 settembre)130 / 1541 (aprile)131 1543 (27 giugno) 1544 (25 giugno, 7.8.9 luglio, settembre) 1545 (1 settembre, 8 ottobre) c. 137v 1564 (4 giugno) La c. 137 risulta tagliata ed inserita sul 1571 (agosto-settembre) 16° fascicolo, incollata sulla successiva c. 138, che è bianca. Le notizie occupano solo metà della carta, che per il resto rimane vuota, e devono essere state inserite in seguito perché presentano inchiostro e ductus differenti; il loro inserimento è da datare ovviamente post 1571. La notizia del 1571 ha inchiostro uguale a quella del 1535 di c. 1031v. c. 138 129 [32-33] carta lasciata in bianco Gruppo di notizie, relativo agli anni 154345; è sempre espresso, in latino, l’anno di indizione. Alcune annotazioni iniziano con la formula «Anno Domini». La sequenza è interrotta solo dall’inserimento a pié pagina delle annotazioni del 31 agosto 1544 e del 24 aprile 1541. Questa cartuccia di appunti, che costituisce il 16° fascicolo, inizialmente era stata riempita solo fino a c. 137r (la c. 138, difatti, è vuota); solo successivamente Fuscolillo deve averne scritto nel verso le notizie relative al 1564 e 1571 (vedi seguente). Nella carta, per il resto vuota, si legge, espunto: «Ioa(n)paulo d(e) La(n)czalogna p(er) co(n)tratto fatto inter loro ipsi». Poiché così termina la notizia a c. 162v, §100 (si tratta dell’ultimo rigo, che però risulta inserito a pié pagina), forse Fuscolillo inizialmente aveva scritto la parte finale di quella notizia su questo foglio, salvo poi depennarla e decidere di aggiungerla in margine al § 100132. La notizia è stata inserita a pié pagina. Non è da escludere, però, che si tratti di un lapsus per 1543. 131 La notizia è stata inserita a pié pagina. 132 Si noti inoltre che il § IIa 100 si trova in un fascicoletto, il 21°, in cui si leggono notizie relative all’anno 1546 e che la c. 138r è la penultima del fascicolo 16° che, lo si è visto, contiene notizie del 1543-45 (non fa testo, invece, l’ultima c. 139 del fascicolo, poiché in essa inizia a scrivere, con i fatti relativi all’insurrezione napoletana seguita al tentativo di instaurare l’inquisizione, la mano β). Non è da escludere, dunque, che quella cartuccia di appunti corrispondente al 21° fascicolo dovesse invece essere inserita all’interno del fascicolo 16°, tra la c. 136 e la c. 138. 130 Introduzione 139r-143r [34-36] 1547 (maggio) 1548 (14 marzo) Si tratta di un unico lungo racconto copiato dalla mano β1. È espresso, in latino, l’anno di indizione. I fatti riguardano i tumulti verificatisi a Napoli contro il tentativo di instaurare l’inquisizione. Si noti che vi è continuità cronologica con le cc. 144r-145v (in parte copiate da β2). 1561 (20 giugno) 1563 (30 settembre) 1564 (16 agosto) Le notizie devono essere state inserite successivamente nel verso della carta rimasta vuota. Hanno inoltre ductus ed inchiostro identici alla notizia del gennaio 1560 a c. 154v (che risulta pure inserita successivamente: cfr. II.4) e a quelle che vanno da febbraio a settembre 1560 e da aprile a giugno 1561 nelle cc. 158r-160r (vedi infra). (manca la c. 140) mano β1 c. 143v [37-39] cc. 144r-145v [40-41] (a partire dal § 40.12 fino al § 41 mano β2) LIII 1548 (28.29 aprile-11 L’annotazione inizia con la formula «Anno Domini» ed ha espresso in latino maggio) l’anno di indizione. Le notizie, a partire da § IIa 40.12, sono state trascritte da β2, che si alterna pacificamente nella stessa carta alla mano di Fuscolillo (cfr. § II.9.2 e fig. n.5). Riguardano alcuni miracoli verificatisi nel territorio di Capua, nella chiesa di S. Maria in Gerusalemme. Segue l’annotazione di Fuscolillo: Copia de li capuani. cc. 146r-147r [42-48] 1555 (aprile) 1557 (dicembre) 1558 (9.12 febbraio; marzo, aprile, 26 maggio, novembre) Compare l’anno di indizione per la sola notizia del 1555, relativa alla venuta a Sessa di Cristofano Grimaldo. Le notizie riguardano l’andamento del tempo e del prezzo del grano, la costruzione di opere pubbliche. cc. 147v-154r [49-76] 1559 (9 gennaio, 7 febbraio, 27 gennaio, 23 aprile, 11.14. 24 maggio, 1.3. 12.25 giugno, 18 luglio, 21 agosto, 25 settembre, 7 ottobre, 19.22.24 ottobre, 2.10 novembre) Le notizie sono di vario genere: riguardano la costruzione di opere pubbliche, lo svolgimento a Sessa di processioni di ringraziamento per festeggiare l’avvenuta pace tra re Filippo, il re di Francia Enrico e le forze cristiane, l’andamento del tempo (con una registrazione giornaliera), l’elezione degli ufficiali di Sessa, le processioni per impetrare la fine della carestia, la vendita dei dazi. Nadia Ciampaglia LIV c. 154r-v [77-78] manca cc. 156r-157v [79-84] cc. 158r-160r [85-97] 1560 (26 dicembre, Dopo la notizia del 6 febbraio 1560 si gennaio – 6 legge l’annotazione di Fuscolillo: «sequita ad carti 158»; infatti, la notizia succesfebbraio) siva a c. 156r è del 1547, mentre solo a c. 158r si legge nuovamente un’annotazione del 16 febbraio 1560. manca manca 1547 (15 settembre, 10. 17 ottobre) 1558 (30 ottobre) / 1565 (28 giugno) 1558 (30 ottobre, 1 novembre) 1559 (luglio) Le notizie del 1547 hanno espresso l’anno di indizione in latino; la prima inizia con la formula «Anno Domini». L’annotazione del 1565, relativa ai funerali di don Lope de Arrera, è stata inserita succcessivamente a pié pagina dopo una lineetta obliqua; il medesimo avvenimento è registrato, con minime variazioni, anche nel § IIa 387.1 a c. 273v e costituisce l’ultima annotazione delle Croniche. (16 febbraio, 22 aprile, 2.15.16. 30 maggio, 6 giugno, 22 agosto, 1-29 settembre) 1561 (1 aprile - 15 luglio) Il gruppo di notizie riguarda vari argomenti: la venuta di Cristofano Grimaldo come commissario regio; il sopraggiungere della carestia e l’andamento dei prezzi del grano e della carne; l’elezione di ufficiali. 1546 (10 marzo, 24 giugno, 24.31 Le cc. 181v-182r [146-152] agosto, 22 setdi mano γ. tembre) / Manca la c. 183. (1548, 6 aprile)133 1547 (16 febbraio) 1548 (27 aprile, 31 maggio, 30 giugno, (…) ?, 1.8 settembre) Inizia a c. 160v un altro gruppo di notizie inserite in una sequenza cronologica che, partita dal 1546, arriverà fino alla fine del codice senza particolari salti, arrestandosi all’anno 1560; fanno eccezione solo l’annotazione del 6 aprile 1548 (inserita successivamente a pié pagina a c. 163r) e del 24 marzo 1549 (inserita nel margine inferiore di c. 168v); quest’ultima ha ductus ed inchiostro uguali alle cc. 174r-177v (in cui pure sono annotate notizie del 1549). A partire dal 24 agosto 1546 fino al 23 giugno 1549 le notizie hanno espresso l’anno di indizione in latino (fa eccezione la sola notizia del 16 febbraio 1547 in cui Fuscolillo annota la morte della madre). 1560 cc. 160v-189v [98-180] / 133 La notizia è stata inserita a pié pagina. Introduzione manca cc. 021-027r [181-202] Il § 196.3-12 è di manoβ3. c. 027 v manoβ3 manca c. 029r 134 [203-204] (1549, 24 marzo)134 1548 (19 settembre, 4. 26 ottobre, 25. 16.20 novembre) 1549 (3 gennaio, 4 febbraio, 6-18 aprile, 23.30.31 maggio, 1.6.10.20. 23.24.26 giugno, 29 iulio, 27.30 giugno, 1.2.3.13. 15.18.19.20.21.25. 27.29 luglio, 5, 20 agosto, 3.5.9.11. 12.14.15 settembre) 1550 (14.19.28 febbraio, 18.19.20 marzo, 28 aprile, 6 agosto, 11 dicembre) 1551 (2 marzo, 11 febbraio, 14 maggio, 1-10 settembre) 1552 (30 maggio, 8 giugno, 4.15.18.21.22.23 luglio) manca 1552 (4.7.8135.20.28.31 agosto; 8.9.22 sett.; 12.27. 29 ott.; 14 novembre, 2.4.17.18. 19.20 dicembre) 1553 (3.4.6 gennaio) L’indizione è nuovamente espressa dal 3 settembre 1549 al 15 settembre 1549, nel gruppo di notizie trascritte dalla mano γ, ma sparisce a partire dal 1550. manca Il paragrafo 196.3-12 (relativo al 4 dicembre 1552) è di mano β3, che si alterna pacificamente alla mano di Fuscolillo. 1553 (16.25 febbraio) manca [205] LV manca ? La notizia è stata inserita a pié pagina. Dopo la notizia dell’8 agosto segue, espunta, l’inizio di un’altra: «A dì 28 del mese de agusto 1552 foreno facti». Fuscolillo ne interrompe la scrittura per rispettare l’ordine cronologico (l’annotazione successiva è del 20 agosto) e la riscriverà invece per intero più avanti, a c. 022v. 135 Nadia Ciampaglia LVI 1553 (30 maggio) La mano β2 si inserisce continuando ordinatamente la precedente sequenza cronologica. Prosegue la sequenza cronologica che, partita dal 1546 a c. 160v, arriverà fino alla fine del codice senza particolari interruzioni. L’annotazione del 16 dicembre 1553 è stata inserita successivamente a pié pagina. c. 0224r-0228r [235-237] mano β2 1553 (21 giugno, 7.8 (…) ? luglio, 23 novembre, 10 dicembre) 1554 (1 gennaio) / (1553, 16 dicembre) manca 1554 (29 maggio) / (1558, 6 gennaio) 1554 (6.21.24 giugno, aprile – maggio; 29 luglio; 26.31 agosto (2 notizie); 1.3 settembre) 1554 (24 ottobre, 25 novembre, 28 novembre) 1555 (6 gennaio) 1555 (21aprile) 1554 (23 marzo) 1554 (20 ottobre) 1555 (8 marzo) 0228v-0229r [238-239] 1555 (22-24 marzo) c. 0229r mano β3 [240] 1555 (14 aprile) c. 0229v [241-243] 1555 (30 aprile, 12.24 maggio) manca manca 1554 (27 maggio) La mano β2 si inserisce continuando ordinatamente la precedente sequenza cronologica. c. 029r mano β2 [206.1-5] c. 029v – 0213 [207-214] (manca la c. 0211) manca cc. 0218r–0222r [215-228] cc. 0222r-023v [229-232] mano β3 cc. 0 223v [233-234] manca c. 0231r – 232r [244] mano β2 c. 0232v-238r [245-262] 1555 (15.24 giugno; 7. 11.12.16.20.24 luglio; 10.19 agosto) / (1564) manca Alcune notizie del 1554 recano l’anno di indizione. L’annotazione del 6 gennaio 1558 è stata inserita successivamente a pié pagina. La mano β3 si inserisce continuando ordinatamente la precedente sequenza cronologica. La mano β2 si inserisce continuando ordinatamente la precedente sequenza cronologica. La mano β3 si inserisce continuando ordinatamente la precedente sequenza cronologica. Prosegue ordinatamente la sequenza cronologica che, partita dal 1546 a c. 160v, arriverà fino alla fine del codice senza particolari salti. La notizia del 1564 è stata inserita successivamente. Introduzione cc. 238r-244v [263-292] cc. 244v-259 [293-332] cc.-260r-268v [333-367] LVII 1555 (19 agosto, 12.17. 19 settembre, 17. 30 ottobre, dicembre) 1556 (gennaio, 6 febbraio, febbraiomarzo, 26 marzo 16.21.19 22.30 aprile, 7.14.19 maggio, 2.4.11.2 giugno, 30 luglio, 6.27.31 agosto, 3 settembre, 29 ottobre, 12.26 novembre, 10 dicembre) 1557 (febbraio, 28 febbraio, 4.6.8.9. 10.14.17.20.28.29. 31 marzo, 2.15 aprile, 6.13 maggio, 19 agosto, 1.12.14.30 settembre, 8.11.14. 15.17.24.26.27.28. 30 ottobre / 1562 (25 ottobre) 1557 (19 novembre) Dopo la notizia del novembre 1558 segue 1558 (26 gennaio 1558, l’annotazione «reverte folium» 147. febbraio-marzo, 12.27 marzo) 1558 (12.19.20.26.30 aprile, 3 maggio, 4.12.19 giugno (3 notizie) 20.21, 4.8 (2 notizie).15 luglio, 4.6.11.18 settembre, 30 ottobre, 9.24 ottobre, novembre) 1559 (21 gennaio) c. 269 [368-371] 1560 (6.15.16 giugno, Si conclude qui l’ordinata sequenza cro25 novembre) nologica iniziata a c. 160v con l’anno 1546. Nadia Ciampaglia LVIII c. 270r–272r [372-374] mano δ 1546 (19 giugno) c. 272v [375-379] c. 273r [380-384] 1547 1555 1556 1558 1554 c. 273v [385-388] (21 ottobre) (27 giugno) (27 febbraio) (15 luglio) (28 maggio, 23 luglio) 1555 (23 aprile, 7 maggio) 155<9> (27 ottobre) 1577 (febbraio) 1563 (27 agosto) 1565 (28 giugno) Si tratta della copia di un bando sul valore delle monete che occupa un fascicolo autonomo, inserito da Fuscolillo nel proprio libro. Solo successivamente il canonico riempirà il resto delle fascicolo, sfruttandone le ultime carte, che erano vuote. Brevissime annotazioni, non inserite in sequenze cronologiche. Riassumiamo innanzi tutto i dati forniti dallo schema. Il gruppo di notizie più antiche riguarda l’agosto-novembre 1529 (cc. 1021r1022v), ma si tratta, come s’è visto, di una serie isolata136. La più recente è del 1571137, ma in realtà già dopo il 1560, anno per il quale si registra ancora una certa continuità, le annotazioni diventano sporadiche (con poche notizie per ogni anno) e risultano inserite in carte lasciate vuote o giustapposte successivamente ai fascicoli originari. In definitiva, il nucleo di questa sezione del codice riguarda sostanzialmente gli anni 1546-1560: difatti, se le notizie iniziano a divenire progressive a partire dal 1543, si infittiscono, facendosi sempre più dettagliate, solo a partire dal 1546 fino ad arrivare agli anni 1555-1560. Il maggior numero di annotazioni si registra per l’anno 1559, con cui assumono oramai un andamento giornaliero; dopo il 1560, anno per cui si registra già una sostanziale diminuizione della registrazione cronachistica, le notizie diventano nuovamente sporadiche: 1561 (quattro annotazioni), 1562 (una), 1563 (due), 1564 (tre), 1565 (una ripetuta due volte), 1571 (una). Ad esse vanno però aggiunte quelle inserite successivamente, come s’è detto, nel primo e secondo libro, evidentemente per mancanza di spazio in questa sezione; di conseguenza, si contano in totale otto annotazioni per il 1561 (rispettivamente una nel primo libro più tre nel secondo), tre per il 1562 (di cui due nel primo libro), tre per il 1563 (di cui una nel primo libro), quattro per il 1564 (di cui una nel secondo libro). 136 137 Cfr. il prospetto grafico riportato in § II.4. Non sembra possibile infatti attribuire a Fuscolillo la notizia del 1577 a c. 273v. Introduzione LIX Non possiamo dire con certezza se la brusca diminuzione quantitativa di notizie per questi anni fu dovuta ad un rallentamento dell’attività del nostro cronista, ormai in età avanzata; è più probabile, piuttosto, che Fuscolillo avesse raccolto in realtà molto altro materiale non confluito nell’attuale codice XXVIII D 10: s’è più volte ricordato, del resto, che nella nota di possesso finale lo stesso canonico avvisa scrupolosamente dell’esistenza di altri libri e cartucce di appunti e perfino sulla loro ubicazione, per quanto espressa con un’indicazione alquanto generica: «Quisto libro d(e) le croniche ène d(e) dono Gasparro Fuscollillo de Sessa canonicho, et quello ch(e) no(n) sta i . quisto libro lo trovarrite alli alt(r)i libri mei che hagio fatti et car138 tucze de adpu(n)ttature, ch(e) no(n) le ho messe i(n) libro.» (cfr. testo, IIa 388) . Non è da escludere, dunque, che le cartucze de adpu(n)ttature contenessero notizie riguardanti proprio questi anni. Tentiamo ora di riassumere le informazioni fin qui ricavate dall’analisi delle caratteristiche materiali della scrittura e della fascicolazione e di trarne elementi utili per comprendere le modalità compositive di questa sezione. Così come s’è visto per il secondo libro, anche qui è possibile individuare, al di là dell’evidente disordine delle sequenze cronologiche, gruppi di carte omogenee per scrittura in cui, spesso, si leggono notizie che riguardano la stessa serie di anni; tali carte, inoltre, costituiscono talvolta anche fascicoli autonomi. Ad esempio, presentano una certa continuità di modulo ed inchiostro le carte 1012r-1018v, contenenti notizie del 1556; discorso analogo vale per le cc. 1021-22, che tramandano notizie del 1529 e che costituiscono il quindicesimo quaderno. In primo luogo, quindi, possiamo concludere che Fuscolillo redigeva cartucce di appunti relative a determinate serie di anni. L’ordine cronologico è però talvolta bruscamente interrotto, come s’è già mostrato per il secondo libro, o dall’inserimento successivo, nel margine inferiore di alcune carte, di annotazioni relative ad anni differenti o dall’inserimento posteriore di carte sciolte all’interno o alla fine dei fascicoli originari. Non è da escludere, poi, che per qualche motivo l’assemblaggio delle cartucce stesse sia avvenuto in modo non corretto. Sarà utile addurre a riprova qualche esempio. La corretta sequenza cronologica del gruppo di notizie compreso nelle cc. 133r-137r (disposte in sequenza dal maggio 1543 all’ottobre 1545), è interrotta da una notizia dell’aprile 1541 aggiunta successivamente nel margine inferiore di c. 134r; ancora, nella c. 1031, che reca tre notizie del 1561 (in cui il modulo e l’inchiostro, lo si ricorda, sono simili a quelli di cc. 38, 55r e 56r), l’ordine è interrotto d’improvviso dall’inserimento nell’ultimo 138 Segue l’annotazione: «ch(e) sta(n)no i(n) una saccha». Cfr. apparato, IIa 388.1. LX Nadia Ciampaglia paragrafo di una notizia del 1535139 espunta dallo stesso Fuscolillo; la stessa c. 1031, a sua volta, è stata inserita sul 15° fascicolo, in cui si leggono notizie del 1529, e per questo motivo ne interrompe la sequenza. In qualche caso, poi, lo stesso Fuscolillo si avvede dell’errore e tenta di rimediare: infatti, in margine all’ultimo paragrafo di c. 168v, in cui si legge una notizia del 1549 che interrompe la continuità dei paragrafi immediatamente precedenti e successivi (tutti relativi al settembre 1548 e scritti sicuramente in successione, vista l’uniformità di inchiostro e di ductus), il canonico avverte scrupolosamente il lettore e annota «reverte foliu(m)» per rinviare alle successive cc. 174r-177v in cui si leggono, scritte con lo stesso inchiostro rossiccio, altre notizie del 1549. Ancora, nell’interlinea del paragrafo 103.1, relativo ad una annotazione del 27 aprile 1548, si legge, nel margine interno della carta, l’annotazione: «seq(ui)ta ut sup(r)a». Ora, l’inchiostro di questa annotazione è effettivamente uguale a quello della notizia del 6 aprile 1548 trascritta precedentemente, nel paragrafo 101.4-5, cui è tematicamente e cronologicamente collegata, notizia che risulta però inserita nel margine inferiore di c. 163r. L’inserimento provoca l’incongruenza della sequenza cronologica, altrimenti corretta, rappresentata dai paragrafi 100 (24-31 agosto 1546), 101.1-3 (22 settembre15 novembre 1546) e 102 (16 febbraio 1547), che presentano, a loro volta, una relativa uniformità. In qualche caso Fuscolillo (post 1561, come vedremo) tornerà a scrivere su carte rimaste vuote dopo l’assemblaggio dei fascicoli; l’operazione, ovviamente, causerà ulteriori interruzioni nello sviluppo delle sequenze cronologiche. Fuscolillo, ad esempio, doveva aver dato la cartuccia di appunti di cui fanno parte le cc. 139-143 a β 1 perché vi potesse trascrivere il racconto dei fatti accaduti a Napoli ai tempi dell’Inquisizione dal maggio 1547 al 14 marzo 1548; evidentemente, però, non aveva calcolato bene lo spazio necessario e, di conseguenza, β1 non aveva usato tutti i fogli disponibili, lasciando vuoto il verso della c. 143. Intanto, il bifolio costituito dalle attuali carte 144 e 145 (vedi prospetto grafico riportato nel § II.4) veniva iniziato da Fuscolillo e poi completato da β2 con notizie che dovevano continuare la sequenza di annotazioni dal punto in cui avrebbe dovuto fermarsi β1, vale a dire dall’aprile 1548. Solo successivamente Fuscolillo deve aver riempito la c. 143v, lasciata in bianco da β1, scrivendovi le notizie del 1561, 1563 e 1564, che finiscono inevitabilmente con l’interrompere una sequenza cronologica altrimenti corretta. Per questo motivo, dunque, le suddette notizie appaiono adesso isolate rispetto al gruppo di annotazioni trascritte nelle carte precedenti (cc. 139r143r, di mano β1) e successive (c. 144r fino al primo rigo di c. 146r, di Fuscolillo e β2). Ancora una volta è l’analisi dei fattori materiali di trasmissione testuale a consentire di formulare ipotesi sulle modalità di composizione delle Croniche. La c. 139 Fuscolillo, oltre ad annotare quotidianamente, doveva contemporaneamente raccogliere anche materiale più antico: ne è una riprova il fatto che la suddetta annotazione è stata trascritta post 1571, poiché presenta inchiostro e ductus identici ad una notizia del 1571 scritta a c. 137v (vedi supra). Introduzione LXI 143v, del resto, è stata scritta con lo stesso ductus ed inchiostro delle cc. 154v e 158r-160r, in cui pure si leggono notizie relative agli stessi anni (febbraio, aprile, maggio, agosto, settembre 1560, aprile, giugno 1561). Con un lavoro febbrile, quindi, il canonico ritornava spesso a rileggere i suoi appunti, occupando tutti gli spazi liberi. Quest’esigenza sembra più forte, come abbiamo appena visto, per le notizie successive al 1560, che risultano per lo più inserite posteriormente. Addirittura capita che Fuscolillo inserisca un’annotazione a pié pagina senza accorgersi che quella immediatamente precedente non era conclusa, ma continuava nella carta successiva; o, ancora, che inizi la scrittura di una notizia in una carta rimasta bianca, ma che poi, imbattutosi in fogli già precedentemente riempiti, sia costretto ad interromperne la stesura per riprenderla più avanti, nel primo foglio utile. Nel primo caso si può portare ad esempio una notizia del 5 agosto 1549 (cfr. testo, IIa 144) scritta nelle carte 181r/v, tagliata a metà dall’inserimento, nel margine inferiore di c. 181r, di un’altra annotazione relativa al 20 agosto 1549. Per quanto riguarda il secondo caso, si può invece considerare un gruppo di annotazioni, eterogeneo per scrittura, che va da c. 146r a c. 147r140 con notizie in successione cronologica (dal 1555 al 1558); a partire da c. 147v (gennaio 1559) le informazioni diventano sempre più dettagliate fino a c. 154v, in cui si legge una notizia del 6 febbraio 1560. Segue qui all’improvviso (dopo la caduta della c. 155) un brusco stacco, sia cronologico, sia delle condizioni materiali della scrittura, provocato dalle notizie segnate a c. 156r-157v (del 1547, 1558, 1565, 1558, 1559). Del salto dové accorgersi successivamente lo stesso Fuscolillo, che in margine alla c. 154v annota «seq(ui)ta ad carti 158»: ed infatti, proprio a partire da c. 158r, la sequenza riprende, nel punto esatto in cui era stata interrotta, con una notizia del 16 febbraio 1560. Ora, in quest’ultima carta ductus e tonalità d’inchiostro sono identici a quelli adoperati a c. 154v, e dunque le notizie di c. 154v e 158r furono sicuramente scritte in successione. Poiché la precisazione «sequita» ha inchiostro e ductus uguale a quello delle notizie stesse, è da escludere che la c. 154 e la c. 158, scritte effettivamente di seguito, siano state assemblate male da Fuscolillo che, accortosi solo successivamente dell’errore, si sia poi affrettato a rimediare apponendo un’integrazione posteriore; più probabilmente, quando i fogli sono stati ricomposti, la c. 154, che era l’ultima del 19° fascicolo, era ancora vuota, mentre la c. 156 (si ricordi che la c. 155 risulta caduta) doveva essere stata già stata riempita. Fuscolillo ha inserito quindi successivamente nella c. 154v la notizia del 6 febbraio, si è imbattuto in carte già riempite precedentemente e per questo motivo ha dovuto continuare a scrivere più avanti, a c. 158r, non senza però segnalare, con la consueta sollecitudine, l’inevitabile salto al futuro lettore. 140 In quest’ultima si individua un paragrafo, riguardante una notizia del novembre 1558, che presenta lo stesso inchiostro di c. 48v (1531) e c. 40r (1188-1200); cfr. n. 108. LXII Nadia Ciampaglia III.2. Prime conclusioni. Datazione delle Croniche e modalità di lavoro Il quadro finora rilevato rimanda ad un lavoro necessariamente protrattosi lungo un ampio periodo di tempo secondo fasi di elaborazione successive, come è già stato osservato in altri libri di memorie141. Possiamo a questo punto tirare le somme e formulare un’ipotesi complessiva circa le modalità di composizione delle Croniche. 1) L’analisi del supporto cartaceo pone come confini gli anni 1532-1565. 2) Sicuramente già a partire dal 1531 il canonico aveva iniziato a raccogliere materiale per la propria compilazione. 3) Il termine a quo della scrittura delle Croniche o, almeno, del secondo libro, va posto al 17 agosto 1546: questa è la prima data sicura di un’annotazione giornaliera. Analogamente, il nucleo fondamentale delle annotazioni del secondo libro (IIa) riguarda gli anni 1546-60. 4) Fuscolillo deve aver avviato più o meno nello stesso tempo la stesura del primo e del terzo libro (i quali, come s’è già detto, presentano caratteristiche materiali della scrittura molto simili ed identica filigrana142). La parte finale del primo libro (relativa agli anni 1516-28, giustapposti al nucleo base costituito dalla cronaca anonima del regno di Napoli) è sicuramente da datare post 1549, poiché la notizia di c. 37v relativa al 1528 (cfr. testo, I 106) presenta il medesimo inchiostro della c. 180v, in cui si leggono per l’appunto notizie del 1549. Il 1549 è quindi presumibilmente termine ante quem di inizio di composizione delle Croniche o, almeno, del primo libro, il che conferma ulteriormente la supposta data 1546 di cui al punto n. 3. 5) La scrittura delle altre notizie del secondo libro, almeno quelle fino al 1539, è sicuramente avvenuta dopo il 1547143. Si aggiunga, a conferma, che solo a partire dal 1549 le notizie del secondo libro relative a Sessa Aurunca iniziano a divenire giornaliere: un andamento quasi giornaliero hanno infatti le annotazioni del giugno e luglio di quell’anno. 6) Per quanto riguarda le annotazioni del secondo libro, sappiamo che Fuscolillo scriveva cartucce di appunti (vale a dire, i nostri fascicoli o quaderni) relative a determinate serie di anni; ad esempio, la 14a (relativa all’anno 1556), la 15a (relativa al 1529), la 16a (relativa agli anni 1543-45, fatta eccezione per la notizia del 1561 inserita a c. 1031). In particolare, la scrittura della 15a è stata condotta nello stesso tempo in cui Fuscolillo scriveva la parte finale del primo libro (in cui si leg- 141 Cfr. V. FORMENTIN, Scrittura e testo nel manoscritto dei ‘Ricordi’ di Loise De Rosa, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 7 (1993), pp. 5-64; B. MORTARA GARAVELLI, Scrittura popolare: un quaderno di memorie del XVII secolo, «Rivista italiana di dialettologia», 4 (1980), p. 149; R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO, Cronaca, Firenze 1987, p. XX. 142 Cfr. § II.3 e II.5. 143 Cfr. § III.1.3 e n. 106. Introduzione LXIII gono ugualmente notizie dal 1516 al 1529), vale a dire, per quanto detto al punto n. 4, post 1549. 7) Il termine ad quem è il 1571, data dell’ultima notizia presente nel testo e anno del prestito del codice a Cristofano Grimaldo144. Discorso diverso vale per le date di assemblaggio dei fascicoli costituenti i differenti libri e, dunque, per la cucitura finale dell’attuale cod. XXVIII D 10. 8) Fuscolillo deve aver ritenuto compiuto il proprio lavoro almeno post 1558; in quest’anno appone finalmente e contemporaneamente i rispettivi tre titoli ai tre libri di cui si compongono le Croniche. In effetti, l’assemblaggio del cod. XXVIII D 10 può verosimilmente essere datato ante 1561. Tutte le notizie posteriori al 1561, difatti, si trovano sempre inserite successivamente in carte rimaste vuote, o a pié pagina, o in fogli giustapposti successivamente ai fascicoli originari. Vale a dire che, dopo quell’anno, il libro delle Croniche come ci è stato trasmesso dal cod. XXVIII D 10 doveva essere ormai stato concluso. 9) Mentre Fuscolillo scriveva, trascrivendo da altre fonti, il primo e il terzo libro, doveva avere già iniziato contemporaneamente a raccogliere e a trascrivere materiale relativo a Sessa Aurunca che sarebbe in parte confluito nell’attuale secondo; dunque, le cartucce relative ai primi tre libri (e quindi i fascicoli 1-12, corrispondenti alle cc. 1-98, che presentano anche lo stesso tipo di filigrana), a differenza di quelle successive, erano già state assemblate nell’ordine attuale145. Difatti: a) il secondo libro inizia subito dopo la fine del primo, ma a c. 40, nella prima carta di un nuovo fascicolo e non nella c. 39, che pure era rimasta bianca, o nella c. 38 (che solo molto tempo più tardi Fuscolillo avrebbe riempito con le notizie del 15613146); b) allo stesso modo, il terzo libro inizia a c. 66v, nello stesso fascicolo in cui erano annotate anche le notizie del secondo, ma non nella prima carta utile, la 66r, che sicuramente doveva essere ancora bianca quando il canonico iniziava la scrittura del terzo libro. Fuscolillo, quindi, aveva lasciato nel fascicolo uno spazio libero, vale a dire alcune carte bianche in numero ritenuto sufficiente per aggiungervi altre annotazioni relative a Sessa Aurunca; continuò così ad appuntare progressivamente nel secondo libro materiale dove e come poteva, lungo un ampio arco di anni, ma evidentemente il suo lavoro dové successivamente ampliarsi al di là del progetto iniziale e cominciando, oltre che a raccogliere materiale riguardante i tempi più antichi, ad appuntare anche notizie giornaliere, fu costretto a scrivere le sue annotazioni in fascicoli nuovi, in cartucze d(e) adpu(n)ttature che andarono poi addensandosi nella parte finale del codice147. Nelle suddette carte bianche, come la 55r, 144 Cfr. § III.4.1. Si ricordi inoltre che il primo, il secondo e la maggior parte del terzo libro sono costituiti da carte aventi lo stesso tipo di filigrana. 146 Cfr. n. 49. 147 Si ricordi ad esempio che la notizia di c. 254r inizia mutila, benché non vi sia, almeno guardando la numerazione, caduta di carta (la precedente difatti è numerata regolarmente 253). Ne consegue che Fuscolillo aggiunse progressivamente altri fogli di appunti nel codice e posteriormente all’assemblag145 LXIV Nadia Ciampaglia la 56r e la 66r, il canonico progressivamente inserirà, come era già accaduto per il primo libro, alcune notizie del 1561, 1564, 1567148. 10) Fuscolillo deve aver deciso solo in un secondo momento di premettere alle annotazioni relative a Sessa Aurunca notizie più antiche, traendole dal Chronicon Suessanum (così come aveva anteposto alla cronaca del regno di Napoli il sommario latino sugli stati prenormanni). In primo luogo, le annotazioni in questione si leggono in due fogli giustapposti successivamente al fascicolo originario149 o inserite negli spazi liberi delle carte seguenti150; inoltre, la loro trascrizione è da datare sicuramente post 1558, poiché, come s’è detto, quelle di c. 48v (1531) e c. 40r (1188-1200) hanno lo stesso inchiostro di una notizia del novembre 1558 a c. 147r. III.3. Il testo progressivo: le integrazioni di Fuscolillo in fine paragrafo Risultano fondamentali per la comprensione delle modalità di composizione delle Croniche, per quanto brevi, le numerose integrazioni al testo lasciate da Fuscolillo in tempi diversi nelle sue carte ad utilità non solo propria, ma di chiunque avesse tra le mani il suo libro. Scrupolosamente il canonico dové tornare a più riprese sul proprio lavoro, sottoponendolo ad una continua opera di revisione e perfezionamento, integrando quando necessario, apportando correzioni e fornendo precisazioni per i futuri lettori. Non opera conclusa sono dunque le Croniche, bensì materia in continuo ampliamento e ristrutturazione che si modifica e muta, seguendo il passare del tempo e il mutare degli eventi. Che si tratti di integrazioni aggiunte successivamente in margine alle notizie, oppure di semplici rimandi ad altri luoghi del codice o anche solo di piccoli e apparentemente insignificanti segni, tutti questi interventi testimoniano che molto più che un semplice passatempo doveva essere per il canonico la scrittura dei suoi appunti; e che anzi era chiaro non solo agli abitanti di Sessa, ma anche a chiunque vi entrasse da “forestiero”, che quelle carte erano molto più che l’erudito hobby di un paziente canonico, bensì una testimonianza preziosa lasciata ai posteri, in cui non essere menzionati affatto, piuttosto che essere “eternati” con infamia. Molti degli interventi successivi nascono in primo luogo dal tentativo di ovviare ad una certa palese caoticità del testo151, di cui lo stesso Fuscolillo doveva essere gio dei fascicoli vi appose la numerazione; si è gia detto del resto (cfr. § II.2) che a partire da c. 252 la cartulazione assume caratteristiche differenti. 148 Cfr. § III.1.3 e Tav. C. 149 Cfr. prospetto grafico in § II.4. 150 Cfr. § III.1.3. 151 L’affermazione non riguarda il primo e il terzo libro, per i quali l’apposizione posteriore del titolo e la struttura mostrano chiaramente che dovevano essere ritenuti ormai entità autonome e concluse, bensì le annotazioni relative a Sessa Aurunca che, iniziate con la trascrizione delle notizie tratte dal Chronicon, dovevano continuare, nelle intenzioni del canonico, fino a tempo indefinito. È questa sezione che Fuscolillo non riesce a chiudere, per il semplice motivo che continuava a raccogliere e ad annotare materiale. Tuttavia, nulla vieta pensare che fosse sua intenzione ristrutturare quelle cartucce Introduzione LXV ben consapevole. Poiché le notizie appaiono spesso, come s’è visto, distribuite in modo disordinato (ora perché scritte evidentemente in distinte cartucze de adpu(n)ttature, benché appartenenti allo stesso gruppo di anni, rilegate poi in punti diversi del codice, ora perché copiate in tempi successivi), il canonico avverte la necessità di guidare continuamente il lettore entro le varie sezioni del libro, indicando le carte in cui si possono trovare altre notizie relative ad uno stesso periodo o argomento, oppure ripristinando un corretto ordine cronologico delle annotazioni. Sarà utile allora fornire qualche esempio. Nel primo libro, a c. 37r/v, si leggono in sequenza tre notizie, rispettivamente del 12 aprile 1528 (cfr. testo, I 104), 17 agosto 1529 (I 105) e 6 marzo 1528 (I 106). Fuscolillo, per ripristinare il corretto ordine cronologico interrotto dall’annotazione del 1529, scrive scrupolosamente *reverte folliu(m) in margine alla notizia dell’aprile 1528 e contrassegna con un asterisco quella del marzo 1528, erroneamente trascritta non di seguito alla prima, come dovrebbe logicamente essere, ma a c. 37v. Ancora, nel margine inferiore di c. 117r, in calce ad una notizia del primo settembre 1556 (cfr. testo, IIA 8) in cui si annota l’ingresso a Capua del viceré di Napoli, il duca d’Alba, e il suo tentativo di ricongiungersi al proprio esercito, a San Germano, per andare alla volta di Roma come generale dell’esercito di re Filippo, si legge questa precisazione: «Quello ch(e) ma(n)cha in q(ui)sto libro lo trovarrite ad l’ultimo libro.». Ma che cosa intendeva Fuscolillo quando scriveva ultimo libro? È evidente che in questo caso l’unità libro equivale ad una cartuccia di adpu(n)ttature; ma l’aggettivo ultimo ha qui valore relativo, perché è da porre in relazione alla struttura che il manoscritto aveva nel momento in cui il canonico apponeva questa precisazione. Numerosi eventi relativi all’anno 1556 sono stati, difatti, annotati anche in altri luoghi del codice152, ma è verosimile che Fuscolillo volesse rimandare, più che all’isolata notizia del 27 febbraio, inserita a c. 272v153, al ben più nutrito gruppo di notizie tramandate dalle cc. 238v-244v, in cui si leggono in sequenza avvenimenti accaduti dal gennaio al dicembre di quello stesso anno e che, se si eccettua l’ultimo piccolo fascicoletto costituito dalle cc. 270-272, si inseriscono finalmente in una sequenza di carte cronologicamente ordinata, dal 1545 al 1560. È allora probabile che, quando il canonico aggiungeva la sua precisazione, le suddette carte, in quello stadio di scrittura del manoscritto, fossero effettivamente le conclusive e ne costituissero l’ultimo libro, ma che in seguito, parallelamente allo scorrere degli anni, ulteriori cartucce venissero compilate e progressivamente assemblate nella parte finale del codice. Del resto l’integrazione di Fuscolillo è sicuramente sincrona alla di appunti secondo un ordine corretto, e che il cod. XXVIII D 10 fosse, in realtà, solo un canovaccio da rielaborare in seguito. 152 Cfr. § III.1.5, Tav. E. 153 In questa si annota la morte di un tale Francisco Fuscolillo bastardo. LXVI Nadia Ciampaglia redazione della notizia stessa, in quanto risulta scritta con il medesimo inchiostro. Resta tuttavia da capire per quale motivo il canonico abbia sentito l’esigenza di apporre l’annotazione proprio in margine alla notizia del primo settembre e non dopo una qualsiasi di quelle riportate nei paragrafi successivi o precedenti, pure relative all’anno 1556. Non è da escludere, ed anzi è probabile, che in questo caso il richiamo sia scattato anche per motivi di ordine tematico154. In effetti, gli interventi del canonico sembrano talvolta finalizzati non solo a ristabilire sequenze diacroniche, ma anche a suggerire al lettore percorsi tematici all’interno del vasto repertorio di notizie, creando quasi una sorta di “iper-testo”. Ad esempio, nel margine inferiore di c. 268r, si legge l’annotazione «reverte folium 147155». La clausola segue il paragrafo IIa 365 in cui sono annotati, sotto l’anno 1558, i lavori di costruzione avviati a Sessa per volontà del vescovo Galeazzo Florimonte. Ora, proprio a partire da c. 147r, si susseguono nel codice alcuni paragrafi che non solo sono relativi, più o meno, allo stesso arco di tempo, ma che riguardano anche lo stesso argomento, vale a dire la messa in opera a Sessa Aurunca di altre opere edilizie, come la costruzione del tribunale (cfr. testo, IIa 48, novembre 1558), l’abbattimento di due botteghe per l’apertura di una nuova strada (cfr. testo, IIa 49, gennaio 1559) e la posa della prima pietra del nuovo tribunale (cfr. testo, IIa 50, febbraio 1559). Il rimando non va invece al gruppo di carte 260r-268v, che pure vanno dal gennaio 1558 al gennaio 1559, probabilmente perché in esse gli eventi annotati sono di altra natura (elezione dei sindaci, rappresentazioni sacre, redazione di instromenti, indizione di consigli pubblici etc.). L’esigenza di tessere fili per permettere al lettore di “navigare” più agevolmente nel testo e di non perdere l’orientamento entro il mare magnum delle sue cartucze è palese a c. 241r156, dove Fuscolillo, dopo aver annotato il verificarsi di un violento temporale in data 2 giugno 1556 (cfr. testo, IIa 277), successivamente in margine precisa: «be(n)ch(é) questo sta ad l’autro libro d(e) li te(m)pi e staisoni d(e) li grani et ve(n)dite d(e) li preccii.». All’esistenza di altri libri il canonico allude ripetutamente; ad esempio, in margine ad una notizia del maggio 1552 (cfr. testo, IIa 170.7), dopo l’indicazione dei sindaci in carica, si legge la segnalazione, aggiunta posteriormente: «reverte foliu(m) alli alt(r)i libri». 154 Del duca d’Alba si parla infatti anche nel § IIa 264, a 238r, dove si annota in data 6 febbraio il suo ingresso in Napoli come viceré del regno, inviato da sua maestà l’imperatore Carlo V. Ancora, nel § IIa 267 di c. 239r si registra la partenza degli uomini d’arma della compagnia del duca di Sessa per ordine dello stesso duca d’Alba. 155 In origine vi era però scritto 148. 156 In questa carta e nelle successive il canonico annota l’andamento dei prezzi e delle stagioni. Introduzione LXVII Di certo Fuscolillo tornava spesso a rileggere le proprie pagine, anche a distanza di anni. A c. 165r, ad esempio, risultano cassate da altra mano alcune parole; il canonico, affrettandosi a riscrivere nell’interlinea le parole espunte, precisa, quasi infastidito, in margine: «Lo s(ignore) Cristofhano Grimalto lo have cassato, ch(e) li ho prestato q(ui)sto libro mai più d(e) li 1571.». Analogamente si accorgerà dell’inserimento, non “autorizzato”, lasciato dalla mano α a c. 66r (la deliziosa per noi, ma davvero poco interessante, per il nostro austero cronista, annotazione del 1569, che riguarda il già menzionato ritrovamento, ad opera della piccola Vittoria, di una fragola nell’orto dello stesso Fuscolillo) solo due anni dopo. Infatti annoterà in margine, con un’integrazione redatta con inchiostro e ductus identici a quella sopra riportata, e quindi da datare sicuramente post 1571: «Passate più na(n)ti ch(e) questo no(n) è cose de nie(n)te d(e) la fravola.». Sulle correzioni apportate da Cristofano Grimaldo (che subiranno, in verità, un trattamento ben differente rispetto all’ipotizzata “marachella” della figlia di Cola della Preta157), si tornerà più avanti. Quello che qui preme mostrare, invece, è che le integrazioni in fine paragrafo lasciate da Fuscolillo sono in definitiva segno di una scrittura diacronica, che si arricchisce progressivamente con il passare del tempo e con l’evolvere dei fatti narrati. Ad esempio, il canonico annota a c. 143v una disavventura accaduta al vescovo Galeazzo Florimonte il 16 agosto del 1564: «A dì 16 del mese d(e) agusto 1564 in lo episcopato d(e) Sessa ad hora d(e) vespera, ch(e) sonavano vespera li sacrestani, et lo viscovo d(e) Sessa m(essere) Galeacio Florimo(n)te se ritrovò alla nave d(e)l viscopato, ch(e) rasoniava co(n) lo primicerio et dechano. Ve(n)ne una te(m)pesta d(e) airo co(n) granani et troni, et cussì ve(n)ne uno trono da cielo allo ca(m)panaro <maio>r(e) <et lo> trono a(m)maczao uno sacrestano, lo alt(r)o romase sbaoctito, ch(e) sonavano vespera.» (cfr. testo, IIa 39). In margine alla notizia si legge poi una breve integrazione inserita successivamente da Fuscolillo in fine paragrafo: «<Et ip>so <vi>scovo romase sordo, et lo magio da venir morìo alli 10. ». È evidente che essa fu aggiunta in seguito alla morte del vescovo, avvenuta, a quanto sembra, il 10 maggio dell’anno successivo, il 1565. Nella stessa carta si legge ancora la notizia: 157 Che l’autrice dell’ingenua annotazione sia stata la stessa bambina spingerebbe a crederlo, e silentio, il ben più delicato, in questo caso, intervento del canonico, che evita di espungere l’annotazione, limitandosi a segnalarne solo la futilità. LXVIII Nadia Ciampaglia «A dì 20 d(e)l mese d(e) iulio 1561, i dì d(e) do(m)menecha, fo facto capitolo li r(everen)di canonici p(rese)nte mo(n)signor(e) d(e) Sessa, m(essere) Galeacio Florimo(n)te, ch(e) se desse la cappella ch(e) sta fora lo episcopato dove se mecteva lo grano d(e) li canonici la estate q(u)ando veniva; et fo data la dicta capella p(er) ordine d(e) lo ep(iscop)o et canonici ad ma<gnif>ico m(essere) Cola Iacobo d(e) Paulo, gi(n)tilomo, et sue erede.» (cfr. testo, IIa 37). In seguito Fuscolillo aggiunge: «D(e) poi no(n) fo fatto nie(n)te.». La suddetta integrazione presenta inchiostro e ductus identici a quelli adoperati per segnalare la sopraggiunta morte del vescovo Florimonte in data 10 maggio 1565 apposta in margine alla notizia del 16 agosto 1564, ed è quindi da datare post 1565. A c. 148v si legge ancora la notizia: «A dì 14 del mese d(e) magio 1559, i . dì d(e) la Pe(n)t<e>coste, lo r(everen)do e(pisco)po Galeacio Florimo(n)te d(e) Sessa p(er) ordine d(e) sua Sa(n)tità papa Paulo quarto fece ardere tutti li libri p(ro)ibiti de lu<t>era<n>i, ch(e) li foreno dati da la diocese sua, co(n) q(ui)lli ch(e) ne haveva ipso e(pisco)po, et li fece ardere in lo largo d(e) lo episcopato d(e) Sessa, dicta la vespera; et tucti li alt(r)i episcopi innella diocese sua fecero el semele.» (cfr. testo, IIa 55). Successivamente Fuscolillo precisa: «secu(n)de se inte(n)de». Con lo stesso inchiostro e ductus il canonico aggiungerà una lode per il vescovo d’Aversa, di cui aveva annotato, nella notizia successiva, l’ingresso in città: «A dì ut sup(r)a intrò lo episcopo d(e) Adversa la prima volta co(n) solle(n)nità in Adversa, ch(e) fo medico d(e) papa Iulio tercio.» (cfr. testo, IIa 56). Segue infatti: «homo litterato et da bene.». In qualche caso possiamo addirittura seguire, attraverso il continuo mutare dell’inchiostro, l’ampliamento progressivo di una notizia, giorno dopo giorno. Ad esempio, nell’annotazione seguente (c. 148r-v, maggio 1559) il colore dell’inchiostro adoperato cambia per ben tre volte, perché Fuscolillo ha annotato quotidianamente, in tre giorni successivi, l’andamento del tempo: Introduzione LXIX «A dì 26 d(e) magio piovecte assai; et lo sabbato ch(e) foreno 27 d(e) magio piovecte assai; et a dì 30 d(e) magio la sera piovecte co(n) certo frido ch(e) non se pocte far(e) la p(ro)cessione d(e) lo Corpo d(e) (Cristo).» (cfr. testo, IIa 57.6-7). Ancora, a c. 150v Fuscolillo annota sotto il 12 giugno 1559 l’ingresso a Napoli del viceré. I periodi relativi al 16 luglio ed al 4 agosto, in cui si registrano alcuni atti emanati dallo stesso viceré, sono stati inseriti successivamente in fine paragrafo: «A dì 12 d(e) iunio 1559 d(e) lunedì, alle 22 hor(e), intrò p(er) mare co(n) quara(n)ta galere vel circha lo vicerré d(e) Nap(u)li ispano co(n) gra(n)dissimo triu(m)fho, et allo molo fo facto uno po(n)to d(e) seta. Et a dì 16 d(e) iulio fece una p(ro)maticha ch(e) da tre(n)ta miglia for(e) d(e) Nap(u)li no(n) se facesse mercha(n)cia d(e) grani, orgi. Et a dì 4 d(e) agusto fo facto p(er) totu(m) regnu(m).» (cfr. testo, IIa 61.1-3). Lo stesso accade a c. 150r, dove è annotato in data 3 giugno 1559 l’ingresso in Sessa di Cesaro de Ferrante. Il canonico amplierà successivamente la notizia per far memoria di un episodio avvenuto il 7 luglio dell’anno seguente: «A dì 3 d(e) iunio 1559 in Sessa ce venne p(er) doctor(e) d(e) medecina et fhilosophia m(essere) Cesaro d(e) Ferra(n)te de Sessa in lo palacio d(e) lo r(everen)do e(pisco)po m(essere) Galeacio Florimo(n)te, e(pisco)po d(e) Sessa, et a dì ij d(e)l p(rese)nte mese, p(er) ordine d(e) lo e(pisco)po d(e) Sessa, fece far(e) lo sermone in lo segio gra(n)de d(e) Sessa, ch(e) ce fo mo(n)signor(e) et multi doctori et ho(m)mini d(e) Sessa p(rese)nte, ch(e) durao circha una hora et mecza; et se fo lecto lo suo p(ro)vilegio et lo lesse notar(e) Marcho Antonio Ce(n)nella d(e) Sessa, et do(n)no Ioa(n)nifracisco mastro d(e) scola ce desse certi versi, appresso d(e) lo sermone, laudabili. Lo dicto doctor(e) fo doctorato in Padua, et lo e(pisco)po ut sup(r)a fu causa d(e) lo fare homo, ch(e) lo ma(n)tenìo allo studio. Et a dì 7 d(e) iulio 1560 lo sop(r)adicto m(essere) Cesaro desse et celebrao la prima messa letta allo episcopato d(e) Sessa allo altar(e) maior(e), p(rese)nte lo r(everen)do episcopo Galeacio d(e) Sessa.» (cfr. testo, IIa 60). Abbiamo infine una testimonianza diretta dell’abitudine di Fuscolillo di lasciare spazi vuoti da colmare eventualmente in seguito nel caso in cui non disponesse immediatamente di alcuni dati utili durante la stesura di una notizia. A c. 187v, annotando la costruzione di una nuova scuola, il nostro scrupoloso cronista si accinge a trascrivere le parole che furono apposte sulla parete esterna per volontà del medico Gianfrancisco de Sessa; non ricordandole, decide di lasciare uno spazio vuoto e di continuare il lavoro. Solo in seguito si accorgerà della lacuna e si darà pena di incitare il lettore perché possa leggerle da sé: «Del mese d(e) magio 1552 in Sessa fo facta d(e) novo le scole d(e) li mastri d(e) imparar(e) gramaticha; q(u)ale scole ène quelle dove se dice alla polita, iu(n)to dove se rege iusticia, et de socto ce so(n)no certe poteche d(e) cauczolari et la via publica da dui ba(n)ne, facte le dicte scole p(er) la università d(e) Sessa; et m(essere) Ioa(n)fracisco medico d(e) Sessa fo factor(e) et origene d(e) farle murar(e) et pintar(e) co(n) certe licter(e) ’nanti le finestre di fora la piaczia maior(e), q(u)ale diceno…; q(u)ale io no(n) le ho scripte p(er)ch(é) no. le sapeva alla me(n)te, a(n)date ch(e) le trovarrete allo muro d(e) le scole alla p<ia>ia LXX Nadia Ciampaglia publica; q(u)ali dicti mastri foreno q(ui)lli ch(e) lassao m(essere) Marcho d(e) Romanis q[u]a(n)do morcze, ch(e) lassao ducati ce(n)to p(er) li mastri d(e) scola ch(e) fossero dui, uno quara(n)ta et lo alt(r)o sessa(n)ta (…).» (cfr. testo, IIa 170.1-5). III.4. La circolazione del testo, struttura aperta La continua opera di revisione cui Fuscolillo sottopose la propria compilazione e le numerose integrazioni (ed apostrofi) lasciate ad utilità dei lettori mostrano chiaramente che il canonico non doveva considerare la stesura delle Croniche un fatto “privato” o soltanto un personale “passatempo”. Doveva invece essere ben noto agli stessi abitanti di Sessa che Fuscolillo stesse scrivendo un diario delle vicende della città, se c’è addirittura chi teme di esservi ricordato con disprezzo e per questo prefererisce non inimicarsi il religioso: messer Pietro Suessano, incaricato di provvedere all’alloggiamento, presso canonici e preti del luogo, di cinquecento soldati tedeschi in procinto di imbarcarsi a Mola, dispensa dall’obbligo Gasparro Fuscolillo proprio per evitare che questi possa immortalarlo negativamente nel suo libro di memorie. Lo svela, non senza orgoglio, lo stesso cronista, che pur preoccupandosi di scagionare completamente l’ufficiale, precisando che li dispiaceo assai d(e) dar(e) ad ’logiar(e) alli previti, dichiara tuttavia candidamente che la propria agevolazione scaturì unicamente dal timore di messer Pietro Suessano di incorrere in una simile “ritorsione”: «A dì ultimo d(e) septe(m)bro 1557, prime idictionis, in Sessa ce ve(n)dero ad allogiare cinquocento todischi et duice(n)to thodesche vel circha, et adlogiaro ad descreptione alle spese de Sessa co(n) gra(n)de da(n)no, et tucti li co(n)vecini allogiaro, como ène la Roccha d(e) Mo(n)fhino et altre t(er)re; et m(essere) Pietro Suessano no(m)minatur Testa et m(essere) Mutio d(e) Pippo, como ad ferreri d(e) Sessa, ma(n)dero ad allogiar(e) li cononici et preite d(e) Sessa et tucti li monasterii d(e) li fratri se(n)cza alcuno respetto, et li dicti canonici ma(n)dero in Nap(u)li do(n)no Laure(n)tio d(e) Pippo canonico ad negociar(e) et expedir(e) ch(e) se havessero levati li dicti soldati da li previti co(n) memoriale allo s(ignore) ducha d(e) Alba et lictera d(e) lo r(everen)do ep(iscop)o d(e) Sessa d(e) fagor(e) al cardinal d(e) la Cuonas. Et lo dicto m(essere) Pietro Suessano no(n) ma(n)dao ad ’logiare ad do(n)no Gasparro p(er) respecto ch(e) io no(n) lo havesse scripto male d(e) ipso in q(ui)sto libro, et però me fecero fra(n)cho, be(n)ch(é) certo da ipso no(n) remase d(e) no(n) far(e) fra(n)cho li previti, ma p(er) ordine d(e) li soperiori fo co(n)trecto lo sop(r)adicto m(essere) Pietro havessa da eseq(ui)re lo ordi[ne] [fa]cto, et li dispiaceo assai d(e) dar(e) ad ’logiar(e) alli previti.» (cfr. testo, IIa 315-6). Il testo, poi, doveva certamente avere già una certa “circolazione” in ambito locale e destare curiosità ed interesse, se il commissario genovese Cristofano Grimaldo, di cui Fuscolillo non smette in più punti di tessere le lodi, aveva chiesto ed ottenuto il libro (o una sua parte) in prestito suscitando però, a quanto pare, il disappunto del canonico per una certa libertà con cui era intervenuto ad emendare al- Introduzione LXXI cuni presunti errori158. Cristofano Grimaldo, comunque, non deve essere stato il solo a ritenere di poter lasciare impunemente il proprio contributo nel libro di memorie di Fuscolillo. S’è già visto che probabilmente anche la piccola Vittoria deve aver ingenuamente creduto che il ritrovamento di una bellissima fragola fosse evento degno d’essere annotato tra i suoi appunti senza una previa autorizzazione. Ma anche altre brevi integrazioni in margine alle annotazioni, non attribuibili al cronista e a nessuna delle mani individuate, sono state lasciate tra le carte del manoscritto; non cassate e non segnalate, forse perché inserite dopo la sua morte, o perché sfuggite all’attenzione del nostro puntiglioso canonico o forse solo perché ritenute, in questo caso, semplicemente accettabili. Ad esempio, alla fine del I 93.6-10 relativo alla disfida di Barletta, una mano annota: «Et vensero l’italiani». Alla stessa mano si devono poi due integrazioni apposte rispettivamente in margine ai paragrafi IIa 151.1 e IIa 279.2; queste ultime, tuttavia, implicano per loro natura una certa compartecipazione e vicinanza ai fatti narrati dalle annotazioni stesse e dunque, almeno in questo caso, è meno probabile che la mancata reprimenda di Fuscolillo sia dovuta ad impossibilia. Difatti, nel primo caso, l’annotazione della fusione di una campana viene completata con la precisazione del peso (si indica in corsivo la successiva integrazione): «A dì 14 de (set)te(m)bro, ch(e) fo sabbato de la viij° idi(ctione) 1549, fo colata la ca(m)pana nova de lo episcopato de Sessa de(n)tro lo palaczo p(er) m(essere) Ant(oni)o Siciliano in te(m)po de lo r(everen)do episcopo de Sessa p(er) nome chiamato m(essere) Bartholomeo Albano de Oriveto, et la ca(m)pana pesò ci(n)quo ca(n)tara se(n)<z>a le decine e rotoli.» (cfr. testo, IIa 151.1). Nel secondo, all’elenco dei prezzi fornito da Fuscolillo viene fatto seguire un esempio concreto esibito a riprova della validità dei dati forniti dallo stesso canonico: «A dì ii d(e) iunio159 valeo lo tu(mmu)lo d(e)l grano carlini septe et meczo, v(el) circha, et lo oglio lo sostaro carlini quattro et meczo, v(e)l circha, lo orgio carlini dui et meczo, v(e)l circha, lo rot(o)lo d(e) la carne la vacczina septe tornisi, la vetella gr(ani) cinquo. E chi no(n) lo crede cerchi lo sacchetto de li <vermicelli>.» (cfr. testo, IIa 279.2). Qualcuno poi espunge per due volte la precisazione alias d(e) Fracisco, ritenendo sufficiente l’indicazione de Sessa, nell’annotazione riportata di seguito; la cassatura non si può attribuire a Fuscolillo, poiché avviene in modi insoliti al canonico: «A dì 24 d(e)l mese d(e) iunio 1555, et d(e) lunedì, m(essere) Lucilio d(e) Sessa, alias d(e) Fracisco, fece lo ingresso et lo sermone, ch(e) intrò doctore in fhisicha allo segio d(e) Sessa et li uscìo inna(n)ti multa ge(n)te d(e) Sessa; et ce fo p(rese)nte lo r(everen)do ep(iscop)o 158 159 Cfr. § III.4.1 L’anno è il 1556. LXXII Nadia Ciampaglia Galeacio Florimo(n)te d(e) Sessa et lo s(ignore) do(n) Lope d(e) Arrera, et era vivo suo patre m(essere) Curcio alias d(e) Frac(isc)o d(e) Sessa et ce foreno despe(n)sati assai par(e) d(e) gua(n)ti et li fo facto assai honore, adteso ch(e) lo suo pat(r)e era medico d(e) Sessa.» (cfr. testo, IIa 246). III.4.1. Le correzioni di Cristofano Grimaldo Come si è già anticipato, conosciamo il nome dell’autore di alcune correzioni apportate nelle cc. 165r-167v al testo di Fuscolillo e accettate, seppure con qualche riserva, dal canonico. Si consideri il periodo seguente, estrapolato da una notizia del giugno 1548 (c. 165r): «et la causa fo ch(e) <a>lcuni sessani no(n) volsero far(e) una certa p(ro)cura d(e)ll’acqua co(m)parata ch(e) donaro li sessani allo il(lustrissi)mo s(ignore) ducha d(e) Sessa, p(er)ch(é) el sop(r)adicto s(ignor)e ducha d(e) Sessa, ch(e) era suo factor(e) lo s(ignor)e Ioa(n) Raniero ch(e) stava in Nap(u)li (…).» (cfr. testo, IIa 105.2). La precisazione d(e) Sessa, evidentemente perché ritenuta pleonastica, è stata cassata in entrambe le occorrenze da un intervento posteriore. Fuscolillo, accortosi delle correzioni effettuate in questa carta, si affretterà a ripristinare nuovamente nell’interlinea le parole espunte160, preoccupandosi nel contempo di avvisare il lettore riguardo alla paternità degli interventi: «Lo s(ignore) Cristofhano Grimalto lo have cassato, ch(e) li ho prestato q(ui)sto libro mai più d(e) li 1571.». Grimaldo aveva quindi ottenuto in prestito il libro delle Croniche, o forse solo alcune cartucze de adpu(n)ttature, nel 1571. Questo particolare, considerando anche il fatto che non si ritrovano nel codice annotazioni più tarde, fa ritenere che a questa data Fuscolillo doveva ritenere il suo libro ormai concluso. Ma chi era Cristofano Grimaldo? Un genovese venuto a Sessa nel 1555 come tesoriere di Carlo V, sicuramente uomo molto stimato, benché “forestiero”, per le sue doti umane e letterarie, come Fuscolillo altrove aveva annotato: «Del mese de aprile 1555, tercia idecima idictione, ve(n)ne in Sessa lo signore Christofhano Grimaldo preceptor(e) et thesaurero de sua M(ae)stà Carlo Qui(n)to imp(eratore), et re Philippo re de Nap(u)li, suo figlio; q(u)ale dicto s(ignor)e Cristofhano era sop(r)a tutti alt(r)i cassieri in T(er)ra de Laboris et co(n)tato de Molise, do(n)ne resestìo in Sessa et fece casa alla casa d(e) m(essere) Cola Pascali de Sessa. Lo sop(r)adicto s(ignore) Cristofhano era genoese, et se fece voler(e) bene et amare ad tuct<i> li ho(m)mini d(e) Sessa, piacebole allo parlar(e) et bene co(n)versar(e), et honorato homo et da bene.» (cfr. testo, IIa 42.1-3). Grimaldo era stato inviato a Sessa nel 1556 come co(m)messario de la grassa: 160 L’inchiostro adoperato è infatti differente da quello con cui è stata redatta l’annotazione. Introduzione LXXIII «Del mese d(e) iulio alli 26 d(e) anni 1556, in Sessa ce ve(n)ne lo signor(e) Cristofhano Grimaldo p(er) co(m)messario de la grassa (…).» (cfr. testo, IIa 2.1). Il prestito dové probabilmente scaturire da una richiesta dello stesso Grimaldo, magari desideroso di leggere un libro di memorie locali, piuttosto che dal desiderio del canonico di ottenere correzioni e suggerimenti per le proprie Croniche. In primo luogo, gli interventi di Grimaldo sono davvero un po’ troppo sporadici per essere il frutto di un sistematico lavoro di risistemazione del testo (si addensano, infatti, come s’è già detto, solo nelle cc. 165r-167v, vale a dire in una sezione davvero insignificante del codice); non v’è dubbio, poi, che Fuscolillo mostri di non aver molto gradito l’iniziativa del commissario; anzi, sembra così seccato di scoprire alcune delle sue correzioni che, nell’ansia di rimettere le cose a posto, finisce con il ripristinare frettolosamente nell’interlinea anche quella che in realtà era effettivamente una palesissima ripetizione a buon ragione espunta da Grimaldo, salvo poi ritornare sui propri passi. Si consideri il periodo seguente (si sottolineano le parole oggetto di correzione): «(…) et piatava el s(ignore) duca co(n) el pri(n)cepe ill(ustrissi)mo pre(n)cepe d(e) Stilgliano.» (cfr. testo, IIa 105.2). Fuscolillo inizialmente riscrive nell’interlinea el pri(n)cepe, a ragione cassato dal correttore, ma poi, accortosi della validità di quella correzione, espunge nuovamente la propria aggiunta interlineare. Forse per questo, nella stessa annotazione, il canonico si mostra più cauto e accetta altre due correzioni effettuate da Grimaldo, stavolta di natura sintattica. Si consideri il passo seguente: «et la causa fo ch(e) <a>lcuni sessani no(n) volsero far(e) una certa p(ro)cura d(e)ll’acqua co(m)parata ch(e) donaro li sessani allo il(lustrissi)mo s(ignore) ducha d(e) Sessa, p(er)ch(é) el sop(r)adicto s(ignor)e ducha d(e) Sessa, ch(e) era suo factor(e) lo s(ignor)e Ioa(n) Raniero ch(e) stava in Nap(u)li, et piatava el s(ignore) duca co(n) el ill(ustrissi)mo pre(n)cepe d(e) Stilgliano d(e)ll’accqua ch(e) veniva da la Roccha d(e) Mo(n)fino in Sessa.» (cfr. testo, IIa 105.2). Il periodo è strutturato con una sequenza ad anello davvero un po’ ingarbugliata, in cui la causale iniziale, interrotta da un’incidentale introdotta da un che obliquo, viene poi ripresa con un et paraipotattico (perché el sopradicto signore…et piatava el signore duca). Grimaldo risolve brillantemente il problema correggendo el sop(r)adicto>del sop(r)adicto ed eliminando il che (e, di conseguenza, anche l’incidentale); sicché, in definitiva, il periodo si risolve con una semplice coordinazione di due causali: G: et la causa fo ch(e) <a>lcuni sessani no(n) volsero far(e) una certa p(ro)cura d(e)ll’acqua co(m)parata ch(e) donaro li sessani allo il(lustrissi)mo s(ignore) ducha d(e) Sessa, p(er)ch(é) del sop(r)adicto s(ignor)e ducha era factor(e) lo s(ignor)e Ioa(n) Raniero ch(e) stava in Nap(u)li, et piatava el s(ignore) duca co(n) el ill(ustrissi)mo pre(n)cepe d(e) Stilgliano d(e)ll’accqua ch(e) veniva da la Roccha d(e) Mo(n)fino in Sessa. LXXIV Nadia Ciampaglia Grimaldo dà prova di essere davvero piacebole allo parlare, spingendosi ad apportare correzioni anche di natura stilistica: «P(er)ta(n)to lo s(ignore) do(n) Lope p(er) suo ordine, quale se ne parlava p(er) Sessa (…).» (cfr. testo, IIa 105.5). G: P(er)ta(n)to lo s(ignore) do(n) Lope p(er) suo ordine, come se parlava p(er) Sessa. Altri interventi mirano poi ad evitare alcune ripetizioni o sequenze ridondanti: «et certi alcuni sessani tenevano la parte d(e)l pre(n)cepe ch(e) era patrone signor(e) d(e) Thiano.» (cfr. testo, IIa 105.3). G: Et alcuni sessani tenevano la parte d(e)l pre(n)cepe ch(e) era signor(e) d(e) Thiano. In questo caso, però, Fuscolillo interviene nuovamente modificando certo in certi, ma non sembra, in realtà, che abbia colto il significato della correzione di Grimaldo: «et certo alcuni sessani tenevano la parte d(e)l pre(n)cepe ch(e) era signor(e) d(e) Thiano.». Grimaldo, da buon genovese, rifiuta la costruzione del complemento oggetto preposizionale, di marca chiaramente meridionale, e corregge alcune inesattezze nell’uso delle forme verbali. Anche in questo caso Fuscolillo sembra aver accettato le sue correzioni: «A dì primo d(e) iulio in la polita d(e) Sessa, co(n)gregati tucti li sessani co(n) lo s(ignor)e do(n) Lope covernator(e) d(e) Sessa alle 20 hor(e), facto co(n)siglio generale, li pregar(e) li sessani allo s(ignor)e do(n) Lope ch(e) levassero li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa.» (cfr. testo, IIa 105.7). La frase corretta da Grimaldo suona invece così: G: A dì primo d(e) iulio in la polita d(e) Sessa, co(n)gregati tucti li sessani co(n) lo s(ignor)e do(n) Lope covernator(e) d(e) Sessa alle 20 hor(e), facto co(n)siglio generale, li pregar(e)no li sessani lo s(ignor)e do(n) Lope ch(e) levasse dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa. Ancora, Grimaldo corregge mosso in mollificato nell’espressione di Fuscolillo: «(…) ch(e) certo haverriamo mosso uno sasso d(e) marmora ta(n)to li pregavano li sessani.» (cfr. testo, IIa 105.8). Altri interventi di Grimaldo mirano a correggere anche esiti fonetici comuni in Fuscolillo, come la palatalizzazione del nesso N + occlusiva velare sonora, la conservazione della vocale palatale anteriore in protonia, l’assimilazione: Introduzione LXXV lo(n)gno IIa 105.8 > lo(n)go; descese IIa 106.3 > discese; sidici IIa 106.4 > si(n)dici; sidico (IIa 106.5) > si(n)dico; ch(e) de lloro IIa 106.5 > chi de lloro; ad adcuni IIa 106.6 > ad alcuni. A Grimaldo, infine, si devono probabilmente anche due altre correzioni: scamorczavano (β1 ΙΙΑ 35.5) > scaramuczavano; Petro d(e) Castiglia (ΙΙΑ 105.1) > Petro d(e) Me(n)docza. III.5. Quadro cronologico delle annotazioni relative a Sessa Aurunca (II e IIA) 1113...............14 giugno [II 4]. 1188...............(24 giugno) [II 2]. 1200...............s.d. [II 3]. 1264...............agosto [II 44]. 1281...............25 febbraio [II 8]. 1345...............31 marzo [II 9]. 1450...............29 marzo [II 5]. 1470...............17 agosto [II 7]. 1485...............16 marzo [II 6]. 1511...............Domenica di Pasqua [II 13]. 1512...............s.d. [II 47]. 1518...............22 aprile [II 48]. 1524...............17 settembre [II 14], 19 settembre [II 15]. 1525...............26 febbraio [II 16.1], 6 dicembre [II 16.2], 6 dicembre [II 17]. 1526...............18 agosto [II 18], 20 settembre [II 20], novembre [II 20.9], novembre [II 20.13], 1 dicembre [II 21], 4 dicembre [II 21.4], ij dicembre [II 20.6], 4 dicembre [II 20.7], gennaio [II 21.8], marzo [II 21.10]. 1527...............25 dicembre [II 19], 4 marzo [II 19.4], 27 marzo [II 19.5], 27 agosto [II 19.6], 6 luglio [II 19.9], 15 maggio [II 22], 25 luglio [II 24], 6 marzo [II 42]. 1528...............3 marzo [II 23]. 1529...............12 agosto, ottobre, 4 novembre [IIa 14-17]. 1531...............4 agosto [II 25], 11 ottobre [II 28]. 1532...............14 settembre [II 26], 5 settembre [II 27], 27 giugno [II 31], 14 settembre [II 31.2], 20 luglio [II 31.4]. 1533...............26 gennaio [II 33], 15 giugno [II 35]. 1534...............s.d., 16 maggio [II 32], 4 aprile [II 34], 7 maggio [II 34.3], 12 maggio [II 34.4], s.d., 16 maggio [II 36]. 1535...............1 settembre (c. 1031)161. 1536...............24 marzo [II 37]. 1538...............18 gennaio [II 38]. 1539...............10 aprile [II 39], 10 giugno [II 40], 20 novembre [II 41], 10 aprile [II 43], 10 giugno [II 45]. 1540...............giugno [II 46]. 161 La notizia è stata espunta dallo stesso Fuscolillo: cfr. § III.1.5, tav. E e n. 128. LXXVI Nadia Ciampaglia 1542...............14 maggio [II 53]. 1543...............29 maggio, 31 agosto, 1 settembre [IIa 21-22; 23], 22 settembre162 [IIa 24], 27 giugno [IIa 26]. 1544...............25 giugno [IIa 27], 31 agosto [IIa 22.2], 7.8.9 luglio, 1 settembre [IIa 27-9], 29 dicembre [II 54], 2 gennaio [II 55], 24 dicembre [II 58]. 1545...............1 settembre, 8 ottobre [IIa 30-31], 24 ottobre (II 16.3). 1546...............10 marzo, 24 giugno, 24 agosto, 22 settembre [IIa 98-101], 19 giugno [IIa 372-375], 7 gennaio [II 52], 17 agosto [II 59]. 1547...............maggio-14 marzo 1548 [β1 IIa 34-36], 15 settembre, 10 ottobre [IIa 79-80], 16 febbraio [IIa 102], 21 ottobre [IIa 376]. 1548...............28-29 aprile-11 maggio [IIa 40-41] (a partire da 40.12 fino a 41, mano β2), 6 aprile [IIa 101.2], 27 aprile, 31 maggio, 30 giugno, 1 settembre, 8 settembre, [IIa 103-108], 19 settembre, 4 ottobre, 26 ottobre, 25 novembre, 16 novembre, 20 novembre [IIa 110-115]. 1549...............24 marzo [IIa 109], 3 gennaio, 4 febbraio, 6 aprile, 18 aprile, 23 maggio, 30 maggio, 31 maggio, 1 giugno, 6 giugno, 10 giugno, 20 giugno, 23 giugno, 24 giugno, 26 giugno, 29 giugno, 8 luglio, s.d., 27 giugno, 30 giugno, 12.3.8.13.15.18.19.20.21.25.27.29 luglio, 5.20 agosto, 3 settembre, 5.9.11.12.14.15 settembre [IIa 116-152]. 1550...............14.19.28 febbraio, 18.19.20 marzo, 28 aprile, 8 maggio, 6 agosto, 12 ottobre, 6 novembre, 11 dicembre [IIa 153-163]. 1551...............marzo, 2 febbraio, 14 maggio, 1 settembre, 10 settembre [IIa 164-8]. 1552...............maggio, 30 maggio, 8 giugno, 4.15.18.21 (2 notizie) 22.23 (2 notizie) 4.7.8.20.28.31 agosto, 8.9.22 settembre, 12.27.29 ottobre, 14 novembre, 2.4.17.18.19.20 dicembre [IIa 169-199], 9 aprile [II 56]. 1553...............4.6. gennaio, 16, 25 febbraio, s.d., 30 maggio, 3.21 giugno, 7.7. luglio, 23 novembre, 10 dicembre [IIa 201-212]. 1554...............1.8.16 gennaio, 29 maggio [IIa 213-215], 6.21.24 (2 notizie) giugno, aprilemaggio, giugno, 29 luglio, 26.31 agosto, 1 settembre, 3 settembre, 24 ottobre, 25.28 novembre [IIa 217-231], 23 marzo, 20 ottobre [IIa 234-7], 27 maggio [IIa 244], 28 maggio [IIa 380], 23 luglio [IIa 381]. 1555...............aprile [IIa 42-3], 21 aprile [IIa 233], 7.22.24 marzo, 14.30 aprile, 12.24 maggio [IIa 237-243], 15.24 giugno, 7.11.12.16.20.24 luglio, 10.19 agosto [IIa 245-254], 19 agosto, 12.17.19 settembre, 17.30 ottobre, dicembre [IIa 256262], 27 giugno [IIa 377], 23 aprile, 7 maggio [IIa 382-3]. 1556................s.d., 26 luglio [IIa 2], 12 agosto (3 notizie) [IIa 3, 4, 5], 13 agosto [IIa 6], 1 settembre (2 notizie), [IIa 7-8], 22 settembre [IIa 9], 26 settembre [IIa 10], 27 settembre [IIa 11], 24 ottobre [IIa 12], 12 dicembre [IIa 13], gennaio, 6 febbraio, febbraio-marzo, 26 marzo, 16.21.19, 22, 30 aprile, 7 maggio, maggio, 14.19 maggio, 2.4.11 giugno, 2.30 luglio, s.d., luglio, 6 agosto, 27.31 agosto, 3 settembre (2 notizie), 29 ottobre, 12.26 novembre, 10 dicembre (2 notizie) [IIa 263-292], 27 febbraio [IIa 378]. 1557...............s.d., febbraio, 28 febbraio, 4.6.8.9.10.14.17.20.28.29.31 marzo, 2.15 aprile, 6.13.20.27 maggio, 19 agosto, 12.14.30 settembre, 8 (2 notizie), 162 In realtà la notizia è segnata sotto l’anno 1534, ma si tratta probabilmente di un lapsus per 1543: cfr. § III.1.5, tav. E e n. 130. Introduzione LXXVII 11.14.15.17.24.26.27.28.30 ottobre [IIa 293-331], 19 novembre [IIa 333], s.d., febbraio [IIa 385]. 1558...............marzo [IIa 45], aprile [IIa 46], 26 maggio [IIa 47], novembre [IIa 48]. 1559................9 gennaio [IIa 49], 7 febbraio [IIa 50], 27 gennaio [IIa 51], 23 aprile [IIa 52], 11 maggio [IIa 53], maggio [IIa 54], 14 maggio [IIa 55], 14 maggio [IIa 56], 24 maggio [IIa 57], 1 giugno [IIa 58], 3 giugno [IIa 59], 3 giugno [IIa 60], 12 giugno [IIa 61], 25 giugno [IIa 62], 25 giugno [IIa 63], 18 luglio [IIa 64], 18 luglio [IIa 65], 18 luglio [IIa 66], 1 ottobre [IIa 67], 21 agosto [IIa 68], 20 agosto [IIa 69], 25 settembre [IIa 70], 7 ottobre [IIa 71], 19 ottobre [IIa 72], 22 ottobre [IIa 73], 24 ottobre [IIa 74], 2 novembre [IIa 75], 10 novembre [IIa 76], 30 ottobre (2 notizie), 1 novembre [IIa 81-3], 1.6 gennaio [IIa 216], gennaio [IIa 334], 26 gennaio, febbraio-marzo, 12 marzo, 27 marzo, 12 aprile, 12 marzo (copia contratto), 19 aprile, 20.26.30 aprile, 3 maggio, 4 giugno, 12.19 giugno (3 notizie), 19 giugno, 20.21 giugno, 2 luglio 8 luglio (2 notizie) 15 luglio, 4.6.11.18 (2 notizie) settembre, 30.9.24 ottobre, novembre [IIa 334-365], 15 luglio [IIa 379], luglio [IIa 84], 8.21 gennaio, [IIa 366-7], 27 ottobre [IIa 384]. 1560...............26 dicembre [IIa 77], gennaio-febbraio [IIa 78], 16 febbraio, 22 aprile 2 maggio, 15.16.30 maggio, 6 giugno, 22 agosto (2 notizie), 1 settembre, 29 settembre [IIa 85-95], 20 luglio [IIa 37], 9 settembre, 4 novembre-19 settembre [IIa 18-19-20], 1 aprile, 15 luglio [IIa 96-7], 6.15.16 giugno [IIa 368-70], 25 novembre [IIa 371]. 1561...............19 gennaio [I 107], ottobre-novembre [II 49], ottobre-novembre [II 51], 9 settembre, 4 novembre, 19 settembre [IIa 18-20], 20 luglio [IIa 37]. 1562...............25 ottobre [IIa 332], febbraio [I 108], 7 aprile [I 109]. 1563...............30 settembre [IIa 38], 27 agosto [IIa 386], 25 dicembre [I 110]. 1564...............4 giugno [IIa 32], 16 agosto [IIa 39], ? [IIa 255], 19 febbraio [II 61]. 1565...............28 giugno [IIa 81 bis], 28 giugno [IIa 387]. 1567...............3 agosto [II 50]. 1569...............2 agosto [II 62] mano α. 1571...............agosto-settembre [IIa 33]. 157<7>..........febbraio [IIa 385]. IV. L’EDIZIONE IV.1. Criteri di edizione Per l’edizione di testi autografi letterari o documentari pervenuti in unica copia, la conservatività è criterio concordemente indicato dagli studiosi163 e generalmente adottato da quanti si siano dovuti cimentare «nella descrizione e nella decifrazione 163 Cfr. A. CASTELLANI, Problemi di lingua, di grafia, di interpunzione nell’allestimento dell’edizione critica, in La Critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ott. 1984, Roma 1985, p. 239 e A. STUSSI, Nuovo avviamento agli studi di filologia italiana, Bologna 1988, pp. 181-2. LXXVIII Nadia Ciampaglia più esatta che sia possibile dell’unico testimonio»164. La «massima conservatività dell’edizione»165 si è imposta come esigenza fondamentale soprattutto per gli editori166 di testi cosiddetti “semicolti”, vale a dire per uno specifico tipo di produzione scritta in cui risulta essenziale il rispetto rigoroso di tutti quegli elementi che, solo in apparenza poco significativi, si rivelano invece indizi utilissimi per la ricostruzione di un particolarissimo profilo culturale. Rientrano senz’altro in quest’ambito anche le Croniche di Fuscolillo, qualora si considerino non i libri in cui il canonico si fa mero trascrittore di altre fonti, ma le annotazioni, per lo più originali, relative a Sessa Aurunca, che costituiscono la parte più ampia dell’intero codice e lo caratterizzano come una sorta di diario delle vicende pubbliche e private del piccolo centro, quasi una autobiografia “mediata”167. Nell’edizione del testo si adottano pertanto, trattandosi peraltro di codex unicus e in sostanza autografo168, criteri editoriali conservativi, secondo le indicazioni fornite da Stussi169 per le edizioni interpretative di un testimone unico. Il testo edito viene diviso per paragrafi; si considera un paragrafo ogni blocco di scrittura del codice dai confini ben definiti, scanditi dagli “a capo”. Il numero di paragrafo viene indicato nel margine sinistro della pagina, racchiuso tra parentesi quadre. Ogni paragrafo viene poi suddiviso in periodi in base alle pause sintattiche forti (punto fermo, doppio punto, punto e virgola) tramite un numero progressivo posto ad apice. A testo, il passaggio da una carta all’altra del manoscritto viene indicato con la doppia lineetta obliqua. Nell’apparato la linea obliqua singola indica invece il cambio di rigo (cfr. es. la/mata). Si usa il corsivo per la trascrizione dei documenti inseriti da Fuscolillo nel proprio testo: il brano in latino relativo al resoconto della prima sessione del concilio di Trento (cfr. testo, II 52); le copie dei bandi emanati rispettivamente nel 1531 dal cardinale Colonna, luogotenente di Carlo V (cfr. testo, II 29-30), nel 1554 da don Pietro Pacecco (cfr. testo, IIa 235-237), nel 1555 da Domigo Lopez de Ajspena (quest’ultimo trascritto dalla mano δ: cfr. testo, IIa 372-5) e nel 1559 per ordine del popolo romano co(n)tra quilli ch(e) terranno l’arme d(e) casa Carafha (cfr. II 69); 164 Cfr. P. MAAS, Critica del testo, Firenze 1963, p. 2. Cfr. N. DE BLASI, Fonti scritte quattrocentesche di lingua parlata: problemi di metodo (con una lettera inedita) in G. HOLTUS, E. RADTKE, Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen 1994, p. 346; cfr. anche P. D’ACHILLE, L’italiano dei semicolti, in L. SERIANNI-P. TRIFONE (a c. di), Storia delle lingua italiana. Scritto e parlato, Torino 1994, vol. II, p. 57. 166 Cfr. G. ROVERE, Un testo di italiano popolare del primo Ottocento, «Vox Romanica», 38 (1979), pp. 74-84; B. MORTARA GARAVELLI, Scrittura popolare…, cit.; N. DE BLASI, Tra scritto e parlato. Venti lettere mercantili meridionali e toscane del primo Quattrocento, Napoli 1982; M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese (1537-39), Firenze 1994. 167 Cfr. P. D’ACHILLE, L’italiano dei semicolti, cit., p. 55 e n. 17. 168 Cfr. § II. 169 Cfr. A. STUSSI, Nuovo avviamento…, cit., pp. 160-2. 165 Introduzione LXXIX infine, la relazione relativa all’apparizione dell’anticristo in Babilonia (β2 244). I brevi inserti latini presenti nel testo sono indicati invece in tondo. Con tre puntini inseriti tra parentesi tonde si segnalano carte del codice lasciate in bianco. Si racchiudono tre puntini tra parentesi quadre per indicare lacune insanabili del codice e la caduta di carte; tra parentesi quadre si ripristinano anche sillabe o parole mancanti per deterioramento meccanico del codice dando motivazione in apparato delle cause delle singole lacune (strappi, macchie d’inchiostro, “assorbimento” eccessivo del foglio nella rilegatura) e si propongono eventuali integrazioni congetturali. Tra parentesi angolari si indicano singole lettere e parole difficilmente leggibili o per guasto meccanico della tradizione o perché corrette successivamente su originarie scrizioni. Gli interventi si limitano, essenzialmente, all’inserimento della punteggiatura170, alla divisione delle parole, alla regolamentazione nell’uso delle maiuscole e minuscole, di accenti e di apostrofi secondo l’uso moderno e alla distinzione tra u e v, per le quali, in posizione interna, è adoperato nel codice lo stesso segno grafico. Riguardo ai primi due punti, preciso che non si è ritenuto opportuno seguire la linea conservativa più rigorosa già adottata da alcuni editori per testi semicolti di epoca più recente171 dal momento che, nel nostro caso, punteggiatura e segmentazione delle parole non possono ancora assumere, ovviamente, un valore distintivo172. Gli interventi di normalizzazione sono comunque stati condotti in modo quanto più possibile prudente, per evitare di oscurare, con un’eccessiva razionalizzazione, quei «particolari meccanismi di articolazione testuale» che si sviluppano in uno scritto privo di punteggiatura, supplendo «alla funzione segmentatrice e gerarchizzante propria dei segni interpuntivi»173. Per quanto riguarda la divisione delle parole, si interviene senz’altro nei tipi larmata, lalt(r)o, laquila, etc., in cui il legame articolo/sostantivo (/pronome /aggettivo) è semplicemente interpretabile come «realizzazione grafica di un’elisio- 170 L’uso dei segni di interpunzione è davvero molto raro in Fuscolillo, che solo sporadicamente adopera i due punti, inseriti per lo più per scandire nomi in sequenze, e più spesso una lineetta obliqua dopo e per indicare la forma verbale (ma spesso questo uso è impropriamente esteso anche alla congiunzione). Per quanto riguarda invece l’uso dei segni diacritici nelle altre mani (che adoperano, sebbene timidamente, il punto fermo, l’apostrofo, la virgola), cfr. § II.9. 171 Cfr. G. ROVERE, Un testo di italiano popolare…, cit., e B. MORTARA GARAVELLI, Scrittura popolare…, cit. 172 Difatti, nella prima metà del ’500 «l’uso moderno della punteggiatura, così come la segmentazione delle parole, sono ancora ad uno stato embrionale e anche scriventi colti adoperano il sistema interpuntivo in modo carente. Pertanto la presenza o l’assenza di punteggiatura, a questa altezza cronologica, non può essere considerata come un tratto individuante la scrittura semicolta, e, come tale, da mantenere in un’edizione» (cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese…, cit., pp. 12-13). Per un quadro d’insieme circa gli usi dei segni di interpunzione nel ’500, cfr. B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Firenze 1960 [rist. Milano 1994], pp. 349-50. 173 Cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese…, cit., p. 13; identica cautela già espressa da N. DE BLASi, Fonti scritte quattrocentesche di lingua parlata…, cit., pp. 347 ss. LXXX Nadia Ciampaglia ne»174; si rispetta invece l’uso del codice nelle forme del tipo lo octava, lo olive, una anno etc., in cui la mancata concordanza articolo/sostantivo è imputabile senz’altro ad un fallito tentativo di restituzione nella scrittura della vocale finale dell’articolo, oggetto di elisione nella pronuncia175. L’uso del codice è conservato anche nei casi in cui la grafia originaria può documentare una scarsa percezione da parte dello scrivente dei confini della parola nel continuum fonico, come accade, ad esempio, nei toponimi a la Tella, a la Magna. Per lo stesso motivo si conserva il tipo mo(n)signor(e) de lu/lo Treccho ‘Lautrec’. Al contrario, si interviene a separare i tipi missere Incandora > missere in Candora, missere Inpò > missere in Pò e missere Inpaschale > missere in Paschale, poiché l’in che precede il nome non è prostetico, ma corrisponde alla particella onorifica catalana en, probabilmente rappresentata anche nella lezione corrotta en fato (vedi infra)176. Le preposizioni articolate sono infine trascritte separate quando presentano la scempia (de la, da la), ma unite quando offrono invece la geminata (della, dalla); si trascrive sempre unito il tipo innel, innella, innelle, innelli. Si conservano le grafie latineggianti ed improprie, le oscillazioni nella resa grafica delle nasali e laterali palatali, l’uso di h anche impropria e falsamente etimologica e la scrizione ch per la occlusiva velare anche davanti ad a, o. Poiché non è sempre facile distinguere il gruppo ct da tt, si trascrive di volta in volta nel modo che sembra più fedele. Si continua inoltre la distinzione tra i ed y presente nelle Croniche, mentre si adotta una forma unica per i ed j177; del resto non è sempre facile distinguere i due grafemi. La j è tuttavia conservata quando indica l’ultima unità delle cifre romane minuscole178. Con un punto in alto si indica la caduta di consonante finale di parola, assimilata alla consonante iniziale successiva, a meno che l’assimilazione non sia già indicata da un raddoppiamento (ad es., i . quisto libro, i . Sessa; ma co mmulte, i llo). Si segnala con l’apostrofo l’aferesi (ad es., ’Ragona, ’giencziere ‘incensiere’, iurare ’magio ‘omaggio’; ma rende il magio), anche nei pronomi (’nce, ’nde). Si segnano con l’accento le forme di 3a pers. sing. del verbo essere (è, èy, ène) e quelle, rarissime, del verbo avere che si presentino nel testo senza h (ad es., à). Tra parentesi tonde si sciolgono le abbreviazioni; laddove le parole si presentino nella forma piena con oscillazioni, lo scioglimento è adeguato alla forma che com174 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, Scrittura popolare…, cit., p. 153. Ne è una controprova il tipo la altri, con i inserito nell’interlinea su a. 176 Per altri esempi antichi nel napoletano, cfr. in Loise De Rosa messere in Coreglia, lo sengniore in Bardasy e l’ampia rassegna offerta da V. FORMENTIN (a c. di), LOISE DE ROSA, Ricordi, Edizione critica del ms. Ita. 913 della Bibliothèque nationale de France, Roma 1998, to. I, p. 273 e n. 790; si veda inoltre misser in Pou (edito però Impou) in M. MARTI (a c. di), ROGERI DE PACIENZA, Opere, Lecce 1977, VII 886. La particella è anche in Lupo de Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO, cit. (s.v. em). Segnalo che l’in preposto a nomi di personaggi di origine catalana avrebbe valore prostetico secondo R. COLUCCIA, A. CUCURACHI, A. URSO, Iberismi quattrocenteschi e storia della lingua italiana, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 9 (1995), pp. 201-2. 177 Cfr. A. STUSSI, Nuovo avviamento…, cit., p. 161. 178 Cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese…, cit., p. 13, n. 13. 175 Introduzione LXXXI pare con frequenza maggiore. Tra i segni di abbreviazione più ricorrenti si segnalano: 1) titulus orizzontale ad indicare n o m; 2) titulus orizzontale ad indicare solo in un caso en 179: incom(en)zaro; 3) titulus sulla consonante finale di parola, sciolto in -e: frabicar(e), do(m)menech(e); 4) trattino orizzontale che taglia l’asta della h nel nesso ch, sciolto in ch(e); secondo il contesto, in alcuni casi si è reso necessario sciogliere invece in ch(i); 5) trattino orizzontale che taglia l’asta di d, ad indicare d(e); 6) p tagliata da titulus sciolto in p(er); p sormontata da titulus, ad indicare p(re) o p(rae); p con l’occhiello prolungato all’indietro, ad indicare p(ro); 7) trattino che taglia la l in vari nessi: ad es., ap(ri)le, Nap(uli), q(ua)le etc.; 8) trattino obliquo su amo sciolto in amo(re); trattino dritto su epo sciolto in ep(iscop)o; su Nap sciolto in Nap(uli); 9) trattino orizzontale che taglia l’asta della q sciolto in q(ui); trattino orizzontale sovrapposto alla q ad indicare q(ue); 10) segno simile a 9 in luogo di (con) o (com), anche in composizione; 9a sciolto in (contra); 11) o/i sovrapposte a consonante ad indicare il nesso ro/ri: alt° > alt(r)o, alti > alt(r)i, pimo > p(r)imo, pi cipe > p(r)icipe; mast° > mast(r)o etc.; 12) tra i nomi propri: Fraco > Fra(cis)co, Iac° > Iac(ob)o, Piet° > Piet(r)o, Ioai > Ioa(nn)i (con titulus su -oai), Ioi > Ioa(nn)i, Ioa > Ioa(nn)i (con titulus su -oa), Ioha > Ioh(ann)a (con titulus su -oha), Ant° > Ant(oni)o, Berno > Ber(nardi)no; 13) Infine: Il.mo > Il(lustrissi)mo, Il.ma > Il(lustrissi)ma, s.or > s(ign)or, se > s(ignor)e, s > s(ignore), S.ria > S(igno)ria, Ces. M.sta > Ces(aria) M(ae)stà, m. > m(essere), Ma > M(ari)a, mia > m(il)ia, X° > (Cristo), xstiani > (cri)stiani, m° > m(od)o, cap° > cap(itani)o, capii > cap(itan)ii, pio > p(r)i(m)o, p° > p(rim)o, p.to > p(redic)to, p.ta > p(redic)ta, ecc.a > ecc(lesi)a, Magd > Magd(aloni), idi > idi(ctione). In relazione allo scioglimento del titulus come nasale, occorre segnalare che si è preferito conservare180, per quanto atipiche, alcune forme quali cu(n)ssì, fo(n)sse, zo(n)ppi, co(m)me(n)ssari, vi(n)xe ‘visse’, nel dubbio che il fenomeno non possa ricondursi esclusivamente ad un fatto grafico. La serie, in effetti, non è poi così differente dal tipo, molto ricorrente nelle Croniche, A(b)bru(n)czo, adma(n)czano, 179 A. STUSSI, Nuovo avviamento…, cit., p. 30. Del resto è stato ampiamente dimostrato come sia «indispensabile rinunciare a emendare le forme che, con la loro inopportuna presenza, vengono ad incrinare una supposta regolarità linguistica del testo da pubblicare» poiché «qualsiasi tradizione espressiva, scritta o parlata, formale o informale, tende ad essere non omogenea.»: cfr. A. VÀRVARO, Autografi non letterari e lingua dei testi (sulla presunta omogeneità linguistica dei testi), in La critica del testo. Atti del Convegno di Lecce 22-26 ottobre 1984, Roma-Salerno 1985, p. 266. 180 Nadia Ciampaglia LXXXII gra(n)de(n)cze etc., in cui il titulus potrebbe rendere una nasale epentetica che, per un fenomeno di dissimilazione, sostituirebbe il primo elemento della geminata, secondo il documentato tipo menzu ‘mezzo’181. Per prudenza, si è scelto inoltre di conservare i tipi addò ‘andò’, addao, addare, trobbetta rinunciando all’integrazione della nasale, soluzione adottata invece da V. Formentin per le analoghe forme presenti nei Ricordi di Loise De Rosa182. Tento quindi di procedere con ordine, raggruppando in uno schema tutte le forme presenti in Fuscolillo. Nel gruppo della tabella A si leggono i casi che rientrano nei tipi già presenti in Loise. Nella seconda tabella B, invece, una serie di forme (comme(n)ssari, fo(n)sse, cu(n)ssì, vi(n)xe ‘visse’) che, pur apparentemente ascrivibili allo stessa tipologia di quelle inserite nella prima (a(n)ddò, a(n)ddero, tro(m)bbetta etc.) non sono tuttavia ad esse riconducibili, perché provengono da una geminata: per esse deve quindi esserci una spiegazione differente. Nella terza tabella C, infine, si raccolgono alcune forme provenienti sì, come le precedenti, da una geminata, ma in questo caso (se è corretto lo scioglimento del titulus come nasale) sicuramente dissimilate: del resto, per alcune di queste, esiste documentazione. Eccole: Tab. A ND a(n)ddò, a(n)ddero MB MP LB tro(m)bbetta ca(m)ppo a(m)bbi ‘alba’ addò, addero, addava, adao, adaro, adareaddao, addare no, adava, adasse, adare trobbetta, trobbette tro(m)becta campo, campi albi Tab. B SS PP 181 comme(n)ssari zo(n)ppi fo(n)sse cu(n)ssì vi(n)xe ‘visse’ Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, voll. 3, Torino 1966-69, § 334; per una più ampia trattazione del problema cfr. qui, § V.2.2.27 e V.2.2.28. 182 Nella sua pregevole edizione dei Ricordi, difatti, Formentin sceglie di integrare con la nasale i tipi a[n]ddò, tro[n]bbetta etc., interpretando il raddoppiamento come «conseguenza di una grafia compensativa per la lettera precedente non tracciata»: cfr. V. FORMENTIN (a c. di), LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to I, p. 90. Colgo qui l’occasione per ringraziare il prof. Vittorio Formentin che, prestandosi cortesemente ad esaminare la fenomenologia delle forme grafiche “abnormi” di Fuscolillo di seguito catalogate, ha voluto esprimermi il suo autorevole parere. Formentin, ribadendo la complessità e il fascino del problema «che si ripropone in tutte le scriptae volgari d’Italia, persino al Nord dove, in area di degeminazione, non ce lo aspetteremmo», propende per un’interpretazione senz’altro grafica e non fonetica di queste scrizioni, seppure, in determinati casi, di natura reattiva. Introduzione LXXXIII Tab. C ZZ BB CC Abru(n)zo, A(b)bru(n)czo adma(n)czano, ama(n)- gra(n)de(n)cze czava, a(m)mancero he(m)be a(n)cese Dunque, riassumendo e tentando di arrivare ad una conclusione: a) in Fuscolillo si registrano forme come adao, adare che farebbero pensare ad una semplice omissione del titulus (e che dunque, in quest’ottica, andrebbero trascritte a[n]dao, a[n]dare); ma compaiono anche numerosissime occorrenze del tipo addò, addao, addare, trobbetta con le corrispondenti già segnate da Fuscolillo con titulus (a(n)ddò, a(n)ddao, a(n)ddare, tro(m)bbetta, ca(m)ppo). Nella presente edizione si conservano, per prudenza, sia le prime che le seconde, rinunciando all’integrazione con la nasale, poiché si ritiene che la sequenza adao, addao, a(n)ddao (e trobbetta, tro(m)bbetta) possa dimostrare la tendenza all’assimilazione ND>DD, MB>BB183 e il successivo sviluppo di grafie ipercorrette, adottate proprio per reazione ad un fenomeno di assimilazione avvertito come dialettale. La controprova è senz’altro data da a(m)bbi ‘alba’ con assimilazione LB>BB e successivo ed evidente ripristino improprio184. b) Non sembrerebbero così lontane dalle precedenti le forme comme(n)ssari, zo(n)ppi, fo(n)sse, vi(n)xe, cu(n)ssì, vi(n)xe ‘visse’ raggruppate nella seconda tabella, se non per una differenza fondamentale: provengono infatti, da una geminata. Perché allora Fuscolillo adopererebbe anche qui il titulus? Non è possibile pensare – ovviamente – in questo caso ad una grafia compensativa, come si potrebbe pur ritenere, sulla scia di Formentin185, per la serie addò, addao. Nella presente edizione si è scelto dunque di conservare queste grafie nel dubbio che possano essere frutto di dissimilazione (secondo la tipologia raggruppata nella tabella seguente), anche se non è da escludere che possano essere frutto piuttosto di un uso ridondante del titulus186. c) Si sceglie infine di sciogliere con la nasale il titulus nei tipi raccolti nella tabella C, trascrivendo dunque Abru(n)zo, A(b)bru(n)czo, ama(n)czava, gra(n)de(n)cze, he(m)be, a(n)cese etc. Si è ritenuto difatti che, benché il titulus potrebbe 183 Per questo fenomeno, cfr. § V.2.2.26. Un medesimo meccanismo, del resto, potrebbe essere alla base delle scrizioni Sorbbello e morxe (pf. forte ‘morì’), inizialmente scritte Sobbello e moxe, e successivamente modificate da Fuscolillo con l’inserimento nell’interlinea della vibrante: cfr. § V.2.2.7. 185 Cfr. supra, n. 182. 186 In questo caso, difatti, e in assenza di forme scritte con la ‘n’ esplicita, Formentin propende per un uso ridondante del titulus, da connettere con l’impiego del trattino sovrapposto per indicare il raddoppiamento della consonante seguente, uso che sarebbe rappresentato dal seguente punto C. 184 LXXXIV Nadia Ciampaglia pur sempre essere stato adoperato, secondo un uso diffuso187, ad indicare il raddoppiamento della consonante successiva (he(b)be, a(c)cese etc.), non è da escludere, però, che esso rappresenti piuttosto una nasale epentetica e sostituisca il primo elemento di una consonante geminata; i suddetti tipi, dunque, si spiegherebbero come conseguenza di dissimilazione delle geminate, fenomeno per cui non mancano le attestazioni, in particolare nella nostra area188; si aggiungano poi il già citato tipo menzu, l’ant. salentino grandenza189 nonché la forma antende adoperata anche da Galeota190. Chi scrive, del resto, è ben abituata ad ascoltare nel napoletano attuale i tipi giumbotto ‘giubbotto’, sgambello ‘sgabello’ etc. Per i tipi raggruppati nelle ultime due tabelle sarebbe pur sempre valida, tenuto presente il grado di “oralità” del testo, l’ipotesi che l’epentesi possa essere piuttosto indizio di una pronuncia scandita, quasi una sorta di auto-verifica a voce da parte dello scrivente, attraverso cui passerebbe la scrittura. In quest’ottica, per esempio, è interpretato da F. Sabatini un ipercorrettismo quale cu(n)ssì nel Libro di Fioravante: «Si debbono appunto alla “interpretazione” diretta dell’impressione acustica, non confrontata con una ben nota immagine visiva della forma scritta, le omissioni nasali dei nessi consonantici (…) ed i casi inversi, con nasale impropria (conssì per cossì)…»191. Il fenomeno è ben noto a Fuscolillo, che usa spesso un titulus che parrebbe nato solo da una scansione “interna”: mo(n)glie, bata(n)glia etc192. Costituiscono invece un caso a parte i tipi La(d)dislao, ma(d)do(n)na, me(d)dico, ma(d)damma etc., in cui il titulus rappresenterà piuttosto il raddoppiamento della consonante seguente; per queste forme, infatti, la geminazione della consonante intervocalica è documentabile193. Tra parentesi quadre si inseriscono lettere mancanti per errore di scrittura; ad esempio, saranno sicuramente dovute a semplice lapsus forme quali vedeno ‘vedendo’ e ma(n)chano ‘mancando’, che si è scelto di emendare rispettivamente in 187 Cfr. A. CASTELLANI, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-76), III, Roma 1980, pp. 213-14; A. STUSSI, Studi e documenti di storia della lingua e dei dialetti italiani, Bologna 1982, p. 166 n. 17; ID., Nuovo avviamento…, cit., p. 30. 188 La dissimilazione è in particolare attestata per la geminata -CC- nel dialetto di Pignataro Maggiore (CE), non distante da Sessa Aurunca: ad es. suncorpo ‘soccorpo’; il gruppo dissimilato può presentare successiva lenizione, come accade nel tipo angappà nap. ‘acchiappà’; cfr. S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno-sidicino. Fonesi e metafonesi del medio versante destro del Volturno (a c. di A. Martone), Tesi di Laurea discussa nell’anno accademico 1954-5, Capua 1997, p. 38 e n. 14. 189 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica…, cit., §334. 190 La forma è segnalata da V. Formentin, per il quale, però, la nasale «potrebbe indicare il raddoppiamento della consonante seguente, uso connesso con quello, variamente diffuso e presente p. es. nel ms. parigino di De Rosa, del titulus con uguale funzione»: cfr. V. FORMENTIN (a c. di), FRANCESCO GALEOTA, Le lettere del ‘Colibeto’, Napoli 1987, p. 56; cfr. anche A. SCHIAFFINI (a c. di), Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze 1926 (rist. 1954), p. 265. 191 Cfr. F. SABATINI, Napoli angioina…, cit., p. 285 n. 128. 192 Per i tipi co(n)sie(n)tia, co(n)vernatore, I(n)no(n)ce(n)tio etc., cfr. §V.2.2.28. 193 Cfr. V.2.2.30. Introduzione LXXXV vede[n]no e ma(n)cha[n]no194, ripristinando la nasale con tutta probabilità caduta per omissione del titulus. Non si ripristina tuttavia la nasale in forme quali pricipe, p(ri)cipessa, Fracisco etc., poiché si condivide il dubbio che in questi casi l’assenza della nasale «possa rispecchiare un’effettiva tendenza fonetica» e non sia piuttosto un mero fatto grafico195. Non si reintegra analogamente la vibrante preconsonantica in forme quali mecata(n)cia, quattodici, poiché in questi casi l’assenza della consonante rispecchierà evidentemente un fatto fonetico, vale a dire la tendenza all’assimilazione: ne sono prova i numerosi casi in cui la vibrante è stata o successivamente inserita nell’interlinea o riscritta su una precedente consonante assimilata, come accade ad esempio nelle forme archo, cerchare, merchato, in cui le scrizioni originarie erano in realtà accho, cecchare, mecchato196. Per cautela si è scelto di non emendare neppure i tipi Fanza ‘Franza’, reintigò, nove(m)bo. La vibrante è stata invece restituita nella forma la/mata > l’a[r]mata, poiché in questo caso l’omissione sarà dovuta a uno scorso di penna indotto dalla divisione della parola tra la fine di un rigo e l’inizio del successivo. Analogamente sarà un lapsus l’assenza della vibrante, che si ripristina, in soctosc[r]ipto. Non si reintegra infine la laterale in l’utimo ‘l’ultimo’ e at(r)a ‘altra’, poiché il dileguo della l preceduta da vocale e seguita da consonante è fenomeno diffuso in area campana197. Per ovvi motivi, nella trascrizione del Sommario latino s’è scelto di non apportare alcuna correzione al testo, considerati tra l’altro i numerosissimi errori e fraintendimenti commessi da Fuscolillo durante la trascrizione dalla fonte198 e la scarsa competenza mostrata nella comprensione della struttura sintattica della lingua latina che, essendo in più casi investita da fenomeni di natura dialettale (ad es. il raddoppiamento della consonante intervocalica, l’assimilazione vocalica, l’epentesi della nasale etc.199) fornisce in questa sede testimonianze preziose. Si indicano tuttavia i luoghi in cui il confronto con la Breve Informazione permette di individuare lacune nel testo ed un evidente caso di saut du même aut même. 194 Per l’assimilazione ND>NN, cfr. § V.2.2.26. Cfr. R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO, Cronaca…, cit., pp. LXVI-LXVII e nn. 1-2; già F. SABATINI, Napoli angioina…, cit., p. 285 n. 128. 196 Cfr. V.2.2.7 e V.2.2.26. 197 Cfr. N. DE BLASI in P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, La Campania, in F. BRUNI (a c. di), L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, Torino 1992, p. 630; per il fenomeno in Italia meridionale, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica…, cit., § 243; per la forma utimo in ambito toscano, in particolare cfr. E. POPPE, Tosc. “l’atro” ‘l’altro’: sardo “at(t)eru”, «Lingua nostra», 24 (1963), p. 100. 198 Ad es., S 12.8 mensis seu > mensis sex; S. 15.1. certitu > exercitu; 20.1 in plerio > in proelio; S. 21.2 regi Magome > regi Ragone. 199 Cfr., ad esempio, cappulata ‘copulata’, do(m)minaba(n)tur, Ca(m)mera(m), i(m)paratore(m), imparator(e), appresus, Co(n)sta(n)tinu(m). 195 LXXXVI Nadia Ciampaglia Per quanto riguarda invece la sezione iniziale del terzo libro tramandante la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo, si emenda la lezione III 26.2 lo castello d(e) Sa(n)to Grassino in lo castello d(e) Sa(n)to Erassmo; sono state inoltre accettate le due piccole integrazioni di Bartolomeo Capasso volte a colmare altrettante lacune del codice, confermate da collazione con il ms. X C 31 della Nazionale di Napoli (cfr. §II.6). Si dà invece segnalazione in apparato di alcune correzioni di data effettuate con ogni probabilità dallo studioso in alcune notizie raccolte nel primo libro. In quest’ultimo una piccola lacuna a c. 21r (presente nella cronaca anonima del regno di Napoli200) è stata risolta grazie al confronto con la notizia corrispondente tramandata dai Giornali di Giuliano Passero201. Si emenda, infine, la lezione en fato duca d(e) Calabria in en Alfonso duca d(e) Calabria, ritenendo che si tratti del già segnalato (cfr. sopra, n. 176) titolo onorifico en premesso ai nomi di origine spagnola (e cfr. I 53 lo duca d(e) Calabria nomine do(n) Alfo(n)so). Si segnala che in numerosi casi si è intervenuti sul testo ad emendare quelle che sono state interpretate come patologie “meccaniche” della scrittura di Fuscolillo, che tende ad assimilare e dissimilare graficamente vocali contigue202: ad es., III 17.5 suo moglie > sua moglie; III 38.1 gelere > galere. Non si emenda invece III 58.13 voctoria, perché non è da escludere che si tratti di un fatto fonetico. Nei casi in cui la vocale finale di una parola sia stata sostituita con quella iniziale di una parola seguente, si è preferito non apportare alcuna correzione al testo (es. la anno III 13.2). L’uso grafico potrebbe difatti rispecchiare qui il fenomeno dell’elisione ed avere lo stesso valore del moderno apostrofo, come accade frequentemente, ad esempio, in Loise De Rosa203. Ne è una prova, ad es., ne a(n)dò III 35.4, in cui la -e risulta corretta su una precedente a (naandò). Tutti gli interventi di varia natura (segni, emendamenti etc.) di cui si dà notizia in apparato si intendono operati, se non meglio specificati, dallo stesso Fuscolillo. Vanno a testo le integrazioni apposte successivamente dal canonico in margine alle proprie annotazioni, perché esse costituiscono parte integrante delle Croniche, documentandone il valore progressivo204; esse vengono invece segnalate solo in apparato quando riguardano riferimenti interni ad altri libri o carte (es. reverte follium, sequita ad carti…etc.). Sono state trascritte in apparato anche le correzioni apposte da Cristofano Grimaldo, dato che lo stesso Fuscolillo mostra esplicitamente di non riconoscerne la validità; sono state accettate invece a testo le due integrazioni ag- 200 Cfr. § III.1.2. Si tratta dell’integrazione [lo figlio]; cfr. Bibl. Naz. Napoli, Branc. IV B 10, c. 60r: et ancora ammazzaro lo figlio dello conte di Capaccio per mano di d. Consalvo Ferra(n)te. 202 Per le particolarità grafiche dei Ricordi di Loise, in cui pure si registra di frequente la tendenza all’assimilazione e dissimilazione grafica, cfr. V. FORMENTIN, Scrittura e testo...cit., pp. 16 s. 203 Ad es., in Loise si legge la abbe in luogo di lo abbe: cfr. V. FORMENTIN (a. c. di), LOISE DE ROSA, Ricordi…, cit., to. I, pp. 94-5. 204 Cfr. III.3. 201 Introduzione LXXXVII giunte in margine a due annotazioni da una mano non identificata205, perché esse mostrano una certa vicinanza e compartecipazione ai fatti narrati e non è da escludere che siano state inserite con il suo consenso. Per lo stesso motivo, infine, si è lasciata a testo la breve annotazione della mano α, reputando, da un lato, di aver rispettato in questo modo la stessa volontà del canonico, che sembrerebbe aver guardato con delicata comprensione all’ingenua annotazione della piccola Vittoria della Pietra, e di dar prova in modo esemplare, dall’altro, della natura “aperta” di questo interessantissimo diario delle vicende di Sessa Aurunca. IV.2. L’edizione Capasso Accingendosi alla sua pur pregevole iniziativa editoriale, Capasso era però destinato inevitabilmente a fare i conti, per così dire, con un “difetto” d’origine: quello di essere uno storico, come è ovvio, più che un filologo e/o un linguista206. Nella breve introduzione premessa all’edizione207 difatti, lo studioso si limitava solo a dare una sommaria descrizione del contenuto del codice, senza addentrarsi nei complessi problemi relativi alle modalità di composizione del testo. Capasso, tra l’altro, non si accorse della presenza nel manoscritto di carte redatte da altre mani e, se pure segnalava la decisione di trascrivere solo una parte dell’ampio materiale cronachistico raccolto da Fuscolillo, operando una mirata e dichiarata selezione, non accennava però minimamente, d’altro canto, alla scelta di pubblicare quelle stesse notizie, ad evidente utilità del lettore, secondo una lineare sequenza cronologica priva di corrispondenza, tuttavia, con la reale struttura delle Croniche di cui, in sostanza, non colse la natura “progressiva” ed aperta. Capasso, dunque, trascrisse per intero unicamente la cronaca anonima del regno di Napoli (vale a dire la sezione contrassegnata dal canonico come primo libro) e solo parzialmente, raggruppandole sotto l’inesatta208 definizione di «Note estratte dal libro II e III delle Croniche», le annotazioni originali relative a Sessa Aurunca (in parte presenti effettivamente nel secondo libro e in parte maggiore giustapposte, in realtà, dopo il libro terzo, senza apparente incipit209) tra le quali, però, preferì tralasciare «quelle di minore importanza, o estranee alle nostre provincie» e stampare «solamente le altre che ci riguardano e meritano l’attenzione de’ posteri»210. Le scritture formanti il terzo libro furono invece «più opportunamente riserbate per 205 Cfr. § II.9 e III.4. Relativamente recente, del resto, è la data di nascita della disciplina, con l’istituzione nel 1938 a Firenze della prima cattedra di Storia della Lingua Italiana, affidata a Bruno Migliorini, e la successiva pubblicazione della sua monumentale storia della lingua italiana (cfr. B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana…, cit.). 207 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., pp. 35-43. 208 Così si legge difatti a p. 533 dell’ASPN; ma il terzo libro delle Croniche, come s’è visto, non contiene annotazioni originali di Fuscolillo: cfr. § III.1.4. 209 Il codice infatti risulta in questo punto mancante di due carte: cfr. il prospetto grafico in § II.4. 210 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 42. 206 LXXXVIII Nadia Ciampaglia altra pubblicazione»211. Nell’edizione Capasso si leggono così solo ventidue paragrafi del secondo libro (su un totale di sessantatré) e cento otto paragrafi tratti dalle annotazioni originali relative a Sessa Aurunca (su un numero complessivo di trecentottantotto); in definitiva, meno di un terzo dell’intera opera212. Scarsa attenzione fu riservata, tuttavia, all’aspetto linguistico del testo. Ne è già una spia, per quanto minima, l’imprecisione con cui Capasso trascrive il nome del religioso: Gaspare, anziché Gasparro213. In primo luogo, benché lo studioso dichiari nell’introduzione di conservare sempre l’ortografia del manoscritto, correggendola solo «quando essa poteva, coi suoi errori, ingenerare equivoco o dubbio nell’animo del lettore»214, grande anarchia sembra piuttosto dominare nelle scelte di trascrizione, non sempre dettate da criteri coerenti215. Né tantomeno la suddetta edizione risulta attendibile per chi di essa volesse servirsi come base per uno studio storico-linguistico delle Croniche: Capasso talvolta inserisce arbitrariamente fenomeni del tutto inesistenti216; oppure, al contrario, effettua correzioni di scrizioni che testimoniano in realtà particolari e- 211 Ivi, p. 43. Nell’edizione del 1876 risultano infatti trascritti i §§ II 18, 19.1-3, 19.9-11, 21.1-5.21.6-7, 22, 23, 24, 27, 28, 31.4-5, 34.3-4, 35, 36, 37, 38, 46, 53, 54, 55, 58, 59 e i §§ IIa 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 34, 35, 36, 40, 41, 55, 56, 58, 60, 64, 68, 69, 74, 80, 98, 100, 101, 104, 105, 107, 119, 126, 128, 129, 130, 131, 137, 138, 139, 141, 147, 154, 159, 171, 174, 176, 177, 178, 180, 182, 183, 188, 192, 196, 199, 200, 201, 202, 203, 206, 219, 224, 228, 246, 252, 279, 280, 286, 292, 294, 296, 297, 299, 300, 301.1-4, 304, 305, 306, 307.1-3, 314, 315, 316, 317, 318, 319, 320, 321, 326, 339, 341, 348, 352, 369, 372, 373, 374, 375, 376. 213 L’antroponimo compare infatti con la scempia solo nel titolo del foglio di guardia anteriore (che è però stato apposto da altra mano e dove peraltro suona Gasparo: cfr. n. 13), mentre invece lo stesso Fuscolillo scrive sempre Gasparro. Anche la mano α scrive dopno Gasparro (cfr. testo, II 62.1). 214 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 43. 215 Ad esempio, se spesso la grafia ch dinanzi a vocale velare viene uniformata (I 18.1 Bia(n)cha > Bianca; I 23.1 Bia(n)cha > Bianca, I 74.4 Federicho > federico), non mancano però i casi in cui, al contrario, Capasso trascrive cha/cho invece di ca/co (ad es. cfr. IIa 147.1 duca > Ducha, 56.1 Toschana > Toschana, 57.1 Turcho > Turcho). Medesima sorte tocca alle grafie rappresentanti la nasale palatale, talvolta rispettate (cfr. I 73.1 Spa(n)gnia > Spangnia, IIa 203.1 Spa(n)gna > Spangna), talvolta invece corrette con un intervento che cancella le tracce di particolari consuetudini grafiche, se non addirittura le testimonianze di un particolare esito fonetico (ad esempio, I 75.1 lengio > legno, I 76.9 pingio > pingnio). Un differente trattamento è riservato anche alle affricate dentali, solo raramente rispettate nella loro scrizione originaria (es. I 75.7 marczo > marczo, I 75.8 marczo > marczo, I 75.6 marczo > marzo, IIa 203.1 morze > morcze, I 8.1 Petruczia > petruzia) e alle laterali palatali, nella cui trascrizione si registrano incoerenti ed ingiustificate oscillazioni (es. I 59.1 talgliero > tagliero, I 84.6 almiralglio > almiraglio, I 67.3 co(n)silglio > consiglio, IIa 8.1 cavalli > cavalgli, IIa 177.1 sallgliero > sallghiero etc). Va detto, però, che maggior attenzione si riscontra invece nella pubblicazione del primo libro. 216 Nell’edizione Capasso si leggono, infatti, alcuni dittonghi metafonetici e/o spontanei, in realtà poco o per nulla rappresentati nelle Croniche: ad esempio, IIa 104.21 giorno > juorno, I 88.9 ge(n)telo(m)mini > genteluomini. Cfr. § V.2.1.1. 212 Introduzione LXXXIX siti fonetici217 o fatti morfologici218 o fenomeni di vario genere219; o ancora, commette numerose imprecisioni nella trascrizione di protoniche e postoniche220; o, infine, si imbatte in eclatanti e fuorvianti sviste221. Ancora più insidiose si rivelano, infine, frettolose correzioni di apparenti «inutili ripetizioni del Fuscolillo»222, da leggere piuttosto come preziose spie sintattiche (impropriamente occultate dagli interventi di Capasso) di una scrittura dalla forte dimensione “orale” che, riproducendo modi e forme del parlato, incorre in tematizzazioni, cambi di progetto nella costruzione della frase e involontari chiasmi: tutti fenomeni, questi, diffusissimi nell’espressione orale, scarsamente pianificata e in continua ristrutturazione. Si consideri, ad esempio, il periodo seguente: «et p(er)ch(é) lo dicto Pietr<o> Grella, secu(n)do deceva la carta messa in piaczia, se trovò ch(e) ad Capua valeva la carne d(e) vaccha lo rotholo vinti dinari p(er)ch(é) ce stava uno tornese p(er) rotholo p(er) le mura ch(e) se facevano in Capua p(er) la gabella posta da capuani, et la carta no(n) ce lo reservò p(er) non saperno più li sessani tale adverte(n)cia d(e) gabella d(e) Capua, bisognò lo dicto Pietri ve(n)der(e) ad vinti dinari la vaccha.» (IIa 228.3). È evidente, in questo caso, un cambio di progetto nella costruzione della frase. Infatti, secondo un fenomeno diffusissimo nel parlato e qui riprodotto nella scrittura, la proposizione causale viene bruscamente interrotta e lasciata in sospeso, sull’impeto di una costruzione sintattica che rispecchia fedelmente il parlato. Ma Capasso, per quieto vivere, elimina meno problematicamente lo dicto Pietr<o> Grella; nell’edizione del 1876 si legge difatti: «et p(er)ch(é) lo dicto Pietr<o> Grella, secu(n)do deceva la carta messa in piaczia, se trovò ch(e) ad Capua valeva la carne d(e) vaccha lo rotholo vinti dinari p(er)ch(é) ce stava uno tornese p(er) rotholo p(er) le mura ch(e) se facevano in Capua p(er) la gabella posta da capuani, et la carta no(n) ce lo reservò p(er) non saperno più li sessani tale adverte(n)cia d(e) 217 Ad esempio, è eliminato con disinvoltura l’interessante sviluppo consonantico NG> ñ (I 65.1 logno > longo), il betacismo (I 2.2 ad Veneve(n)to > ad benevento), il raddoppiamento della nasale intervocalica (I 69.2 lu(n)nedì > lunedì, I 78.6 no(m)minata > nominata, II 30.1 co(m)ma(n)dame(n)to > comandamento, II 30.4 nu(m)mero > numero, II 36.12 se(m)minare > seminare etc.). 218 Ad esempio, Capasso elimina con i suoi interventi alcuni infiniti apocopati (I 89.6 fece rende > fece rendere, IIa 13.1 mecte > mecter) e forme forti del perfetto (I 86.10 posse > pose). 219 Spesso, ad esempio, si eliminano le tracce della metatesi (I 75.1 vernedì > venerdì, I 84.5 calvachò > cavalchò); oppure, si inserisce l’epitesi (I 89.6 ne è > ne ey) forse estendendo erronemente un uso solo in due casi effettivamente presente (I 12.1 èy, IIa 33.2 hèi). 220 Ad es. I 78.10 pognalo > pugnalo, I 81.1 vergene > vergine, IIa 8.3 trovarrite > truvarrito, IIa 11.3 sessani > sissani, IIa 11.4 nesciuno > nisciuno, IIa 22.1 quidici ducati > quindeci docati etc. 221 Valga per tutti l’equivoco che porta a trascrivere il toponimo Barberi ‘la piazza delli Barbieri’ II 24.1 in harberi ‘alberi’, scaturito dal mancato riconoscimento del monottongo (l’area sessana non è soggetta difatti a dittongamento: cfr. § V.2.1.1). 222 Cfr. B. CAPASSO, Le cronache de li antiqui ri…, cit., p. 533. XC Nadia Ciampaglia gabella d(e) Capua, bisognò lo dicto Pietri ve(n)der(e) ad vinti dinari la vaccha.» (IIa 228.3). Anche nei periodi riportati di seguito gli interventi di Capasso eliminano altrettanti interessanti esempi di cambio di progetto della frase in cui Fuscolillo è incorso nel tentativo, indubbiamente un po’ maldestro, di mettere per iscritto il proprio discorso che rimane, in sostanza, ‘orale’: a. «(…) fo nova ch(e) li soldati adbuctinati d(e) s(ignore) Alonso ch(e) stavano ad Cervano et Sa(n)to Elia d(e) la batia d(e) Sa(n)to Germano d(e) Mo(n)tecasino, ch(e) se diceva ch(e) veniano in Sessa.» (cfr. testo, IIa 28.1). «(…) fo nova che li suldati adbuctinati de signore Alonso, che stavano ad Cervano et Santo Elia de la batia de Santo Germano de Mo(n)tecasino, ch(e) se diceva ch(e) venivano in Sessa.» (ed. Capasso 1876). b. «(…) in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho del Barbarosso, capitanio d(e) dicta armata, fo nova in Sessa ch(e) l’armata havea abrusiata P(ro)ceda et u(n) casale d(e) Ischa.» (IIa 27.1). «(…) in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho de Barbarosso Capitanio de dicta armata fo nova in Sessa ch(e) l’armata havea abrusciata Proceda et un casale de Ischia.» (ed. Capasso 1876). Analogamente, Capasso tenta di risolvere alla ben meglio alcune costruzioni sintattiche a suo parere “errate”: si tratta di tematizzazioni a sinistra con relativo anacoluto: c. «A dì 20 d(e) iunio 1558 li sessani p(er) ordine de lo s(ignore) do(n) Lope fo facta la mostra d(e) li homini de la cità de Sessa.» (cfr. testo, IIa 352.1). «A dì 20 d(e) iunio 1558 li sessani p(er) ordine de lo s(ignore) do(n) Lope fo facta la mostra d(e) li homini de la cità de Sessa.» (Capasso 1876). d. «La matina lo r(everen)do ep(iscop)o co(n) can(oni)ci et clero fo facta una p(ro)cessione alla U(n)ciata d(e) Sessa et fo ca(n)tata la messa. » (cfr. testo, IIa 314.3). «la matina da lo Reverendo episcopo, canonici, et clero fo facta una p(ro)cessione alla U(n)ciata d(e) Sessa et fo ca(n)tata la messa.» (ed. Capasso 1876). Talvolta, invece, Fuscolillo incorre in involontari chiasmi: e. «(…) et la ditta armata se esistimava ch(e) ce fosse d(e)(n)tro el Barbarosso et lo pre(n)cepe d(e) Amelfe et lo co(n)te d(e) l’Aguillara in la dicta armata.» (cfr. testo, IIa 26.2). Introduzione XCI «(…) et la ditta armata se esistemava che ce fosse dentro el Barbarosso et lo prencepe de Amelfe et lo conte de Laguillara in la dicta armata.» (ed. Capasso 1876). Non sfuggono alla reprimenda del Capasso anche le più comuni concordanze ad sensum, eliminate con uguale disinvoltura: f. «(…) ongniuni de lloro decevano.» (cfr. testo, IIa 128.5). «(…) ongni uno delloro deceva.» (ed. Capasso 1876). Va da sé, dunque, che a dir poco fuorvianti sono le informazioni di tipo sintattico offerte dalla trascrizione dell’ASPN223. Di seguito si può leggere l’elenco completo degli errori (o, se si preferisce, di scelte arbitrarie) di trascrizione riscontrati nell’edizione Capasso224. Libro primo: 1.1 succissiuni > successiuni, 2.1 admaczato > admazzato, 2.2 ad Veneve(n)to > ad benevento, a(m)maczao > admazao, ca(m)pagnia > campagna, 3.1 rebbellao > rebellao, 4.1 marczo > marzo, lu(n)nedì > lunedì, incominsao > incominzao, 5.1 Fiore(n)czia > Fiorenzia, 5.2 spacio > spatio, 5.3 succeso > successo, Fiore(n)czia > Fiorentia, 6.1 Aragonia > Aragonio, sacchigiao > sacchiggiao, Vechi > vecchi, 7.1 admaczar(e) > admazare, Caracziola > Carazzola, 7.2 fo > fu, 8.1 senescalcho > senescalco, Petruczia > petruzia, 9.1 Raniri > Ranieri, 10.1 figliola > filiola, Co(n)sta(n)czia > Costanzia, 11.1 no(vem)b(r)o > novembre, do(m)minicha > dominicha, 13.1 ce fo pogliate > ce fo pegliato, 13.2 ge(n)telo(m)mini > gentelomini, 13.3 portati p(re)sone > portati presoni, Milana > Milano, 14.1 mogliere > mogliera, 15.1 quali era > quale era, 16.1 Ragona > aragona, 16.2 Castilglia > Castiglia, admaczato > admazzato, 18.1 Bia(n)cha > Bianca, Milana > Milano, 19.1 Bia(n)cha > Bianca, Milana > Milano, 21.1 lu(n)nedì > lunedì, Bia(n)cha > Bianca, Milana > Milano, Felippo > filippo, 22.1 mo(n)glier(e) > mogliera, 23.1 Bia(n)cha > Bianca, Milana > Milano, 24.1 mo(n)gliere > mogliera, i(m)parator(e) > imperatore, 25.1 inparator(e) > Imparadore, 26.1 pilgliao > pigliao, sacchigiatola > sacchigiaola, 26.2 talgliao > tagliao, inparator(e) > imparatore, inparator(e) > imparatore, 27.1 Milana > Milano, Fracisco > Francisco, 28.1 Bia(n)cha > Bianca, Milana > Milano, 29.1 terramuto > terramoto, uno alt(r)o > un altro, 30.1 Milana > Milano, 31.1 è > ey, Do(m)minicho > dominicho, 32.1 Ferrate > ferrante, 34.1 Capitinata > Capitinata, 36.1 Atonio > antonio, 36.2 nasseo > nascio, 37.1 Milana > Milano, 37.2 Co(n)sta(n)tino > Costantino, 38.1 Ferrate > ferrante, 40.1 ve(n)ni > venne, Milana > Milano, 43.1 figliole > figliola, plubicao > pubblicao, Ugaria > Ungaria, Ugarie > 223 Si ricordi, a questo proposito, che lo studio sintattico di P. D’Achille (ID., Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana…, cit.), è stato condotto proprio sulla base dell’edizione Capasso. 