MONDO CINESE RIVISTA TRIMESTRALE SOMMARIO Politica interna Marina Miranda Il PCC discute di come migliorare la propria “capacità di governo” pag. 3 Economia e diritto Corrado Molteni Gli investimenti delle case automobilistiche giapponesi in Cina pag. 10 Marco De Marco Considerazioni sull’adozione di software ERP nella Repubblica Popolare Cinese pag. 18 Cultura e società Valentina Pedone Contesti extrascolastici di socializzazione della seconda generazione cinese pag. 33 Documenti La funzione di Internet nel processo di democratizzazione in Cina pag. 44 Rapporti Clara Bulfoni Beijing International Education Expo 2004 pag. 63 Filippo Salviati n. 121 Ottobre-Dicembre 2004 “Sulla via di Tianjin, mille anni di relazioni tra Italia e Cina” 1 pag. 69 ISTITUTO Vittorino Colombo per lo sviluppo delle relazioni culturali, economiche e politiche con la Repubblica Popolare Cinese. Presidente onorario: Giulio Andreotti Presidente: Cesare Romiti Direttore: Alcide Luini Sedi: - 20121 MILANO - Via Clerici, 5 - Tel. 02/862325 Fax 02/36561073 - E-mail: [email protected] - 10153 TORINO - Lungo Po Antonelli, 177 - Tel. 011/89.80.406 - Beijing Representative Office - Zijin Guest House, 321 Chongwenmen Xidajie, No. 9 - Beijing 100005, China Tel. 0086/10/65127157 - Fax 0086/10/65127158 "MONDO CINESE" rivista trimestrale Direttore responsabile: Marco Del Corona Redazione: Alessandra Lavagnino - Alcide Luini - Federico Masini Marina Miranda - Lina Tamburrino Segretaria di redazione: Elisa Giunipero Comitato scientifico: Piero Corradini - Gabriele Crespi Reghizzi - Alessandra Lavagnino - Federico Masini - Marina Miranda - Guido Samarani - Paolo Santangelo - Giovanni Stary. C.C.P. n. 48885206 "Istituto Italo Cinese", Milano Abbonamento per il 2004 Un numero Numero arretrato ed estero € 31 € 9 il doppio Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 193 del 5-5-1973 Iscrizione R.O.C. n. 679 Spedizione in abbonamento postale "La Rivista non è responsabile delle opinioni espresse dagli Autori. Gli articoli non necessariamente coincidono con le opinioni della Direzione". OTTOBRE/DICEMBRE - ANNO XXXII - N. 121 Composizione, stampa e grafica: C.M.C. - Via Costa, 5 - Gallarate (VA) È consentita la riproduzione parziale di singoli testi purchè se ne citi la fonte. L'Istituto Italo Cinese per gli scambi economici e culturali garantisce la massima riservatezza dei dati raccolti per la spedizione di "Mondo Cinese". Ai sensi dell'art. 13 della legge 675 del 31/12/1996 i dati potranno essere distrutti, su richiesta a "Mondo Cinese", Via Clerici, 5 - 20121 Milano. 2 Politica Interna Il PCC discute di come migliorare la propria “capacità di governo” Jintao, invece, ha avuto la possibilità di consolidare in breve tempo la propria posizione politica, riuscendovi a 61 anni, un’età eccezionalmente giovane rispetto a quella di tutti gli altri precedenti leader della Repubblica popolare. Il merito di aver fatto in modo che il passaggio dei poteri avvenisse in modo ordinato va a Jiang Zemin, il quale aveva già favorito una sorta di formalizzazione istituzionale all’interno della leadership, fissando limiti di età1 e di mandato2 per le principali cariche al vertice del partito e dello stato. Si temeva, però, che lo stesso Jiang potesse arrestare tale tipo di processo e ostacolare così il passaggio reale dei poteri ai leader della quarta generazione. Se non si fosse dimesso dalla Commissione militare centrale, l’exSegretario generale avrebbe superato il precedente storico fissato da Deng Xiaoping, il quale aveva mantenuto la sua posizione a capo di tale organismo militare solo per due anni, fino al 1989, dopo essersi ritirato dall’Ufficio politico e dal Comitato centrale nel 1987. Sembrerebbe quindi essere in atto una trasformazione da un tipo di potere fortemente personalizzato a una forma più istituzionalizzata di governo, regolata da norme e procedure. MARINA MIRANDA 1. Il completamento di una successione ordinata I l 4° Plenum del XVI Comitato centrale, che si è riunito dal 16 al 19 settembre 2004, ha segnato una svolta importante nella storia della Repubblica popolare: il completamento del passaggio dei poteri da Jiang Zemin a Hu Jintao, che così ha ottenuto anche la nomina a Presidente della Commissione militare centrale. Si è conclusa quindi la prima successione ai vertici del partito avvenuta in modo non traumatico, senza che sia stata provocata da eventi scatenanti, come la morte di un leader o il verificarsi di una crisi politica. Ricordiamo che, nel corso delle precedenti transizioni al vertice, tutti i successori via via designati sia da Mao Zedong che da Deng Xiaoping erano caduti in disgrazia prima di riuscire ad affermare il proprio potere. Hu 3 Politica Interna Non sono tuttavia del tutto chiari i retroscena e i passaggi politici, su cui ha cercato di far luce la stampa di Hong Kong3, che, in un clima di grande incertezza ancora alla vigilia del Plenum, hanno alla fine portato alle dimissioni di Jiang. Dopo il suo ritiro, non si può però certo immaginare che il peso politico dell’ex-Segretario generale sia azzerato completamente, in quanto potrebbe, in maniera simile a quella di Deng, continuare ad esercitare la propria influenza dietro le quinte. Ricordiamo che sono a lui molto vicini cinque dei nove membri dell’Ufficio politico, tra cui Huang Ju e Zeng Qinghong. Proprio la candidatura di quest’ultimo, ancora secondo la stampa di Hong Kong4, pare fosse stata proposta da Jiang per la carica a Vice-presidente della Commissione militare centrale; in realtà, invece, Zeng non figura ancora neanche tra i membri che compongono tale organismo. Dopo la sua promozione, il posto di Hu in qualità di Vice-presidente è stato assunto dal generale Xu Caihou, il quale possiede una buona esperienza politica, essendo stato a capo negli ultimi cinque anni del Dipartimento politico dell’Esercito. Per quanto riguarda il ruolo della commissione stes- sa, esso sembrerebbe essere stato in un certo senso potenziato, dato che il numero dei suoi componenti è stato aumentato da 8 a 11. Nonostante la nomina ottenuta, Hu ha ancora bisogno di dimostrare quanto sia saldo il suo legame con l’Esercito. Bisogna ricordare che alla fine degli anni ’90, era stato coinvolto da Jiang nel processo di risanamento delle attività imprenditoriali dei militari, cresciute enormemente nel corso delle riforme e che avevano dato vita a molteplici forme di corruzione. Nonostante il difficile compito affidatogli, Hu era riuscito a imporre la propria autorità; ciò può essere considerato come un preliminare riconoscimento del suo ruolo a capo dell’Esercito. 2. Migliorare la “capacità di governo” Quanto la posizione di Hu ai vertici del partito sia ormai consolidata appare evidente dal testo delle “Risoluzioni del Comitato centrale del PCC per rafforzare la capacità di governo del partito”5 , nelle quali viene ulteriormente ampliata e sviluppata la visione politica della nuova leadership. Questo documento 4 Politica Interna approvato dal 4° Plenum pone in primo piano, tra le priorità dell’agenda politica, quella di migliorare la capacità di governo del partito, un progetto di ampio respiro, articolato in molti punti e che investe diversi aspetti del ruolo del PCC. La nuova funzione che il partito è chiamato a svolgere nella società era stata uno dei principali temi affrontati nel documento del XVI Congresso 6 : in esso era stata esplicitata ufficialmente, per la prima volta, l’avvenuta trasformazione del PCC da “partito rivoluzionario” in “partito di governo”.7 Lo sviluppo di tale processo evolutivo è dunque consistito nell’affrontare il problema della capacità del partito di guidare il paese. Dopo che tale tema era stato trattato anticipatamente nell’editoriale del Quotidiano del Popolo del 1 luglio 20048, in occasione dell’83° anniversario della fondazione del PCC, la stampa di Taiwan lo aveva annunciato come l’argomento all’ordine del giorno del successivo 4° Plenum. 9 Averne fatto il tema centrale di quest’importante riunione politica sta a significare quanto la capacità di governo rimanga ancora un problema aperto. E’ un segnale incoraggiante di come la nuova leadership voglia mantenersi al passo coi tempi, riconoscendo che i profondi cambiamenti generati da più di 25 anni di riforme necessitano una più efficace gestione delle questioni economiche e sociali, come pure maggiore trasparenza politica. Il problema del miglioramento della capacità di governo è reso impellente dal fatto che il processo di trasformazione in atto ha raggiunto una fase critica in cui sono emersi fattori di crisi che potrebbero compromettere la stabilità sociale. Promuovere ulteriormente le riforme e consolidare il ruolo del partito costituisce una prova senza precedenti per poter governare il paese e rappresenta una doppia sfida, sia sul piano interno che su quello internazionale. A tale riguardo è da tempo in corso all’interno del PCC una profonda riflessione sulle cause che in altri paesi hanno portato il partito unico al potere a dover abbandonare la scena politica: tra le diverse ragioni individuate, l’incapacità di adattarsi ai mutamenti sociali in corso e la scarsa attenzione prestata al problema del miglioramento della capacità di governo. Quest’ultimo tema è presentato dalle “Risoluzioni” come una delle questioni di maggior rilevanza 5 Politica Interna strategica per il futuro del socialismo, unitamente alla capacità del partito di realizzare i cosiddetti “tre compiti storici”: il progresso della modernizzazione, la riunificazione del paese, il mantenimento della pace mondiale e la promozione dello sviluppo comune. Nel primo di questi tre obiettivi, lo sviluppo economico rimane la priorità essenziale, unitamente al miglioramento dell’economia di mercato e l’adattamento agli standard internazionali. Nella sua funzione di guida, il partito necessita di un risanamento, attraverso l’introduzione di ulteriori meccanismi di controllo nel proprio funzionamento interno, come il decentramento dei processi decisionali, l’adozione di procedure che abilitino i membri ordinari a monitorare i rendimenti dei quadri superiori, l’istituzionalizzazione di norme che rendano più trasparenti i meccanismi di selezione e promozione dei funzionari. Risanare il partito significa soprattutto combattere efficacemente il fenomeno della corruzione. A tale proposito il Plenum ha fornito un esempio significativo: con l’approvazione del rapporto della Commissione centrale per le Ispezioni disciplinari, ha espulso dal Comitato centrale Tian Fengshan, accusato di corruzione per circa 5 milioni di yuan. Nell’intero documento appaiono molteplici riferimenti al principio di legalità: è significativo che sia richiamata ed enfatizzata in più punti la necessità di “governare in base alla legge” (yi fa zhizheng). Ciò sta a significare che il partito è tenuto ad agire attenendosi alla legge e non può ritenersi al di sopra di essa; si rende necessario inoltre ridefinire i suoi rapporti con le istituzioni e l’amministrazione del paese, con cui il partito non deve interferire e a cui non può assolutamente sostituirsi. La capacità di governare in base alla legge è ritenuta una delle cosiddette “cinque grandi capacità” che dovrebbero possedere i quadri di partito secondo quanto enunciato dal documento. Le altre consisterebbero nella capacità di controllare l’economia di mercato, di fronteggiare gravi emergenze, di fornire un giudizio “scientifico” delle situazioni e di assumerne il controllo globale. Uno dei problemi più gravi da affrontare è il basso livello di competenza dei quadri, nonostante la lunga esperienza accumulata negli anni. In base a quanto emerso in una recente inchiesta effet6 Politica Interna tuata dalla scuola centrale di partito, il 66,9% dei quadri di livello superiore a quello di distretto non sarebbe in grado di controllare l’economia di mercato, il 58,1% possiederebbe scarsa capacità di fornire un giudizio “scientifico” delle situazioni, mentre più di un terzo avrebbe difficoltà a fronteggiare le emergenze o ne perderebbe completamente il controllo, come, ad esempio, è successo durante la fase iniziale dell’epidemia della Sars. 10 Inoltre i quadri di diversi livelli spesso dimostrerebbero mancanza di spessore ideologico, senso di responsabilità e integrità politica. “Scientifico” è un termine spesso ricorrente in molti passaggi del testo delle “Risoluzioni”: scientifico deve essere l’approccio adottato nel migliorare la capacità di governo e nello sviluppare ulteriormente le riforme; scientifico il processo decisionale da promuovere; scientifico il principio cui bisogna aderire, quello di “porre la popolazione al primo posto”. Scientifico è uno sviluppo economico che tenga conto del fattore umano, uno sviluppo sostenibile, ben coordinato in modo complessivo con quello sociale, una crescita bilanciata da un sistema di garanzie sociali, una maggiore attenzione ai problemi e agli squi- libri della crescita economica. Un’altra delle parole d’ordine più citate è quella di “governare per il popolo”, unitamente a quella di mantenere saldi i rapporti con la popolazione come “muscoli e sangue” di un unico organismo. E’ importante notare che nelle “Risoluzioni” ricorre più volte un altro termine, che sembra fare così il suo ingresso ufficiale nell’attuale gergo politico della nuova leadership, quello di una “società armoniosa” (hexie shehui), un modello cui deve tendere la Cina per evitare gli squilibri e i conflitti sociali.11 Gli squilibri da correggere sono quelli tra città e campagna, tra aree costiere e regioni interne meno sviluppate, in particolare quelle abitate da minoranze nazionali, quelle delle zone di confine nord-occidentali e sud-occidentali, la vecchia base industriale del nord-est. In tale modello “armonioso” si fa riferimento alla società nel suo complesso e non a strati specifici e più avanzati, come nel cosiddetto pensiero de “le tre rappresentatività”12, spesso citato nel testo del documento. A quest’ultima elaborazione teorica, considerata come ideologia guida, bisogna aderire per l’edificazione del partito, unitamente al marxismo-leninismo, al pensiero 7 Politica Interna di Mao e alla teoria di Deng Xiaoping. Il documento esalta in più punti il contributo fornito da Jiang Zemin al partito e al popolo, durante gli anni in cui ha ricoperto le più alte cariche, a partire dal 4° Plenum del XIII Comitato centrale (giugno 1989). Molti dei temi affrontati nelle “Risoluzioni” di questo 4° Plenum del XVI Comitato centrale vengono trattati in maniera più articolata in un importante documento neibu, a circolazione interna, emanato l’8 ottobre 2004 dal Comitato centrale e indirizzato ai comitati di partito a livello provinciale e inferiore. E‘ la stampa di Hong Kong, sempre aggiornata e sensibile a determinate problematiche, a presentare una sintesi di questo documento denominato “I dieci elementi scatenanti di (possibili) crisi prima del 2010 nel nostro paese”.13 Essi consisterebbero in una crisi di fiducia nel marxismo-leninismo e nel sistema socialista da parte degli stessi membri del partito a diversi livelli; nella scarsa competenza, demotivazione e arrivismo di molti quadri; nella corruzione in aumento all’interno del partito e nella società; nelle difficoltà per la creazione di un sistema legale e di uno stato di diritto; nella discrepanza tra sistema politico e sviluppo dell’economia di mercato; nelle strozzature nello sviluppo economico e finanziario; negli squilibri nella distribuzione del reddito tra strati sociali e tra aree geografiche; nell’allentamento del rapporto tra partito e masse; nella più generale crisi culturale e morale; nelle difficoltà per la risoluzione pacifica del problema di Taiwan. E’ questa una riproduzione sintetica ma puntuale dei mali e delle contraddizioni che affliggono la società cinese contemporanea e della cui gravità il partito sta prendendo definitivamente coscienza. 1) La norma del limite d’età di 70 anni per l’appartenenza all’Ufficio politico fu applicata nel 1997 al XV Congresso nei confronti di Qiao Shi, Yang Baibing, Liu Huaqing, Zou Jiahua. 2) Il limite di due mandati è stato fissato per le cariche di Segretario generale del partito, Primo ministro, Presidente della repubblica e dell’Assemblea nazionale del popolo. 3) Yong Bing, “Jiang Zemin xiatai neimu“ (I retroscena delle dimissioni di Jiang Zemin), Zheng ming (Zm), n.10 (324), ottobre 2004, pp. 6-8. 4) “Jiang Zemin zhu zheng shisan nian“ (I tredici anni in cui Jiang Zemin ha diretto la politica), Fenghuang zhoukan, n.28 (161) ottobre 2004, pp. 14-20. 5) “Zhonggong zhongyang guanyu jiaqiang dang de zhizheng nengli jianshe de jueding“ (Risoluzioni del 8 Politica Interna Comitato centrale del PCC per rafforzare la capacità di governo del partito), Beijing qingnian bao, 27 settembre 2004, pp.1-3. 6) Jiang Zemin, “Quanmian jianshe xiaokang shehui, kaichuang Zhongguo tese shehuizhuyi shiye xin jumian. Zai Zhongguo Gongchangdang Di-shiliu ci Quanguo Daibiao Dahui shang de baogao“ (Costruiamo in modo onnicomprensivo una società del benessere, creiamo nuove condizioni per la causa del socialismo con caratteristiche cinesi. Rapporto all’Assemblea Generale dei Delegati di tutto il paese al XVI Congresso del Partito Comunista Cinese), Renmin ribao, internet ed. (Rmrb), 18 novembre 2002, p.1. 7) Sebbene tale trasformazione possa apparire ormai ovvia, l’importanza di un’affermazione di tale tipo risiede nel fatto che sia stata inserita per la prima volta in un documento ufficiale. Si veda, M. Miranda, “Il Partito comunista cinese da ‘partito rivoluzionario’ a ‘partito di governo’”, Mondo Cinese, n.113, ottobre-dicembre 2002, pp.15-28. 8) “Yi tigao zhizheng nengli wei zhongdian jiaqiang he gaijin dang de jianshe - qingzhu Zhongguo Gongchandang chengli bashisan zhounian“ (Rafforziamo e miglioriamo l’edificazione del partito prendendo come punto chiave il perfezionamento della capacità di governo - Celebriamo l’ottantatreesimo anniversario della fondazione del PCC), Rmrb, 1 luglio 2004. 9) “Zhonggong tisheng zhizheng nengli jianshe mianlin yali yu tiaozhan“ (Le sfide e le pressioni che devono affrontare i Comunisti cinesi nel miglioramento della capacità di governo), Zhonggong yanjiu, vol. 38, n.7 (451), luglio 2004, p.3. 10) “CPC’s Major Challenges”, Beijing review, internet ed., vol. 47, n. 44, 4 novembre 2004. 11) “Riots provide bleak picture of society’s ills”, South China morning post, internet ed., 4 novembre 2004; Philip P. Pan, “Civil unrest challenges China’s party leadership”, Washington post, internet ed., 4 gennaio 2004. 12) In base a tale elaborazione teorica formulata da Jiang Zemin, il partito rappresenterebbe “le esigenze di sviluppo delle forze produttive più avanzate, gli orientamenti della cultura più avanzata e gli interessi fondamentali di larghissima parte della popolazione”. 13) “Wo guo 2010nian qian shi da weiji yinsu“ (I dieci elementi scatenanti di [possibili] crisi prima del 2010 nel nostro paese), in Yong Bing, “Zhonggong wenjian xi shi da weiji“ (Un documento dei comunisti cinesi analizza dieci grandi [fattori di] crisi), Zm, n.11 (325), novembre 2004, pp.12-14. 