Antonio Gramsci
Dagli scritti giovanili su cultura, politica e linguaggio (1917-1919)
1. Gli articoli “Socialismo e cultura”, “La rivoluzione contro Il Capitale” e “Il
lavoro di propaganda”, usciti originariamente ne Il grido del Popolo,
nell’Avanti e nell’Ordine nuovo, sono riprodotti da una versione digitalizzata
degli Scritti politici, a c. di P. Spriano, Roma, Editori Riuniti 1973;
2. L’articolo “Analfabetismo”, uscito originariamente ne La città futura del
febbraio 1917, è stato ripreso da 2000 pagine di Gramsci 1. Nel tempo della
lotta (1914-1926), a c. di G. Ferrata. Milano, Il Saggiatore 1964;
3. L’articolo “La lingua unica e l’esperanto” uscito nel 1918 ne Il grido del
Popolo, è ripreso dalla citata ed. di 2000 pagine di Gramsci 1.
Per una corretta comprensione di questi scritti, tutti ovviamente da leggere nel loro
contesto storico preciso, si tenga presente che La rivoluzione contro il Capitale,
scritto all’indomani della Rivoluzione sovietica del 1917, intende reagire contro le
visioni deterministiche del marxismo, le quali ipotizzavano che il socialismo si
sarebbe instaurato in certo modo “necessariamente”, grazie alle contraddizioni
interne del sistema capitalistico; Gramsci intende qui porre il problema della
soggettività rivoluzionaria. Lo scritto sull’esperanto reagisce ai “miti” universalistici
diffusi anche nel mondo socialista a proposito della funzione internazionale,
pacificante, dell’esperanto, la lingua artificiale sviluppata tra il 1872 e
il 1887 dall'oftalmologopolacco di origini ebraiche Ludwik Lejzer Zamenhof, così
detta (esperanto = colui che spera, sperante) dallo pseudonimo di Doktoro Esperanto,
utilizzato dal suo ideatore. Scopo di questa lingua è quello di far dialogare i diversi
popoli cercando di creare tra di essi comprensione e pace con una seconda lingua
semplice ma pienamente funzionale, appartenente all'umanità intera e non a singolo
un popolo. E’ interessante sapere che ancora oggi l’esperanto conta numerosi
sostenitori e utenti in circa 120 paesi del mondo: ogni anno l'Associazione Universale
Esperanto organizza in una diversa località il Congresso Universale di Esperanto, cui
partecipano solitamente tra i 1.500 e i 2.500 esperantisti.
Scritti politici 1
Antonio Gramsci
Socialismo e cultura8
Ci è capitato sott'occhi, qualche tempo fa, un articolo nel quale Enrico Leone, con quella
forma involuta e nebulosa che troppo spesso gli è propria, ripeteva alcuni luoghi comuni sulla
cultura e l'intellettualismo in rapporto al proletariato, opponendogli la pratica, il fatto storico per i
quali la classe sta preparandosi con le sue stesse mani l'avvenire. Non crediamo inutile ritornare
sull'argomento, trattato altre volte sul Grido e che ebbe specialmente nell'Avanguardia dei giovani
una trattazione piú rigidamente dottrinale nella polemica tra il Bordiga di Napoli e il nostro Tasca.
Ricordiamo due brani: uno di un romantico tedesco, il Novalis (vissuto dal 1772 al 1801)
che dice: «Il supremo problema della cultura è di impadronirsi del proprio io trascendentale, di
essere nello stesso tempo l'io del proprio io. Perciò sorprende poco la mancanza di senso ed
intelligenza completa degli altri. Senza una perfetta comprensione di noi, non si potranno veramente
conoscere gli altri».
L'altro, che riassumiamo, di G. B. Vico. Il Vico (nel 1° Corollario intorno al parlare per
caratteri poetici delle prime nazioni nella Scienza nuova) dà una interpretazione politica del famoso
detto di Solone, che poi Socrate fece suo quanto alla filosofia: «Conosci te stesso», sostenendo che
Solone volle con quel detto ammonire i plebei, che credevano se stessi d'origine bestiale e i nobili
di divina origine, a riflettere su se stessi per riconoscersi d'ugual natura umana co' nobili, e per
conseguenza a pretendere di essere con quelli uguagliati in civil diritto. E pone poi in questa
coscienza dell'uguaglianza umana tra plebei e nobili, la base e la ragione storica del sorgere delle
repubbliche democratiche nell'antichità.
Non abbiamo cosí a vanvera accostato i due frammenti. In essi ci pare siano adombrati, se
non diffusamente espressi e definiti, i limiti e i principi sui quali deve fondarsi una giusta
comprensione del concetto di cultura anche in rapporto al socialismo.
Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui
l'uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti
e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per
poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è
veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente
che crede di essere superiore al resto dell'umanità perché ha ammassato nella memoria una certa
quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli
altri. Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore, cosí bene fustigato a sangue da
Romain Rolland, che ha partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, piú deleteri per
la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide per la bellezza e la sanità
fisica dei corpi. Lo studentucolo che sa un po' di latino e di storia, l'avvocatuzzo che è riuscito a
strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di
essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un
compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di piú di quanto gli
altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e
contro di essa ben a ragione si reagisce.
La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è
presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce
a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri
doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti
dalla propria volontà, come avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona
e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L'uomo è soprattutto spirito,
cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe altrimenti il perché, essendo sempre
esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori di ricchezza e consumatori egoistici di essa, non si sia ancora
8
Firmato ALFA GAMMA, Il Grido del Popolo, 29 gennaio 1916.