224 In ogni coppia la prima scrizione è la lezione tramandata dal codice, la seconda è invece quella che si legge nell’edizione Capasso. Non si prendono in considerazione, ovviamente, le differenti scelte relative allo scioglimento delle abbreviazioni (ad es., d(e) > di, moglier(e) > mogliera, s(igno)ri > signuri) e si tralasciano i casi di nasale omessa da Fuscolillo e ripristinata, seppur non costantemente, da Capasso. XCII Nadia Ciampaglia Ungaria, 43.2 incoronò > incoronao, 44.1 a(m)maczato > amaczato, Galiaczo > Galiazo, Bia(n)cha > Bianca, 44.1 Alt(r)e soi creati > altri soi creati, 45.1 ’Ragona > aragona, 45.1 de re > del re, 45.1 d’arme > darme, 47.1 da la > de la, 56.2 sforcza > forcza, 58.1 turchi et turche > turchi et turchi, 58.1 zoè > zo’ e’, 59.1 talgliero > tagliero, 59.1 pecczi > peczi, 59.1 gi(n)tilomo > gentilomo, 59.1 gi(n)tilomo > gentilomo, 60.1 d(e) lo re > d(e) re, 60.3 Selerno > Salerno, 60.3 alcero > alzero, 61.1 ad presone > da presone, 62.1 redìo > rendio, 62.1 de la Atorre > de la torre, 64.3 pilgliato > pigliato, 64.4 seque(n)te > seguente, 64.5 adco(n)czate > adconzate, 65.1 bru(n)czo > brunzo, 65.1 logno > longo, 66.2 lor(e) > lor, 67.1 Fracischo > francisco, 67.2 la sale > la sala, 67.3 Venafra > Venafro, 67.3 Bruenacza > Bruencza, 67.3 co(n)silglio > consiglio, 68.1 inpicchati > impiccati, st<o>rssinato > strassinato, 68.2 boy > boj, 69.2 lu(n)nedì > lunedì, 69.3 seque(n)te > seguente, 70.2 mercodì > mercudì, Caraccziola > Caracziola, 71.1 mo(n)glier(e) > mogliera, 72.1 Milana > milano, 72.1 Milana > milano, 72.2 Milana > milano, 75.1 vernedì > venerdì, 75.1 lengio > legno, 75.3 i(n)nel > in el, 75.4 et l’aut(r)a > et la ultima, 75.6 marczo > marzo, 76.7 a(n)bbi > albi, 76.8 Fera(n)te > ferrante, 76.9 pingio > pingnio, 76.9 zò > zoè, 77.4 le dicte ge(n)te… la sacchigiao > le dicte gente… la sacchigiaro, 77.5 forza > forcza, 78.1 no(m)minato > nominato, 78.2 del co(n)te > el conte, 78.2 capaczia > Capacza, 78.2 A(b)bru(n)czo > abruczo, 78.2 Amelfe > amalfe, 78.3 à abrusiata > a abrusata, 78.3 i(m)ma(g)gine > imagine, 78.6 no(m)minata > nominata, 78.6 cascar(e) > chascare, 78.7 lo fece inbarchar(e) tucti > li fece imbarchare tucti, 78.7 et llà > et là, 78.8 Spa(n)gna > Spagna, 78.9 secza > senza, 78.10 pognalo > pugnalo, 81.1 v(er)gene > Vergine, 81.2 sforcza > forcza, 81.2 pilaoce > pigliaoce, 82.1 Vale(n)tia > Valenzia, 83.1 Vale(n)tia > Valenzia, 83.1 crudile > crudele, 83.3 Balzo > balso, 84.1 assedio > assediato, e capitoliczò > capitoliczò, 84.1 passagio > passaggio, 84.4 Orielies > Orliens, 84.4 no(m)mi(na)to > nominato, 84.5 calvachò > cavalchò, 84.6 calvacò > calvacò, 84.6 almiralglio > almiraglio, 84.6 Basignano > Bisignano, 85.1 iovedì > lonedì, 85.3 Senalglia > Senegalglia, 85.6 Spa(n)gia > spagnia, 85.7 Milana > milano, 85.8 a li 7 > ali 8, 85.8 lu(n)nedì > lunedì, 85.8 molglier(e) > mogliera, 85.9 Besi(n)gnano > bisignano, 86.1 Milana > milano (2 volte), 86.1 teneva > tenea, 86.2 re(n)gno > regnio, 86.2 Spa(n)gia > spagnia, 86.3 Milana > milano, 86.4 volso > volse, 86.6 cieche et zo(n)ppi > ciechi et zoppi, 86.6 ne è > ne èy, 86.7 co(n) la > colla, 86.8 Spa(n)gia > spagnia, 86.9 co(n)gnato > cognato, 86.10 posse > pose, 86.10 pu(n)gnale > pugnale, 86.10 tovalglia > tovaglia, 86.10 boccha > bocca, 87.2 como > come, 87.2 p(r)incipe > prencipe, 87.4 mirìo > morio, 87.4 Ja(n)naderno > Joanne Adorno, 88.1 no(m)minata > nominata, 88.2 p(r)icipe > prencipe, 88.5 bactizar(e) > bactezare, 88.5 figliuolo, figliolo, 88.6 li co(m)paro forono > lo comparo fo, 88.7 fino > fine, 88.8 lulglio > luglio, 88.9 ge(n)telo(m)mini > genteluomini, 89.1 pilgliaro > pigliaro, 89.1 sacchigero > sacchiczero, 89.2 fransese > franzese, 89.3 sachigam(en)to > sachiczamento, 89.3 Vale(n)tinos > Valentino, 89.5 le chiave > le chiavi, 89.6 ge(n)tilo(m)mini > gentilomini, 89.6 li regracia(n)doli > rengraciandoli, 89.6 fece re(n)de > fece rendere, 89.7 mogliera > mo(n)glier(e), 89.7 inbarcharo > inbarcaro, 90.2 Frabicio > frabricio, 90.2 Aragona > aragonia, 90.4 a(n)daro > andao, 90.5 intraro > intrao, 90.5 quilli > quelli, 90.6 magzei > magazeni, 91.2 brea(n)tini > bregantini, 91.3 sacchigar(e) > sacchiczare. Libro secondo: 19.1-3 spa(n)gnoli > spagnoli, 19.2 co(n)tra > contro, 19.2 Cleme(n)te > Clemento, 19.3 cincho > cicho, spa(n)gnoli > spagnoli, 19.9 Nap(u)li > Napole, Fla(m)migno > Flamigno, Nap(u)li > Napole, 19.10 co(n) tucto > co tocto, 19.11 i(n)factao > infectao, 19.11 i. la > in la, burbo > burgo, 21.1 dece(m)bro > decembre, 21.1 Nap(u)li > Napole, 21.1 inparator(e) Introduzione XCIII > Imparatore, 21.3 sono > sonno, 21.5 iperiale > imperiale, 21.5 seccurso > soccurso, 21.5 è iu(n)to… seccurso d(e) todischi, q(u)ale…sta(n)no > è junto….soccurso de todischi, quali…sta(n)no; 21.6 iu(n)to > juto, smo(n)tata [l’armata] d(e)l s(ignore) > smontato el signore; 21.6 co(n) circha > co circa; 21.6 Agustino > Augustino; 21.7 passerno > passarono, 21.7 spa(n)gnoli > spagnoli; 22.1 tu(m)mulo > tumulo; 22.1 Sessa et casali > Sessa co casali, 24.1 i. dì > in dì, sa(n)to > sancto, 24.1 barberi > harberi, 24.1 havea > haveano, 24.1 ho(m)mini > homeni, 24.1 i(m)picchati > inpecchati, 24.1 fe(m)mine d(e) soi pare(n)ti > femmine soi parenti, 27.1 Nap(u)li > Napole, 27.1 inp<e>rator(e) > imperatore, 27.1 li foro facti multo honor(e) > li foro facti multi honori, 27.1 triu(m)fali > triunfali, 27.1 vernedì > vernerì, 28.1 octo(m)bro > octobro; 28.1 p(rese)nte appresso > pagina appresso, 29.1 i(m)parator > imperator, 29.1 Agustus > augustus, 29.1 Castelle > Castellae, 29.1 Sicilie > Siciliae, 30.1 co(m)ma(n)dame(n)to > comandamento, 30.2 foristera > forestera, 30.2 habia > habbia, 30.2 d(e)’ > deve, 30.2 meczo > mezzo, 30.3 scarse > scarsi, 30.3 q(uin)dici > quindeci, 30.4 nu(m)mero > numero, 30.4 la o(n)cze > la oncza, 30.4 gra(n)na > grana, 30.5 ponerrà > ponerà, 34.3 tu(m)mulo > tummolo, 34.3 vintici(n)quo > vinticinque, 34.3 fame > fama, 34.4 tu(m)mulo > tummolo, 34.4 maro > mare, 35.1 vinticinquo > venticinquo, 35.2 se(n)cza > senza, 35.2 existimare > extimare, 35.3 inparator(e) > Imperatore, 35.6 dessero > disse, 35.7 necessaro > necessario, 35.7 ubidie(n)tia > ubidienza, 35.8 fine ad > fino ad, 35.8 dinari > danari, 35.9 et volse > et volsero, 35.9 farlil<o> aver(e) lo indulto > farli havere lo indulto, 35.9 nessiuno > nessuno, 35.9 inpaczio > impaczio, 35.10 et ch(i) se ne volevano addare in Spania, ch(e) se no potesse a(n)dar(e) > et chi se ne voleva andare in Spagnia, che se ne potesse andare, 35.11 li fece have’ > ci fece havere, 35.11 p(er) mani d(e) lo s. > per mano de lo signore, 35.12 remedio > rimedio, 35.12 le casi > le case, 35.13 invarchero > inbarchero, 35.14 do(m)menecha > domenecha, 36.1 tu(m)mulo > tummolo, 36.2 o(n)gni parte intorno > ogni parte de Regno, 36.2 se(m)minar(e) > seminare, 36.2 p(er) fi’ al > per sino al, 36.2 lo tummolo > lu tu(m)mulo, 36.2 alcuna p(er)sona > alcune persone, 37.1 Cesaria Maiestà Carolo > cesarea maestà Carlo, 37.2 Ma(d)do(n)na > madonna, 37.2 et mecze, et > et mecza, et, 37.4 nessciuno > nesciuno, 38.2 infirmità > infermità, 46.1 ho(m)mini > homini alle moline > alla molina, 46.1 oppila(n)doce > appila(n)doce, 46.2 co(m)misario > commissario alli a(n)ni > a li anni, 46.2 ciò > cioè, 46.2 sopre > sopra, 46.2 subbito fosse > subito fusse, 46.2 oppilacioni > appilacioni, 46.3 ducati > docati, 46.3 se(n)te(n)tia > sentenza, 46.3 subbito > subito, 46.3 frabiche > fabriche, 53.1 magio > maggio, 53.1 dicta > decta, 53.2 harria > havria, 53.2 2 dicta > decta, 53.2 cento seu circha > centosei circha, 53.2 corverter(e) > convertere, 53.2 mast(r)i > masti, 53.3 gramatica > grammatica; ducati > docati, 53.4 far(e) > far, 53.4 corverta > converta, 53.6 causu > casu, 53.6 do(n)natione > donatione, 53.7 instrome(n)to > istromento, 53.7 el capitanio > il capitanio, 53.7 sidici > sindici, 53.7 Floradasa > Floradaso, 53.7 Fusculillo > Fuscolillo, 54.1 idictionis > indictionis, 54.2 mast(r)i > masti, 54.2 mast(r)o > masto, 54.2 mast(r)o > masto, 54.2 tucti dui mast(r)i > tucti e dui masti, 54.3 so(n)no > sono, 54.3 mast(r)i > masti, 54.4 me(d)dico > medico, 54.4 me(d)dica > medica, 54.5 sta(b)bili > stabili, 54.5 mast(r)i > masti, 54.5 Gramaticha > Grammaticha, 54.6 mast(r)i > masti, 54.6 destribitor(e) > distribitore, 54.7 d(e) Sessa > di Sessa, 54.7 mo(b)bile > mobile, 54.7 trovarra(n)do > truvarrando, 54.8 usafr<u>cta > usufructa, 54.8 uno par(e) d(e) casi > una parte de casa, 54.8 ca(m)mera > camera, 54.9 succeda le predicte robbe la Nu(n)ciata > succeda a le predicte robbe la Nunciata, 54.9 Nap(u)li > Napole, 54.10 uno la cità > uno a la cità, 54.10 uno alt(r)o la Nu(n)ciata > uno alt(r)o a la Nunciata, 54.10 Napuli > Napoli, 54.12 habbia da poner(e) > habia a ponere, 54.12 me(d)dico > medico, 54.12 sop(r)adicto > supradicto, 54.13 posseno > possono, 54.14 so(n)no > sono, 54.14 Floradasa > Floradaso, 54.15 Lassa lo corpo suo, XCIV Nadia Ciampaglia d(e) m(essere) Marcho > Lassa lo corpo suo dicto messer Marcho, 54.15 torcze a(n)cese > torcie accise, 55.1 ienaro > jennaro, 55.1 idictionis > indictionis, 55.1 lo > lu, 55.2 se trovò sindici > se trovano sindici, 59.1 d(e) la Marra > della Marra, 59.1 Bartholomeo > Bartolomeo, 59.2 apostolicho > apostolico, 59.2 exsecuturiale > exsecutoriale, 59.3 so(n)no > sono, 59.4 Floradasa > Floradaso, Do(m)micio > Domicio, 59.5 so(n)no > sono, 59.5 si(n)dico > sindaco. Annotazioni del secondo libro: 2.1 partichularmente > particholarmente, 2.1 et de > et re, 2.2 a li > alli, 2.2 Anto(n)nio Colonna > Antonio Colonno, 2.2 dato > dacto, 2.3 ordine dal > ordene del, 2.5 fo(n)sse > fosse, 2.5 facto > facte, 2.6 pagarie > pagar, 2.7 circha > circho, 2.9 so(n)no > somma, 2.10 lo quale ch(e) se pagasse > la quale se pagasse, 2.12 inter eos loro > inter eos; 3 1 ducha > Duca, 3.2 et > et el, 5.1 co(m)pa(n)gnie > compagnie, 5.1 Loffreda > loffredo, 6.2 (com)missari > commessarij, 6.2 (com)missari ch(e) voleva > commessarii che volevano, 7.1 far(e) > far, 7.1 facta > facto, 7.1 co(m)pa(n)gnia > compagnia, 7.1 Hermano > Germano, 8.1 Fhelippo > Felippo, 8.1 cavalli > cavalgli, 8.1 seque(n)te > seguente, 8.2 exsercito > eserceto, 8.2 co(m)pa(n)gnie > compagnie, 8.2 haveano > havevano, 8.3 trovarrite > truvarrito, 9.1 pigliero > piglero, 10.1 compa(n)gnia > compagnia, 10.1 compa(n)gnia > compagnia, 10.1 alla volta > a la volta, 10.1 contra > contro, 11.1 co(m)pa(n)gnie > compagnie, 11.1 fantarie > fantaria, 11.3 ho(m)mini > homini, 11.3 co(m)ma(n)dame(n)ti > comandamenti, 11.3 sessani > Sissani, 11.4 l’utimo > l’ultimo, 11.4 nesciuno > nisciuno, 12 1. Ce vende > ce vendero, 13 1. Passa > passò, 13.1 Garlgliano > garigliano, 13.1 mecte > mecter, 13.1 li spa(n)gnoli > li spagnuoli, 13.1 adredevano > adrendevano, 13.2 se ne venni > se ne venne, 13.2 passa > passò, 13.2 Stilgliano > Stigliano, 21.1 magio > maggio, 21.1 allogiar(e) > alloggiare, 21.3 sidici > sindici, 21.3 sidico > sindaco, 21.4 co(m)pa(n)gnia > compagnia, 22.1 q(ui)dici ducati > quindeci docati, 22.1 i llo > in lo, 23.1 covernator(e) > governatore, 23.2 de Sessa > di Sessa, 23.3 Tho(m)masi > Thomasi cidadini > citadini, 24.4 mast(r)o > masto, 24.7 elariato > erariato, 24.8 como è > come è, 26.2 et la ditta armata se esistimava ch(e) ce fosse d(e)(n)tro el Barbarosso et lo pre(n)cepe d(e) Amelfe et lo co(n)te d(e) l’Aguillara in la dicta armata > et se esistemava che ce fosse dentro el Barbarosso et lo prencepe de Amelfe et lo conte de Laguillara in la dicta armata, 26.3 ma tucto > ma a tucto, 26.3 Nap(u)li > Napole, 26.3 et maxima > et maximo, 26.3 P(ro)ve(n)cza > Pruvencza, 26.3 p(er) certo > pe certo, 26.4 Milana > Milano, 25.1 uno vele > uno velo, 25.2 forece > forence, 27.1 in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho del Barbarosso, capitanio d(e) dicta armata, fo nova in Sessa ch(e) l’armata havea abrusiata P(ro)ceda et u(n) casale d(e) Ischa > in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho de Barbarosso Capitanio de dicta armata havea abrusciata Proceda et un casale de Ischia, 27.1 abrusiata > abrusciata, 27.1 Ischa > Ischia, 27.2 Villafra(n)cha > Villafranca, 27.2 cavalcò > calvalcò, 27.2 Pecczuli > Pucczuli, 27.2 maro > mare, 27.3 et da poi la dicta armata se messe > et da poi se messe, 27.3 Baia > Baya, 27.3 et llà > et là, 27.3 et d(e) poi se partìo dicta armata a la volta > et de poi se partio a la volta, 27.5 una a(n)no > un anno, 27-5 Fra(n)czia > Franzia, 27.5 e<x>istimati > stimati, 27.5 circha > circa, 27.5 picczioli > piczioli, 28.1 soldati > suldati, 28.1 fo nova ch(e) li soldati adbuctinati d(e) s(ignore) Alonso ch(e) stavano ad Cervano et Sa(n)to Elia d(e) la batia d(e) Sa(n)to Germano d(e) Mo(n)tecasino, ch(e) se diceva ch(e) veniano in Sessa > fo nova che li suldati adbuctinati de signore Alonso, che stavano ad Cervano et Santo Elia de la batia de Santo Germano de Mo(n)tecasino venivano in Sessa, 28.2 feceno > fecessero, 28.2 defe(n)seone > defensione, 28.2 havessero > havexsero, 28.2 soe robbe > soie robbe, 28.2 lu(n)nedì > lunedì, 28.4 seque(n)te > seguente, 28.5 pecczi > peczi, 28.5 certo > cer- Introduzione XCV cto, 28.6 haveano da venir(e)no > haveano da venire, 28.6 ad cavalli > ad cavallo, 28.7 adaro > andaro, 28.7 page > paghe, 29.1 (set)tebris > settembris, 29.1 idictione > indictione, 29.1 sidico > sindico, 29.1 merchato > mercato, 29.3 quale fo ellecto un alt(r)o > pel quale fo elletto un altro, 30.2 im prima > in primo, 30.3 sidici > sindici, 30.3 Vice(n)czo > Vincenzo, 30.7 molglier(e) > mogliera, 30.8 p(er) no(n) trovarno > per non trovarne, 31.1 domanio > demanio, 31.2 ducati > docati, 31.3 domanio > demanio, 31.3 do(m)manio > demanio, 31.3 Riccha > Ricca, 31.4 sop(r)adicto > supradicto, 31.4 Ma(n)so > Manzo, 31.4 tucto officiali > tucti officiali, 31.5 ce stetti > ce stette, 31.5 ducati > docati, 34.2 la inquisicione > inquisicione, 34.3 co(n)tra > contro, 34.4 scappular(e) > scappolare, 34.4 è stata > era stata, 34.5 havevano > avevano, 34.5 retenuta > retenuto, 34.5 li fece lassar(e) > lo fecero lassare, 34.7 vicerrè > vecerré, 34.7 calvachò > cavalchao, 34.7 pre(n)cepe > principe, 34.7 circa > circha, 34.8 Maiestà > Maestà, 34.8 napolitani > napulitani, 34.8 populi > populo, 34.8 imparator(e) > Imperatore, 34.9 facto > facti, 34.10 desse > disse, 34.11 levero > levaro, 34.11 artelaria > artilaria, 34.11 le particularitate > li particularitate, 34.13 se dice che allo tirar(e)… dicono che se crepò > se dice che allo tirare…se crepò, 35.1 foresciti > forisciti, 35.1 Laure(n)zio > Laurentio, 35.1 denari > dinari, 35.1 de regno > del Regno, 35.5 scaramuczavano > scaramuchiavano, 35.6 spagnoli > spagnuoli, 35.6 artelaria > artellaria, 35.7 uno altro > un altro, 35.7 chiamato > chiammato, 35.8 bisogna > bisogno, 36 1 spa(n)gnoli > spagnoli, 36.1 fo una certa nova, co(n) dir(e) che li homini…se deceva che volevano > fo una certa nova con dire che li homini…volevano, 36.2 fo exposto > fe’ exposto, 36.2 coverno > governo, 36.2 abisogna(n)do > abisognanti, 36.3 disseo > dissiro, 36.4 Galluzio > Galluczio, 36.6 36.6 ordine > ordene, 36.6 preposito > proposito, 36.7 sequitar(e) > seguitare, 36.8 36.8 augusto > agusto, 36.8 passò > passao, 36.10 forono > furono, 36.10 forasciti > forosciti, 36.10 fora de > foro de, 36.11 ordine > ordene, 36.11 subito ma(n)dato > mandao, 36.11 facesse > facessero, 36.12 u(n)sciero > usciero, 36.13 besognero > bisognero, 36.13 fugir(e) > fuggire, 36.13 maxima > maxime, 36.14 augusto > agusto, 36.14 ispano como > como, 36.15 adio(n)gere > adjungere, 36.17 descrectione > discreptione, 36.18 de q(ui)lli > di quilli, 36.18 archipiscopato > archiepiscopato, 36.18 vicerré > vecerré, 36.20 succese > successe, 36.20 ne fe’ > ne tene, 36.21 un tro(m)becta > una trombecta, 36.22 de poi > da poi, 36.22 pate > pote, 36.22 ge(n)tilomini > gentiluomini, 36.25 <de>o > dero, 36.26 a(m)ma(n)cero > ammaczaro, 36.26 fo facto > lo facto, 36.26 che fo facto per facto > che fo tucto per facto, 40.1 milglia > miglia, 40.1 fiumo > fiume, 40.1 mo(n)ta(n)gnola > montagnola, 40.2 infirmitate > infermitate, 40.2 ch(e) de manera > de manera, 40.2 so(n)no > sono, 40.2 processiuni > processioni, 40.3 passe(n)no > passanno, 40.3 adnegaro > adnegnero, 40.4 haveno > haveano, 40.4 d(e) le lore infirmitate > de loro infirmitate, 40.4 cera > terra, 40.4 el giorno > al giorno, 40.5 llà al > là al, 40.5 li desse > li disse, 40.5 de li lori > delli lori, 40.5 Idio > Iddio, 40.5 audito > haudito, 40.6 do(m)madero > domandero, 40.8 retornero > ritornero, 40.9 processiune > processiuni, 40.9 infirmi > infermi, 40.9 lore infirmitate > loro infirmitate, 40.12 figliolo > figliuolo, 40.12 demostrati > dimostrati, 40.13 doie > doe, 40.14 sequente > seguente, 40.17 miraculi > miracoli, 40.17 di varii > de varia, 40.17 cieche et mute > cieche et muti, 40.17 secondo > seconde, 40.17 di Capua > de Capua, 41.1 calace > calece, 41.1 lemosine > limosine, 41.1 da castello > de castello, 55.1 i. dì > in dì, 56.1 solle(n)nità > sollenità, 58.1 lo octava > la octava, 58.1 solita > solito, 58.1 incengni > ingegni, 58.1 Nabucdanasorre > Nabuccodanasorre, 58.1 A(n)denago > adenago, 58.4 me(d)dico > medico, 60.1 ho(m)mini > homini, 60.1 p(rese)nte > presenti, 64.1 co(n)siglio > consilio, 64.1 Sessano > Sessa, 64.2 respo(n)dereno > rispondereno, 68.2 Carrafha, 68.2 de poi > Carraffa, che poi, 69.2 speczata > spezzata, 69.2 si possi > si possa, 80.1 co(n)ta(m)mine(n)no > contaminanno, 80.1 vicerré > vecerré, XCVI Nadia Ciampaglia 80.2 pre(n)cipio > principio, 80.2 napolitani > napulitani, 80.3 spa(n)gnoli > spagnoli, 80.3 napolitani > napulitani, 80.3 ordine > ordene, 80.4 focho > foco, 80.4 co(n)tra d(e) Nap(u)li ch(e) no(n) lo volevano fermar(e) vecerré > contra de napolitani che non lo volevano fermare vecerré, 98.1 adssectò > adsectò, 98.1 co(n)vernator(e) > covernatore, 98.1 ho(m)mini > homini, 98.1 d(e) arme > d’arme, 98.3 como li alcuni alt(r)i > como alcuni alt(r)i, 98.4 piaczia > piazza, 98.4 usciano > ussciano, 98.4 piaczia > piacza, 98.5 do(n)ne > dove, 98.6 vinticinquo > vinticinque, 98.6 do(n)ne > dove, 98.7 adpertenea > adperteneva, 98.8 Vice(n)czo > Vincenzo, 100.1 covernatore > governatore, 100.1 co(m)pa(n)gnia > compagnia, 100.1 ho(m)mini > homini, 100.1 Napuli > Napoli, 100.2 ho(m)mini > homini, 100.2 d(e) farno > de farne, 100.3 corverno > coverno, 100.4 sop(r)adicti > sup(r)adicti, 100.5 so(n)no > sono, 100.5 sidico > sindici, 100.8 el grassieri > el grassiere, 101.1 septebro > septembro, 101.1 la porte > la porta, 101.1 officiale > ufficiale, 101.1 adpartati > adportati, 101.1 la porte > la porta, 101.2 nove(m)bo > novembro, 101.2 ordine > ordene, 101.2 sop(r)adicti > sup(r)adicti, 101.2 p(er)soni > persuni, 104.1 dello > de lo, 104.1 in la p(ro)cessione d(e)l Corpo d(e) (Cristo) fo una bella processione > fo una bella processione, 104.1 ordene > ordine, 104.1 delli ho(m)mini > delli homini, 104.1 de arme > d’arme, 104.2 li do(d)dici > dodici, 104.2 inge(n)gni > ingegni, 104.2 fo facta > fo facto, 104.4 alla Unciata > a la Nunciata, 104.4 una tavolato > uno tavolato, 104.4 ca(n)cziava > cacziava, 104.5 ste(n)ne > steva, 104.5 ussciano > usciano, 104.5 ongniuni de lloro decevano > ongni uno delloro deceva, 104.5 co. multa > con multa, 104.5 tro(m)bbette > trombecte, 104.5 haveano > havevano, 104.6 ligua > lingua, 104.6 me(d)dico > medico, 104.6 èi > è, 104.7 bo(n) > buon, 104.8 èi > è, 104.8 piaczia > piacza, 104.8 tro(m)bbecte > trombecte, 104.8 Sigismu(n)do Floradasa > Sigismondo Floradaso, 105.1 Me(n)docza > Mandocza, 105.1 ho(m)mini > homini, 105.1 haveano > havevano, 105.2 Stilgliano > Stigliano, 105.4 ordine > ordene, 105.6 porfidia > perfidia, 107.2 Vice(n)czo > Vincenzo, 107.2 Transa > Tranza, 107.3 Spa(n)gna > Spanna, 107.5 bancha > banco, 107.7 so(n)no > sono, 119.1 ce era > cera, 119.1 piecere > piacere, 119.3 pocha > poca, 119.4 desturbo > disturbo, 119.5 predicha > predica, 119.5 predichava > predicavo, 119.7 Lope > Lopez, 126.1 bello processione > bella processione, 126.1 de li > delli, 126.1 Soddomo > Soddoma, 126.1 pe(r) la > pe la, 126.2 U(n)ciata > nunciata, 126.3 ho(m)mini > homini, 126.3 haveva > aveva, 128.1 imparatore > imperatore, 128.1 altecza > altezza, 128.1 Spa(n)gna > Spagna, 128.2 io integno > lo integno, 128.2 ve<ne>(n)no > venne, 128.3 triumfhi > triumphi, 128.4 maxima > maxime, 128.4 usciero > usciro, 128.4 archibisier(e) > archibiscieri, 128.4 allegrecza > allegrezza, 128.4 veniva > venia, 128.4 havea > haveva, 128.4 i(n)na(n)ti > inanti, 128.4 apparechao > apparechiao, 128.4 travata > Fravata, 128.5 allo po(n)te > alle poste, 128.5 capello > cappello, 128.5 l’autro > lantro, 128.5 ducha > duca, 128.6 veniva > veniro, 128.6 ad cavalli > ad cavallo, 128.6 Garliano > Gargliano, 128.7 archibuscieri > archibusieri, 128.7 ho(m)mini > homini, 128.8 lo archibusi > li archebusi, 128.8 meczo > mezzo, 128.9 cavalglio > cavaglio, 128.9 uno altro > un altro, 128.9 piano > piana, 128.10 piecere > piacere, 128.11 i mmano > in mano, 128.13 iodice > jodece, 128.14 ipso portava > ipso portovo, 128.14 intercziato > interziato, 128.14 vesta > veste, 128.15 foreno scoppati… duimilia furguri > foreno scappati… dui milia furguri, 128.15 triu(m)fale > triumfhale, 128.15 piecere > piacere, 128.16 la legname > la ligname, 128.16 Capitanio et dicti, ch(e) > capitanio… che, 128.16 <b>avo > havo, 128.16 patre > padre, 128.17 Oriveto > Orvieto, 128.21 giorno > juorno, 129.1 resposte > risposte, 129.2 co(m)posse > compose, 130.1 domanio > Demanio, 130.3 se trovò > si trovò, 130.3 pregandolo > pregandoli, 130.3 multo > multa, 130.3 regratianno > rengratianno, 130.3 a(n)nimo > animo, 130.3 adchora > anchora,130.4 uno ca(n)taro > uno cantara, 131.1 Roccha > Rocca, 131.1 lo prese(n)to > lo presente, 131.1 le Introduzione XCVII verine > verrine, 131.1 inte(n)gno > integno, 137.1 lo(n)gna > longa, 137.2 havevano > haveva, 138.1 qui(n)dici > quindeci, 138.1 Cesaro > Cesare, 138.2 piecere > piacere, 138.2 ma(n)teniva, 139.1 Pirri > Pirro, 139.1 alli dì passati > allo dì passato, 139.1 porole > parole, 139.1 ussciti > usciti, 139.2 cu(n)ssì > cussì, 139.3 nessciuno > nissciuno, 141.1 2 ad morto > ad morte, 141.3 delli porczi > delli poveri, 147.1 duca > Ducha, 147.1 ad hora dui de nocte vel q(ua)le circa > a hore dui de nocte del quale circa [si tratta probabilmente di un’inversione compiuta da γ, e pertanto si è corretto nell’edizione in vel circa, q(ua)le], 147.1 maxima > massima, 147.1 licterata > licterato, 154.1 fonecello > funicello, 154.1 lo funicello > lu funicello, 171 p(er) ordini > per ordine, 171.1 Toleto > Toledo, 176.1 vespera > vespero, 177.1 sallgliero > sallghiero, 178 1 se partero > si partero, 178.1 alti mari > altri mari, 180.1 monta(n)gne > montagne, 180.1 no(n) se romase pocha ge(n)te in Sessa tale crudilità > non ce romase che pocha gente in Sessa, 180.2 (com)me(n)ssari > commessarii, 180.2 iu(n)gneano > jugneano, 180.2 gra(n)dissime (com)messioni > grandissima commessioni, 182.1 Mola > Molo, 182.2 ho(m)mini > homini, 182.2 d’arme > darme, 183.1 La nocte > Le nocte, 183.1 do(n)ne > dove, 183.2 fugir(e) > fuggire, 183.2 ho(m)mini > homini, 183.2 q(ui)sti > quilli, 183.3 adbisognò > abbisognò, 188.1 adrrobbato > adrobbato, 188.1 allo rio > alla via, 188.1 carrugio > carrugio, 192.1 misser(e) > messere, 192.2 Spiritu Sa(n)to > Spirito Santo, 196.1 fine > fino, 196.2 lo pario > lo palio, 196.2 u(n)ssce(n)no > uscenno, 196.2 lo pario > lo palio, 196.3 lo pario > lo palio, 196.3 Pascali > Pascale, 196.4 Tra(n)sa > Transo, 196.4 Bartolomeo > Bartholomeo, 196.5 socte lo pario > socto lo palio, 196.5 <s>te(n)do > stando, 196.5 cioviale > chioviale, 196.5 tenea > teneva, 196.6 homeni > homini, 196.6 arma > arme, 196.6 homeni > homini, 196.6 ad cavallo > a cavallo, 196.7 socta > socte, 196.7 pario > palio, 196.7 arrivando > adrivando, 196.7 certa scricta > certo scricto, 196.7 la havea facta > lo haveva facto, 196.8 arrivando > adrivando, 196.8 tireo > tirero, 196.8 cirmonie > cerimonie, 196.9 salgle(n)do > salgliendo, 196.9 cirmonie > cerimonie, 196.9 desse > disse, 196.9 la oratione > le oratione, 196.9 intervenuta > intervenuto, 196.10 et là > et llà, la prod<u>tò > lo producio, 196.10 gustumi boni > quistiuni boni, 196.11 Galiaczo > Galeazzo, 196.11 ringratiandolo > ringraziandolo, 196.11 accogle(n)ze > accoglienze, 199.1 et 20 > del mese, 199.1 compa(n)gnia > compagnia, 199.1 lochotene(n)te > locutenente, 199.2 ho(m)mo > homo, 199.2 im > iu, 199.2 fece > feci, 200.1 compa(n)gnia > compagnia, 200.1 stecto > stecte, 200.2 Sorbbello > Sorbello, 200.2 co(m)messione > commissione, 200.2 p(er) fini > perfino, 200.2 li deceva cor(e) > li deceva core, 202.2 spa(n)gnoli > spagnoli, 202.3 al presente > ad presente, 203.1 febraro > febbraro, 203.1 trapassao > trapassò, 203.1 Petro > Pietro, 203.1 Toledo vicerré de Nap(u)li > Toledo, 203.1 morze > morcze, 206.1 Pietro > Pedro, 206.1 intrata > entrata, 206.1 figlolo > figliolo, 201.1 collateral > collaterale, 202.2 mercor(e) > mercordì, 202.2 vener(e) > venerdì, 202.2 fo > fu, 202.2 di > de, 202.2 molta > multa, 202.3 Et il > Ed il, 202.3 far > fare, 202.4 vener(e) > venerdì, 202.5 n’a(n)dò > ne andò, 202.5 Cardenale > Cardinale, 219.1 iu(n)nio > Iunio, 219.1 publico > pubblico, 219.1 covernator(e) > governatore, 219.1 de la > della, 219.1 dello > de lo, 219.2 foreno ordinato lo s(ignore)… et m(essere) > foreno ordinati lo s(ignore)… et m(essere), 219.2 eliger(e) > eliggere, 224.1 el passato > il passato, 224.1 uno anno > un anno, 224.2 officii > ufficii, 224.2 co(m)parao > comprao, 224.3 officii > ufficii, 228.1 lo comparao > lo comperao, 228.3 Lo co(n)trato li <sidici > d(e) p(rese)nte a(n)no fo facto > Lo contracto da li sidici de presente ano fo facto, 228.3 guada(n)gno > guadagno, 228.3 czacch(e) ciuse > czianche chiuse, 228.3 et p(er)ch(é) lo dicto Pietr<o > Grella, secu(n)do deceva la carta messa in piaczia > et perché secundo deceva la carta messa in piacza, 228.3 rotholo > rotolo, 228.3 uno tornese > un tornese, 228.3 rotholo > rotolo, 228.4 vendono > vendeno, 228.4 officii > ufficii, 246.2 adteso > atteso, 252.1 pas- XCVIII Nadia Ciampaglia sò > passao, 252.1 spa(n)gnoli > Spagnoli, 252.1 passata > passato, 252.1 giurni > giorni, 252.2 allogiasse > alloggiasse, 252.2 ch(e) ce a(n)dava > che ce andavano, 279.1 septe tornisi > septe tornese, 280.1 el r(everen)do > il reverendo, 280.1 vecerè > vecerrè, 286.1 cavalglii liegieri > cavalgli legieri, 286.2 co(n)gnomi > cognomi, 286.2 faczie > faczia, 286.2 d(e) l’homo > faczia dell’homo, 294.1 co(m)pa(n)gnia > compagnia, 294.1 de > del, 294.1 Rocca > Roccha, 294.1 sop(r)adicti > supradicti, 294.2 cononici > canonici, 294.2 p(er) cononici et più > per canonici, 294.2 cononici > canonici, 294.3 colonello > colonnello, 294.3 relegiosi > religiosi, 294.3 Sessa fecero far(e) la resegna de(n)ctro > Sessa fece fare la resegna dentro, 294.3 inpollecte > impollecte, 294.6 co(m)pa(n)gnie > compagnie, 294.6 lo allogiame(n)to > li allogiamenti, 294.6 inpollecte > impollecte, 294.6 nessciuno > nisciuno, 294.6 intreponer(e) > interponere, 294.7 le casi > le case, 294.7 ed de quilli > de quilli, 294.7 elessero > et elessero, 296.2 li sidici > li sindici, 296.3 li sidici > li sindici, 296.3 inpediti > impediti, 296.4 le lieni > li lieni, 297.1 li sopradicti > li supradicti, 297.1 compa(n)gnia > compagnia, 297.1 Georgio d(e) Orio > Giorgio Dorio, 297.1 compa(n)gnie > compagnie, 297.1 Monphino > Monfhino, 299.2 cinquo > cinque, 299.2 u(n) > nu, 299.2 dudice > dudece, 299.2 tredici > tredeci, 299.3 desse > disse, 299.3 subbito > subito, 300.12 1. Ducha > Duca, 300.2 ho(m)mi > homini, 300.2 pagasse > pagassero, 300.3 tre parti > tre parte, 300.2 cente et undici > cento et undeci, 301.1-4 1 Pandolfho > Pandolpho, 301.1 Paschali, Pasclali, 301.1 sop(r)dicto > supradicto, 301.2 pagò la tassa > pagò pe la tassa, 301.3 le casi > le case, 301.3 la cercha > la cercha del grano et, 301.3 noscosto > nascosto, 301.4 Roccho > Rocco, 301.4 levarece > levarele, 301.5 allogiato > adlogiato, 304.1 co(m)pa(n)gnia > compagnia, 306.1 o(n)gni > ogni, 306.1 foressiti > forressiti, 306.1 co(m)pa(n)gnia, 306.1 co(m)pa(n)gni > compagni, 307.1 li havea mandati > ci aveva mandato, 307.2 iu(n)gneva > iugneva, 307.2 <t>irate > intrate, 307.3 anchora > ancora, 307.4 magio > mogio, 314.1 lictera > lettera, 314.1 tosorero > tesorero, 314.1 colclusa > colchya, 314.1 Palestrino > palestrina, 314.1 l’una > una, 314.2 certa pocha > certo poco, 314.3 La matina lo r(everen)do ep(iscop)o co(n) can(oni)ci et clero fo facta una p(ro)cessione alla U(n)ciata d(e) Sessa et fo ca(n)tata la messa > la matina da lo lo Reverendo episcopo, canonici, 314.3 Ma(d)do(n)na > Madonna, 315.1 Cinquocento > cinquecento, 315.1 todischi > todizchi, 315.1 Roccha > Rocha, 315.2 no(m)minatur > nominatur, 315.2 cononici > canonici, 315.2 preiti > preite, 315.2 avessero > havessero, 316.1 remase > rimase, 316.1 far(e) fra(n)cho li previti > far franchi le previti, 316.1 soperiori > superiure,316.1 havessa > havesse, 317.1 inbarchare > per imbarchare, 318.1 havese > havessero, 319.1 cavallgli > cavalgli, 319.1 Thodischi > Todischi, 320.1 haveano magnati > havevano magnato, 320.1 sidici > sindici, 320.1 ho(m)mini > homini, 320.2 ordinò > urdinò, 321 1 tummulo > tummolo, 321.1 u(n)dici > undeci, 326.1 inbarchar(e) > imbarchare, 326.1 spa(n)gnoli > spagnuoli, 326.1 dudicimilia > dudice milia, 326.1 Abla > Alba, 326.2 potevano > poteano, 339.1 facta > facto, 339.1 sacrificio > sagrificio, 339.1 Abraa(m) > Abrama, 339.1 co(n)adunate > coadunate, 341.1 fu co(m)prata > fo comprato, 341.1 Lucreczia Caraziola > Lucrezia Caragiola, 341.1 codam > condam, 341.1 Vice(n)czio > Vicenzio, 341.2 fu > fo, 341.2 p(r)edicta > predicto, 341.2 decta > dicta, 348.1 ciqua(n)ta > cinquanta, 348.1 quante > quanto, 348.1 far(e) > far, 348.2 mo(n)ta(n)gna > montagna, 348.3 Toralto > toraldo, 352.1 ciquece(n)to ho(m)mini > ciquecento homini, 352.1 p(er) li casali > per casali, 352.1 romase > rommase, 352.2 lo turre > turre, 352.2 Imato > mato, 352.2 tucti > tocti, 352.2 scavi > schiavi, 369.1 Thoraldo > Thoralto, 369.1 velevano > volevano, 376.1 ca(m)pa(n)gna > campagna. Introduzione XCIX V. DESCRIZIONE LINGUISTICA225 Premessa L’analisi della specifica dimensione testuale delle Croniche è di importanza fondamentale ai fini di una corretta indagine linguistica; è necessario, infatti, considerare sia la particolare composizione dell’opera, divisa in tre libri dei quali solo il secondo e le relative annotazioni sono da ritenere scritture “spontanee” e non trascrizione di altre fonti (II e IIa), sia la struttura aperta del nostro testo, in un certo senso “libro a più mani”, come mostrano i contributi di altri scriventi solo in parte autorizzati da Fuscolillo (α, β, γ), i documenti (copie di bandi, relazioni) trascritti o materialmente inseriti dal canonico nel corpo stesso del manoscritto (δ) ed infine le integrazioni e gli interventi, per quanto minimi, lasciati da qualche lettore un po’ troppo invadente. È dunque sembrato opportuno documentare la differente distribuzione di ogni fenomeno entro le varie sezioni della cronaca e condurre parallelamente lo spoglio anche nei paragrafi redatti dalle altre mani, onde evitare di attribuire arbitrariamente a Fuscolillo tendenze imputabili piuttosto ad una fonte che ne abbia condizionato la scrittura, nel primo caso, o ascrivibili addirittura ad altri scriventi, nel secondo. Nelle scritture spontanee, difatti, si registrano talvolta esiti marcatamente differenti da quelli presenti nel primo e terzo libro e, analogamente, fenomeni linguistici non omogenei si leggono nei paragrafi redatti da Fuscolillo e in quelli 225 Il commento linguistico che qui si presenta si basa su uno spoglio elettronico condotto sull’intero testo. Nel rinvio alle forme, si indica con numeri romani il libro (I, II, IIa, III); la prima cifra araba indica il paragrafo, la seconda il segmento sintattico (ad es., ochio III 14.2), secondo la divisione adottata nell’edizione critica (cfr. § IV.1). Poiché i paragrafi I 107-110 sono in realtà annotazioni spontanee del secondo libro (1561-63) inserite nelle carte finali del primo (cfr. § III.1.2, n. 91), le relative occorrenze vengono indicate nello spoglio ponendo in apice il simbolo IIa (es. Gyeronimo I 107.1IIa). Una lineetta obliqua precede gli eventuali controesempi. Si citano, di norma, tutte le forme utili a documentare un dato esito linguistico; solo nei casi in cui una amplissima attestazione renderebbe superflua ed ingombrante una registrazione puntuale, si è preferito piuttosto operare una mirata selezione. Per ogni forma, considerate le numerose occorrenze offerte dalle Croniche, si rinvia fino ad un massimo di cinque esempi (ridotti a tre, se non particolarmente significativi), ponendone tra parentesi tonde il numero complessivo; laddove sussistano differenze significative nelle attestazioni offerte da ciascun libro, si indicano per ognuno al massimo tre occorrenze e si indica tra parentesi tonde, preceduto dal segno +, il relativo numero di frequenza, così da rendere più facilmente visibili le differenze linguistiche esistenti tra le varie parti del testo: [ad es., ebbe I 5.2, III (+4) 11.5, 21.7.9, hebbe I (+17) 18.1, 19.1, 20.1, II 3.2, IIa (+7) 79.4, 109.1 (2 volte), 144.2, III (+19) 20.1.2, 24.1]. Le informazioni fornite dall’apparato sono utilizzate durante lo spoglio per avvalorare e meglio documentare una data tendenza linguistica: ad esempio, alcune correzioni effettuate successivamente da Fuscolillo in taluni casi rivelano l’incertezza dello scrivente nella resa grafica di determinati fonemi. Per ogni fenomeno si elencano, quando lo spoglio lo consente, anche le relative attestazioni offerte dalla mani α, β, ҏ γ; si esclude infine dal commento, trattandosi della copia di un bando direttamente inserito da Fuscolillo nel corpo del codice, il paragrafo redatto dalla mano δ. Nadia Ciampaglia C attribuiti alle mani α, β, γ. Si aggiunga, poi, che lo spoglio ha evidenziato anche per la mano β scelte linguistiche non uniformi, condizionate senz’altro dalla diversa natura dei paragrafi (di carattere non solo “spontaneo” ma, come s’è visto, anche “pseudo-letterario”; si consideri, inoltre, che anche β trascrive bandi o copia brani palesemente tratti da altre fonti); nella loro distribuzione è possibile però cogliere una regolarità tale da avvalorare la proposta di ulteriore suddivisione in tre distinti sottogruppi (β1, β2, β3) , già suggerita, in prima battuta, dall’analisi delle condizioni materiali di scrittura226. V.1. GRAFIE227 Per quanto riguarda gli usi grafici, i tre libri delle Croniche presentano una relativa omogeneità, sostanzialmente non intaccata da motivi di ordine testuale; differenze ben più significative si registrano invece, come progressivamente si mostrerà, nella distribuzione dei fenomeni fonetici e morfologici. Il condizionamento della fonte, per quanto attenuato, si fa comunque in qualche caso evidente: ad esempio, l’uso del grafema y e delle scrizioni gni, ng(i) e nn per la rappresentazione della nasale palatale è circoscritto al solo primo libro e alcuni nessi latini permangono intatti, invece, solo nel terzo. È opportuno sottolineare che determinate grafie comunemente adoperate da Fuscolillo, ormai obsolete in pieno Cinquecento, sono tuttavia pienamente plausibili anche a questa data, se ricondotte, come dovuto, ad una dimensione “semicolta”. L’esiguità del materiale offerto dallo spoglio non offre un numero di forme complementari sufficiente a formulare un giudizio attendibile per le mani α e γ; qualche dato in più si ricava invece per la mano β, che rivela abitudini grafiche senz’altro più evolute rispetto a Fuscolillo, sia per quanto riguarda la conoscenza e l’uso dei segni paragrafematici, benché oscillanti, sia per quanto concerne la rappresentazione grafica di determinati fonemi; ad esempio, nella resa della laterale e della nasale palatale, β non adopera mai grafie semicolte. Dunque, se questa mano sembra possedere una maggior consuetudine con il volgare scritto, l’analisi del ductus rivela però un andamento ancora incerto, oscillante nel modulo e nell’allineamento: non è da escludere, quindi, ed anzi è plausibile, che il canonico si sia servito di qualche giovane e volenteroso aiutante per la trascrizione di alcune annotazioni. V.1.1. Grafie dotte La y è adoperata in modo oscillante e non sempre con valore di semivocale. Si consideri, però, che l’uso (ignoto, tra l’altro, a tutte le altre mani), appare fondamentalmente ristretto al primo libro e si registra solo sporadicamente nel terzo, poiché nelle annotazioni spontanee Fuscolillo, invece, sceglie di norma le rispettive forme 226 Cfr. § II.9.2. Per questo motivo si fornisce l’elenco completo delle forme della mano β suddividendo le differenti occorrenze nei tre distinti sottogruppi βң, β2, β3. 227 Si avvisa che in taluni casi (come, ad esempio, nella descrizione delle grafie latineggianti) si è preferito elencare le forme secondo un’opportuna selezione. Introduzione CI con i. Ad esempio, si legge solo in un caso la forma verbale èy ‘è’ I 12.1, cui si contrappongono sempre, nelle annotazioni spontanee del secondo libro, èi IIa 104.7 ed hèi IIa 33.2; ancora, di contro all’unica occorrenza con y di Ytalia I 76.3, ben undici forme compaiono scritte con i negli altri libri; solo nel primo libro, infine, Fuscolillo scrive may, mentre in altre quindici occorrenze opta senz’altro per mai. La grafia è adoperata con valore di [i] ad inizio parola, per lo più nei nomi propri ed in alcuni toponimi: ysola III 6.5, Ysabella I (+6) 20.1.2, 22.2, 34.1, 38.1, Ypolita I 19.1, 40.1, 41.1, Yscha I 76.1, 90.4/Ischa I 75.2, 76.5 (e si aggiunga il già citato Ytalia I 76.3); solo in yooye ‘gemme, pietre preziose’ III 35.5 ha valore di semivocale (ma gioie IIa 16.2). Dopo vocale, la y compare con valore di [i] in Belcayro I 91.9, hayro II 6.2.4, Gayta I 76.6, 96.9 (2 volte), genoysi I 98.1/genoisi I 13.1, genuysi I 98.1/genuisi I 13.1, Loyse I 85.7, 99.2, L[o]yse I 84.4/Loisi IIa 79.1, III 19.5, maystà I 102.1, P(er)loysi I 93.17. In posizione intervocalica, la y può rappresentare il primo elemento di un dittongo: iooye III 35 4, yooye III 35.5, Troya I 34.2, Troyano I 84.5, I 85.9, I 93.10/Troiano I 93.1, Baya I 78.7, I 79.1/Baia IIa 27.3, Trayecto IIa 270.1, Trayetto I 106.4/ Traiecto IIa 270.1. In fine parola la y può indicare anche la semivocale di un dittongo discendente: boy ‘buoi’ I 68.2 (nelle annotazioni spontanee, invece, bovi IIa 3.1, 6.3, 88.1), duy I 94.2/dui (t.+91) I 13.1, 48.3, 51.1, 66.1, 68.1 e doi I 53.2, èy ‘è’ I 12.1/èi IIa 118.3, 104.7.8, may I 102.2/mai (+16) I 98.4, II 42.1, IIa 85.8. Con valore di semivocale, mayore I 86.6/mayore I 71.2 e moya ‘moggio’ IIa 43.1. Avrà invece solo valore diacritico in Gyeronimo I 107.1IIa. In un solo caso, nel terzo libro, con la y è segnato l’articolo determinativo ‘i’: y peczi III 19.5. V.1.2. Grafie latineggianti Sono numerose nelle Croniche le grafie latineggianti, spesso iperetimologiche. Alcune particolarità, come la conservazione grafica di alcuni nessi di consonante + L (cfr. § V.2.2.14), si registrano solo nel terzo libro: co(m)place(n)tia III 27.1, Santa Clara III 25.10, III 26.2 e Florencza III 32.12, Flore(n)cza III 48.28, Florenczia III 32.13; per quest’ultima forma sembra certa la dipendenza dalla fonte, visto che nel primo libro si legge sempre Fiore(n)czia I 53.2, I 5.1.3, Fiorencia I 37.2, Fiorencza I 105.3, Fiorentia I 5.3. È molto diffuso il gruppo ct non assimilato; sono tuttavia numerosissime, come si può vedere, le false ricostruzioni per l’occlusiva dentale doppia [tt]: abbacteo III 53.3, abbacter(e) III 19.5, actorno III 27.17, (se) adbuctinaro ‘si ammutinarono’ II 23.4, adbuctinati ‘ammutinati’ IIa 28.1.7, adcactapanato IIa 224.1/accattapanato IIa 239.1, adcactapane IIa 94.3 (ma adcattapani IIa 100.8, 186.3 e infra, per le occorrenze con pt), adoctivo III 37.1, 39.3, adsectato IIa 94.1, 104.5, adsectò IIa 163.1, adssectò IIa 98.1, assectò III 36.1/assettò IIa 168.1, adspectava IIa 157.1, adspectavano IIa 307.1, afficto II 39.2/affitto II 43.2, ardecte IIa 126.1, aspectava IIa 326.1, bacchecta IIa 16.4, barchecta I 60.3, bactaglia I 2.2, III (+9) 13.3, 20.2, 21.7/ battaglia III 21.9, 48.9, bactalgliare I 103.4, bactaglie I 55.1, bactalglie I 95.10, bactizar(e) I 88.5, bacticzato I 85.9, bactizato I 24.1, CII Nadia Ciampaglia 25.1, Barlecta I (+5) 32.1, I 93.7.9, III 48.15, 56.6/Barletta I (+5) 93.5.6.7, III 54.1, bocti I 91.10, bonectina IIa 16.4, buctao I 4.1, buctar(e) I 94.1, IIa 299.1, buctate IIa 344.1, buctato IIa 259.1, 299.1, 320.1, bucti I 75.4 (2 volte), 85.6, IIa 28.5, buctinati IIa 28.6, buctino I 103.7, ca(n)deloct<e> IIa 130.4, co(m)bacte(n)do I 17.1, dectero I 106.5, dericto IIa 124.3 (ma derritta IIa 123.1), dicta (t. +133) I 5.1, 5.2 (2 volte)/ditta IIa 26.2, III 38.4, dicte (t. +22) I 77.4, 93.5, II 11.2, 30.4, 35.3, dicti (t. +89) I 74.1, 96.5, 106.4, II 5.3, 6.5, dicto (t.+312) I 2.1, 2.3, 8.1, II 6.2 (2 volte)/ditto I 96.6, 107.2IIa, IIa 335.4, III 25.1, 26.14, 34.5, doctor(e) II 50.1, IIa 60.1.3, 212.1, 213.2, doctore IIa 246.1, doctori IIa 60.1, electo II 59.1, IIa 14.1, 118.2, III 27.8, electi I 90.1, IIa (+7) 21.3, 40.4, 143.1/eletti I 97.7, IIa 165.3, electuri IIa (+6) 30.7, 66.1, 100 3, expectava II 21.3, facta (t. +58) I 95.12, II 19.1, 21.10, 22.1, IIa 2.5/fatta III 28.2, facte (t. +17) I 103.4, II 46.2.3, IIa 33.1, 52.1, facti (t. +44) I 86.6, 96.1, 97.9, II 20.10, 27.1/fatti IIa (+4) 186.1, 254.1, 353.3, facto (+143) I 2.1, 38.1, 41.1, II 16.2 (2 volte)/fatto IIa 37.3, 337.2, fructa (3a pers. sing.) II 54.5, fructi II (+5) 53.2 (2 volte), 54.4, fructo IIa 337.1, 360.1, gacta I 94.3 (3 volte), gictar(e) I 97.9/gittar(e) IIa 85.2, gectar(e) IIa 116.1, gectatelle IIa 81.1, Grocteferrata II 20.9, Hectorre I 93.10 (2 volte), II 49.4, inbuctinati II 35.1, i(n)factao II 19.11, i(n)fecta II 19.10, infecti II 53.4, inpollecte IIa 294.3.6, 353.3 (ma pollette IIa 294.1), lecter(e) I 76.7, lecto I 86.10, IIa 60.2, 65.1, 335.5, licter(e) IIa 170.3, 208.2, Mactia I 43.1, mecter(e) II 33.2, IIa (+14) 20.1, 64.1, 101.1, III 19.5/metter(e) III 30.5, meczanocte I 7.1, 49.1, 78.1/meczanotte IIa 71.1, nectar(e) IIa 99.5, nocte (t. +49) I 23.1, 52.2, 53.2, II 14.1, 15.1, octener(e) I 107.3IIa, octo I (+5) 91.2.5 (2 volte), II 30.4, IIa (+17) 78.3.10, 85.3, III 25.9, 48.2, octob(r)o ( t. +34) I 14.1, 16.2, 24.1, II 30.6, 36.2/ottob(r)o IIa 74.1, 364.1, octobro I 91.9, 100.1, IIa 70.7, 80.1, 162.3, III 52.1/ottobro IIa 191.1, pacti I 58.1, 95.10, II 20.3, III 19.5, 48.14, pacto I 75.8, 89.1, 93.3, II 54.4, IIa 283.1, III 56.6/patto II 53.2, pecto I 78.10, IIa 16.2, piacecte IIa 129.2, piovecta IIa 75.1, piovecte I 98.4/piovette II 19.4, IIa 277.1, poctero I 103.2, II 35.12, possecte I 16.2, IIa 57.2/possette IIa 27.2, 71.2, poverecti IIa 352.2, presucti IIa 130.4, 153.1/presutti IIa 142.1, p(ro)mectesse II 35.9, puctane II 35.1, rescactao I 93.16, rescacto I 90.2, res[c]acto I 93.17, rescactate 43.4, respecto IIa (+4) 11.4, 294.6, 312.2/respetto IIa 315.2, rocta I 13.1 (2 volte), 95.4, II 16.1, III (+5) 28.16.24, 51.9, rocto III 56.10, 57.9.13, ructo I (+7) 34.1, 78.2 (2 volte), II 30.4, III 57.6, saecta III 14.2, sbaoctito IIa 39.2, sbauctiti IIa 106.8, sco(n)ficto III 19.9, 21.4, scricto III 58.11, sectimo I 105.2, sfractao I 52.3, socterrata I 12.1, socterrato I 7.2, 78.9, 79.1, soct(erra)to I 16.3/sotterrato I 91.6, socto II 33.1, IIa (+6) 16.4, 17.2, 123.1, III (+4) 3.1, 6.4, 19.2, sonecto IIa 142.1, stecte I (+4) 51.1, 90.6, 93.7, II 19.3, 37.2, IIa (+22) 25.2 (2 volte), 26.4, III (+5) 28.2, 30.11, 48.20/stette II 31.4, 37.3, IIa 200.2, III 28.21, stectero I (+6) 76.8, 78.6.7, IIa (+12) 5.1, 11.3, 27.4/stettero I 102.2, IIa 148.3, st<r>ectame(n)te I 93.23, strectame(n)te III 9.2, stupefacti II 44.1, stupefacto II 6.3, tracta I 1.1, Traiecto IIa 177.3.4, 270.1, III 30.10, Trayecto IIa 270.1/Trayetto I 106.3, IIa 270.2, III 30.10, tro(m)becta I 89.5, IIa (+11) 53.1, 92.1, 95.1/tro(m)betta I 95.6, II 43.1, IIa (+4) 22.1.2, 73.1, tro(m)becte I 93.1, IIa (+4) 104.1, 286.2, 384.1/tro(m)bette IIa 25.2 (e tro(m)bbette IIa 104.5), tucta (t. +56) I 1.1, 29.1, 68.2, II 6.5, 19.3/tutta II 15.1, III 28.4, tucte (t. +42) I 26.3, 46.2.3, IIa 2.1, 20.1/tutte II 53.2, IIa 52.1, 201.2, 293.2, tucti I 66.1 (2 volte), II (+7) 19.9, 21.7, 53.8, IIa (+54) 13.2, 28.4, 28.6, III (+15) 7 5, 16 1, 27.9/tutti I 92.5, IIa (+4) 42.2, 55.1, 98.5, III (+4) 24.4, 30.17, 34.2, tucto II (t.+62) 6.5, 19.5.10, IIa 17.1, 26.3.5/tutto II 54.8, IIa 221.2, 303.1, victuaglia III 39.4, victuaglie IIa 179.1, III 48.17, victualglie IIa 302.1, victoria I 95.12, I 106.2, III (+4) 20.1, 21.3.9. La grafia pt è usata per lo più in modo improprio e paraetimologico: Introduzione CIII accaptapani IIa 312.1, accaptapa<ni> IIa 18.5/adcattapani IIa 100.8, 186.3, adcaptapanato IIa 220.1/accattapanato IIa 239.1, adcaptapani IIa 66.6, 107.3, 287.5 (e si vedano anche le occorrenze con ct), adceptar(e) I 90.5, acceptar(e) IIa (+4) 64.3, 130.2, 143.2, acceptasse IIa 130.3, acceptavano IIa 64.2, acceptereno IIa 65.1, acceptò IIa 130.3, adceptata IIa 325.1, adceptero IIa 213.6, asseptato IIa 67.1, captolici III 8.1, crapipte ‘capretti’ IIa 86.4, crapipti IIa 78.6, crapipto IIa 78.7, dicessepte IIa 263.1/dicissette III 55.1, excepto III (+5) 33.2, 43.5, 51.11, infrascripti I 95.1, III 26.3, inscripti IIa 99.1, Optavio IIa 79.6, preceptor(e) IIa 42.1, 314.1, presopti IIa 131.1, presupti IIa 62.1/presutti IIa 142.1, presupto IIa 86.4, ropto III 51.12, scripte IIa 170.4, scripti IIa 286.2, scripto IIa 17.3, 316.1, septa(n)ta IIa 120.1, septe II (+5).20.13, 21.2.5, IIa (+12) 31.2, 78.3.7, septeb(r)o I 59.1, I 91.6, septebro IIa 70.1, 101.1, 312.3, III 55.1, 57.11, septe(m)bro II 26.1, 27.1, IIa (+19) 33.1, 38.1, 66.4, III 57.7/sette(m)bro IIa 147.1, septima IIa 107.1, septimana II 49.1, IIa 70.2, 266.1, septimo III 24.2, septemilia IIa 185.1, septimo I 102.1, soctoscripti I 64.1, sopto I 95.12, II 30.4, 62.1, IIa 274.1, III (+4) 2.1, 6.5 (2 volte), soptoscripto I 88.6, II 68.3, soptoscripti I 70.2, 85.9, 96.7, III 26.2, subscripti I 93.10, subtoscripti I 85.2. Meno diffuse sono le forme con conservazione dei nessi bs, ps, qu e nct; si tratta, sostanzialmente, di latinismi: -bs-: absoluta III 17.2, obscurò III 26.16 (ma oscuro II 6.2, oscuror(e) II 6.1 e oscura IIa 266.2), obsedione IIa 14.1, observacione III 17.2, observar(e) I 30.6, subscripti I 93.10, subsidio IIa 221.1.5, subsi<d>io IIa 221.4; -ps-: epsa II 53.1, III 3.2, 36.2/essa I 43.2, 78.3, ipsi II 35.9, IIa (+7) 64.2, 100.11, 110.9, III 46.3, ipso I (+5) 60.1.3, 72.2, II (+4) 46.3, 53.1.2, IIa (+28) 55.1, 85.6, 96.2, III (+14) 9.1.2, 27.2/isso I 69.2, scripse II 21.9/ scr<i>sse IIa 208.3; -qu-: antiqui I 1.1/anti[c]hi IIa 345.1, antique II 1.1, antiquo III 26.4/anticho IIa 128.1, sequente IIa 181.2; -nct-: sa(n)cti II 8.1/sa(n)ti IIa 104.2.4.5, sancto I 6.3, 34.1, IIa 313.1, III 24.2, s(an)cto II 52.2, sa(n)cto II 6.4, IIa 371.1/santo IIa 96.1, sa(n)to II (+11) 2.1, 4.1, 6.2, IIa (+80) 4.2, 6.4, 7.1 (2 volte), sancta IIa 207.2, sa(n)cta IIa 339.1/sa(n)ta II 19.5, 30.1, 31.1, IIa (+16) 20.1 (2 volte), 40.1. Il prefisso ad seguito da consonante continua solo in pochi casi la base latina; più spesso è piuttosto adoperato impropriamente o per indicare l’intensità consonantica: adba(n)donato III 28.25, adbeveravano III 32.3, adbrusciavano III 43.8 (ma abrusciaro III 43.8), (se) adbuctinaro ‘si ammutinarono’ II 23.4, adbuctinati ‘ammutinati’ IIa 28.1.7 (e buctinati IIa 28.6, inbuctinati II 35.1), adcactapanato IIa 224.1/accattapanato IIa 239.1, adcactapane IIa 94.3, adcattapani IIa 100.8/accattapan<i> IIa 18.5 e accaptapani IIa 312.1, adceptar(e) I 90.5/acceptar(e) IIa 213.5, adcordato II 16.3/accordato IIa 14.1, adcussì (+4) IIa 2.11, 80.2, 130.3, admaczato I 2.1, adpiccato I 8.1, adpresso II 19.4/app(re)sso IIa 16.3, adpena II 6.1 adsaltò I 86.9 (ma assaltao I 86.10), adssai I 86.4/assai IIa 2.5, adssectò IIa 98.1/assettò IIa 168.1, adpiccato I 8.1, adterrato II 14.1/aterrato IIa 28.5, adlora I 25.1/allora I 2.3, III 7.4, adnegò I 49.1, adprese(n)tata I 76.7, adlogiaro I 106.1 (ma allogiar(e) IIa 4.1 etc.), adsectato IIa 94.1/asseptato IIa 67.1, adscoltar(e) III 28.11, adve(n)to III 6.6, Adversa IIa 56.1/Aversa IIa 80.4, adchora IIa 118.4, adsai IIa 105.8, adssai (+2) I 86.4, I 90.6/assai (+63) I 29.1, III 28.8, IIa 28.6, <assa’> IIa 57.4, ass[a]i III 21.10, assa[i] IIa 261.2, assaii IIa 361.1. CIV Nadia Ciampaglia Sono numerosissimi gli esempi di h etimologica, benché non manchino casi in cui la grafia è invece adoperata indebitamente; le forme complementari, tuttavia, mostrano una certa competenza [es. harmata IIa 247.1 vs. armata (t. +87); ma hora (t. +20) vs. ora (t. +2)]. L’uso di h è quasi assoluto228 nelle forme del verbo avere (es. habbi, habbia, harria, have, hauto, havenno, haverce, hebbe, hebbero etc.), ma in un solo caso è esteso alla 3a persona del verbo essere: hèi IIa 33.2229/èi IIa 104.7, èy I 12.1. Di seguito alcuni esempi: habitar(e) IIa 30.7, III 39.13, habitava III 3.2, harmata IIa 247.1/armata (t. +87) e arm(a)ta I 6.1, Hectorre I 93.10 (2 volte), II 49.4, hayro II 6.2.4/airo IIa 39.2, 71.1, 218.3, herbe I 99.3 (ma erba IIa 78.4), Herchule IIa 191.1, Hercule IIa 247.1.3 (ma Ercoles I 35.1), herede II 53.1, III 10.1, 11.1, 15.2/erede I 78.9, IIa 37.2, 170.6, III 10.6, heremiti IIa 104.2, heretici I 102.3, Herricho IIa 84.1, III 17.2.4/Erricho III 9.2, 21.5, Herrico III 21.1/Errico I 13.1, Herico IIa 52.1, historia IIa 32.1, hogi III 3.3, 21.3, homini I 93.19.24, II 24.1, IIa 304.1, 339.1, 352.1, homo I 83.1, 102.1, 103.1, II 6.3, IIa (+28) 4.1, 42.3, 56.1, III (+6) 21.10, 28.17.20, ho(m)o III 16.1, ho(m)mini I (+8) 29.1, 48.1, 58.2, II (+4) 13.2, 24.1, 34.1, IIa (+58) 4.2, 42.3, 60.1, III 27.20, 30.3, 46.4, honero ‘unirono’ I 88.9, honestame(n)te III 31.3, honoratame(n)te I 84.6, honorato IIa 42.3, honore II 50.1, IIa 246.2, honor(e) I 97.5, II 27.1, 61.3, IIa (+10) 109.1 (2 volte), 119.6, 165.1, III 39.1, honorevolme(n)te III 34.7, honori III 25.5, hora (t. +20) I 5.2, 23.1, 33.2, II 6.1.2.4/ora I 74.4, 95.7, hordinò IIa 208.5/ordinò IIa (+15) 52.4, 99.5, 104.6, III 37.2, 48.7 (e ordinaro I 75.7, IIa 27.8, ordinero IIa (+6) 124.3, 125.1, 209.2), hore (t. +9) I 11.1, 52.2, 61.1, II 18.1, 34.1 e hor(e) (t. +70) I 18.1, 21.1, 22.1, II 6.1.2.3, horo I 92.2/oro I 65.1, 71.2, 97.9, II 33.2, 59.6, IIa 16.2, 128.13, 299.2, III 35.6, 38.5, hospitali ‘ospedali’ III 8.1, 25.2, hoste ‘nemico’ III 21.7/oste III 21.9, Hostia I 81.2.3, IIa 13.1. Senza alternanze, Ermes I 72.2. I digrammi ph e fh sono in sostanza equivalenti, come dimostrano negli esempi raggruppati di seguito le coppie Fhilippo/Philippo e il significativo Pfhelippo, in cui la scrizione ibrida pfh tradisce chiaramente l’incertezza dello scrivente230; si tratta spesso, comunque, di estensioni indebite: 228 Cfr. ad esempio à I 78.3/ha I 86.6, IIa 14.1, III 13.6, 28.20, ave IIa 79.1/have (t. +40) I 86.6, 107.2 (2 volte).3, avea I 88.1, aver(e) II 35.9/havere (t. +13) III 17.4, 32.12, IIa 21.1, ebbe (t. +5) I 5.2, III 11.5, 21.7.9/hebbe (t. +46) I 18.1, 19.1, III 20.1, ebbi ‘ebbe’ IIa 370.2/hebbi ‘ebbe’ IIa 239.3, ebbero II 35.3/hebbero I 96.5, IIa 4.2, 28.7, harria II 53.2/arria III 51.8. Per lo spoglio completo delle forme, cfr. § V.3.1.8. 229 La grafia, coniata probabilmente per analogia con ha, non è rara: si legge, ad esempio, in un sonetto di età aragonese (cfr. G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli VIII e IX del ms. Riccardiano 2752, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 8, 1994, pp. 199239; 9, 1995, pp. 117-175, d’ora in poi I e II; a p. 224), in una lettera di Ferrante del 1479 (cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., pp. 71-2), nei diari quattrocenteschi di un notaio di Nepi (cfr. P. TRIFONE, Roma e il Lazio, Torino 1992, p. 133) e nella «strega» Bellezze Ursini (cfr. P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini «strega» nella campagna romana del Cinquecento, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 2, 1988, pp. 79-182; a p. 94). 230 La stessa incertezza è rivelata dalla forma Phi/Fhilippo IIa 42.1, scritta in fine rigo con la ripetizione erronea nel rigo successivo della sillaba iniziale. Introduzione CV Carrafha IIa 3.2 (2 volte)/Carrafa IIa 38.1, Christofhano IIa 42.1 e Cristofhano IIa 42.3 (con h inserita nell’interlinea su a), epifhania IIa 77.2/ephifania IIa 216.1, epitaffhio IIa 17.4, Fhilippo IIa 14.1/Philippo IIa 42.1 e Filippo IIa 230.1, Fhelippo IIa 52.1, 307.1, Pfhelippo IIa 3.2, IIa 3.2 e Felippo III 24.2, fhiscali II 49.2, IIa 199.2, scafha IIa 307.3/scafa IIa 307.3, triu(m)fhale IIa 99.1/triu(m)fale IIa 99.2, triu(m)fho IIa 16.1, triu(m)pho IIa 14.3, triunphi IIa 230.2, triu(m)fhi I 97.11 (e l’incerto triu(m)fihi IIa 99.7), trofheo IIa 335.2. Anche il digramma th è usato spesso in modo improprio: arthesani IIa 306.1, cathenaczi IIa 3.2 (2 volte), parthiculari IIa 270.3, portholano IIa 167.2 (con h corretta su o)/portolano IIa 21.3, potheca II 40.1/potecha IIa 101.1, rotholo IIa 228.3, thelogia IIa 165.1, thesaurero IIa 42.1, thesoro III 35.4/tesoro II 33.2, III 13.4, thianisi IIa 215.3, Thiano II 57.1 (con h inserita nell’interlinea)/Tiano II 23.2, thodischi IIa 317.1/todischi IIa 323.1 (2 volte), Thomase I 42.1, Thomasi I 48.1, IIa 23.8/Tomasi I 48.1, Thomaschino I 58.1, Thoralto III 34.8. Ben attestata nelle Croniche è la conservazione di X etimologica, sia in posizione intervocalica, sia in posizione preconsonantica e nel prefisso EX-; in entrambi i casi, tuttavia, sono frequenti le estensioni indebite: Alixa(n)dria I 49.1, Alixa(n)dro I 83.1, maxima IIa 306.1, max(im)e III 31.4, Maximiano I 97.2, sexto III 24.2, vexillo II 44.1, vi(n)xe ‘visse’ III 7.6/visse III 11.6 e viss(e) III (+9) 13.2, 15.2, 17.5; ma anche elexero III 27.9/elessero IIa 2.8, morxe III 30.12231/morse III (+10) 10.5.6, 11.6), laxar(e) III 41.4232, laxò III 9.5/lassò I 97.3, III 31.2, vaxallglii < lat. med. VASSALLUS III 13.3/vassalglii IIa 144.3. Prefisso EX-: exa(m)minati IIa 110.4, exa(m)minar(e) IIa 110.7 (ma exsa(m)minò IIa 110.3) excecto IIa 283.1, III 27.16, excelle(n)teme(n)te III 26.2, exco(m)monichò I 102.3, exequio I 38.1 (ma eseq(ui)re IIa 318.1), exercito I 95.2, III 9.5, exsercito IIa 8.2 (con x inserito nell’interlinea), III 9.5, 11.4 (ma esercito IIa 298.1, III 7.3), exigere III 27.7, existimasse IIa 268.2, expedecione IIa 295.1, expediti IIa 215.2, exstrate IIa 99.5/estrate IIa 274.1. Altre mani233. cl-. Il nesso è conservato solo nella mano β2: clarità β2 244.8, clarificossi β2 244.8, declara β2 237.13, declarati β2 237.12, declarato β2 237.6, declaratione β2 237.19. -ct-. Mano α: Victoria II 62.1. Mano β1: capellecti β1 36.1, <de>specto β1 34.7, dicta β1 36.2, 36.4, dicto β1 36.4, 36.15, electi β1 34.3, β1 35.1, electo β1 34.4, electuri β1 34.9, β1 36.2, facti β1 34.6, facto β1 34.5.9, 36.2, lictera β1 35.6, licter(e) β1 35.6, 36.10, mecter(e) β1 36.18, respo(n)dectero β1 36.4, staffecte β1 35.6, stecte β1 36.8.17, sup(r)adicto β1 34.10, pocte β1 36.16, possectero β1 36.6, p(r)edecto β1 40.13, tro(m)becta β1 36.21 (2 volte), tucta β1 231 La r risulta inserita successivamente nell’interlinea e dunque inizialmente Fuscolillo aveva scritto moxe; con la successiva integrazione la scrizione vale dunque per morsse: si tratterebbe, pertanto, di un esempio di assimilazione: cfr. § V.2.2.26. 232 Per le forme del verbo laxare, in cui senz’altro x vale [ss], cfr. § V.2.2.5. 233 Poiché gli interventi delle mani β e γ si collocano tutti entro la sezione del codice denominata come “annotazioni del secondo libro”, le forme ad esse relative sono segnalate con il solo numero di paragrafo, senza ripetere di volta in volta, poiché superflua, l’indicazione del libro (IIa). CVI Nadia Ciampaglia 34.6, tucte β1 35.6, tuctavia β1 34.11, β1 35.5, vedecte β1 34.6, ve(n)decta β1 35.4, victorioso β1 36.19. Senza alternanze tutto β1 34.8 e quattroce(n)to β1 34.7. Mano β2 : aspecto β2 244.4, decti β2 237.3/detti β2 244.20, decto β2 40.15, β2 237.4/detto β2 237.3.7, β2 244.8 (e ditto β2 237.19), dicta β2 41.1/ditta β2 237.6, dicte β2 237.6, β2 237.12, dicti β2 41.1, β2 237.6, docti β2 244.19, electi β2 40.17, facte β2 237.3, nocte β2 244.8, octo β2 237.6, 244.5.7/otto β2 237.6, p(er)fectame(n)te β2 244.5, predecto β2 206.4, predicti β2 237.12, predicto β2 244.9, protectore β2 206.2, secte β2 237.4, sup(r)adicto β2 40.18, sopradicto β2 206.5, tucto β2 237.3.19/tutto β2 237.1.9. Senza alternanze sotto β2 237.12, vitto β2 237.7. Mano β3 : dicta β3 229.2.3, dicto β3 229.1, β3 230.1, β3 203.3, doctore β3 232.1, facto β3 232.1, gictato β3 229.1, licterata β3 240.1, supradicta β3 229.3, ttucta β3 230.3, tucto β3 229.1.3. Mano γ: dicta 147.1, 149.4, dicto 147.1, facti 149.1, facte 149.1, facto 149.1, 149.3, 152.1, licterata 147.1, nocte 147.1, 148.2.3, octava 146.1, 149.1, tucti 148.3. Senza alternanze stettero 148.2. -pt- Mano α: sopto II 62.1. Mano β1: acceptar(e) β1 36.5, Ioa(n)baptista β1 36.4, 36.5. Mano β2: scriptura β2 244.11, scripture β2 244.15. Mano γ: Septe(m)bro 148.1/sette(m)bro 147.1. -bs-. Mano β2: obscurità β2 244.7, obscuro β2 244.3, obscurò β2 244.7, observar(e) β2 237.19, β2 237.15, subscritte β2 237.8. -ps-. Mano β1: ipsi 34.5, 36.6, ipso β1 34.10, 36.5 (2 volte), 36.6. Mano β2: scripsero β2 244.19. Mano γ: ipso 149.2. -qu-: Mano β1: sequitar(e) β1 36.7. Mano β2: requesti β2 237.7, seque(n)te β2 40.15. Mano β3: seque(n)te β3 230.3. -nct-. Mano β1: Sa(n)cta β1 36.1, Sa(n)cto β1 34.11.13. Mano β2: Sa(n)cta β2 41.1, sa(n)cto β2 206.2. Mano β3: Santa β3 230.1. ad. Mano β1: adcascato β1 34.8, adcaderrà β1 34.8, adlogiate β1 36.17 (ma allogiar(e) β1 36.21, alloggiar(e) β1 36.22), admaczero β1 36.21, adsaltato β1 36.24, adsegiati β1 35.1, adveder(e) β1 34.7, advenir(e) β1 34.4. Mano γ: adversa 149.1. h-. Mano β1: homini β1 36.1.17.22. Mano β2: christiani β2 244.22, Christo β2 40.12, habitatori β2 244.8, havisseno ‘avvisano’ β2 244.7, hebree β2 244.11, Hierusale(m) β2 41.1 (ma Ierusalem β3 240.1), homini β2 244.19, β2 40.15, hora β2 244.12, horribil β2 244.8.17, horribile β2 244.4, horribilissimi β2 244.8. Mano β3: Chaterina β3 230.1, christiani β3 240.1, Herrera β3 229.2, Hispano β3 229.2, homo β3 240.1, honor(e) β3 230.2, <h>orgio β3 229.3/orgio β3 229.1.2. L’h etimologica è conservata nell’intera serie del verbo ‘avere’: Mano β1: have β1 36.18, haver(e) β1 35.6, havesse β1 35.6, havessero β1 35.6, 36.10, haveva β1 35.6, havevano β1 34.5 (2 volte). Mano β2: habbiano β2 237.12, have β2 40.12, havea β2 237.1, haverlo β2 244.6, havemo β2 237.3, β2 244.8, haver β2 244.17, haver(e) β2 237.6, β2 244.2, haverrà β2 237.6, haverra(n)no β2 237.6, havute β2 237.6, haver β2 244.18. -pn-. La ridotta scrizione pn (in luogo della mediolatina mpn) si legge solo nella mano α: dopno II 62 (Fuscolillo invece scrive sempre do(n)no I 107.1IIa, II (+11) 28.1, 50.2, 53.8 (4 volte), IIa (+19) 24.1.3, 25.1, III 57.4). ph-. Mano β2: Pa(m)philo β2 40.18, triunpho β2 206.2, triu(m)phi β2 206.5. Mano β3: triunphi β3 230.2, Philippo β3 230.4/Filippo β3 230.1. th-. Mano β1: Thomasi β1 36.3, Thoralvo β1 35.6. Mano β3: Bartholomeo β3 232.1. Mano γ: Bartholomeo 151.1, Ia(n)thomasi 150.1, Tholeto 148.1. -x-. Mano β1: Ex(cellen)tia β1 34.3.6, 35.6, 36.15, exposero β1 36.4, exposto β1 36.2, exte(n)do β1 35.7, maxima β1 36.13, maxime β1 36.11, sexsta β1 36.23. Mano β2: exceder(e) 237.22, exeq(ui)re β2 237.13, exigera(n)no β2 237.11.23, exigernose β2 237.19, exortamo β2 244.22, exploratori β2 244.13, expresse β2 237.23, extinto β2 244.8, extraher(e) β2 237.14. Mano γ: maxima 147.1. V.1.3. Occlusiva velare sorda e sonora Abbastanza diffuso è l’uso del digramma ch per l’occlusiva velare sorda davanti a vocale velare ed a: Introduzione CVII amicho II 20.7, anchora III 34.8, Apostolicha IIa 69.2/Apostolica II 30.1, Bia(n)cha I 18.1, Biancha III 24.3, biancho II 44.1, IIa 16.3/bianco IIa 17.1, boccha I 86.10/bocca III 30.10, calvachò I 84.5/calvacò I (+6) 14.1, 15.1, 47.1, cerchare IIa 298.1, charitativo IIa 221.1/ caritativo IIa 221.3, ciaschuno I 94.3, ciaschuna I 97.6, circha II 6.5, IIa 27.3, do(m)minicha II 13.3, III 17.3, ducha I 24.1, II 14.1 (2 volte) III 2.2/duca I 18.1, III 6.1, duchato III 3.3, edifichata II 4.1, Herricho III 17.2, Federicho I 24.1, III 17.3/Federico I 51.2, III 19.1, inbarchò I 48.2/imbarcò III 59.5, Lodovicho I 11.1/Lodovico I 93.10, merchato IIa 308.1, merchudì II 35.14/mercudì IIa 26.1, parthicular(e) IIa 327.2, Paschua I 104.1, IIa 77.2/Pascua II 13.3, IIa 165.6, 339.1, pecchati IIa 40.5 (ma si veda peccati β2 244.24), pechore I 93.7, piccicharoli IIa 101.1.2, pocha I 76.7, potecha IIa 101.1/potheca II 40.1, senescalcho I 7.2/senescalco I 7.1, III 28.17, voccha IIa 299.3, sopporticho IIa 335.6/sepportico IIa 365.1. Fuscolillo sembra tradire invece incertezza nella rappresentazione del suono gutturale sordo dinanzi a vocale palatale: difatti, nei titoli dei tre libri la parola Croniche ha sempre l’h corretta su un’originaria -e (cronice: cfr. testo, I.1, II.1, III.1 e relativo apparato). L’occlusiva velare sonora davanti a vocale velare è resa sempre con g; l’unica eccezione con gh è rappresentata da baghalglie IIa 11.3, IIa 201.2/bagalglie IIa 296.2 (2 volte). Davanti a vocale palatale, invece, potrebbero esprimere la medesima difficoltà di rappresentazione del suono velare (già segnalata per l’occlusiva sorda), le forme page II 23.4, IIa 28.7/paghe II 35.3.4.8, pagero IIa 310.1/paghero IIa 310.1 e verge I 65.1 visto che, almeno in un caso, la h si rivela corretta su un’originaria e234. All’elenco si può aggiungere larghecza IIa 335.4, in cui pure la h risulta inserita nell’interlinea (retr. largecza). L’interpretazione del fenomeno, ricondotto a un fatto puramente grafico anche da V. Formentin in Galeota235 e Loise De Rosa236, lascia però qualche margine di dubbio in Fuscolillo per la differente area linguistica (probabilmente mediana237, più che meridionale) in cui si inserisce il nostro testo (cfr. § V.2.2.2/a e n. 452). 234 Difatti paghe II 35.3 nasconde in realtà la scrizione originaria page. Cfr. ad es. longi, lunge (V. FORMENTIN, a c. di, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 51). 236 Cfr. largeccze, largiccze, largissimo nei Ricordi (V. FORMENTIN, a c. di, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 67). 237 Forme simili, del resto (ad es. page ‘paghi’, obligi), compaiono anche nel Carteggio Vaianese, lette dall’editore con intacco palatale: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 46. Nel corso di questa trattazione si mostrerà progressivamente la possibilità di ipotizzare per Sessa Aurunca un’originaria appartenenza ai dialetti di area mediana. In effetti, parecchi indizi fonetici (come la palatalizzazione del nesso -LL- davanti a -U, -I e lo sviluppo di PL e CL in affricata palatale: cfr. §§ V.2.2.12 e V.2.2.14), morfologici (ad es., la desinenza di 3a pers. plur. in -ero nel passato remoto dei verbi di I coniugazione: cfr. § V.2.1.7 e V.3.1.1/c) e lessicali (ad. es., il tipo vacha ‘vaco’ ‘acino’; cfr. n. 731 e gloss.) concorrono nell’inquadrare il nostro testo nell’ambito della zona mediana. Per la possibilità che nelle aree oggi dialettologicamente alto-meridionali vigesse anticamente il tipo linguistico mediano, si veda da ultimo la dettagliata ricostruzione fornita da M. BARBATO, La formazione dello spazio linguistico campano, «Bollettino Linguistico Campano», 2 (2002), pp. 29-64. 235 CVIII Nadia Ciampaglia Altre mani. Mano α: non è mai attestata la grafia ch davanti a vocale velare: Fuscolillo, Cola, piccola II 62.1. Mano β1: a(n)chor β1 36.18/ancora β1 35.6, calvachò β1 34.6, circha β1 36.15/circa β1 34.7, duca β1 35.6; senza alternanze do(m)meneca β1 36.14, domeneca β1 36.17. Mano β2: anchora β2 237.12.13.14, 244.5.7.8/ancora β2 237.3, ciaschun β2 244.2, ciaschuno β2 237.6/ciascuno β2 237.12 (e ciascuna β2 237.8). Mano β3: circa β3 229.2 (2 volte), β3 240.1, ducha β3 231.1, Pasca β3 232.1, β3 240.1. Mano γ: nelle poche forme offerte dallo spoglio non si registra mai l’uso di ch davanti a vocale velare: circa 147.1, duca 146.1, 147.1, 148.1, 149.1.2. V.1.4. Occlusiva mediopalatale L’occlusiva mediopalatale sorda è resa comunemente con chi (ad es., apparechio III 21.10), ma in alcuni rari casi la grafia adoperata è invece ch: apparechao IIa 182.5, chamase ‘si chiama’ IIa 270.1, chamata III 7.6238; a queste ultime due forme si contrappongono però, conteggiando anche i relativi controesempi chiamase II 21.6, 82 e chiamata (+9) I 48.3, III 39.2, IIa 40.1, ottantadue occorrenze del verbo ‘chiamare’ scritte invece con chi-239. Poiché Fuscolillo non tende abitualmente ad omettere nella scrittura lettere o sillabe240, si è rinunciato in questo caso all’integrazione, tenuto conto che la grafia ch per rappresentare l’occlusiva mediopalatale è attestata sin dal ’300241 e non è difficile, anche per le epoche successive, reperire significative testimonianze242. Segnalo come esemplare, per evidenziare comunque una relativa incertezza nella resa grafica di questo fonema, il caso di chiamò III 14.1, in cui Fuscolillo ha inserito una i nell’interlinea tra h ed a, ed una seconda i, pleonastica, anche su c. Altre mani. Mano β. Nulla di significativo da segnalare; in scavo ‘schiavo’ β 34.5 < SCLAVU, come s’è detto243, la grafia avrà valore puramente velare. 238 Non vanno considerati in questo elenco, ovviamente, Yscha ‘Ischia’ (+11) I 76.1, 89.7, 90.4/Ysca I 91.7, III 39. 9, 47.6, Ischa I 75.2, 76.5, IIa 27.1/Isca III 27.15 e scavi ‘schiavi’ IIa 352.2, sviluppi ben noti nel mezzogiorno: cfr. § V.2.2.14. 239 Questo l’elenco: chiamare II 20.5, III 40.1, chiamari III 26.10, chiama (+7) III 18.3, 2.1, IIa 40.1, chiamava (+16) I 2.3, III 13.5, 27.8, chiamavano IIa 128.12, III 49.2, chiamao II 16.3, chiamò (+6) III 14.5, 34.6, chiamati III 30.17, 41.7, II 46.2, chiamato (+34) II 19.11, III 11.3, 16.2. 240 Questa patologia di scrittura è invece frequente, ad esempio, in Loise De Rosa: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 73. 241 Cfr. L. PETRUCCI, Il volgare a Napoli in età angioina..., cit., p. 62, n. 196. 242 Cfr. ad es. chamao, chamava nell’Hist. tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya. Volgarizzamento napoletano trecentesco da Guido delle Colonne, Roma 1986, p. 348) e chamao, cha(m)mava nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 73). 243 Cfr. n. 238. Introduzione CIX V.1.5. Affricata palatale sorda Per quanto riguarda questo fonema, è d’obbligo la cautela, considerata la nota ambivalenza244 delle scrizioni c(i)/cc(i) e cz(i)/ccz(i), che possono rappresentare sia l’affricata palatale sia l’affricata dentale. Tuttavia, benché non manchino esempi di un probabile valore palatale di cz, czi, ccz e cczi, dopo consonante e davanti a vocale anteriore ed a, in testi di area meridionale245, in Fuscolillo le suddette grafie paiono piuttosto rappresentare l’affricata dentale sorda (ad. es. precii, precci, precczi): occorre dunque richiamare l’attenzione, ancora una volta, sulla differente area geografica delle Croniche, area per cui pare attestata una più estesa distribuzione dello sviluppo assibilato di determinati gruppi consonantici. Si rimanda dunque, per l’interpretazione delle forme cartucze, cathenaczi, pariczi, Riczardo246, cacczero, adco(n)cziar(e), appariczio, riczio ‘riccio’, Caraccziola, caccziato etc. al § V.1.11. Per cia(n)che ‘chianche’ cfr. § V.1.11 e V.2.2.14. Si segnala qui, con valore palatale, solo Ciarlo I 33.2 (Ciarlo Pagano), per cui cfr. § V.2.2.1 e n. 429. V.1.6. Affricata palatale sonora In primo luogo, va detto subito che nelle Croniche non trova mai rappresentazione, almeno grafica, la geminata; l’unica eccezione è costituita dalle quattro occorrenze di seggio ‘tribunale’ ‘ripartizione politico-amministrativa di Napoli’ IIa 80.1.1.2 81.1 insieme al plurale seggi IIa 80.2, ma Fuscolillo opta per la scempia in tutte le altre occorrenze: segio (t. +23) I 50.2, 59.1 (2 volte), II 50.2, IIa 60.1, 62.1; non vanno nel conto, da -DJ-, hoggi e saccheggiata II 69.2, perché compaiono, accanto al regolare collegio IIa 69.2, nella trascrizione di un bando emanato a Roma nel 1559 e non risultano dunque indicative (cfr. infra, n. 582; e vedi oltre, per alloggiar(e), maggio, esseggio e seggio della mano β). Per il resto, l’affricata palatale sonora in posizione intervocalica è comunemente resa con g(i): carrugio ‘carro, cocchio’ IIa 188.1 (2 volte), destruger(e) III 43.3/destru(g)ger(e) III 19.5, Fogia III 20.3, fugerno III 46.3, fugìo III 26.8, 37.4, fugir(e) IIa 20.1, 183.2, III 27.12, 28.16, fugiti IIa 352.1, III 27.13, fugivano IIa 297.1, guirregia(n)do III 9.1, legerà II 53.3, legieri IIa 4.1, liegier(e) IIa 7.1, liegieri IIa 5.1, 12.1, 286.1, ligeri IIa 324.1, pagi IIa 117.1 (2 volte), pattigiorno II 20.4, pioge IIa 70.7, rege IIa 170.2, III 27.8, regeo IIa 108.2, reger(e) IIa 256.1, regie ‘regge’ IIa 48.1, 255.1, 1, spiagia I 33.1; si aggiunga in posizione postconsonantica, Angioia ‘Angiò’ III 30.24, 37.1, 59.3, Angioa III 27.8.10.14, Agioia III 2.2, congiungere IIa 8.2, congiungnero IIa 261.2 etc. In prigiaria IIa 245.5 e pregiaria IIa 289.1 non è da escludere la possibilità che la grafia g(i) stia in realtà per la semivocale, secondo l’esito usuale nell’area me244 Rimando, per una puntuale rassegna bibliografica del problema, a quanto già raccolto da V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 68, n. 10. 245 Così, ad es., nei Ricordi: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 67-70. 246 Cfr. n. 287. Nadia Ciampaglia CX diana247. Il dubbio si pone, in realtà, anche per le forme dal suffisso francese -age, prov. -atge, che presentano sempre -agio, e per le voci del verbo ‘alloggiare’ < fr. logier: carriagi III 48.8, 51.8, 56.10, carriagio IIa 134.1, ferragio III 21.10, ’magio ‘omaggio’ I 88.9, 89.6, 90.1, passagio I 84.1, IIa 103.3, III 21.6, stagio I 93.17, viagio IIa 104.2248; allogiao IIa 38.2, III 53.2, allogiare IIa 315.1, allogiar(e) IIa (+10) 4.1 (2 volte).4.2, 105.1 e llogiare I 108.11IIa/lo(g)giare II 23.1249, ’logiare (+7) IIa 57.1, 171.1, 208.2, allogiaro IIa 315.1, 324.1, allogero II 35.2, IIa 252.1, 294.2, 297.1, allogiasse IIa 252.2, allogiassero IIa 105.1, 325.1, allogiati II 1.1, 19.3, 23.1, IIa 11.3, 299.3, III 48.3, allogiato IIa 300.3, 301.5, III 45.3, allogiat<o> IIa 6.3, allogiatolo IIa 164.1, allogiava IIa 301.1, allogiavano IIa 103.3, 294.7, con il deverbale allogiame(n)ti II 49.2, IIa 2.6, allogiame(n)to IIa 294.3.6. La cautela è d’obbligo anche per le forme seguenti, che si presentano in coppie di allografi con i e in cui pure la grafia g(i) potrebbe nascondere l’esito semivocalico250: Magiestà III 30.7/Maiestà (+12) II 37.1, IIa 80.2, 113.1 (e Maestà IIa 57.5, Mae(n)stà II 37.4, M(aie)stà (+38) IIa 79.3.6, 80.2, Maystà I 102.1), magiore (+8) III 14.5, 34.11/ maiore (+22) I 71.2, II 33.1, 56.1, III 11.6, IIa 60.4 e mayore I 86.6, II 41.1, magior II 20.11,’magio ‘omaggio’ I 88.9, 89.6, 90.1, magio ‘maggio’ (t. +75) I (+23) 15.1 (2 volte), 19.1, 26.1, II (+6) 22.1, 32.2, 34.3, IIa (+43) 39.3, 47.1, 47.2/maio ‘maggio’ III 23.3, 50.1. L’alternanza i/g(i) in posizione iniziale si legge anche nelle forme seguenti: Genua (t. +15) I (+6) 48.1.2, 72.1, III (+7) 26.1, 39.7, 47.2, IIa 191.1, 114.1, Genoa IIa 113.1.2/Ienoa IIa 14.3, gioie IIa 16.2/iooye III 35.4, giorno (t +17) I 75.6, 77.1, II 36.2, IIa (+14) 40.4, 50.2, 75.1/iorno (+5) I 78.6, IIa 99.8, 107.4, 153.1, III 20.1, iuorno IIa 351.1, giorni (t. +41) I 29.1, 44.2, II (+10) 6.4.5, 19.4, IIa (+19) 27.3, 28.7, 70.3, III 41.2, 48.20/ iorni (t. +9) II 6.4, IIa (+4) 28.5.6, 98.6, III (+4) 14.1, 25.9, 28.2.3 e giurni IIa 252.1. Pare comunque indubbio che nella distribuzione delle grafie (e forse anche degli esiti: cfr. § V.2.2.13) si possa rintracciare una plausibile ratio, a partire dal relativo libro in cui ciascuna forma compare: si consideri, ad esempio, che il tipo magio ‘maggio’ si impone in modo assoluto in tutte le Croniche, ad esclusione del terzo libro, in cui si legge invece maio (l’esito toscano con la doppia compare solo nella 247 Per questa forma, cfr. § V.2.2.2 e n. 451. Nell’Hist. Tr. si leggono viayo, corayo, vantayo (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 371); nei Ricordi alternano -agio/-aio (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 72). 249 Ma per lo scioglimento del titulus, cfr. § IV.1 e n. 187; si veda anche § V.2.2.27. 250 Nei Ricordi di Loise De Rosa l’ipotesi che in molti casi possa trattarsi di grafie cosiddette di “copertura” sarebbe rafforzata da alcune forme in cui g rappresenta sicuramente [i], quali Gageta e ugis ‘huius’: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 72. Nel Carteggio Acciaioli (lettere di Iuliano da Firenze) si legge la grafia g per l’affricata palatale sonora (gà ragone): cfr. N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.270 e II.268. 248 Introduzione CXI mano β2 206.1: maggio). Analogamente, la forma giorno (t. +17) è nettamente predominante su iorno, ma non compare mai nel terzo libro. In posizione iniziale, la g- si impone invece in modo assoluto nelle forme seguenti, per lo più penetrate dalla lingua letteraria251: genero I 97.4, genoese I 87.4, IIa 42.3, 79.2, genoisi I 48.1, IIa 113.2, III 47.3, genoysi I 98.1, genuisi I 13.1, genuysi I 98.1, gente I (+15) 33.1.2, 46.1, II (+12) 19.3, 20.1.7, IIa (+34) 2.5.6, 13.1, III 28.17, 56.10, 57.5, ge(n)te II 1.1, IIa 2.3, 16.1, III (+29) 12.4, 27.20, 28.2), gentilomo (+17) IIa 21.3, 23.3, 29.2, gentelhomo III 32.2, gintilohomo IIa 18.2, gintilomo (+10) I 59.1 (2 volte) IIa 37.2, gentelomini IIa 40.4, III 45.3, gentelommini I 13.2, 88.1, 98.1, 99.1, gentilhomini III 46.1.2, gentilomini (+16) III 26.9, 30.5, gentilommini I 89.6, gelata IIa 44.2, Gelbe III 37.4.6, 38.1, generale agg. e sost. (+23) IIa 20.1 (2 volte), III 25.5, generatione I 95.15. Altre mani. magiore β1 35.12, β2 237.ҏ14, β2 244.4; alloggiar(e) β1 36.22, maggio β2 206.1, esseggio β3 203.1 e seggio β3 232.2. V.1.7. N/M preconsonantiche C’è oscillazione nella resa della nasale seguita da p/b: canpanini III 11.3, canpo III 28.4/campo III (+10) 32.2, 39.4, 43.7 e campi III 21.3, conparuto II 28.2, inparator(e) I (+4) 25.1, 26.2 (2 volte), 105.1, II (+5) 20.7.11, 21.1, IIa 113.1/imparator(e) II 14.1, IIa (+5) 117.2, 118.1, 185.1, III (+9) 9.1.2 (2 volte), 17.5, imparatore IIa 14.1, imperator(e) IIa 14.1, III 2.1 e imperatori III 3.1, inpiccato III 26.7/ impicchato IIa 376.1 (e impiccar(e) III 19.1), inpicchati I 68.1, III 30.17, inbarchare IIa 317.1, inbarchò I 48.2/imbarcò III 59.5, inbassator(e) II 14.1, inpediano III 27.2, inpediti IIa 296.2, inpedivano II 6.4, inponeme(n)to II 49.2, inponeme(n)ti IIa 111.1, inpresa I 84.5, IIa 202.2/impresa IIa 198.2, 199.1, impresonato III 13.4, inponessero II 49.2, scanpato III 47.6. Senza alternanze, imparar(e) IIa 170.1, imperiale II 20.1, IIa 16.2, III 3.1. Si legge m in luogo di n in imdebitamente III 21.12/indebbitamente III 21.12, primcipe III 26.7; in corpo di frase252, in im questa IIa 199.2 e im prima IIa 30.2253. Altre mani. Nelle poche forme offerte dallo spoglio non si registra oscillazione mp/np. Mano β1: imparator(e) β1 34.8, imponer(e) β1 34.2. Mano β2: impote(n)te β2 237.1, impote(n)ti β2 237.3. Mano β3: imperator(e) β3 230.1. Mano γ: nell’unica forma utile si trova n davanti a consonante labiale: inbussulate 152.2. 251 Cfr. § V.2.2.13 e n. 543. Non si aggiunge all’elenco com multe III 1.1, in cui la -n si è assimilata alla consonante iniziale della parola successiva: nella presente edizione si è trascritto, pertanto, co mmulte. 253 Si veda quaramta, comtanti nel conto di spese di Policastro (P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 232). 252 CXII Nadia Ciampaglia V.1.8. Rappresentazione della nasale palatale Nella resa grafica del suono nasale palatale si rileva una grande varietà di scrizioni: si consideri, ad esempio, la serie Spagna I (+7) 87.2, 90.3, 92.1, Spagnia (+5) I 54.1, 85.6, 95.6, Spangna I 93.1, Spa(n)gna (+11) I 48.4, 73.1, 78.8, II 20.11, IIa 14.1, III 41.3, Spa(n)gnia I 73.1, Spa(n)gia I (+4) 85.6, 86.2, 86.8 e Spagia I 95.1. Le grafie più diffuse sono comunque ngn e gn, mentre risultano meno rappresentate gni, ngni e ngi; il digramma gn è senz’altro preferito nelle annotazioni spontanee, mentre ngi si legge solo nel primo. Di seguito si raggruppano dunque le forme con grafia ngn: Besi(n)gnano I 85.9, biso(n)gno IIa 194.1, Bolo(n)gna I 105.2 (2 volte), ca(m)pa(n)gna IIa 312.2, 376.1, co(m)pa(n)gni IIa 306.1, co(m)pa(n)gnìa I 108.1.2IIa, IIa (+15) 10.1 (2 volte), 7.1, 21.3, co(m)pa(n)gnìe IIa (+6) 5.1, 8.2, 11.1, Bolo(n)gna I 105.2 (2 volte), co(n)gnato I 86.9, Frangnito I 78.3, giungno II 40.1, guadangnar(e) IIa 165.6, incengni IIa 58.1, ince(n)gni IIa 58.4, ingengno III 41.4, i(n)ge(n)gno III 12.2, iu(n)gno I 82.1, iu(n)gnevano IIa 180.2, ongni IIa 98.4, o(n)gni IIa 85.6, 306.1, 320.1, lo(n)gna IIa 137.1, pu(n)gnale I 86.10, re(n)gno I 86.2, II 20.8, si(n)gni II 25.2, spa(n)gnoli II 16.1, 19.3, spa(n)gnoli I (+ 9) 93.4.5.6, II (+4) 16.1, 19.1.3, spa(n)gnolo I 95.12, Spa(n)gnolo IIa 190.1. Si aggiungano Spangna I 93.1 e Spa(n)gna (+11) I 48.4, 73.1, 78.8, II 20.11, IIa 14.1, III 41.3. La grafia ngni si registra soltanto in due casi: ongniuni IIa 104.5 e Spa(n)gnia I 73.1. Come s’è detto, accanto a ngn risulta invece ampiamente rappresentato anche il digramma gn: adbisognao IIa 280.2, adbisognò IIa 112.3, 183.3, 247.5, [adc]o(m)pagnao IIa 382.1, adco(m)pagnao I 72.2, IIa 156.3, adco(m)pagnaro IIa 361.1, adco(m)pagnò IIa 109.2, benigno IIa 128.20, 1442.1, bisognassero IIa 4.1, bisognava IIa 221.2, bisogno IIa 110.6, bisognò IIa (+5) 20.1, 175.1, 201.2, Bologna IIa (+5) 15.1, 16.1.6, dignità I 102.3, guadagnò I 33.2, pognalo I 78.10, regno I (+10) 1.1, 54.1, 56.3 (2 volte), regnò I 44.2. e il già citato Spagna I (+7) 87.2, 90.3, 92.1. In pochi casi, limitati esclusivamente al primo libro, si registra il trigramma gni davanti a vocale velare: ca(m)pagnia ‘campagna’ I 2.2254, Spagnia I (+5) 54.1, 85.6, 95.6, regnio I (+5) 73.1, 78.9, 84.4. La grafia ng si legge in spangoli I 93.19 e Spa(n)golo IIa 86.2, “cognome”255, quest’ultimo, per il quale la lettura palatale è certa256. Si registra invece più fre254 Nel testo si legge però co(m)pagnia. Questo il contesto: «Ant(oni)o Vinnacio Spa(n)golo lo co(n)gnome». 256 In altro contesto, infatti, si legge: «Ant(oni)o Guinaczio no(m)minato Spa(n)gnolo» (cfr. testo, IIa 190.1). Bigongase ‘bisognasse’ e ongi si leggono nel Carteggio Acciaioli: cfr. N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.269 e II.268. 255 Introduzione CXIII quentemente, benché tutte le occorrenze si riscontrino solo nel primo libro, la scrizione ngi: consingiò I 72.2, iungio ‘giugno’ I 70.1, lengio ‘legno’ I 75.1, pingio ‘pegno’ I 76.9, re(n)gio I 93.1 e Spa(n)gia I (+4) 85.6, 86.2, 86.8257; a questi esempi si possono aggiungere nel sommario latino iniziale re(n)giu(m) S 17.6 e rengio S 16.2. Se in De Rosa è considerato dall’editore un «errore d’esecuzione grafica l’isolatissimo singiore»258, occorre tuttavia tener presente, da un lato, il maggior numero di occorrenze con questa scrizione offerte dalle Croniche e, dall’altro, la differente zona di provenienza del nostro testo, in cui si registrano, in effetti, fenomeni tipici dell’area mediana; in quest’ultima, infatti, è diffusa la grafia ngi per la nasale palatale259. Si può invece considerare semplicemente un errore (omissione del titulus) l’unico caso di grafema gi in Spagia I 95.1260. Avrà valore palatale la scrizione nn(i) in iunnio I 76.6, iu(n)nio I 31.1, 76.5, IIa 218.1, 219.1, 221.1, 222.1, o(n)ne I 52.3 e on(n)euno I 67.2. Il digramma non risulta molto diffuso in ambito meridionale261 e si noti, ancora una volta, che l’uso è fondamentalmente ristretto al primo libro. Saranno infine latinismi Aragonia I 3.1, I 6.1/Aragona I 30.1, Ispania IIa 117.2/Ispagna IIa 11.3, iunio ‘giugno’ I 52.2, 63.2, 78.3, IIa 281.1 etc262. Per l’incrocio di n e l in Co(n)tiglola III 32.12, cfr. § V.1.9 e n. 268. Altre mani. Nelle poche forme offerte dallo spoglio per la nasale palatale è quasi sempre adoperato il digramma gn e una sola volta ngn. Mano β1: spagnoli β1 34.9, spa(n)gnoli β1 36.1. Mano β2: ca(m)pagna β2 206.1, iugno β2 206.5, regno β2 206.1, β2 236.1, β2 237.1.3. Mano β3: Spagna β3 230.1. Mano γ: signori 148.3. V.1.9. Rappresentazione della laterale palatale È davvero ricchissima la gamma di grafie adoperate da Fuscolillo per rappresentare 257 In queste forme il titulus è stato segnato su a. Cfr. V. FORMENTIN (a c. di), LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 71, p. 77 e n. 30. 259 Nel Carteggio Vaianese si leggono ad esempio le forme pengio, singiore, ongie: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese...cit., p. 45. 260 Segnalo in nota, per completezza, che gadagio ‘guadagno’ e legio ‘legno’ si leggono però nel Carteggio Vaianese: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 45. Per cautela, quindi, si rinuncia ad emendare la forma: cfr. qui, § IV.1 261 Cfr. N. DE BLASI, Kampanien/Campania, in G. HOLTUS, M. METZELTIN, C. SCHMITT (a c. di), Lexicon der Romanistischen Linguistick, Tubinga 1995, II/2, pp. 175-189, p. 176. Per i Ricordi, si veda la rettifica di V. FORMENTIN (LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 78), per il quale nn vale solo [nn]; l’esempio, però, è di parole che presentano trattamento semidotto del gruppo GN, come innudo e dinno ‘degno’. Per altre attestazioni del digramma, si vedano assennao, innoranti, onnuna nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 345) e visonna ‘bisogna’ nel Carteggio Acciaioli (N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.515). 262 Per il digramma ni per la nasale palatale, diffuso già nel ’300, si veda ad es. scanyo nell’ Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 345). 258 CXIV Nadia Ciampaglia la laterale palatale; solo a scopo esemplificativo, si possono considerare nel primo libro gli allografi bataglia, batalglia, batallglia, bata(n)lglia e, nelle annotazione del secondo, le varianti per ballia, balglia, vallia, vallia, vallglia. Le scrizioni più adoperate sono gli, lgli (pochi, invece, gli esempi con gl e lgl davanti ad a, e, o) e ll(i); meno diffusa e circoscritta alle scritture spontanee è invece la grafia llgli. Di seguito le forme, alquanto numerose, che presentano il trigramma gli: bactaglia I 2.2, bactaglie I 55.1, bataglia I 93.15 (e si veda oltre per gli allografi con lgl, llgl), bassaglii IIa 128.10, bassagli IIa 134.4, 1442.1 (e si veda oltre per gli allografi con llgl), consiglio (+92) III 27.6.15, 28.9 (ma per latinismo co(n)silio IIa 82.1, 255.1 e si aggiungano inoltre gli allografi con lgl), figlia I 30.1, 40.1, II 15.1, 62.1, IIa (+4) 63.1, 79.6, 215.1, III (+5) 17.1, 23.1, 24.4, figliao I (+6) 20.1, 24.1, 27.1, figliata I 94.3, figlio I 15.1, 41.2, 97.3, II 14.1, IIa (+19) 2.1, 3.2, 14.1, III (+23) 10.3.5, 11.4, figliola I (+8) 10.1, 19.1, 22.1 (e con grafia latineggiante filiola I 5.1), figliole I 43.1, III (+4) 24.3, 40.1.3 (2 volte), figlioli I (+9) 60.3, 66.1, 68.1, IIa (+3) 180.1, 261.3, 361.2, III (+8) 17.7, 19.1 (2 volte), 24.1, figliolo I (+27) 18.1, 20.1, 21.1, II 47.1, IIa 104.3, 138.1, III (+4) 19.7, 26.5, 44.1, figliò III 26.12, Gargliano III 30.10/Garliano I 96.2 (e si veda l’allografo con lgl), giaglio ‘giallo’ IIa 384.1, Gogliermo III 11.1, mogliere I 14.1, III 17.7 (e si aggiungano gli allografi con lgl), pigliò II 16.1, IIa 27.3. Altrettanto diffusa appare la scrizione lgli: almiralglio I 84.6, bactalgliare I 103.4, bactalglie I 95.10, bagalglie IIa 296.2 (2 volte), baghalglie IIa 11.3, 201.2, balglia IIa 341.1 (con la prima l inserita successivamente; vedi oltre per gli allografi ballìa, vallìa, valglìa, vallglìa), bassalgli IIa 1442.1 (2 volte), batalglia I 103.4, Castilglia I 16.2, III 47.6, cavalglii IIa 134.1, 135.1, 286.1, cavalglio IIa 128.9, III 13.5, cavalglio III 13.5 (e si vedano gli allografi con llgl), cavalgliero III 21.6, 57.4 (e vedi infra, cavalliero, cavallgliero, cavaliero), Colglio IIa 163.1, co(n)silglio I 67.3, IIa 167.1, Garlgliano IIa 13.1 (ma Garliano I 96.2), gialgli IIa 117.1, Gloctelglia IIa 164.1, Gulglielmo III 11.1, lulglio I 88.8, milglia IIa 40.1, molgliere I 85.8, molglier(e) IIa 30.7, olglio IIa 285.1, pavelgliuni ‘padiglioni’ III 28.21, pilgliao I 26.1, pi<l>gliò IIa 128.15 (con l inserita nell’interlinea su i), pilgliato I 64.3, pulglii IIa 131.1, Rotilgliano I 93.20, Scalglione IIa 10.1, Stilgliano IIa 366.1 (2 volte), talgliao I 26.2, talgliar(e) IIa 110.5, III 35.1, talgliavano IIa 110.5, talgliero I 59.1 (e si vedano gli allografi con llgli), thanalgliato IIa 376.7, tovalglia I 86.10, travalglie IIa 296.2, valglia IIa 360.1 (2 volte) e si vedano gli allografi con lli, lgl, llgl, vassalglii IIa 1442.3 (e si aggiungano gli allografi con llgli), victualglie IIa 302.1. Ecco di seguito, invece, gli esempi con gl: Goglelmo II 3.2 (e si vedano gli allografi con gli, lgl), III 15.1, piglao IIa 161.1, piglero II 20.2, IIa 9.1 (2 volte), 10.1, 201.2, piglò263 I 110.1IIa, III 34.1. 263 Si consideri, però, che questa forma compare in un’annotazione relativa all’anno 1569, inserita successivamente da Fuscolillo in una carta del primo libro rimasta vuota e che la grafia gl, in sostanza, non è quindi mai adoperata in questa sezione delle Croniche. Introduzione CXV Pochissimi, come s’è detto, anche gli esempi per la grafia lgl: Golglelmo III 26.4, Gulglermo III 10.5, Gulglelmo III 13.1, milgle IIa 143.1.2, milgle IIa 143.1.2 (e si veda millgle), talglaro I 99.1. La grafia ll(i) rappresenta la laterale palatale264 nelle forme seguenti: artellaria I 16.2, II 20.2, IIa 6.3, ballìa III 34.8 (e si vedano i già citati balglìa e balglìa), cavallieri III 21.7.8.12, cavalliero III 34.9 (e si vedano anche cavallgliero, cavalgliero e cavaliero), cavallieri III 21.7.8.12/cavalieri III 21.7, Gullelmo I 93.10, Corillano ‘Corigliano’ III 26.4/Corgliano IIa 153.1 e Corlgliano IIa 83.1, famelli IIa 214.1 (2 volte), navillie ‘navigli’ III 21.10, recollesse IIa 327.3, rocollesero IIa 327.1, sallìo III 45.1, salliro III 39.10, sallir(e) e sallire III 39.12, sallisse IIa 357.1, sallite IIa 299.1, salliva II 32.1, sallissa IIa 357.1, sallite IIa 299.1, salliva IIa 357.1, sallìo III 45.1, sallire III 39.12, sallir(e) III 39.12, salliro III 39.10 (ma saglie(n)no III 39.10, 48.19, sallgliero IIa 177.3, 326.2), vallìa (+8) IIa 337.1.4 (3 volte), 359.1. Si aggiunga, nel Sommario Latino, Gullelmus S 13.1, Guillienimo S 14.1, Gullienimus S 14.1/Gulienimus S 13.1, Guilienimus S 16.1, Gulienimo S 16.1. Decisamente meno diffusa è anche la grafia llgli, il cui uso è fondamentalmente circoscritto alle scritture spontanee, visto che nel primo e terzo libro risulta adoperata, in totale, solo quattro volte: Aviellglio IIa 132.1, bassallglii III 16.2, batallglia I 95.12, brillglia IIa 128.12, cavallglii IIa (+4) 5.1, 270.2, 319.1, cavallgliero IIa 135.2 (e vedi anche cavalgliero, cavalliero e cavaliero), cavallglio IIa 182.12.14, co(n)silglio IIa (+5) 167.1, 271.2, 283.1, Portugallglia II 21.9, sallgliero IIa 177.3, 326.2, tallgliero I 98.1, tallgliar(e) III 21.5, vallglìa IIa 360.1 (2 volte), vaxallglii III 13.3, Za(m)pallglione IIa 287.5. La grafia llgl si legge solo in millgle IIa 140.1. Potrebbe rendere la laterale palatale anche la l in artelarie IIa 3.1 e occole(n)cze ‘accoglienze’ IIa 156.2/accoglie(n)ze β3 196.12265. Per quanto riguarda poi bata(n)lglia I 106.5, si tratterà, piuttosto che di un isolato esempio di rappresentazione della laterale palatale tramite la gra264 In Lupo De Spechio lli o la grafia iberica ll stanno per gl (es. Guillermo): cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., pp. 180-1; ll per gl si legge anche nell’Hist. Tr. (assallire, maravelle: cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 346) e nel Sidrac, considerata d’influsso francese da A. STUSSI, Antichi testi salentini in volgare, «Studi di Filologia Italiana», 23 (1965), pp. 191-224; a p. 205. Nel Carteggio Acciaioli si leggono con valore palatale maravellu e familli (N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., I.15 e II.515). Secondo M. Corti, invece, la forma vallìa in De Jennaro rappresenterebbe piuttosto un caso di raddoppiamento e la grafia ll, in generale, non avrebbe valore palatale ma documenterebbe la tendenza a non palatalizzare il nesso: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO, Rime e lettere, Bologna 1956, p. CXXVIII e p. CXV; si veda anche § V.2.2.20. 265 All’elenco si può aggiungere anche piaoce I 81.2, in cui tra i ed a sembrerebbe inserita successivamente una l. Per altri riscontri, si veda pilari nel Carteggio Acciaioli: cfr. N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.5. CXVI Nadia Ciampaglia fia nlgli, di un ennesimo caso di uso abnorme del segno di abbreviazione, da attribuire forse ad una scansione patologica, una sorta di autodettatura interna, sviluppatasi durante la scrittura266; si spiegheranno per il medesimo fenomeno i tipi mo(n)gliere I 22.1, mo(n)glier(e) III 10.1, mo(n)glie III 10.2, reco(n)glier(e) IIa 327.1 (2 volte), ta(n)glione I 103.8, vassa(n)glii IIa 144.1. Sarà verosimilmente un errore di esecuzione grafica o comunque dipendente dalla fonte, infine, l’incrocio tra n e l palatale di (con)signo ‘consiglio’ III 37.5, che si è preferito emendare in (con)siglio267, trattandosi di un caso isolato, presente solo nel terzo libro. Va detto, però, che un’analoga e speculare incertezza si può leggere, sempre nel terzo libro, ma stavolta nella rappresentazione della nasale palatale, nella retroscrizione Co(n)tiglola III 32.13268, successivamente modificata da Fuscolillo in Co(n)tignola. Altre mani. La mano β, per lo più, rende la laterale palatale con gli; sono rarissime le grafie gl e lgl, mentre sono del tutto assenti quelle più arcaiche, come llgl, llgli, etc. Mano β1: co(n)siglio β1 34.8.9.11, 35.1.3 (2 volte), 36.2 (2 volte).3.4.5.6 (2 volte).8.11, Gargliano β1 34.12, 36.8, pigliar(e) β1 34.5.6. Mano β2: co(n)seglio β2 206.1, 244.21, fameglia β2 237.7, figliol β2 244.5.15, figliola β2 40.15, figliolo β2 244.17.21, β2 40.12.14, gagliardo β2 244.6, miglia β2 244.18, miglio β2 237.22.23, oglio β2 41.1. Mano β3: figlio β3 230.1, pigliar(e) β3 230.1. Si conserva la grafia latina in Iulio β1 36.4, iulio β1 36.1. La scrizione gl si legge in figlolo β2 206.1, accogle(n)ze β3 196.11, figlo β3 203.2; in un sol caso compare la grafia lgl: salgle(n)do β3 196.9. Forse ha valore palatale ll in artellaria β1 34.13 e l in artelaria β1 34.11, 35.5, artelarie β3 230.1. Mano γ: nelle poche forme valide offerte dallo spoglio si legge solo la grafia gli: (con)siglio γ 149.1.3.4, 152.1, figlii 146.1, figli 147.1, figlio 148.1, figlioli 147.2 (2 volte), pigliò 147.1, pigliero 149.4. Sembra tuttavia opportuno notare che neppure Fuscolillo adopera grafie semicolte per il tipo lessicale figlio, figliolo etc. V.1.10. Grafie per la sibilante palatale Per la rappresentazione della sibilante palatale in posizione iniziale, si leggono scese II 32.2, 34.4, 36.3, scientia IIa 129.2, III 26.1, Scimia IIa 370.1 e Scipione IIa 266 Per quanto riguarda il problema del frequente sviluppo di nasali epentetiche nelle Croniche, si veda quanto già detto nel § IV.1 ed inoltre i §§ V.2.2.27-28. 267 Un incrocio simile può leggersi anche nella forma pignia ‘piglia’ di Loise De Rosa, ritenuto tuttavia patologico da Formentin (ID., LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 79) e nel carteggio Acciaioli, in cui la grafia ngh, comunemente adoperata nelle lettere con valore di nasale palatale, compare invece in vonghu ‘voglio’ (cfr. N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.7). Per altri esempi di incrocio tra n e l nella rappresentazione invece della nasale palatale, si veda la nota seguente. 268 Si considerino, a questo riguardo, le forme Alanglio e lingliayo in Loise, ricondotte dall’editore ad una «particolare sindrome patologica», poiché rivelerebbero l’influenza della l della sillaba precedente: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 78; ID., Scrittura e testo..., cit., alle pp. 19-22; si veda, infine, SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico, «Zeitschrift für romanische Philologie», 30 (1906), pp. 26-48, a p. 40. Introduzione CXVII 66.5, 168.1. Fuscolillo adopera s solo una volta e nel terzo libro: sisma ‘scisma’ III 32.8 /scisma IIa 2.12269. In posizione intervocalica, il digramma ss si incontra, di preferenza, in parole che in toscano presentano il suono fricativo palatale o che continuano -X-; non mancano tuttavia in questi casi, benché meno rappresentati, allografi con sc/ssc. Si propende qui, ad esclusione delle voci del verbo lassare270, per un valore palatale della grafia, essendo [š] il normale sviluppo del gruppo sk davanti a vocale palatale nell’Italia meridionale e centrale271: Assincione ‘Ascensione’ I 15.1272 (ma vedi Asscentione), cresser(e) III 48.29, inbassator(e) I 88.6, II 14.1, inmassator(e) I 56.1 (ma vedi infra, gli allografi con sc(i) e ssc(i)), lassito ‘lascito’ IIa 337.4, nasseo I 30.1, na(s)seo I 37.1 (ma vedi nascette), pesse IIa 313.1, Pissitello IIa 94.2; da -X-: essevano ‘uscivano’ I 93.8 (ma vedi infra, escecte e le forme del verbo con ssc), foressiti IIa 306.1 (ma vedi infra, gli allografi con sc e ssc), strassinata IIa 68.2, trassinato I 8.1, starssinato I 68.2 < *TRAXINARE (ma vedi trascinare). In posizione intervocalica, in particolare negli esiti locali da consonante + j, prevale invece sc(i): abrusciar(e) III 39.2, abrusciaro III 43.2, abrusciò IIa 385.2, adbruscero IIa 183.1, adbrusciavano III 43.2, brusciar(e) III (+4) 19.1, 43.3.4, brusciarla III 57.1, brusciata IIa 69.2 (ma vedi infra, abrusiata, adbrusiò, brusiare); archibuscieri IIa 16.1, 24.1 (ma vedi infra, archibisier(e) etc.), Brascio I 39.1, Campobascio III 55.11, 57.12, 58.6/Ca(m)pobasso I 13.2, nesciuno (+9) IIa 2.5, 11.4, 85.5, nesciuna (+9) II 35.3., 54.15, IIa 78.4 (e vedi infra, gli allografi con ssc e l’isolato nessiuno); si aggiungano inoltre a(m)bas<c>iator(e) II 20.2, a(m)basciatori III 9.4 (e vedi infra, i(m)bassciatori e imbassciator(e)); da -X-, escecte III 28.3 (ma vedi il già segnalato essevano e le altre forme del verbo con ssc), forescito IIa 164.2, for(e)uscito IIa 306.1, forasciti IIa 374 (e il già segnalato foressiti e gli allografi con 269 Cfr. sisima ‘scisma’ in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 79), sintilla in Galeota (V. FORMENTIN, a c. di, FRANCESCO GALEOTA, cit., p. 124) e le forme registrate da G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli.., cit., I, pp. 199-239. 270 In questo caso, infatti, ss renderà più probabilmente la sibilante alveolare geminata: cfr. § V.2.2.5. La scrizione avrà valore di [ss] anche in grassa ‘grascia’ ‘abbondanza di viveri’ (+23) IIa 2.2, 3.1, 4.1 < *CRASSIAM o, più probabilmente, CRASSA (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 247) e nel derivato grassieri IIa (+10) 18.5, 21.3, 29.5, plur. grassier(e) IIa 287.5/grasseri IIa 220.1, 312.1, grassiero IIa 224.1, 239.1; non si può escludere, però, che qui l’alternanza grafica, più che esprimere l’oscillazione tra le scrizioni ss/ss(i), rappresenti piuttosto la variante tra forma con o senza dittongo (cfr. § V.2.1.1, V.2.2.18). Cfr. D’AMBRA, s.v. grassa. 271 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 265. 272 Poiché l’evento è annotato sotto il 22 maggio (del 1438), dovrebbe trattarsi difatti della festa dell’Ascensione piuttosto che dell’Assunzione, che la Chiesa celebra invece ad agosto. CXVIII Nadia Ciampaglia ssc), trascinare IIa 30.17. Si aggiunga qui ascegiò ‘assediò’ I 2.1/adsegiò I 93.7273 e, nel Sommario latino iniziale, obscedione(m) < OBSIDIONE(M) S 12.7. La scrizione ssc è senz’altro meno diffusa: Asscentione IIa 243.1 (ma si veda il già segnalato Assincione), dessce(n)deo IIa 211.2, for(e)ussciti IIa 139.1 (ma cfr. gli allografi con ss e sc), i(m)bassciatori III 9.3, imbassciator(e) III 37.7 (ma il già segnalato a(m)basciatori), nessciuna IIa 116.1 (con c nell’interlinea), nessciuno I 95.2, II 19.6, 37.4, IIa (+5) 78.2, 105.1 (con i inserita su u), 106.7 (ma si veda il già segnalato nesciuna e infra, nessiuno) e nelle forme del verbo ‘uscire’: essci IIa 124.2, u(n)ssce(n)no IIa 196.2, ussciero IIa 182.6, ussciano IIa 98.5, usscìo IIa 195.1 (ma vedi i già menzionati essevano ed escecte). Poco rappresentata è anche la grafia si: abrusiata IIa 27.1274, adbrusiò I 78.3 (ma il già menzionato abrusciò), brusiar(e) I 94.2 (ma il già segnalato brusciar(e)), brusiata I 78.3 (ma vedi sopra, brusciata, nonché brusata), co(n)sie(n)tia IIa 128.20. Si aggiunga archibisier(e) IIa 128.4, archibosier(e) IIa 101.5, archibusieri I 104.1, IIa 126.3, 128.5, in cui pure non è da escludere un valore palatale della grafia, essendo la possibilità di uno sviluppo [š] senz’altro garantita dal già menzionato archibuscieri IIa 16.1, 24.1, 128.7 (ma si veda anche archibuseri β3 196.8). Segnalo a parte il toponimo Perosia IIa 79.4 < PERǍSIA, in alternanza con Perosa III 32.8275: visto il contesto, le diverse scrizioni, più che essere latinismi, staranno forse per la sibilante palatale. Si limita a solo tre forme la grafia ssi: bassielli IIa 27.5 ‘vascelli’276, bassio I 94.3, nessiuno II 35.9 (unica occorrenza di fronte ai già segnalati nesciuno, nessciuno, nesciuna, nessciuna). Qualche dubbio pone, infine, la grafia s in archibusi (ted. Hakenbuchse) IIa 99.7, 128.8 (2 volte)277, considerato il derivato archibisiere, in cui è verosimile, come s’è detto, una pronuncia palatale, e in arthesani IIa 306.1278 < -E(N)SJANU; in particolar modo in quest’ultima forma, dal nesso gi romanzo, s potrebbe forse stare per [š]. Si aggiungano, inoltre, i già menzionati brusata IIa 13.1 e Perosa III 32.8, in cui la possibilità di lettura come fricativa palatale potrebbe essere garantita dagli allografi brusciata/brusiata e Perosia. Del resto, a differenza del napoletano, 273 Per questa forma, che presenterebbe palatalizzazione della consonante davanti a vocale anteriore, cfr. § V.2.2.16 e n. 592. 274 In origine, però, Fuscolillo aveva scritto abruczata, correggendo successivamente si su cz. 275 Cfr. § V.2.2.18 e n. 615. 276 Si esclude, dunque, che ie possa essere un dittongo metafonetico: cfr. § V.2.1.1. 277 Archibusii si legge anche nel Carteggio, con valore di [š] secondo l’editore: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 45; il DELI registra la forma antica archibuso, s.v. archibugio. 278 Cfr. D’AMBRA, s.v. artisciano; si veda anche artesano per il nap. ant. (LEI 3, 1423-4). Introduzione CXIX in cui l’esito da SJ è la sibilante alveolare sorda, la fricativa palatale è invece il comune sviluppo nei dialetti alto-meridionali (cfr. § V.2.2.18). Altre mani. Mano β1. Nelle poche forme utili si registrano forasciti β1 36.10, foresciti β1 34.1, nesciuna β1 35.6, u(n)sciero β1 36.13; avrà invece valore di [ss] la grafia ss in lassar(e) β1 34.4.6, lassero β1 36.25, lasserò β1 35.7 e grassa β2 237.13 (cfr. n. 270). Si segnalano inoltre archibusata β1 36.25 e artesani β1 35.1. Mano β2: nesciuna β2 237.23. V.1.11. Rappresentazione dell’affricata dentale La rappresentazione dell’affricata dentale trova nelle Croniche numerose realizzazioni. La già ricordata ambivalenza delle grafie c(i), cc(i)/cz(i), ccz(i), che possono assumere valore sia di affricata palatale sorda sia di affricata dentale279, potrebbe, in taluni casi, rendere difficile stabilire se alle varianti grafiche corrisponda anche una differente realizzazione fonetica. Si premette, tuttavia, che la possibilità di reperire coppie di allografi del tipo cavallaricio/cavallariczio, preccii/precczi, Fiore(n)tia, Florencza/Flore(n)czia e, soprattutto, la particolare diffusione del fenomeno della assibilazione (che sembra assumere nella zona di Sessa Aurunca un’estensione maggiore rispetto all’area napoletana, investendo non solo, come usuale, i nessi TJ e CJ, ma anche gli sviluppi secondari di CL e PL280), inducono a credere che in Fuscolillo le grafie cz(i) e ccz(i) siano usate sostanzialmente con valore dentale; si ricordi, inoltre, che nel napoletano antico e ancora fino al Cinquecento più diffusa era la presenza dell’affricata dentale laddove oggi si incontra l’affricata palatale e che gli esiti dentali prevalgono anche attualmente nei dialetti irpini e nel Cilento281. Converrà quindi iniziare dai casi più o meno sicuri. Nelle Croniche è ben rappresentata la grafia semidotta ci, in alternanza con ti, in particolar modo nelle parole che presentano i suffissi -icia, -icio, -icione e nei sostantivi in -antia/-entia: abbacia IIa 367.2, Annunciacione II 37.2, co(n)dicione I 13.2, colacione IIa 182.4, co(m)posicione III 2.1, devocione IIa 104.8/devotione IIa 40.9, Galeacio IIa 346.1, gratia IIa 105.9, gracioso III 12.6/gratioso III 30.8, i[n]dicione IIa 100.10 (e si veda il ben più diffuso idictione), incarnatione IIa 126.2, III 1.1, iusticia III 12.6, Laure(n)tio IIa 315.2, Lucrecia I 50.1, negociar(e) IIa 315.2, Nunciata I 4.1, Nu(n)ciata IIa 227.1, Piace(n)cia IIa 79.1 (e si vedano le forme con grafia ipercorretta ns), precii IIa 277.2 (e infra, preccii e precczi), resignacione IIa 192.1, salvacione IIa 210.1, servicio IIa 105.4, IIa 213.5, spacio I 5.2, II 34.2, III 26.11, stracii IIa 252.3, tercia I 52.1, IIa 42.1, tercieri II 49.1.2, IIa 121.1, tercio II 279 Rimando a V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 68, n. 10 per una ampia bibliografia del problema. 280 Si considerino, ad esempio, le forme appariczio, pariczi ‘parecchi’, a(n)necza ‘annecchia’: cfr. § V.2.2.14. 281 Cfr. N. DE BLASI, F. FANCIULLO, La Campania in M. CORTELAZZO, C. MARCATO, N. DE BLASI, G. P. CLIVIO (a c. di), I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, Torino 2002, p. 661. CXX Nadia Ciampaglia 59.2/tertio IIa 207.3, Venecia I 43.2, veneciani IIa 314.2, II 3.1, III 20.1, Vice(n)cio IIa 337.2 (ma si veda il ben più diffuso Vice(n)czo); -antia/entia: audie(n)tia IIa 269.2, benivole(n)tia IIa 195.1, Fiore(n)tia I 5.3/Fiore(n)cia I 37.2 (e si veda oltre per gli allografi Florencza, Flore(n)czia, Fiore(n)czia), pertene(n)tie I 34.2, pertine(n)tie II 53.2, III 6.2, pote(n)tie IIa 293.1, reside(n)tia III 3.2, stantia I 92.5, sta(n)tia II 19.10/sta(n)cia II 37.3. La grafia latineggiante cti si registra in pochi casi; si tratta per lo più di forme dotte, adoperate nelle annotazioni spontanee: benedectione IIa 128.18, co(n)fectiuni IIa 140.1, idictione IIa (+37) 29.1, 30.1, 42.1 (e vedi sora, i[n]dicione), i(n)fectione II 22.1, lectioni II 54.2 (2 volte), resurrectione IIa 240.1, rursectione ‘resurrezione’ II 13.3. In posizione iniziale, Fuscolillo adopera z e, più raramente, cz e c: z-: Zaczpichano IIa 188.1, Zappaglione IIa 255.1, Za(m)palglione IIa 2.8, Za(m)pallglione IIa 287.5, III 58.10, zoè avv. (+4) I 58.2, 68.1, 103.1, II 20.8, zioè IIa 34.3/cioè I 97.13, 100.2, III 48.27, zò ‘cioè’ I 76.9/cziò III 30.7 e ciò III 13.4), zoppo. IIa 301.3, zo(n)ppi I 86.6, zuccharo IIa 130.4, Zucchone IIa 19.2, Zurlo I 56.2, 70.1; cz-: la scrizione cz compare in due cognomi, Czoccharo IIa 18.2 (Cesaro C.) e Czuccha IIa 221.2 (mastro C.); si aggiungano czuccha IIa 221.2, czucchari IIa 140.1, cziò III 30.7; c-: in soli tre casi l’affricata dentale davanti a vocale palatale è resa con c: ciano IIa 38.3, cibecti III 48.26, cio IIa 182.4, III 31.8282. Più spinosa la questione posta da za(n)che ‘chianca’ ‘bottega del macellaio’ IIa 283.1 < PLANCA, in cui lo sviluppo assibilato potrebbe essere complementare a quello già documentato per il nesso -CL- secondario283. Per questo lessema si registrano però numerose varianti con z(i), cz, cz(i), ci, come zia(n)che IIa 162.2, czaccha IIa 78.2, czacche IIa 162.3, 228.3 e cza(n)che IIa 53.1, cziach(e) IIa 357.3 e czia(n)che IIa 357.3, cia(n)che IIa 253.1, e non si può del tutto escludere, quindi, che la variazione non sia esclusivamente grafica ma che nasconda, in particolare per i tipi cziach(e), czia(n)che e cia(n)che, una possibile realizzazione palatale, pure prevista per il nesso PL- nella nostra area (es. cianghiero ‘macellaio’ < *PLANCARIU nella valle del Liri-Garigliano) e, seppure in pochissimi esempi, nelle Croniche (es. cioviale)284. In posizione intervocalica e dopo consonante, accanto, ovviamente, a z (magazenero IIa 301.3, Co(n)se(n)za I 11.1, Fra(n)za I 2.2, Lanzalao I 5.1) di gran lunga 282 Si veda cio in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 182). 283 Vedi sopra, n. 280. 284 Si anticipa che il tipo za(n)che, da un lato, e pariczi, annecza dall’altro, potrebbero testimoniare che gli esiti palatali di PL e CL, nella nostra area più arcaici, abbiano poi partecipato al medesimo sviluppo meridionale assibilato dei nessi di CJ e TJ: cfr. § V.2.2.14. Introduzione CXXI più diffuso è il digramma cz285, adoperato anche in luogo della consonante doppia: admaczano IIa 162.1, admaczar(e) IIa 370.2, admaczaro IIa 177.4, admaczasse IIa 88.1, admaczati IIa 348.1, admaczato I 2.1, IIa 79.1, admaczato I 2.1, alczar(e) I 89.5, alczò III 29.3, allegrecza IIa (+6) 99.7, 128.4.5, Altecza (+5) 113.1, 117.2 (2 volte), 128.1, a(m)maczao IIa 39.2, anczi IIa (+5) 40.3, 119.2, 134.5 (2 volte), a(n)czi (+7) IIa 40.3, 80.2, 199.2 (e, con grafia ipercorretta, ansi), appreczata II 33.2, ava(n)czavano III 27.18, cauczolari IIa 21.3, 170.2, cauczolaro IIa 23.5, 170.7, cleme(n)cza III 24.3, Co(n)staczella III 28.1, Co(n)sta(n)cza III 17.5, Cose(n)cza III 29.2, Fra(n)cza II 16.1 (2 volte), IIa 3.2, Florencza III 32.13, forcza III 27.14, Galeaczo I 10.1, garczone II 53.3, garczoni II 33.3, ’gie(n)czero ‘incensiere’ II 16.2 (con sviluppo NS > NZ), marczo I 4.1, II (+6) 6.1, 19.4.5, mareviczo IIa 78.7, mecze II 37.2, meczo II (+4) 30.2.3, 40.1, morcze ‘morì’ II 14.1, meczanocte I 7.1, muczo III 28.18, muczi II 35.1, Naczaret III 23.4, na(n)czi III 30.24, nocze III 35.1, palaczi II 20.2, palaczo II 20.2 (2 volte), pariczi II 42.2, IIa 177.1, IIa 212.2286, peczi III 19.5, Peczuli III 29.2, piacza II 32.1, 33.1, P(ro)ve(n)cza III 27.8, 39.1, 59.5, pucza ‘pozzi’ I 17.1, ragaczi III 32.3, secza I 78.9, IIa 85.5, 105.1, III 26.1, se(n)cza I 103.3, 104.2, IIa (+14) 11.4, 44.3, 119.4, III (+7) 6.4, 10.6, 15.2, sencza III (+5) 10.1, 15.3, 27.15, tercza III 24.3, terczeri IIa 107.6, terczo III 1.1, Vice(n)czo IIa (+17) 18.4, 53.2, 98.8, Vice(n)cz[o] IIa 384.1 (e vedi sopra, Vice(n)cio), Zaczpichano IIa 188.1. La grafia cz avrà valore dentale nel probabile francesismo Riczardo (Claramonte) III 25.8287 (ma Riccardo III 32.7) e nelle forme del verbo ‘cominciare’, essendo lo sviluppo assibilato il normale esito da TJ in quest’area linguistica288: come(n)cza II 1.1, III 1.1, co(m)mecza(n)do IIa 224.1, co(m)meczò IIa 124.1, co(m)me(n)cza IIa 355.1, co(m)me(n)czao IIa 257.1, co(m)me(n)czate IIa 162.3, co(m)me(n)czato IIa 256.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, co(m)me(n)czero IIa 40.6, co(m)m<e(n)>czao II 32.1, co(m)mi(n)czaro I 103.4, inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)miczò I 93.19 (e vedi infra, co(m)micziò). Da C seguita da vocale palatale, la(n)cze II 19.3, calcze IIa 344.1; si aggiungano, infine, cathenaczi IIa 20.1, 20.2 e cartucze IIa 388.1. Per sfor<cz>i ‘sfoggi’ IIa 99.1, cfr. § V.2.2.13 e n. 547. Solo in un caso (ma non sarà un caso che compaia nel terzo libro) si legge invece la scrizione czcz: pare(n)teczcza ‘parentela’ III 28.2289. Di seguito, invece, le forme con la grafia czi di sicuro valore dentale: 285 La grafia è attestata nei testi meridionali fino alla fine del ’500: cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 247; N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 146. 286 Per quest’ultima forma, che si presenta con le varianti parici e paricci, cfr. sopra e n. 280 e § V.2.2.14. 287 Cfr. ponte Ricczardo in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 70 e to. II, p. 907) e ponte Rizzardo in Masuccio Salernitano. 288 Valgano come controprova le relative forme con grafia ipercorretta ns: come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14, co(m)me(n)sa(n)do III 1.1. 289 Cfr. parenteccza in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 75). CXXII Nadia Ciampaglia cavallariczio IIa 16.2, Co(n)sta(n)czia I 10.1, Fiore(n)czia I 5.13, Flore(n)czia III 32.13, Fra(n)czia IIa 27.5, Galeaczio IIa 336.1, piaczia II 48.1, III 43.2 (2 volte), profeticziato IIa 104.5, terczieri IIa 107.6, terc<z>io III 33.2, Vice(n)czio IIa (+4) 107.5, 245.1, 341.1. La grafia cz/cz(i) avrà valore dentale anche nelle forme seguenti, che presentano l’esito assibilato da CJ e TJ/(P)TJ; pochissimi sono difatti gli allografi con cc, per lo più nelle scritture non spontanee (cfr. infra, n. 625): aco(n)cziò II 48.2, adco(n)czata IIa 123.1, adco(n)cziata IIa 274.1, III 31.3, adco(n)czate I 64.5, adco(n)cziar(e) IIa 123.1, adco(n)czi[a]va IIa 139.3 < * COMPTIARE, adczoch(é) II 54.13/acciò IIa 69.2 (ma si tratta della già menzionata copia di un bando: cfr. n. 582), braczio IIa 2.6, 342.2, Braczio III 43.6.7/Braccio III 42.1.3, cathenaczi IIa 20.1.2, cacziare III 30.18/cacciar(e) IIa 104.2, 112.3 (e cacciaro III 32.3, cacciò IIa 68.2, cacciate I 66.1), ca(n)cziava IIa 104.4, Caracziola I 7.1, co(m)micziò ‘comincio’ II 36.2, cziò III 30.7, faczie IIa 286.2 (e facze III 12.1)/faccie III 13.3, Galluczio IIa 29.2, 128.13/Gallucio IIa 165.3, III 11.3, inpaczio II 35.9, intercziato IIa 128.14, (porta), Petruczia I 8.1/Petrucia III 43.6, Petruczio IIa (+4) 2.8, 186.2, 194.3/Petruccio IIa 255.1, quartuczio IIa 22.1, riczio ‘riccio’ IIa 16.2/riccio IIa 17.1. Si aggiunga, dal nesso -CL- secondario, il già citato appariczio ‘apparecchio, apparato predisposto per una cerimonia’ IIa 128.2 (cfr. § V.2.2.14)290. Per maritaczio ‘maritaggio’ IIa 81.1, cfr. § V.2.2.13 e n. 547. Meno diffusa è la grafia c, davanti a vocale palatale e dopo liquida o nasale: abbrucisi IIa 110.2, alcero ‘alzarono’ I 60.3, anci III 53.2, IIa 369.1, na(n)ci II 21.2 (e vedi infra, anczi e na(n)czi), parcero ‘parsero’ IIa 106.6, parici ‘parecchi’ IIa 70.3, IIa 346.2 (e vedi pariczi e infra, paricci) 291, scopercero ‘scoprirono’ IIa 247.3292 (e si aggiunga a(m)ma(n)cero ‘ammazzarono’ in β1 36.26). La grafia cc(i) per la geminata è nelle forme seguenti: marevicci ‘tordi’ IIa 78.6 (e vedi sopra, mareviczo), piccicharoli IIa 101.1.2, preccii IIa 277.1 (e cfr. precii e precczi) IIa 259.2), paricci ‘parecchi’ II 6.5293 (ma vedi sopra, parici e pariczi)294; si aggiungano idi<c>cionis IIa 28.1 IIa (+37) 29.1, 30.1, 42.1 (e vedi sopra, idictione), infeccione II 19.9 (e vedi il già registrato i(n)fectione e infra, infecczione). La grafia ccz ha sicuramente valore dentale in pecczi I 59.1, IIa 28.5, Pecczuli I 75.8, 79.1, IIa 27.2 (2 volte), Pecczuoli I 75.8, 79.1, precczi IIa 259.2 (e vedi i già citati allografi con c/cci); analogo valore dentale ha la grafia ccz(i) in infecczione II 19.6 e probabilmente anche nelle forme seguenti: 290 Segnalo in nota Capaczia I 78.1, che è però frutto di emendamento dell’isolato Capa- ciza. 291 Per questa forma, cfr. § V.2.2.14. Per lo sviluppo RS > RZ, cfr. § V.2.2.6. 293 Nel testo si legge in realtà pariccci. 294 Vedi n. 291. 292 Introduzione CXXIII Caraccziola I 70.2, caccziato I 97.4 (e cacczero IIa 271.4), picczioli IIa 27.5295, spaccziò I 93.13, vacczina IIa 279.1, voccziaria IIa 162.2296. La grafia ipercorretta ns, sviluppatasi per reazione allo sviluppo locale NS > NZ297, ricorre infine nelle forme raggruppate di seguito: come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14, co(m)me(n)sa(n)do III 1.1 (e cfr. allografi con cz), Co(n)saga IIa 215.1, 261.1, forsa III 39.2, 41.9, forsasseno III 31.3, income(n)sa(n)do III 6.1, i(n)come(n)sò II 20.9, incominsao I 4.1, i(n)co(m)me(n)sò III 7.4, Piace(n)sia IIa 79.1, 79.3 (2 volte), Piase(n)sia IIa 79.3298, Ponso ‘Ponza’ III 47.3, pra(n)so IIa 208.5, P(ro)ve(n)sa III 23.4 (e cfr. P(ro)ve(n)cza), Sforsa III 43.1/Sforcza III (+11) 28.7.15.24, Vice(n)so III 57.11/Vice(n)cio IIa 337.2 (e si vedano Vice(n)czio, Vice(n)czo, Vice(n)cz[o]). Altre mani. Nella resa dell’affricata dentale la mano β adopera, oltre a z, le grafie cz, ci/ti, zi, c e cti, ma in nessun caso il trigramma ccz che invece è frequentemente adoperato, come s’è visto, da Fuscolillo. Mano β1: le grafie latineggianti ti/ci compaiono in Fi<o>re(n)cia β1 35.6, inquisicione β1 34.2/inquisitione β1 34.4, inq(ui)sitione β1 36.18, negotiar(e) β1 34.12, offitio β1 36.5, stracii β1 36.26. Mano β2: declaratione β2 237.19, devotione β2 244.14, incarnatione β2 206.1, informatione β2 40.17, inte(n)tione β2 237.13, prese(n)tia β2 244.14, iu<s>titia 3.2, lice(n)tia β2 237.21, moderatione β2 237.23, notitia β2 237.6, obedientia β2 244.12, Laure(n)tio β2 40.15, provintia β2 237.6, publicatione β2 237.6, revere(n)tia β2 206.2.3, servitio β2 237.1.4. Meno frequente il ricorso alla grafia cti, che si legge solo in descrectione β1 36.17, condictione β2 237.4, co(n)dictione β2 237.7, resurrectione β3 240. In posizione intervocalica, l’affricata dentale è espressa con z dalla mano β1 in 36.6.17 e più frequentemente da β2: alza(n)do β2 237.3, a(m)magazenati β2 237.6, admagazenati β2 237.4, inco(m)me(n)zato β2 237.3, mezo β2 237, 244.11, se(n)za β2 41.1, 237.3.4.6; in posizione iniziale: ziò ‘ciò’β2 237. ҏ ҏ3. Mano β3: Fire(n)za β3 203.1, Fra(n)za β3 203.3, Ma(n)zo 295 Si propende per un valore dentale della grafia in questa forma, possibilità che non viene esclusa neppure da Formentin per i tipi picczilillo, picczolillo, picczolo in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, 70). La presenza dell’affricata dentale, anche laddove oggi si ascolta l’affricata palatale, è del resto documentata nel napoletano antico, in cui aveva ben più ampia diffusione (cfr. N. DE BLASI, F. FANCIULLO, La Campania, cit., p. 661). Mi sia permesso aggiungere di aver potuto direttamente ascoltare l’aggettivo pizzerella ‘piccolina’, pronunciato da mia madre, ogni volta che aveva occasione di raccontare, adottando il discorso diretto, un frase aneddotica che sua madre, nativa di Avellino, a sua volta era solita ripeterle, come pronunciata da una bambina di Aversa durante lo sfollamento patito nel secondo dopoguerra. 296 V. Formentin propende invece per il valore palatale di buccziaria: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 69. 297 La resistenza verso l’esito locale NS, LS, RS >nz, lz, rz, che già a partire dal ’300 aveva provocato la diffusione della grafia ipercorretta s per l’affricata dentale dopo liquida e nasale, si fa compatta in età aragonese, probabilmente sotto la spinta del modello iberico (cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 182); per Formentin la grafia avrebbe valore fonetico, rispecchiando un’effettiva incertezza «collegabile a pronuncia iberizzante» (ID., p. 176). 