9 Economia e diritto Gli investimenti delle case automobilistiche giapponesi in Cina soli produttori stranieri in Cina. Le case giapponesi esportavano i loro modelli, ma non realizzarono alcun investimento significativo, nonostante i tentativi del governo cinese di indurre la Toyota a farlo. Una seconda fase nello sviluppo dell’industria automobilistica cinese si aprì a metà degli anni novanta, quando il governo adottò una politica industriale mirata allo sviluppo e al consolidamento di un settore ritenuto strategico. Obiettivo della nuova politica era quello di favorire la crescita di un numero limitato di produttori nazionali – tre grandi e tre di medie dimensioni –, dotati d’adeguate risorse finanziarie e di tecnologie avanzate. A tal fine fu promossa la costituzione di joint venture paritetiche tra i principali costruttori nazionali, quasi tutti controllati dal governo, e i grandi gruppi stranieri, ai quali si offriva un mercato potenzialmente enorme, ma si richiedevano anche investimenti e il trasferimento di tecnologie e conoscenze manageriali. In questa fase, dopo lunghe e complesse trattative, alcuni produttori europei ed americani riuscirono a formare alleanze strategiche con partner cinesi, ma le grandi case automobilistiche giapponesi rimasero ancora una volta alla finestra, op- CORRADO MOLTENI 1. Dall’iniziale cautela alla massiccia penetrazione degli ultimi anni L ’apertura del settore automobilistico cinese agli investimenti esteri risale alla metà degli anni ottanta. Le prime società straniere che decisero di produrre in Cina, sempre in joint venture con partner locali, furono nell’ordine: l’American Motors Corporation (poi acquisita dalla Chrysler), che avviò nel 1983 la produzione della Jeep Cherokee in una società mista con la Beijing Auto Works (BAW), la Volkswagen, che nel 1984 iniziò a produrre il modello Santana in una joint venture con la Shanghai Automotive Industrial Corporation (SAIC), e la Peugeot, che nello stesso anno avviò la produzione in un impianto localizzato a Guangzhou. Questi pionieri europei ed americani rimasero per una decina d’anni i 10 Economia e diritto pure furono semplicemente escluse dai negoziati.1 Era infatti convinzione diffusa in Giappone che, nonostante i bassi costi della manodopera, produrre in Cina non fosse per nulla conveniente. Come sostiene ancor oggi Chi Hung Kwan, economista cinese che però lavora in Giappone, 2 il basso livello della produttività per addetto, gli elevati costi indiretti e l’inferiore qualità dei componenti e dei semilavorati non garantivano e non garantirebbero tuttora gli standard qualitativi e d’efficienza delle fabbriche giapponesi. Meglio quindi puntare sulle esportazioni e sulla creazione di un’efficiente rete distributiva. Questa tesi, però, non convinse del tutto le imprese. Di fronte al rischio di accumulare ulteriori ritardi in un mercato che stava crescendo a ritmi impressionanti, le grandi case automobilistiche decisero nei primi anni di questo secolo di affrontare la sfida della produzione in loco. La Honda, da sempre il costruttore più dinamico e innovativo, fu la prima società ad effettuare il gran passo, rilevando nel 1998 le attività e gli impianti della Peugeot a Guangzhou. La decisione fu favorita anche dal fatto che la società era già presente in Cina con impianti per la produzione di motociclette. Aveva quindi acqui- sito una notevole esperienza che le permise di rilanciare la società rilevata dai francesi. Il successo di questo investimento3 e, soprattutto, la rapida crescita del mercato cinese dopo l’ammissione della Cina al WTO indussero anche gli altri produttori giapponesi a rivedere le loro strategie. 4 2. La situazione attuale: la nascita di una grande fabbrica integrata Come risulta dalla tabella 1 in appendice, attualmente tutte le principali case automobilistiche giapponesi hanno delocalizzato in Cina una parte importante delle loro attività produttive. Toyota, Honda, Nissan hanno costituito joint venture paritetiche con i maggiori produttori locali. La Toyota con le imprese del gruppo FAW, First Automotive Work, il maggior produttore cinese di autoveicoli, che però ha creato società miste anche con la Volkswagen e la Mazda del gruppo Ford. 5 La Honda con due case automobilistiche: il gruppo Guangzhou Automotive, con il quale gestisce una società mista in grado di produrre 240.000 auto l’anno, e la Dongfeng Motor. Con quest’ultima società la Honda produce annualmente a Wuhan 30.000 veicoli, ma le due società hanno re11 Economia e diritto centemente annunciato che la capacità produttiva sarà portata a 120.000 veicoli entro il 2006. 6 Infine, la Nissan, l’ultima a sbarcare, ha creato un’alleanza strategica con la Dongfeng Motor. 7 Le tre società hanno inoltre costituito una fitta rete di impianti per la produzione di motori, trasmissioni e componenti, dovendo conformarsi alla normativa cinese che, sino a metà del 2004, imponeva alle case automobilistiche di utilizzare determinate percentuali di componenti prodotti localmente. Ad esempio, il gruppo Honda in Cina è costituito da una decina di imprese che producono parti e componenti, alcune compartecipate come la Dongfeng Honda Engine e la Dongfeng Honda Autoparts, ed altre interamente controllate dalla società giapponese. 8 Sono cresciuti notevolmente anche gli investimenti dei produttori di componentistica indipendenti, contribuendo alla formazione di una grande officina integrata. Questa complessa rete produttiva si basa su di una dinamica divisione del lavoro tra impianti localizzati in Giappone e fabbriche cinesi, sfruttando il vantaggio competitivo dei due paesi: una divisione del lavoro che si riflette anche nel commercio bilaterale tra i due paesi, in rapida crescita, e caratterizzato da un sempre maggiore intraindustriale. scambio 3. Gli sviluppi recenti Il mutamento di strategia delle imprese giapponesi appare ancora più evidente osservando contenuti ed obiettivi degli ultimi investimenti. Toyota ha recentemente annunciato che dal 2005 inizierà ad assemblare in Cina, in una joint venture con il gruppo FAW, anche la Prius, il modello tecnologicamente avanzato della casa giapponese, dotato di un propulsore ibrido, a benzina ed elettrico: modello che risponde alle esigenze cinesi di ridurre i consumi energetici e di limitare la congestione e l’inquinamento provocati dalla rapida motorizzazione. 9 Anche la Nissan appare determinata a seguire una strategia di rapida penetrazione e di consolidamento della propria presenza. Lo dimostrano le dimensioni e il livello tecnologico dei nuovi impianti che la società sta costruendo con il partner cinese, la Dongfeng Motor, nella zona di Huadu a Guangzhou. La nuova fabbrica, che a regime avrà una capacità produttiva annua di 150.000 autoveicoli, potrà produrre sulla stessa linea otto modelli diversi, usando la tecnolo12 Economia e diritto gia che Nissan utilizza nei suoi impianti in Giappone. Inoltre, è prevista l’inaugurazione entro il 2005 di un centro di ricerche con circa 700 dipendenti che, in collaborazione con i tecnici della Nissan, svilupperanno modelli adatti alle esigenze del mercato cinese. 10 La Honda, infine, ha costituito nel 2003 una società mista con Dongfeng Motor e il gruppo Guangzhou Automotive, per la produzione a Guangzhou di 50.000 utilitarie destinate ad essere esportate in Asia ed in Europa. Si noti che si tratta del primo caso di joint venture nella quale il socio straniero detiene una partecipazione maggioritaria. (La Honda controlla il 65% della società, mentre i partner cinesi ne possiedono rispettivamente il 10 e il 25%).11 L’acquisizione della maggioranza da parte della Honda è divenuta possibile dopo l’annuncio della nuova politica per il settore automobilistico, la cosiddetta Automotive Industry Development Policy, in vigore dal 1º giugno 2004. 12 Varata con l’obiettivo di consolidare ulteriormente l’industria nazionale e sostenere la crescita di imprese in grado di competere nel mercato internazionale, la nuova politica autorizza le società estere ad acquisire quote superiori al 50%, purché le società siano orientate a produrre per i mercati esteri ed operino in aree designate. Inoltre, tutte le società giapponesi sono impegnate a sviluppare le loro reti di vendita e di assistenza, beneficiando anche del fatto che ora possono affidare la distribuzione a strutture che, a differenza del passato, non devono commercializzare anche i prodotti delle società cinesi. Come latecomers, e sfruttando i vantaggi del ritardatario, le imprese giapponesi stanno dunque investendo in modo aggressivo, ponendosi all’avanguardia dal punto di vista del prodotto, della tecnologia e della rete distributiva. Toyota, che inizialmente si era proposta di acquisire una quota di mercato del 10% entro il 2010, potrebbe addirittura raddoppiarla, utilizzando la capacità produttiva che sta approntando con i partner cinesi. Honda, come si è detto, inizierà presto ad esportare modelli della casa giapponese ma “made in China”, mentre la Nissan si avvia a costituire un polo produttivo di rilevante importanza strategica. 4. Problemi e prospettive Certo, le imprese giapponesi devono affrontare e risolvere diversi problemi. Innanzi tutto, la for13 Economia e diritto te concor renza tra produttori stranieri, che i cinesi mostrano di saper abilmente sfruttare, non solo riduce margini e profitti, ma pone anche seri problemi per quanto riguarda il trasferimento tecnologico. Si noti che molti dei principali produttori cinesi hanno stretto alleanze strategiche in regime di “promiscuità”. Il gruppo FAW ha costituito numerose joint venture con la Toyota, ma anche con la Volkswagen e la Mazda del gruppo Ford. La Dongfeng Motor, partner privilegiato della Nissan e di Renault, ha joint venture e collaborazioni anche con Citroën/Peugeot, Honda e Kia. La SAIC con Volkswagen e General Motors. Questa politica dei produttori cinesi è certamente funzionale ad una rapida acquisizione di tecnologie e di capacità manageriali ad ampio raggio, ma dal punto di vista delle case automobilistiche giapponesi rende più complessa la gestione dei rapporti di collaborazione. Anche per questo, alcuni produttori, tra cui Toyota, hanno deciso di allacciare alleanze con altre imprese, cercando di creare condizioni che ne rafforzino il potere contrattuale. 13 Tuttavia questa scelta è limitata dalla politica cinese per il settore automobilistico. Essa prevede, infatti, che i gruppi stranieri non possano costituire più di due joint venture per ogni categoria di veicoli (automobili, veicoli commerciali, motociclette ecc.). Inoltre, qualunque iniziativa è in ogni caso soggetta all’approvazione del governo cinese. La propensione a firmare accordi con una pluralità di imprese rischia di creare anche un eccesso di capacità produttiva. Alcuni analisti ritengono che ciò potrebbe verificarsi già dall’anno prossimo. Ed il problema è destinato ad acutizzarsi negli anni successivi, quando la riduzione dei dazi doganali porterà ad un aumento delle importazioni e, conseguentemente, della concorrenza sul mercato cinese. 14 Del resto, già dalla primavera di quest’anno si è registrata una contrazione delle vendite, determinata in parte dall’aumento dei tassi di interesse e in parte proprio dall’attesa di una riduzione futura dei prezzi. Esiste inoltre un problema di costi di produzione e di efficienza degli impianti. Uno studio del Centro di Shanghai dell’Università di Kyoto mostra come nel settore automobilistico i costi di produzione possono essere ancora molto elevati.15 È vero che il costo della manodopera è molto inferiore rispetto al Giappone. A Shanghai, la città con i salari più 14 Economia e diritto alti, il costo del lavoro medio annuo, comprensivo anche delle spese per l’assistenza medica e sociale, si aggirerebbe infatti intorno al 10% del costo in Giappone. A Tianjin non arriverebbe al 4%. Tuttavia, considerando la produttività per addetto (numero delle auto prodotte in un anno per addetto), il divario si riduce notevolmente e in alcuni casi il costo del lavoro in Cina sale fino al 90% di quello giapponese. Inoltre, vi è il problema del costo e della reperibilità di attrezzature e di semilavorati. I prodotti cinesi sono molto meno costosi (un torno a controllo numerico prodotto in Cina costa circa il 40% di un torno prodotto all’estero), ma ciò nonostante la maggior parte delle imprese, anche quelle di proprietà statale, usa prevalentemente macchine utensili importate. Sono di produzione estera anche i robot e quasi tutti i macchinari che incorporano tecnologie avanzate. Le imprese devono inoltre confrontarsi con le difficoltà d’approvvigionamento in loco di materiali e semilavorati. Tutto ciò rende ancora poco competitiva l’industria cinese, anche se gli assemblatori finali e i produttori di componentistica stanno certamente facendo rapidi progressi. Tuttavia nel medio-lungo termine il progresso dei costruttori cinesi potrebbe minare le basi della cooperazione. Una volta in possesso delle più avanzate tecnologie e delle competenze manageriali necessarie, i produttori cinesi potrebbero rendersi indipendenti, acquisendo eventualmente il controllo delle società miste. Certo, ci vorrà tempo. Al momento, e per molti anni a venire, le imprese cinesi, non disponendo di sufficienti capacità di ricerca e di sviluppo autonome, continueranno a dipendere dai loro partner stranieri per l’accesso alle tecnologie più avanzate. Ma non si può nemmeno parlare di totale dipendenza. Nel corso di questi anni si va creando una reale integrazione che, se da un lato consente alle imprese giapponesi di penetrare in una mercato in rapido sviluppo, dall’altro lato permette alle imprese cinesi di crescere e di inserirsi in una rete produttiva di primo livello. Affinché la cooperazione continui è necessario però che le imprese giapponesi sviluppino la propria rete distributiva e di assistenza in Cina, mantenendo una salda leadership tecnologica. In caso contrario potrebbero essere un giorno superate da coloro che hanno contribuito a far crescere. 1) Il più importante progetto per un nuovo impianto fu assegnato ad una 15 Economia e diritto joint venture paritetica tra la Shanghai Automotive Industrial Corporation (SAIC) e la General Motors. La Toyota, che negli anni ottanta aveva respinto le offerte cinesi, non fu nemmeno invitata al tavolo delle trattative. 2) Chi Hung Kwan, dopo una laurea in economia conseguita alla Chinese University of Hong Kong, ha studiato all’Università di Tokyo e dal 2001 lavora come Senior Fellow al RIETI, l’Istituto di ricerche del Ministero dell’Economia, Commercio e Industria. 3) Nel 2003 la Honda ha venduto 117.129 veicoli in Cina, con una quota di mercato del 5,4%, superiore al 3,5% della Nissan ed al 2,4% della Toyota. La Volkswagen conserva la prima posizione con una quota di mercato del 32,2%, diminuita, però, rispetto all’anno 2000 quando la società tedesca deteneva una quota superiore al 50%. Segue la General Motors con una quota del 9,5%. (Dati forniti da Fourin, società di consulenza giapponese specializzata nell’analisi del settore automobilistico). 4) Secondo le stime degli analisti più accreditati, entro il 2010 il mercato degli autoveicoli in Cina potrebbe assorbire dai 7 ai 10 milioni di unità all’anno, diventando così il secondo mercato al mondo dopo gli Stati Uniti. Le vendite di automobili dovrebbero attestarsi tra i 3 e i 4 milioni di unità. 5) La costituzione di joint venture con una pluralità d’imprese tra loro concorrenti – aspetto caratterizzante le politiche sia dei produttori cinesi sia delle società estere – ha indotto la Toyota a firmare un accordo con il gruppo Guangzhou Automotive per la produzione del modello Camry della casa giapponese. 6) Si veda http://www.japancopr.net/ Article.Asp?Art_ID=8703. 7) Hanno investito in società miste per la produzione d’autoveicoli e di loro componenti anche Isuzu, Suzuki, Daihatsu, Mazda e Mitsubishi. Suzuki, in particolare, ha costituito due importanti joint venture con due diversi partner. Tali investimenti garantiscono alla società giapponese un’importante posizione nel mercato cinese. 8) Gli investimenti esteri nel settore della componentistica non sono soggetti al vincolo di una partecipazione del capitale straniero non superiore al 50%. 9) Toyota non produrrà in Cina né i motori né le sofisticate batterie elettriche, che continueranno ad essere esportati dal Giappone. 10) Sull’ultimo investimento della Nissan si veda The Nikkei Weekly del 24 maggio 2004. 11) Si veda http://world.honda.com/ news/2003/c030529.html. 12) Si veda l’articolo sulla politica industriale cinese in htpp:// www.freshfield.com/practice/ automotive/9935.pdf. 13) Nel 2003 la Toyota ha firmato un accordo con il gruppo Guangzhou Automotive per la produzione a partire dal 2006 del modello Camry. L’accordo è stato approvato dal governo cinese nel corso di quest’anno. 14) A seguito dell’ammissione della Repubblica Popolare Cinese al WTO, i dazi sulle auto importate scenderanno al 25% entro il luglio 2006. 15) Si veda Marukawa Tomoo, “Chûgoku jidôshasangyô ni okeru guroobarukyôsô to chûgokushiki jidôsha seisan” (L’industria automobilistica cinese: competizione globale e il modello di produzione), Kyôto Daigaku Shanghai Sentaa, Kyôto, 2004. 16 Economia e diritto Tabella 1. Principali joint venture sino-giapponesi nel settore automobilistico Joint venture Società cinese Società giapponese Anno inizio produzione Prodotti Capacità produttiva (x mille) Tianjin FAW Toyota Motor First Automotive Work (FAW Group) FAW Group Toyota 2002 Modelli Vios e Corolla 30 Toyota 1998 Motori 70 FAW Group Toyota Motori V6 130 (prevista) FAW Group Toyota Previsto per inizio 2005 2000 10 Dongfeng Motor (DFM) Nissan n.d. Guanzhou Automotive Honda 1999 Dongfeng Motor (DFM) Honda 2004 Modelli Land Cruiser, Prado Modelli Bluebird e Sunny Modelli Accord, Odyssey e Fit Modelli CR-V Tianjin Toyota Motor Engine FAW Toyota Changchun Engine Co. Sichuan Toyota Motor Dongfeng Motor (DFL) Guangzhou Honda Automobile Dongfeng Honda Automobile Fonte: Japan Automobile Manufacturers Association. 17 n.d. 240 30 Economia e diritto Considerazioni sull’adozione di software ERP nella Repubblica Popolare Cinese porto di applicazioni portanti, quali: la vendita e la distribuzione, la contabilità, la finanza, la gestione dei materiali, la gestione del personale e così via, che consentono a utenti diversi di utilizzare i medesimi dati per molteplici funzioni e processi gestionali. Un sistema ERP è nativamente strutturato sulla base di un modello concettuale unitario che definisce i dati e i loro significati, unitamente alle modalità di trattamento e gestione degli stessi. Le aziende possono scegliere di implementare tutti i moduli applicativi offerti da un certo pacchetto ERP oppure possono limitarsi a installare soltanto quelli di proprio interesse. Gli ERP, proprio a causa dell’approccio integrato e globale che propongono, a detta di molti sono più rigorosi nell’imporre un modello organizzativo a chi li adotta. Evidentemente la scelta delle funzionalità da implementare e, di conseguenza, delle modalità operative che verranno adottate dall’organizzazione utilizzatrice, presuppongono di condividere, accanto a un insieme di valori, anche una certa cultura. Davenport3 scrive che “i sistemi ERP impongono la loro logica sulle organizzazioni e possono essere una fonte di conflitti culturali”. Per MARCO DE MARCO Premessa L ’adozione di una nuova tecnologia implica spesso sostanziali modifiche al modo di lavorare sia in termini di sequenza e tipo di operazioni da svolgere, sia in termini di gestione, controllo e valutazione degli eventi: le strutture dei compiti variano con la tecnologia utilizzata.1 Questa considerazione, che da sempre accompagna l’innovazione, ha acquistato maggior forza da quando si sono affermati i software denominati Enterprise Resource Planning (ERP), ossia “sistemi basati su un insieme integrato di applicazioni che copre tutte, o quasi, le funzionalità dell’azienda”.2 Si tratta di pacchetti software costituiti da un insieme di moduli interdipendenti, a sup18 Economia e diritto questo diventa di particolare interesse affrontare il tema dell’introduzione di questi sistemi in una cultura diversa da quella in cui essi sono nati. Secondo Deutsch4 l’introduzione degli ERP non comporta cambiamenti limitati al piano applicativo, ma si traduce anche in un massiccio impegno in formazione, nella ridefinizione e riallocazione dei compiti e nella soppressione o revisione ex novo di molte delle procedure in essere. Possiamo quindi affermare che gli ERP abbiano portato a una vera e propria “rivoluzione” basata sulla (spesso ingiustificata) convinzione che l’adozione di questi sistemi si accompagni con l’implementazione delle migliori pratiche aziendali esistenti e che, adeguandosi ad esse, si possano ottenere sostanziali vantaggi. Alcuni studiosi sono ancora più radicali. Ad esempio Robinson e Wilson5 sostengono che gli ERP sono uno dei più recenti tentativi di utilizzare le capacità dell’ICT per rafforzare il controllo del management sul processo si crescita del capitale, a questo proposito, ricorrono all’analisi di Marx nei Grundrisse sui processi di accumulazione e circolazione del capitale per comprendere gli effetti dell’adozione degli ERP. Dopo aver sostenuto, con il conforto di autorevoli fonti, che l’adozione degli ERP può comportare effetti rilevanti sulle modalità di svolgimento del lavoro e sulla struttura organizzativa, è interessante vedere i loro effetti nel contesto cinese. Infatti i sistemi ERP sono stati creati su un modello aziendale concepito e utilizzato nel mondo anglosassone; in un Paese che presenta delle forti diversità culturali rispetto all’Occidente e in cui il modello comunemente inteso di gestione aziendale non ha ancora una storia consolidata, l’introduzione di questo software potrebbe presentare caratteristiche peculiari. Le domande che ci poniamo riguardano le implicazioni derivanti dall’adozione di sistemi ERP in Cina; gli eventuali aspetti peculiari riscontrati rispetto al mondo occidentale; gli esiti dell’introduzione di questi sistemi in un contesto particolare come quello cinese e infine l’individuazione di ragioni di natura sociale o culturale per comprendere meglio il fenomeno descritto. 