Associazione
Pescara
affiliata
Domenica 12 maggio 2013
L’Associazione Teatrale PerStareInsieme organizza la sesta gita, nella quale si abbinano
religione, cultura e spettacolo. Nel ringraziarvi per la partecipazione a questo importante
appuntamento culturale, vi auguriamo una buona giornata con la speranza che il
programma che è stato predisposto sia di vostro gradimento.
Questo semplice opuscolo per le notizie generali sui luoghi da visitare, sul programma e su
quanto ci è sembrato utile sottoporre alla vostra attenzione.
Affinché possa essere garantita una buona riuscita dell’evento, è necessario attenersi agli
orari ed al programma sotto riportati. Per qualsiasi informazione ed esigenza rivolgersi a
Ferdinando (cell. 3401483349) o Gianni (cell.3357691590). Grazie e buona giornata a tutti.
PROGRAMMA
Ore 6,30 – Partenza da Via Di Sotto (Piazzale Conad).
Ore 10,30 – Arrivo ad Ostia Antica – Visita alla zona archeologica/Castello Giulio II *
Ore 12,00 – S. Messa domenicale nella Chiesa di Sant’Aurea*
Ore 13,30 – Pranzo al sacco condiviso presso il Convento.*
Ore 14,30 – Visita alla zona archeologica di Ostia Antica/Castello Giulio II *
Ore 16,15 – Partenza per Ostia Lido
Ore 16,45 – Ritrovo al Teatro Nino Manfredi per ritirare i biglietti al botteghino.
Ore 17,00 – Spettacolo teatrale Fausto e gli Sciacalli di Gianni Clementi con Paolo Triestino e
Nicola Pistoia
Ore 19,30 circa – Partenza da Ostia.
Ore 23,30 circa – Rientro a Pescara.
È prevista una sosta lungo il percorso. Si chiede il rispetto scrupoloso degli orari.
* attività facoltative
Ostia Lido è una frazione di Roma. Fino al 1884 il suo territorio era prevalentemente
paludoso. Da questa data iniziano le opere di bonifica avviate da “Braccianti
Ravennati” che avaevano abbandonato il loro territorio a causa di una profonda crisi
delle risaie. Insediatisi in questi luoghi, organizzatesi in cooperativa bracciantile, anche
col sostegno di investimenti dele neonato stato italiano, in sette anni riuscirono a
completare la bonifica di queste terre, fino ad allora infestate dalla malaria e dal
brigantaggio. Un ulteriore sviluppo urbanistico avvenne nel periodo del fascismo,
quando fu costruita la ferrovia e progettata la strada (la Cristoforo Colombo) per
agevolare il collegamento della Capitale col mare. Ostia prese il nome di Lido di Roma.
La tradizione storica e letteraria antica attribuisce la
nascita di Ostia (da ostium: foce) al quarto re di
Roma, Anco Marcio, che secondo la tradizione
stessa avrebbe regnato su Roma fra il 640 e il 616 a.C. Le fonti storiche raccontano
che per avere il controllo del fiume Tevere in quanto via d’accesso al mare, Anco
Marcio si sia spinto fino alla sua foce dove, dopo aver conquistato la piccola città di
Ficana (dove oggi sorge Acilia), decise di fondare Ostia. In questo modo Roma venne
a disporre di una comunicazione diretta con il mare, del controllo del basso corso del
Tevere e del monopolio dell’estrazione di un bene prezioso come il sale, di cui la foce
del fiume era ricca. Tuttavia l’insediamento più antico ritrovato ad Ostia è costituito dal
cosiddetto castrum, una cittadella fortificata costruita nel IV secolo a.C. per il controllo
strategico della costa laziale e della foce tiberina. Nel 267 a.C. la colonia divenne la
sede di uno dei questori romani, definiti classici (cioè della ”flotta”), così nel 212 a.C.
nel corso delle guerre puniche dal porto fluviale ostiense salparono per la Spagna la
flotta con i rifornimenti per l’esercito romano nella guerra contro Annibale e nel 211 a.C.
trenta navi comandate da Publio Cornelio Scipione. Quando successivamente Roma
estese il proprio dominio sul Mediterraneo Ostia perse il suo carattere militare e i vari
funzionari sia locali che di Roma rivolsero la loro attenzione ai problemi
dell’approvvigionamento del grano piuttosto che alla necessità di gestire nel porto una
flotta romana. Importanti avvenimenti bellici interessarono la colonia nel corso del I sec.
a.C. Nell’ 87 a.C.,nel corso della guerra civile, venne occupata e saccheggiata da
Mario; nel 67 a.C. è registrato l’attacco di pirati cilici che distrussero anche la flotta
ormeggiata alla foce del Tevere. L’episodio fu deplorato dallo stesso Cicerone il quale,
forse proprio a causa di tale increscioso evento, in seguito, nell’anno del suo consolato,
avrebbe provveduto a far decretare la costruzione di una cinta muraria a difesa della
colonia. In questo periodo si consolidarono definitivamente anche i criteri
dell’amministrazione cittadina. La città era governata da due magistrati che duravano in
carica un anno, i duoviri, che assumevano il titolo eccezionale di quinquennali (duoviri
quinquennales) quando, ogni cinque anni, revisionavano le liste del consiglio
comunale. Magistrati inferiori erano gli edili (aedilis) che avevano la cura dei pubblici
servizi; il consiglio cittadino era costituito da cento membri, detti decuriones. In questo
periodo i principali personaggi che animavano la vita politica ed economica della città
furono il duo viro Publio Lucilio Gamala che fece costruire e restaurare edifici pubblici e
il duoviro Cartilio Poplicola che dominò la scena politica ostiense negli ultimi anni del I
secolo a.C. In quanto scalo marittimo di Roma, sorse il problema di dotare Ostia di un
porto che consentisse l’approdo delle numerose navi che trasportavano merci per
l’Urbe. Cesare per primo si rese conto della necessità di costruire un nuovo grande
bacino portuale per Roma staccato dalla foce del
Tevere, ma né lui né Augusto riuscirono a realizzare il progetto. Solo l’imperatore
Claudio (41- 54 d.C.) riuscì nell’intento realizzando il più grande porto dell’antichità. A
causa della sua vicinanza alla foce del Tevere lo scalo portuale era soggetto ad
insabbiamenti per cui l’imperatore Traiano (98-117 d.C.) decise di costruire un altro
bacino di forma esagonale in una zona più interna; intorno alla nuova struttura pertanto
si realizzò una vera e propria città con palazzi, templi, magazzini, etc. Di riflesso anche
Ostia ebbe una notevole crescita economica e commerciale tanto da divenire una città
cosmopolita e culturalmente ricca grazie all’attenzione rivoltale dagli imperatori di
Roma: Adriano (117-138 d.C.) ricostruì interi quartieri ridisegnando l’urbanistica della
città e ristrutturando numerosi edifici pubblici; Settimio Severo restaurò alcuni dei più
importanti complessi; Aureliano (270- 275 d.C.) la dotò di un foro; Tacito (275-276 d.C.)
le donò cento colonne di marmo giallo alte circa sette metri; Massenzio (306-312 d.C.)
vi inaugurò una zecca; Costantino (306-337 d.C.) vi fece costruire una basilica
cristiana. La decadenza della città ebbe realmente inizio al tempo di Costantino quando
Porto ebbe autonomia amministrativa da Ostia (prendendo il nome di Civitas
Costantiniana) divenendo l’unico vero emporio nei confronti della capitale.
