Associazione Pescara affiliata Domenica 12 maggio 2013 L’Associazione Teatrale PerStareInsieme organizza la sesta gita, nella quale si abbinano religione, cultura e spettacolo. Nel ringraziarvi per la partecipazione a questo importante appuntamento culturale, vi auguriamo una buona giornata con la speranza che il programma che è stato predisposto sia di vostro gradimento. Questo semplice opuscolo per le notizie generali sui luoghi da visitare, sul programma e su quanto ci è sembrato utile sottoporre alla vostra attenzione. Affinché possa essere garantita una buona riuscita dell’evento, è necessario attenersi agli orari ed al programma sotto riportati. Per qualsiasi informazione ed esigenza rivolgersi a Ferdinando (cell. 3401483349) o Gianni (cell.3357691590). Grazie e buona giornata a tutti. PROGRAMMA Ore 6,30 – Partenza da Via Di Sotto (Piazzale Conad). Ore 10,30 – Arrivo ad Ostia Antica – Visita alla zona archeologica/Castello Giulio II * Ore 12,00 – S. Messa domenicale nella Chiesa di Sant’Aurea* Ore 13,30 – Pranzo al sacco condiviso presso il Convento.* Ore 14,30 – Visita alla zona archeologica di Ostia Antica/Castello Giulio II * Ore 16,15 – Partenza per Ostia Lido Ore 16,45 – Ritrovo al Teatro Nino Manfredi per ritirare i biglietti al botteghino. Ore 17,00 – Spettacolo teatrale Fausto e gli Sciacalli di Gianni Clementi con Paolo Triestino e Nicola Pistoia Ore 19,30 circa – Partenza da Ostia. Ore 23,30 circa – Rientro a Pescara. È prevista una sosta lungo il percorso. Si chiede il rispetto scrupoloso degli orari. * attività facoltative Ostia Lido è una frazione di Roma. Fino al 1884 il suo territorio era prevalentemente paludoso. Da questa data iniziano le opere di bonifica avviate da “Braccianti Ravennati” che avaevano abbandonato il loro territorio a causa di una profonda crisi delle risaie. Insediatisi in questi luoghi, organizzatesi in cooperativa bracciantile, anche col sostegno di investimenti dele neonato stato italiano, in sette anni riuscirono a completare la bonifica di queste terre, fino ad allora infestate dalla malaria e dal brigantaggio. Un ulteriore sviluppo urbanistico avvenne nel periodo del fascismo, quando fu costruita la ferrovia e progettata la strada (la Cristoforo Colombo) per agevolare il collegamento della Capitale col mare. Ostia prese il nome di Lido di Roma. La tradizione storica e letteraria antica attribuisce la nascita di Ostia (da ostium: foce) al quarto re di Roma, Anco Marcio, che secondo la tradizione stessa avrebbe regnato su Roma fra il 640 e il 616 a.C. Le fonti storiche raccontano che per avere il controllo del fiume Tevere in quanto via d’accesso al mare, Anco Marcio si sia spinto fino alla sua foce dove, dopo aver conquistato la piccola città di Ficana (dove oggi sorge Acilia), decise di fondare Ostia. In questo modo Roma venne a disporre di una comunicazione diretta con il mare, del controllo del basso corso del Tevere e del monopolio dell’estrazione di un bene prezioso come il sale, di cui la foce del fiume era ricca. Tuttavia l’insediamento più antico ritrovato ad Ostia è costituito dal cosiddetto castrum, una cittadella fortificata costruita nel IV secolo a.C. per il controllo strategico della costa laziale e della foce tiberina. Nel 267 a.C. la colonia divenne la sede di uno dei questori romani, definiti classici (cioè della ”flotta”), così nel 212 a.C. nel corso delle guerre puniche dal porto fluviale ostiense salparono per la Spagna la flotta con i rifornimenti per l’esercito romano nella guerra contro Annibale e nel 211 a.C. trenta navi comandate da Publio Cornelio Scipione. Quando successivamente Roma estese il proprio dominio sul Mediterraneo Ostia perse il suo carattere militare e i vari funzionari sia locali che di Roma rivolsero la loro attenzione ai problemi dell’approvvigionamento del grano piuttosto che alla necessità di gestire nel porto una flotta romana. Importanti avvenimenti bellici interessarono la colonia nel corso del I sec. a.C. Nell’ 87 a.C.,nel corso della guerra civile, venne occupata e saccheggiata da Mario; nel 67 a.C. è registrato l’attacco di pirati cilici che distrussero anche la flotta ormeggiata alla foce del Tevere. L’episodio fu deplorato dallo stesso Cicerone il quale, forse proprio a causa di tale increscioso evento, in seguito, nell’anno del suo consolato, avrebbe provveduto a far decretare la costruzione di una cinta muraria a difesa della colonia. In questo periodo si consolidarono definitivamente anche i criteri dell’amministrazione cittadina. La città era governata da due magistrati che duravano in carica un anno, i duoviri, che assumevano il titolo eccezionale di quinquennali (duoviri quinquennales) quando, ogni cinque anni, revisionavano le liste del consiglio comunale. Magistrati inferiori erano gli edili (aedilis) che avevano la cura dei pubblici servizi; il consiglio cittadino