1. Uno studio sui sistemi ERP in Cina Sul tema degli ERP in Cina vi sono numerosi lavori che, con una giu19 Economia e diritto sta scelta delle parole chiave, possono essere indicati da un motore di ricerca. Di particolare interesse è un saggio a firma di Martinsons6, apparso su una delle riviste più autorevoli nel campo dei sistemi informativi, in cui si prova a fare il punto della situazione. E già il fatto di dedicare un articolo a questo argomento testimonia l’importanza che, tanto nel mondo scientifico quanto in quello degli operatori del settore, esso ha assunto nella Repubblica Popolare Cinese. Va comunque rilevato che il saggio di Martinsons, pur se notevole per il prestigio del suo autore e della rivista che lo pubblica, suscita non poche perplessità in merito ai contenuti e all’impianto metodologico adottato. Appare infatti solo in parte condivisibile la scelta di Martinsons di concentrarsi sulle differenze tra le modalità di introduzione degli ERP nelle aziende pubbliche, le State Owned Enterprise (SOE), e in quelle private, le Private Venture (PV). In ogni Paese esistono sacche tanto di inefficienza quanto di eccellenza che caratterizzano la Pubblica Amministrazione, conseguentemente l’adozione del metodo dei case study per dare una risposta alla domanda di ri- cerca è altamente opinabile. Infine alcune spiegazioni di tipo antropologico o culturale che l’autore fornisce non sono completamente condivisibili e potrebbero, al limite, essere tenute presenti come ipotesi di ricerca future. Fatte queste premesse, Martinsons riprende un’analisi del gruppo IDC7 e parla della presenza di circa un migliaio di installazioni ERP in Cina nel 2001. Lo studio si basa sull’esame di 8 casi, ma l’autore - allo scopo di dare maggiore spessore alla sua tesi - dimostra come un’analoga rilevazione condotta su 189 casi a cura di un’azienda produttrice leader a livello mondiale (la tedesca SAP) giunga a conclusioni del tutto simili. Prima di entrare nel merito delle peculiarità riguardanti l’adozione degli ERP in Cina è necessario fare una precisazione: gli ERP non sono realizzati esclusivamente in Occidente ma esistono anche delle aziende cinesi, quali UFSoft8 e Kingdee Software9, che li producono. Questo è più che comprensibile in un mercato che - secondo le previsioni - dovrebbe passare da un fatturato di un milione di dollari registrato nel 2002 a 3 milioni di dollari nel 2007. Lo studio di Martinsons ha porta20 Economia e diritto to a evidenziare alcuni elementi comuni e fattori di difformità tra gli otto casi analizzati. In tutti i contesti (privati e pubblici): 1. i progetti di progetto e sviluppo di sistemi informativi basati su soluzioni ERP difficilmente vengono completati nei tempi previsti, pur tuttavia rispettano il budget iniziale; 2. l’adozione di sistemi ERP non sembra accompagnarsi a miglioramenti sostanziali nelle prestazioni dell’azienda utilizzatrice; 3. i progetti volti all’introduzione di ERP sponsorizzati dal vertice aziendale hanno una sorte migliore di quelli sponsorizzati dal responsabile della funzione preposta alla gestione dei sistemi informativi. Riguardo al primo punto, l’autore propone una spiegazione molto semplice: è ovvio che un allungamento dei tempi di installazione indica la presenza di un effort, ovvero un impegno di lavoro, superiore al previsto e, quindi, essendo questa la principale voce di costo in un progetto di implementazione di un nuovo software, è altrettanto evidente che tale circostanza implica il mancato rispetto del piano dei costi. Il problema del superamento del budget viene generalmente affrontato imputando ad altri progetti le risorse aggiuntive utilizzate per completare il piano di lavoro relativo all’ERP. Questa prassi risulta molto diffusa in varie parti del mondo. La seconda osservazione può riassumersi nel fatto che raramente i progetti ERP si accompagnano a miglioramenti significativi nei tempi dei cicli aziendali (ossia i tempi intercorrenti tra l’ordine e la consegna) e nel grado di soddisfazione del cliente. Nei casi analizzati i tempi di risposta alle richieste del cliente si sono ridotti in misura non coerente con le attese, ossia su livelli inferiori al 10%, dato questo che trova conferma in altre analisi. Quest’ultimo risultato, più che domande sul mondo aziendale cinese solleva un dubbio sugli ERP: tali sistemi, forse, sono più adatti a migliorare l’efficienza in un ambiente statico anziché dinamico. Ma a questa domanda non si è ancora data una risposta univoca neppure nel mondo occidentale: si può soltanto affermare che il software ERP può contribuire - in ambienti conosciuti e stabili - a migliorare l’efficienza relativa ad attività caratterizzate da un elevato grado di standardizzazione e codificabilità; mentre in caso contrario e in am21 Economia e diritto bienti in continuo cambiamento è probabile che i risultati siano parziali oppure contrassegnati da maggior incertezza. La terza osservazione non può essere limitata al mondo cinese: infatti in tutti i tipi di contesto i progetti chiaramente sponsorizzati dal vertice aziendale presentano maggiori probabilità di successo rispetto a quelli sostenuti da singoli responsabili funzionali. Per quanto riguarda le osservazioni relative alle differenze tra le SOE e le PV, alcune meritano attenzione. Anzitutto occorre tenere presente che nei casi esaminati i progetti ERP sono stati portati avanti con obiettivi diversi a seconda dei contesti. Nelle aziende pubbliche, in particolare, il grado di automazione preesistente era mediamente modesto e limitato agli aspetti fondamentali della gestione finanziaria e di magazzino, mentre quello che si richiedeva al sistema ERP era di fornire interoperabilità e coerenza tra le varie applicazioni, al fine di ridurre i costi amministrativi. In genere le SOE, nell’adottare sistemi ERP, sono state spinte da obiettivi non tanto di crescita dei ricavi o di riduzione dei tempi di consegna, quanto piuttosto di miglioramento dell’efficienza di applicazioni già in uso. Molto diverso è il caso delle PV, soprattutto a causa del precedente livello di automazione (forse perché nate più tardi?). Inoltre sembra che presso le aziende private analizzate abbia prevalso l’idea di approfittare dell’introduzione degli ERP come occasione di ottimizzazione della gestione, ivi compresi i tempi di risposta alle richieste del cliente, e di adozione di prassi migliori. Intendendo con prassi migliori le best practice riferite alle procedure e agli standard delle imprese occidentali. Un altro aspetto che viene evidenziato riguarda il sostegno al progetto di adozione dell’ERP. Anche in Europa e negli Stati Uniti il fattore chiave di successo dei progetti di sviluppo basati su soluzioni integrate dipende dalla posizione e dal ruolo dello sponsor interno. Una delle spiegazioni che Martinsons adduce per giustificare la scarsa percentuale di successo relativamente a progetti sostenuti dalle direzioni tecniche, nel caso specifico quella dell’IT, è che i vertici aziendali delle imprese cinesi temono che la loro incompetenza in materia di ERP possa essere giudicata negativamente dalle strutture subordina22 Economia e diritto te. Affidando alle aree funzionali la responsabilità dei progetti riguardanti gli ERP, il management allontana sì questo rischio ma, al tempo stesso, finisce per ingenerare nella struttura l’errata convinzione che il progetto di introduzione dell’ERP non sia ritenuto prioritario oppure rivesta un’importanza marginale per l’alta direzione. Un elemento che Martinsons riconosce come dirimente è quello della presenza di consulenti. Nelle aziende SOE il ricorso a questi professionisti è alquanto raro. Si può aggiungere che, come in altre parti del mondo, nel settore pubblico il ruolo degli esperti esterni che affiancano i responsabili interni proponendo esperienze maturate in altri contesti è molto marginale poiché i consulenti, spesso, non possiedono l’autorevolezza e il livello di delega necessari per imporre la propria visione. La spiegazione che viene avanzata in proposito, peraltro senza supporti documentali, è che il vertice delle SOE potrebbe vedere la propria autorità messa in discussione se per certi progetti si facesse ricorso a consulenti esterni. Non viene invece presa in considerazione l’idea che un ente pubblico debba sottostare a pre- cisi vincoli di tipo regolamentare e giuridico (identificazione del responsabile di certe attività, obblighi verso altri enti pubblici etc.) che, in tutto il mondo e quindi anche in Cina, rendono più difficile affidare i progetti a team di specialisti esterni. Talvolta si sottovaluta che un organismo pubblico ha degli obblighi rispetto a tutti i cittadini in modo indistinto e non solo verso i clienti, e che per questa ragione vi sono delle regole da rispettare sancite per legge che determinano molte delle procedure interne. L’adozione di un ERP, che presuppone nuove prassi di comportamento, potrebbe implicare potenziali conflitti con la normativa vigente. Un altro aspetto critico dell’adozione dei sistemi ERP è quello di modificare radicalmente l’articolazione dei processi operativi all’azienda, vedendola nel suo insieme e non più come la somma di tanti servizi o tante funzioni composite. Tratto distintivo delle soluzioni ERP è rappresentato dalla capacità di integrare (grazie a un’intelaiatura costituita da numerosi “moduli” interconnessi) la gestione dei dati e delle informazioni, strutturando questi ultimi lungo flussi informativi unici e comuni a tutta l’organizzazione. 23 Economia e diritto Pertanto, la presenza di una struttura organizzativa articolata funzionalmente obbliga - in sede di implementazione di una soluzione ERP - ad analizzare i flussi informativi tenendo conto della visione trasversale (o interfunzionale) dei flussi medesimi. Certamente l’adozione di questo tipo di approccio (“per processi”) risulta più facile nel settore privato che in quello pubblico; inoltre, sempre secondo Martinsons, in Cina entra in gioco anche un ulteriore aspetto l’importanza di salvaguardare la struttura tradizionale: ossia si tende a proteggere l’interesse dell’impiegato o dello specifico gruppo di lavoro interno (danwei) anziché adottare una prospettiva più ampia e generale, ossia che prenda in esame le implicazioni (di efficacia e di efficienza) per l’azienda nel suo complesso. A questo proposito alcuni fatti recenti come l’accordo10 tra Lenovo (il più grande fabbricante di computer cinese) e IBM secondo il quale tra l’altro la Cina fornirà del management in outsourcing agli americani sono un segnale di quanto i metodi e gli stili aziendali occidentali siano stati assimilati. Per questo l’insistenza sulle peculiarità cinesi come un fattore immutabile è poco convincente. Se gli americani importano management cinese e per questo pagano vuol dire che sono certi che alcuni standard aziendali e culturali sono conosciuti e praticati. Non vi è notizia di altri Paesi che esportino management in America sulla base di accordi siglati sulla base di numeri consistenti. Secondo Davison11 le differenze culturali rappresentano un fattore critico di successo nell’adozione degli ERP. La domanda che l’autore si pone è se il basso grado di coerenza tra il modello di gestione aziendale cinese e gli ERP possa essere superato oppure se si tratti di un fattore strutturale. Pur concedendo che gli ERP richiedono di essere adeguati alla cultura cinese, ma non specificando come ciò dovrebbe avvenire, la conclusione cui l’autore giunge è molto radicale: o le aziende cinesi adottano gli ERP e si adeguano al modello di gestione occidentale oppure esse andranno incontro a una serie di “catastrofi”, quali la perdita di competitività, la disoccupazione di massa, la messa in discussione dei fondamenti della società. Ma a supporto di queste funeste previsioni non viene avanzata alcuna ipotesi convincente. Resta pertanto 24 Economia e diritto l’impressione che le conclusioni si fondino soprattutto su sensazioni personali dell’autore. parte delle grandi aziende per indurre le piccole ad adottare un sistema informativo coerente con il proprio. Entrambi gli elementi appena citati dovrebbero favorire il ricorso agli ERP. È altresì probabile che le soluzioni ERP, diffusesi inizialmente nelle grandi imprese manifatturiere, proseguiranno il loro cammino in direzione delle medie aziende e verso settori economici relativamente nuovi a questo genere di applicazioni: banche, assicurazioni, servizi di telecomunicazione e così via. Vi è poi un altro fatto che si è verificato in Occidente e per il quale vi sono tutti i presupposti per attendersi che si verifichi anche in Cina: la forte presenza di società di consulenza. L’introduzione di un sistema ERP richiede l’impegno di un elevato numero di specialisti per un tempo relativamente breve (6-18 mesi). L’azienda che non possiede competenze interne di questo genere, fa generalmente ricorso a una società di consulenza specializzata nell’installazione e personalizzazione di questi sistemi. Come ovvio, tali società di servizi a propria volta esercitano una forte pressione commerciale affinché si diffondano gli ERP in tutti i tipi di 2. Quale futuro per gli ERP in Cina Al di là di quanto emerge dagli studi citati vi sono alcune riflessioni, basate su dati certi, che possono aiutare a mettere in luce aspetti interessanti sulle possibili traiettorie di diffusione dei sistemi ERP. In Cina sta aumentando notevolmente la presenza di società multinazionali con casa madre all’estero12 , queste aziende molto spesso utilizzano sistemi ERP, è logico prevedere che anche alla consociata cinese verrà chiesto di adeguarsi, altrimenti diventerebbero difficili il controllo aziendale e il consolidamento del bilancio. Dal rapporto IDC citato in precedenza emerge che alcune importanti imprese manifatturiere cinesi hanno già introdotto sistemi ERP. Spesso queste aziende si avvalgono di numerosi fornitori che, per essere gestiti in modo efficiente, impongono un certo grado di omogeneità tra i sistemi informativi. Analogamente a quanto è avvenuto in Italia, questa spinta all’uniformità potrebbe provocare una pressione da 25 Economia e diritto contesto. Si assiste spesso, in queste fasi iniziali della diffusione di un prodotto, a una crescita accelerata nell’adozione dei sistemi dovuta all’azione congiunta dei produttori di soluzioni ERP e delle società di consulenza. Un segnale chiaro che la diffusione degli ERP aumenterà in Cina proviene altresì dall’impegno di due grandi aziende locali, UFSoft e Kingdee Software13, nella produzione e fornitura di sistemi ERP. Evidentemente queste aziende hanno fatto conto sul successo di tali sistemi sul mercato nazionale. Se restano pochi dubbi sulla futura massiccia diffusione degli ERP, più difficile è prevedere quali potranno essere gli effetti. Ritornando allo studio discusso in precedenza, in più punti si riferisce di opposizione da parte degli impiegati all’introduzione di sistemi ERP, a causa del timore di perdere il posto di lavoro, e di appoggio da parte della dirigenza. In realtà le esperienze occidentali non evidenziano alcuna prova certa di riduzione dell’occupazione attribuibile all’introduzione di questi sistemi, anzi, è più facile sostenere il contrario, anche se sarebbe un po’ superficiale attribuire ad una sola causa questi effetti. I sistemi ERP vengono in- trodotti in aziende solitamente sane, perché dotate delle risorse finanziarie occorrenti per affrontare questo genere di investimento, con prospettive di crescita, perché spesso è proprio la rapida espansione a mettere in evidenza i punti deboli del sistema informativo e a condurre alla necessità di un rifacimento che, vista l’offerta tecnologica esistente, oggi è sensato portare a termine con l’introduzione di un ERP. Nella maggior parte dei casi l’adozione di tali soluzioni è indotta da una combinazione di ragioni, molte delle quali vincolanti o non procrastinabili: talvolta vi è un problema di obsolescenza dei sistemi in essere (ad esempio, alla fine degli anni ’90 hanno molto influito il passaggio all’euro e il cambio di data); in altri casi lo stimolo è derivato dagli standard imposti dalla casa madre o da importanti imprese partner. A questo punto viene da chiedersi: ma è proprio una strada obbligata ricalcare il modello gestionale di tipo occidentale? Certamente le imprese cinesi che lavorano in stretto contatto con realtà straniere tenderanno ad adottare schemi gestionali molto simili, mentre quelle dove una parte rilevante del ciclo produtti26 Economia e diritto vo avviene in Cina saranno meno soggette a queste pressioni. Più degli ERP, saranno i vincoli esterni a esercitare un’influenza decisiva sulle scelte di automazione future. Il miglioramento dei tempi di risposta alle richieste dei clienti, il comportamento dei concorrenti, la standardizzazione della documentazione contabile e l’adeguamento a nuove disposizioni fiscali rappresentano altrettante occasioni per riprogettare i sistemi informativi in chiave ERP. In realtà il carattere vincolante degli ERP non è così deterministico e assoluto come appare: da una parte essi - grazie alle caratteristiche di configurabilità - possono prendersi carico delle peculiarità che caratterizzano le prassi in uso nella realtà cinese. Configurare, in molti casi, significa ricercare un compromesso tra le logiche di funzionamento che si vogliono introdurre, e le possibilità previste dal sistema ERP. D’altro canto, è del tutto ragionevole attendersi qualche utilizzo imprevisto della tecnologia. Per quanto riguarda l’adeguamento alle peculiarità cinesi, si deve ricordare che gli ERP sono prodotti che devono essere personalizzati (in gergo questa operazione viene definita “parametrizzazione”) rispetto alla realtà nella quale vengono inseriti: pertanto, nulla vieta che certe prassi tipiche del contesto cinese, se ritenute valide e convenienti, siano accolte nel software. A volte è soltanto la pigrizia intellettuale che induce le aziende utilizzatrici ad assumere acriticamente un prodotto software assieme al modello organizzativo che avevano in mente coloro che l’hanno sviluppato. Se esiste una proposta organizzativa migliore e percorribile, essa può essere accettata e si può tentare un adeguamento del software in funzione delle caratteristiche di contesto. Né si deve trascurare il fatto che, finora, la Cina ha dimostrato in maniera anche energica la volontà di salvaguardare le proprie peculiarità: in un rapporto di alcuni studiosi svedesi si riprende da CNet Asia14 l’affermazione che “le autorità locali cinesi debbono preferire il software prodotto in Cina” e questo potrebbe più facilmente portare ad accogliere le caratteristiche del modo di lavorare e di organizzarsi del Paese. Direttamente legata a tali considerazioni è la scelta di ricorrere in modo generalizzato al cosiddetto software open source (ossia che 27 Economia e diritto offre a tutti gli utenti un libero accesso al codice sorgente del programma per consentire di correggere eventuali errori o di apportare miglioramenti) rispetto a quello proprietario. Non è questa la sede per affrontare il tema dell’open source, basti qui menzionare che il software si suddivide in due grandi categorie: quello di tipo “proprietario”, di cui si acquista in licenza d’uso il cosiddetto codice eseguibile (es. Office di Microsoft) non modificabile dall’utente, e quello “aperto” che invece permette di operare sul codice sorgente. Con quest’ultimo le esigenze personali, aziendali e sociali possono trovare più spazio per essere accettate. La scelta riscontrata in Cina a favore dell’open software indica la volontà di non importare modelli preconfezionati dall’Occidente senza avere la possibilità di adeguarli e contestualizzarli. L’orientamento a favore del sistema operativo aperto Linux (che può essere prelevato da Internet gratuitamente o può essere acquistato a basso prezzo da società che forniscono in aggiunta altri strumenti software) e la creazione di poli produttivi locali, come RedFlag Linux15 e Bluepoint Linux16, indicano una chiara vo- lontà in tale direzione. Certamente il percorso più prevedibile è che tra qualche anno la Harbin Aircraft Manufacturing Company che produce aeroplani ed elicotteri assomigli nella sua organizzazione interna molto più alla Boeing di quanto non avvenga oggi; e che la Shanghai Automotive Industry , il gigante cinese dell’auto, sarà organizzata in modo più vicino a quello della Honda e della General Motors. Ma non si deve dimenticare che la storia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione annovera casi di utilizzo completamente imprevisto. Sotto gli occhi di tutti è il successo degli Short Message Systems (SMS), sistema di messaggistica nato per brevi comunicazioni tra gestore e utente e che, inaspettatamente e nel giro di pochissimo tempo, si è trasformato in un sistema di comunicazione interpersonale. Non diverso è il caso di Internet, il cui utilizzo odierno non poteva in alcun modo essere previsto da chi l’ha ideata. Sempre più spesso le tecnologie trovano effettiva applicazione secondo modalità impreviste, seguendo sentieri di sviluppo comunque diversi da quanto i progettisti avevano originariamente pianificato. Tale circostan28 Economia e diritto za deriva certamente dalla plasticità e dall’apertura degli strumenti; tuttavia è bene sottolineare che, al di là di queste proprietà “intrinseche”, gli effetti della tecnologia sono il risultato della continua e reciproca interazione tra prassi sociali, atteggiamenti dei singoli attori e contesto istituzionale come sostenuto anche da Orlikowski17. Forse, e auspicabilmente, nei prossimi anni in Cina assisteremo a utilizzi dei sistemi ERP che ancora non riusciamo a immaginare. Non vi sarebbe da essere sorpresi a fronte di ERP con “caratteristiche cinesi”. BASE for Advances in Information Systems, 32(4), 2001. 