Successivamente durante le ripetute invasioni barbariche Ostia al contrario di Porto fu
risparmiata dalla violenza di queste popolazioni perché ormai priva di importanza. Il
sacco romano da parte del re visigoto Alarico nel 410 ebbe l’effetto di allentare i legami
con Roma e di abbandonare Ostia a se stessa. Il poeta Rutilio Namaziano,
raccontando il suo viaggio da Roma alla Gallia dopo l’invasione visigota, descrisse una
foce del Tevere ormai impraticabile e una città priva dell’antico splendore con queste
parole: “d’essa non è rimasta che la gloria di Enea”.
Il parco archeologico di Ostia Antica è una tappa
obbligata per chi vuole godere della bellezza di uno
dei siti storici più visitati e meglio conservati del mondo romano. Il parco si estende su
circa 50 ettari e presenta i resti di quella che fu la prima colonia dell’Urbe,dando la
possibilità al visitatore di osservare le trasformazioni occorse alla fisionomia della città
durante circa otto secoli. Superato l’ingresso agli scavi, la prima cosa che si incontra è
l’antica necropoli di Ostia che termina ai margini delle mura sillane di cui sono testimoni
i resti di Porta Romana. Da qui ha inizio il Decumano Massimo, l’arteria principale della
città; proseguendo per questa via, sulla destra si incontra un grande
porticato, dal quale si accede a una rampa di scale che porta a una terrazza che offre
la vista delle splendide Terme di Nettuno.
TERME DI NETTUNO 1
Iniziato ai tempi di Adriano e concluso dall’imperatore Antonino Pio (138-161), questo
monumentale complesso termale ricalca i contorni di un precedente edificio
domizianeo, che probabilmente era il più grande adibito a terme pubbliche di Ostia.
Importanti sono le due sale d’ingresso all’edificio termale:
in quella maggiore è raffigurato il Trionfo di Nettuno, il più bel mosaico di Ostia, che
raffigura il dio del mare alla guida di una quadriga di ippocampi, attorniato da un corteo
di delfini, nereidi e tritoni; in quella minore, un altro mosaico raffigura Anfitrite, la sposa
di Nettuno, guidata da Imene e da quattro tritoni che suonano
cembali. Proseguendo per il Decumano Massimo si arriva al
Teatro romano e al Piazzale delle Corporazioni.
TEATRO 2
Centro dell’antica città e unico grande edificio usato come
luogo di spettacoli, il Teatro romano è in assoluto l’edificio più
rappresentativo di Ostia Antica; tuttora è utilizzato per delle
rappresentazioni teatrali estive. Costruito
nel 12 a.C. ai tempi di Augusto, alla fine
del II secolo d.C. fu ampliato e
ristrutturato su iniziativa di Commodo
(180-192) per permettere una maggiore
disponibilità di posti che consentì di
ospitare nella sua cavea fino a 4.000
spettatori. L’inaugurazione avvenne nel
196, per cui Settimio Severo (193-211) e
Caracalla (212-217), suo figlio, poterono
attribuirsi il merito dell’opera nell’iscrizione monumentale oggi ricostruita e montata su
una parete del corridoio a destra dell’orchestra, la zona bassa del teatro. All’interno del
teatro si trovavano delle tabernae (botteghe), nelle quali gli spettatori si ristoravano
durante le pause delle rappresentazioni. Alle tabernae si alternavano quattro scale che
conducevano il pubblico ai piani superiori della cavea, che oggi può ospitare circa
2.700 persone. I cittadini più facoltosi e i magistrati della colonia non usavano le scale
ma facevano il loro ingresso dalla galleria centrale, perché alle autorità era riservato
l’ordine inferiore dei posti. La galleria conduce anche all’ormai scomparsa scena che si
innalzava originariamente per tre ordini architettonici; alcuni frammenti di essa si
trovano insieme a tre maschere teatrali fissate su due muri di tufo nel proscenio. Il
teatro fu anche adibito a spettacoli acquatici per mezzo dell’allagamento dell’orchestra.
Il piazzale fu progettato come un unicum col teatro in età augustea. Adibito ad
accogliere in 50 ambienti le sedi delle stationes (uffici di rappresentanza) commerciali e
marittime, il piazzale era il centro della vita commerciale ostiense e accoglieva lo
svolgimento degli affari connessi ai traffici marittimi. Nel 196 d.C. subì dei restauri che
ne ampliarono il porticato, portando le 50 stationes originali a 64; le decorazioni a
mosaico in bianco e nero attualmente visibili risalgono a questa seconda fase. Le
iscrizioni musive presenti indicano le varie attività commerciali e marittime di cui ogni
statio era responsabile, raggruppate per città e per province. Così, da una parte le
stationes furono occupate dai mercanti provenienti dall’Africa settentrionale come
Sabratha in Libia e Cartagine, dall’altra alcuni mosaici richiamano la Spagna con la
quale Ostia aveva intensi contatti. In un altro settore sono invece presenti delle
stationes di corporazioni commerciali che
indicano il tipo specifico di commercio come ad esempio il vino e la carne. Nel centro
del piazzale risalta su un podio un tempio, dedicato ad una divinità
a noi ignota. Continuando per il Decumano Massimo, si prende la via dei Molini, dove
sulla destra si possono ammirare le Terme del Foro.
TERME DEL FORO 3
Il più grande complesso termale di Ostia fu edificato nel II
secolo d.C., restaurato nel tardo impero e destinato a essere
uno degli impianti più rappresentativi della città. Da notare la
grande palestra trapezoidale contornata da portici e
pavimentata a mosaico, le imponenti strutture che racchiudono
il laconicum (bagni a vapore), il calidarium (bagni di acqua
calda) dove grandi finestre illuminavano gli ambienti, e il
frigidarium (bagni di acqua fredda) situato in una sala decorata.
Ci si può inoltrare anche nel corridoio sotterraneo che
permetteva agli addetti alle terme di procedere all’accensione delle caldaie. A ridosso
delle terme, sul Cardine Massimo è visibile il Tempio di Roma e Augusto.
TEMPIO DI ROMA E AUGUSTO 4
Il tempio, eretto poco dopo la morte di Augusto per
volere del suo successore Tiberio, fu per lungo
tempo uno degli edifici più imponenti della colonia, a
sottendere l’importanza della venerazione dello
stesso Augusto, fondatore dell’Impero, considerato
una vera e propria divinità. Del tempio restano il
frontale marmoreo, le fondazioni del podio e una
delle statue di culto, quella raffigurante Roma. Sembra che sulla facciata vi fosse una
tribuna da dove gli oratori si rivolgevano al popolo riunito nel Foro. Proseguendo sulla
stessa strada si arriva al Foro e al Capitolium.