era costituito da cento membri, detti decuriones. In questo periodo i principali personaggi che animavano la vita politica ed economica della città furono il duo viro Publio Lucilio Gamala che fece costruire e restaurare edifici pubblici e il duoviro Cartilio Poplicola che dominò la scena politica ostiense negli ultimi anni del I secolo a.C. In quanto scalo marittimo di Roma, sorse il problema di dotare Ostia di un porto che consentisse l’approdo delle numerose navi che trasportavano merci per l’Urbe. Cesare per primo si rese conto della necessità di costruire un nuovo grande bacino portuale per Roma staccato dalla foce del Tevere, ma né lui né Augusto riuscirono a realizzare il progetto. Solo l’imperatore Claudio (41- 54 d.C.) riuscì nell’intento realizzando il più grande porto dell’antichità. A causa della sua vicinanza alla foce del Tevere lo scalo portuale era soggetto ad insabbiamenti per cui l’imperatore Traiano (98-117 d.C.) decise di costruire un altro bacino di forma esagonale in una zona più interna; intorno alla nuova struttura pertanto si realizzò una vera e propria città con palazzi, templi, magazzini, etc. Di riflesso anche Ostia ebbe una notevole crescita economica e commerciale tanto da divenire una città cosmopolita e culturalmente ricca grazie all’attenzione rivoltale dagli imperatori di Roma: Adriano (117-138 d.C.) ricostruì interi quartieri ridisegnando l’urbanistica della città e ristrutturando numerosi edifici pubblici; Settimio Severo restaurò alcuni dei più importanti complessi; Aureliano (270- 275 d.C.) la dotò di un foro; Tacito (275-276 d.C.) le donò cento colonne di marmo giallo alte circa sette metri; Massenzio (306-312 d.C.) vi inaugurò una zecca; Costantino (306-337 d.C.) vi fece costruire una basilica cristiana. La decadenza della città ebbe realmente inizio al tempo di Costantino quando Porto ebbe autonomia amministrativa da Ostia (prendendo il nome di Civitas Costantiniana) divenendo l’unico vero emporio nei confronti della capitale. Successivamente durante le ripetute invasioni barbariche Ostia al contrario di Porto fu risparmiata dalla violenza di queste popolazioni perché ormai priva di importanza. Il sacco romano da parte del re visigoto Alarico nel 410 ebbe l’effetto di allentare i legami con Roma e di abbandonare Ostia a se stessa. Il poeta Rutilio Namaziano, raccontando il suo viaggio da Roma alla Gallia dopo l’invasione visigota, descrisse una foce del Tevere ormai impraticabile e una città priva dell’antico splendore con queste parole: “d’essa non è rimasta che la gloria di Enea”. Il parco archeologico di Ostia Antica è una tappa obbligata per chi vuole godere della bellezza di uno dei siti storici più visitati e meglio conservati del mondo romano. Il parco si estende su circa 50 ettari e presenta i resti di quella che fu la prima colonia dell’Urbe,dando la possibilità al visitatore di osservare le trasformazioni occorse alla fisionomia della città durante circa otto secoli. Superato l’ingresso agli scavi, la prima cosa che si incontra è l’antica necropoli di Ostia che termina ai margini delle mura sillane di cui sono testimoni i resti di Porta Romana. Da qui ha inizio il Decumano Massimo, l’arteria principale della città; proseguendo per questa via, sulla destra si incontra un grande porticato, dal quale si accede a una rampa di scale che porta a una terrazza che offre la vista delle splendide Terme di Nettuno. TERME DI NETTUNO 1 Iniziato ai tempi di Adriano e concluso dall’imperatore Antonino Pio (138-161), questo monumentale complesso termale ricalca i contorni di un precedente edificio domizianeo, che probabilmente era il più grande adibito a terme pubbliche di Ostia. Importanti sono le due sale d’ingresso all’edificio termale: in quella maggiore è raffigurato il Trionfo di Nettuno, il più bel mosaico di Ostia, che raffigura il dio del mare alla guida di una quadriga di ippocampi, attorniato da un corteo di delfini, nereidi e tritoni; in quella minore, un altro mosaico raffigura Anfitrite, la sposa di Nettuno, guidata da Imene e da quattro tritoni che suonano cembali. Proseguendo per il Decumano Massimo si arriva al Teatro romano e al Piazzale delle Corporazioni. TEATRO 2 Centro dell’antica città e unico grande edificio usato come luogo di spettacoli, il Teatro romano è in assoluto l’edificio più rappresentativo di Ostia Antica; tuttora è utilizzato per delle rappresentazioni teatrali estive. Costruito nel 12 a.C. ai tempi di Augusto, alla fine del II secolo d.C. fu ampliato e ristrutturato su iniziativa di Commodo (180-192) per permettere una maggiore disponibilità di posti che consentì di ospitare nella sua cavea fino a 4.000 spettatori. L’inaugurazione avvenne nel 196, per cui Settimio Severo (193-211) e Caracalla (212-217), suo figlio, poterono attribuirsi il merito dell’opera nell’iscrizione monumentale oggi