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Scritti politici 1
Antonio Gramsci
realizzato il socialismo. Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l'umanità ha acquistato
coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere indipendentemente dagli schemi e
dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il
pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di alcuni e poi
di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi migliori per convertirli da occasione di
vassallaggio in segnacolo di ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione
è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee
attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per
ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri
che si trovavano nelle stesse condizioni. L'ultimo esempio, il piú vicino a noi e perciò meno diverso
dal nostro, è quello della Rivoluzione francese. Il periodo anteriore culturale, detto dell'illuminismo,
tanto diffamato dai facili critici della ragione teoretica, non fu affatto, o almeno non fu
completamente quello sfarfallio di superficiali intelligenze enciclopediche che discorrevano di tutto
e di tutti con pari imperturbabilità, che credevano di essere uomini del loro tempo solo dopo aver
letto la Grande enciclopedia di D'Alembert e Diderot, non fu insomma solo un fenomeno di
intellettualismo pedantesco ed arido, simile a quello che vediamo dinanzi ai nostri occhi, e che trova
la sua maggiore esplicazione nelle Università popolari di infimo ordine. Fu una magnifica
rivoluzione esso stesso, per la quale, come nota acutamente il De Sanctis nella Storia della
letteratura italiana, si era formata in tutta l'Europa come una coscienza unitaria, una internazionale
spirituale borghese sensibile in ogni sua parte ai dolori e alle disgrazie comuni e che era la
preparazione migliore per la rivolta sanguinosa poi verificatasi nella Francia.
In Italia, in Francia, in Germania si discutevano le stesse cose, le stesse istituzioni, gli stessi
principi. Ogni nuova commedia di Voltaire, ogni nuovo pamphlet era come la scintilla che passava
per i fili già tesi fra Stato e Stato, fra regione e regione, e trovava gli stessi consenzienti e gli stessi
oppositori da per tutto e contemporaneamente. Le baionette degli eserciti di Napoleone trovavano la
via già spianata da un esercito invisibile di libri, di opuscoli, che erano sciamati da Parigi fin dalla
prima metà del secolo XVIII e che avevano preparato uomini e istituzioni alla rinnovazione
necessaria. Piú tardi, quando i fatti di Francia ebbero rinsaldate le coscienze, bastava un moto
popolare a Parigi per suscitarne altri simili a Milano, a Vienna e nei piú piccoli centri. Tutto ciò
sembra naturale, spontaneo ai faciloni, e invece sarebbe incomprensibile se non si conoscessero i
fattori di cultura che contribuirono a creare quegli stati d'animo pronti alle esplosioni per una causa
che si credeva comune.
Lo stesso fenomeno si ripete oggi per il socialismo. È attraverso la critica della civiltà
capitalistica che si è formata o si sta formando la coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol
dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica. Critica vuol dire appunto quella
coscienza dell'io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone agli altri, che si
differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé
anche come valori di propulsione o di repulsione. Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol
dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma
del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non si può ottenere ciò se non si
conoscono anche gli altri, la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò
che sono, per creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la nostra. Vuol
dire avere nozioni di cosa è la natura e le sue leggi per conoscere le leggi che governano lo spirito.
E tutto imparare senza perdere di vista lo scopo ultimo che è di meglio conoscere se stessi
attraverso gli altri e gli altri attraverso se stessi.
Se è vero che la storia universale è una catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per liberarsi e
dai privilegi e dai pregiudizi e dalle idolatrie, non si capisce perché il proletariato, che un altro
anello vuol aggiungere a quella catena, non debba sapere come e perché e da chi sia stato preceduto,
e quale giovamento possa trarre da questo sapere.
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Scritti politici 1
Antonio Gramsci
La rivoluzione contro il «Capitale»32
La rivoluzione dei bolscevichi si è definitivamente innestata nella rivoluzione generale del
popolo russo. I massimalisti che erano stati fino a due mesi fa il fermento necessario perché gli
avvenimenti non stagnassero, perché la corsa verso il futuro non si fermasse, dando luogo ad una
forma definitiva di assestamento — che sarebbe stato un assestamento borghese, — si sono
impadroniti del potere, hanno stabilito la loro dittatura, e stanno elaborando le forme socialiste in
cui la rivoluzione dovrà finalmente adagiarsi per continuare a svilupparsi armonicamente, senza
troppo grandi urti, partendo dalle grandi conquiste realizzate ormai.
La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologie piú che di fatti. (Perciò, in fondo,
poco ci importa sapere piú di quanto sappiamo.) Essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo
Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, piú che dei proletari. Era la
dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse
un'èra capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse
neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno
superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della
Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolscevichi rinnegano
Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell'azione esplicata, delle conquiste realizzate, che i
canoni del materialismo storico non sono cosí ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato.
Eppure c'è una fatalità anche in questi avvenimenti, e se i bolscevichi rinnegano alcune
affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono
«marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di
affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai,
che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato
di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero pone sempre come massimo fattore
di storia non i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si
accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una
volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro
volontà, finché questa diventa la motrice dell'economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che
vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebollizione, che può essere incanalata
dove alla volontà piace, come alla volontà piace.
Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non
poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuta la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva
prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe
suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitata. Una volontà di tal fatta
normalmente ha bisogno per formarsi di un lungo processo di infiltrazioni capillari; di una larga
serie di esperienze di classe. Gli uomini sono pigri, hanno bisogno di organizzarsi, prima
esteriormente, in corporazioni, in leghe, poi intimamente, nel pensiero, nelle volontà [...]33 di una
incessante continuità e molteplicità di stimoli esteriori. Ecco perché, normalmente, i canoni di
critica storica del marxismo colgono la realtà, la irretiscono e la rendono evidente e distinta.