FORO 5 E CAPITOLIUM 6
Il foro era il centro della vita politica,
commerciale e giudiziaria di ogni città del
mondo romano. Costruito forse intorno al 20-25
d.C., il Foro ostiense, di forma rettangolare,
occupò lo spazio delle strutture che facevano
parte del Castrum. Le due parti della piazza
furono circondate da portici e l’accesso da nord
e da sud fu proibito ai carri e riservato ai
pedoni per accentuare la funzione politica e
religiosa della zona.
Il Capitolium, luogo di culto delle tre maggiori divinità della religione romana (Giove,
Giunone e Minerva) fu costruito su un podio intorno al 125 d.C., per volere
dell’imperatore Adriano, dopo aver abbattuto un piccolo tempio precedente. Il
Capitolium domina con la sua altezza, circa 20 metri, l’intera città; il lato di fondo della
cella è occupato dal podio destinato a sorreggere le statue di culto. Alla sinistra del
Capitolium, sulla via di Diana, si trova l’ingresso del Thermopolium.
THERMOPOLIUM 7
Ricavato nel III secolo d.C. all’interno di un precedente
blocco edilizio, il Thermopolium (il nostro comune bar)
era sicuramente fra i locali più frequentati della città
perché situato a poca distanza dal Foro. Era costituito
da due ambienti e aveva ai lati degli ingressi alcune
panche in muratura, dove i clienti potevano sedersi e
consumare i pasti. La stanza centrale era il vero e
proprio bar e presenta un bancone con un affresco che illustra i cibi e le bevande che
allora erano consumati. Un’altra stanza sembra fosse adibita a cucina, perché dotata di
un fornello in muratura e di un dolio (grande recipiente di terracotta) infossato nel
pavimento. Sul retro del locale è ancora visibile un piccolo cortile dotato di una fontana
che permetteva agli avventori, durante la stagione più calda, di consumare all’aperto i
pasti che erano preparati. Alla destra del Thermopolium si incontra la Casa di Diana.
CASA DI DIANA 8
Costruita anticamente su tre o quattro piani, la casa
raggiungeva probabilmente i 18 metri di altezza. Fu edificata
intorno al 130-140 d.C. e rappresenta la tipica insula
(caseggiato a uno o più piani di altezza), formata da diversi
appartamenti che il proprietario affittava agli inquilini.
Nell’interno della casa sono visibili a quote diverse i vari livelli
pavimentali del II, del III secolo e del IV-V secolo d.C.
L’edificio presenta al piano terra le tabernae: queste non erano dei semplici negozi così
come noi oggi li intendiamo, ma nella maggior parte dei casi, laboratori artigianali che
univano la produzione in loco a quello della vendita. Sulla parete di sinistra del cortile
interno, una tavoletta rappresentante Diana Cacciatrice dà il nome alla casa.
Ritornando sul Decumano Massimo si arriva all’incrocio con via Epagathiana, dove al
bivio si prosegue per il decumano fino ad arrivare alle Terme della Marciana.
TERME DELLA MARCIANA 9
Edificate alla fine del II secolo d.C., sono costituite da una
grande sala che ospitava il frigidarium, di cui restano come
testimonianze due pilastri dell’abside di una vasca che
misurava oltre 14 metri di lato. In un piccolo ambiente
adiacente, forse uno spogliatoio, è visibile uno splendido
mosaico in bianco e nero, dove sono rappresentati atleti in
atteggiamenti che rispecchiano le diverse discipline sportive
praticate all’epoca.
INSULA DEL GRAFFITO, DELLE PARETI GIALLE, DELLE
MUSE E DOMUS DEI DIOSCURI 10
Questo complesso residenziale, edificato al tempo di
Adriano,si distingue per la ricchezza degli apparati
decorativi. Le insulae sono rilevanti per gli splendidi
affreschi parietali che mostrano uccelli colorati, piccoli
quadretti e figurine, oltre a mosaici in bianco e nero che
riproducono disegni geometrici. L’Insula delle Muse era
probabilmente la più elegante della città, per i suoi raffinati
motivi architettonici e per i pannelli a fondo rosso e giallo,
nei quali sono ritratte le figure delle nove Muse e di Apollo;
questo è sicuramente il più notevole ornamento parietale di
Ostia. Di queste splendide abitazioni è possibile visitare nel suo interno quella al lato
sud detta Domus dei Dioscuri, la più grande, che probabilmente appartenne a un
famoso magistrato locale. Era l’unica entro le mura di Ostia a disporre di un piccolo
impianto termale privato che dimostrava la ricchezza dei suoi proprietari. Arrivati al
bivio con via della Foce, si prende quest’ultima strada e si risale fino a incontrare le
Terme dei Sette Sapienti.
TERME DEI SETTE SAPIENTI 11
Il complesso termale era utilizzato
dalle classi meno abbienti della città.
Si apre sul lato sinistro con una
grande sala circolare coperta, dove
un grande mosaico in bianco e nero
rappresentante scene di caccia
pavimenta la sala. Un arco che reca
ancora tracce di mosaico policromo
ci introduce in un vestibolo adiacente
la vasca, qui sono visibili affreschi
parietali rappresentanti i sette
sapienti, con accanto il loro nome, che danno consigli su come avere un buon
funzionamento del corpo. In un’altra vasca è visibile un altro affresco raffigurante
Venere che si bagna attorniata da numerosi pesci. Scendendo per via della Foce in
direzione del bivio, si prosegue sulla sinistra per la via Epagathiana dove sorge la
Horrea Epagathiana ed Epafroditiana.
HORREA EPAGATHIANA ED EPAFRODITIANA 12
Questo è l’unico horreum (magazzino) di cui si conosce il
nome dei proprietari Epagathius ed Epaphroditus, scritto in
un’epigrafe posta sulla lastra marmorea nel timpano che
sormonta il portale dell’ingresso principale. Risalente al II
secolo d.C., si suppone non fosse utilizzato come un
semplice magazzino, poiché mostra al suo interno degli
accorgimenti costruttivi inconsueti per un normale horreum.
Ad esempio le quattro edicole, le immagini delle divinità
protettrici e la decorazione del pavimento del cortile con un mosaico figurato fanno
pensare a un suo uso come deposito di prodotti di valore tipo metalli preziosi e spezie.
Ricostruzione del Porto di Traiano
Il borgo è un luogo unico. Nel suo spazio convivono
diversi stili architettonici che è ancora possibile
ammirare. L’antica Gregoriopoli, infatti, racchiude
all’interno delle mura restaurate dal cardinale d’Estouteville delle testimonianze di
epoca romana come alcune epigrafi , un sarcofago che costituisce ora la vasca di una
fontana e tombe a fossa che indicano la presenza di una necropoli nella zona; una
basilica quattrocentesca che conserva al di sotto dell’attuale struttura il suo impianto
medievale; l’Episcopio (la residenza dei vescovi); il Castello di Giulio II e le abitazioni
che risalgono
alla fine del Quattrocento.