6) M.G. Martinsons, “ERP in China: One Package, Two Profiles”, Communications of the ACM, 47(7), 2004. 7) IDC Market Research Report China Enterprise Resource Planning Applications 2004– 2008 Forecasts and Analysis. 8) La UF Software ha recentemente concluso un accordo con la IFS svedese, un’azienda leader mondiale nel campo del software per l’industria e la finanza. La UFsoft ha anche ottenuto la certificazione di qualità secondo gli standard ISO 9001 e ISO 9002. Oggi la UFsoft è il primo produttore indipendente di software in Cina. 9) Kingdee è un’azienda leader nel software, dal prospetto di bilancio emerge che ha 2800 dipendenti, ha rilasciato il primo software ERP nel 1999 ed è il numero uno come venditore di sistemi ERP in Cina. 10) “Lenovo will Outsource Management to IBM“, in International Herald Tribune, 28 dicembre 2004. 11) R. Davison, “Cultural Complications of ERP”, Communications of the ACM, 45(7), 2002. 12) Secondo China–Window. Com, 24 marzo 2004, 400 delle 500 aziende di “Fortune 500” hanno già effettuato investimenti diretti in 2000 progetti in Cina. Nella sola Shanghai sono in corso 181 su cui hanno investito 98 multinazionali per un totale di 8 milioni di dollari. A proposito delle multinazionali in Cina si veda Multinational Corporations in China, Copenhagen Business School Press, 2000 e China Service Sector: A New Battlefield for International Corporations, 1) C. Perrow, “A Framework for the Comparative Analysis of Organizations”, American Sociological Review, N. 2, 1967. 2) T. Coulson et al., “ERP Training Strategies: Conceptual Training and the Formation of Accurate Mental Models”, SIGMIS Conference ’03, Philadelphia, Penn 2003. 3) T. Davenport, “Putting the Enterprise into the Enterprise System”, Harvard Business Review, 76(1), 1998. 4) C.H. Deutsch, “Software That Can Make a Grown Company Cry”, The New York Times, 8 novembre 1988. 5) B. Robinson e F. Wilson, “Planning for Market? EntERPrise Resource Planning Systems and the Contradictions of Capital”, The DATA 29 Economia e diritto Copenhagen Business School Press, 2001 entrambi scritti da Yadong Luo. Nel primo testo citato si rileva che dal 1979 al 2000 le autorità cinesi avevano approvato 300000 autorizzazioni a operare per aziende con capitale straniero. 13) Si vedano i prospetti di bilancio delle due aziende. La UF Software è quotata alla borsa di Shanghai. La Kingdee Software, il cui nome completo è Kindee International Software Group Company Limited, è quotata al GME (Growth Enterprise Market) dello HKSE (Hong Kong Stock Exchange). 14) CNET Asia “China blocs foreign software use in gov’t”, disponibile on line su http://asia.cnet.com/newstech/ a p p l i c a t i o n s / 0,39001094,39146335,00.htm 15) Red Flag Linux ha tra gli azionisti e fondatori il Software Institute dell’Accademia delle scienze cinese e ha stabilito una serie di accordi di partneriato con IBM, Intel, HP, Oracle, BEA e altri. 16) Bluepoint Linux Software è una azienda fondata nel 2003 che sta rapidamente affermandosi nel campo del supporto ai sistemi operativi Linux. 17) W. J. Orlikowski, “Using technology and constituting structures: a practice lens for studying technology in organizations”, Organization Science, Vol. 11, n° 4, luglio-agosto 2000. 30 Economia e diritto APPENDICE Information e Communication Technologies in Cina L e caratteristiche demografiche della Cina, numero di abitanti, fasce d’età, ripartizione tra zone urbane e rurali hanno dimensioni tali che ogni dato statistico riferito a tale contesto finisce per assumere un significato particolare. Basti pensare che un aumento di 3 punti nella percentuale della popolazione che possiede un PC significa 39 milioni di computer in più, ovvero una cifra che, fino a qualche anno fa, non trovava riscontro nemmeno in tutto l’Occidente sommato a Giappone e Taiwan. Per questa ragione, gli operatori del settore ICT seguono con particolare attenzione quanto avviene in Cina, relativamente ai seguenti aspetti: - capacità tecnologiche interne; - tassi di incremento dell’hardware installato; - modalità di acquisizione del software; - capacità di progettazione e sviluppo del software. Per quanto riguarda le capacità tecnologiche interne, la recente scelta di Steve Chen 1, uno dei più noti progettisti di supercomputer nato a Taiwan e da molti anni operante in America, di tornare in Cina perché reputa stimolanti le prospettive scientifiche e tecnologiche di quel paese, è un chiaro indice di come la Cina stia cercando di qualificarsi come uno dei Paesi all’avanguardia nella tecnologia ICT (Information and Communication Technologies). Si aggiunga il fatto che, solo quest’anno, il numero degli studenti cinesi che si candidano per gli studi di PhD negli USA è sceso del 40%2. In proposito va certamente considerato il fatto che è diventato più difficile ottenere lo stato di residente in America, tuttavia non sembrano esservi dubbi sul fatto che una parte del calo di domande sia motivata dall’ampliamento dell’offerta di studio disponibile in patria. 31 Economia e diritto A questi fatti, già per sé indicativi, si aggiunga che, secondo i dati della Banca Mondiale3, nel 2003 l’export cinese relativo a prodotti ad alta tecnologia ha raggiunto la quota del 25% delle esportazioni totali. È vero che su questa cifra vi sono da fare una serie di considerazioni che ne riducono la portata, ma se si pensa che il dato analogo per l’Italia, comunque lo si calcoli, è inferiore al 10%, l’idea della Cina come Paese arretrato tecnologicamente riceve un duro colpo. Inoltre i dati della Banca Mondiale4 indicano che tra il 1995 e il 2002 il numero dei PC è passato da 2,3 a 27.6 per ogni 1.000 persone, il numero di PC presso istituzioni formative da 315.000 a 3.555.157. Nello stesso periodo il numero complessivo di utenti Internet è cresciuto da 60 mila a 68 milioni. Gli ultimi dati disponibili, riportati dal China Internet Network Information Center, indicano la presenza di 87 milioni di utenti Internet e 626.000 siti web. Interessante è il rating che la World Bank assegna al governo cinese circa la priorità che esso attribuisce all’ICT: in una scala da 1 a 7 il voto è 5,3 (Italia:4,6).5 Il Financial Times, riporta una dichiarazione della banca di investimenti Morgan Stanley secondo cui la Cina è il secondo mercato del mondo per l’ICT con 207 milioni di cellulari in funzione, 100 milioni di abbonati alla TV via cavo e 214 milioni di linee telefoniche. 1) J. Morkoss, “Technology; Have Supercomputer, will travel”, New York Times, 1 novembre 2004. 2) Quotidiano del Popolo,16 marzo 2004, cit. nel sito www.wais.stanford.edu/USA/ usa03282004.htm. 3) Cfr. www.worldbank.org/data/. Si veda in proposito anche il sito del Ministero del commercio estero cinese. 4) World Bank 2004 World Development Indicators, p. 294. 5) Development Data book, World Bank, ICT at Glance, China 10 marzo 2003. 32 Cultura e Società Contesti extrascolastici di socializzazione della seconda generazione cinese lavoro di ricerca etnografica durato sei mesi su un gruppo di 9 ragazzi di età compresa tra i 13 e i 17 anni, compagni di classe in una scuola media di Roma. Tre sono le aeree tematiche attorno alle quali si è sviluppata la ricerca: (a) le dinamiche familiari e i rapporti intergenerazionali; (b) l’inserimento scolastico; (c) i percorsi di integrazione sociale e di costruzione dell’identità. Per l’etnografia si è utilizzata una metodologia di osservazione conosciuta come shadowing, che prevede che il ricercatore accompagni un determinato attore nei momenti e nei contesti chiave della sua giornata. Per il caso cinese si è trattato di osservazioni ravvicinate, prolungate e partecipate con i giovani individuati, sia a scuola (a contatto con coetanei di altre nazionalità e con i docenti), sia nei loro contesti di vita extrascolastica. Oltre alle osservazioni, sono stati anche svolti un focus group con il gruppo in analisi e diverse conversazioni dirette attraverso griglie semistrutturate di domande. Parallelamente, l’indagine ha allargato lo spettro delle informazioni sulle seconde generazioni cinesi attraverso interviste di approfondimento con testimoni privilegiati, coinvolgendo mediatori culturali, ricercatori VALENTINA PEDONE Premessa I l presente lavoro riporta alcuni risultati relativi ad uno studio sulle seconde generazioni cinesi in Italia realizzato nell’arco di nove mesi tra il 2003 ed il 2004. Lo studio è inserito all’interno di un’indagine più ampia sulle seconde generazioni di stranieri in Italia promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e affidata alla Fondazione Labos, in partenariato con il CISP. Tale ricerca è stata condotta su giovani figli di immigrati nati o scolarizzati almeno in parte sul nostro territorio, provenienti da famiglie appartenenti a cinque dei principali gruppi nazionali presenti in Italia: Marocco, Albania, Cina, Romania e Perù. La gran parte dell’indagine sui giovani cinesi è consistita in un 33 Cultura e Società e giovani universitari di origine cinese. In ultima analisi, a conclusione del lavoro sul campo, sono state svolte 10 interviste di verifica con famiglie immigrate cinesi e 7 con docenti che abbiano insegnato a studenti cinesi nelle scuole romane. In queste pagine viene fornita una presentazione riassuntiva dei risultati relativi alla terza area tematica in analisi, ovvero ai percorsi di integrazione sociale e di costituzione identitaria dei giovani cinesi di seconda generazione. gior parte dei casi sono persone relativamente facoltose anche in patria che si spostano con il definito intento di sfruttare le condizioni economiche o sociali favorevoli del paese accogliente. Una seconda caratteristica del modello migratorio cinese in Italia è la sua modalità ‘a catena’, per cui i gruppi emigrano per nuclei familiari, mossi dalla finalità di insediarsi nel paese d’approdo mediante imprese a conduzione familiare, in cui tutti i membri, se non appartengono alla stessa famiglia, ne condividono la provenienza.1 I due elementi descritti contribuiscono a giustificare il forte attaccamento alla cultura di origine che si riscontra nelle prime generazioni di immigrati cinesi. Se infatti, da un lato, viene a mancare la motivazione ad un assimilazione alla cultura di approdo, l’organizzazione in imprese familiari ostacola ulteriormente la contaminazione con l’ambiente esterno. La ricerca sul campo ha evidenziato come tale attitudine venga deliberatamente trasmessa alle seconde generazioni. Un elemento che è emerso prepotentemente durante la ricerca è la tendenza in molte famiglie cinesi immigrate ad esercitare un forte controllo sugli spazi e tempi 1. Spazi e tempi dei giovani cinesi Per inquadrare l’orizzonte dei valori delle seconde generazioni cinesi in Italia ci si deve soffermare su alcune caratteristiche che distinguono il progetto migratorio delle prime generazioni cinesi rispetto ad altri flussi migratori. Il movimento migratorio cinese, a differenza di altri, non si genera con la finalità di rifuggire una situazione di disagio, ma piuttosto con il preciso intento di accumulare una ricchezza utile per sé e per i propri familiari. I migranti che lasciano il paese di origine, dunque, non sentono la necessità di cominciare una vita nuova in un contesto nuovo; nella mag34 Cultura e Società dei più giovani. Per poter meglio giustificare tale atteggiamento si deve riflettere su alcune differenze nella percezione del ruolo dei figli nel contesto di origine e in Italia. Molto illuminante è stato l’intervento durante un focus group di uno studente universitario di origine cinese che ha sottolineato come per molte famiglie cinesi il concetto italiano di tempo libero sia poco comprensibile. Anche se nelle città cinesi sono iniziati a diffondersi costumi e valori consumistici di impronta occidentale, nelle campagne e nelle sacche più tradizionali, giovani ed adulti considerano la giornata come un contenitore che va riempito unicamente con lo studio, il lavoro e le faccende di casa. Nel contesto di origine, quindi, non sono previste attività o luoghi specificamente rivolti allo svago, i giovani una volta svolti gli onerosi compiti scolastici, solitamente trascorrono il poco tempo rimasto aiutando a casa oppure svolgendo piccole faccende. Dal momento che i ritmi lavorativi non sono così pressanti come in contesto migratorio ed i genitori si sentono più sicuri, ai ragazzi è concesso di vivere una certa socialità, rappresentata dallo svolgere i compiti con i compagni, oppure passare il tempo con i cu- gini e via dicendo. Sebbene quindi i giovani cinesi nel contesto di origine non siano coinvolti in attività prettamente ludiche, vivono comunque un continuo scambio con i coetanei membri della famiglia allargata o i compagni di scuola. In Italia, invece, i giovani cinesi si trovano isolati e sottoposti ad un rigido controllo familiare e le loro occasioni di socializzare si riducono così sensibilmente. Oltre una frequente ingerenza aperta da parte dei genitori sulle frequentazioni dei figli, un’altra strategia protettiva molto comune è il coinvolgimento dei ragazzi nelle attività lavorative familiari. Il contributo lavorativo può prendere varie forme, ma a prescindere dall’intensità, è comunque significativo il fatto che gli immigrati cinesi lo chiamino semplicemente “aiuto” (bangzhu). Il lavoro è interpretato come un contributo all’assoluzione del debito che i più giovani devono sentire verso i genitori.2 La ricerca sul campo ha però dimostrato che si può parlare di lavoro vero e proprio solo in alcune circostanze, ovvero presso quelle famiglie meno abbienti, che si trovano in uno stadio meno avanzato del progetto migratorio, e per le quali è necessaria la forza lavoro di tut35 Cultura e Società ta la famiglia. Il nodo cruciale è che anche nelle famiglie di media estrazione il contributo lavorativo viene chiesto ai ragazzi, ma differisce profondamente nelle modalità. Se tutti i ragazzi contattati affermano infatti di collaborare in qualche modo alle attività lavorative dei genitori, spesso si tratta unicamente di un appoggio, il cui scopo principale sembra il mantenimento del controllo sui figli ed il rinforzo della loro attenzione nei confronti del progetto migratorio. A tal fine ai ragazzi spesso viene anche solo richiesta la presenza fisica presso gli esercizi commerciali, oppure un aiuto nelle faccende domestiche. Il concetto sotteso a questa imposizione sembra essere che i giovani devono sempre sentirsi impegnati per la riuscita economica dell’impresa familiare, restando continuamente coinvolti in attività di responsabilità; e deve anche essere sempre possibile prevedere dove e con chi sono, in modo da prevenire il loro coinvolgimento in interessi che li possano rendere estranei agli obiettivi della famiglia. A livello di disponibilità di libertà però il risultato non cambia, sia che si tratti di vero lavoro che di sola presenza, i giovani cinesi sono schiacciati tra la scuola che almeno in parte permette loro di socializzare, ed il controllo familiare espresso molte volte dal contributo lavorativo.3 Va sottolineato che non è solo l’ossessione per il successo del progetto migratorio che spinge le famiglie ad inquadrare i figli in una serie di attività controllabili, ma anche il naturale tentativo di proteggerli da quanto non si conosce e non si capisce profondamente: quel misterioso tempo libero italiano, che potrebbe spingere i ragazzi in attività sconvenienti o situazioni dolorose. Sebbene le giornate dei ragazzi cinesi siano fortemente strutturate dagli impegni scolastici e familiari, per alcuni giovani del tempo da occupare rimane; a volte dedicano le ore di studio ad altre attività, lontani dallo sguardo dei genitori; in altre occasioni gli viene chiesto di assistere i fratelli minori, e di nuovo si trovano soli senza nulla da fare. Generalmente trascorrono questo tempo, che più che “libero” potremmo definire “vuoto”, in attività che li fanno sentire più vicini ai coetanei in patria e agli altri giovani cinesi che condividono le loro esperienze sul territorio italiano. Agli occhi dei ragazzi è comune che si generi un ricordo idealizzato del paese natale, dovuto al diverso 36 Cultura e Società sfondo storico che suscitano l’interesse del pubblico cinese appartenente a diverse generazioni ed estrazioni sociali e culturali. Tale passione viene importata nel contesto migratorio: i ragazzi frequentano assiduamente le videoteche cinesi e la maggior parte delle case ha dei riproduttori dvd con ricche collezioni di telenovelas. I ragazzi collezionano dvd che comprano durante i viaggi in Cina o che si fanno spedire e che portano a scuola per scambiarli con i compagni. Un’altra attività domestica che assorbe molto tempo è l’utilizzo delle chat line telematiche. Anche in questo caso, si tratta di chat cinesi, che mettono in contatto adolescenti in patria ma anche altri giovani figli di immigrati in varie zone italiane. I ragazzi amano a tal punto le chat, da passare intere giornate a casa o presso gli internet cafè (cosiddetti wangba) inventandosi identità e profili per comunicare con i coetanei.4 modo del vivere quotidiano. Il continuo confronto con la situazione di origine, inoltre