298 Per questa forma, cfr. § V.2.2.22. CXXIV Nadia Ciampaglia β3 204.2, mezo β3 229.1, morze β3 203.1, Vice(n)zo β3 204.2. Altrettanto diffusa è la grafia cz; mano β1: admaczero β1 36.21, a(n)czi βң 35.4, peczi βң 34.11, piacza βң 34.11, Mindocza βң 36.9, Mo(n)czeracza βң 36.2, scaramucze βң 34.11, scaramuczavano βң 35.5 (nel testo scamorczavano), pariczi βң 34.11. Mano β2: Galeaczo β2 206.3, mecza β2 244.11 (2 volte), preczo β2 237.1.3.5.7.9. Mano β3: allegrecza β3 230.2, 231.1, allegrecze β3 ҏ231.1, Carczione β3 232.1, Galeaczo β3 204.1, β3 232.2, Galiaczo β3 ҏ196.11, palaczo β3196.11, piacza β3ҏ196.7. La scrizione czi è in piaczia βң 36.20, acziò β2 237.6/acciò β2 237.6, braczio β2 40.14, 15 (3 volte), faczio ‘faccio’ β2 40.18, Galluczio β3 196.4, Petruczio β3 196.3. Decisamente più rare le scrizioni zi (Galluzio βң 36.4, Laure(n)zio βң 35.1, ziò β2 237.3) e c, che compare solo davanti ad e in a(m)mancero ‘ammazzarono’ βң 36.26. La grafia ipercorretta ns si legge infine solo in ansi β2 237.3; sembrerebbe, dunque, che solo questa mano avverta l’esito come troppo dialettale. Mano γ: nelle poche forme offerte dallo spoglio l’affricata dentale è resa sempre con il digramma cz(i): cartucze 152.2, Midocza 148.1, palaczo 151.1, caczia ‘caccia’ 148.1. V.2. FONETICA V.2.1. VOCALISMO V.2.1.1. Esiti di ƞ, Ԁ toniche Sono rarissimi nelle Croniche i dittonghi condizionati di -è- ed -ò- tonica; a questo si aggiunga la totale assenza di dittonghi spontanei. La resistenza al dittongamento potrebbe trovare spiegazione nell’ambito della metafonesi sabina o “ciociaresca” (es. pède ‘piede’ ∼ pédi ‘piedi’): la lingua di Fuscolillo, quindi, mostrerebbe di aderire alle condizioni vocaliche dell’area laziale meridionale e mediana in senso più ampio, piuttosto che a quelle del napoletano: rada infatti è la presenza di dittonghi in quella zona299. a. ƞ, Ԁ in contesto metafonetico. Nonostante il contesto metafonetico, non dittongano300 le forme con ƞ tonica raggruppate nell’elenco seguente: adpresso I (+4) 2.2, 34.2, 87.1, II (+4) 19.4.6, 20.12, III 19.9, IIa 68.3, 106.7, 134.1, appresso II 28.2, III (+6) 1.1, 3.3, 20.1, IIa 60.2, 99.8, argento I 97.9, IIa 213.1, arge(n)to II 30.2.3.4, IIa (+5) 213.1.3 (2 volte), 301.7, certo I 51.1, 107.1IIa, IIa (+36) 6.4, 26.4, 27.4, III 26.13, 38.4, certi I (+4) 86.4, 92.3, 94.1, II (+5) 19.6, 21.10, 24.1, IIa 20.1 (2 volte), 27.1, 299 Si veda in proposito l’analisi condotta per la zona di Sora da Merlo: «mancano oggi, o son ridotti a ben poco, i dittonghi ascendenti metafonetici dell’E e dell’O»: cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora, «Annali delle Università Toscane», 4 (1920), pp. 117-283, alle pp. 123-4. Ad esempio, si possono riportare le forme apressΩ ‘apprèsso’, tempΩ, pettΩ, nfernΩ, che in napoletano presentano invece il dittongo (ivi, p. 137). 300 Va comunque ricordato che il dittongo metafonetico in sillaba chiusa è costantemente evitato sin dal ’300 nei testi letterari e nelle lettere ufficiali, mentre compare in scrittori meno “attenti” quali Carafa e De Rosa; nel ’500 poi, «se si escludono gli usi dialettali riflessi, i dittonghi sono rifiutati anche nelle scritture non colte»: cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 177 e ivi per una sintesi. Introduzione CXXV 40.11, III (+7) 9.4, 13.5, 26.7, coperto IIa 16.3, despecto IIa 105.1.6, dispecto IIa 20.2, 200.2, 258.3, lecto I 86.10, IIa 60.2, 65.1, 335.5, pecto I 78.10, IIa 16.2, peperno IIa 50.1, te(m)po I (+10) 24.1, 32.1, 50.1, II 16.2, 17.1, 19.5, IIa (+33) 40.8, 57.1, 58.3, III (+20) 14.6, 15.3, 16.2, inverno II 26.1, III 56.1, i(n)verno II 31.2, teni III 28.20; il dittongo manca anche nelle forme con uscita < MENTU, in cui risulta comunque meno frequente301: testamento II 53.2, testame(n)to II 54.1.9.14, testame(n)t<o> II 54.10, testame(n)ti II 54.13, allogiame(n)to IIa 294 3.6, spartime(n)to IIa 118.3. Esito toscano e metafonetico coincidono nella forma, peraltro unica, piedi IIa 352.2302, nel più diffuso antroponimo e toponimo Pietro I 16.3, 38.1 (S. P. Martire di Napoli), 89.4 (S. Pietro ad Ara) 102.2 (S. Pietro Roma), IIa (+7) 194.1 (2 volte), 312.4, 315.2, Piet(r)o III (+5) 22.1, 23.1, 26.7, Pietr<o> IIa 228.3/Petro IIa (+8) 105.1, 112.1, 171.1, Pet(r)o III 24.2, Pietri I 93.21, II 26.4 (2 volte), IIa 187.1, 228.3, 234.1/Petri IIa 186.4, Pietre IIa 228.1 e nell’aggettivo fiero III 28.20, che però compare nelle carte iniziali del terzo libro, vale a dire nella sezione tramandante la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo e sarà stato senz’altro mediato dalla fonte. Gli unici casi di dittonghi metafonetici, in definitiva, si leggono in due antroponimi, Stefhaniello IIa 346.2 e Ciriello IIa 227.1303, e traggono motivazione, pertanto, non solo da un contesto maggiormente esposto a stabilizzazione cristallizzata ma, come è sicuro almeno in un caso, dal fatto che, a quanto pare, le persone in questione erano proprio di origine napoletana: Stefhaniello è, infatti, «mastro Ioa(n)ni Antonio d(e) Stefhaniello napolitano». Probabilmente non si può aggiungere allo scarno elenco neppure bassielli IIa 27.5, visto che la scrizione ssi è talvolta adoperata da Fuscolillo per la sibilante palatale304. Anche il dittongamento metafonetico di -ò- è completamente assente in Fuscolillo; non dittongano, ad esempio, bono (+17) III 27.19.21, 35.3, boni IIa 47.4, 58.2, 199.2 e focho (+5) I 95.12, IIa 80.4, 135.1, 296.4, 360.2, foco I 93.13, 97.13, III 42.2, 43.2, fochi IIa 103.2 etc.; l’unica eccezione è rappresentata da iuorno IIa 351.1 (ma iorno I 78.6 e giorni II 19.4, 31.3, IIa 362.1, iorni II 6.4)305. Il dittongo si ridu301 Cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 350 e nn. 16 e 19; V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 102. 302 Per il resto, difatti, sempre pedi I 85.2, 94.3, IIa (+7) 9.1, 17.3, 109.1, III 48.25; si aggiungano i probabili plurali (ad) pede IIa 16.1, III 28.27, (a) ppede III 28.9, 48.29. 303 Si segnala, in questa forma, il fenomeno di armonizzazione della vocale protonica, che si chiude davanti al dittongo; difatti, in tutte le altre occorrenze prive di dittongo, come Cerello IIa 245.1, 351.1, II 59.2, si conserva invece l’avantonica e. Per altri esempi di armonizzazione vocalica delle protoniche, cfr. infra, nn. 327, 328, 331, 361, 366, 389; per l’armonizzazione delle vocali in posizione post-tonica, cfr. nn. 317, 324, 342; per l’armonizzazione della vocale mediana alla vocale della sillaba finale, cfr. n. 369; si veda inoltre § V.2.1.12. 304 Cfr. § V.1.10. Segno a parte cielo I 97.6, cieche I 86.6 e cieco III 31.2, in cui la i avrà forse valore diacritico. 305 Va ricordato, tuttavia, che la forma con dittongo presuppone un vocalismo con ǁ nella maggior parte del Mezzogiorno; è attestata invece in alcune parti della Campania la forma jurnΩ: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 82. CXXVI Nadia Ciampaglia ce graficamente in iurni IIa 316.8, in cui sarebbe rappresentato solo dal primo elemento306. Si registra in un sol caso, nel terzo libro, il dittongamento improprio di -ó-, che per il resto si chiude invece regolarmente per metafonesi: suolo < SƿLUM ‘solo’ III 28.18307/sulo I 88.8, IIa 26.3, 213.3, III 39.4, 47.6, 58.11 (ma solo in β1). b. ƞ, Ԁ in contesto non metafonetico. Sono rarissimi i dittonghi spontanei di -è-; a parte i già citati piedi, Pietro e fiero308, in cui potrebbe agire anche il condizionamento metafonetico, si può citare solo insiemi I 88.9, IIa 16.2, III 43.7, 50.3309/inseme IIa 128.6, insemi II 49.2, 54.12, IIa (+5) 13.2, 40.4, 164.3, III 47.4, i(n)semi I 74.4, insem[e] I 13.1. Come si può vedere dall’elenco, si contano in totale solo quattro occorrenze, e di queste ben tre si trovano nel primo e terzo libro: sembra pertanto naturale ipotizzare, così come s’è già detto per fiero, che esse siano state mediate in qualche modo dalla fonte310. Non c’è dittongo spontaneo nelle forme raggruppate nell’elenco seguente: dece I 98.4, dede II 20.5, III 37.2, 42.1, 56.10, dedela III 41.2, dedeli III 39.3, dedili III 55.2, 56.3, dereto I 55.2, 106.1, II 46.2, IIa 33.1, 128.16, 335.5, indereto I 96.5, IIa 64.3, indireto IIa 143.2, i(n)direto IIa 143.2 (e con metatesi III 28.16), fele III 30.10, mele III 30.10, Oriveto IIa 127.1, 128.17, petra II 40.1, preta IIa (+8) 50.1, 137.3 (2 volte), 345.1, prete IIa 335.7, 344.1, pretra II 60.1, tene II 53.2, IIa 1442.3, teni III 28.20. Il dittongo ie sembrerebbe ridursi al solo primo elemento in cavaliri I 47.2, pitra II 45.1, Raniri 14.1, 9.1. Non si registra mai il dittongo nel suffisso -era, per cui si veda il seguente punto c). Segnalo infine il numerale deice (+24) II 19.4, 25.1 (2 volte), III 19.9, 21.7 e deiceocto IIa 262.1, 265.1.2, 271.3 accanto all’unica occor306 Cfr. F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., p. 285, n. 128 e iurni nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 356). Per la riduzione dei dittonghi ie > i ed uo > u in area campana, cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 177; si ricordi, tuttavia, quanto già detto alla n. 305. 307 Cfr. suolo in Galeota (V. FORMENTIN, a c. di, FRANCESCO GALEOTA, cit., p. 30). 308 Non si aggiunge all’elenco cielo I 97.6 e cieche I 86.6, perché s’è già detto che la i potrebbe avere solo valore diacritico. Non c’è dittongo toscano in nie(n)te I 78.3, II 22.1, 63.1, che in realtà è < NE-GENTE(M): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 218. 309 Per questa forma, Rohlfs ipotizza come base *INSċMEL, cioè SIMԂL incrociato con SċMEL: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 51. 310 In effetti, è ragionevole ricondurre ad un influsso esterno anche la forma insiemi IIa 16.2, poiché il paragrafo in questione, benché inserito tra le annotazioni originali del secondo libro, fa parte in realtà del gruppo dei paragrafi nn. 14-17, che raccontano i fatti dell’agosto-novembre 1529 con l’ingresso finale di Carlo d’Austria in Bologna e l’accoglienza trionfale offertagli da papa Clemente VII, partito con tutta la corte romana per Bologna nell’ottobre dello stesso anno; si tratta, come dimostra non solo la struttura del racconto e la data, ma anche l’analisi del fascicolo (le cc. 1021-22 costituiscono un fascicolo autonomo: cfr. § III.1.5, tav. E), di una scrittura a sé, non ascrivibile alla stessa tipologia degli appunti cronachistici vergati giornaliermente dal canonico. Introduzione CXXVII renza dece I 98.4 (e β2 237.20)311; la forma è diffusa non solo in molti dialetti meridionali, ma anche in area mediana (Abruzzo, Lazio). È assoluta in Fuscolillo l’assenza di dittonghi spontanei da ò (il dittongo toscano è adoperato solo da β2: vedi oltre). Anche in questo caso il trattamento delle vocali aperte nelle Croniche rispecchia la tendenza dell’area mediana: nel romanesco medio, a partire dal ’400, si stabilizza infatti la ò in sillaba libera, in modo conforme agli usi di koinè312. Di seguito, l’elenco delle forme non dittonganti (si ricorda che in alcuni casi sarebbero possibili anche gli sviluppi metafonetici): bo(n) II (+4) 26.1 (2 volte).2, IIa 100.3, 104.7, 193.1, III 15.2, 16.2, bona (+13) II 21.6, 54.2, 57.1, III 21.9, IIa 40.7, bone IIa 105.8, boni IIa 47.4, 58.2, 199.2, bono I 89.6, IIa (+6) 45.2, 47.2, 71.1, III 35.3, ‘bene’ III 41.7, bon[o] IIa 47.2, bo(n)no II 31.2, cor(e) III 21.10, cota IIa 2.10, cote 2.11, fochi IIa 103.2, focho I 95.12, IIa 135.1, foco I 93.13, 97.13, IIa 360.2, III 42.2, 43.3, for IIa 16.6, cetilomini IIa 65.1, ge(n)telomini III 45.3, IIa 40.4, ge(n)telo(m)mini I (+4) 13.2, 88.9, 98.1, ge(n)telhomo III 32.2, gentilhomini III 46.2, gentilhomi(ni) III 46.1, gentilomini IIa 337.2, III 26.7, ge(n)tilomini III 26.9, 30.5, IIa 65.1, 110.9.10, ge(n)tilomin<i> IIa 65.1, ge(n)tilo(m)mini I 89.6, ge(n)tilomo IIa (+16) 21.3, 23.3, 29.2, gentilohom(o) IIa 18.2, gi(n)tilomo I 59.1 (2 volte), IIa (+5) 37.2, 128.11, 167.1, gintilomo IIa 98.8, 186.2, homo (+39) I 83.1, 102.1, II 6.3, IIa 4.1, 17.3 ho(m)mini I 93.9 (2 volte), IIa 4.2, 11.3, 60.1, lochi IIa 333.1, loco I 93.22, II 6.2, IIa 338.1, III 21.3, 30.11, mover(e) IIa 110.9, nova ‘notizia’ (+41) I 94.1, III 47.3, 57.2, IIa 8.1, 52.1.2, nove ‘notizie’ III 19.7, 28.22, nova agg. II 41.1, IIa 103.1, nove agg. IIa 199.1, 299.3, novi III 30.16, novo II 19.5, 48.1, IIa 33.1, Novo (Castel) (+23) I 21.1, 39.1, 47.2, III 26.2, scola II 53.2, 54.2.5, IIa 60.2, 125.1, 137.2, scole IIa 170.1.2, 170.4, sòle ‘suole’ IIa 337.4 (2 volte), III 47.2, sòni IIa 58.4, sòno IIa 22.1.2, 23.8, 53.1, 73.1, 92.1, 95.1, 100.10, 224.2, 228.2, troni ‘tuoni’ IIa 39.2, trono IIa 39.2. c. dittongo -ie- non metafonetico. Sono meno rari i dittonghi -ie- non metafonetici nelle parole con suffisso -iere, esito galloromanzo da < ARIUM: cassieri (plur.) IIa 42.2, ferrier(e) (sing.) IIa 4.1/ferrero IIa 294.1.6, 338.1, ferreri IIa (+6) 59.1, 294.6, 312.4, curriero II 21.4, peliero ‘pilastro’ IIa 344.1313, pesieri IIa 360.1, Rainieri III 48.16, Ranieri I 13.1, 15.1 (e, con riduzione del dittongo, il già segnalato Raniri 14.1, 9.1; con metatesi di vocale, Rainero III 48.5.7.17), vole(n)tieri II 30.2. La tendenza, infatti, è rappresentata da forme in -ero/-eri, in cui l’assenza del 311 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 103 e 972; si vedano deice e deicemilia in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 141 e nn. 372-3 per altri riscontri). Per dicedocto, cfr. § V.2.2.1 e n. 437. 312 Cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 50. 313 Si tratta di un francesismo normanno con il significato di ‘cippo confinale’: cfr. F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico dell’Italia centro-meridionale, San Severo 1995, p. 86. CXXVIII Nadia Ciampaglia dittongo è da considerare un catalanismo314; come si può evincere dall’elenco che segue, l’unica eccezione è alfiero, che si legge nel terzo libro: alfheri (plur.) IIa 294.8 (ma alfiero III 128.9), barberi II 24.1, IIa 218.3, cabalero III 58.6, ca(m)merero III 34.11, ca(n)deleri IIa 213.1, (con)docteri III 28.28, fro(n)ter(e) IIa 307.1, froster(e) IIa 339.1, frosteri IIa 86.1, 119.3, 125.2, ’gie(n)czero II 16.2, magazenero IIa 301.3, Olivero III 51.8, preghere IIa 310.1, pregher(e) IIa 101.2, tesaurerio III 28.24, thesaurero IIa 42.1, tosorero IIa 314.1. Si aggiungano all’elenco iusticiero III 26.10, terczier(e) IIa 2.9, terczieri IIa 175.1, tercziero IIa 142.1/tercieri II (+4) 49.1 (2 volte).2.5, in cui è probabilmente da escludere la presenza del dittongo, visto l’uso diffuso della grafia ci e czi per l’affricata dentale, come ad esempio in Vice(n)czio IIa 107.5 (cfr. § V.1.11). Analogamente si segnalano a parte i tipi ca(n)celliero I 8.1/ca(n)cellero III 25.3, cavalieri III 21.7, cavallieri III 21.7.8.12/cavaleri III 9.5, cavaliero III 54.3, 55.5, cavalliero III 34.9, cavalgliero III 21.6, 37.4.5, cavallgliero IIa 135.2 e grassieri IIa (+10) 18.5, 21.3, 29.5, grassier(e) (pl.) IIa 287.5/grasseri IIa 220.1, 312.1, grassiero IIa 224.1, 239.1, in cui, più che il dittongo ie, si leggerebbero le grafie lli, lgli da un lato, ssi dall’altro, usuali per la rappresentazione rispettivamente della laterale e sibilante palatale (cfr. § V.1.9 e V.1.10 e n. 270). Non c’è mai il dittongo nel suffisso -era: ba(n)dera IIa 128.9, 239.1.3, 312.1, III 58.1, ba(n)dere I 9.1, 93.5, II 23.4, III 28.13.15, 29.2, ba(n)der(e) I (+7) 60.3, 75.5.7.8, III 29.3, ba(n)nera IIa 224.1, III 7.6, 11.5, bender(e) I 93.4, foristera II 30.2, manera IIa 40.2, manera II 20.14, 23.1, IIa 357.1, salera IIa 213.1. Altre mani. Lo spoglio delle forme conferma la tendenza già rilevata in Fuscolillo, ovvero il rifiuto dei dittonghi di -è- e di -ò-, sia spontanei, sia condizionati. Mano β1: castello β1 34.6 (2 volte).9.11.13, β1 35.5 (2 volte), certo β1 35.5, β1 36.21.22, certi β1 34.9, β1 36.1, coverno β1 36.2, <de>specto β1 34.7, peczi β1 34.11. Mano β2: arge(n)to β2 41.1, aspecto β2 244.4, castello β2 237.21, β2 41.1 (2 volte), co(m)mandame(n)ti β2 244.11, co(m)ma(n)dame(n)to β2 236.1, 237.2, denti β2 244.4, electi β2 244.11, mezo β2 237.19, β2 244.12, prezo ҏ β2 237.3.4.6.17.19.22; mano β3: certo β3 196.10.12, mezo β3 229.1. Mano β1: giorni β1 34.9, β1 35.1, β1 36.8,ҏ giorno β1 35.5. Mano β2: corpo β2 206.2 (2 volte), giorni β2 244.5.7.9, β2 40.12, morti β2 244.14, morto β2 206.1, occhi β2 244.4. Mano β3: giorni β3 196.9. Il dittongo resiste solo nella forma cristallizzata del cognome Verzuolo β3 196.11 (cfr. sopra, quanto detto per Ciriello e Stefhaniello). Mano γ: castello 146.1, 147.1, 152.1, te(m)po 148.3, 151.1. Gli unici casi di dittongo toscano da -è- si registrano, fatta eccezione per insiemi β1 34.7, nella mano β2, che mostra spesso, rispetto alle altre mani, tendenze di314 Le forme del tipo thesorero, camerero sono infatti modellate su quelle catalane corrispondenti (es. tresorer) e non su quelle toscane: M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. LXXXIX, n. 22; per un quadro d’insieme, cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. Il catalano è adoperato negli albarani e nelle cedole di tesoreria, accanto al latino e al volgare locale, fino al 1488. La tradizione cancelleresca in catalano, «che ha rappresentato accanto al modello linguistico del latino un esempio vicino ed autorevole per i funzionari e gli scribi di Corte, può quindi anche aver suggerito di evitare i dittonghi metafonetici nei documenti in volgare meridionale»: cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 70. Introduzione CXXIX vergenti: contiene β2 244.3, co(n)venie(n)te β2 237.5, Pietro β2 236.1 (ma in β3: Petro β3 196.9, β3 203.1), piede (sing.) β2 40.14.15 (2 volte). Non si registra infatti sviluppo spontaneo di -è- in ba(n)dera β1 36.4, dece ‘dieci’ β2 237.20, celi β2 244.7 (2 volte), Petro β3196.9, β3 203.1, β1 36.9, prete ‘pietre’ β2 244.9.11; in cieche (m. plur.) β2 40.17 e ciechi β2 244.14 la i avrà forse valore diacritico. Il dittongo toscano da -ò- si registra solo due volte, nel noto § 244 della mano β2: muove β2 244.1, tuono β2 244.18; si aggiunga in atonia nuovame(n)te β2 244.2. Per il resto, in sillaba libera non si registra lo sviluppo ò > uo. Mano β1: fora ‘fuori’ β1 36.10, gentilomini β1 34.5, ge(n)tilomini β1 36.4.22 (2 volte), ge(n)tilomo β1 36.54, homini β136.1.1.7.22, nova β1 35.5, β1 36.1, nove ‘notizie’ β1 36.20, novo β1 34.6.9, β1 35.5; in atonia, locotene(n)te β1 36.2, locutene(n)te β1 36.14. Mano β2: bone β2 244.24, fora ‘fuori’ β2 ҏ237.14, homini β2 244.11.21, β2 40.15, β2 41.1, lochi β2 237.22, loco β2 244.7 (e in atonia locutene(n)te β2 236.1), nova β2 244.21.24, pò β2 237.3. Mano β3: bo(n) β3196.12, β3 229.2, bona β3 240.2, boni β3196.10, bono β3 229.2, β3 231.1, homeni β3196.6 (2 volte), homo β3 240.1, loco β3 203.2, nova β2 244.21.24, β3 240.1, novo β3 204.1 (e in atonia locutene(n)te β3196.6, β3 229.1). Mano γ. Non si registra dittongamento toscano di -è- e di -ò- nelle poche forme valide: manera 152.2, Oriveto 151.1, Petro 148.1 (2 volte). Si esclude dallo spoglio ne(n)te < NE-GENTEM 148.6. Non c’è dittongo toscano in ge(n)tilomini 148.5 (2 volte).6, 152.2, loco 148.5.6, nova 151.1. Non c’è infine il dittongo nelle forme da provenienti da -ARIUM: frosteri ‘forestieri’ β1 35.1. V.2.1.2. Esiti di Ɯ, ư toniche a. Ɯ, ư in contesto metafonetico. La chiusura metafonetica di é < Ɯ, ư toniche si registra in modo regolare e omogeneo nei tre libri delle Croniche (es. commisso ∼ commesse, francese ∼ francisi, misso ∼ messa, spisi ∼ spese etc.). Di seguito l’elenco delle forme: abbrucisi IIa 110.3, albanisi IIa 286.2, appariczio ‘apparecchio’ IIa 128.2315, calabrisi IIa 197.1, carmeligo ‘camerlengo’ III 53.5/ca(m)merligno III 25.4, ca(m)merligno III 25.4 (e ca(m)melliagno I 91.9: cfr. n. 585), ca(m)milli III 48.25, Colo(n)disi I 102.3, 103.6, II 20.1.9, Colo(n)nisi II 20.5, co(m)misso IIa 104.3 (ma al femminile, regolarmente, (com)messe III 45.1), crapipte ‘capretti’ IIa 86.4, crapipti IIa 78.6, crapipto IIa 78.7, destricto III 3.3, di(n)tro III (+6) 30.5, 43.7, 48.19, dint(r)o III 35.7, 41.9, 43.2, IIa 14.3, 16.1, 17.2, dintro IIa 17.1.2, III 30.10, 49.2/de(n)tro I (+10) 5.3, 56.2, 75.1, II (+4) 19.1, 20.1, 35.1, IIa (+ 11) 79.1.3, 80.4, III (+4) 26.2, 30.16.7, dentro I 81.2, 95.8, II 35.1, de(n)ctro IIa 294.3, discipuli IIa 25.1, fra(n)cisi I (+34) 3.1, 74.1 (2 volte), II 16.1, IIa 14.1, III 20.1, fra(n)czisi I 92.1 (ma al singolare, regolarmente, fra(n)cese I (+10) 81.2, 90.1, 93.6, IIa 66.4, 307.1, fransese I 89.2, fracese I 95.3), frido IIa 57.7, fri(d)dio IIa 44.2, frisi ‘fregi’ IIa 128.14, genoisi IIa 113.2, III 47.3, genoysi I 98.1, genuisi I 13.1, genuysi I 98.1 (ma al singolare, regolarmente, genoese I 87.4, IIa 42.3, 79.2), haverrimo III 58.13, havimo III 41.8, 58.9.11316/havemo I 107.3IIa, III 25.4, havite III 30.9.23/havete III 31.7, Lorito III 6.4, ma(n)disi IIa 125.2 (ma al singolare, regolarmente, ma(n)dese II 45.1, IIa 107.7, 125.2, 315 Cfr. § V.2.2.14. Per la chiusura metafonetica nelle desinenze della 1a pers. plur. della II e III coniugazione, si rimanda a V. Formentin (ID., LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 116), che argomenta ampiamente le motivazioni che spingerebbero a spiegare il fenomeno, in questo contesto, secondo ragioni morfologiche. 316 CXXX Nadia Ciampaglia ma(n)nese II 40.1), marivicci ‘tordi’ IIa 78.6, mareviczo IIa 78.7, misi I (+4) 24.1, 51.2, 98.4, IIa 112.1, 299.1, III (+7) 10.3, 25.9, 28.2/mesi II 44.2 (ma al singolare, regolarmente, mese I (+22) 14.1, 17.1, 38.1, II (+22) 14.1, 17.1, 38.1, III (+9) 50.3, 51.3.10, IIa (+202) 2.1, 15.1, 16.1), missi IIa (+8) 28.5, 58.1.2 (ma al femm, regolarmente, messe II 60.1, IIa (+19) 2.10, 13.1, 20.2), missinisi I 93.10 (sing.), misso IIa (+8) 13.1, 23.7, 85.7/messo IIa 356.1 riferito a trofheo (ma al femm. messa I 88.9, 110.1IIa, II 19.10, 34.1, 41.1, IIa (+25) 50.1, 52.3, 57.3, III 48.25), pagarimo III 27.19, paisi III 7.5 (ma al sing. regolarmente paese II 19.10, III 7.1, 57.10), pilo IIa 252.3, 286.1, paricci II 6.5, parici ‘parecchi’ IIa 71.1, 346.2, pariczi II 42.2, IIa 177.3, 212.3, pigno III 55.2, pingio I 76.9, piso II 45.1, IIa 299.2/peso II 30.4, 40.1, po(n)tifici I.1.1, po(n)tifice (plur.) I 102.1.2, 103.7 (ma al singolare po(n)tefece I 107.3IIa)317, porrisevo III 30.24, prisi III 26.9 (ma preso III 11.5), sarracini II 2.1, 44.1, sarra<c>ini III 12.5318 (e Sarracinia III 48.28), simo III 58.12, spisi IIa 327.1 (ma al femm., regolarmente, spese (+18) 5.1, 11.3, 96.2), stricto III 48.27, tenimo III 58.11, thianisi IIa 215.3, tianisi IIa 115.1.2, thodischi IIa (+9) 317.1, 319.1, 320.1, todischi II 20.11, 21.5, IIa (+5) 198.1, 315.1, 323.1 (2 volte), tudischi I 103.2, thodischi IIa 317.1, todischi IIa 198.1, 315.1/todeschi IIa 247.1.2 (e thodesche IIa 315.1), tornisi II 51.2, IIa (+22) 70.4 (2 volte), 78.7/tornese IIa 78.4, 228.3, tridici IIa 45.1, 47.1.3, 86.4, 91.1, 213.1, trovarrite IIa 8.3/trovarrete IIa 19.2 (notizia espunta), 170.4, vidi ‘vedi’ IIa 106.8, vinti (num.) II 55.1, IIa 199.2, 228.30, 319.1, III 28.23, 41.2, volimo III 41.7/volemo II 30.6, III 13.6. Nel napoletano la metafonesi si applica di norma sia ai sostantivi maschili sia ai sostantivi neutri319. Lo spoglio in realtà, tranne poche eccezioni, come bru(n)czo I 65.1, riferito a minerale, che compare però in una scrittura non spontanea, o fri(d)dio IIa 44.2, non offre elementi sufficienti e nelle Croniche non si produce raddoppiamento fonosintattico dopo l’articolo neutro (o femminile plurale)320. Tuttavia, indirettamente, i sostantivi neutri sono individuati tramite gli aggettivi dimostrativi. Fuscolillo scrive infatti quillo IIa 338.1 un’unica volta, al maschile singolare, sicuramente riferito a persona; per il resto si legge sempre quello (+45), evidentemente avvertito come genere neutro, quando è riferito a dì, giorno, tempo o con il valore di ‘ciò’, ‘questa cosa’ ‘questo fatto’; la metafonesi non colpisce mai, ovviamente, gli aggettivi dimostrativi di genere femminile: m. sing. quillo IIa 338.1/quella I (+7) 33.2, 58.2, 84.1, II 30.2, 33.1, IIa (+5) 19.2 (2 volte), 69.2, III (+7) 28.10.19.21 e quell’ I 74.4, 95.7; m. plurale quilli I 90.5, IIa 69.1, III 21.2, 48.3/quelle I 33.2, 93.19, IIa 170.2, 348.1, III (+7) 28.14.15, 43.2); neutro: quello (t. +45) I (+10) 50.1, 64.3, II (+6) 19.5, 51.1 (2 volte), III (+4) 21.3, 31.4, 45.1, IIa (+25) 1.1, 40.5. 317 Si noti nella coppia po(n)tifici(-e)/po(n)tefece l’amonizzazione vocalica della postonica alla tonica. Per altri esempi di armonizzazione, cfr. n. 303 e gli ulteriori rinvii. 318 In questa forma la i tonica si spiegherebbe per sicilianismo o per bizantinismo fonetico: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 119, n. 277. 319 Cfr. ad es. in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, §§ 13-4). 320 L’assenza del raddoppiamento fonosintattico dopo il dimostrativo neutro contraddistingue in realtà l’area mediana da quella campana: cfr. F. AVOLIO, Il «neutro di materia» nei dialetti centro-meridionali: fonti, dati recenti, problemi aperti, 10 (1996), pp. 291-337; a p. 308 e ss. Introduzione CXXXI La metafonesi, analogamente, non interessa mai i femminili questa e queste, a differenza del maschile plurale quisti. Un po’ più complicato in questo caso risulta individuare il genere neutro, visto che si legge quisto anno IIa 283.1, quisto settembro IIa 360.1, ma anche questo anno II 3.2, 43.2. Non risultano significativi per registrare la tendenza in Fuscolillo questo regno III 2.1, questo paese III 7.1, questo III 9.1 (rif. a persona masch. sing.), perché compaiono nella parte iniziale del terzo libro, tramandanti la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo e dunque sono verosimilmente dipendenti dalla fonte; si esclude dal conteggio anche il tipo questo popolo II 69.2 (2 volte), che compare nella copia di un bando emesso a Roma nel 1559 (cfr. infra, n. 582). Resta così sostanzialmente confermata l’opposizione del maschile sing. quisto al genere neutro questo, riferito a concetti astratti quali bene, modo, dì, ‘fatto’ o a sostantivi di materia non numerabili, come grano321: m. sing. quisto IIa (+6) 17.4 (epitaffhio), 163.2 (homo), 164.3 (homo), 388.1 (libro), III 27.7 (2 volte: Ladislao, figlio); quisto anno IIa 283.1, quisto settembro IIa 360.1//questa II (+7) 15.1, 18.1, 19.1, IIa (+23) 6.4, 40.2.8, III 11.5, 28.20, 58.13), m. plur. quisti II 54.13, IIa 18.1, 107.7, 337.1/queste IIa 130.4, 165.4, III 33.3; neutro: questo I (+7) 5.4 (modo), 7.1, 56.3 (‘ciò’), 68.3 (dì), 69.2, 78.7 (‘ciò’), 95.6 (dì), II (+5) 3.2 (anno), 20.11 ‘ciò’, 42.2 (anno), 54.5 (tempo), IIa (+19) 2.8 (grano) 3.3 ‘ciò’, 16.6 ‘ciò’28.4 ‘ciò’, 184.2 (grano), 221.2 (bene), III (+27) 14.4 ‘fatto, motivo’, 16.2 ‘motivo’, 27.2 ‘ciò’. Dunque, se nelle Croniche sopravvivono pochi relitti di una probabile distinzione tra articoli maschili e neutri (cfr. § V.3.3), abbiamo invece la prova della contrapposizione tra dimostrativi maschili metafonetici e dimostrativi neutri non metafonetici322. Non si registra invece opposizione metafonetica nei superlativi: Altissima IIa 23.6 e β1 36.4, Altissimo IIa 119.1, 186.3, beatissimo IIa 241.1, bellissima II 62.1, cristianissimo I 101.3, 104.1, II 21.9, cristianissimo I 103.1, crodelissimo I 98.4, gra(n)dissima I 99.3, 103.6, 100.1, malissima I 106.1, inlustrissima II 14.1. Negli antroponimi raggruppati di seguito la tonica continua la base latina: Anaclito III 11.3, Benedicto IIa 124.2, III 26.7, Dominico III 26.10, Do(m)minicho I (+4) 31.1, 69.1, 78.9, II 38.3, III 23.3, IIa (+30) 25.1, 29.4, 32.1/Do(m)menicho IIa 265.3, Fracischo I 67.1, Fracisco I 27.1, IIa 246.1, Fra(n)cisco I 37.1, 56.2, 93.10, IIa (+13) 128.10.11, 130.5, Ia(n)fra(n)cisco II 54.5, IIa 21.3, 289.1, Ioa(n)fracisco IIa 2.8, 170.3, 335.6, Ioa(n)f(ran)cisco II 54.4, Ioa(n)fra(n)cisco II 47.1, 54.12, IIa (+27) 48.1, 51.3, 53.1, Ioa(n)fra(n)cischo IIa 335.3, Ioa(n)nifracisco IIa 60.2, Io(n)fra(n)cisco IIa 170.6, 239.2, 337.1. Anche nei casi seguenti si tratterà, sostanzialmente, di latinismi: antedicti III 27.2, antedicto III 11.1, 27.3, 30.21, antidicto III 26.14, 30.2, a(n)tidicto III 321 Cfr N. DE BLASI, L. IMPERATORE, Il napoletano parlato e scritto, Napoli 2000, pp. 68- 70. 322 Cfr. F. AVOLIO, Il «neutro di materia»..., cit., p. 303 e ss. CXXXII Nadia Ciampaglia 34.5 (e il femm. antedicta III 27.1.3), archipiscopo II 20.3, archipiscopi IIa 300.2, archiviscovo II 61.1, dicto I (+25) 2.1, 3.1, 13.1, II (+35) 10.1, 16.1.3, IIa (+74) 2.2.3, 14.3, III (+168) 10.2, 11.1, 11.3, ditto I 96.6, 107.2IIa, IIa 335.4, III (+4) 25.1, 26.14, 34.5, dicti I 96.5, 74.1, 106.4, II (+14) 5.3, 6.5, 23.4, III (+19) 21.3.8, 25.5, IIa (+53) 20.2, 21.2, 29.6 (e si aggiunga dicta I (+14) 5.1.2 (2 volte), II (+21) 20.12, 21.4, 23.1, IIa (+ 71) 2.2, 16.3, 21.1, III (+27) 2.1, 23.1.2, ditta IIa 26.2, III 38.4/decta IIa 341.2; dicte I 77.4, 93.5, II (+6) 11.2, 30.4, 35.3, III 7.6 28.15, 40.3, IIa (+ 11) 16.3, 20.1, 26.3, 250.1/decte IIa 105.8), digni II 13.2, digno II 32.4, infirmi IIa 81.1, ipsi II (+4) 33.3, 35.9, 49.2, IIa (+7) 64.2, 100.11, III 46.3, ipso I (+5) 60.1.3, 72.2, II (+4) 46.3, 53.12, IIa (+28) 24.2, 55.1, 85.6, III (+14) 9.1.2, 27.2 (ma al femminile si noti epsa II 53.1, III 3.2, 36.2, ep(s)a III 37.6; ipsa ed ipse si leggono solo in II 52.6.9, trascrizione in latino di un atto del Concilio Tridentino), ip(s)o III 58.11, isso I 69.2/esso IIa 385.2 (ed essa I 43.2, 78.3), licito II 53.4, nig[ri] I 92.3, nigro IIa 16.4, predicto I 106.2, III 10.1, 17.3, p(r)edicto I 93.22, 95.11, p(re)dicto III (+12) 6.7, 7.1, 14.2/predecto IIa 40.12 (ma si noti che qui sicuramente Fuscolillo copia da un atto), predicti II 6.4, 7.1, preditti II 53.8 (e al femminile i latinismi p(re)dicta IIa 341.2, p(re)dicta III 47.1, predicte II 54.9), si(n)gni II 25.2, sopradicto IIa 213.3, sop(r)adicto I (+9) 35.1, 93.14.15, II (+10) 16.3, 28.2, 30.6, IIa (+27) 51.1, 60.4, 65.1, III (+9) 11.4, 17.1.3, sop(r)aditto III 28.1, sopradicti IIa (+4) 118.2, 213.4, 271.1, sop(r)adicti I 93.3.8.14, II 49.5, IIa (+23) 100.4, 101.2, 105.6, III 7.5, sullicito III 12.4, sup(r)adicti III 24.4, sup(r)adicto III (+5) 23.1 (2 volte), 24.4, sup(ra)ditto III 24.1 (e al femminile, per latinismo, sop(r)adicta I 109.1IIa, IIa (+5) 118.2, 125.1, 177.3, 247.1.5, sop(r)adicte IIa 4.1, 165.5, sup(r)adicta III 34.10), viscopo I 88.9, viscovo II 61.2, IIa 38.2, 39.1, viscovi IIa 300.2. Si segnala, infine, il plurale metafonetico da < ITIES fortellicze I 90.4, fortelliczi I 84.1, fortelliczie IIa 79.3; al singolare si ha invece, regolarmente, fortellecza IIa 13.1323. b. Ɯ, ư in contesto non metafonetico. Presentano é > i le forme di genere femminile raggruppate di seguito, da leggere senz’altro come latinismi, non ponendosi condizionamento metafonetico ed essendo la base latina ư: a(n)cille IIa 104.2, dominicha III 18.3, do(m)minica III 17.5, do(m)minicha I 11.1, II 13.3, 19.5, III 17.2 (ma do(m)menicha I 64.5, IIa 270.1 e do(m)menecha I 63.2, 64.1, 101.2, II 35.14, 42.1, 50.1, III 20.1.3, 25.10, IIa (+4) 37.1, 52.1.3, do(m)mene[c]ha III 19.2, do(m)me(n)necha IIa 57.4, do(m)menech(e) I 75.5, IIa 216.1)324, lictera III 48.17.18, IIa (+11) 64.1, 80.1, 208.2, licter(e) II 35.8, IIa 170.3, 208.2, silve III 46.3. Nelle forme verbali cadir(e) IIa 71.2 e perdissero IIa 364.1, la chiusura di é > i è probabilmente dovuta a metaplasmo dalla seconda alla terza coniugazione (cfr. § V.3.1.7); la tonica di missir(e) IIa 226.1, invece, sarà forse condizionata dall’avan323 Cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Studi II -eze, «Zeitschrift für romanische Philologie», 24 (1900), pp. 504-6. 324 Fatta eccezione per do(m)menicha, in tutte le altre forme sembra prodursi armonizzazione vocalica tra tonica e postonica, per cui al tipo do(m)menecha, do(m)mene[c]ha, do(m)menech(e), do(m)me(n)necha corrisponde la serie dominicha, do(m)minica, do(m)minicha. Per altri esempi di armonizzazione vocalica, cfr. nn. 303 e rinvii. Introduzione CXXXIII tonica, ma si tratta comunque di un’unica occorrenza di fronte alla serie compatta in -e- rappresentata da missere II 50.1, misse[re] II 51.1, misser(e) II 38.1, IIa (+11) 53.1, 125.1 (2 volte). Segnalo qui solo la chiusura di crudile I 83.1 (ma crodelissimo I 98.4, con armonizzazione della protonica all’avantonica: cfr. n. 303). Per la desinenza -ia/-iva dell’imperfetto in luogo di -ea/-eva, cfr. § V.3.1.1/b. Da ư, semele IIa (+4) 28.6, 55.2, 259.1325, se(me)le IIa 70.8. Altre mani. Mano α. Non si registra opposizione metafonetica nel superlativo bellissima II 62.1. Mano β1. La chiusura condizionata di -é- si verifica in pariczi ‘parecchi’ β1 34.11. Nelle forme che seguono, la chiusura trova conforto anche dalla coincidenza con il latino: dicto β1 36.3.4.15.21, ipsi β1 34.5, β1 36.6.22, ipso β1 34.10, β1 36.5 (2 volte).6.26, misso β1 35.3, supradicto β1 34.10; al femminile, però, accanto ai latinismi dicta β1 36.2.4, lictera β1 35.5 e licter(e) β1 35.5, β1 36.10, si leggono anche domeneca β1 36.17 e do(m)meneca β1 36.14; il mancato appoggio del latino fa evitare forse la chiusura in de(n)tro β1 35.1, β1 36.22. Mano β2. In β2 le vocali toniche chiuse sembrano continuare in realtà la base latina, più che essere effetto di metafonesi; non presentano chiusura metafonetica da Ɯ, infatti, de(n)tro β2 206.5, β2 237.13, havemo β2 237.3, inteso β2 244.5.9, mesi β2 237.1; la chiusura non compare neppure nelle forme seguenti, in cui pure sarebbe stata autorizzata dalla coincidenza con il latino (< ư), da ritenere dunque toscanismi: fermi β2 244.24, infermi β2 244.14, segni β2 244.7.9.23, vescovo β2 206.1; si aggiungano inoltre dicti β2 237.6, β2 41.1/decti β2 237.3, detti β2 244.22, dicto β2 237.6.23, β2 244.7.17, ditto β2 237.19 (2 volte)/decto β2 237.4, β2 244.17, β2 40.15, detto β2 237.3.7, β2 244.9.17, ip(s)o β2 237.8 (ma essi β2 244 4.9.18 ed esse β2 237.8), licito β2 237.4.13.14, predicti β2 237.12, predicto β2 244.11, p(re)ditto β2 237.9/predecto β2 206.4, p(r)edecto β2 40.13, sopradicto β2 206.5, sup(r)adicto β2 40.18 e i latinismi dicta β2 40.17, 41.1, ditta β2 237.6, dicte β2 237.6 (2 volte).12, p(re)dicte β2 237.8. Mano β3: Dominico β3 196.4, Gio(n)fra(n)cisco β3 196.11, episcopo β3 204.1 (2 volte), ipso β3 231.1, misso β3 229.1 e il latinismo supradicta β3 229.3; senza alternanze, detti β3 203.3, β3 229.1.2, β3 230.2, detto β3 196.6.9, β3 229.2.3; non c’è chiusura metafonetica nel plurale allegrecze β3 231.1 < ITIES (cfr. in Fuscolillo, invece, fortelliczie). Per quanto riguarda i pronomi dimostrativi si segnalano quilli β1 34 .11/quelli β2 237.8.9, quillo (tempo) β1 35.1/quel (tempo) β2 244.9, quello (n.) β1 34 .8, (masch.) β2 244.17; questo ‘ciò’ β1 36.7.23, (regno) β2 236.1, (regno) β2 237.4, ‘ciò’ β2 244.21, (fangiullo) 244.21, ‘ciò’ 24. Non sembra dunque presente la distinzione notata in Fuscolillo. Le forme femminili non presentano ovviamente metafonesi: quella β2 237.7, β2 244.12; quelle β2 237.6, β2 244.15.17, questa β3 196.9, β3 203.1, β2 237.13 e queste β1 36.1. Per cadir(e) β1 36.25 bisognerà ipotizzare un passaggio dalla 2a alla 3a coniugazione (cfr. cadir(e) in Fuscolillo IIa 71.2). Mano γ. Chiusura e latinismo coincidono in dicto 147.1 (e per latinismo si aggiunga dicta 147.2, 148.7), episcopo 151.1, ipso 148.5 (ma esse 152.2). Non presentano chiusura de(n)tro 151.1, peso 151.1. Saranno toscanismi questa 147.2, queste 148.6. Gli esiti sopra riportati rivelano alcune tendenze. La mano β2 sembra più restìa ad accettare esiti condizionati e non mostra, d’altro canto, di essere troppo influenzata dall’autorità del latino: scrive infatti fermi, infermi, segni, che invece Fuscolillo segna sen325 Cfr. semel in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. XCIV); semele e simele in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 175-6); semele si legge anche in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., s.v.) e nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 443). CXXXIV Nadia Ciampaglia za incertezza con -i-; si consideri poi la significativa opposizione di vescovo β2 206/episcopo β3 (2 volte) e di essi β2 244 (3 volte)/ipsi β1 (3 volte): β2 da un lato sceglie la forma toscana, dall’altro rifiuta sia il latinismo, sia l’esito metafonetico. Un analogo rifiuto (cfr. infra) è nella forma mondo; il paragrafo in questione è anche in questo caso il n. 244, in cui è evidente la base letteraria (non si tratta difatti di un’annotazione, ma di una relazione, che sarebbe stata inviata dal M. de Rodi de l’hordine hierosolimitano ai serenissimi principi pote(n)ti, baroni, co(n)ti et ciascun fidel (crist)iano, relativa alla fantastica apparizione nelle terre di Babilonia dell’Anticristo, affinché tutti, per essere vero questo manifesto de la fine del mo(n)do che si appropinqua, vogliano permanere fermi, stabili et costa(n)ti ne la sa(n)cta fede). Le scelte di β2 244 sarebbero pertanto di matrice letteraria e mostrerebbero un consapevole avvicinamento al toscano; analogamente sarà condizionata dalla fonte la tendenza riscontrata nei paragrafi β2 40.12-41, 206.1-5, che non contengono annotazioni quotidiane, come accade invece per quelli redatti da β3 (cfr. § II.9.2, tav. A). Si aggiunga poi a questo la già segnalata presenza, solo in β2, dei rari dittonghi spontanei registrati nelle Croniche. Come si vedrà tuttavia nel paragrafo dedicato all’anafonesi, l’avvicinamento al toscano è più spesso il risultato della sottrazione di elementi locali (cfr. § V.2.1.6). Si noti, infine, che le uniche forme metafonetiche, per quanto riguarda i pronomi dimostrativi, sono adoperate da β1 (che pure copia, ma episodi di storia napoletana) e mai da β2, che non conosce l’opposizione tra il maschile quillo e il neutro quello. V.2.1.3. Esiti di ƿ, Ǎ toniche a. ƿ, Ǎ in contesto metafonetico. È nettamente predominante, in contesto metafonetico, la chiusura di ó > u; il fenomeno si manifesta con una certa regolarità (es. barone ∼ baruni, bastione ∼ bastiuni, presone ∼ presuni, rocta ∼ ructo etc.), e le poche eccezioni si leggono sostanzialmente nel primo e nel terzo libro326. Raggruppo di seguito le forme con metafonesi di ó, ponendo in elenco anche quelle in cui la chiusura trova ulteriore appoggio nella base latina (es. multo, mundo etc.): agusto I (+36) 5.1, 6.1, 7.1, II (+8) 18.1, 19.6, 25.1 IIa (+39) 3.1, 6.1, 22.1, III (+6) 21.3, 47.4, 48.24, augusto III 47.2, baruni IIa 300.2, III (+8) 29.1, 30.14.15/baroni I 89.6, IIa 144.3, III (+17) 13.4.5, 14.3 (ma al singolare, regolarmente, barone III 14.5, 30.1), bastiuni IIa 28.4 (ma al sing. bastione IIa 28.5, III 38.4), bru(n)czo I 65.1, bucti I 75.4 (2 volte), 85.6, IIa 28.5/bocti I 91.10, burgo III 32.5, 51.5, Burgo I 10.3.4, 97.3, II 20.2 (2 volte), cappu<ni> IIa 213.6, carth<u>ni IIa 2.5, cu(n)czio IIa 108.3, cu(n)to IIa 31.4, curso III 27.18/corso I 97.12, dudice III 28.15, 40.3, dudici IIa (+10) 44.3, 47.1, 86.2, du(d)dici IIa 289.2/do(d)dici IIa 104.2, electuri IIa (+8) 30.7, 100.3.4, ellecturi IIa 30.8, falcuni III 48.24, Fundi IIa 9.1, III 25.7, Fu(n)di I 86.4, II 3.1, 20.10, IIa 128.2, III 6.4, 25.7, Fu(n)ni III 27.2, 54.3, inparaturi III 26.1 (ma al singolare, regolarmente, sempre -ore), lavaraturi IIa 70.2, levaturi ‘(ponti) levatoi’ III 38.2, megliuri III 21.7 (ma al singolare, regolarmente, meglior(e) IIa 71.2), minuri III 25.10, Mo(n)tescaiuso III 24.3, Mo(n)tescaviuso III 25.8, muczi II 35.1, muczo III 28.18, multi I (+10) 1.1, 58.2, 86.6, II 49.1, IIa (+52) 2.4, 2.11 (3 volte), III (+18) 17.6, 19.1.5, multo I (+4) 84.6, 86.7, 93.23, II 27.1, IIa (+11) 29.3, 44.2, 80.4 (2 volte), III (+18) 9.2, 12.2.4, mu(n)do III 32.4.11 (ma cfr. mondo in β1), muraturi IIa 326 Difatti, le pochissime forme senza chiusura comprese nelle annotazioni spontanee si riducono a baroni IIa 144.3, p(r)ocuratori IIa 341.2 e IIa 40.11.12 (ma si legge qui in una copia di un atto), signori IIa 8.1, 16.5, 113.2, 143.1, 207.3. Introduzione CXXXV 344.1, muto ‘motto’ III 32.3, nui I 107.3IIa, IIa 26.3, 40.12, III 27.7, 41.7/noi III 27.16 (e cfr. noi in β1 e δ), octrufo IIa 15.1 (forma unica in Fuscolillo; nelle altre occorrenze sempre -otonica; cfr. però octru<f>o in β1), palagruso III 30.5, palu(m)mi IIa 78.6.7, paurusi IIa 106.8, pavelgliuni III 28.21/paviglioni III 51.8327, Peczuli III 29.2328, Pecczuli I 75.8, 79.1, IIa 27.2 (2 volte, ma nella seconda u è corretta su altra lettera, probabilmente o), Peczulo III 50.1/Poczolo I 79.1, pedunii III 9.5, Piemu(n)<d>i IIa 317.1, Piemu(n)ti IIa 319.1, 330.1, pi(n)turi IIa 120.2, porrissevo ‘potreste’ III 30.24, predicaturi III 23.4/predicatori III 25.2 (al sing. regolarmente predicator(e) II 269.1 (2 volte).2, presuni I 10.6, 64.1, 78.1, II 46.3, IIa 27.1, 164.1, p(re)suni III (+8) 21.4.7, 31.1, p(r)esuni I 70.2/p(re)soni III 13.5, 26.9 (ma al sing. regolarmente p(r)esone I (+ 9) 10.7, 61.1, 64.5, (pre)sone I 13.3, 64.4, III (+4) 21.5, 28.16, 30.21, presone I 39.1, 61.1, 95.3, IIa (+4) 101.4, 106.4, 164.2, III 24.2, 32.5; ‘prigione’ III 21.5, 31.7, 48.12), p(ro)curaturi IIa 181.1/p(ro)curatori IIa 40.11 (ma l’annotazione è copia di un atto), 341.2 (al sing. p(ro)curator(e) II 59.1.2, IIa 194.1, 245.3), puczo III 48.19329, puglii IIa 142.1, 153.1, pulglii IIa 131.1, Raimu(n)do I 47.1, Ramu(n)do III 24.2, ructo (con grafia latineggiante impropria) I (+7) 34.1, 78.2 (2 volte), III 57.6/ropto III 51.12 (al femminile, regolarmente, rocta ‘disfatta’ I 95.4, II 16.1), salvoco(n)ducto III 51.9, Sanframu(n)do I 78.2, secundo IIa 161.1, secu(n)do I 75.2.5.7, II 1.1, 3.2, 46.3, IIa (+12) 47.1, 85.4.6, III (+5) 17.1, 23.3, 24.1, securso I 107.3IIa, seccurso II 21.5/soccorso I 95.11, Sgesmu(n)do III 57.2.3, Sigismu(n)do II 54.14, IIa 99.6, 104.8, 245.5, signuri I 74.3, 95.1, II 19.9, IIa 261.2/signori III (+13) 6.4, 26.9, 27.6, IIa (+5) 8.1, 16.5, 113.2, 143.1 e segnori III 30.13.19, 34.2, speru(n) III 34.9, speruni I 75.1, sul (avv.) III 30.20, sulo I 88.8, IIa 26.3, 213.3, III 39.4, 47.6, 58.11 (cfr. invece solo in β2), tarramuto II 34.1, terramuto I 29.1, II 34.2330, triu(m)fhi I 97.11, IIa 25.2, 99.7, 113.2, triu(m)fho IIa 16.1, 61.1, triu(m)pho IIa 14.3, tu(m)mulo ‘tomolo’ II (+8) 22.1, 32.1.2, IIa 71.3.4, 86.2, tu(mmu)lo IIa 288.1/ to(m)molo IIa 46.1331 (e to(m)mola IIa 175.1, 179.2, 265.2), turbito IIa 218.3, Ulmo I 97.10, III 43.2, Unufrio II 59.4, Utra(n)to III 5.2, vui III 30.9, 31.8. La metafonesi interessa con una certa regolarità anche il plurale dei femminili in -e, per effetto della -i finale della terminazione plurale332 (l’unica eccezione, torri, 327 Si noti, nell’alternanza pavelgliuni/paviglioni, il differente trattamento della protonica che, tuttavia, non sembra corrispondere agli usuali fenomeni di armonizzazione vocalica finora visti (con l’innalzamento della protonica in corrispondenza della chiusura della tonica): cfr. n. 303 e rinvii. 328 La forma Pezzulo, tipica del napoletano antico, presuppone per G. Rohlfs (ID., Grammatica storica..., cit., § 126) una base -OLUS, con successiva chiusura in u; l’esito è evidente in molti continuatori di -ìolus ed -éolus come lenzulo, fasulo etc. (si veda, ad es., figliulo nell’Hist. Tr.: cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 359 e n. 30). Si noti, inoltre, nell’opposizione Peczulo/Poczolo, l’armonizzazione della protonica alla tonica: cfr. n. 303 e rinvii. 329 Si aggiunga il plur. neutro pucza ‘pozzi’ I 17.1. 330 La chiusura metafonetica si spiega a partire da una base etimologica < MƿTUM di contro alla forma tremuoto dell’it. antico: cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 356, n. 419. 331 È evidente anche nell’opposizione tu(m)mulo/to(m)molo e to(m)mola il fenomeno dell’armonizzazione vocalica, per cui, nella forma metafonetica, alla chiusura della tonica corrisponde l’innalzamento della protonica: cfr. n. 303 e rinvii. 332 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 7. CXXXVI Nadia Ciampaglia si legge ancora una volta nel terzo libro): co(n)fectiuni IIa 140.1, cruci IIa 301.6 (ma al singolare, regolarmente, croce I 33.2, 44.1, IIa 104.4, 345.1, cro[c]e IIa 123.1 e S. Croce I 19.5, IIa 128.5), fulguri IIa 99.7, furguri IIa 128.15, processiune (pl.) IIa 40.9, p(ro)cessiuni IIa (+4) 40.2, 52.1, 70.1.3 (ma al singolare, regolarmente, processione IIa 52.3, 57.2, p(ro)cessione I 86.4, IIa (+20) 52.3, 57.4.7, p(ro)cesseone IIa 99.3), succissiuni I 1.1, turre ‘torri’ III 38.4333, turri III 26.9/torri III 38.2 (ma al singolare, regolarmente334, torre IIa 135.1335, 155.1.2 e Torre (del Greco) I 64.3, T. (ad mare) I 106.5, III 38.4, 46.3, 50.2). Si aggiunga, benché con attestazioni più oscillanti, la chiusura ó > u nel plurale femminile di I declinazione persuni (tot. +14) II 40.1, IIa 134.1, 339.1 (2 volte), 348.1 p(er)suni II 13.2, 45.1, IIa 26.4, III (+5) 28.3.28, 30.25/personi (t. +7) p(er)soni I 55.1, II 19.6, IIa (+4) 27.2, 101.2, 286.3, III 28.8, 47.1 (e p(er)sone I 85.2, 96.4, 2 volte), in cui non è da escludere un esito metafonetico, non necessariamente per influsso della vocale finale336; la -i, a sua volta, potrebbe ricondursi a motivi morfologici (si tratterebbe di metaplasmo dalla II alla I declinazione, che in qualche modo potrebbe aver lasciato traccia nell’isolatissimo ma pertanto sospetto337 persono II 50.2; o di estensione del sistema flessivo di III declinazione). Non si registra regolare alternanza metafonetica nei numerali, perché, ad eccezione di doe (mano) IIa 16.2 e doi hore I 43.2, dui (t. +91) è forma assolutamente costante sia al maschile quanto al femminile (es. dui galere I.51.1, 74.8, 92.2, dui hore I 74.2, dui barche I 74.3 etc.). b. ƿ, Ǎ in contesto non metafonetico. Da Ǎ, conservano la base latina le forme di genere femminile raggruppate di seguito: multa I 78.11, II 31.4, mult<a> I 93.13, multe I (+4) 29.1, 55.1, 86.6, II 1.1, 24.2, IIa 128.16, III 8.1.2, 25.1/molte II 20.9, secu(n)da IIa 196.1, 360.1, 363.1 III 24.3, 34.5, 37.1. Da ƿ, si è già segnalata la chiusura ó > u nel plurale dei nomi femminili di III declinazione (cruci, turri etc.) e nel plurale persuni (cfr. § V.2.1.3/a). Segnalo qui il 333 Cfr. turri nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 359). Farebbe eccezione (ma non lo è) lo turre IIa 352.2: la metafonesi e lo strano articolo maschile si spiegano a partire dalla scrizione originaria le turri, in cui la chiusura era legittima, trattandosi di una forma plurale. L’intervento di Fuscolillo ha modificato solo le vocali finali (-e > -o; -i > -e: cfr. apparato al testo). 335 In questa occorrenza la -e risulta corretta su -a. 336 Il plurale metafonetico è infatti largamente attestato nel tipo persona/persune (cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., 133 n. 339 e N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., s.v.) e si applica comunemente ancora nel nap. moderno nei sostantivi di I declinazione, anche in assenza di premesse etimologiche, piuttosto per analogia con il sistema torre/turre (vedi supra), allegrezza/allegrizze (cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., pp. 136-7 e n.). 337 Al singolare si registra sempre ed unicamente persona (t. +34) III 21.9, IIa 85.6, 88.1; il plur. persone è invece nettamente preferito dalla mano β (vedi infra): cfr. § V.3.2. 334 Introduzione CXXXVII singolare ve(n)ditur(e) IIa 85.6/ve(n)ditor(e) IIa 259.2), in cui la chiusura costituisce un caso atipico, non sussistendo condizioni metafonetiche; s’è visto, del resto (cfr. § V.2.1.3/a), che la metafonesi agisce con una certa regolarità nei plurali dei sostantivi in -ORE e in -ONE ma mai, com’è ovvio, nelle forme singolari (es. megliuri ma megliore, bastiuni ma bastione). Altre mani. Mano α: agusto II 62.1. Mano β. A differenza di quanto registrato per gli esiti da -Ɯ-, -ư-, la chiusura di ó > u in contesto metafonetico sembra più diffusa. Anche in questo caso, tuttavia, β2 sembra aprirsi con più disinvoltura al toscano, rifiutando in molti casi la chiusura metafonetica, anche quando avrebbe trovato appoggio nella base latina (es. molti, molta, mondo, secondo). Mano β1: dui (m. plur.) β1 36.24.25, electuri β1 34.9, β1 36.2, presuni β1 36.20 (ma al singolare, regolarmente, presone β1 34.3.5.9, β1 36.18), signuri β1 36.4. Mano β2: baruni β2 237.6/baroni β2 237.4.6.7, β2 244.1, co(m)peraturi β2 237.13.14.21, dui (m. plur.) β2 40.15, (d. di nostri) β2 244.21/doi (giorni) β2 244.9, gubernaturi β2 237.6 (ma al sing. regolarmente gubernator(e) β2 236.1, gobernator(e) β2 40.17, governator(e) β2 206.1, β2 237.6, 2 volte), ve(n)dituri β2 237.21 ve(n)dituri β2 237.21. Mano β3: baruni β3 230.3.4/baroni β3 230.2, octru<f>o β3 229.1, (dui) persuni β3 204.1, Sigismu(n)do β3 196.5.9; al singolare, regolarmente gubernator(e) β3 229.2, governator(e) β3 231.1. La chiusura è incoraggiata dal latino nelle forme seguenti: augusto β1 36.8.9.13.14, multi β1 34.11, β1 35.1, β1 36.2.13.18, 26, multo β1 34.11. Mano β2: multi β2 244.7.9/molti β2 206.2.5, β2 244.21.23 (e molta β2 206.2), triu(m)phi β2 206.5, triunpho β2 206.2, tumolo β2 237.4 (2 volte).19.20 (2 volte).22. Mano β3: multi β3 196.7.8.10, β3 230.2, multo β3 229.2, secu(n)do β3 196.9, β3 240.1, triunphi β3 230.2, tu(m)mulo ‘tómolo’ β3 229.1.2 (2 volte). Nelle forme femminili la tonica si giustifica per latinismo: multe β1 34.8.11, β1 36.17.20 (2 volte), multe β2 237.3, su(m)ma β2 237.20/so(m)ma β1 36.13, multe β3 196.11. Non presentano invece metafonesi le forme seguenti, in cui il toscanismo è incoraggiato dalla base latina: co(n)ti β2 244.1, exploratori β2 244.2.4.14.18.21.22, habitatori β2 244.9, noi β2 237.3.5.6 (2 volte).12, β2 244.2.24, p(er)soni β2 237.4, p(er)sone β2 237.1.6, β2 244.15, persone β2 40.13,. solo β2 244.14, tra(n)sgressori β2 237.23; che si tratti di toscanismi, lo dimostrano però i tipi mondo β2 244.21, mo(n)do β2 244.13.24 (2 volte) e seco(n)do β2 40.1, in cui la chiusura metafonetica è rifiutata, nonostante la coincidenza con il latino (ed esito ben differente si è invece visto per queste forme in Fuscolillo). Da quanto detto, risulta confermata la tendenza già notata per gli esiti di é, e cioè che il “rifiuto” della chiusura si verifica principalmente in β2. Ad esempio, per quanto riguarda la coppia baruni/baroni, solo in un’occorrenza β2 presenta la chiusura, contro quattro esiti non metafonetici (β3 , invece, chiude la tonica per due volte e in un sol caso la conserva); solo β2 scrive, accanto a dui, usato anche da β1 e da β3, una volta doi; ancora, per quanto riguarda la coppia multi/molti, la chiusura è scelta costantemente da β1 (sei volte) e da β3 (quattro volte), ma solo in due casi è adoperata da β2 , che in altre quattro occorrenze opta piuttosto per -ó-; si consideri, inoltre, che β3 sceglie in due occorrenze secu(n)do, mentre β2 in una occorrenza scrive seco(n)do; si aggiunga, infine, che di contro all’unica occorrenza metafonetica persuni di β3, β2 sceglie l’esito non metafonetico sia nel plurale in -e, p(er)sone (quattro volte), sia in quello in -i, per metaplasmo, p(er)soni e che, come s’è già detto, β2 rispetto alle altre mani sembra senz’altro aprirsi anche ai toscanismi (molta, molti, secondo). Mano γ . Si registra esito metafonetico in (hora) dui 147.1, (tucti) dui 148.3 (2 volte), sulo 148.3; non presenta chiusura signori 148.3. CXXXVIII Nadia Ciampaglia V.2.1.4. Vocali toniche in iato In condizione non metafonetica, la presenza di i in luogo di e è effetto di chiusura per iato in invadio III 11.3, Macthio II 33.1, Mactio IIa (+6) 107.2, 119.8, 120.2/Macteo IIa (+4) 137.3, III (+11) 10.4.5, 14.5, rendìo III 48.21, re(n)dìo I 75.6, 85.7/rendeo I 75.1.7, III 29.2, re(n)deo III 19.4. Si aggiungano io (+20) II 28.2, IIa 316.1, III 40.3 etc. e i possessivi mio III 31.7 (e β1 36. 7, β2 244.13.19) e mia IIa 102.1, 1442.3, III 30.7. La o tonica si conserva in soa (t. +28) II 20.7, IIa 16.4, 24.2, nettamente inferiore, tuttavia, a sua (t +183) III 21.6.7.9; al plurale femminile, invece, soe (t. +10) II 53.1, III (+7) 6.2, 19.4, 28.4, IIa 14.2, 28.3 (insieme ai plurali in -i: le arme soi I 33.2, le soi robbe IIa 101.1, tucte le soi forcze IIa 112.3, IIa 128.18 le soi cermonie) ricorre più frequentemente di sue: sue (gente) I 93.15, II 53.2, IIa 2.11, 37.2 (sue erede338). Al maschile, suo (+144) IIa 13.1, III 13.1 (2 volte); nel plurale, sui II 23.4, III 10.5, IIa 341.1 è meno diffuso di soi (t. +29) I 13.1, 44.2, 107.3IIa, II 24.2, 53.2, IIa (+14) 14.1, 17.3, 25.1, III (+10) 8.1, 20.1, 21.4. Aggiungo qui p(er) mani soa IIa 350.2. V.2.1.5. Esiti di Ʈ, Nj L’apertura Ʈ > e che si verifica in taluni casi, parallelamente allo sviluppo Nj > o, potrebbe essere un’ulteriore prova dell’appartenenza di Sessa Aurunca alla zona mediana339, benché non è da escludere, per alcune delle forme che di seguito si riportano, la possibilità di una morfologizzazione del fenomeno metafonetico. Di seguito l’elenco delle forme: desse ‘disse’ IIa (+6) 2.4, 40.5, 60.2, III 41.6340/disse III 31.6, 33.3, diss(e) III (+6) 28.19, 30.6, 33.4, dessero II 35.6, IIa 20.1, 105.8/dissero III 30.23, messe II 60.1, IIa (+17) 13.1, 20.2, 27.3, 40.3, 79.5, messero I 104.1, 106.2, III 55.3, IIa 296.2341, promesse II 230.7, rescresse IIa 40.7. Se le forme precedenti si leggono sostanzialmente nelle annotazioni spontanee, è invece diffuso in tutte le Croniche il singolare prencepe < PRƮNCưPE vs. plur. principi. In questo caso l’apertura Ʈ > e del singolare potrebbe essere funzionale al338 Il sostantivo è difatti di genere femminile: cfr. § V.3.2. Il passaggio incondizionato di Nj > o, in corrispondenza con la mutazione di Ʈ > e, è ad esempio registrata da Rohlfs nelle Marche: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 29 e 37. 340 Cfr. nell’antico perugino desse e dece ‘dice’, forma che è anche dell’antico viterbese (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 29). Il perfetto desse si legge anche in De Rosa e Diomede Carafa: cfr. V. FORMENTIN, Scrittura e testo..., cit., p. 21 e n. 65 e ID., LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 138 e n. 360 per i riscontri. 341 Cfr. mese e mesero in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 138). 339 Introduzione CXXXIX la distinzione tra singolare e plurale, dandosi nella nostra area l’indebolimento delle vocali finali, portatrici dell’informazione del numero342: precepe IIa 161.1, 261.1, III 5.2, pre(n)cepe IIa (+8) 13.2, 26.2, 80.2, III (+25) 2.2, 4.1, 5.3, prencepe IIa 215.1, III (+6) 51.10, 57.17, 58.6 (2 volte), pre(n)c(e)pe III 7.1/ pri(n)cipe I 84.5.6, 85.3.4, 95.2, principe I 90.2, a cui si contrappone il plurale pricipi IIa 85.8, principi I 85.9, IIa 16.5. Più particolare il caso di vede ‘vide’ IIa 26.1343. Sembrano invece da ricondurre a motivazioni morfologiche, vale a dire metaplasmo di coniugazione, gli imperfetti essevano ‘uscivano’ I 93.8, veneva IIa 66.3 (che appare tuttavia un caso isolato, contrapponendosi a ventuno occorrenze di veniva), appareva II 26.2 e i perfetti344 fugero I 102.2, honero I 88.9, partero IIa 297.1, 304.1, 317.1, parter(e) IIa 57.1 ‘partirono’, tradero I 86.3, trasero I 103.3, 56.2, 75.1. L’apertura Nj > o si verifica in questi casi345: co(n)closa IIa 314.1/(con)clusa III 45.3, colclusa IIa 314.1 (ma al maschile sempre (con)cluso III 34.1, 37.5.7, IIa 219.2 e cfr. γ; si aggiunga, inoltre, in atonia, il derivato conclosione IIa 78.1); iodece (sing.) IIa 245.5346/iudece IIa 252.3, iodice II 53.8, 59.4, IIa (+5) 108.4, 122.1, 128.12/iudice II 54.14, presopti IIa 131.3 (ma nelle altre occorrenze sempre presupti IIa 62.1, presucti IIa 130.4, 153.1, presutti IIa 142.1 e al sing. presupto IIa 86.4), sco(m)monecha IIa 214.4. All’elenco si possono aggiungere i pf. roppe III 48.4.13, 53.5, 57.3, IIa 84.2347/ruppo ‘ruppe’ III 32.5, roppero I 96.6.8, III 28.14.15. 342 Si noti ancora una volta, nell’opposizione prencepe/principi, l’armonizzazione vocalica della postonica alla tonica (cfr. n. 303 e rinvii): cfr. F. FANCIULLO, Morfo-metafonia, in AA.VV, Miscellanea di studi linguistici in onore di Walter Belardi, Roma 1994, 2 voll., t. II, pp. 571-92, a p. 580. 343 Mancano nelle Croniche controesempi per la forma di 3a pers. sing. del perfetto; vedecte è invece usato da β1 34.6. Alla 3a pers. plur. potrebbe dunque essere interpretata come forma forte e non debole il pf. vedero (vèdero ‘videro’), come suggerisce, per Loise, V. Formentin (ID., LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 139). La forma di 3a pers. sing. del pf. vede ‘vide’ è anche in Lupo de Spechio (cfr. A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., 230 e 316) e in Loise (cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 139 e n. 361; e ivi per la segnalazione di un se vede in Rogeri De Pacienza, glossato in ‘si vide’ dall’editore M. Marti). 344 La desinenza in -ero per il perfetto di III coniugazione è comunque attestata nella zona di Sessa Aurunca: cfr. oltre, § V.3.1.1/c. 345 Non si aggiunge all’elenco, perché legittimo, l’esito tonico in Perosia IIa 79.4, Perosa III 32.8; la base latina, infatti, è Ǎ < PERǍSIA. 346 Cfr. in Loise De Rosa, iodece (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., I, p. 139). 347 Si aggiungano come esempi complementari le forme arizotoniche ro(m)peo I 93.6, ro(m)pìo I 77.1, 100.2, roppìo I 100.2 (2 volte), ro(m)pero I 95.1, etc. Nel napoletano antico la forma usuale è roppΩ; si veda in Loise, ad es., roppe, roppero (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 139). CXL Nadia Ciampaglia Come s’è anticipato, non è da escludere, per alcuni dei casi sopra elencati, la possibilità di «un’estensione analogica del fenomeno metafonetico»348, secondo una tesi che prende forza dalla considerazione che l’area di estensione degli insoliti sviluppi di Ʈ e Nj, in alcuni casi trattate come le corrispettive brevi, coinciderebbe con quella di massima espansione della metafonesi. Forme quali rérΩ ‘ridere’, récΩ ‘egli dice’, skrévΩ ‘scrivere’ (da Ʈ), e kyórΩ (da Nj), diffuse ad esempio nell’area cilentana (Omignano), presenterebbero un abbassamento della vocale tonica dovuta all’analogia con alternanze regolari del tipo vévΩ ‘io bevo’ e vìvΩ ‘tu bevi’349. La tendenza a trattare l’opposizione metafonetica come opposizione morfologica, di conseguenza, «condurrebbe i parlanti da un lato a interpretare le -u- ed -i- toniche come contrassegni del plurale, dall’altro a ripristinare di conseguenza -o-, -e- (anche da -Nj-, -Ʈ- lunghe) del singolare»350. Dunque, nei perfetti forti desse, messe, roppe, sopra catalogati, l’apertura sarebbe morfologicamente funzionale, permettendo di distinguere la 3a persona singolare; così pure l’opposizione conclosa/concluso, più che per ipercorrettismo toscaneggiante351, potrebbe spiegarsi per “ottimizzazione morfologica”352. Per le forme iodece, prencepe va ricordato, infine, che è comune nell’area meridionale (Puglia, Lucania, Abruzzo, Campania) il trattamento di Ʈ e Nj come ư e Ǎ nei proparossitoni353; e, se per iodece non disponiamo come controprova di alcuna forma plurale, è indubbio che i plurali pricipi IIa 85.8 e principi I 85.9, IIa 16.5, di contro al costante singolare prencepe, appaiono regolarmente metafonetici e spingono dunque ad interpretare il fenomeno in chiave morfologica. Altre mani. Mano β1: desse ‘disse’ β1 34.10, messe β1 34.3, messero β1 34.3, pre(n)cepe β1 34.8.12, veneva β1 34.8/veniva β1 36.8, u(n)sciero β1 36.13. Mano β2: pre(n)cepe β2 206.2 (ma al plurale principi β2 244.1). Mano β3: desse β3 196.9, pre(n)cepe β3 203.1.3 (2 volte), β3 230.1, veneva β3 203.3 (all’infinito, venir(e) β1 35.5 (2 volte), 36.1); probabilmente si spiega per metaplasmo dalla 3a alla 2a coniugazione la tonica di pater(e) ‘patire’ β2 237.3. Mano γ: partero 148.3. V.2.1.6. Anafonesi Come prevedibile, non si registrano nelle Croniche esiti anafonetici di é ed ó. Gli unici esempi, come dipinta o famiglia, si leggono o nella copia di un bando o nel terzo libro; negli altri casi (come benigno, consiglio) la tonica si giustifica in realtà 348 Cfr. F. FANCIULLO, Morfo-metafonia, cit., p. 579. Cfr. ID., pp. 581-2. 350 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. 351 Così Gentile, che riconduceva ad una «reazione ipertoscana» forme quali fiome, tocti, usuali nella lingua di Brancati, nativo della zona di Policastro: cfr. N. DE BLASI, Campania...cit., II, p. 178; si veda anche, per un’analoga interpretazione del fenomeno, F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., p. 135. 352 Cfr. F. FANCIULLO, Morfo-metafonia..., cit., pp. 586-87. 353 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica...cit., §§ 33 e 40. 349 Introduzione CXLI per coincidenza di latinismo e chiusura metafonetica. Di seguito, le forme con conservazione delle vocali toniche: davanti a nasale palatale: benegno III 25.1 (ma per coincidenza di base latina e chiusura metafonetica benigno IIa 124.6, 128.12, 144.3, III 12.4.6); nei derivati da *COMIN(I)TIARE: come(n)cza II 1.1, III 1.1, co(m)me(n)cza IIa 355.1 (e in protonia come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14, co(m)mecza(n)do IIa 224.1, co(m)meczò IIa 124.1, co(m)me(n)czao IIa 257.1, co(m)me(n)czate IIa 162.3, co(m)me(n)czato IIa 256.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, co(m)me(n)czero IIa 40.6, (com)menczò III 20.1, co(m)me(n)sa(n)do III 1.1, income(n)sa(n)do III 6.1, inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)me(n)czar(e) III 25.5, inco(m)me(n)czato IIa 48.1, i(n)come(n)sò II 20.9, i(n)co(m)me(n)sò III 7.4)354; davanti a n seguita da occlusiva velare etimologica355: dipe(n)ger(e) IIa 124.1 (ma dipinta IIa 69.2, dipinto IIa 17.4, dipi(n)to IIa 128.14), gionsero III 28.8 (e in protonia iogenno III 57.3, ionge(n)do III 39.10, ingio(n)gneva IIa 307.1), ionse III 39.1, 57.2, ionto III 28.28, 39.3, io(n)to I 35.4, ionti III 27.13, 30.16, 59.4, ionte IIa 16.2, III 47.4; davanti a laterale palatale: Marseglia III 39.2. In protonia, vence(m)mo III 27.19 (e cfr. infra, vensero I 93.11). Nelle forme seguenti la vocale si presenta chiusa per latinismo o esito metafonetico, e talvolta per coincidenza di entrambi; in tali casi, ovviamente, vi è coincidenza anche con l’esito toscano: davanti a n + occlusiva velare etimologica: cinto IIa 17.3, pinto IIa 17.3; davanti a laterale palatale: co(n)si<g>lio IIa 100.2, co(n)siglio II 19.9.10, 35.1, IIa (+43) 2.8, 4.1, 6.1, III 34.1, (con)siglio IIa 6.4, 120.1, 239.2, III (+19) 19.2, 27.6.8, co(n)silglio IIa (+5) 167.1, 271.4, 283.1, (con)silio II 49.4, IIa 81.1, 82.1, 255.1, miglio I 97.5, IIa 16.6; davanti a nasale palatale: maligno III 35.5. Agli elenchi precedenti si possono aggiungere alcune forme femminili con i davanti a laterale palatale, tutte comprese nel terzo libro: famiglia III 34.13, navillie III 38.4, miglia III 38.1, 50.2.5, IIa 61.2, 156.3, 128.7. Si aggiungano i toponimi Castiglia III 41.4, Castilglia III 47.4, Vintemiglia III 50.3, 58.6, Vintimiglia III 54.3, Vintemilia III 47.8. Nelle annotazioni spontanee, si leggono infine per influsso latino ligua IIa 104.6, 144.3, li(n)gue IIa 131.1, provincie IIa 85.6, p(ro)vi(n)cie IIa 259.2. Altre mani. Lo spoglio delle forme sembrerebbe in contrasto, almeno per quanto riguarda la mano β2, con il quadro finora fornito. Lo sviluppo di dittonghi spontanei e la relativa resistenza alle chiusure metafonetiche di β2, anche quando giustificate dal latino (es. fermi, infermi, segni, 354 Le forme alternano in protonia con co(m)mi(n)czaro I 10.4, co(m)micziò II 36.2, inco(m)miczò I 93.19, incominsao I 4.1. 355 Per logna II 26.1, log(n)a II 31.2, IIa 144.3, logno I 65.1, III 25.6, 46.4, IIa 215.3, 261.3 e longa III 27.20, va ricordato però che i dialetti meridionali conservano una base con ǁ. CXLII Nadia Ciampaglia molti, molta, mondo, secondo) avrebbero potuto far suppore per questa mano una maggiore e consapevole apertura verso il toscano, ma le forme co(n)seglio, fameglia, longo ridimensionano in parte questa ipotesi. Fornisco innanzi tutto l’elenco delle occorrenze. Mano β1: adio(n)ger(e) β1 36.16356. Saranno latinismi, pertanto (più che esiti metafonetici o anafonetici), co(n)siglio β1 34.8.9.11, β1 35.1.3 (2 volte), β1 36.2 (2 volte).3.4.5.6 (2 volte).8.11. Mano β2: co(n)seglio β2 206.1, β2 244.21/consiglio β2 244.23, fameglia β2 237.7 accanto a provintia β2 237.6 (3 volte), β2 244.3, provintie β2 237.6. In atonia, cominciò β2 244.5, inco(m)me(n)zato β2 237.3/incomi(n)ciato β2 244.15. Mano β3: senza alternanze lingua β3 196.7. Salta subito all’occhio, innanzi tutto, la schiacciante opposizione di β1 consiglio, con ben quindici occorrenze, rispetto alla forma co(n)seglio di β2 (2 volte). Senza avere la presunzione di poter ridurre tutti i dati ad un sistema “coerente”, possiamo però formulare delle ipotesi per β2, in cui la dipendenza da una fonte letteraria, almeno per il paragrafo 244, è certa. In primo luogo bisogna ridimensionare il dato in β1: qui la tonica è frutto infatti, più che di toscanismo, di concordanza di metafonesi e latinismo; difatti, laddove non si realizzi tale coincidenza, non si registra anafonesi, come in adio(n)ger(e) e longo. Sarà ugualmente un latinismo in β3 lingua β3 196.7. Dunque, β2 conferma la già notata resistenza verso gli esiti metafonetici, probabilmente avvertiti come marcatamente locali, e forse per questo, a differenza di Fuscolillo, questa mano non è sempre sensibile al suggerimento della base latina, qualora essa coincida con una possibile chiusura metafonetica, come accade nel caso di co(n)seglio; la mancata chiusura di fameglia spinge piuttosto ad interpretare come latinismi i tipi provintia e provintie (cfr. quanto detto per fermi, infermi, segni: cfr. § V.2.1.2). Mano γ: (con)siglio 148.4, co(n)siglio 148.6 (2 volte), 152.1. Si aggiunga l’integrazione di altra mano, vensero I 93.11 (cfr. § II.9). V.2.1.7. Sviluppo -A- > e Nelle Croniche è diffusissima la desinenza -ero per la 3a pers. plur. del passato remoto di I coniugazione. Di seguito l’elenco delle forme registrate in Fuscolillo: adceptero IIa 213.6, addero II 23.4, adq(ue)tero II 23.4, (se) adunero ‘si accorsero’ II 33.3, alcero I 60.3, allogero II 35.2, IIa 294.2/allogiaro I 103.2, adlogiaro I 106.1, a(n)dero I 93.2, 103.4, 110.1IIa, II 20.2.8, 23.3 (2 volte), 33.3, IIa 40.9, 171.1, 200.1, 213.3, 294.7, 296.2, a(n)ddero II 20.1/a(n)daro I (+7) 75.2, 78.7, 90.1 arruinero IIa 252.1357. L’esito à > e si registra anche in alcune forme del gerundio: ca(m)mine(n)no IIa 154.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, diffide(n)no IIa 156.1, paghendose IIa 23.8, passe(n)do IIa 128.10, sone(n)no IIa 342.2358. All’elenco si può aggiungere, sempre che non si tratti di uno scorso di penna influenzato dalla finale, mele ‘male’ IIa 57.1, che si è tuttavia preferito emendare in 356 Per lo(n)go β1 34.11, β1 36.20, lo(n)go β2 244.23, si veda quanto detto alla nota preceҏ dente. 357 Il fenomeno è ben attestato in area mediana e campano settentrionale: per le forme del perfetto, cfr. § V.3.1.1/c. 358 Il fenomeno è attestato nella Campania settentrionale: cfr. § V.3.1.5. Introduzione CXLIII male. Va invece a parte il gallicismo mercho ‘marchio con cui si contrassegnano gli animali di uno stesso armento o gregge’ IIa 286.2, attestato nel dialetto di Sora359. Altre mani. Lo sviluppo -à- > e nelle forme del passato remoto (3a pers. plur.) e del gerundio dei verbi di I coniugazione è ampiamente documentato in tutte le altre mani ed è dunque senz’altro l’esito locale. Mano β1: admaczero β1 36.21, a(m)ma(n)cero β1 36.26, a(n)dero β1 36.10, besognero β1 36.13, iurero β1 36.18, lassero β1 36.25, levero β1 34 .11, ordinero β1 35.1, porter(e) β1 36.25 (3a pl. pass. rem.). Mano β2: portero β2 41.1. Mano β3: acceptero β3 230.4, acco(m)pagnero β3 230.3, ca(m)mine(n)do β3 196.7, <st>endo β3 196.5. Mano γ: ordinero 152.2, pigliero 148.7. V.2.1.8. Esiti di Ʈ, Ɯ, ƞ in protonia. i/e. È nel complesso largamente attestata in Fuscolillo, senza significative variazioni nei tre libri, la presenza in protonia di e in luogo di i del toscano, come è usuale nei dialetti meridionali360; raggruppo nell’elenco che segue anche gli sviluppi con apertura Ʈ > e (es. deceva, decevano, ge(n)telomini, prencepessa, prencipio, screveva, screvesse etc.): adsecurar(e) IIa 245.5, artelarie IIa 3.1, artellaria I 16.2, II 20.2, IIa (+4) 6.3, 16.1, 28.5, Besi(n)gnano I 85.9/Bisignano I (+5) 70.2, 78.10, 88.4, cetadino IIa 338.1/citadino IIa (+11) 30.7, 29.3, 109.1, II 34.7, come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14/co(m)mi(n)czaro I 103.4, co(m)mecza(n)do IIa 224.1, co(m)meczò IIa 124.1/co(m)micziò II 36.2, co(m)me(n)czao IIa 257.1, co(m)me(n)czate IIa 162.3, co(m)me(n)czato IIa 256.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, co(m)me(n)czero IIa 40.6, (com)menczò III 20.1, co(m)me(n)sa(n)do III 1.1, co(m)messarii IIa 3.1, 285.1/co(m)missari IIa 6.2.3, co(m)messario IIa 2.1/co(m)missario II (+4) 46.3, 49.1.3, IIa (+30) 2.1, 11.1, 43.1, co(m)misario II 46.2, co(m)messione IIa 200.2, 300.1/comissione IIa 301.5, (com)messioni IIa 180.2/co(m)missioni II 35.8, co(n)treboir(e) IIa 369.1, co(n)vecine IIa (+6) 4.2 (con -e corretta su i), 28.6, 40.2, co(n)vecini IIa 183.1, 333.1, 315.1/co(n)vicine I 93.6, deceb(r)o I 53.2, 91.10, IIa 198.1, 296.1, 292.1, dece(m)bro I (+13) 21.1, 29.1, 44.1, II 16.2, 21.1, 54.1, IIa (+11) 13.1, 77.1, 44.1, III (+4) 48.7, 55.6, 59.1, dece(m)b(r)o I 72.1, 87.4, 93.18, deceoctomilia I 103.2, deceva II 24.1, IIa (+18) 28.7 (con le e corrette su i), 124.2, 176.1, 191.1/diceva IIa (+5) 3.2, 28.1, 140.1, decevano IIa 57.5, 104.5/dicevano III 27.19, IIa 126.2, delluvio IIa 272.1, destricto III 3.3, egresso II 50.1, enteriori III 30.18, expedecione IIa 295.1, Felippo I 21.1, 97.4, III 24.2.3/Filippo 97.3, Fhelippo IIa 2.1.3, 8.1, 57.5, 285.1, 293.1, Pfhelippo IIa 3.2/Fhilippo IIa 14.1, Philippo IIa 42.1, III 26.4, fauretor(e) III 25.1, fenestra III 14.2, fenìo I 86.10, fermoreno ‘firmarono’ I 93.16, fonecello IIa 154.1/funicello IIa 154.1, 155.1361, ge(n)telomini III 45.3, IIa 40.4/ ge(n)tilomini (con i corretta su e) III 30.5, gentilhomi(ni) III 46.1 e gentilhomini III 46.1, ge(n)telo(m)mini I (+4) 13.2, 88.9, 98.1/ge(n)tilo(m)mini I 89.6, inco359 Cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 137 e ibid. n. 5 per le attestazioni in Italia meridionale. Cfr. anche il nap. merca (cfr. ANDREOLI, s.v). 360 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 130. 361 Si noti, nell’opposizione fonecello/funicello, l’armonizzazione della protonica al grado di apertura dell’avantonica: cfr. n. 303 e rinvii. CXLIV Nadia Ciampaglia me(n)sa(n)do III 6.1, inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)me(n)czar(e) III 25.5, i(n)co(m)me(n)sò III 7.4/inco(m)miczò I 93.19 (e incominsao I 4.1, income(n)sa(n)do III 6.1), inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)me(n)czar(e) III 25.5, inco(m)me(n)czato IIa 48.1, i(n)come(n)sò II 20.9, inponeme(n)to II 49.2, lece(n)tiati IIa 106.9, medecina II 50.1, IIa 60.1, 361.1, meglior(e) IIa 71.2, menestra IIa 78.4, menistri IIa 119.1, nepote I 51.1, 64.5 (f.), 78.10, 93.17, IIa 2.2, 79.6, III 21.7, 26.5 (f.), 31.3, 53.1, pavelgliuni III 28.21 (con e corretta su i), pegliare III 35.2, penete(n)tia II 33.4, 35.13, IIa 104.3, pe(n)tura II 38.2, peperno IIa 50.1, pertene(n)tie I 34.2, pre(n)cepessa IIa 366.1, prencipio IIa 80.2, prencio ‘principio’ IIa 47.4, p(r)esone I (+9) 10.7, 61.1, 64.5, (pre)sone I 13.3, 64.4, III (+4) 21.5, 28.16, 30.21, presone I 39.1, 61.1, 95.3, IIa (+4) 101.4, 106.4, 164..2, III (+5) 21.5, 24.2, 32.5, presuni I 10.6, 64.1, 78.1, II 46.3, IIa 27.1, 164.1, p(re)suni III (+8) 21.4.7, 31.1, p(r)esuni I 70.2, p(re)soni III 13.5, 26.9, presonia IIa 256.1, provelegio IIa 208.5, provesione IIa 269.1, p(ro)vesione IIa 318.1, 322.1.3/p(ro)visione I 73.1, II 54.2 (2 volte), IIa 325.1, qualsevoglia IIa 219.2, recetata IIa 234.1, screveva IIa 64.1, screvesse IIa 64.3, sdegratia ‘disgrazia’ I 103.3, secura II 59.1, securo III 37.6, segnificasse IIa 268.1, segnora III 46.1, segnor(e) III 6.3, 6.4, 30.2 (sing.), 7.5 (plur.)/signor(e) III 37.4 (sing.), segnori III 30.11.19, 34.2/signori III 30.20, 31.2, 35.1, segnoria III 11.6, 15.1, 18.2, 19.3, 27.3/signoria III 17.6, 22.1, 23.3, 26.14, 33.2, segnorie III 7.6 (con -e- su i), svergenero I 26.1, temerosi III 31.4 (per la prima e), Ternità III 8.2, ubedir(e) IIa 2.12, 208.2/ubidir(e) II 35.8, vececastellano III 31.2.3 (2 volte).4.5 (2 volte), 34.5, veceduchessa I 18.1, 19.1, veceré I 92.1/viceré III 41.4, vecerré I (+6) 93.6.13.20, II 35.8, 35.11, 59.2, IIa (+4) 6.4, 13.1, 40.6, III 26.12/vicerré I 92.1, II 31.1, 46.1, IIa 27.2, 57.5, 61.1, 80.1, 259.1, vecine III 27.21, vecino I 71.2, vence(m)mo III 27.20, Vergilia IIa 270.1, Vergilio I 78.5, verile III 28.17, vetella IIa 279.1, vetelle IIa 88.1/vitelle IIa 130.4, Vintemiglia III 58.6, Vintemilglia III 50.3, Vintemilia III 47.8, vintetré II 37.2. È per lo più conservata la e etimologica nei prefissi DE-, RE-; sono pochissime le alternanze, come si può vedere nell’elenco seguente: DE-: defe(n)seone IIa 28.2, defe(n)sione IIa 28.5, defese III 21.7, de(n)fe(n)der(e) I 66.2 /dife(n)der(e) III 38.4, demorar(e) IIa 128.2, demorò IIa 27.3, demostracione IIa 234.1, demostrò IIa 135.2, dena(n)ti I 76.7, deoppilate II 46.2, descese IIa 106.3, III 56.10/discese III 45.2, 51.3, desmo(n)tao I 72.1, desmo(n)tati I 97.8, desmo(n)tato I 95.3, desmo(n)tò I 55.1/dismo(n)tò I 56.1, 84.3, 95.14, despecto IIa 105.1.6/dispecto IIa 200.1, 258.3, destruger(e) III 43.3, destru(g)ger(e) III 19.5. RE-: rebbellao I 3.1, rebella III 27.20, rebellao I 83.2, 93.12, rebello IIa 2.2/ribello I 103.1, rebellò I 93.14, III 23.1, III 55.5, 56.10, rebellare III 57.6, rebellato I 86.2, rebellero I 98.1, III 27.9, rebellione II 46.3, IIa 180.2, 181.1, III 14.4, 21.11.12, 23.2, rebelli I 63.1/ribelli I 102.3, recepere IIa 196.1, receputi IIa 350.2, III 34.7, recordar(e) III 58.12, recordava IIa 85.8, recordò III 34.5, recorso II 46.2, recuperao I 86.1, recuperatione I 93.13, recuperò III 43.4, 48.4, refar(e) III 48.29, refece III 51.15, 52.1, referìo IIa 228.4, refrescar(e) III 39.2, regracia(n)doli I 89.6, regratiao IIa 213.4, regratiarlo III 14.2, relassava IIa 360.1, relegiosi IIa 294.1, 322.1, remaniano I 95.2, remaniva IIa 130.3, remase II 6.3, IIa 128.6, 316.1 (ma romase IIa 39.2, 39.3, 180.1, 352.1 e rimase ‘rimasta’ I 97.12), remasero III 27.4, <r>emasero I 92.4, remaso IIa 302.1, remedio II 35.12, IIa 300.2, remosse II 46.2, remunerar(e) III 34.7, rengratio III 58.10, renu(n)ciata I 88.1, reparar(e) III 43.1, reparo II 19.6, reparò III 26.1, reposao I 84.3, resarcir(e) III 43.5, rescactao I 93.16, rescactate III 43.4, rescacto I 90.2, rescresse IIa 40.7, resegna II 19.1, IIa 9.1, 28.2, 126.3, IIa 294.3, resegnatione II 59.1, resignacione IIa 192.1, reservata II Introduzione CXLV 30.4, reservava IIa 360.1, reservò IIa 228.2, III 3.1, 39.4, respecto IIa 11.4, 294.6, 312.2, 315.1, respetto IIa 315.2, rescresse IIa 40.7, reservò II 59.6, respose IIa 213.4.5, resposse III 30.24, resposs(e) III 28.9, 30.8, III 40.2/risposs(e) III 46.2, resposta I 95.7, IIa 106.6, resposte IIa 129.1, resposto IIa 106.5/risposto I 95.6, retenere III 28.17, retornò III 28.26, 30.14/ritornò III 30.1, revelare IIa 83.4, revelarrà IIa 30.5, revolta IIa 6.4. Anche negli sviluppo di DIS- prevale senz’altro e: deffere(n)tia I 93.1/differe(n)tia IIa 118.2, delige(n)tia IIa 135.2, desarmati III 58.3, descordia IIa 30.7/discordia IIa 30.8 (e discordie IIa 110.8), descrepavano IIa 2.11, 250.4, descreptione IIa 297.1, 315.1, 324.1, descreto III 12.2, despe(n)derrà II 30.2, despe(n)sati IIa 212.2, 246.2, despe(n)sato IIa 271.4, despe(n)sava IIa 86.2, despe(n)sò IIa 351.1, 361.1 (ma dispe(n)der(e) II 30.1), despiaceano IIa 98.7, despiecer(e) IIa 79.4/dispiacer(e) I 86.11), destribitor(e) II 54.7, destesame(n)te III 59.5, desturbo IIa 119.4; senza alternanze disponea III 3.2. La conservazione è costante in particolare nei pronomi proclitici me, te, se, ce, ve e nella preposizione de; pochissime sono le eccezioni, quasi tutte registrate nel primo e terzo libro o in particolari paragrafi delle annotazioni del secondo: de (t. +881)/di I 106.1, II 45.1, 56.1, IIa (+13)362 10.1, 11.1, 15.1, III 3.1, 18.2, 28.8; me (+12) II 28.1, III 30.9 (2 volte).24, 58.10 (2 volte), IIa 316.1, III 31.7 (3 volte).8, IIa 368.2 /mi III 30.7; se (+725) I 2.2, 3.1, 4.1 (2 volte), 5.1 etc./si I 35.1, 43.2, IIa 69.2363 (2 volte), ce (t. +286) II 41.8, III 27.7,58.12, IIa 79.1, 83.1, ve (+6)II 46.2, III 30.9, 31.7.10, 58.12, 59.5. e/i. Si registra talvolta in Fuscolillo un’oscillazione e/i che, ad esclusione dei casi spiegabili per chiusura in condizioni di iato (es. Lione, Tiano etc., per cui vedi § V.2.1.13) o per influsso delle forme corrispondenti (es. dui > duimilia, vinti > vintisei, vintiocto etc.), non sembrerebbe propria dell’area napoletana364: Alisa(n)dro I 81.3/Alesandro III 56.6, Alixa(n)dro I 82.1, 83.1, 83.9, 94.1/Alexa(n)dro I 86.9, 89.3, 95.13, III 51.11.15, 55.1.3 e Alexandro I 54.2, 56.8, Alixa(n)dria I 49.1, benivole(n)tia IIa 195.1, carnivale I 106.1, ce(n)tovintisei IIa 313.1, co(n)si(n)time(n)to III 17.4, contravinesse II 30.4, crudilità IIa 180.1365, dinari II 34.3, 35.8, 53.4.7, IIa 9.1, 10.1, 175.1, 228.3, III 26.11/denari II 20.7, dinar(e) IIa 21.2, dissicchar(e) III 38.4 (per la seconda i), duicento II 41.1, duice(n)to IIa 85.8, duimilia IIa 85.8, III 27.21, foristera IIa 30.2, II 25.7, gictar(e) I 97.9, gittar(e) IIa 85.1, gictò III 39.11 (ma gectato IIa 98.4), guirregia(n)do III 9.1, napolitani I 86.4, 89.5, 97.5, IIa 80.2.3, 120.2, napolitano I 106.1, IIa 124.1, 286.1, Piscara II 16.1, IIa 57.1, prigiaria IIa 245.5/pregiaria IIa 289.1, sacchiaro I 93.8, sacchiata I 362 Ben cinque occorrenze si registrano tuttavia nel solo § 69, che è copia di un bando: cfr. n. 582. 363 Si tratta, tuttavia, del già menzionato § 69 (vedi nota precedente). 364 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 130; C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 157 e ss. 365 Cfr. crodilitate in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 148). CXLVI Nadia Ciampaglia 76.6, sacchigar(e) I 91.3, sacchigato I 102.3/sacchegiato III 50.1, sacchigero I 89.1, sacchigiame(n)to I 56.2, sacchigiao I 6.1, 77.4, sacchigiar(e) II 20.9/sacchegiar(e) III 39.2, sacchigiaro I 102.2, sacchigiata IIa 13.1 (ma sacchegiati III 28.21), sacchigiatola I 26.1, sacchigiò I 93.18 (ma sacchegiarla III 55.5, sacchegiava III 55.6), sachigam(en)to I 89.3, sidicimilia IIa 161.1, Vintemiglia III 58.6, Vintemilglia III 50.3, Vintemilia III 47.8, vintetré II 37.2, vinticinquo II 35.1, vintici(n)quo II 34.3, IIa 3.1, vintimilia III 28.3.13, vintiocto III 18.2, vintiquattro II 31.4, 35.1, vi(n)tisei IIa 189.1, vintitré IIa 301.2. In taluni casi l’innalzamento della e (e cfr. infra per gli esiti di o) sembra condizionato dalla i o u toniche e/o dalla i di una sillaba immediatamente seguente366: antidicto III 30.3, 34.5/antedicto III 26.14, 27.3, 30.21 (e antedicta III 27.1.3, antedicti III 27.2), gintilomo IIa 98.8, gi(n)tilomo I 59.1 (2 volte), IIa 226.1, 227.1/ge(n)tilomo IIa 234.1, invininato I 5.2, missir(e) IIa 226.1 (ma anche misser(e) IIa 53.1, 125.2 (2 volte), 136.1, 192.1, 194.1, 212.1, missere II 50.1, misser(e) II 38.1), succissiuni I 1.1, viniano I 74.1/veniano IIa 6.2, 28.1, 86 e venivano IIa (+4) 57.1, 110.5, 247.1 (e veniva I (+5) 95.5.11.14, IIa (+13) 13.1, 37.1, 64.1, III 28.5, 41.9, veni[va] I 80.2 e veneva IIa 66.3); in missinisi I 93.10 risulterebbero armonizzate la biprotonica e la triprotonica. È invece conservata la I etimologica nelle forme elencate di seguito; si tratta, per lo più, di latinismi, come dimostra l’opposizione ligato agg. ‘legato’ < LIGATU(M)/legato ‘ambasciatore’ < LEGATU(M): archipiscopato I 63.2, 88.9367, assidiaro III 54.1, bactizato I 24.1, 25.1, 85.9, (con)firmata III 27.3, fidelissimo III 25.1 (ma, tuttavia, fedelissimo nel bando trascritto in IIa 69.2), infirmità II 38.1, III 3.1, inimici IIa 14.1, inimicho I 104.2 (ma nemico IIa 24.3), intrao I 63.1, 80.2, 83.3, 97.12, IIa 202.1, intrare IIa 368.1, i(n)trare I 75.8, intraro I 90.5, intrassero IIa 28.3, III 21.2, intrata II 50.1, IIa 335.7, 367.1 (2 volte), III 48.28, int(r)ata III 40.3, intrate II 53.2.4, IIa 367.2, intrati I 103.4, III 41.10, i(n)trato III 17.5, intrava IIa 364.1, intrò II 21.1, IIa 14.3, 16.1, 17.1, 61.1, 246.1, i(n)trò II 21.6, III 20.1, licterato IIa 134.2, ligato agg. ‘legato’ IIa 17.3 (ma legato ‘ambasciatore’ II 54.4), videa III 48.25, viscopato IIa 39.1/vescopato II 16.2, viscopo I 88.9, viscovo IIa 38.2, 39.1, viscovi IIa 300.2, victuaglia III 39.4, victuaglie III 48.17, 179.1, vituaglie IIa 4.1, victualglie 302.1. Altre mani. Mano α. de II 62.1 (3 volte). Mano β. È confermata per β1 in protonia la preferenza per e in luogo di i del toscano, già registrata per Fuscolillo; in β2, invece, ҏè possibile catalogare for366 L’armonia vocalica delle protoniche, fenomeno anche dell’area mediana, è ampiamente documentato da Formentin in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 155-162; parte delle osservazioni già in V. FORMENTIN, Due schede di antico napoletano estratte dallo spoglio del Parigino it. 913. I. Sull’armonizzazione delle atone. II. Su un caso di sonorizzazione dell’occlusiva bilabiale sorda, in AA.VV., Lingue e culture dell’Italia meridionale (1200-1600) a c. di P. Trovato, Roma 1993, pp. 179-89). Cfr. n. 303 per rinvii ad esempi del fenomeno nelle Croniche. 367 Formato su archipiscopo II 20.3; vedi in Loise, invece, arcepisscopo e arcepisscopato (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 147 e n. 386). Introduzione CXLVII me complementari, in cui coesistono e ed i; β3 , infine, nelle occorrenze utili mostra sempre i protoniche. Mano β1: besognero β1 36.13, deceva β1 36.1, presuni β1 36.20, presone β1 34.3.5.9.18, vecerr(é) β1 34.5, 36.20.22, vecerré β1 (+10) 34.8 (2 volte).11/vicerré β1 34.2.3.7, 36.18. Mano β2: admagazenati β2 237.4, a(m)magazenati β2 237.6, cardenale β2 206.5/cardinale β2 236.1, inco(m)me(n)zato β2 237.3/incomi[n]ciato β2 244.15, [inrem]esibilme(n)te β2 237.19/inremisibilme(n)te β2 237.23, p(r)emicerio β2 40.18, qualsevoglia β2 237.7 (2 volte).22/qualsivoglia β2 237.4; senza alternanze ritornati β2 244.23, vicerr(é) β2 206.5. Mano β3: arcepiscopato β3 230.3; senza alternanze cardinal β3 229.1, cardinale β3 240.1, primicerio β3 196.5.9 (2 volte), riformator(e) β3 206.1, vicerré β3 203.1, 206.1, β3 229.1. Per quanto riguarda i prefissi DE-, RE- e DIS-, si registra invece uniformemente la e protonica. Mano β1: rebelli β1 36.20, respo(n)dectero β1 36.4, resposta β1 35.5, retenuta β1 34.5, revolta β1 34.2. Mano β2: [d]eclara β2 237.20, declara β2 237.13, declarare β2 244.16, declarati β2 237.12, declaratione β2 237.19, declarato β2 244.2, relevame(n)to β2 237.3, remediar(e) β2 237.3, remedio β2 244.14, requesti β2 237.7, req(ue)sto β2 237.22, reservata β2 237.7.9 (2 volte), resuscitar β2 244.14, revelar(e) β2 237.6, revere(n)tia β2 206.2.3; ma rispose β2 244.11. Mano β3 : demo(n)stra(n)do β3 231.1, rebello β3 203.3, re(n)gratia(n)dolo β3 196.11, respose β3 196.11, resurrectione β3 240.1, revelar(e) β3 229.3. DIS-: descrectione β1 36.17. La preposizione de in totale è usata 290 volte, contro le 33 di di; in particolare: β1 β2 β3 tot. de 115 105 71 290 di 21 1 33 La preposizione di non è mai usata da β1, e in un solo caso da β3; in proporzione, è invece largamente presente in β2 (+21), benché in modo oscillante, ed in particolare è ampiamente diffusa nel più volte citato paragrafo 244 (che, come s’è già detto, rappresenta un caso a sé). La tendenza è confermata per quanto riguarda l’uso dei clitici: si registrano infatti sempre te e ce in β1 e β3, ma non si hanno occorrenze utili per lo studio di β2; se è usato cinquantaquattro volte in modo assoluto da β1 e β3 e ventiquattro volte da β2, che è invece l’unica mano ad adoperare anche si: β2206.2, 237.3, 244.3 (3 volte).7.12.24. Nelle forme clitiche si registrano exigernose β2 237.19, face(n)dose β2 237.23, farse β1 34.7, mecte(n)dose β3 196.5. Mano γ: dechiarasse 149.3, vecerré 148.1; γ non usa mai di: si contano infatti cinquantaquattro de. Per quanto riguarda l’oscillazione e/i, β2 si mostra senz’altro più sensibile al suggerimento della base latina, a differenza di β3. Μano β1: archipiscopato β1 36.18, intrasìo β1 36.8, Mindocza β1 36.9. Mano β2: intrao β2 206.5, intrata β2 206.1, vinticinq(ue) β2 40.12; si aggiungano i latinismi affirmorno β2 244.23, fidel β2 244.1.2, fideli β2 244.24, fide[li] β2 244.15 (e fidelissima β2 237.13.21), infidele β2 244.15, infirmità β2 40.17, provider(e) β2 237.4/proveder[e] β2 237.19. Mano β3: gictato β3 229.1, sci(n)de(n)do β3 196.7/sce(n)de(n)do β3 196.10, inimico β3 203.1. Senza alternanze, fedele β3 231.1 (2 volte). Mano γ: intrar(e) 148.5, licterata 147.1, Midocza 148.1. CXLVIII Nadia Ciampaglia V.2.1.9. Esiti di Ʈ, Ɯ, ƞ in postonia. i/e. Nelle forme raggruppate di seguito, tutte sdrucciole, la e in luogo di i del toscano con ogni probabilità rappresenterà l’indebolimento di ư, Ɯ, ƞ nella vocale centralizzata (si segno a parte i casi in cui l’oscillazione i/e sembrerebbe effetto di armonizzazione vocalica della postonica alla tonica: cfr. § V.2.1.12): caleci IIa 301.5.6, fe(m)mene IIa 165.2, 180.1, III 40.3/fe(m)mine IIa 339.1 (e fe(m)mina I 52.1), iudece IIa 252.3/iudice II 54.14, iodece IIa 245.5/iodice II 53.8, 59.4, ordene IIa 296.2, III 25.10, 28.11, origene IIa 170.3, Proceda IIa 27.1, 174.1, 183.1, P(ro)ceta III 23.2, semele IIa (+4) 28.6, 55.2, 259.1, se(me)le IIa 70.8368, Vergene IIa 40.5, 70.3.7, 193.1. e/i. Alcuni sporadici casi di i in luogo di e in postonia si registrano solo nelle scritture non spontanee del primo e terzo libro; si tratta sempre di forme verbali proparossitone con enclisi pronominale, in cui, con ogni probabilità, la postonica si è assimilata alla -i della sillaba finale369: dectili ‘li dette’ I 102.3, dèdili III 55.2, 56.3, dirili III 35.8, pòssili III 51.3. Altre mani. Mano β. In postonia lo scambio i/e è in Sa(n)guene β1 36 8.9 e homeni β3 196.6 (2 volte)/homini β1 36.1.17.22. β2 40.15, β2 41.1, β2 244.11.21. Per le forme domeneca, do(m)meneca/Dominico, pre(n)cepe/principi, interpretabili come effetto di armonizzazione vocalica, cfr. § V.2.1.12. V.2.1.10. Esiti di Nj, ƿ, ǁ in protonia u/o. Si raggruppano di seguito alcune forme, per lo più comprese nelle scritture non spontanee del primo e terzo libro, che presentano in protonia o in luogo di u del toscano; nell’elenco si inseriscono anche quelle in cui l’apertura Nj > o asseconda una tendenza diffusa del napoletano370 (es. crodelissimo, monitione etc.): archibosier(e) IIa 101.5, co(n)closione IIa 78.1, co(n)treboir(e) IIa 369.1, costodia III 31.2, crodelissimo I 98.4 (ma crudile I 83.1), exco(m)monichò I 102.3, fonecello IIa 154.1/funicello IIa 154.1, 155.1371, Goglelmo III 15.1, Goglielmo III 13.3, 14.3, 16.1 (con -o- corretta su u)/Guglielmo III 13.6, Gogliermo III 11.1/Gulglermo III 10.5, Golglielmo III 15.1 (con -o- corretta su u), 16.1, 17.1/Gulglielmo III 11.1, Gulglelmo III 13.1, honero ‘unirono’ I 88.9, 47.2372, Ioa(n)loisi IIa 23.5, instrome(n)to II 53.7, IIa 221.3, 337.1.2, i(n)strome(n)to 368 Cfr. n. 325. Il fenomeno di armonizzazione della vocale mediana a quella della sillaba finale è ben noto a Cortona e nell’area mediana: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit.,§ 139. Per altri esempi di armonizzazione delle atone, cfr. n. 303. 370 Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO, cit., pp. XCIC-CII. 371 Per l’armonizzazione vocalica di fonecello/funicello, cfr. § V.2.1.12. 372 In questa forma del perfetto l’apertura della protonica sembra armonica all’apertura della tonica nella desinenza -ero. 369 Introduzione CXLIX IIa 367.2, istrome(n)to II 59.4, IIa 335.4, 360.1, Lodovicho I 11.1, 23.1, Lodovico I 93.10, Loisi IIa 94.1, 167.2, 335.1, III 26.13, 28.5/Luisi III 28.14, Loise III 27.1/Luise III 28.6, Loyse I 85.7, 99.2, monicione I 65.1, monitione III 48.17, occopato III 17.4, oscì III 48.4, oscìo III 57.16, pognalo I 78.10/pu(n)gnale I 86.10, P(er)loysi I 93.17, Rogieri III 11.2.4 (2 volte), 12.7/Rugieri III 10.3.5, 17.1, Rogiero III 11.1, 12.1, 13.1.5, 27.2/Rugiero III 6.7, 13.6, 17.4 (2 volte), 26.4, romore I 59.1, sco(m)monichati IIa 214.4, sco(m)municato III 19.2, socess(e) III 23.3, soccese III 10.3, 15.1, 17.1, 18.1, 25.9, 26.14, soccesse III 19.6, soccess(e) III 13.1, 19.3, 26.5/succese I 78.9, 84.4, 97.2, III 10.5, 11.1, soccesero III 10.2, soperbo IIa 134.5, 163.2 (ma superbia IIa 248.1), soperiori IIa 316.1, 320.1. Dalle forme toniche ionse, gionsero, ionto etc., segno a parte, in protonia, ionge(n)do III 39.10 iogenno III 57.3, ingio(n)gneva IIa 307.1. Va detto che anche in alcuni dei casi sopra elencati non è da escludere un condizionamento della vocale della sillaba tonica, come in conclosione, costodia o della sillaba adiacente, come in exco(m)monichò, Lodovicho etc. Saranno invece da leggere come latinismi le forme seguenti: occise III 14.5, occisione I 56.2, 103.6, officiale IIa 99.1, 101.1, 106.8, 109.1.2, officiali I 59.1, 107.3IIa, IIa 100.2 (2 volte), 107.1, 186.1, officii I 102.3, IIa 100.4, 220.1, 228.4, officio IIa 234.1. o/u. L’oscillazione o/u in protonia, usuale nei dialetti meridionali, si verifica nelle forme raggruppate di seguito: adcussì IIa 2.11, 80.2, 101.3, buctino I 103.7, Buiano IIa 382.1, Bu[i]ano IIa 382.1, bu(m)barde I 65.1 (2 volte), bu(m)b[ar]de I 95.12, curriero II 21.4, cussì I 89.6, 102.3, 103.7, 106.3, II 35.10, 49.3, IIa 2.4.12, 19.1, 40.6.9, 245.3, III 27.9, cu(n)ssì I 93.14, IIa 136.2, 139.2, dudice III 40.3, dudicimilia IIa 26.4, 27.2, 29.4, 326.1, III 35.4, famusissimi II 13.2, fauretor(e) III 25.1, faurito IIa 207.3, fauriva IIa 369.2, furìa II 54.4, Fusculillo II 53.8, IIa 102.1 (con la prima u corretta su o)/Fuscolillo II 28.1 (con -o- corr. su u), 50.1, 54.14, IIa 27.1, giucati IIa 141.3, gustao IIa 213.2 (ma gostò 213.1), gustumato IIa 163.2, iuvedì IIa 192.1/iovedì IIa 287.1, 289.2, locutene(n)te IIa 100.1, locu<tene>(n)te IIa 103.1, locute(n)ne(n)te IIa 225.1, lucutene(n)te IIa 184.1, 217.1, 259.1/lochotene(n)te IIa 199.1, locotene(n)te IIa 258.1, Maumet I 26.1, 42.1/Maomet I 99.4, mercudì I 18.1, 23.1, 97.5, II 55.1, IIa 24.1, 26.1, 28.6, 102.1, 102.1, 217.2/mercodì I 70.2, merchudì II 35.14, IIa 57.1, mercludì II 6.4, murinari II 33.3 (2 volte), muglier(e) I 45.1/mogliere (+33) I 14.1, IIa 102.1, IIa 166.1, molgliere I 85.8, IIa 30.7, mongliere (+8) I 38.1, II 21.8, 10.1, 17.6373, napulitana I 48.3, napulitano I 93.10, IIa 168.1/napolitano IIa 286.1, 346.2 (e napolitani I 97.5), Portugallglia II 21.9, Pulicast(r)o I 64.3 (2 volte), Pu[li]cast(ro) I 84.2, Pulignano IIa 158.1/Polignano I 76.9, sbauctiti IIa 106.8, scappulao I 74.2, 90.2, sullicito III 12.4, Unufrio II 59.4, Ursano I 34.2, Ursina I 94.1 (2 volte), IIa 366.1/Orsina I 32.1, O[rsin]i I 103.6, Orsini III 25.6, Ursino I 47.1, 94.1, III 28.15/Orsino I 78.5, III 28.26, 32.2.5, 54.3, 55.5. 373 Si noti che il tipo moglie (+10) III 24.3 (3 volte), 25.6.7, IIa 79.6 è fondamentalmente ristretto, tranne due casi, al terzo libro; nelle annotazioni spontanee si legge anche moglia IIa 366.1; cfr. § V.3.2. CL Nadia Ciampaglia Nelle forme seguenti, invece, la presenza di u in luogo di o in protonia è giustificata dalla base latina: Agustino II 21.6, 38.2, 47.1, 59.5, IIa 22.1, 31.3, 118.3, capitulato IIa 14.1, exsecuturiale II 59.2, intitulao III 25.7, intitular(e) III 7.5, i(n)titular(e) III 25.6, intitulato IIa 3.2, III 5.3, 6.1, 7.6, 26.4, intitulava III 3.3, 5.2, i(n)titulava III 6.2.3, intitulò III 6.7, mu(n)dani III 32.13, particular(e) III 15.3, parthicular(e) (plur.) IIa 216.1, 327.2, parthiculari IIa 271.3, particulari IIa 105.1.8, particularità IIa 110.8, particularme(n)te IIa 105.8, partichularme(n)te IIa 2.1 (con u corretta su altra lettera), seculari IIa 294.3, 301.2, subtile III 12.2, subtoscripti I 85.2, su(m)mao IIa 213.8, su(m)maria IIa 103.2, sup(r)adicti III 24.4, sup(r)adicto III 23.1, 24.4, 27.10, sup(r)aditto III 26.1, titulati IIa 8.1 (2 volte), titulo III 6.4, triu(m)fale IIa 99.2, 125.1, triu(m)fhale IIa 99.1, triu(m)fali IIa 115.1, volu(n)tà IIa 160.1. Si aggiunga anche facoltà III 34.7 (con -o- corretta su u). Altre mani. Mano β. L'oscillazione u/o è in docati β2 237.9 (2 volte).12/ducati β3 229.2; sono latinismi occisi β2 244.15, officiale β2 237.10, β3 231.1, officiali β2 237.6 (3 volte).12, offitio β1 36.5. Mano γ: lopi<n>i 152.2/lupini 148.4, 152.2; è un latinismo invece officiali 148.4, 152.1.2 (2 volte). Di seguito i dati per l’oscillazione o/u. Mano β1: cussì β1 34.6, β1 35.2.5.(3 volte).22, locutene(n)te β1 36.14/locotene(n)te β1 36.2, napulitani β1 34.2.3.7, β1 35.4, napulitan<i> β1 36.10, scappular(e) β1 34.4. Mano β2: locutene(n)te β2 237.6 (2 volte), Surre(n)to β2 237.21 ma cossì β2 237.15.22. Mano β3: gustumi β3 196.10, locutene(n)te β3 196.6, β3 229.1, pulita β3 196.7 ma cossì β3 229.2. Nelle forme raggruppate di seguito la vocale protonica è giustificata dalla base latina; mano β1: particularitate β1 34.11; mano β2: difficultà β2 237.6, diffunde(n)do β2 244.9, fulgura(n)ti β2 244.4, gubernator(e) β2 236.1/gobernator(e) β2 40.17, governator(e) β2 206.1, β2 237.6 (2 volte), gubernaturi β2 237.6, particular(e) β2 237.6 (2 volte), β2 41.1, titulati β2 237.4 (2 volte).7 (2 volte), volu(n)tà β2 237.15. Mano β3: gubernator(e) β3 229.2/governatore β3 231.1, co(n)curerà β3 229.3, triu(m)phale β3 196.7. Mano γ. L’oscillazione si registra in cussì 148.7, faurir(e) 148. inbussulate 152.2, napulitani 150.1. V.2.1.11. Esiti di Nj, ƿ, ǁ in postonia o/u postonico. Nelle forme seguenti la vocale protonica continua per lo più una U etimologica: Asculi I 52.2, Coppula I 64.2, 66.1, Cordua IIa 166.1, Corduba II 50.2, discipuli IIa 25.1, fulguri IIa 99.7, Genua I 48.1.2, 72.1, 91.2, 91.10, IIa 114.1, III 26.1, 39.7, 47.2.3.4/Genoa IIa 113.2, Hercule IIa 191.1, 247.1.3 (ma duca Ercoles I 35.1), insule III 28.22 (ma isola I.3.1), Io(n)paulo IIa 53.2, meruli II 24.1, miraculi I 86.4 (2 volte) 86.6,.IIa 40.2 (ma miracolo I 78.3.4), Napuli I 91.2, II 54.11, IIa 14.1, 100.1, 159.1, 264.1, 267.1, 337.1, III 1.1/Napoli IIa 14.1, 264.1, Padua IIa 60.3, Paulo IIa 2.2, 3.2, 6.4, 10.1, 53.2, 55.1, periculo III 31.7, 34.5, populi IIa 1.1, III 33.2, Populi (conte di P.) I 85.2/Popolo I 67.3, 74.2, 93.7, 95.1, populo I 99.1, IIa 194.3, 226.1, 353.3, III 14.1.2, 33.4/popolo IIa 18.2, 69.2, 213.2, III 9.3 (e popoli I 88.9), regniculi III 26.14, tabernaculo IIa 104.8, tabula II 40.1, 45.1, IIa 104.2/tavola I 68.2, IIa 354.1, 355.1, tabule IIa 221.2, vedua I 85.6. Introduzione CLI V.2.1.12. Fenomeni di armonizzazione delle atone. Raggruppo di seguito i casi (in parte già segnalati, benché non in modo sistematico) in cui l’oscillazione i/e ed u/o (quest’ultima, in effetti, molto piiù rara) sembrerebbe effetto di armonizzazione vocalica delle atone alla vocale tonica: i/e: domenecha IIa 216.1/dominicha III 18.3, do(m)menecha (t. +24) I 63.2, 64.1, 101.2, II 35.14, 42.1, 50.1, IIa 32.1, 52.1.3, 94.1, 182.1, 294.5, III 20.1.3, 25.10/do(m)minicha I 11.1, II 13.3, 19.5, III 17.2 e do(m)minica III 17.5, do(m)mene[c]ha III 19.2/do(m)menicha I 64.5, IIa 270.1, do(m)menech(e) I 75.5374; po(n)tefece I 107.3IIa/po(n)tifice I 102.1.2, 103.7 (e plur. po(n)tifici I.1.1), precepe < PRƮNCưPE IIa 161.1, 261.1, III 5.2, pre(n)cepe IIa (+8) 13.2, 26.2, 80.2, III (+25) 2.2, 4.1, 5.3, prencepe IIa 215.1, III (+6) 51.10, 57.17, 58.6 (2 volte), pre(n)c(e)pe III 7.1/pri(n)cipe I 84.5.6, 85.3.4, 95.2, principe I 90.2 (e il plurale pricipi IIa 85.8, principi I 85.9, IIa 16.5)375. In posizione protonica, prencepessa IIa 157.1, 366.1/pricipessa I 88.4. u/o: Peczulo III 50.1/Poczolo I 79.1, fonecello IIa 154.1/funicello IIa 154.1, 155.1, tudischi I 103.2/thodesche IIa 315.1 (ma anche todeschi IIa 247.1, thodischi IIa 317.1, todischi IIa 198.1, 315.1). All’elenco si può aggiungere forse anche sco(m)monecha IIa 214.4 (ma in posizione protonica, davanti a u tonica, sco(m)municato III 19.2, sco(m)monichati IIa 214.4, sco(m)munichato IIa 2.5). In taluni casi sembra di cogliere una morfologizzazione dell’armonia vocalica: si spiegherebbe forse così per quale motivo, di contro alle numerose occorrenze femminili di do(m)menecha, il maschile è sempre Do(m)mminicho (+36) I 31.1, IIa 25.1, 29.4, Dominico III 26.10 (in un sol caso Dommenicho IIa 265.3). Si aggiunga l’opposizione singolare/plurale nelle coppie po(n)tefece/po(n)tifici e pre(n)cepe/ pri(n)cipi, con armonizzazione della postonica al grado di apertura della tonica. Si osservi ancora che in sco(m)monecha l’abbassamento della postonica è armonica allo sviluppo Nj > o della tonica. Il fenomeno è attestato nell’area mediana376. Altre mani. Mano β: domeneca β1 36.17, do(m)meneca β1 36.4 (ma al maschile la postonica si armonizza alla tonica: Dominico β3 196.4)377, pre(n)cepe β1 34.7.8.12, β2 206.2, β3 203.1.3 (2 volte), β3 230.1 (al pl. metafonetico la postonica si armonizza alla tonica: principi β2 244.1). V.2.1.13. Vocali atone in iato In posizione di iato, la e si chiude in protonia in: 374 Nella regolarità del fenomeno fa eccezione solo do(m)menicha. Cfr. F. FANCIULLO, Morfo-metafonia, cit., p. 580. 376 Il fenomeno dell’assimilazione della vocale atona rispettivamente alla tonica o alla finale è stato studiato da Merlo nella zona marchigiano-umbro-romanesca; es. cerescia ma ciriusciu, ténnera ma tinniru, sórece ma sùrici: cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 233. 377 Cfr. l’opposizione Do(m)minico/do(m)meneca in Loise (V. FORMENTIN, Due schede di antico napoletano..., cit., p. 186). 375 CLII Nadia Ciampaglia Alionora III 24.3, Galiaczio IIa 192.1, 193.1, 194.1, 207.2, 216.2, Galiaczo (+6) I 18.1, 27.1, 44.1/Galeacio (+20) IIa 37.1, 38.2, 39.1, Galeaczio IIa 221.1, 336.1, 342.2, Galeaczo IIa 232.2, Galeacio (+20) IIa 37.1, 38.2, 39.1, Galeaczio IIa 221.1, 336.1, 342.2, Galeaczo IIa 232.2, Ia(n)lione IIa 23.6, 30.5, Ioa(n)lione IIa 312.1, Lione II 50.1, IIa 73.1, 100.3, 186.3, 274.1 (ma papa Leone IIa 270.1, 342.1.2), tianisi IIa 115.1.2, thianisi IIa 215.3, Tiano (+13) II 23.3, 30.21, III 44.1, Tiana IIa 184.1, Thiano (+13) II 23.3, IIa 8.2, 57.1/Teano III 46.1; si aggiunga gaitana III 28.22, gaitani III 27.10, 47.7, gaitano III 39.11, Gaitano II 19.5, IIa 21.3. Sembra comunque prevalere la tendenza alla conservazione di e: brea(n)tini I 91.2, breogna ‘vergogna’ IIa 20.1, creacione IIa 25.1, creato ‘famiglio’ IIa 137.3, creati I 44.1, creò I 95.15, creato I 95.15, IIa 243.1, 77.1, diceocto IIa 70.4, deiceocto IIa 262.1, 265.1.2, 271.3, dieceocto IIa 90.1, deceoctomilia I 103.2 (e per evitare forse lo iato, dicedocto III 51.7: cfr. § V.2.2.1/b e n. 437), Leonardo IIa 23.3, II 53.9, 55.2, leoni III 48.26, leonina III 12.1, leopardi III 48.26; si aggiungano i gallicismi Reale I 85.9, 88.5, reame I 2.2, III 12.7, 17.7, 19.2, 37.6, reamo III 27.8, 27.16, 30.15. Si segnala l’apertura di I > e in defenseone IIa 28.2/defensione IIa 28.5, Georgio IIa 294.3/Giorgio IIa 294.3.8, 297.1, III 51.1, p(ro)cesseone IIa 99.3/processione IIa 52.3, 57.2, p(ro)cessione I 86.4, IIa (+20) 52.3, 57.4.7378. In A(n)tre(n)a (de Altissimo) IIa 186.3/Andrea (de Altissimo) IIa 119.1, il titulus nasconde forse l’inserzione di una semivocale per evitare lo iato (cfr. § V.2.2.28 e si veda anche § V.2.2.6 per la desonorizzazione della postnasale). In posizione di iato, la o in protonia si chiude nelle forme seguenti: adruinata IIa 208.3, genuisi I 13.1, genuysi I 98.1/genoisi I 48.1, III 47.3, IIa 113.2, genoysi I 98.1 (e genoese IIa 42.3, 79.2, I 87.4), iue(n)tù III 26.1, mantuano II 21.5, ruina I 103.7, II 35.2, ruinao IIa 26.5, ruinar(e) IIa 200.2, 258.2, III 38.2, ruinato I 104.2, Suave II 33.1/Soave IIa 335.1 (3 volte), victuaglia III 39.4, victuaglie III 48.17, 179.1, vituaglie IIa 4.1, victualglie 302.1. Anche in questo caso, tuttavia, la chiusura in posizione di iato è fondamentalmente evitata, in particolar modo negli antroponimi raggruppati di seguito: Ioan (+9 ) I 93.10, II 59.5, IIa 67.1, Ioanni (+96) I 34.1, 44.1, III 25.8, con i composti Ioa(m)bacteo IIa 357.1.1, Ioa(m)bactista (+9) IIa 107.2, 119.8, 123.2, Ioa(m)battista II 59.5, IIa 97.1, Ioa(m)belardino (+5) IIa 107.2.7, 214.1, Ioa(m)be(r)nardo IIa 94.3, Ioa(n)cola IIa 92.1, Ioa(n)fra(n)cisco (+42) II 47.1, IIa 48.1, 51.1, Ioa(n)fra(n)cischo IIa 335.3, Ioa(n)leonardo IIa 32.2, Ioa(n)lione IIa 312.1, 335.2, 338.1, Ioa(n)loisi IIa 23.5, 66.6, Ioa(n)michele (+12) IIa 107.2, 109.1 etc.; Ioa(n)na (+18) I 12.1, III 26.5.6, Iohanna I 7.1. 378 Si possono probabilmente ricondurre alla medesima tipologia le forme treunfale e veolato che si leggono in Loise; secondo Formentin queste grafie celano una pronuncia con l’inserzione di una semivocale: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 167. Introduzione CLIII In posizione postonica, la e si chiude in Cesaria II 37.1, IIa 233.1, 264.1; si trova u in posizione postonica in Genua (+15) III 26.1, 39.7, 47.2/Genoa IIa 113.1.2, Ienua IIa 14.3, Mantua I 96.3, Padua I 95.10, IIa 60.3, vedua s.f. ‘vedova’ I 85.6. Altre mani. Mano β. Lo scambio e/i è conseguenza di chiusura in iato in Galiaczo β3 196.11/Galeaczo β3 204.1, β2 206.3; in posizione postonica, Cesaria β1 35.5/Ces(ar)ea β1 36.10, Cesarea β2 237.4; la e si conserva in Leoni β 2237.20. Si tende a conservare o in posizione protonica: Ioa(m)baptista β1 36.4.5, Ioa(m)benardino β3 196.4. Mano γ: Ioa(m)bb(attis)ta 146.1. V.2.1.14. Nessi ER e AR in posizione atona Nelle forme che seguono si registra in protonia lo sviluppo ER > ar: barrecta ‘berretta’ IIa 342.2, imparatore IIa 14.1, imparator(e) IIa 299.2, III 17.3, 19.1.2.3, i(m)parator(e) I 24.1, III 3.1/imperator(e) IIa 14.1, 15.1, 16.1 e imperatori III 3.1, inparator(e) I 25.1, 26.2 (2 volte), inparatore I 97.3, tarramuto II 34.1/terramuto II 34.2 (ma si noti che la e è stata successivamente corretta su una a precedente). Segnalo che lo sviluppo non si produce invece in verrecta ‘sorta di freccia I 75.1. In posizione postonica, ER passa ad ar nel proparossitono Trestevaro ‘Trastevere’ III 32.5 (in cui la prima e si spiegherà per assimilazione)379. Il nesso si conserva invece in ca(m)mera I 27.1, Ca(m)mera III 3.1380 e, nel Sommario latino, in ca(m)mera(m) S 2.2; si noti che questi esempi sono tutti tratti dal primo e terzo libro. La e può passare ad a condizionata invece da r e l: artellaria I 16.2, IIa 16.1, 28.5, cavallaria III 10.2, 21.10, 34.10, cavallaricio I 64.4, cavallariczio IIa 16.2, fa(n)taria I 83.2, 93.13.21, infantaria I 106.1, i(n)fantaria I 106.4, si può aggiungere qui maravigliò IIa 239.3; Alionora III 24.3, Balardino IIa 294.7, palagruso III 30.5. Per il passaggio di e ad a per assimilazione, si veda § V.2.1.16. Nelle forme verbali del futuro sono ugualmente rappresentati i casi di conservazione del nesso AR e quelli con sviluppo er (per il raddoppiamento di r, cfr. § III.1.1/d): -AR-: exaltarrà III 58.12, 13, revelarrà II 30.5, scordarò III 31.8, pagara(n)no IIa 175.1, pagarimo III 27.19, trovarra(n)do II 54.7, trovarra(n)no II 53.4, trovarrete IIa 170.4, trovarrite IIa 8.3, 388.1; -ER-: despe(n)derrà II 30.2, ma(n)cherrà II 30.2, ponerrà II 30.5, scriverrò III 2.2, venerrà IIa 283; si aggiunga il condizionale serria III 25.5. Il nesso AR si conserva ancora nelle forme seguenti: 379 La palatalizzazione di a postonica nei proparossitoni è frequente nel romanesco del Belli: porteno ‘portano’, Trestevere (cfr. P. TRIFONE, Roma e il Lazio..., cit., p. 66); altri esempi in G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 139. 380 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. CLIV Nadia Ciampaglia arge(n)taria IIa 298.1, czucchari IIa 140.1 (in sede postonica), Ugaria I 43.1, Ugarie I 43.1, Ungaria I 43.2, I 88.1 (2 volte), III 24.4, 26.10.12 (2 volte), U(n)garia III 24.2. Altre mani. Il nesso ER passa ad ar in imparator(e) β1 34.8/imperator(e) β1 34.12ѽ β3 230.1; e passa ad a condizionato da r in fa(n)tarie β1 36.22. Per le forme del futuro si registrano denegara(n)no β2 237.9, insta(m)parà β1 34.8; ma adcaderrà β1 34.8, tenerà β2 237.22, tenera(n)no β2 237.6 (3 volte).7.9. Il nesso ar si conserva anche in co(m)parare β2 237.3, co(m)parar(e) β2 237.7.19/co(m)perar(e) β2 237.1, co(m)perarne β2 237.6. V.2.1.15. Dittongo AU atono e tonico In posizione atona il dittongo AU è per lo più conservato; le eccezioni sono pochissime, come si può vedere dall’elenco che segue: audie(n)tia IIa 269.2, audir(e) II 54.2, audita III 46.2, audito IIa 40.5 (ma in β2 il dittongo si chiude sempre), Aulivella IIa 157.1, aurine II 54.4, inaurato IIa 128.14, 129.1 (ma in sede tonica sempre oro, vedi infra), laudabile IIa 339.1, laudabili IIa 60.2, laudar(e) IIa 52.1, Laure(n)czo I 53.2, Laure(n)tio II 53.8, IIa 318.1 (2 volte), 322.2/Lorenczo I 93.10, III 28.26, thesaurero IIa 42.1, tesauriero III 28.24/tosorero IIa 314.1 (ma in posizione tonica sempre tesoro II 33.2, III 13.4, 30.25, thesoro III 35.4). Si aggiunga augusto III 47.2 (ma è l’unica occorrenza e si noti che compare nel terzo libro; Fuscolillo per il resto scrive sempre agosto). Il dittongo AU primario tonico si chiude sempre in oro (+11) IIa I6.2, II 33.2, III 35.6, horo I 92.2; si conserva invece nei latinismi lauda IIa 128.18, laude ‘lode’ (+8) IIa 129.1, II 4.1, pl. IIa 99.1 (e nel derivato laudabile IIa 339.1, laudabili IIa 60.2) e nell’antroponimo Ioa(n)paulo (+12) II 53.8, 59.5, IIa 384.1, Io(n)paulo IIa 53.2, 92.1, 363.1. Altre mani. udendo β2 244.21, udita β2 244.18, udito β2 244.18. V.2.1.16. Assimilazione ed altri esiti delle vocali in protonia e postonia In moltissimi casi la mutazione delle vocali protoniche appare correlata a fenomeni di assimilazione o armonizzazione alla tonica o alla vocale della sillaba seguente. Troveranno così spiegazione, ad esempio, i numerosi esempi di e in luogo di a381: adpertenea ‘apparteneva’ IIa 98.7 (che continua però la base latina), bender(e) I 93.4/ba(n)der(e) I 60.3, 76.7, 94.2, despiecer(e) IIa 79.4, essedio I 106.3, III 9.3, 9.5/assedio III 11.3, Grocteferrata II 20.9, Mecello II 33.1, monesterio II 20.1/monasterio II 20.1, IIa 16.6, 364.1, monasterii I 103.7, Pelestrino IIa 314.1, piecer(e) ‘piacere’ IIa (+7) 119.2, 128.10, (2 volte), 128.15, III 35.5/piacer(e) 144.2 (ma nel testo [pia/ecer(e) con la 381 Pongo in nota iovene IIa 100.6, III 28.11 e iuveni IIa 352.1, in cui si conserva la ƞ postonica. Introduzione CLV prima e espunta), Selerno I 60.3/ (ma sempre Salerno I 60.3, 75.6.8, 83.2 (2 volte), 84.1, 85.4, III 7.1, 8.2, 10.2.4.5, Trestevaro III 32.5382. C’è l’influsso di sopre in sopresta(n)ti IIa 125.2. Sarà invece uno scorso di penna gelere ‘galere’ III 38.1, che si è preferito emendare (in tutte le altre occorrenze, difatti, si legge sempre galere). Si legge invece a in protonia in luogo di e, per assimilazione alla tonica della sillaba adiacente, nelle forme seguenti: infactao II 19.11, natar(e) ‘notaio’ IIa 97.2, Sabbastiano IIa 371.1, sta(n)nardo IIa 128.9. Assimilazione progressiva si registra in carastia II 19.7, 22.1, 32.1, 36.1, 42.2, IIa 85.8 (2 volte), 86.1, III 27.21/carestia IIa 245.1. In postonia, monech(e) IIa 20.1.1/monache IIa 20.1, 181.2, monach(e) I 103.7383. Condizionati dalla vocale della sillaba seguente sono anche i casi di o per a elencati di seguito: boronia III 34.8, cononici IIa 315.2, 294.2 (2 volte)/canonici (+22) IIa 37.1 (2 volte).2, nopolitano I 106.1, noscosto IIa 301.2, occordio I 93.5 ‘accordo’, occordò III 57 57.10/accordò III 57.6.9, porole IIa 139.1, ’Rogona I 84.4, 96.6, salvoco(n)ducto III 51.9, sop(r)onomo III 31.2. Si aggiunga cotolici S.12.5. Al contrario, si legge a protonica in luogo di o per assimilazione progressiva in Salamone III 26.1, 93.10 e in lavaraturi IIa 70.2384; si aggiunga, nel Sommario latino iniziale, cappulata fuit S 17.1. Discorso a parte vale per accupavit S.15.1, appresus S 12.6, appressu(m) S 12.6 (oppressus); se non si tratta di scorso di penna dovuta alla scarsa dimistichezza di Fuscolillo con il latino, andrà ricordato che nei dialetti meridionali le vocaliche protoniche in posizione iniziale assoluta tendono a mutarsi in a-385. Andranno sempre spiegati a partire da fenomeni di assimilazione i casi di o in luogo di e nelle forme lovòssilli III 30.24, po(n)none IIa 109.1 ‘pennone’, tosorero IIa 314.1, roctoria IIa 367.2 (2 volte). Si verifica invece labializzazione di e in porfidia IIa 105.6; per domanio II 39.1, 43.1, IIa 31.1.2, 82.1, 130.1, 245.6, 334.1/de382 Cfr. n. 379. Non si aggiunge all’elenco represaglia IIa 328.2, che è dal latino med. represalia: cfr. DELI, s.v. rappresaglia. 383 Moneca accanto a monaca è anche in Loise De Rosa; la vocale postonica potrebbe rappresentare una reazione allo sviluppo ư > a secondo Formentin: cfr. ID., LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 176. Considerata la differente area geografica del nostro testo, va pure ricordata, tuttavia, la tendenza del romanesco a mutare la a come vocale mediana dei proparossitoni in e; es. mòneca a Paliano, nel Lazio meridionale (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 139) e le forme del romanesco del Belli già citate (vedi n. 379). 384 Segnalo in nota, perché si tratterà invece di un semplice scorso di penna, la tonica di bacti I 91.10, che si è preferito quindi emendare in bocti. 385 Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO, cit., p. XCVII; V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 168 e n. 456. CLVI Nadia Ciampaglia manio III 48.5, do(m)manio IIa 31.3 si partirà da una base del lat. med. DOMANIUM; tudischi I 103.2 presenta successiva chiusura della protonica o, ampiamente attestata in thodesche IIa 315.1, todeschi IIa 247.1, thodischi IIa 317.1, todischi IIa 198.1, 315.1 (e la variante todesco è già attestata nel Chronicon Salernitanum del X sec.); si registra infine lo scambio di prefisso in probe(n)na ‘prebenda’ IIa 49.1, 367.2. Per quanto riguarda, al contrario, lo scambio o/e, saranno dovute a dissimilazione le forme Belogna III 32.9, sepportico IIa 365.1, securso I 107.3IIa, seccurso II 21.5386/soccorso III 9.4 (2 volte), III 56.6. Motivi etimologici spiegano invece de(m)ma(n)dare II 20.3 (ma do(m)ma(n)dato I 107.1IIa) e forse anche l’avantonica di temerosi III 31.4387, così come le forme del verbo ‘dovere’, quali devesse I 93.13, III 43.3.4, 57.10, devessero I 67.2, 89.5 (2 occ) e deveva IIa 221.4, in cui concorrono assimilazione e conservazione della vocale etimologica latina. Lo scambio di prefisso, infine, giustifica le forme precessione IIa 342.1/processione IIa 52.3, 57.2, p(ro)cessione I 86.4, IIa (+20) 52.3, 57.4.7, prepose ‘propose’ II 53.1, preposto ‘proposto’ IIa 100.4, presupto IIa 86.4, presupti IIa 62.1, presucti IIa 130.4, 153.1, presopti IIa 131.1, presutti IIa 142.1. In posizione postonica, si segnalano a parte, invece, le forme del passato remoto del verbo ‘essere’: forece ‘ce foro’ I 97.9, IIa 25.2/foroce I 96.7, foreli IIa 11.1, foreno I 55.1, IIa 348.1, 350.2, 352.1 (ma forono +10). Lo scambio i/o si verifica per assimilazione in Ca(m)podoglio IIa 68.2 e voctoria III 58.14388/victoria I 34.2, 95.5, III 20.2, 21.3.9, 57.10. Al contrario, la o in luogo di i romanza sarà dovuta a labializzazione della e etimologica latina in romase IIa 39.2, 39.3, 180.1, 352.1/remase II 6.3, IIa 316.1, romanero IIa 1442.1; laddove non sussista la giustificazione etimologica, come accade in pogliate I 13.1/pigliato I 39.1, 44.2, 64.3, 78.11 (e pigliar(e) I 16.2, pigliata I 77.5 (2 volte), 77.3, pigliati I 64.1, 78.1, pigliò I 42.1, 78.1), si dovrà ipotizzare, a meno che non si tratti di un lapsus calami, l’innalzamento della i etimologica latina (o tardo-latina in *piliari) ad e (del resto già registrata come usuale nelle Croniche, cfr. sopra) e la successiva labializzazione; si aggiunga fornime(n)to IIa 17.1 ‘finimento’ e provelegio IIa 208.5, provelegio IIa 208.5389. Senz’altro effetto di un fenomeno di assimilazione alla tonica della sillaba successiva è la protonica di mirìo ‘morì’ I 87.4; condizionate dalla vocale della sillaba seguente sono anche le protoniche in durrupò III 58.1, musurao IIa 43.1, bafarine ‘bufaline’ IIa 78.5; si aggiunga archibisier(e) IIa 128.4. Sarà uno scorso di penna, nel sommario latino iniziale, relugionis S 17.1. Sarà frutto di assimilazione la pretonica in [Ca]pitiniata III 6.1 e Capitinata I 34.2 (Capitanata). Continua invece la 386 Sempre che non si tratti, come suggerisce Formentin, di gallicismi (fr. secourir, secours): cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 165. 387 Cfr. temeruso nelle lettere edite da Corti (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 44). 388 Cfr. vettoria in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 144). 389 In quest’ultima forma si noti per armonizzazione vocalica l’abbassamento della pretonica i > e; cfr. n. 303 e rinvii. Introduzione CLVII base araba racamato IIa 16.2, 17.1 (2 volte) < raqama ‘ricamare’390. Dissimila infine la protonica in pentura ‘puntura’ ‘pleurite’ II 38.2. Altre mani. In protonia, per assimilazione alla tonica seguente, e passa ad a in fragate ‘fregate’ β1 36.12. Mano β. In rubelli β2 244.11 (ma per il resto sempre rebelli) si verifica uno scambio i/u che non può essere giustificato a partire da fenomeni di armonizzazione. Mano γ: romanero 152.2. V.2.1.17. Vocalismo atono finale L’indebolimento delle vocali finali (con maggior resistenza di -A) in una vocale centrale indistinta [ԥ], tipico di una gran parte dei dialetti meridionali ed alto meridionali391 e particolarmente diffuso nel napoletano, trova larga attestazione nei testi, in cui è direttamente rappresentato con -e in luogo di -i, -o (e, molto più raramente, di -a) o indirettamente rivelato da restituzioni indebite392. Nelle Croniche le vocali finali appaiono tuttavia nel complesso relativamente salde, benché non manchino, eccettuati i casi giustificati da ragioni morfologiche (metaplasmi di classe o genere) i casi di e finale in luogo di -i e, molto più raramente, di -o e -a. Occorrerà dunque ampliare l’angolo visuale e considerare gli sviluppi offerti non solo in una prospettiva (alto)meridionale (a vocalismo indebolito) ma forse anche mediano (a vocalismo conservato)393. -e. Ponendo a parte le forme giustificate da motivazioni morfologiche (metaplasmi di classe o genere, per cui cfr. § V.3.2)394, i casi in cui la -e rappresenterà graficamente l’indebolimento di -i > [ԥ] appaiono in sostanza limitati ad alcuni aggettivi e 390 Alla forma araba restano fedeli molti dialetti italiani. Dall’Italia, centro europeo di diffusione dell’arte del ricamo, che da Palermo ebbe un grande incremento intorno al Mille, la parola è stata introdotta in Spagna e in Francia: cfr. DELI, s.v. ricamàre. 391 C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., pp. 167-8. Anche qui il fenomeno appare correlato a motivi di sintassi di frase; si vedano ad esempio per il dialetto di Pignataro Maggiore le considerazioni di Palumbo relative ai sintagmi na bona mela vs. ’sta mela è bona: «nella prima la a di bona è sufficientemente chiara, mentre nella seconda non è chiara né nel sostantivo né nell’aggettivo» (S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno-sidicino.., cit., pp. 35-6). 