BASILICA DI S. AUREA
La basilica attuale di S.Aurea
sorge su un primitivo impianto di
una
chiesa
del
periodo
paleocristiano voluta nel IV secolo
da Costantino per onorare i santi
Pietro, Paolo e Giovanni Battista,
che finì per inglobare la tomba
della martire. La basilica divenne
un punto di riferimento per i fedeli
che ivi volevano essere sepolti,
come ad esempio S.Monica, e per
la popolazione in fuga da Ostia. L’edificio, già nell’alto medioevo, subì dei restauri: il
papa Sergio I (687-701) fece rifare il tetto e, cento anni dopo, Leone III (795-816) riparò
l’interno e l’esterno della basilica. Nel IX secolo, in epoca carolingia, altre
trasformazioni riguardarono la chiesa che fu abbellita, come dimostrano gli elementi
della suppellettile. In questo periodo la basilica fu anche teatro della celebrazione della
solenne messa con la quale il pontefice Leone IV incoraggiò i
soldati prima della battaglia di Ostia. Durante i lavori di ristrutturazione del borgo, voluti
dal cardinale d’Estouteville nel Quattrocento, si decise per l’abbattimento della vecchia
basilica e la costruzione di una nuova, il cui progetto fu affidato all’architetto Baccio
Pontelli, che si avvalse della collaborazione dei fratelli Sangallo e di Baldassarre
Peruzzi. Oggi la chiesa si presenta come un bell’esempio di architettura rinascimentale,
con la sua semplice pianta marmorea, ricca di richiami classicheggianti; anche
l’interno, abbondantemente restaurato, risente di questa semplicità. All’esterno sono
visibili le finestre a tutto sesto, bipartite da una trama a bifora lobata. Alla sinistra della
basilica è ancora oggi visibile un piccolo giardino nel quale sono stati condotti scavi che
hanno portato alla scoperta della lastra tombale di S.Monica, la madre di S.Agostino,
morta di malaria nel 387 a Ostia. I numerosi stemmi rovereschi presenti sul
monumento denunciano la cronologia e forniscono indicazioni circa la committenza
dell’impianto; alla destra dell’attuale altare maggiore della chiesa si conserva un
elemento architettonico identificato in un portacero pasquale, sul quale è inciso
S.A/R (abbreviazione che ricorda il nome di Aurea); il manufatto è stato datato al V
secolo. Al periodo VIII-IX secolo deve essere ascritta la suppellettile (lastre di pluteo,
piastrini, frammenti marmorei vari) che ancora oggi si conserva negli ambienti annessi
alla chiesa e nel vicino Castello di Giulio II.
LA FIGURA DI S.AUREA Su S.Aurea si sa poco o nulla di storicamente certo. Secondo la tradizione Aurea,
appartenente a una nobile famiglia romana, faceva parte di un gruppo di cristiani che nel 268 subirono il
martirio a Ostia ad arcum ante theatrum, ossia nei pressi del teatro. Negli anni in cui visse Aurea ci fu un
riaccendersi delle persecuzioni contro i cristiani che, pena la tortura o la decapitazione, dovevano sacrificare
agli dèi facendo bruciare dell’incenso sulle are. I trentadue cristiani, compresa Aurea, che in quell’occasione
si rifiutarono, furono puniti con la morte. Si dice che il corpo, dopo essere stato gettato nel Tevere, fu raccolto
sulle sue rive dal vescovo di Porto, S.Ippolito, che lo avrebbe poi seppellito in un podere della stessa famiglia
di Aurea fuori le mura di Ostia. Le spoglie della santa furono poi collocate all’interno della basilica
paleocristiana che sorgeva nella zona, cosicché gli abitanti di Ostia la considerarono dedicata alla santa. La
devozione nei suoi confronti rimase a lungo radicata nella città, ma col passare dei secoli si perse il ricordo di
dove fosse sepolta. Durante i lavori di demolizione della basilica ormai fatiscente ordinati dal cardinale
d’Estouteville, le spoglie della santa furono ritrovate e successivamente traslate ad Albano.
IL CASTELLO DI GIULIO II
Il castello posto a difesa del borgo si presenta a forma di triangolo scaleno con la base
rivolta verso il mare; anticamente, infatti, la foce del fiume Tevere si trovava a ridosso
delle mura del castello. Per il suo ruolo fondamentale nel sistema difensivo costiero,
che aveva il compito di proteggere Roma, fu fatto costruire dal cardinale d’Estouteville
che prima fece restaurare la torre di Martino V e, successivamente, pensò alla
costruzione del castello, la cui progettazione fu affidata al famoso architetto Baccio
Pontelli, aiutato nei lavori da Giuliano da Sangallo. L’opera fu portata a termine nel
1484 sotto la direzione del cardinale Della Rovere, la cui attività è testimoniata
dall’iscrizione sull’architrave marmoreo del portale centrale che reca, oltre al suo nome,
anche quello dell’architetto. Oggi il castello si presentaformato da diversi torrioni dai
quali emerge la torre di Martino V, che costituisce il mastio del castello, sul quale sono
visibili gli stemmi dei pontefici che apportarono delle migliorie al castello: a sinistra
quello di Sisto IV, al centro quello di Giulio II e a destra quello di Innocenzo VIII.
L’edificio è attorniato da un fossato e si articola attorno a un cortile da dove si possono
raggiungere e visitare i locali adibiti ai servizi militari e gli altri ambienti dove si svolgeva
la vita dei soldati. Sempre dal cortile inizia una rampa cordonata, le cui pareti furono
decorate da Baldassarre Peruzzi, dalla quale si sale sino alla piazza d’armi e al terzo
piano, composto da tre stanze con cinque finestre che affacciano sul cortile; il castello,
infatti, fungeva all’occorrenza anche da residenza signorile. Quando nel XVII e XVIII
secolo Ostia fu abbandonata, il castello fu utilizzato come deposito di fieno e come
dormitorio per i detenuti impiegati nei lavori di scavo nella zona archeologica di Ostia
Antica.
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Il teatro Nino Manfredi nasce da un`idea di un
gruppo di residenti ad Ostia Lido e appassionati di
teatro, che per gestire questo spazio, si
consociano e danno vita alla GE.SER.T.e C.
S.R.L.(gestione servizi teatrali e culturali).
Rilevano la struttura in via dei Pallottini, 10, che per tanti anni ha funzionato come
cinema ed incaricano l'architetto Beniamino Lavorato e l'ing. Attilio De' Rossi per la
ristrutturazione. Si ricavano così 300 comodi posti a sedere, tra platea e galleria, e una
sala esposizionecirca 100 mq.
Il teatro è fornito di un impianto luci e audio di primo ordine, in modo da soddisfare
qualsiasi esigenza anche per la programmazione musicale.
Per un teatro che per capienza è tra i primi nella capitale, ci vuole un nome
importante; ecco così l`idea di chiamarlo Nino Manfredi (primo in Italia), e per questo,
dobbiamo un ringraziamento particolare
alla sig.ra Erminia Manfredi per la sua
disponibilità e cortesia.