è mantenuto vivo dall’uso diffuso, per le famiglie che se lo possono permettere, di mandare in Cina i figli per brevi periodi non appena ce ne sia la possibilità, anche durante l’anno scolastico. Questa modalità di mantenimento del contatto con la patria che emerge dai viaggi dei ragazzi in Cina, assieme al forte orgoglio culturale trasmesso dalle famiglie, sembrano contribuire alla profonda nostalgia che anche quegli individui che hanno lasciato il paese in tenera età continuano ad avere. Considerato tale attaccamento al paese di origine, non stupisce che i rari passatempi disponibili per i giovani cinesi, risultino essere sostanzialmente dei mezzi per usufruire, attraverso dei surrogati, del vivere e sentire cinese. Ampiamente utilizzata è la televisione, ma unicamente per vedere programmi cinesi. Molte famiglie possiedono un’antenna parabolica e possono ricevere programmi cinesi, ma cosa veramente appassiona i giovani cinesi sono le telenovelas, in particolare le soap opera cavalleresche. La telenovela è un genere molto apprezzato anche in patria: le più popolari sono lunghe saghe a 2. Il rapporto con l’altro sesso Per quanto riguarda la vita affettiva, nel corso della ricerca è emersa una profonda discrepanza tra i valori coltivati dai giovani cinesi rispetto ai coetanei italiani, in par37 Cultura e Società ticolare in relazione al concetto di amore. Numerose conversazioni sul tema con giovani universitari di origine cinese hanno rilevato un atteggiamento piuttosto cinico e pragmatico nei confronti del sentimento amoroso. Questa prospettiva è stata confermata durante lo shadowing, allorché i giovani in osservazione si sono dichiarati in maniera unanime poco interessati all’amore. Quello che segue è un estratto da una conversazione con una giovane cinese di 13 anni nata in Italia: Giovane: Non credo che l’amore sia una cosa così importante, penso che l’amicizia sia molto più importante. Non mi interessa tanto se nella vita mi innamorerò sul serio oppure no. Però mi sposerò di sicuro. Ricercatrice: Ma come, secondo te le due cose non sono collegate in nessun modo? Giovane: [ride] Ma no, questa è una cosa cinese, per questo non capisci. Noi nella vita ci sposiamo e basta. L’amore è tutta un’altra questione. (…) Per questo in Cina non divorzia nessuno: perché non ci sposiamo per amore, quello poi può finire. Lo so che ti sembra strano, ma ai miei occhi siete strani voi italiani, così ossessionati con l’amore, è proprio una mania! I flirt adolescenziali sono consi- derati con leggerezza dai ragazzi cinesi che guardano all’amore come a una sorta di accessorio, una variabile trascurabile nel valutare i propri progetti futuri. Le interviste con i genitori cinesi hanno confermato come il matrimonio sia visto prevalentemente come un fatto strettamente pragmatico, un’unione strumentale alla procreazione e alla condivisione dei beni materiali. Questa ottica, già radicata nel contesto di origine, si acuisce in territorio straniero, in quanto le oggettive difficoltà quotidiane, ancor più rendono urgenti delle unioni a basso conflitto. Considerando le opinioni dei genitori riguardo all’eventualità di un matrimonio misto, le persone intervistate hanno mostrato a volte di preferire apertamente che i figli scelgano partner cinesi, in questo caso però sembra che il motivo principale sia solo il timore di incorrere in problemi di comunicazione. Oltre la comunicazione verbale, tuttavia ci riferiamo anche alla condivisione di un bagaglio di valori a cui gli immigrati di prima generazione sono molto attaccati. I genitori che hanno affermato di preferire partner cinesi per i propri figli, infatti, hanno sottolineato che l’importante è che il matrimonio risulti 38 Cultura e Società armonico, che non ci siano incomprensioni che possano risultare dannose all’unione. Altri hanno poi aggiunto di essere preoccupati nello specifico del fatto che gli italiani non mostrano un rispetto per gli anziani pari a quello prescritto dai dettami della tradizione cinese, ovvero si sono rivelati preoccupati in prima persona che una coppia mista possa avere meno interesse al mantenimento della loro buona salute e del loro benessere. Si riporta di seguito una estratto da un’intervista con una famiglia cinese, che più in dettaglio ha mostrato quanto sia viva tale preoccupazione: Ricercatrice: Quali sono le caratteristiche della famiglia italiana che le piacciono di meno? Madre: Non ne so molto, ma mi sembra che i rapporti tra figli e genitori nella famiglia italiana non sono molto stretti e forti. Figlia: Voi vivete così, a diciotto anni ve ne andate di casa. In Cina non è così, anche se i rapporti non sono i migliori, i figli rimangono con i genitori anche dopo il matrimonio. Ed è dovere dei figli mantenerli. Ricercatrice: Quali sono i valori cinesi che è importante mantenere quando ci si sposta in Italia? Madre: Sicuramente il rispetto per gli anziani, perché i genitori attra- verso molti sforzi allevano i figli e non è giusto che da vecchi i figli li trascurino. Questo è un valore cinese che è importante mantenere. Non tutte le famiglie comunque hanno mostrato di preferire partner cinesi: gran parte degli adulti con cui si è venuti in contatto durante la ricerca si sono, infatti, limitati a spiegare che l’unica cosa che conta è che le unioni siano solide e durature. In alcuni casi, si è anche registrata da parte di certe famiglie una propensione alla scelta di partner italiani, che possano guidare i figli verso una migliore comprensione del paese ospite. 5 E’ notevole tuttavia che i ragazzi contattati abbiano invece un’opinione molto omogenea, preferendo in maniera assoluta un partner cinese. Spesso, evidentemente, i genitori immaginano che i propri figli abbiano raggiunto un livello di integrazione tale con la società da non avvertire alcun ostacolo alla comunicazione con un partner italiano. I ragazzi, a prescindere dalla durata della loro permanenza in Italia, quando chiamati in causa però hanno spiegato di sentirsi interamente capiti solo da altri cinesi: sentono che condividere il tetto con una persona che parla la propria lingua e conosce le proprie tradi39 Cultura e Società zioni è la sola garanzia di stabilità e di maggiore semplicità relazionale. 6 solitudine: la nostalgia del paese natale o la pressione dei valori familiari, castra ogni spirito di iniziativa, quindi molti scelgono di rimanere a casa a giocare con i solitari di carte sul computer oppure di rimanere al negozio della famiglia, aspettando solo che il tempo passi. Ma a quale modello si ispirano i timidi tentativi di una ricerca identitaria autonoma manifestata da queste proto-comitive? Sono gruppi che si identificano in una serie di comportamenti che chiaramente non sono caratteristici del contesto di origine: giocare a basket, fumare (anche le ragazze), bere birra all’aperto, scambiarsi effusioni in pubblico; tutte cose che non appartengono all’adolescenza delle famiglie cinesi delle zone rurali di provenienza. Questi comportamenti scaturiscono dall’immersione nella società italiana e non vengono riprodotti nel contesto di origine, se non nei grandi centri urbani. Altri aspetti ci mostrano che il modello non è la gioventù italiana: i ragazzi passano i pomeriggi a giocare tra loro a poker e a majiang, ad ascoltare musica cinese, mangiano solo cibi cinesi, vestono abiti di fattura cinese. Il modello che sembrano avere in mente è la seconda, terza gene- 3. Modelli di riferimento La maggior parte dei ragazzi contattati avvertono che le proprie esistenze in Italia “sono vuote”: lo denunciano nei temi, nei questionari, nelle interviste e nelle conversazioni informali; troppo poco spazio è dedicato alla socialità e spesso la barriera della lingua limita le amicizie ad un gruppo in cui già tutti i membri vivono forti ingerenze sulla libertà personale da parte della famiglia.7 Anche se, come si è detto, molti giovani cinesi passano il tempo esterno alla scuola, al lavoro o agli eventuali corsi pomeridiani di cinese, soli in casa impegnati con i mezzi di comunicazione descritti, una parte di loro appare avere una timida iniziativa a costruire spazi ricreativi in cui socializzare. Questi ragazzi si trovano per la prima volta ad inventarsi un modo di stare insieme, diverso da quello dei giovani in Cina, ma non completamente uguale a quello dei coetanei italiani. Per questo è solo una parte minoritaria di loro a trovare l’energia di reagire alla 40 Cultura e Società razione cinese di paesi con una tradizione migratoria più lunga, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e altri paesi europei8: giovani che non soffrono la solitudine, perché grazie alla maggiore portata numerica, il maggiore successo economico e la completa acquisizione degli strumenti linguistici, non si trovano a subire il paese ospitante, ma ad usarlo, selezionando i valori ed i costumi che vogliono acquisire, ma mantenendo un’identità cinese a cui si sentono orgogliosamente attaccati. Il modello giovanile a cui questi ragazzi si ispirano è proprio il cliche del giovane cinese all’estero, figlio di famiglie cinesi immigrate con grande successo economico e che ha a disposizione beni e libertà che i suoi coetanei in patria non possono avere per motivi culturali ed economici. Sono modelli di vita che si ritrovano anche nelle grandi città cinesi dove l’estetica occidentale si va imponendo sul pubblico giovanile. Se l’identità di giovane huaqiao9 “di successo”, con l’immaginario musicale, d’abbigliamento, di passatempi e stile di vita a lui propri, appare essere il modello a cui tendono i ragazzi cinesi di seconda generazione, analogamente le loro velleità lavorative si dirigono verso lo stesso tipo di valori. I ra- gazzi appaiono estremamente decisi nella prospettiva di riscattarsi economicamente, affermano “voglio diventare un ricco commerciante”, in una maniera che li distingue dai loro coetanei anche quando questi ultimi siano anch’essi immigrati. I testimoni in età più avanzata spiegano che il cuore delle aspirazioni è fondamentalmente l’arricchimento, non necessariamente attraverso le attività commerciali. E’ molto forte in tutti la tendenza al successo economico ma non necessariamente ottenuto subentrando all’attività dei genitori. Il commercio, rimane a questo punto la via più rapida e proficua per raggiungere tale meta, per questo i ragazzi spesso si proiettano impegnati in futuro nell’attività dei genitori in quanto, nella maggior parte dei casi con cui siamo venuti in contatto, sono attività commerciali. Molti però sono i casi in cui i ragazzi esprimono semplicemente la determinazione a perseguire la ricchezza, senza necessariamente coinvolgersi nelle attività familiari, sentendo così di rispettare a sufficienza le aspettative dei genitori, partiti con tale proposito. La costante è la forte dedizione al lavoro, per cui è normale che i giovani cinesi che padroneggiano la lingua si impegnino con 41 Cultura e Società diverse attività anche su vari fronti, dimostrando un forte spirito di abnegazione, strumentale all’accumulo di ricchezza e all’affermazione personale. E’ questa grande laboriosità motivata all’accumulo del patrimonio economico che spesso i cinesi rimproverano agli italiani di non capire, come emerge, ad esempio, da un’intervista con una famiglia di ristoratori, in cui la madre ha sottolineato che: “I cinesi sono molto operosi, più degli italiani; siamo più in grado di sopportare i disagi. Nel vostro caso non si tratta proprio di pigrizia, ma è naturale, voi qui avete dei lavori sicuri. Per noi è diverso, dobbiamo cercare di lavorare il più che possiamo, guadagnare il più che possiamo, non sappiamo cosa ci aspetta per il futuro”. Per quanto riguarda le aspettative per il futuro dunque, si avverte nella maggioranza dei casi una sovrapposizione con i valori sostenuti dalla prima generazione, in quanto i giovani condividono pienamente gli ideali dei genitori e, per quanto possano decidere di non seguirli nell’attività avviata, si sentono comunque come loro tesi alla ricerca di un successo economico da condividere con tutto il clan familiare10. In conclusione, la vita sociale al di fuori della scuola e degli ob- blighi familiari è piuttosto limitata per i giovani cinesi. I pochi tempi rubati alla loro routine fortemente strutturata sono utilizzati dai ragazzi per concedersi degli svaghi che sono connotati da una forte spinta alla conferma della propria identità cinese. I giovani consumano, spesso in solitudine, beni di intrattenimento cinesi che li facciano evadere da una quotidianità che avvertono come noiosa e isolata. D’altro canto i soggetti più intraprendenti cercano forme di socializzazione al di fuori della rete di obblighi in cui sono imprigionati. Questi ultimi si incontrano tra loro e formano comitive i cui modelli di riferimento sono ancora una volta cinesi, ma non strettamente legati al contesto di origine. Il modello adolescenziale a cui si ispirano infatti appare essere quello dei giovani cinesi di oltremare in paesi a più lunga tradizione migratoria. Giovani che non vivono più la barriera linguistica e che in alcuni casi hanno a disposizione un notevole patrimonio economico. E’ un modello giovanile profondamente cinese che è diffuso anche in patria in quelle città in cui i beni di consumo, i valori e le icone occidentali sono state già assimiliate e sinizzate. L’evidente permanere degli orizzonti di riferimento cinesi per tut42 Cultura e Società vani cinesi in Italia si veda: A. Ceccagno, Giovani migranti cinesi, Franco Angeli, Prato 2004, pp. 118-127. 5) S. Roncaglia, “Affettività e vita relazionale dei giovani cinesi”, in D. Cologna, L. Breveglieri (a cura di), I figli dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 145-163. 6) Per un confronto con la situazione della seconda generazione cinese negli Stati Uniti, in riferimento ai matrimoni misti, si veda: N. Kibria, “The construction of ‘Asian American’: reflections on intermarriage and ethnic identity among second-generation Chinese and Korean Americans”, in Ethnic and Racial Studies, (20), 3, 1997. 7) Si veda anche: D. Cologna, in D. Cologna, L. Breveglieri (a cura di), I figli dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 38-41. 8) Per un confronto con la seconda generazione cinese in Belgio si veda: Chinglin Pang, “Invisible visibility: intergenerational transfer of identity and social position of Chinese women in Belgium”, in Asian and Pacific Migration Journal, 7, 4, 1998. 9) Il termine risalente alla fine del XIX° secolo indica tradizionalmente i cosiddetti ‘cinesi di oltremare’, durante la ricerca tuttavia mi è capitato di sentirlo utilizzare per indicare specificamente quelle famiglie migrate da molto tempo che sono riuscite ad accumulare una consistente ricchezza, preferendolo in tal caso al termine moderno yimin (più genericamente “migrante”). 10) Si veda anche: A. Ceccagno, “Lingue e dialetti dei cinesi in Italia: percezioni, aspirazioni, ostacoli”, in E. Banfi (a cura di), Italiano/L2 di Cinesi, Franco Angeli, Milano 2003, p. 142. ti questi giovani, fa sì che non si riscontri di norma un forte conflitto generazionale. Considerato il forte utilitarismo che caratterizza il flusso migratorio delle famiglie cinesi in Italia, riscontriamo un allineamento di vedute intergenerazionale su molti temi (il matrimonio, le aspettative lavorative, l’attaccamento all’identità di origine). Rimane comunque da augurarsi che i giovani cinesi non debbano continuare a pagare questa stabilità e consapevolezza del proprio ruolo nell’ambito del progetto migratorio, con l’alienazione dai contesti di socializzazione e con la solitudine. 1) N. Baracani, “La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e integrazione sociale”, in G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa, le comunità cinesi in Italia, Fondazione Agnelli, Torino 1994. 2) Sul ruolo dei figli nel progetto migratorio cinese si veda: D. Cologna (a cura di), Bambini e famiglie cinesi a Milano - Materiali per la formazione degli insegnanti del materno infantile e della scuola dell’obbligo, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 75-77. 3) AA.VV., Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta, Milano 1997, pp. 230-231. 4) Per una accurata descrizione del valore che le chat line rivestono per i gio43 Documenti La funzione di Internet nel processo di democratizzazione in Cina corso del suo effettivo processo di attuazione, oltre a scontrarsi con le tradizioni culturali, le strutture istituzionali, il livello di sviluppo economico ed educativo ed altri ostacoli, si trova di fronte ad un problema molto importante: le difficoltà di tipo tecnico ovvero l’impossibilità per una quantità straordinariamente grande di persone di occuparsi direttamente dell’amministrazione degli affari pubblici e sociali. Di conseguenza, la democrazia rappresentativa (Representative democracy [in ingl. nel testo]) - in cui il potere viene esercitato indirettamente da rappresentanti delegati tramite il sistema delle elezioni - è diventata la più diffusa forma effettiva di governo democratico. Tuttavia il difetto presente nella sostituzione della democrazia partecipativa (Participatory democracy [id.]) con la democrazia rappresentativa sta nel fatto che, nonostante l’accurata progettazione di ogni tipo di sistema per garantire che i rappresentanti possano seguire fedelmente la volontà popolare, nella loro effettiva attuazione esistono comunque dei problemi di comunicazione tra gli elettori e i rappresentanti. Attualmente “Salvo che in paesi eccezionalmente piccoli, in tutti gli altri stati solo una piccola parte dei cittadini ha la “Lun hulian w angluo zai Zhongguo minzhuhua jincheng zhong de zuoyong”, di Li Junqing (Istituto di Scienze dell’Amministrazione, Università Centrale delle Nazionalità di Pechino), Jin yang xuekan, n. 2, aprile 2004, pp. 3-7. I n greco antico il termine “democrazia” è composto dalle due parole “demos”, popolo e “krathia”, governo. Nella sua accezione di valore etico, essa sta a indicare che “la sovranità appartiene al popolo”, ovvero il “governo del popolo”; nella sua accezione di organizzazione istituzionale, l’essenza di un governo democratico risiede nel garantire alle masse popolari una partecipazione ampia e paritaria alle pubbliche decisioni e alla pubblica amministrazione, rendendo così effettivo il diritto del popolo ad essere sovrano. Tuttavia, pur essendo la migliore forma di governo creata finora dall’umanità, la democrazia, nel 44 Documenti possibilità di discutere riguardo a eventuali problematiche assieme ai propri rappresentanti. La partecipazione diretta al governo attraverso la forma della discussione presenta svariate limitazioni; basterà moltiplicare il numero dei contatti tra i cittadini e i loro rappresentanti necessari alla partecipazione al governo per il tempo mediamente necessario per ogni contatto perché tali limitazioni possano venire facilmente alla luce. E se questa semplice moltiplicazione dimostra chiaramente tale situazione, il tempo totale necessario, a seguito di un’eventuale crescita del numero dei cittadini, arriverebbe rapidamente a cifre astronomiche”.1 In altre parole, anche se si è già arrivati a realizzare tutte le altre condizioni necessarie a un governo democratico, le limitazioni tecniche alle richieste relative al benessere e all’espressione politica del popolo fanno sì che all’atto della messa in pratica esso sia ancora un gigante zoppo. A partire degli anni ’90 del Ventesimo Secolo, l’affermarsi di Internet e la sua rapida diffusione hanno colmato, a un certo livello, tale lacuna. In particolare, per quanto riguarda la Cina, continuando decisa la politica di riforma e apertura, con la conseguente, continua e rapida cresci- ta economica, col diffuso innalzamento del livello d’istruzione, e con il rapido sviluppo del processo di internazionalizzazione, si sono verificati significativi cambiamenti nelle strutture sociali; la società cinese, nel suo progressivo diversificarsi ha mostrato un entusiasmo senza precedenti nella richiesta di una distribuzione delle risorse politiche tramite un sistema democratico. Essendo la democrazia l’essenza basilare del socialismo, la costruzione di un governo socialista altamente civile, e il perfezionamento di un governo socialista democratico costituiscono il nostro obiettivo politico. Nel corso del rapido sviluppo della Cina, Internet ha fornito un efficiente supporto tecnico alla crescita della coscienza democratica nelle masse cinesi, all’allargamento dei canali di partecipazione politica, al cambiamento delle strutture politiche e dei modelli di comportamento politico tradizionali e all’attuazione del processo di democratizzazione della Cina stessa. 