392 Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit. p. CIII; N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. 393 Per la transizione dall’area mediana a quella alto meridionale, cfr. F. AVOLIO, Il confine meridionale dello Stato pontificio e lo spazio linguistico campano, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 6 (1992), pp. 291-324 e C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 233. Sulla necessità di un ampliamento degli studi, in particolar modo per quanto riguarda la situazione attuale, sulle condizioni delle vocali finali in napoletano e sulla fenomenologia fonosintattica del vocalismo finale, si vedano da ultime le osservazioni di V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 179 e nn. 394 Potrebbero andare qui i sostantivi plurali chiave, laude, nave, parte, radice, turre, vite’: cfr. V.3.2 e n. 887-8. CLVIII Nadia Ciampaglia sostantivi plurali di genere maschile che raggruppo di seguito; il fenomeno risulta tanto più evidente laddove si registri una discordanza nella desinenza di aggettivo/articolo e sostantivo: cert[i] alt(r)e soi creati I 44.1, multe cieche I 86.6, altri parrocchiale IIa 367.1, (portati) p(re)sone I 13.3, acine II 30.3/acini II 30.3, barrile I 48.2, III 48.30, varrile IIa 329.1, carline IIa 46.1/carlini (+102) II 20.13, IIa 2.7.10, le cavalle IIa 352.2/cavalli (+ 41), iardine III 12.7395, iodece IIa 245.5, la(n)czechinecche IIa 170.1, scute pl. IIa 271.1/scuti (+20) II 30.3, IIa 337.4, 40.4, si(n)dice IIa 128.11/sindici (+34) II 53.1, 55.2, IIa 98.2, sidici (+19) II 53.8, IIa 21.3, 66.4. All’elenco si può aggiungere il toponimo Nap(o)le I 76.7; si tratta tuttavia di un unicum: in tutti gli altri esempi, difatti, compare sempre Napuli (t. +10) I 91.3, II 54.10, III 1.1 e Nap(u)li (t.+335), Napoli IIa 14.1, 264.1. Si aggiunga foro cacciate (m. plur.) I 66.1. Segno a parte gli indeclinabili e i numerali, indicando il contesto laddove l’esito potrebbe trovare giustificazione entro la fonetica di frase: ava(n)te (se habia) II 30.2, na(n)te (le gente) III 12.4/nanti (+20) IIa 25.2, 58.4, III 27.1, nanci II 21.2, na(n)czi III 30.24, 57.2, dece I 98.4, dudice III 28.15 (con -e corretta su i), 40.3; si aggiunga anche o(n)ne persona I 52.3. Più rara è la e finale in luogo di o, che si legge nelle forme seguenti: lu crapipte ‘capretto’ IIa 86.4; il toponimo Bito(n)te I 93.20, Vitonte 143.1396; l’indeclinabile adca(n)te (la porta) II 33.2, 35.8, 37.2, sotte (la possessione) IIa 162.1; si aggiunga p(er) fine (a/ad) I 89.7, IIa 44.2, 47.1, 86.1, 135.2 (2 volte), 274.1/per fini I 99.3, fine (a li/a/ad) I 104.2 II 30.3 (5 volte). La -A finale è la più resistente nella zona a vocalismo indebolito397. Nelle Croniche una possibile grafia -e per l’indistinta in luogo di -a si legge in (era) rimase ‘rimasta’ I 97.1398; differenti motivazioni spiegano invece i casi seguenti: sopre II 46.2 (2 volte), sop(r)e II 51.1 < SUPER (e il già citato sopresta(n)ti IIa 125.2); la 395 E vedi infra il sing. lo iardini IIa 162.2 accanto a iardino I 27.1, 100.2, giardino II 19.11. 396 Il toponimo è attestato da Marziale nell’abl. plur. Butuntis e, in fonti più tarde, come Butruntus e Butuntos; suona vΩtòndΩ nella dizione dialettale: cfr. GASCA QUEIRAZZA et alii, Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani. Torino 1990 s.v (d’ora in poi DT). 397 Cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., pp. 235-6. 398 Questo il contesto: «intrao la mog[liere] d(e)l Gra(n) Cap(itani)o ch(e) era rimase p(er) il male te(m)po». Si esclude che la forma sia stata generata da un improvviso cambio di progetto della frase e stia in realtà per il perfetto (cfr. remase II 6.3, IIa 128.6, 3161 e romase IIa 39.2.3, 180.1, 352.1); il confronto con fosse remaso IIa 302.1 mostra inoltre anche un differente trattamento della protonica nel maschile rispetto al femminile. Per l’esito ST > s, cfr. V.2.2.8. Introduzione CLIX fonetica di frase giustifica forse l’impf. di 3a pers. sing. stave ‘stava’ IIa 368.2 (lo q(u)ale stave ad un’alt(r)a fossa); il toponimo Po(n)cze IIa 307.2399 (ma vedi anche onfra, Ponso) continuerà la forma del genitivo; Sulmone (prencepe de S.) IIa 106.9, 128.2, 145.1 riprodurrà invece le formule di tradizione cancelleresca (si vedano ad esempio, nel bando del 1531, i genitivi nella formula Carolus eius filius reges Castelle Aragonius utriusq(ue) Sicilie, Ierusalem, Ungarie, Dalmatie, Croatie II 29.1); si spiegherà così o forse solo in base alla fonetica di frase l’unica occorrenza Ugarie I 43.1 (re d(e) Ugarie et se incoronò) cui corrispondono sempre controesempi in -a, anche nella medesima posizione: Ugaria (regina de U., et fo mogliere) I 43.1 e Ungaria (+11) I 43.2, 88.1 (2 volte). -a. Escludendo gli aggettivi di II classe e i sostantivi di III declinazione che escono in -a per motivi di ordine morfologico (per cui cfr. § V.3.2), sono forse conseguenza dell’errata restituzione di una finale indebolita i casi di -a in luogo di -e che si registrano nelle forme verbali havessa ‘avesse’ IIa 316.1, piovecta ‘piovve’ IIa 75.1, sallissa (ad 52 oncze) ‘salisse’ IIa 357.1; come si vede, solo in quest’ultimo caso spiegabile il fenomeno può spiegarsi per assimilazione grafica alla vocale successiva ovvero per errata restituzione della vocale finale oggetto di elisione nella pronuncia. Termina in -a l’antroponimo Ma(n)freda I 2.1, II 44.1, III (+8) 19.6.7.10400; si aggiungano i toponimi Milana I (+19) 13.3, 18.1, 19.1, II 16.1, IIa 26.4, 62.1, III 58.6, 56.7401, il cui uso è sostanzialmente ristretto alle scritture non originali, poiché nelle annotazioni spontanee prevale infatti senz’altro Milano I 13.1, 18.1, IIa (+11) 62.2, 64.1.3, III (+5) 32.10, 47.2.7, e Pesara I 77.2. Escono in -a le unità di misura (lo) rotola IIa 86.4, 331.1 e il plurale to(m)mola IIa 175.1, 179.2, 265.1, to(mmu)la IIa 2.9, th(ommo)la IIa 2.1, etc. Hanno l’uscita in -a i seguenti indeclinabili: ancha IIa 301.6 (e vedi ancho), co(n)tra I 80.2, 86.2, II 13.2, 19.2, 25.2, IIa (+12) 69.1, 79.8, 80.4, III 45.1, 47.2, 57.4, dovuca III 27.20, fora I (+4) 43.2, 93.7, 100.2, II 19.11, 35.12, 54.4, IIa (+11) 37.1, 98.4, 101.1 (ma anche fore I 75.8 con -e corretta su a), i(n)contra I 88.7, IIa 157.2, III 21.2/incontro IIa 101.4, 127.3, 205.7, socta IIa 274.1/socto IIa (+16) 16.4, 17.2, 123.1, III (+5) 19.4, 3.1, 6.4. -o. La -o finale, ad esclusione delle forme che troveranno spiegazione per motivi d’ordine morfologico, come accade per alcuni sostantivi di III declinazione (cfr. § V.3.2), è probabilmente il frutto di un’erronea restituzione della vocale finale indebolita nelle forme del passato remoto di 3a sing. ruppo (lo muro) ‘ruppe’ III 399 Cfr. in Loise (ma sempre in caso locativo) Averse, Rome (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 185). 400 Manfreda (accanto a Manfredo) è anche in Lupo de Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 194. 401 Milana è in Lupo de Spechio (cfr. A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 194), nella Cronica Romanesca, nel Sacchetti e in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I 304 e n. 887 per i riferimenti. Per Formentin la tendenza alla generalizzazione di -a nei toponimi è dovuta ad una «incipiente grammaticalizzazione» del genere femminile nei nomi di città. CLX Nadia Ciampaglia bolita nelle forme del passato remoto di 3a sing. ruppo (lo muro) ‘ruppe’ III 32.5, ce stecto in Sessa ‘stette’ IIa 200.1 e non volso I 86.5; si tratta comunque di casi isolati, poiché nelle altre occorrenze queste stesse forme escono sempre in -e; non è poi da escludere del tutto che la -o sia in realtà stata condizionata, dalla vocale dell’articolo seguente nel primo caso, o da fenomeni di dissimilazione o assimilazione negli altri. Si aggiunga -o in luogo di -e in quello IIa 44.3 (le olive, quello poche che foreno...). La -o in luogo di -a sarà condizionato dalla vocale dell’articolo successivo in senczo IIa 46.1 (uno dinaro se(n)czo lo quartuczio). Si aggiunga qui l’unica occorrenza di (in) persono II 50.2/persona (t. +34) III 21.9, IIa 85.6, 88.1, che sembra in realtà più uno scorso di penna che l’indebita restituzione di una -A finale indebolita402. Si aggiunga Ponso ‘Ponza’ III 47.3 (e vedi sopra, Po(n)cze). Escono in -o i toponimi Baro III 5.3 (2 volte)/Bari IIa 154.1, III 21.5 e Chieto IIa 386.1/Chieti III 51.10, Itro IIa 252.1, Poczolo I 79.1403. Tra gli indeclinabili con uscita -o si possono elencare le seguenti forme: ancho I 93.22, 94.1, IIa (+6) 106.6.8, 214.3, como < QUOMODO I (+11) 87.2, 94.1.3, II (+5) 47.1, 49.2.5, IIa (+60) 16.2, 22.1, 23.8, III (+14) 14.6, 17.7., 19.1/come III 3.3; si aggiungano i numerali ce(n)tocinqua(n)to IIa 324.1, ce(n)tonova(n)tacinquo IIa 126.3, cincho IIa 119.7404, 163.2, cinqua(n)tacincho IIa 164.2, cinqua(n)tacinquo IIa 95.1, cinco III (+5) 32.7, 40.2, 47.1.4, cincho IIa 119.7, ciquo II 33.2, ci(n)quo I 77.1, IIa (+4) 120.1, 172.1, 238.1, cinquo II 30.4, 32.2, 36.1, III 23.3, 24.1, IIa (+14) 2.10 (2 volte), 44.3/ci(n)que III 24.3, tremilio IIa 247.1, vinticiquo IIa 299.2, vinticinquo IIa 98.6, vintici(n)quo IIa 3.1, 299.2. Per senczo, vd. sopra. -i finale. Più problematica la presenza di -i in luogo di e finale, che se potrebbe trovare spiegazione entro la fonetica di frase nel pf. di 3a pers. sing. ve(n)ni in Nap(u)li I 40.1, se ne venni in Napuli ‘venne’ IIa 13.2, non appare però condizionato in hebbi ‘ebbe’ IIa 239.3 e stetti ‘stette’ IIa 31.5405, in cui è forse frutto di una reazione grafica all’indistinta406. Le uscite in -i nell’infinito chiamari407 III 26.10 e nei maschili sing. cavaliri I 47.2 e missinisi I 93.10 potrebbero essere i residui di un vocalismo di area estrema408. Si aggiunga la chiusura di -e > i nell’uscita femm. plur. dell’aggettivo multi 402 Cfr. n. 337 e infra, § V.3.2. Cfr. § V.3.2 e n. 879. 404 Forma diffusissima, ad esempio, in Lupo De Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 194. 405 Alcuni casi di 3a pers. sing. in -i sono citati anche da Formentin Galeota: cfr. V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 46. 406 Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., pp. LX-LXVII. 407 Cfr. serviri in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 46) e anche alcune forme in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CIV e p. LXXVI). 408 Cfr. F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., p. 131; N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. Per M. Braccini (cfr. ID., Frammenti dell’antico lucano, «Studi di Filologia Italiana», 22, 1964, pp. 205-362; a p. 272) la fenomenologia non sarebbe tipica dell’area napoletana; 403 Introduzione CLXI (ecclesie) III 26.2 e in (cortesie) facti ‘fatte’ III 31.8, esempi tratti in entrambi i casi dal terzo libro. In effetti, lo sviluppo -e > i si registra sempre nelle scritture non spontanee, dipendenti da fonte e verosimilmente rappresentanti una fase linguistica più antica409. Motivi morfologici spiegheranno invece i femminili plurali alle bucchi ‘alle bocche’ IIa 247.1 e il diffusissimo p(er)soni (cfr. § V.3.2). Escono in -i gli antroponimi Antoni I 95.10 e Thomasi IIa 23.8, 30.2, 30.7, 31.3, 98.8, 166.2, IIa 227.1, 368.1/Thomase410 I 42.1, Tho(m)masi IIa 23.3, To(m)masi III 26.4, Tomasi I 48.1, III 26.4, in cui si legge il normale sviluppo della desinenza -IU > -i, ampiamente diffuso in Italia meridionale nel tipo ’Ntoni411; sopravvive la forma cristallizzata del genitivo negli antoponimi Ioa(n)pietri IIa 19.2, Pietri I 93.21, III 26.4 (2 volte), IIa 187.1, 228.3, 234.1.287.4, 382.1, Petri IIa 186.4, Pitri I 95.12 (ma anche Pietro I 16.3, IIa (+7) 194.1 (2 volte), 312.4, 315.2, Piet(r)o III (+5) 22.1, 23.1, Pet(r)o III 24.2 e Pietre Grella de Cascano IIa 228.1)412; la -i finale, tuttavia, non si legge mai quando si tratta di un personaggio spagnolo413 oppure di un toponimo414. Vadano qui anche Rugieri III 10.3.5, 17.1, 22.1 (con -i corretta su o), Rogieri III 11.2.4 (2 volte), 12.7/Rogiero III 11.1, 12.1, 13.1.5, 27.2 e Rugiero III 6.7, 13.6, 17.4 (2 volte), 17.4, 26.4 e Rainieri III 48.16/ Rainero III 48.17.18415. Sopravviverà la forma del locativo in Cipri I 10.1 e Sorre(n)ti I 90.5 (2 volte)/Sorre(n)to III 3.3 (e si noti che le occorrenze compaiono solo nel primo libro). Si legge -i in luogo di -o in iardini (sing.) IIa 162.2/iardine III 12.6, iardini IIa 162.2/iardino I 27.1, 100.2 e giardino II 19.1. Escono in -i, inoltre, i seguenti indeclinabili: forsi < FORSIT III 51.8, insemi IIa 13.2, 306.1, 357.1, i(n)semi I 74.3, insiemi I 88.9, IIa V. Formentin, tuttavia, elenca una fitta tipologia di casi simili (cfr. ID., Scrittura e testo nel manoscritto..., cit., pp. 46-7) fornendo una articolata spiegazione del fenomeno, che in alcuni casi potrebbe rendere l’effettiva tendenza della chiusura di -e > -i (ad es. nel tipo brutti ccose) o essere una semplice reazione grafica all’indistinta finale: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., pp. LX-XVII. 409 La chiusura -e > y nei Ricordi è limitata agli aggettivi che al maschile plurale presentano -i < Ʈ; Formentin nota difatti per gli aggettivi molto e tutto, al femminile plurale, la tendenza all’adozione della forma maschile, come accade nel nap. moderno ai femm. plur. li, ’sti etc.: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 183-4 e n. 511. 410 In questa occorrenza, tuttavia, la -e risulta corretta su un’originaria i. La forma Tomase continua una -I genitivale e si legge anche in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 287. 411 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 287 e n. 831. 412 Si veda V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 286 e n. 830 per un’amplissima bibliografia su esempi nap. antichi di Petri, Pietre, Petre, Petri. 413 Cfr. Petro de Toleto II 59.2, P. de Tholeto 171.1, P. de Mindocza 148.1, P. de Midocza 112.1, P. de Castiglia IIa 105.1. 414 Si veda infatti S. Pietro Martire di Napoli I 38.1, S. Pietro ad Ara I 89.4, S. Pietro (Roma) I 102.2, Sa(n)to Piet(r)o d(e) Mayella III 26.7, burgo d(e) Sa(n)to Piet(r)o III 32.5, sa(n)to Pet(r)o et Paulo apo(sto)li II 4.1. 415 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 1113. CLXII Nadia Ciampaglia 16.2, III 50.3416. Per i numerali, ad eccezione di doe (mano) IIa 16.2, sia al maschile sia al femminile sempre dui (t. +91: dui galere I.51.1, 74.8, 92.2, dui hore I 74.2, dui barche I 74.3 etc.) accanto a doi (hore) I 43.2 e doie (d. persone) β 2 40.13; così pure duimili IIa 245.2, cinqua(n)tadui, octa(n)tadui IIa 111.1; milli IIa 17.3, 350.2, 360.1/mille (t. +36) II 39.1, 43.1, 46.2 (e milgle, millgle). -u. Tracce di un vocalismo senz’altro non napoletano si individuano in alcune forme con -u finale in luogo di o: lo ingressu II 61.1 e ru[ss]u IIa 384.1/rosso IIa 384.1; cristallizzato nel toponimo e favorito dalla fonetica di frase l’esito si ripropone nella via de Santa Maria de lo Spiritu Santo (a Sessa) IIa 52.3, ma non nel palazzo Santo Spirito I 102.2 (di Roma); si aggiungano ancora i semidotti la messa d(e) lo Spiritu Santu IIa 192.2 e spiritu IIa 165.1. Per l’articolo determinativo lu, cfr. § V.3.3. Altre mani. -a. Mano β1: co(n)tra β1 34.2, co(n)<tr>a β1 34.3.8. Mano β2: co(n)tra β2 237.23, β2 244.4, fora β2 237.14 (in composizione forasciti β1 36.10 e foresciti β1 35.1), socta β2 196.2. Mano γ: co(n)tra 148.5. -o. Mano β1: como β1 34.9, 36.2/come β1 36.20. Mano β2: como β2 206.2, β2 237.4, β2 244.3.4.7.15 (2 volte)/come β2 244.6, co(m)e β2 237.1.3.4 (2 volte).7. Mano β3: come β3 240.1, β3 196.12, β3 204.1, β3 229.2 (2 volte), β3 231.1, cinquo β3 229.2 (ma cinque β2 237.19). -e. Mano β2: sopre β2 244.9/sopra β2 237.3.12, sop(r)a β2 237.6.7.19 (2 volte); mano β3: socte β3 196.7/socto β3 196.2 (e sotto β2 237.12.19.20). Escono in -e i toponimi Amalfe β2 237.21, Capre β2 237.21; la -e rende l’indebolimento della finale in cieche (et muti) β2 40.17, (multe) provisione β2 237.3. -i. Mano β1: insiemi β1 34. 7, Thomasi β1 36.3; solo in un caso il plur. p(er)soni β2 237.4/p(er)sone β2 40.13, 237.1.6, β2 244.15, persone β2 40.13. Mano γ: Ia(n)thomasi 150.1, Ia(n)thomasi 150.1. V.2.2. CONSONANTISMO V.2.2.1. Esiti delle occlusive sorde Le occlusive sorde latine sono generalmente conservate, sia in posizione intervocalica, sia tra vocale e vibrante, secondo una tendenza diffusa in tutta l’Italia meridionale417. Non mancano, tuttavia, casi di sonorizzazione e desonorizzazione, da ritenere per lo più dialettalismi418. 416 Per Formentin qui si ha -i per analogia con altre forme avverbiali come forsi, tardi; cfr. V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 46. 417 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 198, 204, 208. 418 Per un quadro d’insieme, cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., pp. 179-80. Introduzione CLXIII a. Occlusiva velare. La conservazione dell’occlusiva velare è usuale nei dialetti meridionali419 e ampiamente documentata420, benché con oscillazioni nei testi poetici421. Si raggruppano di seguito le forme (peraltro sempre prive di dittongo) in cui la velare sorda è costantemente conservata oltre la norma toscana: loco (sost.) I 71.2, 93.22, 96.1, II 6.2, 46.2, IIa (+5) 110.4, 280.1, 335.2, III (+4) 21.3, 28.10, 30.11, lochi IIa 70.6, 333.1 (e si aggiunga in protonia il composto lochotene(n)te IIa 199.1, locotene(n)te IIa 98.1, 258.2, loc(otenen)te II 30.1, locu<tene>(n)te IIa 103.1, locutene(n)te IIa 100.1, locute(n)ne(n)te IIa 225.1, lucutene(n)te IIa 184.1, 217.1, 259.1). Altrettanto compatta è la conservazione nelle forme seguenti: coverno < κυβερνϖ IIa (+4) 79.1, 100.1, 163.1 (che alterna con governo IIa 2.2, 245.1), co(n)verno IIa 79.3, corverno IIa 100.3 (per l’epentesi, cfr. § V.2.2.28); covernata IIa 6.1422 e la serie co(n)vernatore IIa 98.1423, co(n)vernator(e) IIa 337.2, 353.1, convernator(e) IIa 350.1, corvernator(e) IIa 83.1, 163.1424, covenator(e) IIa 162.1, covernatore IIa 100.1, covernator(e) IIa (+20) 23.2, 30.2.7; potecha425 < αποθηκη II 33.1, IIa (+4) 101.1, 335.1 (2 volte).4, potech<a> IIa 360.2, poteche IIa 49.1, 98.4.6, potheca II 33.2, 40.1. 419 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 198. Si vedano ad esempio le forme registrate nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., pp. 369-70), in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO..., cit., p. 229) e da G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli..., cit., II, p. 139. 421 Si veda in Galeota, ad esempio, l’oscillazione luogo/luoco; la sorda tuttavia si conserva sempre quando manca il dittongo (loco): cfr. V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 48; si veda anche lo spoglio offerto da M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale della poesia non toscana del secondo Quattrocento, «Rivista italiana di dialettologia», 10 (1986), pp. 7-44 (ora confluito nella raccolta Studi di Storia della Lingua italiana, Milano 1992, pp. 49-94, da cui si cita; a p. 77). 422 Con titulus su o espunto. 423 L’unica occorrenza con la sonora, offerta però dal terzo libro, in cui si legge governator(e) III 41.4 (accanto a governava III 27.18, 47.8), con ogni probabilità sarà stata veicolata dalla fonte; si noti, ancora, che questa è anche l’unica forma delle Croniche senza epentesi della nasale, rappresentata dall’uso abnorme del titulus: cfr. § IV.1, p. LXXXIV e § V.2.2.28. Per altri riscontri, si possono citare coberna in Ceccarella accanto a gubernatore, gubernato (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p 48), coverna nei testi poetici di P 1035 (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXX), covernatore (accanto a covernare, covernacione) in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 45 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 202-3); si veda ancora covernata nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 68). Come s’è visto, la parola è di origine greca. L’assordimento di g in k si registra nel Salento, dove compare con una certa regolarità, nel campano settentrionale (C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 223, es. kaááina), nel laziale meridionale e nel calabrese (ad es. cuviernu): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 155. 424 Si noti anche qui e nelle forme precedenti la propagginazione rispettivamente della vibrante e della nasale: cfr. § V.2.2.28. 425 Cfr. ANDREOLI, s.v. puteca. All’elenco si può forse aggiungere pote[c]h(e) II 45.1, che è però frutto di un emendamento: difatti, risulta in realtà scritto come poteh, con l’asta 420 CLXIV Nadia Ciampaglia Si conserva il nesso cr in secretame(n)te III 31.3.5, secreto IIa 262.1, III 31.3, secretario I 64.2.5, secreti II 20.1. Si segnala qui prehi ‘preci, preghiere’ III 43.4 in cui la grafia, a meno che non si tratti di mero errore426, potrebbe tradire un particolare sviluppo della sorda intervocalica427; la voce comunque è dotta e non a caso compare solo nel terzo libro. In posizione iniziale, probabilmente è di natura dialettale la sonora di gostò II 48.2, IIa 213.1428, gustao ‘costò’ IIa 213.3, gustumato IIa 163.2. Sembrerebbe infine palatalizzata, forse per francesismo, la c- di Ciarlo (Pagano) I 33.2429. b. Occlusiva dentale. La dentale sorda si conserva, in posizione intervocalica e tra vocale e consonante, com’è normale nei dialetti dell’Italia meridionale430, nelle forme seguenti: co(n)tati IIa 126.3, co(n)tato IIa 8.2 42.2, co(n)tato < COMITATUS II 21.4, estrata IIa 274.1, estrate IIa 37.1, 219.1, exstrate IIa 99.5, exs<tr>ate IIa 99.1, latro IIa 164.1, 376.1, mat(r)e III (+4) 8.2, 13.2, 15.2, pat(r)e II 47.1, IIa (+4) 117.2, 129.1, 246.2, III (+6) 13.6, 16.1, 27.7, pat(r)e IIa 160.1, patre IIa (+5) 64.2, 113.1, 128.16, (Santi) Patri IIa 104.4.5, dell’h tagliata da titulus. Va ricordato, tuttavia, che la parola si presenta con dileguo della consonante intervocalica in alcune aree campane (es. potéa in Irpinia, putéa nel Cilento: cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 214); si legge ancora potei ‘botteghe’ nella Scripta amalfitana, per cui cfr. F. SABATINI, Una scritta in volgare amalfitano del secolo XIII, «Studi di filologia italiana», 20 (1962), pp. 23-30; a p. 25. L’AIS (K. JABERG, J. JUD, Sprach-und Sachatlas Italiens und der Sudschweiz, Zofingen 1928-40), nella carta 1585, riporta per l’Italia meridionale nella situazione moderna le forme poteca, potega e potea. La forma poteca rappresenta tuttavia il tipo più arcaico nel Mezzogiorno. 426 L’h è infatti corretta su un’altra lettera: forse c. 427 L’h di prehi potrebbe infatti rapportarsi al prehare citato da Rohlfs in Lucania a rendere un suono fricativo; si veda inoltre il nap. preo ‘prego’ e nei testi antichi romani preare (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 217 e nota). Per le forme derivate dal vb. ‘pregare’, in cui la sonorizzazione della sorda è già preromanza, cfr. infra, § V.2.2.2 e n. 451. 428 Per altri riscontri, si vedano gostano in Galeota, gostate in Ceccarella Minutolo, gostava nello gliommero Eo non agio figli (segnalazione di V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 47); cfr. inoltre gosstao in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico.., cit., p. 36 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 203); gosta, gostao nella Cronica dell’Anonimo Romano; gossta in una lettera del Carteggio Acciaiuoli edita da N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., p. 75. La forma comunque è diffusa anche in alcuni dialetti odierni della toscana (gostare, gattivo, a Pisa e Lucca): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 151. 429 Cfr. Ciarletta (F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., s.v). Si veda anche la palatalizzazione di ciabrello «con alterazione non indigena» in Loise De Rosa: cfr. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 45. G. Rohlfs (ID., Grammatica storica.., cit., § 151) registra la palatalizzazione della sorda davanti a vocale velare ed a solo nelle zone marginali settentrionali e nelle colonie gallo-italiane della Lucania. 430 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 204. Introduzione CLXV pat(r)i III 34.2, patrone IIa 105.3, III 31.10, patroni IIa 302.1, scuti II 30.3, 53.2, IIa (+18) 121.1, 128.11, 130.1, scute IIa 271.4, scuto II 30.3 (2 volte), IIa 299.2, spata I 33.2, IIa 108.2 (2 volte).3, III 39.1, 50.4, strate I 96.18. È sempre conservata la sorda nelle forme non apocopate da -ATEM431, che risultano però peraltro senz’altro minoritarie rispetto a quelle apocopate: citate III 58.11/cità I (+25) 26.2, 29.1, 34.1, II (+18) 2.1, 3.1 (2 volte), 15.1, IIa (+23) 17.1.2.3, III (+28) 10.2.4, 12.7, [ci]tà II 1.1, età IIa 269.2/etate III 27.7, infirmitate IIa 40.2.4.9/infirmità II 38.2, III 3.1, facultate IIa 181.2/facoltà III 34.7, [facul]tà II 53.1, honestate II 52.4, pietate IIa 245.2, III 34.2/pietà IIa 86.2, 219.1, 265.1. Si verifica sonorizzazione -T- > d432 in ve(n)nudo ‘venduto’ II 43.2, ve(n)nu<d>o IIa 228.2/ve(n)nuto II 39.2, 107.5 (e ve(n)nute ‘vendute’ II 51.2). Gli esiti -T> d, di cui non mancano numerose attestazioni in area meridionale433, sono variamente interpretati dagli studiosi, che sono soliti darne spiegazione entro il fenomeno di lenizione meridionale o attribuirli ad influsso spagnolo434. Nelle Croniche l’esito, in realtà limitato a poche forme, andrà tuttavia ricondotto, più che alle condizioni fonetiche dell’Italia meridionale, a quelle della zona mediana, ponendosi Sessa Aurunca a cavallo tra Campania settentionale e Lazio meridionale; e dunque, se Merlo per Sora registra, almeno nella fase più arcaica, la conservazione delle sorde intervocaliche, precisando tuttavia che esse hanno perduto «alquanto della loro forza articolatoria, avvicinandosi alle rispettive sonore; ma è alterazione serio431 La conservazione è comunque normale in tutta la koinè, ricongiungendosi alla tradizione letteraria petrarchesca: cfr. M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 77 e nota 138. 432 Pongo in nota cidadini I 103.7, IIa 23.3, 29.2, 30.3, III 16.1/citadini IIa 40.4, 107.2, III 19.5, 27.17, 39.13, cidadino IIa (+4) 21.3, 23.8, 98.8/citadino IIa (+11) 109.1, 167.1, 186.2, III 34.7, citad[i]no IIa 18.2 e cetadino I 95.8, IIa 338.1; difatti, per quanto le occorrenze siano alquanto numerose, va segnalata per questa forma la possibilità che la sonorizzazione di T sia in realtà condizionata dalla d della sillaba successiva. 433 Cfr. vetada nel Sidrac (segnalazione di V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., pp. 48-9 e n.12), texuda, rifiudo e madura nelle lettere di De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXII e n. 69), edate in Lupo de Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., s.v.). 434 Propendono piuttosto per questa seconda interpretazione V. Formentin e M. Corti. Dubbi circa la possibilità che tali sonorizzazioni dipendano esclusivamente da un influsso spagnolo sono invece espressi da Coluccia (R. COLUCCIA, Il contributo meridionale alla diffusione degli iberismi e il caso di ‘attillato’, in Miscellanea di studi romanzi offerta a Giuliano Gasca Queirazza, a c. di A. CORNAGLIOTTI, Alessandria 1988, vol. I, pp. 159-80, a p. 162), così come da A. M. Compagna (ID., a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 199 e ivi per un’ampia rassegna bibliografica sul problema) e N. De Blasi (ID., Campania..., cit., p. 179); anche per M. Braccini (ID., Frammenti dell’antico lucano..., cit., pp. 284-6) si tratterà di lenizione meridionale. Per F. Sabatini invece (ID., Napoli angioina..., cit., p. 135), i participi in -ado e le sonorizzazioni T > d frequenti nel codice P della Cronaca di Partenope sono ipercorrettismi o settentrionalismi. Per la sonorizzazione di -P- si veda infra, sebelire. CLXVI Nadia Ciampaglia re, di data relativamente recente»435, Rohlfs invece ricorda che la sonorizzazione di -t- (e -k-, -p-) si è irradiata dalla Toscana meridionale in Umbria, Marche e fino a Roma nei dialetti del Lazio: «questi suoni sono notevolmente vicini all’articolazione sonora (...); sono suoni leniti, e spesso è difficile distinguere se il suono è ancora sordo o è invece piuttosto sonoro»436. Segnalo qui dicedocto III 51.7437/diceocto IIa 70.4, deiceocto IIa (+4) 262.1, 265.1.2, 271.3 e dieceocto IIa 90.1, occorrenza peraltro unica, attestata nel terzo libro. La forma sarebbe dovuta o all’epentesi di -d- per evitare lo iato o direttamente dal latino DECEM-ET-OCTO, ed in tal caso è frutto della lenizione di -t-438. Per Formentin decedotto in Loise riguarda «piuttosto la fonetica di frase che la fonetica di parola» e renderebbe in tal caso una pronuncia [ed] di et davanti a vocale439. In posizione iniziale, è desonorizzata l’occlusiva sorda in tarsinar(e) ‘arsenale’ I 89.6/sarcinale III 26.2 (< arabo dar as-sina ‘a, da cui l’it. darsena, attraverso il veneziano arsanà; cfr. DELI, s.v.)440. c. Occlusiva bilabiale. La sorda latina intervocalica è conservata, in accordo con il dialetto, nelle diffusissime forme del verbo recepere IIa 196.1441, recepìo IIa 128.18, recepirlo IIa 127.2, receputi IIa 140.1, 350.2, III 34.7 (solo β2 scrive recevute), in ripa III 39.10 e sapio III 28.17442; in particolare queste ultime due forme, adoperate nel terzo libro, saranno senz’altro latinismi. Si aggiunga poi, sempre nel terzo libro, Appruczo III 51.14, Apruczo III 57.15, Apuczo III 6.3, Pruczo III 54.3/A(b)bru(n)435 Cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 216. La sonorizzazione è invece registrata solo nei nessi rt, rc.; ad es. ardika ‘ortica’ (ivi, p. 218). 436 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 209. 437 Cfr. decedotto in ANDREOLI e D’AMBRA, s.v. Si leggono ancora dicidotto in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 200), dicidotto in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit, gloss., s.v.; qui pure l’indicazione di decedotto in Cortese). Un’ampia rassegna della bibliografia della forma è offerta da Gentile che la segnala, oltre che nella già ricordata Cronaca del Ferraiolo, in Del Tuppo, in una cedola di tesoreria riportata dal De Marinis, nonché in alcuni atti notarili cinquecenteschi delle province napoletane; in uno di questi, la forma volgare appare accanto a quella DECEM ET OCTO, «tradizionale del latino medievale»: cfr. S. GENTILE, Postille ad una recente edizione di testi napoletani del ’400, Napoli 1961, pp. 69-70. 438 Cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 46. 439 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 206. 440 Cfr. tarcenale in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 46); tàrcera è nel nap. moderno. 441 Le varie voci del verbo recipere sono diffusissime, come ad es. nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 369); receputo si legge in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 49), De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXII), Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47) etc. 442 La a sembrerebbe corretta su i. V. FORMENTIN segnala sapio e sapia in Ceccarella (ID., FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 49). Introduzione CLXVII czo I 78 2, Abruczo III 57 1, Abru(n)zo III 51 10 e la serie (de) Nabrucio IIa 386 1, 86 1, (in) Nabruczio IIa 386 1, (in) Nabruczo IIa 106.9443. Nell’elenco seguente, invece, le forme latineggianti e letterarie si oppongono a sporadici esiti toscani o “quasi” toscani, in cui, cioè, la sonorizzazione è avvenuta solo a metà: archipiscopi IIa 300.2, archipiscopo II 20.3/archiviscovo II 61.1, archipiscopato I 63.2, 88.9, episcopato II (+10) 17.1, 19.1.10, IIa (+28) 4.1, 6.4, ep(iscopa)to IIa 40.12, 37.1 (maggioritario rispetto a vescopato II 16.2 e viscopato IIa 39.1, 128.17), episcopi IIa 54.1, 55.2/viscovi IIa 300.2. Dal diffusissimo episcopo IIa 56.1, 60.4, 232.2, e(pisco)po IIa (+11) 55.1 (2 volte), 58 3 (2 volte), 60.1 (3 volte), ep(isco)po IIa 52.4, ep(iscop)o IIa (+58) 127.1.2, 128.17, epis<c>opo IIa 57.3 si passa, attraverso le forme intermedie episcovo I 110.1IIa, II 50.2 e viscopo I 88.9, a metà strada tra toscano e latino, alle uniche tre occorrenze, ovviamente non locali444, di <vi>scovo IIa 39.3 e viscovo II 61.2, IIa 38.2, 39.1. In posizione iniziale, la sorda si conserva oltre la norma toscana nel già citato potecha < αποθηκη II 33.1, IIa (+4) 101.1, 335.1 (2 volte).4, potech<a> IIa 360.2, poteche IIa 49.1, 98.4.6, pote[c]he II 45.1, potheca II 33.2, 40.1. In posizione intervocalica, la sonorizzazione di sebellisse < SEPELIO II 54.15.16445, tipica del napoletano446, mostra un esito che si inquadra probabilmente nel fenomeno di lenizione meridionale delle occlusive sorde447. Si aggiunga qui, infine, paviglioni < PAPILIO ‘padiglioni’ III 51.7, pavelgliuni III 28.21448. Nella lingua letteraria la d epentetica è inserita in seguito al dileguo della consonante intervocalica. 443 Le due occorrenze de Nabrucio spingerebbero a ritenere che la forma si sia originata per concrezione della preposizione in, come confermato dai successivi in Nabruczio. Lo studio delle occorrenze complementari mostra che il fenomeno si manifesta solo nelle annotazioni spontanee del secondo libro e non nel primo o terzo, in cui, tra l’altro, prevale la conservazione della sorda intervocalica. Stussi sceglie la trascrizione Nalesadrya in una lettera mercantile salentina, precisando tuttavia che essa «non [è] necessariamente dovuta a concrezione dell’articolo indeterminativo o della preposizione in»: cfr. F. BRUNI, L’italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino 1984, p. 359. Questi comunque i contesti: «da llà d(e)l fiumo et d(e) Nabrucio p(er) fine in Sessa» (cfr. testo, IIa 86. 1); «ad Civita de Chieto in Nabruczio, ch(e) era vicerré d(e) Nabrucio (cfr. testo, IIa 386.1)». 444 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 208. I tipi viscovo, arcevisscovo e vesscovato si possono leggere anche in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 207. 445 Cfr. sebbellire e sobbellire, sebbellito, sibbillito in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 207, per il quale la forma, a partire da una base -PP-, sarebbe condizionata dalla sonorante dela sillaba seguente); si aggiunga sebellito in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 199). 446 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 228, che indica sebbellire. 447 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 179. 448 Cfr. paviglione in Loise (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47); paveglyone nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., gloss., s.v). CLXVIII Nadia Ciampaglia Altre mani. a. Occlusiva velare. Mano β1. Si conserva la sorda latina in coverno β1 36.2; β2 e β3 presentano invece sempre la sonora: governo β3 229.2 e il derivato gobernator(e) β2 40.17, governator(e) β2 206.1, β3 231.1, β2 237.6 (2 volte) gubernator(e) β3 229.2, β2 236.1, gubernaturi β2 237.6, governava β2 206.1); la sorda intervocalica è anche in locotene(n)te β1 36.2, locutene(n)te β1 36.14, locutene(n)te β2 236.1, lochi β2 237.22, loco β2 244.7, secreto β2 237.10, loco β3 203.2, locutene(n)te β3 196.6, β3 229.1. In posizione iniziale si noti la sonorizzazione di gustumi β3 196.10. Mano γ. Lo spoglio offre solo il comune loco 148.5. b. Occlusiva dentale. Mano β. Si conserva la sorda in patre β2 244.3.17 (2 volte), p(at)re β2 244.16; costituisce un unicum in tutte le Croniche la sonorizzazione della sorda latina in strada β2 206.1. La sorda è conservata anche nella forma da -ATEM, non apocopata, particularitate β1 34.11. Mano γ. Si segnalano le desonorizzazioni di Placito 150.1 e Tholeto 148.1. c. Occlusiva bilabiale. In β1 e β3 si registrano i latinismi archipiscopato β1 36.18, episcopato β3 196.8 (2 volte), episcopo β3 204.1 (2 volte), ep(iscop)o β3 196.10. 11; la forma toscana è solo in β2: vescovo β2 206.1, ves(cov)o β2 206.3. Si noti ancora recevute β2 244.2. Si conserva la sorda latina, in accordo con il dialetto, in superchio ‘soverchio’ β3 229.3 < SUPERCULU(M)449. Mano γ: episcopato 151.1, episcopo 151.1. La mano β2, dunque, mostra anche in questo caso l’apertura verso il toscano. V.2.2.2. Esiti delle occlusive sonore a. Occlusiva velare. In posizione iniziale, si registra desonorizzazione solo in (donno) Casparro II 28.1/Gasparro II 53.8 (e si veda anche la mano α). In posizione intervocalica, -G- arriva fino al dileguo in breantini ‘brigantini, tipo di veliero’ I I 91.2450 e breogna ‘vergogna’ IIa 20.1. È rappresentato forse il grado intermedio [γ] in pregiaria ‘garanzia’ IIa 289.1, prigiaria IIa 245.5, in cui la grafia gj potrebbe stare, come vorrebbe Merlo, per j, secondo un uso diffuso negli antichi testi romaneschi ed esteso anche all’area mediana; nel dialetto napoletano la voce suona infatti come prejerìa e plejerìa451. 449 Cfr. ANDREOLI, s.v. supierchio. Cfr. breantino in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v.); briantine in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 209). 451 Cfr. ANDREOLI, s.v. preggiaria, dal basso latino plegiare; in Loise si leggono precziaro ‘garantirono’ e priece ‘garanti < fr. plegier, plege; si veda anche preciaria ‘garanzia’ nel Candelaio del Bruno (segnalazione di V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 195, n. 539). Da non confondere dunque con pregaria «e più volg. prejarìa»: cfr. ANDREOLI, s.v. pregaria. In effetti, le voci del verbo ‘pregare’ compaiono in Fuscolillo sempre con -g-: pregare IIa 105.8 (e prego, pregava, pregò, etc.; si vedano anche le altre occorrenze elencate nel glossario); il deverbale è piuttosto preghere ‘preghiere’ IIa 101.2, 310.1. In Ferraiolo si legge invece prearia ‘preghiera’, con dileguo della consonante intervocalica (cfr. R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v); le forme preo, prea, preamo etc. sono anche in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 209); preare è negli antichi testi romaneschi (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 217). Rohlfs ricorda che la g intervocalica, quand’è conservata, compare in genere «non come un’occlusiva, bensì come la fricativa corrispondente» e segnala che alcune fonti abbruzzesi 450 Introduzione CLXIX Davanti a vocale palatale, è sospetta l’assenza di h nei già segnalati page II 23.4, IIa 28.7/paghe II 35.3.4.8, pagero IIa 310.1/paghero IIa 310.1 e verge I 65.1; le retroscrizioni di alcune forme complementari sembrano tradire l’incertezza dello scrivente nella resa del suono velare e dunque il fenomeno, più che fonetico, potrebbe essere esclusivamente grafico452. b. Occlusiva dentale. Secondo uno sviluppo diffuso in vasti territori dell’Italia meridionale, la d della sillaba finale si desonorizza nei proparossitoni fracito IIa 78.8, 86.4453 e turbito IIa 218.3. In posizione intervocalica454 si registra desonorizzazione in Matalena I 33.1455, P(ro)ceta 23.2 e Toleto II 59.2, IIa 171.1, 376.1/Toledo IIa 202.1. Davanti a consonante, l’occlusiva dentale si desonorizza in quatragesima < QUADRAGESIMA(M) IIa (+5) 98.1, 119.5, 165.1, quatregesima IIa 165.6; si aggiunga, in posizione postconsonantica, Grimalto ‘Grimaldo’, che compare nell’annotazione marginale di c. 165r (cfr. apparato al testo). È particolarissima la desonorizzazione di capte ‘cadde’ IIa 342.2, in cui la geminata dd è resa con pt (=tt)456. Il passaggio -D- > l457 si registra in palagre ‘podagra’ IIa 335.5458 e palagruso III 30.5459. rendono questo suono con h; per la Lucania cita quindi prehare (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 217 e nota). 452 Cfr. quanto già detto nel § V.1.3 e nn. 235-7 per esempi in Galeota e Loise nonché in testi di area mediana, in cui però le suddette grafie potrebbero esprimere effettivi esiti fonetici. Ai già menzionati paghe (con la h corretta su un’originaria e: page) e larghecza IIa 335.4 (con h inserita nell’interlinea) si può qui aggiungere adnegnero ‘annegarono’ IIa 40.3 (con la seconda n inserita nell’interlinea su e): anche in questo caso la scrizione potrebbe esprimere una difficoltà nella resa dell’occlusiva velare sonora (forse dovuta alla desinenza in -ero del pass. remoto e quindi alla vocale palatale), complementare all’analoga incertezza mostrata da Fuscolillo nell’uso di h per indicare la velarità della sorda davanti a vocale palatale (Cronice): cfr. § V.1.3. 453 Cfr. il nap. fraceto (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 227) fracito è Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 211). 454 Cfr. ad es. pete nel Lazio meridionale e nella Campania settentrionale (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 216). 455 La forma si ritrova anche in testi abruzzesi e toscani (cfr. L. SERIANNI, a c. di, Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze 1977, p. 29) ed è ampiamente documentata, da Ferraiolo all’Anonimo Romano a Loise De Rosa: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 211 e n. 584 per altri riscontri. 456 Cfr. se vecte ‘si vide’ nei testi poetici di P 1035 (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXII). 457 Il passaggio è segnalato da Rohlfs ad Ischia e Procida (es. pélΩ ‘piede’) e in Abruzzo (es. còla ‘coda’): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 216. Nel dialetto di Pignataro Maggiore (CE), si può citare cummeletà ‘commodità’: cfr. S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno- sidicino..., cit., p. 39. 458 Cfr. pelagre in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v.); in ANDREOLI, s.v. pelacra, si rimanda al «più comune» pudacra; nel dialetto di Pignataro Maggiore, pulàgrema: cfr. S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno- sidicino..., cit., p. 39. 459 Cfr. ANDREOLI, s.v. pudacruso. CLXX Nadia Ciampaglia La -D- rotacizza460 infine in Corrarino III (+4) 21.1.5.9, Corraro III 21.1 e Corriarino III 21.4; si può aggiungere anche odiavano III 26.15, in cui la d risulta in realtà corretta su un’originaria r. Come si vede, l’esito si legge solo nel terzo libro. c. Occlusiva bilabiale. Da PRAE(S)BYTER > previti II 54.16, IIa (+13) 70.3, 179.1, 294.1, pl. p[revi]te IIa 322.2 e, con successivo dileguo della -v- secondaria, preite II 49.1, 54.15, IIa 315.2, 360.1, preiti IIa 127.3, che è anche dell’italiano antico461. Il tipo prete si legge solo in β2 206.1. Per le forme dell’imperfetto in -ea con dileguo della labiodentale, in particolar modo diffuse nel primo e terzo libro, cfr. § V.3.1.1/b. Dal suffiso -EBILE, mi limito a segnalare grati[eve]le462 (che è emendamento di gratile) e piacebole IIa (+4) 42.3, 128.19, 134.5; quest’ultimo esito, oltre ad essere collegato allo scambio b/v (per cui cfr. § V.2.2.3), potrebbe essere anche espressione dell’opposizione tra esito colto o popolare463. È unica infine in Fuscolillo la forma octrufo464 < *OCTUFRU IIa 15.1 con metatesi (altrove sempre ottobre). Altre mani. Mano α: non c’è desonorizzazione in Gasparro II 62.1. Mano β2: è unica in tutte le Croniche la forma prete β2 206.1. Mano γ: in posizione intervocalica, -G- arriva dino al dileguo in bria ‘briga’ 149.2. V.2.2.3. B/V Il betacismo465, ovvero lo scambio b/v (per cui B- > v- e V- >b-), noto e largamente documentato nei testi di area napoletana466, si estende in un’area ben più ampia, fino alla linea Roma-Ancona; è infatti comune anche nell’antico romanesco467. Nelle 460 Il fenomeno è molto diffuso in area campana (es. perΩ): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 216. 461 Forse per dissimilazione: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 215. Il tipo, non necessariamente letterario, è anche dell’ant. romanesco: cfr. G. ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts im 15. und 16. Jahrhundert, Tubingen 1970, p. 68. 462 Cfr. agratevele in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 212). 463 Per questa forma, cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 211. 464 Dal nesso osco-umbro fr derivano il nap. attufro, ottrufo e il camp. merid. (Cilento) attrufo: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 261. Si vedano anche ottrufo in De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 216), octufro in Lupo de Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 195), ottufro in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v.). 465 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 150 e 167. 466 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 182 e F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., pp. 41-2. 467 Cfr. C. MERLO, Saggi linguistici, Pisa 1959, pp. 51-2; si leggono ad esempio vocca, votta nella «strega» Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini «strega» nella campagna romana del Cinquecento..., cit., II, pp. 79-182, a p. 107). Introduzione CLXXI Croniche è possibile trovare ampie tracce, soprattutto nelle annotazioni spontanee, della differente realizzazione dei due fonemi a seconda del contesto fonosintattico468; il fenomeno, tuttavia, non si presenta con i caratteri della regolarità e della coerenza: B-: In posizione forte, B- > b- in ad Benevento III 19.9 e in Beneve(n)to I 2.1 (2 volte); tuttavia, le forme alternano con (ad) Venebe(n)to III 9.5, 55.3469 (qui si noti anche il passaggio -v- > b, cfr. infra) e (ad) Veneve(n)to I 2.2, III 20.1 (e si veda più avanti, in posizione debole, usque Venive(n)tum S 12.7 e prope Veneventum S 20.1). Senza alternanze, (ad) bever(e) III 27.20, p(er) b. IIa 70.6, et b. IIa 164.1 accanto a da470 b. III 28.20. Aggiungo qui, in posizione postconsonantica, invarchar(e) IIa 319.1, invarchavano IIa 57.5, invarchero II 35.13. In posizione debole471, B- > v- in la valglia ‘balìa’ IIa 360.1 (2 volte)472, la vallglia IIa 360.1, la vallia (+8) IIa 337.1.4 (3 volte), 359.1 (ma anche la ballia III 34.8, la balglia IIa 341.1), lu vacile IIa 121.1, (lo) v. IIa 213.1/un bacile IIa 17.2, (uno) b. IIa 213.1, li vagni IIa 159.1/li bagni III 30.2.6, de lo bagno IIa 162.1, del bagno IIa 222.1, d(e) Vagnoli IIa 165.1, d(e) valestra II 42.1, la var<cha> IIa 184.1 (e i già citati invarchar(e), invarchavano, invarchero), (octo) varrile (plur.). IIa 329.1/(500/50) barrile I 48.2, 65.1, (mille) b. III 48.30, (de) Vitonte IIa 143.1/de Bito(n)te I 93.20, d(e) voccha IIa 299.3/in bocca III 30.10 (e Pietro Bocca III 57.6). Si aggiungano, tratte dal Sommario latino, i già segnalati usque Venive(n)tum S 12.7 e prope Veneventum S 20.1. Si osservi che nel caso di vacile/bacile, Veneve(n)to/Beneve(n)to, voccha/bocca si tende a conservare regolarmente la b- davanti alla preposizione in (ma s’è già visto che ciò non si realizza nelle forme del verbo invarchare). Segnalo che donno Belardino IIa 23.2 ha in realtà la b- corretta su un’originaria v. In posizione intervocalica, e dunque debole, la conservazione di -B- è da intendere come latinismo nelle forme raggruppate di seguito473: taberna II 19.11/taverna II 49.1, 51.1, IIa 360.2 (e taverne IIa 313.1), tabula II 40.1, 45.1, IIa 104.2, tabule IIa 221.2/tavola IIa 156.2, 354.1, 355.1. Si aggiungano Campobascio III 468 Per il fenomeno della variazione delle occlusive sonore in due ditinte varianti, condizionate dalla posizione, forte o debole, nel napoletano, si veda N. DE BLASI, L. IMPERATORE, Il napoletano parlato..., cit., p. 52. 469 Cfr. in Loise, ad Venevento (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 193). 470 Si ricordi però che da non provoca rafforzamento della consonante iniziale della parola successiva nell’Italia centro-meridionale, a differenza della Toscana: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 174-5. 471 Non si pongono in questo elenco le parole che hanno B- > b- in posizione debole anche nel napoletano odierno, come bacchecta, bandera, barretta, bello, bulla, bombarda etc. 472 Cfr. D’AMBRA, s.v. vagliva. Si veda anche vallìa in De Jennaro e baglia in Loise: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVIII e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 192. 473 Sono analogamente tutti latinismi i casi di b per v intervocalica nelle lettere del Galeota (es. fabula): V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 51; si veda ad es. tabula in Lupo de Spechio: A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 195. CLXXII Nadia Ciampaglia 55.1, 57.12, 58.6, Campobasso I 13.2, IIa 261.2, cabalero III 58.6, Corduba II 50.2474 e l’unica occorrenza di gobernatore I 97.3 (non a caso nel primo libro), di contro a co(n)vernator(e) IIa 337.2, 353.1, convernator(e) IIa 350.1, corvernator(e) IIa 83.1, 163.1, covenator(e) IIa 162.1, covernatore IIa 100.1, covernator(e) IIa (+20) 23.2, 30.2.7); si ricordi che la base è κυβερνϖ. V- > b-: In posizione forte, la realizzazione è solo in (in) Benafra IIa 307.1 (ma ad Venafra III 57.16 e donò Venafro III 57.17), e (assegiò) Bie(n)na II 25.2. Per il resto, la distribuzione degli esiti di V- non sembra coerente: (et) vaxallglii475 III 13.4, (ad) verrecta ‘sorta di freccia’ I 75.1. In posizione debole si registra una forte alternanza: (bestia) baccina III 27.20, (bestie) baccine IIa 78.5/(la) vacczina IIa 279.1, (da soi) bassagli ‘vassalli’ IIa 134.3, li bassagli 1442.3, ta(n)ti bassaglii IIa 128.10, (li/soi) bassalgli IIa 1442.3 (2 volte), (li) bassallgli III 27.7, (de) bassallglii III 16.2/(de soi) vassaglii IIa 215.3, (certi) vassalglii IIa 140.1, (dicti) 1442.1, (nesciuno) vassalglio IIa 2.5, 164.2, (li/loro) vassalli III 25.1, 26.14, (li soi) vassa(n)glii IIa 144.1, (li) bassielli IIa 27.5, ta(n)ta breogna ‘vergogna’ IIa 20.1/gra(n) vregogna I 103.7 (con metatesi e dileguo di -g-: cfr. §§ V.2.2.23 e V.2.2.30/a), (ligua) brogale ‘volgare’ IIa 104.6476. In posizione intervocalica e dunque debole, il passaggio - V - > b si realizza solo in Venebe(n)to III 9.4, 55.3/Veneve(n)to I 2.2, III 20.1; si aggiunga, per quanto riguarda i gruppi consonantici, il gallicismo librera477 ‘livrea’ IIa 117.1 e sbentrare III 30.18; questa seconda forma tuttavia può essere interpretata come un caso di sonorizzazione sotto influsso della consonante sonora478. Altre mani. Mano β. Con spirantizzazione e metatesi si legge octru<f>o β3 229.1. Saranno conservativismi latini gobernator(e) β2 40.17, gubernator(e) β2 236.1, β3 229.2, gubernaturi β2 237.6/governator(e) β2 206.1, β2 237.6 (2 volte), β3 231.1 (e governava β2 206.1, governo β3 229.2). Sviluppo -B- > v in invarcaro β1 36.12. Per quanto rigurada i nessi consonantici, librer(e) ‘livree’ β3 230.2. 474 Cfr. Corduba in Di Falco (M. GRIPPO, a c. di, BENEDETTO DI FALCO, Descrittione dei luoghi antichi di Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli 1992, p. 99). 475 Anche in Loise si legge et vassalle: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 193. 476 Probabilmente attraverso la trafila volgare > bolgare > blogare> brogare> brogale; quindi in questa forma si sarebbero realizzati betacismo, rotacizzazione, metatesi e successiva dissimilazione; il medesimo suffisso si legge in urgale del Gloss. sab. 46 (segnalazione di P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 108, nota 38). 477 Cfr. libberea in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47). 478 Rohlfs registra questo fenomeno in Campania e nel Lazio meridionale; ad es., sblendere: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 189. Lo sviluppo v > b avviene nei nessi consonantici «in cui la consonante che precede non è una vibrante o una nasale» (es. resbeglia in De Jennaro): cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVIII. Si pone in nota sguiczari I 86.3, per cui si veda il napoletano sguizzero, che presuppone una w germanica (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 191) e l’antroponimo Quisquardo III 11.1/Guisquardo III 6.6, 7.1.2, Guirquardo III 9.4 < ant. fr. guiscart. Introduzione CLXXIII V.2.2.4. Nesso QU Il nesso QU479 si conserva nelle forme letterarie, diffuse in tutta la koinè480, raggruppate nell’elenco seguente: antique II 1.1, antiq(u)e II 1.1/a(n)tiche I 97.5, IIa 123.1, antiqui I 1.1/a(n)ti[c]hi IIa 345.1, antiquo III 26.4/a(n)ticho IIa 128.10, eseq(ui)re IIa 316.1, 318.1, seque(n)do III 51.8, seque(n)te I 64.4, 69.3, II 37.2, 42.2, IIa (+15) 8.2, 28.4.6, seq(ue)(n)te II 20.5, seque(n)ti II 5.2, seq(u)ete I 96.6, seq(ui)re III 37.6, seq(ui)sse III 51.8, seq(ui)ta III 20.1, seq(ui)ta IIa 40.9, seq(ui)taro I 96.8, seq(u)itato I 95.5, seq(ui)tò IIa 79.7, sequiva III 57.10. La riduzione del nesso labiovelare QU > k si registra solo sporadicamente, in dovuca III 27.20, qualu(n)che IIa 69.2/qualu(n)q(ue) III 19.10, 37.4 e Pasca IIa 232.1 /Paschua IIa 77.2, Pascua II 13.3, IIa 165.6, 339.1481; si aggiungano le due uniche occorrenze della congiunzione ca < QUIA III 32.8, 41.8482, che compaiono in entrambi i casi nel terzo libro. L’esito sopravvive ormai cristallizzato nel cognome Pascali IIa (+17) 22.2, 42.2, 66.2, Pascale IIa 165.3 (con la seconda a corr. su l), Pasclali IIa 301.1, che ricorre in questa forma, difatti, in ben diciotto occorrenze, di contro ad un solo Pascuali IIa 53.2. Nei dimostrativi, non c’è traccia della velarizzazione (del tipo chisto-i), che è invece tipica del napoletano483: quell’ I 74.4, 95.7, quella I (+7) 33.2, 58.2, 84.1, II 30.2, 33.1, IIa (+5) 19.2 (2 volte), 69.2, III (+7) 28.10.19.21, quelle I 33.2, 93.19, IIa 170.2, 348.1, III (+7) 28.14.15, 43.2, quello I (+10) 50.1, 64.3, 69.1, II (+6) 19.5, 51.1 (2 volte), III (+4) 21.3, 31.4, 45.1, IIa (+25) 1.1, 40.5, 44.3, quilli I 90.5, IIa 69.1, III 21.2, 48.3, quillo IIa 338.1, questa II (+7) 15.1, 18.1, 19.1, IIa (+23) 6.4, 40.2.8, III 11.5, 28.20, 58.13, queste IIa 130.4, 165.4, III 33.3, questo I (+7) 5.4, 56.3, 68.3, II (+5) 3.2, 20.11, 42.2, IIa (+19) 3.3, 28.4, 69.2, III (+27) 2.1, 14.4, 16.2, q(u)esto IIa 104.6, quisti II 54.13, IIa 18.1, quisto IIa (+8) 17.4, 163.2, 164.3, III 27.7 (2 volte). 479 Per Quisquardo/Guisquardo cfr. nota precedente. Cfr. ad. es. sequente, sèquita, sequire in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 49). 481 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 294. Si vedano adunche, dunche in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 49), adunca in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXI); il fenomeno è diffuso anche in testi di area mediana: ad. es qualunca, qualunche nella «strega» Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 117). 482 La congiunzione è ben diffusa nell’Italia meridionale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 163 e 786. 483 La velarizzazione, ad es., è costante in De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 45 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 199), oscillante nell’Hist. Tr. (cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 382) e in De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., gloss.). 480 CLXXIV Nadia Ciampaglia Altre mani. Mano β. Il nesso è conservato in exeq(ui)r(e) β2 237.15, seque(n)te β2 40.15, 237.1, 244.9, β3 230.3, sequitar(e) β1 36.7; si aggiungano le forme dotte requesti484 β2237.7, req(ue)sto β2 237.22. Registro la riduzione del nesso labiovelare in Pasca β3 240.1, ma mai nei dimostrativi, come già s’è visto per Fuscolillo: quel β2 244.9, q(ue)l β2 2447, quella β2 237.7, β2 244.12, q(ue)lla β2 206.2, β2 237.13, β2 244 7, quelle β2 237.6, β2 244.15, β2 244.17, q(ue)lle β2 244.9, quelli β2 237.8.9, q(ue)lli β2 237.13.21, quello β2 244.17, β1 34.8, q(ue)llo β2 244.21, questa β3 196.9, β3 203.1, β2 237.13, q(ue)sta β3 230.5, β2 237.21, queste β1 36.1, questo β2 236.1, β2 237.4, β2 244.21 (2 volte).24, β1 36.7.23, q(ue)sto β3196.11, β2 206.2, quilli β1 34.11, q(ui)lli β3 196.3, β2 237.7.9.14.(2 volte), β2 244.20, β136.18, quillo β1 35.1, q(ui)sto β1 36.18. V.2.2.5. Esiti da -XNell’Italia meridionale -X- si sviluppa sia come sibilante alveolare sia come fricativa palatale intensa. Il primo esito è in presopti IIa 131.1, presucti IIa 130.4, 153.1, presutti IIa 142485. Secondo quanto già anticipato nel paragrafo dedicato alle grafie, avrà invece valore di [ss] da -X- la scrizione ss nelle voci del verbo lassare486, solo due volte (e, si noti, in entrambi i casi, nel terzo libro) scritte con x: lassa II 54.15 (2 volte), lassao II 54.8, IIa (+5) 102.2, 170.5 (2 volte), 214.1, lassate III 11.1, lassati III 31.1, lassato IIa 214.1, 318.1, 337.1, lassava IIa 66.3, 301.3, lassò I 97.3, III 31.2, IIa 386.1 (2 volte), III (+7) 26.12, 31.2.4/laxò III 9.5, relassano IIa 328.2, relassava IIa 361.1. Medesimo valore avrà la grafia nel nome di famiglia napoletana Cossa < COXA (+24) II 55.2, 59.5, IIa 59.1487. Renderà invece la fricativa palatale [šš] la grafia ss 484 La grafia sarebbe etimologica e celerebbe, secondo Schirru, una pronuncia semidotta (G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli..., II, p. 145). La forma, del resto, compare in un bando. Di diverso avviso è Formentin, per cui si tratterebbe dell’esito indigeno di REQUAERERE: si vedano recuedere, requedono, recuesa col sost. requesta in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 199 e n. 549). 485 Cfr. presotto in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 116); prussuto/presciutto nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 64). Per gli esiti di -x-, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 225. 486 Per Sora Merlo registra lassà; lassare e lassà si trovano rispettivamente in Umbria e nel Lazio meridionale; si ricorderà che la forma lassare è anche dell’antico fiorentino (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 225), e diffusa anche nei testi poetici (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 79), ad es. in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVI). Per Loise, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 235. 487 Per questa forma in Loise, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 235 e n. 647. Introduzione CLXXV nell’unica occorrenza essevano I 93.8 < EXIRE488, così come nelle forme derivate da * TRAXINARE489: strassinata IIa 68.2, starssinato I 68.2, trassinato I 8.1/trascinar(e) III 30.18. Altre mani. Mano β. lassa(n)do β2 244.24, lassar(e) β1 34.4.5, lassero β136.25, lasserò β1 36.7. V.2.2.6. Sonorizzazione delle occlusive sorde in posizione postnasale Il fenomeno della sonorizzazione della consonante sorda postnasale490 è poco rappresentato in Fuscolillo, limitandosi, in sostanza, a soli due casi, rispettivamente per l’affricata palatale e per l’occlusiva dentale: l’unico esempio del passaggio NC > ng491 è difatti ’gie(n)czero ‘incensiere’ II 16.2, mentre lo sviluppo NT > nd si realizza in Piemu(n)<d>i IIa 317.1/Piemu(n)ti IIa 319.1, 330.1; l’opposizione Ferrante/Ferrando, registrata anche in De Jennaro492, non sarebbe invece dovuta a sonorizzazione provocata dalla nasale precedente, ma rifletterebbe una mera oscillazione tra forma indigena e spagnola: Ferrado I 95.1.5/Ferrate I (+6) 32.1, 38.1, 71.1, Ferrando I 96.6, Ferra(n)do I 93.18, 99.2, II 15.1/Ferrante III 51.6, Ferra(n)te III (+5) 2.2, 50.2, 51.11, Ferra(n)te I (+51) 20.2, 22.1, 24.1. Forse reattive al fenomeno sono le relative desonorizzazioni di incengni IIa 58.1493, ince(n)gni IIa 58.4/inge(n)gni IIa 99.4, 104.2, 356.1 (e ingengno III 41.4, i(n)ge(n)gno III 12.2), Antrea I 96.7, A(n)tre(n)a IIa 186.3/Andrea I 44.1, 93.7, 95.1, II 31.4, IIa 95.1, 119.1, III 26.6/A(n)drea I 44.1, IIa 79.2, 107.3, 245.5, ma(n)488 Per il resto, si registrano sempre le forme che continuano uscire III 39.13 (essci IIa 124.2, esca III 31.7, usciva IIa 247.3, ussciano IIa 104.5, 98.4, uscìo I 43.2, II 42.1, IIa 128.5, 205.7, 246.1, usscìo IIa 195.1, uscero III 56.8, usciero IIa 128.4.11, u(n)sciero β1 36.13, ussciero IIa 128.6, usciro IIa 214.3, u(n)sscenno IIa 196.2, uscito IIa 128.4) e, più rari e limitati al solo terzo libro, i tipi oscì III 48.4, oscìo III 57.16, escìo III 29.2, escecte III 28.3, escito III 31.9; infine si aggiunga, con epentesi di nasale, l’isolato insìo I 75.8 nel primo libro. Si vedano esse, esse, essano e i più diffusi derivati di insire in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 236) e le forme registrate nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 346). 489 Cfr. D’AMBRA, s.v. strascenare; R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v. strascenare; sstrassinare è anche in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 235-6. 490 Cfr. F. BRUNI, L’italiano. Elementi di storia..., cit., p. 320; N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 179. Interessanti considerazioni fonologiche sul fenomeno e sulla sua rappresentabilità nei testi meridionali si possono leggere in V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 89 e n. 93; anche in Loise i casi sono limitati: settendrione, secuende, accongiare (ivi, p. 230). 491 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 257. 492 Cfr. M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXI. 493 Cfr. D’AMBRA, s.v. e incegno in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIII). Rohlfs segnala ng > nc in Sicilia, Salento e in alcune zone Calabria (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 256). CLXXVI Nadia Ciampaglia tra ‘mandra’ IIa (+4) 162.1 (2 volte).2, 222.1 e Mo(n)tragone IIa 13.2, 38.1, 110.1494. Altre mani. Mano β. Sonorizzazione della postnasale in fa(n)giullo β2 244.3.17 (2 volte).21.23. V.2.2.7. Esiti di R Il dileguo di r nel nesso -STR-, fenomeno diffuso nei dialetti del Mezzogiorno495, si registra nell’isolato fenesta IIa 155.1/fenestra III 14.2, finestra IIa 144.1.2, finestre IIa 141.1, 170.3. Si aggiunga, a documentare la tendenza, mastro IIa 344.1496 (che in origine era stato scritto masto, con la r inserita successivamente nell’interlinea). La vibrante dilegua dopo consonante497 in co(n)tacto IIa 245.5, Fa(n)cza I 92.1, nove(m)bo IIa 101.2/nove(m)bro IIa (+16) 16.1, 19.1, 48.1, reintigò III 34.4; nel Sommario latino iniziale, Tanchedus S. 13.1, 17.4/Tanchredus S 17.1.5. A queste forme si possono aggiungere quelle elencate di seguito, per le quali l’apparato rivela scrizioni originariamente prive della vibrante e in cui la r è stata inserita successivamente da Fuscolillo nell’interlinea (ad es., altri) o corretta su un’originaria vocale postconsonantica (ad es. Goffiido, con r corretta sulla prima i): altri IIa 98.7, celebrata IIa 166.2, Croatie II 29.1, crodelissimo I 98.4, Grofido III 25.7, Goffrido III 27.1, Gran I 95.12, Gra(n)de IIa 335.2, Ma(n)freda I 2.2, prospere IIa 221.1, quactro IIa 294.2, sopra IIa 335.1, 361.1, sopradicti IIa 271.1.3, supra IIa 194.1, soprasse IIa 81.1, tracti III 58.1, frasche IIa 40.5. La r finale di parola si assimila alla consonante iniziale di parola successiva in pe. mo(n)glier(e) III 10.1, che non rappresenta un caso diverso dai tipi che raggruppo di seguito, in cui la r in sede preconsonantica sembrerebbe dileguare498: mecata(n)cia IIa 76.1, quattodici IIa 308.1499/quattordici IIa (+8) 46.1, 47.1, 47.2, quattrordici IIa 272.1, Voltuno III 28.25. Si aggiunga, nel Sommario latino, Panhomu(m) S 14.2/ Panhorum S 15.3, Panhormu(m) S 16.1, Panhormo S 20.2. 494 Cfr. in Loise essento, me nte torno (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 230). 495 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 266. Per questo esito, si veda ad es. terresto, maisto in Loise (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42), terreste in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX). 496 Cfr. § V.2.2.13/b. 497 Il dileguo postconsonantico è documentato sia nei testi poetici sia nei testi in prosa: cfr. ad es. flagante in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX); scontava ‘scontrava’, scontare, quatto in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 215). 498 Per l’assorbimento di r in sede preconsonantica, si veda ad. es. nel Carteggio Vaianese mandace ‘mandarci’, segnalato anche dall’editore come un caso di assimilazione (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese...cit., p. 75). 499 Quattodici si legge anche, successivamente espunto, in IIa 47.2. Introduzione CLXXVII A queste forme si possono aggiungere quelle elencate di seguito, in cui la r è stata in realtà inserita successivamente da Fuscolillo nell’interlinea: carline IIa 46.1, diverse I 96.1, iuorno IIa 351.1, marczo IIa 295.1, parte I 72.2, portato IIa 99-1, salvaguardia IIa 208.2, serviva IIa 335.2, verso III 30.4. Che negli esempi sopra riportati l’assorbimento di r preconsonantica sia in realtà dovuto ad assimilazione con la consonante seguente, benché il fenomeno non sia rappresentato mediante un raddoppiamento, lo dimostrerebbero le retroscrizioni di alcune forme quali archi I 97.9 (retr. acchi); archo (retr. accho) IIa 99.2, cerchare IIa 298.1 (retr. cecchare), etc. nonché i tipi, particolarmente significativi, Sorbbello IIa 200.2 (retr. Sorbbello), morxe ‘morì’ III 30.12 (retr. morxe = morsse) e apparsse II 26.1 (retr. apparsse); per queste ultime forme e altri esempi di assimilazione di r pre-consonantica, si veda oltre, § V.2.2.26. Si produce dileguo per dissimilazione nelle forme riportate di seguito: dereto I 55.2, 106.1, II 46.2, IIa 33.1, 128.16, 335.5, indereto I 96.5, IIa 64.3, indireto IIa 143.2, i(n)direto IIa 143.2 (è invece un caso di metatesi dreto III 28.16, per cui cfr. V.2.2.30/a) e arreto II 53.1, III 41.3500, p(ro)pio III 48.25501/p(ro)prio III 27.16, p(ro)pria III 3.2, 31.7, propria III 14.5, p(ro)prii III 26.14. Si verifica dissimilazione di -r- in gilifalchi ‘girifalchi’ III 48.24 (dal prov. gerfalc)502. Per i casi di metatesi di r, cfr. §V.2.2.30/a. Per la propagginazione di r, cfr. § V.2.2.28. Per le geminazioni nel futuro e gli scempiamenti, cfr.§ V.2.2.29. V.2.2.8. Esiti di ST Il gruppo ST si riduce a s in nascoso III 28.21, remaso ‘rimasto‘ IIa 302.1 e (era) rimase ‘rimasta’ I 97.1 (per -e, cfr. V.2.1.17). V.2.2.9. LS, NS, RS Trova pochissimi esempi in Fuscolillo, tutti tratti dalle annotazioni spontanee, lo sviluppo LS > lz, NS > nz, RS > rz, proprio della fonetica napoletana503 e attestato 500 Cfr. il nap. arreto (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 260). Esito, quest’ultimo, diffusissimo: es. propio in Ceccarella (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 52), propia nella strega Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 122), propio, pruopia in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 43 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 269). 502 Si veda, con rotacizzazione di l preconsonantica, Gilifarco in Loise De Rosa (P. SAVJLOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 222). 503 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 267. 501 CLXXVIII Nadia Ciampaglia largamente nei testi di quest’area, benché con oscillazioni504; le forme con conservazione (per quanto, forse, solo grafica) dei nessi505 si leggono invece esclusivamente nel terzo libro: morcze II 14.1, 18.2, 31.1, IIa 68.2, 84.3, 170.5/morse III (+10) 10.5.6, 11.6 e morxe III 30.12506, parcero ‘parsero’ IIa 106.6, rapercze ‘riaprì’ IIa 104.4, scopercero ‘scoprirono’ IIa 247.3, verczo ‘verso’ IIa 266.1/verso III (+6) 14.2, 30.2.3, v(er)so III 55.3. È noto che la resistenza verso quest’esito, evidentemente avvertito come troppo connotato in senso locale, ha prodotto, sin dal ’300, la diffusione di grafie ipercorrette, con s in luogo dell’affricata dentale dopo liquida e nasale; tale resistenza si fa compatta in età aragonese, probabilmente sotto la spinta del modello iberico507. Ecco dunque l’elenco delle forme con ns/rs per NZ e RZ: Co(n)saga IIa 215.1, 261.1, forsa III 39.2, 41.9, forsasseno III 31.3, Piace(n)sia IIa 79.1, 79.3 (2 volte), Piase(n)sia IIa 79.3508/iace(n)cia IIa 79.1, Ponso III 47.3 (isola di), pra(n)so IIa 208.5, P(ro)ve(n)sa III 23.4/P(ro)ve(n)cza III 27.8, 39.1, 59.5, Sforsa III 43.1/Sforcza III (+11) 28.7.15.24, Vice(n)so III 57.11/Vice(n)cio IIa 337.2, Vice(n)czio IIa (+4) 107.5, 245.1, 341.1, Vice(n)czo IIa (+17) 18.4, 53.2, 98.8, Vice(n)cz[o] IIa 384.1. Altre mani. Mano β. Si registra il passaggio RS > rz in morze β3 203.1/morsero βң 34.11. La grafia ipercorretta ns in luogo di nz è in ansi β2 237.3/a(n)czi β135.4. V.2.2.10. Esiti di L preconsonantica Il dileguo della laterale preceduta da vocale e seguita da consonante è poco rappresentato nelle Croniche509: 504 Ad esempio, l’esito è ampiamente presente in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., pp. CXXIV-V), De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 43 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 233-5 ), e nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 380); non è invece mai rappresentato nelle lettere di Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 49). 505 Mi limito qui a segnalare come esempi pesieri IIa 360.1 (e si veda invece peziere in De Jennaro: cfr. M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIV), tarsinar(e) ‘arsenale’ I 89.6 (tarcenale invece in Loise, in cui c sta per l’affricata dentale: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I) e, ancora, Alfonso, consiglio, Aversa, etc. 506 Per questa forma, cfr. § V.2.2.7 e § V.2.2.26. 507 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 182. Le false ricostruzioni sono frequenti in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 50) ma non in De Rosa e Ferraiolo; per l’area mediana, si veda nella «strega» Bellezze sensa (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 111), sensa e le forme del Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 70). 508 La prima s forse per assimilazione grafica: cfr. § V.2.2.22. 509 Il fenomeno è ben diffuso, invece, nell’area campana e meridionale in genere; ad esempio, cfr. atro a Velletri (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 243), nap. pucino (P. Introduzione CLXXIX l’utimo IIa 11.4510/l’ultimo I 16.1, lo ultimo I 93.24, l’ultimo (+11) IIa 8.3, 50.2, 105.9, 225.1, 226 1), at(r)a III 25.4511; allo scarno elenco si può aggiungere l’alt(r)a III 27.19, con l inserita successivamente nell’interlinea tra a e t (e si veda infra per autra, con velarizzazione). Il dileguo, favorito anche dalla sincope, si osserva costantemente anche in merchudì II 35.14512, merchudì IIa 57.1, 335.1, mercodì I 70.2, mercudì I 18.1, 23.1, 97.5, II 55.1, IIa (+5) 24.1, 26.1, 28.6 (ma mercludì II 6.4, con metatesi). Altrettanto diffusa nei dialetti dell’Italia meridionale è la velarizzazione di l davanti a consonante dentale. Di seguito l’elenco delle forme in Fuscolillo; anche in questo caso l’esito513, come si può vedere dalle alternanze, è per lo più evitato: BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 630). Il dileguo è ampiamente presente in Ferraiolo (es. voze, voce, ‘volle’): cfr. R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v. 510 La forma utimo, attestata anche nell’antico pisano e fiorentino, è dovuta forse a dissimilazione come accade per un altro/l’atro (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 66, n. 81 e p. 75) o ad assorbimento della laterale (A. CASTELLANI, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), Roma 1980, I, p. 252, II, p. 362); per utimo in ambito toscano, cfr. inoltre E. POPPE, Tosc. “l’atro” ‘l’altro’: sardo “at(t)eru”, «Lingua nostra», 24 (1963), pp. 97-100, a p. 100. Si vedano in Loise utimo, utimatamente e la lutima, con agglutinazione dell’articolo (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 222 e P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42), utimo nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 66). 511 Cfr. atro nel Carteggio (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 66) e il nap. ato (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 260) insieme alla variante autro (ANDREOLI, s.v). Segnalo come controesempi soltanto le forme che presentino un contesto assimilativo, escludendo ad es., i casi di un’altra IIa 120.1, 252.1, un’alt(r)a IIa 368.2, etc.: l’altra I 96.5, l’alt(r)a I 75.4, IIa 120.1, la altra IIa 352.2, dall’alt(r)a IIa 17.4; le altr(e) III 38. 4, le alt(r)e I 93.6, 97.8, IIa 13.1, 139.3, 294.3, 301.4, 301.7; li alt(r)i I 48.3, 79.1, 96.3, III 26.9, 34.3.5, 58.6, li altri IIa 128.12, 213.2, 301.3, 335.5, 360.1, li alt(r)i IIa 55.2, 181.2, III 26. 9, 34.3.5, 58.6; l’alt(r)o I 13.1, lo alt(r)o IIa 39.2, 170.5, 221.1, allo alt(r)o IIa 283.1, lo altro IIa 213.2, 360.1. 512 Cfr. ANDREOLI, s.v. miercudì. 513 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 243; per Sora, C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 201 e ss.). Nei testi si registra una moderata resistenza verso la rappresentazione grafica di quest’esito, avvertito evidentemente come troppo connotato in senso locale; per esempio, manca nel Regimen e nel ms. Rossiano dei Bagni, è raro nell’Hist. Tr. (cfr. il quadro d’insieme di N. DE BLASI, Campania..., cit., pp. 180-1), è presente, benché con oscillazioni, in Ferraiolo (es. autare, auto/altro: cfr. R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v) ed è ampiamente rappresentato in Loise De Rosa (es. auto, autro, cauca, scauczo: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 221 e P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42). Lupo De Spechio cerca di evitare la velarizzazione, ricorrendo ad un ipercorrettismo quale aldeva accanto a audetti (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 203). L’esito è ovviamente evitato, per lo più, nei testi lirici: Corti segnala qualche caso in P 1035, ma non in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXX); mautone ‘mattone’ (ricondotto al latino MALTHA) si legge ancora in una cronichetta di fine ’500 (N. DE BLASI, Campania..., cit., p. CLXXX Nadia Ciampaglia Autabella IIa 382.1, Autabe[lla] IIa 382.1, autale II 41.1, IIa 128.18514/altare (+8) II 60.1, IIa 33.1, 60.1.4 e altaro III 25.3, aut(r)a I 75.4, II 13.2, autra IIa (+11) 2.6, 19.1, 49.1, aut(r)a IIa 110.2 (ma vd. sopra e n. 511, per l’isolato atra e le numerose occorrenze con conservazione della l), autro IIa 128.5, 214.4, 277.1, au[t]ro IIa 360.1, aut(r)o I 64.4, 97.10, III 25.4/alt(r)o I (+4) 13.1, 29.1, 93.17, II (+6) 23.3, 53.4.5, IIa (+19) 39.2, 40.1, 62.1, altro IIa (+5) 10.8, 158.1, 164.3, (Berteraimo de lo) Baucio III 22.1, 25.8/Balzo I 70.2, 83.3, cauczolari IIa 21.3, 170.2, cauczolaro IIa 23.5, 170.7. Senza alternanze, calcze IIa 344.1. Potrebbero spiegarsi a partire forse dall’assimilazione LD > ll515 con successiva velarizzazione della l preconsonantica gli antroponimi Maramaulo II 23.2 e Ranaulo ‘Rainaldo’ IIa 21.3 nonché il toponimo Tripaula ‘Atripalda’ I 81.1/Tripalda I 47.1, 93.4; sembra plausibile, tuttavia, che la trafila sia stata piuttosto la velarizzazione della laterale preconsonantica516 con successivo scadimento di D > l517. Altre mani. Mano β. Non si registrano mai casi di assorbimento di l preconsonantica o di velarizzazione: altra β2 237.9, β2 244.7.11, β3 230.5, altrame(n)te β2 237.23, β3 229.3, altre β136.20, β2 237.20, β2 244.17.24, β3 230.2, alt(r)e β1 36.20, altr(e) β1 34.8, β1 36.20, β2 41.1, altri β1 36.4.10.13.24, β2 40.17, β2 237.3.4.6.7, β2 244.4.9.12.23, β3 196.4.6, altro β135.5, β2 40.14.15, β2 237.10, β3 196.7, β3 204.2, ultimo β136.6, β3 229.3, Tripalda β2 237.20. V.2.2.11. Oscillazione R/L r/l. Nel napoletano r tende a mutarsi in l, soprattutto per dissimilazione o assimilazione, mentre a sua volta l tende a diventare r518. Lo scambio l/r «è quasi esclusivamente nei testi dialettali, segno di una censura verso un tratto tuttora connotato come basso»519. La rotacizzazione di l preconsonantica520 si registra tutto sommato 181 e P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 248). 514 Si noti qui anche lo scadimento -R- > l: § V.2.2.11. 515 L’assimilazione di LD è diffusa nei dialetti mediani e campano settentrionali (Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 241; in particolare, per Sora, cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 202; e si veda p. 270 per la situzione nei dialetti odierni). Una reazione all’assimilazione LD > ll potrebbe forse celarsi in colo(n)de(n)do I 106.1 (con anche la grafia ipercorretta nd in luogo di NN). 516 Le medesime forme si leggono difatti, con velarizzazione e conservazione di D, in Loise (Maramaudo, Ranaudo, Tripauda): cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 221-2. Per Ranaulo, cfr. ant. aquilano Ranallo (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 241). 517 Per l’esito D > l, si veda § V.2.2.2 e n. 458. 518 Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX. 519 N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 180 e ivi per una rassegna del fenomeno, dall’epistola napoletana del Boccaccio al ’500. 520 Per il fenomeno in posizione preconsonantica, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 243. L’esito trova discreta rappresentazione nei testi: ad es., cortellata in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42), arcune, cortello in Lupo Introduzione CLXXXI in pochi casi; in effetti, a parte le tre occorrenze dell’antroponimo Gogliermo III 11.1, Golgliermo III 11.1, Gulglermo III 10.5 (ma per il resto, sempre Goglelmo III 15.1, con la seconda l però corr. su r, Goglielmo III (+4) 13.3, 14.3, 16.1, Golglelmo III 26.4, con la terza l corr. su r, Golglielmo III 15.1, 16.1, 17.1, Guglielmo III 13.6, Gulglelmo III 13.1, Gulglielmo III 11.1, con la prima l corr. su i, la terza l corr. su r)521, l’esito compare solo in furguri IIa 128.15/fulguri IIa 99.7, sarme ‘salme’ IIa 140.1522 e sarmeri IIa 326.2. Allo scarno elenco si può aggiungere anche gialgli IIa 117.1, con la prima l corretta su r. Le correzioni successive di Fuscolillo sono segno inequivocabile della volontà di censurare l’esito. Si verifica rotacizzazione di l postconsonantica, se pure non si tratta di assimilazione provocata dalla consonante seguente, in grorifice(n)t II 52.6; vada qui pure gloriosa IIa 40.5 (2 volte), che in entrambe le occorrenze ha la l corretta successivamente523 su una originaria r; probabilmente influisce qui anche la tendenza alla metatesi del sostantivo gloria524. Lo sviluppo l > r è anche in repricar(e) IIa 184.1, repricato IIa 36.5, reprichero IIa 98.8, reprichò IIa 130-2, che potrebbe però, come pure nel caso precedente, rappresentare un esito semidotto, quello di PL > pr525. In posizione intervocalica rotacizzazione della laterale è in formare ‘formale’ I 100.2, che potrebbe pure spiegarsi, insieme a tarsinar(e) ‘arsenale’ I 89.6/sarcinale III 26.2 e murinari ‘mugnai’ II 33.3 (2 volte)526, come effetto di assimilazione527. Si aggiungano, inoltre, pario ‘pallio’ IIa 99.3, 196.2/palio I 14.1, 15.1, 97.8, IIa (+5) 17.2, 128.11 (3 volte).13. e bafari<n>e ‘bufaline’ IIa 78.5 (bestie baccine e bafari<n>e)528. De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 203); per i testi di area mediana si possono citare porvere nella «strega» Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 112) e cortello nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 67). 521 L’oscillazione Guillermo/Guillelmo è del resto anche in Lupo De Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 203. 522 Cfr. sarma in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 198). 523 Anche in Ferraiolo la parola genera incertezza: si legge infatti la scrizione grloriosa 128r 5, generata dalla confusione tra la forma locale con gr- ed il tipo gl-: cfr. R. COLUCCIA, L’apparato come fonte d’informazione sulle scelte linguistiche dell’autore: il caso della Cronaca del Ferraiolo, in La critica del testo. Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma 1985, pp. 526-7 e n. 19. 524 Cfr il nap. grolia (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 184 e ANDREOLI, s.v. grolia). 525 Per l’esito PL > pr nel napoletano, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 252; si veda anche apr[i]cannoli in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 112). 526 Cfr. murinari in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX). 527 Per i casi di -L- > r dovuti ad assimilazione regressiva in Loise, si vedano morteretate ‘mortalità’ e stuoro < STOLU ‘flotta’: V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 198. 528 Un caso di rotacizzazione intervocalica di -L- è nel Regimen (bufaro): cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 180); si aggiunga bufuri in Bellezze (P. TRIFONE, La confessio- CLXXXII Nadia Ciampaglia Il caso inverso di -R- > l si registra, fatta eccezione per autale ‘altare’ II 41.1, IIa 128.18, in cui potrebbe in qualche modo essere stato condizionato dalla velarizzazione della l preconsonantica, e in statela ‘stadera, tipo di bilancia’ IIa 2.1, 22.1, 107.5 < STATERAM529, solo in due toponimi: Tholalto (Toralto) IIa 100.8 (che rappresenta però un caso isolato, forse frutto di assimilazione, registrandosi nelle altre occorrenze sempre Thoralto IIa (+5) 83.1, 108.2, 108.3, III 26.9, 34.8, Toralto IIa 348.2 e Toralvo IIa 101.4), e Scauli I 106.5, II 32.2, 34.4, IIa (+5) 128.5, 177.3, 178.1/Scauri II 36.3, di cui si contano ben otto occorrenze ed è pertanto da ritenere senz’altro la forma locale, in cui l’esito sopravviverebbe ormai cristallizzato. Del resto, se sembrano mancare attestazioni per il napoletano, lo sviluppo -R- > l trova riscontro in alcuni dialetti campano settentrionali530. Aggiungo qui anche crudilità IIa 180.1, che presenta la r corretta su un’originaria l. Altre mani. Mano β. PL > pr in repricato β1 36.5; rotacizzazione di -L- intervocalica in pario ‘pallio’ β3 196.2.3.5.7. Mano γ: sca(n)naro ‘scandalo’ 149.1. V.2.2.12. Esiti di LL Fortemente indicativo, per la caratterizzazione linguistica mediana del nostro testo, è la palatalizzazione di LL, che è attestata per Sora «davanti ad Ʈ, Ǎ, Nj del sostantivo»531. In Fuscolillo il nesso sembra però palatalizzarsi anche davanti ad a ed e: bassagli IIa 134.4, 1442.1, bassaglii IIa 128.10, bassalgli IIa 1442.1 (2 volte), cavalglii IIa 134.1, 135.1, 286.1/cavalli IIa (+15) 12.1, 27.2.4, cavalglio IIa 128.9, III 13.5/cavallo IIa (+9) 16.1.3 (2 volte).17.1, III 28.18, cavallglii IIa (+4) 5.1, 270-2, 319.1, cavallglio IIa ne di Bellezze Ursini..., cit., p. 112); il rotacismo della laterale interessa nel Carteggio anche il suffisso -olo: ad es. pizicharoro (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese...cit., pp. 66-7). 529 Cfr. ANDREOLI, s.v. statela ‘grossa bilancia ad un sol piatto, stadera’. 530 Rohlfs non registra la possibilità di un simile sviluppo da -R- (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 224); tuttavia, in altro contesto, cita il napoletano Cilardo ‘Gerardo’ (ID., § 156). Un riscontro potrebbe trovarsi in Ferraiolo con cilie ‘ceri’, forma per cui Coluccia rimanda al siciliano e calabrese ciliu (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v). Che si tratti di un esito localizzato nella Campania settentrionale lo dimostra però in primo luogo il toponimo Petrulu ‘Petruri’ < PRAETORIUM, che ne attesta in qualche modo l’arcaicità (S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno-sidicino, p. 39; si veda anche DT, s.v. Petruro Irpino); si vedano poi, nel dialetto di Pignataro Maggiore (CE), i tipi allicurdà (ID., p. 34), autale ‘altare’, Gelardu, litrattu ‘ritratto’, astatela ‘stadera’, martule ‘martire’ (ID., p. 39). malevizzu ‘tordo’ (ID., p. 35; cfr. ANDREOLI, s.v. marvizzo). 531 Cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 197; ad es., cavaglio, cavagli, puglio e pugli (ID., p. 199). La palatalizzazione investe divere zone d’Italia, essendo attestata non solo nell’antico senese, ma anche nell’aretino recente (pogli, castegli) e nell’antico umbro (cavaglie): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 233. In particolare la palatalizzazione si ha «nelle Marche e in Umbria e, attraverso il Lazio, fino in Abruzzo e nella Campania settentrionale» (ivi; e cfr. anche F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., pp. 67-8). Introduzione CLXXXIII 128.12.14, giaglio IIa 384.1, gialgli IIa 117.1, milgle IIa 143.1.2, millgle IIa 140.1/mille IIa (+22) 2.1, 2.9 (3 volte), 2.10, Portugallglia II 21.9, puglii IIa 142.1, 153.1, pulglii IIa 131.1, Vigliafra(n)cha II 27.1/Villafra(n)cha IIa 27.2. Si aggiunga fo[.]lla IIa 32.1; nonostante il taglio della carta, si vede difatti la parte inferiore di una g (cfr. apparato al testo). È opportuno sottolineare che, tranne in un caso (cavalglio III 13.5), la palatalizzazione di -LL- si verifica solo nelle annotazioni originali ed è dunque senz’altro da ritenere l’esito locale532. Altre mani. Mano β. Le altre mani offrono forme complementari in cui non si registra mai la palatalizzazione del nesso: cavalli β1 34.7.12, β1 36.15.24.25, cavallo, β1 36.25 (2 volte), Villafra(n)ca β1 34.2; cavalli β2 237.7, mille β2 237.9 (2 volte).12, cavallo β3 196.6.7.8, mille β3 229.2. V.2.2.13. Esiti di J e G Gli esiti di J e G romanza nel Meridione si fondono nella semivocale533. In Fuscolillo l’esito locale, se favorito dall’accordo con il latino, sembra nettamente prevalere rispetto a quello toscano; da G-, invece, predomina g(i), che potrebbe tuttavia essere, come s’è già anticipato (§ V.1.6), una grafia di copertura (vedi oltre), in particolare nelle parole di derivazione francese e con esclusione delle forme penetrate dalla lingua letteraria. Benché J- (così come G-) si sviluppi in napoletano in due differenti varianti combinatorie, a seconda della posizione debole o forte, le grafie i/g(i) adoperate nelle Croniche non sembrano assolutamente rimandare ad una differente realizzazione fonetica dipendere dal contesto fonosintattico534. a. esiti di J. Nei nomi propri, l’accordo con il latino favorisce e rende quasi assoluta la conservazione di J-, come si può vedere dall’elenco che segue535: Iacobello I 59.1, IIa 154.1, Iacobo I 78.1, II 52.2, IIa (+7) 30.4, 37.2, 111.1, Iac(ob)o II 24.1, IIa 294.7, III (+5) 24.3, 25.4, 30.2, Iacovo IIa 18.2.3, 23.5, I(acov)o III 53.5, Ia(cov)o III 56.2, Iac(ov)o IIa (+13) 53.2, 65.1, 66.2, III (+39) 30.21, 31.2, 32.7, Ia(n)fra(n)cisco II 532 Si veda, nel dialetto di Pignataro Maggiore, cereviégliu (S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno-sidicino..., cit., p. 32). 533 Ricordo che nell’edizione (cfr. § IV.1) si sono uniformate i/j; del resto, la difficoltà nel distinguere in posizione iniziale i due grafemi è indizio della loro intercambiabilità fonetica. 534 Sulle differenti varianti combinatorie del napoletano, si veda N. DE BLASI, L. IMPERATORE, Il napoletano parlato..., cit., p. 52. Sulla rappresentabilità della variazione nei testi del napoletano antico, cfr. V. FORMENTIN, Note sulla rappresentabilità grafica degli allofoni, «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 10 (1996), pp. 169-96, a pp. 178-9. 535 La conservazione della semivocale iniziale, in particolare, è frequente nei testi lirici, dove sicuramente ha carattere culto, ed è ampiamente riscontrabile in tutta la scripta napoletana antica. Si veda la rassegna offerta da M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., pp. 77-78 e nn. e M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. XXVII. CLXXXIV Nadia Ciampaglia 54.5.7, IIa 21.3, 289.1, Iabatista IIa 294.6, Iabattista IIa 29.3, Ia(m)bactista IIa 21.3, Ia(n)bactista IIa (+5) 30.5, 31.1, 31.4, Ia(n)belardino IIa 2.8, 31.3, 312.1, Ia(n)fra(n)cisco IIa 21.3, 289.1, Ia(n)lione IIa 23.6, 30.5, Ia(n)michele IIa 23.4, 30.3, 98.8, Ia(n)thomasi IIa 29.2, Ioa(n) I 93.10, II 59.5, Ioa(n)battista II 59.5, IIa 97.1, Ioa(n)belardino IIa (+4) 107.2.7, 214.1, Ioa(n)belar[d]ino IIa 381.1, Ioa(n)be(r)nardo IIa 94.3, Ioa(n)cola IIa 92.1, Ioa(n)f<ra<>cisco II 54.4, Ioa(n)fracisco IIa 2.8, 170.3, 335.6, Ioa(n)fra(cis)co IIa 335.5, Ioa(n)frac(isc)o IIa (+4) 25.2, 58.4, 335.1, Ioa(n)fra(n)cischo IIa 335.3, Ioa(n)fra(n)cisco II (+6) 47.1, 51.1, 54.5, IIa (+27) 21.3, 48.1, 51.1, Ioa(n)fra(n)c(isc)o IIa 57.4, Ioa(n)leonardo IIa 32.2, Ioa(n)lione IIa 312.1, 335.2, 338.1, Ioa(n)loisi IIa 23.5, 66.6, Ioa(n)michele II 54.7, IIa (+11) 107.2, 109.1 (2 volte), 128.9, Io(ann)a I 45.1, Ioa(n)na I 12.1, 85.6, II 29.1, III (+13) 26.5.6.7, Ioa(nna) I 52.1, Io(ann)e I 39.1, Ioanne III 47.8, Io[a](nni) I 34.2, Io(ann)i I (+9) 7.1, 34.1, 44.1 (2 volte), III 25.8, Ioa(n)ni I (+5) 16.2, 33.1, 96.1, II (+9) 2.1, 48.1, 53.7, IIa (+35) 6.4, 24.2, 30.4, III (+23) 2.2, 24.2 (2 volte), 26.4, Ioa(nn)i I 5.4, 7.2, 13.1, III 59.3, Ioa(nni) I 15.1, 34.2, III (+5) 23.2, 25.3, 48.4, Ioanni III 58.3, Ioa(n)nifracisco IIa 60.2, Ioa(n)paulo II 53.7, 59.5, IIa (+10) 100.11, 213.2, 219.2, Ioa(n)petro IIa 243.1, 335.3, Ioa(n)pietri IIa 19.2, Ioanplacito II 50.2, Ioha(nna) I 7.1, I(o)ha(n)ne II 8.1, I(o)ha(nn)e II 10.1, Io(n)bactista IIa 294.6, Io(n)belardino IIa 214.1, Io(n)frac(isc)o IIa 66.2, Io(n)fra(n)cisco IIa 170.6, 239.2, 337.1, Io(n)paulo IIa 53.2, 92.1, 363.1, Iulia IIa 332.1, Iuliano II 54.14, IIa 97.1, 255.1, 312.1. L’unica eccezione sembra Geronimo < HIERONYMUS IIa 66.4, Gieronimo IIa 245.5, Gier(oni)mo IIa 10.1, 286.2/Her(oni)mo IIa 66.2 (e si veda nella mano β3, Gionfrancisco 196.11). In posizione iniziale J- > j- anche nelle forme seguenti: iano IIa 17.4, ienaro I 50.1, II 55.1, III 56.4, iennaro I 81.1, 85.1, 107.1IIa, II 38.1, III 25.10, IIa (+4) 78.1, 80.1, 334.1, ie(n)naro I (+9) 18.1, 49.1, 74.1, II 21.8, 33.1, IIa (+15) 49.1, 51.1, 116.1, ie(n)naro III 20.3, 49.1, ieostrar(e) IIa 84.2, iochero IIa 139.1 (ma lo giocho IIa 141.3 e foreno giucati IIa 141.1536), iodece IIa 245.5, iodice II 53.8, 59.4, IIa (+5) 108.4, 122.1, 128.13, iogenno III 57.3, ionge(n)do III 39.10, ionse III 39.1, 57.2, iònsesse III 53.2, (mese) io(n)sero II 20.11/et gionsero III 28.8, gionsero III 28.8, ionte IIa 16.2, III 47.4, ionti III 27.13, 59.4, ionto III 28.28, 39.3, i<onto> III 35.7, io(n)to III 35.4, iovedì I 19.1, 85.1, 108.1IIa, II 18.2, IIa (+35) 16.5, 38.1, 45.2, III 48.25, iovene IIa 64.2, 100.6, III 28.1, iovò IIa 108.4, iubileo I 89.4, IIa 165.4.6, iudece IIa 252.3, iudice II 54.14, iudicii II 52.8, iuglio ‘luglio’ I (+7) 34.2, 84.5, 86.9537, iug(li)o I 92.5, 95.10, iug(ni)o I 41.1, 98.2, iug(n)o I 84.6, iug(no) I 88.7, iue(n)tù III 26.1, III 50.1, iulio I (+14) 17.1, 22.1, 47.1, II (+5) 13.1, 19.9, 24.1, IIa (+59) 28.1.4, 56.1, III 51.8, iuli[o] II 13.1, iungio 1 70 1, iu(n)gneano IIa 180.2, iu(n)gneva IIa 307.2, iu(n)gno I 82.1, iunio I 52.2, 63.2, 78.3, II 4.1, 31.1.35.1, IIa (+46) 47.3, 58.1, 59.1, III 51.1, iunnio I 76.6, iu(n)nio I 31.1, 76.5, IIa (+4) 218.1, 219.1, 221.1, iunta II 33.1, iunti III 30.16, iu(n)ti IIa 13.2, 245.4, 382.1, iu(n)to II (+4) 21.5.6, 33.1 (2 volte), IIa (+10) 40.5, 101.1 (2 volte), 124.2, iunto III 28.22, iurar(e) I 90.1, iuraro I 88.9 (2 volte), iurato III 21.7, iusta II 52.7, iusticia IIa (+11) 1.1, 80.2, 98.3, 536 Nel manoscritto, tuttavia, la g- è stata aggiunta successivamente davanti alla parola originaria jucati. 537 La forma toscana luglio sarebbe un rifacimento ipercorretto «su un precedente *giuglio, secondo il rapporto loglio:gioglio, *liglio:giglio, delle quali la prima è forma del ceto colto e l’altra della lingua popolare»: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 158. Introduzione CLXXXV III 12.6, 26.12.14, iusticiero III 26.10, iustificar(e) III 26.8, iusti[ti]a IIa 77.3, iustissimo III 16.1, iusto IIa 119.6, 128.19, 219.2, III 25.1, iuvedì IIa 192.2, iuveni IIa 352.1. Lo sviluppo J- > g si legge solo (a parte le pochissime forme ricavabili dall’elenco precedente) nelle forme e nei derivati del verbo ‘gettare’538: (fe’) gectare IIa 116.1, (le) gectatelle IIa 81.1, (fo) gectato IIa 98.4.6, (fu) gictato IIa 229.1, (fe’) gictare I 97.9, (fece) gittare IIa 85.2, (se) gictò III 39.11. A parte va il gallicismo le iooye III 35.4/de gioie IIa 16.2, in cui l’alternanza non produce la variazione che ci aspetteremmo secondo il differente contesto rafforzante. In posizione intervocalica da -J- è più diffusa l’alternanza, almeno grafica, i/gi539: Maiestà (+12) II 37.1, IIa 79.3.6, IIa 80.2, 113.1540/Magiestà III 30.7 (e Maestà IIa 57.5, Mae(n)stà II 37.4, Maystà I 102.1), maiore (+22) I 71.2, II 56.1, IIa 60.4, 98.4 e mayore I 86.6, II 41.1/magior(e) II 35.12, III 14.5, 34.11 e magior II 20.11, maio ‘maggio’ III 23.3, 50.1/magio ‘maggio’ (t. +72) I (+23) 15.1 (2 volte), 19.1, 26.1, II (+6) 22.1, 32.2, 34.3, IIa (+43) 39.3, 47.1, 47.2, III 50.6541, maierdomo < MAIOR DOMUS I 33.2. Senza alternanze, pegio II 32.1, IIa 106.6, 301.3, III 27.7542. Dopo consonante, iniuria II 35.6 (ma i(n)giurie IIa 136.1). Da * PLOIA(M), (la) pioge IIa 70.7. b. esiti di G-. Fatta eccezione per de Ienoa IIa 14.3 e ielo II 56.1 (ma gelata IIa 44.2), è nettamente prevalente l’esito toscano nel toponimo Genoa IIa 113.12, Genua I (+6) 48.1.2, 72.1, IIa 114.1, 191.1, III (+7) 26.1, 39.7, 47.2, IIa 191.1, IIa 114.1. L’alternanza, ancora una volta, non sembra esprimere una variazione combinatoria, dato che, per quanto (in) Genua I 48.2 si legga in posizione forte, la g- iniziale si trova in realtà anche in posizione debole, come ad esempio accade in de 538 La grafia gi, come ricorda Formentin, è diffusa per questo lessema non solo in Loise, nonostante la posizione debole, ma anche in altri testi meridionali: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 197 e n. 543. 539 Anche in questo caso g(i) potrebbe essere una grafia di copertura per j o per l’affricata palatale doppia, che tuttavia, tranne nel caso di seggio (cfr. § V.1.6 e V.2.2.16) non è mai rappresentata graficamente nelle Croniche, benché nel meridione l’affricata palatale intervocalica abbia sempre una realizzazione intensa; si vedano ancora le considerazioni svolte per Loise da V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 194. 540 Qui latinismo ed epentesi dialettale coincidono; si vedano, analogamente, majestà e magestate in De Jennaro: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVII. Fuscolillo mostra comunque incertezza nella conservazione della semivocale, come si può vedere da alcune forme modificate successivamente: le due occorrenze di maiestà IIa 79.3 e 80.4 hanno difatti in entrambi i casi la i inserita successivamente nell’interlinea. 541 Il tipo maggio compare in realtà una sola volta, espunto e poi corretto nell’interlinea in magio (cfr. testo, I 55.1). Per maggio nella mano β, si veda infra. 542 Si veda la doppia resa grafica maiesstate/magestate, peyo/pegio e maio in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 197). CLXXXVI Nadia Ciampaglia Genua I 48.1, 72.1 etc. Si veda tuttavia quanto già detto (cfr. § V.1.6) per le forme che si presentano in coppie di allografi i/g(i). Da G- > g, almeno graficamente543, si presenta anche nelle forme seguenti: genero I 97.4, genoese I 87.4, IIa 42.3, 79.2, genoisi I 48.1, IIa 113.2, III 47.3, genoysi I 98.1, genuisi I 13.1, genuysi I 98.1, gente I (+15) 33.1.2, 46.1, II (+12) 19.3, 20.1.7, IIa (+34) 2.5.6, 13.1, III 28.17, 56.10, 57.5, ge(n)te II 1.1, IIa 2.3, 16.1, III (+29) 12.4, 27.20, 28.2), gentilomo (+17) IIa 21.3, 23.3, 29.2, gentelhomo III 32.2, gintilohomo IIa 18.2, gintilomo (+10) I 59.1 (2 volte) IIa 37.2, gentelomini IIa 40.4, III 45.3, gentelommini I 13.2, 88.1, 98.1, 99.1, gentilhomini III 46.1.2, gentilomini (+16) III 26.9, 30.5, gentilommini I 89.6 Giorgio IIa 294.3.8, 297.1, III 51.1, gelata IIa 44.2, Gelbe III 37.4.6, 38.1, generale agg. e sost. (+23) IIa 20.1 (2 volte), III 25.5, generatione I 95.15. Si aggiunga l’antroponimo Germano I 74.1, II 20.10, IIa (+6) 2.2, 4.2, 28.1, III 11.3, 57.7, Giermano IIa 8.2/Hermano IIa 6.3, 7.1. Da segnalare invece l’unico caso di desonorizzazione di G- in cetilomini IIa 65.1544; come s’è appena visto, in tutte le altre occorrenze compare sempre g-. Alternano j-/g- nel prestito francese iardini IIa 162.2, iardino I 27.1, 100.2, giardino II 19.11 (e si veda n. 544). In posizione intervocalica, non trova mai rappresentazione grafica in Fuscolillo l’affricata palatale intensa (se non nel già citato lessema seggio: cfr. V.2.2.16); si legge g(i) nelle forme seguenti: carrugio ‘carro’ IIa 188.1 (2 volte), destruger(e) III 43.3/destru(g)ger(e) III 19.5, Fogia III 20.3, fugerno III 46.3, fugìo III 26.8, 37.4, fugir(e) IIa 20.1, 183.2, III 27.12, 28.16, fugiti IIa 352.1, III 27.13, fugivano IIa 297.1, legerà II 53.3, legieri IIa 4.1, liegier(e) IIa 7.1, liegieri IIa 5.1, 12.1, 286.1, ligeri IIa 324.1, pagi ‘paggi’ IIa 117.1 (2 volte), rege IIa 170.2, III 27.8, regeo IIa 108.2, reger(e) IIa 256.1, regie ‘regge’ IIa 48.1, 255.1. 543 Se, come più volte s’è detto, g(i) potrebbe essere una semplice grafia di copertura per j (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 194), va ricordato tuttavia che, a differenza di Loise (es. iente, ivi, p. 194), nelle Croniche invece, così come accade, ad es., nell’Hist. Tr., la G latina davanti a e non dà mai j. Del resto, la maggior parte delle forme riportate in questo elenco compaiono con l’affricata palatale sonora in tutto il Mezzogiorno, forse perché penetrate dalla lingua letteraria: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 156. 544 Secondo G. Rohlfs sono «strane le forme celusu ‘geloso’, (...) cinestra ‘ginestra’» che si incontrano nella penisola salentina e anche a Matera e in Calabria, nonché a Napoli Cilardo ‘Gerardo’ (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 156). Per la desonorizzazione di g seguita da vocale palatale si può citare cià ‘già’ nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 71), dovuto ad uno scrivente sabino. In Loise si legge anche recina, in la grafia «potrebbe non essere meramente grafica» (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 73 e p. 195, n. 541). Il nap. ciardino sviluppa invece l’imprestito dal francese. Introduzione CLXXXVII In posizione intervocalica, la grafia g(i) potrebbe indicare la semivocale o l’affricata palatale sonora intensa545 nelle forme del verbo ‘alloggiare’ < fr. logier: allogero II 35.2, IIa 252.1, 294.2, 297.1, allogiame(n)ti II 49.2, IIa 2.6, allogiame(n)to IIa 294.3.6, allogiao IIa 38.2, III 53.2, allogiare IIa 315.1, allogiar(e) IIa (+10) 4.1 (2 volte).4.2, 105.1, allogiaro IIa 315.1, 324.1, allogiasse IIa 252.2, allogiassero IIa 105.1, 325.1, allogiati II 1.1, 19.3, 23.1, IIa 11.3, 299.3, III 48.3, allogiato IIa 300.3, 301.5, III 45.3, allogiat<o> IIa 6.3, allogiatolo IIa 164.1, allogiava IIa 301.1, allogiavano IIa 103.3, 294.7, ’logiare IIa 57.1, 316.1; si aggiunga l’unica forma con il titulus, lo(g)giare II 23.1, in cui però, come s’è più volte detto, il segno di abbreviazione potrebbe essere stato usato in modo ridondante. Dal suffisso fr. -age e prov. -atge si legge nelle Croniche sempre -agio: carriagi III 48.8, 51.8, 56.10, carriagio IIa 134.1, ferragio III 21.10, ’magio ‘omaggio’ I 88.9, 90.1, rende il m. I 89.6, passagio I 84.1, IIa 103.3, III 21.6, stagio I 93.17, viagio IIa 104.2546. A parte segno maritaczio ‘maritaggio’ IIa 81.1 (e vedi infra, sfor<cz>i ‘sfoggi’ IIa 99.1/sforgi IIa 115.1) che potrebbe ricondursi alla confusione tra il grafema g e cz, poiché spesso la z è scritta molto vicino alla c, tanto da confondersi in un unico segno547. Da GENUCULUM > *DENUCULU, indenocchiati IIa 104.5, secondo un esito comune a molti dialetti centro-meridionali548. Nella lingua letteraria g romanza cade davanti ad e o i accentate, dopo essere pervenuta al grado j549; dunque, ad eccezione di maestro IIa 269.2 (maestro in thelogia), per il resto si legge sempre mastro IIa 60.2 e 165.1 (m. de scola), in tutte le altre occorrenze, però, riferito a chi esercita un mestiere: mastro (t. +40): mastro de la preta ‘scalpellino’ IIa 137.4, mastro de orologi II 48.1, mastro iusticiero III 26.10, mastro portholano IIa 18.4, 167.2, 186.3, etc., mastro de ecclesia IIa 234.1, etc.; pl. mastri (+27) II 51.2, 54.5, IIa 81.1. Si aggiunga ma(n)stro de campo I 106.4. 545 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 195. Nell’Hist. Tr. (cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 371) viayo, corayo, vantayo; in Loise alternano -agio/-aio (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 72). 547 Nelle Croniche ciò è evidente in sfor<cz>i. La confusione del resto era stata indirettamente ammessa da Savj-Lopez, che reputava agise in De Rosa un errore per aczise (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 45). La stessa confusione è notata da Compagna in Lupo de Spechio, in assacqueczò ‘saccheggiò’. Da PTJ si leggono ancora in Loise De Rosa accuonczano/accongiare (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40). 548 Cfr. il nap. denucchio, diffuso anche nel Lazio meridionale (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 156). 549 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 218. 546 CLXXXVIII Nadia Ciampaglia Per archibisier(e), archibosier(e), archibusieri (dal franc. hacqubuche), archibusi e arthesani, cfr. § V.1.10 e n. 277. Altre mani. Mano β. Esiti di J-: ιn posizione iniziale si conserva, in accordo con il latino, la j- in Ioa(n)baptista β1 36.4.5, Ioa(n)benardino β3 196.4, Ioa(n)ni β1 36.13.15, Iesù β2 40.12, Ihesù β2 244.24 e nel toponimo Hierusale(m) β2 41.1, Ierusale(m) β3 240.1; si aggiungano hierosolimitano β2 244.2, iugno β2 206.5, iulio β1 6.1.4, iurero β1 36.18, iu(s)titia β1 34.5; non è da escludere che g(i) sia grafia di copertura per j negli antroponimi Gieronimo β1 36.4 e Gio(n)fra(n)cisco β3 196.11. Da J- > g si legge solo in già β2 244.6 e gictato β3 229.1550. Si segnala la scelta diversa, innanzitutto lessicale, di giobia ‘giovedì’ < *IOVIA in β2 206.2551. In posizione intervocalica, magio β1 34.2.5.12, β2 41.1/maggio β2 206.1, β2 244.3, maior(e) β136.1, β2 40.15, β3 196.9.10/magiore β2 244.4, magior(e) β2 237.4 (2 volte).9.14/maggior β2 244.17, maggio[r] β2 244.15: come s’è già anticipato più volte, dunque, solo β2 rappresenta graficamente la fricativa palatale intensa (in Fuscolillo sempre maiore, magiore, mayore: cfr. sopra). Esiti di G-: generale β3 203.1, β2 236.1, ge(n)te β3 196.6, β136.21.22.24, gentilomini β134.5, ge(n)tilomini β136.4.22 (2 volte), ge(n)tilomo β136.5. Epentesi dialettale e latinismo si fondono in Maiestà β3 203.1.2.3, β2 236.1, β2 237.4, β134.8, 35.5/Maestà β135.5. Mano γ: Ioa(m)bb(attis)ta 146.1, Ioa(n)ni 148.6, Ia(n)thomasi 150.1. Si confronti infine la forma archibuseri β3 196.8 con quelle di Fuscolillo archibisier(e), archibosier(e), archibuscieri, archibusieri dove l’esito sembra invece la fricativa palatale; inoltre, archibusata β1 36.25 (ma cfr. § V.1.10). V.2.2.14. Gruppi consonantici con L PL. Nell’area meridionale il normale sviluppo del nesso PL- è kj552; l’esito, tuttavia, raramente è rappresentato nella grafia553. Non stupisce, dunque, che non se ne trovino tracce in Fuscolillo; l’unica eccezione è chioppo ‘pioppo’ III 45.3, che compare però nel terzo libro e, cosa ancora più importante, in un contesto toponimico, che avrà senza dubbio favorito la conservazione dell’esito, ormai cristallizzato (stava allogiato alla fontana d(e) lo chioppo), come accade del resto ancora oggi nel toponimo Chiatamone I 95.12 < gr. PLATAMON ‘luogo pianeggiante’554. 550 Si veda sopra, n. 538. Giove o giobia sono ancora adoperati da scrittori settentrionali come Bembo, Pigafetta e Castiglione nei primi decenni del Cinquecento: cfr. B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, p. 411. 552 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 186; per l’espansione attuale del fenomeno, cfr. F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 46. 553 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., pp. 178-9. Fondamentale in tal senso è il quadro tracciato per il trattamento dei nessi BL, FL e PL nei testi napoletani di età angioina da L. Petrucci (ID., Il volgare a Napoli in età angioina..., cit., pp. 61-5 e 68-9), che rileva, accanto ad una notevole presenza di esiti toscani, scrizioni etimologiche da interpretare tuttavia come grafie di copertura di sviluppi avvertiti come troppo connotati in senso locale e, dunque, non rappresentabili. 554 Cfr. BIANCHI-DE BLASI-LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 17. 551 Introduzione CLXXXIX Il nesso PL (come pure CL, si veda infra) si conserva solo nel terzo libro: co(m)place(n)tia III 27.1555. Il trattamento semidotto PL- > pr è invece in pregiaria ‘garanzia’ IIa 289.1, prigiaria IIa 245.5 < fr. plegier, plege556. Predomina, per il resto, l’esito toscano: piacia IIa 86.2, Piacza II 32.1, 33.1, IIa (+4) 6.4, 53.1, 128.17, piaczia I 97.10, II 48.1, IIa (+20) 101.1 (3 volte), 104.8, 106.7, III (+4) 43.2 (4 volte), p<ia>ia IIa 170.4, pia(n)to I 74.4, più I (+10) 48.1, 50.1, 76.7, II (+11) 20.13, 30.2.4, IIa 40.5, 78.3, III (+19) 12.3, 13.6, 26.1, pia(n)gere II 24.2, piano III 28.25, pia(n)ti IIa 119.2, pia(n)to II 15.1, piena IIa 129.2, III 56.1, 58.11, piene I 65.1, II 38.4, pioge IIa 70.7, piovecte I 98.4, IIa (+8) 44.1, 47.4, 57.4, piovere II 26.1, piover(e) II 31.2 IIa (+6) 44.1, 57.4, 70.3, piovette II 19 4, IIa 277.1. Un esito connotato in senso locale e mediano potrebbe essere pina IIa 122 1/piena IIa 129.2, III 56.1, 58.11 (e piene I 65.1, III 38.4) e pino IIa 118.1 (espunto; cfr. apparato al testo); pino (vs. il napoletano chino) è infatti attestato da Rohlfs nell’antico umbro e nel Lazio meridionale557. Particolare è il caso di cia(n)che IIa 253 1/czaccha IIa 78.2, czacch(e) IIa 162.3, 228.3, cza(n)che IIa 53.1, cziach(e) IIa 357.3, czia(n)che IIa 357.3, za(n)che IIa 283.1, zia(n)che IIa 162.2. La forma, pur nelle differenti realizzazioni, si inserisce tra i continuatori di *PLANCA ‘macello’ (da cui il napoletano chianca)558. Si legga difatti la glossa dello stesso Fuscolillo: «Del mese d(e) agusto 1550 fo facta la ma(n)tra d(e) le bestie ch(e) se admaczano d(e) la carne p(er) Sessa (...) et la voccziaria o vero zia(n)che iu(n)to lo iardini d(e) m(essere) Agustino Testa, dove stava na(n)ti la ma(n)tra» (cfr. testo, IIa 162.2)559. 555 Per Loise, in cui pure rarissime sono le grafie latineggianti con il nesso conservato, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 218. 556 Cfr. sopra, § V.2.2 e n. 451. 557 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 186; la medesima forma è registrata per Sora da C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 205; tuttavia, è anche in Galeota (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 78) e Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v.); pino, pina e pine si leggono anche in Loise De Rosa accanto ai toscanismi pieno, piena, piene. La forma femminile pina non consentirebbe di considerare pino come metafonetico (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 119 e p. 219, che rimanda a A. BOCCHI, a c. di, Le lettere di Gilio de Amoruso, mercante marchigiano del primo Quattrocento, Tübingen 1991, p. 66, per l’ipotesi di un esito condizionato «dalla presenza della semivocale risultante dalla palatalizzazione di PL-»). Nel dialetto di Pignataro Maggiore sono attestati invece cinu e céna (S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno-sidicino..., cit., p. 36), con un esito affricato palatale da PL- pure presente nelle Croniche: si veda più avanti, cioviale e forse anche cianche. Per l’area mediana, si vedano i riferimenti di G. ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts..., cit., p. 55. 558 Cfr. chianche in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 219). 559 Cfr. S. GENTILE, Postille ad una recente edizione..., cit., pp. 13-14 e nn. per un panorama dell’attestazione del francesismo buzaria e della voce “concorrente” chianca, da cui sarà progressivamente sostituita. CXC Nadia Ciampaglia La grafia adoperata in za(n)che non lascia dubbi sulla possibilità di una pronuncia di questa forma con l’affricata dentale iniziale e, dunque, di un possibile esito assibilato da PL-, di cui cia(n)che rappresenterebbe forse un allofono, con l’affricata palatale560. Va detto però, che se il primo sviluppo non sembra trovare testimonianza diretta nei testi meridionali, è invece ampiamente documentata l’evoluzione PL- > [ü] per alcune località in provincia di Caserta, fra cui anche Sessa Aurunca561; proprio il tipo cianghiero ‘macellaio’ < * PLANCARIU si ascolta del resto in alcuni dialetti della valle del Liri-Garigliano e del Casertano562. La possibilità di uno sviluppo PL- > [ü] è inoltre contemplato nelle stesse Croniche, sebbene unicamente nella forma cioviale ‘piviale’ < PLUVIALE di β3 196.5 (vedi infra), mentre Fuscolillo scrive invece piuviale IIa 128.17563. Sembra dunque versomile che gli allografi cianche/zanche siano due allofoni, di cui il primo (cianche) rappresenti l’esito più arcaico e mediano con PL-> [ü]564 ed il secondo (zanche, con gli allografi cz-, czi-, zi-) uno stadio probabilmente successivo, con assibilazione del nesso secondario cj. Qualcosa di simile può ipotizzarsi per le forme da C’L pariczi e appariczio e forse anche per la coppia paricci/paricczi, in cui pure la trafila potrebbe essere PL- > cj > [ts], dato l’originario sviluppo in affricata palatale del nesso (vedi infra, da CL, ciuse e inciuse). La questione, comunque, appare come s’è anticipato alquanto complessa e sembra intersecarsi con gli analoghi problemi posti dallo sviluppo del nesso -CJ- (la cui isoglossa anticamente doveva essere più 560 Si vedano tuttavia le considerazioni già espresse nel § V.1.11. Ad es. cciù, üeno. L’ esito sarebbe stato importato nel meridione dall’Italia settentrionale. Lo sviluppo, per quanto riguarda l’Italia meridionale, si registra anche nella Sicilia sud-orientale; per i dialetti settentrionali, invece, la palatale come risultato del nesso PL si incontra in Liguria, Piemonte meridionale e Lombardia settentrionale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 186 e n. 3. 562 Cfr. F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 46, n. 67. Gli stessi dati si ricavano dalla carta 244 dell’AIS, in cui non c’è traccia di uno sviluppo affricato dentale da PL; nel punto 701 (S. Donato) è attestato invece l’esito in velare sonora (gangyere). Nel dialetto di Pignataro Maggiore si ascoltano ciove, scià (dei panni) ma spiegà < EXPLICARE; cianta (dei piedi) ma pianta; ciagne, cianu ‘piano’, ciù ‘più’, ciattu ‘tarchiato’, stoccia ‘stoppia’ etc. (S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno- sidicino..., cit., pp. 32, 33 e 36); per questi motivi forse è da PLAGARE > ciaccà (ivi, p. 36). In ANDREOLI e D’AMBRA, s.v. sciaccare ‘fiaccare e più comun. rompere il capo’; non sembra da identificarsi tuttavia questo verbo con ciaccare, almeno nel significato di ‘percuotere’ e rifl., ‘farsi male’, che è invece nei dizionari più recenti: cfr. A. SALZANO, Vocabolario Napoletano-Italiano, Napoli 1989, s.v. ciaccà/sciaccà. 563 Cfr. il nap. chiuviale e, più comun. peviale in ANDREOLI, s.v. Nella lingua letteraria, quando «nella sillaba protonica risulta io, questo gruppo si riduce in Toscana in certi casi ad i» (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 136; es. Fiorenze > Firenze). In cioviale la o è stata inserita successivamente nell’interlinea (cfr. apparato al testo). 564 Segnalo però per completezza Ciaia ‘Chiaia’ nell’epistolario di san Giuseppe Calasanzio, vissuto nella prima metà del Seicento: cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., pp. 110-3 e n. 17. 561 Introduzione CXCI a nord dell’attuale linea Salerno-Lucera), riconnettendosi forse, in qualche modo, alle tesi del Merlo, e alll’eventuale confusione con i continuatori di TJ. CL. In Italia meridionale lo sviluppo di CL, in posizione sia iniziale sia interna565, coincide con il toscano; di seguito l’elenco delle forme: chiama II 49.4, IIa 101.4, 385.2, 40.1, III 18.3, 2.1, 48.27, chiamao II 16.3, chiamar(e) II 20.5 III 40.1, chiamari III 26.10, chiamase II 21.7, chiamata I 48.3, II 62.1, IIa 102.1, 382.1, 40.1, chiamata III 39.2, chiamati II 46.2, chiamato I 2.3, chiamato II (+5) 19.11, 39.1, 43.1, chiamato IIa (+14) 31.5, 40.1, 119.5, chiamava I (+4) 2.3, 84.5, 101.3, IIa 269 2, 306.1, 40.10, chiamavano IIa 128.12, III 49.2, chiarame(n)te 1 86.6, chiamò IIa 377.1, III (+5) 14.5, 23.1, 34.6, chiamati III 30.17, 41.7, chiamato III (+8) 11.3, 16.2, 24.2, chiamava III (+8) 13.5, 27.5, 27.8, chi[a]mava III 28.1, chiarame(n)te I 86.6, chiave 347.1, chiave I 75.8, 89.5, 95.5, IIa 17.2, III 30.7, 41.9. L’evoluzione a kj è rappresentata talvolta nelle Croniche con la grafia ch566: apparechao IIa 128.5, chamase IIa 270.1, chamata III 7.6/chiamata III 39.2; la correzione operata da Fuscolillo in chiamò III 14.5 (con i inserita tra h ed a ed una i pleonastica tra c ed h) rivela l’incertezza dello scrivente. In posizione intervocalica, si leggono indenocchiati IIa 104.5, ochio III 14.2, orecchie I 94.3. Vada qui anche Isca ‘Ischia’ < *ISCLA < INSULA III 27.15, Ischa I 75.2, 76.5, IIa 27.1, Ysca III 39.9, 47.6, Yscha III 39.12, 41.1, 56.12, secondo il normale svilippo meridionale di skj> sk567, che interessa anche il gruppo sl- appartenente a parole straniere e romanizzato nella forma scl- (schiavo < SLAVUS568): scavi ‘schiavi’ IIa 352.2569. Il nesso CL- è conservato solo nel terzo libro: (Santa) Clara III.25.10, III.26.2, Claramo(n)te ‘(Riccardo) di Chiaromonte’ III 25.8 (2 volte). Molto interessante, come s’è anticipato per gli esiti di PL, appare lo sviluppo CL > [ü], sia in posizione iniziale sia dopo consonante, che si legge in ciuse IIa 228.3 e i(n)ciuse ‘(si) rinchiuse’ I 103.7, senz’altro fortemente connotato in senso locale (e mediano)570. Più particolari, dal lat. volg *PARICǍLUS, le forme pariczi 565 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 179 e 248. Il digramma ch per [kj] è attestato sin dal ’300 (cfr. L. PETRUCCI, Il volgare a Napoli in età angioina..., cit., p. 62, n. 196) e non è insolito, ad esempio, nell’Hist. Tr., dove alterna tuttavia con forme che presentano la grafia latineggiante cl: chamao, chamava (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 378 e p. 348; vedi anche cfr. qui, § V.1.4). 567 Cfr. il nap. Isca (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 248). 568 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 190. 569 Si veda per questa forma, molto diffusa nel Mezzogiorno, la rassegna offerta da C. Merlo (in O. MARANO FESTA, Il dialetto irpino di Montella, «L’Italia Dialettale», 4 (1928) p. 177, n. 6). 