Oggi il teatro Nino Manfredi è un "polo
culturale", che utilizza le sue sale anche
per promuovere convegni, mostre di
pittura e scultura, presentazione di libri
ecc.
Riteniamo doveroso ringraziare tutto il
pubblico che ci ha da subito sostenuto
con entusiasmo e ha dimostrato di
apprezzare la nostra iniziativa (basti pensare che la scorsa stagione ci sono stati oltre
1600 abbonati e circa 40.000 presenze).
Il nostro grazie va in particolar modo a loro. E a loro chiediamo di continuare a
seguirci, anche esprimendo suggerimenti o critiche, e magari di diventare sempre più
numerosi.
Lo scopo è far diventare il "Nino
Manfredi" un`abitudine, cosicché
ognuno possa sentirlo un po` come
il suo teatro.
Fausto, 50enne, ex leader e cantante di un complesso, Gli Sciacalli, che
hanno conosciuto negli anni ’80 un momento di popolarità, oggi si arrabatta
per vivere facendo l’ambulante nei mercati rionali e nelle sagre di paese.
Vive con sua moglie Ottavia ed il figlio Elvis nella periferia romana, presso la
casa del padre. Una vita che si trascina stanca, complicata, priva di
soddisfazioni, con il
rimpianto per
quell’attimo di
gloria. Fausto
rappresenta un po’
ciò che è ed è stato
il nostro paese. Un
paese che ha
vissuto momenti di
grande slancio
economico ed
intellettuale e
adesso è allo
sbando, in cerca di
un sogno, una
speranza. Un paese
che spesso affida al
Superenalotto o
alle macchinette
dei videopoker
l’illusoria soluzione
dei problemi. E
quando qualcuno,
chiunque esso sia,
irrompe sulla scena
e ti propone il
sogno è facile
perdere lucidità e
ricacciare indietro
istinti critici. Come un assetato nel deserto, per te adesso esiste solo quel
miraggio… una birra ghiacciata! Il resto non conta ed anche la memoria
delle cose importanti viene risucchiata dal vortice di adrenalina in circolo
nelle vene. Spetta al batterista dare il tempo di un nuovo inizio: lo show sta
per cominciare!
Nato Roma il 10.6.1956. Studi classici.
Inizia ad occuparsi di scrittura applicata allo spettacolo solo alla
fine degli anni ’80.
1988 “Al Tabou de Saint Germain des Pres” (genere satirico)
1990 “Maligne Congiunture” (Genere drammatico)1991 inizia
un’attività di traduttore di testi teatrali e sceneggiature dallo
spagnolo.
1995 “Una Volta nella vita” (genere comico).
1999 “Il Cappello di carta” (commedia).
2003 “La tattica del gatto”.
2003 “Alcazar”.
2003 “Tre delitti”, scritto insieme a Edoardo Erba e Angelo Longoni.
Vince la IX edizione del premio “Enrico Maria Salerno”, con il testo “La tattica del gatto”;
Vince il premio Fondi La Pastora, con la commedia “La Spallata”.
2004 è uno degli autori dello spettacolo “Serata d’onore” di Gigi Proietti.
2004 scrive con Attilio Corsini lo spettacolo musicale “I tre moschettieri”.
2005 mette in scena “Calcoli”.
2006 “La vecchia Singer”.
2007 vince la I Edizione del Premio nazionale SIAE-ETI-AGIS, con il testo-progetto “L’Ebreo”.
2007 vince il “premio Totola” del Comune di Verona, come miglior testo con “Il cappello di carta”.
2007 il suo testo “La Estrategia del gato” rappresenta l’Italia al VII Festival de Dramaturgia Europea
Contemporanea di Santiago del Cile.
2007 “Le Belle Notti”.
2007 “Grisù. Giuseppe e Maria”, con Nicola Pistoia, Paolo Triestino e Crescenza Guarnieri. 1990 “Maligne
Congiunture” (Genere drammatico) 1995 “Una Volta nella vita” (genere comico).
1999 “Il Cappello di carta” (commedia).
2003 “La tattica del gatto”.
2003 “Alcazar”. “Tre delitti”, scritto insieme a Edoardo Erba e Angelo Longoni. “La Spallata”.
2004 è uno degli autori dello spettacolo “Serata d’onore” di Gigi Proietti. Scrive con Attilio Corsini lo
spettacolo musicale “I tre moschettieri”.
2005 mette in scena “Calcoli”.
2006 “La vecchia Singer”.
2007 vince la I Edizione del Premio nazionale SIAE-ETI-AGIS, con il testo-progetto “L’Ebreo”. Vince il
“premio Totola” del Comune di Verona, come miglior testo con “Il cappello di carta”. Il suo testo “La
Estrategia del gato” rappresenta l’Italia al VII Festival de Dramaturgia Europea Contemporanea di
Santiago del Cile. “Le Belle Notti”. “Grisù. Giuseppe e Maria”, con Nicola Pistoia, Paolo Triestino e
Crescenza Guarnieri.
2008 "Ben Hur", con Nicola Pistoia e Paolo Triestino,l'adattamento de "Lo Scopone Scientifico" con
Nicola Pistoia e Sidney Rome, "l dolori del giovane Wertmuller" con Massimo Wertmuller, "Sugo
Finto" con Paola Tiziana Cruciani e Alessandra Costanzo, "La Serva" con Crescenza Guarnirei, "Due
soli al comando" con Riccardo Fabretti.
2010 "L'Ebreo", con Ornella Muti e la regia di E.M. Lamanna, "Per fortuna è una notte di luna", regia di
Stefano Messina per la Compagnia Attori e Tecnici, "Il re di Negombo", "Ladro di razza",con
Rodolfo Laganà, "Le belle notti", "La cucina del Gattopardo".
Fausto e gli sciacalli Storia dei nostri giorni
A TEATRO, ancora una storia popolare di Gianni Clementi, una storia stavolta dei nostri giorni, in uno
scenario domestico e periferico che ha abdicato ai propri sogni, vivendo un' esistenza deprimente dopo aver
conosciuto momenti di illusorio benessere. Adesso la vicenda del suo Fausto e gli sciacalli, da martedì alla
Sala Umberto con Paolo Triestino e Nicola Pistoia (anche registi dello spettacolo) e, tra gli altri, con Elisabetta
De Vito, è la parabola discendente del cinquantenne Fausto ex leader e cantante di un complesso pop, Gli
Sciacalli, che aveva assaporato notorietà e successo negli anni Ottanta. «Quando un uomo è depresso, e
conduce un' esistenza grigia - spiega l' autore - e qualcuno gli propone una speranza, ossia il
suo ex batterista torna a rilanciare l' idea di un gruppo musicale, quella persona non può che aggrapparsi alla
prospettiva. In fondo è la metafora della nostra condizione attuale, con un' Italia che dopo sviluppo sociale e
economico ora non fa che implodere nella crisi, e basta un qualsiasi ciarlatano che annunci un' improbabile
risorsa finanziaria, ed ecco che una parte del Paese gli crede, anche se solo per disperazione o inedia». Il
testo mette sotto una lente Fausto, la moglie Ottavia e il figlio Elvis in una borgata romana, dove l' adrenalina
scappa fuori per un niente. «L' arrivo della novità scatena nuove passioni, perché nei disgraziati che sono
preda dell' afasia la menzogna partorisce effetti paradossalmente positivi, destinati al disincanto. Un quadro
che oggi si riproduce ovunque con miraggi di vita diversa, di ricrescita, di abbandono della miseria. Sta al
pubblico decodificare».