Normalmente, è attraverso la lotta di classe sempre piú intensificata, che le due classi del mondo
capitalistico creano la storia. Il proletariato sente la sua miseria attuale, è continuamente in istato di
disagio e preme sulla borghesia per migliorare le proprie condizioni. Lotta, obbliga la borghesia a
migliorare la tecnica della produzione, a rendere piú utile la produzione perché sia possibile il
soddisfacimento dei suoi bisogni piú urgenti. È una corsa affannosa verso il meglio, che accelera il
ritmo della produzione, che dà continuo incremento alla somma dei beni che serviranno alla
32
Firmato ANTONIO GRAMSCI, Avanti!, ediz. milanese, 24 novembre 1917: fu ristampato dal Grido del Popolo
del 5 gennaio 1918 con la seguente avvertenza: «La censura torinese ha una volta completamente imbiancato questo
articolo nel Grido. Lo riproduciamo ora dall'Avanti! passato al crivello delle censure di Milano e di Roma».
33
Lacuna nel testo.
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Scritti politici 1
Antonio Gramsci
collettività. E in questa corsa molti cadono, e rendono piú urgente il desiderio dei rimasti, e la massa
è sempre in sussulto, e da caos-popolo diventa sempre piú ordine nel pensiero, diventa sempre piú
cosciente della propria potenza, della propria capacità ad assumersi la responsabilità sociale, a
diventare l'arbitro dei propri destini.
Ciò normalmente. Quando i fatti si ripetono con un certo ritmo. Quando la storia si sviluppa
per momenti sempre piú complessi e ricchi di significato e di valore, ma pure simili. Ma in Russia
la guerra ha servito a spoltrire le volontà. Esse, attraverso le sofferenze accumulate in tre anni, si
sono trovate all'unisono molto rapidamente. La carestia era imminente, la fame, la morte per fame
poteva cogliere tutti, maciullare d'un colpo diecine di milioni di uomini. Le volontà si sono messe
all'unisono, meccanicamente prima, attivamente, spiritualmente dopo la prima rivoluzione.
La predicazione socialista ha messo il popolo russo a contatto con le esperienze degli altri
proletariati. La predicazione socialista fa vivere drammaticamente in un istante la storia del
proletariato, le sue lotte contro il capitalismo, la lunga serie degli sforzi che deve fare per
emanciparsi idealmente dai vincoli del servilismo che lo rendevano abietto, per diventare coscienza
nuova, testimonio attuale di un mondo da venire. La predicazione socialista ha creato la volontà
sociale del popolo russo. Perché dovrebbe egli aspettare che la storia dell'Inghilterra si rinnovi in
Russia, che in Russia si formi una borghesia, che la lotta di classe sia suscitata, perché nasca la
coscienza di classe e avvenga finalmente la catastrofe del mondo capitalistico? Il popolo russo è
passato attraverso queste esperienze col pensiero, e sia pure col pensiero di una minoranza. Ha
superato queste esperienze. Se ne serve per affermarsi ora, come si servirà delle esperienze
capitalistiche occidentali per mettersi in breve tempo all'altezza di produzione del mondo
occidentale. L'America del Nord è capitalisticamente piú progredita dell'Inghilterra, perché
nell'America del Nord gli anglosassoni hanno incominciato di un colpo dallo stadio cui l'Inghilterra
era arrivata dopo lunga evoluzione. Il proletariato russo, educato socialisticamente, incomincerà la
sua storia dallo stadio massimo di produzione cui è arrivata l'Inghilterra d'oggi, perché dovendo
incominciare, incomincerà dal già perfetto altrove, e da questo perfetto riceverà l'impulso a
raggiungere quella maturità economica che secondo Marx è condizione necessaria del collettivismo.
I rivoluzionari creeranno essi stessi le condizioni necessarie per la realizzazione completa e piena
del loro ideale. Le creeranno in meno tempo di quanto avrebbe fatto il capitalismo. Le critiche che i
socialisti hanno fatto al sistema borghese, per mettere in evidenza le imperfezioni, le dispersioni di
ricchezza, serviranno ai rivoluzionari per far meglio, per evitare quelle dispersioni, per non cadere
in quelle deficienze. Sarà in principio il collettivismo della miseria, della sofferenza. Ma le stesse
condizioni di miseria e di sofferenza sarebbero ereditate da un regime borghese. Il capitalismo non
potrebbe subito fare in Russia piú di quanto potrà fare il collettivismo. Farebbe oggi molto meno,
perché avrebbe subito di contro un proletariato scontento, frenetico, incapace ormai di sopportare
per altri anni i dolori e le amarezze che il disagio economico porterebbe. Anche da un punto di vista
assoluto, umano, il socialismo immediato ha in Russia la sua giustificazione. La sofferenza che terrà
dietro alla pace potrà essere solo sopportata in quanto i proletari sentiranno che sta nella loro
volontà, nella loro tenacia al lavoro di sopprimerla nel minor tempo possibile.
Si ha l'impressione che i massimalisti siano stati in questo momento la espressione
spontanea, biologicamente necessaria, perché la umanità russa non cada nello sfacelo piú orribile,
perché l'umanità russa, assorbendosi nel lavoro gigantesco, autonomo, della propria rigenerazione,
possa sentir meno gli stimoli del lupo affamato e la Russia non diventi un carnaio enorme di belve
che si sbranano a vicenda.