570 Nel dialetto di Pignataro Maggiore (CE) si veda ad es. truocciu, tròcciule ‘mazzo di fieno’, ciammà, uocciu ‘occhio’, specciu ‘specchio’, ciuro ‘chiudo’: cfr. S. PALUMBO, La 566 CXCII Nadia Ciampaglia ‘parecchi’ II.42.2, IIa 177.1, IIa 212.2 (e si veda anche pariczi in β1 IIa 34.11), in alternanza con paricci II 6.5 (nel ms. scritto pariccci) e parici IIa 70.3, IIa 346.2, nonché appariczio IIa 128.2 ‘apparato predisposto per una cerimonia’ (il controesempio, tratto dal terzo libro, è apparechio III 21.10, con il significato però di ‘allestimento, complesso di mezzi bellici per un’impresa militare’)571. Come s’è già visto per gli esiti di PL (cia(n)che/za(n)che), così pure da CL, anche secondario, sembrerebbero dunque coesistere due sviluppi, in affricata palatale (il già citato ciuse) e in affricata dentale. Ora, se in appariczio la grafia czi potrebbe avere pur sempre valore palatale572, il tipo a(n)necza IIa 283.1 (cfr. ANDREOLI, s.v annecchia, «femm. di annicchio, vaccherella di un anno o poco più < lat. ANNICULA ‘giovenca’»), lascia ben pochi margini di dubbio sulla possibilità di uno sviluppo in affricata dentale del nesso CL573. Anche in questo caso la trafila potrebbe spiegarsi a parlata dell’agro caleno- sidicino..., cit., p. 37 (e, da TL, vicciariegliu, vicciarella: ivi, p. 34). Il fenomeno è attestato fin dal Duecento in documenti dell’area mediana: si veda la bibliografia offerta da M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 64, n. 74. Rohlfs (ID., Grammatica storica..., cit., cfr. § 179 e n. 2) segnala l’esito in Italia meridionale come fatto isolato, a Velletri ed anche a Piedimonte di Sessa Aurunca; lo sviluppo del nesso CL ad affricata palatale è inoltre registrato in alcune località sul Garigliano, quali S. Andrea e S. Ambrogio, in provincia di Frosinone, e Ailano in provincia di Caserta (cfr. F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 45 e ID., Il confine meridionale dello Stato pontificio..., cit., p. 302). Altri esempi si possono leggere nel Carteggio Vaianese, con Ciara, ciama (e, da T’L, vecio: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 64); in area sabina, si vedano in Bellezze fatuciaria e vecia (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 111 e n. 52). Lo sviluppo PL-, -TL- > cc(i) è proprio del romanesco antico e, benché progressivamente regredito, è ancora documentato a Velletri (es. veccio, ciamare): cfr. P. D’ACHILLE, Il Lazio, in M. CORTELAZZO, C. MARCATO, N. DE BLASI, G. P. CLIVIO (a c. di), I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, Torino 2002, pp. 515-567, a p. 524. 571 Nel significato di ‘congegno’, ‘mcchina’, la parola sarebbe un calco sul fr. appareil: cfr. DELI, s.v. appartecchiare. 572 Si veda tuttavia quanto già detto nei §§ V.1.5 e V.1.11. 573 Savj-Lopez riteneva dubbio il valore della grafia ccz in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40-2); le doppie grafie accuonczano/acconciate, Marcia/Marczia, riscontrabili anche in altri testi (ad es. Forcella/Forczella nella Cronaca di Partenope: cfr. ivi, p. 41, n. 4) spingevano lo studioso a ipotizzare un valore palatale di ccz e a trarne conferma da alcune sequenze rima del tipo sacczo:laczo:caccio (ivi). A conferma del fatto che cz potesse indicare suoni molto diversi, Savj-Lopez richiamava forme quali mancziano ‘mangiano’ (confermata da manzare nello gliommero pubblicato da Torraca: cfr. ivi, p. 40, n. 2; per V. Formentin, che segnala come comune la grafia manciare in Basile e Cortese, in questa forma il trigramma czi «potrebbe rappresentare una reazione alla sonorizzazione dell’affricata in posizione post-nasale» (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, 73 e n. 35). Le indicazioni di Savj-Lopez, in parte accolte nell’Hist. Tr. per gli esiti di -PJ- (in saza, sazano etc. la grafia /z/ indicherebbe la palatale: cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit.) sono state successivamente ritrattate De Blasi (ID., N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 181). Anche Schirru propende per un valore dentale, pur ammettendo che sarebbe «illusorio cercare una corrispondenza netta tra grafia e pronuncia nel complesso settore delle affricate (...)»: cfr. G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascico- Introduzione CXCIII partire da un primo esito CL > [ü] (ad es., ciuse e forse anche paricci) con una successiva assibilazione del nesso cj secondario; si vedrà tra breve che l’assibilazione di CJ e TJ, del resto, è usuale nelle Croniche (cfr. § V.2.2.19). Anche in questo caso, dunque, gli allografi paricci/pariczi potrebbero rappresentare due allofoni di CL ed attestare magari fase linguistiche differenti. Va comunque opportunamente segnalato, per l’oscillazione pariczi/paricci/parici, che anche le ultime due grafie potrebbero rappresentare l’affricata dentale (cfr. § V.1.11), come risulta, ad esempio, per le scrizioni precczi IIa 259.2, preccii IIa 277.1, precii IIa 85.6: sono già stati indicati del resto molti esempi delle grafie c e cc adoperate per rendere questo fonema.574 Per il dialetto di Pignataro Maggiore, non lontano da Sessa Aurunca, esiste del resto «larga documentazione che la c, oggi palatale, nei secoli addietro era sibilante»575. Si registra infine nel terzo libro l’isolata forma letteraria p(er)iglio III 31.7/pericolo III 27.12, periculo III 31.7, p(er)iculo III 34.5; in Toscana la laterale palatale in luogo del normale esito -kkj- è un imprestito dal francese. Forme simili, quali ad es. buttiglia, sono giunte anche nell’Italia meridionale attraverso l’influsso della lingua letteraria576. GL. Dal nesso GL secondario, originatosi per metatesi di l, gliotte IIa 71.1577. FL. Il nesso si conserva solo nel terzo libro: Florencza III 32.12/Flore(n)cza III 48.28, Flore(n)czia III 32.13, (castello) Flore(n)tino III 18.3; per il resto, sempre Fiorencza I 105.3, Fiore(n)cia I 37.2, Fiore(n)czia I 5.1, 5.3, 53.2, Fiore(n)tia I 5.3, fiore(n)tini 1 53.1. Si aggiungano Florimonte (+45) IIa 37.1, 38.2, 39.1, Florimo(n)to II 60.1, Floradasa (+16) II 53.8, 54.14 (2 volte), Floradusa IIa 65.1. Come prevedibile, non c’è traccia dello sviluppo fricativo palatale tipico del napoletano ma diffuso anche in molti territori altomeridionali578; è dominante infatti l’esito toscano fi-: li..., cit., II, pp. 143-4 e nn. Per maritaczio ‘maritaggio’ IIa 81.1 e sfor<cz>i IIa 99.1/sforgi IIa 115.1 ‘sfoggi’ in Fuscolillo, si veda qui, § V.2.2.13 e n. 547. 574 Per comodità ripeto l’elenco degli esempi già forniti nel § V.1.11. Il valore dentale di cci è palese in idi<c>cionis IIa 28.1/idictione, infeccione II.19.9/i(n)fectione II.22.1, marevicci IIa 78.6/mareviczo IIa 78.7; si aggiunga anche piccicharoli IIa 101.1.2; la grafia c è invece adoperata con il medesimo valore in abbrucisi IIa 110.2, alcero ‘alzarono’ I 60.3, ciano IIa 38.3, cio IIa 182.4, III 31.8, na(n)ci II 21.2, parcero ‘parsero’ IIa 106.6, scopercero ‘scoprirono’ IIa 247.3, a(m)ma(n)cero ‘ammazzarono’ β1 36.26. 575 Cfr. S. PALUMBO, La parlata dell’agro caleno- sidicino..., cit., p. 64. 576 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 248. 577 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 184 e 323 e anche qui, § V.2.2.30/a. Per Sora, C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 204 e n. 5; glyocte nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., gloss., s.v glyocta). 578 Ad esempio, nella Campania settentrionale e in Abruzzo: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 183. CXCIV Nadia Ciampaglia fiancho IIa 16.4, fiorid(e)lisi I 33.2, fiume III 30.10, fiumo IIa 40.1, 86.1, f<i>umo IIa 251.1. Altre mani. PL. Mano β: più β1 34.8, 35.4, 36.18 (2 volte).22, β2 40.15, β2 237.4.6.7.9 (2 volte). 14.19.20 (2 volte).22, β2 244.12, β3 230.3, piacerà β2 237.14, piacza β1 34.11, β3 196.7, piaczia β1 36.20, piovere β2 244.9. Si è gia segnalato lo sviluppo PL- > [ü] in cioviale β3 196.5. CL. Mano β: il nesso si conserva in clarificossi β2 244.8, clarità β2 244.8, declara β2 237.13, [d]eclara β2 237.20, declarare β2 244.16, declarati β2 237.12, declaratione β2 237.19, declarato β2 237.6.7.14. L’esito [kj] è in chiamata β2 244.3 (2 volte), chiamato β1 35.5, β13 6.4, β2 244.21, β3 230.1, β3 240.1, chiare β2 244.23, chiaro β2 244.4.7.23. La già segnalata riduzione scl > sc è in scavo β1 34.5. Anche in β si trova l’esito affricato dentale da -CL- secondario: pariczi β1 34.11. Mano γ: chiamato 151.1, dechiarasse 148.6. FL. Mano β: Fi<o>re(n)cia β1 35.5/Fire(n)za β3 203.1, Floradaso β3 196.5. Mano γ : Floredasa 149.3. V.2.2.15. Esiti di NG e GN Il nesso NG + vocale palatale dà la nasale palatale nel dialetto napoletano e nell’alto Mezzogiorno579; l’esito investe anche l’imprestito francese mangiare < manger 580: magnao IIa 156.1, mag<n>are IIa 57.1, magnar(e) IIa (+4) 57.4, 128.5, 199.2, magnati IIa 320.1, magnavano IIa 5.1, 104.2, III 47.2, magnero IIa 197.3, magniar(e) IIa 164.1/ ma(n)giar(e) III 48.25 (omissione di titulus in magiar(e) III 48.17, 51.3), ma(n)gna II 8.1, ma(n)gnero II 6.5, ma(n)gnaro I 103.2/ma(n)giavano I 99.3. Altri esiti con nasale palatale si trovano in co(n)giu(n)gnero ‘congiunsero’ IIa 261.2, ingio(n)gneva IIa 307.1, iu(n)gneano IIa 180.2, iu(n)gneva IIa 307.2581. Un unico caso di sviluppo ng è in spengere IIa 69.2; la forma compare tuttavia in un paragrafo contenente la copia di un bando emesso a Roma del 1559582. 579 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 256. Cfr. magnare, magna etc. in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 116); magnavamo, magnato nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 66); maniare nell’Hist. Tr. (cfr. N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 370); si veda anche F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 70 e n. 166 per l’attuale diffusione dell’esito e, in particolare, per la variante mangiá. 581 Giogno è nell’antico romanesco, coniato per analogia sui tipi vegno, tegno, vaglio: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 534 e infra, § V.2.2.21 e n. 650. 582 Questo il testo: «Ba(n)no co(n)tra quilli ch(e) terranno l’arme d(e) casa Carafha. Per ordine del popolo Romano obedie(n)tissimo et fedelissimo della Sa(n)ta Sede Apostolicha et del sacro collegio delli illustrissimi et revere(n)dissimi cardinali, si fa inte(n)der(e) ad qualu(n)che p(er)sona ch(e) habbia inna(n)zi alla sua casa o di carta, o dipinta in muro, o di rilievo, l’arme della tanto ad questo popolo inimicha et tirannicha casa Carraffha, la debbia fra tucto il dì di hoggi et domani haverla stracciata, scanzellata et spezzata socto pena di esser(e) tenuto traditor(e) di questo popolo et infame, et di esser(e) quella casa dove sarà 580 Introduzione CXCV Davanti a vocale velare il nesso NG non subisce palatalizzazione nel napoletano583; tale, invece, rappresentato dalla grafia gn, appare in Fuscolillo l’esito, da ritenere evidentemente quello locale, dato che appare anche cristallizzato in un cognome: ca(m)merligno III 25.4/ca(m)melliagno I 91.9584 (carmelig[n]o III 53.5), Laczalogna IIa 312.1, 353.3, 363.1, Lanczalogna IIa 357.2, La(n)cza[logna] IIa 384.1, La(n)czalo(n)gna IIa 100.11, logna II 26.1, IIa 1442.1, 207.2, log(n)a II 31.2, logno I 65.1, IIa 215.3, 261.3, III 25.5, 46.4, lo(n)gna IIa 137.3/longa III 27.20, lo(n)gno IIa 105.8585. Si noti che l’unica eccezione, longa, compare nel terzo libro ed è senz’altro mediata dalla fonte. Di contro alla forma panmeridionale prèna (che mostrerebbe l’influsso di PLENA su PRAEGNANS586), in Fuscolillo si legge pregna ‘gravida’ I 98.3587. Altre mani. Mano β. In β1 e β2 lo(n)go β1 34.11, β1 36.20, β2 244.23 (il titulus su o). La palatalizzazione non investe neppure il nesso seguito da vocale palatale in adio(n)ger(e) β1 36.16 di contro alle forme co(n)giu(n)gnero ‘congiunsero’, iu(n)gneano, iu(n)gneva riscontrate in Fuscolillo. Si ricorderà che i paragrafi in questione sono quelli relativi ai tumulti verificatisi a Napoli contro l’inquisizione, da un lato, e al noto brano letterario sull’anticristo dall’altro, luoghi dunque in cui ormai non attendiamo più esiti fortemente connotati in senso locale (campano settentrionale e mediano). V.2.2.16. Nessi di consonante + J: esiti di DJ-. Da DJ- l’esito toscano sembrerebbe (almeno graficamente: si ricordi, difatti, la più volte ricordata possibilità di una grafia g(i) di copertura), meno rappresentato ri- trovata da questo te(m)po in là saccheggiata et brusciata, acciò si possi per tucte le vie possibile anichilare et spenger(e) questo ta(n)to odioso nome. Datu(m) in Roma el dì xx di agusto 1559». La forma coesiste nella lingua letteraria con spegnere (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 256 e 535). 583 Cfr. ad es. luongo (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 255). 584 Cfr. n. 585. 585 La seconda n è stata espunta dal genovese Cristofano Grimaldo (cfr. apparato al testo e § III.4.1). Logno si legge nella «strega» Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 116) e in Ursello, non considerato da Vignuzzi «normale sviluppo indigeno» (ibid., n. 66). Lo sviluppo nasale palatale di NG appare infatti in area lucana: luagnu si legge in un inventario di Rapolla del 1488 (A. M. COMPAGNA, Testi lucani del Quattro e Cinquecento. I. Testi, Napoli 1983, p. 50). Quest’ultima forma potrebbe far pensare che non sia dovuto a semplice patologia di scrittura il citato ca(m)melliagno ‘camerlengo’ I 91.9. 586 Così G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 259. Secondo Formentin, invece, poiché nel napoletano la tonica è aperta, andrà piuttosto ipotizzata una trafila da PRAEGNANS *prejna, in cui la semivocale sarebbe poi stata assorbita dalla precedente vocale anteriore (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 231). 587 Da PRAEGNA(N)S: cfr. DELI, s.v pregnànte e si veda infra, n. 876. CXCVI Nadia Ciampaglia spetto all’esito semivocalico, tipico dell’Italia meridionale nella fase più antica ed esteso a nord fino all’Umbria588: iorni (t. +9) II 6.4, IIa (+4) 28.5.6, 98.6, III (+4) 14.1, 25.9, 28.23/giorni (t. +41) I 29.1, 44.2, II (+10) 6.4.5, 19.4, IIa (+19) 27.3, 28.7, 70.3, III 41.2, 48.20, giurni IIa 252.1, iorno (t. +5) I 78.6, IIa 99.8, 107.4, 153.1, III 20.1/giorno (t. + 18) I 75.6, 77.1, II 36.2, IIa (+14) 40.4, 50.2, 75.1, iuorno IIa 351.1; meczogiorno I 86.7. In posizione intervocalica, l’esito locale è espresso con y in moya ‘moggio’ < MODIUS II 53.2, IIa 43589; se in hogi ‘oggi’ III 3.3, 21.3, IIa 295.1 g(i) è forse grafia di copertura per la semivocale (cfr. D’AMBRA, s.v. oje), hoggi II 69.2 (che è uno dei rarissimi casi di rappresentazione della geminata nelle Croniche: vedi infra) troverà spiegazione senz’altro dal fatto che si tratta della più volte menzionata copia di un bando590. Saranno gallicismi591 poi le tre occorrenze di adsegiò I 93.7, ascegiò I 2.1592/assediò III 9.2, 19.4 e assegiata II 25.2; le forme con conservazione dotta del nesso sono tutte nel primo e nel terzo libro: adsediata I 80.1, assediata III 47.8 (e adsediato I 93.9, assediati I 78.5, assediato I 48.1, III 9.2, 28.1, assediar(e) III 48.18, assidiaro III 54.1, assedio I 84.1, III 11.3, 48.2.20, essedio I 106.3, III 9.2.4). Il nesso si conserva anche in adiuto I 96.6, IIa 2.6, 3.2, 307.1, III 9.3, 39.1 (ma per il resto sempre aiuto III (+8) 37.4 (2 volte).5, 51.12 e aiutar(e) III 28.28, 37.6, 38.3). La rappresentazione nelle Croniche, almeno grafica, della geminata, che rappresenta comunque una fase di sviluppo posteriore, è limitata, oltre al già citato hoggi (che, come pure saccheggiata II 69.2, si trova nella più volte citata copia di un bando: n. 582), nel lessema seggio ‘tribunale’ ‘ripartizione politico-amministrativa di Napoli’ che Fuscolillo usa in totale però solo quattro volte, nei §§ 80 e 81 (IIa 80.1.1.2 81.1), insieme al plurale seggi IIa 80.2, optando invece per la scempia in tutte le altre occorrenze: segio (t. +23) segio II 50.2, IIa (+18) 60.1, 62.1, 64. Si veda oltre, per la mano β3: esseggio β3 203.1 e seggio β3 232.2. 588 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 278. Così anche in Loise, in cui prevale senz’altro l’esito semivocalico: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 242-3. 589 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 276. 590 Cfr. n. 582. 591 Dal fr. assieigier, prov. asetjar: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 244 e D’AMBRA, s.v. asseggiare e asseggio. Per altri riscontri, si vedano assegiao in Loise (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40). assegiò, assecgiò in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 196) e assegiare nell’ Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., gloss., s.v.). 592 Potrebbe qui trattarsi di un isolato esempio di palatalizzazione davanti a vocale anteriore, di tipo abruzzese, attestata anche nel Regimen (es. disce) e nell’Hist. Tr (es. scilentio): V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 200, n. 552; si ricordi anche, nel Sommario Latino iniziale, il già citato obscedione(m) < OBSIDIONE(M) S 12.7. Introduzione CXCVII Da *-IDIARE593, in sacchigar(e) < I 91.3/sacchegiar(e) III 39.2, sacchegiarla III 55.5, sacchigato I 102.3 e nella forma derivata sachigam(en)to I 89.3/sacchigiame(n)to I 56.2594, le grafie g e g(i), la prima adoperata solo nel primo libro, staranno per l’affricata palatale595 o piuttosto per j596, secondo un esito documentato nel napoletano597 e del resto garantito senz’altro da sacchiaro I 93.8/sacchigiaro I 102.2 e sacchiata I 76.6/sacchigiata IIa 13.1, sacchigiatola I 26.1 nonché saccheggiata IIa 69.2598 e sacchegiati III 28.21, sacchegiato III 50.1. Si aggiungano guirregia(n)do III 9.1 e pattigiorno II 20.4. È legittimo da -DJ- post-consonantico l’esito palatale di orgi < HORDEUM IIa 61.2, orgio IIa (+6) 2.1, 78.3, 85.3, di contro allo sviluppo toscano orzo599. Da MEDIU, si segnala infine la forma tipicamente meridionale con la scempia meczo (+31) II 30.2.3, 40.1, mecza (+8) III 39.2, IIa 60.1, 78.4, mecze II 37.2, meczi IIa 4.2 (e si veda nella mano β, meso, mezo)600. Altre mani. Da DJ- è assoluto l’esito toscano: giornate β2 206.1, giorni β1 34.9, β1 35.1, β1 36.8, β2 40.12, β2 244.5.7.9, β3 196.9, giorno β135.5; il nesso -DJ- intervocalico si conserva in adio(n)ger(e) β1 36.16; l’esito locale è in adsegiati β1 35.1; la geminata si legge esseggio β3 203.1 (in Fuscolillo invece assedio ed essedio, cfr. sopra); infine segnalo anche qui il legittimo esito palatale di <h>orgio β3 229.3, orgi β2 237.3.4.6 (4 volte).7.9.13, orgio β3 229.1.2, β2 237.1.4.9.19. Ancora da -DJ-, mezo β3 229.1, β2 237.19, β2 244.12 alterna con meso β2 237.4. V.2.2.17. Nessi di consonante + J: esiti di -BJ- e -VJDa -BJ- in Italia meridionale l’esito è l’affricata palatale intensa, nel territorio laziale-abbruzzese è invece j601; quest’ultimo sviluppo si potrebbe forse riconoscere 593 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 1160. Si aggiungano ancora, come contro-esempi, sacchigiao I 6.1, 77.4, sacchigero I 89.1, II 20.2, III 13.4, sacchegiava III 55.6, sacchigiò I 93.18. 595 Nel Carteggio Acciaioli (lettere di Iuliano da Firenze) si incontrano le grafie -c- e -gper l’affricata palatale e sonora: caschuno, achoncare; gà, ragone: cfr. N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.268.269.270. 596 Cfr. C. MERLO, Vicende storiche della lingua di Roma. I. Dalle origini al sec. XV, in Saggi Linguistici, cit., p. 53. 597 Cfr. D’AMBRA, s.v. sacchejare e ANDREOLI, s.v. sacchïare. 598 Si ricordi, come s’è già detto, che questa rara occorrenza con la geminata si legge nella copia di un bando nel 1559 trascritto nelle annotazione del secondo libro: cfr. n. 582. 599 Difatti per questa forma è diffusa nell’Italia meridionale anche l’affricata palatale: cfr. il nap. uorgΩ e il marchigiano e calabrese meridionale orgu (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 278 e 276). 600 Cfr. il napoletano miezΩ vs. mesΩ dei dialetti della Campania settentrionale e mesu, diffuso nel Lazio meridionale (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 278); si consideri inoltre l’oscillazione mezo/miezo nell’ Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 376). 594 CXCVIII Nadia Ciampaglia nel toponimo Mo(n)tescaiuso ‘Montescaglioso’ III 24.3/Mo(n)tescaviuso III 25.8 da ricondurre a SCABIOSUS ‘scabbioso’, con allusione all’aspetto aspro del territorio e con accostamento a *CAVEOSUS ‘ricco di caverne’602. Il nostro testo, dunque, nella seconda occorrenza riprodurrebbe l’attestazione (a. 1085) comes montis scaviosi603, mentre nella prima mostrerebbe invece lo sviluppo VJ > j; la forma ipercorretta dell’attuale toponimo Montescaglioso, con gl non etimologico, potrebbe di conseguenza essere reattiva allo sviluppo LJ > j tipico dell’area mediana604. Per le forme del verbo ‘avere’ nei testi di area napoletana e meridionali in genere si alternano, almeno graficamente, i/y e gi605; quest’ultima grafia rappresenterebbe l’esito affricato palatale intenso, di contro ad una probabile realizzazione con semivocale celata dalla prima606. In Fuscolillo hagio IIa 388.1, III 30.7, 40.3, 58.10 alterna con ho III 2.1, 34.7, IIa (+5) 102.1, 115.2, 170.4 (cfr. § V.3.1.8 e nn. 832 e 830). Ci si chiede se la grafia gi possa qui però, considerata la differente zona di provenienza del nostro testo, valere j607 e quindi, di contro al nap. aggio, leggersi ajo come nella zona mediana ed alto-meridionale; elemento del resto comune a tutti i territori ad oriente e a mezzogiono della linea Roma-Ancona, vale a dire dell’Italia mediana, è difatti la conservazione della semivocale non solo come esito di J iniziale e intervocalica (in cui sono confluiti DJ e G + vocale palatale, sviluppo che pare rispettato nel nostro testo: § V.2.2.13) ma anche di BJ e VJ608. S’è già detto del resto che Fuscolillo adopera solo in rarissimi casi la grafia gg609. Nel congiuntivo dei vb. ‘dovere’ e ‘avere’ si ha invece sempre la grafia latineggiante bi, talvolta scempia: debbiano II 54.15/debiano IIa 181.1, debia III 58.12; si aggiunga l’indicativo debiamo III 58.12; habia II 30.2, 30.6, III 31.7/habbia II (+4) 30.4, 54.4.7, IIa 69.2, 283.1, 322.1, habiamo III 27.7, habiano II 54.7, IIa 245.6/ habbiano II 53.2, 54.10, IIa 220610. 601 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 274. Cfr. DT, s.v Montescaglioso. 603 Ma si vedano anche montis caveosi e montis Scabiosu (ivi). 604 Cfr. § V.2.2.20. 605 Cfr. ayo, deya nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 372), hagio in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 53), aio/agio in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40), agio/ayo in Ceccarella e De Spechio (per una sintesi, si veda N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 181). 606 Per un’ampia rassegna sul polimorfismo del doppio esito da BJ nelle voci del vb. ‘avere’, con relative considerazioni sull’ipotesi di una loro specializzazione funzionale, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 237-8 e nn. 607 Secondo C. MERLO, Saggi linguistici, cit., p. 53, gj sta per j negli antichi testi mediani; cfr. anche P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 119 e n. 85 e G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli..., II, p. 142. 608 Cfr. U. VIGNUZZI, Il volgare nell’Italia mediana, in L. SERIANNI, P. TRIFONE, Storia della lingua italiana, Torino 1994, pp. 329-372, a pp. 337-8; inoltre F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 69. 609 Cfr. V.2.2.16 per i limitati casi di rappresentazione della doppia da -DJ-; non si legge mai l’affricata palatale intensa in Fuscolillo da -J-, a differenza della mano β: cfr. V.2.2.13. 610 Cfr. M. CORTI (a c. di). P. J. De Jennaro..., cit., p. CXXXVII. 602 Introduzione CXCIX Altre mani. Mano β. debia β2 237.6/debbia β2 237.6.19.22, debiano β2 237.4.6/debbiano β2 237.6.7.9; habbia β2 237.15, habbiano β2 237.10.12. V.2.2.18. Nessi di consonante + J: esiti di -SJ- e -SSJDa SJ, l’esito napoletano, comune ai dilaletti meridionali, è la sibilante alvolare sorda in luogo della palatale affricata della lingua letteraria611; la fricativa palatale è invece il normale sviluppo nei dialetti alto-meridionali612. Non è netta comunque la divisione fra i due sviluppi; nel romanesco, ad esempio, da una fase più antica con la sibilante alveolare sorda si passa presto alla sibilante palatale come nel toscano613. In Fuscolillo i due esiti si alternano nelle voci del vb. ‘bruciare’: abrusciar(e) III 39.2, brusciar(e) III (+4) 19.1, 43.3.4 (e brusciarla III 57.11), brusiar(e) I 94.2; abrusciaro III 43.2, adbruscero IIa 183.1/abrusaro I 97.14, adbrusaro IIa 177.4 e abbrusarno I 75.3; abrusciò IIa 385.2, adbrusiò I 78.3/abbrusao I 97.13; brusciata IIa 69.2, abrusiata IIa 27.1 (con si corr. su cz), brusiata I 78.3/brusata IIa 13.1; adbrusciavano III 43.2614. La medesima alternanza è anche in Perosa III 32.8/Perosia IIa 79.4, in cui la grafia si indicherà la sibilante palatale, più che essere un latinismo615. 611 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 287. La sibilante alveolare sorda domina nei testi napoletani sin dal ’300 (N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 182); cfr. ad es. basata, presone, presonia in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 201); basata, abrusa in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 54), presone, camisa in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40). Non mancano però eccezioni; si veda ad esempio, in De Jennaro bruso accanto a abruscia, abrusciar: M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXV. 612 Cfr. F. AVOLIO, BommèsprΩ. Profilo linguistico..., cit., p. 69. Per i testi di area mediana, si vedano ad es. nel Carteggio Vaianese abrusciare, abrusciata, camiscia; l’unica forma in sibilante sorda, camisa, appartiene alla mano di uno scrivente di origine meridionale: cfr. M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., pp. 74-5; in Bellezze, basciamo (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 120). 613 P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 120 e n. 87. 614 Per il valore fricativo della grafia si, si veda quanto detto al § V.1.10. e cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., pp. CXI e CXXVI. Per i riscontri del vb. ‘bruciare’, vedi sopra, n. 612. 615 Perosa si legge anche nei cosiddetti Giornali di Giuliano Passaro, ms. Branc. IV B 10 della Bibl. Naz. di Napoli, c. 71v (si cita direttamente da quello che è stato individuato da chi scrive, nel corso dell’attività di ricerca post-dottorato, come buon manoscritto, nell’accezione individuata da Bédier). Formentin invece segnala in Loise De Rosa il “dotto” Perusia accanto al “popolare” Perosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 247); anche per Savj-Lopez non c’è «nessun š da sj, come in più antichi testi» (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 40). Va tuttavia ricordata, ancora una volta, la differente provenienza geografica del nostro testo: Peroscia è attestato ad es. CC Nadia Ciampaglia Nelle forme raggruppate di seguito, invece, domina la sibilante alveolare sorda: pesone ‘pigione’ IIa 357.3 (e si aggiunga penone IIa 253.1, che si è preferito emendare, trattandosi verosimilmente di un caso di assimilazione grafica), il comunissimo presone ‘prigioniero’ I 39.1, 61.1, 95.4, IIa (+6) 101.4, 106.4, 110.5, III 24.2, 32.5 e ‘prigione’ III 21.5, 31.7, 48.12, p(r)esone I (+9) 61.1, 64.5, 73.1, p(re)sone I 13.3, 64.4, III 28.16, 30.21, p(re)soni III 13.5, 26.9, presonia IIa 256.1, presuni I 64.1, 78.1, IIa 27.1, 164.1, 103.6, p(r)esuni I 70.2, p(re)suni III (+8) 21.4.7, 31.1, pr<o>sone IIa 214.3. Si aggiungano il francesismo Loisi < ALOISIUS IIa (+10) 79.1, 79.2.4, III 26.13, 27.10, 27.11, Loise III 27.1, Loyse I 85.7, 99.2, Luise (+8) III 21.6, 24.2, 25.2, Luisi (+5) III 27.8, 28.2.14.25. A parte si pone la voce dotta ecclesia (t. +51) III 11.6, 13.2, 15.2, ecclesie (t. +19) II 11.1.2, III 12.6 in cui il nesso è sempre conservato. In arthesani IIa 306.1 < -E(N)SJANU, s potrebbe forse stare per [š]616, anche se è documentato l’esito con sibilante alveolare sorda per questo suffisso alquanto raro nell’Italia meridionale617. Da -SSJ- > [šš], secondo l’usuale esito dell’Italia meridionale618, in Campobascio < *BASSIUM III 55.1, 57.12, 58.6 e bassio I 94.3619. Dal nesso secondario < NE-IPSI-UNU, nesciuna II 35.5, 54.15, IIa (+4) 78.4, 88.1, 128.2, nesciuno II 35.12, IIa (+8) 2.5, 11.4, 85.5, nessciuna IIa 116.1 (con c nell’interlinea), nessciuno I 95.2, II 19.6, 37.4, IIa (+5) 78.2, 105.1 (con i inserita su u), 106.7 e nessiuno II 35.9620. Va a parte invece grassa ‘grascia, provvista alimentare’ (+23) IIa 2.2, 3.1, 4.1 etc. e ‘spezie di magistratura che vigilava all’abbondanza ed al giusto peso de’ mercati’ nel sintagma commissario de la grassa, IIa 2.1, 181.1, 302.1, in cui probabilmente l’esito è la sibilante alveolare sorda intensa621. nell’ant. dialetto perugino (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 287) ed è, ad es., in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 120). 616 Cfr. D’AMBRA, artisciano; si veda anche archibusi. 617 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 1071. Si veda ad es. in Loise artesane (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 246 e n. 690); artesano è attestato nel nap. ant. dal LEI 3, 1423-4. 618 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 288. 619 Cfr. bascio in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 54), ma anche in Aloisio e Rustico (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., pp. 77-8). 620 Cfr. ANDREOLI, s.v. nisciuno; G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 288; nisciuno in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 120); nisciuno/nissuno/nisuno nel Carteggio (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese...cit., p. 75). Per la grafia si con valore di sibilante palatale, si veda qui, § V.1.10. 621 Cfr. D’AMBRA, s.v. grassa. Formentin ritiene più probabile che queste voci derivino piuttosto da una base CRASSA, senza semivocale: cfr. qui, § V.1.1.10 e n. 270. Introduzione CCI Altre mani. Mano β. Da -SJ-, basar(e) β3 196.5, presone βң 34.3.5.9, β1 36.18, presuni β1 36.20; la fricativa palatale da -SSJ- è in nesciuna β1 35.5, β2 237.6.23. Da segnalare cagione622 β2 244.11, che non a caso compare nel paragrafo 244, di cui s’è già notata la natura letteraria; infine, da -E(N)SJANU, artesani β1 35.1. V.2.2.19. Nessi di consonante + J: esiti di -CJ- E -(P)TJL’esito in affricata dentale da CJ, comune in area meridionale allo sviluppo di TJ, era forse in passato più esteso rispetto alla distribuzione odierna, che vede come limite settentrionale la linea Salerno-Lucera623. Si consideri che nel napoletano antico e ancora fino al Cinquecento più diffusa era la presenza dell’affricata dentale laddove oggi si incontra l’affricata palatale e che gli esiti dentali prevalgono anche attualmente nei dialetti irpini e nel Cilento624. Questo sviluppo è ampiamente rappresentato nelle Croniche, tanto, a quanto pare, da interessare come s’è visto pure i nessi secondari cj di PL e CL (§ V.2.2.14). Di seguito l’elenco delle forme riconducibili, a vario titolo, a -CJ- > [tts]; si noti che davvero pochi sono gli sviluppi in affricata palatale, per lo più limitati alle scritture non spontanee625: adczoch(é) II 54.13/acciò IIa 69.2 (ma si tratta della copia di un bando: cfr. n. 582), III 31.3, braczio IIa 2.6, 342.2, Braczio III 43.6.7/Braccio III 42.1.3, cathenaczi IIa 20.1.2, cziò III 30.7, facze III 12.1626, faczie IIa 286.2/faccie III 13.3, Francza I 91.1, IIa (+4) 14.1.2, 26.1, Fra(n)cza I(+30) 75.1.6 (2 volte).8 (2 volte), II 16.1 (2 volte), IIa (+8) 2.6, 14.1, 26.3, III (+5) 19.2, 21.6, 24.3, Fra(n)czia I 51.1 (3 volte), IIa 27.5, Fra(n)za I 2.2, 78.2627, inter622 Cfr. invece in Loise, ad es., acchaisone (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 247). 623 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 275 e F. AVOLIO, Il limite occidentale dei dialetti lucani nel quadro del gruppo “altomeridionale”: considerazioni a proposito della linea Salerno-Lucera, «L’Italia Dialettale» 52 (1989), pp. 3-6 e 15-6. Per la possibilità che l’affricata palatale rappresenti lo sviluppo indigeno nel meridione secondo la tesi di Merlo, per il quale invece l’esito in affricata dentale avrebbe origine dalla confusione con i continuatori di TJ, si vedano ricapitolazione e considerazioni di V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 240 e n. 669. L’esito assibilato è evitato da Galeota, esteso invece in Ceccarella (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., pp. 53-4), ben documentato nell’Hist. Tr., in Loise De Rosa (facczio, faccze, lancze) e in Ferraiolo; in quest’ultimo, accanto a forme quali lanza, lanzate compaiono anche esiti palatali quali facie, bracio e bragia (cfr. N. DE BLASI, Campania...cit., p. 181). 624 Cfr. N. DE BLASI, F. FANCIULLO, La Campania, cit., p. 661. 625 Proprio la rarità di allografi con cc e la loro distribuzione nelle scritture non spontanee concorre nel far attribuire valore di affricata dentale alle grafie cz(i)/ccz(i); cfr. § V.1.11. 626 In tutta l’Italia meridionale questo lessema (< FACIE) presenta l’affricata palatale intensa (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 275), ma, fino al primo Cinquecento, a Napoli era invece diffusa l’affricata dentale; si vedano, ad esempio, facczie, faccze in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 241 e n. 672). 627 Per fra(n)czisi, che in realtà proviene da c postconsonantica seguita da vocale palatale, vedi infra e nn. 629-10. CCII Nadia Ciampaglia cziato IIa 128.14, la(n)cza IIa 84.2, III 28.28, la(n)cze II 19.3, III 32.10, lacza IIa 84.2, Laczalogna IIa 312.1, 353.3, 363.1, lacze IIa 313.3, Lanczalogna IIa 357.2, La(n)cza[logna] IIa 384.1, La(n)czalo(n)gna IIa 100.11, La(n)cziano III 48.22, Marczanisi I 90.1, ocze IIa 360.1, oncze IIa (+15) 22.1.2, 92.1, III 34.10, 40.3 (2 volte), o(n)cze II 30.4 (2 volte), IIa (+11) 53.1, 98.4.6, quartuczaro IIa 78.10/quartuciaro IIa 357.3, quartuczio IIa (+20) 22.1.2, 46.1, quartuczo IIa 44.3, 283.1, quarturzaro IIa 162.3, riczio IIa (+4) 16.2 (2 volte).3 (3 volte)/riccio IIa 17.1, torcze II 54.15, IIa 130.4, voccziaria IIa 162.2, ziò III 58.10/ciò III 13.4, zioè III 34.3/cioè I 97.13, 100.2, III 48.27, zò I 76.9, zoé I 58.2, 68.1, 103.1, II 20.8. Suffisso -ACEU: Caracziola I 7.1, 84.5, 85.9, IIa 134.6, III 51.7, Caraziola IIa 341.1, Caraccziola I 70.2, Caraczolo III 28.17. Suffisso -UCEU/A: Galluczio IIa 29.2, 128.13/Gallucio IIa 165.3, III 11.3, Petruczia I 8.1/Petrucia III 43.6, Petruczio IIa (+4) 2.8, 186.2, 194.3/Petruccio IIa 255.1. Si aggiunga lo sviluppo affricato dentale nel verbo fare faczio di β (cfr. n. 623). Non da CJ, ma da c postconsonantica seguita da vocale palatale, il cui esito nell’Italia meridionale e centrale è l’affricata palatale, così come in posizione iniziale assoluta628, abbiamo invece ancora l’affricata dentale di calcze IIa 344.1, porczi IIa 141.1.3, 154.1 (ma porcho IIa 78.10, 141.1.3), vacczina IIa 279.1/baccina III 27.20 (e baccine IIa 78.5). Per Rohlfs, «nel caso in cui invece di c il risultato è z...ci troviamo davanti ad influssi provenzali e francesi»629; nel nostro caso, però, la spiegazione potrebbe ricercarsi nella più estesa distribuzione dello sviluppo assibilato, che s’è già visto interessare gli esiti secondari di PL e CL (§ V.2.2.14). Va a parte l’isolato fra(n)czisi I 92.1/fra(n)cisi I (+34), II 16.1, IIa 14.1, III 20.1, 367.1: si veda quanto afferma Andreoli, s.v. francese: «più volg. franzese». Si spiegherà dunque per ipercorrettismo, se non non per assimilazione grafica alla consonante della sillaba successiva630, l’unica occorrenza fransese I 89.2 (per il resto, sempre francese). Si aggiungano infine admarcziava IIa 286.3 (fr. marcher), scanzellata IIa 69.2 (fr. chanceler), spaccziò I 93.13, spa[c]zati I 90.1 (prov. despachar), cartucze (fr. cartouche) IIa 388.1. Si aggiunga qui picczioli IIa 27.5 (per cui § V.2.2.22 e n. 657). Come s’è già detto, in Italia meridionale gli esiti di TJ coincidono con quelli di CJ, confluendo nell’affricata dentale; anche in questo caso sono pochissimi gli sviluppi in affricata palatale (cfr. sopra, n. 625): aco(n)cziò II 48.2, adco(n)czata IIa 123.1, adco(n)cziata IIa 274.1, adco(n)czate I 64.5, adco(n)cziar(e) IIa 123.1, adco(n)czi[a]va IIa 139.3 < * COMPTIARE, cacczero IIa 271.4, caccziato I 97.4 (ma cacciate I 66.1), cacziar(e) III 30.18/cacciar(e) IIa 104.2, 112.3 (e cacciaro III 32.3, cacciò IIa 68.2), ca(n)cziava IIa 104.4, il toponimo campano Capaczia I 628 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 265. Ivi. 630 Si legge invece, in Loise, sempre francese, francise, francioso (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 678, n. 242), franzesi in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 111). Una possibile assimilazione è forse in Piase(n)sia IIa 79.3, ma altri motivi spiegheranno invece palavisini IIa 79.2: cfr. qui, § V.2.22 e n. 654. 629 Introduzione CCIII 78.1, Capaczi[a] I 67.3631, come(n)cza II 1.1, III 1.1, co(m)mecza(n)do IIa 224.1, co(m)meczò IIa 124.1, co(m)me(n)cza IIa 355.1, co(m)me(n)czao IIa 257.1, co(m)me(n)czate IIa 162.3, co(m)me(n)czato IIa 256.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, co(m)me(n)czero IIa 40.6, co(m)m<e(n)>czao ctr. II 32.1, co(m)micziò II 36.2, co(m)mi(n)czaro I 103.4, croczia II 16.2, cu(n)czio IIa 108.3, incom(en)zaro I 78.6, inco(m)me(n)czato IIa 48.1, inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)me(n)czar(e) III 25.5, inco(m)miczò I 93.19, inpaczio II 35.9. L’esito affricato dentale è anche in come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14, incominsao I 4.1, income(n)sa(n)do III 6.1, i(n)come(n)sò II 20.9, i(n)co(m)me(n)sò III 7.4, in cui compare la grafia ipercorretta ns in luogo di nz (cfr. § V.1.11). Si aggiunga il gallicismo scurrucziato IIa 209.2 (fr. courroucier < * CORRUPTIARE), in cui pure la grafia avrà valore dentale (si veda sopra, scanzellata). Da RATIONE, attraverso il francese raison632, si ha raisone IIa 86.2, 110.2.3, rasone III 12.3/ragione II 30.4, rasoniava IIa 39.1, staisone II 32.1, 36.2, IIa 78.5, staisoni IIa 277.1/stagione IIa 219.1. Si noti l’alternanza con i due sporadici esiti toscani, giustificati nel primo caso senz’altro dal fatto che il paragrafo in questione è in realtà la copia di un bando emanato dal Cardinal Colonna nel 1531; per quanto riguarda invece stagione, non è da escludere che Fuscolillo stesse in qualche modo citando in modo indiretto i provvedimenti presi dal consiglio tenutosi a Sessa per provvedere, tramite l’istituzione di un monte di pietà per il grano, ai numerosi poveri in dfficoltà per la mala stagione che ène de la presente estate. Altre mani. Mano β. Nelle mani β1 e β3 si registra sempre l’affricata dentale: Galluzio β1 36.4, scaramuczavano β135.5, scaramucze β1 34.11, Fra(n)za β3 203.3, Galluczio β3 196.4, Petruczio β3 196.3. In β2 c’è alternanza delle grafie; in particolare, nel più volte citato paragrafo 244 si legge l’affricata palatale anche nelle forme del vb. ‘cominciare’, che in Fuscolillo presentano sempre l’affricata dentale: acciò β2 237.6, β2 244.24 (2 volte)/acziò β2 237.6, facce ‘faccia’ (sost.) β2 244.4, faccia (vb.) 210.1, braczio β2 40.14.15 (3 volte); cominciò β2 244.5 e incomi[n]ciato β2 244.15. Le cose cambiano però negli altri paragrafi redatti da β2: difatti, nella copia dell’atto relativo alla registrazione dei fatti miracolosi accaduti in una chiesa di Capua, β2 scrive invece inco(m)me(n)zato β2 237.3, ziò β2 237.3; solo qui, poi, si registrerebbe, stando la grafia, lo sviluppo affricato dentale nel verbo faczio633 β2 40.18. Mano γ : caczia 148.2, cartucze 152.2. 631 La base potrebbe difatti essere CAPATIU: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 248. 632 Cfr. A. VÀRVARO, Siciliano medievale ‘rasuni’ e ‘virasu’: -s- da –TJ-?, «Medioevo Romanzo», V (1978), pp. 429-37. Per i testi napoletani, si veda raione, raioniavano, staisune in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 248), raysone, raysune nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 375), staione, raion in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 54); rasione con il digramma si per la sibilante palatale in Ceccarella (ibid., p. 54). In area mediana, si veda rascione in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 119 e n. 81). 633 Anche per Formentin avranno valore di affricata dentale le forme del verbo FACERE che si leggono in Loise (facczio, facczo, facczoamo etc.): cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 241. Non si danno invece nelle Croniche esiti di PJ (e si vedano invece in Loise i problemi posti da sacczio, sacczo ‘so’: ibid., pp. 244-5 e n. 687). CCIV Nadia Ciampaglia V.2.2.20. Nessi di consonante + J: esiti di -RJ- e -LJIn Italia meridionale il nesso rj di -ARIUM, -ARIA ha risoluzione dialettale con dileguo della semivocale (-RJ- > r)634, laddove nella lingua letteraria si registra invece la perdita dell’elemento vibrante (-RJ- > j). Di seguito l’elenco delle forme, in cui è costante il primo sviluppo: ca(m)panaro IIa 39.2, cauczolari IIa 21.3, 170.2, cauczolaro IIa 23.5, 170.7, frebaro I (+13) 3.1, 9.1, 51.1, II 61.1, IIa (+18) 44.1.4, 50.1, ienaro I 50.1, II 55.1, III 56.4, iennaro I 81.1, 85.1, 107.1IIa, II 38.1, IIa (+4) 78.1, 80.1, 334.1, III 25.10, ie(n)naro I (+9) 18.1, 49.1, 74.1, II 21.8, 33.1, IIa (+15) 49.1, 51.1, 116.1, III 20.3, 49.1, marinari I 97.8, IIa 110.5635, migliar(e) I 93.7636, molari III 123.1 (di Balogno), murinari ‘mugnai?’ II 33.3 (2 volte)637, necessaro II 35.7/necessario IIa (+4) 28.2 (2 volte), 245.3, III 39.5, 48.8, natar(e) ‘notaio’ IIa 97.2 (con assimilazione grafica della protonica alla a della sillaba successiva), notar IIa 360.1, notar(e) II (+7) 53.7 (2 volte), 54.14, IIa (+18) 60.2, 65.1, 92.1 (e si veda infra per la conservazione dotta del nesso in notario), para ‘paia’ IIa 361.1, pare ‘paia’ IIa 3.1, par(e) II 54.8. IIa 212.2, 246.2, paro ‘paio’ IIa 24.1, 78.7, quartuciaro IIa 357.3, quartuczaro IIa 78.10, quarturzaro IIa 162.3, sostara ‘staio’ IIa 185.1 (2 volte) sostare IIa 283.1, 78.3, sostar(e) IIa (+6) 44.3, 45.1, 47.3, sostaro IIa 263.1, 279.1, 290.1638. Si aggiunga ferrari ‘fabbri ferrai’ IIa 120.1, 222.1 371.1639. Sarà invece da ADIUTOREM autoro ‘assistente’ IIa 221 2 (lo autoro...che dava ordine de fare venire...tutto quello che bisognava al mastro fo uno chiamato per nome Ioanfrancisco Russo). Il nesso è invece conservato nelle voci dotte raggruppate di seguito: (com)me(n)ssari IIa 180.2, co(m)messari IIa 301 3, co(m)messarii IIa 3.1, 285.1, co(m)messario IIa 2.1, (com)misario IIa 179.1, (com)missari IIa 6.2, co(m)missari IIa 300.3, 301.1, (com)missarii IIa 6.3, co(m)missarii IIa 301.4, co(m)missario IIa (+30) 11.1, 43.1, 76.1 e notario IIa 341.1640, necessario IIa (+4) 28.2 (2 volte), 245.3, III 39.5, 48.8/necessaro II 35.7, secretario 64.2.5. Si aggiungano infine monasterii I 103.7, III 8.1, 25.2, monasterio II 15.1, III 23.4, 26.7. 634 Analogo sviluppo si registra anche in Umbria e nel Lazio: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 284-5. Per l’oscillazione dell’esito a partire dal ’300, si veda lo spoglio offerto da N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 178. 635 Cfr. marinaro in P 1035 (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX). 636 Cfr. migliara in P 1035 (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX). 637 Cfr. mulinari in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIX e gloss., s.v, per il rimando al Cod. Cajet.). 638 Cfr. ANDREOLI, s.v. staro. 639 Cfr. ANDREOLI, s.v. ferraro; ferraro in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 32). 640 Cfr. comesario nel Carteggio (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 73). Introduzione CCV Si ha palatalizzazione del nesso641 nel diffusissimo verbo saglire642 e nelle forme raccolte di seguito: saglie(n)no III 39.10, 48.19, sallgliero IIa 177.3, 326.2; con grafia ll643, sallissa IIa 357.1, sallite IIa 299.1, salliva IIa 357.1, sallìo III 45.1, sallire III 39.12, sallir(e) III 39.12, salliro III 39.10; si aggiungano recollesse ‘raccogliesse’ IIa 327.3 e rocollesero IIa 327.1; inoltre, oglio IIa (+18) 44.3, 45.1, 47.3, olglio IIa 285.1644, balglìa ‘balìa’ IIa 341.1, valglìa IIa 360.1 (2 volte), vallglìa IIa 360.1, balglìa IIa 341.1 e probabilmente anche vallia (+8) IIa 337.1.4 (3 volte), 359.1, ballia III 34.8645. In vaglia ‘valga’ IIa 25.1 (2 volte) si può osservare la palatalizzazione della consonante finale del tema verbale, normale in toscano646. Qualche dubbio in più si pone per cavalliero III 34.9/cavalgliero III 21.6, 37.4.5, cavaliero III 54.3.5 e cavallieri III 21.7.8.12/cavalieri III 21.7 < CABALLARIUS, attraverso il prov. cavalier. 647 Si segnalano a parte Corillano ‘Ioa(n)ni d(e) Corillano co(n)te d(e) Corillano’ III 26.4 (2 volte) e Corgliano IIa 153.1, Corlgliano (feudo di) IIa 83.1. A Terranova di Sibari (prov. Cosenza), non lontano da Corigliano (si tratta infatti di Corigliano Calabro e non Corigliano d’Otranto), Rohlfs attesta LJ >ll (es. fillu, pillare)648. Per quanto riguarda Mo(n)tescaiuso ‘Montescaglioso’ III 24.3/Mo(n)tescaviuso III 641 Com’è usuale in Campania; in Umbria, Lazio e Marche predomina invece j, come grado ridotto di un precedente esito palatale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 280. 642 Il verbo si incontra facilmente in questa forma nei testi napoletani, sia in verso, sia in prosa: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., pp. CXXIX-CXXX; V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 52; per Loise De Rosa, cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 42 etc.; si veda inoltre la rassegna offerta da M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., pp. 77-8. 643 Per il valore palatale della grafia ll, cfr. § V.1.9. 644 Cfr. oglio in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 118); per Loise, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 78. 645 Di diverso parere è M. Corti, che considera vallìa in De Jennaro un caso di raddoppiamento; più in generale la grafia ll non avrebbe valore palatale, ma documenterebbe la tendenza a non palatalizzare il nesso, come in scapillate (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVIII e CXXX). Un fenomeno analogo si registra talvolta a Sora (C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 197); tuttavia, dati gli esempi sopra riportati, è indiscutibile che in Fuscolillo il nesso sia soggetto a palatalizzazione. Il passaggio LJ > ll è attestato da Rohlfs solo a Terranova di Sibari (prov. Cosenza): ad es. fillu, pillare (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 280). 646 L’uscita in -go di valgo, infatti, non è etimologica: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 534-5; ad es., vagliono ‘valgono’ in Di Falco (M. GRIPPO, a c. di, BENEDETTO DI FALCO..., cit., p. 99). Analogamente, si veda vegna ‘venga’: infra, § V.2.2.21 e n. 650. 647 Nel DELI, s.v. cavallo, si attestano le forme cavallere (av. 1098) e cavalliere (av. 1141). 648 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 280. A Corigliano d’Otranto la dizione in grico del toponimo è invece Coriiàana. CCVI Nadia Ciampaglia 25.8, s’è già detto che l’attuale toponimo offre una grafia gl non etimologica, da ricondurre probabilmente ad una reazione all’esito LJ > j dell’Italia mediana649. Altre mani. Mano β. Si verifica la palatalizzazione del nesso nel comune salgle(n)do β3 196.9; si aggiunga, inoltre, oglio β2 41.1. Lo sviluppo -RJ- > r è in febraro β3 203.1, β3 204.1; accanto ad aria β2 244.8, nella mano β2 si legge invece il letterario aere β2 244.10. Mano γ: notar(e) 148.6. V.2.2.21. Nessi di consonante + J: esiti di -NJ- e -GJIl nesso ha il normale esito nasale palatale diffuso in tutta l’Italia centro-meridionale (si vedano gli esempi riportati nel § V.1.8). Si segnalano qui, invece, ma(n)tegna IIa 207.2 (e vedi infra, mano β3) e vegna ‘venga’ IIa 64.2650. Più particolari sono le forme integno ‘intendo’ IIa 128.2, inte(n)gno IIa 131.1, 161.1 (sempre adoperato nella formula secundo io i.) e vegna ‘venda’ IIa 259.2, che sono però dal nesso ND (cfr. § V.2.2.25) e che qui si segnalano nella possibilità che la palatalizzazione sia o analogica su tegno o possa piuttosto in qualche modo ricondursi alla medesima opposizione già riscontrata per gli esiti di NG (logna vs. longa del napoletano)651; difatti, molti verbi con tema in d presentano una g anetimologica nel napoletano, come scenghΩ ‘scendo’, vènghΩ ‘vendo’ e ntenghΩ ‘intendo’: il nesso ng, in questo caso secondario, avrebbe dunque partecipato dello stesso sviluppo nasale palatale da NG652. Per quanto riguarda infine -GJ-, da PHRYGIUM, frisi ‘fregi’ IIa 128.14653. Altre mani. Mano β. L’unico esempio di palatalizzazione del nesso NJ in β sembra essere ma(n)tegna β3 240.2 (ma la g è stata corretta su una precedente n, e la n risulta inserita nell’interlinea) che alterna con ma(n)te(n)ga β3 230.5 (il titulus è stato segnato sulla e). 649 Si veda dunque § V.2.2.17 e n. 603. Per queste forme (come per vaglia ‘valga’: cfr. § V.2.20 e n. 646) andrà ricordato che vengo e tengo presentano in realtà un’uscita in -go non etimologica, mentre le forme vegno e tegno sono dell’antico italiano, originatesi in seguito alla palatalizzazione della consonante finale del tema verbale causata dalla j prodottasi nelle desinenze -eo /-io (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 282, 535, 534); si vedano, ad es., vegnono in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 18), mantegno, tegnerai in Galeota (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 82). Potrebbero dunque spiegarsi per analogia le forme iu(n)gneano, iu(n)gneva: cfr. V.2.2.15 e n. 581. 651 Per lo sviluppo NG davanti a vocale velare in Fuscolillo, si veda § V.2.2.15. 652 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 535. 653 Cfr. ANDREOLI, s.v. friso; friso è anche in Ferraiolo: CFR. R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v. 650 Introduzione CCVII V.2.2.22. Esiti di C davanti a vocale palatale Si leggerebbe un esito sibilante di C seguita da vocale palatale in palavisini IIa 79.2654 e forse anche co(n)serto ‘accordo’ IIa 100.2/co(n)certo IIa 79.2 (2 volte). Potrebbe invece spiegarsi per assimilazione grafica alla consonante della sillaba seguente Piase(n)sia IIa 79.3/Piace(n)sia IIa 79.1.3 (2 volte), con grafia ipercorretta ns, e Piace(n)cia IIa 79.1. Come si vede, queste forme si leggono tutti nello stesso paragrafo, in cui si raccontano sotto l’anno 1547 gli episodi di violenza accaduti a Piacenza, con l’uccisione di Pierri Loisi Flenese, figlio di papa Paolo III. Per quanto riguarda invece gli sviluppi di C postconsonantica davanti a vocale palatale, come in calcze IIa 344.1, porczi IIa 141.1.3, 154.1, fra(n)czisi I 92.1, s’è già detto che si potrebbe trattare di un’estensione secondaria del fenomeno dell’assibilazione di CJ, piuttosto che di un influsso francese, benché, va detto, il fenomeno interessi anche i francesismi admarcziava IIa 286.3 (fr. marcher), scanzellata IIa 69.2 (fr. chanceler), spaccziò I 93.13, spa[c]zati I 90.1 (prov. despachar), cartucze (fr. cartouche) IIa 388.1655. Sarà difatti un francesismo (ma davanti ad a) Riczardo (di Chiaromonte) III 25.8 (in altro contesto si trova invece Riccardo (s. Iacovo di Gaeta) III 32.7656. Vada qui anche l’unica occorrenza di picczioli IIa 27.5 (ma picchole I 76.7, picchola II 33.2, piccola II 62.1, picchola IIa 40.1, piccola IIa 16.4, piccolo IIa 16.2), in cui pure la grafia avrà valore dentale657. V.2.2.23. Dileguo di consonanti intervocaliche ed epentesi È frequente nei testi napoletani la caduta della consonante intervocalica latina o romanza, inserita come suono consonantico di transizione tra due vocali658: Cordua IIa 166.1, 200.1, fauretor(e) III 25.1, faurito IIa 207.3, fauriva IIa 369.2, hauto I 84.2659, iue(n)tù III 26.1, vituaglie IIa 4.1, victuaglia III 39.4, victuaglie IIa 179.1, III 48.17, victualglie IIa 302.1. 654 Nella strega Bellezze si legge cosina, in cui tuttavia «la grafia s dovrebbe celare una pronuncia palatalizzata» tenuto conto di cocina in Ursello (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 111). 655 Cfr. § V.2.2.19 e nn. 628-10. 656 Cfr. n. 287. 657 Si veda quanto già detto nel § V.1.11 e n. 295 e ss. Per riscontri, cfr. pizolo nell’ Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., 52.28), pizola (ibid., 76.5), pizolillo (ibid., 74.29); piczolo e pizolo si leggono nel Carteggio Acciaioli (N. DE BLASI, Tra scritto e parlato..., cit., II.2.8; II.5), pizuli e piczola in alcuni inventari di area lucana (A. M. COMPAGNA, Testi lucani del Quattro e Cinquecento..., cit., p. 51 e pp. 74-5); pizulo in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., gloss., s.v.; cfr. inoltre, ibid., pizirille). È invece letteraria la forma pìciuolo in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., gloss., s.v.). In Lupo De Spechio c’è pigiolo (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., gloss., s.v.). 658 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 339. CCVIII Nadia Ciampaglia Da PRAE(S)BYTER, accanto al plurale previti II 54.16, IIa (+13) 70.3, 179.1, 294.1 e previte IIa 322.2, con B > v, si leggono, con successivo dileguo della -v- secondaria, anche preite II 49.1, 54.15, IIa 315.2, 360.1 e preiti IIa 127.3, che sono pure dell’italiano antico660. S’è visto che il tipo prete si legge invece solo nella mano β ( cfr. § V.2.2.2/c e infra). Nei testi più antichi è usuale la caduta di d intervocalica; tale dileguo sarebbe rappresentato nel nostro testo esclusivamente in fei ‘feudi’ IIa 2.9, fiei IIa 369.1/fedo IIa 83.1, 108.2 (con -e- corretta su i), 153.1, III 34.8661 e Peimo(n)ti IIa 326.1. Dilegua la g in brea(n)tini I 91.2662, breogna IIa 20.1 (con scambio b/v e metatesi)/vregogna I 103.7, sbaoctito IIa 39.2, sbauctiti IIa 106.8. Si aggiunga magaczeo ‘magazzino’ IIa 265.3, 293.2, magaczei IIa 76.1, magazeii I 90.6 (cfr. ANDREOLI, s.v. magazzeno). Talvolta al dileguo di una consonante intervocalica segue lo sviluppo di una consonante epentetica per evitare lo iato: epentesi di v in seguito alla caduta di -g- in fravola II 63.1663; epentesi di g in fagor(e) II 49.3.5, IIa 80.1, 106.7, 110.4/favore III 51.2, favor(e) III 27.2, 58.6 e pagura664 IIa (+9) 27.4 (2 volte), 28.3.6, III 30.12, 35.3; treva I 93.5.6/tregua I 77.1, III 55.1, 59.4. Lo iato viene evitato mediante l’epentesi di -g- in Magomet I 57.1/Maumet I 26.1, 42.1665. Si registra assenza di epentesi consonantica nelle forme raggruppate di seguito: arruinero (< RUINA) IIa 252.1, duana (arabo diwan) I 93.7.8, Genoa (< GENUA) IIa 113.1.2, genoese I 87.4, IIa 42.3, 79.2, genoisi I 48.1, IIa 113.2, III 47.3, genoysi I 98.1, Genua I (+6) 48.1.2, 72.1, IIa 114.1, 191.1, III (+7) 26.1, 39.7, 47.2, genuisi I 13.1, genuysi I 98.1, ma(n)tuano (< MANTUA) II 21.5, Padua (< PADUA) IIa 60.3, ruina (< RUINA) I 659 Cfr. ad es. haute, (à) ’uto in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 108). 660 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 215. 661 Si vedano fio, fie in Loise De Rosa; un’ampia bibliografia della forma, da fiego dell’Hist. Tr. a feo di Rogeri De Pacienza, fino agli esempi di latino medievale campano (fevum, fegus) si può leggere in V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. II, s.v. fio, p. 773. 662 Cfr. briantino in De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 46). 663 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 217. 664 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 215 e 339; la forma, che è anche del toscano, è molto comune, ad es. in De Jennaro e in P 1035 (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXVIII), nei rimatori napoletani del ’400 (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit, p. 79) e nei testi in prosa, come l’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., gloss., s.v); l’esito si ritrova anche in testi non napoletani, come in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 109). 665 L’oscillazione Magomecto/Mahometto (e Mafometto, se non si tratta di errore) si legge anche in Lupo De Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit.., p. 204. Introduzione CCIX 103.7, II 35.2, ruinao IIa 26.5, ruinar(e) IIa 200.2, 258.3, III 38.3, ruinero IIa 201.1, ruinato I 104.2, vedua I 85.6. Per dicedocto, si veda § V.2.2.1/b. Si trattano a parte i casi di epentesi di nasale e vibrante (cfr. qui §V.2.2.28). Altre mani. Mano α: fravola II 62.1. Mano β: si noti, accanto a preite di β1 36 1, l’unica occorrenza, in tutte le Croniche, di prete β2 206.1. Assenza di epentesi in dohane β2 237.20 (2 occorrenze); la consonante intervocalica si conserva invece in tregua β1 35.3.4. Mano γ: faurir(e) 148.5; dileguo e successiva epentesi di g in fagor(e) 148.6. Il dileguo è anche in bria 148.5. V.2.2.24. Assimilazione e dissimilazione di consonanti. Una consonante iniziale di parola può assimilarsi alla consonante con cui inizia la seconda sillaba666, come accade nel diffusissimo ciciliano I 93.10; una traccia del fenomeno è anche nella scrizione Sicilia III 12.7, in cui la s- è in realtà corretta su un’originaria c. Altri casi di assimilazione, come penone IIa 253.1, mome I 20.2 e, in posizione intervocalica, amima II 54.16, saranno da intendersi errori di esecuzione grafica (e, come tali, sono stati emendati nel testo critico)667. È diffusa nell’italiano antico (Alagna < ANAGNIA)668 la dissimilazione di Ala(n)[g]io ‘Anagni’ I 50.1, Alagno IIa 309.1, Alagno III 25.7. Al contrario, non si produce dissimilazione nella forma dotta i(n)vininato ‘avvelenato’ I 5.2669. Per quanto riguarda i gruppi consonantici, l’assimilazione di sf > ff è in diffaceano III 27.20, diffacione III 33.4, diffacta III 49.1, diffacto III 36.2, diff<a>cto 51.12, diffida ‘disfida’ I 93.9, diffidero I 93.9 ‘disfidarono’. Per la liquida l + consonante si possono segnalare ad adcuni IIa 106.6670 e (conte) Abbe III 6.4671. Per a(m)bbi ‘alba’ e per l’assimilazione di vibranti e nasale in posizione pre-consonantica, si veda § V.2.2.26 e n. 709672. Altre mani. Mano γ: ciciliana 148.1. 666 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 331. Segnalo che Rohlfs registra però nel nap. il tipo mammino ‘bambino’, in cui la consonante iniziale si è assimilata alla m della sillaba successiva: G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 331; la forma dissimilata arma è invece in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 270 e D’AMBRA, s.v.). 668 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 328. 669 Cfr. veneno in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXX). 670 Cristofano Grimaldo correggerà l’assimilazione, scrivendo ad alcuni; cfr. § III.4.1. 671 Si aggiunga Albi (ducha de A.), (+ 20) IIa 11.4, 12.1, 13.1, Alba IIa 303.1, 315.2, 330.1, Abla IIa 326.1. 672 La forma potrebbe infatti ricondursi alla stessa tipologia di apparsse, morxe, Sorbbello, da un lato e a(n)ddare, ca(m)ppi, tro(m)bbette dall’altro, e motivarsi come falsa ricostuzione reattiva all’assimilazione di LB. 667 CCX Nadia Ciampaglia V.2.2.25. Nessi -ND- > nn, -MB- > mm, NV > mm L’assimilazione ND > nn, diffusa nel Mezzogiorno a sud della linea che va dal confine settentrionale del Lazio attraverso l’Umbria fino ad Ancona, con le note eccezioni rappresentate dai dialetti meridionali estremi673, è largamente rappresentata in Fuscolillo (con il relativo sviluppo di grafie ipercorrette nd in luogo di NN), così come accade in autori con poche pretese letterarie674. Si anticipa che l’assimilazione MB > mm appare invece sostanzialmente limitata a pochi casi, per lo più raggruppati nelle scritture non originali del primo e terzo libro, e mancano quasi del tutto, in questo caso, grafie ipercorrette; si direbbe dunque, che l’assimilazione di ND sia più antica675. Di seguito l’elenco delle forme con ND > nn: arriva(n)no IIa 104.3.4, 128.11/arriva(n)do IIa 128.11, ba(n)na I 96.5, II 60.1, IIa 110.5, 200.2 (2 volte), III 28.8, 50.5, 51.1/banda I 95.12, ba(n)ne I 103.1, IIa 162.1, 170.2/ba(n)de I 106.1, ba(n)nera IIa 224.1, III 7.6, 11.5/ba(n)dera II 16.2, IIa (+5) 128.9 (2 volte), 239.1, III 58.1 [e ba(n)dere II 23.4, III (+4) 28.14.15 (2 volte), 29.2, ba(n)der(e) III 29.3], banni IIa 301.3, ba(n)ni IIa 31.4, 85.2, 185.1, ba(n)no II (+5) 28.1.2, 30.2, IIa (+14) 2.5, 68.3, 69.1, banno IIa 259.1, ca(m)mine(n)no IIa 154.1, ca(n)ta(n)no IIa 70.1, co(n)ta(m)mine(n)no IIa 80.1, co(n)nuta ‘condotta’ I 94.24 (cfr. glossario), dice(n)no III 27.15/dice(n)do III (+4) 9.3, 27.6.8, do(n)ne e < DE UNDE II 34.1, donn III 39.11, do(n)ne (+80) III 11.4, 17.5, 19.10, don(n)e III 50.4/donde II 46.2, dubita(n)no IIa 135.2, diffide(n)nose IIa 136.1, essenno III 39.9, esse(n)no III (+4) 29.2, 37.2, 39.5/essendo III 56.1, e(sse)ndo III 37.4, 57.13, esse(n)do III (+6) 7.6, 21.7, 27.7, face(n)no IIa 165.3, 208.5, 673 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 253. L’assimilazione dei nessi -ND- e -MB- non sarebbe ovunque indigena nell’Italia centro-meridionale; attribuita al sostrato osco, è in realtà fenomeno più tardo, il cui centro di irradiazione sarebbe stato l’Italia mediana: cfr. A. VARVARO, Capitoli per la storia linguistica dell’Italia meridionale e della Sicilia, I. Gli esiti di -ND-, -MB-, «Medioevo Romanzo», 6 (1979), pp. 189-206. 674 L’assimilazione di ND, ad esempio, non si trova mai nelle rime di De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXX) ma è ampiamente attestata in Lupo De Spechio e Ferraiolo (cfr. N. DE BLASI, Campania...cit., p. 180); è limitata invece solo a pochissime forme in Loise, senza alcun esempio di restituzione ipercorretta del nesso (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 223-4). 675 Una asimmetria esattamente speculare (con rappresentazioni dirette e più numerose dell’assimilazione del nesso -MB- e sviluppo di relative grafie ipercorrette, di contro alla totale assenza di false ricostruzioni del nesso ND, con assimilazioni limitate a pochissimi esempi, si trova invece in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 228); l’ipotesi che ne consegue è che a Napoli l’assimilazione del nesso MB si sia diffusa prima di quella del nesso ND (ivi, p. 229). In effetti, l’assimilazione di ND manca nel napoletano fino almeno al XV secolo (N. DE BLASI, Campania..., cit., pp. 180-9); l’unica attestazione è offerta dai Bagni di Pozzuoli, poemetto trecentesco per il quale Formentin avanza però l’ipotesi di un rapporto con aree mediane e con l’ambiente linguistico culturale espresso dai Disticha Catonis di Catenaccio di Anagni: cfr. V. FORMENTIN, Dei continuatori del latino ILLE in antico napoletano, ««Studi Linguistici Italiani», 20 (1994), pp. 40-93 e 196-233, a p. 212, n. 175. Introduzione CCXI 301.3/face(n)dose IIa 128.5, Fu(n)ni III 27.2, 54.3/Fu(n)di III 6.4, 25.7, 30.11, gra(n)ne II 42.2, IIa 16.1, III (+12) 12.5, 25.3.4/gra(n)de I (+13) 29.1, 48.2, 52.3, II (+4) 19.3.8, 34.1, IIa (+30) 25.2, 27.4 (2 volte), 28.3, III (+13) 8.1, 9.4, 11.3, gra(n)di III 21.1, grida(n)no III 13.5/gridando III 30.3, have(n)no IIa 337.2, III 47.3/havendo III 28.23, in(con)tra(n)no III 30.6, Minnocza ‘Mendoza’ IIa 242.1/Mi(n)do(n)cza IIa 259.1 (e Midocza IIa 112.1, Mido(n)cza IIa 249.1), naviga(n)no III 39.1, lege(n)na IIa 70.7, paghe(n)no IIa 313.1, passa(n)no III 51.10/passando III 59.2, passe(n)do IIa 128.10/passe(n)no IIa 40.3, 385.2, pe(n)neva IIa 110.3, piglia(n)no IIa 11.4, porta(n)no III 27.10, prega(n)no IIa 193.1, 215.3/prega(n)dolo IIa 130.3, probe(n)na ‘prebenda’ IIa 49.1, q(uan)no III 33.3, 34.5/qua(n)do (+37) II 16.1, 18.2, III 18.1, q(ua)n(d)o III (+5) 3.1.2, 25.3, qua(n)do III (+4) 18.1, 24.2, 27.17, regratia(n)no IIa 130.3, respo(n)de(n)noli IIa 162.4, saglie(n)no III 39.10, 48.19, se(n)te(n)no III 46.4, 48.10/se(n)te(n)do III 28.25, 48.2.7, si(n)nici IIa 245.5/sindici II 53.1, 55.2, si(n)dice IIa 128.11, sindici IIa 98.8, 130.5, 186.2, si(n)dici II 46.2, 55.2, IIa (+23) 23.3, 100.4, 106.2, si(n)dicii IIa 325.1, si(n)nico IIa 170.7/si(n)dico II 59.5, IIa (+11) 18.2, 53.2, 98.8 [e sidici II 53.7, IIa (+15) 30.2, 66.4, 97.2, sidico IIa (+11) 21.3, 94.1, 100.5; per sinicho IIa 213.1, 287.2 e sinici IIa 245.1, cfr. infra], sone(n)no IIa 342.2, sta(n)nardo IIa 128.9/sta(n)dardo IIa 104.1, stendardo IIa 16.2, sta(n)no III (+5) 28.5.24, 32.3/sta(n)do III 9.2, ste(n)ne ‘stando’ IIa 104.5676, taglia(n)no III 50.2, tene(n)no III 48.19, u(n)sscenno IIa 196.2, vedenno III 39.8, vede(n)no IIa 27.4, 128.10, III 31.6, 46.3, 54.2/vedendo III 35.1, vedennose III 29.3, vede(n)no I 78.4.7/vede(n)do I 5.3 (e vende(n)no ‘vedendo’ III 28.17, forse per confusione con vende ‘venne’), ve<ne>(n)no IIa 128.2, ve(n)nuta ‘venduta’ IIa 22.1, 92.1, ve(n)nuti ‘venduti’ IIa 110.5, 224.1, vennuto ‘venduto’ IIa 31 2, ve(n)nuto (+14) 22.1.2, 31.2, vive(n)no IIa 367.2, vole(n)no III 27.16. L’assimilazione investe anche il latino pete(n)na(m) IIa 70.1. Numerose sono le forme ipercorrette con nd in luogo di nn677, a manifestare una resistenza verso lo sviluppo ND > nn che durerà molto a lungo678. Di seguito l’elenco delle forme: Colo(n)da I 90.2/Colonna I 93.7, Colo(n)na I (+5) 95.14, 96.7, 97.6, II (+6) 20.1.10, 21.6, IIa 2.5, 385.2, colo(n)dello I 106.4, II 23.4, colo(n)de(n)do I 106.1679/colonello II 23.4, IIa 11.2, 294.3.6, Colo(n)disi I 102.3, 103.6, II 20.1.9/Colo(n)nisi II 20.5, Mado(n)da IIa 239.1 (con d corr. su n)/Ma(d)do(n)na IIa 239.1, Mado(n)na IIa 70.1, 126.2, ma(n)dese ‘falegna- 676 Per questa forma sarà opportuno riportare il contesto: «et ipso (Cristo) ste(n)ne adsectato ad una seddia regale, llà ’na(n)ti ussciano tucti li Sa(n)ti Patri, et ongniuni de lloro decevano el dicto suo d(e) tucto quello ch(e) havevano p(ro)feticziato ’na(n)ti ch(e) fosse venuto (Cristo)». Cfr. staenno, daenno nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese..., cit., p. 68); staienno nella Cronica dell’Anonimo Romano (P. TRIFONE, Roma e il Lazio, cit., p. 118) e nel diario del notaio di Nepi (ibid., p. 133). 677 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 237. 678 Perende si legge infatti in un testo salernitano del 1764 (edito in P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 288). 679 In questa forma il secondo nesso nd potrebbe essere una grafia ipercorretta reattiva all’assimilazione LD > ll; il titulus potrebbe quindi celare una scrizione colo(n)de(l)do. Per l’assimilazione LD > ll, particolarmente diffusa nella Campania settentrionale, si veda § V.2.2.10 e n. 515. CCXII Nadia Ciampaglia me’ < MANUENSIS II 45.1, IIa 107.7, 125.2, ma(n)disi IIa 125.2/ma(n)nese II 40.1680, prevenerra(n)do II 53.2, Rave(n)de II 13.2, ’Sca(n)dio (Ascanio Testa) IIa 129.1/Ascanio (Maria Sforza) I 28.1, Adsca(n)nio (Colonna) I 102.1, tira(n)dia III 27.14/tira(n)nia III 26.14, trovarra(n)do II 54.7/trovarra(n)no II 53.4, Tu(n)disi III 38.5, vende I (+18) 6.1, 15.1, 16.2, 25.1, 29.1, II 20.12, IIa (+4) 12.1, 214.4, 348.1, III 41.2/venne IIa (+5) 60.1, 76.1, 195.1, III (+18) 17.4, 27.10, 30.2, ve(n)de I 5.4, 56.3, II 14.1, IIa (+12) 4.1, 38.1, 67.1/ve(n)ne IIa (+57) 2.1, 2.3 (2 volte), 9.1, III (+12) 7.1, 9.4, 21.1, ven(n)e III 47.2, 51.11, vendero ‘vennero’ I 65.1, 90.3, 92.5, II 35.8, III 9.3, IIa 3.1, 215.2, ve(n)dero I (+4) 90.1, 91.10, 94.2, II (+7) 19.3, 20.1, 23.1, III (+4) 7.2, 28.8, 48.1, IIa (+24) 5.1, 19.1, 57.1 (2 volte), ve(n)<d>ero I 108.1IIa, vendero III 9.2/ve(n)nero I 101.1, III 11.5, 48.7, 57.14.16, IIa (+8) 13.2, 110.6.7; da queste forme si sarà originato anche vendedo ‘venendo’ I 97.3/vene(n)do I 18.1, 49.1, 95.9, III (+5) 26.8, 30.3, 34.2; verra(n)do III 59.5. La resistenza verso l’assimilazione di ND è rivelata anche dalla retroscrizione di secu(n)do IIa 128.2, in cui la d risulta corretta su n. Nelle forme del vb. ‘andare’ non si realizza mai, invece, lo sviluppo ND > nn (cfr. infra, § V.2.2.26). Nelle zone altomeridionali la NN primaria e secondaria può passare a n681: granani ‘grandine’ II 19.4, IIa 39.2682, nasconea II 33.3, sinicho IIa 213.1, 287.2, sinici IIa 245.1683; si aggiunga qui Arano ‘Arando’ IIa 30.3. Sono già state segnalate, infine, le forme integno ‘intendo’ IIa 128.2, inte(n)gno IIa 131.1, 161.1 e vegna ‘venda’ IIa 259.2684: se non si tratta di un rifacimento analogico su tegno, esse andranno spiegate a partire da un nesso NG, secondario (si considerino i verbi vènghΩ ‘vendo’, ntenghΩ ‘intendo’ con g anetimologica685), che in questa area, come s’è visto, ha uno sviluppo nasale palatale (es. logna vs. longa del napoletano)686. Lo sviluppo MB > mm è diffuso in quelle stesse zone dell’Italia meridionale in cui si è avuto il passaggio ND > nn687. Come s’è detto, in Fuscolillo l’esito appare però sostanzialmente limitato a pochi casi, per lo più raggruppati nelle scritture non originali del primo e terzo libro; una situazione, dunque, ben diversa da quella precedentemente vista per gli esiti da ND: bo(m)marde III 53.3/bo(m)barde I 48.2, bu(m)barde I 65.1, 65.1, bu(m)b[ar]de I 95.12 (e bo(m)barda I 48.3), (com)macteo III 19.9, co(m)macteo III 39.2, co(m)mactero III 21.3/co(m)bactero III 11.4 (e co(m)bacte(n)do I 17.1), inmassator(e) I 56.1/inbassator(e) I 680 Cfr. D’ASCOLI, s.v. Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 237 e 253. 682 Cfr. nap. rànΩlΩ, pugl. grànΩnΩ, abruzz. grànΩlΩ (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 237). 683 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 253 e ANDREOLI, sinneco, s.v. 684 Cfr. qui, §V.2.2.21 e n. 650 e 652. 685 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 535. 686 Cfr. qui, § V.2.2.16. 687 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 254. 681 Introduzione CCXIII 88.6, II 14.1, imbassciator(e) III 37.7, Piu(m)mino I 106.4/Piombino III 48.23. Si può aggiungere forse anche morchato ‘broccato’ I 71.2, che verrà probabilmente da una forma con prostesi, garantita del resto da imborcato IIa 16.4, 17.1.2, con successiva assimilazione del nesso secondario mb >mm (nelle altre occorrenze, borcato IIa 16.3, borchato IIa 16.2). Nelle scritture originali c’è solo palu(m)mi IIa 78.6.7, cui si può forse aggiungere anche ga(m)me ’gambe’ IIa 371.1, che è stato però espunto (cfr. apparato)688 e l’esito, cristallizzato nel toponimo, Ga(m)mafence II 53.2. L’assimilazione di MB sembrerebbe dunque estranea alla lingua di Fuscolillo. L’unica grafia ipercorretta di MB si legge in a(m)borbata II 20.14/a(m)morbò II 20.14689; la notizia, benché inserita nel secondo libro, è relativa al 1526 e non appare spontanea ma dipendente da fonte (nel punto in questione, inoltre, il riferimento è alla città di Napoli). Si può dunque concludere che, in modo esattamente opposto alla situazione napoletana, a Sessa Aurunca l’assimilazione di MB > mm, a differenza di ND > nn, non sembrerebbe ancora diffusa. Si aggiunga a questo il fatto che, invece, il nesso MB sembrerebbe partecipare di un’assimilazione regressiva, con sviluppo bb, nella parola trobbecta, trobbecte, tro(m)bbette etc., parallela ai tipi addò, addare, a(n)ddare (cfr. § V.2.2.26): potrebbero allora essere reattive a questa assimilazione he(m)be I 58.1 e dessa(m)bitò I 29.1 (da B > -bb-)690; si noti che in entrambi gli esempi riportati, le grafie ipercorrette compaiono nel primo libro. Allo sviluppo MB > mm partecipa in Italia centro-meridionale anche il nesso NV, che in una prima fase è diventato mb691, ma in Fuscolillo, così come s’è appena visto per il nesso MB, l’assimilazione appare limitata a pochissimi casi: co(m)mito ‘convito’ IIa 216.1, co(m)mitò IIa 216.1, III 48.17692; si aggiunga infine inmerczo ‘inverso’ IIa 252.3, adoperato però nell’espressione cristallizzata: li scortecava ad pilo inmerczo693. Altre mani. Mano β. Lo sviluppo ND > nn è in banno (+14) β2 237.1.2.4.6.19 (2 volte).20 (2 volte).22.23, β2 236.1, β3 229.1 (2 volte), ba(n)ni β1 36.1, ba(n)nir(e) β3 229.2, ba(n)nito β3 229.1, ma sembra sopravvivere solo perché ormai cristallizzato nel lemma: mancano infatti completamente controesempi. Si aggiunga poi il connettivo do(n)ne ‘donde’ β1 34.5.9, 688 Compare infatti nell’espressione star(e) in ga(m)me, poi corretta dallo stesso Fuscolillo in star(e) in pedi. Questo il contesto: «Galeacio Florimo(n)te d(e) Sessa, lo q(u)ale no(n) poteva far(e) lo officio p(er)ch(é) era vecchio decrepito et no(n) poteva star(e) in pedi». 689 Per il fenomeno, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 236. 690 Per la possibilità che esse siano dovute, come s’è già anticipato (cfr. § IV.1, nn. 1878), a dissimilazione, secondo il tipo menzo, cfr. §§ 2.2.27 e V.2.2.28. 691 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 254. 692 Cfr. ANDREOLI, s.v. cummito; cfr. anche G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., ibid., cummitare ‘convitare’. A Sora, mmitΩ ‘invito’, mmΩtá (C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 215). 693 Cfr. D’AMBRA, s.v. mmierzo; qui è attestata l’espressione spennare a pilo mmierzo (Martuscelli, 1714). CCXIV Nadia Ciampaglia β1 35.4. Difatti, l’assimilazione non si produce mai nei gerundi, dove è invece ampiamente presente, come s’è visto, in Fuscolillo: dice(n)do β2 244.17, face(n)dose β2 237.23, have(n)do β2 244.11, inte(n)de(n)do β2 244.18; vi si potrebbe obiettare che questi esempi si leggono tutti nel paragrafo 244, che è tratto da una fonte che non pare locale; qui, del resto, non si trova mai l’ipercorrettismo di ND in luogo di nn, che dovrebbe essere comune ad esempio in colo(n)na β2 244.12.14.23. A questi esempi vanno però aggiunti anche quelli tratti da β3, che scrive un’annotazione spontanea: sce(n)de(n)do β3 196.10, sci(n)de(n)do β3 196.7. La forma ipercorretta si legge invece solo nel paragrafo redatto da β1, che narra i più volte ricordati episodi dei tumulti scoppiati a Napoli ai tempi dell’Inquisizione nel 1547: sca(n)dar(e) β1 34.6/sca(n)nar(e) β1 34.5. Non c’è assimilazione di MB in ga(m)ba β2 40.14.16. Mano γ. sca(n)naro ‘scandalo’ 149.1. V.2.2.26. Assimilazione di vibrante e nasale in posizione preconsonantica e problemi di omissione e scioglimento del titulus. In questo paragrafo si riaffrontano in modo più completo questioni solo in parte accennate nei criteri di edizione, come quelle relative all’assenza e/o allo scioglimento del titulus, in alcuni casi apparentemente usato in modo abnorme, ma forse piuttosto indicativo di (e reattivo a) fenomeni di assimilazione (cfr. § IV.1). Iniziamo con gli esiti della vibrante, di cui è frequente, come s’è già visto, la dissimilazione fino al dileguo (es. propio, dereto: cfr. § V.2.2.7). L’assimilazione in posizione preconsonantica694 è rappresentata in ceccha(n)no II 23.4; si aggiunga rp>pp in stroppiati IIa 40.2.9, in cui si è prodotta anche metatesi695. Si è già visto che molti esempi di omissione di r in posizione preconsonantica, più che dovuti ad errore di esecuzione grafica, sono in realtà segnale indiretto di assimilazione con la consonante seguente, benché il fenomeno non sia in questo caso segnalato da raddoppiamenti (si vedano, ad es., i tipi amata, quattodici, mecata(n)cia etc.: cfr. § V.2.2.7). Abbiamo traccia infatti di tali assimilazioni nelle retroscrizioni di alcune forme: archi I 97.9 (che presenta la r corretta su c e che quindi in origine era scritta acchi); archo (retr. accho) IIa 99.2, cerchare IIa 298.1 (retr. cecchare), cerchi IIa 279.2, merchato (retr. mecchato) II 24.1, arbritrio II 30.4 (retr. abbitio, ovvero prima r nell’interlinea, seconda corretta su b, la terza nell’interlinea); La tendenza è confermata anche in β (ad es., invarcaro β1 36.12, con r corretta su un’originaria c, retr. invaccaro: cfr. oltre). Sono già stati segnalate, inoltre, come particolarmente significative, le forme Sorbbello IIa 200.2, morxe ‘morì’ III 30.12 (in cui x indica con tutta probabilità la geminata: vale dunque morsse) e apparsse II 26.1/apparse II 25.1, 31.2.3, appa<r>se II 25.1, che, dal punto di vista funzionale, appaiono identiche ad a(n)ddò, ca(m)ppi, tro(m)bbetta etc. di cui si parlerà tra breve, trattando i casi di assimila694 Cfr. esscopesse ‘scoperse’, muocczo ‘morso’ in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 43). 695 Cfr. ANDREOLI, s.v. struppio «e più comun. storpiato e stroppiato». Introduzione CCXV zione delle nasali preconsonantiche: si anticipa che in queste ultime il raddoppiamento della consonante post-nasale non può essere interpretato come rappresentazione del suo grado medioforte, ma è stato molto probabilmente originato dal medesimo meccanismo che ha prodotto le prime; meccanismo che, per quelle, possiamo osservare direttamente. Difatti, le retroscrizioni originarie in quel caso sono: Sobbello IIa 200.2, con r inserita successivamente nell’interlinea: Sorbbello moxe (che vale mosse) con r nell’interlinea: morxe = morsse; appasse, con r inserita nell’interlinea tra a e s: apparsse. Si può dunque anticipare che le forme Sorbbello, morsse e apparsse, relative indiscutibilmente all’assimilazione di r preconsonantica, perché originariamente scritte Sobbello, moxe (mosse), appasse, rappresentano probabilmente un meccanismo analogo a quello dell’assimilazione della nasale preconsonantica offerto dai tipi a(n)ddò, ca(m)ppi, tro(m)bbetta, in cui le scrizioni originarie, con l’assimilazione iniziale, sarebbero rappresentate indirettamente dai documentati addò, addare, trobbetta etc. Il rapporto si può visualizzare in questo modo: Sobbello : trobbetta = Sorbbello: tro(m)bbetta L’unica differenza è che Fuscolillo non ha inserito in trobbetta per esteso la nasale nell’interlinea, come nel caso di r, data la possibilità di rappresentare, molto più rapidamente (ma, proprio per questo, in un modo ovviamente non altrettanto e direttamente visibile) la n con il titulus. Per i tipi addò, addare, a(n)ddare etc., si veda infra. Si registra assimilazione mp > pp in roppìo I 100.2 (2 volte) e in roppero I 96.6.8, che probabilmente non è la forma forte del perfetto, considerate anche le altre occorrenze in cui compare sempre il titulus: ro(m)peo I 93.6, ro(m)pero I 95.1, ro(m)pìo I 77.1, 100.2696. La nasale finale si assimila alla consonante iniziale di parola successiva in co llo II 20.12, co mmulte III 1.1 e i llo I 96.6, IIa 22.1697. L’assimilazione, ovviamente, si è prodotta anche laddove non è rappresentata graficamente dal raddoppiamento della consonante successiva (ed in tal caso è stata indicata con il punto in alto: cfr. § IV.1; un medesimo meccanismo s’è già visto ad esempio per il tipo mecatancia, considerato mercato < retr. meccato): 696 L’assimilazione mp > pp si incontra isolatamente secondo Rohlfs, che segnala il calabrese ruppìre o rùppiri e il romanesco roppe ‘rompere’ (ID., Grammatica storica..., cit., § 257); roppere compare anche nel. ms. Rossiano dei Bagni (N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 181). 697 Cfr. ad es., com multi in Lupo (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 206); bel lo in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXX). CCXVI Nadia Ciampaglia co. certo IIa 28.5, co. gra(n)de II 19.3, co. la IIa 335.1, 368.2, 379.1, co. lo IIa 128.5.6, III 11.4, co. l<o> IIa 6.4, co. le IIa 10.1, 152.2, co. multo IIa 104.5, i. dì II 24.1, IIa 37.1, 55.1, i. dicta II 54.8, i. la signoria III 23.3, i. la II 19.11, i. lo giorno IIa 346.1, i. loco IIa 19.2698, i. questa IIa 19.2699, i. quisto libro IIa 388.1, i. Sessa II 20.13, 21.4, no. fo IIa 119.5, no. le IIa 170.4. L’assimilazione tra la nasale e la consonante successiva si verifica inoltre nel già citato czaccha < PLANCA IIa 78.2 e czacch(e) IIa 162.3, 228.3; la forma nelle altre occorrenze ricorre però sempre con il titulus, che si è sciolto per prudenza in n: cza(n)che IIa 53.1, czia(n)che IIa 357.3, cia(n)che IIa 253 1, cza(n)che IIa 53.1, za(n)che IIa 283.1, zia(n)che IIa 162.2. Da quanto sopra detto, l’assenza della nasale in cziach(e) IIa 357.3 potrebbe pure, più che indicare l’omissione del titulus per semplice lapsus, essere una traccia dell’assimilazione cui la forma è palesemente soggetta, secondo la fenomenologia che si è già mostrata per il dileguo di r preconsonantica (in cui sarebbe rivelata da scrizioni precedenti o dai tipi co. certo etc.). È dello stesso tipo l’assimilazione di adchora ‘ancora’ IIa 118.3, 130.4, in cui ad è usato in realtà ad indicare il raddoppiamento della consonante successiva. Si aggiunga inoltre nt>tt in corpoletto III 12.1, settencia, che però rappresentano «la forma della tradizione napoletana e vive ancora oggi»700, e costituiscono dunque un caso differente da adpu(n)ttature IIa 388.1, in cui il titulus (come anche nei già citati tipi Sorbbello, apparsse da un lato, tro(m)bbette, ca(m)ppi dall’altro e infra, per a(n)ddò, a(m)bbi etc.) è stato aggiunto probabilmente per reazione all’assimilazione a cui inizialmente si era ceduto (cfr. § IV.1). E arriviamo al più spinoso, come già anticipato (cfr. § IV.1), problema posto dalle scrizioni adao, addò, a(n)ddò, trobbetta, tro(m)bbetta, etc. Poiché la questione riguarda innanzi tutto l’uso del titulus e la sua eventuale omissione o, al contrario, uso abnorme, sarà bene partire proprio da questo. L’omissione del titulus o di n/m è fenomeno frequentissimo nelle Croniche. Segnalo nell’elenco seguente le forme in cui l’assenza della nasale preconsonantica potrebbe essere dovuta ad un semplice lapsus, piuttosto che tradire un’assimilazione (come nel caso di cziache/ czacche); come che stiano le cose, si può comunque rilevare in prima battuta una difficoltà di scansione del nesso nasale +consonante701 (e si veda, dal lato opposto, lo speculare sviluppo di nasali epentetiche (cfr. § V.2.2.28), magari correlata ad una inadeguata percezione fonetica soggettiva, non accompagnata da familiarità con una norma scritta: 698 Ma si tratta di una notizia espunta: cfr. apparato al testo. Cfr. nota precedente. 700 Cfr. S. GENTILE, Postille ad una recente edizione..., cit., pp. 100-1. Si vedano settencia, fatte ‘fante’, infatte etc. in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 270), settencia in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 201), settencia, sentencia, sentecia in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit, gloss., s.v. sentencia). 701 Per questo motivo si è preferito naturalmente adottare norme conservative e non ripristinare mai la nasale (cfr. qui, § IV.1). 699 Introduzione CCXVII ado(m)madavano IIa 369.1, adredevano IIa 13.1, Agelo IIa 370.3, Ag(e)lo IIa 370.1/Angelo III 32.6, A(n)g(e)lo IIa 7.1, III 6.2, 9.2, Ang(e)lo IIa 20.1, 302.1, III (+6) 6.2, 26.4.9, Aguillara IIa 26.2, Atonio I 36.1/Ant(oni)o III (+10) 27.2 (2 volte), 30.21, 31.3, carmeligo III 53.5 ‘camerlengo’/ca(m)merligno III 25.4, ca(m)merligno III 25.4, ca(m)melliagno I 91.9 (cfr. n. 585), Cataczano III 22.1, cetilomini IIa 65.1, co(n)tetavano IIa 2.11, decebro IIa 198.1, 262.1, 292.1/dece(m)bro IIa (+11) 13.1, 44.1, 77.1, Ferrado I 95.1.5/Ferrando I 96.6, Ferra(n)do I 93.18, 99.2, Ferrate I (+6) 32.1, 38.1, 71.1/Ferrante III 51.6, Ferra(n)te I (+51) 20.2, 22.1, 24.1, III (+5) 2.2, 50.2, 51.11, cichomilia II 19.3, ciquece(n)to II 20.11, IIa 352.1, ciquo II 33.2/cincho702 IIa 119.7, 163.2, cinco III (+5) 32.7, 40.2, 47.1.4, cincho IIa 119.7, ci(n)quo I 77.1, IIa (+4) 120.1, 172.1, 238.1, cinquo II 30.4, 32.2, 36.1, III 23.3, 24.1, IIa (+14) 2.10 (2 volte), 44.3 (e ci(n)que III 24.3), cotorni II 23.3, fracese I 95.3/fra(n)cese I (+10) 81.2, 90.1, 93.6, ctr. II, IIa 66.4, 307.1, Iabatista IIa 294.6, Iabattista IIa 29.3, lacza IIa 84.2/la(n)cza IIa 84.2, la(n)cze II 19.3, Laczalogna IIa 312.1, 353.3, 363.1/Lanczalogna IIa 357.2, La(n)cza[logna] IIa 384.1, La(n)czalo(n)gna IIa 100.11, lacze IIa 313.3, ligua IIa 104.4, 1442.1/li(n)gue IIa 131.1, magiar(e) III 48.17, 51.3/mag<n>are IIa 57.1, magnar(e) IIa (+4) 57.4, 128.5, 199.2, magniar(e) IIa 164.1, ma(n)giar(e) III 48.25, Midocza IIa 112.1, Mido(n)cza IIa 249.1/Mi(n)do(n)cza IIa 259.1, Minnocza IIa 242.1, 1, noveb(r)o I 20.1, 61.1, 66.1, IIa 289.1, novebro IIa 194.1, III 57.16/nove(m)b(r)o I 96.1, 101.1, 105.2, nove(m)bro III 20.1, 58.2, ocze IIa 360.1, p(ro)viciale III 25.8, quidici IIa 47.1/quindici IIa (+4) 45.2, 85.7, 260.1, q(ui)ndici IIa 172.1, qui(n)dici IIa 138.1, redé I 90.4/re(n)dé III 58.2, redeo IIa 233.1/rendeo III 29.2, re(n)deo I 75.1.7, III 19.4 (e rendeosse III 58.2, re(n)der(e) III 27.14), redìo I 62.1/re(n)dìo I 75.6, 85.7, III 48.21, secza I 78.9, IIa 85.5, 105.1, III 26.1/se(n)cza I 103.3, 104.2, IIa (+14) 11.4, 44.3, 119.4, III (+7) 6.4, 10.6, 15.2, sencza III (+5) 10.1, 15.3, 27.15, septebro IIa 70.1, 101.1, 312.3, III 55.1, 57.11, septeb(r)o I 59.1, 91.6/septe(m)bro IIa (+19) 38.1, 66.4, 107.1, III 57.7, septe(m)b(r)o IIa 66.3, (set)teb(r)o I 83.2, 85.6, (set)teb(ro) I 85.7, (set)te(m)bro I (+4) 91.7.8, 95.14, (set)te(m)b(r)o I 16.1, 40.1, sidicimilia IIa 161.1, si(n)dice IIa 128.11, sidici II 53.7, IIa (+17) 30.2, 66.4, 97.2/sindici II 53.1, 55.2, sindici IIa 98.8, 130.5, 186.2, si(n)dici II 46.2, 55.2, IIa (+23) 23.3, 100.4, 106.2, sidico IIa (+11) 21.3, 94.1, 100.5, si(n)dicii IIa 325.1 ctr., si(n)dico II 59.5, IIa (+11) 18.2, 53.2, 98.8 (per sinicho IIa 213.1, 287.2, sinici IIa 245.1, si(n)nici IIa 245.5, si(n)nico IIa 170.7 cfr. § V.2.2.25 e n. 681), <spe>der(e) IIa 245.6, temecza III 12.5, tepesta IIa 71.1/te(m)pesta IIa 39.2 (e te(m)peste IIa 272.1), Ugaria I 43.1, Ugarie I 43.1, Ungaria I 43.2, II 25.2, 35.3, III (+5) 24.4, 26.8.10, U(n)garia III 24.2, Ungarie II 29.1, vene ‘venne’ vene ‘venne’ I 33.1, 76.8, 103.2, III 28.22, vinticiquo IIa 299.2. Si aggiunga, inoltre, l’unica occorrenza di Spagia I.95.1/Spagna I (+7) 87.2, 90.3, 92.1, Spagnia (+5) I 54.1, 85.6, 95.6, Spangna I 93.1, Spa(n)gna (+11) I 48.4, 73.1, 78.8, II 20.11, IIa 14.1, III 41.3, Spa(n)gnia I 73.1, Spa(n)gia I (+4) 85.6, 86.2, 86.8. Non vanno in questo elenco Vice(n)cio IIa 337.2, Vice(n)czio IIa (+4) 107.5, 245.1, 341.1, Vice(n)czo IIa (+17) 18.4, 53.2, 98.8, Vice(n)cz[o] IIa 384.1, in cui l’omissione non trova controesempi e rispecchia senz’altro un’effettiva tendenza fonetica703, così come, benché in questo caso si possano addurre forme comple702 Forma diffusissima, ad esempio in Lupo De Spechio: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 194. 703 Cfr. Vicienzo, Vizienzo nella Cronaca di Ferraiolo, Vicenzo in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXX, considerato «dialettale e spagnolo»); Coluccia cita CCXVIII Nadia Ciampaglia mentari, Frac(esc)o III 41.4, Fracischo I 67.1, Fracisco I 27.1, Frac(isc)o II 15.1, 18.3, IIa (+20) 23.8, 63.1, 94.3, III 37.2, 47.4, Frac(isco) III 51.7, Fra(cis)co IIa 270.1 (2 volte)/Fra(n)cisco IIa (+13) 128.11.12, 130.5, Fra(n)c(isc)o IIa 222.2, III 39.11, Fra(n)ci[sc]o IIa 312.1, Franc(isc)o IIa 14.1, III 40.1 e precepe IIa 161.1, 261.1, III 5.2, p(re)cepe III (+17) 7.4, 10.1, 24.2/p(re)ncepe III 10.1, 32.1, pre(n)cepe III (+25) 2.2, 24.1, 26.13, pre(n)c(e)pe III 7.1, pre(n)ce[pe] IIa 215.1, pre(n)cep<e> IIa 110.2, prencepe III (+6) 51.9, 57.17, 58.6, p(r)icipe I (+12) 34.1, 41.1,42.1, pricepe IIa 366.1, pricipi IIa 85.8, principi IIa 16.5, p(ri)cipessa I 88.4/ pre(n)cepessa IIa 157.1, 366.1. Si aggiungano anche pesieri IIa 360.1704, refrescar(e)705 III 39.2, regracia(n)doli706 I 89.6, regraciare IIa 52.4, regratia(n)no IIa 130.3, regratiao IIa 213.4 (ma rengratio III 58.10), regratiarlo III 14.2. Si segnano a parte le numerose occorrenze del verbo ‘andare’ che si presentano nelle Croniche senza titulus. Ecco l’elenco completo: adao IIa 379.1/a(n)dao IIa (+4) 330.1, 339.1, 342.1, adar(e) IIa 191.1, 280.2/a(n)dare IIa 214.1, a(n)dar(e) IIa (+24) 8.2 (2 volte), 10.1, 49.1, adareno IIa 334.1/a(n)dareno 271.1, (e a(n)darnoce IIa 101.3), adarero IIa 352.2, adaro IIa 28.7, adasse IIa 85.4/a(n)dasse IIa (+7) 6.3, 19.2, 85.8, a(n)dasse II 21.4 (e a(n)dassero IIa (+5) 209.3, 294.1.4), adava IIa 337.4, adavano IIa 333.1, addao IIa 128.19, addar(e) II 35.10, IIa 3.2, 57.2/a(n)dar(e) II (+7) 16.1, 31.5, 35.10, addava IIa 247.3 (2 volte)/a(n)dava II 61.1, IIa (+18) 11.4, 12.1, 123.1, addavano IIa 6.4, 26.3/a(n)davano (+12) 27.4, 104.2.(2 volte), 130.1, addero II 23.4, IIa 11.4, 118.1, 178.1, adder<o> IIa 225.1/a(n)dero II (+6) 19.10, 20.2.8, IIa (+15) 101.1, 106.9, 118.1, a(n)dero II (+6) 19.10, 20.2.8, a(n)ddero II 20.1 (e a(n)daro I (+7) 75.2, 78.7, 90.1, II 19.2, a(n)dorono II 20.6), addò IIa 101.4, 196.1/a(n)ddò I 98.2, IIa 57.3, 135.2, a(n)dò I (+16) 35.1, 48.2, 51.1, IIa (+28) 26.4 (2 volte), 26.5, 27.2, andò IIa 15.1, 17.2. In questo caso la questione si complica, perché accanto alle forme con probabile omissione grafica della nasale (adao, adare; ma si ricordi tuttavia quanto sopra detto per i tipi amata, mecatancia da un lato e co. multe, co. la dall’altro) compaiono quelle prive di nasale o titulus corrispondente, ma con il raddoppiamento della consonante seguente (es. addò, addare, trobbetta), che, presenti anche in Loise, sono integrate da Formentin con la nasale (tro[m]bbetta)707; resterebbe però da spiegare ancora Vicenzo nella Cronaca di Notar Giacomo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., p. LXVII e n. 2); in Lupo de Spechio si legge Vicienso accanto a Vincenczo e Vincenso: cfr. A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 204. 704 Cfr. peziere in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXIV). 705 Cfr. refrescarsi in De Pacienza (citaz. di R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit., p. LXVII, n. 2). 706 Cfr. regraciare in De Pacienza: si veda nota precedente. Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 90, che interpreta difatti il raddoppiamento come «conseguenza di una grafia compensativa per la lettera precedentemente non tracciata». Rimando al § IV e n. 182 e ss. per il parere gentilmente espresso da Formentin relativamente a queste forme, che non avrebbero valore fonetico, e ad altri casi di uso abnorme del titulus nelle Croniche; per i tipi con titulus dinanzi a doppia etimologica 707 Introduzione CCXIX il tipo successivo, in cui comparirebbero entrambi i tratti e in cui la geminata potrebbe rappresentare il grado medioforte della postnasale (a(n)ddò, a(n)ddare; e vedi oltre, tro(m)bbetta, ca(m)ppi, a(n)bbi). Nel nostro caso, tuttavia, i tipi Sorbbello, morxe, apparsse (retr. Sorbbello, morxe, apparsse) sopra esaminati aggiungono un’informazione in più e consentono forse di interpretare il fenomeno in modo diverso, come reattivo al fenomeno di assimilazione MB > bb (addò, trobbetta) con conseguente sviluppo di grafie ipercorrette (tro(m)bbette). Ecco dunque i casi in cui MB > bb: trobbecta IIa 260.1, trobbecte IIa 104.8, trobbette III 28.11, trobbetta IIa 362.1708; si aggiunga la già discussa forma tro(m)bbette IIa 104.5. Compaiono invece in forma compendiata tro(m)bette IIa 25.2, tro(m)becte I 93.1, IIa (+4) 104.1, 286.2, 384.1, tro(m)becta I 89.5, IIa (+11) 53.1, 92.1, 95.1, tro(m)betta I 95.6, II 43.1, IIa (+4) 22.1.2, 73.1, tro(m)b<etta> IIa 23.8, tro(m)be(t)ta IIa 228.2, tro(m)be<tt>a II 39.1. Si è pure anticipato che anche he(m)be I 58.1 e dessa(m)bitò ‘disabitò’ I 29.1 potrebbero essere grafie ipercorrette, reattive all’assimilazione MB > bb (nel secondo caso secondario, perché frutto del raddoppiamento di -b- intervocalica). Andrebbe qui allora anche a(m)bbi709 ‘alba’ che, forse inizialmente scritto abba per l’assimilazione LB > bb (e si veda il già citato Abbe III.6.4, potrebbe successivamente esser stato corretto con l’inserzione del titulus generando nuovamente la scrizione reattiva mb. Sembra opportuno comunque ricordare che, come s’è visto, le Croniche rientrano in un’area in cui, a differenza del nesso ND, MB appare in sostanza conservato, non partecipando, almeno graficamente, allo sviluppo MB > mm, come dimostra la quasi totale assenza di forme ipercorrette. Benché lo sviluppo ND > nn sia invece largamente attestato nelle Croniche, esso non investe però mai le forme del verbo ‘andare’ (seppure va detto che, in questo caso, la base non sia etimologica710), che sembrerebbe invece partecipare dell’assimilazione ND > dd; quest’ultimo, allora, si offrirebbe dunque come esito più antico e cristallizzato rispetto a ND > nn, che risulterebbe più recente. Non sembra comunque da accettare l’affermazione di Savj-Lopez, che registrando un addò in Loise De Rosa, lo ritenne, «fra moltissimi andò», un errore711. [es. fo(n)sse], si veda qui, §V.2.2.27; per il titulus in luogo del primo elemento di una geminata [es. he(m)be] si veda § V.2.2.25, nn. 689-90. 708 Cfr. trobbetta e abbassiature in Loise De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47). 709 Esiste però un contesto dissimilativo: la matina ad l’a(m)bbi. Il nesso appare per il resto ben conservato: albi ‘alba’ IIa 135.2 (alla matina ad l’albi), Albi ‘Albis’ IIa 339.1 (martedì de Albi de Pascua). Si aggiunga Albi (+20) (ducha de Albi) IIa 11.4, 12.1, 13.1, Alba IIa 303.1, 315.2, 330.1; si considerino, però, i tipi abli ‘alba’ I 93.18 (ad l’abli) e Abla IIa 326.1. 710 Per Rohlfs la stessa forma toscana andare potrebbe risalire ad un precedente annare, con pronuncia ipercorretta nd in luogo di nn < *AMNARE < *AMLARE < AMBULARE); cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 237. 711 Cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 47. CCXX Nadia Ciampaglia Altre mani. Mano β. Si verifica assimilazione di r preconsonantica in stroppia β2 40.16, stroppio β2 40.14.(2 volte).15 (3 volte), rivelata anche dalla retroscrizione di invarcaro β1 36.12 (con r corretta su c). Non si producono mai i fenomeni visti in Fuscolillo per il verbo ‘andare’ e in altri contesti rivelatisi “insidiosi” per Fuscolillo: a(n)dao β1 36.24, a(n)dar(e) β1 34.5, β1 36.25, andar(e) β2 237.6, β2 244.6, a(n)dasse β3 196.6, a(n)dava β1 34.5.10, β1 36. 17.24.26, β2 41.1, a(n)davano β1 34.7, a(n)dero β1 36.10, a(n)dò β3 196.11, β2 206.4, β1 34.8, β1 36.21, andò β3 231.1, ca(m)po β1 36.24.25.(2 volte).26, tro(m)becta β1 36.21.(2 volte). È pur sempre da tenere in conto, però, che il testo redatto dalle mani β1, β2 e β3 comprende, secondo il conteggio elettronico, circa 5325 parole, contro le 30926 che si contano nelle sole annotazioni del secondo libro di Fuscolillo; è evidente pertanto che il dato non può avere valore assoluto, data la forte discrepanza quantitativa del campione in esame. Tuttavia sembra evidente che le mani in questione mostrano maggior padronanza della scrittura (e della scansione): non si producono accidenti in nessi consonantici difficili, ad esempio, in co(n)cluso β1 36.6, Pascali β3 196.3, β1 36.13.15 (cfr. § V.2.2.28). È scritto correttamente arbitrio β2 237.9 (2 volte), mentre in Fuscolillo si legge, come s’è visto, arbritrio II 30.4 (retr. abbitio, con assimilazione). La nasale finale si assimila alla consonante iniziale della parola seguente in co. le fave152.2. Al contrario, è omessa assenza di nasale in code(n)nati β2 244.11, ma non in Vince(n)zo β3 204.2. Mano γ: Midocza 148.1 contro Mindocza β1 36.9. V.2.2.27. Dissimilazione di geminate. Si registra dissimilazione in almiralglio I 84.6, inlustrissima II 14.1, Exce(n)le(n)tia IIa 80.4/excelle(n)tia IIa 40.7, 80.3, 172.1. Per sforgi ‘sfoggi’712 l’etimologia è incerta: potrebbe essere frutto di dissimilazione (< FOVEAM), ma non nel caso la parola sia da accostare a ‘forgiare’ (cfr. DELI, s.v.). Nei casi seguenti la nasale epentetica potrebbe sostituire il primo elemento di una consonante geminata e testimoniare dunque un fenomeno di dissimilazione (secondo il tipo menzu ‘mezzo’713), di cui non mancano esempi per la nostra area714; si consideri comunque che la n è sempre derivata dallo scioglimento del titulus, che potrebbe indicare semplicemente il raddoppiamento della consonante seguente715, benché quest’uso, nel nostro testo, non troverebbe in realtà molte testimonianze (§ IV.1): A(b)bru(n)czo I 78.2, Abru(n)zo III 51.10/Abruczo III 57.1, adma(n)czano IIa 222.1, ama(n)czava III 27.20, gra(n)de(n)cze III 1.1716, sca(n)czati ‘scacciati’ III 16.1. 712 Cfr. ANDREOLI, s.v. sfuorgio. Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 334. 714 Cfr. § IV.1, n. 188. 715 Propende senz’altro per questa spiegazione V. Formentin: cfr. qui, § IV.1, n. 187. 716 Si veda nell’ant. salentino grandenza: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 334. 713 Introduzione CCXXI Si è già anticipato (§ IV.1) che nella presente edizione si è scelto di sciogliere il titulus come nasale anche in a(n)cese ‘accese’ II 54.15 ed he(m)be I 58.1, interpretando dunque anche queste forme come possibili esempi di dissimilazione di geminate717; in particolare, la seconda potrebbe forse presentare un grafia reattiva allo sviluppo MB > bb (s’è visto che invece l’assimilazione MB > mm trova pochissimi esempi nelle Croniche). Di seguito, si presentano casi (sostanzialmente limitati) in cui il titulus, usato in modo abnorme davanti a geminata etimologica, potrebbe ancora rappresentare una nasale epentetica per effetto di dissimilazione; essi sono dunque differenti dai tipi a(n)ddò, ca(m)ppo, tro(m)bbetta etc. già catalogati precedentemente: (com)me(n)ssari IIa 180.2/co(m)messari IIa 301.3, co(m)messarii IIa 3.1, 285.1, co(m)messario IIa 2.1, (com)misario IIa 79.1, (com)missari IIa 6.2, co(m)missari IIa 300.3, 301.1, co(m)missarii IIa 301.4, co(m)missario IIa (+30) 2.1, 11.1, 43.1, cu(n)ssì I 93.14, IIa 136.2, 139.2/cussì I (+4) 89.6, 102.3, 103.7, II (+7) 20.6.8.10, IIa (+42) 2.4.12, 19.2 (2 volte) (e adcussì (+4) IIa 2.11, 80.2, 101.3), fo(n)sse IIa 2.5/fosse I 50.1, 83.1, 97.3, II (+8) 6.2, 35.7.9, IIa (+36) 6.4, 26.2, 62.1, III (+4) 26.1, 28.16, 31.10, vi(n)xe III 7.6/visse III 11.6, viss(e) III (+9) 13.2, 15.2, 17.5, zo(n)ppi I 86.6. L’altra ipotesi, tenuto presente il grado di “oralità” del testo, che spesso sembra riprodurre il parlato, è che l’epentesi sia indizio di una pronuncia scandita, quasi una sorta di auto-verifica a voce da parte dello scrivente, attraverso cui passerebbe la scrittura718; si spiegherebbero così anche i tipi co(n)sie(n)tia, co(n)vernatore etc., (per cui § V.2.2.28). La sostanziale assenza dello sviluppo di titulus abnorme nelle altre mani spingerebbe maggiormente ad interpretare queste forme o parte come patologiche: si consideri ad es. cussì β1 34.6, β1 35.2.5 (3 volte), 36.22. V.2.2.28. Epentesi di nasale e vibrante e patologie di scrittura. L’epentesi di nasale che si verifica in octo(m)bro I 102.1, II 28.1, 49.1, 51.1, IIa (+7) 67.1 (2 volte), 70.4, 72.1, octo(m)b(r)o I 97.1 (ma octobro I 91.9, 100.1, IIa (+10) 70.7, 80.1, 162.3, III 52.1, octob(r)o IIa (+19) 12.1, 31.1, 71.1, III 55.3, oc717 Cfr. suncorpo ‘soccorpo’, angappà nap. ‘acchiappà’ nel dialetto di Pignataro Maggiore (CE), non lontano da Sessa Aurunca (S. PALUMBO, La parlata dell’agro calenosidicino..., cit., p. 38 e n. 14). Il tipo antende è segnalato da Formentin in Galeota; tuttavia, Formentin nota che la nasale «potrebbe indicare il raddoppiamento della consonante seguente, uso connesso con quello, variamente diffuso e presente p. es. nel ms. parigino di De Rosa, del titulus con uguale funzione» (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 56) e suggerisce che identico uso avrebbe il titulus in queste apparenti scrizioni abnormi di Fuscolillo (cfr. supra, n. 715) 718 In quest’ottica è interpretato da Sabatini un ipercorrettismo quale cu(n)ssì nel Libro di Fioravante: «Si debbono appunto alla “interpretazione” diretta dell’impressione acustica, non confrontata con una ben nota immagine visiva della forma scritta, le omissioni nasali dei nessi consonantici (...) ed i casi inversi, con nasale impropria (conssì per cossì)...»: cfr. F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., p. 285, n. 128. CCXXII Nadia Ciampaglia tob(r)o I (+13) 14.1, 16.2, 24.1, II 30.6, 36.2, ottobro IIa 191.1, ottob(r)o IIa 74.1, 364.1) è diffusa in Campania secondo la forma settembre719. Nelle forme raggruppate di seguito si legge una n epentetica (talvolta sostituita, quando segue v, da r: cfr. infra) che sembrerebbe, usando le parole di Galiani, «prodotto dalla sola forza e fiato della pronuncia»720: co(n)sie(n)tia IIa 128.19, co(n)strecti IIa 296.2, co(n)stretta IIa 40.5, co(n)vernatore IIa 98.1, co(n)vernator(e) IIa 337.2, 353.1, convernator(e) IIa 350.1 (ed anche r: corvernator(e) IIa 83.1, 163.1)/covenator(e) IIa 162.1, covernatore IIa 100.1, covernator(e) IIa (+20) 23.2, 30.2.7, de(n)fe(n)dere I 66.1, co(n)verno IIa 79.3 (ed anche corverno IIa 100.3)/coverno IIa (+4) 79.1, 100.1, 163.1 (ma covernata IIa 6.1), ha(n)ve(n)dola IIa 239.3, I(n)no(n)ce(n)tio I 60.1/Noce(n)cio IIa 74.1, Noce(n)tio IIa 25.2, 119.1, i(n)tr<e>(n)ve(n)ne IIa 194.2, mae(n)stà II 25.2, ma(n)stro I 106.4/mast(r)o I 13.1, Pa(n)do(n)lfho IIa 301.1/Pa(n)dolfho IIa 300.3, 301.5. Si aggiungano, nel sommario latino, Co(n)sta(n)tia S 17.1, Co(n)sta(n)tia(m) S 17.6, Co(n)sta(n)tie S 18.1. Per l’epentesi di nasale rappresentato da titulus davanti a geminata etimologica (comme(n)ssari, cu(n)ssì, vi(n)xe, zo(n)ppi etc.) si veda quanto detto nel § V.2.2.27. Si realizza uno scambio r/n, forse per assimilazione grafica alla r della sillaba successiva, nelle forme seguenti: corverta ‘converta’ II 53.4, corverter(e) ‘convertire’ II 53.2; si può aggiungere, a documentare la difficoltà di resa, forse non solo grafica, della successione n+v, Mo(n)vervino III 26.4 (retr. Mo(n)rvervino, con la prima r espunta). Lo scambio rv/nv è anche nelle forme epentetiche già citate nell’elenco precedente corvernator(e) IIa 83.1, 163.1 e corverno IIa 100.3. Come che sia, è evidente in queste ultime forme la necessità dello scrivente di produrre una consonante di appoggio dopo la sillaba co. Si può aggiungere qui Guirquardo III 9.4/Guisquardo III 6.6, 7.1.2. La medesima patologia, questa volta riguardante l, si verifica in colclusa IIa 314.1/(con)clusa III 45 3, (con)cluso III 34.1, 37.5.7, Pasclali IIa 301.1/Pascali IIa (+17) 22.2, 42.2, 66.2, Pascale IIa 165.3 (con la seconda a corretta su l), senesclalcho I 7.2. Analogamente, nel caso di vende(n)no ‘vedendo’ III 28.17, ve(n)deno ‘vedendo’ III 27.11 l’epentesi, in entrambi i casi sviluppatasi nel terzo libro, po- 719 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 334. La citazione è di M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit. p. CXXXIII, n. 84. L’epentesi di n si trova anche in De Jennaro, in cui si legge rincordo (ibid., p. CXXXIII); si veda anche lamberinto in Ceccarella (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 56). Si aggiunga che Castellani ha notato in una lettera lucchese del 1315 l’uso di trattini abbreviativi in particolar modo nei nessi co, mo, no (A. CASTELLANI, Una lettera lucchese del 1315, «Filologia e Critica», 15 (1990), fasc. 2-3, pp. 485-97; a p. 496, nn. 3 e 7) ritenendoli però per lo più superflui; ma forse sarebbe più opportuno reinterpretare tali fenomeni, specialmente laddove il profilo culturale dello scrivente è tale da avvalorare l’ipotesi di una sorta di “autodettatura interna” durante la scrittura. 720 Introduzione CCXXIII trebbe anche essere stata causata dall’anticipazione meccanica nella prima sillaba della nasale presente nella sillaba finale721. Il tentativo di evitare lo iato giustifica forse l’epentesi di A(n)tre(n)a de Altissimo IIa 186.3/Andrea de Altissimo IIa 119.1; non è da escludere che in realtà il titulus nasconda l’inserzione di una semivocale allo stesso scopo722. Per quanto riguarda poi la forma bata(n)lglia I 106.5, più che un isolato caso di rappresentazione della laterale palatale tramite la grafia nlgli, si può ipotizzare ancora un’epentesi di nasale da attribuire ad una scansione patologica durante la scrittura, una sorta di autodettatura interna; in quest’ottica vi andranno accomunati i tipi mo(n)gliere I 22.1, mo(n)glier(e) III 10.1, mo(n)glie III 10.2, reco(n)glier(e) IIa 327.1 (2 volte), ta(n)glione I 103.8, vassa(n)glii IIa 144.1. L’epentesi di r in troni ‘tuoni’ IIa 218.1, 39.2, trono IIa 39.2 (2 volte), è diffusa in molti dialetti, non solo dell’Italia meridionale, e sarebbe dovuta a ragioni onomatopeiche723; si aggiunga poi Alifre ‘Alife’ I 53.1. L’epentesi tradirà la difficoltà di scansione di una parola quale arbritrio ‘arbitrio’ II 30.4, in cui lo scrivente aveva inizialmente ceduto all’assimilazione: la retroscrizione è infatti abbitio (con la prima r nell’interlinea, la seconda corretta su b, e la terza nell’interlinea); si aggiunga arbri[trio] IIa 101.3/arbitrio II 54.12, IIa 116.1724. Casi di propagginazione di r si leggono in quarturzaro IIa 162.3/quartuciaro IIa 357.3, quartuczaro IIa 78.10, fratri IIa 315.2/Frati IIa (+11) 123.1, 124.2, 128.11, frebre III 32.13/ frebe I 104.2, IIa 225.2. Altre mani. Mano β. Non si registra l’epentesi dialettale della vibrante, notata invece in Fuscolillo, in tuono β2 244.18. Epentesi di nasale in a(m)ma(n)cero β136.26, u(n)sciero β13 6.13. Ha l’appoggio del latino la nasale in demo(n)stra(n)do β3 231.1/demostrati β2 40.12, mo(n)strò β3 230.3, tra(n)sgressori β2 237.23. Non si registrano patologie di scrittura in co(n)cluso β1 36.6, Pascali β3 196.3, β136.13.15. V.2.2.29. Scempiamenti e geminazioni Per quanto riguarda la rappresentazione grafica di consonanti scempie e geminate, non sempre è facile distinguere tra oscillazione di natura puramente grafica o fonetica. La scelta conservativa, cui si deroga solo nei casi in cui non vi siano dubbi che 721 In Loise De Rosa si legge vende ‘vide’, ritenuto però da Savj-Lopez un errore: cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 44. 722 Si veda analogamente lo sviluppo di una i epentetica in Andreia nel Carteggio Vaianese (M. PALERMO, Il Carteggio Vaianese...cit., p. 76). 723 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 333; ad es. tròno in Umbria, tron in Lombardia, trun in Piemonte e Liguria (ivi); trono per Sora (C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 209). 724 Si noti invece in Loise, ad esempio, arbitio: V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 269. CCXXIV Nadia Ciampaglia si tratti di mero lapsus (es. do[n]na I 28.1, veden[n]o III 28.16 etc.), qui come altrove (si veda quanto detto per gli esempi di omissione di vibrante e nasale, o relativo titulus, che potrebbero essere di indizio di fenomeni di assorbimento e assimilazione: cfr. § V.2.2.26) si impone come la più saggia, considerato il profilo culturale dello scrivente e, soprattutto, la particolare dimensione testuale delle Croniche, che senz’altro spinge a non sottovalutare l’indubbia relazione che spesso si pone tra grafie adoperate (ed esiti?) e relativo libro (scritture spontanee o dipendente da fonte). B. Nel napoletano -b- intervocalica e davanti a liquida725 è sempre doppia e dunque è ipotizzabile, per determinati scrittori, l’equivalenza grafica delle grafie -b- e -bb726 . Nelle Croniche, tuttavia, la grafia -bb- appare sostanzialmente limitata alle scritture spontanee; nel terzo libro, invece (e nella mano β), compaiono per lo più allografi con -b- ed in generale è nettamente preferita, almeno graficamente, la scempia, secondo la norma toscana o in accordo con il latino; la doppia, viceversa, è adoperata sostanzialmente in accordo con il toscano. Il fenomeno merita dunque di essere registrato con cautela, anche perché le forme che presentano la scempia, anche al di là della norma toscana, rientrano tra quelle adoperate, ad esempio, da Loise. Ecco di seguito le forme con la geminata al di là della norma toscana: adrobbati II 24.1 (ma adrrobato IIa 188.1), Fabbio II 51.2, IIa 29.2, 128.13, 136.1 [ma Fabio in β1 36.4 (2 volte)], i(n)debbitame(n)te III 21.12/imdebitamente III 21.12, libberato IIa 104.3/liberato III 14.3, 26.11, 34.5 (e liberati IIa 40.9, III 48.1), libbero II 39.2/libero II 43.2 (e liberi III 55.2; si aggiungano, sempre con la scempia e sempre nel terzo libro, liberò III 9.4, liberale III 16.1, 25.1, liberare III 34.2, liber<a>ro III 13.5), mo(b)bile II 54.7, nnobbile I 97.6/nobile IIa 234.1, 353.3 (2 volte), III 39.2, 43.3, rebbellao I 3.1/rebellao I 83.2, 93.12 (e rebellò I 93.14, III 23.1 55.5, 56.10, rebellero I 98.1, rebellero III 27.9, rebellare III 57.6, rebellato I 86.2, rebelli I 63.1, rebella III 27.19, rebellione III (+4) 14.4, 21.11.12, rebello IIa 2.2, ribelli I 102.3, ribello I 103.1), robbe II 54.7.9, IIa (+17) 28.3, 81.1, 101.1, r<o>bbe II 35.12, Sabbastiano IIa 371.1, Sabba<st>io IIa 125.2, sabbato II 34.1, 54.1, IIa (+7) 44.1, 57.7, 193.1, sibbille IIa 126.2, sta(b)bili II 54.5 (ma stabilìo I 73.1), subbito I (+14) 2.2, 5.3, 44.1, II (+4) 20.8, 31.5, 46.2, IIa (+14) 26.4.5, 98.6, III 28.17, 56.8. È etimologica la geminata in abbacia IIa 367.2, Abbate IIa 197.3; da -P-, abbrucisi IIa 110.3. Dopo a- prostetica: abbastava IIa 105.6, abbrusao I 97.13, abbrusarno I 75.3, adbrusaro IIa 177.4/abrusaro I 97.14 (e abrusciaro III 43.1, abrusciare III 39.2, abrusiata IIa 27.1), adbrusciavano III 43.2, adbrusiò I 78.3/abrusciò IIa 385.2, adbruscero IIa 183.1. Se dunque nelle annotazioni spontanee l’indiscutibile tendenza al raddoppiamento di -b- intervocalica spinge ad interpretare come variazione solo grafica i po725 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 215. Così secondo Formentin va considerata in Loise l’alternanza dei tipi frabica, frabicato, lebra, lebruso, obeduto etc., che non potrebbero perciò essere interpretati come forme colte o reazioni alla pronuncia locale: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 82 e n. 74. 726 Introduzione CCXXV chissimi controesempi con la scempia, è di un certo rilievo il fatto che nel terzo libro invece sia di norma evitato il raddoppiamento di -b-, e che la geminata sia giustamente rappresentata secondo la norma toscana, ad esempio dopo il prefisso a (ometto le forme con conservazione del prefisso ad), come abbactere III 19.5 e abbacteo III 53.3. La doppia inoltre è regolarmente nel primo libro, come esito di BL secondario, in nebbia I 104.2. La scempia si conserva, oltre la norma toscana (ma in accordo con il latino), nelle forme seguenti: dubio III 30.15727, libra IIa 70.4, 78.8, obedie(n)tissimo IIa 69.2, obedir(e) IIa 296.2, publica (+6) II 33.1, IIa 53.1, 162.1, 170.2, 170.4, 214.4, publicare III 19.7, pub[l]icao I 63.2, publicata II 21.9, IIa 375.1, publicati IIa 107.4, publice IIa 17.5, publico (+17) II 53.1.8, 59.4, ubedir(e) IIa 2.12, 208.2, 209.1, ubidir(e) IIa 214.2. Si aggiungano gabato (fr. ant. gab) III 28.25/gabbati III 29.3 [e gabbar(e) III 30.24], lebra III 3.1 (con -b- da -P-). Segue invece la norma toscana gabella (+6) IIa 228.3 (2 volte), III 25.5, gabelle III 26.2. Non c’è mai il raddoppiamento nelle forme che presentano metatesi di r728: frabica II 46.2, IIa 360.2, frabicha IIa 48.1, 335.4, 344.2, 365.1, frabiche II 46.3, frabicare I 4.1, II 33.2 51.1, IIa 327.1 e fabricare IIa 51.1, frabicha IIa 44.2, frabicava II 51.1, frabichato IIa 48.1, Frabicio I 90.2, 93.7, 96.7, 106.1, II 23.2729, frebe I 104.2, IIa 225.2, frebre III 32.13. Nelle forme del congiuntivo da -BJ- altenano b(i)/bb(i): cfr. § V.2.2.17. Per Sorbbello IIa 200.2, cfr. § V.2.2.26. C. La geminata è normalmente rappresentata secondo la norma toscana sia nelle scritture spontanee sia in quelle del primo e terzo libro (ad es. accade III 35.1, accasao III 10.1, accenti IIa 129.1, acceptare (+6) IIa 64.3, 130.2, 143.2, occolencze IIa 156.2 etc.), anche tramite il prefisso ad (adcasato IIa 215.1, adco(n)czate I 64.5, adcadenno IIa 129.2 adceptare I 90.5 etc.: si omette lo spoglio completo). Si trova invece la scempia in luogo della geminata nelle forme seguenti: 727 Cfr. dubio in Galeota (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 58). L’allungamento di compenso dopo la metatesi di una consonante è in realtà fenomeno anche del toscano (es. pioppo < *POPLU, cal. chiùbbica < PUBLICA; cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 228); per quanto riguarda poi il nesso br, se spesso in toscano b raddoppia (fabbrica, febbre, libbra) nel nap., tuttavia, e in molti dialetti del mezzogiorno, queste forme partecipano piuttosto dello sviluppo b > v (ma lo sviluppo gallo-italiano di br > vr è anche della maggior parte dell’italia settentrionale: G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 261): freve si ascolta ad esempio sia nei dialetti delle Marche sia nel napoletano: cfr. ID., § 322 e D’AMBRA, s.v. freve; inoltre, a frabbica nel nap. corrisponde però il vb fràveca (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 261). 729 Cfr. Frabbicio in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, n. 713, p. 253); si veda anche D’AMBRA, s.v. Frabbizio. 728 CCXXVI Nadia Ciampaglia aco(n)cziò II 48.2 [ma adconcziare IIa 123.1, adco(n)czi[a]va IIa 139.3, adconczata IIa 123.1, adconcziata IIa 274.1, adconczate I 64.5], affacia IIa 248.1/affacciare III 46.2, affacciò III 14.2, apparechao IIa 128.5, apparechio III 21.10, ochio III 14.2730 (ma occhi β2 244.4), vacha ‘mucca’ IIa 321.1/vaccha IIa 228.3 (2 volte), 283.1; è invece la forma locale vacha ‘delle olive, acino’ II 51.2, IIa 71.2731. Segno a parte anche ucelli III 48.26732. Si aggiunga il pf. socese IIa 106.3, socess(e) III 23.3, soccese III (+6) 10.3, 15.1, 17.1/soccesse III 19.6, soccess(e) III 13.1, 19.3, 26.5, succese I 78.9 (e soccesero III 10.2, part. pass. succese). Dal nesso secondario CL, (Banchi) Vechi I 6.1733 ma vecchio IIa 331.1, 371.1, II 48.2. D. La d intervocalica raddoppia in seddia IIa 104.5, soddomia IIa 126.1 e Soddomo IIa 126.1. Nelle forme raggruppate di seguito il raddoppiamento sarebbe rappresentato dal titulus (cfr. IV.1; si vd. però anche § V.2.2.27): do(d)dici IIa 104.2, du(d)dici IIa 289.2/dudici IIa (+10) 44.3, 47.1, 86.2, La(d)dislao III 27.5.7/Ladislao III (+21) 1.1, 27.9.11, ma(d)da(m)ma I (+13) 18.1, 19.1, 21.1, IIa 379.1, 382.1, III 24.3 (2 volte), 45.3, ma(d)da<mma> I 88.1/mada(m)ma I 43.1, IIa 332.1, 335.1, mada(m)ma III 24.3, Ma(d)do(n)na IIa 239.1734, ma(d)do(n)na II 37.2/Mado(n)da IIa 239.1, Mado(n)na IIa 70.1, 126.2, me(d)dica II 54.4, me(d)dico II 54.4.12, IIa 51.1, 58.4, 104.6/medico II (+5) 51.1, 54.2.3, medicho IIa 125.1, medico IIa (+22) 48.1, 56.1, 64.1, medici III 32.13. Si aggiunga a(d)dunò ‘radunò’ IIa 201.1 (ma adonare III 38.4 e, nel significato di ‘accorgersi’, adunero II 33.3, adunati II 33.3)735. Si trova la scempia in frido IIa 57.7736; la doppia compare regolarmente in fri(d)dio IIa 44.2. F. La scempia è in Gofrido III 27.3, 30.2/Goffrido III 27.1.2; la geminata è invece in Niffho (Nifo) II 21.6, 38.1, IIa 30.4. 730 Cfr. ochi/occhi in De Jennaro e nei testi di P 1035 e ochii in Galeota (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXVIII e V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p 59). 731 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 150. 732 Cfr. ucel, ucellin in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXVIII). 733 Cfr. vechio in De Jennaro e in Ceccarella (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXVIII e V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 59). 734 Per Maddonna, si veda P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 114 e n. 63; la geminazione di -d- è testimoniata dal Colocci: «Roma [gemina] spesso in mezzo: Maddonna» (ivi). 735 In D’Ambra e Andreoli si registra rispettivamente addonare/addunarse nel senso di ‘accorgersi’ (fr. s’addonner); solo in D’Ambra compare anche adonare ‘adunare’. 