1. Internet in Cina: condizioni attuali e tendenze di sviluppo Nell’arco di dieci anni, dalla sua introduzione in Cina nel 1994, Internet ha conosciuto uno svilup45 Documenti po straordinariamente rapido. Attualmente si sono già iniziate a costituire la CSTNET, la CHINANET, la CERNET, la CHINA169, la UNINET, la CNCNET, la CIETNET, la CMNET, la CGWNET, la CSNET e una decina di altre reti telematiche. Secondo il 13° “Rapporto statistico sulla situazione dello sviluppo di Internet in Cina”, pubblicato dal China Internet Network Information Center, fino al 31 dicembre 2003 in Cina il numero di computer connessi a Internet era arrivato a 30.890.000, il numero di utenti a 79.500.000, i domini registrati presso CN a 340040, i siti Internet a 595.550, il numero totale di indirizzi IP a 41.456.128, la dimensione complessiva di banda larga per la trasmissione di dati all’estero 27216 Mbit/s. Ecco la situazione dello sviluppo di Internet in Cina a partire dal 1997 secondo le cifre riportate dal 13° “Rapporto statistico sulla situazione dello sviluppo di Internet in Cina”, pubblicato dal China Internet Network Information Center (si veda la successiva tabella 1). Da tale tabella si può osservare come, nell’arco di poco più di 7 anni, il numero di computer connessi a Internet si sia moltiplicato per 103.3 volte, il numero di uten- ti Internet di 128.2 volte, il numero di domini registrati presso la CN di 83.6 volte e le bande larghe internazionali di 1071.2 volte. Secondo la ricerca condotta dall’impresa statunitense NIELSEN, attualmente il numero di utenti Internet in Cina è inferiore solo a quello degli Stati Uniti e occupa il secondo posto nella classifica mondiale; inoltre, con una crescita attuale del 5-6% mensile, si prevede che, nell’arco di 3 o 4 anni, il numero degli utenti Internet in Cina raggiungerà circa 257 milioni. Attualmente in Cina si stanno realizzando tre grandi progetti: il “Governo in rete”, l’”Impresa in rete” e la “Famiglia in rete”, che stanno già ottenendo una prima fase di successi. Si può dunque prevedere che, a seguito del continuo sviluppo economico cinese, nell’arco di qualche anno Internet si diffonderà in Cina in modo straordinariamente rapido. 2. L’influenza esercitata da Internet nel processo di democratizzazione in Cina La rapida diffusione di Internet ha avuto un’influenza profonda e di ampia portata sul processo di democratizzazione in Cina. Le 46 Documenti principali manifestazioni si sono verificate riguardo tre aspetti: 1) Allargamento del diritto all’informazione dei cittadini. Il diritto all’informazione costituisce il principio cardine di una società democratica: il possesso del diritto alla conoscenza di informazioni inerenti al benessere personale e pubblico è uno dei prerequisiti fondamentali per la realizzazione della democrazia stessa. Per la maggior parte dei cittadini, il canale principale di accesso all’informazione è costituito dai mass media; tuttavia, per quanto riguarda l’allargamento del diritto all’informazione dei cittadini, Internet presenta dei vantaggi incomparabili rispetto ai mass media tradizionali. Prima di tutto, la grande varietà delle fonti di informazione e dei mezzi di diffusione contribuisce ad arricchire notevolmente i contenuti. Attualmente la maggior parte delle pagine Web dedicate alle notizie è di natura commerciale, e tra esse sussiste un rapporto di concorrenza paritaria. Ed è proprio questo che determina il carattere polivalente di Internet riguardo alle fonti di informazione e ai mezzi di diffusione, rendendo ancora più ricca la quantità delle notizie in rete; in questo modo si fornisce ai cittadini un diritto ancora maggiore di accesso alle notizie. Così non ci si pone in modo passivo di fronte ai tradizionali mass media, come accadeva in passato, ma si può scegliere liberamente la notizia che si desidera approfondire e, tramite il confronto di diverse fonti di informazione, si può ottenere una notizia ancora più completa e rispondente al vero. In secondo luogo, per quanto riguarda il metodo di trasmissione delle notizie, i vantaggi di Internet rispetto ai tradizionali mass media sono: a) Rapidità nei tempi: sotto l’impulso di una affannosa ricerca di vantaggi commerciali, su Internet spesso si trovano scoop della prima ora riguardo a fatti che presentano un effettivo valore giornalistico; Internet inoltre offre rapidamente i retroscena riguardo la notizia in questione. b) Vastità degli ambiti: Internet è un mezzo di informazione globale, che supera ampiamente il raggio di estensione della stampa e delle trasmissioni radio e la limitata zona di copertura dei segnali televisivi. Teoricamente, una notizia pubblicata su Internet può invece essere accessibile agli utenti dell’intero pianeta. c) Ampiezza di capacità. Essendo un nuovo tipo di mezzo di comu47 Documenti nicazione, Internet ha una capacità enorme, che sorpassa ampiamente lo spazio delle pagine di un giornale o le limitazioni di tempo delle trasmissioni radio-televisive. d) Multimedialità. Internet può combinare insieme parole, immagini, suoni e ogni vantaggio dei metodi di comunicazione, fornendo inoltre al pubblico una modalità di ricezione ancora più comoda. e) Continuità. Dal momento che l’utente può decidere liberamente quando collegarsi a Internet, l’accesso alle informazioni e alle notizie può essere fatto in modo libero e comodo senza dovere aspettare l’uscita di giornali o l’orario prefissato delle trasmissioni radio-televisive. Secondo quanto mostrato dai risultati di recenti indagini, in Cina la percentuale degli utenti che si collega alla rete da casa propria costituisce il 66.1% del totale degli utenti. La percentuale degli utenti che paga autonomamente i costi della connessione a Internet supera il 70%. Queste cifre dimostrano come Internet non sia più soltanto uno strumento per l’ufficio o per la ricerca scientifica, come era ai tempi della sua introduzione in Cina, ma sia diventato un parte importante della vita quotidiana delle masse. Tra gli utenti Internet, più del 90% ha indicato come scopo principale della navigazione l’accesso a informazioni e notizie. I risultati di un’indagine condotta verso la fine del 2001 sugli abitanti di Pechino dall’Istituto di Ricerche sulla Psicologia Sociale mostra come nello svolgimento di un questionario sui 7 grandi eventi dell’anno, gli utenti Internet avessero in media risultati del 20% più alti rispetto agli altri. Ma l’influenza delle notizie diffuse su Internet non è limitata alla vita personale degli utenti. Nelle famiglie degli utenti su cui è stata condotta questa inchiesta, l’81.6% ha dichiarato di essere al corrente delle notizie diffuse in rete tramite l’utente Internet. Nella società moderna, l’influenza dei mezzi di comunicazione sullo sviluppo sociale, sulle opinioni e sui comportamenti è enorme, al punto da farli definire come “il quarto potere”; lnternet, che presenta dei vantaggi incomparabili rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali, ha fornito un potente supporto tecnico al diritto all’informazione dei cittadini cinesi. 2) Offerta di un nuovo spazio di partecipazione alla vita politica e sociale dei cittadini cinesi. 48 Documenti L’allargamento al diritto all’informazione e la crescita della coscienza democratica che ne è conseguita hanno inevitabilmente portato a un ampliamento della partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale. Nonostante la Costituzione garantisca ai cittadini il diritto alla partecipazione alla vita politica dello Stato, la messa in pratica di tale diritto necessita non solo di garanzie da parte delle istituzioni, ma anche del supporto di una sicura strategia tecnica. Internet, con la caratteristica dell’ interattività, fornisce ai cittadini uno spazio per la partecipazione e da loro non solo il diritto di “sapere”, ma anche un’occasione di “parlare”: per esempio, nel sito Web del Quotidiano del Popolo (www.peopledaily.com.cn), in calce ad ogni notizia c’è lo spazio “La parola agli utenti”; oltre a questo, nella pagina “Opinioni” ci sono tre spazi per le discussioni degli utenti: “Dicono gli utenti”, “In primo piano”, “Parole in libertà”. In particolare, nel “Forum per il rafforzamento dello Stato” organizzato dal sito, sono attualmente registrati 80000 utenti, di cui 10000 inviano quotidianamente dei messaggi; il numero più alto di messaggi registrati in un thread è di 20000. Negli ulti- mi anni i primi quattro tra gli argomenti più frequentemente trattati in questo forum sono stati: le relazioni tra Cina e Stati Uniti, la questione Taiwan, il problema della democrazia, il problema della corruzione. La Sina.com (www.sina.com.cn) in calce ad ogni notizia riporta tre link: “Commenti”, “Forum sui fatti del giorno” “Notizie raccomandate”; il 31 luglio 2001, dopo la rivelazione della notizia del grave incidente della miniera Nandan nel Guangxi2, nell’ arco di sei mesi più di 1300 utenti postarono messaggi. La Eastday (www.eastday.com) riporta sotto a ogni notizia il comando “Lascia un messaggio” che riporta immediatamente alle “Discussioni più seguite”, in cui gli utenti possono liberamente lasciare dei messaggi. Attualmente in tutte le grandi pagine web cinesi non solo sono stati costituiti dei forum di discussione sulle notizie più importanti in Cina e all’estero ; sono inoltre stati aperti per gli utenti degli spazi che rispecchiano problemi inerenti al loro benessere personale. Spazi come questi sono la tre rubriche speciali la “Voce della gente” della Enorth (www.enorth.com.cn) “Le voci della gente” e “L’espresso dell’Est” della Eastday: la prime due sono dedicate alle denun49 Documenti ce dei lettori, mentre la terza si occupa delle inchieste dei giornalisti della Eastday sulle denunce dei lettori. Il 24 marzo 2001, sul “Forum per il rafforzamento dello Stato” un utente (il cui pseudonimo era “L’uomo del villaggio Chengshan”) con un posting dal titolo “Ferrovie: cosa succede veramente?” ha denunciato gli irragionevoli abusi verbali ricevuti alla biglietteria della stazione ferroviaria di Chongqing, dichiarando di voler continuare ininterrottamente a inviare il messaggio finchè non fosse stato letto dal Direttore delle Ferrovie. La Ripartizione delle Ferrovie ha rapidamente disposto un’inchiesta e la stazione ferroviaria di Chongqing ha espressamente inviato un suo delegato fino nel Fujian (un viaggio estremamente lungo) per presentare le proprie scuse all’”uomo del villaggio Chengshan”. Zou Jiajian di Shenzhen, attravero il sito “Jingzhou 315” ha lanciato un appello per la difesa del diritto di proprietà, suscitando l’interesse e la simpatia della società. Da qualche anno, nel periodo tra le due Assemblee, diversi membri dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza Politica Consultiva hanno comunicato con le masse attraverso la rete, informandosi e raccogliendo i sugge- rimenti e le opinioni della popolazione. Importanti problemi di pubblico interesse come le riforme politiche, l’imparzialità nell’amministrazione della giustizia, l’ingresso della Cina nel sistema globale, gli oneri dei contadini, la riorganizzazione delle telecomunicazioni, la politica della borsa valori, la riforma della sanità, fino al problema dei candidati indipendenti, il “caso Liu Yong3”, “Il caso della BMW pirata4” e l’”Affare Sun Zhigang5" sono diventati argomenti di primo piano sulla rete, con pareri espressi attraverso decine di migliaia di messaggi. Inoltre, gli utenti possono entrare liberamente nei BBS (Bullettin Board Systems) in rete, il cui numero è difficilmente calcolabile, nei forum di discussione liberi, negli spazi per i commenti, nelle chat room, negli spazi per critiche e recensioni, nelle mailbox di istituzioni governative. E se dovessero sorgere motivi di preoccupazione, si può sempre mantenere l’anonimato o ricorrere a uno pseudonimo per pubblicare opinioni, scambiarsi pareri, offrire dei consigli e costituire in tal modo un comune patrimonio di conoscenze. Il sociologo tedesco Jurgen Habermas nella sua opera Trasformazione strutturale delle sfere pub50 Documenti bliche (Strukturwandel der Oeffentlichkeit) sottolinea come una delle condizioni base di un governo democratico debba essere la necessaria presenza di “spazi dove i cittadini discutono liberamente degli affari pubblici e dove possono partecipare alle attività politiche” ovvero le “sfere pubbliche” 6. La caratteristica principale delle sfere pubbliche è che vi può partecipare il maggior numero possibile di persone, che ogni parere viene valutato allo stesso modo e vi può essere liberamente espresso. Esse fanno sì che “i fatti pubblici possano essere soggetti a una supervisione popolare caratterizzata da una coscienza critica” e “hanno la funzione di regolare le politiche nazionali e sociali”. Una sfera pubblica ideale dovrebbe essere indipendente dal governo e dal mercato, dovrebbe avere una raccolta di informazioni completa e obiettiva, un sistema di credito garantito e poter offrire alla popolazione degli spazi pubblici e aperti per poter comunicare e discutere in modo libero e paritario. Ma nell’epoca moderna, vista l’unilateralità dei mezzi di comunicazione, il monopolio da parte dei leader dell’opinione e la mancanza di un meccanismo di interattività, la limitata portata ed i contenuti delle loro comunicazioni fanno sì che le sfere pubbliche non possano contribuire in pieno allo sviluppo della società urbana e di un governo equilibrato. Al contrario, lo spazio telematico fornito da Internet presenta una grande apertura, un potente livello di interattività, informazioni in abbondanza, comodità nello spoglio dei materiali, assenza di limitazioni per quanto riguarda lo spazio, la locazione geografica e il tempo; e oltre all’attrezzatura per l’accesso alla rete e semplici competenze sul suo utilizzo non presenta limitazioni, ottemperando così alle caratteristiche necessarie per una sfera pubblica ideale. La Cina ha avuto da sempre una tradizione politica all’insegna del controllo sociale e del detto “Meglio chiuder la bocca alla gente che chiuder le frontiere”; i canali della libera espressione popolare sono sempre stati estremamente ridotti, ma il rapido sviluppo di Internet ha fornito alla popolazione uno spazio per esprimersi liberamente e conformarsi al punto di vista delle masse, facendo sì che il diritto di parola ritornasse dai tradizionali mezzi di comunicazione alle masse, suscitando quindi forti pressioni da parte 51 Documenti dell’opinione pubblica e dando un impulso allo sviluppo del processo di democratizzazione in Cina. Essendo la democrazia una idea, la messa in pratica sarà tanto più importante. I cittadini cinesi, attraverso la comprensione e la partecipazione alla politica e alla vita sociale della nazione, stanno progressivamente accrescendo la propria coscienza democratica; dall’interesse e dalla partecipazione alla gestione e alle politiche governative concernenti l’interesse del singolo ci si è allargati fino a quelle concernenti il pubblico interesse, costituendo in tal modo una potente forza motrice per il processo di democratizzazione cinese. 3) Promozione di uno stimolo alle riforme politiche. Considerata l’esigenza di un ulteriore adattamento agli sviluppi economici e sociali, dal 1999 il governo cinese ha iniziato l’attuazione dell’imponente progetto “Governo in rete”; dal dicembre 2003 gli utenti registrati nel dominio gov.cn sono arrivati a 11764, 2436 in più rispetto a sei mesi prima, con un tasso di crescita del 26.1%, 36 volte di più rispetto ai 323 del 1997. Attualmente tutti i livelli del governo, da quelli centrali a quelli periferici, tendono alla costruzione di un governo telematico. Ad esem- pio, la municipalità di Pechino ha avviato la costruzione di una stazione di pubblica informazione nella capitale (CPIP), i cui più importanti contenuti sono: a) Governo telematico (Egovernment); b) Business telematico (Ecommerce); c) Rete informatica per la scienza e l’educazione; d) Rete di informazione sulla sicurezza del lavoro e sociale e sui servizi per la comunità; e) Cyber – Beijing. D’altro canto nel caso di Shenzhen, una città e una rete informatica governativa locale progettate e ultimate nell’arco di 5 anni, la rete serve per accrescere il livello di perfezionamento e potenziare la funzionalità nei servizi, con lo scopo di permettere ai cittadini di sbrigare il 40% delle pratiche statali via Internet. Attualmente, i principali contenuti del Governo cinese in rete sono: a) La messa in rete delle funzioni del governo, ossia la pubblicazione su Internet delle funzioni dei vari dipartimenti governativi, delle loro competenze, le strutture delle organizzazioni, delle procedure delle pratiche, delle leggi e regolamenti. b) La messa in rete di informazioni, ossia la pubblicazione su Internet di materiale informativo, files e dati sui dipartimenti 52 Documenti governativi. Attualmente l’ufficio preposto a questo compito sta preparando la bozza della “Normativa sulla divulgazione di materiale informativo sul governo”. c) Il governo in rete, ossia il rendere pubbliche, tramite Internet, tutte le attività dei dipartimenti governativi – in tal modo si farebbe di Internet un canale di divulgazione degli affari di governo. d) La messa in rete delle pratiche burocratiche, ossia l’informatizzazione di certificati e documenti ufficiali attraverso la costituzione di un centro informatico documenti - in questo modo crescerebbe la percentuale delle pratiche burocratiche sbrigate. La riforma del sistema amministrativo, a confronto con quella del sistema economico, sta affrontando una fase di ristagno, dal momento che il governo, in alcuni casi, si serve ancora dei moduli e dei sistemi amministrativi tipici del periodo dell’economia pianificata, con dei meccanismi enormi, andamenti lentissimi e mancanza di chiarezza nelle responsabilità. In alcuni dipartimenti ancora sussiste il trend burocratico del “Le porte non si aprono, i documenti non si leggono e le pratiche non si sbrigano” e degli abusi dovuti alla “dipartimentizzazione del potere statale, l’individualizzazione del potere di dipartimento e la commercializzazione del potere individuale”. La trasparenza e la precisione sono i prerequisiti della correttezza e dell’imparzialità; l’ingresso del governo in Internet ha indubbiamente messo, a un certo livello, il governo sotto il controllo della popolazione, e ha richiesto che esso seguisse l’influsso delle tendenze alla tecnologizzazione, alla legalizzazione e alla democratizzazione e che esso facesse il possibile per attuare la razionalizzazione delle strutture, la definizione delle funzioni, la chiarezza dei regolamenti, la semplicità nelle procedure. In questo modo si può enormemente innalzare il livello di perfezionamento dello stato, eliminare gli intrighi dietro le quinte, innalzare il livello di efficienza dell’amministrazione, e ha avuto un enorme significato nel contenimento della corruzione, nell’opposizione al burocratismo e nella promozione del processo di democratizzazione. 