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Scritti politici 1
Antonio Gramsci
Il lavoro di propaganda70
Alcuni compagni di Torino e della regione piemontese (dove specialmente la nostra
rassegna è diffusa) ci informano che il lavoro di propaganda da loro svolto per la diffusione
dell'Ordine Nuovo tra gli operai e contadini, non dà quei risultati permanenti che essi vorrebbero,
perché molti compagni trovano che gli articoli da noi pubblicati sono «difficili». Dalle
conversazioni avute con questi amici dell'Ordine Nuovo, abbiamo tratto queste conclusioni: —
Psicologicamente, il periodo della propaganda elementare, cosiddetta «evangelica», è superato. Le
idee fondamentali del comunismo sono state assimilate anche dai ceti piú arretrati della classe
lavoratrice. È incredibile quanto abbia contribuito a ciò la guerra, la vita di caserma e la necessità in
cui si è trovata la gerarchia militare di sviluppare una sistematica ed assillante propaganda
anticomunista, che ha diffuso e inchiodato nei cervelli piú refrattari i termini elementari della
polemica ideale tra capitalisti e proletari. I primi princípi debbono ormai ritenersi sottintesi:
dall'«evangelo» bisogna passare alla critica e alla ricostruzione. Le esperienze comuniste di Russia
e di Ungheria attraggono irresistibilmente l'attenzione. Si è avidi di notizie, di dimostrazioni logiche
(siamo pronti in Italia? saremo all'altezza del nostro compito? quali errori è possibile evitare? ecc.),
di critica, di critica, di critica, e di concetti pratici sperimentali. Ma qui si rivela la povertà di cultura
politica — nel senso di esperienza «costituzionale» — del popolo italiano: il Parlamento italiano è
stato sempre una cosa morta; mai in Italia si sono avute grandi battaglie tra le istituzioni popolari
dello Stato (Camera dei deputati, enti locali) e le istituzioni rappresentanti la Corona o le classi piú
conservatrici (Senato, Ordine giudiziario, potere esecutivo), che si sono invece verificate in
Inghilterra e in Francia.
Questa crisi in cui si dibatte il proletariato italiano, preso tra l'ardente desiderio di sapere e
l'incapacità di soddisfarlo individualmente, deve essere e può essere risolta. E può essere e deve
essere risolta col metodo che è proprio della classe degli operai e contadini, col metodo comunista,
col metodo dei Soviet. La conquista delle otto ore lascia un margine di tempo libero che dev'essere
dedicato al lavoro di cultura in comune. Bisogna convincere gli operai e i contadini che è loro
interesse sottoporsi a una disciplina permanente di cultura, e farsi una concezione del mondo, del
complesso e intricato sistema di relazioni umane, economiche e spirituali, che dà una forma alla vita
sociale del globo. Questi Soviet di cultura proletaria dovrebbero essere promossi, presso i circoli e i
fasci giovanili, dagli amici dell'Ordine Nuovo e diventare focolari di propaganda comunista
concreta e realizzatrice: vi si dovrebbero studiare i problemi locali e regionali, vi si dovrebbero
raccogliere elementi per compilare statistiche sulla produzione agricola e industriale, per conoscere
le necessità urgenti, per conoscere la psicologia dei piccoli proprietari ecc. ecc.
Riflettano i compagni su queste considerazioni: la rivoluzione ha bisogno, oltre che di
eroismo generoso, anche e specialmente di tenace, minuto, perseverante lavoro.
70
Non firmato, L'Ordine Nuovo, 12 luglio 1919, sotto la rubrica «Cronache dell'Ordine Nuovo».
138
Da “La città futura”, numero unico progettato e scritto interamente da Gramsci,
uscito l’11 febbraio 1917.
[ripreso da 2000 pagine di Gramsci, intr. di G. Ferrata, Milano, Il Saggiatore 1964, pp. 235-36]
Lt hrlld a na c l'etpùdto
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taute nclla rivohrzione nrssa, la qualc firrora ò stata specialncrtc uno sforzo
tnadco perché resuna rlclle conceziori stariche dclsociaÌrsmo si rllcrmasc
dcfrnitìvancnte, chigderdo la rivolurionc e fatahnente rìco»ducendola a
un reginrc borghesc, che. se libo:lc e libcrìsta, darebbe nuggiori garanzrr dr vorr.rti dr rru regrn,c pr-lesionrle, o Ji rrn regrrrrc
Non è quì:rdi csatra I'rffcrmrzionc chc l'attività polirica socialista sìa tale
solo pcrché provicnc da uom;ni che si dicono socialisti. Allo stesso nodo sì
porebbe dirc di qualsiasi altrr atdvnà, chc essa è quella che si dice sia solo
i:r., Mr la so: Jr. !i sliluPPa
perché 1o stesso'aggcttivo sì attriLuiscono gìi uomiui the
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esplicano.
Faremno orolto meglio !e la cltriva polidcà Ia chiamasir:ro col
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rcro nome di canorrÀ, c non ci lasciassin)o incaÌrtare dai canorrnd fino
a1 purrto di rinnrrziare a un'attivid.hc è intcgrarte neccssaria rlel nostro
ùovinrento. Del resto il Kruiskvr àcutànenrc lra oscvato chc h fobia
politica r prrlamcntarc ò rna dcboÌezza piccolo-Lorglesc, di gcntc pigra, che non vuol comrierc lo sforzo nccesarìo per colrolluc i propri
rapprclentinti, F.r .ssere turau»o crrn cssi, o far sì che essi siano tutt'uno
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I'uomo sia una unità. clre iÌ pensiero sirì un,r uuirà, vcdo nella rrsoluzionc
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plice aspetto della rita, abiturrle:lla riccrca orga»,ca della rcritlL c dcila chirrczza, ad applicarc i prìncìpi foùdanicntili di Ln. dÒttrim r tlÌltc lc contùrgcnze.