736 Si veda il nap. friddo (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 258). Lo scempiamento, ritenuto da Formentin di natura dialettale, è invece in De Jennaro (fredo), in Galeota (freda, fredo) e nel Regimen (frido): cfr. V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p 59. Introduzione CCXXVII G. La -g- intervocalica raddoppia oltre la norma toscana solo in i(m)ma(g)gine I 78.3/i(m)magine I 78.3 (e si noti che il raddoppiamento sarebbe comunque rappresentato dal titulus e nel primo libro) e in ’lo(g)giare II 23.1 (per i controesempi di questo verbo, tutti con la scempia, vedi infra). Come s’è già detto (§ V.1.6), non trova mai rappresentazione nelle Croniche, almeno grafica, la geminata; l’unica eccezione è rappresentata dalle quattro occorrenze di seggio ‘tribunale’ ‘ripartizione politico-amministrativa di Napoli’ IIa 80.1.1.2 81.1, insieme al plurale seggi IIa 80.2 (ma segio t. +23) da -DJ-, insieme a hoggi e saccheggiata II 69.2, che tra l’altro compaiono nella copia di un bando (in cui si legge correttamente secondo la norma toscana, invece, collegio II 69.2; cfr. n. 582); gli altri esempi si leggono invece nella mano β: alloggiar(e) β1 36.22, maggio β2 206.1 (e da -DJ-, esseggio β3 203.1 e seggio β3 232.2). Per il resto sono invece numerosissime le forme che, almeno graficamente, presentano la scempia in luogo della doppia oltre la norma toscana, fenomeno che secondo Maria Corti sarebbe una normale reazione al dialetto737. Occorre ricordare qui, tuttavia, che nelle Croniche sembra registrarsi da BJ/VJ l’esito mediano [y] piuttosto che l’affricata palatale intensa del napoletano (cfr. § V.2.2.17), e che la grafia g(i) potrebbe analogamente, come s’è più volte detto, essere di copertura per la semivocale, come usuale nei testi mediani; date queste premesse, si evita di riproporre lo spoglio per le forme dal suffisso fr. -age e prov. -atge, che presentano sempre agio (es. stagio) e per le voci del verbo ‘alloggiare’ < fr. logier, per le altre forme che presentano la scempia, cfr. § V.2.2.16 e V.2.2.17. L. La scempia è in Posilipo I 95.11 e quelo IIa 320.2. La scempia invece si legge solo in un’occorrenza in seppelito IIa 329.2, in cui è etimologica [per il resto, seppellito III (+6) 11.6, 20.3, 23.3, IIa 96.1, sepellito III 10.4.5 (e seppelliti III 17.6, seppellita II 15.1, sepellir(e) IIa 368.1, seppellir(e) IIa 96.2 (2 volte)]738. Per artelarie IIa 3.1/artellaria IIa 6.3, 16.1, 28.5 si veda § V.1.9. La consonante raddoppia739 invece nelle forme raggruppate di seguito: Aniballe IIa 59.1, delluvio IIa 272.1, ellecti IIa 6.4, ellecto IIa 29.3, 243.1, ellecturi IIa 30.8, ellessero IIa 2.9, 245.3, 294.7, Fuscollillo IIa 388.1/Fuscolillo IIa (+17) 2.8, 59.1, 66.6 e Fusculillo IIa 102.1, italliani III 21.1/’[t]aliani I 95.2, ’taliani I (+4) 93.3.7.9 (2 volte), II 16.1, 23.1, italiani (+17) I 78.6, 93.10, IIa 16.5, 197.3, 201.1 e italiane IIa 11.1, Palliano IIa 2.3/Paliano IIa 2.2, solle(n)ni III 9.2, solle(n)nità IIa 56.1, sollito IIa 167.1/solito IIa (+11) 22.1, 30.1, 99.8. 737 Cfr. viagio, fugio, hogi etc. in De Jennaro (M. CORTI, a cura di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXVIII). 738 Il verbo in Loise compare invece sempre con la doppia (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 86, n. 76). 739 Si veda in De Jennaro il raddoppiamento postonico di aquilla (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXIX). CCXXVIII Nadia Ciampaglia M. È diffusissimo nelle Croniche il raddoppiamento di -m- intervocalica, come è usuale nei dialetti meridionali e nei testi di quest’area740 (e si ricordi, invece, che non trova larga rappresentazione MB > mm): ado(m)madavano IIa 369.1, ca(m)merligno III 25.4741, ca(m)melliagno I 91.9, Fla(m)migno II 19.9/Flami(n)gno I 101.3, Ca(m)mera III 3.1, ca(m)merero III 34.11, co(m)ma(n)dame(n)ti IIa 11.3, co(m)ma(n)dame(n)t<i> IIa 4.2 (qui la geminata è etimologica), co(m)mecza(n)do IIa 224.1, co(m)meczò IIa 124.1, co(m)me(n)cza IIa 355.1, co(m)me(n)czao IIa 257.1, co(m)me(n)czate IIa 162.3, co(m)me(n)czato IIa 256.1, co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, co(m)me(n)czero IIa 40.6, (com)menczò III 20.1, co(m)me(n)sa(n)do III 1.1, co(m)mo IIa 208.5/como IIa (+59) 30.1, 40.12, 57.2, co(m)modità IIa 219.2, co(m)munichati IIa 40.9, de(m)ma(n)dar(e) II 20.3, Da(m)mascho IIa 128.14, di(m)ma(n)dò III 40.1, do(m)madero IIa 40.6, do(m)ma(n)daro III 9.3, do(m)ma(n)dato I 107.1IIa, do(m)ma(n)dava IIa 249.1, do(m)manio IIa 31.3, do(m)menecha I 63.2, 64.1, 101.2, II 35.14, 42.1, 50.1, IIa (+14) 32.1, 37.1, 52.1, III 20.1.3, 25.10, do(m)mene<c>ha III 19.2, do(m)menech(e) I 75.5, IIa 216.1, do(m)menicha I 64.5, IIa 270.1/domenecha IIa 216.2, Do(m)menicho IIa 265.3, Do(m)m[e]nicho IIa 248.1, do(m)me(n)necha IIa 57.4, Do(m)micio IIa 134.6, Do(m)minicho IIa (+30) 21.3, 25.1, 86.2, III 23.3/Dominico III 26.10, do(m)minica III 17.4, do(m)minicha I 11.1, II 13.3, 19.5, III 17.2/dominicha III 18.3, Do(m)minicho I (+4) 31.3, 69.1, 78.9, II 38.3, I, exa(m)minar(e) IIa 110.7, exsa(m)minati IIa 110.4, exsa(m)minò IIa 110.3, exco(m)monichò I 102.3, ge(n)telo(m)mini I (+4) 13.2, 88.9, 98.1/ge(n)telomini IIa 40.4, III 45.3, ge(n)tilo(m)mini I 89.6/gentilhomini III 46.2, gentilhomi(ni) III 46.1, ge(n)tilomini IIa 65.1, 110.9.10, III 26.9, 30.5, gentilomini III 26.7, ge(n)tilomin<i> IIa 65.1 (e ge(n)tilomo IIa (+16) 29.2.3, 30.3), ho(m)mini I (+8) 29.1, 48.1, 58.2, II (+4) 13.2, 24.1, 34.1, IIa (+58) 4.2, 11.3, 42.3, III 27.20, 30.3, 46.4, hom(m)[i]ni I 93.18/homini I 93.19.24, II 24.1, ho(m)mo IIa 199.2/homo IIa (+28) 4.1, 42.3, 56.1, inco(m)me(n)cza(n)do III 2.1, inco(m)me(n)czar(e) III 25.5, inco(m)me(n)czato IIa 48.1, inna(m)morato III 35.1, mada(m)ma I 43.1, IIa 332.1, 335.1, ma(d)da(m)ma I (+13) 18.1, 19.1, 21.1, IIa 379.1, 382.1, ma(d)da<mma> I 88.1, no(m)minato IIa 190.1, III 26.12, 31.2/nominato IIa 243.1, nu(m)mero II 30.4, III 21.5, 30.17, sa(m)minare II 49.3.5, sa(m)minar(e) II 49.3.5, sco(m)monecha IIa 214.4, sco(m)municato III 19.2, sco(m)monichati IIa 214.4, sco(m)munichato IIa 2.5, se(m)mana IIa 70.4/septimana IIa 70.2, 266.1, se(m)minar(e) II 36.2, IIa 71.2/seminar(e) II 32.1742. Il raddoppiamento si verifica anche nelle forme latine ca(m)mera(m) S 2.2, co(m)mites S 11.1 (2 volte), do(m)minaba(n)tur S 1.1, do(m)minabat S 4.1, do(m)minus S 7.1, no(m)minatur IIa 315.2. Si legge la scempia nelle forme raggruppate di seguito: amalò III 32.13, comissione IIa 301.6, femine IIa 352.1/fe(m)mene IIa 165.2, 180.1, III 40.3, fe(m)mina IIa 40.5 (2 volte).6.10, III 27.4.5, fe(m)mine IIa 339.1, 348.1, III 24.1.3, gramati- 740 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 222. Si veda ad es. in Loise ade(m)manda, Ca(m)merlingo, Do(m)masco, (com)mandamiento, (com)mencza, Do(m)masco, do(m)meneca, Do(m)minico, mada(m)ma se(m)mana, se(m)menare (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 84-5). 741 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 84. 742 Cfr. semmina in De Jennaro (M. CORTI, a cura di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXIX). Introduzione CCXXIX ca II 53.3, gramaticha II 54.5, gramaticha IIa 170.1, p(ro)maticha IIa 61.2, Thomasi IIa (+9) 23.8, 30.3.7/Tho(m)masi IIa 23.3, Tomasi III 26.4/To(m)masi III 26.4. N. Il raddoppiamento è nelle forme seguenti: a(n)nimo IIa 130.3/animo III 58.6, a(n)i(m)o III 35.5, 58.12, Anto(n)nio IIa 2.2/Antonio IIa (+6) 25.1, 60.2, 63.1, Adsca(n)nio (Colonna) I 102.1/’Sca(n)dio Testa’ IIa 129.1 e Ascanio (Maria Sforza) I 28.1, do(n)natione II 53.6/donatione II 53.2.6, 53.7, do(m)me(n)necha IIa 57.4, gra(n)na II 30.4 ‘grana’, locute(n)ne(n)te IIa 225.1/lochotene(n)te IIa 199.1, locotene(n)te IIa 98.1, 258.2, locu<tene>(n)te IIa 103.1, locutene(n)te IIa 100.1, lucutene(n)te IIa 184.1, 217.1, 259.1, lu(n)nedì I(+6) 4.1, 21.1, 69.2, IIa 28.4/lunedì I (+5) 30.1, 68.1, 71.1, II 6.2, IIa (+4) 61.1, 194.1, 246.1, lu<n>edì I 59.1; si aggiungano le forme verbali sonno IIa 18.1, so(n)no IIa (+24) 2.9, 40.2, 66.4 e ve(n)ne(n)do III 7.4, 58.5 ‘venendo’. La scempia è in Aniballe IIa 59.1, anichilare IIa 69.2; si è invece proposto l’emendamento per dona III 28.1743/do(n)na III 23.1, 24.3, 28.18. P. La scempia si registra nelle forme seguenti: apresso IIa 361.2/appresso IIa 60.2, 99.8, app(re)sso IIa 16.3.5, capella IIa 37.2, 367.2, III 26.2744/cappella IIa 37.1, 367.1.2, III 25.3.4, capello IIa 128.5.14/cappello IIa 370.2, Ipolita I 71.1, Ypolita I 19.1, 40.1, 41.1; in sepellir(e) IIa 368.1/seppellir(e) IIa 96.2 (2 volte), sepellito III 10.4.5/seppellito III (+6) 11.6, 20.3, 23.3, seppelliti III 17.6, seppellita II 15.1 è conservata la scempia etimologica. La consonante intervocalica raddoppia in coppulata III 17.2 e seppulto IIa 380.1, 381.1, sepp<u>lto III 13.2. Si aggiunga, nel Sommario latino, cappulata S 17.1. R. È tipico dei dialetti meridionali il raddoppiamento di -r- nelle forme del futuro e del condizionale (cfr. § V.3.1.1/d e V.3.1.3); la -r- raddoppia anche nelle forme elencate di seguito: barrile I 48.2, 65.1, IIa 47.3, III 48.30, Carrafa IIa 38.1, 243.1, Carrafha IIa (+12) 3.2 (2 volte), 68.1.2/Carafha IIa 69.1, Ferra(n)do II 15.1, Casparro II 28.1, Gasparro II 53.8, 62.1, IIa (+4) 102.1, 245.5, 316.1745, Hectorre I 93.10 (2 volte), derritta IIa 123.1, Sarra IIa 58.4, sarracini746 II 2.1, 44.1, sarra<cini III 12.5, Sarracinia III 48.28, Serracino IIa 167.2, Ta(r)ra(n)to I 36.1, Tara(n)to I(+4) 13.2, 34.1, 93.14.15, vecerré I (+10) 93.3.6.7, II (+10) 743 Va detto però che dona è pure in Loise De Rosa, analogamente emendato in do[n]na dall’editore: V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 85. 744 Il gallicismo capella accanto a cappella si legge anche in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 256, n. 734). 745 Si vedano Gassparo e Gasspa(r)ro in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 86). 746 Cfr. sa(r)racine in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 253); si veda anche D’AMBRA, s.v. sarraino. CCXXX Nadia Ciampaglia 16.1, 19.9, 20.12, IIa (+16) 6.4, 13.1, 80.4, III26.12/veceré I 92.1, vecer(é) IIa 385.2, vicerré I (+4) 92.1, 108.2IIa, 109.1IIa (2 volte), II 21.5, 31.1, 46.2 IIa (+9) 27.2, 57.5, 61.1. La scempia sta probabilmente per [rr] in Herico IIa 52.1/Herricho IIa 84.1, Erricho III 9.2, 21.5 e Fera(n)te I 76.8747. S. È diffuso nel napoletano lo scempiamento nei pf. socese IIa 106.3748/socess(e) III 23.3, soccese III (+6) 10.3, 15.1, 17.1/soccesse III 19.6, soccess(e) III 13.1, 19.3, 26.5, succese I 78.9 (e soccesero III 10.2 e il part. pass. succese ‘accadute’ I 78.9, 84.4, 97.2, IIa 139.3, III 10.5, 11.1, succeso I 5.3); analogamente si ha la scempia nel pf. procese IIa 110.7, proce<s>e IIa 110. Forse effettiva è anche la degeminazione di Alesandro III 58.6749/Alexa(n)dro III (+4) 51.12.16, 55.1, Alexandro III 54.3, 56.8. Sarà invece solo grafico lo scempiamento di havese IIa 318.1/havesse IIa (+21) 4.1, 6.3, 71.2, Mo(n)tecasino IIa 28.1, possesione IIa 161.1/possessione IIa (+4) 122.1, 162.1, 169.1, posseso IIa 83.1/possesso IIa 194.1, sesa(n)tamilia IIa 169.1, rocollesero IIa 327.2. È forma tipicamente meridionale, per assimilazione da (EC)CUM SIC, adcussì (+4) IIa 2.11, 80.2, 101.3, cu(n)ssì I 93.14, IIa 136.2, 139.2, cussì I (+4) 89.6, 102.3, 103.7, II (+7) 20.6.8.10, IIa (+42) 2.4.12, 19.2 (2 volte), III 27.9.17.21750. T. È diffusa nel meridione, forse da *CITATE in luogo di CIVITATE, la scempia di cità I (+23) 52.1, 52.3, 53.1, II (+19) 2.1, 3.1 (2 volte), 15.1, IIa (+23) 14.1, 16.6, 29.1, III (+26) 8.2, 10.2.4751, [ci]tà II 1.1 e citadino IIa (+11) 109.1, 167.1, 186.2, III 34.7, citadini II 49.2, III 40.4, 107.2, III 19.5, 27.17, 39.13 (e si aggiungano le forme di β; l’unica eccezione si legge in β2); sarà invece forse solo grafica l’alternanza nelle forme elencate di seguito: aterrato IIa 28.5/adterrati ‘sotterrati’ 345IIA 1, adterrato ‘inumato’ II 14.1, bataglia I 93.15, batalglie I 103.4, batallglia I 95.12, bata(n)lglia I 106.5/bactaglia (+10) III 13.3, 20.2, 21.7, battaglia III 21.9, 48.9, bactaglie I 55.1, bactalglie I 95.10 (e bactalgliare I 103.4), Batista (+5) I 94.3, II 2.1, 59.4/Bactista IIa 125.2, 128.1, 245.5, co(n)trato IIa 228.3, legitimo IIa 79.1, muto ‘motto’ III 32.3, quat(r)o III 55.1/quattro III (+5) 22.1, 28.6.11, q(u)attro III 28.14, sfratati IIa 364.1. 747 Cfr. Ferante in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 86). Si vedano soccese, socczese etc. in Loise, forse risultato di un adeguamento analogico sul tipo ‘mise’ ‘prese’ (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 257). Questa possibilità mi sembra però da escludere per Fuscolillo, considerati invece il pf. forte messe ‘mise’ IIa 13.1, 20.2, 27.3, messero I 104.1, 106. 2, 296.4, III 55.3 e β1 34.3. 749 Alesandro accanto ad Allessandro si legge in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 252. 750 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 946; si veda ad es. in Galeota cossì (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 60). 751 Cità con i corradicali citadella e citatine è ad es. in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 256). 748 Introduzione CCXXXI Si raddoppia, forse solo graficamente, in expedicta IIa 207.1/expedita IIa 19.2, 163.1, renducta ‘resa’ III 39.9. Al contrario, connuta ‘condotta’ ‘governo di esercito o di schiera’ I 93.24. V. overo IIa 327.2, III 27.10. Altre mani. B. Il raddoppiamento di -b- è solo in β3: sabbato β3 204.3, subbito β3 196.11, ma subito β1 36.2.11 (2 volte), β2 244.7.9.22, Fabio β1 36.4 (2 volte), habitatori β2 244.9, rebelli β136.20, rebello β3 203.3. La scempia si conserva oltre la norma toscana e in accordo con il latino in obedientia β2 244.15, obedira(n)no β2 244.20, publicò β2 237.1, publicatione β2 237. 6 (2 volte), publicatus β2 237.26. Per il vb. ‘dovere’ e ‘avere’, cfr. § V.2.2.17. Mano γ. sabbato 151.1. C. Non c’è la scempia, a differenza di Fuscolillo, in occhi β2 244. D Non c’è raddoppiamento in sedia β3 196.10. G. Le rarissime forme con la geminata secondo la norma toscana si leggono qui, con alloggiar(e) β1 36.22/allogiar(e) β136.21 (e adlogiate β1 36.17), lloggiar(e) β136.22/llogiar(e) β1 36.22, maggio β2 206.1, β2 244.3/magio β1 34.2.5.12, β2 41.1, maggior β2 244.17, maggio[r] β2 244.15/magiore β1 35.12, β2 237.ҏ14, β2 244.4, magior(e) β2 237.4 (2 volte).9.14, esseggio β3 203.1 e seggio β3 232.2/segio β134.5. La scempia è in fugir(e) β134.5, 36.13, linguagio β2 244.12. L. Raddoppiamento in solle(n)nissima β2 206.2. N. Raddoppiamento in solle(n)nissima β2 206.2, ma non in lunedì β136.17. Mano γ: Sa(n)gue(n)ne 150.1 (ma Sa(n)guene β136.8.9). M. Largamente attestato il raddoppiamento di -m-: co(m)ma(n)da β136.22, β2 237.4, co(m)mandame(n)ti β2 244.11, co(m)ma(n)dame(n)to β2 236.1, β2 237.2, co(m)ma(n)damo β2 237.6.7.22, co(m)modità β2 237.3, do(m)meneca β1 36.14, ho(m)mini 210.1/homini β136.1, 17.22, β2 244.11, 21, β2 40.15, β2 41.1 e homeni β3 196.6 (2 volte), tu(m)mulo β3 229.1.2 (2 volte)/tumolo β2 237.4 (2 volte).19.20 (2 volte).22. Lo scempiamento si registra solo in β2: femina β2 244.3/fe(m)mina β136.26, femine β2 41.1. Mano γ. comedia 147.1.2. R. Mano α. Gasparro II 62.1. Per le forme del futuro e del condizionale, cfr. § V.3.1.1/d e V.3.1.3. Comune il raddoppiamento in vecerr(é) β134.5, β1 36.20.22, vecerré β134.8 (2 volte).11, β135.3.5 (2 volte), β136.11.12.18.19, vicerr(é) β2 206.5, vicerré β3 203.1, β2 206.1, β3 229.1, β134.2.3.7, β136.18. Mano γ. vecerré 148.1. S. Usuale il raddoppiamento in cossì β3 229.2, β2 237.15.22, cussì β1 34.6, β135.2.5 (3 volte), 36.22; in γ cussì 148.7. Forse è un errore havisseno ‘avvisano’ β2 244.7 (e si veda infra, avisano ‘avvisano’ β2 244.9). Dialettale lo scempiamento di succese ‘successe’ β134.8, β136.20. T. Costante lo scempiamento, tipico del Sud, di citadino β136.5, citadini β3 196.11 e citadini γ 148.5 (2 volte), 152.2, così come in cità (+11) β2 40.15.17, β2 206.1.2, β3 229.2, β3 231.1 (2 volte), β2 244.3, β1 36.2 (2 volte).4; solo in β2 si legge, forma unica in tutte le Croniche (Fuscolillo adopera sempre la scempia), città β2 237.13.21.22; si ricorderà tuttavia che il § 237 è la copia di un bando; si aggiunga anche matina β3 230.3. Mano γ: matina 148.3. V. Avrà valore fonetico lo scempiamento di avisano ‘avvisano’ β2 244.9, havisseno ‘avvisano’ β 2 244 7752. Ζ. Tipicamente meridionale lo scempiamento di mezo β3 229.1, β2 237.19, β2 244.12 (e meso β2 237.4753). 752 Cfr. ANDREOLI, s.v. avisare; D’AMBRA, s.v. avesare, aviso; avisare in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 82). 753 Cfr. miezΩ per il napoletano, miesΩ, mesΩ per la Campania settentrionale, mesu nel Lazio meridionale: G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 278. CCXXXII Nadia Ciampaglia V.2.2.30. Fenomeni generali a. Metatesi. La metatesi si verifica per lo più nei nessi di l ed r + consonante754. Si ha metatesi di l nelle forme seguenti: Abla IIa 326.1/Alba IIa 303.1, 315.2, 330.1 (con l inserita nell’interlinea), 333.1, Abli IIa 293.2/Albi IIa (+22) 3.1 (con l corretta su b), 11.4, 12.1, 13.1 (nell’occorrenza di IIa 298.1 la l è inserita nell’interlinea tra a e b), ad l’abli I 93.18, calvachò I 84.5, calvacò I 14.1, 15.1, 47.1, 84.6 (2 volte)/cavalcò I 15.1, 84.5, 97.8, IIa 27.2 (retr. calvacò, con l espunta e poi inserita tra a e c), cavalcao I 76.2, cavalcaro I 76.2755, mercludì II 6.4/merchudì II 35.14, merchudì IIa 57.1, 335.1, mercodì I 70.2, mercudì I 18.1, 23.1, 97.5, II 55.1, IIa (+5) 24.1, 26.1, 28.6, plubicha IIa 97.1, 363.1/publica II 33.1, IIa (+5) 53.1, 162.1, 170.2, plubichame(n)te IIa 208.4, plubichati IIa 107.1/ publicati IIa 107.4, plubicho IIa 18.1, 97.1/publico II 53.1.7, 59.4, IIa (+12) 105.8, 120.1, 121.1, III 12.4., plubicao I 43.1/pub[l]icao I 63.2 (e publicar(e) III 19.7, publicata II 21.10, IIa 375.1). Si è già segnalato gliotte ‘gocce’ IIa 71.1 in cui il nesso GL è secondario, cioè originatosi successivamente per metatesi di l: <* GLUTTA < GUTTULA (cfr. § V.2.2.14 e n. 577). La metatesi di r si verifica invece nelle forme elencate di seguito: borcato ‘broccato’ IIa 16.3, borchato IIa 16.2 (e con prostesi, imborcato IIa 16.4, 17.1.2 e, con mb>mm, ’morchato I 71.2), breogna IIa 20.1 (e, senza betacismo, vregogna I 103.7)756, brogale ‘volgare’ IIa 104.6 (con betacismo), carmeligo ‘camerlengo’ III 53.5/ca(m)merligno III 25.4, ca(m)merligno III 25.4, ca(m)melliagno I 91.9, catredale II 4.1, Crapi IIa 247.1, crapipte ‘capretto’ IIa 86.4, crapipti IIa 78.6, crapipto IIa 78.7, crastati ‘agnello grande castrato’ IIa 153.1, crastato IIa 283.1757, dreto III 28.16758/dereto I 55.2, 106.1, II 46.2, IIa 33.1, 128.16, 335.5, indereto I 96.5, IIa 64.3, indireto IIa 143.2, i(n)direto IIa 143.2, frabica II 46.2, IIa 360.2, frabicar(e) I 4.1, II 33.2, 51.1, IIa 327.1/fabricar(e) IIa 51.1, frabicava II 51.1, frabicha IIa 48.1, 335.4, 344.2, f<ra>bicha IIa 365.1, frabichato IIa 48.1, frabich(e) II 46.3, Frabicio I(+4) 90.2, 93.7, 96.7, II 23.2, frebar(e) I 94.2, frebaro I (+13) 3.1, 9.1, 12.1, IIa (+18) 44.1.4, 50.1, frebe I 104.2, IIa 225.2, froster(e) IIa 339.1, frosteri IIa 86.1, 119.3, 125.2, Grofido III 25.7 (con r nell’interlinea), Goffrido III 27.1 (con r corretta su i), intercziato IIa 128.14, intreponer(e) IIa 294.6, octrufo IIa 15.1, preta II 62.1, IIa (+8) 50.1, 137.3 (2 volte), 345.1/petra II 40.1, prete IIa 335.7, 344.1, scrope(m)mo IIa 247.3 (con r nell’interlinea), Sgesmu(n)do III 57.2.3, starssinato I 68.2/strassinata IIa 68.2 (e trassinato I 8.1, trascinar(e) III 30.18), Ternità IIa 181.2, III 8.2, vernedì I (+5) 49.1, 75.1, 754 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 322-3. Si veda calvaccata in De Jennaro, ancora presente nell’area laziale e abruzzese (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXV). 756 Cfr. il napoletano sbreognato ‘svergognato’ (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 191); bbreuogna (C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 178). 757 Cfr. ANDREOLI, s.v. 758 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 322. 755 Introduzione CCXXXIII 78.9, II 27.2, 38.1, vregogna I 103.7. Si aggiunga rursectione ‘resurrezione’ II 13.3 (ma Resurrectione β 240.1). In fratri IIa 315.2/Frati IIa (+11) 123.1, 124.2, 128.11, frebre III 32.13/frebe I 104.2, IIa 225.2 e pretra II 60.1 si è avuta propagginazione della vibrante. È ampiamente diffuso nel Mezzogiorno il nesso sdi in luogo di dis: sdegratia I 103.3759. b. Prostesi. La prostesi è diffusa nel napoletano, specialmente con la vocale a-760: adbasso IIa 182.2.3, 344.1761/bassio I 94.3, a(b)bastava IIa 105.6 (ma bastava III 51.5), abbrusao I 97.13, abbrusarno I 75.3, abrusaro I 97.14, abrusciar(e) III 39.2, abrusciaro III 43.2, abrusciò IIa 385.2, abrusiata IIa 27.1, adbrusaro IIa 177.4, adbruscero IIa 183.1, adbrusciavano III 43.2, adbrusiò I 78.3 [ma brusiar(e) I 94.2, brusiata I 78.3], adbisognò II 35.5, IIa 112.3, 183.3, 247.5, adbisognao IIa 280.2, adrrobato IIa 188.1, adrobbati II 24.1, adterrato II 14.1, adcussì IIa 80.2, 101.3, 130.3/cu(n)ssì I 93.14, IIa 136.2, 139.2, cussì I (+4) 89.6, 102.3, 103.7, II (+7) 20.6.8.10, IIa (+42) 2.4.12, 19.2 (2 volte), admarcziava IIa 286.3, adprese(n)tata I 76.7, adprese(n)tavano I 97.7, adprese(n)tero IIa 208.5, adruinata IIa 208.3, adsecchate IIa 70.6, adsectò IIa 163.1, adssectò IIa 98.1, allistati IIa 320.1, a(m)mosso IIa 367.2, arruinero IIa 252.1; è anche della lingua letteraria ado(m)madavano IIa 369.1. Altrettanto diffusa nel napoletano è la prostesi di in: imborcato ‘broccato’ IIa 16.4, 17.1.2762 e, con mb>mm, il già citato ’morchato I 71.2/borcato IIa 16.3, borchato IIa 16.2, imp(ro)mecte(n)do III 31.3, invisione IIa 40.5, inadriva(n)do IIa 177.3, infanti ‘soldati’ II 21.7, infantaria I 106.1.4, II 20.8, inpollecte IIa 294.3.6, 353.3/pollette IIa 294.1. S’è già accennato (cfr. § IV.1 e n. 179) al probema posto dai tipi missere Incandora, missere Indiego, missere Inpò, missere Inpaschale, che si è preferito trascrivere in Pò, in Paschale, in Diego, in Candora ‘Caldora’; secondo Formentin la in, tuttavia, non sarebbe prostetica763, ma corrisponderebbe alla particella catalana onorifica en764, che potrebbe celarsi nel nostro testo nella lezione corrotta en fato duca de Calabria I 58.1 emendata (scartando come lectio facilior l’opzione prefato) in en Alfonso duca de Calabria, considerato anche il passo lo duca d(e) Cala- 759 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 326 e 1011. Cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXII. 761 Si veda basso in De Jennaro (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXII). 762 Si vedano inborcato, inbrocchato in De Rosa (P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., p. 43 e V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 272), inborcato in Ferraiolo (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit, gloss., s.v). 763 Questa tesi è invece proposta da R. COLUCCIA, A. CURACHI, A. URSO, Iberismi quattrocenteschi..., cit., pp. 201-2. 764 V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 273 e n. 790. 760 CCXXXIV Nadia Ciampaglia bria nomine do(n) Alfo(n)so I 53.1, che mostrerebbe l’equivalenza del titolo en/don. La prostesi di s- con valore intensivo si legge in scappucini IIa 97.1; al contrario si veda cavalcati I 97.8, che si è preferito correggere in scavalcatiI 97.8765. La prostesi di e- davanti a s + consonante è in estrata ‘strada’ IIa 274.1, estrate IIa 37.1, 219.1, exstrate IIa 99.5, exs<tr>ate IIa 99.1: la base è il lat. tardo STRATA(M). Sono giustificate anche dal latino le forme extraordinario IIa 23.7 < EXTRAORDINARIU(M), expave(n)to IIa 26.3, extima IIa 40.4 (in cui la e, estesa ai deverbali, è etimologica rispettivamente, in *EXPAVENTARE e AESTIMARE)766. c. Anaptissi. È inserita una vocale di transizione in augume(n)tò < AUGMENTUM III 26.2/aume(n)tò III 26.2767. d. Aferesi. Si verifica aferesi di a in ’cordar(e) IIa 346.2, (ad) ’iutarla III 37.6/aiutar(e) III 28.28, 37.6, 38.3, ’Ragona I (+11) 16.1, 20.1, 22.1, III (+26) 2.1, 23.1, 24.3, ’Rogona I 84.5, 97.6, ’Sca(n)dio ‘Ascanio (Testa)’ IIa 129.1/Adsca(n)nio (Colonna) I 102.1 e Ascanio (Maria Sforza) I 28.1, ’spectar(e) IIa 113.2, ’spectava IIa 250.4, ’Pruczo III 54.3/Appruczo III 51.14, Apruczo III 57.15, Apuczo III 6.3; si può aggiungere, nel Sommario latino, Magome S 21.3, che è verosimilmente errore di scrittura per ’Ragone; di in in ’gie(n)czero ‘incensiere’ II 16.2; di i nel prefisso in di ’na(n)ci II 21.2, ’na(n)czi 2 30 24, 57 2, ’na(n)te III 12.4, ’na(n)ti II 63.1, IIa (+17) 100.2, 104.5 (3 volte), III 27.1, ’na(n)t<i> IIa 104.3/i(n)na(n)ti I 103.4, inna(n)ti I 95.3, IIa (+14) 110.8, 128.5.7, inna(n)zi IIa 69.2, inna(n)czi III 57.16, inna(n)te III 37.6, inna(n)ti III 48.8, ’Noce(n)cio IIa 74.1, ’Noce(n)tio IIa 25.2, 119.1/I(n)no(n)ce(n)tio I 60.1, ’Sernia IIa 225.1, ’[t]aliani I 95.2, ’taliani I (+4) 93.3.7.9 (2 volte), II 16.1, 23.1/italiani IIa (+6) 16.5, 197.3, 201.1, italliani III 21.1. Saranno invece causate dalla discrezione dell’articolo le forme spitale IIa 81.1/hospitali III 8.1, 25.2 e stagio I 93.17, stagi II 20.5768; si aggiunga fece rende il magio ‘omaggio’ I 89.6 ma iurare ’magio I 88.9, 90.1. La deglutinazione spiega anche le forme in la Magna III 17.7769, da la M. III 19.7, IIa 125.1, 128.1, a la M. III 19.7 (2 volte), de la M. III 21.1; si aggiunga (monsignore de lu/lo) Treccho ‘Lautrec’ I 104.1, 106.2 e (la) Tripalda (Atripalda) I 47.1, 93.4, β 237.20, Tripaula 765 Questo il contesto: «Et subbito ch(e) el p(redic)to re et regina foro desmo(n)tati in terra et cavalcati, fo posto ad sacco il po(n)te». 766 In Lupo De Spechio il nesso st talvolta è preceduto da una e prostetica come nelle lingue iberiche (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., pp. 197-8); si veda ad es. in De Jennaro esdegnosa (M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit. p. CXXXII). 767 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 338. 768 Si vedano spitale e stayo in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 271). 769 Si vedano La Mangnia e Tripauda in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 271). Introduzione CCXXXV I 81.1. Non c’è invece concrezione dell’articolo in lerta < *ERCTA(M) IIa 154.1, nella locuzione camminenno alla lerta ‘in piedi’. e. Epitesi. Epitesi di -ne in ène I 108.2IIa, IIa (+20) 106.3, 130.4, 134.1, di -i in èy I 12.1, hèi IIa 33.2/è I (+6) 31.1, 75.4 (2 volte), 86.6, II (+4) 21.5, 43.2, 54.5, IIa (+10) 14.1.2, 22.1, III (+10) 3.3, 6.5, 10.2. f. Sincope. Benché nei dialetti di area meridionale non si tenda alla sincope770, in Fuscolillo il fenomeno è invece largamente presente, in particolar modo nelle forme del condizionale e negli infiniti con enclisi pronominale771: annullarlo II 53.2, brusciarla III 57.11, donarlo IIa 213.4, esserve III 31.7, farle IIa 170.3, farli III 30.16, farlil<o> II 35.9, haverce IIa 110.2, haverli IIa 140.1, ’iutarla III 37.6, regratiarlo III 14.2, sacchegiarla III 55.5, darli II 54.2 (2 volte)/dareli IIa 350.2, farne IIa 245.3/farene II 53.5, farle IIa 170.3, levarce IIa 180.2/levàrece IIa 103.3, 301.4, pigliarla IIa 27.2, portarla IIa 318.1, posserlo IIa 184.1, recepirlo IIa 127.2, reve(n)derlo IIa 76.1, tirarla IIa 356.1, volerli IIa 130.2; senza sincope dirili III 35.8 e posser(e)sende ‘potersene’ I 84.1772; per i condizionali, arria III 51.8, harria II 53.2 e porria II 19.8, 35.2, IIa 1442.1. Si aggiungano anche gli infiniti coniugati farno IIa (+5) 100.2.3, 105.7/fareno IIa 245.2, haverno II 46.3, IIa 106.2, volerno II 23.4 (cfr. § V.3.1.6). La sincope invece è per lo più evitata nelle voci del verbo ‘comprare’: co(m)parao IIa (+7) 30.6, 31.3, 213.1, co(m)parare IIa 245.2.6, co(m)parar(e) IIa 271.2, 357.3, co(m)parata IIa (+6) 105.2, 118.1, 337.1, co(m)parato IIa 76.1, 169.1, 245.3, co(m)parava IIa 70.6, co(m)però IIa 211.1/co(m)prata IIa 341.1, compra(ta) IIa 341.2. Si prediligono le forme non contratte per gli infiniti bever(e) IIa 70.6, 164.1, III 27.20, 28.18, poner(e) II 54.12 e nelle forme del futuro: ponerrà II 30.5, vederò III 58.10, venerrà IIa 283.1. Che la tendenza alla sincope sia caratterizzante della nostra area, lo mostrerebbe il toponimo Corgliano IIa 153.1, Corlgliano IIa 83.1, che conserva invece la vocale atona solo quando compare nel terzo libro, e dunque in una scrittura non spontanea, mutando anche grafia per la laterale palatale: Corillano III 26.4.4 (2 volte); si aggiunga il nome del fiume Gargliano I 106.5, Garliano I 96.2.6, Gargliano IIa 770 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 138. Diversa, tuttavia, è la situazione nei dialetti meridionali occidentali ed estremi e nel dialetto di Sora (M. LOPORCARO, Grammatica storica del dialetto di Altamura, Pisa 1988, p. 66). Va comunque detto che non si registra sincope nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., pp. 390-1); gli esempi in De Jennaro e in Galeota sono solo di natura letteraria: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXIII e V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 55. 771 In Loise De Rosa si presenta invece una situazione diametralmente opposta: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 261. 772 Questo il contesto: «et ch(e) li donasse il passagio d(e) posser(e)sende a(n)dar(e)». CCXXXVI Nadia Ciampaglia 195.1, 307.3, III 30.10, Garlgliano IIa 13.1, Garliano IIa (+4) 101.4, 127.3, 128.6. La sincope è anche nei sostantivi e aggettivi raggruppati di seguito: carchi IIa 313.3, cermonie IIa 128.18, froster(e) IIa 339.1, frosteri IIa 86.1, 119.3 125.2 (qui favorito dalla metatesi); è diffuso in tutto il meridione merchudì II 35.14, merchudì IIa 57.1, 335.1, mercodì I 70.2, mercudì I 18.1, 23.1, 97.5, II 55.1, IIa (+5) 24.1, 26.1, 28.6/mercludì II 6.4 (con metatesi)773. Di seguito invece gli esempi di conservazione della vocale atona: crudelità II 19.8, IIa 301.4, 348.1, crudilità IIa 180.1, fedelità III 16.1, fedelità I 75.7, 95.6.9; si aggiunga il toponimo Fia(n)dera IIa 117.2, 160.4. g. Apocope. M. Corti distingue un’apocope di natura dialettale e una di tipo letterario774. In Fuscolillo si registrano le forme seguenti: do’ ‘dove’ IIa 274.1, dopo’ III 9.2, 51.13775/dopoi III (+4) 28.15, 43.1, fe’ I (+9) 5.3 (2 volte), 27.1, 51.1, II 20.9, 46.2, 53.2, IIa (+26) 31.4, 80.3.4, III (+86) 11.2, 12.6, 15.3, [fe’] III 22.1, f<e’> 21.4/fece I (+23) 7.1, 70.1, 75.8, II (+19) 14.1, 15.1, 19.4, IIa (+110) 2.8, 24.2 (3 volte), 26.5, III (+31) 19.5, 25.8, 27.12, fi’ II 6.4, 36.2, IIa (+8) 28.2, 71.1, 79.8, III 50.1, fin III 30.11, 47.4, 57.11, IIa 344.2/fine I 88.7, 104.2, p(er) fine II 37.2, 42.1, 54.2, III 30.16, 59.5 (2 volte), fino III (+14) 9.1.4, 27.21, fini IIa 200.2, mo’ I 108.2IIa, II 30.2, IIa 162.3, 228.4, 274.1, po’ I 18.1, 56.2, 83.1, IIa 110.8/poi I (+32) 26.2, 28.1, 43.2, II 19.4.10, 20.2, IIa (+50) 26.4, 27.2.3 (2occ), III (+68) 11.5, 13.5, 14.1, so’ III 30.7. Particolare è pregasser (Idio) IIa 70.7; Fuscolillo sembra registrare le parole pronunciate durante la predica dal vescovo di Sessa: «et d(e) poi predicò allo popolo d(e) Sessa dice(n)do ch(e) pregasser Idio ch(e) venisse la pioge». Si registra il tipo dialettale dell’infinito apocopato have’ II 35.11, mecte IIa 13.1, re(n)de I 89.6776. Altre mani. Metatesi in calvachò β3 231.1, calvacò β3 231.1, frosteri β135.1, groliosa β2 40.12, octru<f>o β3 229.1 e forse anche in Ingliterra β3 230.1, ma non in publicò β2 237.1. Mano γ: plu(bi)co 148.4/publico 152.1. Prostesi di a- in admagazenati β2 237.4, a(m)magazenati β2 237.6, adveder(e) β134.7; di in- in insta(m)parà β1 34.8, intrasìo β136.8/trasìo β136.9 (e trasero β135.1, trase(n)do β3 196.8). Anaptissi nel già segnalato augume(n)tano β2 773 Cfr. ANDREOLI, s.v. miercudì. Cfr. M. CORTI (a c. di). P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXIII. 775 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 315 (DE-POST > depó > dopó >dópo); si veda depo’, po’ in Bellezze (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 121). 776 Cfr. C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 175 e vedi infra, § V.3.1.6. Sono numerosi gli infiniti con apocope della sillaba finale in Bellezze, come recure, magnà (P. TRIFONE, La confessione di Bellezze Ursini..., cit., p. 121 e n. 90); si aggiunga anche corre in De Petruciis (citaz. di M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXXXIV). 774 Introduzione CCXXXVII 237.3. È anche della lingua letteraria l’aferesi di lemosine β2 41.1; aferesi di i nel prefisso in: ’na(n)ti β3 196.6/inna(n)ti β3 196.7; non si registra invece in Italia β2 244.24, italiani β1 34.11, β135.1.5, β1 36.12. L’epitesi è solo in β3: ène β3 196.3/β3 229.2, ma sempre è (+16) β1 34.4.8, β1 36.19, β2 206.2, β2 237.3 (3 volte).5.15, β2 244.4 (3 volte).8, 13.21. La sincope, così come s’è visto per Fuscolillo, è assoluta negli infiniti con enclisi pronominale e si legge in tutte le mani, ad eccezione di γ: farli β1 34.8, farse β1 34.7, levarlo β1 34.8; adorarlo β2 244.15, co(m)perarne β2 237.6, haverlo β2 244.6, ma(n)darle β2 237.6, parmi β2 244.9, scriverlo β2 244.21, ve(n)derli β2 237.13.14, visitarlo β2 206.3, volerli β2 237.7; si aggiungano gli infiniti coniugati haverno β2 244.9, esserno β2 244.23; in γ invece fareno 152.1. Si conferma analogamente la tendenza a conservare la vocale atona nelle forme del futuro; le uniche eccezioni sono in β2: adcaderrà β1 34.8, co(n)travenera(n)no β2 237.8 (2 volte) [ma co(n)traverrà β2 237.19], haverrà β2 237.6, haverra(n)no β2 237.6, β2 244.11, potera(n)no β2 237.13/potra(n)no β2 237.21 (e potrà β2 237.14), tenerà β2 237.22, tenera(n)no β2 237.6 (3 volte).7.9, volera(n)no ‘vorranno’ β2 237.13.14; l’atona si conserva nelle voci del verbo ‘comprare’: co(m)parare β2 237.3, co(m)parar(e) β2 237.7.19, co(m)perar(e) β2 237.1, co(m)perarne β2 237.6 e nel corradicale co(m)peraturi β2 237.13.14.21; si trova la forma estesa, incoraggiata dal latino, in extraher(e) β2 237.14, imponer(e) β134.2. Per quanto riguarda i sostantivi si registra la sincope in cirmonie β3 196.8.9, frosteri β135.1 e nel già notato toponimo Gargliano β134.12, β136.8; c’è sempre la sincope negli avverbi in -mente: facilme(n)te β2 237.3, [inrem]esibilme(n)te β2 237.19, inremisibilme(n)te β2 237.23, in<vi>olabilme(n)te β2 237.11, inviolabilme(n)te β2 237.15.19, licteralme(n)te β3 196.11, similme(n)te β2 237.6 (2 volte), β2 244.23; è letteraria la sincope in medesme β2 237.20, medesmo β2 244.12/medesime β2 237.19. È un latinismo la conservazione della vocale atona in Carolo β2 206.1/Carlo β3 230.1, β1 34 1.2.8.12. Gli esempi di apocope sono quasi tutti di natura letteraria, per lo più presenti in β2 e in particolare nel § 244: cardinal Pacecco β3 229.1/cardenale β2 206.5, cardinale β2 236.1, β3 240.1, car(dina)le β2 206.1, ciaschun fidel β2 244.2/ciaschuno β2 237.6 (2 volte), ciascun fidel β2 244.1/ciascuno β2 237.12, collateral co(n)seglio β2 206.1, crudel morte β2 244.15, dar fede β2 244.21, esser vero β2 244.5/essere β2 244.17.21.24 esser(e) β3 196.10, β3 231.1, β134.8.12, far revere(n)tia β2 206.3, far il mio diletto β2 244.19/far(e) β1 34.13, β1 35.1.3, β1 36.2.21, fe’ β1 34.5 (2 volte).6.20.25, β2 206.1.2/fece β1 34.5.6.11, β135.3, β3 196.5.8.9 (2 volte).10.11, β3 229.2, fidel (cris)tiano β2 244.1.2/fideli β2 244.24, figliol de Dio β2 244.5.15/figliolo β2 244.17.21, β2 40.12.14 (figliola β2 40), fin che β3 203.2, fin qua β2 237.3, fin a la β2 237.20/fine β2 237.4, β2 244.21.24, fino β2 237.6.7, gra(n) tuono β2 244.18/gra(n)de β3 196.7, β3 230.2, β135.5, gra(n)di β3 230.2, haver β2 244.18/haver(e) β2 237.6, β2 244.2, β1 35.5, horribil natività β2 244.9, horribil voce β2 244.18/horribile β2 244.4, resuscitar morti, sanar infermi et illuminar i ciechi β2 244.14, sian morti β2 244.15/siano β2 237.7, s(ign)or β2 206.1, β3 230.2.4.5, 231.1 (3 volte), tal offitio β1 36.5, tal ch(e) β2 237.3.4, tal nova β2 244.21.24/tale β2 237.15, β134.4. Sono invece di natura dialettale le apocopi di mo’ β136.19, dopo’ β2 244.7.23/dopoi β2 244.8, per fi’ che β134.8; non c’è apocope in poi β1 34.7.9, β1 36.21.22, β2 237.6 (2 volte), β2 244.9, β3 196.11. V.2.2.31. Raddoppiamento fonosintattico In primo luogo, occorre porre a parte i casi in cui la consonante doppia è frutto di assimilazione pittosto che di rafforzamento: vanno inseriti in questa categoria, dunque, i llo II 20.12, IIa 22.1, co llo I 96.6, co mmulte III 1.1. CCXXXVIII Nadia Ciampaglia Allo stesso modo, non possono rientrare qui i casi del tipo da llà II 46.2, 53.2, 28.14, IIa 17.2, 86.1, poiché la doppia continua in realtà una geminata etimologica che in seguito ad aferesi si è trovata in posizione iniziale di parola (< ILLAC) e non può quindi essere considerata frutto del potere rafforzativo della preposizione da che, come noto, non provoca raddoppiamento nei moderni dialetti centro-meridionali777; la doppia, del resto, non si trova solo dopo et (et llà I 72.1, 73.1, 78.6.7, 84.2.3, 90.6, 93.22, IIa 26.4.5, 27.3) e dove (dove llà II 50.2, 53.2, IIa 36.26, IIa 160.3, 367 e β2 40.1), ma compare anche al di fuori del contesto rafforzante: llà II 40.5, 104.3.4.5. Si spiega allo stesso modo il raddoppiamento di de lloro IIa 104 5, IIa 106,4, a lloro III 21.12 e di et lloco < *ILLOCO I 103.4, 93.7/et loco I 5.4 (ma in posizione assoluta loco I 71.2); negli altri luoghi, difatti, con valore di sostantivo, sempre loco < LOCUM). Non è mai documentato il raddoppiamento di n finale778 davanti a parola iniziante per vocale; questo motivo si aggiunge a quelli già addotti per giustificare la scelta di trascrizione (in) Nabruczio IIa 386 1, (in) Nabruczo IIa 106.9) e non inn Abruczio (cfr. sopra, n. 443). I casi di raddoppiamento fonosintattico, in definitiva, si leggono solo dopo la preposizione a < AD (ma in rari esempi): a llui IIa.16.5, III 40.3, a ssera IIa 16.6, a llogiar(e) IIa 36.22, a ppede III 28.9, 48.29, a ttal che III 27.20, 38.4, 48.18 e nel Sommario latino a ppapa S 12.6; si aggiunga più (n)no(b)ile I 97.6. Per la variazione dei fonemi v/b dopo ad (cfr. § V.2.2.3); si ricorda che il fenomeno si limita al tipo (ad) bever(e) III 27.20, non discriminante perché non si registra mai la voce vevere ma bevere in tutte le posizioni, e ad Beneve(n)to III 19.9 (ma in altre tre occorrenze sempre ad Venebe(n)to/Veneve(n)to). Non c’è mai raddoppiamento, come del resto accade nei dialetti mediani, dopo l’articolo neutro o l’articolo plurale femminile (cfr. sopra, n. 320). V.3. MORFOLOGIA V.3.1. MORFOLOGIA VERBALE V 3.1.1. INDICATIVO a. Presente. I coniugazione. Alla 1a pers. plur. la desinenza toscana -iamo, presente in debiamo III 58.12 e facciamo IIa 40.12, alterna con l’uscita locale -amo: guardamo III 41. II coniugazione. Alla 1a pers. plur. la desinenza -emo, attestata in volemo II 30.6, III 13.6, alterna con volimo III 41.7; la chiusura metafonetica è anche in tenimo III 58.11 (per le forme del verbo ‘avere’, cfr. § V.3.1.8). Si segnala a parte il più particolare voleno III 27.16 da ritenere, se non si tratta di un lapsus calami, 777 Il raddoppiamento della consonante seguente la preposizione da è diffuso invece, come noto, in Toscana: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 174, 175, 833. 778 In questa posizione il raddoppiamento è invece frequente in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 285. Introduzione CCXXXIX desinenza di 1a pers. plurale779. Alla 3a pers. plur. si legge la desinenza locale -eno in luogo di -ono, diffusa anche nei testi napoletani delle origini780: ascendeno II 53.2, ve(n)deno IIa 101.2, 228.4. III coniugazione. Alla 3a pers. plur. la desinenza locale -eno < ENT alterna con -ono: diceno IIa 170.3/dicono II 20.11, 21.4. Altre mani. Mano β. I coniugazione. Per la 1a pers. plur. lo spoglio offre solo esempi relativi alla mano β2, in cui predomina l’uscita -amo, mentre la desinenza -iamo è adoperata in un’unica occorrenza e non a caso nel § 244: co(m)ma(n)damo β2 237.6.7.22, damo β2 237.21, exortamo β2 244.24, ordinamo β2 237.6.7.22, significamo β2 244.2, tornamo β2 237.19/teniamo β2 244.2; alla 3a pers. plur. affirmano β2 244.17.18, augume(n)tano β2 237.3, avisano β2 244.9, significano β2 244.11; la desinenza -eno di havisseno ‘avvisano’ β2 244.7 sarà forse uno scorso di penna dovuto a confusione con havissero. II coniugazione. 1a pers. plur.: volemo β2 237.7.10.12.22. III coniugazione. Alla 3a pers. plur. la desinenza locale è ben attestata: diceno β1 36.20/dicono β1 34.13, 36.18, occureno β1 36.2, voleno β1 34.8; mano β2: dicono β2 244.4.12.16, moreno ‘muoiono’ β2 237.3, scriveno β2 244.6, teneno β2 237.4.6.7. Mano γ: pareno ‘paiono’ 149.2. b. Imperfetto. II coniugazione. Di seguito le forme con desinenza -ea/ -eva781: 3a pers. sing.: adpertenea IIa 98.7, disponea III 3.2, inte(n)dea III 32.12/inte(n)deva IIa (+9) 1.1, 3.3, 100.2, III 4.1, mectea IIa 301.4/mecteva IIa 37.1, 224.3, nasconea II 33.3, pareva II 6.2, piaceva IIa 85.6, possea III 31.10, 38.3/posseva IIa 71.2, 209.2, III 38.4, possedea IIa 337.1 (e cfr. infra, possediano), potea II 6.1, III (+4) 17.4, 28.10, 38.3/poteva II 32.1, IIa 281.1, 300.3, 353.2, 371.1 (2 volte), prete(n)deva II 46.3, spe(n)dea III 48.24 (2 volte), tenea I (+10) 75.5.7, 77.3, IIa 16.4, III 46.2, 48.4.24, <t>enea III 31.5, t<e>nea III 12.5, teneva I (+10) 75.5.7, 77.3, IIa (+7) 134.3, 134.3, 137.4, 191.1, III 13.5 (ma vedi infra, tenia III 17.4, 46.1, 48.2), valea IIa 47.2/valeva IIa (+32) 44.3, 45.1, 46.1, volea III (+11) 30.14, 33.2, 34.12/voleva IIa (+18) 3.2, 6.3 (3 volte), 105.3. 3a pers. plur.: correano III 27.17.20, 50.1, despiaceano IIa 98.7, diffaceano III 27.20, mectevano IIa 80.2, piaceano IIa 98.7, posseano III 31.3, 48.4, poteano II 19.9, III 38.4/potevano IIa (+5) 70.2, 105.8, 110.9, III 9.3, prete(n)deano II 49.2, teneano III 47.2, tenevano I 48.1, 97.5, IIa (+4) 27.4, 28.6, 105.3, valevano IIa 78.6, voleano II 35.6, III (+6) 19.10, 27.19, 35.1/volevano II 35.10, IIa (+12) 64.2.3, 80.2. Si aggiungano qui anche le forme del verbo ‘dire’: dicea III 32.3, 35.3/diceva IIa (+5) 3.2, 28.1, 140.1, decevano IIa 57.5, 104.5, dicevano IIa 126.2, III 27.19. Rimane alla II coniugazione latina appareva II 26.2 (pareva II 6.2). Si registra qui l’unica occorrenza di veneva IIa 66.3, di contro ai numerosi esempi in i(v)a782. 779 Questo il contesto: «...dice(n)no: «Noi (con) Gaeta voleno lo reamo p(ro)prio Ladislao et no(n) alt(r)o re». L’antica lingua letteraria toscana presenta in effetti n in luogo di m come consonante tematica; in alcuni testi senesi si leggono in effetti le forme voleno, aveno; la desinenza sopravviverebbe anche oggi un alcuni dialetti umbri: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 530. Nelle carte dell’AIS voléno è attestato ai punti 555 (CivitellaBenazzone) e 564 (Panicale). 780 Cfr. M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., pp. 253-4. 781 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., §§ 550, 552. 782 La penetrazione di -ebam nelle altre coniugazioni è ben attestata; si veda, ad esempio, canteva a Veroli e Velletri (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 552). Nadia Ciampaglia CCXL Presentano invece la desinenza -i(v)a: 3a pers. sing.: cadivano IIa 70.2, co(n)teniva IIa 325.1, ma(n)tenia III 26.14/ma(n)teniva IIa 138.2, p(er)mectia III 26.14, prete(n)dia IIa 110.2, remaniva IIa 130.3; si aggiungano le uniche due occorrenze di tenia III 17.4, 46.1, 48.2 di contro alla serie compatta in ea/eva rappresentata da tenea, teneano, tenevano riportata nell’elenco precedente. 3a pers. plur.: possediano III 21.12 (e cfr. sopra, possedea), remaniano I 95.2. Per le forme del verbo ‘avere’, cfr. § V.3.1.8. III coniugazione. Nei verbi di 3a coniugazione alternano le desinenze in -ia/-iva; nelle annotazioni originarie del secondo libro prevalgono però nettamente le seconde: 3a pers. sing.: servia III 48.25/serviva IIa 335.2, III 27.18, sequiva III 57.10, sop(r)avenia III 51.12, usciva IIa 247.3, venia I 88.7, IIa 16.3, III (+4) 30.5, 48.17, 56.6/veniva I (+5) 95.5.11.14, IIa (+13) 13.1, 37.1, 64.1, III 28.5, 41.9, veni[va] I 80.2 ma veneva IIa 66.3, vestia III 48.25. 3a pers. plur.: inpediano III 27.2, insivano I 93.7, moriano II 19.6, 32.1, 36.2, ussciano IIa 98.4, 104.5, viniano I 74.1, veniano IIa 6.2, 28.1, 86.1/venivano IIa (+4) 57.1, 110.5, 247.1. S’è detto che rimane alla II coniugazione latina appareva II 26.2 783. Altre mani. II coniugazione. Mano β1: deceva β1 36.1, inte(n)deva β1 36.26, teneva β1 36.5, volevano β1 35.3, 36.1.21. Mano β3: inte(n)dea β3 203.3, tenea β3 196.5, β3 203.3, valea β3 229.2 (2 volte). Mano γ: voleva 149.1, volevano 149.2, prete(n)diva 149.1. I dati ottenuti possono essere raggruppati in una tabella: IMPERFETTO II CONIUG. II CONIUG. III CONIUG. -ea -eva -ia -iva -ia -iva I 10 12 1 _ 3 7 II 5 3 _ _ 3 _ 19 IIa 7 99 1 4 5 III 40 4 7 _ 7 3 tot. 62 118 9 4 18 29 β1 6 β2 β3 γ 5 2 1 783 Appareva e veneva sono ad esempio anche nei Ricordi, in cui si registra però il livellamento delle coniugazioni diverse dalla prima, com’è tipico di tutto il Meridione: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 345 e ss. Introduzione CCXLI In totale, nelle Croniche le uscite in -eva per i verbi di seconda coniugazione sono quasi il doppio di quelle con dileguo di v; si nota, tuttavia, che solo il primo libro mostra esiti in sostanza equivalenti, poiché nel terzo si propende senz’altro per il tipo -ea, a differenza di quanto accade nelle annotazioni originali del secondo libro, in cui è invece schiacciante la preferenza per l’uscita in -eva, secondo una tendenza che si noterà anche per le relative forme del verbo ‘avere’. Il medesimo orientamento si rileva per i verbi di III coniugazione: anche qui le uscite in -iva (più diffuse nelle annotazioni originali del secondo libro) sono quasi il doppio di quelle in -ia (preferite invece dal terzo). È poco frequente l’uscita in -i(v)a per i verbi di II coniugazione: in totale si contano solo tredici occorrenze e di queste, ben sette si leggono nel terzo libro. Anticipo che da questi risultati appare già evidente che il primo e il terzo libro, pur da ritenere entrambe scritture non originali, offrono risultati differenti dal punto di vista morfologico. Il tipo in -ea è sicuramente più letterario, concordando con il tipo tosco-umbro. Per un riscontro, si pensi, ad esempio, che in Loise il tipo -eva è totalitario, offrendosi in totale una sola occorrenza con dileguo di v (-ea) per la II coniugazione e una per la terza784. c. Perfetto.Nelle Croniche predominano le forme del perfetto debole, mentre meno diffuse sono quelle del perfetto forte e sigmatico e le desinenze in -ette. c1. Perfetto debole. I coniugazione: 1a pers. sing.: pigliai II 28.2. 3a pers. sing.: sono diffusissime le forme del perfetto debole in -ao (così come nelle altre coniugazioni quelle in -eo ed -ìo); le desinenze toscane sono comunque ben attestate (con spiccata preferenza nel terzo libro) e maggioritarie per i verbi di I coniugazione; per quelli di II e III le forme in -eo ed -io sono invece prevalenti. Per i verbi della I coniugazione, dunque, le forme dialettali in -ao alternanano con quelle toscaneggianti in -ò. Questo l’elenco dettagliato: abbrusao I 97.13/abrusciò IIa 385.2, adbrusiò I 78.3, accasao III 10.1, adao IIa 379.1, addao IIa 128.19/addò IIa 101.4, 196.1, adbisognao IIa 280.2/adbisognò IIa 112.3, 183.3, 247.5, adbisognò I 35.5, adco(m)pagnao I 72.2, adco(m)pagnao IIa 156.3, [adc]o(m)pagnao IIa 382.1/adco(m)pagnò IIa 109.2, a(c)co(m)pagnò III 9.4, allogiao I 53.2, IIa 38.2, III 53.2/allogiò II 21.6, a(m)maczao I 2.2, IIa 39.2, a(n)dao I (+5) 64.4, 72.1, 93.21, IIa (+4) 330.1, 339.1, 342.1/a(n)ddò I 98.2, IIa 57.3, 135.2, a(n)dò I (+16) 35.1, 48.2, 51.1, IIa (+28) 26.4 (2 volte), 26.5, 27.2, andò I (+8) 16.2, 43.2 (2 volte), 46.1, IIa 15.1, 17.2, apparechao IIa 128.5, assaltao I 86.10/adsaltò I 86.9, assaltò III 48.4, buctao I 4.1/buttò III 39.11, ca(n)tao IIa 166.2, 216.1, cas<c>hao I 87.2/caschò I 95.12, cascò III 39.10 (2 volte), cavalcao I 76.2/cavalcò I 15.1, 84.5, 97.8, calvachò I 84.5, calvacò I (+5) 14.1, 15.1, 47.1, cavalcò IIa 27.2, III 57.2, cavotao IIa 342.2, celebrao IIa 60.4, chiamao II 16.3/ chiamò IIa 377.1, chiamò III (+5) 14.5, 23.1, 34.6, co(m)m<e(n)>czao II 32.1, co(m)me(n)czao IIa 257.1/co(m)meczò IIa 124.1, (com)menczò III 20.1, co(m)micziò II 36.2, III 48.17, co(m)parao IIa (+7) 30.6, 31.3, 213.1, co(m)però IIa 211.1, co(n)tao IIa 43.1, desmo(n)tao I 72.1/desmo(n)tò I 55.1, dismo(n)tò I 56.1, 84.3, 95.14, donao I 81.3/donò I 76.9, donò IIa 129.3, 130.4, 350.3, III (+10) 3.1, 30.10, 34.7, durao II (+4) 6.1.2.4, IIa 60.1, 70.3, 165.6/durò II 42.1, IIa 27.5, 71.1, III 27.21, 41.3, figliao I (+6) 20.1, 24.1, 27.1/figliò I (+7) 18.1, 19.1, 21.1, fortifichao IIa 79.6, gabbao IIa 228.4, gustao IIa 213.3/gostò II 48.2, 784 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 353. CCXLII Nadia Ciampaglia 18.1, 19.1, 21.1, fortifichao IIa 79.6, gabbao IIa 228.4, gustao IIa 213.3/gostò II 48.2, IIa 213.1, i(m)barchao I 84.3/i(m)barchò I 84.2, 85.6, inbarchò I 48.2, 51.1, imbarcò III 59.5, incominsao I 4.1/inco(m)miczò I 93.19, i(n)come(n)sò II 20.9, i(n)co(n)trao I 93.21/inco(n)trò I 99.2, incoronao I 2.2/i(n)coronò I 83.1, incoronò I 43.2, 96.1, i(n)factao II 19.1, innamorao I 50.1, intitulao III 25.7/intitulò III 6.7, intossicao I 5.2, intrao I (+5) 63.1, 80.2, 83.3, II 61.1, IIa 115.1, 202.1, 351.1, i(n)trao II 27.2/intrò I 95.7.8, 96.9, II 21.1, IIa (+9) 14.3, 16.1, 17.1, i(n)trò II 20.1, 21.6, IIa 79.3, III 20.1, lassao II 54.8 (2 volte), IIa (+5) 102.2, 170.5 (2 volte), 214.1/lassò I 97.3, IIa 386.1 (2 volte), III (+7) 26.12, 31.2.4, laxò III 9.4, <le>vao I 110.1IIa/levò I 55.1, IIa (+5) 101.5, 108.2, 135.1, III (+4) 30.19.21.25, levòsselo III 55.2, lovòssilli III 30.24, magnao IIa 156.1/magnò IIa 156.2, ma(n)dao IIa 19.2, 52.2, 316.1/ma(n)dò I (+6) 2.2, 78.4, 93.4, II (+5) 20.3.5.9, IIa (+9) 2.4, 98.1, 106.3, III (+14) 11.4, 17.7, 30.19, mandolle I 83.2, musurao IIa 43.1, pagao IIa 300.2, 346.2/pagò I 90.2, IIa 301.2, passao II 37.1, IIa (+6) 40.3, 106.7, 197.3/passò I 96.1, II 21.5, IIa (+6) 27.4, 127.2, 128.8, III (+9) 9.1.2, 28.25, piglao IIa 161.1, pigliao I 64.4, 93.18, IIa (+4) 169.1, 194.1, 247.1, pilaoce I 81.2, pilgliao I 26.1/piglò I 110.1IIa, pigliò II 16.1, 59.6, IIa (+9) 27.3, 108.2, 128.10, III (+42) 28.1, 30.11 (2 volte).22, pigliòlla III (+5) 32.5.9, 48.14, piglò III 34.1, pi<l>gliò IIa 128.15, plubicao I 43.1, portao I 43.2, II 37.4, IIa (+4) 239.1, 245.6, 300.2/portò I 58.1, 74.3, 95.5, II 46.3, IIa (+6) 24.2, 99.6, 104.8, portò III (+5) 21.7, 34.7.9, portòce III 58.1, portòllo III 39.11, portòss(e) III 21.6, prese(n)tao IIa 209.1/prese(n)tò IIa 64.1, 140.1, 325.1, pub[l]icao I 63.2, puticzao IIa 154.1/puticzò IIa 155.1, rebbellao I 3.1, rebellao I 83.2, 93.12/rebellò I 93.14, III 23.1, 55.5, 56.10, recuperao I 3.1, 86.1/recuperò III 43.5, 48.4, regratiao IIa 213.4, reposao I 84.3, rescactao I 93.16, ruinao IIa 26.5, sacchigiao I 6.1, 77.4/sacchigiò I 93.18, sa<n>ao IIa 218.2, sca(m)marao IIa 180.1, scappulao I 74.2, 90.2, scquartao I 99.1, se(n)te(n)tiò II 46.2, sfractao I 52.3, smo(n)tao I 105.1, su(m)mao IIa 213.3, talgliao I 26.2, tirao I 93.24, IIa 178.2/tirò I 93.18, tornao I 17.1, IIa 99.8, 157.2, 247.5/tornò I (+6) 51.2, 55.2, 88.8, II 21.6, IIa 191.1, III (+10) 16.1, 35.7, 42.3, tornòss(e)ne III 48.8, trovao IIa 79.4, 214.1, trovò II 55. tro<vò> I 60.3, 2, IIa (+8) 2.3, 128.17, 130.3, trovò III 34.2, trapassao II (+4) 15.1, 18.1, 38.1, IIa (+9) 68.1, 96.1, 102.1. Si aggiungano alle forme complementari riportate nell’elenco precedente, quelle in -ò, prive di controesempi, raggruppate di seguito: acceptò IIa 130.3, accordò III (+5) 30.1, 48.21, 56.6, aco(n)cziò II 48.2, acq(ui)stò III 9.1, 57.11, acquistò III 56.3, a(d)dunò IIa 201.1, admalò I 79.1, amalò III 32.13, adnegò I 49.1 (2 volte), adsectò IIa 163.1, adssectò IIa 98.1, adsegiò I 93.7, affacciò III 14.2, alczò III 29.3, allargò IIa 27.2, alzò I 75.8, applacò IIa 136.2, 139.2, arrivò II 21.4, IIa 8.1, III 38.1, 51.10, assediò III 9.2, 19.4, asse(m)<petò> (?) IIa 199.2, assettò IIa 168.1, assectò III 36.1, ass<ucu>rò II 20.5, augume(n)tò III 26.2/aume(n)tò III 26.2, calò III 28.18, bisognò IIa (+5) 20.1, 175.1, 201.2, III 41.3, 42.2, cacciò IIa 68.2, capitoliczò I 84.1, cercò III 35.1, co(m)ma(n)dò I 93.13, coma(n)dò III 53.5, co(m)mitò IIa 216.1, (con)finò I 73.1, (con)gregò III 9.4, (con)servò III 26.1, consingiò I 72.2, creò I 95.15, curò IIa 214.4, da(n)nificò III 19.4, deliberò IIa 164.2, d(e)liberò III 34.2, 51.6, d(e)morò IIa 174.1, demorò IIa 27.3, demostrò IIa 135.2, despe(n)sò IIa 351.1, 361.1, dessa(m)bitò I 29.1, di(m)ma(n)dò III 40.1, do(m)minò III (+4) 10.3.5, 32.8, durrupò III 58.1, exaltò III 48.15, exco(m)monichò I 102.3, expectò III 21.2, exsa(m)minò IIa 110.3, guadagnò I 33.2, guastò IIa 110.6, hordinò IIa 285.5, imperò III 58.12, i(n)co(m)me(n)sò III 7.4, ingaudiò I 72.2, inp(re)sonò III 30.19, insorò III 8.1, inviò III 37.4, iovò IIa 108.4, liberò I 61.1, III 9.4, ma(n)chò III 39.4, mara- Introduzione CCXLIII vigliò IIa 239.3, maritò III 26.13, mo(n)tò III 35.7, mostrò III 26.1, mutò III 47.6, nob<e>litò III 26.2, obscurò III 26.16, occordò III 57.10, ordinò IIa (+15) 52.4, 99.5, 104.6, III 37.2, 48.7, palesò III 31.5, parlò IIa 40.5, III 31.3, pe(n)sò III 43.6, p(er)donò III 16.1, predicò IIa 70.7, 223.1, pregò IIa 165.2, privò I 102.3, p(ro)vidò III 41.1, recitò IIa 129.1, 137.3, 138.1, reco(n)tò III 46.4, recordò III 34.5, regnò I 44.2, III (+4) 2.1, 12.6, 17.4, reintigò III 34.4, reparò III 26.1, reservò III 3.1, 39.4, reprichò IIa 130.2, reservò II 59.6, IIa 228.3, restò IIa (+6) 16.6, 19.2, 117.2, retornò III 28.26, 30.14, ritornò III 30.1, ritrovò IIa 38.3, 39.1, III salvò I 102.1, sca(m)pò III 47.6, scappò III 48.12, segnorigiò III 21.1, seq(ui)tò IIa 79.7, signoriò II 3.1, salvò III 26.8, 48.20, sco(n)trò III 55.3, sco(n)trosse III 51.11, spaccziò I 93.13, stanciò IIa 14.3, te(m)però IIa 75.1, testò II 54.1, tractò III 41.5, usòccie III 21.6, visitò IIa 160.3, visò III 41.4, voltò III 56.3 Si segnala qui passà IIa 13.1.2785, verosimilmente da interpretare come 3a pers. sing. del perfetto (non si spiegherebbe infatti, nel contesto del periodo, il passaggio repentino al presente786; la forma, del resto, è ripetuta due volte di seguito; da escludere, dunque, che si tratti di uno scorso di penna); in questo caso il verbo sarebbe un relitto di matrice mediana787. 785 Questo il contesto: «A dì 12 del mese de dece(m)bro 1556, ch(e) fo vernedì, passà da lo Garlgliano lo ex(cellen)te s(ignore) ducha de Albi vecerré de Nap(o)li, ch(e) veniva da Roma, ch(e) era stato co(n) suo esercito p(er) mecte ca(m)po in Roma et haveva pigliato Hostia p(er) forcza, et ce fo morta ge(n)te assai de li nostri del ca(m)po, ad tale ch(e) sua Ex(cellen)cia haveva misso li spa(n)gnoli ad la fortellecza d(e) Hostia, et Adlagno la haveva sacchigiata et brusata, et le alt(r)e t(er)re ch(e) se adredevano ce messe la guardia; et sua Ex(cellen)cia se ne venni in Nap(o)li et passà p(er) la piana d(e) Sessa et p(er) la Roccha Mo(n)tragone co(n) lo ex(cellen)te s(ignor)e pre(n)cepe d(e) Stilgliano iu(n)ti insemi, et li soldati ch(e) passavano foreno alcuni sbarisati socto Sermoneta et ve(n)nero tucti la maior(e) parte (...)» (cfr. testo, IIa 13). Segno invece in nota come dubbi piglia I 51.1 e i<nc>ontra I 93.14; i due esempi si leggono infatti nel primo libro, dove invece si registrano in alcuni casi passaggi bruschi dal passato remoto al presente; si veda ad es. il passo seguente: «Eode(m) an(n)o a li 18 del dicto, in le feste d(e) Natale, vende in adiuto d(e) Co(n)salvo Ferrando uno cap(itani)o italiano no(m)minato Bartolomeo d(e) Alviano, et lo seq(u)ete dì fa(n)no facto d’arme co(n) li fra(n)cisi et roppero ditto ca(m)po d(e) fra(n)cisi i llo Garliano»(cfr. testo, I 96.6). Questi comunque i contesti: «A li 1479 a li 22 d(e) frebaro, a le 23 hor(e), se inbarchò il re Ferra(n)te et a(n)dò in Fra(n)czia co(n) dui galer(e), et là stecte p(er) spacio d(e) certo te(m)po co(n) re d(e) Fra(n)czia, et piglia p(er) moglier(e) ma(d)da(m)ma Giarlet (...)» (cfr. testo, I 51.1); «Et i(n) quel medesimo dì se rebellò Matera (contra) re d(e) Spagna, et lo co(n)te d(e) Matera fugìo verso Tara(n)to et se i<nc>ontrà co(n) li sop(r)adicti fra(n)cisi ch(e) a(n)davano verso Castellaneta» (cfr. testo, I 93.14). 786 In modo differente invece interpreta Formentin alcune forme in -a (ammaccza, caccza) presenti in Loise De Rosa, considerata però la frequente abitudine del cronista al passaggio dal passato remoto al presente e, soprattutto, l’estraneità di -à alla tradizione napoletana (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 356 e n. 1026), elemento, questo, non probante per le Croniche, che rientrano in un diverso spazio linguistico. 787 La forma del perfetto in -à per la 3a pers. sing. dei verbi in -are (di cui sarebbe difficile stabilire l’origine, ovvero se prosecuzione del latino volgare -at o indebolimento dell’uscita -àu) è infatti attestata nel Lazio meridionale (Nemi, Velletri, Veroli) ed anche nella Lucania, Calabria, Puglia settentrionale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 570. Nelle CCXLIV Nadia Ciampaglia Alla 1a pers. plur. è particolare la forma adcorde(m)mo IIa 301.1, con estensione delle desinenza di II coniugazione alla 1a pers. plur. dei verbi in -are788; alla 2a pers. plur. si registra inga(n)nastivo III 30.4789. Alla 3a pers. plur. si alternano per la I coniugazione le desinenze -aro, -arno, -areno, -oro, -orno, -orono, -ero, -ereno, -erno. Solo a scopo esemplificativo, si osservi in prima battuta l’alternarsi delle differenti desinenze nel verbo ‘andare’ e la netta preferenza per il tipo in -ero che si registra nelle annotazioni spontanee: adaro IIa 28.7, andaro III (+7) 30.3.16, 43.3, a(n)daro I (+7) 75.2, 78.7, 90.1, II 19.2, III 28.15, 32.1, a(n)d<a>ro I 89.7/addero II 23.4, IIa 11.4, 118.1, 178.1; adder<o> IIa 225.1, a(n)dero I 93.2, 103.4, 110.1IIa, II (+6) 19.10, 20.2.8, IIa (+15) 101.1, 106.9, 118.1, a(n)ddero II 20.1; andarno III 51.2, a(n)darnoce IIa 101.3, a(n)dorono II 20.6, andorno III 47.5, 56.8, 57.4, a(n)dorno III 27.12, 57.9, adareno IIa 334.1, a(n)dareno IIa 271.1. Sarà forse uno scorso di penna adarero IIa 352.2. -aro/-ero. Le uscite in -aro/-ero sono nelle Croniche le più frequenti e risultano nel complesso equivalenti; la prima tuttavia è preferita nel primo e terzo libro, la seconda, invece, nelle annotazioni spontanee; sarà dunque questa la forma locale790. Di seguito l’elenco completo (per una tabella riassuntiva delle forme del perfetto, cfr. infra): abrusciaro III 43.2, adbrusaro IIa 177.4, abrusaro I 97.14/adbruscero IIa 183.1 (e infra, abbrusarno), adaro IIa 28.7, adbuctinaro II 23.4, adco(m)pagnaro IIa 361.1, adlogiaro I 106.1, II 19.10, IIa 315.1, affro(n)taro III 50.3, allogiaro IIa 315.1, 324.1/allogero II 35.2, admaczaro IIa 177.4, admalaro I 78.7, adsaltaro I 102.1, adaro IIa 28.7, andaro III (+7) carte dell’AIS l’uscita è attestata ai punti 643 (Palombara), 654 (Serrone/Palestrina), 701 (S.Donato). Il tipo è documentato anche nell’antico romanesco (G. ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts..., cit., p. 154 e n. 113); risentiranno dell’influsso catalano gli esempi presenti invece in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 229). 788 Per la penetrazione di -ebam nei verbi di I coniugazione, cfr. n. 782. Nelle carte dell’AIS il fenomeno si registra nelle forme del perfetto ai punti 701 (S. Donato), 714 (Colle Sannita), 720 (Monte di Procida), 662 (Nemi), 645 (Tagliacozzo), 643 (Palombara), 654 (Serrone/Palestrina). L’influsso di -ére nelle prime due persone del plurale è attestato anche per alcuni dialetti del Lazio meridionale (es. a Veroli, cantèmmΩ; inoltre a Zagarolo, Castro dei Volsci, Velletri): G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 570. 789 Il VOS enclitico è divenuto parte integrante della forma verbale non solo nel napoletano, ma anche nell’umbro e nell’ant. romanesco (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica.., cit., § 452), dove in particolare aveva assunto valore distintivo dalla 2a pers. sing. (amasti/amastivo): cfr. G. ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts..., cit., pp. 150 e 155. Per esempi in Loise, V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 346. 790 L’influsso di -ére nella terza persona del plurale è attestata da Rohlfs a Sessa Aurunca: es. ritruvèro; si veda anche lasséro a Montelanico (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 570). Nell’AIS si registrano saluteru al punto 682 (Sonnino), salutero ai punti 710 (Ausonia) e 713 (Formicola). Introduzione CCXLV 30.3.16, 43.3, a(n)daro I (+7) 75.2, 78.7, 90.1, II 19.2, III 28.15, 32.1, a(n)d<a>ro I 89.7/addero II 23.4, IIa 11.4, 118.1, 178.1, adder<o> IIa 225.1, a(n)dero I 93.2, 103.4, 110.1IIa, II (+6) 19.10, 20.2.8, IIa (+15) 101.1, 106.9, 118.1, a(n)ddero II 20.1 (e infra, andarno, a(n)darnoce, a(n)dorono, andorno, a(n)dorno, adareno, adarero, a(n)dareno), allogiaro I 103.2/allogero II 35.2, IIa 252.1, 294.2, 297.1, arrivaro I 103.3, assaltaro III 14.1, assidiaro III 54.1, cacciaro III 32.3/cacczero IIa 271.4, cascaro I 29.1, cavalcaro I 9.1, come(n)saro III 28.16, comesaro III 28.14, co(m)mi(n)czaro I 103.4/co(m)me(n)czero IIa 40.6, do(m)ma(n)daro III 9.3/do(m)madero IIa 40.6, donaro I 66.2, 86.3, IIa 105.2, III 27.13, 28.23/donero II 35.5, IIa 21.2, 130.1, 140.1, edificaro III 8.1, existimaro III 27.10, inbarcharo I 89.7, 98.2/invarchero II 35.13, incom(en)zaro I 78.6, intraro I 90.5, intra<ro> I 17.1, inviaro III 28.18, iuraro I 88.9 (2 volte), lassaro I 76.7, levaro I 75.5, III 13.4/levero I 59.1, IIa 123.1, 296.2, 348.2, liber<a>ro III 13.5, ma(n)gnaro I 103.2/magnero IIa 197.3, ma(n)gnero II 6.5, ordinaro I 75.7, III 27.8, parlaro III 50.3, passaro I 96.5, IIa 329.1, III 28.14, 51.9/passero I 97.9, IIa (+4) 171.1, 189.1, 201.1 (e infra, passarno, passerno, passereno), pensaro III 28.16, pigliaro I (+4) 86.4, 93.3, 96.8, IIa 177.3, III (+5) 28.15, 43.2, 53.3, pilgliaro I 89.1, 95.12, 106.5 (e pigliarono)/piglero II 20.2, IIa 9.1, 10.1, 201.2, pigliero II 16.1, 20.1, IIa (+4) 40.6, 110.6, 128.10, III 28.15, 29.1, portaro I 86.4, 97.4, III 43.4, p<o>rtaro IIa 348.2/portero IIa (+6) 143.1, 160.1, 214.3, III 13.5 (e porterono IIa 128.13), pregaro III 43.3, p(re)garo III 48.11/preghero IIa 105.8, ratificharo I 66.1, sacchigiaro I 102.2/sacchigero I 89.1, II 20.2, III 13.4, salvaro III 14.3, seq(ui)taro I 96.8, talglaro I 99.1/talgliero I 59.1, tallgliero I 98.1, trattaro III 27.11.tornaro I 93.5/tornero IIa 59.1, 183.3, trovaro I 74.4, 103.7, IIa 344.1, III 25.3/trovero II 23.4, IIa (+4) 104.4, 106.3, 177.4, volaro II 6.2.3.4. Senza controesempi, in -ero: alcero I 60.3, accord<e>ro III 30.13, adceptero IIa 213.6, adnegnero IIa 40.3, adprese(n)tero IIa 208.5, adq(ue)tero II 23.4, adunero II 33.3, arruinero IIa 252.1, co(m)mutero IIa 213.3, co(m)portero IIa 74.1, defreschero II 20.1, diffidero I 93.9, figliero II 6.5, inco(n)trero IIa 128.7, iochero IIa 139.1, iusticiero III 26.10, ma(n)dero IIa (+6) 40.6, 62.2, 182.3, pagero IIa 310.1, paghero IIa 310.1 (e infra, pagareno), prese(n)tero IIa 213.4, prestero IIa 350.2, p(ro)sternero III 28.15, rebellero I 98.1, III 27.9, reprichero IIa 98.8, retornero IIa 40.8, ruinero IIa 201.1, tirero IIa 20.1, 99.7, 128.8, sca(m)marero IIa 101.1, secchero II 56.1, sforczero II 20.1, smo(n)tero IIa 177.3, svergenero I 26.1, tassero IIa 179.2. -arno. In totale, si contano invece solo quattro uscite in -arno791: si noti che ben tre compaiono nelle scritture non originali: abbrusarno I 75.3, andarno III 51.2, a(n)darnoce IIa 101.3, passarno III 51.1. -orno792. L’uscita è attestata solo nelle scritture non originali; in un sol caso è presente nel secondo libro (ma vedi la notizia, forse copiata, del § 20): admaczorno I 92.3, andorno III 47.5, 56.8, 57.4, a(n)dorno III 27.12, 57.9, buctorno III 49.2, capitolorno II 20.6, determinorno III 58.14, donorno III 39.8, ma(n)dorno III 47.7 pattigiorno II 20.4, pigliorno I 48.1, pigliorno III (+6) 39.11.12, 51.13, portorno III 43.7, scappolorno III 34.3, tirorno III 50.4. 791 Si segnalano qui nelle carte dell’AIS, salutarno al punto 567, salutarnΩ al punto 707 (Lucera), 714 (Colle Sannita), 716 (Ascoli Satriano) e 717 (Canosa). 792 Cfr. salutorno al punto 564 (Panicale) e 546 (Pietralunga). CCXLVI Nadia Ciampaglia -oro. Si legge solo nelle scritture non originali: tornoro I 96.5, scamporo III 51.6793. -orono: Le due uscite compaiono entrambe nel prima citato § 20794: a(n)dorono II 20.6, smo(n)torono II 20.11. -areno/-arero. Pochissime le attestazioni di queste desinenze, tutte tratte dalle annotazioni originali del secondo libro: adareno ‘andarono’ IIa 334.1, a(n)dareno IIa 271.1, adarero IIa 352.2, allogareno IIa 357.3, pagareno ‘pagarono’ IIa 271.2, 360.1. -ereno/-erno: L’uscita è rara795 ed ancora una volta attestata solo nelle scritture originali: acceptereno IIa 65.1, passerno ’passarono’ II 21.7, passereno IIa 348.2. Segnalo a parte fermoreno ‘firmarono’ I 93.16796. II coniugazione. Nella 3a pers. sing. si assiste talvolta al conguaglio con le desinenze dei verbi di III, con un’oscillazione -eo/-io. Di seguito l’elenco delle uscite in eo797: abbacteo III 53.3, (com)macteo III 19.9, co(m)macteo III 39.2, dessce(n)deo IIa 211.2 (e il perf. forte discese III 45.2, 51.13, descese III 56.10), dispiaceo IIa 316.1, ma(n)teneo III 12.6/ma(n)tenìo IIa 60.3 (e il perfetto forte ma(n)tenelo III 36.1 ma(n)te(n)ne III 27.3), nasseo I 30.1, na(s)seo I 36.2 (e il perfetto forte nacque III 17.2), regeo IIa 108.2, ro(m)peo I 93.6/ro(m)pìo I 77.1, 100.2, roppìo I 100.2.2 (e il perfetto forte roppe ‘ruppe’ IIa 84.2, III (+4) 48.4.13, 53.5, ruppo III 32.5), redeo IIa 233.1, re(n)deo I 75.1.7, III 19.4, rendeo III 29.2, rendeosse798 III 58.2/redìo I 62.1, re(n)dìo I 75.6, 85.7, rendìo III 48.21, valeo IIa (+16) 45.2, 47.3, 72.1 (e il pefetto forte valse IIa 47.1.1, 291.1), ve(n)deo IIa 7.8, 161.1, 253.1, vendeo III 30.25; senza forme complementari, dolìo I 98.3, invadìo III 11.3, perdìo III 33.2, 57.3 (e il perfetto forte perse III 56.10). In una sola occorrenza si trova la desinenze toscana redé I 90.4799. 793 Cfr. salutoro al punto 584 (Amelia). Cfr. salutòrono al punto 555 (Civitella Benazzone). 795 Cfr. salutérΩne al punto 718 (Ruvo di Puglia). L’uscita in -ereno per il pass. rem. è diffusa a Squille (Caserta). Rohlfs registra a Velletri cantérno. 796 Nelle carte dell’AIS è attestato salutàrΩne al punto 664 (Santa Francesca) e salutàrΩnΩ al punto 709 (Vico del Gargano). Rohlfs segnala cantàrΩnΩ a Veroli, nel Lazio Meridionale ed anche a Castro dei Volsci. 797 La desinenza in -eo secondo Maria Corti non ha carattere dialettale e proverrebbe ai testi napoletani da quelli letterari: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CLXIII. 798 In rendeosse la seconda e è stata scritta probabilmente su una precedente o, ed o risulta inserita nell’interlinea su e; sse è stato aggiunto successivamente: cfr. apparato al testo. 799 Segnalo in nota rendo III 58.2 che si è preferito emendare in re(n)dé; il perfetto di II coniugazione in -ò è attestato dall’AIS in Puglia, ai punti 608 con vennó ‘vendé, venderono’ (usata anche alla 3a pers. plur.), e al punto 709 con vΩvó (bevé). 794 Introduzione CCXLVII Alla 1a pers. plur., vence(m)mo III 27.19. Nella 3a pers. plur. alternano nella II coniugazione le desinenze -erno, -ero, -ereno: -ero: cadero II 26.3, co(m)bactero III 11.4, co(m)mactero III 21.3, co(n)giu(n)gnero IIa 261.2, romanero IIa 1442.1, rompero III 51.6, ro(m)pero I 95.1 (e la forma forte roppero I 96.6.8, III 28.14.15), tenero I 93.4, III 58.6 (e il perf. forte te(n)nero III 32.7, 39.11), vedero ‘videro’ II 46.3, ve(n)dero ‘vendettero’ IIa 228.2, volero II 16.1. -ereno/-erno: respo(n)dereno IIa 64.2; ro(m)perno III 43.7. III Coniugazione. Nel perfetto debole dei verbi di III coniugazione prevalgono le uscite in -ìo: in totale, ottantacinque occorrenze contro ventotto in -ì, quasi tutte dislocate nel terzo libro (ben ventisei), che dunque ancora una volta rivelerebbe la dipendenza da una fonte non meridionale. Di seguito l’elenco dei perfetti deboli di III coniugazione in -ìo: bandìo I 93.1, expedìo IIa 322.2, escìo III 29.2, fenìo I 86.10, ferìo I 86.9, fornìo ‘fini’ IIa 218.3, fugìo I 60.3, 93.14, 93.24, impedìo III 21.11, i(n)sìo I 75.8, invadìo III 11.3, investìo III 11.5, morìo II 38.2, IIa (+4) 39.3, 84.1, 329.1, III 30.13, 32.6.13/morì I 84.4, IIa 386.1, III (+13) 10.1.4 (e il perfetto forte morcze II 14.1, 18.2, 31.1, IIa 68.2, 84.3, 170.5, morse III (+10) 10.5.6, 11.6, morxe III 30.12), oscìo III 57.16/oscì III 48.4, partìo I (+24) 5.3 (2 volte) 35.1, 46.1, II (+6) 20.8, 21.5.6, IIa (+16) 26.5, 27.3, 38.3, III (+5) 28.22, 39.1, 48.2/partì IIa 15.1, III (+9) 28.25, 30.2, 39.3, pe(n)tìo IIa 104.3, referìo IIa 228.4, resestìo IIa 42.2, sallìo III 45.1, stabilìo I 73.1, <stu>rdìo IIa 218.2, trasìo I 91.1, 95.9, 97.4, IIa 128.1.19, 212.1, uscìo I 43.2, II 42.1, IIa 128.5, 205.7, 246.1, usscìo IIa 195.1. Senza alternanze, restituì III 16.1, sentì III 57.2. Passa dalla III alla II coniugazione pateo IIa 110.10 (cfr. § V.3.1.7). Alla 1a pers. plur. scrope(m)mo IIa 247.3800; alla 3a pers. plur. l’uscita più diffusa per i verbi di III coniugazione è in -ero, che si connota come quella locale801. Ecco l’elenco: -ero/-iro: honero I 88.9, i(m)pero I 95.12, ferero IIa 141.2, fugero I 102.2, patero II 33.4, 35.13, sallgliero IIa 177.3, 326.2/salliro III 39.10, scoprero IIa 128.8, tradero I 86.3, trasero I 56.2, 75.1, 103.3, III 43.2, travestero III 28.17, uscero III 56.8, usciero IIa 128.11, uscier[o] IIa 128.4, ussciero IIa 128.6/usciro IIa 214.3, vestero IIa 40.8, (se) parter(e) IIa 57.1, 200.2, (se) partero IIa 11.4, 28.7, 106.9 (e vedi infra, partereno); per l’infinito, partire/partere,§ V.3.1.7. Segno ovviamente a parte (vedi 800 L’uscita è attestata nelle carte dell’AIS ai punti 662 (Nemi), 682 (Sonnino); Nemi e Veroli sono confermate anche da G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 573. 801 La desinenza -ero è attesta a Sessa Aurunca (partéro): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 573. CCXLVIII Nadia Ciampaglia infra) vendero ‘vennero’, che è un perfetto forte con grafia ipercorretta ND in luogo di nn. -ereno: questa desinenza fa registrare solo tre occorrenze, tutte distribuite nelle annotazioni originali: (se) partereno IIa 59.1, 225.1, servereno ‘servirono’ IIa 271.2. -irno: le uniche cinque occorrenze si registrano nel terzo libro: venirno III (+5) 39.7, 51.1, 57.13 alterna con la forma forte ve(n)nero III (+4) 11.5, 48.7, 57.14 e vendero, -irno (punto 523, AIS). c2. Perfetto debole in -ette. Il perfetto debole in -ette risulta poco diffuso nelle Croniche802; riporto di seguito gli esempi per i verbi di II coniugazione, in parte già ricavabili dalle forme riportate negli elenchi precedenti per meglio mostrarne l’inferiorità numerica. Solo a scopo esemplificativo, si noti come ad una sola occorrenza del tipo escecte corrispondano ben dieci uscite in -ìo/-ì: ardecte IIa 126.1 (e la forma forte arse III 53.5, arselo III 57.12), nascette II 47.1 (e nasseo I 30.1, na(s)seo I 36.2, nacque III 17.2), piacecte IIa 129.2, piovecta IIa 75.1, piovecte I 98.4, piovecte IIa (+8) 44.1, 47.4, 57.4, piovette II 19.4, IIa 277.1, possecte I 16.2, IIa 57.2, possette IIa 27.2, 71.2/pocte IIa (+4) 57.4, 57.7, 178.2, vendecte III 14.4/ve(n)deo IIa 7.8, 161.1, 253.1, vendeo III 30.25. Per la III coniugazione, solo escecte III 28.3/i(n)sìo I 75.8, escìo III 29.2, oscìo III 57.16, oscì III 48.4, uscìo I 43.2, II 42.1, IIa 128.5, 205.7, 246.1, usscìo IIa 195.1. Altre mani. Perfetto debole. I coniugazione. Mano β1: a(n)dao β1 36.24 /a(n)dò β1 34.8.21, ma(n)dao β1 35.3, β1 36.12/ma(n)dò β1 36.22, passao β1 36.13/passò β1 36.8, portao β1 36.15, tirao β1 34.11. Mano β2: a(n)dò β2 206.4, passao β2 41.1, intrao β2 206.5. Mano β3: andò β3 231.1, a(n)dò β3 196.11, donao β3 196.9, intrao β3 230.1, trapassao β3 203.1. Senza controesempi, calvachò β1 34.7, crepò β1 34 .13, voltò β1 34.10; clarificossi β2 244.8, cominciò β2 244.5, co(n)tinuò β2 244.9, dimorò β2 206.2, obscurò β2 244.7, publicò β2 237.1; assectò β3196.10, calvacò β3 231.1, mo(n)strò β3 230.3, ordinò β3 204.1, β3 231.1, prod<u>ctò β3 196.10, restò β3 203.2, smo(n)tò β3 196.8, trovò β3 196.7 (2 volte).8. Mano γ: ordinò 147.2, 152.2, pesò 151.1, pigliò 147.1, trovò 148.2. 3a pers. plur.: in β1 prevale la desinenza -ero: admaczero β1 36.21, a(m)ma(n)cero β1 36.26, a(n)dero β1 36.10, besognero β1 36.13, iurero β1 36.18, lassero β1 36.25, levero β1 34.11, ordinero β1 35.1, portero β2 41.1, porter(e) β1 36.25; acceptero β3 230.4, acco(m)pagnero β3 230.3; solo in due occorrenze si registra la desinenza -aro: invarcaro β1 36.12, trovaro β1 36.22; le desinenze in -orno sono presenti solo nel passo “letterario” del § 244: affirmorno β2 244.23, cercorno β2 244.22, 802 La forma, poco attestata negli scritti popolari del ’400 (ad es. in Loise) è invece frequentissima nel ’600 ed è propria dei dialetti moderni; il perfetto in -ette sarà inoltre criticato da Del Tufo: cfr. P. BIANCHI, N. DE BLASI, R. LIBRANDI, Storia della lingua a Napoli e in Campania..., cit., p. 91. Introduzione CCXLIX trovorno β2 244.18.22. Particolare è il caso di tireo β3196.8803, che dal contesto sembrerebbe una 3a pers. plurale. Mano γ: ordinero 152.2, pigliero 149.4. II coniugazione. Mano β: provedeo β3 203.2. Mano γ: romanero 152.2. III coniugazione. Mano β. L’unica forma in -ì è in β2: partì β2 244.24 ma partìo β3 196.11; per il resto prevalgono le uscite in -ìo: intrasìo β1 36.8, trasìo β1 36.9, vestìo β3 196.8. Alla 3a pers. plur. trasero β1 35.1, u(n)sciero β1 36.13. Mano γ: partero 148.3. Perfetto debole in -ette. Mano β: possectero β1 36.6, respo(n)dectero β1 36.4, vedecte β1 34.6. Sembra utile ora riassumere graficamente tutti i dati forniti: I CONIUGAZIONE -ao -ò -a’ I 54 103 II 17 24 IIa 80 185 2 III 3 222 tot. 154 543 2 β1 6 7 β2 2 7 β3 3 13 γ 5 II CONIUGAZIONE -eo -ìo -é forte I 5 8 1 II IIa III tot. 23 8 36 β2 1 1 4 13 II CONIUGAZIONE -ette -eo804 I 2 2 II 2 1 IIa 15 7 III 1 4 tot. 20 14 β1 3 803 ? 1 3 12 15 III CONIUGAZIONE -ìo -eo -ì I 35 1 II IIa III tot. β1 β2 β3 8 28 14 85 2 1 1 2 25 28 1 2 III CONIUGAZIONE forte -ette -io 2 1 4 4 2 1 3 6 1 10 Non è da escludere però che si tratti di un mancato accordo sintattico; questo il contesto: «et arriva(n)do ad la ecclesia de lo episcopato smo(n)tò da cavallo et multi archibuseri tireo in laude soa» (cfr. testo, IIa 196.8). Cfr. anche deo e haveo, § V.3.1.14, n. 867 e § V.3.1.8, n. 838. 804 Si forniscono solo i controesempi in -eo/-io relativi alle forme in -ette riportate in elenco, ovviamente già conteggiate anche nella tabella precedente. Nadia Ciampaglia CCL I CONIUGAZIONE -aro -ero -arno I 47 12 1 II 7 22 IIa 13 82 1 40 10 2 tot. β1 107 2 126 9 4 1 β3 2 γ 2 I II IIa III tot. γ -arono -erono -areno -ereno -orono 1 III β2 -erno 1 -orno -oro 2 1 1 1 1 5+1 2 1 1 6 2 2 1 18 1 22 2 4 II CONIUGAZIONE -ero -ereno -erno 2 3 3 1 4 1 12 1 1 1 I II IIa III tot. β1 γ III CONIUGAZIONE -ero -iro -ereno 7 2 13 1 3 3 1 25 2 3 2 -irno 5 5 1 Per quanto riguarda la 3a pers. sing. del perfetto debole di I coniugazione, in Fuscolillo la preferenza per le forme toscane è nel complesso schiacciante (543 vs. 154) ma, mentre nelle annotazioni spontanee il divario non è tanto evidente, nelle scritture del primo libro le uscite in -ò sono il doppio di quelle in -ao e nel terzo libro addirittura si contano solo tre desinenze in -ao contro ben duecentoventidue in -ò. In γ la preferenza per le uscite in -ò è assoluta, in β1 le uscite in -ao ed -ò si equivalgono, mentre in β2 e β3 sono nettamente preferite le seconde. Nella seconda coniugazione le uscite in -eo sono pressoché assolute, registrandosi in una sola occorrenza (del primo libro) l’uscita toscana -é. Nella terza coniugazione ancora una volta solo il terzo libro mostra una netta preferenza per le desinenze toscane in -ì. Per quanto riguarda invece il perfetto debole, in totale si contano per la II e III coniugazione ventuno uscite in -ette, per lo più raggruppate nelle annotazioni originali del secondo libro; di queste, ben dodici sono concentrate nel tipo lessicale piovette; solo due attestazioni si leggono invece nel terzo libro. Relativamente alla 3a pers. plur., nella I coniugazione emerge chiaramente la netta diffusione nelle Croniche delle desinenze in -aro/-ero; queste, in una prospettiva globale, sembrerebbero essere equivalenti; tuttavia, analizzandone la distribuzione nei differenti libri, si evidenzia che quelle in -aro sono preferite da Fuscolillo, in realtà, nelle scritture non originali (primo e terzo libro), in cui se ne contano ottantasette contro ventidue; una situazione completamente opposta si regista invece nelle annotazioni spontanee, dove si leggono solo venti uscite in -aro contro centoquattro in -ero; la desinenza - Introduzione CCLI ero è dunque quella locale, che è evidentemente tenuta a bada dal peso della fonte nel primo e nel terzo libro. Locali sono anche le uscite in -erno, -ereno, -erono, areno. L’uscita in -orno, di area toscana, compare solo ventidue volte, ma è da notare che ben venti occorrenze sono tratte dalle scritture non originali; in proporzione è evidente, però, che il terzo libro è meno connotato in senso locale (diciotto occorrenze in -orno contro cinquanta in -aro ed -ero), mentre il primo è più vicino agli usi diffusi nelle scritture originali (solo due in -orno, contro cinquantanove in aro ed -ero). L’uscita locale in -ero è prediletta anche dalle mani β1, β3 e γ, ma quella toscana in -orno è presente solo nel citato § 244 della mano β2. c3. Perfetto forte. Di seguito l’elenco delle forme forti del perfetto con raddoppiamento dovuto alla desinenza latina -UI: appe805 I 95.10, capte ‘cadde’ IIa 342.2, (com)mess(e) ‘commise’ III 45.1, co(m)posse IIa 58.4, 129.3, disposs(e) III 34.1, inposse III 31.3, 33.2, inposs(e) III 48.20, ma(n)te(n)ne III 27.3)/ma(n)teneo III 12.6, ma(n)tenìo IIa 60.3 (e ma(n)tenelo III 36.1), messe ‘mise’ IIa (+17) 13.1, 20.2, 27.3, messero IIa 296.2, nacque III 17.2/nasseo I 30.1, na(s)seo I 36.2, pocte IIa (+4) 57.4, 57.7, 178.2, poctero I 103.2, II 35.12, posse ‘pose’ I (+8) 5.2, 16.1, 55.1, II 48.1, III (+7) 11.3, 30.25, 48.9, poss(e) III 28.28, 47.1, pòssela III 32.5, pòssili III 51.3, possero ‘posero’ I 95.12, 103.6, III 13.5, 49.1, poss(e)ro III 57.9, poss[ero] I 96.2, posero I 86.6 (e con la desinenza -eno, posseno ‘posero’ III 28.12), p(ro)posse III 58.8, recessero III 54.2, resposse III 30.24, resposs(e) III 28.10, 30.8, 40.2, risposs(e) III 46.2, roppe ‘ruppe’ IIa 84.2, III (+4) 48.4.13, 53.5, ruppo III 32.5/ro(m)peo I 93.6, ro(m)pìo I 77.1, 100.2, roppìo I 100.2 (2 volte), roppero I 96.6.8, III 28.14.15/ro(m)pero I 95.1, rompero III 51.6, sappe II 20.1, soccesse III 19.6, soccess(e) III 13.1, 19.3, 26.5/socese IIa 106.3, succese I 78.9, 84.4, 97.2, IIa 139.3, III 10.5, 11.1, socess(e) III 23.3, soccese III (+6) 10.3, 15.1, 17.1 (e soccesero III 10.2), tenne III 48.24, te(n)ne III 15.3, 32.6, vende ‘venne’ I (+18) 15.1, 25.1, 29.1, II 20.12, IIa (+4) 12.1, 214.4, 348.1, III 41.2, ve(n)de I 5.4, 16.2, 56.3, II 14.1, IIa (+12) 4.1, 38.1, 67.1, venne I 89.5, IIa (+5) 60.1, 76.1, 195.1, III (+18) 17.4, 27.10, 30.2, ve(n)ne I (+8) 10.1, 45.1, 48.4, IIa (+57) 2.1, 2.3 (2 volte), 9.1, III (+12) 7.1, 9.4, 21.1, ven(n)e I 95.7, III 47.2, 51.11, ve(n)nde I 103.1, ve(n)ni (3a sing.) I 40.1, vendero I 65.1, 90.3, 92.5, II 35.8, IIa 3.1, 215.2, III 9.2, ve(n)dero I (+4) 90.1, 91.10, 94.2, II (+7) 19.3, 20.1, 23.1, III (+4) 7.2, 28.8, 48.1, IIa (+24) 5.1, 19.1, 57.1 (2 volte), ve(n)nero I 101.1, IIa (+8) 13.2, 110.6.7, ve(n)<d>ero I 108.1IIa (ma venirno III 39.7, 51.1, 57.13, 58.3, 58.3), vene ‘venne’ I 33.1, 76.8, 103.2, III 28.22. Nella 3a pers. plur. la desinenza locale in -eno si legge in posseno ‘posero’ III 28.12/possero ‘posero’ I 95.12, 103.6, III 13.5, 49.1, poss(e)ro III 57.9, poss[ero] I 96.2/posero I 86.6. Si segnalano a parte quelli con desinenza -si analogica806: apersero I 89.4, adparse I 86.7, 95.11, II 26.2, apparse II 25.1, 31.2.3, IIa 266.1, apparsse II 26.1, appa<r>se II 25.1 (ma infra, apparve in β2), adparsero I 92.3, arse III 53.5, arselo 805 Si vedano appe, potte, sappe, resposse, roppero, pottero nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 385); potte, roppe, roppero, sappe, vennero in De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 250). 806 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 581. CCLII Nadia Ciampaglia III 57.12, discese III 45.2, 51.13, descese III 56.10/dessce(n)deo IIa 211.2, i(n)ciuse I 103.7, morcze II 14.1, 18.2, 31.1, IIa 68.2, 84.3, 170.5, morse III (+10) 10.5.6, 11.6, morxe III 30.12/morìo II 38.2, IIa (+4) 39.3, 84.1, 329.2, III 30.13, 32.6.13 e morì I 84.4, IIa 386.1, III (+13) 10.1.4, perse III 56.10/perdìo III 33.2, 57.3, rapercze ‘riaprì’ IIa 104.4, remase II 6.3, IIa 128.6, 316.1, romase IIa (+4) 39.2.3, 180.1, volse I 86.5, 102.1, II 35.9, IIa (+8) 38.3, 78.6, 144.1, III (+7) 28.11, 39.12, 40.3, volso I 86.5, volsero I 90.5, II 35.3.8, IIa (+10) 11.3, 80.2, 105.2807, volser(o) III 59.4, procese IIa 110.7, proce<s>e IIa 110.5. Altre mani. Forme forti con raddoppiamento da -UI. Mano β. nacq(ue) β2 244.3, pocte β1 36.16, pote β1 36.26, messe β3 196.2, β1 34.3, messero β134.3, posse β2 237.1, stecte β1 36.8.17, ve(n)ne β1 36.9.14, β2 244.7. Mano γ: ve(n)ne 148.2, 150.1, ve(n)nero 148.1. Forme forti con -si analogica. Mano β: aperse β2 244.11, dispese β2 237.20, exposero β1 36.3, respose β3196.11, rispose β2 244.11, morze β3 203.1, morsero β1 34.11, volse β1 34.13, β1 35.4, scripsero β2 244.21, vensero I 93.11 (cfr. II.9). Notevole apparve β2 244.7. d. Futuro. È tipico dei dialetti meridionali il raddoppiamento di -r- nelle forme del futuro e del condizionale808: darrà II 30.5, 53.3, despe(n)derrà II 30.2, exaltarrà III 58.12, farrà III 27.7, 32.4, haverrimo III 58.13, ma(n)cherrà II 30.2, ponerrà II 30.5, revelarrà II 30.5, sarrai III 31.9, scriverrò III 2.2, serria III 25.5, trovarra(n)do II 54.7, trovarra(n)no II 53.4, trovarrete IIa 170. 4, trovarrite IIa 8.3, 388.1, venerrà IIa 283.1. Senza raddoppiamento, dirò I 103.4, legerà II 53.3, scordarò III 31.8, pagara(n)no IIa 175.1, vederò III 58.10, pagarimo III 27.19. Altre mani. Mano β. È oscillante il raddoppiamento di -r- nelle forme del futuro e del condizionale: adcaderrà β134.8, co(n)traverrà β2 237.19 [ma co(n)travenera(n)no β2 237.8 (2 volte)], darrà II 30.5, 53.3, despe(n)derrà II 30.2, exaltarrà III 58.12, farrà III 27.7, 32.4, haverrà β2 237.6, haverra(n)no β2 237.6, β2 244.11, sarria β2 244.23, β134.11, serria β135.6, β1 36.20/ s<e>ria β1 36.2, serrà β2 237.6.7.10, serra(n)no β2 244.11.20, starrà β134.4, starra(n)no β2 244.11, ve(n)dera(n)no β2 237.9.14; senza alternanze, co(n)curerà β3 229.3, denegara(n)no β2 237.9, exigera(n)no β2 237.11.23, incorrera(n)no β2 237.9, insta(m)parà β134.8, lasserò β 1 36.7, obedira(n)no β2 244.20, piacerà β2 237.14, portera(n)no β2 237.13, potrà β2 237.14, potera(n)no β2 237.13, potra(n)no β2 237.21, potera(n)no β2 237.13, tenerà β2 237.22, tenera(n)no β2 237.6 (3 volte).7.9, ve(n)dera(n)no β2 237.9.14, volera(n)no ‘vorranno’ β2 237.13.14. V.3.1.2. Congiuntivo. Presente. Alla 3a pers. sing. si leggono debia III 58.12 e possa II 54.2, IIa 300.2; si aggiunga la desinenza semicolta -i in (si) possi ‘si possa’ IIa 69.2809. La -a di sallis- 807 Cfr. volce, volcero nell’Hist. Tr. (N. DE BLASI, Libro de la destructione de Troya..., cit., p. 385). 808 Per l’oscillazione ar/er cfr. § V.2.1.14. Introduzione CCLIII sa IIa 357.1 sarà condizionata dalla fonetica di frase (§ V.2.1.17). Alla 1a pers. plur. debiamo III 58.12; 3a pers. plur. debbiano II 54.15/debiano IIa 181.1, dicano IIa 347.1, possano II 54.13 e, con la desinenza -eno, posseno II 54.13. Imperfetto. 3a pers. sing.: a(n)dasse I 95.6, decesse IIa 40.5, desse IIa 37.1, devesse I 93.13, IIa 125.1, III 43.4, 57.10, devess(e) III 43.3, donasse I 84.1, pagasse IIa (+5) 2.9.10 (3 v.), pigliasse IIa 130.1, piacesse IIa 367.2, potesse II 35.10, IIa 85.6, 248.1, potess(e) III 37.4, recollesse IIa 327.2, rescresse IIa 40.7, screvesse IIa 64.3, soprasse IIa 81.1, tenesse I 95.6, IIa 306.1, valesse IIa (+5) 85.3, 299.2 (2 volte), 300.2, volesse IIa 302.1; 3a pers. plur.: co(n)te(n)tassero IIa 64.1, devessero I 67.2, 89.5 (2 volte), elessero IIa 2.8, 250.1, eme(n)dassero IIa 40.5, pagassero IIa 184.1, 185.1, pigliassero IIa 40.7, potesser(e) ‘potessero’ IIa 219.2, rocollesero IIa 327.2, volessero IIa 219.2, perdissero IIa 364.1, pregasser IIa 70.7. In un sol caso desinenza -eno: volesseno ‘volessero’ II 53.5. Altre mani. Mano β. Presente. 3a pers. sing.: applich(e) β2 237.10, corra β2 237.19, debia β2 237.6/debbia β2 237.6.19.22, faccia 210.1, incorra β2 237.23, ma(n)tegna810 β3 240.2, ma(n)te(n)ga β3 230.5, possa β2 237.6 (3 volte).19.20.21.22, vegna IIa 64.2, 259.2, voglia β2 244.24; 1a pers. plur.: possamo β2 244.24, vogliamo β2 244.24, volessimo β2 244.21, 3a pers. plur.: acte(n)dano β2 244.24, debiano β2 237.4.6/debbiano β2 237.6.7.9, incorrano β2 237.8.9, possano β2 237.4.20, ve(n)dano β2 237.6, vogliano β2 244.15. Imperfetto. 3a pers. sing.: ma(n)dasse β1 35.5, valesse β3 229.1; 3a pers. plur.: stessero β1 35.1, tornassero β1 36.12. Mano γ: dechiarasse 149.3. V.3.1.3. Condizionale Non c’è traccia del condizionale toscano in -èi, essendo assoluto il tipo in -ia: arria III 51.8, harria (possuto) II 53.2, dirria III 41.8, porria ‘potrei’ II 19.8, 35.2, IIa 1442.1, porrissevo ‘potreste’ III 30.24811. Un po’ dubbio haverriamo IIa 105.8; se non si tratta di uno scorso di penna per haverriano, l’improvviso passaggio alla 1a pers. plur. e il cambio di giro sintattico saranno dovuti forse alla compartecipazione del canonico agli eventi narrati812. 809 Si tratta però della più volte menzionata copia di un bando: cfr. sopra, n. 582. Si veda possi in Galeota (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 85). La desinenza -i per la 3a pers. sing. del congiuntivo si legge anche in habbi: vedi infra, n. 839. 810 Cfr. n. 650. 811 In questo esempio il VOS enclitico è divenuto parte integrale della forma verbale; cfr. anche ingannastivo, n. 789. 812 Questo il contesto: «A dì primo d(e) iulio in la polita d(e) Sessa, co(n)gregati tucti li sessani co(n) lo s(ignor)e do(n) Lope covernator(e) d(e) Sessa alle 20 hor(e), facto co(n)siglio generale, li pregar(e) li sessani allo s(ignor)e do(n) Lope ch(e) levassero li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa, ch(e) erano p(er) farno qua(n)to sua Signoria voleva da Sessa; do(n)ne llà in co(n)siglio publico li sessani, ogniuno p(er) uno particularme(n)te, lo preghero lo s(ignor)e do(n) Lope, p(er)ch(é) ad ipso stava mecter(e) et levar(e) li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa, ad chi meglio li potevano pregar(e), ch(e) là ce foreno decte adsai bone CCLIV Nadia Ciampaglia V.3.1.4. Participio debole e forte Non sembra molto diffusa la desinenza -uto per i verbi in i: conparuto IIa 28.2, feruto I 78.10/ferito I 93.22, III 14.2, spartuto II 44.1 (spartire trans. ‘dividere’ I 92.1, 93.1). All’elenco vanno però aggiunti i participi di forme verbali che hanno subito metaplasmo (cfr. § V.3.1.7) o che mostrano la tendenza al livellamento delle coniugazioni in e ed in i: dunque, da partire e parter(e), partuto I 93.21, III 43.5, IIa 353.2 e partuti IIa 299.3 accanto a partito III 36.1, 41.5 (e partiti β2 244.22); da patere, patuto III 34.5; da *invadire (il pf. invadìo III 11.3 tradirebbe difatti il passaggio dalla II alla IV), invaduto III 26.1. Si aggiungano da recepir(-lo) e recepere, receputi III 34.7, IIa 140.1, 350.2 (e recevute β2 244.2) e, ancora, conparuto IIa 28.2 e falluto III 30.7813. Per i verbi in i è senz’altro più diffuso il part. debole in -ito: audito IIa 40.5, audita III 46.2 (audire II 54.2), escito III 31.9, expedicta IIa 207.1, expedita IIa 19.2, expediti IIa 215.2, expedito II 46.2, 59.2 (expedire I 107.1IIa), faurito IIa 207.3 (faurire, γ 149.2), finita I 76.8, fugiti III 27.13, IIa 352.1, fugito I 53.2 (fugire (+6) IIa 20.1, III 27.12, 28.16), investito III 7.6 (investire ‘assalire’ III 47.3), sallite IIa 299.1 (sallire III 39.12 (2 volte)), sbaoctito IIa 39.2, sbauctiti IIa 106.8, udita β2 244.18, udito β2 244.18, vestiti β 230.2, IIa 384.1, vestito IIa 128.14, 16.2; seppellita II 15.1, seppelliti III 17.6, seppellito (+7) III 11.6, 20.3, 23.3.4, 25.10, 26.10, IIa 96.1, seppelito III 15.2, 18.3, IIa 329.2 e sepellito III 10.4.5 alternano con il meno diffuso seppulto IIa 380.1, 381.1, III 13.2, sepulto II 18.2 (sepellire IIa 368.1); uscito IIa 128.4 (ma si veda il sost. insuta ‘uscita’ I 20.1). Per i verbi in e: renducta III 39.9 (rendere III 27.14), renduta I 95.9, rendute I 88.4, renduti IIa 301.6.7, renduto IIa 303.1 (2 volte), reduto IIa 301.7, valuto (+8) II 34.3, IIa 89.1, 90.1; perdute III 28.22, perduto III 58.9 accanto a perse III 56.10, perso I 95.11 (e perdirno III 57.15, perdissero IIa 364.1). Senza alternanze, visto II 44.1 (2 volte), 46.2, vista (+7) IIa 176.1, II 19.10, 40.1, 45.1, 46.2, III 48.18, visti II 25.2 (si veda β2 veduti, veduto accanto a visto). Per i participi forti, si segnalano qui excurto IIa 23.8 e scurto IIa 190.1. Il tipo curto si legge in Loise, specializzato semanticamente nel senso di ‘messo a sacco’, ‘depredato’814 e ricondotto dall’editore al part. forte dal tema del verbo ‘correre’, di parole ch(e) certo haverriamo mosso uno sasso d(e) marmora ta(n)to li pregavano li sessani, ch(e) serria troppo lo(n)gno ad scriver(e) li dicti particulari d(e) sessani ch(e) dessero». Per altri esempi simili, si veda infra, § V.4.12. 813 Il participio compare nell’espressione: «Sacra Magiestà, io so’ falluto!»; si veda D’AMBRA, s.v. falluto ‘uomo senza credito’. Qui tuttavia può trattarsi del vb. intr. fàllere ‘sbagliare’, ‘commettere una colpa’ ‘tradire’: cfr. GDLI, s.v. 814 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 366 e n. 1054. Introduzione CCLV cui non mancano numerose testimonianze in napoletano antico815. Il verbo, tuttavia, sembra di difficile interpretazione e comunque non riconducibile agli esempi sopra riportati, poiché senz’altro, nel nostro caso, appare collegato semanticamente alla cosiddetta ‘vendita alla candela’; la candela accesa, difatti, scandiva i tempi dell’asta: nel momento in cui veniva spenta (o tagliata), la gara si concludeva e l’appalto veniva aggiudicato816; fo excurto dunque, va interpretato nel senso di ‘fu assegnato’. Lo stesso verbo è adoperato anche nella forma forte del perfetto attivo, con analogo significato: scorcze IIa 224.3 e scorcero IIa 239.2817. In questa prospettiva, dunque, il significato andrà in definitiva ricercato, probabilmente, in uno slittamento semantico del verbo ‘scorciare’, ‘accorciare’: cfr. GDLI, s.v. scortire. Altre mani. Mano β. bannito β3 229.1, partiti β2 244.22, recevute β2 244.2, veduti β2 244.9, 244.10, veduto β2 244.6, 244.14, 244.23 ma visto β2 206.2. V.3.1.5. Gerundio Appare costante, come s’è già anticipato, il passaggio a > e nelle forme del gerundio, tratto ben diffuso nella Campania settentrionale (cfr. § V.2.1.7 e n. 358); si noti ancora una volta che gli esempi complementari sono tratti tutti dal terzo libro che, rifiutando dunque anche quest’esito, rivela ancora una volta l’appartenenza ad un’area linguistica differente: co(m)me(n)cze(n)no IIa 130.1, ca(m)mine(n)no IIa 154.1, conta(m)mine(n)no IIa 80.1, diffide(n)no IIa 156.1, diffide(n)nose IIa 136.1, paghendose IIa 23.8, paghe(n)no IIa 313.1, passe(n)do IIa 128.10/passando III 59.2, passe(n)no IIa 40.3, 385.2/passa(n)no III 51.10, sone(n)no IIa 342.2, ste(n)ne ‘stando’ IIa 104.5818/sta(n)no III 28.5.24, 32.3, sta(n)do III 9.2. Molto diffusa è l’assimilazione ND > nn nelle forme del gerundio: arriva(n)no IIa 104.3.4, 128.11/arriva(n)do IIa 128.11, ca(n)ta(n)no IIa 70.1, dice(n)no III 27.15/dice(n)do III (+4) 9.3, 27.6.8, dubita(n)no IIa 135.2, diffide(n)nose IIa 136.1, essenno 815 Si vedano ad es. discurto, incurto, succurto in Hist. Tr., succurto in Notar Giacomo, incurto nel sinodo volgare del vescovo Giovanni Aloisio (ivi). 816 Ancora oggi, difatti, in alcune università agrarie le aste pubbliche si effettuano mediante l’antica prassi della “candela vergine”, il cui totale spegnimento segna la fine della gara pubblica. Questi comunque i contesi: «fo misso lo elariato de li pagamenti fhiscali, tanto lo ordinario qua(n)to lo extraordinario: ad sòno de trombetta et ad lume de candela fo excurto ad Thomasi de Fracisco, cidadino de Sessa, per cinquanta ducati» IIa 23.8; «A dì 22 d(e) (set)te(m)bro i(n) Sessa fo ve(n)nuto lo elariato d(e) le colte ducati ce(n)toci(n)qua(n)ta et <fo> scurto ad Ant(oni)o Guinaczio no(m)minato Spa(n)gnolo» (fo) 817 scurto IIa 190.1. Questi i contesti: «Li quali dicti offici foreno venduti per ordine et consiglio de dicta cità de Sessa et fo messa la carta in piaczia, et ipso sopradicto Ionfrancisco Russo li scorcero per li cento ducati» (cfr. testo, IIa 224.3); «et scorcze allo dicto missere Ioanfrancisco per li cento ducati per uno anno tucti tre li offici» (cfr. testo, IIa 239.2). 818 Per questa forma, cfr. n. 676. CCLVI Nadia Ciampaglia III 39.9, esse(n)no III (+4) 29.2, 37.2, 39.5/essendo III 56.1, e(sse)ndo III 37.4, 57.13, esse(n)do III (+6) 7.6, 21.7, 27.7, face(n)no IIa 165.3, 208.5, 301.3/face(n)do IIa 70.1, 135.2, 294.7, face(n)dose IIa 128.5, grida(n)no III 13.5/gridando III 30.3, have(n)no IIa 337.2, III 47.3/havendo III 28.23, in(con)tra(n)no III 30.6, naviga(n)no III 39.1, piglia(n)no IIa 11.4, porta(n)no III 27.10, prega(n)no IIa 193.1, 215.3/prega(n)dolo IIa 130.3, regratia(n)no IIa 130.3, respo(n)de(n)noli IIa 162.4, saglie(n)no III 39.10, 48.19, se(n)te(n)no III 46.4, 48.10/se(n)te(n)do III 28.25, 48.2.7, taglia(n)no III 50.2, tene(n)no III 48.19, u(n)sscenno IIa 196.2, vedenno III 39.8, vede(n)no IIa 27.4, 128.10, III 31.6, 46.3, 54.2/vedendo III 35.1, vedennose III 29.3, vede(n)no I 78.4.7/vede(n)do I 5.3 (e vende(n)no ‘vedendo’ III 28.17, forse grafia ipercorretta generata da confusione con vende ‘venne’), ve<ne>(n)no IIa 128.2, vive(n)no IIa 367.2, vole(n)no III 27.16. Altre mani. Mano β. Lo sviluppo à > e si legge in ca(m)mine(n)do β3 196.7, <st>endo β3 196.5, ma non in abisogna(n)do β1 36.2 (paragrafo relativo ai tumulti napoletani del 1547 e dunque condizionato dalla fonte). L’assimilazione ND > nn non si legge mai nella mano β2, che rivela ancora una volta la sua “diversità”: dice(n)do β2 244.17, face(n)dose β2 237.23, have(n)do β2 244.11, inte(n)de(n)do β2 244.18; in questo paragrafo non si legge mai neppure l’ipercorrettismo di nd in luogo di NN, che dovrebbe essere comune in colo(n)na β2 244.12.14.23. A questi esempi vanno però aggiunti anche quelli tratti da β3, che scrive un’annotazione spontanea: sce(n)de(n)do β3 196.10, sci(n)de(n)do β3 196.7. La forma ipercorretta si legge invece solo nel paragrafo redatto da β1 (relativo ai tumulti napoletani del 1547): sca(n)dar(e) β1 34.6/sca(n)nar(e) β1 34.5. Non c’è assimilazione in ga(m)ba β2 40. 14.16. Mano γ: sca(n)naro ‘scandalo’ 149.1. V.3.1.6. Infinito Nei pochi casi di infinito coniugato attestati dalle Croniche è nettamente predominante l’apocope della vocale finale davanti al suffisso, forse perché le forme dovevano, in tal modo, essere avvertite come «più elevate e meno dialettali»:819 essermo III 41.7820, farno IIa 100.2.3, 105.7, 167.1, 205.1821, fareno IIa 245.2822, haverno II 46.3, IIa 106.2823, pag[ar](e)no II 49.2824, poterno I 75.30825, saperno IIa 228.3826, trovarno IIa 30.8827, venir(e)no IIa 28.6828, volerno II 23.4829. 819 Cfr. M. LOPORCARO, L’infinito coniugato nell’Italia centro-meridionale: ipotesi genetica e ricostruzione storica, «Italia dialettale», 49 (1986), pp. 173-240; questo studio è fondamentale per la questione relativa all’interpretazione del fenomeno, considerato di natura letteraria da Savj-Lopez e non di origine dialettale; l’equivoco nasceva dalla sua mancata attestazione nei Bagni e nel Regimen, prima che Sabatini ne dimostrasse la vitalità nel ’300, ovvero nella Cronaca di Partenope (F. SABATINI, Napoli angioina..., cit., p. 135). Per una rassegna del fenomeno, ancora nel ’500 di uso popolare, vista la censura di cui è oggetto nei testi letterari del periodo, cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 185. 820 Questo il contesto: «Guardamo bono lo castello, et se Napuli se perde, meglio volimo che sia chiamato traditore m. Iacovo che essermo chiamati nui». 821 Questi i contesti: «p(er)ta(n)to fece fare co(n)si[g]lio ordinato da Sessa ch(e) ’na(n)ti ch(e) se partisse fossero facti li officiali d(e) Sessa p(er)ch(é) inte(n)deva sua Signoria uno certo co(n)serto facto d(e) farno li officiali i mmodo d(e) ciascheuno d(e) loro ho(m)mini Introduzione CCLVII Solo in due forme si registra l’infinito apocopato: mecte IIa 131.1 e have’ II 35.11. Per i metaplasmi di coniugazione, cfr. § V.3.1.7. Altre mani. Mano β: esserno β2 244.23, exigernose β2 237.19, haverno β2 244.9, volerno β1 36.18. Mano γ: fareno 152.1830. V.3.1.7. Metaplasmi di coniugazione ed estensioni tematiche Non mancano tracce della tendenza al livellamento delle coniugazioni in e ed in i: es. partire IIa 280.1, partir(e) I 75.3, II 23.4, 35.3, 53.4, III 48.11, 57.10, IIa (+5) 156.3, 209.2.3, partir-(se) III 48.8 accanto a parter(e) IIa 200.2; è confluito alla IV coniugazione recepir(-lo) IIa 127.2 accanto a recepere IIa 196.1 (recepìo IIa 128.18, receputi III 34.7, IIa 140.1, 350.2, recevute β2 244.2). Testimonierebbe il passaggio dalla II alla IV coniug. latina (*invadire) invadìo III 11.3 (e invaduto III 26.1)831. d(e) Sessa; p(er)ta(n)to fe’ ordine da bo(n) corverno ch(e) subbito fossero facti li electuri d(e) farno li officiali d(e) Sessa» (cfr. testo, IIa 100.2.3); «A dì primo d(e) iulio in la polita d(e) Sessa, co(n)gregati tucti li sessani co(n) lo s(ignor)e do(n) Lope covernator(e) d(e) Sessa alle 20 hor(e), facto co(n)siglio generale, li pregar(e) li sessani allo s(ignor)e do(n) Lope ch(e) levassero li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa, ch(e) erano p(er) farno qua(n)to sua Signoria voleva da Sessa» (cfr. testo, IIa 105.7); «fo facto publico co(n)silglio li sessani per farno li officiali de Sessa» (cfr. testo, IIa 167.1); «la università de Sessa fece uno co(n)siglio i(n) lo segio de farno tre ch(e) facessero la tassa de lo grano» (cfr. testo, IIa 250.1). 822 Questo il contesto: «fecero co(n)siglio d(e) se fareno prestar(e) duimili scuti». 823 Questo il contesto: «Et p(er)ch(é) prete(n)deva ch(e) dicti roccolani fossero accascati alla pena d(e) mille ducati secu(n)do la passata se(n)te(n)tia, et fossero adcascati i(n) pena d(e) rebellione p(er) haverno sonato ad arme subbito ch(e) vedero dicto co(m)missario, ne portò quattro d(e) li pri(n)cipali co(n) ipso presuni» (cfr. testo, II 46.3); «Fecero sonar(e) ad co(n)siglio li si(n)dici p(er) haverno alcuno modo et meczo d(e) adcordar(e) el s(ignore) do(n) Lope ch(e) li ho(m)mini d(e) arme no(n) venisser(e) in Sessa» (cfr. testo, IIa 106.2). 824 Questo il contesto: «ch(e) li tercieri prete(n)deano d(e) pag[ar](e)no insemi co(n) Sessa d(e) ogni inponeme(n)to». 825 Questo il contesto: «Eode(m) anno, a li 24 d(e) frebaro, se partìo dal Castello Novo il re Ferra(n)te secu(n)do et la regina sua bava una co(n) la infanta figliola d(e) re Ferra(n)te p(r)imo, et a(n)daro i(n) Ischa co(n) lo s(ignor)e do(n) Federicho; et portava 18 galer(e), et p(er) no(n) poterno partir(e) tre navi grosse, le abbrusarno i(n)nel molo grande de Napuli». 826 Questo il contesto: «no(n) ce lo reservò p(er) non saperno più li sessani tale advertencia de gabella». 827 Questo il contesto: «et lo a(n)no seque(n)te li fo dato lo sidicato p(er) no(n) trovarno homo allo preposito loro et p(er) la sua discordia d(e) ellecturi, ch(e) certo ne fo facto tumulto in Sessa». 828 Questo il contesto: « haveano da venir(e)no in Sessa». 829 Questo il contesto: «addero ceccha(n)no el [s]uo colo(n)dello et sui capitanii p(er) volerno la page et no(n) li trovero, et cussì se adq(ue)tero dicti fa(n)ti». 830 Questo il contesto: «fo facto uno consiglio publico...de fareno li officiali». 831 Cfr. invadire nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 345). CCLVIII Nadia Ciampaglia Rimane alla II coniugazione latina patere ‘patire’ β2 237.3 (pate β1 36.22, pateo IIa 110.10, patero II 33.4, 35.3, patuto III 34.5). Si verifica metaplasmo di coniugazione in cadir(e) IIa 71.2, 218.3, β1 36.25 (cadivano IIa 70.2, pass. rem. capte ‘cadde’ IIa 342.2, cadero II 26.2). Per quanto riguarda le estensioni tematiche, si segnalano poner(e) IIa 106.8, imponer(e) β1 34.2, volera(n)no ‘vorranno’ β2 237.13.14, co(n)travenera(n)no β2 237.8 (2 volte). V.3.1.8. Verbo ‘avere’. Indicativo presente. Nella 1a pers. sing. la forma meridionale hagio IIa 388.1, III 30.7, 40.3, 58.10, scritta sempre con la scempia832, alterna con ho III 2.1, 34.7, IIa (+5) 102.1, 115.2, 170.4; come si può vedere dallo spoglio, nelle annotazioni originali del secondo libro prevale la seconda833; nella 3a sing. è invece nettamente maggioritaria la forma intera, di area campana, have I (+4) 86.6, 107.2IIa (2 volte).3, IIa (+24) 40.2.5, 83.1, III (+6) 41.8, 48.27, 58.10, ave IIa 79.1, adoperata in totale trentacinque volte, contro le sole cinque occorrenze di ha I 86.6, IIa 14.1, III 13.6, 28.20 ed à I 78.3; di queste ultime, quattro compaiono nelle scritture non originali del primo e terzo libro834. Alla 1a pers. plur. alternano havemo I 107.3IIa, III 25.4 e, con chiusura metafonetica, havimo III 41.8, 58.9.11; in due occorrenze si trova anche la forma toscana habbiamo III 27.8, habiamo III 27.7; per la 3a pers. plur. nelle scritture originali si ha la forma locale haveno ’hanno’ II 1.1 (2 volte), IIa (+5) 40.4, 100.4, 109.1835, contro due occorrenze di ha(n)no III 27.7, 58.10, che è adoperato solo nel terzo libro; quest’ultima forma compare in realtà nei testi napoletani già nel ’300, prevalendo sul locale aveno836. Indicativo imperfetto. Nelle forme dell’imperfetto le uscite in -ea/-eva sono di gran lunga più numerose di quelle in -ia; inoltre, le forme in -eva nelle annotazioni del secondo libro sono preva832 Non è da escludere che sia da leggere come aio, per la frequente grafia gi=j diffusa nei testi di area mediana (cfr. sopra, § V.1.6 e n. 250; per le grafie oscillanti aio/agio/ayo nei testi napoletani, cfr. n. 605). Il nesso -BJ- si sviluppa come semivocale nell’area mediana ed altomeridionale (ajΩ), mentre più a sud continua come affricata palatale sonora intensa (es. nap. aggΩ). Per il problema delle grafie e degli sviluppi di BJ, DJ, J/G, si vedano i paragrafi §§ V.2.2.13 e V.2.2.17. 833 Si consideri che, ovviamente, la forma ho è quella che usa sempre Fuscolillo parlando di sé in prima persona (fa eccezione solo la nota di possesso finale, in cui compare hagio); delle due occorrenze presenti nel terzo libro, una si legge in realtà nell’incipit della Breve informazione; la seconda è pronunciata dal Duca di Sessa. Per il resto, nel terzo libro si legge sempre hagio, pronunciato rispettivamente da Goffredo di Marzano signore di Sessa, dal gaetano Francisco de Ronda, autore del salvataggio di re Alfonso, e dal duca Giovanni. Va detto che in poesia ò si trova, probabilmente per motivi metrici, già nel ’300: si legge difatti già nell’iscrizione del Trionfo della morte e nel detto campano: cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 184. 834 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 541. 835 La forma avΩnΩ è anche attestata nella Lucania nord-occidentale (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 541) e al punto 726 (Ripacandida) dell’AIS. 836 Cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 184. Ad es. anche in Loise à(n)no è nettamente prevalente su aveno; nella 3a pers. sing. ave è nettamente prevalente su à. Introduzione CCLIX lenti rispetto a quelle con dileguo della fricativa labiodentale (in totale quarantasette occorrenze contro ventitré). Le uscite in -ia sono invece adoperate solo nel terzo libro e sono quasi il doppio di quelle in -e(v)a; in totale si contano diciassette occorrenze di havia e tre di haviano; quelle in -ea (dieci occorrenze) infine, al contrario di quanto accade nelle annotazioni originarie, sono preferite rispetto a quelle in -eva (una sola occorrenza). Di seguito l’elenco delle forme: avea I 88.1, havea I (+5) 78.5, 84.1, 88.4, II 24.1, 54.8, 59.2, IIa (+11) 80.1.2 (2 volte), 100.1, III (+8) 3.1, 5.1, 6.4, havia (+17) III 6.1, 28.24, 30.16/haveva I (+5) 56.1, 64.5, 94.1, II 53.1, IIa (+42) 2.2 (2 volte).5, 13.1 (3 volte), III 3.3, haveano II 19.10, 35.12, IIa (+11) 8.2, 27.1, 28.6, III 39.1, 51.3, havean[o] IIa 181.1, haviano III 21.7, 28.22, 56.6/havevano I 95.2, IIa (+5) 57.4, 104.5, 105.6. Indicativo perfetto. Se si eccettua la forma meridionale, ma anche dell’italiano antico, appe I 95.10837, che compare solo nel primo libro perché con tutta probabilità mediata dalla fonte, è totale l’adeguamento al paradigma toscano: ebbe I 5.2, III (+4) 11.5, 21.7.9, hebbe I (+17) 18.1, 19.1, 20.1, II 3.2, IIa (+7) 79.4, 109.1 (2 volte), 144.2, III (+19) 20.1.2, 24.1, he(b)be I 58.1; nelle annotazioni originali del secondo libro compare la desinenza -i per la 3a pers. sing: ebbi IIa 370.2, hebbi IIa 239.3. Per la 3a pers. plur. ebbero II 35.3, hebbero I 96.5, IIa 4.2, 28.7. Pone problemi l’interpretazione di haveo I 95.12838, che dal contesto sembrerebbe da leggere come 3a pers. plur. Indicativo futuro. Lo spoglio offre solo haverrà β2 237.6, haverrimo III 58.13, haverranno β2 237.6, 244.11, con costante conservazione della vocale atona e raddoppiamento della -r- intervocalica. Congiuntivo presente. Alla 3a pers. sing habia II 30.2, 30.6, III 31.7, habbia II (+4) 30.4, 54.4.7, IIa 69.2, 283.1, 322.1 ed habbi II 53.4839; alla 3a pers. plur. habiano II 54.7, IIa 245.6, habbiano II 53.2, 54.10, IIa 220.1. Con- 837 La forma del perfetto forte appe, analogica su SEPUI, appare in regresso già nel ’400 a vantaggio di hebbi/hebbe: cfr. N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 184; si vedano inoltre appe nel Riccardiano (G. SCHIRRU, Profilo linguistico dei fascicoli.., cit., II, p. 165), appe accanto a abbe nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 371). 838 Sembra da escludere che la r sia stata omessa per lapsus grafico (cfr. più avanti, analogamente, <de>o, V.3.1.14 e n. 867 e anche tireo di β3 196.8, § V.3.1.1/c, n. 803). Si tratterà piuttosto di una 3a pers. sing. con cambio successivo di soggetto. Deo è anche dell’antico romanesco (ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts..., cit., p. 161); le forme àvero ‘ebbero’ ed ave ‘ebbe’ sono invece attestate nell’antico umbro (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 584). Questo il contesto: «Eode(m) an(n)o, a li 11 d(e) iulio, a le 20 hor(e) uno cap(itani)o d(e)l Gran Cap(itani)o, no(m)minato Pitri Navarro spa(n)gnolo pigliò lo Castello Novo p(er) forcza d(e) batallglia d(e) mano, p(er)ch(é) li haveo facta una cava sopto lo castello et de poi lo i(m)pero d(e) polver(e) d(e) bu(m)b[ar]de, et de poi possero focho p(er) modo ch(e) ne caschò una banda v[er]so il Chiatamone de la sale, et ’o pilgliaro lo Castello dell'Ovo p(r)edicto». 839 Si veda anche possi, n. 809. La desinenza in -i per i verbi della 2a classe è diffusa nei testi poetici napoletani; si veda la rassegna offerta da Vitale e in particolare habbi in Rustico (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit, p. 85). La 3a pers. sing. in -i del cong. imperfetto si è conservata a lungo nel romanesco; ad es., venissi nella Cronica dell’Anonimo Romano (P. TRIFONE, Roma e il Lazio, cit., p. 117). Nadia Ciampaglia CCLX giuntivo imperfetto: 3a pers. sing.: havese IIa 318.1, havessa IIa 316.1840, havesse I 109.1IIa, II 53.2 (2 volte), IIa (+21) 2.1.2, 4.1; 3a pers. plur. havessero II 35.9, IIa (+26) 6.1, 28.2.4. Condizionale. L’unico tipo attestato è da infinito + HABEBAM: arria III 51.8, harria (possuto) II 53.2; si è già segnalata come dubbia la forma haverriamo IIa 105.8, che se non è un lapsus calami (haverriano ‘avrebbero’), potrebbe rappresentare la 1a pers. plur. ‘avremmo’, con un accordo ad sensum e relativo ed improvviso passaggio dalla 3a alla 1a pers. plur. provocato dalla compartecipazione emotiva di Fuscolillo cittadino di Sessa, e non solo cronista, all’evento narrato841. Infinito coniugato: haverno II 46.3, IIa 106.2. Altre mani. Mano β. Indicativo presente. La forma toscana ha è adoperata solo da β2, ma esclusivamente nei paragrafi non originali (§§ 237 e 244); cede infatti il passo a quella locale, usata invece anche da β1, nel § 40, relativo ai miracoli avvenuti a Capua, di estrazione non “culta” (cfr. § II.9.2): ha β2 237.3, β2 244.4/have β1 36.18, β2 40.12. 1a pers. plur.: havemo β2 237.3. 3a pers. plur.: sempre ha(n)no β2 206.2, β2 244.7.14.15 e mai haveno, forma locale usata da Fuscolillo solo nelle annotazioni originali; si tratta però del § 244, dalla matrice “letteraria” ormai certa. Mano γ: have 149.2. Ind. imperfetto. Mano β. Si registrano solo due occorenze in -ea: havea β3 196.7, β2 237.1. Ind. perfetto. Mano β: hebbe β3 231.1. Mano γ: hebbe 149.1. Futuro. Mano β: haverrà β2 237.6, haverra(n)no β2 237.6, 244.11. Congiuntivo presente. Mano β: habbia β2 237.15, habbiano β2 237.10.12. Congiuntivo imperfetto. havesse β1 35.5, havessero β1 35.5, β1 36.10. Mano γ: havessero 149.1 VERBO AVERE Presente I II IIa III tot. β β1 γ hagio ho (h)ave 4 ha/à 2 1 3 4 5 2 7 25 6 35 1 1 1 1 2 5 1 2 2 1 Imperfetto I libro II IIa III tot. β1 β2 840 841 -ea/-eano 6 3+1 11+12 8+2 28+15=43 1 1 Cfr. § V.2.1.17. Per il contesto, cfr. § V.3.1.3 e n. 812. havemo 1 -imo habbiamo haveno hanno 2 5 -eva/-evano 5+1 1 42 +5 1 49 +6= 54 3 3 2 2 7 2 2 4 -ia/-iano 17 +3 17 +3=20 Introduzione Perfetto I II IIa III tot. β2 γ appe 1 1 ebbe/hebbe 1 + 18 1 7 4 + 19 5 + 45=49 1 1 CCLXI hebbi (3a) 2 2 V.3.1.9. Verbo ‘essere’ Indicativo presente. 1a pers. sing.: si segnala la forma apocopata so’ III 30.7; alla 3a pers. sing. le forme epitetiche prevalgono nelle scritture originali (ventuno occorrenze vs. quattordici), mentre nel primo e terzo libro è netta la preferenza per è (in totale sedici occorrenze vs. due); le forme con l’epitesi di -ne, tipico tratto centromeridionale, quali ène I 108.2IIa, IIa (+20) 106.3, 130.4, 134.1, e di -i, come èy I 12.1, hèi IIa 33.2, si alternano dunque con è I (+6) 31.1, 75.4 (2 volte), 86.6, II (+4) 21.5, 43.2, 54.5, IIa (+10) 14.1.2, 22.1, III (+10) 3.3, 6.5, 10.2. Alla 1a pers. plur. si legge la forma toscaneggiante siamo IIa 184.2; alla 3a pers. plur. un’unica occorrenza di sono II 21.4842, contro ben trentasei con raddoppiamento della -n- intervocalica: sonno IIa 18.1, so(n)no II (+11) 20.10 (2 volte).11, IIa (+24) 2.9, 40.2, 66.4. Indicativo imperfetto. 3a pers. sing.: era I (+57) 2.1, 13.1, 15.1 (2 volte), e<ra> I 93.1; 3a pers. plur.: erano I (+18) 48.2, 59.1, 63.1. Indicativo perfetto. Alla 3a pers. sing. fo I (+122) 2.1.3, 5.1, II (+78) 2.1 (2 volte), 3.1 (2 volte), 4.1, IIa (+390) 6.1, 13.1 (2 volte), 26.3, III (+129) 6.5 (2 volte).6, 7.3, 10.4, fo(n)ce I 13.2 è nettamente predominante su fu IIa (+5) 60.3, 231.1 (2 volte), 341.1, III (+9) 11.1, 12.2, 14.3843. Alla 3a pers. plur. predomina la forma forono/foreno, che ricorre centoquarantotto volte di contro alle cinquanta occorrenze di foro844 (fore nelle forme con enclisi pronominale); solo tre volte compare forno845 e, in un’unica occorrenza, fora I 56.2, che però con ogni probabilità è stata condizionata dalla a- iniziale della parola successiva: (ce) fora (admaczati)846. Si noti ancora che foreno è nettamente mag842 Si tratta però di una notizia del 1526 probabilmente tratta, come la maggior parte delle notizie del secondo libro, da un annuario della Curia di Sessa (cfr. § III.1.3). 843 Si escludono dal calcolo le forme in cui non è sicura la tonica: [fo] I 44.1, 83.1, f<o> I 93.20, <fu> II 56.1. 844 Foro è invece l’unico tipo attestato, ad esempio, nei Ricordi: V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 370. 845 Foro, forno e forono sono comunemente attestati nei testi napoletani (N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 183). Cfr. foro, foron in Caracciolo, forno in Galeota e Rustico (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit, p. 84). 846 Fora è attestato in prov. di Lecce (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 583) ed è confermata al punto 739 (Vernole) dell’AIS. CCLXII Nadia Ciampaglia gioritario rispetto a forono: centotrentadue occorrenze contro sedici; inoltre, ben centotrentuno esempi di foreno compaiono nelle annotazioni originarie del secondo libro, mentre nel terzo predomina forono: la prima forma sembra pertanto quella locale847. Di seguito l’elenco: foro I (+21) 13.3, 29.1, 66.1, IIa (+24) 21.3 (2 volte), 23.1, 27.5, fo<r>o I 97.8, forece I 97.9, forece IIa 25.2 foroce I 96.7, foreli IIa 11.1848, foreno I 55.1, IIa (+130) 2.10, 6.4, 13.2, for<e>no IIa 224.1, forono I (+12) 58.2, 64.1, 67.2, IIa (+4) 98.5, 99.5.7, forno I 48.3, IIa 17.2, 99.7. Sembra di difficile interpretazione fore IIa 346.2849. Indicativo futuro. Raddoppiamento locale di -rin sarrai III 31.9 (e cfr. in β2 serrà, serranno). Congiuntivo presente: sia IIa (+7) 100.1, 116.1, 134.1, III 31.9, 41.7, siano IIa 40.4. Congiuntivo imperfetto: fosse II (+8) 6.2, 35.7.9, fo(n)sse IIa 2.5 (per l’uso abnorme del titulus, cfr. § V.2.2.28), fossero II 46.3 (2 volte), 53.2, IIa (+27) 6.1, 26.3, 27.5, fosser IIa 299.3. Condizionale. Accanto a serria IIa 104.2, 105.8, 110.8, III 25.5, compare anche il tipo di condizionale dal piucchepperfetto indicativo latino FUERAM: fora (stato facto) III 21.11850. Gerundio. essendo (+16) III 37.4, 56.1, 57.13, essenno III 39.9, esse(n)no (+6) III 37.2, 39.5.6. Infinito coniugato. essermo III 41.7. Altre mani. Mano β. Indicativo presente. La forma epitetica ène compare una sola volta, adoperata unicamente da β3; si conferma così per questa mano una tendenza più “dialettale”, già notata in sede fonetica, da collegare ovviamente anche alla natura del paragrafo in questione, di matrice non letteraria. Di seguito l’elenco delle forme: è β1 34.4.8, 36.14.19, β2 244.17, 206.2, 237.3 (3 volte).5.15, 244.4 (3 volte).8.13.21, β3 229.2/ène β3 196.3; 3a pers. plur.: sono β2 237.4. Indicativo imperfetto. Mano β: era β3 196.6, β3 203.1 (2 volte).3, β3 229.2, β2 244.5.12, β1 35.5, β2 40.14, erano β3 196.3, β1 35.4, β1 36.20.22. Mano γ: era 148.1.2, erano 149.3, 152.2 (2 volte). Indicativo futuro. Mano β. È costante il raddoppiamento dialettale della -r-: serrà β2 237.6.7.10, serra(n)no β2 244.11.20851. Indicativo perfetto. Mano β. Alla 3a pers. sing. fu è usato, fatta eccezione per una sola occorrenza presente in β3, solo da β2, che al contrario non adopera mai fo. Questo l’elenco delle forme: fo (+25) β1 34.2.4.9.10, 35.2.5, 36.1.2 (2 volte).5.6 (2 volte).24 (2 volte).26 (2 volte), β3 196.5.6.8, 204.2.3, 230.3, 240.1 (3 volte)/fu (+8) β2 206.2.3, 229.1 (2 volte), β2 244.12.18 (2 volte), β3 230.2; alla 3a pers. plur. forno β1 34 .11, β3 196.4.7 alterna con forono β1 36.10 e con 847 ForΩnΩ è attestato ai punti 717 (Canosa), 727 (Spinazzola), 728 (Alberobello) dell’AIS. 848 Questo il contesto: «et foreli dati dinari da lo co(m)missario». 849 Questo il contesto: «et lo mastro fore lo principale mastro Ioa(n)ni Antonio d(e) Stefhaniello napolitano». 850 Entrambe le forme sono ben attestate nei testi napoletani: cfr. ad es. fora nell’Hist. Tr., serria nel Regimen (N. DE BLASI, Campania..., cit., p. 184), serria, serriamo e fora nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 370); si veda anche la rassegna di M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit, p. 85. 