(Rodolfo Di Giammarco)17 marzo 2013 - 17 La Repubblica sez. ROMA
Ancora una volta Gianni Clementi si dimostra uno tra i più prolifici ed originali drammaturghi
contemporanei, riuscendo a destreggiarsi con una straordinaria facilità tra i vari registri linguistici passando
dalla comicità napoletana a quella romana, il tutto condito in modo superbo da incursioni di slang frutto di un
esilarante connubio di lingua straniera mista a idiomi nostrani. La facilità e la delicatezza che dimostra
nell’elaborare testi profondi e al tempo stesso tanto diversi e trasversali, dimostrano una intelligenza
e sensibilità culturale fuori dal comune che fanno di lui un esponente di quella commedia all’italiana che
tanto ci ha reso famosi in tutto il mondo. I personaggi creati dalla sua penna sono sempre minuziosamente
dettagliati e mai semplicemente macchiettistici, trasudano motivazioni di carattere psicologico mai banali
ma che affondano le radici nella quotidianità di cui la nostra vita è pervasa, generando al termine dello
spettacolo una percezione di complicità con le loro vicende che ce li rende simpatici e familiari.
Il suo è un teatro che racconta la società di oggi, mettendo il dito, o meglio la penna, nelle sue
piaghe, denunciandone i malesseri e le distorsioni sempre in chiave ironica e cinica, rivolgendosi
indistintamente a tutti, dall’intellettuale all’operaio.
In questo nuovo spettacolo il tema portante ruota attorno al difficile rapporto tra il sogno e la pragmatica
realtà con la quale le nostre aspirazioni devono fare i conti quotidianamente.
E così ecco che Fausto (Paolo Triestino), uomo di mezza età ex leader del complesso “Gli
Sciacalli” ormai caduto in disgrazia, si ritrova alle prese con una vita fatta di un lavoro deludente e rapporti
logori e ripetitivi nella disperata missione di arrivare a fine mese. A lui si affianca la moglie Ottavia
(Elisabetta De Vito), corista del gruppo, anch’essa pervasa dai rimpianti di una vita che si trascina stanca,
priva di soddisfazioni, segnata da una insanabile delusione frutto di un sogno naufragato con un segreto
nascosto.
A minare il già precario rapporto tra i due, si inserisce il figlio Elvis (Ariele Vincenti), contestatore,
aggressivo, animato dalla spasmodica ricerca di una felicità resa sempre più irraggiungibile da un sistema
cinico e annichilente. E di questo colpevolizza i genitori rei, nell’ immaginario del figlio, di essere complici di
quel sistema sociale, senza rendersi conto che forse a ben vedere loro ne sono le prime vittime.
A vivacizzare le dinamiche familiari ci penseranno due vicini di casa e di avventura: Sandro (Ciro
Scalera), ex bassista del gruppo, ora vigile urbano in preda ad una grave depressione, e la sua giovane
moglie Angela (Sandra Caruso), cantante neomelodica che insieme al marito cerca di arrotondare lo
stipendio suonando in giro per ristoranti esibendosi in perfomance a dir poco improbabili.
La deprimente quotidianità verrà di lì a poco interrotta dal ritorno di Elmore (Nicola Pistoia), il
batterista del gruppo che grazie alla sua disonestà intascò il 95% dei diritti d’autore della fortunata canzone
che li rese famosi. Dilapidata l’intera somma, Elmore si ripresenta al cospetto dei suoi vecchi amici
noncurante delle possibili reazioni di questi.
Così, dopo i necessari chiarimenti e giustificazioni di facciata, facendo leva sulla inesauribile necessità di
sognare dell’uomo, l’ex batterista prospetta nuovi orizzonti di successi e inediti scenari di popolarità che li
porteranno a ributtarsi mani, piedi e…tasche nella nuova impresa.
Purtroppo il confine tra sogno e impietosa realtà talvolta viene contrappuntato dal pericolo sempre
in agguato dell’inganno e del suo perpetrarsi; tuttavia, l’autore, in un epilogo paradossale intriso di sarcasmo
sembra suggerire che, forse, vivere una vita con la speranza di realizzare un sogno vale il prezzo di
una possibile delusione.
Dino De Bernardis
Uno spettacolo che è una metafora… come Esopo, Clementi usa uno spaccato di vita quotidiana
per raccontare un’ Italia credulona e fin troppo incline all’illusione che si fa raggirare da esperti affabulatori,
venditori di sogni che senza scrupoli approfittano delle debolezze altrui per raggiungere i propri obiettivi.
La drammaturgia è caratterizzata da una comicità (un po’ troppo) popolare che porta lo spettatore
a vivere 2 ore all’insegna del divertimento leggero, non curante dell’ironia che indisturbata scava nell’animo e
pian piano porta alla cruda verità. Una quarta parete che lentamente diviene uno specchio.
La coppia Triestino-Pistoia, ormai consolidata e garante di qualità, sorprende ancora una volta. La
loro complicità in scena è disarmante e le loro interpretazioni “geniali”! Se poi a supportarli troviamo un cast
all’altezza il risultato non può che essere ottimo.
Elisabetta De Vito affronta con grande maestria la figura della donna stanca e insoddisfatta senza
cadere in quel cliché che per altre colleghe rappresenta il più alto rischio. Talento pluripremiato che
meriterebbe molta più risonanza. Tempo al tempo…
Ciro Scalera, di forte presenza scenica, con la sua raffinata ironia e intelligente verve comica è
abile nel far scattare la risata pur stando immobile, nonostante il suo personaggio fosse “bradiposo” sia nelle
azioni che nelle emozioni.
Sandra Caruso ci propone, con esilarante e impeccabile abilità, un personaggio vero e mai
scontato… sarebbe un’ineccepibile “capera” in una commedia di De Simone.
Ariele Vincenti incarna fin troppo bene il disagio giovanile, con la rabbia e l’arroganza tipica di chi
non si sente il terreno sotto ai piedi. A tratti forse un po’ troppo sopra le righe, ma efficace.
Bello uscire da teatro soddisfatti per aver visto sei attori degni di essere chiamati tali.
E questo, purtroppo, non capita spesso!
Giulia Bornacin
Due attori eccentricamente lunari, con risvolti surreali che si inseriscono però, per bene, nelle
pieghe della nostra società. Paolo Triestino e Nicola Pistoia dopo il grandissimo successo di Grisù,
Giuseppe e Maria e Ben Hur, imperterriti continuano la loro collaborazione artistica con Gianni Clementi,
che ha confezionato per loro un nuovo testo Fausto e gli sciacalli.