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Il Manzo,ri sì pose i1 qL,csto: comc si può crerrc la 1n4ua rtrlirna, om
chc è fana l'[trlia: I rìsporc: è nec.$trrio chc nÌrti gli ihliari plrlho ì]
torcàDo. è n.(crsàrio chc lo Stato urlùuo àtrloli r Dia.sri elurcntari nr
Toscànà: si !trtlrùirà il toscrno ai Dnnìcron d,aletri chc lc vrre reeioni
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rlal;rn!. lvla rl \i,!o Ji:r,,rro rmasr a !)e!à. e i Dlaesrri fi,rono rrrtLolati
trr ìc personc.Òlte di tùtlc le rcgioni d'fta1ia. !r.,wcntrro chc ùro nù
.lioso dell.r stona de1 li;,qrrggìo. crazìadio keìa Ascoli, allc ccnrrnaia di
prgine dcl MrMoù ave\'r .ontrappostÒ ula trcntina di paginc p.r dino5rhre: chc trclfu!e uu linqua nazionrlc può escrc sl)!.iratà arr;ilùalncnre,
t.r trnpo5izr(». dì Stato; che la lneur lmliana 5r sta fornundo da sé, c
s foorcrà rlo iu qurno ìà convivcDza nazionel. ibbia srcirato contàrti
numerosi c stabili tra lc vrrie panì dclh n:zione: che i1d;fondcni di una
trrticolare linguà ò dovuto al1'anivrrà produtrice di icrlrri, di traflìci, di
corrmercio deqli uomini chc qùeììa farri.olar.lueua parìano. J-r Toscana
ncl'3oo c ucl soo ha aruto scrrrrcri.ont Danlc, UÒ.caccio, Pct.rcx, Machiarclli, Guìccirrdini. chc ha lo d,lììL$ lx 1i.sur rc»crna: hr rvuto banchiul, artieiari. ùaniietturicn che fo.ràvxno u rutrtr lralia i frodottì toscru c i ronri .i questì prodoni: dopr ha rxtretto Jr proLluairiti dì ncrcr
c cìi Ìibri c quindi ha risrcno arcne la produftivlrì di lùrg!à. Il trot A1frcdo Panznri Lr pubblica«) pochì annr fa un dizhurio della lDgua par
,t. .'oJerr..r. c .L e ." .,1p r( !..,nr u /.,. /,, .,. , "tr,\-r D( .:,io .,,
Sicilia c ìn Puglia. Milano nunda gìorlal;, rivrtc, libri, mcrcc, commexi
viaggiatoli D tulta ltaÌra. e nrarda quindi ancfie alcrrc peculiarr csprcsiom
dclh lingra itrliau chc i suoi abitaDri parÌano.
S. non si poò ncl dsrcno campo nrzìonale lnpÒrli unr lirgùà unì.a,
<hc purc è prrha in una reeione ed hà mr sors.nr.'vivr cui riÈrirsi,
cone porrcbbc al{erman! ùia Iingua iDrclnaaonrlr, mtta amficiale. tutta
nrcccanìci, pflva di ogri «oricità, di ogni mggcstiÒne di grrndi sclttori,
yiva di quclL ricchczzr eipr.$iv,ì chc vicne dalla varictà, di:rlcnde, dalla
varietà dcÌlc tunne asuntc nei dir-crsi r.mpi; Mr 5, rispondc: I esperanto
2aoo pagint
dt C,an5ri
esscre ùa lingua rusiliaria, e poi Ia migliore mgione della
di r:n milic.nc di uonini la parlmo,
sua consistcnza è ncl fatto che già
c nei congrcssi intemazioruli cso peruette di €are a meno dcgli intcrpreti
non vùolc chc
p
gli.spcrantrd fanno conc quelÌ'uomo
chc canmirava dimnzi a1 filosofo che negava il moto, Ma non è esetto ii
,orpJrJgoric: gL esfc-auri'ri si uon pr ndoro tr.r 'oro nci,-nges i rra
"sp
in
ùn
con{.resso
di
sordomuti,
qucsti
,irri, così comc
si comprcndcrebbcro
tra loro a segu ed ammicchi. Non pcrciò Doi consiglierclmo ad alcnno di
i,npararc linguaggio dei sordornLrti. In un congresso ove dovcscro
lirguistichc,
e di lavorare rapidarnortc. Si dice:
il
cspriuersi e conNnicersi concctti e ragiohamerti che harno uua Luga
stoda, che sono il nomento anualc di ùn dis<nirc storico chc dura da
secoli, 1'uso dcll'csperanto srrebbc una pastoia dcl pcnsiero, costringcrcbbc
a deformazioni e gcneralirzar'onj, a ìr1plccisìon; curìosissime c pcricolosissimc. lnoltrc: ì rapprescrtanti t.ongressi dovrcbLcro essoe scclti fra gli
csperantistì, inroduccndo un criterio di rcclta tuno csteriore elle idee c allc
cofferti politiche. ta ragionc dcl "novr»crto» non è quiìdi altro che un
so6sÙra, che può rrnpressionarc solo pÙ ur istrute.
cadc anche I';rsiliaritì
dcll'csperanto. Quando sarebbc rrslliaio I'esperanto: E a cLi: Lr maggior
pcr le
lingrr
brcrcbbe Èrll
solo hvon
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chc volera r
f
parte dci cittadnri espiica la sua attivià stebillrcntc in un lrogo 6so, t non
deve troppo speso averc corrnpordcrza epìstolate corl l'estoo. Co:rvinciamocenc: l'cspcrarto, la ìogua unica, ron ò :ìro che u»'ubtìr, ur'illLrsiolc ò rncntaùta cosmopoliichc, Lruranimrìe, dcmotrtich+
rese
fcnili.