851 Per la forma, molto diffusa nei testi poetici napoletani e generalizzata ad esempio nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 370), si veda la rassegna di M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit., p. 83. Introduzione CCLXIII l’unica attestazione presente nelle Croniche di furno β2 244.9.10852. Mano γ : fo (+9) 146.1, 147.1 (2 volte); 3a pers. plur.: foreno 147.2, 152.2. Congiuntivo presente. Mano β: sia β3 196.12 (2 volte), 230.5, β2 237.4.4.13.14, sian β2 244.15, siano β2 237.7. Congiuntivo imperfetto. Alla 3a pers. sing. fosse β2 237.14, β3 196.9, β3 230.3, β3 231.1, è nettamente prevalente su fusse β2 244.11, usato solo da β2 e mai da Fuscolillo853. Mano γ: fosse 149.1.3, 152.2. Condizionale: sarria β1 34 .11, β2 244.23, s<e>ria β1 36.2, serria β1 35.6, β1 36.20. Di seguito uno schema riassuntivo del verbo ‘essere’: VERBO ESSERE Presente I II IIa III tot. so’ 1 1 ène 1 èy/hèi 1 20 1 20 2 β1 β2 β3 è sono 3a pl.ur. 6 4 1 10 10 30 1 4 13 1 1 sonno 11 25 35 1 Perfetto I II IIa fo 122 78 390 fu foro/fore 23 + 1 (forece) forono 12 foreno 1 forno 1 5 24+2 (forece, foreli) 4 131 2 III tot. β1 β2 β3 γ 129 719 16 9 14 47 + 3 16 1 132 3 1 9 9 7 1 furno fora 1 1 2 2 2 V.3.1.10. Verbo ‘fare’ Indicativo presente: fa III 31.7, I 33.2, fase ‘si fa’ IIa 255.1, facciamo IIa 40.12, fate III 31.7, fanno (+5) 40.4 (2 volte), III 48.30. Indicativo imperfetto. faceva I 88.1, IIa (+20) 6.4, 40.8, 43.1, facevano I 93.7, IIa (+11) 2.6, 2.11, 66.3/faceano IIa 28.6; solo nel terzo libro si legge con il tema del perfetto, per estensione tematica, fecea 852 Nelle carte dell’AIS furno è attestato ai punti 652 (Roma), 633 (Sant’Oreste); furnΩ è ai punti 716 (Ascoli Satriano), 656 (Scanno); per questa forma, si veda anche G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 583. 853 Cfr. fusse in Caracciolo, Galeota, Rustico, forma giustificata nei poeti dall’appoggio petrarchesco (M. VITALE, Il dialetto ingrediente internazionale..., cit, p. 82). CCLXIV Nadia Ciampaglia III 32.11854, 34.11, feceala III 39.13855, feceano III 21.12, 50.1. Indicativo perfetto. Nella 3a pers. sing. la forma apocopata è nettamente preferita nel terzo libro, mentre quella intera prevale nelle scritture spontaneee: fe’ I (+9) 5.3 (2 volte), 27 1, II 20.9, 46.2, 53.2, IIa (+ 26) 31.4, 80.3.4, III (+85) 11.2, 12.6, 15.3, [fe’] III 22.1, f<e>’ III 21.4, fece I (+23) 19.1, 20.1, 24.1, II (+19) 14.1, 15.1, 19.4, IIa (+110) 2.8, 42.3, 44.1, III (+31) 19.5, 25.8, 27.12, fecela III 39 13, feceli III 30.19, fecelo III 42.1, 48.13. Alla 3a pers. plur. fecer III 46.1, fecero I (+13) 26.2, 56.2, 78.5, II (+10) 19.1, 19.10, 20.4, IIa (+50) 11.1.3 (2 volte).28.3, III (+5) 27.6, 27.17, 28.23; in una sola occorrenza si registra un ambiguo feceno IIa 28.2, che nel contesto dovrebbe avere valore di congiuntivo; tuttavia si tratta senz’altro di un perfetto, perché appare molto più probabile che vi sia stata, dopo una tematizzazione, una variazione del giro sintattico della frase856. Solo nel terzo libro si registrano inoltre le forme fe<rn>o ‘fecero’ III 39.8, ferno III (+5) 27.13, 31.4 (2 volte), 48.1 e fero III (+5) 27.15, 28.12, 29.1. Indicativo futuro. farrò III 31.9. Congiuntivo presente: faccia IIa 210.1. Congiuntivo imperfetto: facesse IIa 61.2, 70.3, 215.3, facessero III 14.4, IIa 250.1, 70.1. Gerundio: face(n)no IIa 165.3, 208.5, 301.3/face(n)do IIa 70.1, 135.2, 294.7, face(n)dose IIa 128.5, Infinito coniugato: farno IIa 100.2.3, 105.7, 167.1, 205.1, fareno IIa 245.2. Altre mani. Mano β. Indicativo presente. 1a sing. faczio β2 40.18857; 3a pers. sing. fa β1 36.19. Ind. imperfetto: facevano β1 34.11. Ind. perfetto: fe’ β1 34.5 (2 volte).6.20.25, β2 206.1.2/ fece β1 34.5.6.11, 35.3, β3 196.5.8.9 (2 volte).10.11, 229.2; 3a pers. plur. fecero β1 36.26, β2 41.1. V.3.1.11. Verbo ‘andare’858 Indicativo presente. Dal tema ‘vadere’, vadi IIa 103.1, 222.1, che sembrerebbe da interpretare come 2a pers. sing.; non è da escludere però che si tratti di un congiuntivo, considerata la sfumatura del contesto859; 3a pers. plur.: va(n)no IIa 357.1. Indi854 Si veda feceva nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 373). 855 In questo caso non si può escludere che la forma sia stata condizionata dal pf. fecela immediatamente precedente: «Et poi lo dicto re volse e(ss)ere lo p(r)imo ad sallir(e), et fece sallire 400 p(er)suni et cussì pigliorno lo castello d(e) Yscha et poi la t(er)ra; et poi pigliata ch(e) fo lo re ne fece uscire tutti li citadini d(e) dicta t(er)ra, et fecela habitar(e) da catalani et feceala multo be(n)...». 856 Questo il contesto: «Fo necessario ch(e) li sessani feceno resegna d(e) tucta la ge(n)te». 857 Cfr. § V.2.2.19 e n. 633. 858 Per i problemi realtivi all’omissione e scioglimento del titulus nelle forme del verbo ‘andare’, cfr. § IV.1 e § V.2.2.26. 859 Questo il contesto: «A dì 27 d(e)l mese d(e) aprile 1548, de la vja idictione, ne fo posta la porta nova d(e) lo macello, dove sta al p(rese)nte la carne ad ve(n)der(e), p(er) ordine de lo s(ignor)e do(n) Lope d(e) Arrera locutene(n)te d(e) lo ill(ustrissim)o s(ignore) ducha d(e) Sessa, et certi giorni adpressi fo messa la porta qua(n)do vadi ad Sa(n)to Ioa(n)ni infra le dui porte». Introduzione CCLXV cativo imperfetto: adava IIa 337.4, addava IIa 247.3 (2 volte), a(n)dava I 93.20, 98.2, II 61.1, IIa (+18) 11.4, 12.1, 123.1, adavano IIa 333.1, a(n)davano I 93.14, (+12) 27.4, 104.2 (2 volte), 130.1, addavano IIa 6.4, 26.3. Indicativo perfetto: adao IIa 379.1, addao IIa 128.19, addò IIa 101.4, 196.1, a(n)dao I (+5) 64.4, 72.1, 93.21, IIa (+4) 330.1, 339.1, 342.1, a(n)ddò I 98.2, IIa 57.3, 135.2, a(n)dò I (+16) 35.1, 48.2, 51.1, IIa (+28) 26.4 (2 volte), 26.5, 27.2, andò I (+8) 16.2, 43.2 (2 volte), 46.1, IIa 15.1, 17.2, a(n)ddò I 98.2, IIa 57.3, 135.2, addero II 23.4, IIa 11.4, 118.1, 178.1, adder<o> IIa 225.1, a(n)dero II (+6) 19.10, 20.2.8, IIa (+15) 101.1, 106.9, 118.1, a(n)dero II (+6) 19.10, 20.2.8, a(n)ddero II 20.1, a(n)daro I (+7) 75.2, 78.7, 90.1, II 19.2, a(n)dorono II 20.6), adareno IIa 334.1, a(n)dareno IIa 271.1, a(n)darnoce IIa 101.3, adarero IIa 352.2, adaro IIa 28.7. Congiuntivo presente: vadano II 54.15. Congiuntivo imperfetto: adasse IIa 85.4, a(n)dasse IIa (+7) 6.3, 19.2, 85.8, a(n)dasse II 21.4, a(n)dassero IIa (+5) 209.3, 294.1.4. Gerundio: anda(n)do III 32.13. Infinito: andar(e) (+8) III 21.10, 30.15.25, addar(e) β1 35.10, IIa 3.2, 57.2, adar(e) IIa 191.1, 280.2, a(n)dare IIa 214.1. V.3.1.12. Verbo ‘potere’ Nella costruzione del verbo si alternano il tema dell’infinito potere II 54.12, IIa 259.1, 300.2 e posser(e)(-sende) I 84.1, posser(-lo) IIa 184.1860 (es. possea, posseva/potea, poteva etc.). Indicativo imperfetto: 3a pers. sing. possea III 31.10, 38.3 e posseva IIa 71.2, 209.2, III 38.4, accanto a potea II 6.1, III (+4) 17.4, 28.10, 38.3 e poteva II 32.1, IIa (+5) 281.1, 300.3, 352.2; posseano III 31.3, 48.4 accanto a poteano II 19.9, III 38.4 e potevano I 93.8, IIa (+5) 70.2, 105.8, 110.9, III 9.3. Indicativo perfetto. 3a pers. sing.: pocte (+6) III 10.2, IIa 178.2, 208.6, 57.4.7861 accanto a possecte I 16.2, IIa 57.2, possette IIa 27.2, 71.2; 3a pers. plur.: poctero I 103.2. Indicativo futuro: porranno III 59.5 (e si vedano potrà, potranno in β2)862. Congiuntivo presente: possa (+9) IIa 300.2, II 54.2, possi 3a sing. IIa 69.2863, possano II 54.3, posseno ‘possano’ II 54.13. Congiuntivo imperfetto: potesse (+4) IIa 248.1, 85.6, III 37.4, potesser(e) IIa 219.2. Condizionale presente: tipo infinito + HABEBAM: porria II 19.8; IIa 1442.3; + HEBUI, porrissevo III 30.4864. Gerundio: possendo III 53.5, I 84.1. Participio: possuto II 53.2. Infinito coniugato: poterno I 75.3. Altre mani. Indicativo presente. 3a pers. sing. pò ‘può’ β2 237.3, pote β1 36 26. Indicativo imperfetto. posseva β1 35.5/poteva β1 35.5. Indicativo futuro. potrà β2 237.14, potranno β2 237.21, poteranno β2 237.13. Indicativo perfetto. pocte β1 36.16, poctero β1 35.12 accanto a possectero β1 36.6. I. Congiuntivo presente. possa β2 237.6, possamo β2 244.24, possano 860 Si vedano posser, possendo, possuto in Galeota, possesse in Ceccarella (V. FORFRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 72). 861 Cfr. potte in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 377). 862 Cfr. po(r)à in Loise (ivi). 863 Cfr. n. 809. 864 Cfr. porrissevo in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 377). MENTIN, CCLXVI Nadia Ciampaglia β2 237.4.20. Condizionale: porria β1 35.2. Participio: possuto β2 237.3. Gerundio: posse(n)doli β2 237.3. V.3.1.13. Verbo ‘sapere’ Indicativo presente. Alla 3a pers. sing. si registra la forma sape < SAPET IIa 79.8865. Indicativo imperfetto: sapeva IIa 66.3, 170.4, sapevano IIa 301.3. Indicativo perfetto: sappe II 20.1866, ma nel terzo libro sempre seppe III 39.9, 41.5. Gerundio. sapendo (+6) III 28.2, 30.14, 35.2. Infinito coniugato. saperno IIa 228.3. Altre mani. Mano β. sa β2 244.3. V.3.1.14 Verbo ‘dare’ Indicativo presente: dà IIa 220.1. Indicativo imperfetto: dava (+7) III 25.5, 28.28 (2 volte), davano IIa 245.5, 335.4. Indicativo futuro: darrà II 30.5, 53.3. Indicativo perfetto. 3a pers. sing.: la forma deo ‘diede’ IIa (+4) 99.8867, 104.8868, 177.3869, 332.1870, adoperata nelle sole annotazioni originali, alterna con de’ ‘diede’ III 25.7, 28.1, d(e)’ II 30.2, dede II 20.5, III 37.2, 42.1, 56.10, dèdela III 41.2, dèdeli III 39.3, dèdili III 55.2, 56.3 e con la forma debole decte IIa 105.8, dèctili I 102.3; pro865 La forma è attestata da Rohlfs nel napoletano (e calabrese): cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 549; cfr. ad es. sape in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 378). 866 Cfr. sappe in Loise (ivi). 867 Cfr. deo/dero in Loise, forma che è anche dell’antico romanesco (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 872-3 e n. 1073). Si tratterebbe qui di una 3a pers. sing. con cambio improvviso di soggetto (da hommini a processione); questo il contesto: «Lo secu(n)do iorno, ch(e) fo lo vernedì, ch(e) è solito p(er) una bolla ch(e) sta allo episcopato d(e) papa Paulo tercio, fo ordine co(n) p(ro)cessione ch(e) li ho(m)mini fossero andati inna(n)ti allo Sacrame(n)to et le do(n)ne appresso p(er) la piaczia d(e) sop(r)a, et d(e) poi deo volta ad Sa(n)ta M(ari)a ad Castellone et tornao allo episcopato ch(e) sua Signoria do(n) Lopes fe’ l’ordine». Per casi analoghi, cfr. haveo, § V.3.1.8, n. 838 e tireo ‘tirarono’ di β3 196.8, § V.3.1.1/c, n. 803. 868 Questo il contesto: «De poi a(n)dò la p(ro)cessione p(er) tucta Sessa como èi solito co(n) li medesimi ho(m)mini, et lo s(ignor)e do(n) Lopes d(e) Arrera fe’ lo ordine d(e) la p(ro)cessione, ch(e) certo fece da bo(n) cristiano; et lo secu(n)do giorno a(n)dò la p(ro)cessione como èi solito da la piaczia gra(n)de et deo volta allo episcopato co(n) lo Sacrame(n)to co(n) trobbecte et ca(n)ti, ch(e) fo una bella devocione, et lo Sacrame(n)to lo portò sempre lo primicerio Sigismu(n)do Floradasa d(e) Sessa in mani co(n) lo suo tabernaculo». 869 Questo il contesto: «Eode(m) die la sop(r)adicta armata deo ad porto ad Scauli et inadriva(n)do smo(n)tero pariczi turchi et sallgliero ad Traiecto, do(n)ne pigliero circha duice(n)to anime co(n) lo castellano, ch(e) lo pigliaro ad bona fede». 870 Questo il contesto: «A dì 25 d(e)l mese d(e) octobro 1562 se maritao mada(m)ma Iulia Fuscolillo et pigliao p(er) marito m(essere) Ioa(n)fra(n)cisco Martino d(e) Sessa, et deo p(er) dota ducati cinquocentoquara(n)ta...». Introduzione CCLXVII babilmente è una 3a pers. plur. deo I 93.17871, che troverebbe conferma in <de>o872 senza dubbio da interpretare come ‘diedero’ in β1 36.25873; 3a pers. plur. dectero I 106.5 alterna con derno III 47.7874. Congiuntivo imperfetto. desse IIa 37.1. Gerundio. danno ‘dando’ III 51.5. Altre mani. Mano β. 1a pers. plur.: damo β2 237.21; 3a pers. plur. : <de>o β1 36.25. V.3.1.15. Verbo ‘stare’ Presente indicativo: sta (+25) II 31.1, 33.1, 4.1, stanno (+5) III 28.5.24, 32.3. Imperfetto: 3 a pers. sing. stava (+85) I 95.5, 93.9, II 6.3, stave IIa 368.2, stavano (+47) I 97.7, II 44.1, 38.2. Perfetto. 3a pers. sing.: stecte I (+4) 51.1, 90.6, 93.7, II 19.3, 37.2, IIa (+22) 25.2 (2 volte), 26.4.5, stecto IIa 200.1, stette II 31.4, 37.3, III 28.21, IIa 200.2, stetti IIa 31.5; 3a pers. plur.: stectero I 76.8, 78.6.7, IIa (+12) 11.3, 27.4, 28.6, stettero I 102.2, stecteroce II 35.1, stectorece II 23.1 e stero IIa 324.1875. Gerundio: stanno ‘stando’ (+5) IIa 162.3, II 21.5, III 57.15, stando III 9.2 (e infra, stendo β2 196.5), stenne IIa 104.5. Infinito: stare II 49.2, III 42.2, IIa 101.1 Altre mani. Mano β. Futuro: starrà β 34.4, starra(n)no β2 244.11. Perfetto: stecte β1 36.8. Congiuntivo: stessero β1 35.1. Gerundio: stendo ‘stando’ β3 196.5. Mano γ. Imperfetto: stavano 149.3. Perfetto: stettero 148.3. V.3.2. MORFOLOGIA DEL SOSTANTIVO E DELL’AGGETTIVO Continuano il nominativo latino il plurale metafonetico ri ‘i re’ I 1.1 (3 volte), III (+5) 19.10, 21.3, 27.13 e l’aggettivo pregna ‘gravida’ < PRAEGNA(N)S I 871 Questo il contesto: «Da poi il sop(r)adicto co(n)te se rescactao, p(er)ò se fermoreno li cap(ito)li tra spa(n)gnoli et fra(n)cisi; del q(u)ale res[c]acto li deo p(er) ,stagio uno suo fratello no(m)i(n)e Silvestro Tramo(n)tano et un alt(r)o suo nepote n(om)i(n)e P(er)loysi Tramo(n)tan[o], et ipso se tornò i(n) Barlecta al Gra(n) Cap(itani)o». 872 Questo il contesto: «A dì 14 de marzo de p(rese)nte a(n)no lo mastro de ca(m)po de la ge(n)te d’arme a(n)dao una sera da Capua ad Aversa, et qua(n)do fo ad po(nte) ad Selce fo adsaltato, che a(n)dava co(n) dui altri cavalli: li dui cavalli lassero a(n)dar(e), (et) allo cavallo del mastro del ca(m)po <de>o una archibusata in testa del cavallo et lo fe’ cadir(e), et porter(e) lo mastro de ca(m)po allo bosco». 873 Per la forma deo, adoperata alla 3a pers. sia sing., sia plur., Avolio segnala «nei dialetti “mediani” dell’area “aquilana”...e “marsicana occidentale”...un’uscita in -au (o, più recentemente, -ao)» nella 6a pers. del perfetto indicativo: dau ‘danno’, au ‘hanno’. Rohlfs ricorda nel cosentino vàu, stàu (ID., Grammatica storica..., cit., § 532). L’identità di 3a sing. e plur. è fenomeno dell’Italia settentrionale, che da Lombardia, Veneto e Romagna si è esteso fino alle Marche e agli Abruzzi (ibid., § 532). 874 Nelle carte dell’AIS dérn° è segnalato al punto 714 (Colle Sannita). 875 Le carte dell’AIS segnalano stér° (punto 713, Formicola) e stéro (punto 654, Serrone). CCLXVIII Nadia Ciampaglia 98.3876. Diffusa in tutto il Mezzogiorno è la forma accusativale mogliere I 14.1 III 17.7, 48.17, IIa 102.1, 166.1, 270.1, moglier(e) I (+11) 15.1, 20.2, 38.1, III (+5) 19.1 (2 volte), 24.3, IIa (+8) 63.1, 215.1, 261.1, molgliere I 85.8, IIa 30.7, mo(n)gliere (+5) I 22.1, 24.1, 71.1, II 21.9, III 10.1, 17.6, mugliere I 45.1, nettamente maggioritaria rispetto a moglie IIa 79.6, 115.1, III (+8) 17.5, 24.3 (3 volte).4, mo(n)glie III 10.2 che, come si vede, compare fondamentalmente nel terzo libro, e all’unica occorrenza con metaplasmo moglia IIa 366.1 (vd. infra). Per l’antroponimo Pietri, che sarà una forma cristallizzata del genitivo, e lo sviluppo IU> di Antoni e Thomasi, cfr. § V.2.1.17 e nn. 411-12. Corrisponderebbe al BARIUM dei testi latini Baro III 5.3 (2 volte)/Bari IIa 154.1, III 21877; continua forse l’ablativo Itro IIa 252.1878, a differenza di Poczolo ‘Pozzuoli’ I 79.1879, in genere collegato all’ablativo locativo PUTEOLIS ma forse da ricondurre a *-OLU; si aggiunga Chieto IIa 386.1/Chieti III 51.10. Dal sing. la persona (+34) III 21.9, IIa 85.6, 88.1 si legge il plurale metafonetico le persuni II 40.1, IIa 134.1, 204.1,339.1(2 volte) 348.1, p(er)suni II 45.1, III 28.3.29, 30.25, 39.13, 47.1, IIa 26.4, nettamente prevalente su p(er)sone I 85.2, 96.4 (2 volte), che è preferito invece nelle altre mani (vedi infra); sarà forse uno scorso di penna l’unica attestazione di persono II 50.2 (cfr. § V.2.1.17). L’opposizione persona/persuni potrebbe testimoniare l’estensione del sistema flessivo della terza declinazione sulla prima, per meglio consentire di distinguere il numero plurale. Vada qui anche il femminile bucchi IIa 247.1880. A partire da un singolare la case potrebbe forse spiegarsi il plurale in -i costante di casi ‘case’ I 53.2, II 35.12, 54.8, IIa 24.1, 106.9/case I 29.1 (e vedi infra, mano β). Si segnala qui il plurale neutro marmora ‘marmo’ II 45.1, 60.1, IIa 105.8/marmoro II 40.1; con funzione di agg., marmola ‘di marmo’ IIa 347.1, 356.1 (preta marmola), plur. marmole (prete m.) IIa 335.1881. Costante è il plurale le legne IIa 305.1, 78.3, (senza articolo) 85.8 dal plur. neutro della seconda < LIGNA; forse è 876 Cfr. DELI, s.v pregnànte; per Rohlfs, invece, la forma è da ricondurre a *PREGNIS, con metaplasma di declinazione (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 396). 877 Cfr. DT, p. 63. 878 Cfr. in Ytro nel Catalogus Baronum (DT, p. 334). 879 Cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 289 e n. 838 per un’ampia bibliografia della forma in -o, da Petazza a Brancati, Ferraiolo, de Falco. 880 Il plur. buche, buchy è nell’Hist. tr.; per altri riscontri, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 137 e n. 354. Segnalo in nota Grocteferrata II 20.9 e Grocta IIa 339.1 (S. Maria in G.)/Grocte IIa 108.1, che potrebbero rinviare al noto metaplasmo di aria centro-meridionale la grotte; il tipo la grotte è difatti attestata in Umbria, Lazio e Toscana meridionale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 351 e C. MERLO, Fonologia del dialetto di Sora..., cit., p. 167. Per altri riscontri, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, n. 842. 881 Cfr. in Ferraiolo, marmola (R. COLUCCIA, a c. di, FERRAIOLO.., cit, gloss., s.v e relativa bibliografia). Introduzione CCLXIX uno scorso di penna el legne IIa 110.5882. Va qui pure il plurale le mure I 55.1, IIa 28.4, de mure 248.1/le mura I 100.3, (senza art.) III 10.2 e le castelle (+4) 20.9.(2 volte), 23 3, III (+5) 12.6, 16.1, 29.2, molte altre castelle I 20.9 (con -e corretta su i), III 3.1 (con -e corretta su a) contro il tipo castella III (+4) 55.1, 57.4.11883. Passano dalla III alla I declinazione i sostantivi raggruppati di seguito: dota IIa 215.1, 270.1, 332.1, III 28.1, 40.3, fama ‘fame’ II 32.1, 36.2/fame II 34.3, IIa 86.3, III 19.4, 27.20, infa(n)ta I 75.2 (ma femm. infa(n)te I 90.5 e masch. infante I 17.1, III 41.10, infa(n)te I 16.2.3, III 41.4.5, 47.6, i(n)fante III 41.6), moglia IIa 366.1/moglie IIa 79.6, 115.1, III (+8) 17.5, 24.3 (3 volte).4, mo(n)glie III 10.2 (ma sempre mogliere I 14.1 III 17.7, 48.17, IIa 102.1, 166.1, 270.1, moglier(e) I (+11) 15.1, 20.2, 38.1, III (+5) 19.1 (2 volte), 24.3, IIa (+8) 63.1, 215.1, 261.1, molgliere I 85.8, IIa 30.7, mo(n)gliere (+5) I 22.1, 24.1, 71.1, II 21.9, III 10.1, 17.6, mugliere I 45.1), nava I 49.1/nave IIa 39.1, III (+7) 35.4 (2 volte).5 (2 volte).6, vesta IIa 128.14/veste III 28.17. Si aggiunga il già citato moglia IIa 366.1. Escono in -o alcuni sostantivi di III declinazione passati per metaplasmo alla II: airo IIa 218.3, 39.2, 71.1, hayro II 6.2.4 (solo in β2 aere 244.10, aria 244.8), archotravo IIa 347.1, fiumo IIa 40.1, 86.1, f<i>umo IIa 251.1/fiume III 30.10, maro II 17.1, 34.4, IIa (+7) 26.1, 27.2, 202.1, III 27.12, 38.4/mare I 6.1, 106.5, II 21.1, 42.1, IIa (+4) 61.1, 176.1, 307.1, III (+5) 39.11, 44.1, 56.3, mar(e) I (+6) 76.7, 78.6, 80.1, II 42.1, IIa 301.4, III (+6) 21.6, 39.10.11, pognalo I 78.10/pu(n)gnale I 86.10, po(n)to IIa 61.1/po(n)te I (+8) 96.2.5, 97.5, IIa (+4) 97.1, 128.5.10 (2 volte), prese(n)to ‘regalo’ IIa (+14) 63.1 (2 volte), 130.1, 131.1/prese(n)te IIa 30.4, reamo III 27.8.16, 30.15/reame I 2.2, III (+4) 12.7, 17.7, 19.2, termino II 42.1, IIa (+6) 85.4, 110.4, 179.1/termine I 66.2, II 25.1, 38.2, IIa 98.4.6, III 41.2, 57.10. Il passaggio si verifica anche nell’antroponimo Cesaro I 86.9, 88.5, II (+5) 39.1, 43.1, 53.7, IIa (+28) 5.1, 29.2, 59.1884. Si aggiungano i nomi dei mesi885: septebro IIa 70.1, 101.1, 312.3, III 55.1, 57.11, septeb(r)o I 59.1, 91.6, septe(m)bro IIa (+19) 38.1, 66.4, 107.1, III 57.7, septe(m)b(r)o IIa 66.3, (set)teb(r)o I 83.2, 85.6, (set)teb(ro) I 85.7, (set)te(m)bro I (+4) 91.7.8, 95.14, (set)te(m)b(r)o I 16.1, 40.1, octo(m)bro I 102.1, II 28.1, 49.1, 51.1, IIa (+7) 67.1 (2 volte), 70.4, 72.1, octo(m)b(r)o I 97.1, octobro I 91.9, 100.1, IIa (+10) 70.7, 80.1, 162.3, III 52.1, octob(r)o IIa (+19) 12.1, 31.1, 71.1, III 55.3, octob(r)o I (+13) 14.1, 16.2, 24.1, II 30.6, 36.2, ottobro IIa 191.1, ottob(r)o IIa 74.1, 364.1, noveb(r)o I 20.1, 61.1, 66.1, IIa 289.1, novebro IIa 194.1, III 57.16, nove(m)b(r)o I 96.1, 101.1, 105.2, nove(m)bro III 20.1, 58.2, decebro IIa 198.1, 262.1, 292.1, dece(m)bro IIa (+11) 13.1, 44.1, 77.1. Si aggiunga l’unica attestazione persono II 50.2, di contro all’assoluta prevalenza del tipo persona (si veda quanto già detto sopra). 882 Il tipo, ricalcato su le osse, è attestato nell’umbro (Cassio da Narni) e ricondotto ad influsso settentrionale da G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 369; in Loise, si veda lengnia (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 291). 883 Il tipo è molto diffuso nei dialetti meridionali, che conserverebbero il plur. in -a della II declinazione neutra: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 368; si veda ad esempio nei Ricordi, castella (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 294). 884 Cfr. Cesaro in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 296). L’assenza di dittongo sarebbe spia di metaplasmo recente. 885 G. ERNST, Die Toskanisierung des römischen Dialekts..., cit., p. 122. CCLXX Nadia Ciampaglia In poche occorrenze, ma senza articolo, si legge nomo IIa 128.17, III 32.1/nome I (+9) 18.1, 19.1, 20.1, II (+7) 19.11, 39.1, 54.4, IIa (+25) 40.1 (3 volte).10, 69.3, III 46.2 e sop(r)onomo III 31.2; solo in un caso è visibile il passaggio al genere femminile: la nome IIa 156.4. In δ 374.5 invece si legge il nomo, che potrebbe dunque far pensare ad un adattamento di un precedente femminile la nomo886. Il passaggio dalla III alla II declinazione avviene anche nei sostantivi con suffisso -ero da -ARIUM, da considerare, come s’è già visto, catalanismi (cfr. § V.2.1.1. e n. 314): alfiero III 128.9), cabalero III 58.6, ca(m)merero III 34.11, ca(n)celliero I 8.1, ca(n)cellero III 25.3, cavaliero III 54.3, 55.5, cavalliero III 34.9, cavalgliero III 21.6, 37.4.5, cavallgliero IIa 135.2, curriero II 21.4, ferrero IIa 294.1.6, 338.1/ferrier(e) (sing.) IIa 4.1, grassieri IIa (+10) 18.5, 21.3, 29.5, grassiero IIa 224.1, 239.1, ’gie(n)czero II 16.2, iusticiero III 26.10, magazenero IIa 301.3, Olivero III 51.8, tercziero IIa 142.1, tesaurerio III 28.24, thesaurero IIa 42.1, tosorero IIa 314.1. Escono in -e alcuni plurali di nomi femminili di III declinazione, che sarebbero passati per metaplasmo alla I887: chiave I (+4) 75.8, 89.5, 95.5, IIa 17.2, 347.1, III 30.7, 41.9, alt(r)e sue gente I 93.15, le alt(r)e ge(n)te I 97.8, le dicte ge(n)te I 77.4, multe altre ge(n)te IIa 194.2, le ge(n)te I 83.2, 87.4, 88.7, soe ge(n)te III 28.4/alt(r)e ge(n)ti I 103.6, le ge(n)ti I 17.1, le laude IIa 145.3, nave I 65.1, III 39.7/navi I (+7) 48.2 (2 volte), 75.3, 85.6, IIa 14.2, 26.3, III (+5) 38.1.4, 47.3, (in le quale) navi I 48.2, parte I 100.1, parte II 44.1, parte I 73.1, le radice I 99.3, vite ‘le viti’ III 50.2.5. Laddove la vocale tonica è metafonizzabile, il sing. non metafonetico alterna con il plurale con metafonesi: turre III 38.4, le altre turre III 38.4/turri III 26.9 torri III 38.2 ma al singolare, regolarmente, torre IIa 135.1, torre 155.1 (con la -e corr. su -a) e sing. Torre (del Greco) I 64.3, T. (ad mare) I 106.5, III 38.4, 46.3, 50.2888. Per metaplasmo dalla II alla III declinazione, vele ‘velo’ IIa 25.2889. Si trova -e per a (forse per passaggio dalla I alla III) in figliole I 43.1 (f. sing.), alla fosse (sing.) II 54.15, IIa 96.2, Madalene IIa 335.6/Madalena IIa 377.1, la pioge IIa 70.7, la porte IIa 101.1, 342.1, in la sale I 67.1, some ‘soma’ IIa 309.1, la porte IIa 162.1, la terre890. Ha il plur. in -e l’indeclinabile (vinticinquo) pare ‘paia’ IIa 3.1, forse perché confluito alla I declinazione; non si può escludere qui, tuttavia, che si tratti 886 Nomo è di genere maschile nei Ricordi (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 296). 887 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 366. I tipi sono ampiamente diffusi in Toscana, ant. umbro, nel romanesco e in un vasto territorio intorno Roma (Cerveteri, Nemi). 888 Non fa eccezione lo turre IIa 352.2 (retr. le turri). Per la metafonesi in queste forme, cfr. § V.2.1.3 e nn. 333-4. 889 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 352. 890 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 351. Introduzione CCLXXI di una rappresentazione grafica dell’indistinta finale. Segnalo qui il tipo la diocese IIa 55.1, innella diocese III 55.2. Risale alla IV declinazione latina il plurale in -o di in le mano I 53.2, in vost(r)e mano III 30.7, doe mano IIa 16.2; l’articolo tradisce la conservazione dell’antico genere femminile, visibile nel tipo i(n) soe mana III 19.4891. È un residuo della V declinazione latina (-ưTIES) la terminazione in -e nei singolari la faccie III 13.3, la facze III 12.1, la gra(n)de(n)cze III 1.1892. Escono tuttavia in -a bellecza I 50.1, allegrecza III 58.11, IIa (+6) 99.7, 128.4.5893, fortellecza IIa 13.1 (con il plur. metafonetico fortelliczie IIa 79.3, fortellicze I 90.4), pare(n)teczcza ‘parentela’ III 28.2894. Nel plur. le fortelliczi I 84.1, la terminazione in i è dovuta alla conservazione della desinenza latina -ưTIES. Segnalo il plurale in -a dei neutri della II declinazione carra I 65.1, pucza ‘pozzi’ I 17.1895. Vadano qui anche grana ‘tipo di moneta’ (+17) IIa 44.3, 46.1, 47.3, granna II 30.4 e th(omm)la ‘tomolo’, ’tomola, unità di misura in uso nell’Italia meridionale’ IIa 2.1, 181.1, 310.1, 181.2, 249.1, to(m)mola IIa175.1, 179.1, 265.2, to(mmo)la IIa 2.9 (ma tu(m)mulo ‘tomolo’ II (+8) 22.1, 32.1.2, IIa 71.3.4, 86.2, tu(mmu)lo IIa 288.1, to(m)molo IIa 46.1). Passano dalla II alla I classe gli aggettivi Martiro I 16.3 (S. Pietro Martire), rebella III 27.19, rebello IIa 2.2, ribello I 103.1, trista II 32.1, 36.2, IIa 368.2 tristo IIa (+4) 47.3, 78.3, 86.4, III 33.2. Si realizza scambio di genere in lo eclisse II 6.1, la sisma ‘scisma’ III 32.8896 e forse anche in alle co(n)fine II 20.8, IIa 2.2, 2.4, le co(n)fine IIa 110.1, III 21.2, 154.1, 155.1, (con)fine III 21.2, 32.13, 57.2897. Passa al genere femminile la legname IIa 128.16898. Tadirebbe il genere femminile anche il tipo sue erede IIa 37.2 (le altre occorrenze non permettono di determinare però il genere: herede II 53.1, III 10.1, 11.1, 15.2, erede I 78.9, IIa 37.2, 170.6, III 10.6). È di genere maschile archotravo IIa 347.1, come è tipico del mezzogiorno899. Ipercaratterizzazione del genere, ancora, nell’antroponimo Barbarosso900 IIa 26.1.2.5 e nel toponimo Soddomo IIa 126.1. Per quanto riguarda i nomi di città, non appare determinabile dal contesto il genere (femminile?) dei tipi Milana I (+19) 13.3, 18.1, 19.1, II 16.1, IIa 26.4, 62.1, III 891 Cfr. ant. toscano e lucchese la mana (G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 389). Cfr. P. SAVJ-LOPEZ, Appunti di napoletano antico..., cit., pp. 504-7. 893 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 355. 894 Cfr. parenteccza in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 75). 895 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 368. 896 Cfr. la sisima in Loise (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 300). 897 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 392. 898 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 385. 899 G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 394 e D’AMBRA, s.v. travo. 900 Cfr. in Loise, Fuderico Barvarusso; il tipo è anche in Masuccio e Del Tuppo (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 299 e n. 875). 892 CCLXXII Nadia Ciampaglia 58.6, 56.7, il cui uso è sostanzialmente ristretto alle scritture non originali, poiché nelle annotazioni spontanee prevale infatti senz’altro Milano I 13.1, 18.1, IIa (+11) 62.2, 64.1.3, III (+5) 32.10, 47.2.7 e Pesara I 77.2. Per quanto riguarda tucto Napole I 29.1 si è rinunciato all’emendamento, rientrando il tipo in una fenomenologia documentata901. Ha ragioni morfologiche l’-i di milli, che è usata al maschile alternando però con mille: milli modi IIa 17.3, milli ducati IIA 350.2, 360.1 ma mille ducati IIa 325.1, 327.2 (2 volte), 350.1; milgle scuti IIA 143.1.2, [m]illi et ciquece(n)to fa(n)ti II 20.11; si aggiunga mille th(ummu)la IIa 2.1, mille to(mmu)la IIa 2.9. Altre mani. Mano β. Passano per metaplasmo dalla terza alla seconda declinazione i sostantivi prioro β1 36.13, rebello β3 203.3, termino β2 237.6/termine β2 237.6; si aggiunga l’antroponimo Cesaro β1 34.10, β1 36.13/Cesare β1 34.9. Passa dalla I alla III declinazione arme β1 34.3.11, β1 36.1.10.17.21.22.24; il plur. mure β1 36.2 attesterebbe il passaggio alla I declinazione. Si segnala il plur. casi ‘case’ β1 36.20 (2 volte), costante anche in Fuscolillo (vedi sopra). Si aggiunga infine il plur. metafonetico persuni β3 204.1, cui corrisponde però, nella mano β2, sempre p(er)soni β2 237.4, p(er)sone β2 237.1.6, β2 244.15, persone β2 40.13, 237.1.6.15. Mano γ: septe(m)bro 148.1, (set)te(m)bro 146.1, 148.4, 150.1, 151.1, 152.1, sette(m)bro 147.1. V.3.3. ARTICOLO Anche per quanto riguarda l’uso dell’articolo si notano nei tre libri delle Croniche sensibili differenze. Va subito detto che negli articoli non trova mai rappresentazione grafica la geminata etimologica -LL-902 né, di conseguenza, la palatalizzazione del nesso, tipica della nostra zona e già registrata per i sostantivi (cfr. § V.2.2.12). Al singolare, davanti a consonante, è predominante nei tre libri la forma lo; sono invece nettamente minoritarie le forme deboli el e il, la cui frequenza è oscillante nei vari libri: in generale, nel primo e terzo il prevale su el, con una preferenza schiacciante nel primo (centotrentotto occorrenze su sette), meno netta nel terzo (novantanove su sessantasei); un quadro completamente opposto si offre nel secondo libro e nelle relative annotazioni, dove invece è prevalente el, adoperato rispettivamente diciannove volte contro sei (nel secondo libro), e centoquattro volte contro solo due occorrenze di il (nelle annotazioni del secondo libro). Davanti a s preconsonantica è adoperato regolarmente lo ed in soli due casi el: lo sta(n)nardo IIa 128.10, lo stato III 30.21, IIa 2.1, 219.1, lo spartimento IIa 118.4, lo Spir<i>tu Sa(n)to IIa 52.3, lo Spiritu Sa(n)to IIa 192.2, lo Spiritusa(n)to IIa 97.1, lo scuto IIa 299.2, lo spacio IIa 374.14; el stato II 20.8, IIa 2.3. 901 Il tipo tutto Napole si legge nei Diurnali napoletani; tutto Parisci è nella Cronica Romana; tutto Firenze è attestato nell’ ant. romanesco (segnalazione di V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 304 e n. 890). 902 Situazione ben differente, ad esempio, in Loise: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 315 e ss., n. 919. Introduzione CCLXXIII Davanti a vocale, per la forma del femm. plur. è rarissima l’elisione (l’herbe I 99.4, l’arme I 97.7, IIa 69.1.2), che compare invece frequentemente nel femminile e nel maschile singolare: ad es. l’armata I (+19) 13.1 (2 volte), 75.6, 76.5.7, II 21.7,31.5, III 28.22, 39.2.7.8, 41.2, 47.4, IIa (+5) 27.1 (2 volte), 191.1, l’Aquila I 59.1, l’altro I 13.1, l’ultimo I 16.1, l’inparator(e) I 26.1, etc.; va segnalato, tuttavia, che in questa posizione la preferenza per le forme non elise dell’articolo femm. sing. è spiccata nelle scritture spontanee: ad es., la armata II 20.11, 26.1, 27.1, IIa (+15) 348.1 (2 volte) 352.1. Solo in pochi casi si adopera el davanti a vocale; è ancora più raro il: el inferno IIa 10 4. el ill(ustrissi)mo IIa 105.2, 110.2, 117.2, 118.2, 127.1; il illustrissimo IIa 145.1 (2 volte). La forma aferetica ’l compare dopo che: che ’l resto II 20.12, ch(e) ’l re III 30.13, 39.6, ch(e) ’l dicto III 35.1, 43.6, ch(e)’l s(ign)or III 57.1, ch(e)’l duca III 32.10, 46.1, 51.8, 58.3, ch(e) ’l conte III 56.3, ch(e) ’l castello III 46.2, be(n)ch(é) ’l re III 30.10. Sopravvivono inoltre dodici attestazioni dell’articolo maschile lu903, in un solo caso adoperato davanti a vocale: lu organo II 16.3904. A parte le due occorrenze presenti nella sezione tramandante la Breve Informazione di Bartolomeo Caracciolo (lu principato III 4.1, lu duca III 6.1), l’articolo si legge solo nelle annotazioni spontanee e, tranne che nel caso di lu quale (riferito a Maestà) II 37.2 e, forse, di l<u> pi(n)turi IIa 120.2, è sempre adoperato riferito a cose o ad animali (si veda il già menzionato lu organo; lu crapipte IIa 86.4, lu vacile IIa 121.1; si aggiunga lu lunedì IIa 294.6); infine, in cinque attestazioni compare cristallizzato in un’espressione tecnica di misura (lu tummulo II 34.3, 36.1.2.3, IIa 45.2). Al maschile plurale è attestato sempre li; l’unica eccezione si legge nel terzo libro, dove si trova y : y pecczi III 19.5 (l’unica attestazione di i è nel noto paragrafo 244 di β2: 244.14 (i ciechi). Altre mani. Mano β. Davanti a consonante prevale lo, adoperato in totale cento volte, contro trentasei occorrenze di il e quattro di el; a ben guardare però, el risulta in realtà usato solo da β1, che per il resto preferisce nettamente lo (+38) a il (+2), così come pure β3, in cui lo (+33) prevale ugualmente su il (+3); più equilibrata la ripartizione in β2, dove il è usato quasi quanto lo (trentuno occorrenze vs. ventotto); tuttavia, esaminando i singoli paragrafi, si notano differenze sensibili, che confermano l’idea della dipendenza da una fonte letteraria per il § 903 L’articolo lu è ancora nelle rime popolareggianti di De Jennaro: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CXLIII. 904 Segno a parte mo(n)signor(e) de lu Treccho ‘Lautrec’ I 104.1; per la discrezione dell’articolo, § V.2.2.30/d. Nadia Ciampaglia CCLXXIV 244, in cui è preferito senz’altro il (lo è maggioritario solo nel § 237, che è copia di un bando). Mano γ:: non è mai usato il; si contano infatti, in totale, diciassette occorrenze di lo. ARTICOLO DETERMINATIVO (maschile) I II lo el il 203 7 138 107 19 6 lu 6 IIa 942 104 2 4 III 345 66 99 2 tot. 1597 196 245 12 lo el β1 38 4 β2 244 5 il 2 10 β2 206 2 6 β2 237 22 15 β3 33 tot. 100 γ 17 3 4 36 Nelle preposizioni articolate da IN sono nettamente prevalenti le forme con la l scempia del tipo in lo, in le, in la (es. in lo Castello I 39.1, I 52.1, I 64.1, in le parte I 34.1, in la spiagia I 33.1, in lo archipiscopato I 63.2 etc.); davanti a consonante e vocale, difatti, il raddoppiamento si registra solo nelle forme nello lecto I 86.10, nello duchato IIa 164.2, nelle arme III 26.1, nelle (con)fine III 57.2; più diffuso nel: nel loco (I 96.1), nel q(u)ale I 97.5, nel meczo I 97.6.7, nel dicto II 21.1, nel pecto IIa 16.2, nel regno III (+11), nel reame III 12.7, nel te(m)po III 22.1, nel do(m)manio III 25.10; il tipo ne la compare una sola volta nel secondo libro (ne la porta I 95.6); segnalo il tipo innel, che è adoperato in totale otto volte: solo una volta nel primo libro e nel secondo, i(n)nel molo I 75.3, i(n)nel p(rese)nte II 28.1, più spesso nel terzo e nelle annotazioni del secondo (IIa): innel (con)tato III 6.1, innel regno III 21.2, innel suo te(m)po III 25.2, innel po(n)te III 38.4, i(n)nel suo regno III 17.1 (2 volte), i(n)nel regno III 18.1, i(n)nell’anno III 17.4, innell’a(n)no III 15.2, innelle quale III 26.2, innelle adversità III 58.12, innell’isola III 26.1, i(n)nello a(n)no III 17.2, i(n)nello (con)siglio III 19.2, i(n)nello an(n)o III 20.1, innell’ochio III 14.2, innella frabicha IIa 48.1, innella diocese IIa 55.2, innella fornace IIa 58.1, innella piaczia IIa 208.5, innelli q(u)ali IIa 10.2. Da DE prevalgono senz’altro le forme senza raddoppiamento905; da A, invece, le forme con raddoppiamento della l sono di gran lunga più numerose di quelle scempie906. 905 La discrepanza è tale da indurre a fornire solo le rare occorrenze con la doppia, dando di quelle con la scempia solo il numero complessivo: della I 76.8 II 41.1, 46.2, 69.2 (2 volte: ma è copia di un bando), d(e)lla III 35.6, della (+9) II 40.1, 46.2, 53.7/de la I (+16), II (+4), III (+11), IIa (+52) e d(e) la I (+17), II (+23), III (+29); dello I 24.1, IIa 34.1, 47.4, 104.1, 108.2, 112.1, 366.1, d(e)llo I 98.1, 104.4, 105.4, 110.5, 219.1, delle II 56.1, delli IIa 69.2, 104.1, 260.1, dello (+12) I 24. 1, IIa 47. 4. 906 In questo caso, si forniscono le occorrenze delle rare forme senza raddoppiamento, dando delle altre con raddoppiamento il numero complessivo: a la I (+16), III (+2), IIa 237.1, 244.1; alla (+164) IIa 11.1.4, II 19.1, alle (+49) IIa 17.1, 20.1, III 26.9, alli (+101) III 21.1.3, II 21.6, allo (+219) III 10.3, 11.3, 19.3. Introduzione CCLXXV III.3.4. AVVERBI L’avverbio talvolta è usato in modo attributivo ed è concordato con il sostantivo: giorni adpressi IIa 103.1; l’avverbio di quantità si accorda al sostantivo che segue in un’altra pocha de accqua IIa 276.1; invece l’avverbio invariabile è usato in funzione attributiva dove ci aspetteremmo l’aggettivo: co. multo devotione IIa 104.5907. Si segnala il plurale invariabile in -a degli agg. tanto e quanto: qua(n)ta bestiame IIa 177.2; ta(n)ta volte I 93.8908, ta(n)ti co(n)te(n)ti IIa 1442.3. V.3.5. PRONOMI Per quanto riguarda le forme toniche, alla 1a e 2a pers. sing. e plur. si segnalano io (+20) II 28.2, III 40.3, IIa 316.1, nui I 107.3IIa, IIa 26.3, 40.12, III 27.7, 41.7/noi III 27.16, vui III 30.9, 31.8; alla 3a pers. sing. epsa II 53.1, III 3.2, 36.2, 37.6, essa I 43.2, 78.3, ip(s)o III 58.11, ipso I (+5) 60.1.3, 72.2, II (+4) 46.3, 53.1.2, IIa (+28) 55.1, 85.6, 96.2, III (+14) 9.1.2, 27.2, isso I 69.2, esso IIa 385.2, ipsi II 35.9, IIa (+7) 64.2, 100.11, 110.9, III 46.3 e lui (+14) III 28.4.27, 35. 5; alla 3a pers. plur. loro (+46) III 11.4, 14.3, 17.7, lor III 33.2; si notino inoltre le forme flesse alle diocese lore IIa 54.1, lore infirmitate IIa 40.4.9, li lori pecchati IIa 40.5. Il pronome soggetto enclitico -vo < VOS contraddistingue la 2a pers. plur. del perfetto inga(n)nastivo III 30.24 e del condizionale porrissevo ‘potreste’ III 30.24909; il tipo è presente solo nel terzo libro e compare, in entrambi i casi citati, in un discorso diretto. Per le forme atone, me (+12) II 28.1, III 30.9 (2 volte).24, 58.10 (2 volte), IIa 316.1, III 31.7 (3 volte).8, IIa 368.2/mi III 30.7; se (+725) I 2.2, 3.1, 4.1 (2 volte), 5.1 etc./si I 35.1, 43.2, IIa 69.2910 (2 volte), ce (t. +286) II 41.8, III 27.7, 58.12, IIa 79.1, 83.1, ve (+6) II 46.2, III 30.9, 31.7.10, 58.12, 59.5. Mi limito a segnalare qui gli sporadici ’nce < *HINC III 27.20, 30.23; in posizione enclitica, fonce III 50.5, 51.7, 58.3 e ’nde < INDE I 43.2 (se ’nde andò). Particolarissima è la forma aferetica del pronome lo, ’o I 95.12 (et ’o pilgliaro lo Castello dell’Ovo predicto). 907 Cfr. in Galeota, me hai tenuto da poco stima (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 66). 908 Si veda, in Galeota, de tanta sospire; il tipo è ben presente in De Rosa e già stigmatizzato nelle lettera napoletana del Boccaccio, con due quanta invariabile (V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 67); la desinenza -a sarebbe una continuazione del n. plur. latino, secondo la tesi di Loporcaro, e non da interpretare come una «generalizzazione meccanica» di -a in un nesso sintattico stretto, come sostiene invece Rohlfs (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 308-9 e n.). 909 Cfr. po(r)risevo in Loise De Rosa (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., p. 346 e n. 1008). 910 Si tratta, tuttavia, del già menzionato § 69. CCLXXVI Nadia Ciampaglia V.4. NOTE DI SINTASSI Premessa. Nei paragrafi che seguono si analizzano determinati tratti sintattici, alcuni dei quali tipici dei dialetti meridionali in genere (come, ad esempio, l’accusativo preposizionale, l’uso transitivo e pseudoriflessivo di verbi intransitivi etc.) o usuali nell’italiano antico (paraipotassi, omissione del che), altri caratteristici della modalità orale (fenomeni di dislocazione, anacoluti, uso del che “polivalente”, concordanze ad sensum); questi ultimi sono largamente attestati nelle Croniche che, in quanto opera di uno scrivente “semicolto”, tendenzialmente alfabetizzato ma dotato di scarsa competenza linguistica, si rivelano una fonte utilissima per gli studi, sempre più intensi negli ultimi decenni, finalizzati a ricercare la sintassi del parlato attaverso lo scritto. Per questo motivo le annotazioni di Fuscolillo, catalogate in base ad un parametro esterno, sociolinguistico (il basso coefficiente di istruzione dell’autore) e a determinati parametri interni, pragmalinguistici (il carattere privato del testo, la spontaneità della scrittura, la “soggettività”, vale a dire il coinvolgimento emotivo mostrato dal canonico), sono confluite nel corpus testuale approntato da Paolo D’Achille911 che, muovendosi in una prospettiva diacronica, ha potuto verificare la presenza costante di alcuni dei suddetti fenomeni in testi di diverse epoche e di differente provenienza regionale. Relativamente ai tratti sintattici sopra indicati, si amplia qui in modo notevole la campionatura di esempi offerti dallo studioso, che ha potuto in realtà valersi di una porzione di testo alquanto ridotta912; si correggono inoltre alcuni dati (in taluni casi, infatti, le annotazioni citate non sono in realtà ascrivibili al canonico, ma ad altri scriventi) e si offrono infine ulteriori interessanti testimonianze di un periodare quanto mai prossimo al parlato, inevitabilmente cancellate da frettolose correzioni di Capasso che, nel dichiarato tentativo di emendare quelle che dovevano apparirgli come «inutili ripetizioni del Fuscolillo»913, non ne aveva colto il valore di indizi preziosissimi per cogliere le difficoltà del canonico di gestire il proprio discorso adottando il “filtro” tipico della modalità scritta. 911 Cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., pp. 24-5. Per quanto riguarda le Croniche, difatti, lo studio di D’Achille si è basato esclusivamente sulle pp. 533-64 dell’edizione Capasso (cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., p. 66), vale a dire su meno di un terzo dell’intera opera: si veda § IV.2 e n. 212. L’analisi che qui si presenta viene condotta invece su tutte le annotazioni spontanee di Fuscolillo (libri II e IIa), aggiungendo inoltre i paragrafi nn. 107-110 del primo libro, relativi a notizie del 1561-3 inserite dal canonico in alcune carte finali rimaste libere (cfr. n. 225); gli esempi tratti dal primo e terzo libro sono citati solo quando necessario, in assenza di altri dati o in modo contrastivo. Si segnano a parte gli esempi tratti dalle mani β1, β2, β3. 913 Cfr. IV.2, n. 222. Rimando senz’altro a questo paragrafo per l’esemplificazione completa degli interventi editoriali di Capasso relativi all’aspetto sintattico; si vedano, analogamente, le correzioni operate dal commissario genovese Cristofano Grimaldo volte a correggere alcuni errori morfo-sintattici presenti nelle annotazioni del canonico (cfr. § III.4.1). 912 Introduzione CCLXXVII V.4.1. Obliquo senza preposizione Di questo costrutto914 si leggono in realtà pochissimi esempi, tutti presenti nel primo libro: q(u)ale tenea la parte de re Fra(n)za I 78.2, in poter(e) d(e) re Fra(n)cza I 86.3, lo inparator(e) nost(r)o no(m)minato Carlo Austria I 105.1, la cità Sarno I 34.1; si è preferito infatti emendare come dubbio l’unico caso presente nelle annotazioni spontanee, m(issere) Galiaczio ep(iscop)o Sessa IIa 193.1, ritenendo si tratti, considerata la totalità di controesempi offerti con la preposizione, di semplice scorso di penna. V.4.2. Accusativo preposizionale Il costrutto, tipico dei dialetti meridionali915, è fondamentalmente evitato. L’unico caso si legge nell’esempio riportato di seguito, in cui la particolare dislocazione del soggetto, inserito immediatamente dopo la completiva, comporta di conseguenza la necessità di marcare il complemento oggetto, per meglio distinguerlo: A dì 2 d(e) iulio ve(n)ne ad visitar(e) lo s(ignore) Cesaro d(e) Ie(n)naro da Nap(u)li allo s(ignore) ducha IIa 120.1; nel periodo precedente, infatti, si legge invece: A dì primo d(e) iulio ve(n)ne el marchese d(e) Aviellglio ad visitar(e) el s(ignor)e ducha IIa 119.1; e ancora: ve(n)ne el marchese d(e) Pulignano co(n) un altro ge(n)tilomo ad visitar(e) lo s(ignor)e ducha in Sessa IIa 158.1 (si omettono gli esempi simili). Maggior cautela si impone quando la costruzione si verifichi con il verbo ‘pregare’916 (e si noti ancora la dislocazione a destra del costituente nominale): li pregar(e) li sessani allo s(ignor)e do(n) Lope IIa 105.7. Nel periodo seguente si alternano invece, espressi dal pronome, sia la forma non marcata sia quella preposizionale: lo preghero lo s(ignor)e do(n) Lope p(er)ch(é) ad ipso stava mecter(e) et levar(e) li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa, ad chi meglio li potevano pregar(e) IIa 105.8. Il costrutto tuttavia anche in questo caso è per lo più evitato: ogniuno pregava nostro S(ignore) Idio ch(e) se adcordassero IIa 6.4 (ometto gli altri esempi). Più diffuso appare invece l’accusativo preposizionale nel primo libro, benché limitato al verbo ‘figliare’: la ill(ustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha veceduchessa d(e) Milana figliò ad uno figliolo mascolo I 18.1; la p(redic)ta et il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana figliò ad uno figliolo mascolo I 21.1; la regina Ysabella...figliò ad una figliola no(m)mine Dianora d(e) 914 Si vedano nei Ricordi i tipi lo (con)tato Sarno, lo (con)tato Acerra, lo conte Nola, lo conte Arbe, etc. (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 380). 915 Nell’Italia meridionale, infatti, il complemento oggetto animato è introdotto comunemente dalla preposizione a: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 632. 916 Si vedano infatti a tal riguardo le osservazioni di Formentin circa la possibilità che casi simili vadano interpretati in realtà come calchi della costruzione tardo latina con AD e l’accusativo; del resto anche nei Ricordi questo verbo, con oggetto personale posposto, regge sempre l’oggetto diretto: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 381, n. 1091. CCLXXVIII Nadia Ciampaglia ’Ragona I 22.2; la p(redic)ta ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana... figliò ad uno figliolo mascolo I 23.1 etc. V.4.3. Verbi pseudoriflessivi e verbi intransitivi usati transitivamente Come è usuale in molti dialetti centromeridionali917, alcuni verbi intransitivi possono presentare una costruzione pronominale: è il caso di ‘morirsi’, ‘partirsi’, ‘pensarsi’ (adoperato nel senso di ‘credere’), ‘restarsi’, ‘rimanersi’: se morcze II 14.1 (ma et morcze II 18.2, morcze II 31.1 etc.), se moriano d(e) fama II 32.1, 36.2, se moriano IIa 79.2, 86.3, se moria la ge(n)te d(e) fame II 34.3 etc.; se partìo da Sessa I 108.2IIa, se partìo la sop(r)adicta co(m)pagnia I 109.1IIa, se partì di Roma IIa 15.1, et subbito la dicta armata se partìo IIa 26.5, se partereno li ho(m)mi de arme da Sessa IIa 225.1, se partìo da Nap(u)li IIa 242.1, se partìo IIa 294.6, IIa 333.1, se partero li ho(m)mini de arma IIa 267.1, se partero IIa 297.1, se partero li hommi IIa 304.1; se pensò farse re III 43.6, se pensaro fosse presone il re III 28.16; se restò quella d(e) duca d(e) Sessa IIa 19.2, se restò i Mmola IIa 127.2; el s(ignor)e pre(n)cepe se remase IIa 128.6. Non vanno in questo elenco i verbi transitivi con oggetto espresso, in cui il pronome ha invece valore di dativo d’interesse: et ve(n)ne...pe(r) se recuperar(e) el stato d(e) Palliano IIa 2.3 (si omettono gli altri esempi). I verbi ‘tornare’ e ‘ritornare’ sono costruiti talvolta transitivamente, assumendo valore rispettivamente di ‘restituire’ e ‘far tornare’918: et la sop(r)adicta grassa non adbisognò et se tornao in Sessa IIa 247.5; la dicta do(n)na era de te(m)po d(e) ci(n)qua(n)ta a(n)ni vel circha, et la retornero in la dicta ecc(lesi)a IIa 40.8. Valore transitivo assume nel caso seguente anche il verbo ‘succedere’, adoperato nel senso di ‘ereditare’: et chi, face(n)no lo (con)trario, et (con)travenesse el dicto testame(n)to, ch(e) succeda le predicte robbe la Nu(n)ciata d(e) Nap(u)li II 54.9 (si noti anche l’anacoluto). Anche il verbo ‘rimanere’ può avere costruzione transitiva: no(n) ce remaniano nessciuno fra(n)cese vivo I 95.2. Si può forse aggiungere all’elenco anche il verbo ‘restare’, adoperato qui transitivamente nel senso di ‘lasciare’: et lo dicto colonello se partìo lu lunedì d(e) carnevale p(er) Nap(u)li et restò li soldati in Sessa tucte le co(m)pa(n)gnie et de poi subbito foreno tornati lo allogiame(n)to alli previti d(e) Sessa IIa 294.6. La palese difficoltà mostrata da Fuscolillo nella costruzione del periodo, spesso appesantito da cambi improvvisi di progetto, lascia tuttavia qui, come anche in altri casi, il sospetto che possa anche trattarsi di mancate concordanze verbali o di fenomeni di dislocazione con temi “sospesi” (cfr. § V.4.11); si consideri a tal riguardo l’esempio che segue, relativo al verbo ‘andare’: ...ch(e) se deceva ch(e) volevano addar(e) in Roma lo ca(m)po d(e) sua M(aie)stà Carlo q(uin)to et re Pfhelippo suo figlio IIa 3.3. La possibilità che si tratti 917 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 640. L’estensione della funzione transitiva ai verbi di moto è tipico dei dialetti meridionali (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 635); si vedano gli esempi (relativi anche ai verbi ‘tornare’ e ‘succedere’) registrati nei Ricordi (cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 386). 918 Introduzione CCLXXIX di un fenomeno di dislocazione potrebbe trovare sostegno da esempi di questo tipo: Dove dicta Piace(n)sia ce a(n)dò lo s(ignor)e Ferra(n)te d(e) Co(n)saia IIa 79.3919. V.4.4. Legge di Tobler-Mussafia e ordine dei clitici All’inizio di una proposizione principale coordinata con et l’enclisi non trova applicazione rigorosa, come si può vedere dalla differente tipologia di esempi riportati di seguito; da un lato, difatti, si legge: Et forece facti dui archi triu(m)fali I 97.9; Et mecte(n)dose socte IIa 196.5; et fo(n)ce I 13.2; ve(n)dero...et stectorece IIa 23.1; et lo dicto do(n)no Ant(oni)o stecte innudo...et forece tro(m)bette co(n) gra(n)de triu(m)fhi IIa 24.2; et chamase IIa 270.1; et ferenoce adterrati et murati certi dinar(e) IIa 345.1; dall’altro, invece, si può leggere anche: Et ce fecero assai da(n)no in Sessa...et ce stectero circha tre dì allogiati IIa 11.3; ce ve(n)dero quattro co(m)pa(n)gnie d(e) fa(n)tarie italiane...et foreli dati dinari...Et ce fecero assai da(n)no in Sessa IIa 11.1; et la porta d(e)l macello foro missi certi pecczi d(e) artellaria...et ce fo murato IIa 28.5; et ce foreno despe(n)sati assai par(e) d(e) gua(n)ti IIa 246.2; trasìo in Sessa doctor(e) misser(e) Macteo Cepolle...et se ce trovò lo r(everen)do ep(iscop)o d(e) Sessa...; et ce foreno IIa 246.2; et la fecero certe persuni froster(e) et d(e) nostri casali IIa 339.1. Quando il pronome dipende da un infinito retto da preposizione, il clitico può stare tra la preposizione e l’infinito920: et lo e(pisco)po ut sup(r)a fu causa d(e) lo fare homo IIa 60.3; et far(e) opera de li cacciar(e) da Sessa IIa 112.1; oppure il pronome è in posizione enclitica: et a(n)chora ce fece utile d(e) levàrece li soldati IIa 103.3; d(e) tirarla IIa 356.1; in alcuni casi, poi, si trovano due pronomi, uno tra preposizione e verbo, l’altro in posizione enclitica: passò in Sessa p(er) lo recepirlo IIa 127.1; et adcussì li dicti casaroli stectero in arbri[trio] loro de ce a(n)darnoce IIa 101.3; si aggiunga questo esempio tratto dal primo libro: et poi li regracia(n)doli del bono amor(e) havea trovato in loro et cussì fece re(n)de il magio I 89.6. Con infinito retto dai verbi ‘volere’ e ‘potere’ si trovano infine sia il tipo con proclisi, alcuni del seggio lo volevano veder(e) IIa 80.2, fo certa porfidia del s(ignore) marchese...d(e) li far(e) venir(e) in Sessa IIa 105.6, sia il tipo con enclisi del clitico al verbo reggente: et p(er) no(n) posserlo ma(n)dar(e) IIa 184.1. V.4.5. Perifrasi verbali con HABERE La perifrasi di HABEO DE AB + infinito per lo più è adoperata laddove si riferisca all’adempimento di ordini ufficiali: et ch(e) ogni persona havesse da dar(e) et notar(e) tucte bestiame partichularme(n)te allo sop(r)adicto co(m)missario d(e) sua M(aie)stà Ces(aria) et re Fhelippo suo figlio, re d(e) Nap(u)li IIa 2.1; et dicta gras919 Si noti invece, nell’esempio seguente, il probabile mancato accordo del verbo al soggetto: ve(n)ne lo colonello...con ordine che se andasse li soldati da Sessa IIa 296.1. Cfr. § V.4.11. 920 Così accade in molti dialetti meridionali, come il napoletano attuale: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 470. CCLXXX Nadia Ciampaglia sa se havesse da ma(n)dar(e) verso Sa(n)to Germano, alle co(n)fine d(e)l regno IIa 2.2; Eode(m) die ve(n)de ferrier(e) in Sessa ch(e) Sessa havesse da allogiar(e) circha mille cavalli legieri IIa 4.1; ch(e) tucte le co(m)pa(n)gnie se haveano da trovar(e) p(er) lo co(n)tato d(e) Sora et Sa(n) Giermano p(er) a(n)dar(e) alla volta d(e) Roma IIa 8.2; foreno facti li electuri d(e) Sessa ch(e) havessero da far(e) li officiali d(e) Sessa IIa 66.1; ch(e) la università d(e) Sessa li havesse da dar(e) septemilia sostara d(e) oglio IIa 185.1; p(er) spedir(e) ch(e) li sop(r)adicti ho(m)mini d(e) arme se havessero ad partir(e) da Sessa; et cussì ve(n)de lo ordine ch(e) se havessero ad partir(e) da Sessa et a(n)dassero IIa 209.2.3; have exped<e>to p(ro)vesione ch(e) p(er) nullo te(m)po da venir(e) havese da allogiar(e) li previti d(e) Sessa IIa 318.1; p(er) nullo te(m)po d(e) advenir(e) habbia da allogiar(e) IIa 322.1; si aggiungano ancora i seguenti esempi: et ch(e) Sessa havesse da pagar(e) lo medico et li mastri d(e) scola IIa 360. 1; et li dicti canonici ma(n)dero in Nap(u)li do(n)no Laure(n)tio d(e) Pippo canonico ad negociar(e) et expedir(e) ch(e) se havessero levati li dicti soldati da li previti IIa 315.2921. La perifrasi compare con la stessa funzione anche nel primo libro: ch(e) tucta se havesse da pesar(e) p(er) ordine d(e)l vicerré I 109.1. V.4.6. Uso del gerundio equivalente al participio presente. L’unico esempio di questo uso è in realtà tratto dalla mano β1: fo exposto <a>l co(n)siglio che s<e>ria bene de ordinar(e) sei electuri in coverno de Sessa in far(e) guardie et alcune cose occureno alle mure et porte de Sessa, et spese abisogna(n)do ad dicta cità de Sessa β1 36.2922. Si può aggiungere però, probabilmente, anche quest’altro esempio: et ce foreno ca(n)ti pastorali adcade(n)no (‘convenienti, che si addicevano’) alla materia IIa 129.2923. V.4.7. Coordinazione. Il periodo di Fuscolillo è costruito spesso per semplice giustapposizione di coordinate, soprattutto nei passi di tipo narrativo-descrittivo; saranno sufficienti al riguardo pochi esempi: A dì xx d(e) (set)te(m)bro 1526 la ge(n)te imperiale i(n)trò de(n)tro Roma co(n) li s(igno)ri Colo(n)disi, et ve(n)dero ta(n)ti secreti ch(e) no(n) lo sappe el papa Clemente 7°, et pigliero et sforczero la porta et a(n)ddero ad Sa(n)to Apostolo et se defreschero p(er) tre hor(e), et lo s(ignor)e Ascanio Co921 La perifrasi è priva della specializzazione semantica presente nei Ricordi, in cui è adoperata con valore dubitativo in interrogative dirette e indirette: cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, pp. 451-2 e nn. 922 Esempi simili si leggono anche in Lupo de Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 237), in De Jennaro e Galeota (si vedano rispettivamente M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CLXXVII e V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 82); l’uso, forse da porre in relazione al catalano, è noto anche all’italiano: cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 718. 923 Cfr. GDLI, s.v. accadere5, rifl. ‘convenirsi, addirsi’. Introduzione CCLXXXI lo(n)na era lo capo; et poi se partero i(n) ordina(n)cza et a(n)dero in Burgo, et lo Castello d(e) Sa(n)to A(n)gelo tirava artellaria, et piglero Burgo fino al palaczo et sacchigero la casa d(e)l cardinal Armellino et parte del palaczo d(e)l papa et alt(r)i palaczi II 20.1.2; A dì 27 d(e) (set)te(m)bro in Sessa ce ve(n)dero quattro co(m)pa(n)gnie d(e) fa(n)tarie italiane et fecero la mostra, et foreli dati dinari da lo co(m)missario alla porta del Castello; et p(er) colonello ce fo lo s(ignor)e Marcho Ant(oni)o d(e) Loffreda. Et ce fecero assai da(n)no in Sessa d(e) spese ch(e) volsero et baghalglie et ho(m)mini ad co(m)ma(n)dame(n)ti, et ce stectero circha tre dì allogiati in Sessa co(n) gra(n)dissimi stra<c>ii ch(e) fecero ad sessani IIa 11.1-3; et ce fo morta ge(n)te assai de li nostri del ca(m)po, ad tale ch(e) sua Ex(cellen)cia haveva misso li spa(n)gnoli ad la fortellecza d(e) Hostia, et Adlagno la haveva sacchigiata et brusata, et le alt(r)e t(er)re ch(e) se adredevano ce messe la guardia; et sua Ex(cellen)cia se ne venni in Nap(u)li et passà p(er) la piana d(e) Sessa et p(er) la Roccha Mo(n)tragone co(n) lo Ex(cellen)te s(ignor)e pre(n)cepe d(e) Stilgliano iu(n)ti insemi, et li soldati ch(e) passavano foreno alcuni sbarisati soct<o> Sermoneta et ve(n)nero tucti la maior(e) parte [...] IIa 13.1-2; et la porta d(e)l macello foro missi certi pecczi d(e) artellaria in d(e)fe(n)sione d(e) dicta cità co. certo bastione de bucti aterrato alla porta d(e)l macello et ce fo murato d(e) sop(r)a alla porta, ch(e) al p(rese)nte ce sta d(e) novo, et guardie d(e) nocte et d(e) iorni d(e) co(n)tinua(m)me(n)te. Lo mercudì seque(n)te, ch(e) fo 9 d(e)l p(rese)nte, lo semele stectero in arme nocte et iorni, et li sessani tenevano ge(n)te d(e) le nost(r)e ad cavalli co(n) lo mast(r)o d(e) ca(m)po ad i(n)te(n)der(e) tucti q(ui)lli motivi ch(e) dicti buctinati faceano, se haveano da venir(e)no in Sessa, et tucte le t(er)re co(n)vecine stavano con pagura et guardie assai; et c(h)e se deceva ch(e) li dicti adbuctinati erano circha octoce(n)to soldati ch(e) se fecero forti ad Sa(n)to Elia, et d(e) poi certi giorni se partero, ch(e) hebbero le page, et adaro verso Puglia IIa 28.5-7. Come si mostrerà tra breve, il tentativo di costruzione di periodi di più ampio respiro con nessi subordinanti provoca invece inevitabilmente, a causa di una palese difficoltà di pianificazione e progettazione del discorso a breve gittata, fenomeni di anacoluto e di asimmetria sintattica. V.4.8. Paraipotassi Il costrutto è presente per lo più nel primo libro; qui talvolta un participio passato può essere coordinato al passato remoto924: A li 1452, a li 17 d(e) magio, Maumet pre(n)cipe d(e) turchi pilgliao Co(n)sta(n)tinopoli p(er) forcza, et sacchigiatola tu[c]ta, et tucte le citelle et monache svergenero I 26.1; Eode(m) an(n)o...smo(n)tato i(n) lo molo gra(n)de d(e) Nap(u)li Laure(n)czo d(e) Medicis, ...et allogiao a le casi d(e) m(issere) Pascale I 53.2. Il costrutto si legge in un caso dopo una proposizione temporale: et poi li regracia(n)doli del bono amor(e) havea trovato in loro et cussì fece re(n)de il magio I 89.6; si aggiunga ancora, dopo determinazione tem924 Per Loise, cfr. V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 431. CCLXXXII Nadia Ciampaglia porale, questo esempio: lo gra(n) Turcho desmo(n)tò ad Rodis co(n) gra(n)de esercito et là posse ca(m)po intorno a le mure, et de poi multe bactaglie et ne hebbe una dove ce foreno 14 milia p(er)soni morte I 55.1925. Nelle annotazioni spontanee la paraipotassi non è disgiunta da fenomeni di ristrutturazione del periodo: El cavallariczio d(e) sua M(aies)tà vestito d(e) certo abito como tonicella d(e) diacono d(e) borchato, riczio sop(r)a riczio, et nel pecto l’aq(ui)la imperiale et de(n)tro le arme d(e) Austria, et portava uno stendardo piccolo d(e) oro IIa 16.2; A dì ultimo d(e)l mese d(e) iunio facta la feria d(e) Sessa <a>lle 20 hor(e) p(er) ordine d(e) lo s(ignor)e marchese do(n) Petro d(e) Castiglia, et do(n) Lopes d(e) Arrera covernator(e) d(e) la cità d(e) Sessa fe’ venir(e) circha ci(n)qua(n)ta ho(m)mini d(e) arme in Sessa IIa 105.1; et pigliarono tucti et admaczati assai de q(ui)lli d(e) Sorre(n)to et portero tucte quelle persuni, ta(n)to mascoli qua(n)te fe(m)mine, sopra la armata d(e)l Turcho IIa 348.1; et chi, face(n)no lo (con)trario, et (con)travenesse el dicto testame(n)to, ch(e) succeda le predicte robbe la Nu(n)ciata d(e) Nap(u)li II 54.9. V.4.9. Omissione e ripetizione di che La congiunzione che con funzione dichiarativa in taluni casi è omessa926: ch(e) fo necessario p(er) fi’ a li sacerdoti havessero conparuto co(n) le arme in defe(n)seone d(e) Sessa IIa 28.2; et se dice lo dicto Thiberio como ge(n)tilomo d(e) seggio a(n)dava co(n)ta(m)mine(n)no alcuni d(e)l seggio IIa 80.1. La congiunzione dichiarativa è invece ripetuta nel caso in cui la subordinata sia interrotta da una incidentale relativa: Et lo sop(r)adicto Ia(m)bactista Ma(n)so fe’ multi ba(n)ni, ch(e) tucto officiali ch(e) fossero stati in Sessa p(er) li a(n)ni passati 15 ch(e) havessero da mecter(e) cu(n)to d(e) tucto quello ch(e) havessero ministrati IIa 31.4; Del mese d(e) magio fece ordine sua sa(n)tità papa Paulo quarto ch(e) tucti li episcopi ch(e) stavano in Roma ch(e) fossero a(n)dati alle diocese lore IIa 54.1; fo gectato uno ba(n)no da sua Signoria, ad pena d(e) vintici(n)quo o(n)cze, ch(e) ongni p(er)sona ch(e) havesse poteche in piaczia ch(e) infra termine d(e) quattro giorni fossero levati tucti ba(n)chi IIa 98.4 (in questo caso l’elemento dislocato a sinistra è anche “sospeso”: cfr. § V.4.10); li ve(n)ne ordine da lo co(m)missario generale da Tiana ch(e) tucti q(ui)lli ch(e) no(n) havessero ma(n)dati li grani ad Primo Porto ch(e) pagassero la pena d(e) mille ducati IIa 184.1; la ripetizione è anche nell’esempio seguente: fo ve(n)duto lo quartuczo d(e) la carne 58 oncze...ad m(issere) Ioa(n)fra(n)cisco Russo medico...in hoc pacto, ch(e) la carne d(e) bove ch(e) habbia da valer(e) gr(ana) 3 lo ro(to)lo IIa 283.1. Di altra natura è invece 925 Si pongono in nota come dubbi questi esempi: et coi figlioli et se ne a(n)dò i(n) Nap(u)li co(n) una barchecta d(e) ci<t>era co(n) 8 rimi I 60.3; et tucti dui li figlioli et ratificharo i(n) ba(n)cha tucti li tradime(n)ti volevano far(e) al p(redic)to s(ignore) re I 66.1. 926 L’omissione è frequente in De Jennaro (cfr. M. CORTI, a c. di, P. J. DE JENNARO..., cit., p. CLXIX) e nelle Lettere di Galeota (cfr. V. FORMENTIN, FRANCESCO GALEOTA..., cit., p. 80). Esempi simili si leggono anche in Lupo De Spechio (cfr. A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 235). Introduzione CCLXXXIII l’esempio che si riporta di seguito, in cui la ripetizione della congiunzione dichiarativa è piuttosto espressione di un periodare che ricalca l’andamento del parlato: dove respo(n)dereno li sessani alcuni ch(e) no(n) volevano lo dicto Lucilio co(n) dir(e) ch(e) era iovene, ch(e) vegna el patre, m(essere) Curcio, ch(e) ipsi lo acceptavano IIa 64.2. Per gli esempi di costruzione del periodo con affastellamento di subordinate, anche rette dal che polivalente, cfr. § V.4.10. V.4.10. Che polivalente Davvero molto diffuso nelle Croniche è il cosiddetto che “polivalente”, da ritenere senz’altro uno dei tratti sintattici più caratteristici dell’italiano parlato, originato non tanto «da semplice incapacità di dominare la sintassi», quanto da «esigenze di economia e di concisione»927. L’uso, frequentissimo, dimostra senz’altro la stretta connessione del nostro testo con la modalità orale: la congiunzione è difatti adoperata alla stregua di un “collante” per ampliare il periodo a cascata, seguendo l’onda emotiva del racconto e il sorgere di nuovi centri d’interesse, sicché non è raro nelle Croniche il susseguirsi di una subordinata all’altra, con legami sintattici spesso incerti. A tal riguardo, però, va precisato che in realtà il che polivalente è indizio di una preferenza, più che per la subordinazione, per la coordinazione, che è tipica del parlato, generando costrutti «in cui subordinazione e coordinazione non si lasciano sempre discriminare chiaramente»928. Relativamente alle quattro funzioni della congiunzione individuate da Sabatini929, senz’altro maggiormente attestata appare quella consecutivo-causale, dai confini talvolta incerti. Valore consecutivo sembra dunque assumere la congiunzione negli esempi riportati di seguito930: Et lo martedì sancto, a le xxi hor(e), ne volaro qua(n)tità ch(e) ogni homo remase stupefacto, ch(e) la terra ne stava coperta II 6.3 (relativamente al primo che); fu uno ielo che la maiore parte delle vigne secchero II 56.1; a dì 30 d(e) magio la sera piovecte co(n) certo frido ch(e) non se pocte far(e) la p(ro)cessione d(e) lo Corpo d(e) (Cristo) IIa 57.7; i(n) lo dì de sa(n)ta Lucia piovecte et lo sabbato prossimo quattuor te(m)poru(m) fece vento d(e) terra, ch(e) stecte p(er) fine alli 9 d(e)l mese d(e) fre927 Cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., pp. 206-7. Cfr. R. SORNICOLA, Il parlato: fra diacronia e sincronia, in G. HOLTUS, E. RADTKE, Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen 1985, pp. 2-23, a p. 11. 929 F. Sabatini difatti individua: «a) il che con valore temporale, equivalente ai più formali “in cui”, “dal momento in cui”...; b) il che che congiunge le due parti di una frase scissa...; c) il che con apparente funzione di soggetto o oggetto, contraddetta da una successiva forma pronominale che ha la funzione di complemento indiretto...; d) il che sostituto di una congiunzione più nettamente finale o consecutiva o causale...: cfr. ID., L’ “italiano dell’uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in G. HOLTUS, E. RADTKE, Gesprochenes Italienisch..., cit., pp. 154-84, pp. 164-5. 930 Di questo particolare uso, definito da M. Corti “pronominale anacolutico”, si leggono moltissimi esempi anche in De Jennaro, in cui ha in genere sfumatura consecutiva: cfr. M. CORTI (a c. di), P. J. DE JENNARO..., cit., p. CLXXIII. Rivela senz’altro l’influenza del parlato l’uso del che polivalente anche in Lupo De Spechio (A. M. COMPAGNA, a c. di, LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 238-9). 928 CCLXXXIV Nadia Ciampaglia baro 1558 ad no(n) piover(e) IIa 44.1; do(n)ne dicti turchi adbruscero Mola, Maranola et altri casali co(n)vecini, ch(e) fo uno gra(n)dissimo da(n)no IIa 183.1; Et sua infirmità fo schore(n)tia et pe(n)tura, ch(e) infra termine d(e) li septe giorni morìo II 38.2; et era male te(m)po, ch(e) no(n) potevano partir(e) le galer(e) IIa 326.2; ...et foreno circha ciquece(n)to ho(m)mini iuveni se(n)cza q(ui)lli ch(e) stavano p(er) li casali, ch(e) erano fugiti p(er) la armata, ch(e) in Sessa no(n) ce romase no(n) femine, né robbe IIa 352.1; et fece cadir(e) la meglior(e) parte d(e) le vacha d(e) le olive et no(n) possette piover(e), ch(e) havesse te(m)perato, et no(n) se posseva lavorar(e) le t(er)re p(er) se(m)minar(e) IIa 71.2931. Più sfumato appare invece il valore della congiunzione in questi casi: Eode(m) an(n)o, alli 27 d(e)l mese d(e) agusto, foro morti in Sessa d(e) infecczione circha 40 p(er)soni et ne moriano assai adpresso ad certi giorni de co(n)tinuame(n)te, ch(e) no(n) ce era reparo nessciuno II 19.6; fo messo lo trofheo i(dest) la preta marmola de lo homo d(e) arme, ch(e) ce fo q(u)asi t<u>cta Sessa co(n) funi e alt(r)i inge(n)gni d(e) tirarla IIa 356.1. Si aggiunga infine questo esempio tratto però dal primo libro: Eode(m) a(n)no fo uno crodelissimo a(n)no d(e) seccha, ch(e) p(er) te(m)po d(e) dece misi no(n) piovecte mai al Regno d(e) Nap(u)li I 98.4. Più propriamente causale la funzione assunta invece negli esempi seguenti: de poi ch(e) morcze fo levata et strassinata la dicta statua p(er) Roma, ch(e) tucti l<i> romani li foreno <ne>mici ad casa Carrafha p(er) li mali portame(n)ti ch(e) ce fecero in Roma IIa 68.2; Et lo martedì sancto, a le xxi hor(e), ne volaro qua(n)tità ch(e) ogni homo remase stupefacto, ch(e) la terra ne stava coperta II 6.3 (relativamente al secondo che); et tucto lo fece do(n) Lope p(er) dispecto d(e) sessani, ch(e) li volevano male, ch(e) q(ui)sto homo teneva inte(n)tione d(e) ruinar(e) questa t(er)ra d(e) Sessa IIa 258.2 (relativamente al secondo che); fo adco(n)cziata la via seu estrata do’ se dice sopto Sa(n)to Fra(n)cisco d(e) li Frati..., ch(e) prima no(n) se pratichava, ch(e) era guasta IIa 274.1; q(u)ale no(n) era homo ch(e) lo potesse vedere, ch(e) ogniuno li voleva male p(er) la superbia sua d(e) do(n) Lope IIa 248.1. Meno netta la funzione causale della congiunzione in questo caso: lo r(everen)do episcovo m(issere) Galeacio Florimo(n)te co(n) li r(everen)di canonici a(n)dero a dir(e) vespera ad Sa(n)to Stephano d(e) le monache, et la matina la messa ca(n)tata, ch(e) la università d(e) Sessa piglò possessione et <le>vao li monaci ch(e) ce <servi>vano d(e) Sa(n)to Ioa(n)ni d(e) li Frati I 110.1IIa. La congiunzione sembra qui valere ‘per la qual cosa’: fo ta(n)ta carastia ch(e) lo th(ummu)lo d(e)l grano valeva vinticinquo carlini p(er) li frosteri assai ch(e) ce veniano da llà d(e)l fiumo et d(e) Nabrucio p(er) fine in Sessa; ch(e) li sessani haveano facto lo mo(n)te d(e) pietà p(er) li poveri ad raisone d(e) carlini dudici lo tu(m)mulo IIa 86.2. La congiunzione sembrerebbe invece assumere una sfumatura concessiva nell’esempio riportato di seguito: Ma lo subsi<d>io caritativo era q(ui)llo ch(e) deveva dar(e) lo r(everen)do cap(ito)lo allo r(everen)do ep(iscop)o, ma lo 931 Il valore consecutivo assunto qui dalla congiunzione sarebbe avvalorato dal confronto con una frase dal contesto simile, in cui la funzione viene espressa in modo esplicito: piovecta tucto lo giorno et la nocte, ad tale che te(m)però IIa 75.1 Introduzione CCLXXXV ep(iscop)o no(n) lo volse p(er) sé, ch(e) li toccava: lo fece mecter(e) alle spospere lo dicto subsidio caritativo, et fece questo bene alla ecc(lesi)a IIa 221.4-5. Talvolta le subordinate si giustappongono numerose, dipanandosi l’una dopo l’altra con funzione ora consecutiva, ora causale, seguendo il fluire concitato del racconto: Et de poi ce foro li dicti grilli p(er) paricci giorni et te(m)pi, ch(e) ce figliero circha tucto lo a(n)no, ch(e) stava coperta la terra d(e) grilli d(e) variee sorte d(e) grilli, ch(e) se ma(n)gnero tucta la estate p(rese)nte II 6.5; Et alla partita ch(e) fecero, fecero qua(n)to male poctero far(e), ch(e) no(n) ce fo nesciuno remedio, ch(e) la magior(e) parte d(e) Sessa fugero fora d(e) Sessa, ch(e) haveano lassate le casi et r<o>bbe II 35.12; et la carastia era p(er) o(n)gni parte d(e) re(n)gno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano et la estate passata fo pegio, ch(e) qua(n)do se co(m)m<e(n)>czao ad seminar(e) valeva q(ui)(n)dici carlini et se(m)pre salliva d(e) preczo, ch(e) la ge(n)te se moriano d(e) fama et ch(e) no(n) se poteva haver(e) pane, ta(n)ta la fo[.]lla ch(e) stava alla piacza II 32.1; et d(e) ch(e) se co(m)micziò ad se(m)minar(e) da octob(r)o p(er) fi’ al p(rese)nte giorno se(m)pre valeva q(uin)dici carlini lu tu(m)mulo, ch(e) d(e) manera se moriano d(e) fama alcuna p(er)sona II 36.2; et ce stava lo r(everen)do ep(iscop)o d(e) Aquino p(rese)nte, ch(e) certo lo s(ignor)e ducha ne pigliò gra(n) piecer(e), et li fe’ inte(n)der(e) ch(e) fosse a(n)dato allo studio, ch(e) lo s(ignor)e ducha ce lo ma(n)teniva IIa 138.2; lo quale dicto grano valea lo tu(m)mulo circa undici carlini et lo orgio valea lo tu(m)mulo circa cinquo carlini, che era carestia de ogni cosa, ch(e) li poveri stavano multo oppressati IIa 229.2; et far(e) lo mo(n)te d(e) pietate p(er) li poveri p(er) la carestia ch(e) era p(er) ogni parte, ch(e) valeva lo th(ummu)lo d(e)l grano carlini deice, et se ne fo facto pocho IIa 245.2. Genericamente esplicativo il valore assunto dalla congiunzione nei casi seguenti: Anno D(omi)ni 1527, a li 15 d(e) magio, valeo lo grano i(n) Sessa carlini vinti lo tu(m)mulo et no(n) se ne trovava nie(n)te, ch(e) se fo facta la cercha p(er) tucta Sessa et casali II 22.1; et lo a(n)no seque(n)te li fo dato lo sidicato p(er) no(n) trovarno homo allo preposito loro et p(er) la sua discordia d(e) ellecturi, ch(e) certo ne fo facto tumulto in Sessa IIa 30.8; ebbe ta(n)to honor(e) allo po(n)none como ène solito, ch(e) ce foreno assai ho(m)mini ad cavalli et ad pedi, ch(e) p(er) multi anni passa[t]i no(n) haveno havuto q(ui)llo honor(e) ch(e) hebbe m(essere) Ioa(n)michele como ad citadino IIa 109.1; et llà stecte p(er) fine alla matina ad l’albi face(n)do tucta sua delige(n)tia da vero homo d(e) guerra, ch(e) se demostrò da vero cavallgliero, ch(e) certo fo uno magnani<mo> gra(n)de IIa 135.2; et di poi a(n)dero ad Aveczano, Sorbbello et Charano p(er) dispecto d(e) li sessani sencza co(m)messione, ch(e) ve(n)dero data opera p(er) ruinar(e) Sessa IIa 200.2; ène venuto lo s(ignor)e Petro Florimo(n)te da Nap(u)li co(n) la expedecione et co(n) male te(m)po d(e) accqua, ch(e) tucta la nocte seque(n)te fece accqua IIa 295.1; dove no(n) fo cosa laudabile, ch(e) a(n)dao ficchame(n)te IIa 339.1; et lo turre d(e) Sa(n)to Imato et la torre d(e) ad maro se facevano le guardie, et in Sessa la altra guardia ad piedi, ad tale ch(e) tucti stavano co(n) pagura p(er)ch(é) dubitavano ch(e) no(n) li fosse facto como ad Sorre(n)to, ch(e) tucti adarero p(er) scavi alli turchi q(ue)lli d(e) Sorre(n)to, poverecti IIa 352.2 (e si noti la sottolineatura emoti- CCLXXXVI Nadia Ciampaglia va). Forse finale il valore assunto nei casi seguenti: ch(e) fecero (con)siglio alle prosper(e) seu decho[ro] d(e) lo episcopato d(e) Sessa et de poi foreno ellecti ad Sa(n)to Ioa(n)ni ad Piacza ch(e) se fosse facto lo co(n)siglio IIa 6.4; q(u)ale io no(n) le ho scripte p(er)ch(é) no. le sapeva alla me(n)te, a(n)date ch(e) le trovarrete allo muro d(e) le scole alla p<ia>ia publica IIa 170.4. Talvolta risulta alquanto difficile catalogare la funzione logico-grammaticale svolta dal che932; nei casi riportati di seguito, ad esempio, la congiunzione sembra piuttosto avere valore di un pronome relativo con funzione senz’altro coordinativa: et morcze in Roma et venne in Sessa morto, ch(e) fo d(e) iovedì qua(n)do venne II 18.2 (‘e quando questi venne fu di giovedì’); et lo dicto do(n)no Ant(oni)o stecte innudo solu(m) co(n) uno vele na(n)ti allo me(m)bro, ch(e) ce stecte tucta Sessa ad veder(e) IIa 24.2 (‘e tutta Sessa vide questa cosa’); et lo r(everen)do cap(ito)lo d(e) Sessa ce fece sonar(e) ad gloria, et ce fo ca(n)tata la messa d(e) lo Spiritu Sa(n)to, ch(e) fo d(e) iuvedì IIa 192.2. Si aggiunga ancora questo periodo, in cui è più chiara la funzione temporale: se partìo da Sessa et a(n)dò alla Roccha Mo(n)tragone, ch(e) fo la matina IIa 157.1. In molti altri casi il che sembra riassumere in modo sintetico più valori; si potrebbe dunque adottare qui la definizione di che relativo indeclinato senza ripresa pronominale: Et lo sop(r)adicto Ia(m)bactista Ma(n)so fe’ multi ba(n)ni, ch(e) tucto officiali ch(e) fossero stati in Sessa p(er) li a(n)ni passati... IIa 31.4 (‘e tra questi ve ne fu uno secondo il quale tutti coloro che...’); Li altri co(m)messari ch(e) ce ve(n)dero, ch(e) fo uno zoppo, a(n)dò p(er) tucte le casi d(e) Sessa IIa 301.3 (‘tra i quali ci fu’; ma può essere intervenuto in questo caso anche un cambio di progetto); si aggiunga, con ripresa clitica: Et la dicta carastia era p(er) o(n)gni parte intorno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano, ch(e) se ne fece pocho per la estate passata IIa 306.1. Nell’esempio seguente il probabile valore consecutivo potrebbe essere frainteso a scapito della funzione di semplice pronome o viceversa: et ad Nicza ce fece assai male el Barbarosso, ch(e) la ruinao IIa 26.5. Tutto ciò ovviamente è naturale conseguenza del sincretismo del segno che, in cui convergono le caratteristiche della congiunzione congiuntamente a quelle del pronome relativo; per questo motivo esso riassume in sé più valori semantici933. La congiunzione, ancora, può valere ‘come’: Lo secu(n)do iorno, ch(e) fo lo vernedì, ch(e) è solito p(er) una bolla ch(e) sta allo episcopato d(e) papa Paulo tercio... IIa 99.8; intrò el r(everen)do cardinale d(e) la <C>uona p(er) vecerré in loco d(e)l s(ignore) ducha Albi, generale d(e) Italia, p(er) causa ch(e) se voleva partire p(er) a(n)dar(e) ad Lo(m)bardia, ch(e) se inte(n)deva IIa 280.1. Molto più raro è il che con funzione di locativo (‘dove’) con ripresa clitica: et ce fo murato d(e) sop(r)a alla porta, ch(e) al p(rese)nte ce sta d(e) novo IIa 28.5; et a(n)chora erano multi foressiti p(er) la ca(m)pagna et maxima p(er) la via d(e) 932 Per l’uso nell’italiano popolare del che subordinante generico, si vedano T. ALISOVA, Relative limitative e relative esplicative nell’italiano popolare, in «Studi di Filologia Italiana», 23 (1965), pp. 299-332; G. BERRUTO, L’italiano popolare e la semplificazione linguistica, in «Vox Romanica», 42 (1983), pp. 38-79, alle pp. 53-5. 933 Cfr. R. SORNICOLA, Sul parlato, Bologna 1981, pp. 61-74. Introduzione CCLXXXVII Capua, ch(e) ce a(n)dava uno for(e)uscito ch(e) se chiamava lo ma(n)cino d(e) Capua co(n) multa co(m)pa(n)gnia IIa 306.1. Un esempio senza ripresa clitica si legge invece nei fatti relativi ai tumulti napoletani del 1547 trascritti da β1: et lo co(n)siglio in Sa(n)cto Laure(n)zio, che stavano li deputati electi, ordinero de dar(e) denari ad li soldati frosteri de regno β1 35.1934. Più incerto invece il valore locativo nel caso seguente: foreno buctate prete et calcze ad uno fosso dove fecero uno peliero, ch(e) trovaro lo forte adbasso circha palmi tre(n)ta IIa 344.1. Altrettanto raro è il che con valore temporale935: fo facta la Passione ad Sa(n)to Do(m)minicho de Sessa in te(m)po ch(e) ce era lo s(ignore) do(n) Lope de Arrera p(er) covernator(e) IIa 119.1; et fo in te(m)po che fo si(n)dico lo s(ignor)e Ioa(n)paulo d(e) Asperello IIa 222.2; Fo in te(m)po ch(e) era mastro portholano m(issere) Lione Merchata(n)tea IIa 274.2 (in questi ultimi due esempi il che salda i due elementi di una frase scissa). Più dubbio pare il caso seguente: et fo d(e) sabbato d(e) le quattro te(m)pore, ch(e) magnero la carne alcuni IIa 197.2. Il che può ancora congiungere i due elementi di una frase scissa: et ce fo ipso in p(er)sona ch(e) li fece multi stracii IIa 24.3; et fo in te(m)po ch(e) fo si(n)dico lo s(ignor)e Ioa(n)paulo d(e) Asperello et misser(e) Ioa(n)michele Russo et Fra(n)c(isc)o Cortellaro IIa 222.2; lo r(everen)do ep(iscop)o d(e) Sessa m(issere) Galeacio Florimo(n)te fo lo primo ch(e) predicasse allo pergolo novo IIa 223.1; ène lo primo pre(n)cepe d(e) q(ui)sto regno ch(e) li tene tucti co(n)te(n)ti soi bassalgli, IIa 1442.3. Da tutti gli esempi sopra riportati emerge in modo evidente la costruzione faticosa del periodo; tanto più in questi casi risulta difficile cogliere la funzione svolta dal connettivo, che in realtà sembra adoperato essenzialmente alla stregua di un collante generico: ch(e) fecero (con)siglio alle prosper(e) seu decho[ro] d(e) lo episcopato d(e) Sessa et de poi foreno ellecti ad Sa(n)to Ioa(n)ni ad Piacza ch(e) se fosse facto lo co(n)siglio, ch(e) certo addavano tucta Sessa in rumore et revolta d(e) questa guerra ch(e) faceva el papa Paulo quarto co . l<o> s(ignore) ducha de Albi, vecerré d(e) Nap(u)li, ch(e) ogniuno pregava nostro S(ignore) Idio ch(e) se adcordassero IIa 6.4. V.4.11. Dislocazione e anacoluto La cosiddetta dislocazione936, costrutto fondamentale della lingua parlata, è ampiamente rappresentata nelle Croniche ed è un elemento importante per coglierne il 934 La medesima funzione sembrerebbe assunta in un caso anche dal pronome quale con valore di ‘in cui’: in Sessa allo segio gra(n)de fo facto uno publico co(n)siglio, quale ce era p(er) governo d(e) questa cità lo s(ignor)e do(n) Lope d(e) Arrera, et sinici lo s(ignore) Iulio Cossa et m(issere) Cola Iac(ob)o Parisi et Vice(n)czio Cerello IIa 245.1. 935 Questo tipo rientra nella prima tipologia della classificazione di Sabatini (cfr. sopra, n. 929); D’Achille, invece, preferisce parlare semplicemente di che indeclinato (P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., pp. 205-6). 936 Rimando all’ampia trattazione critica di D’Achille per questo tratto sintattico individuato nel corso degli studi con differente terminologia (“tematizzazione”, “topicalizzazio- CCLXXXVIII Nadia Ciampaglia grado di “oralità”: come nella modalità orale, difatti, essa è espressione, da un lato, della difficoltà di pianificazione del discorso, dall’altro, della necessità, per lo scrivente, di porre immediatamente in risalto il centro principale “d’interesse”. Seguendo la griglia proposta da D’Achille937, nello spoglio che segue il fenomeno della dislocazione (“a sinistra”, vale a dire con anticipazione ad inizio di frase del «blocco informativo autonomo» con successiva ripresa clitica anaforica; o “a destra”, con anticipazione mediante un clitico in posizione iniziale, in funzione cataforica, del blocco posto in fine di frase) viene analizzato in base alla natura morfologica e sintattica dell’elemento dislocato (oggetto diretto, indiretto, partitivo, locativo; mancano esempi della quinta categoria, vale a dire del predicato nominale), all’accordo sintattico di questo con il verbo e, infine, alla presenza del clitico. Si preferisce, tuttavia, trattare separatamente, senza farlo rientrare nella medesima categoria della dislocazione a sinistra, l’anacoluto, in cui l’assenza di accordo sintattico tra l’elemento dislocato e il verbo rende più evidente il carattere “semicolto” della scrittura di Fuscolillo, mostrando in modo immediato la difficoltà di pianificazione e costruzione del discorso, con relativi cambi di progetto e successiva riformulazione dell’enunciato. I. DISLOCAZIONE A SINISTRA DELL’OGGETTO DIRETTO: et Adlagno la haveva sacchigiata et brusata IIa 13.1; Lo quartuczio lo co(m)parao Cola d(e) Marella quara(n)tuna oncze IIa 30.6; quale dicto do(m)manio lo co(m)parao lo s(ignore) Thomasi Cossa IIa 31.3; dove questa do(n)na la vestero d(e) bia(n)cha li capuani IIa 40.8; la nova la ma(n)dao lo s(ignore) do(n) Lope IIa 52.2; q(u)ale dicta fossa la have facta ipso IIa 96.2; la dicta egloga la co(m)posse m(issere) Ioa(m)bactista Testa IIa 129.3; lo ep(iscop)o d(e) Sessa lo tassero IIa 179.2; et lo dicto stato lo haveva dato allo s(ignor)e co(n)te d(e) Mo(n)torio suo nepote IIa 2.2; et questa dicta comedia la ordinò m(issere) Curcio medico IIa 147.2; et tucto lo alt(r)o d(e) più ce lo messe lo sop(r)adicto ep(iscop)o IIa 221.1; Lo instrome(n)to lo fece notar(e) Marcho Ant(oni)o Ce(n)nella d(e) Sessa IIa 221.3; li dicti tre officii li co(m)parao m(issere) Ioa(n)fra(n)cisco Russo de Sessa IIa 224.2; quale dicta salvaguardia ne have facta haver(e) IIa 21.1; lo Sacrame(n)to lo portò se(m)pre lo primicerio Sigismu(n)do Floradasa IIa 104.8; El Sacrame(n)to d(e)l Corpo d(e) (Crist)o lo portò in mano do(n)no Sigismu(n)do Floradasa IIa 99.6; lo q(u)ale grano lo ve(n)deva IIa 265.1; q(u)ali dicti sessani li haveano pigliati IIa 265.2; Li dicta p(ro)vesione la expedìo lo ven(erabi)le do(n)no Laure(n)tio IIa 322.2; et lo instrome(n)to lo have fatto lo egregio notar(e) IIa 337.2; Lo instrome(n)to lo fece notar(e) Marcho Ant(oni)o IIa 367.1; q(u)ale dicta egloga la recitò Luca Antonio et Sca(n)dio Testa IIa 129.1; q(u)ali dicti corpi li portero in Spa(n)gna IIa 160.2; quale dicte robbe le teneva et possedea dura(n)te sua vita m(issere) Io(n)fra(n)cisco Russo IIa 337.1; q(ua)li dicti ho(m)mini de arme se inte(n)deva haver(n)celli facti venir(e) lo ne” etc.): cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., pp. 91 e ss. Per le dislocazioni nella lingua dei semicolti, cfr. P. D’ACHILLE, L’italiano dei semicolti, in L. SERIANNI, P. TRIFONE (a c. di), Storia della lingua italiana, Torino 1994, pp. 41-79, a p. 70. 937 Cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., p. 126 e ss. Introduzione CCLXXXIX s(ignore) do(n) Lope <de> Arrera ispano IIa 112.2; et tucto lo fece do(n) Lope IIa 258.2. Nell’esempio che segue l’oggetto diretto è costituito da un pronome relativo: quale ce lo ma(n)dò sua Signoria IIa 98.1; fe’ sgravar(e) circha trece(n)to fochi da Sessa, ch(e) lo co(n)tator(e) ce li haveva missi in su(m)maria IIa 103.2; q(u)ali dicti pagi ve(n)nero da Milano, ch(e) li ma(n)dò lo s(ignor)e ducha d(e) Sessa in Sessa IIa 117.1; quale la recitò uno suo creato chiamato Macteo d(e) la Preta IIa 137.1; q(u)ali li haveva facti ipso dicto Cesaro IIa 138.1; ch(e) ce la ve(n)deo lo il(lustrissi)mo s(ignore) ducha d(e) Sessa IIa 161.1; q(u)ale lo have co(m)parato sesa(n)tamilia ducati IIa 169.1; ch(e) la havea facta m(issere) Curtio IIa 196.7; ch(e) li haveva ma(n)dati lo re Fhelippo IIa 307.1; ch(e) ce le ve(n)deo alla t(er)ra seu università d(e) Sessa m(issere) Ioa(n)frac(isc)o Soave IIa 335.1; si aggiunga, con costituente “pesante”: et quello ch(e) no(n) sta i . quisto libro lo trovarrite alli alt(r)i libri mei IIa 388.1. II. DISLOCAZIONE A SINISTRA DELL’OGGETTO INDIRETTO: et ad Nicza ce fece assai male el Barbarosso IIa 26.5. III. DISLOCAZIONE A SINISTRA DEL PARTITIVO, DEL COMPLEMENTO DI SPECIFICAZIONE E DI ARGOMENTO: et d(e) quello grano farne far(e) pane p(er) li poveri IIa 245.3; et de le alt(r)e cose succese in Sessa lo s(ignor)e ducha ogni cosa lo adco(n)cziava IIa 139.1. IV. DISLOCAZIONE A SINISTRA DEL LOCATIVO: in Sessa ce ve(n)ne lo signor(e) Cristofhano Grimaldo IIa 2.1; in Sessa ce ve(n)ne la co(m)pagnia d(e) lo s(ignore) Ant(oni)o d(e) Fundi IIa 9.1; in Sessa ce ve(n)dero quattro co(m)pa(n)gnie d(e) fa(n)tarie italiane IIa 11.1; in Sessa ce ve(n)dero IIa 19.1; in Sessa ce ve(n)ne IIa 43.1, 60.1, 70.1; in Sessa ce venne uno co(m)missario regio IIa 76.1; in Sessa ce fo nova como... IIa 192.1; in Sessa ce ve(n)dero ad allogiare cinquocento todischi IIa 315.1; in Sessa allo merchato ce ve(n)ne ta(n)to grano IIa 268.1; in Sessa ce fecero assai da(n)no IIa 296.4; in Sessa ce ve(n)de uno co(m)missario generale IIa 302.1; in Sessa ce ve(n)dero ce(n)tocinqua(n)to cavallglii ligeri IIa 324.1. V. DISLOCAZIONE A DESTRA DELL’OGGETTO DIRETTO: Et lo dicto ep(iscop)o lo pigliò ad pe(n)tione dicto episcopato d(e) Sessa II 59.6; li messe li dicti cathenaczi IIa 20.2; et li co(n)frati la facevano la p(ro)cessione IIa 70.3; lo preghero lo s(ignor)e do(n) Lope IIa 105.8; ce la fece tornar(e) la spata...lo fece tremar(e) lo dicto capitanio d(e)l Thoralto IIa 108.3; no(n) troppo lo amavano lo s(ignore) do(n) Lope IIa 110.9; no(n) volerli acceptar(e) li dicti dinari IIa 130.2; no(n) li volsero acceptar(e) li milgle scuti IIa 143.1; la ca(n)tao la dicta messa IIa 166.2; lo ma(n)tegna in logna vita lo ep(iscop)o d(e) Sessa IIa 207.2; se li portao alla casa li duimilia scuti IIa 245.6; q(u)ale lo arruinero dicto casale IIa 252.1; lo fe’ buctar(e) lo dicto ba(n)no IIa 299.1; ce lo levava li dicto grano IIa 301.3; lo fece la Roccha d(e) Mo(n)fino uno alt(r)o prese(n)to IIa 153.1; li tene tucti co(n)te(n)ti soi bassalgli, IIa 1442.3; si aggiunga, con costituente “pesante”: el s(ignor)e do(n) Lope li fe- CCXC Nadia Ciampaglia ce pigliare tucti q(ui)lli ch(e) ce talgliavano et li fe’ menar(e) in presone in Sessa IIa 110.5. VI. DISLOCAZIONE A DESTRA DELL’OGGETTO INDIRETTO: li have dona<to> alli officiali d(e) Roma I 107.3IIa; li donero al duca una certa qua(n)tità d(e) dinar(e) IIa 21.2; li pregar(e) li sessani allo s(ignor)e do(n) Lope IIa 105.7; et li foreno facte le spese alli sop(r)adicti <fanti> IIa 171.1; et lo r(everen)do ep(iscop)o li messe multi partiti allo s(ignore) do(n) Lope IIa 208.6; li voleva male ad sessani IIa 252.3; li donò mille ducati allo s(ignore) ducha d(e) Sessa IIa 350.1; q(u)ale nost(r)o S(ignor)e Idio li dona requiee all’anima sua IIa 102.2; et lo p(rese)nte dono li gostò ad Sessa ducati cento et tridici IIa 213.1. VII. DISLOCAZIONE A DESTRA DEL LOCATIVO: ce stecte in Sessa I 108.1IIa; ce stectero circha 25 a(n)ni ad Sa(n)to Frac(isc)o d(e) Sessa IIa 160.2; ce vende i(n) Sessa lo s(ignor)e co(n)te de Pote(n)cza IIa 12.1; ce ve(n)de assai grano allo merchato d(e) Sessa IIa 272.1. VIII. DISLOCAZIONE A DESTRA DEL PARTITIVO E DEL COMPLEMENTO DI SPECIFICAZIONE: Et ch(e) se ne habbiano da far(e) tre copie d(e) dicto testame(n)t[o] II 54.10; et ne hebbe assai despiecer(e) d(e) la morte d(e) suo figlio Pierri Loisi IIa 79.4; et Sessa ne pateo la penite(n)tia d(e) ta(n)to da(n)no IIa 110.10; se ne fa gra(n) stima d(e) tal signor[e] IIa144.2; Et li si(n)dici d(e) Sessa ne foreno causa d(e) le nostre pagarie IIa 181.3. Si aggiunga, con tema sospeso: de poi lo s(ignore) Heronimo d(e) Tra(n)sa se ne volse servir(e) p(er) officiale lo s(ignor)e il(lustrissi)mo pre(n)cepe d(e) Stigliano (notizia espunta da Fuscolillo: cfr. apparato IIa 202) IX. DISLOCAZIONE A SINISTRA O TEMA “SOSPESO”. Come anticipato, si segnano a parte i casi in cui ad inizio di frase è posto un sintagma nominale senza preposizione, ripreso da un clitico nel caso richiesto dal verbo; abbiamo così un costrutto affine al cosiddetto “tema sospeso”938: et le alt(r)e t(er)re ch(e) se adredevano ce messe la guardia IIa 13.1939 (con costituente “pesante”); lo sop(r)adicto papa li fecero una statua IIa 68.2; et multi d(e) Sessa li piaceano ch(e) fossero levate le dicte pe(n)nate, et multi altri li despiaceano IIa 98.7; et ce foreno ca(n)ti pastorali adcade(n)no alla materia...ch(e) certo lo s(ignor)e ducha li piacecte assai IIa 129.2; et li dicti thori ne ferero tre IIa 141.2; [lo] lucutene(n)te d(e) lo co(m)missario li ve(n)ne ordine da lo co(m)missario generale IIa 184.1; et lo vacile d(e) arge(n)to ce stava le arme d(e) Sessa IIa 213.1; et la porta d(e)l macello foro missi certi pecczi d(e) artellaria...et ce fo murato IIa 28.5; et lo turre d(e) Sa(n)to Imato et la torre d(e) ad maro se facevano le guardie IIa 361.2; et ipso sop(r)adicto Io(n)fra(n)cisco Russo li scorcero p(er) li ce(n)to ducati IIa 239.2. 938 Cfr. P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., p. 96. Si veda ad esempio una simile costruzione in Loise De Rosa: la casa de mio patre no (n)ce ro(m)mase niente (V. FORMENTIN, LOISE DE ROSA, Ricordi..., cit., to. I, p. 460). 939 Introduzione CCXCI X. ANACOLUTO. Si analizzano ora alcuni esempi in cui il costituente tematizzato è privo di ripresa clitica; si tratta qui, dunque, di un vero e proprio anacoluto, in cui l’elemento collocato in posizione iniziale non ha legami sintattici con il resto della frase ed è dunque verosimile che sia intervenuto un cambiamento di progetto dovuto al sovrapporsi di nuovi centri d’interesse: fo gectato uno ba(n)no da sua Signoria, ad pena d(e) vintici(n)quo o(n)cze, ch(e) ongni p(er)sona ch(e) havesse poteche in piaczia ch(e) infra termine d(e) quattro giorni fossero levati tucti ba(n)chi IIa 98.4; et la porta d(e)l macello foro missi certi pecczi d(e) artellaria in d(e)fe(n)sione d(e) dicta cità co. certo bastione de bucti aterrato alla porta d(e)l macello IIa 28.5; la università de Sessa p(er) co(n)siglio facto p(er) el passato for<e>no ve(n)nuti tucti tre li officii IIa 224.1; Lo co(n)trato li <sidici> d(e) p(rese)nte a(n)no fo facto co(n) pace et guada(n)gno IIa 228.1; Li sessani bisognò ma(n)dare la grassa da Sessa IIa 247.2; et li si(n)dici ce fo p(er) ge(n)tilomo m(issere) P(ro)spero d(e) la Marra IIa 194.1. Nei casi seguenti, tutti con verbi al passivo, l’anacoluto sembra provocato dalla mancata strutturazione del complemento d’agente, che viene invece dislocato a destra come soggetto: A dì 20 d(e)l mese d(e) iulio...fo facto capitolo li r(everen)di canonici p(rese)nte mo(n)signor(e) d(e) Sessa IIa 37.1; fece ordine ch(e) se facessero le p(ro)cessiuni li canonici p(er) tucte le ecclesie d(e) Sessa IIa 70.1; A dì primo d(e) (set)te(m)bro 1551 fo facto publico co(n)silglio li sessani p(er) farno li officiali de Sessa IIa 167.1; fo dato de provesione overo elemosina allo predicator(e) de la quatragesima passata deice scuti lo ep(iscop)o d(e) Sessa et deice la università d(e) Sessa IIa 269.1; allo segio gra(n)de fo facto lo sermone lo sop(r)adicto doct<o>r(e) IIa 361.2; la dislocazione può essere anche a sinistra: La matina lo r(everen)do ep(iscop)o co(n) can(oni)ci et clero fo facta una p(ro)cessione alla U(n)ciata d(e) Sessa et fo ca(n)tata la messa IIa 314.3; li sessani p(er) ordine de lo s(ignore) do(n) Lope fo facta la mostra d(e) li homini de la cità de Sessa IIa 352; XI. CAMBI DI PROGETTO. Si schedano qui, infine, numerosi altri esempi in cui si palesa l’incapacità di Fuscolillo di gestire strutture sintattiche complesse; si riportano di seguito, dunque, i casi di ristrutturazione in fieri del discorso, con la ripetizione di sintagmi che si dispongono talvolta a chiasmo; interi periodi lasciati in sospeso, per lo spostarsi dell’attenzione e del discorso su nuovi centri d’interesse; costruzioni tipiche del cosiddetto “italiano popolare”, con l’involontaria produzione di chiasmi. Spesso un sintagma viene ripetuto dopo una breve interruzione dovuta all’inserimento di un’apposizione o di una subordinata che spinge lo scrivente a riformulare la principale per riprendere le fila del discorso lasciato in sospeso e poi dimenticato: in Sessa ce fo nova che la armata del Turcho del Barbarosso, capitanio d(e) dicta armata, fo nova in Sessa ch(e) l’armata havea abrusiata P(ro)ceda IIa 27.1; A dì 27 de iulio in Sessa fo una certa nova, co(n) dir(e) che li homini de arme spa(n)gnoli et certi capellecti greci che stavano ad Sa(n)cta M(ari)a CCXCII Nadia Ciampaglia Maior(e) de Capua se deceva che volevano passar(e) el fiume de Capua IIa 36.1940; Lo grano, d(e) la prima se(m)mana d(e) octo(m)bro, valeva lo grano lo th(ummu)lo carlini nove v(e)l circha IIa 70.4; et in Sessa ve(n)dero ad ’logiare circha ce(n)to soldati spa(n)gnoli ch(e) venivano da Piscara et da Thiano ve(n)dero in Sessa IIa 57.1; et la ditta armata se esistimava ch(e) ce fosse d(e)(n)tro el Barbarosso et lo pre(n)cepe d(e) Amelfe et lo co(n)te d(e) l’Aguillara in la dicta armata IIa 26.2. Negli esempi sopra riportati è frequente la strutturazione a chiasmo dei costituenti: in Sessa ce fo nova ...fo nova in Sessa IIa 27.1; Lo grano... valeva lo grano IIa 70.4; et in Sessa ve(n)dero.. ve(n)dero in Sessa IIa 57.1; et la ditta armata... in la dicta armata. In altri casi si assiste a un vero e proprio cambio di progetto della frase: et chi, face(n)no lo (con)trario, et (con)travenesse el dicto testame(n)to, ch(e) succeda le predicte robbe la Nu(n)ciata d(e) Nap(u)li II 54.9; Anno D(omi)ni 1548 del mese d(e) aprile, d(e) la vja idi(ctione), fo noto in Sessa ch(e) in lo territorio d(e) Capua, circha quattro milglia dista(n)te uno casale ch(e) se chiama p(er) nome Trefischi et un alt(r)o casale chiamato p(er) nome Pignatara, da qua d(e)l fiumo d(e) Capua sop(r)a ad una mo(n)ta(n)gnola, dove llà stava una eccl(lesi)a picchola chiamata p(er) nome Sa(n)ta Maria in Hierusale(m): dove questa ecc(lesi)a have facti ta(n)ti miraculi, sanati stroppiati, ciechi et alt(r)e infirmitate, ch(e) d(e) manera ch(e) so(n)no co(n)corsi ge(n)te assai co(n) p(ro)cessiuni d(e) multe terre co(n)vecine IIa 40.1-2; et la causa fo ch(e) <a>lcuni sessani no(n) volsero far(e) una certa p(ro)cura d(e)ll’acqua co(m)parata ch(e) donaro li sessani allo il(lustrissi)mo s(ignore) ducha d(e) Sessa, p(er)ch(é) el sop(r)adicto s(ignor)e ducha d(e) Sessa, ch(e) era suo factor(e) lo s(ignor)e Ioa(n) Raniero ch(e) stava in Nap(u)li, et piatava el s(ignore) duca co(n) el ill(ustrissi)mo pre(n)cepe d(e) Stilgliano d(e)ll’accqua ch(e) veniva da la Roccha d(e) Mo(n)fino in Sessa IIa 105.2; P(er)ta(n)to lo s(ignore) do(n) Lope p(er) suo ordine, quale se ne parlava p(er) Sessa, ch(e) ce li fece venir(e) ipso s(ignore) do(n) Lope; et no(n) ce a(b)bastava la salvaguardia ch(e) havevano sessani p(er)ch(é) fo certa porfidia del s(ignore) marchese et lo s(ignore) Ioa(n) Ramiero et lo s(ignore) do(n) Lope d(e) li far(e) venir(e) in Sessa IIa 105.6. Periodi interi possono essere lasciati in sospeso: Ad dì ultimo d(e) agusto et d(e) la (set)tima idictione, ut sup(r)a, fo ve(n)nuto lo quartuczio p(er) 60 oncze ad Antonino d(e) Truccho d(e) Sessa, et la statela et ba(n)cha fo ve(n)nuto 16 ducati ad Vice(n)czio d(e) Lillo d(e) Sessa; et p(er)ch(é) alli iorni passati ch(e) foro del mese d(e) agusto fo ve(n)nuto lo quartuczio d(e) li terczieri d(e) la forìa d(e) Sessa 23 oncze ad lo sop(r)adicto Antonino co(n) certi cap(ito)li d(e) dicti terczeri IIa 107.6. Il timore suscitato lungo le terre costiere dal passaggio di un’armata nemica, infine, provoca l’ossessiva ripetizione dei costituenti nodali (dicta armata, marina, pagura e la ristrutturazione del periodo intorno ai nuovi centri d’interesse: et la nost(r)a armata ch(e) era allo molo d(e) Nap(u)li, ch(e) erano circha tre(n)ta galer(e), li a(n)davano alla coda vede(n)no dove smo(n)tava la dicta armata, ch(e) qua(n)do passò p(er) la marina d(e) Sessa, ch(e) dicti sessani stavano co(n) ta(n)to 940 Si pongono in nota i frequenti anacoluti nell’espressione cristallizzata lo grano valeva lo tu(m)mulo carlini sidici IIa 263.1, lo oglio valeva lo sostare carlini quattro IIa 262.1 etc. Introduzione CCXCIII tremor(e) et pagura ch(e) tenevano gra(n)de guardie d(e) cavalli alla marina, et tucte le t(er)re d(e) marine stectero co(n) gra(n)de pagura, ch(e) certo tucta Italia stava co(n) tremor(e) d(e) dicta armata IIa 27.4. Infine, non è insolita la strutturazione a chiasmo del periodo: Ma lo subsi<d>io caritativo era q(ui)llo ch(e) deveva dar(e) lo r(everen)do cap(ito)lo allo r(everen)do ep(iscop)o, ma lo ep(iscop)o no(n) lo volse p(er) sé, ch(e) li toccava: lo fece mecter(e) alle spospere lo dicto subsidio caritativo, et fece questo bene alla ecc(lesi)a IIa 221.5; Lo q(u)ale dicto Marcho Ant(oni)o se trovò et ve(n)ne in Nap(u)li ad far(e) gente p(er) se recuperar(e) el stato d(e) Palliano, dove ve(n)ne co(n) ordine dal re Fhelippo ch(e) potesse far(e) ge(n)te in Nap(u)li IIa 2.3. Altre mani. Dislocazione a sinistra dell’oggetto diretto: et lo sermone lo fece ad lo seggio gra(n)de β2 232.2; et ipsi tre co(n) soe parole et facti li fece lassar(e) a(n)dar(e) β1 34.5; lo s(ignore) Placito lo have pigliato lo vecerré presone β1 36.18; fo recetata i(n) la ecc(lesi)a d(e) la U(n)ciata d(e) Sessa una demostracione seu exclamatione, ch(e) la fece far(e) lo nobile m(issere) Pietri Florimo(n)te β3 234.1. Dislocazione a sinistra del partitivo: li italiani multi ne invarcaro p(er) mar(e) co(n) soe fragate β1 36.12941. Dislocazione a sinistra con tema sospeso: lo quale dicto s(ign)or marchese li fu facto assai honor(e) da napolitani β3 230.2. Cambi di progetto: lo quale dicto ba(n)no fu gictato et ba(n)nito in N(a)p(o)li...da parte del r(everen)do cardinal Pacecco...; et cossì lo s(igno)re do(n) Lope de Herrera Hispano, co(m)e gubernator(e) de Sessa, lo fece ba(n)nir(e) in Sessa co(m)e è bono ordine et bo(n) governo de dicta cità -lo quale dicto grano valea lo tu(m)mulo circa undici carlini et lo orgio valea lo tu(m)mulo circa cinquo carlini, che era carestia de ogni cosa, ch(e) li poveri stavano multo oppressati- ad pena de mille ducati β3 229.1-2. V.4.12. Concordanza ad sensum Ricorre spesso nelle Croniche l’accordo a senso del verbo942, in particolar modo con i nomi collettivi. Ad esempio, nella frase che segue il verbo, accordato ad un soggetto singolare ma di evidente significato collettivo (Sessa), è di numero plurale: ch(e) certo addavano tucta Sessa in rumore et revolta d(e) questa guerra ch(e) faceva el papa Paulo quarto IIa 6.4. Il fenomeno in effetti si registra frequentemente con i nomi di città: et stava multo ira<t>o co(n)tra d(e) Nap(u)li ch(e) no(n) lo volevano fermar(e) vecerré da sua Maiestà IIa 80.4; et cussì Sessa fecero far(e) la resegna de(n)ctro lo episcopato IIa 294.3; be(n)ch(é) Sessa se fecero prestar(e) certi dinari in Gaeta IIa 360.1. L’incertezza di Fuscolillo laddove occorra accordare un soggetto singolare, ma avvertito come collettivo, si manifesta del resto esplicitamente in questo caso, in cui il verbo della principale è adoperato al singolare, ma il participio tuttavia è di forma plurale: Et tucta questa ge(n)te stecte allogiati in Ses941 Come si vede, questo esempio, catalogato anche da D’Achille (ID., Sintassi del parlato...cit., p. 172), è in realtà trascritto dalla mano β1, che copia i fatti relativi ai tumulti napoletani del 1547. 942 R. COLUCCIA (a c. di), FERRAIOLO.., cit., p. 230; A. M. COMPAGNA (a c. di), LUPO DE SPECHIO..., cit., p. 238. CCXCIV Nadia Ciampaglia sa II 19.3943. Il fenomeno, noto, come ricorda D’Achille944, sia alle lingue classiche sia a quelle moderne, è indizio senz’altro del predominio della semantica sulla sintassi, poiché «l’idea di pluralità sottesa al nome collettivo emerge superficialmente nella desinenza verbale (o in altri componenti della frase) nel clitico di ripresa o nel possessivo loro anziché suo»; si veda a questo riguardo questo esempio: ognuno de Sessa deve revelar(e) tucto il grano superchio ch(e) se trova in poter(e) loro <ad> la dicta corte IIa 229.3945. La concordanza a senso si verifica dunque comunemente con il nome collettivo gente: et dicono ch(e) la ge(n)te smo(n)tata sono 10milia II 21.3; Fo necessario ch(e) li sessani feceno resegna d(e) tucta la ge(n)te ch(e) erano in Sessa IIa 28.2; ch(e) d(e) manera ch(e) so(n)no co(n)corsi ge(n)te assai co(n) p(ro)cessiuni d(e) multe terre co(n)vecine IIa 40.2; la ge(n)te ch(e) stavano in Nabruczo IIa 106.9. Analogamente il verbo al plurale rimanda al valore collettivo del soggetto con i sostantivi università, armata, consiglio, compagnia, campo, capitolo etc.: Et caso ch(e) dicta università volesseno farene alt(r)o, nullo modo li sia licito II 53.5; p(er)ta(n)to la università d(e) Sessa, have(n)no facto co(n)silio in lo segio d(e) Sessa, haveno preposto IIa 337.2; et la nost(r)a armata ch(e) era allo molo d(e) Nap(u)li, ch(e) erano circha tre(n)ta galer(e), li a(n)davano alla coda IIa 27.4; e partero la dicta armata da Scauli et addero i(n) alti mari IIa 178.1; et se inte(n)deva ch(e) la armata d(e)l Turcho erano circha centotre(n)ta galere IIa 247.4; et se deceva ch(e) l’armata d(e) Fra(n)cza, circha quara(n)ta galer(e), erano <t>irate verso Po(n)cze IIa 307.2; Lo co(n)siglio ch(e) fo facto fecero co(n)siglio d(e) se fareno prestar(e) duimili scuti IIa 245.2; passò una co(m)pagnia d(e) spa(n)gnoli d(e) capitanio Busta ch(e) a(n)davano verso Itro, be(n)ch(é) ne era passata un’altra tre giurni inna(n)ti ch(e) allogero IIa 252.1; ve(n)dero la co(m)pa(n)gnia d(e) lo il(lustrissi)mo duca d(e) Sessa d(e) li ho(m)mini d(e) arme IIa 258.1; et se inte(n)deva ch(e) lo ca(m)po d(e) lo s(ignore) ducha d(e) Albi erano circha vinticinquomilia p(er)soni IIa 286.4; et lo cap(ito)lo ce a(n)dero ad repricar(e) co(n) dir(e) ch(e) li havea data tre dì d(e) te(m)po IIa 184.1; lo cap(ito)lo d(e) Sessa fecero co(n)siglio co(n) mo(n)signor(e) IIa 300.3; et qua(n)ta bestiame trovero, tucte le admaczaro IIa 177.2; et lo resto d(e)l grano foreno despe(n)sato ad poveri IIa 271.4. Si aggiungano anche questi esempi, tratti dalla mano β: et lo co(n)siglio in Sa(n)cto Laure(n)zio, che stavano li deputati electi, ordinero de dar(e) denari ad li soldati frosteri de regno β1 35.1; A dì 11 de magio 1548 passao 943 Sembra invece uno scorso di penna il caso seguente: Li sessani ma(n)dao m(essere) Ioa(n)pietri d(e) Zucchone Floradasa in Nap(u)li IIa 19.1. 944 P. D’ACHILLE, Sintassi del parlato..., cit., p. 277. Per la concordanza a senso con i nomi collettivi come gente o con i prononi indefiniti ciascuno, cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica..., cit., § 642. 945 Al contrario, foreno tassati tucti li ho(m)mini de Sessa p(er) la rata parte soa IIa 250.3; li piccicharoli overo casaroli ch(e) stavano alla piaczia maior(e) d(e)l Segetello, iu(n)to ad Sa(n)to Ioa(n)ni ad Piaczia, sca(m)marero le soi robbe IIa 101.1. Introduzione CCXCV p(er) Sessa la processione de Castello Forte quale a(n)dava in Sa(n)cta Maria in Hierusale(m), et li portero una soma de oglio p(er) la la(m)pa β2 41.1. Il fenomeno si ripropone di frequente anche con il pronome ognuno: et ongniuni de lloro decevano el dicto suo d(e) tucto quello ch(e) havevano p(ro)feticziato ’na(n)ti ch(e) fosse venuto (Cristo), et ogniuno d(e) q(ui)lli p(ro)feti stavano indenocchiati ’na(n)ti ad (Cristo) IIa 104.5; et fo buctato uno ba(n)no da li sidici d(e) Sessa ch(e) ogniuno se fosse allistati d(e) le spese ch(e) haveano facti li ho(m)mini d(e) Sessa IIa 320.1; si aggiunga, inoltre, questo esempio: ch(e) la magior(e) parte d(e) Sessa fugero fora d(e) Sessa, ch(e) haveano lassate le casi et r<o>bbe II 35.12. In alcuni casi l’accordo è con uno solo dei due soggetti coordinati: et cap(ito)lo et clero ce messe uno subsidio charitativo IIa 221.1; et fo in te(m)po ch(e) fo si(n)dico lo s(ignor)e Ioa(n)paulo d(e) Asperello et misser(e) Ioa(n)michele Russo et Fra(n)c(isc)o Cortellaro IIa 222.2; p(er) lo mo(n)te d(e) pietà ch(e) fece lo s(ignore) do(n) Lope d(e) Arrera et la università d(e) Sessa IIa 271.2; Fo in te(m)po ch(e) era mastro portholano m(issere) Lione Merchata(n)te et m(issere) Ioa(n)fra(n)cisco Russo IIa 274.2; et ce fo lo s(ignore) marchese d(e) Laina, lo s(ignore) Cesaro d(e) Loffreda, lo s(ignore) Ia(n) Gier(oni)mo d(e) Ie(n)naro d(e) Marczano et quattri capitanii d(e) albanisi IIa 286.2. In questo caso il mancato accordo della desinenza del participio può spiegarsi per concordanza con il secondo elemento (argento): solu(m) foreno re(n)duti li caleci et patene, le alt(r)e cruci et arge(n)to no(n) foreno reduto IIa 301.7. Con un soggetto singolare il verbo può essere al plurale, magari per attrazione del complemento oggetto: li ma(n)dò circha sei cappu<ni> et q(ui)lli adceptero lo s(ignore) do(n) Lope IIa 213.6. Al contrario, il soggetto è plurale e il verbo singolare, probabilmente per attrazione del nome di città, nella frase et q(ui)lli d(e) Piase(n)sia li donao tucte le fortelliczie IIa 79.3; più dubbi invece appaiono gli esempi seguenti, entrambi con il verbo ‘andare’: ve(n)ne lo colonello d(e) Nap(u)li co(n) ordine ch(e) se a(n)dasse li soldati da Sessa IIa 296.1; ve(n)ne un alt(r)o (com)misario da sua Ex(cellen)cia ch(e) tucti grani et alt(r)e victuaglie et carne salata fosse a(n)dato i(n) Gaeta IIa 179.1. Più spesso è il coinvolgimento emotivo di Fuscolillo, infine, a giustificare il passaggio dalla terza persona plurale alla prima: ad esempio in questo passo il cronista abbandona repentinamente le vesti del narratore esterno (li sessani scopercero) per accogliere quelle del narratore interno, co-protagonista degli eventi narrati (scropemmo), in quanto egli stesso cittadino di Sessa: La matina seque(n)te li sessani scopercero la armata d(e) lo Turcho sop(r)a in Gaeta ch(e) addava verso Corsicha overo Porta Hercule, se deceva, et ad hora d(e) nona scrope(m)mo la nostra armata ch(e) usciva da Gaeta IIa 247.4; ed ancora: lo preghero lo s(ignor)e do(n) Lope, p(er)ch(é) ad ipso stava mecter(e) et levar(e) li dicti ho(m)mini d(e) arme da Sessa, ad chi meglio li potevano pregar(e), ch(e) là ce foreno decte adsai bone parole ch(e) certo haverriamo mosso uno sasso d(e) marmora ta(n)to li pregavano li CCXCVI Nadia Ciampaglia sessani IIa 105.8. Per lo stesso motivo nel passo seguente, in cui fanno da soggetti coordinati il capitolo e il clero di Sessa Aurunca, il verbo adoperato è alla prima persona plurale: lo stesso Fuscolillo, infatti, come canonico del capitolo di Sessa Aurunca, aveva preso parte alle decisioni riferite: A dì 17 d(e) marczo 1557 lo r(everen)do cap(ito)lo d(e) Sessa et clero adcorde(m)mo lo co(m)missario regio p(er) cinqua(n)ta ducati p(er) meczo d(e) lo r(everen)do ep(iscop)o d(e) Sessa Galeaczo Florimo(n)te IIa 301.1. La difficoltà del cronista di conservare un ruolo di narratore esterno alle vicende narrate si palesa del resto in modo evidente: et addavano verso la Fra(n)cza, ad quello ch(e) nui d(e) Sessa (con)sideravano IIa 26.3. LIBRO DE LE CRONICHE DI GASPARRO FUSCOLILLO CANONICO DI SESSA AURUNCA [Sommario Latino] [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] (c. 1r) Ante(quem) regniu(m) Sicilie esset integratu(m) et vintu(m), era(n)t diversi d(o)m(ini) q(ui) do(m)minaba(n)tur diversis p(ro)vinciis, p(ro)ut infra scribit(ur)1. Civitas napulitana erat sub do(mi)no i(m)peratore Co(n)sta(n)[tino]politano s(eu) i(m)paratore(m) Co(n)sta(n)tinu(m)1; q(ui) imperator, q(ua)n(d)o cessit seu donavit Ecc(lesi)e Romane o(m)nia bona sua que habebat i(n) Italia, reservavit sibi et suis civitate(m) napulitana(m) p(er) camera imperii, ubi desce(n)der(e) disponeba(n)t q(ua)n(d)o oportebat eu(n)de(m) venir(e) ad curiam seu ca(m)mera(m) romana2. Civitas Surre(n)ti cu(m) partibus suis hab(e)bat d(omi)nii p(er) se q(ui) vocaba(n)tur d(omi)nus Surre(n)ti1. Civitas Amelfe cu(m) toto ducato hab(e)bant(ur) d(omi)n<us> p(er) [se] et do(m)minabat dux Amelfe1. Civitas Salernitana cu(m) toto principatu [h]ab[ebat] d(omi)num q(ui) vocabat(ur) p(in)ceps Salerni1. Provi(n)cia Calabrie hab(e)bat do(mi)nu(m) q(ui) vocabat(ur) dux Calabrie1.// (c. 1v) Insula Sicilie hab(eb)at do(m)inu(m) q(ui) vocabatur comes Sicilie et aliq(ua)n(d)o erat ab imparator(e) Co(n)sta(n)tinopolitano et aliq(uando) cu(m) rege Africe [...] p(ro)vi(n)cia terre Idrot(is) et do(m)minus p(r)inceps Salernita(s)1. In provi(n)cia(m) Capitinatis dominabat dux Epulie1. In Monte S(an)ti A(n)g(e)li d(omi)nus Aabanis1. In partib(us) Apruciis donabat(ur) diversis comes (videlicet) comes †Altrive†, comes Celani, comes †Lamtencebli†, comes Saguni, comes Manuppelli et plurie alii d(omi)ni1. In comitat(e) Molisi do(m)i(n)abat p(er) co(m)mites Molisi, in p(ro)vi(n)ciat(e) T(er)re Laboris do(m)inabat p(re)nces Capuanus et h(ab)ebat sub eius do(m)i(n)a<tionem> co(m)mites Casertis et Fu(n)dor(um)1. Si ricorda che nella trascrizione del presente sommario latino si è preferito non apportare alcun emendamento al testo. [1] 1 regniu(m)] n inserita successivamente nell’interlinea, titulus su g espunto; 1 diversi] diversis (con -s espunta); 1 do(m)minaba(n)tur] -ur inserito successivamente nell’interlinea su segno finale di abbreviazione espunto; 1 scribit(ur)] -ur inserito successivamente nell’interlinea su segno finale di abbreviazione espunto. [2] 1 napulitana] titulus sulla prima a; 1 i(m)peratore] -e corretta successivamente su -is; 1 Co(n)sta(n)[tino]politano] taglio nella carta; -politano inserito successivamente nell’interlinea su polita, espunto (con titulus su a); 2 imperator] inparator (con titulus finale su -r espunto; m corretta su n, -e- corretta su a); 2 donavit] titulus su -o- espunto; 2 habebat] e corretta successivamente su i; 2 et] segue sue(m), espunto successivamente; 2 napulitana(m)] titulus sulla prima a; 2 camera] titulus su -a- espunto. [10] 1 diversis] r inserita nell’interlinea. 4 [12] [13] [14] [15] Gasparro Fuscolillo [Po]st adventu(m) Roberti Viscardi et u(n)deci(m) fratru(m) q(ui) fuera(n)t natione(m) Normandi q(ui) venit ad partes istos <stipe(n)diatus> da p(r)incipe capuano anno D(omi)ni 11561. Prefatus Robertus acquisivit totu(m) regiu(m) p(er) se preter civitate(m) napolitana, expellit o(m)nes p(r)incipes et duces atq(ue) do(m)i(n)os tam no(n) intitulavit se rege(m) sed duce(m) Apulie2. Investitu(m) fuit p(er) vexillu(m) p(er) papa(m) Nicolau(m)3; q(ui) Ro[bertus] vixit in [do]minio ducatus Apulie et Calabrie// (c. 2r) annis 28 et mortuus est morte naturali in partib(us) Romanie in insula que vocabat(ur) Casioba a(n)no etatis eis 604. Qui Robertus cu(m) suis succ(essoris) fueru(n)t cotolici (cri)stiani et <qni> plures mag(nifi)cas ecc(lesi)as, monasteria et hospitalia co(n)stru(n)xer(e) nec no(n) et diversa castra in regno5. P(re)dicto Robertis p(re)dictis cu(m) esset in partibus Bulgarie et teneret appressu(m) inp(er)atorem illius p(ro)vi(n)cie, vocat(us) est a ppapa Gregorio, q(ui) erat appresus ab i(m)parator(e) Errico [et] pop(u)lo romano, in cast(r)o Santi Ang(e)li6; dimisit in obscedione(m) Boa(m)mdum, eius filiu(m), et ipse p(er)venit ad urbe(m) et cu(m) exsertitu(m) suo liberavit papa(m) usq(ue) Venive(n)tu(m) fugavit inperator(e)7. Cui Roberto successit in ducatu et tota terra(m) Rogerius filius eius q(ui) vixit in dominio a(n)nis 25 et me(n)sis seu etat(e) sue a(n)no 50 mortuus e(st) apu[d] Salernu(m) et sepultus e(st) in eclesia Sa(n)ti Mactei Apostoli8. Cui Rogerio sucessit in dominio Gulienimus eius filius, q(ui) vixerit in dominio a(n)nis 18 et mortuus apud Salernu(m) a(n)ni etatis sue 30 et sepultus e(st) in ecc(lesi)a Sa(n)ti Mactei ap(osto)li1. Q(ui) Gullelmus dux mortuus e(st) sine erede2.// (c. 2v) Cui Guillienimo successit i(n) d[o]minio Rogerius, comes Sicilie, q(ui) fuit filius comitis Rogerii Sicilie comitis fratib(us) p(re)dicti Roberti Viscardi que(m) predictus Gullienimus sibi her(ede) istituit1. Q(ui) Rogerius filius dicti comitis Rogerii q(ui) coronare se fecit in rege(m) Sicilie et vixit i(n) dominio a(n)nis 25 et mortus et ap(u)d Panhomu(m) et sepult(us) e(st) Mayori ecc(lesi)a a(n)no etatis sue 582; et p(r)edicti Rogeri(us) civitas napolitana unita fuit cum rengio3. Cur escente igitur p(re)dicto rege Rogerio papa Anacletus cu(m) cardinalib(us) cum mag(nifi)co certitu romanor(um) et ca(m)panilita(m) ingresse est regu(m) et accupavit te(r)ra S(anc)ti Iermani et fere o(m)nes no(n) abacie et obsedit castru(m) Gallucci1. Q(uo)d aud<ivit> Rogerius p(r)edictus misit (contra) eum filiu(m) ducis Apulie cu(m) mag(ior)e exercitu et cu(m) applicavit <cauteltru(m)> p(re)dictus liberavit ab i(n)sidicione et vincit d(omin)us papa(m) et plures cardinales et nobiles romanos cepit ta(m) voluit se postea submict(e) d(omi)no pape umilt(er) ipseq(ue) pape regit(e) noluit q(ui) essere sue umilitat(e)// (c. 3r) te(rre) discurrentibt(e) nupciis huc at(que) illuc dictus do(m)min(us) papa habito co(n)silio cu(m) cardinalib(us) p(er) multis cives romanos q(ui) cu(m) eo capti fueru(n)t ipsu(m) Rogeriu(m) i(n) gratia(m) sua(m) recepit receptoq(ue) ab eo saccam<...