Come sempre nei loro testi un’umanità tenera e forse dimenticata, capace di portare gli spettatori
attraverso un viaggio ironico ed anche leggermente malinconico. La coppia Triestino-Pistoia con un
azzeccata sintonia riesce sempre e comunque a farci sorridere e tenerci sulla corda, affrontando temi forti e
ad a volte drammatici inseriti nella nostra controversa realtà.
C’è in questo caso Fausto, un cinquantenne, già leader e cantante solista di un gruppo, Gli
Sciacalli, che negli sfavillati e glitterati Anni Ottanta si sono imbattuti in un sovrastante attimo di popolarità.
Dopo più di venti anni ritroviamo il povero Fausto che si inventa la vita, girovagando, qua e là, in veste di
ambulante, attraversando mercati rionali e sagre di paese, con una malinconia ancorata ad un passato che
non esiste più. Per di più il nostro protagonista vive in una tipica periferia romana con la moglie Ottavia
attempata 48enne ed ex corista del complesso, aiuta il menage familiare facendo la parrucchiera a domicilio.
Elvis, il loro figlio, con aspirazioni da rapper, non perde occasione per ricordargli il loro fallimento. Gennaro,
napoletano doc, ed ex bassista del gruppo, attualmente vigile urbano in perenne congedo per malattia,
insieme alla sua compagna Angela, cantante neomelodica, arrotonda lo stipendio suonando in cerimonie
nuziali nella provincia campana. E’ un Gennaro cronicamente depresso che, abitando sullo stesso
pianerottolo, tormenta Fausto, ricordando i fasti ormai lontani.ed il figlio dall’ingombrante nome, nella
fattispecie, Elvis.
Ma un giorno qualcuno bussa alla porta di Fausto: si tratta di Elmore, l’ex batterista inglese degli
Sciacalli, scomparso 25 anni prima, dopo aver truffato Fausto. Il ritorno di Elmore è una vera e propria
sferzata di adrenalina per i nostri naufraghi.I tre che possiamo definire quasi nullatenenti, vivono nella casa
del padre di Fausto. L’esistenza dell’ex leader degli Sciacalli si trascina stanca, con innumerevoli difficoltà. Le
soddisfazioni scarseggiano e si affaccia nell’anima del musicista sfortunato il rimpianto per quell’attimo che fu
di gloria.
Fausto è l’emblema, così almeno sembra, di quello che è stato il nostro paese. Una nazione che
ha attraversato momenti di sferzante slancio economico ed anche e soprattutto intellettuale. Una intera
popolazione alla rincorsa di un sogno e di una speranza. Un paese che, fatalisticamente, affida al
Superenalotto o alle macchinette dei videopoker una improbabile ed illusoria risoluzione dei problemi.
E quando sembra che qualcuno, chiunque sia, arriva con passo di carica, nella tua vita e ti propone
il sogno è molto facile perdere la testa. Come un assetato nel deserto, esiste solo quel miraggio, una birra
ghiacciata. Il resto non ha importanza e si perde anche la memoria delle cose veramente importanti perché si
viene intrappolati da schiume di adrenalina che entrano sferzanti nelle vene.
Emanuela Ramponi
La prima scena vede il sipario aperto per metà per far intendere di essere altrove rispetto al
fondale che, con il dipanarsi del testo, si mostra completamente indicando un tinello di una casa popolare del
quartiere Casilino di Roma.
La commedia vorrebbe essere comica, ma la capacità geniale dell’autore, la rende uno spaccato di
vita, attraverso un impietoso, realistico ed irresistibile umorismo, sottolineato anche dalle battute in romano e
napoletano. La recitazione è brillante e non cala mai di tono.
Rosannamaria Sotgiu
Dopo il neorealismo di Grisù, Giuseppe e Maria e la periferia suburbana di Ben Hur, si rinnova il
sodalizio artistico fra Nicola Pistoia e Paolo Triestino, considerate a pieno titolo una della “coppie” migliori del
teatro italiano e l’autore Gianni Clementi.
La commedia di Clementi getta ancora uno sguardo emblematico sulla periferia romana che non è
certo così drammaticamente pasoliniana, ma è simbolo dell’Italia e della società moderna, raccontando con
garbo dissacrante e sarcasmo il durissimo scontro fra sogni traditi e speranze disattese dinanzi
all’amarissima realtà. Senza dimenticare gli inevitabili risvolti comici pur nella loro tragica drammaticità.
Fausto e gli sciacalli diventa allora un viaggio metaforico fra le speranze e la vita di uomini e di donne comuni
che hanno dovuto rinunciare ai sogni per lasciare spazio alla realtà dimenticando spesso di come riuscire a
essere felici.
Un testo costruito stavolta non solo sulla straordinarie capacità della coppia Pistoia (nei panni di un
tenero perdente)-Triestino (che incarna una sorta di Shel Shapiro, dall’irresistibile accento inglese con abiti
da guru indiano) che creano delle maschere umane tremendamente vere, ma che si avvale anche di un
maggior numero di personaggi per meglio connotare una storia sempre attuale di uomini alla disperata
ricerca della felicità che devono fare i conti con la vita. Grande, e meritatissimo, successo di pubblico.
Fabiana Raponi
Il luogo in cui svolge la vicenda è l’accogliente e modesta casa di Fausto (Paolo Triestino), ubicata
in via Casilina a Roma. Il piccolo appartamento arredato con mobili semplici ed essenziali rispecchia le loro
ridotte possibilità economiche.
I personaggi di Clementi, appartenenti a due delle identità culturali distintive della penisola, ovvero
quella napoletana e quella romana, sono caratterizzati con peculiarità psicologiche e sociali che riflettono lo
stereotipo dell’uomo represso e insoddisfatto. Il lavoro dei due registi Triestino e Pistoia trova il giusto
connubio con il testo di Clementi e ne scaturisce uno spettacolo che trae ispirazione dalla commedia
all’italiana, ma non la restituisce. L’utilizzo di dialetti nostrani si mescola a idiomi stranieri, generando
miscugli linguistici che trovano riscontro nelle risate degli spettatori.
Fausto cinquantenne ed ex leader del complesso Gli Sciacalli, che ha cavalcato la vetta della
classifica negli anni ’80 con il brano Annalisa, è un uomo frustrato che conduce un lavoro poco gratificante.
Ottavia (Elisabetta De Vito), sua moglie ed ex corista del gruppo, è rassegnata ad una vita scialba e
ripetitiva, aggravata , inoltre, da una relazione di coppia consunta. Elvis (Ariele Vincenti) è il figlio
adolescente, ribelle e aggressivo che trova sfogo nella sua lotta contro il sistema attraverso la musica hip
hop, scatenando, talvolta, la rabbia contro il padre incredulo.
Personaggi familiari e scontati che vivono le loro vita all’ombra della gloria d’un tempo.