.ro r .ur,orr
"n,,s1r.
J.'l
.r,io'n,Ò,ror."
Qlule att.ggirmenro dcvono prcrclcrc i socrelisriin coolronto dci barditori di lirrgue uichc, tlcgli csferandnir Sost.n.rc scnryLccmenrc lc propric
donrine, c conrbatterc,pclli chc vorrcbbcrc il parrlro si fa.cia sosrcnitorc
e propagatorc uflìcia1c dclt'cspcranto (rtlla Sczioue milarrese devc esistcre
ancora una interpellanza del compagno Scasaro chc esplicitarrcnte doruande l'cspcrantizzazbnc dcl partito). I socialisri lottano pcrché si:ìno s$citatc lc condizioni ccononiche c pohtichc nccessarìc pcr l'rvvento dcl collcttivismo e deli'lnternazion:1e. Quardo l'ìntermzìonalc srrà, è probrbilc chc i
contatti naggiori tra popolo c popolo, le iDuÌ;gra,ioni rcgohri c nìetodi
chc di grandi mrse lavoratrici, porrino leùrancntc a nn conliuagliàmento
dcllc hnguc ariocurope, e prob:biL»ente alla diffùsione di e$c in tutto
il mondo, pcr ìr suggestioue che la nuova civihà eserciterà sul moudo. Ma
gni. scmFn
biando sigmr
pcrfezione. ir
nichilaro Ie u
lingùa unia
Ld h15"" dnd e l',\wr
t,,
klo à!vcnnr libemùrcnt. e +ronriD('a,rìen.e. Lc sfiinte
Iinguistiche alvengono solo dal baso il rlto; ilibri po(o i,r0unconÒ
sr:i caobìrurcnti dellc pariate: i libri finno operr ili rcgolarizzrziorc, di
consova,ionc dcllc {omc lingurtiche piìr difusc c pii, artì.hc. Ciò che
succedc p« i dialettì di ùnJ rezionc, cl,e le»tanrntc asnlilano lc fon:re
lerterarir, e perdono i hro .rratloi particoluislicl, avr-errà proLabiìurenre
pcr lc 1ìlguc lcncr:ric u con{rorro di un: lingLra chc 1e supeo. Ma qLrcsta
potrcbbc csere una ilcllc amralì, 1a lìngua per csempn del pon,o prcsc
chc insnurì il socialnnìo, che per qLresto fa*o divcrcbbc surpatio, senr
brcrebbc bclìa, prrché coiì crsa si c$nnc li civJtà rcxrn affàrniatasl n una
q,,esto processo può
prne dcl nondo, pcrhé in csa sàranÈ. scrrri i libri ror piìr di critica,
ma di desuìz;onc cI cspcricnrc v,ssurc, perché in cssa rannno scrlti rcmeùi c po.si. clìc rib.cranno dclìa vrrr ruova instaLtrata, dci s,rcriÀci per
consoLlalh, dc1l. speraizc che dr pt mtto:i arvcri lo scso fatto.
Solo Lvoraldo po l'arvcr«, dcll lnternrzroul. i sooali«i lavoreraruo
pcr ì'anento posiL;ìc dcìla lìngua rnio. I trrtrtìvr che ora s; posono faLc
ippartogoùo al rcgno di Uropir. «»ro où lìortato .lella stcsa mcntalitL
chc volesa r fahnsteti e lc colonc t lici. ogni nuovo strato sociJe chc aftìe
ra riL st,rria. chc s'orurmzza pc. la L,uona brtugli.r. irnnctte nelle Iìngua
corrcnri rùovc, usi nuori, c fa scoppiarc ulì schcn,i fi*i che i grrmrnatici
haurc, sobrl,to pt com,dn) occasiomle d'irscgn»rcnto. Non c'è nc l
storia, rclla vitr:rocraìc, niente di iìs$. d'rrriqidito, dr dclìr1!i!o. L non (i
sarì n,ri Nuove vcrìrà acctcscc,,ro ìl patÙro,rro .ìella sapicrza, nu,rvi bxogn, scu,pt sup*iorì. v.r1soùo {n'ittr,i ihlle condlzoni nu.,vr di rLta,
nuove cLirjosit) intr.llcnurli c mor:1i pungoluo lo ryituo o 1o obblig;ro
r ru,rovrri,: rrglrrari, r n,uurc lc lomc lurgund.hc di.sprcsio.c.
prcnderLlone da lnrerc \ranicre. iac.ù(lo ri!ilcre fornic traprsrtc, ca,rtiando sigrrlìca«. c funzioni grun;natic:li. E in quexLr r:ontiruo sforzc, di
perfèzione, rr qucsto lìLrirc di n1a!.ria q,lceniri liqutfatm, bruciano c si a:rnichllarolcuropic,gìianiarb,rr3ri.Iry,eillusionì,comeqLrclhdell'rauale
hngua L,:ricr e deì1'csr.r:ìnb.
(r6
(b6in) ,eìr. .ll (nnni J..l 1,.N1.,. iìmro ,{. c. s. a;.)
Antonio Gramsci
Lettere dal carcere
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Lettere dal carcere
Antonio Gramsci
21.
19. III. 1927.
Carissima Tania,
ho ricevuto in questa settimana due tue cartoline; una del 9 e l'altra dell' 11 marzo: non ho
invece ricevuto la lettera alla quale accenni. Credevo di ricevere la corrispondenza tua, trasmessa
da Ustica: mi è infatti giunto un pacco di libri dall'isola e lo scrivanello che me li consegnò mi disse
che nel pacco erano contenute anche delle lettere chiuse e delle cartoline che dovevano ancora
passare all'ufficio di revisione; spero di riceverle tra giorni.