> omagiu(m) p(er) vexillu(m) d(e) regno Sicilie et ducatu Apulee investivit2. Cui regi Rogerius suc(cessit) i(n) dominio rex Guilenimus filius eius Croniche [16] [17] [18] [19] [20] 5 q(ui) vixit i(n) dominio a(n)nis 15 et mortuus e(st) apud Panhorum a(n)no etatis sue 463. Cui regi Gulienimo successit i(n) dominio rex Guilenimus s(ecund)o filius eius q(ui) era a(n)nor(um) ii q(ua)n(d)o fuit mortuus eius pater et vixit in dominio a(n)nis 25 et mortus fuit sine herede apud Panhormu(m) et sepultus i . mayori ecc(les)ia a(n)no D(omi)ni 1185 et a(n)no etatis sue 361. Iste ver(um) Guillenimus o(m)ni bona fecit in rengio2. Cui regi Guilienimo successit in dominio Regina Co(n)sta(n)tia filia p(re)dicti regis Rogerii que fuerat monealis in Panhormo1; et de multe ecc(lesi)e romane absoluta // (c. 3v) ab obs(er)vacio(n)e relugio(n)is fuit matermonialit(er) inperatori Etrico s(ecund)o fueru(n)t de domo ducu(m) Suavie2. D(e) qua paperit filiu(m) no(mine) Federicu(m) q(ui) natus est in civitate Hesi anno 1189 in die beati Stefani3. Sed regiu(m) optiner(e) no(n) poterut p(ro) eo q(uod) Tanchedus na(tura)lis filius ducis Rogerii filii p(r)edicti regis Rogerii cu(m) co(n)sensu et volu(n)tate comitu(m) et baronu(m) ipsius regii tenebant istu(m) rengit occupatu(m)4. Suc(cessit) rex Tanchredus q(ui) rengnavit a(n)nis 5 et mortus est5. Postq(ue) ip(s)us morte venit p(re)dictus inp(er)ator Herricus cu(m) p(redic)ta donn(a) Co(n)sta(n)tia(m) uxor sua et i(n)gressus e(st) re(n)giu(m) a(n)no D(omi)ni 11946. Cui regine Co(n)sta(n)tie successit i(n) dominio regni Sicilie Federicus eius, q(ui) erat a(n)nor(um) q(ui)nq(ue) q(ua)n(d)o fuit mortuus inp(er)avit Herricus eius pater1. Q(ui) Federicus vixit in dominio regni Sicilie a(n)nis 61 inperii romanor(um) a(n)nor(um) 32 re(n)gii a(n)nos 28 et mortuus e(st) apud Florentinus d(e) Capitinor(um) a(n)ni etatis sue 66 a(n)no incarnationis// (c. 4r) D(omi)ni 1251 >die a(n)ni etatis sue 66 a(n)no incarnationis D(omi)ni 1251< die sabbati 13 me(n)sis dece(m)bris 11 ind(ictionis) in die bete Lucie2. P(re)dictus i(m)p(er)ator Federicus fuerat exco(m)minicatus et depositatus p(er) papa(m) I(n)noce(n)tium quartu(m) in co(n)silio Lugeno, a(n)no Do(m)ini 1245, 3 i(ndictione), in vigilia beate Marie Madalena3. Cui inp(er)arotori successit i(n) regno Sicilie rex Coraldus eius filius q(ui) vixit in dominio a(n)nis 2° et mortuus e(st)1; q(ui) obsedit et dapnificavit civitate(m) napolitana(m) et dirui fecit eius mania(m) a p(er) eo q(uod) observabat fidelitate(m) ecc(lesi)e romane2. Cui regi Coraldo successit fraudule(n)ter rex Mafredus fr(ate) eius naturalis, q(ui) vixit in dominio a(n)nis 20 et fuit victus et mortuus p(er) rege(m) Carolu(m) p(r)imu(m) in plerio b prope Veneventu(m)1. Q(ui) Mafredus simulat(er) fecit venir(e) nova d(e) Alamania q(u)al(i)t(er) frate Coraldus, filius dicti regis Coraldi, erat mortuus et de volu(n)tate comitus et baronu(m), i(n)co(n)sulta ec- a dirui fecit eius mania(m): probabilmente mania(m) varrà moenia; cfr. lib. III.19.5: «qual re assediò et da(n)nificò multo la cità d(e) Nap(u)li, q(u)ale cità p(er) fame se re(n)deo i(n) soe mana; et (con)tra li pacti li fece, fe’ abbacter(e) et destrug(g)er(e) le mur(e)». b in prelio: ‘in proelio’. 6 [21] Gasparro Fuscolillo c(lesi)a romana, fecit se coronari i(n) mayori ecc(lesi)a panhormimia [...] a quoquu(m)q(ue) p(re)lato volebant2.// (c. 4v) A(n)no D(omi)ni 1264, 8a ind(ictionis), die 2° frebuarii, rex Carolus p(r)imus d(e) mado et concessione sibi facta de re(n)gio Sicilie p(er) dom(inum) papa(m) Clemente(m) quartu(m) intravit et optinuit regiu(m) Sicilie viril(iter) et pote(n)ter et d(e)victo interfecto q(uod) in prelio Ma(n)fredo q(ui) se reger(e) faciebant et no(n) erat <quindictus>1. Rex Carolus vixit in do(min)io a(n)nis 19 et me(n)sib(us) 6 et mortuus est ap(u)d Fogia civitate(m) Apulee et sepultus in Mayoriii ecc(lesi)a napolitana2; q(u)o t(em)p(or)e rebellata est insula Sicilie et dedit se do(n)no P(et)ro regi Magome c [...]3. c Magome: si tratta ovviamente di un lapsus per ’Ragone (‘Aragonae’). [Primo Libro] [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] Il primo libro de le croniche de li antiqui ri d(e)l regno d(e) Nap(u)li et succissiuni d(e) regni et d(e) morte d(e) ri co(n) guerre, et ch(e) tracta tucta la vita de li ri co(n) multi po(n)tifici 1.// (c. 5r) A li 1265 i(n) Beneve(n)to fo admaczato re Ma(n)fre<da> da re Carlo p(r)i(m)o, il q(ua)le lo ascegiò i(n) Beneve(n)to p(er)ch(é) dicto re Ma(n)freda era facto re (contra) la ecc(lesi)a1; et subbito el papa ma(n)dò i(n) Fra(n)za p(er) lo co(n)te Carlo p(redic)to, lo q(ua)le il papa lo incoronao del reame de Nap(u)li, et esse(n)do ad la bactaglia adpresso ad Veneve(n)to co(n) re Ma(n)freda, il re Carlo lo a(m)maczao i(n) la ca(m)pagnia2. Il dicto re Carlo primo se chiamava co(n)te [C]arlo, et d’allora fo chiamato re Carlo3. Alli 1282, ad 12 de frebaro, re Piet!(r)o de Aragonia recuperao la isola de Sicilia, la q(ua)le se rebbellao (contra) li fra(n)cisi1. A li 1332, ad dì 12 d(e) marczo, de lu(n)nedì, se incominsao ad frabicar(e) la Nu(n)ciata de Nap(u)li et se ce buctao 10 ducati de moneta1. A li 1414, a li 18 d(e) agusto, il re Lanzalao fo i(n)tossicato in Fiore(n)czia da una do(n)na filiola de uno medico, il q(ua)le p(redic)to re usava co(n) dicta donna1; et lo intossicao co(n) uno moccaturo i(n)vininato il q(ua)le se lo posse i(n) la natura, et usato ch(e) ebbe il p(redic)to re co(n) dicta do(n)na, i(n) spacio de una// (c. 5v) hora dicta do(n)na morìo2. Vede(n)do il caso succeso, subbito il p(redic)to re se partìo da Fiore(n)czia, et fe’ aprir(e) certe mule et se fe’ poner(e) de(n)tro, et se partìo da Fiore(n)tia3; et in questo modo ve(n)de p(er) fino Adversa et loco se morìo, et lo corpo suo fo portato ad Sa(n)to Ioa(nn)i ad Carbonara4. A li 1432, a li 19 de agusto, re Alfonso d(e) Aragonia p(r)i(m)o sacchigiao Nap(u)li p(er) fino a lo Largo d(e) Porto et li Ba(n)chi Vechi, il quale il <r>e vende co(n) una grossa arm(a)ta in Nap(u)li p(er) mare1. A li 1432, a li 19 d(e) agusto, la regina Ioha(nna) fece admaczar(e) sir Io(ann)i Caracziola suo gra(n) senescalco, et questo fo d(e) sabbato ad meczanocte1; il q(ua)le gra(n) senesclalcho fo socterrato ad S(an)to Ioa(nn)i ad Carbonara d(e) Nap(u)li2. A li 1432, ad dì 21 d(e) agusto, fo trassinato lo ca(n)celliero del dicto gra(n) senescalcho et d(e) poi fo adpiccato ad porta Petruczia d(e) Nap(u)li1. A li 1433, a li 20 d(e) frebaro, cavalcaro p(er) Nap(u)li le ba(n)dere d(e) re Raniri1.// [1] 1 croniche] h corretta su e; 1 regni@ -i corretta su o; 1 ri] -i corretta probabilmente su -e. [2] 2 bactaglia] l tagliata da titulus; 2 Ma(n)freda] r inserita nell’interlinea su -e-; 2 ca(m)pagnia] co(m)pagnia; 3 [C]arlo] taglio nella carta. [3] 1 la q(ua)le] -e corretta su altra lettera. [5] 2 morìo] titulus su -o; 3 Vede(n)do] la seconda d corretta su n; 3 il caso] l corretta successivamente con inchiostro nero su n, probabilmente dallo stesso Fuscolillo. [6] 1 sacchigiao] -o corretta su –to. [7] 2 senesclalcho] h tagliata da titulus. [9] 1 Raniri] romiri. 8 Gasparro Fuscolillo [10] (c. 6r) A li 1433 ve(n)ne i(n) Nap(u)li la figliola d(e) re d(e) Cipri no(m)minata do(n)na Co(n)sta(n)czia1. [11] A li 1434, ad dì 6 d(e) no(vem)b(r)o, il re Lodovicho morìo in Co(n)se(n)za d(e) do(m)minicha ad hore 191. [12] A li 1435, a li 2° d(e) frebaro, la regina Ioa(n)na fo morta et èy socterrata a la Nu(n)ciata d(e) Nap(u)li1. [13] Eode(m) an(n)o fo rocta l’armata de re Alfo(n)so a li 6 d(e) agusto da l’armata d(e) genuisi, la q(ua)le ma(n)dava lo duca d(e) Milano et re Ranieri, et fo rocta in Gaeta, dove ce fo pogliate insem[e] co(n) dicto re Alfo(n)so dui soi fratelli no(m)minati do(n) Errico re d(e) Navarra et l’alt(r)o no(m)minato do(n) Ioa(nn)i, q(ua)le era gra(n) mast(r)o d(e) S(an) Iac(ob)o1; et fo(n)ce il p(re)cipe d(e) Tara(n)to, lo duca d(e) Sessa, lo duca d(e) Atri, lo co(n)te de Ca(m)pobasso, et alt(r)i s(igno)ri et ge(n)telo(m)mini d(e) co(n)dicione2; et foro portati p(re)sone al duca d(e) Milana3. [14] A li 1435, a li 15 d(e) octob(r)o, ve(n)ne in Nap(u)li la regina Lisabetta mogliere de re Raniri, et a li 25 del dicto mese calvacò co(n) lo palio p(er) Nap(u)li1.// [15] (c. 6v) A li 1438, a li 19 d(e) magio, vende in Nap(u)li re Ranieri una co(n) lo figlio no(m)minato do(n) Ioa(nni) il q(ua)le calvacò duca d(e) Calabria, quali era d(e) a(n)ni 10 et la moglier(e) era d(e) anni 9, quale cavalcò co(n) lo palio p(er) Nap(u)li et in dì de la Assincione a li 22 d(e) magio1. [16] A li 1438, a l’ultimo d(e) (set)te(m)b(r)o, re Alfo(n)so d(e) ’Ragona posse ca(m)po in Nap(uli)1; et a li 8 d(e) octob(r)o lo infa(n)te d(e) Castilglia, no(m)mine do(n) Ioa(n)ni, fo admaczato d(e) culpo d(e) artellaria, lo quale ve(n)de da Nap(u)li et se ne andò p(er)ch(é) no(n) possecte pigliar(e) Nap(uli)2; et lo p(redic)to infa(n)te sta soct(erra)to in S(an)to Pietro Martiro [de] Nap(uli)3. [17] A li 1442, a li 8 d(e) iulio, re Alfo(n)so tornao ad poner(e) ca(m)po in Nap(u)li, et a li 20 d(e) dicto mese pigliò Nap(u)li, che le ge(n)ti del p(redic)to infante et il re intra<ro> p(er) le pucza d(e) Nap(u)li co(m)bacte(n)do1. [18] A li 1444 a li 14 d(e) ie(n)naro, d(e) martedì a le 9 hor(e), vene(n)do il mercudì, la ill(ustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha veceduchessa d(e) Milana figliò ad uno figliolo mascolo quale hebbe nome Galiaczo M(ari)a, et de po’ fo duca d(e) Milano1.// [19] (c. 7r) A li 1445 a li 18 d(e) magio, d(e) iovedì matino, la il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha veceduchessa d(e) Milana figliò et fece una figliola q(ua)le hebbe nome Ypolita M(aria) Spin[a]1. [20] A li 1448, a li 4 d(e) (novem)bro, a la insuta del sole figliao la regina Ysabella duchessa d(e) Calabria, et fece uno figliolo mascolo q(u)ale hebbe nome do(n) [10] 1 do(n)na] -a corretta successivamente su -o con inchiostro nero, probabilmente dallo stesso Fuscolillo. [11] 1 ad dì 6] una mano più tarda (forse Capasso) corregge, con inchiostro nero e tratto più sottile, la data 6 in 14; 1 do(m)minicha] a aggiunta successivamente; segno di abbreviazione che taglia h espunto successivamente con inchiostro nero. [13] 1 Eode(m)] segue die, espunto; 1 insem[e]] taglio nella carta. [15] 1 Ranieri] n corretta su i. [16] 3 [de]] macchia d’inchiostro. [19] 1 Spin[a]] a caduta fuori margine. [20] 1 nome] mome. Croniche [21] [22] [23] [24] [25] [26] [27] [28] [29] [30] [31] 9 Alfo(n)so d(e) ’Ragona1; q(u)ale regina Ysabella era moglier(e) del re Ferra(n)te p(r)i(m)o duca d(e) Calabria2. A li 14[4]9 a li 12 d(e) dece(m)bro, d(e) lu(n)nedì a le 18 hor(e), in la ca(m)mera d(e)l Castello Novo d(e) Pavia la p(redic)ta et il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana figliò ad uno figliolo mascolo, no(m)mine Felippo M(ari)a Sforcza1. A li 1450 a li 20 d(e) iulio, ad hor(e) 20, d(e) martedì, la regina Ysabella mo(n)glier(e) del re Ferra(n)te p(r)i(m)o, tu(n)c duchessa d(e) Calabria, figliò ad una figliola no(m)mine Dianora d(e) ’Ragona, q(u)ale fo duchessa d(e) Ferrara1. A li 1451 a li 18 d(e) agusto, d(e) mercudì, ad una hora d(e) nocte, la p(redic)ta ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana in lo castello d(e) Vigema a la Ca(m)mera Ducale figliò ad uno figliolo mascolo, no(m)mine Lodovicho Sforcza1.// (c. 7v) A li 1451, a li 16 d(e) octob(r)o, la regina Ysabella mo(n)gliere d(e) re Ferra(n)te p(r)i(m)o, tu(n)c ducha d(e) Calabria, figliao et fece uno figliolo mascolo no(m)mine do(n) Federicho, q(u)ale fo bactizato p(er) amor(e) dello i(m)parator(e) Federicho in te(m)po d(e) sei misi1. A li 1452, a lo p(r)i(m)o d(e) ap(ri)le, vende in Nap(u)li lo inparator(e) Federicho, et adlora fo bactizato do(n) Federicho1. A li 1452, a li 17 d(e) magio, Maumet pre(n)cipe d(e) turchi pilgliao Co(n)sta(n)tinopoli p(er) forcza, et sacchigiatola tu[c]ta, et tucte le citelle et monache svergenero1; et poi talgliao la testa a l’inparator(e) Co(n)sta(n)tino et fecero portar(e) la testa del dicto inparator(e) p(er) tucto lo ca(m)po et p(er) la cità2. A li 1452, a li 5 d(e) agusto, ad hor(e) 2 d(e) dì figliao ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana i(n) la ca(m)mera verso lo iardino, et fe’ uno figliolo mascolo q(u)ale! hebbe nome do(n) Fracisco Galiaczo Maria1. A li 1455, a li 3 d(e) marczo, ad hor(e) 22 la il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha duchessa d(e) Milana figliao, et fece uno figliolo mascolo q(u)ale hebbe nome Ascanio Maria1; et de poi fo cardinale2.// (c. 8r) A li 1456, a li 5 d(e) dece(m)bro, ad hor(e) 10 fo uno terramuto gra(n)de i(n) la cità d(e) Nap(u)li, d(e) sorte ch(e) fra tre giorni vende uno alt(r)o d(e) tale m(od)o ch(e) dessa(m)bitò tucto Nap(u)li p(er)ch(é) cascaro multe case, et ce foro morti assai ho(m)mini da bene1. A li 1457 a li 14 (novem)b(r)o, de lunedì, nasseo ma(d)da(m)ma Bia(n)cha d(e) Aragona figlia del re Ferra(n)te p(r)imo1. A li 1458, a li 26 d(e) iu(n)nio, re Alfo(n)so p(r)i(m)o morìo in Nap(uli), et lo corpo suo è ad Sa(n)to Do(m)minicho d(e) Nap(u)li1. [21] 1 A li 14[4]9] taglio nella carta. [24] 1 et fece] et/ et fece. [26] 1 a li 17] una mano più tarda (forse Capasso) corregge 2 su 1 con inchiostro nero; 1 tu[c]ta] taglio nella carta; 1 tucte] -e corretta su -i. [28] 1 a li 3] -i corretta su -e. [30] 1 figlia] figliola (con la espunto, a corretta su o). 10 Gasparro Fuscolillo [32] A li 1458, a li 16 d(e) agusto, in Barlecta fo i(n)coronato re Ferrate p(r)i(m)o, q(ua)le era bastardo p(rim)o de re Alfo(n)so, et fo incoronato p(er) amo(re) d(e) uno ep(iscop)o de casa Orsina i(n) te(m)po d(e) papa Pio d(e) Piccolominibus1. [33] A li 1459, a li 25 de octob(r)o, vene in Nap(uli) l’a[r]mata del ducha Ioa(n)ni de A(n)gioia, et fo sfracassata in la spiagia de la Matalena da la ge(n)te d(e) re Ferra(n)te1; et fo capit(anio) d(e) dicta ge(n)te uno no(m)i(n)e Ciarlo Pagano, maierdomo d(e) re Ferra(n)te, et da quella hora in q(u)a casa Pagana fa le arme soi co(n) fiorid(e)lisi et lo rastello co(n) la croce intorno, p(er)ch(é) guadagnò quelle arme co(n) la spata in mano2.// [34] (c. 8v) A li 1460 fo ructo re Ferra(n)te in le parte de la cità Sarno dal p(r)icipe d(e) Tara(n)to et ducha Io(ann)i1. Eode(m) anno, alli 22 d(e) iuglio, re Ferra(n)te hebbe victoria in Ursano adpresso Troya in le pertene(n)tie d(e) Capitinata (contra) lo co(n)te Iac(ob)o Ioa(nni), il q(u)ale era cap(itani)o del ducha Io[a](nni)2. [35] A li 1460 ma(d)da(m)ma d(e) Aragona fo maritata al ducha Ercoles d(e) Ferrara, et si partìo i(n) lo a(n)no sop(r)adicto et se ne a(n)dò ad Ferrara1. [36] A dì 1461 fo morto lo pre(n)cepe d(e) Ta(r)ra(n)to, no(m)mine Iac(ob)o Atonio1. Eode(m) anno na(s)seo do(n) Fra(cis)co d(e) Aragona2. [37] A li 1463, a li 5 d(e) marczo, fo morto lo ducha Fra(n)cisco d(e) Milana1. Eode(m) anno fo morto Co(n)sta(n)tino d(e) li Medici in Fiore(n)cia2. [38] A li 1465 a li 24 d(e) marczo, d(e) sabbato, fo morta la regina Ysabella moglier(e) del re Ferrate p(r)i(m)o, et a li 30 d(e) dicto mese fo facto lo exequio ad S(an)to Piet(r)o Martir(e) d(e) Nap(u)li1.// [39] (c. 9r) A li 1465, a li 23 d(e) agusto, fo pigliato presone il co(n)te Io(ann)e Brascio in lo Castello Novo de Nap(uli) da parte del s(ignor)e re Ferra(n)te primo1. [40] A li 1465, a li 14 d(e) (set)te(m)b(r)o, ve(n)ni in Nap(u)li la figlia del ducha d(e) Milana nomine Ypolita Maria Spina, la q(u)ale era maritata al ducha d(e) Calabria no(m)mine do(n) Alfo(n)so d(e) Aragona, p(rim)ogeni[to] del re Ferra(n)te p(r)imo1. [41] A li 1469, a li 26 d(e) iug(ni)o, figliao la duchessa d(e) Calabria no(m)mine Ypolita M(ari)a Spina, et fece uno figlio mascolo q(u)ale hebbe nome ducha Ferra(n)te, q(ua)le fo facto p(r)icipe d(e) Capua1. [42] A li 1471 Maumet, p(r)icipe d(e) turchi, pigliò Nigropo(n)te co(n) tradime(n)to p(er) amor(e) d(e) uno nomine Thomase de li Got1. [43] A li 1476, a li 7 d(e) set(tembr)o, mada(m)ma Beatrice d(e) ’Ragona, figliole del re Ferra(n)te p(r)i(m)o, se plubicao regina d(e) Ugaria, et fo moglier(e) de re Mactia, re d(e) Ugarie1; et se incoronò a li 15 del dicto mese, et alli 19 se ne uscìo fora de Nap(u)li et se ne andò// (c. 9v) a la volta d(e) Venecia, et poi se ’nde [33] 1 l’a[r]mata] la/mata; 1 A(n)gioia] Agi(n)oia; 2 capit(anio)] capit; segue -e poi corretta in j; nell’interlinea, una sorta di 9. [34] 2 Io[a](nni)] macchia d’inchiostro. [36] 2 Eode(m)] segue di, espunto; 2 anno] a corretta su e. [38] 1 Ysabella] segue g espunta. [40] 1 Spina] ispana (con i- espunta; -i- corretta su a); 1 p(rim)ogeni[to]] macchia d’inchiostro. [41] 1 no(m)mine] no(m)mina; 1 fo facto] fo fo facto. [42] 1 Thomase] -e corretta su -i. [43] 2 incoronò] -o corretta su lettera illeggibile. Croniche [44] [45] [46] [47] [48] [49] [50] [51] 11 andò in Ungaria et si portao co(n) essa do(n) Frac(isc)o d(e) Aragona, suo fratello2. A li 1476 a li 27 d(e) dece(m)bro, ad hor(e) 7, fo a(m)maczato Galiaczo M(ari)a Spina, figliolo de la il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Bia(n)cha, in dì d(e) s(an)to Stefano da m(issere) Io(ann)i Andrea d(e) Andreamo d(e) Milana [et] da cert[i] alt(r)e soi creati, et subbito dicto Io(ann)i A(n)drea [fo] pigliato et fo squartato vivo1; et lo dicto ducha regnò 10 anni, 9 mesi, 6 giorni2. A li 1477, a lo p(r)i(m)o d(e) se(ttembro), la regina Io(ann)a M(ari)a d(e) ’Ragona ve(n)ne in Nap(u)li p(er) muglier(e) de re Ferra(n)te p(rim)o1. A li 1478, a li 4 d(e) agusto, do(n) Alfo(n)so d(e) Aragona duca d(e) Calabria partìo da Nap(u)li et andò ad trovar(e) la ge(n)te d’arme al Tro(n)to1. A li 1478, a li 21 iulio, Raimu(n)do Ursino calvacò co(n)te da la Tripalda et de Nola p(er) Nap(u)li co(n) uno suo fratello no(m)mine Roberto, il q(u)ale era d(e) anni 101;// (c. 10r) et lo dicto Roberto fo facto cavaliri a lo Castello Novo p(er) mano d(e) re Ferra(n)te2. A li 1478 li genoisi pigliorno lo castello de Genua p(er) forcza, lo q(u)ale tenevano assediato (contra) lo ducha d(e) Milana nomine Tomasi M(ari)a, et ce fo admaczato più d(e) 2000 ho(m)mini1. Eode(m) anno, a li 20 d(e) iulio, lo co(n)te d(e) casa d(e) Acquaviva se inbarchò in lo molo gra(n)de d(e) Nap(u)li co(n) tre navi grosse et a(n)dò [in] Genua, in le q(u)ale navi ce erano bo(m)barde assai, et 6000 prete, et 500 barrile2; intra li alt(r)i ce forno dui mortali ch(e) tiravano in alto et una bo(m)barda chiamata la napulitana3. Eode(m) a(n)no, a li 6 d(e) agusto, ve(n)ne la nova ad re Ferra(n)te ch(e) era nato uno figliolo mascolo allo re de Spa(n)gna4. A li 1479 a li 16 d(e) ie(n)naro, vene(n)do lo vernedì, ad meczanocte se adnegò la nava d(e) re Ferra(n)te chiamata Sa(n) Michele, et se adnegò in lo porto d(e) Alixa(n)dria1.// (c. 10v) Eode(m) anno, a li 19 d(e) ienaro, morìo ma(d)da(m)ma Lucrecia d(e) Ala(n)[g]io in Roma, la q(u)ale fo la più bella do(n)na ch(e) in quello te(m)po fosse stata, et p(er) la bellecza sua lo re Alfonso se ne innamorao1; et era grati[evo]le do(n)na de lo segio d(e) Capuana2. A li 1479 a li 22 d(e) frebaro, a le 23 hor(e), se inbarchò il re Ferra(n)te et a(n)dò in Fra(n)czia co(n) dui galer(e), et là stecte p(er) spacio d(e) certo te(m)po co(n) re d(e) Fra(n)czia, et piglia p(er) moglier(e) ma(d)da(m)ma Giarlet, nepote de re d(e) Fra(n)czia, et ne fe’ una figliola q(u)ale hebbe nome de la mat(r)e1; et i(n) te(m)po de sei misi dicta ma(d)da(m)ma Giarlet morìo, et subbito morta ch(e) fo, lo s(ignor)e do(n) Federico tornò in Nap(o)[li]2. [44] 1 cert[i]] taglio nella carta; 1 [fo]] taglio nella carta. [45] 1 se(ttembro)] sa to. [47] 2 Ferra(n)te] Ferra(n)te più d(e) 2000 mordi (mo- riscritto su lettere illeggibili. È probabilmente frutto di un salto durante la copia: cfr. lib. I. 48.1). [48] 1 tenevano] tenea uno tenessano; 2 [in]] buco nella carta; 3 mortali] -i corretta su altra lettera; 3 napulitana] p corretta su altra lettera; 4 allo] la seconda l corretta su altra lettera. [50] 1 Ala(n)[g]io] macchia d’inchiostro sulla g; 2 grati[evo]le] gratile. [51] 2 Nap(o)[li]] li assorbita dalla rilegatura. 12 Gasparro Fuscolillo [52] A li 1479 a li 15 d(e) aprile, a le 23 hor(e), figliò la regina Ioa(nna) tercia et fece una figliola fe(m)mina in lo Castello Novo d(e) Nap(u)li1. Eode(m) anno, a li 5 d(e) iunio, morìo lo co(n)te Urso duca d(e) Asculi in Viterbo a le 3 hore de nocte2. Eode(m) anno fo una gra(n)de morìa i(n) la cità d(e) Nap(u)li, p(er) tale modo ch(e) o(n)ne p(er)sona sfractao d(e) dicta cità3.// [53] (c. 11r) Eode(m) a(n)no, a li 25 d(e) (nove)bro, lo duca d(e) Calabria nomine do(n) Alfo(n)so pigliò la cità d(e) Colle la q(u)ale era d(e) fiore(n)tini, et la pigliò p(er) forcza1. Eode(m) an(n)o a li 28 d(e) deceb(r)o, d(e) sabbato a le doi hor(e) de nocte, smo(n)tato i(n) lo molo gra(n)de d(e) Nap(u)li Laure(n)czo d(e) Medicis, q(u)ale era venuto ad Fiore(n)czia co(n) tre galer(e) p(er)ch(é) era fugito p(er) timor(e) in le mano d(e) re Ferra(n)te, pare(n)te del dicto duca, et allogiao a le casi d(e) m(issere) Pascale, co(n)te d(e) Alifre, ad fro(n)te allo Castello Novo2. [54] A li 1480 re d(e) Spagnia, no(m)mine Ferra(n)te, una co(n) la no(m)minata Ysabella sua moglier(e) mosse guerra allo regno d(e) Granata1. [55] A li 1480, a li 23 d(e) magio, lo gra(n) Turcho desmo(n)tò ad Rodis co(n) gra(n)de esercito et là posse ca(m)po intorno a le mure, et de poi multe bactaglie et ne hebbe una dove ce foreno 14 milia p(er)soni morte, et inco(n)tine(n)te levò ca(m)po intorno1; se ne tornò indereto2. [56] A li 1480 a li 23 d(e) iulio, a le 6 hor(e) d(e) nocte, uno inmassator(e) no(m)mine Ma(n)go(n)te dismo(n)tò in// (c. 11v) Otra(n)to co(n) 16 m(il)ia turchi, il q(u)ale lo haveva ma(n)dato lo gra(n) Turcho, et li posse ca(m)po1. A li 9 d(e) agusto, i(n) la vigilia d(e) s(an) Laure(n)tio, pigliò Otra(n)to p(er) sforcza, et ce fora admaczati una gra(n) qua(n)tità d(e) (cri)stiani et m(issere) Fra(n)cisco Zurlo una co(n) la moglier(e), et de po’ trasero de(n)tro la terra et fecero uno gra(n) sacchigiame(n)to et occisione d(e) (cri)stiani2. Et questo fo p(er)ch(é) il duca d(e) Calabria, figliolo d(e) re Ferra(n)te, no(n) era i(n) lo regno, ch(e) se trovava in la guerra d(e) Toschana, et ve(n)de al regno3. [57] A li 1481, a li 4 d(e) magio, il gra(n) Turcho no(m)minato Magomet morìo1. [58] A li 1481, a li 3 d(e) dece(m)bro, en Alfonso duca d(e) Calabria he(m)be Otra(n)to ad pacti p(er) amor(e) d(e) uno turcho no(m)minato Thomaschino, et ce pigliò ta(n)ti turchi et turche et li portò in la cità d(e) Nap(u)li1; et in quella guerra ce forono morti multi ho(m)mini da bene, zoè lo co(n)te Iulio [...]2//. [59] (c. 13r) A li 1485, a li 20 d(e) septeb(r)o, li aq(ui)lani se levero ad romor(e) d(e) lu<n>edì ad hor(e) d(e) vespera, et talgliero ad pecczi m(issere) Ant(oni)o d(e) casa Cicinello, gi(n)tilomo d(e) segio d(e) la Mo(n)tagna, et Iacobello Pappacoda, gi(n)tilomo d(e) segio d(e) Porto, li q(u)ali erano officiali d(e)l re Ferra(n)te in la cità d(e) l’Aquila1. [52] 2 iunio] n nell’interlinea, corretta su l. [53] 1 la cità] l corretta su d tagliata da titulus. [54] 1 Spagnia] n corretta su i. [55] 1 a li 23] (il 3 sembra corretto su un precedente 8); 1 magio] aggiunto nell’interlinea su maggio, espunto. [58] 1 en Alfonso] en fato; 1 Thomaschino] la seconda h corretta su altra lettera; 1 cità d(e) Nap(u)li] t corretta su r, N- corretta su a. Croniche 13 [60] A li 1485, a li 19 d(e) octob(r)o, fo morto lo cardinale d(e) ’Ragona no(m)minato do(n) Io(ann)i, et fo [in] Roma al te(m)po d(e) papa I(n)no(n)ce(n)tio et ipso lo fece i(n)tossichar(e)1; il q(u)ale cardinale era figliolo d(e) re Ferra(n)te p(r)imo2. Eode(m) a(n)no a li 27 d(e) no(vem)b(r)o, a le tre hor(e) d(e) nocte, fugìo da Salerno lo s(igno)re do(n) Federicho secu(n)dogenito d(e) re Ferra(n)te p(r)imo, p(er)ch(é) ipso se tro>vò@ i(n) Selerno qua(n)do se alcero le ba(n)der(e) (contra) il p(redic)to re, et coi figlioli et se ne a(n)dò i(n) Nap(u)li co(n) una barchecta d(e) ci<t>era co(n) 8 rimi3. [61] A li 1485 ad dì 28 d(e) (novem)bro, ad 20 hore, se liberò ad presone il co(n)te d(e) Mo(n)torio ch(e) stava p(r)esone allo Castello Novo d(e) Nap(u)li1.// [62] (c. 13v) Eode(m) a(n)no, ad dì 2 d(e) dece(m)bro, se redìo lo castello de la Torre al p(r)icipe d(e) Capua, figliolo del duca d(e) Calabria, et lo castellano fo i(m)piccato1. [63] A li 1486 lo ducha d(e) Calabria intrao i(n) lo regno p(er) lo ca(m)mino dell’Aq(u)ila p(er) ca(usa) d(e) li s(igno)ri ch(e) erano rebelli (contra) il s(ignore) re Ferra(n)te p(r)imo1. Eode(m) an(n)o a li 13 d(e) iunio, d(e) do(m)menecha, se pub[l]icao in lo archipiscopato d(e) Nap(u)li la pace co(n) [tu]cta Italia2. [64] A li 1486 a li 3 d(e) agusto, d(e) do(m)menecha, forono pigliati presuni in lo Castello Novo d(e) Nap(u)li li soctoscripti (videlicet) (signo)ri1: m(issere) Antonello d(e) Adversa, secretario del re Ferra(n)te, m(issere) Fr[an]c(isco) Coppula co(n)te d(e) Sarno, m(issere) Antonello Archamone, m(issere) in Pò2. Et i(n) quello medesimo dì fo pigliato lo co(n)te d(e) Pulicast(r)o figliolo del p(redic)to m(issere) A(n)tonello d(e) Aversa, lo q(u)ale fugiva i(n) Pulicast(r)o, et fo pilgliato alla Torre d(e) lo Grecho3; et l’aut(r)o dì seque(n)te uno m(issere) Masca, cavallaricio d(e) s(igno)re re, a(n)dao ad Carinola// (c. 14r) et pigliao p(re)sone il co(n)te d(e) Carinola, ch(e) era figliolo de p(redic)to m(issere) A(n)tonello d(e) Aversa4; et la moglier(e) d(e) dicto secretario fo pigliata p(r)esone la do(m)menicha, p(er)ch(é) i(n) lo castello se erano adco(n)czate le feste de lo figliolo del co(n)te d(e) Sarno, che li haveva dato ad i(n)te(n)der(e) ch(e) li volevano dar(e) la figli[a] del duca d(e) Amelfe, nepote del s(ignor)e re Ferra(n)te5. [65] A li 1486 a li 22 d(e) agusto, d(e) [m]artedì, vendero i(n) la cità d(e) Nap(u)li da Sarno 1507 carra d(e) monicione et bu(m)barde d(e) nave, et alt(r)e bu(m)barde d(e) bru(n)czo et 50 barrile d(e) uno palmo et meczo l’uno logno, piene d(e) verge d(e) oro1. [66] A li 1486, a li 10 d(e) (novem)bro, foro cacciate i(n) ba(n)cha al Castello Novo m(issere) A(n)tonello d(e) Aversa, m(issere) Frac(isc)o Coppula, et tucti dui li figlioli et ratificharo i(n) ba(n)cha tucti li tradime(n)ti volevano far(e) al [60] 1 [in]] taglio nella carta; 1 i(n)tossichar(e)] la prima s corretta su r; 3 tro[vò]] tro. [62] 1 Torre] atorre d(e) (con a aggiunta da mano più tarda con inchiostro nero e tratto più sottile nell’interlinea su t, d(e) espunto). [63] 2 Eode(m)] segue dì, espunto; 2 pub[l]icao] taglio nella carta; 2 [tu]cta] taglio nella carta. [64] 2 Fr[an]c(isco)] macchia d’inchiostro; 5 adco(n)czate] -e corretta su -o; 5 figli[a]] taglio nella carta. [65] 1 [m]artedì] taglio nella carta. [66] 1 figlioli] figlij (con o corretto su j, poi aggiunto li). 14 [67] [68] [69] [70] [71] Gasparro Fuscolillo p(redic)to s(ignore) re1; et li donaro termine ad de(n)fe(n)der(e) le lor(e) cause, ma li s(igno)ri p(redic)ti no(n) volevano te(m)po// (c. 14v) nullo, ma se mettevano alla misericordia del re Ferra(n)te2. A li 1486 a li 9 d(e) (nove)b(r)o, a le 4 hor(e) d(e) nocte, morìo do(n) Fracischo, figliolo d(e) re Ferra(n)te p(r)imo1. Eode(m) anno a li 23 d(e) (nove)bro, a le 22 hor(e), i(n) la sale del Castello Novo d(e) Nap(uli) forono se(n)te(n)tiati tucti li p(redic)ti s(igno)ri, ch(e) devessero esser(e) p(r)ivati de loro beni et de la vita, et on(n)euno da p(er) sé2; in la q(u)ale se(n)te(n)tia ce foro q(ui)sti s(igno)ri, (videlicet) lo co(n)te d(e) Capaczi[a], lo co(n)te d(e) Venafra, lo co(n)te d(e) Popolo, lo co(n)te d(e) Bruenacza, et tucti li s(igno)ri d(e) lo co(n)silglio et de la Vicaria d(e) Nap(u)li3. A li 1486 a li 22 d(e) dece(m)bro, d(e) lunedì, foro inpicchati li dui figlioli del dicto m(issere) Antonello d(e) Aversa, zoè lo co(n)te d(e) Carinola1; et ad le 17 hor(e) fo starssinato sop(r)a una tavola co(n) dui boy p(er) tucta Nap(uli), et poi fo portato a lo Merchato gra(n)de d(e) Nap(uli) et là fo scquartato, et li quatt(r)o quarti ad o(n)ne porta d(e) Nap(uli) ne fo posto uno2. I(n) questo medesimo dì a le 22 hor(e) lo co(n)te [...]3.// (c. 16r) [...] Sa(n)to Do(m)minicho d(e) Nap(uli) et quello d(e)l co(n)te d(e) Sarno ad S(an)to Agustino d(e) Nap(u)li1. Eode(m) an(n)o, 17 d(e) magio, Diomedes Carrafa co(n)te d(e) Magd(aloni) fo morto allo Castello dell’>O@vo p(er)ch(é) isso era castellano de lo dicto Castello, et questo fo d(e) lu(n)nedì2; et lo martedì seque(n)te fo facto lo exequio i(n) S(an)to Dom(ini)co3. A li 1487, a li 11 d(e) iungio, lo [s](igno)re re Ferra(n)te p(r)imo fece pigliar(e) lo co(n)te d(e) Milana et Salvator(e) Zurlo in lo Castello Novo d(e) Nap(uli)1. Eode(m) an(n)o a li 14 d(e) iulio, d(e) mercodì, forono pigliati p(r)esuni li soptoscripti s(igno)ri in lo Castello Novo d(e) Nap(uli) a le hor(e) 23, (videlicet) il pri(n)cipe d(e) Altamura d(e) casa de lo Balzo, lo p(r)icipe d(e) Bisignano d(e) casa d(e) Sa(n)toseverino, el ducha da Amelfe d(e) casa Caraccziola, lo co(n)te d(e) Lauria d(e) casa d(e) Sa(n)tosev[e]rino2. A li 1488 a li 19 d(e) agusto, d(e) lunedì a le 15 hor(e), la il(lustrissi)ma ma(d)da(m)ma Ipolita M(ari)a Spina Sforza,// (c. 16v) duchessa d(e) Calabria, fo morta in lo Castello Capuana d(e) Nap(u)li, ch(e) era mo(n)glier(e) de lo ducha d(e) Calabria, p(r)imogenito d(e) re Ferrate p(r)imo, et a li 22 d(e) dicto mese fo facto lo exequio a la Nu(n)ciata1: loco fo posto lo corpo suo cop(er)to d(e) ’morchato d(e) oro, et sta vecino a lo altar(e) maior(e)2. [67] 2 devessero] deverero (con la prima s nell’interlinea su -e-, la seconda s corretta su r); 3 Capaczi[a]] taglio nella carta. [68] 2 et là fo] et là fo fo. [68] 2 quatt(r)o] titulus su -atto. [c. 16r] nel margine superiore del foglio una mano più tarda, (probabilmente Capasso) annota con inchiostro nero e tratto più sottile manca, ad indicare la caduta di una carta; cfr. § II.6. [69] 1 quello] u aggiunto nell’interlinea su e; 2 dell’[O]vo] dellno; 3 Dom(eni)co] Doc.co. [70] 1 [s](igno)re] taglio nella carta; 1 Novo] nono; 2 casa de lo] casa dolo; 2 Sa(n)tosev[e]rino] macchia d’inchiostro. Croniche 15 [72] A li 1488 a li 26 d(e) dece(m)b(r)o, a le 18 hor(e) [de] martedì, partìo da lo Castello d(e) Capuana la ill(ustrissi)ma Ysabella d(e) Arag[o]na duchessa d(e) Milana et a(n)dao allo molo gra(n)de d(e) Nap(uli) ad inbarcharse, ch(e) a(n)dò alla volta d(e) Genua, et llà desmo(n)tao et de poi a(n)dò i(n) Milana a lo marito1; et la adco(m)pagnao lo fratello del dicto duca d(e) Milana no(m)minato lo s(ignore) Ermes, et ipso la consingiò et ingaudiò da parte d(e)l suo fratello2. [73] A li 1490 lo re d(e) Spa(n)gnia hebbe tucto lo regnio d(e) Granata et ce pigliò p(r)esone lo re d(e) Granata, ch(e) era moro, et lo (con)finò in le ultime parte d(e) Spa(n)gna et llà li stabilìo una certa p(ro)visione sua vita dura(n)te1.// [...] [74] (c. 19r) A li 1495, a li 24 d(e) ie(n)naro, se partìo lo prefato re Ferra(n)te s(ecundo) et a(n)dò trovar(e) li fra(n)cisi ad S(an)to Germano, ch(e) li dicti fra(n)cisi viniano ad pigliar(e) lo regno d(e) Nap(u)li1. Eode(m) a(n)no a li 2 d(e) frebaro, ad dui hor(e) d(e) nocte, se scappulao lo co(n)te d(e) Popolo, q(u)ale stava p(r)esone2. Eode(m) an(n)o a li 4 d(e) frebaro, d(e) martedì ad hor(e) 7, partìo re Alfo(n)so s(ecundo) co(n) dui galer(e) et a(n)dò i(n) Sicilia et portò una fusta et dui barche3; et i(n) quell’ora fo un gra(n)de pia(n)to i(n)fra la il(lustrissi)ma s(ignora) regina et sua mat(r)e et lo s(ignor)e do(n) Federicho et alt(r)i signuri ch(e) se trovaro i(n)semi4. [75] A li 1495 a li 24 d(e) frebaro, d(e) vernedì, se re(n)deo Nap(u)li ad re Carlo d(e) Fra(n)cza, et i(n) quello dì trasero li fra(n)cisi de(n)tro la cità d(e) Nap(u)li co(n) speruni d(e) lengio et co(n) li archi ad verrecta i(n) mano1. Eode(m) a(n)no, a li 24 d(e) frebaro, se partìo dal Castello Novo il re Ferra(n)te secu(n)do et la regina sua bava una co(n) la infa(n)ta // (c. 19v) figliola d(e) re Ferra(n)te p(r)imo, et a(n)daro i(n) Ischa co(n) lo s(ignor)e do(n) Federicho2; et portava 18 galer(e), et p(er) no(n) poterno partir(e) tre navi grosse, le abbrusarno i(n)nel molo gra(n)de d(e) Nap(uli)3: l’una era 3000 bucti, et l’alt(r)a è 4000, et l’aut(r)a è d(e) 4000 bucti4. Eod(e)m an(n)o a li 23 d(e) frebaro, d(e) do(m)menech(e), se levaro le ba(n)der(e) i(n)torno allo Castello Novo d(e) Nap(uli) [che] se teneva p(e)r re Ferrate secu(n)do5. Eode(m) an(n)o, a li 7 d(e) marczo, se re(n)dìo lo Castello Novo al re Carlo d(e) Fra(n)cza, et in quello giorno il pri(n)cipe d(e) Salerno ve(n)ne co(n) l’armata d(e) Fra(n)cza6. Eode(m) a(n)no, a li 8 d(e) marczo, se re(n)deo Piczofalcone, et i(n) quello dì se ordinaro le ba(n)der(e) allo Castello d(e)ll’Ovo ch(e) se teneva alla fedelità d(e) re Ferra(n)te secu(n)do7. Eode(m) an(n)o, a li 12 d(e) marczo, stava ad pacto lo Castello dell’Ovo, et m(issere) Ant(oni)o d(e) Pecczuli, castellano del dicto castello, fece i(n)trare// (c. 20r) i(n) dicto castello lo p(r)icipe d(e) Salerno et poi i(n)sìo fore ad portar(e) le chiave al re d(e) Fra(n)cza, e a li 14 d(e)l dicto alzò le ba(n)der(e) d(e) Fra(n)cza8. [72] 1 Arag[o]na] taglio nella carta; 2 del dicto] t corretta su altra lettera; 2 parte] r nell’interlinea su a. [c. 19r] nel margine in alto a sinistra una mano più tarda (probabilmente Capasso) annota con inchiostro nero manca, ad indicare la caduta delle cc. 17-8 (cfr. 16r). [75] 4 è d(e)] et d(e); 5 [che]] taglio nella carta; 7 ch(e) se teneva] ch(e) se teneva/ ch(e) se teneva; 8 fore] e corretta su a. 16 Gasparro Fuscolillo [76] A li 1495, a li 20 d(e) ap(r)ile, partìo da Yscha re Ferra(n)te secu(n)do p(er) Sicilia1. Eode(m) an(n)o, a li 12 d(e) magio, cavalcao re d(e) Nap(u)li p(er) tucta la cità re Carlo, re d(e) Fra(n)cza2. Eode(m) a(n)no, a li 20 d(e) magio, partìo re Carlo da Nap(uli) p(er)ch(é) Ytalia se era r[eb]ellata (contra) sua M(aies)tà3. Se ne andò in Fra(n)cza4. Eode(m) a(n)no, a li 10 d(e) iu(n)nio, l’armata d(e) re d(e) Fra(n)cza a(n)dò i(n) Ischa co(n) 10 galer(e) et 7 barch(e)5. Eode(m) a(n)no, 23 d(e) iunnio, fo sacchiata Gayta6. Eode(m) an(n)o a li 7 d(e) iulio, d(e) martedì, ad 7 hor(e) d(e) nocte, la matina ad l’a(m)bbi se lassaro le ba(n)der(e) d(e) re Ferrate s(ecundo) p(er)ch(é) lo lunedì dena(n)ti se era adprese(n)tata l’armata p(er) mar(e) de più de 50 vele grosse et picchole, dove era pocha ge(n)te d(e) facto p(er)ch(é) era venuta in Nap(u)le p(er) le lecter(e)7.// (c. 20v) Eode(m) an(n)o, a li 13 d(e) noveb(r)o, vene i(n) Nap(u)li l’armata della s(igno)ria d(e) Venecia, q(u)ale foro 20 galer(e), i(n) favor(e) del s(ignor)e re Fera(n)te s(ecund)o, et stectero p(er) fino ad guerra finita al porto8; et il p(redic)to re li donò in pingio cinq(ue) terre, zò in Puglia, Trani, Mola, Polignano, Monopoli, et Brindisi et Otra(n)to9. [77] A li 1495, a dì 24 de octob(r)o, ve(n)de lo s(igno)re do(n) Federico co(n) cinquo galer(e), et quello giorno medesimo se ro(m)pìo la tregua co(n) [l]i fra(n)cisi in Nap(uli)1. Eode(m) a(n)no, a li 26 d(e) octob(r)o, partìo mo(n)signor(e) d(e) Pesara co(n) l’armata2. Eode(m) an(n)o fo pigliata Nocera de li Pagani da re Ferra(n)te s(ecund)o, ch(e) dicta Nocera se teneva p(er) li fra(n)cisi, et fo a li 10 d(e) noveb(r)o3; et le dicte ge(n)te d(e) re Ferra(n)te la sacchigiao4. Eode(m) an(n)o, a li 13 d(e) noveb(r)o, fo pigliata la citadella d(e) Castello Novo p(er) mano d(e) re Ferra(n)te s(ecund)o et suo exercito, la quale fo pigliata p(er) forcza5. [78] A li 1496, a li 18 d(e) magio, lo Gra(n) Capitanio no(m)minato Co(n)salvo Ferra(n)te pigliò p(er) forcza Layno ad// (c. 21r) meczanocte, dove ce pigliò [lo figlio] del co(n)te d(e) Capaczia no(mina)to Iacobo A(n)tonio d(e) Sa(n)severino, q(u)ale ce fo morto, et dui alt(r)i ce foro pigliati presuni et ma(n)dati in Nap(u)li al s(ignor)e re1. In quello medesimo dì in A(b)bru(n)czo fo ructo lo s(ignor)e Carlo de Sanframu(n)do, lo q(u)ale tenea la parte de re Fra(n)za, et fo ructo da lo co(n)te d(e) Pop(o)li et lo s(ignore) do(n) Carlo d(e) Aragona et da lo duca d(e) Amelfe2. Eode(m) an(n)o, a li 22 d(e) iunio, vende da Frangnito una i(m)magine de la Vergene Maria, la q(u)ale lo s(ignor)e re Ferra(n)te à brusiata la terra ch(e) se teneva p(er) li fra(n)cisi, et essa i(m)ma(g)gine no(n) se adbrusiò nie(n)te p(er) vero miracolo3; et lo s(ignor)e re, vede(n)no tale miracolo, subbito la ma(n)dò i(n) Nap(u)li, ch(e) al p(r)ese(n)te sta ad Sa(n)ta M(ari)a d(e) la Nova4. Eode(m) a(n)no, a li 17 d(e) iulio, se fecero li capitoli tra la S(igno)ria d(e) re [76] 3 r[eb]ellata] taglio nella carta; 5 a li 10] a li corrette su 23. [77] 1 [l]i fra(n)cisi] taglio nella carta; 2 a(n)no] corretto su dì; 2 mo(n)signor(e)] s corretta su g; 3 de li] -e corretta su a; 3 da re] d(e) re. [78] 1 pigliò [lo figlio] del co(n)te] pigliò del co(n)te; 1 Capaczia] Capaciza; 2 medesimo] segue a(n)no, espunto; 3 de la Vergene] de la v vergene; 3 à brusiata] s corretta su f; 3 i(m)ma(g)gine] i(m)ma(g)gine/ inma(g)gine; 4 d(e) la] d(e) la la (con il secondo la espunto); 5 capitoli] t corretta su l. Croniche [79] [80] [81] [82] [83] 17 Ferra(n)te s(ecund)o et mo(n)signor(e) d(e) Bo(n)pensieri et Vergilio Orsino et alt(r)i capitani fra(n)cisi, p(er)ch(é) il p(redic)to s(igno)re re li havea assediati a la Tella5; et de poi a li 17 d(e) agusto il p(redic)to re hebbe la terra no(m)minata la Tella una co(n) li capitanii fra(n)cisi et italiani, et lo p(redic)to re Ferra(n)te// (c. 21v) fe’ venir(e) li fra(n)cisi et capitanii i(n) Castello ad mar(e) et llà stectero circha 21 iorno, dove incom(en)zaro ad cascar(e) malati p(er) modo ch(e) ne morivano 100 lo dì6. Vede(n)no questo il p(redic)to re lo fece inbarchar(e) tucti et a(n)daro ad Baya, et llà stectero, ch(e) tucti se admalaro, dove ce foro quasi morti tucti7. Eode(m) an(n)o, a li 4 d(e) octob(r)o, fo morto lo p(r)icipe d(e) Spa(n)gna no(m)mine do(n) Io(ann)i d(e) Aragona8. Eode(m) a(n)no a li 7 d(e) octob(r)o, d(e) vernedì, a le 14 hor(e) morìo re Ferra(n)te s(ecund)o i(n) lo Castello d(e) Capuana et fo socterrato i(n) Sa(n)to Do(m)minicho, et succese il regnio ad do(n) Federicho suo cio carnale, p(er)ch(é) <i>l (con)da(m) re morìo secza erede9. Eode(m) an(n)o, a li 14 d(e) octob(r)o, in lo Castello d(e) Capuana lo s(igno)re Ber(nardi)no d(e) Sanseverino p(r)icipe d(e) Bisignano fo feruto ad uno pognalo in pecto p(er) mano de uno grecho, nepote de lo i(m)parator(e) Co(n)sta(n)tino10; et subbito fo pigliato, et a li 2 dì fo squartato allo Merchato d(e) Nap(uli) co(n) multa devotione11.// (c. 22r) A li 1496, a li 6 d(e) noveb(r)o, morìo mo(n)signor(e) d(e) Bo(n)pe(n)sieri, cap(itani)o d(e) la ge(n)te d(e) re d(e) Fra(n)cza, lo q(u)ale admalò ad Baya co(n) li alt(r)i fra(n)cisi, et morìo ad Pecczuli, et fo socterrato ad S(an)to Frac(isc)o d(e) Poczolo1. Eode(m) a(n)no, a li 19 d(e) noveb(r)o, re Federicho hebbe Gaeta, ch(e) la teneva adsediata p(er) mar(e) et p(er) terra1. Eode(m) an(n)o, a li 21 d(e) noveb(r)o, lo Gra(n) Capitanio intrao i(n) Nap(u)li, il quale veni[va] como cap(itani)o i(n) favore d(e) re Federicho co(n)tra fra(n)cisi2. A li 1497, a li 13 d(e) ie(n)naro, ve(n)de lo corpo d(e) s(an)to Iennaro, lo q(u)ale stava i(n) Sa(n)ta M(ari)a de Mo(n)tev(er)gene sop(r)a la Tripaula1. Eod(e)m a(n)no, a li ii d(e) marzo, lo Gra(n) Capi(tanio) no(m)mine Co(n)salvo Ferra(n)te se partìo da Nap(u)li et pigliò Hostia p(er) sforcza, et piaoce uno capitanio fra(n)cese dentro2; et de poi la donao dicta Hostia ad papa Alisa(n)dro3.// (c. 22v) A li 1497, a li 18 d(e) iu(n)gno, fo admaczato il duca de Candia p(er) mano del fratello cardinale d(e) Vale(n)tia, li q(u)ali erano figlioli d(e) papa Alixa(n)dro tucti dui1. A li 1497, a li 10 d(e) agusto, re Federicho se i(n)coronò in la cità de Capua p(er) mano del cardinale de Vale(n)tia, figliolo d(e) papa Alixa(n)dro, lo q(u)ale fo po’ ducha d(e) Vale(n)tino, il q(u)ale [fo] il più crudile homo fosse nato sop(r)a [78] 6 morivano] v inserita nell’interlinea su a; 7 lo fece] lo/ lo fece; 7 ch(e) tucti] -i su lettera illeggibile; 8 Eode(m) an(n)o] a sinistra una manina con l’indice puntato disegnata con lo stesso inchiostro adoperato per la scrittura di questa notizia; 9 Eode(m) a(n)no] cfr. lib. I. 78.8; 9 a le 14] -e su -i. [78] 10 i(m)parator(e)] la seconda r inserita nell’interlinea su o. [80] 2 veni[va]] taglio nella carta. [81] 2 piaoce] tra i ed a una l inserita successivamente. [83] 1 A li 1497] nel margine esterno della carta, una piccola corona; 1 [fo]] taglio nella carta. 18 Gasparro Fuscolillo la terra1. Eode(m) an(n)o, a li 28 d(e) (set)teb(r)o, se rebellao lo pri(n)cipe de Salerno no(m)minato A(n)tonello d(e) Sanseverino, et subbito re Federicho posse in ordine le ge(n)te d’arme et fa(n)taria et ma(n)dolle ad Salerno, et alli 15 d(e) dicto pigliò dicta terra2. Eode(m) an(n)o, a li 2° d(e) octob(r)o, intrao la regina Ysabella d(e) casa d(e) Balzo, moglier(e) d(e) re Federicho, la q(u)ale ve(n)de da Puglia3.// [84] (c. 23r) A li 1498 a li 12 d(e) frebaro, d(e) martedì, a le hor(e) 23, vende da Diano il re Federicho p(er)ch(é) havea tenuto assedio lo p(r)icipe d(e) Salerno, il q(u)ale no(n) posse(n)do resister(e) i(n) Diano (contra) il re, e capitoliczò co(n) sua M(aiest)à de dar(e) ad quella tucte le fortelliczi, et ch(e) li donasse il passagio d(e) posser(e)sende a(n)dar(e)1; et il re fo co(n)te(n)to, et hauto che hebbe Diano, se partìo v(er)so lo ca(m)mino d(e) Pu[li]cast(ro) et llà se i(m)barchò co(n) 4 galer(e) et se ne ve(n)de i(n) Nap(u)li2. Ma la p(r)ima volta ch(e) dismo(n)tò da le galer(e) fo i(n) Castello ad mar(e), et llà [se] reposao 3 dì et poi se i(m)barchao et vende in Nap(u)li3. Eode(m) an(n)o a li 7 d(e) aprile, d(e) sabbato, morì re Carlo d(e) Fra(n)cza in Bles et succese il regnio al ducha d(e) Orielies no(m)mi(na)to mo(n)signor(e) L[o]yse, et fo facto re d(e) Fra(n)cza4. Eod(em) a(n)no, a li 25 d(e) iuglio, cavalcò p(er) Nap(u)li il p(r)incipe d(e) Amelfe no(m)minato Troyano Caracziola, il <qu>ale p(r)ima se chiamava duca, et calvachò co(n) la inpresa d(e) casa d(e) ’Rogona5. Eod(e)m an(n)o, alli 26 d(e) iug(n)o, calvacò p(er) Nap(u)li almiralglio d(e) mar(e) il p(r)incipe d(e) Basignano, no(m)minato Ber(nardi)no d(e) Sa(n)toseverino, et calvacò multo honoratame(n)te co(n) la inpresa d(e) casa d(e) ’Ragona6.// [85] (c. 23v) A li 1499, a li 15 d(e) iennaro, lo s(igno)re re Federicho intrao i(n) la cità dell’Aquila d(e) iovedì ad hor(e) 181; et ce forono co(n) sua M(aies)tà li subtoscripti s(igno)ri, (videlicet) lo s(ignore) do(n) Carlo, lo co(n)te d(e) Populi, lo ducha d(e) Termine et alt(r)i s(igno)ri, dove foro in tucto, fra ad pedi et ad cavallo, più d(e) 5000 p(er)sone2. Eode(m) a(n)no, a li 17 d(e) ie(n)naro, morìo in Senalglia il p(r)incipe d(e) Salerno no(m)mina[to] Anto(ne)llo d(e) Sa(n)severino3. Eode(m) a(n)[no], alli 17 d(e) ie(n)naro, morìo in Senalglia il p(r)incipe d(e) Salerno4. Eode(m) a(n)no, a li 22 d(e) magio, m(issere) in Paschale co(n)te d(e) Alife morìo a le 13 hor(e), et lo corpo suo sta interrato ad Sa(n)ta M(ari)a d(e) la Nova d(e) Nap(uli)5. Eode(m) an(n)o, a lo p(r)imo d(e) (set)teb(r)o, la regina Ioa(n)na vedua, moglier(e) d(e) re Ferra(n)te p(r)i(m)o, se i(m)barchò co(n) dui navi grosse d(e) 4000 bucti l’una et a(n)dò i(n) Spagnia ad trovar(e) el suo fratello no(m)minato re Ferra(n)te d(e) A>ra@gona et d(e) Spa(n)gia6. Eode(m) a(n)no, a li 9 d(e) (set)teb(ro), se re(n)dìo Milana ad re d(e) Fra(n)cza no(m)minato re Loyse7.// (c. 24r) Eode(m) a(n)no a li 7 d(e) ap(r)ile, d(e) [83] 3 Ysabella] Ysalella; 3 Balzo] lalzo (la seconda l corretta su s). [84] 2 lo ca(m)mino d(e)] lo ca(m)mino d(e)/de; 2 Pu[li]cast(ro)] taglio nella carta; 3 [se]] taglio nella carta. [85] 2 subtoscripti] r nell’interlinea su i; 3 no(m)mina[to]] taglio nella carta; 3 Antonello] -o- inserita nell’interlinea su t; 5 magio] a inserita nell’interlinea su g; 6 Spagnia] g corretta su n, n corretta su i. Croniche 19 lu(n)nedì, a le 2 hor(e) d(e) nocte, figliò la regina Ysabella del Barzo molglier(e) d(e) re Federicho et fece uno figliolo mascolo quale hebbe nome do(n) Alfo(n)so 3°8; et fo bacticzato alla Cappella Reale d(e)l Castello Novo, et li co(m)pari forono li soptoscripti p(r)i(n)cipi, (videlicet) il p(r)icipe d(e) Besi(n)gnano, no(m)minato Ber(nardi)no d(e) casa d(e) Sa(n)[se]verino, et il p(r)icipe d(e) Amelfe no(m)minato Troyano Caracziola9. [86] A li 1500, a li 8 d(e) frebaro, il d[uc]ha d(e) Milana recuperao Milana q(u)ale se teneva p(er) fra(n)cisi1. Eod(em) a(n)no, a li 13 d(e) frebaro, ve(n)de la nova i(n) Nap(u)li ch(e) lo re(n)gno d(e) Granata era rebellato co(n)tra re d(e) Spa(n)gia2. Eode(m) an(n)o, a li 7 d(e) aprile, li sguiczari tradero il duca d(e) Milana et lo donaro in poter(e) d(e) re Fra(n)cza3. Eode(m) a(n)no, a li 25 d(e) ap(r)ile, una figura d(e) la V(er)gine M(ari)a ch(e) stava a lo Carmine d(e) Nap(uli) la pigliaro certi napolitani et lla portaro co(n) la p(ro)cessione in Roma, p(er)ch(é) era lo a(n)no sa(n)to, et p(er) lo cammino dicta figura fece miraculi ad Fu(n)di et d(e) poi in Roma// (c. 24v) fece miraculi adssai4; et il papa ce la volse far(e) levar(e), ma il cardinale d(e) Nap(u)li no(n) volso5; et torna(n)dose in Nap(u)li la posero in lo altar(e) mayor(e) d(e)l Carmino dove al p(rese)nte sta, e ha facti et fa multi miraculi, dove have sanati multe cieche et zo(n)ppi et alt(r)i mali como chiarame(n)te se vede, et se ne è facto p(ro)cessi6. Eode(m) an(n)o del mese d(e) magio adparse cometa i(n) tramo(n)tana co(n) la coda v(er)so meczogiorno, co(n) una stella v(er)so pone(n)te, la q(u)ale era multo luce(n)te7. Eode(m) an(n)o, a li 15 d(e) iulio, vende l’armata d(e) re d(e) Spa(n)gia i(n) Sicilia, ch(e) foro 46 barche8. Eode(m) a(n)no, a li 28 d(e) iuglio, il duca Vale(n)tino no(m)mine Cesaro, figliolo d(e) papa Alixa(n)dro, adsaltò lo s(ignore) d(on) Alfo(n)so d(e) ’Ragona suo co(n)gnato, q(u)ale era figliolo bastardo d(e) re Alfo(n)so 2° d(e) casa d(e) ’Ragona, et lo ferìo i(n) testa9; et de poi alcuni dì ch(e) era quasi sano lo assaltao un’alt(r)a volta nello lecto, et li posse un pu(n)gnale i(n) quella// (c. 25r) medesima ferita et una tovalglia in boccha p(er) modo ch(e) lo fenìo d(e)l tucto10; del ch(e) il papa ne hebbe gran dispiacer(e)11. [87] A li 1500, a li 20 d(e) iuglio, vende la nove in Nap(u)li ch(e) l’armata del Turcho era 300 vele adpresso golfo1. Eode(m) an(n)o, a li 10 d(e) agusto, vende la nova i(n) N[a]p(o)li como lo figliolo del re d(e) Portagallo, quale era p(r)incipe d(e) Spagna, cas>c@hao da cavallo et subbito fo morto2. Eode(m) a(n)no, a li 13 d(e) agusto, fo pigliato Modo et Corona da l’armata del Turcho, le q(u)ale terre erano de la Signoria d(e) Venecia3. Eode(m) an(n)o, a li 19 d(e) dece(m)b(r)o, de(n)tro la cità d(e) Nola mirìo m(issere) Ia(n)naderno genoese, cap(itani)o d(e) le ge(n)te d’arme d(e) re Federicho4. [85] 9 p(r)i(n)cipi] titulus segnato sulla seconda i; 9 (videlicet) il p(r)icipe] -p- corretta su n; 9 Sa(n)[se]verino] taglio nella carta. [86] 1 d[uc]ha] taglio nella carta; 2 Spa(n)gia] g corretta su lettera illeggibile; 2 re(n)gno] n corretta su i; 2 rebellato] -o corretta su -a; 6 facto] focto; 10 assaltao] a inserita tra t ed o; 10 tovalglia] g corretta su i; 11 hebbe] -e- corretta su a. [87] 2 N[a]p(o)li] taglio nella carta; 2 Portagallo] p- corretta su altra lettera, la prima a corretta su o, -o corretta su -e; 3 le q(u)ale] lo q(u)ale. 20 Gasparro Fuscolillo [88] A li 1501, a li 16 d(e) magio, vende da Ungaria la regina d(e) Ungaria no(m)minata ma(d)da>mma@ Beatrice d(e) Aragona, figliola d(e) re Ferra(n)te p(r)i(m)o, p(er)ch(é) lo marito l’avea renu(n)ciata p(er) causa ch(e) no(n) faceva figlioli1.// (c. 25v) Eode(m) an(n)o, a li 19 d(e) magio, fo pigliato lo p(r)icipe d(e) Bisignano no(min)e Ber(nardi)no de Sa(n)severino, lo q(u)ale era traditor(e) del re Federicho suo co(m)par(e)2. Eode(m) an(n)o, a li 25 d(e) magio, figliao la regina Ysabella et fece uno figliolo mascolo3. Eode(m) an(n)o, a li 28 d(e) magio, vende la p(ri)cipessa d(e) Bisignano ch(e) havea re(n)dute tucte le forte[lli]cze al duca Carlo da parte del s(igno)re re Federicho d(e) ’Ragona4. Eode(m) a(n)no, alli 6 d(e) agusto, lo s(igno)re re Federicho fece bactizar(e) lo figliolo i(n) la Cappella Reale del Castello Novo d(e) Nap(u)li, q(u)ale hebbe nome do(n) Cesaro5; et li co(m)paro forono lo soptosc[r]ipto s(igno)re, (videlicet) lo inbassator(e) d(e) Venecia6. Eode(m) an(n)o, a li 29 d(e) iug(no), partìo il re Federicho co(n) le ge(n)te d’arme et a(n)dò p(er) fine ad Capua, p(er)ch(é) li venia lo exercito d(e) re d(e) Fra(n)cza inco(n)tra7; et de poi ne tornò a li 3 d(e) lulglio in Nap(u)li sulo co(n) la guardia soa8.// (c. 26r) Eode(m) an(n)o, a li 26 d(e) iulio, tucte li ge(n)telo(m)mini et popoli napolitani se honero insiemi in lo archipiscopato d(e) Nap(u)li et iuraro ’magio et esser(e) ad uno male, et se fecero dir(e) la messa dal viscopo d(e) Nap(u)li et tucti iuraro sop(r)a lo Corpo d(e) (Cri)sto d(e) essere tucti uniti9. [89] A li 1501, a li 17 d(e) iuglio, li fra(n)cisi pilgliaro Capua ad pacto et de poi la sacchigero1; et li cap(itani)i fra(n)cisi foro li sop[to]scripti, (videlicet) lo s(igno)re de Bongy, fransese, et il co(n)te d(e) Cayacza d(e) casa d(e) Sa(n)severino, italiano2; et d(e) loro sachigam(en)to ne fo causa il duca d(e) Vale(n)tinos, figliolo d(e) papa Alixa(n)dro3. Eode(m) an(n)o, a li 29 d(e) iuglio, se apersero le porte d(e) S(an)to Piet(r)o ad Ara in Nap(u)li p(er) lo iubileo li havea ma(n)dato papa Alexa(n)dro4. Eode(m) dì venne in Nap(u)li lo tro(m)becta d(e) fra(n)cisi, et fe’ com(andamen)to ad napolitani devessero portar(e) le chiave ad mo(n)signor(e) d(e) Bongi et ch(e) devessero alczar(e) le ba(n)der(e) d(e) re d(e) Fra(n)cza5.// (c. 26v) Eode(m) an(n)o re Federicho fece ava(n)ti lo tarsinar(e) parlam(en)to ad tucti baroni et ge(n)tilo(m)mini, et poi li regracia(n)doli del bono amor(e) havea trovato in loro et cussì fece re(n)de il magio6; in medesimo dì et una co(n) la mo(n)glier(e) et figlioli se inbarcharo et a(n)d<a>ro ad Yscha7. [90] A li 1501, a li 30 d(e) iulio, li electi d(e) Nap(u)li a(n)daro ad canpo d(e) fra(n)cisi ch(e) stava ad Marczanisi ad iurar(e) ’magio, et a li 31 del dicto ve(n)dero li cap(ito)li spa[c]zati da mo(n)signor(e) de Bo(n)gi cap(itani)o d(e) ca(m)[88] 4 forte[lli]cze] taglio nella carta; 4 al duca] al duca d(e) [con d(e) espunto]; 5 fece] -e corretta su altra lettera; 5 lo figliolo] i(n) lo figliolo (con la -o di lo corretta su i); 5 i(n) la] l corretta su altra lettera; 6 lo] -o corretta su -i; 6 soptosc[r]ipto] -o corretta su -i; 6 inbassator(e)] i- corretta su s; 7 exercito] t corretta su altra lettera, forse c. [89] 2 sop[to]scripti] taglio nella carta; 5 Eode(m) dì venne] Eode(m) d(e) vernedì; 6 re Federicho] aggiunto successivamente su Ferra(n)te, espunto. [90] 1 a li 31 del] a li 31 d(e) del [con d(e) espunto]; 1 spa[c]zati] taglio nella carta. Croniche 21 po fra(n)cese1. Eode(m) an(n)o, a li 31 d(e) iuglio, se scappulao lo principe d(e) Bisignano ch(e) stava p(r)esone allo Castello Novo, et pagò ducati 10.000 p(er) lo rescacto d(e) s(igno)re Frabicio Colo(n)da, ch(e) fo pigliato ad Capua, ch(e) era capitanio d(e) re Federicho d(e) Aragona2.// (c. 27r) Eode(m) an(n)o, a lo p(r)i(m)o d(e) agusto, vendero sei galer(e) d(e) Villamarina, cap(itani)o d(e) l’armata d(e) re d(e) Spagna3. Eode(m) a(n)no, a li 2° d(e) agusto, re Federicho redé tucte le fortellicze, a le 3 hor(e) de nocte se ne a(n)daro in Yscha4. Eode(m) an(n)o, a li 30 d(e) agusto, se ne intraro la reg[i]na infa(n)te figliola de re Ferra(n)te p(r)i(m)o co(n) le galer(e) d(e) Villamarina et a(n)dò ad Sorre(n)ti, et quilli d(e) Sorre(n)ti no(n) la v[ol]sero adceptar(e)5; et llà stecte adssai dì in q(ui)lli magazeii d(e) la marina, et de poi se ne andò in Sicilia6. [91] A li 1501, a li 4 d(e) agusto, trasìo mo(n)signor d(e) Bongy in Nap(u)li co(n) il co(n)te d(e) Cayacza cap(itani)o d(e) re d(e) Francza1. Eode(m) an(n)o, a li 6 d(e) agusto, vende l’armata d(e) Fra(n)cza da Genua, la q(u)ale foro 4 carra(n)che et dui galer(e) et octo fuste et sei brea(n)tini2; la q(u)ale armata era venuta p(er) sacchigar(e) Napuli3.// (c. 27v) Eode(m) an(n)o, a li 10 d(e) agusto, vende l’armata da Norma(n)dia, q(u)ale foro 11 barche4. Eode(m) an(n)o, a li 18 d(e) agusto, partìo da Nap(u)li l’armata d(e) re d(e) Fra(n)cza, la q(u)ale forono 21 nav<e>, octo galer(e), octo fuste et sei barche, le quale a(n)daro verso leva(n)te5. Eode(m) an(n)o, a li 20 d(e) septeb(r)o, morìo el co(n)te d(e) Cayacza i(n) la casa d(el) co(n)te >de@ M(a)gd(aloni), et fo sotterrato ad Sa(n)ta M(ari)a d(e) Mo(n)teoliveto d(e) Nap(u)l[i]6. Eode(m) an(n)o, a [li] 6 d(e) (set)te(m)bro, partìo re Federicho et a(n)dò in Fra(n)cza, il q(u)ale se partìo da Ysca co(n) le galer(e)7. Eode(m) a(n)no, a li 10 d(e) (set)te(m)bro, partìo da Nap(uli) il ducha <Valen>tinos et andò in Roma8. Eod(e)m a(n)no, a li 8 d(e) octobro, morìo mo(n)signor(e) d(e) Belcayro a la casa d(e)l co(n)te ca(m)melli<a>gno in Nap(u)li9. Eod(em) a(n)no, a li 7 d(e) deceb(r)o, ve(n)dero tre navi grosse da Genua d(e) 4000 bocti l’una, et a(n)daro ad trovar(e) l’armata d(e) Fra(n)cza ad Mitillino10.// [92] (c. 28r) A li 1502, a li 18 d(e) marczo, partìo da Nap(u)li il vicerré d(e) fra(n)czisi no(m)minato lo ducha d(e) Manues, lo q(u)ale stava veceré in Nap(u)li da parte d(e) re d(e) Fa(n)cza, et andò in Puglia p(er) spartir(e) lo regno co(n) re d(e) Spagna1. Eode(m) an(n)o, a li 14 d(e) magio, se most(r)ò una gra(n) copi[a] d(e) vermi in color(e) d(e) horo, et q(ui)sti intorno le mur(e) d(e) Nap(u)li2; et poi alcuno <dì> d(e) poi adparsero certi alt(r)i vermi nig[ri] et pelosi, et admaczorno tucti li sop(r)adicti vermi3. <R>emasero i(n)torno le mur(e) d(e) Nap(u)li4. Eode(m) an(n)o a li 10 d(e) iug(li)o, d(e) sabbato, a le 24 hor(e), la regina Ysa- [90] 5 intraro] la seconda r aggiunta nell’interlinea tra a ed o; 5 reg[i]na] taglio nella carta; 5 v[ol]sero] taglio nella carta; 6 adssai] i corretta su lettera illeggibile. [91] 3 Napuli] l tagliata da titulus pleonastico; 7 a [li]] taglio nella carta; 10 a li 7 d(e)] a li 7 d(e) d(e); 10 bocti] bacti. [92] 1 il vicerrè] vicer aggiunto nell’interlinea tra il e re; 1 fra(n)czisi] s corretta su a; 2 copi[a]] taglio nella carta; 3 nig[ri]] taglio nella carta; 5 iug(li)o] u corretta su n. 22 Gasparro Fuscolillo bella co(n) tutti li figlioli vendero i(n) Nap(u)li, et li fo donata la sta(n)tia al Castello dell’Ovo p(er)ch(é) ad Yscha era la peste5. [93] A li 1502, a li 13 d(e) agusto, se bandìo la guerra in p(rim)o co(n) quattro tro(m)becte (contra) d(e) re d(e) Spangna et il Gra(n) Capitanio, q(u)ale e<ra> cap(itani)o del re d(e) Spa(n)gna, p(er)ch(é) erano i(n) deffere(n)tia al spartir(e) il re(n)gio1.// (c. 28v) Eode(m) an(n)o, a li 21 d(e) agusto, la regina Ysabella, mo(n)glier(e) d(e) re Federicho, una co(n) li figlioli se ne a(n)dero i(n) Fra(n)cza ad trovar(e) il marito et pat(r)e2. Eode(m) an(n)o, a li 22 d(e) agusto, il duca d(e) Namurs, vecerré d(e) Nap(u)li, co(n) alt(r)i s(igno)ri fra(n)cisi et pigliaro la cità d(e) Canosa ad pacto3. Eode(m) an(n)o, a li 13 d(e) octob(r)o, il Gra(n) Cap(itani)o no(m)i(n)e Co(n)salvo Ferra(n)te ma(n)dò 5 bender(e) d(e) spa(n)gnoli a la Tripalda, et quella tenero p(er) alcuni dì p(er) lo s(ignore) re d(e) Spa(n)gna4; et d(e) poi foro d(e) occordio co(n) li fra(n)cisi et fecero treva, et le dicte ba(n)dere d(e) spa(n)gnoli se ne tornaro i(n) Barletta5. Eod(em) a(n)no, a li 8 d(e) dece(m)bro, il vecerré fra(n)cese, no(m)i(n)e duca d(e) Namurs, et era in Amelfe et in le alt(r)e terre co(n)vicine co(n) tucto lo ca(m)po, dove ro(m)peo la treva co(n) li spa(n)gnoli, et lo Gra(n) Cap(itani)o era in Barletta co(n) pocha ge(n)te, q(u)ale no(n) erano basta(n)te co(n) li fra(n)cisi6;// (c. 29r) et il vecerré fra(n)cese se partìo da Melfe a li 9 d(e) dicto mese et a(n)dò ad trovar(e) il Gra(n) Cap(itani)o, lo q(u)ale adsegiò i(n)tra Barlecta et lloco stecte più d(e) un mese, dove ce erano una co(n) sua il(lustrissi)ma S(igno)ria il s(igno)re Frabicio, et il s(ignore) P(ro)spero Colonna, et lo co(n)te d(e) Popolo, et lo s(ignore) Andrea d(e) Altavilla, et lo ducha d(e) Termine et multi alt(r)i s(igno)ri spa(n)gnoli et ’taliani, q(u)ale d(e) co(n)tinuo insivano fora et facevano diverse cor[r]arie et maxima a la duana d(e) le pechore, de le q(u)ale multe migliar(e) ne portavano de(n)tro Barletta7; et la sacchiaro ta(n)ta volte dicta duana ch(e) la strussero, p(er)ch(é) li fra(n)cisi no(n) la potevano salvare p(er) li sop(r)adicti spa(n)gnoli ch(e) essevano bene ad cavallo8. Eode(m) an(n)o, in quel te(m)po ch(e) il Gra(n) Cap(itani)o no(m)i(n)e Co(n)salvo Ferra<ndo> stava adsediato de(n)tro Barlecta, uno dì fo i(n) diffida li fra(n)cisi co(n) ’taliani, et se diffidero tridici ho(m)mini// (c. 29v) d’arme ’taliani et tridici fra(n)cisi9; q(u)ali italiani foro li subscripti, (videlicet) Hectorre Ferramoscha, lo s(ignor)e Troyano Pappacoda, lo s(ignore) Troiano Mormini, Marca(n)tonio Corallaro, napulitano, m(issere) Fra(n)cisco Salamone, missinisi, Gullelmo d(e) la Ficarra, ciciliano, Io(ann)i Corpocza, Ioa(n) Bracalone et Hectorre Romano, Marino d(e) Al<b>enante et Lodovico d(e) Abenavole, Lorenczo d(e) Palma d(e) Lo(m)bardia10. Et vensero [92] 5 donata] donara. [93] 1 re(n)gio] re(n)gie; 2 Ysabella] b corretta su altra lettera; 3 Namurs] Tramurs; 5 treva] a destra, macchia d’inchiostro; 6 il] l corretta su n; 6 vecerré fra(n)cese] vecerré Re fra(n)cese; 6 pocha] o corretta su a; 6 erano] no aggiunto nell’interlinea su a; 7 da Melfe] d tagliata da titulus; 7 P(ro)spero] s corretta su f; 7 co(n)te] -e corretta su -o; 7 cor[r]arie] taglio nella carta; 8 essevano] -o su altra lettera, forse -e; 9 Co(n)salvo] s corretta su f; 9 co(n) ’taliani] -i corretta su -o; 10 Ferramoscha] -a corretta su -e; 10 Troiano] i aggiunta nell’interlinea su a; 10 ciciliano] la terza i aggiunta nell’interlinea su a. Croniche 23 li ’taliani11. Eode(m) a(n)no, a li 15 d(e) dece(m)bro, se rebellao Castellaneta (contra) li fra(n)cisi12. Subbito mo(n)signor d(e) Namurs, vecerré fra(n)cese, spaccziò uno suo cap(itani)o co(n) mult<a> ge(n)te d’arme et fa(n)taria et li ma(n)dò p(er) la recuperatione d(e) dicta Castellaneta, et li co(m)ma(n)dò devesse poner(e) ad sa(n)gue et ad foco13. Et i(n) quel medesimo dì se rebellò Matera (contra) re d(e) Spagna, et lo co(n)te d(e) Matera fugìo verso Tara(n)to et se i<nc>ontra co(n) li sop(r)adicti fra(n)cisi ch(e) a(n)davano// (c. 30r) verso Castellaneta, et cu(n)ssì fecero facto d’arme et fo ructo il sop(r)adicto co(n)te d(e) Matera14; et i(n) quella bataglia forono a li Ca(m)miti d(e) Tara(n)to, i(n) la q(u)ale fo pigliato p(r)esone lo sop(r)adicto co(n)te et alt(r)e sue ge(n)te15. Da poi il sop(r)adicto co(n)te se rescactao, p(er)ò se fermoreno li cap(ito)li tra spa(n)gnoli et fra(n)cisi16; del q(u)ale res[c]acto li deo p(er) ’stagio uno suo fratello no(m)i(n)e Silvestro Tramo(n)tano et un alt(r)o suo nepote n(om)i(n)e P(er)loysi Tramo(n)tan[o], et ipso se tornò i(n) Barlecta al Gra(n) Cap(itani)o17. Eode(m) a(n)no, 27 d(e) dece(m)b(r)o, lo s(ignor)e Gra(n) Cap(itani)o no(m)i(n)e Co(n)salvo Ferra(n)do se partìo d(e) nocte co(n) tucto lo exercito da Barlecta et tirò la vo<l>ta d(e) Ruvo, et ad l’abli d(e) dì la pigliao et sacchigiò, et ce pigliò mo(n)signor(e) d(e) la Palicza co(n) ce(n)to hom(m)[i]ni d’arme et fa(n)ti gascuni18. I(n) quello medesimo se tornò in Barletta co(n) la p(r)eda et d(e) quelle arme et cavalli ne fece d(e) spangoli una bella co(m)pagnia d(e) ce(n)t<o> homini d’arme, d(e)l ch(e) inco(m)miczò ad fortifichar(e)19. // (c. 30v) Eode(m) an(n)o, a li 28 d(e) dece(m)bro, lo marchese de Bito(n)te f<o> ructo in lo terreno d(e) Co(n)versano et de Rotilgliano, q(u)ale marchese era d(e) casa d’Accquaviva, lo q(u)ale a(n)dava ad trovar(e) lo vecerré fra(n)cese il q(u)ale era da parte d(e) fra(n)cisi20. A(n)dao co(n) una bella co(m)pagnia li q(u)ali forono 100 ho(m)mini d(e) arme italiani et cinq(ue)ce(n)to fa(n)ti, le q(u)ale p(er) sorte se i(n)co(n)trao co(n) Pietri Navarro cap(itani)o d(e) fa(n)taria del Gra(n) C[ap](itani)o, il q(u)ale era partuto da Venosa p(er) a(n)dar(e) ad Rotigliano p(er)ch(é) se teneva p(er) re d(e) Spagna, et portava octoce(n)to fa(n)ti et pochi cavalli21; et fecero facto d’arme a lo sop(r)adicto loco, dove fo ferito lo marchese p(r)edicto et ancho fo pigliato p(r)esone, et fo portato in Barletta al s(ignor)e Gra(n) Cap(itani)o [...] pigliò lo sop(r)adicto marchese et lo s(ignore) d(e) la Paliczia et li ma(n)dò p(r)esone a lo castello de la cità d(e) [93] 11 Et vensero l’italiani] inserito successivamente da altra mano: il ductus e l’inchiostro sono diversi; cfr. § III.4; 12 a li 15] 15 aggiunto nell’interlinea su altre lettere espunte ed illeggibili; 12 (contra) li] -i corretta su altra lettera, probabilmente -e; 13 Subbito] -o corretta su -a; 17 Tramo(n)tan[o]] taglio nella carta; 18 nocte] c aggiunta nell’interlinea su o; 18 exercito] exercioto; 18 da] d tagliata da titulus; 18 d’arme] -e corretta su -a; 19 p(r)eda] p(r)edicta da (con dicta espunto); 19 co(m)pagnia] n corretta su i; 20 Bito(n)te] -e corretta su o; 21 Navarro] -o su -a; 21 C[ap]it(ani)o] taglio nella carta; 22 portato] a corretta su altra lettera; 22 Paliczia] c aggiunto nell’interlinea su z. 24 Gasparro Fuscolillo Ma(n)fredonio, et llà li teneva multo st<r>ectame(n)te22 .// (c. 31r) Eode(m) an(n)o, a lo ultimo d(e) dece(m)bro, lo s(ignor)e Alfonso d(e) Sa(n)severino se ne fugìo co(n) 100 homini d’arme, ch(e) teneva la co(n)nuta, et tirao la volta d(e) Calabria ad trovar(e) mo(n)signor(e) d(e) Bengii24. [94] A li 1503, a li 6 d(e) ie(n)naro, vende ad Roma la nova como il duca Vale(n)tino, figliolo d(e) papa Alixa(n)dro sesto, haveva tagliata la testa al duca d(e) G[ra]vina d(e) casa Ursina et ad certi alt(r)i capitanii d(e) casa Ursina, et ancho fe’ [pi]gliar(e) il cardinal Ursino et lo fe’ buctar(e) i[n] [fi]ume1. Eode(m) an(n)o, a li 20 d(e) frebar(e), ve(n)dero da Yscha duy fuste p(er) brusiar(e) l’armata d(e) Fra(n)cza, p(er)ch(é) Yscha teneva le ba(n)der(e) d(e) Spa(n)gna2. Eode(m) an(n)o, a li 12 d(e) ap(r)ile, in Nap(u)li se è figliata una gacta i(n) casa d(e) Batista Bespulo Spiciale, et fece una gacta d(e)l meczo i(n) su como gacta, co(n) uno corpo, et dal meczo i(n) bassio dui corpi, et octo pedi et 4 orecchie et dui code p(er) ciaschuno corpo3.// [95] (c. 31v) A li 1503, a li 24 d(e) ap(r)ile, il Gra(n) Cap(itani)o del re d(e) Spagia, no(m)i(n)e Co(n)salvo Ferrado, et multi alt(r)i signuri italiani infrascripti, (videlicet) lo s(ignore) Andrea d(e) Altavilla, duca d(e) Termine, et lo co(n)te d(e) Popolo et alt(r)i s(ignor)i d(e) regnio et il co(n)te d(e) Matera, d(e) vernedì, a le 23 hor(e), ro(m)pero il duca d(e) Namurs vecerré [d(e)] Fra(n)cza1; q(u)ale era uno bello exercito co(n) multi cap(itan)ii fra(n)cisi e[t] [’t]aliani, tra li q(u)ali ce era il pri(n)cipe d(e) Amelfe, et il marchese d(e) Lucito, et alt(r)i s(ignor)i italiani, in la Cirignola, d(e) sorte se havevano un’alt(r)a hora d(e) dì no(n) ce remaniano nessciuno fra(n)cese vivo, tra li quali ce fo morto il duca d(e) Namurs, vecerré fracese2. Et octo dì inna(n)ti fo ructo mo(n)signor(e) d(e) Bo(n)gi, cap(itani)o d(e) re d(e) Fra(n)cza, i(n) Calabria co(n) un alt(r)o exercito d(e)l s(ignore) Io(ann)i Uvo d(e) Cardona, q(u)ale era desmo(n)tato ad l’isola d(e) Sicilia3; in lla q(u)ale rocta ce fo pigliato// (c. 32r) presone mo(n)signor(e) d(e) Bengii, cap(itani)o d(e) re d(e) Fra(n)cza4. Eode(m) an(n)o, a li 14 d(e) magio, vende il marchese d(e) lo Guasto da Yscha et portò le chiave d(e) Yscha al Gra(n) Cap(itani)o no(m)i(n)e (Con)salvo Ferrado, lo q(u)ale stava co(n) lo exercito allo Gaudello p(er)ch(é) haveva seq(u)itato la victoria, et veniva p(er) poner(e) ca(m)po in Nap(u)li5; et i(n) questo sop(r)adicto dì ve(n)ne uno tro(m)betta del Gra(n) Cap(itani)o a la porta Capuana, ch(e) la cit[à] se tenesse a la fedelità d(e) re d(e) Spagnia, et fo risposto ch(e) se a(n)dasse co(n) Dio6. In [q]uello medesimo dì ven(n)e p(er) la via d(e) Nola il co(n)te d(e) Matera ne la porta del Merchato d(e) Nap(u)li co(n) pochi cavalli p(er) intrare, et li fo facto resposta et resiste(n)czia, c(h)e no(n) intrò in quell’ora7; et poi intrò como cetadino napulitano8. Eode(m) an(n)o a li 13 d(e) magio, vene(n)do lo martedì, a le [94] 1 G[ra]vina] taglio nella carta; 1 [pi]gliar(e)] taglio nella carta; 1 i[n]] taglio nella carta; 1 [fi]ume] taglio nella carta. [95] 1 [d(e)]] taglio nella carta; 2 e[t] [t]aliani] taglio nella carta; 5 magio] a aggiunta nell’interlinea su g; 5 exercito] exertito (con la seconda t corretta su c); 6 i(n) questo] i(n) aggiunto nell’interlinea su q-; 6 cit[à]] taglio nella carta; 7 [q]uello] taglio nella carta; 9 a li 13] 3 corretta su altro numero. Croniche [96] 25 18 hor(e) trasìo dentro d(e) Nap(u)li il Gra(n) Capitanio co(n) parte de lo exercito, p(er)ch(é) era re(n)duta a la fedelità d(e) re d(e) Spagna9. Eode(m) an(n)o a li 13 d(e) iug(li)o, in dì d(e) s(an)to Antoni d(e) Padua, d(e) lunedì a le 22 hor(e), lo Gra(n) Cap(itani)o pigliò la citadella d(e)l Castello Novo d(e) Nap(u)li p(er) forcza de bactalglie d(e) mano, et a le 23 hor(e) appe il Castello Novo ad pacti10; et a le 24 hor(e) adparse l’armata d(e) Fra(n)cza// (c. 32v) ad Posilipo, ch(e) veniva p(er) dar(e) soccorso allo Castello Novo, il q(u)ale i(n) quella hor(e) era p(er)so11 . Eode(m) an(n)o a li 11 d(e) iulio, a le 20 hor(e), uno cap(itani)o d(e)l Gran Cap(itani)o, no(m)minato Pitri Navarro spa(n)gnolo, pigliò lo Castello Novo p(er) forcza d(e) batallglia d(e) mano, p(er)ch(é) li haveo facta una cava sopto lo castello et de poi lo i(m)pero d(e) polver(e) d(e) bu(m)b[ar]de, et de poi possero focho p(er) modo ch(e) ne caschò una banda v[er]so il Chiatamone de la sale, et ’o pilgliaro lo Castello dell’Ovo p(r)edicto12. Eode(m) an(n)o fo morto papa Alexa(n)dro 613. Eode(m) an(n)o a lo p(r)imo d(e) (set)te(m)bro, d(e) vernedì, dismo(n)tò al molo gra(n)de d(e) Nap(uli) il cardinal Colo(n)na quale veniva da Sicilia, et subbito partìo p(er) Roma14. Eode(m) an(n)o fo creato papa Pio d(e) Piccolaminib(us) d(e) generatione senese, et se creò papa alle 22 hor(e)15. Eode(m) an(n)o, a li 24 d(e) (set)te(m)bro, morìo il marchese del Guasto16. Eode(m) an(n)o, a li 8 d(e) octob(r)o, fo i(n)coronato papa Pio in Roma; et a li 27 de dicto mese fo morto il p(redic)to papa17.// (c. 33r) A li 1503, a li 6 d(e) nove(m)b(r)o, fo facto papa Iulio, et a li 14 del dicto se incoronò ad Sa(n)to Ioa(n)ni a Laterano i(n) Roma dove, nel loco dove se dice i(n) ba(n)chi, ce foro facti archi triu(m)fali co(n) diverse musiche, et tucte le strate do(n)ne passò il papa foro coperte de diverse panni d(e) racza1. Eode(m) an(n)o i(n) lo sop(r)adicto dì, d(e) lu(n)nedì, li fra(n)cisi poss[ero] lo po(n)te al Garliano p(er) voler(e) tornar(e) a la inpresa d(e) Nap(u)li, dove erano multi cap(itan)ii fra(n)cisi2; tra li alt(r)i ce era il marchese d(e) Ma(n)tua3. Li q(u)ali erano i(n) tucto circha 30.000 p(er)sone, et li spa(n)gnoli erano circha 10.000 p(er)sone4; et posto ch(e) hebbero il po(n)te, dicti fra(n)cisi passaro da l’altra ba(n)na circha 1.000 cavalli, et de poi tornoro indereto et no(n) fecero cosa alcuna5. Eode(m) an(n)o a li 18 del dicto, in le feste d(e) Natale, vende in adiuto d(e) Co(n)salvo Ferrando uno cap(itani)o italiano no(m)minato Bartolomeo d(e) Alviano, et lo seq(u)ete dì fa(n)no facto d’arme co(n) li fra(n)cisi et roppero ditto ca(m)po d(e) fra(n)cisi i llo Garliano6; et foroce li soptoscripti,// (c. 33v) (videlicet) lo s(ignor)e P(ro)spero Colo(n)na et lo s(ignor)e Frabicio, lo s(ignor)e Antrea d’Altavilla, q(u)ale era duca d(e) Termine, et alt(r)i s(igno)ri spa(n)gnoli7; et li roppero p(er) tale modo ch(e) li seq(ui)taro p(er) fino ad Gayta, q(u)ale [95] 9 exercito] exertito (con la seconda t corretta su c); 10 Padua] u corretta su n; 10 citadella] cicadello; 10 et a le] -e corretta su i; 12 Gran] r aggiunto nell’interlinea su a; 12 Novo] n e v corrette su lettere illeggibili; 12 bu(m)b[ar]de] taglio nella carta; 12 v[er]so] taglio nella carta; 12 sale] -e corretta su -i; 12 ’o] /o/. [96] 1 diverse musiche] r nell’interlinea su e; 2 poss[ero]] taglio nella carta; 5 tornoro] torrroro (la n è stata segnata unendo due r); 6 i llo] il lo; 8 per fino] -o corretta su -e. 26 Gasparro Fuscolillo pigliaro ad pacto8. Et lo dicto Gra(n) Cap(itani)o intrò in Gayta il p(r)imo d(e) ie(n)naro, q(u)ale fo d(e) a(n)no 15049. [97] A li 1505, a li 7 d(e) octo(m)b(r)o, re Ph(ilipp)o, lo q(u)ale era re d(e) Spag(n)ia, fo morto1. [D]a poi la morte sua succese il regno d(e) Spa(n)gna et inp(er)o [...]2. P(redict)o re era figlio de l’inparatore Maximiano; il quale re Filippo, vendedo ad pigliare lo possesione del re[n]gio d(e) Spa(n)gia, morìo in la cità de Burgo i(n) Spagnia, et morta ch(e) fo, la regina Ysabella lassò in testame(n)to ch(e) re Ferra(n)te fosse gobernatore del regnio d(e) Spagna3. Eode(m) anno, a lo p(r)i(m)o d(e) noveb(r)o, trasìo de(n)tro Nap(u)li il re Ferra(n)te d(e) Aragona d(e) Spa(n)gna, il quale era stato caccziato da re Felippo suo genero, et ve(n)ne co(n) ipso la moglier(e) no(m)minata la Germana d(e) Foies,// (c. 34r) la quale era fra(n)cese, et portaro 20 galer(e), 4 fuste et 15 navi4. Et fo d(e) mercudì, et li napolitani li fecero gra(n)de honor(e), tra li quali li fecero uno po(n)te i(n) meczo del molo gra(n)de ch(e) trasiva de(n)tro mar(e) più de uno quarto d(e) miglio, nel q(u)ale po(n)te al capo, sop(r)a al molo, ce erano 4 colo(n)ne alte, q(u)ale tenevano una tribuna pintata d(e) istorie a(n)tiche5. El po(n)te era cop(er)to d(e) pa(n)ni v(er)di fini et d(e) sop(r)a erano più (n)no(b)bile ad ciaschuna colo(n)na una et nel meczo un’alt(r)a d(e) seti co(n) l’arme d(e) ’Rogona, et lo cielo era d(e) s[e]ti6; et nel meczo d(e) la tribuna stavano li s(igno)ri eletti d(e) Nap(u)li et li adprese(n)tavano le chiave d(e) Nap(u)li et del regno7. Et subbito ch(e) el p(redic)to re et regina fo<r>o desmo(n)tati in terra et scavalcati, fo posto ad sacco il po(n)te da li marinari de l’armata et <d>e le alt(r)e ge(n)te, et p(redic)to re cavalcò p(er) Nap(u)li co(n) lo palio, et p(er) la cità se fece una gra(n) festa8. Et forece facti dui archi triu(m)fali -uno lo fece il co(n)te d(e) Matera- et passero il p(redic)to re et regina p(er) dicto archo et lo sop(r)adicto co(n)te fe’ gictar(e) moneta d(e) argento et d(e) oro9; et l’aut(r)o archo fo facto a la piaczia d(e)ll’Ulmo10.// (c. 34v) Et ad dui hor(e) d(e) nocte a(n)daro al Castello Novo co(n) multi triu(m)fhi et feste11. Eode(m) an(n)o, a li 14 d(e) d(e)ce(m)bro, intrao la mog[liere] d(e)l Gra(n) Cap(itani)o ch(e) era rimase p(er) il male te(m)po, p(er) ca[usa] haveva corso fortuna più dì12. Eode(m) a(n)no, a li 26 d(e) dece(m)bro, de le feste d(e) Natale, [se] posse foco a la tribuna d(e) Sa(n) Do(m)minicho d(e) Nap(uli) et abbrusao li tavuti de li re de casa d(e) ’Ragona, [97] 2 [D]a] taglio nella carta; 3 figlio] figliolo (con lo espunto); 3 Spagnia] n corretta su i; 3 gobernatore] -e corretta su lettera illeggibile; 3 regnio] n corretta su i; 4 anno] titulus pleonastico su -o; 5 a(n)tiche] c nell’interlinea su i; 6 più (n)no(b)bile] piu(n) (n)o(b)bile; 6 s[e]ti] taglio nella carta; 8 scavalcati] cavalcati; 9 archi] r corretta su c; 9 et lo sop(r)adicto] d(e) lo sop(r)adicto; 12 mog[liere]] il margine superiore della carta, adiacente alla rilegatura, è rotto; il foglio, rimasto così sciolto, è stato poi rilegato con una piccola striscia di carta rettangolare, su cui è stato incollata l’estremità residua del foglio; 12 ca[usa]] lettere scritte sull’estremità del foglio ripiegato ed incollato sulla striscia di carta: cfr. precedente; 13 [se]] cfr. precedente; 13 de li re] -i corretta su -e; segue, espunto: re Ferrate p(r)i(m)o et re Ferrate 2. Croniche [98] [99] [100] [101] [102] 27 cioè re Alfo(n)so p(r)i(m)o, re Ferrate p(r)i(m)o et re Ferra(n)te 2°13; ma li corpi no(n) se abrusaro, et li tavuti sì14. A li 1507 li genoysi se rebellero (contra) li ge(n)telo(m)mini genuysi et ne tallgliero ad peczi una gra(n) qua(n)tità1. Eode(m) an(n)o a li 18 d(e) iug(ni)o, ad 22 hor(e), il Gra(n) Cap(itani)o una co(n) la mo(n)glier(e) et figlioli se inbarcharo a lo molo gra(n)de co(n) dui galere, et a(n)ddò in Gayta ad trovar(e) il s(igno)re re d(e) Spagnia et d(e) Nap(u)li ch(e) se ne a(n)dava i(n) Spa(n)gna2; et como foro a le barche, pregna la moglier(e) del Gra(n) Cap(itani)o se dolìo d(e) uno figliolo mascolo3. Eode(m) a(n)no fo uno crodelissimo a(n)no d(e) seccha, ch(e) p(er) te(m)po d(e) dece misi no(n) piovecte mai al Regno d(e) Nap(u)li4.// (c. 35r) A li 1507 il re d(e) Fra(n)cza hebbe Genua ad pacto, et de poi talglaro la testa et ne scquartao multi del populo et ge(n)telo(m)mini1. Eode(m) a(n)no, a li 28 d(e) agusto, re d(e) Aragona et d(e) Spa(n)gna et d(e) Nap(u)li una co(n) lo Gra(n) Cap(itani)o no(m)minato Co(n)salvo Ferra(n)do se inco(n)trò co(n) re Loyse re d(e) Fra(n)cza2. Eode(m) anno, p(r)i(m)o d(e) agusto, forono una gra(n)dissima qua(n)tità d(e) grilli d(e) più color(e), et se ma(n)giavano [p(er)] fini a le radice de l’herbe3. Eode(m) a(n)no, a lo 2° d(e) ag(us)to, morìo il gra(n) Turcho no(m)minato Maomet Bagaczet4. A li 1507 a li ii d(e) octobro, d(e) lu(n)nedì, fo una gra(n)dissima te(m)pesta d(e) accqua in Nap(u)li e in alcune parte d(e) Terra d(e) Lavo<r>a1; la q(u)ale te(m)pesta ro(m)pìo lo muro d(e) Sa(n)to Ant(oni)o d(e) fora la cità d(e) Nap(u)li, cioè d(e) la porta Capuana, et roppìo anchora al formare dall’accqua ch(e) veniva in la cità d(e) Nap(u)li et roppìo a(n)cora le mura d(e)l iardino del Gu[a]sto2.// (c. 35v) A li 1516 s(ecund)e i(n)d(ictionis), a dì ultimo del mese d(e) nove(m)b(r)o, ve(n)nero navi sei dell’armata ch(e) portava il vecerré d(e) la Cesa(ria) Ma[e]stà d(e) Spa(n)gna1. La do(m)menecha p(r)ima del mese d(e) dece(m)bro smo(n)tato il p(redic)to vecerré co(n) ta(n)ta armata, dove ce erano fa(n)ti 14 milia2; et il s(igno)re vecerré se chiamava do(n) Carlo d(e) la Noya Flami(n)gno, q(u)ale pigliò il [cri]stianissimo re d(e) Fra(n)cza al parcho d(e) Pavia no(m)minato re Fra(cisc)o3. Datu(m) ut sup(ra)4. A li 1526, s(ecund)e <idi>ctionis, a dì 4 d(e)l mese d(e) octo(m)bro, lo cardinal Colo(n)na co(n) do(n) Unho, homo d(e) la Cesar(ia) Maystà, et Vespaciano et Adsca(n)nio Colo(n)na adsaltaro il sa(n)tissimo po(n)tifice no(m)minato Cleme(n)te septimo d(e) Medicis, ch(e) poco volse ch(e) no(n) fo pigliato, et se salvò de(n)tro del castello S(an)to Ang(e)lo d(e) Roma1. Et q(ui)sti s(igno)ri sac[97] 14 ma li corpi] mail corpi (con i inserita nello spazio tra i e l). [98] 2 a li 18] 8 corretta su altro numero; 2 una co(n)] co(n) una; 2 s(igno)re] segue Ducha, espunto; 4 crodelissimo] r aggiunto nell’interlinea su o. [99] 3 anno] titulus pleonastico su -o; 3 p[(er)]] taglio nella carta. [101] 2 La do(m)menecha] lo do(m)menecha; 3 Flami(n)gno] l corretta su altra lettera; 3 [cri]stianissimo] taglio nella carta. [102] 1 Cesar(ia)@ s aggiunto nell’interlinea su e; 1 Vespaciano@ la prima a corretta su e; 1 po(n)tifice@ -e corretta su -i. 28 Gasparro Fuscolillo chigiaro Sa(n) Pietro col palaczo Sa(n)to Spirito et alt(r)e ecc(lesi)e et palaczi d(e) cardinali, et stettero de(n)tro d(e) Roma p(er) dui dì et poi se ne fugero p(er) Roma del dicto po(n)tifice2. Et cussì il p(redic)to papa subbito privò dicto cardinale d(e) dignità// (c. 36r) et d(e) officii et d(e) beneficii, et sacchigato tucte le terre d(e) Colo(n)disi i(n) ca(m)pagna d(e) Roma et li exco(m)monichò, et dectili p(er) ribelli et heretici de la S(an)ta Mat(r)e Ecc(lesi)a3. [103] A li 1527, ad v° d(e) magio, ve(n)nde da le ba(n)ne d(e) Lo(m)bardia uno homo iniquo et mal (crist)iano fra(n)cese, ribello del (crist)ianissimo re d(e) Fra(n)cza no(m)minato re Frac(isc)o, [et] [s]e chiamava Borbone, zoè mo(n)signor(e) d(e) Borbona figliolo d(e) Bo(n)pensiero1; et ve(n)ne da Lo(m)bardia co(n) deceoctomilia fa(n)ti ch(e) erano 10 milia tudischi, ci(n)quemilia spa(n)gnoli, tremilia italiani, co(n) pocha ge(n)te ad cavallo co(n) pre(n)cepe d(e) Orances, et vene alla volta d(e) Roma, ad tale ch(e) p(er) ca(m)mino may poctero pigliar(e) terra mura<t>a, se no(n) ch(e) allogiaro p(er) le ville et casali et stectero p(er) ca(m)mino sei dì ch(e) no(n) ma(n)gnaro pane2. Puro p(er) sdegratia de la ecc(lesi)a et d(e) papa Cleme(n)te 7° arrivaro in Roma et se(n)cza i(m)pedime(n)to alcuno trasero in Burgo3. No(n) dirò certe batalglie, ch(e) pocho foro facte i(n)na(n)ti l’arrivata d(e) Roma, ma como foro intrati i(n) Burgo se ne a(n)dero i(n) po(n)te// (c. 36v) Sisto et lloco co(m)mi(n)czaro ad bactalgliare, ad tale ch(e) p(er) forcza pigliaro tucta la cità d(e) Roma4; et i(n) quello po(n)te ce morìo Borbone5. Et intrati ch(e) forono, fecero una gra(n)dissima occisione d(e) romani et alt(r)e ge(n)ti del papa, et possero ad saccho tucta la cità et fecero multi presuni romani, ta(n)to Colo(n)disi, como O[rsin]i6; et foro tucte le do(n)ne poste in buctino i(n) gra(n) vregogna, et cussì tucti monasterii d(e) monach(e), et tucte le ecc(lesi)e in gra(n) ruina, ad tale ch(e) i[l] p(redic)to papa Cleme(n)te se i(n)ciuse in Castello S(ant)o A(n)g(e)lo et ce fo p(r)esone el dicto po(n)tifice, et li cardinali et alt(r)i merca(n)ti et cidadini romani ch(e) se trovaro i(n) dicto castello fecero talglione trece(n)tomilia ducati7. P(er) <p>agar(e) dicto ta(n)glione il p(redic)to papa posse a li previti 36 decime, co(n) grade da(n)no et i(n)teresse d(e) le ecclesie8.// [104] (c. 37r) A li 1528, a li 12 d(e)l mese d(e) ap(r)ile, ch(e) fo in dì d(e) Paschua, mo(n)signor(e) de lu Treccho, cap(itani)o generale d(e) (cri)stianissimo re d(e) Fra(n)cza de la Sa(n)ta Lega d(e) Italia, messero ca(m)po intorno a la cità d(e) Nap(u)li co(n) sesa(n)tamilia ho(m)mini d(e) guerra, tra li q(u)ali erano 18 milia archibusieri1; dove stectero ad ca(m)po fine a li 28 d(e) agusto, ch(e) ne morìo sua S(igno)ria d(e) frebe et subbito il ca(m)po fo sbarisato et ruinato da sé mede[102] 2 sacchigiaro@ s- corretta su z. [103] 1 A li 1527] nel margine sinistro si legge l’annotazione di Fuscolillo, Copia da Nap(u)li; 1 [et] [s]e] taglio nella carta; 2 ad tale] ad tale ad tale (la seconda volta espunto); 2 allogiaro] titulus pleonastico su -o; 2 casali] l corretta su s; 6 forono] foro (-no aggiunto tra foro e la parola successiva). [103] 6 O[rsin]i] taglio nella carta; 7 i[l]] i (con titulus ondulato verso l’alto). [104] 1 a li 1528] l corretta su d; 1 archibusieri] archibusiesi (con la seconda s corretta su lettera illeggibile). Croniche 29 simo, se(n)cza veder(e) fac[cz]ie d(e) inimicho, d(e) sorte ch(e) fo como la nebbia qua(n)do la mena il vento2. [105] A li 1529, a dì 17 d(e)l mese d(e) agusto, lo inparator(e) nost(r)o no(m)minato Carlo Austria smo(n)tao in Italia1. Del mese d(e) nove(m)b(r)o ve(n)de in Bolo(n)gna, dove ce a(n)dò il papa no(m)minato papa Cleme(n)te sectimo, et in Bolo(n)gna pigliò la corona2; et del mese d(e) marczo se ne tornò [a] la cità d(e) Fiorencza, la q(u)ale la voleva il papa Cleme(n)te p(er) sé et no(n) per la ecc(lesi)a3.// [106] (c. 37v) Alli 1528 del mese d(e) marczo, a dì 6 del p(redic)to mese, et fo d(e) martedì ch(e) fo il dereto di carnivale, vende da le ba(n)de de Roma uno colo(n)de(n)do de infantaria no(m)minato Frabicio Maramaldo, nopolitano, co(n) seimilia soldati, tucti d(e) malissime nature, et adlogiaro ad Roccha d(e) Eva(n)dro1; et de poi a(n)dao in Sessa, quale fece multo da(n)no i(n) dicta cità d(e) Sessa, et de poi a(n)dao co(n) gra(n)dissim[a] furia p(er) a(n)dar(e) i(n) Nap(u)li, p(er)ch(é) il ca(m)po d(e) lo Treccho, cap(itani)o d(e) re d(e) Fr[ancza], veniva adpresso, et il predicto ca(m)po fra(n)cese se messero i(n)torno i(n) Nap(u)li2. Et cussì il p(redic)to cap(itani)o generale de dicto exercito ma(n)dò 6 milia soldati a lo essedio d(e) Gayta, et stectero i(n) Sessa p(er) certi dì, et de poi ad Trayetto3. Et ce fo deputato colo(n)dello d(e) dicti fa(n)ti il pri(n)cipe d(e) Amalfe, et il s(igno)re Federico d(e) Mo(n)forte, et ce fo ma(n)stro d(e) ca(m)po il s(igno)re bastardo d(e) Mo(n)forte co(n) quattro capitanii d(e) i(n)fa(n)taria no(m)minati Carlo Seripa(n)ni et Io(ann)i Bat(tist)a Gaczella, et Nicolò d(e) Piu(m)mino et il cap(itani)o Agusto Rosa d(e) Gaeta co(n) ci(n)q(ue)ce(n)to ho(m)mini d’arme fra(n)cisi4. Et ce ve(n)dero sei galere d(e) veneciani al porto d(e) Scauli// (c. 38r) e dectero bata(n)lglia co(n) furia d(e) ca(n)n>...@ Torre ad mare d(e) Sessa et poi pilgliaro la torre del Gargliano5; et subbito vene nova ch(e) il ca(m)po de Nap(u)li era ructo6; et fo a li 28 d(e) agusto7. [107] A dì 19 del mese d(e) iennaro 1561, p(er) ordine del R(everen)do cap(ito)lo d(e) Sessa, fo ma(n)dato in Roma lo R(everen)do do(n)no Gyeronimo Cirello, can(oni)co d(e) Sessa, ad expedir(e) et procura>re@ d(e) certo quindemio ch(e) fo [104] 2 fac[cz]ie] taglio nella carta; 2 il vento] segue l’annotazione di Fuscolillo, preceduta da un asterisco: reverte folliu(m); il rimando è alla notizia segnata a c. 37v (cfr. lib. IIa 106), pure preceduta da asterisco, che avrebbe dovuto collocarsi qui per un corretto ordine cronologico. [106] 1 Roccha] Rocccha; 2 a(n)dao co(n)] -o corretta su r; 2 gra(n)dissim[a]] taglio nella carta; 2 Fr[ancza]] taglio nella carta; 3 exercito] exertito; 4 Amalfe] -a- corretta su e; 5 galere] inserito nell’interlinea successivamente su navi, espunto; 5 ca(n)n[...]] strappo nel margine esterno della carta; ad mare] aggiunto nell’interlinea successivamente su de le papare, espunto; l’inserimento interlineare presenta colore d’inchiostro e ductus identico a quello adoperato per l’aggiunta interl. lib. II.13.1 Bononia. [107] questa notizia e le seguenti (§§ 108-10) sono state aggiunte in un secondo momento nelle carte rimaste vuote: riguardano Sessa e sono state scritte con inchiostro più chiaro e ductus diverso (uguale a lib. IIa,18-20: cfr. apparato): una linea di demarcazione è stata tracciata da Fuscolillo per dividerle dall’annotazione precedente; cfr. § III.1.2 e n. 88. [107] 1 procura[re]] taglio nella carta. 30 Gasparro Fuscolillo do(m)ma(n)dato al nostro cap(ito)lo d(e) Sa(n)ta Lucia d(e) Cellole et Sa(n)to Ang(e)lo d(e) lo Lauro et Sa(n)to Ioa(n)ni d(e) la Docia, q(u)ale erano in massa et a(n)nesso co(n) lo cap(ito)lo1; q(u)ale ditto cap(ito)lo ne have una bolla d(e) papa Martino ch(e) have circha cento et tre(n)ta anni ch(e) no(n) è stato pagato, et né ma(n)cho ce sta tassa in Roma2. P(er)ta(n)to sua Sa(n)tità papa Pio quarto li have dona<to> alli officiali d(e) Roma et nui d(e)l cap(ito)lo havemo securso allo po(n)tefece et soi officiali d(e) octener(e) alcuna gratia3.// [108] (c. 38v) [A dì] [...] d(e)l mese d(e) frebaro 1562, d(e) iovedì, ve(n)<d>ero li ho(m)mini d(e) arme d(e) la co(m)pa(n)gnia d(e)l duca d(e) Sessa a ’llogiar(e) in Sessa1; et la dicta co(m)pa(n)gnia se partìo da Sessa alli 3 d(e) ie(n)naro, ch(e) ce stecte in Sessa circha dui misi, et mo’ al p(rese)nte ène venuta un’altra volta p(er) ordine d(e)l vicerré2. [109] A dì 7 d(e)l mese de aprile 1562 se partìo la sop(r)adicta co(m)pagnia d(e) lo s(ignor)e Ducha [da] Sessa et a(n)dò in Capua, p(er)ch(é) era venuto lo vicerré ad fare la [mo]stra d(e) la ge(n)te d(e) arme, et fo levata la moneta nova, ch(e) tucta se havesse da pesar(e) p(er) ordine d(e)l vicerré1. [110] A dì 25 d(e)l mese d(e) dece(m)bro 1563, lo r(everen)do episcovo m(issere) Galeacio Florimo(n)te co(n) li r(everen)di canonici a(n)dero a dir(e) vespera ad Sa(n)to Stephano d(e) le monache, et la matina la messa ca(n)tata, ch(e) la università d(e) Sessa piglò possessione et <le>vao li monaci ch(e) ce <servi>vano d(e) Sa(n)to Ioa(n)ni d(e) li Frati1.// (c. 39r) // (...) (c. 39v) // (...) . [107] 1 nostro] stro aggiunto nell’interlinea. [108] 1 [A dì]] taglio nella carta. [109] 1 [da]] taglio nella carta; 1 [mo]stra] taglio nella carta. [Secondo libro] [1] [2] [3] [4] [5] [6] (c. 40r) Qua come(n)cza lo secu(n)do libro de le cose antique et cronich(e) d(e) Sessa, qual co(n)siste in ecc(lesi)e antiq(u)e d(e) Sessa et multe cose ch(e) haveno havuto li sessani, d(e) gente allogiati ch(e) haveno havuto, d(e) danno et interesse ne la >ci]tà d(e) Sessa1. A li 1188 fo presa la cità d(e) Ierusalem da li sarracini, et fo in dì d(e) la natività d(e) sa(n)to Ioa(n)ni Batista1. A li 1200 fo presa la cità d(e) Costa(n)tinopoli da li franchi et veneciani, et la cità d(e) Sessa fo data allo co(n)te Riccho d(e) l’Aq(ui)la, ch(e) era co(n)te d(e) Fu(n)di, et la signoriò alcuni a(n)ni1. Et in questo an(n)o re Goglelmo secu(n)do hebbe lo regno d(e) Nap(u)li2.// (c. 40v) A dì 14 d(e) iunio m° c°xiij fo edifichata la Catredale ecc(lesi)a d(e) lo episcopato d(e) Sessa ad laude del nost(r)o S(ignor)e Idio et d(e) sa(n)to Pet(r)o et Paulo apo(sto)li1. Anno D(omi)ni m° cccc° qui(n)qua(n)gesimo, die xxix marcii, xv ind(ictione), post occasu(m) solis d(omi)nus inp(er)ator Federicus secu(n)dus i(n)travit Suessa(m) et ma(n)sit p(er) una(m) nocte(m)1; seque(n)ti vero die recessit et venit frater eius Alle(n)tus dux de Sterllic2; ultimo vero die recessit et venit inp(er)atrix uxor dicti inparatoris et o(m)nes inveneru(n)t Neapoli regna(n)te d(omi)no rege Alfo(n)so, rege Aragoniu(m), et papa Nicolao V3. Anno D(omi)ni m° cccclxxxv, a li xvi d(e) marczo, iij ind(ictione), fo lo eclisse in ta(n)to oscuror(e) ad hor(e) 17 ch(e) adpena se potea bene veder(e) sop(r)a la terra, et durao una hora1. Et lo dicto anno, (videlicet) alli xxviij° d(e) lo dicto mese, a le hor(e) xx, fo uno hayro grave et †da cu(n)do† como fosse//(c. 41r) loco oscuro ce volaro tanta qua(n)tità d(e) grilli ch(e) pareva uno stupor(e) et durao una hora, et fo lo lunedì sa(n)to2. Et lo martedì sancto, a le xxi hor(e), ne volaro qua(n)tità ch(e) ogni homo remase stupefacto, ch(e) la terra ne stava coperta3. Et lo mercludì sa(n)cto, ad hora d(e) xvij, ne volaro ta(n)ta qua(n)tità d(e) grilli ch(e) inpedivano lo >v@eder(e) d(e) lo hayro et la terra, ce fo più qua(n)tità [1] 1 Qua] -a corretta su -i; 1 cronich(e)] h tagliata da titulus corretta su un’originaria e; 1 multe] -e corretta su altra lettera; 1 [ci]tà] taglio nella carta. [2] 1 A li] l corretta su d. [3] 1 Riccho] h aggiunta nell’interlinea tra c ed o; 2 questo] la parola è stata ricalcata con inchiostro più scuro; è visibile parzialmente la precedente scrittura, più sbiadita. [4] 1 apo(sto)li] -i corretta su -o. [5] 1 Anno] titulus pleonastico sulla seconda n; una mano più tarda traccia con inchiostro nero una linea su Anno; 1 post] posto; la stessa mano più tarda espunge -o; 1 nocte(m)] titulus pleonastico su o; 3 Neapoli] titulus su -i espunto successivamente; 3 regna(n)te] n aggiunta nell’interlinea tra g ed a; 3 papa] titulus su -a espunto successivamente; 3 Nicolao] segue l’indicazione: verte foliu(m). [6] 1 Anno] una mano più tarda traccia con inchiostro nero una linea su Anno: cfr. sopra, lib. II 5.1; 1 a li] i corretta su altra lettera, probabil. -e; 1 potea] e corretta successivamente su lettera illeggibile; 2 Et lo dicto] la notizia è stata scritta di seguito separata da una lineetta obliqua; 4 [v]eder(e)] taglio nella carta. 32 [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] [14] Gasparro Fuscolillo ch(e) nullo de li predicti iorni, et durao lo volar(e) p(er) fi’ alli xxxi giorni4. Et de poi ce foro li dicti grilli p(er) paricci giorni et te(m)pi, ch(e) ce figliero circha tucto lo a(n)no, ch(e) stava coperta la terra d(e) grilli d(e) variee sorte d(e) grilli, ch(e) se ma(n)gnero tucta la estate p(rese)nte5. An(n)o D(omi)ni 1470, die veneris me(n)sis agusti decimoseptimo predicti me(n)sis, mortuus est Fuscolillus d(e) Suessa, cuius anima p(er) misericordia(m) Dei req(ui)escat in pace1. Ame(n).// (c. 41v) Anno Do(mi)ni m° cclxxxj°, die xxv° frebuarii, post sa(n)cti Mactie, fusa est ca(m)pana ma(n)gna existe(n)te p(re)sul in ecc(lesi)a suessana do(mi)no I(o)ha(n)ne sa(n)t(o) V(enera)bili1. An(n)o D(omi)ni m°ccc°xxxxv°, die ultimo marcii, fuit i(n)terfectus d(omi)ne Andreas qui fuit stra(n)gulatus in civitate Averse1. An(n)o D(omi)ni m° cc°lxxxi° fusa e(st) alia ca(m)pana existe(n)te sup(r)a dicto p(re)sul(e) d(omi)no I(o)ha(nn)e1. An(n)o D(omi)ni m°ccc°lxxxx°, die iij° me(n)sis iuni, post meridie(m) fuit max(im)a te(m)pestas fulguror(um) ita et taliter q(uam) p(ro)iecit cruce(m) ca(m)panilis illor(um), q(ui)da(m) puer a(n)norum xii existe(n)s †lionissam† an(te) fores maioris ecc(lesi)e Suessan(e) fuit mortuus1; [po]st i(n) <mul>tiis partib(us) dicte ecc(lesi)e fuit p(er)cussus2.// [...] (c. 43r) [...] unius hor(e) q(uam) q(ui)dam (cristi)a(n)i dubitaba(n)t d(e) morte et d(e) finicione mundi1. An(n)o D(omi)ni m° ccccc° et undecimo et xve ind(ictione), rex fra(n)cor(um) fecit guerra(m) cu(m) papa Iuli[o] secu(n)do in Bononia, et fecit iste legam veneciani, rex ispanie, et papa Iulio s(ecund)o1; co(n)tra illos rex fracor(um) et fecit guerra inmortalis et fuit in Rave(n)de ructini el ca(m)ppo de lo papa, mortui sunt inter una parte et alia xxv milia p(er)suni, ho(m)mini famusissimi et digni da l’una parte et l’aut(r)a2; et fuit in do(m)minicha d(e) Pascua d(e) rursectione3. A dì 17 del me(n)sis septe(m)bris 1524 la inlustrissima signora duchessa d(e) Sessa fece uno figlio mascolo et se morcze alle v hor(e) d(e) nocte, qua(n)do ve(n)de lo s(ignor)e ducha da Roma, e sta adterrato alla <Et>ernità d(e) Sessa [6] 5 paricci] pariccci. [7] 1 An(n)o D(omi)ni 1470] notizia inserita a pié pagina; 1 anima] titulus su -a espunto; 1 misericordia(m)] titulus su -o-. [9] 1 i(n)terfectus] i(n) Rfoit(us); 1 d(omi)ne@ due con titulus su -ue; 1 qui fuit] cui su(n)t. [11] 1 te(m)pestas] -s ricalcata successivamente su lettera illeggibile; 1 fulguror(um)] la seconda u corretta su o, -or(um) ricalcato successivamente; 1 campanilis] -ilis corretto su lettere illeggibili; 1 fores] o corretta su a; 2 [po]st] sto. [12] 1 unius] medie unj (con medie espunto, -nius aggiunto nell’interlinea su –nj, espunto); 1 q(ui)dam] q(ui)bus (-dam inserito successivamente nell’interlinea su -bus, espunto); 1 (cristi)a(n)i] -s espunto successivamente; 1 dubitaba(n)t] -bant corretto su -vit; 1 finicione] -e corretta successivamente su i, -s espunto. [13] 1 Iuli[o@@ taglio nella carta; 1 Bononia] aggiunto successivamente nell’interlinea su Bologna, espunto; l’inchiostro è identico all’inserimento interlineare ad mare, lib. I 106.5; 1 fecit] fuit (e corretta su u, c inserita nell’interlinea su e, con inchiostro nero); 2 mortui sunt] mortuit fuit; 3 rursectione] la seconda r aggiunta nell’interlinea su u. [14] 1 Sessa] segue et m, espunto. Croniche [15] [16] [17] [18] [19] 33 p(er)ch(é) lo s(ignor)e ducha era inbassator(e) d(e) lo imparator(e) Carlo q(uin)to d(e) Austri<s>1 .// (c. 43v) An(n)o D(omi)ni 1524, die 19 me(n)sis (set)te(m)bris, d(e) martedì ad 8 hor(e) d(e) nocte, trapassao da questa vita p(rese)nte la il(lustrissi)ma s(ignor)a duchessa d(e) Sessa, figlia d(e)l s(ignor)e Gra(n) Capitanio no(m)i(n)e Co(n)salvo Ferra(n)do, et fo seppellita allo monasterio d(e) Sa(n)to Frac(isc)o d(e) Sessa, ch(e) tutta la cità d(e) Sessa fece gra(n) pia(n)to1. An(n)o D(omi)ni 1525, me(n)sis frebuarii, a >li@ 26 fo la rocta de li fra(n)cisi qua(n)do volero a(n)dar(e) ad pigliar(e) >Mi@lana et Pavia, et li spa(n)gnoli et ’taliani pigliero el re d(e) Fra(n)cza ad Pavia et lo marchese d(e) Piscara co(n) lo vecerré lo pigliò el dicto re d(e) Fra(n)cza1. Eode(m) a(n)no, alli 6 d(e) dece(m)bro, fo facto lo organo novo ad lo vescopato d(e) Sessa in te(m)po d(e) lo ep(iscop)o Guastaferro, et fo facto lo ’gie(n)czero et la navicella et croczia et la ba(n)dera d(e) sa(n) Petro2. Die 24 me(n)sis octo(m)bris 1545, fo adcordato lu sop(r)adicto organo d(e) Sessa p(er) sei ducati, et lo dicto mast(r)o se chiamao Ant(oni)o Armolupo3. Anno D(omi)ni 1525, alli 6 d(e) dece(m)bro, fo facto lo organo d(e) lo episcopato d(e) Sessa, quale venne p(er) maro da Nap(u)li, et fo co(m)parato circha ce(n)tosessa(n)ta ducati in te(m)po de lo ep(iscop)o Guastaferro d(e) Gaeta1.// (c. 44r) An(n)o D(omi)ni 1526, a dì 18 d(e)l mese d(e) agusto, trapassao d(e) questa vita p(rese)nte el il(lustrissi)mo s(ignor)e ducha d(e) Sessa ad hore 3 d(e) nocte1; et morcze in Roma et venne in Sessa morto, ch(e) fo d(e) iovedì qua(n)do venne2; quale sta sepulto in Sa(n)to Frac(isc)o d(e) Sessa3. An(n)o D(omi)ni 1527, die 25 me(n)sis dece(m)bris, ch(e) fo i(n) dì de Natale, fo facta la resegna de(n)tro lo episcopato d(e) Sessa de lo s(ignor)e Allarch<o>ne, ch(e) foro fa(n)ti spa(n)gnoli, et ne fecero un’altr(a) in Cascano, casale d(e) Sessa1; quali fa(n)ti a(n)daro in Roma co(n)tra papa Cleme(n)te 7°2. Et tucta questa ge(n)te stecte allogiati in Sessa co. gra(n)de da(n)no d(e) Sessa, quali fa(n)ti ve(n)dero d(e) tiro i(n) Sessa et foro circha cichomilia spa(n)gnoli et certe alt(r)e la(n)cze3. Eode(m) a(n)no, alli 4 d(e) marczo, tre dì et tre nocte fece se no(n) granani et de poi piovette circha deice giorni adpresso4.// (c. 44v) Eode(m) an(n)o, a li 27 d(e) marczo, fo facto tucto quello d(e) novo ad Sa(n)ta Croce, dove se ca(n)ta lo eva(n)gelio la do(m)minicha d(e) la olive, et fo i(n) [15] 1 An(n)o] una mano più tarda traccia con inchiostro nero una linea su Anno; cfr. sopra, lib. II 5.1; 1 Capitanio] segue d(e) espunto. [16] 1 An(n)o D(omi)ni] una mano più tarda traccia con inchiostro nero una linea su Anno; cfr. sopra, lib. II 5.1; 1 a [li]] taglio; 1 [Mi]lana] taglio nella carta; 2 a(n)no] titulus pleonastico su a; segue fo fa, espunto; 2 et fo facto] et fo facto facto (con il primo facto espunto). [18] 1 An(n)o D(omi)ni] la notizia è preceduta da una x tracciata con inchiostro nero da una mano più tarda; 1 agusto] -usto corretto su lettere illeggibili. [19] 1 An(n)o D(omi)ni] la stessa mano più tarda segnala con una x la notizia; sul margine sinistro vi è anche un altro segno, tracciato però da Fuscolillo; 1 de lo] et lo; 1 spa(n)gnoli] -i corretta su altra lettera; 3 la(n)cze] c corretta su g; 4 a(n)no] titulus pleonastico su -o; 5 eva(n)gelio] -e- aggiunta nell’interlinea su g. 34 [20] Gasparro Fuscolillo te(m)po d(e) lo ep(iscop)o Gu[a]staferro gaitano5. Eode(m) an(n)o, alli 27 d(e)l mese d(e) agusto, foro morti in Sessa d(e) infecczione circha 40 p(er)soni et ne moriano assai adpresso ad certi giorni de co(n)tinuame(n)te, ch(e) no(n) ce era reparo nessciuno6; et era in quel te(m)po guerra, carastia et morìa7; et in Nap(u)li fo cosa gra(n)de d(e) la morìa ch(e) ce era, c(h)e no(n) porria scriver(e) i(n) carta ta(n)ta crudelità ch(e) fo8. Eode(m) an(n)o, alli 6 d(e) iulio 1527, lo vecerré d(e) Nap(u)li Fla(m)migno ve(n)ne in Sessa co(n) tucti li signuri d(e) co(n)siglio p(er)ch(é) no(n) poteano star(e) in Nap(u)li p(er) la infeccione ch(e) stava in Nap(u)li9; et adlogiaro in Sessa et fecero co(n)siglio generale allo episcopato d(e) Sessa d(e) poi ch(e) haveano (c. 45r) vista la messa, et i(n) capo d(e) tre// giorni se ne a(n)dero i(n) Mola p(er) sta(n)tia, p(er)ch(é) Gaeta stava i(n)fecta co(n) tucto q(ui)sto paese da qua i(n)torno10. Et lo p(r)imo ch(e) i(n)factao i(n) Sessa fo uno chiamato p(er) nome Sasapro i. la taberna alla porta d(e) burbo, fora ad uno giardino11. A dì xx d(e) (set)te(m)bro 1526 la ge(n)te imperiale i(n)trò de(n)tro Roma co(n) li s(igno)ri Colo(n)disi, et ve(n)dero ta(n)ti secreti ch(e) no(n) lo sappe el papa Clemente 7°, et pigliero et sforczero la porta et a(n)ddero ad Sa(n)to Apostolo et se defreschero p(er) tre hor(e), et lo s(ignor)e Ascanio Colo(n)na era lo capo1; et poi se partero i(n) ordina(n)cza et a(n)dero in Burgo, et lo Castello d(e) Sa(n)to A(n)gelo tirava artellaria, et piglero Burgo fino al palaczo et sacchigero la casa d(e)l cardinal Armellino et parte del palaczo d(e)l papa et alt(r)i palaczi2. El papa li ma(n)dò lo a(m)bas<c>iator(e) d(e) Portogallo et dui cardinali et lo archipiscopo d(e) Cap(ua) ad// (c. 45v) de(m)ma(n)dar(e) pacti3; et p(er) quel dì no(n) pattigiorno, ma fecero cessar(e) el sacco4. La matina seq(ue)(n)te el papa ma(n)dò ad chiamar(e) do(n) Ducho d(e) Magada et q(ui)lli s(igno)ri Colo(n)nisi e li assucurò et dede li ’stagi5: cussì a(n)dorono et capitolorno6; et se dice ch(e) el papa p(ro)messe levar(e) la ge(n)te soa del ca(m)po de Lo(m)bardia et esser(e) amicho allo inparator(e) Carlo q(ui)(n)to et pagar(e) certa qua(n)tità d(e) denari7; et cussì subbito tucta la ge(n)te se partìo da Roma a dì xxi et se a(n)dero a le sta(n)tie, zoè li cavalli p(er) tucto el stato d(e) Sessa, la infa(n)taria i(n) co(n)fine del re(n)gno8. Eode(m) anno, del mese d(e) nove(m)b(r)o, il papa Cleme(n)te fe’ certa ge(n)te et ma(n)dò a le castelle d(e) Colo(n)disi, et i(n)come(n)sò ad sacchigiar(e) et disroccar(e) marina et poi Grocteferrata et molte alt(r)e castelle, et li fecero d(e) gra(n)dissimo da(n)no9; et cussì, del dicto mese,// (c. 46r) foro dati dinari in Nap(u)li et so(n)no facti circha x milia fanti et so(n)no passati verso Fu(n)di, dove era lo s(ignor)e Vespaciano Colo(n)na, et [19] 6 Eode(m) an(n)o] la notizia è preceduta da una x tracciata con inchiostro nero da una mano più tarda; 9 Eode(m) an(n)o] la notizia è preceduta da una x tracciata con inchiostro nero da una mano più tarda; cfr. sopra, lib. II 19.6; 9 alli] segue 27 d(e), espunto. [20] 2 in Burgo@ g corretto su b; 2 A(n)gelo@ A(n)gleo (con l tagliata da titulus); 5 seq(ue)(n)te@ il secondo titulus è stato segnato su -e; 5 Ducho@ -o corretta su -a; 5 ’stagi@ titulus su a espunto; 7 ca(m)po@ segue ad, espunto; 7 qua(n)tità@ titulus pleonastico su q; 8 cussì@ la seconda s inserita tra s ed i; 9 castelle@ -e corretta su -i; 9 Grocteferrata@ la seconda t corretta su r. Croniche [21] [22] 35 verso Sa(n)to Germano10; et i(n)tra questo del dicto mese io(n)sero i(n) Gaeta certe navi, ch(e) dicono ch(e) so(n)no de la armata ch(e) ma(n)dò lo inparator(e) da Spa(n)gna, et smo(n)torono >m@illi et ciquece(n)to fa(n)ti, la magior parte d(e) Todischi, et so(n)no sta(n)tiati in Mola et lo Castellone11; et dicese che ’l resto d(e) dicta armata co llo vecerré vende adpresso12. <Ite(m)>, [nel] dicto a(n)no et d(e)l p(rese)nte mese, vale la th(ummu)lo d(e)l grano i. Sessa carlini septe, et p(er) li co(n)torni più13; et Nap(u)li sta a(m)borbata i(n) mala manera et lo casale d(e) Balo(n)gno se a(m)morbò et no(n) praticava14. Ite(m), nel dicto a(n)no 1526, el p(r)imo d(e) dece(m)bro, intrò in Gaeta lo s(ignor)e vecerré d(e) Nap(u)li, no(m)i(n)e do(n) Carlo d(e) la Noya, co(n) la armata p(er) mare de lo inparator(e) Carlo q(uin)to1. (Videlicet) quel dì forno xvi navi, pochi dì ’na(n)ci erano septe e se expectava// (c. 46v) il resto2; et dicono ch(e) la ge(n)te smo(n)tata sono 10milia3. Et a dì 4 d(e)l dicto arrivò uno curriero i. Sessa co(n) pate(n)te del vecerré, ch(e) a(n)dasse la grassa alla dicta ge(n)te ch(e) sta(n)tiava p(er) lo co(n)tato4; et al p(rese)nte dì partìo lo dicto vicerré da Gaeta et passò ad Nap(u)li co(n) septe galere, et dicese ch(e) el ca(m)po i[m]periale i[n] Lo(m)bardia è iu(n)to grave seccurso d(e) todischi, q(u)ale al p(rese)nte sta(n)no al ma(n)tuano5. Eode(m) a(n)no, alli ij° d(e)l dicto mese, lo cardinal Colo(n)na, ch(e) era iu(n)to da Nap(u)li ad Mignano co(n) bona qua(n)tità d(e) ge(n)te et d(e) ve(n)turiri, se(n)te(n)do smo(n)tata [l’armata] d(e)l s(ignore) vecerré se tornò et i(n)trò in Sessa co(n) circha 30 cavalli, et la matina se partìo p(er) te(m)po verso Gaeta et allogiò i(n) casa d(e) m(issere) Agustino Niffho d(e) Sessa et chiamase Po(m)peo Colo(n)na6. Et a dì 4 de dicto passerno ad sta(n)ciar(e) alli casali d(e) Sessa milleseptece(n)to infa(n)ti d(e) q(ui)lli d(e) l’armata, tucti spa(n)gnoli7.// (c. 47r) Eode(m) an(n)o 1526, d(e) mese d(e) ie(n)naro, ve(n)ne nova allo s(ignor)e vecerré d(e) Nap(u)li8: scripse ch(e) la Cesa(ria) M(aies)tà have pigliata mo(n)glier(e), (videlicet) la sor(e) carnale del re d(e) Portugallglia9. Eode(m) an(n)o del mese d(e) marczo fo publicata la pace et pare(n)tela facta fra la Cesa(ria) M(aies)tà [et] lo re (cri)stianissimo co(n) certi cap(ito)li ch(e) so(n)no sta(m)pati10. Anno D(omi)ni 1527, a li 15 d(e) magio, valeo lo grano i(n) Sessa carlini vinti lo tu(m)mulo et no(n) se ne trovava nie(n)te, ch(e) se fo facta la cercha p(er) tucta Sessa et casali1. Et era guerra, carastia et i(n)fectione2. [20] 11 [m@illi@ taglio nella carta; 11 Todischi@ s inserita tra i e c. [21] 1 Ite(m)@ la notizia è preceduta da una x tracciata con inchiostro nero da una mano più tarda; 3 sono@ una o pleonastica inserita nell’interlinea su n; 5 i[n]] taglio nella carta; 5 todischi@ h aggiunta nell’interlinea su i; 6 Eode(m) a(n)no] cfr. sopra, lib. II 21.1; 6 bona@ bana; 6 s(ignore)@ s. nell’interlinea. [21] 8 Eode(m)@ la notizia è preceduta da un asterisco; 10 [et@@ taglio nella carta; 10 (cri)stianissimo@ (cri)stianismo. [22] 1 Anno@ titulus pleonastico su no; 1 magio@ m corretta su d(e); 1 lo grano@ -o corretta su altra lettera, probabilmente a; 1 lo tu(m)mulo@ aggiunto nell’interlinea tra vinti ed et; 2 guerra] guarra; 2 i(n)fectione@ -e su -i. 36 [23] [24] [25] [26] [27] [28] Gasparro Fuscolillo An(n)o D(omi)ni 1528, a li 3 d(e) marczo, ve(n)dero in Sessa circha mille et ci(n)quece(n)to ’taliani ad ’lo(g)giar(e) se(n)cza descreptione in dicta cità et stectorece 16 giorni allogiati ad Sessa, d(e) manera ch(e) ce fo uno gra(n)<d>issimo da(n)no1;// (c. 47v) et fo d(e) la co(m)pagnia d(e) s(ignor)e Frabicio Maramaulo colonello2. Et de poi a(n)dero in Thiano, et alt(r)o ta(n)to te(m)po ce foro i(n) dicto Tiano, et d(e) poi a(n)dero p(er) certe alt(r)e castelle p(er) li cotorni3; et a lo partir(e) ch(e) fecero da Sessa, se adbuctinaro circha quattro ba(n)dere alla porta de lo burvo d(e) Sessa et addero ceccha(n)no el >s@uo colo(n)dello et sui capitanii p(er) volerno la page et no(n) li trovero, et cussì se adq(ue)tero dicti fa(n)ti4. An(n)o D(omi)ni 1527, a dì 25 d(e) iulio, i. dì d(e) sa(n)to Iac(ob)o ap(osto)lo, foro i(m)picchati 5 homini d(e) Cascano alli meruli del castello d(e) Sessa verso lo merchato sop(r)a li Barberi, q(ua)li se deceva ch(e) havea adrobbati p(er) la via d(e) Cascano certi ho(m)mini, et foro i(m)picchati la nocte1. La matina ce ve(n)dero multe fe(m)mine d(e) soi pare(n)ti ad pia(n)gere2.// (c. 48r) An(n)o D(omi)ni 1531, a dì 4 d(e) agusto, apparse la cometa la matina verso leva(n)te ad dui hor(e) d(e) nocte, et infra termine d(e) deice dì appa<r>se verso pone(n)te deice alt(r)i dì1; del quale ne so(n)no visti si(n)gni d(e) guerra d(e) lo gra(n) Turcho co(n)tra la Cesar(ia) Ma(e)stà Carolo inparator(e) q(uin)to i(n) Ungaria, ch(e) fo assegiata Bie(n)na2. An(n)o D(omi)ni 1532, a dì 14 d(e) septe(m)bro, apparsse una cometa verso leva(n)te co(n) una coda logna, et ce fo uno bo(n) te(m)po ch(e) d(e) manera la estate p(rese)nte fece gra(n) piovere et lo inverno fece bo(n) te(m)po1. Et la dicta cometa appareva la matina a dui hor(e) d(e) nocte, et se(m)pre durao bo(n) te(m)po i(n)treme(n)te adparse la dicta cometa2; et le olive se ne cadero tucte, ch(e) no(n) foro bone3. An(n)o D(omi)ni 1532, a dì v d(e) septe(m)bro, ve(n)ne lo marchese d(e) Vigliafra(n)cha p(er) vecerré d(e) Nap(u)li, quale fo ma(n)dato da lo nost(r)o inp<e>rator(e) Carlo q(uin)to, et li foro facti multo honor(e) et archi triu(m)fali1. Et i(n)trao d(e) vernedì in Nap(u)li2.// (c. 48v) Die xi d(e) octo(m)bro 1531 io, do(n)no Casparro Fuscolillo, me retrovai i(n) Nap(u)li i(n)nel p(rese)nte a(n)no, qua(n)do se fece lo ba(n)no d(e) le expe(n)der(e) d(e) le monete1: p(er)ta(n)to, io sop(r)adicto ne pigliai la copia del dicto ba(n)no, quale se lege al p(rese)nte appresso2. [23] 1 An(n)o D(omi)ni@ la notizia è preceduta da un asterisco. [24] 1 An(n)o D(omi)ni] cfr. sopra, lib. II 23.1; 1 merchato@ mecchato (con r corretta su c). [25] 1 An(n)o D(omi)ni@ la notizia è preceduta da un asterisco; 2 assegiata@ aggiunto successivamente con inchiostro diverso, più chiaro, nell’interlinea su pigliata, espunto. [26] 1 An(n)o@ a sinistra una mano più tarda (probabilmente Capasso) traccia un asterisco con inchiostro nero e annota: c. 50; cfr. § II.6; 1 apparsse@ r inserita nell’interlinea tra a e s; 1 fece gra(n)@ c corretta su altra lettera. [27] 1 An(n)o@ notizia preceduta da asterisco; 1 Vigliafra(n)cha@ h corretta su a. [28] 1 Die xi@ notizia preceduta da asterisco; 1 Fuscolillo@ -o- corretta probabilmente su u. Croniche [29] [30] [31] 37 Carolus Q(uin)tus Romanor(um) i(m)parator se(m)p(er) Agustus Rex Ger(mani)ce, Ioa(n)na m(at)r(e), et ide(m) Carolus eius filius reges Castelle Aragonius utriusq(ue) Sicilie, Ierusalem, Ungarie, Dalmatie, Croatie1. Ba(n)no et co(m)ma(n)dame(n)to da parte de l’ill(ustrissi)mo et r(everendissi)mo s(ign)or cardinale Colo(n)na d(e) la Sa(n)ta Sede Ap(osto)lica, vice(commissar)io i(n) lo p(rese)nte regno, loc(otenen)te gene(ra)le d(e) la Ces(aria) M(aies)tà1. P(er)ch(é) lo dispe(n)der(e) de la moneta no(n) sia i(m)pedime(n)to et ch(e) corre vole(n)tieri, se ordina et (com)ma(n)da, p(er) el p(rese)nte ba(n)no, ch(e) tucta la moneta d(e) arge(n)to// (c. 49r) foristera ch(e) se despe(n)derrà d(e) mo’ ava(n)te, se habia da pesar(e), et quella ch(e) ma(n)cherrà se d(e)’ pagar(e) p(er) allagio u(n) cavallo et meczo p(er) acino et no(n) più2; (videlicet) li scuti d(e) arge(n)to d(e) Roma scarse fine ad quara(n)te acini, et lo meczo scuto fine ad vinti, lo quarto d(e) scuto fine ad deice, lo iulio fine ad q(uin)dici, et lo carlino d(e) Sicilia fine ad deice acine3; et ma(n)chan[n]o più del dicto nu(m)mero ciascuno d(e) dicte monete no(n) se habbia d(e) expe(n)der(e), ma ch(e) se pigliano ad peso p(er) arge(n)to ructo ad ragione d(e) ducati octo, tarì dui, et gr(ana) xvij, et dinari cinquo la libra, ch(e) vene la o(n)cze carlini septe et gra(n)na uno et dinari tre, sopto pene d(e) o(n)cze ce(n)to p(er) cadavolta ch(e) cadauno (con)travinesse d(e) applicare alla r(egi)a corte// (c. 49v) et alt(r)a reservata ad arbritrio d(e) sua S(ignor)ia ill(ustrissi)ma4; et ad ch(i) lo revelarrà et ponerrà i(n) vero se li darrà la quarta parte d(e) dicta pena5. Datu(m) Neap(o)li die xi octob(r)o 1531 - Post data, volemo lo sop(r)adicto [se@ habia da observar(e) p(er) questa cità et tucto lo regno6. Po(m)peius Vic(erex) Loc(umtene)ns g(e)ne(ra)lis. V(idi)t de Colle r(ege)ns. V(idi)t Loffredus r(ege)ns. Ber(nardi)nus Marti[r]anus secretarius7.// (c. 50r) An(n)o D(omi)ni 1532, a li 27 d(e) iunio, morcze el cardinal Colo(n)na, quale stava p(er) vicerré i(n) Nap(u)li, et lo corpo suo sta ad Sa(n)ta M(ari)a Mo(n)teoliveto d(e) Nap(u)li1. Eode(m) a(n)no, alli 14 d(e) (set)te(m)bro, apparse la cometa verso leva(n)te co(n) una coda log(n)a, et fo bo(n) te(m)po, ch(e) la estate p(rese)nte fece se no(n) piover(e), et lo i(n)verno bo(n)no te(m)po2; et de poi apparse la matina a dui hor(e) d(e) nocte p(er) certi giorni - 1532 3. Eode(m) [29] 1 utriusq(ue)@ titulus su -u-; 1 Ierusalem@ la seconda e corretta su altra lettera; 1 Croatie@ r nell’interlinea su o. [30] 1 cardinale@ na nell’interlinea su i. [30] 4 applicare] applica(n)te; 4 reservata ad arbritrio d(e) sua@ reservata ad arbritrio d(e) reservata/ad arbritrio d(e) sua (il primo arbritrio ha la prima r aggiunta nell’interlinea su a, la seconda r corretta su b, la terza r aggiunta nell’interlinea su i); 6 Neap(o)li@ e corretta su a; 6 [se@@ taglio nella carta. [31] 1 D(omi)ni 1532@ 15432 (con 4 espunto) notizia preceduta da asterisco; 1 d(e) Nap(u)li@ segue, espunta probabilmente dallo stesso Fuscolillo, la medesima notizia: An(n)o D(omi)ni 1532 a li 27 d(e)l mese d(e) iunio morcze el cardinale Colo(n)na quale era vecerré d(e) Nap(u)li et lo corpo suo sta ad Sa(n)ta M(ari)a Mo(n)teoliveto; 2 Eode(m) a(n)no@ nel margine sinistro Capasso annota c. 48; il rimando è al luogo in cui Fuscolillo aveva copiato la medesima notizia: cfr. § II.6; 4 Eode(m)@ la notizia è preceduta da un asterisco tracciato con inchiostro nero. 38 [32] [33] [34] [35] Gasparro Fuscolillo an(n)o, alli 20 d(e) iulio, lo s(ignor)e Andrea Dorio ve(n)ne i(n) Nap(u)li co(n) tre(n)ta galer(e) et vintiquattro navi grosse, et fece multa ge(n)te i(n) Nap(u)li, et no(n) ce stette più ch(e) quattro dì4; et subbito se partìo p(er) Sicilia p(er) a(n)dar(e) ad trovar(e) l’armata del Turcho – 15325. // (c. 50v) An(n)o D(omi)ni 1534, in Sessa fo ta(n)ta carastia ch(e) lo grano valeva lo tu(m)mulo vinti carlini, et la carastia era p(er) o(n)gni parte d(e) re(n)gno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano, et la estate passata fo pegio, ch(e) qua(n)do se co(m)m<e(n)>czao ad seminar(e) valeva q(ui)(n)dici carlini et se(m)pre salliva d(e) preczo, ch(e) la ge(n)te se moriano d(e) fama et ch(e) no(n) se poteva haver(e) pane, ta(n)ta la fo>.@lla ch(e) stava alla piacza1. Et a dì 16 d(e) magio ve(n)ne ta(n)to grano ad Scauli ch(e) scese lo tu(m)mulo carlini cinquo, ch(e) ve(n)ne da Sicilia2. An(n)o D(omi)ni 1533, alli 26 d(e)l mese d(e) ie(n)naro d(e)l p(rese)nte mese, fo facta la potecha d(e) m(issere) Macthio d(e) Cristiano, quale dicta potecha sta iunta ad quella d(e) m(issere) Ber(nardi)no Suave et socto allo castello, iu(n)to la porta d(e) mecello, iu(n)to la via d(e)l castello et la via publica d(e) la piacza maior(e)1. Quale dicta potheca, allo frabicar(e) ch(e) se fece, allo mecter(e) dell’astraco d(e) terra adca(n)te la porta fo trovato una certa moneta de// (c. 51r) oro picchola, ch(e) fo appreczata carlini ciquo o più la una d(e)l dicta moneta, et lo dicto tesoro fo poco d(e) valor(e), et fo i(n) te(m)po d(e) s(ignore) Archone et lo s(ignor)e Bergara2; quali dicti s(igno)ri, fo dicto p(er) Sessa, fece dar(e) la corda ad certi murinari ch(e) se adunero qua(n)do q(ui)lli garczoni portavano la >te@rra allo largo d(e)l castello, et ipsi dicti murinari a(n)dero adpresso, ch(e) se erano adunati ch(e) lo garczone se nasconea la >di@cta moneta3; d(e)l ch(e) ne patero la penete(n)tia loro4. An(n)o D(omi)ni 1534, in sabbato sancto alle 17 hore, allo celebrar(e) d(e) la messa ca(n)tata allo episcopato d(e) Sessa fo uno tarramuto, do(n)ne ce fo uno strepito gra(n)de d(e) ho(m)mini et d(e) donne allo episcopato1; et ce fo p(er) alcune parte d(e) Sessa lo dicto terramuto et fo p(er) pocho spacio d(e) te(m)po in Sessa, a dì 4 d(e) aprile 15342.// (c. 51v) Eode(m) an(n)o, alli 7 d(e) magio, in Sessa have valuto lo grano lu tu(m)mulo carlini vintici(n)quo et no(n) se trovava grano et no(n) dinari, ch(e) se moria la ge(n)te d(e) fame3. Et a dì 12 d(e) magio lo grano scese lo tu(m)mulo carlini sei, ch(e) ce ne ve(n)ne da Scauli p(er) maro4. An(n)o D(omi)ni 1533, alli 15 d(e) iunio, ve(n)dero da Mola et dal Castellone tremilia fa(n)ti inbuctinati et ci(n)quece(n)to muczi et ci(n)quece(n)to puctane et [31] 4 an(n)o, alli 20@ -i corretta su -e, 0 su 2. [32] 1 An(n)o D(omi)ni@ nel margine sinistro è stato annotato, con inchiostro blu: dupl.; cfr. § II.6; 1 fo>.@lla@@ taglio; manca una lettera, ma si legge la parte inferiore di una g: cfr. § V.2.2.12. [33] 3 garczoni@ n corretta su r; 3 >te@rra@ taglio nella carta; 3 lo garczone@ -o corretta su -i; 3 >di@cta@ taglio nella carta. [34] 2 terramuto@ e corretta su a, a corretta su lettera illeggibile. [34] 3 Eode(m) an(n)o@ notizia preceduta da asterisco; 4 Et a dì 12@ cfr. lib. II 34.3. [35] 1 An(n)o D(omi)ni@ cfr. lib. II 34.3. Croniche [36] [37] 39 fine ad mille cavalli dentro de Sessa, et stecteroce de(n)tro dicta cità d(e) Sessa vintiquattro giorni et alli vinticinquo partero be(n) de nocte1. Quali dicti fanti allogero se(n)cza descreptione, et fecero tanto male ch(e) no(n) se porria existimare et scriver(e) i(n) carta de ta(n)ta ruina ch(e) fecero dicti fa(n)ti2. Et mai se volsero partir(e) finch(é) no(n) ebbero dicte// (c. 52r) paghe servite i(n) Ungaria allo servicio d(e)l nost(r)o inparator(e) Carlo q(ui)nto3; quale paghe foro tre4. Et p(er) levar(e) dicti fa(n)ti, ce adbisognò venir(e) lo s(ignor)e Archone p(er) li parlar(e) et no(n) li donero ubidie(n)tia nesciuna5: più presto li dessero iniuria et li voleano ad>mac]zare6. Et de poi fo necessaro ch(e) fosse venuto lo s(ignor)e marche[se] d(e)l Guasto, et ma(n)cho li donaro ubidie(n)tia7; et ce ve(n)dero licter(e) et co(m)missioni d(e)l s(ignor)e vecerré, et né meno li volsero ubidir(e) fine ad ta(n)to ch(e) no(n) vendero li dinari p(er) le dicte paghe8; et volse ch(e) venisse lo s(ignor)e ducha d(e) Mo(n)tealto ch(e) li p(ro)mectesse d(e) fede d(e) farlil<o> aver(e) lo indulto et cap(ito)li passat<i> d(e) tucto male c(h)e ipsi fa(n)ti havessero facto p(er) el passato, ch(e) no(n) li fosse dato nessiuno inpaczio9: et ch(i) se ne volevano addar(e) in Spania, ch(e) se no potesse a(n)dar(e) ad sua voglia10. Et cussì dicto s(ignor)e ducha li fece have’ lo sop(r)adicto i(n)dulto passato p(er) mani d(e) lo s(ignore)// (c. 52v) vecerré d(e) Nap(u)li et lo s(ignor)e marchese et d(e) tucto lo co(n)siglio11. Et alla partita ch(e) fecero, fecero qua(n)to male poctero far(e), ch(e) no(n) ce fo nesciuno remedio, ch(e) la magior(e) parte d(e) Sessa fugero fora d(e) Sessa, ch(e) haveano lassate le casi et r<o>bbe12; et de poi invarchero in Mola p(er) a(n)dar(e) ad Corona co(n)tra lo Turcho, ch(e) là patero la penete(n)tia loro13. >Ips@i dicti facti ve(n)dero d(e) do(m)menecha, et d(e) merchudì partero da la cità d(e) Sessa14. An(n)o D(omi)ni 1534 in Sessa fo ta(n)ta carastia ch(e) lo grano valeva lu tummulo circha vinti carlini1. Et la dicta carastia era p(er) o(n)gni parte intorno, ch(e) lo p(rese)nte a(n)no fo trista staisone d(e) grano, ch(e) se ne fece pocho per la estate passata, et d(e) ch(e) se co(m)micziò ad se(m)minar(e) da octob(r)o p(er) fi’ al p(rese)nte giorno se(m)pre valeva q(uin)dici carlini lu tu(m)mulo, ch(e) d(e) manera se moriano d(e) fama alcuna p(er)sona2. Et al 16 d(e) magio ve(n)ne ta(n)to grano ad Scauri ch(e) scese lu tu(m)mulo cinquo carlini3.// (c. 53r) An(n)o D(omi)ni 1536, die 24 me(n)sis marcii, la Sacra Cesaria Maiestà Carolo quinto inp(er)ator(e) passao p(er) Sessa1. Lu q(u)ale ve(n)ne la vigilia d(e) la A(n)nu(n)ciacione d(e) la Ma(d)do(n)na alle vintetré hor(e) et mecze, et stecte in Sessa p(er) fine alla matina seque(n)te, et de poi se partìo ad hor(e) 182; [35] 1 fine@ -e corretta su –i; 3 dicte paghe@ h corretta su e; 5 p(er) li@ segue fo, espunto; 5 parlar(e)@ parlar(e)li (con li espunto); 6 ad>mac@zare@ taglio nella carta; 8 né meno@ no aggiunto nell’interlinea su me; 8 volsero@ r corretta su l tagliata da titulus; 12 ch(e) fecero@ (segue fac, espunto); 13 Corona@ -na espunto da mano probabilmente più tarda con inchiostro nero; 13 Turcho@ -o corretta su e; 14 >Ips@i@ taglio nella carta. [36] 1 An(n)o D(omi)ni@ nel margine sinistro è stato annotato con inchiostro blu da una mano tarda, dupl. f. sov.; cfr. § II.6; 2 octob(r)o@ segue se(m)pre, espunto. [37] 1 An(n)o D(omi)ni@ notizia preceduta da asterisco tracciato con inchiostro nero. 40 [38] [39] [40] [41] [42] [43] [44] [45] Gasparro Fuscolillo quale stette p(er) sua sta(n)cia in lo Castello d(e) Sessa3. Et poi se partìo p(er) Gaeta p(er) a(n)dar(e) in Roma, quale portao assai ge(n)te co(n) sua Mae(n)stà et no(n) ce >fece@ nessciuno da(n)no in Sessa allo ’logiar(e) ch(e) fece4. Anno D(omi)ni 1538, alli 18 giorni d(e) iennaro, xie idictionis, alle 15 hor(e) et d(e) vernedì, trapassao da questa vita p(rese)nte misser(e) Agustino Niffho de Sessa1. Et sua infirmità fo schore(n)tia et pe(n)tura, ch(e) infra termine d(e) li septe giorni morìo2; et suo corpo sta ad Sa(n)to Do(m)minicho d(e) Sessa3. Die x del mese d(e) aprile 1539, xiie idictionis, in Sessa fo ve(n)duto lo domanio d(e) Sessa ad lume de ca(n)dela et sòno d(e) tro(m)be<tt>a p(er) preczo d(e) mille et quattrocento ducati lo anno ad uno capuano chiamato p(er) nome Cesaro Falcho1; et fo ve(n)nuto p(er) sei anni, fra(n)cho et libbero p(er) afficto2.// (c. 53v) A dì x d(e) giungno 1539 in Sessa, in una potheca d(e) uno ma(n)nese, fo vista da più persuni una tabula in meczo della quale era una petra de marmoro de peso d(e) libre dui1. A dì 20 d(e) nove(m)bro 1539 fo messa la ’cona nova ad lo episcopato d(e) Sessa, ad lo autale mayor(e), in te(m)po de lo ep(iscop