A coronare il quadretto ci sono i vicini di casa e amici: Sandro (Ciro Scalera) e la moglie Angela (Sandra
Caruso). Sandro, ex bassista del complesso, è un vigile urbano depresso. I due per arrotondare lo stipendio
si esibiscono durante i matrimoni in performance a dir poco ridicole.
L’arrivo di Elmore (Nicola Pistoia), ex batterista del gruppo fuggito, nei lontani anni ’80, con il 95%
dei diritti del brano Annalisa, sconvolge la pigra realtà che pervade le loro vite.
L’amico/traditore torna, non curante delle reazioni, dopo aver speso tutto il denaro ricavato dal
successo del famoso brano. L’ex batterista con fare disinvolto, in abbigliamento hippie, raccontando di viaggi
fantastici e di luoghi paradisiaci, si presenta con l’intento di riunire il complesso, promettendo un futuro ricco
di successi e speranze. Seppur inizialmente perplessi, gli ex componenti, esausti ed esasperati dalle loro
scialbe vite, decidono ancora una volta di fidarsi del buon vecchio Elmore. Fausto e Sandro investono tutti i
loro risparmi di una vita per rituffarsi nel passato, ignari di ciò che li attende.
Infine, il sogno è stato infranto ancora una volta e la commedia si conclude con un finale piuttosto
scontato, ovvero che non il denaro, ma i sogni rendono felici.
Caterina Matera da www.dramma.it
Fausto è sulla cinquantina e passa le sue giornate al mercato rionale a vendere improbabili
utensili da cucina, diviso fra Tonino Pelino indispensabile pelaverdure e coccodrilli di peluches
made in China, consuma la sua esistenza discutendo col figlio Elvis, rapper del disagio urbano ,
la moglie Ottavia, parrucchiera a domicilio e gli amici Angela e Gennaro, vicini di pianerottolo
nonché coppia del neomelodico . La vita scorre così in uno dei tanti palazzoni popolari della
casilina, senza particolari sorprese, a parte le ordinazioni telefoniche del povero Sor Alfredo,
padre di Fausto, fan delle televendite e affezionato acquirente degli imbonitori da tubo
catodico. Mentre dunque tutti si barcamenano per un posto auto, o una raccomandata per
disdire ordinazioni di idromassaggi o nani da giardino, improvvisamente l'imprevisto, quel deus
ex machina da commedia greca efficacemente trapiantato in questo gioiellino di piece firmato
Gianni Clementi e straordinariamente interpretato dalla coppia Pistoia-Triestino, due giganti da
palcoscenico. Elmore, il batterista inglese della band Fausto e gli Sciacalli della quale facevano
parte negli anni '70 Fausto l'ambulante e Gennaro pizzardone partenopeo, ieri giovani
capelloni, oggi stanchi e grugnati over, è lui l'inatteso che arriva a scompigliare ogni cosa, a
rimettere tutto in discussione. E come il figliol prodigo Elmore ritorna dai vecchi amici, a
redimere il furto della canzone Annalisa , successo del gruppo di 25 anni orsono e a riproporre
la reiterata reunion per uno show televisivo sulle meteore musicali del passato. Il sogno,
l'illusione di uscire anche solo per un attimo dalla monotonia ridona agli ex musicisti il brivido,
la voglia di reinventarsi, di tornare ad amare le proprie donne con lo slancio di un tempo, la
forza di rispolverare zeppe e pailettes per riconquistarsi un minuto i celebrità, ma soprattutto di
dignità. Ce la faranno Fausto e gli Scacalli a tornare sulla cresta dell'onda? Questo piccolo
pezzo teatrale da maestri, merita la riposta degli spettatori stessi, un invito dunque a non
perderlo a teatro, nella capitale fino alla fine di Marzo 2013 al Sala Umberto e poi in giro per lo
stivale. Ottima la resa scenica, fantastici tutti gli interpreti, perfetta la regia, si ride, tanto, ma
si riflette anche, assolutamente da vedere!
Fabiana Dantinelli 28/03/2013 da: www.giornaleteatro.it
Nell’ambito delle attività sociali e culturali della Parrocchia di S. Giovanni Battista e S.
Benedetto Abate di Pescara Colli si è legalmente costituita l’Associazione Teatrale
PerStareInsieme” È un’associazione senza scopi di lucro, rivolta in modo particolare ai
parrocchiani ed ha come finalità quella di creare fra i suoi componenti un positivo clima di
condivisione di esperienze che conduca alla scoperta dell’importanza dello stare bene insieme.
Obiettivi
fruizione dei migliori spettacoli teatrali rappresentati sul territorio;
analisi e la comprensione del linguaggio e delle tecniche teatrali;
allestimento di spettacoli teatrali dialettali e in lingua.
Commedie e spettacoli rappresentati dal luglio 2008 ad oggi
Lu ziprete – da Eduardo Scarpetta (7 repliche)
La cantata dei pastori – da Andrea Perrucci (2 repliche)
Lu diavule e l’acqua sande – da Camillo Vittici (5 repliche)
La condanna dell’Innocente – di Alberto Cinquino (3 repliche)
…e volò libero – di Carmine Ricciardi
Titillo – da E. Scarpetta (4 repliche)
La fattura – di Evaldo e Isabella Verì (6 repliche)
Lu testamente – di Michele Ciulli (13 repliche)
Natale in casa Bongiorno di C. Natili e C.Giustini (7 repliche)
La scommessa e Gennareniello da E. De Filippo (2 repliche)
La compagnia si diverte – farse e sketchs di autori vari (9 repliche)
Cose turche – di Samy Fayad (6 repliche)
Terra di nessuno – di Evaldo Verì (5 repliche)
Altre attività culturali
Cineforum sul film La strada di Federico Fellini
Gite a Roma per assistere agli spettacoli La strada con Venturiello e Tosca al Teatro Valle,
a Il piacere dell’onestà e Le allegre comari di Windsor con Leo Gullotta, al Teatro Eliseo
a Perugia al Teatro Morlacchi per L’inganno con Glauco Mauri e Roberto Sturno e a
Civitavecchia al Teatro Traiano per Il borghese gentiluomo con Venturielllo e Tosca.
Attività sociali
Destinazione dell’incasso netto di uno spettacolo in beneficenza ad una famiglia aquilana
colpita dal terremoto, di due spettacoli all’AISLA, e di due spettacoli alla Caritas Parrocchiale.
Info: Carmine Ricciardi (presidente) cell. 3489353713
Recapito: c/o Carmine Ricciardi
Strada Colle Scorrano 15 - 65125 Pescara Colli
e-mail: [email protected]
WEB: www.perstareinsieme.it
Prossimamente
La vazzìje
commedia dialettale in due atti di Michele Ciulli
Lu diavule e l’acqua sante
(commedia dialettale in due atti da Camillo Vittici)
Sabato 8 giugno ore 21,00 Teatro Parrocchiale S. Giovanni B. – S. Benedetto A.
PINOCCHIO LABORATORIO TEATRALE PER BAMBINI
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