Ti ringrazio delle notizie che mi mandi su Giulia e sui bambini; non riesco a scrivere
direttamente a Giulia, nell'attesa di ricevere qualche sua lettera anche molto arretrata. Immagino le
sue condizioni di spirito, oltre a quelle fisiche, per tutto un complesso di ragioni; questa malattia
deve essere stata molto angosciosa. Povero Delio; dalla scarlattina alla grippe, in cosí breve tempo!
Scrivi tu a nonna Lula, e pregala che mi scriva una lunga lettera, in italiano o in francese, come può
(del resto tu potresti mandarmi la sola traduzione), e mi descriva, proprio per benino, la vita dei
bambini. Mi sono proprio persuaso che le nonne sanno meglio delle mamme descrivere i bambini e
i loro movimenti, in modo reale e concreto; sono piú oggettive, e poi hanno l'esperienza di tutto uno
sviluppo vitale; mi pare che la tenerezza delle nonne sia piú sostanziosa di quella delle mamme
(Giulia non deve però offendersi e ritenermi più cattivo di quello che sono!)
Non so proprio suggerirti nulla per Giuliano; su questo terreno ho già fallito una volta con
Delio. Forse io stesso saprei fabbricargli qualche cosa di conveniente, se potessi essergli vicino. Fa
tu, secondo il tuo gusto, e scegli qualche cosa a mio nome. Ho fabbricato in questi giorni una palla
di cartapesta, che sta finendo di asciugare; penso che sarà impossibile di inviartela per Delio;
d'altronde non sono ancora riuscito a pensare al modo di verniciarla e senza vernice si disfarebbe
facilmente per l'umidità.
La mia vita trascorre sempre ugualmente monotona. Anche lo studiare è molto piú difficile
di quanto non sembrerebbe. Ho ricevuto qualche libro e in verità leggo molto (piú di un volume al
giorno, oltre i giornali), ma non è a questo che mi riferisco; intendo altro. Sono assillato (è questo
fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa «für ewig»,
secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli.
Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di
qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore. Ho pensato a quattro
soggetti finora, e già questo è un indice che non riesco a raccogliermi, e cioè: 1° una ricerca sulla
formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli
intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro
diversi modi di pensare ecc. ecc. Argomento suggestivo in sommo grado, che io naturalmente
potrei solo abbozzare nelle grandi linee, data l'assoluta impossibilità di avere a disposizione
l'immensa mole di materiale che sarebbe necessaria. Ricordi il rapidissimo e superficialissimo mio
scritto sull'Italia meridionale e sulla importanza di B. Croce?. Ebbene, vorrei svolgere ampiamente
la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista «disinteressato», «für ewig». — 2° Uno
studio di linguistica comparata! Niente meno. Ma che cosa potrebbe essere piú «disinteressato» e
für ewig di ciò? Si tratterebbe, naturalmente, di trattare solo la parte metodologica e puramente
teorica dell'argomento, che non è stata mai trattata completamente e sistematicamente dal nuovo
punto di vista dei neolinguisti contro i neogrammatici. (Ti farò orripilare, cara Tania, con questa
mia lettera!). Uno dei maggiori «rimorsi» intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho
procurato al mio buon professor Bartoli dell'Università di Torino il quale era persuaso essere io
l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i «neogrammatici», poiché egli, della stessa
generazione e legato da milioni di fili accademici a questa geldra di infamissimi uomini, non voleva
andare, nelle sue enunciazioni, oltre un certo limite fissato dalle convenienze e dalla deferenza ai
vecchi monumenti funerari dell'erudizione. — 3° Uno studio sul teatro di Pirandello e sulla
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Lettere dal carcere
Antonio Gramsci
trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato e ha contribuito a
determinare. Sai che io, molto prima di Adriano Tilgher, ho scoperto e ho contribuito a
popolarizzare il teatro di Pirandello? Ho scritto sul Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere
insieme un volumetto di 200 pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il
Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso. — 4° Un saggio sui romanzi di
appendice e il gusto popolare in letteratura. L'idea m'è venuta leggendo la notizia della morte di
Serafino Renzi, capocomico di una compagnia di drammi da arena, riflesso teatrale dei romanzi
d'appendice, e ricordando quanto io mi sia divertito le volte che sono andato ad ascoltarlo, perché la
rappresentazione era doppia: l'ansia, le passioni scatenate, l'intervento del pubblico popolare non
era certo la rappresentazione meno interessante.
Che te ne pare di tutto ciò? In fondo, a chi bene osservi, tra questi quattro argomenti esiste
omogeneità: lo spirito popolare creativo, nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo, è alla base di
essi in misura uguale. Scrivimi le tue impressioni; io ho molta fiducia nel tuo buon senso e nella
fondatezza dei tuoi giudizi. Ti ho annoiato? Sai, lo scrivere surroga le conversazioni per me: mi
pare veramente di parlarti quando ti scrivo; solo che tutto si riduce a un monologo, perché le tue
lettere o non mi arrivano o non corrispondono alla conversazione intrapresa. Perciò scrivimi, e a
lungo, delle lettere, oltre che le cartoline; io ti scriverò una lettera ogni sabato (ne posso scrivere
due alla settimana) e mi sfogherò. Non riprendo la narrazione delle mie vicende e impressioni di
viaggio, perché non so se ti interessano; certo esse hanno un valore personale per me, in quanto
sono legate a determinati stati d'animo e anche a determinate sofferenze; per renderle interessanti
agli altri forse sarebbe necessario esporle in forma letteraria; ma io devo scrivere di botto, nel poco
tempo in cui mi vengono lasciati il calamaio e la penna. A proposito — la pianticella di limone
continua a crescere? non me ne hai piú accennato. E la mia padrona di casa come sta, o è morta? Mi
sono sempre dimenticato di chiedertelo. Ai primi di gennaio ricevetti ad Ustica una lettera del sig.