3. Problemi e prospettive 1) Il problema dell’esiguità della portata di Internet e della disomogeneità della distribuzione geografica. Nonostante lo straordinario sviluppo di Internet negli ultimi anni, le dimensioni della rete, la velo53 Documenti cità di trasmissione, le informazioni e i servizi offerti sono ancora lontani dall’essere adeguati alle richieste dello sviluppo economico e sociale. Oltre a questo, se esaminiamo la situazione dal punto di vista della distribuzione geografica, vedremo che questa è estremamente disomogenea - la concentrazione maggiore è nelle città principali e nelle zone economicamente sviluppate della costa. Secondo le statistiche sulla distribuzione territoriale fatte dalla CN nella Cina del Nord la percentuale di diffusione di Internet è del 29.4%, nella parte orientale è del 29.6%, nella parte meridionale è del 19.4%, nella parte nord-orientale del 5%, nella parte sud-occidentale del 4.9%, nella parte nord-occidentale del 2.7%; solo a Pechino la percentuale è del 24.9%, mentre nel Qinghai è appena dello 0.1%. E’ quindi evidente che la rapidità dello sviluppo di Internet è direttamente proporzionale a quella dello sviluppo economico e che è necessario ancora del tempo perché Internet si diffonda in Cina. 2) Esiguità della percentuale di utenti Internet rispetto al totale della popolazione. A causa delle limitazioni costituite dalle condizioni economiche, i personal computer non sono an- cora diffusi in Cina; le famiglie che possiedono un computer in Cina sono solo una piccola percentuale. Sebbene attualmente il numero di utenti Internet sia quasi arrivato a 80.000.000, tale cifra costituisce appena il 6.2% della popolazione cinese (che conta 1.300.000.000 di persone). Oltre alle condizioni economiche, un altro fattore gravemente limitante per la diffusione di Internet in Cina è l’istruzione. In Cina ci sono 800 milioni di contadini con un basso livello di istruzione; gli oltre 100 milioni di analfabeti si concentrano per lo più nelle campagne remote e nelle regioni povere. Secondo una recente indagine del China Internet Network Information Center, tra tutti i fattori che influenzano l’accesso della popolazione a Internet, la non conoscenza del computer e/o di Internet costituisce il 37.7%; il ritenere Internet inutile o non necessario costituisce il 14.8%; la mancanza di attrezzature per accedere a Internet il 21.3%. L’inadeguatezza dell’istruzione nazionale di base, l’arretratezza delle condizioni economiche sono dei seri problemi per la diffusione dei personal computer e di Internet. 3) Problemi derivanti dal sistema governativo, dai modelli di tipo amministrativo e dalla qualità dei dipendenti statali. 54 Documenti Lo sviluppo dell’economia di mercato richiede da parte del governo una trasformazione dai tradizionali modelli di tipo amministrativo a modelli di erogazione di servizi; tutto ciò che concerne l’economia nazionale e il benessere della popolazione, e specialmente le misure politiche inerenti al benessere particolare della gente comune, deve avvenire attraverso il coinvolgimento e l’ampia discussione delle masse, e specialmente dei destinatari di tali vantaggi. Ma, a causa del modello prettamente amministrativo formatosi in tanti anni di sistema basato sull’economia pianificata, sussiste ancora il problema detto “Path dependence” [in ingl. nel testo]: essendo ancora l’80% delle fonti d’informazione sulla società in mano al governo, più di 3000 database, il grado di apertura di tale materiale al pubblico è ancora ben lontano dal soddisfare le richieste della società. Ci sono ancora dei casi isolati di funzionari che ritengono di essere non i “servitori del popolo” bensì i padroni, che usano tuttora il proprio potere come strumento per ottenere vantaggi personali e quindi non sono disposti a rendere trasparenti le procedure. Inoltre, attualmente ancora il 43.3% dei 5.600.000 funzionari cinesi non ha frequentato università o istituti universitari; pertanto il livello di istruzione di una considerevole parte dei funzionari, in particolare di quelli delle strutture governative di base, è piuttosto basso. Questi funzionari quindi difficilmente si potranno adattare alle esigenze di un governo telematico in un breve arco di tempo. Tutti i fattori elencati sopra costituiscono un’ostruzione al processo di ingresso in Internet del governo cinese, e causano il rallentamento di questo processo; in alcuni luoghi esso è divenuto una pura formalità, riducendosi alla creazione di una sola pagina Web, dal contenuti obsoleti e monofunzionale. Recenti statistiche mostrano come nei siti Web del governo cinese, la percentuale dei servizi offerti sia la seguente: la presentazione di funzioni e incarichi costituisce l’87%, i comunicati del governo, le leggi e i regolamenti il 79.2%, le notizie sul governo il 77.6%, le informazioni sulle professioni e le informazioni territoriali il 76%, le indicazioni sulle pratiche il 67.7%, i dati statistici il 21.9%, gli spazi per informazioni o per sottoporre delle richieste il 5.7%, l’ammi55 Documenti nistrazione statale (come le spiegazioni ufficiali in rete) lo 0.2%. Un’indagine rivolta agli utenti Internet rivela come il 12.7% non ha mai sentito parlare dell’amministrazione statale in rete, il 36.5% ne ha sentito parlare, ma non sa di cosa si tratta, il 35.8% ne sa poco, il 15% sa bene di cosa si tratti, mentre solo il 2.0% ha usufruito dei suoi servizi, limitandosi essenzialmente a navigare nelle pagine di informazione. Secondo l’ONU e l’American Society for Public Administration (ASPA) le 5 fasi di sviluppo dell’amministrazione statale in rete sarebbero: a) Fase costitutiva (Emerging Web Presence [in ingl. nel testo]). Si verifica quando un paese ha una quantità limitata di pagine Web sul governo, pagine che possono fornire soltanto alcune informazioni a carattere statico. b) Fase di perfezionamento (Enhanced Web Presence [in ingl. nel testo]). Si verifica quando la quantità di pagine Web cresce ininterrottamente e possono essere fornite informazione a carattere maggiormente dinamico. c) Fase di interattività (o Interactive Web Presence [in ingl. nel testo]). Si verifica quando le pagine Web della pubblica amministrazione offrono solo in parte delle fun- zioni interattive, come moduli da scaricare, richieste da presentare in rete ecc. d) Fase di transazione (o Transactional Web Presence [in ingl. nel testo]). I cittadini possono, a seconda del bisogno, sbrigare comodamente sulla pagina Web del governo delle pratiche ad esso inerenti, come pagare le tasse o fare altri tipi di versamenti. e) Fase di presenza pienamente integrata (o Fully Integrated Web Presence [in ingl. nel testo]). Si integrano in un unico sistema tutti i servizi governativi presenti in rete; gli utenti, tramite il sistema del “portale unico” (One-StopShop Portal [in ingl. nel testo]), possono sbrigare tutte le pratiche statali. In base a questi standard, il processo di ingresso in Internet del governo cinese sta tuttora attraversando la fase di formazione e sviluppo; c’è ancora molto lavoro e molta strada da fare prima di realizzare un governo telematico nel vero senso della parola e ottenere la trasparenza e la perfezione nell’attuazione della pubblica autorità. Inoltre, una ragionata partecipazione alla rete richiede anche l’appoggio e il sostegno dei cittadini più consapevoli, e dotati del sen56 Documenti so della cosa pubblica; l’economia di mercato ha risvegliato nei cittadini la coscienza della salvaguardia dei propri diritti e la consapevolezza della propria partecipazione. Tuttavia in un governo democratico ideale dovrebbe esserci “una partecipazione ordinata all’amministrazione degli affari di stato da parte dei cittadini”. La democrazia telematica, mentre si fa portatrice di un’importante funzione di critica indipendente nei confronti della sfera pubblica, deve anche saper prevenire il dibattito rispetto ad alcuni temi, dal momento che “la turbolenza del sentimento popolare” soffoca le analisi razionali, fino alla formazione della cosiddetta “dittatura della maggioranza”. Nonostante sussistano ancora problemi di vario genere riguardo alla promozione del processo di democratizzazione da parte di Internet, si può essere tuttavia ottimisti sulle sue prospettive di sviluppo. In primo luogo, in seguito all’ininterrotta crescita dell’economia cinese e alla crescente forza della globalizzazione dell’informazione, e in particolare a seguito delle pressioni dovute all’accesa concorrenza che ci si è trovati a fronteggiare dopo l’ingresso della Cina nel WTO, si può affermare senza dubbio che nell’arco di qualche anno Internet si diffonderà in Cina a velocità ancora maggiore. In secondo luogo, in base all’età, al grado di istruzione e alla professione degli utenti di Internet in Cina, si può osservare che attualmente, tra gli utenti Internet cinesi la percentuale di quelli in età tra i 18 e i 24 anni costituisce il 34.1%, quella tra i 24 e i 30 anni il 17.2%, e quella tra i 31 e i 35 il 12.1%, quella degli utenti tra i 36 e i 40 il 7.6%, e infine tra i 41 e i 50 il 6.4%; quelli con un’istruzione al di sopra della scuola superiore costituiscono l’86.5%; per quanto riguarda la professione, sono distribuiti principalmente negli organi di partito, nei settori della ricerca scientifica e dell’educazione, nell’editoria e nell’informazione, nelle imprese industriali e commerciali e così via. E’ evidente che i giovani e le persone di età intermedia che dispongono di notevoli risorse sociali e hanno un livello culturale piuttosto alto costituiscono il corpo principale degli utenti Internet. Il loro modo di pensare ed il loro comportamento hanno un significato estremamente importante nella promozione del processo di democratizzazione in Cina. 57 Documenti Nel novembre del 2001 l’Istituto di Ricerche sulla Psicologia Sociale di Pechino ha condotto un’indagine nel territorio della municipalità della capitale, dal tema “Internet e atteggiamento verso la politica” (www.mingyi.org.cn). Svolgendo un’analisi comparativa sui dati risultati dalla ricerca, si possono evidenziare alcune caratteristiche. 1) Gli utenti Internet sono meno soddisfatti dei pubblici poteri rispetto a coloro che non navigano in rete. Per esempio, all’affermazione “In questo momento la gente gode pienamente di tutti i diritti civili” hanno così risposto (si veda la tabella 2). All’affermazione “In questo momento i rappresentanti del popolo possono veramente farsi portavoce degli interessi della gente” hanno così risposto (si veda la tabella 3). “I funzionari di governo sono sinceramente al servizio della gente” (si veda la tabella 4). 2) Gli utenti Internet hanno una maggiore coscienza della partecipazione politica rispetto a coloro che non navigano in rete. All’affermazione “La politica è una cosa da funzionari, non ha niente a che vedere con la gente comune” hanno così risposto (si veda la tabella 5). “Se il partito e i funzionari amministrano bene lo stato, non c’è bisogno di partecipare molto” (si veda la tabella 6). 4. Conclusioni Una democrazia di tipo socialista è costituita da un sistema politico in cui il popolo è sovrano; essa costituisce la forma di democrazia più elevata in tutta la storia umana fino ai giorni nostri. La costruzione di una democrazia socialista di alto livello costituisce l’obiettivo di base della costruzione del socialismo e uno dei suoi compiti fondamentali; per realizzare questo eccezionale obbiettivo è necessaria la partecipazione politica della totalità delle masse popolari. A partire dall’apertura riformista, il processo di democratizzazione in Cina e gli sviluppi politici hanno attraversato due diversi periodi; se si afferma che è stato l’inizio dell’epoca di “riforme e apertura” ad avere dato il via allo sviluppo di una politica democratica in Cina, allora è stato proprio in quel periodo che è sorto nelle masse uno slancio politico proveniente da una partecipazione fatta di con58 Documenti vinzione. Tuttavia, a partire dal 1990 sono state le richieste dello sviluppo economico e sociale a diventare la principale forza motrice del processo di democratizzazione in Cina. Il differenziarsi negli interessi da parte della società e i cambiamenti nella tipologia degli interessi stessi hanno reso sempre più impellenti le aspettative sulle richieste e l’espressione degli interessi da parte di diverse classi e gruppi, facendo sì che la forma principale di partecipazione politica fosse quella di una partecipazione variamente distribuita. Qualsiasi sistema di interessi, al momento di una mossa decisiva, richiede un equilibrio dinamico, e per questo viene stimolato lo sviluppo di una politica democratica. La costruzione di una civiltà politica socialista di alto livello e la realizzazione di una politica socialista democratica costituiscono un enorme progetto strutturale, che concerne problematiche riguardanti la politica, l’economia, la società, la cultura e via dicendo. Il rapidissimo sviluppo di Internet in Cina, dal punto di vista tecnologico, ha fornito a masse di cittadini un modo per realizzare il diritto alla democrazia attraverso la comprensione e la partecipazione alla vita politica e sociale. Sebbene attualmente il canale da esso fornito sia ancora stretto, lo spazio messo a disposizione limitato, tuttavia Internet, con le sue rosee prospettive e la sua potenzialità, sta ininterrottamente alzando il livello della coscienza democratica dei cittadini cinesi e cambiando le vedute del pensiero cinese tradizionale, le strutture sociali e il sistema del pubblico potere. (Traduzione dal cinese di Anna Maria Paoluzzi) 1) Blackwell Encyclopaedia of Political Science, Beijing, Zhongguo Zhengfa Daxue Press, 1992, pag. 188 (n.d.a.). 2) Incidente verificatosi il 16 luglio 2001 – più di 70 minatori rimasero uccisi (nota del traduttore). 3) Ex dirigente del Partito comunista, diventato capo di una banda di malavitosi nella provincia del Liaoning – giustiziato il 22 dicembre 2003 al termine di un processo travagliato, e numerosi tentativi di corruzione dei giudici da parte dei vertici del Partito (n.d.t.). 4) Caso verificatosi nell’ottobre 2003 – Su Xiuwen, una lontana parente di un funzionario provinciale, perse il controllo della propria auto, causando la morte di una persona e il ferimento di 12 passanti ad Harbin. Il processo, anche questo caratterizzato da numerosi tentativi di corruzione della giuria, terminò con la condanna della donna a 59 Documenti 5 anni di carcere (di cui 3 con la condizionale) (n.d.t.). 5) Nel marzo del 2003 Sun Zhigang, un disegnatore di moda arrestato per vagabondaggio (non aveva con sè la carta d’identità) morì a seguito di un pestaggio nell’ospedale giudiziario di Guangzhou. Per questi fatti 12 persone furono processate e condannate a pene tra i 3 anni e l’ergastolo (n.d.t.). 6) Jurgen Habermas, Trasformazione strutturale delle sfere pubbliche, Xuelin Press, 1999 (n.d.a.). cio investimento che il governo cinese ha previsto nel campo della ICT (Information Communication Technology), per il prossimo futuro: sarebbero stati investiti ben 500 miliardi di dollari entro il 2005 per far marciare allo stesso passo “l’industrializzazione e l’informatizzazione” (p.528) ! E’ vero che Internet fornisce all’individuo opportunità di accedere, inviare e creare informazione in una maniera diversa rispetto ad altri strumenti di comunicazione, perciò potrebbe costituire una sfida per l’autorità del PCC, secondo quella expectation of convergence in base alla quale, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90, si pensava che la modernizzazione sarebbe stata strettamente legata allo sviluppo del processo democratico. E’ invece opinione dell’A. che la nozione di Internet come gateway to freedom and democracy, pur se ancora radicata nelle menti di molti, “sia di fatto un’idea errata, perché in alcuni casi la ICT ha aiutato a mantenere l’autoritarismo al governo”. Ed il suo saggio smonta puntualmente l’idea che l’introduzione di Internet in Cina porti automaticamente alla democratizzazione. Al contrario, in questi anni il governo cinese, proprio poten- ******* Varrà la pena rilevare, a margine dell’articolo che qui pubblichiamo, che nello stesso periodo è comparso sul Journal of Contemporary China (2004, n.13, vol.40, pp.525540) un saggio, a firma di Tamara Renee Shie, intitolato “The Tangled Web: does the Internet offer promise or peril for the Chinese Communist Party?”. L’occhio critico dell’autrice esamina, al di là della retorica politica del regime, le effettive possibilità che l’uso della rete può avere nel processo di democratizzazione del paese, e quindi di messa in discussione del ruolo dirigente del PCC. Rilevando che “i regimi autoritari come la Repubblica Popolare Cinese si basano sul controllo dell’informazione per sostenere il proprio monopolio”, l’autrice mette innanzitutto in evidenza il massic60 Documenti ziando l’informatizzazione delle proprie strutture, viene anche rafforzando i propri strumenti di gestione e quindi di controllo del potere, razionalizzando e migliorando l’efficienza dei propri servizi interni, i siti e la quantità di notizie comunque autorizzate, e quindi anche i propri strumenti di censura. E tutto questo avviene anche grazie alla collaborazione internazionale: alcune società straniere (Cisco, Nortel) sono state coinvolte nella costruzione della Great Firewall of China, un sistema integrato per intercettare e bloccare virus, hacker, ma anche informazioni, siti e temi politically sensitive (p.534). La maggiore diffusione di Internet può, invece, servire a perfezionare gli strumenti nelle mani del PCC per migliorare la propria capacità di governo: ad esempio, i progetti messi in atto per l’informatizzazione dell’amministrazione centrale e locale e per la gestione delle imprese, riducendo la burocrazia e migliorando la trasparenza, possono diventare efficaci sistemi per costruire nuove reti di collaborazione, soprattutto tra il centro e le zone periferiche. Così, anche la maggiore possibilità di accesso alle notizie, che in questi anni si va sem- pre più diffondendo - anche se sono solo il 3.87% i siti in lingua cinese, su una popolazione di utenti che oggi rappresenta il secondo gruppo online - non è affatto detto che automaticamente costituisca una pericolosa minaccia per il potere: la maggioranza degli utenti, infatti, sembra sempre più interessata alle diverse tematiche della vita quotidiana (email, chat, ricerche, intrattenimento, shopping, ecc.) che non all’agitazione politica per un cambio di regime. Perciò l’idea che Internet automaticamente porti con sé la democrazia in un paese viene dimostrata come erronea, poiché sono altri i fattori che vanno messi in gioco, oltre alla ICT, per operare non solo una riforma, ma una vera e propria trasformazione: “freedom of the press, political accountability, and a reduction of corruption”. Il cyberspazio potrà essere veicolo privilegiato per rendere più rapido il cambiamento, una volta che questo venga messo in movimento. E quindi, come l’A. conclude, “…for the time being, and probably for some time to come, the Internet may be more an asset than a liability for both China and the CCP”. (Alessandra C. Lavagnino) 61 Documenti Tabella 1 Periodo Ott.97 Lug.98 Gen.99 Lug.99 Gen.00 Lug.00 Gen.01 Lug.01 Gen.02 Lug.02 Gen.03 Lug.03 Dic.03 Apparecchi Connessi (migliaia) 29.9 54.2 74.7 146 350 650 892 1002 1254 1613 2083 2572 3089 Utenti Internet (migliaia) 62 117.5 210 400 890 1690 2250 2650 3370 4580 5910 6800 7950 Domini registrati presso la CN 4066 9415 18396 29045 48695 99734 122099 128362 127319 126146 179544 250651 340040 Siti Web 1500 3700 5300 9906 15153 27289 265405 242739 277100 293213 371600 473900 595550 Dimensioni di banda larga internazionali (Mbit/s) 25.408 84.64 143.25 241 351 1234 2799 3257 7597.510576.5 9380 18599 27216 Tabella 2 Utenti Internet Non utenti Internet Totalmente d’accordo 4.7 13.4 Abbastanza d’accordo 23.3 25.5 Di solito è così 39.2 42.1 Non molto d’accordo 24.5 13.4 Per niente d’accordo 8.3 5.7 Totalmente d’accordo Abbastanza d’accordo Di solito è così Non molto d’accordo Per niente d’accordo 6.4 10.9 24.9 27.1 44.2 45.4 17.8 9.4 6.7 7.2 Totalmente d’accordo Abbastanza d’accordo Di solito è così Non molto d’accordo Per niente d’accordo 2.1 10.9 7.1 9.5 31 36.4 32.4 28.1 27.4 22.4 Totalmente d’accordo 3 5.6 Abbastanza d’accordo 10.1 9.5 Di solito è così 20.8 24.1 Non molto d’accordo 36 31.6 Per niente d’accordo 30.1 29.2 Totalmente d’accordo Abbastanza d’accordo Di solito è così Non molto d’accordo Per niente d’accordo 3.8 7 12.4 15.5 24.9 25.3 37.3 33.2 21.6 19 Tabella 3 Utenti Internet Non utenti Internet Tabella 4 Utenti Internet Non utenti Internet Tabella 5 Utenti Internet Non utenti Internet Tabella 6 Utenti Internet Non utenti Internet 62 Rapporti Beijing International Education Expo 2004 (BIEE 2004) - Pechino, 24-26 agosto 2004 CLARA BULFONI C ome da tempo annunciato su un sito web appositamente creato1, “la Commissione dell’Istruzione della Municipalità di Pechino (Beijingshi Jiaoyu Weiyuanhui) e il China Scholarship Council (Guojia Liuxue Jijin Guanli Weiyuanhui), in uno sforzo teso ad adempiere agli impegni della Cina nei riguardi del WTO, preparare i Giochi Olimpici del 2008, costruire la reputazione di Pechino come metropoli internazionale, migliorare il livello generale dell’istruzione nella capitale e promuoverne la competitività internazionale, hanno promosso un evento internazionale chiamato “Beijing International Education Expo 2004 (Beijing Guoji Jiaoyu Bolanhui 2004)”. Il sito sottolinea che si tratta della prima manifestazione internazionale sponsorizzata da enti governativi della Repubblica Popolare Cinese nel campo della promozione degli scambi in materia di istruzione primaria, secondaria e superiore. La manifestazione, allestita all’interno del China International Exhibition Center di Pechino dal 24 al 26 agosto, comprendeva cinque settori: 1. Partecipazione di prestigiose università internazionali. Sono stati estesi inviti a quasi 500 istituzioni: università di tutta la Cina (Beijing Daxue, Renmin Daxue, Qinghua Daxue, Fudan Daxue, Nankai Daxue, Wuhan Daxue, ecc.), università straniere (tra cui le università di Oxford, Cambridge, Harvard, Mosca, Varsavia, Tokyo, Seul, ecc.), e università interessate alle opportunità di cooperazione in Cina. Ogni istituzione partecipante ha allestito uno stand autonomo e offerto documentazione bilingue, in cui veniva fornita una dettagliata descrizione delle opportunità di studio ai giovani cinesi interessati a intraprendere corsi all’estero. Sono state ben 114 le università e gli istituti stranieri che hanno aderito 63 Rapporti all’iniziativa, ma, con rammarico, va evidenziato che l’Italia era rappresentata ufficialmente solo da uno stand allestito dall’Università per stranieri di Perugia.2 2. Partecipazione di istituti professionali. L’invito è stato rivolto a istituti professionali stranieri e agli istituti professionali medio-superiori di Pechino al fine di rafforzare la cooperazione e la comunicazione tra insegnanti e incrementare l’innovazione e lo sviluppo degli istituti professionali. L’introduzione dei partecipanti è stata curata dell’Istituto di Lingue e Interpretariato di Goettingen. 3. Partecipazione di istituti di istruzione primaria. Hanno partecipato scuole di istruzione primaria sia straniere sia di Pechino al fine di dare incremento allo sviluppo e alla modernizzazione dell’istruzione primaria. 4. Celebrazione del 10° anniversario della costituzione di istituti sinostranieri. Con la partecipazione degli istituti sino-stranieri approvati dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese e dalla Commissione dell’Istruzione della Municipalità di Pechino, sono state presentate e analizzate le disposizioni del governo cinese riguardanti la regolamentazione di istituti sino-stranieri al fine di incrementare la cooperazione di istruzione internazionale a Pechino. 5. Partecipazione di agenzie per gli studi all’estero. Si tratta di agenzie autorizzate dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese a offrire informazioni e orientamenti a persone che desiderano svolgere studi all’estero a proprie spese3. L’obiettivo della partecipazione delle agenzie alla International Expo 2004 è stato quello di rendere trasparenti le normative di studi all’estero in base alla legge cinese, e, soprattutto, quello di poter presentare proposte di collaborazione con istituti e università stranieri disponibili ad accogliere studenti cinesi. Tra le 32 agenzie presenti all’esposizione ricordiamo il citato Dongfang International Center for Educational Exchange4; il China Education Service Center, che ha fornito accurati volantini in carta patinata ciascuno dedicato agli studi rispettivamente in Germania, Canada, Malesia, Irlanda, Francia, Australia, Nuova Zelanda; il Beijing OZ Enrollment Center of International Education Co. che ha fornito un opuscolo dedicato alle università europee in cui poter conseguire i titoli di studio, e 64 Rapporti precisamente Russia, Irlanda, Olanda, Francia, Germania, Svizzera: di ogni paese figurava un’introduzione storica e geopolitica e venivano presentati gli istituti e le università con cui questa agenzia ha già stipulato accordi per poter accogliere gli studenti cinesi. La stampa locale ha dato grande rilievo all’evento: il Xin Jing bao ha dedicato un inserto speciale di 13 pagine dal titolo “L’esposizione sull’istruzione solleverà un’onda d’urto”5, in cui, oltre ad articoli di fondo, figuravano anche inserzioni pubblicitarie di scuole e agenzie. Anche il numero del 23 agosto del giornale Xiandai jiaoyu bao (Modern Education News) è stato interamente dedicato alla manifestazione. La rivista Beijing Review del 2 settembre ha fornito un dossier dal titolo “Foreign study frenzy”. L’attrattiva di conseguire titoli accademici all’estero coinvolge sempre più giovani ed infatti, in base alle statistiche del Ministero dell’Istruzione, il numero di studenti in istituti e università stranieri è triplicato negli ultimi tre anni: si è passati da 39 mila nel 2000 a 117.300 nel 2003 (gli stessi dati sono stati riportati anche dallo International Herald Tribune del 19 ottobre6). Sono aumentati in proporzione anche gli studenti che si recano all’estero a proprie spese, ovvero dall’82% si è passati al 93%. Il dossier analizza le scelte e le considerazioni di potenzialità future, senza omettere lo sforzo da parte del governo cinese di richiamare in patria i “cervelli” offrendo loro carriere e benefici. Un articolo è dedicato alle agenzie intermediarie, nuovo fenomeno del settore terziario, che lo scorso anno hanno guadagnato 362 milioni di dollari. Dopo la chiusura del BIEE 2004, nella pagina “News” del sito web dedicato all’evento è stato reso noto il bilancio: 60 mila i cinesi e gli stranieri che hanno visitato l’esposizione, otto i programmi di collaborazione e venti i Memorandum di cooperazione che sono stati siglati. Gli istituti e le organizzazioni che hanno partecipato all’esposizione sono state 362 (248 cinesi e 114 stranieri in rappresentanza di 12 paesi e regioni): per la prima volta università, scuole superiori, scuole elementari e istituti professionali si sono riuniti in una unica manifestazione; per la prima volta si è tenuto un Forum dei consulenti in materia di istruzione; e per la prima volta quasi l’80% delle agenzie di Pechino per gli studi all’estero a proprie spese hanno stipulato una “Garanzia di onestà”. Nel corso del Forum internazionale sullo sviluppo dell’istruzione, tenu65 Rapporti tosi il 24 agosto, hanno preso la parola più di venti esperti, tra cui Zhang Xinsheng, vice ministro dell’istruzione, e il prof. Robert A. Mundell, premio Nobel 1999 per l’economia. Per quel che concerne il nostro Paese si segnala che al Forum dei consulenti dell’istruzione, tenutosi il giorno 25, ha partecipato anche la prof.ssa Paola Paderni (attualmente addetto stampa presso l’Ambasciata d’Italia a Pechino), la quale, nel suo intervento, ha illustrato le attuali disposizioni riguardanti gli studenti cinesi che intendono conseguire titoli di studio in Italia, e ha fornito un quadro generale sul sistema di istruzione italiana. L’organizzazione da parte cinese di manifestazioni come questa costituisce una concreta testimonianza dell’attenzione che il governo cinese rivolge verso i curricula di studi dei giovani, il futuro di un paese teso a svolgere un ruolo sempre più rilevante nell’era della globalizzazione. E proprio i laureati in un paese straniero saranno coloro che potranno costituire, una volta rientrati in patria, i canali di privilegiato collegamento con i paesi che li hanno ospitati, tramiti interculturali per future cooperazioni economiche e politiche. Ma purtroppo l’Italia non rientra, fino ad oggi, tra i paesi prescelti per intraprendere studi universitari o di specializzazione: i nostri mezzi di informazione avevano sollevato il problema già in occasione della visita in Italia del premier Wen Jiabao, lo scorso maggio, mettendo in evidenza il divario che esiste con altri paesi europei. La Repubblica del 7 maggio indicava il numero di 600 studenti cinesi nelle nostre università, contro le decine di migliaia di studenti in Inghilterra, Germania e Francia7. Di recente la nostra stampa sembra finalmente cominciare ad occuparsi anche dell’aspetto culturale dei rapporti tra i nostri due paesi, ed evidenzia la poca attenzione prestata all’insegnamento della lingua italiana nelle principali università cinesi. Esemplificativo è un articolo apparso sul Corriere della Sera del 13 novembre8, in cui il corrispondente enfatizza il fatto che, nonostante l’attenzione rivolta all’Italia dal mondo accademico cinese, poco è stato fatto non solo per finanziare e promuovere corsi di specializzazione in italiano nelle università cinesi ma anche per avviare una politica di scambio culturale tra gli atenei. Il primo progetto di accoglienza di studenti cinesi che a proprie spese frequentano corsi di laurea nelle università italiane si è concretizzato lo 66 Rapporti scorso settembre in seguito alla collaborazione siglata dal nostro Istituto di Cultura a Pechino con il China Scolarship Council. Il primo gruppo, giunto in Italia lo scorso settembre, è composto da 60 giovani neodiplomati, oggi regolarmente iscritti in diversi atenei italiani. In occasione della recente visita di Stato del presidente Ciampi in Cina (4-9 dicembre) anche i nostri media hanno evidenziato il fatto che è stata dedicata una parte importante degli incontri ufficiali alla collaborazione culturale, base essenziale nelle relazioni tra i due paesi, come ha sottolineato lo stesso presidente, che ha incontrato gli italianisti cinesi e ha donato mille volumi all’Associazione Dante Alighieri che opera presso la nostra rappresentanza diplomatica. Il Corriere della Sera del 7 dicembre ha riportato le parole di Ciampi: “Il flusso di studenti cinesi in Italia è ancora limitato e va facilitato”9. Va però detto che il chuguore (ovvero “la moda di voler andare all’estero”), termine coniato per suffissazione negli anni ’80 e in gran voga per anni, viene oggi considerato con maggiore ponderazione e, soprattutto, maturità dai giovani che costituiranno la classe intellettuale del futuro. In un articolo apparso sul China Daily del 25 agosto, il giornalista sottolinea che l’attuale dilemma che oggi tormenta molti studenti è “andare a studiare all’estero o no?” 10 e, riportando le parole di un dirigente della notissima Scuola Superiore n. 4 di Pechino, riferisce che la maggior parte dei neo-diplomati sceglieranno di frequentare l’università in Cina, e continuare gli studi post-laurea all’estero. La testimonianza di uno studente di matematica presso l’Università Nankai di Tianjin ribadisce l’attenzione rivolta dai giovani alla qualità degli studi: se dovesse essere ammesso in una comune università americana e, allo stesso tempo, fosse ammesso in una delle migliori università della Cina, il giovane oggi non avrebbe dubbi e sceglierebbe di seguire il corso post-laurea in patria. In un tale contesto appare oggi di vitale importanza che anche le nostre istituzioni si attivino in tempi brevi per rendere fruibile anche alla popolazione studentesca cinese un’offerta didattica qualificata e specializzata, non solo riguardante i Corsi triennali, ma anche le Lauree specialistiche, i Master e i Dottorati, in un progetto strategico mirato alla formazione presso i nostri atenei ed istituti di quelli che saranno i rappresentanti della futura élite cinese. 67 Rapporti 1) www.edufair.com.cn 2) Anche l’Università degli Studi di Milano, grazie al supporto della nostra Ambasciata e dell’Istituto di Cultura, ha potuto esporre e distribuire il proprio materiale illustrativo (in inglese e in cinese) nello stand del Dongfang International Center for Educational Exchange (Dongfang Guoji Jiaoyu Jiaoliu Zhongxin). E’ questa una delle agenzie, alle dirette dipendenze del China Scholarship Council, che si occupa della gestione del flusso degli studenti cinesi che, a proprie spese, desiderano svolgere gli studi superiori all’estero. 3) Queste agenzie, in cinese, sono chiamate “zifei chuguo liuxue zhongjie jigou” (lett., organizzazioni intermediarie per studiare all’estero a proprie spese), cfr. Xinjin bao, “Zhongjie jieji dakai xin jumian” (Gli intermediari offrono l’occasione di aprire una nuova fase), 25/8/2004, p. D86. 4) Cfr. nota n. 2. 5) Jiang Li, “Jiaoyu bolanhui xianqi chongjibo”, Xinjing bao, 25/8/2004, p. D81. 6) T. Plafker, “Foreign degrees lose cachet in China”, International Herald Tribune, 19/19/2004, p. 9. 7) F. Rampini, “La Cina alla scoperta dell’Italia si apre il capitolo investimenti”, La Repubblica, 7/5/2004, p. 18. Cfr., inoltre, A. Lavagnino, “Dove vanno gli studenti cinesi?”, Mondo cinese, n. 119, aprile-giugno 2004, pp. 47-53. 8) F. Cavalera, “L’anno zero di Dante Nel cuore del Celeste Impero”, Corriere della Sera, 13/11/2004, pagina “Cultura”. 9) R. Zuccolini, “E Dante Alighieri insegna l’italiano a 50 funzionari cinesi”, Corriere della Sera, 7/12/1004, p. 8. 10) Li Qin, “Education expo helps lure students”, China Daily, 25/8/2004, p. 2. 68 Rapporti “Sulla via di Tianjin, mille anni di relazioni tra Italia e Cina” FILIPPO SALVIATI C ome ampiamente riportato dagli organi di stampa e dai servizi televisivi, la recente visita del Presidente Ciampi in Cina si è aperta con l’inaugurazione, da parte dello stesso Ciampi, della mostra “Sulla via di Tianjin: mille anni di relazioni tra Italia e Cina”, allestita presso l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino ed articolata in due sezioni distinte e complementari. La prima, curata da Roberto Ciarla, archeologo e curatore del Museo Nazionale di Arte Orientale e da chi scrive, recava il sottotitolo “Italiani in Cina ambasciatori di amicizia e cultura”, esemplificativo del taglio dato all’esposizione, tesa appunto a documentare i millenari rapporti di interscambio culturale che l’Italia, unico paese al mondo, ha intrattenuto con la Cina sin dai tempi degli antichi romani. Per illustrare tali rapporti ci si è sostanzialmente avvalsi di una serie di pannelli didattici, in cinese ed italiano, dedicati a quei personaggichiave che hanno nel tempo contribuito a costruire e rafforzare il dialogo tra i due paesi. Tra questi Giovanni da Pian del Carpine, Marco Polo, Odorico da Pordenone, Matteo Ricci, Martino Martini, Matteo Ripa, Giuseppe Castiglione, fino ad arrivare al Novecento e a coloro che hanno gettato le basi per le moderne relazioni diplomatiche e culturali tra la Cina e l’Italia, Pietro Nenni e Piero Calamandrei. A corredo di questa prima sezione della mostra, accompagnata da una pubblicazione dell’IsIAO che ne riassume i contenuti essenziali, figuravano anche alcuni importanti documenti e manufatti, tra cui la Historia Mongolorum di Giovanni da Pian del Carpine, una carta della regione di Pechino di Michele Ruggeri, il Novus Atlas Sinensis di Martini e una serie di sei carte della Cina da lastre in rame di Matteo Ripa, oggetti prestati dall’Archivio di Stato, Biblioteca Nazionale Centrale, Società Geografica Italiana e Museo Nazionale di Arte Orientale. Pochi ma significativi oggetti provenienti da collezioni private completavano, ar69 Rapporti ricchendola, questa prima parte dell’esposizione: al pannello dedicato a Giuseppe Castiglione, alias Lan Shining, si accompagnava un dipinto di scuola raffigurante due cani sulla riva di un lago, gentilmente concesso dall’Ambasciatore italiano in Corea, Francesco Rausi; mentre un oggetto in giada della fine del XVIII, inizi del XIX secolo intagliato nella forma di ‘pesche di lunga vita’, donato nel 1955 dal presidente Mao Zedong a Pietro Nenni in occasione della visita di questi in Cina, ricordava l’inizio delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, sancito il 6 novembre del 1970. Il prezioso manufatto è stato gentilmente concesso in prestito dalla signora Danielle Lantin, nipote di Pietro Nenni, mentre dall’Archivio Storico della FIAT di Torino sono giunte le fotografie illustranti il pannello dedicato al mitico raid automobilistico Pechino-Parigi, vinto dal principe Scipione Borghese e vividamente raccontato da Giovanni Barzini nel suo libro L’altra metà del mondo vista da un’automobile. La seconda sezione della mostra, intitolata “Un quartiere italiano in Cina” era invece dedicata alla ex-concessione italiana di Tianjin, che si spera possa essere almeno in parte restaurata secondo un piano di recupero al quale stanno lavorando le autorità cinesi ed importanti studi di architettura italiani. Anche questa sezione della mostra, curata da Nicoletta Cardano e Pier Luigi Porzio, era costituita da pannelli didattici illustrati con fotografie d’epoca e documenti d’archivio e mirava “a documentare le vicende storico-costruttive dell’insediamento costruito a Tianjin dagli italiani a partire dal 1902", come si legge nella introduzione al catalogo pubblicato dall’editore Gangemi. Nonostante la ristrettezza del tempo a disposizione, la mostra è stata comunque pensata, preparata ed allestita con successo grazie allo sforzo congiunto e coordinato dei curatori, del personale di tutte le istituzioni coinvolte, degli autori dei testi e dello staff di traduttori che ha reso accessibili in cinese i testi dei pannelli e dei due cataloghi. Anche se, come ha tenuto a precisare il nostro Ambasciatore in Cina, Gabriele Melegatti, si trattava essenzialmente di una ‘mostra privata’, pensata cioè per accogliere il Presidente Ciampi in occasione della sua importante visita nel paese estremo-orientale, l’impegno, anche finanziario, profuso nella sua realizzazione e la natura squisitamente didattica dell’esposizione, fanno sperare che il materiale in essa confluito possa essere riutilizzato in futuro in altre occasioni, vuoi in Cina come in 70 Rapporti Italia. I pannelli, che verranno donati alla municipalità di Tianjin in attesa che in questa città venga aperto un punto d’incontro e contatto permanente per raccordare i comuni interessi economici e culturali dei due paesi, potrebbero infatti essere ristampati e trovare collocazione all’interno di una o più sedi universitarie italiane e/o cinesi, sì da permettere agli studenti di avere sott’occhio una sintetica storia delle relazioni tra i due paesi. Inoltre, durante il prossimo mese di ottobre si celebrerà in Italia la ‘Settimana di Tianjin’, occasione perfetta per poter riproporre la mostra, anche ampliata dal punto di vista dei manufatti e della documentazione d’archivio relativa alla ex-concessione di Tianjin. Non è da escludere infine che la mostra, opportunamente rivisitata per l’occasione, possa costituire uno degli eventi che caratterizzeranno il 2006, ‘Anno dell’Italia in Cina’. 71 Clara Bulfoni, ricercatore di Lingua cinese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano Marco De Marco, professore straordinario di Organizzazione dei Sistemi Informativi Aziendali presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano Alessandra C. Lavagnino, professore ordinario di Lingua e cultura cinese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano Marina Miranda, professore associato di Istituzioni politiche e sociali dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Federico II” di Napoli Corrado Molteni, professore straordinario di Lingue e Letterature del Giappone e della Corea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano Anna Maria Paoluzzi, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Valentina Pedone, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Filippo Salviati, professore a contratto di Storia dell’Arte dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Studi Orientali dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” 72