Passarge che era disperato e credeva alla prossima morte della signora, poi non seppi piú nulla.
Povera signora, temo che la scena del mio arresto abbia contribuito ad accelerare il suo male,
poiché mi voleva bene ed era cosí pallida quando mi portarono via.
Ti abbraccio, cara, voglimi bene e scrivimi.
Antonio
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Lettere dal carcere
Antonio Gramsci
23.
26 marzo 1927
Carissima Teresina,
mi è stata consegnata solo pochi giorni fa la lettera che mi avevi inviato a Ustica e che
conteneva la fotografia di Franco. Ho cosí potuto vedere finalmente il tuo bimbetto e te ne faccio
tutte le mie congratulazioni; mi manderai, è vero?, anche la fotografia della Mimí e cosí sarò
proprio contento. Mi ha colpito molto che Franco, almeno dalla fotografia, rassomigli pochissimo
alla nostra famiglia: deve rassomigliare a Paolo e alla sua stirpe campidanese e forse addirittura
maurreddina: e Mimí a chi somiglia? Devi scrivermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo,
o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Franco mi pare molto vispo e intelligente: penso
che parli già correntemente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli
darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da
bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha
messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il
sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene
che i bambini imparino piú lingue, se è possibile. Poi, l'italiano, che voi gli insegnerete, sarà una
lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui,
puramente infantile; egli non avrà contatto con l'ambiente generale e finirà con l'apprendere due
gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo,
appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada
o in piazza. Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i
tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell'ambiente
naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt'altro.
Delio e Giuliano sono stati male in questi ultimi tempi: hanno avuto la febbre spagnola; mi
scrivono che ora si sono rimessi e stanno bene. Vedi, per esempio, Delio: ha incominciato col
parlare la lingua della madre, come era naturale e necessario, ma rapidamente è andato
apprendendo anche l'italiano e cantava ancora delle canzoncine in francese, senza perciò
confondersi o confondere le parole dell'una e dell'altra lingua. Io volevo insegnarli anche a cantare:
«Lassa sa figu, puzone», ma specialmente le zie si sono opposte energicamente. Mi sono divertito
molto con Delio nell'agosto scorso: siamo stati insieme una settimana al Trafoi, nell'Alto Adige, in
una casetta di contadini tedeschi. Delio compiva proprio allora due anni, ma era già molto
sviluppato intellettualmente. Cantava con molto vigore una canzone: «Abbasso i frati, abbasso i
preti», poi cantava in italiano: «Il sole mio sta in fronte a te» e una canzoncina francese, dove
c'entrava un mulino. Era diventato appassionato per la ricerca delle fragole nei boschi e voleva
andar sempre dietro agli animali. Il suo amore per gli animali veniva sfruttato in due modi: per la
musica, in quanto si ingegnava a riprodurre sul pianoforte la gamma musicale secondo le voci degli
animali, dall'orso baritonale all'acuto del pulcino e per il disegno. Ogni giorno, quando andavo da
lui, a Roma, bisognava ripetere tutta la serie: primo bisognava mettere l'orologio a muro sul tavolo
e fargli fare tutti i movimenti possibili; poi bisognava scrivere una lettera alla nonna materna con la
figura degli animali che lo avevano colpito nella giornata; poi si andava al piano e si faceva la sua
musica animalesca, poi si giocava in vario modo.
Cara Teresina, hai osservato nella tua lettera che la prima mia lettera mandatavi da Roma,
era piena di sconforto. Non credo di essere mai stato sconfortato come tu credi. Quella lettera la
scrissi veramente in un brutto momento, relativamente; il giorno prima mi era stata comunicata la
misura dei cinque anni di confino di polizia e mi era stato detto che tra pochi giorni sarei partito per
il Giúbaland, in Somalia. Certo in quella notte pensai parecchio alle mie possibilità fisiche di
resistenza, che allora non avevo ancora potuto misurare e che valutavo poche; è possibile che nella
lettera ci sia stato un riflesso di quegli stati d'animo. In ogni caso devi credere che, se pure allora
potei avere, come tu dici, un po' di sconforto, esso è passato rapidamente e non si è piú ripetuto.
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Lettere dal carcere
Antonio Gramsci
Vedo tutto con molta freddezza e tranquillità e pur non facendomi illusioni puerili, sono
fermamente convinto di non essere destinato a marcire in galera. Tu e gli altri dovete cercare di far
stare allegra la mamma (dalla quale ho ricevuto una lettera alla quale non so come rispondere) e di
assicurarla che la mia onorabilità e la mia rettitudine non sono affatto in quistione: io sono in
carcere per ragioni politiche, non per ragioni di onorabilità. Credo proprio che avvenga l'inverso: se
non tenessi alla mia onorabilità, alla mia rettitudine, alla mia dignità, se cioè fossi stato capace di
avere una cosí detta crisi di coscienza e mutare d'opinione, non sarei stato arrestato e non sarei
andato a Ustica, tanto per cominciare. Di questo dovete persuadere la mamma; mi preme molto.
Scrivimi e fammi scrivere da tutti: non ho piú visto neanche la firma di Grazietta; come sta?
Abbraccio Paolo affettuosamente; tanti baci a te e ai tuoi bambini
Nino
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STDFILING 11_2014