ricostruita e montata su una parete del corridoio a destra dell’orchestra, la zona bassa del teatro. All’interno del teatro si trovavano delle tabernae (botteghe), nelle quali gli spettatori si ristoravano durante le pause delle rappresentazioni. Alle tabernae si alternavano quattro scale che conducevano il pubblico ai piani superiori della cavea, che oggi può ospitare circa 2.700 persone. I cittadini più facoltosi e i magistrati della colonia non usavano le scale ma facevano il loro ingresso dalla galleria centrale, perché alle autorità era riservato l’ordine inferiore dei posti. La galleria conduce anche all’ormai scomparsa scena che si innalzava originariamente per tre ordini architettonici; alcuni frammenti di essa si trovano insieme a tre maschere teatrali fissate su due muri di tufo nel proscenio. Il teatro fu anche adibito a spettacoli acquatici per mezzo dell’allagamento dell’orchestra. Il piazzale fu progettato come un unicum col teatro in età augustea. Adibito ad accogliere in 50 ambienti le sedi delle stationes (uffici di rappresentanza) commerciali e marittime, il piazzale era il centro della vita commerciale ostiense e accoglieva lo svolgimento degli affari connessi ai traffici marittimi. Nel 196 d.C. subì dei restauri che ne ampliarono il porticato, portando le 50 stationes originali a 64; le decorazioni a mosaico in bianco e nero attualmente visibili risalgono a questa seconda fase. Le iscrizioni musive presenti indicano le varie attività commerciali e marittime di cui ogni statio era responsabile, raggruppate per città e per province. Così, da una parte le stationes furono occupate dai mercanti provenienti dall’Africa settentrionale come Sabratha in Libia e Cartagine, dall’altra alcuni mosaici richiamano la Spagna con la quale Ostia aveva intensi contatti. In un altro settore sono invece presenti delle stationes di corporazioni commerciali che indicano il tipo specifico di commercio come ad esempio il vino e la carne. Nel centro del piazzale risalta su un podio un tempio, dedicato ad una divinità a noi ignota. Continuando per il Decumano Massimo, si prende la via dei Molini, dove sulla destra si possono ammirare le Terme del Foro. TERME DEL FORO 3 Il più grande complesso termale di Ostia fu edificato nel II secolo d.C., restaurato nel tardo impero e destinato a essere uno degli impianti più rappresentativi della città. Da notare la grande palestra trapezoidale contornata da portici e pavimentata a mosaico, le imponenti strutture che racchiudono il laconicum (bagni a vapore), il calidarium (bagni di acqua calda) dove grandi finestre illuminavano gli ambienti, e il frigidarium (bagni di acqua fredda) situato in una sala decorata. Ci si può inoltrare anche nel corridoio sotterraneo che permetteva agli addetti alle terme di procedere all’accensione delle caldaie. A ridosso delle terme, sul Cardine Massimo è visibile il Tempio di Roma e Augusto. TEMPIO DI ROMA E AUGUSTO 4 Il tempio, eretto poco dopo la morte di Augusto per volere del suo successore Tiberio, fu per lungo tempo uno degli edifici più imponenti della colonia, a sottendere l’importanza della venerazione dello stesso Augusto, fondatore dell’Impero, considerato una vera e propria divinità. Del tempio restano il frontale marmoreo, le fondazioni del podio e una delle statue di culto, quella raffigurante Roma. Sembra che sulla facciata vi fosse una tribuna da dove gli oratori si rivolgevano al popolo riunito nel Foro. Proseguendo sulla stessa strada si arriva al Foro e al Capitolium. FORO 5 E CAPITOLIUM 6 Il foro era il centro della vita politica, commerciale e giudiziaria di ogni città del mondo romano. Costruito forse intorno al 20-25 d.C., il Foro ostiense, di forma rettangolare, occupò lo spazio delle strutture che facevano parte del Castrum. Le due parti della piazza furono circondate da portici e l’accesso da nord e da sud fu proibito ai carri e riservato ai pedoni per accentuare la funzione politica e religiosa della zona. Il Capitolium, luogo di culto delle tre maggiori divinità della religione romana (Giove, Giunone e Minerva) fu costruito su un podio intorno al 125 d.C., per volere dell’imperatore Adriano, dopo aver abbattuto un piccolo tempio precedente. Il Capitolium domina con la sua altezza, circa 20 metri, l’intera città; il lato di fondo della cella è occupato dal podio destinato a sorreggere le statue di culto. Alla sinistra del Capitolium, sulla via di Diana, si trova l’ingresso del Thermopolium. THERMOPOLIUM 7 Ricavato nel III secolo d.C. all’interno di un precedente blocco edilizio, il Thermopolium (il nostro comune bar) era sicuramente fra i locali più frequentati della città perché situato a poca distanza dal Foro. Era costituito da due ambienti e aveva ai lati degli ingressi alcune panche in muratura, dove i clienti potevano sedersi e consumare i pasti. La stanza centrale era il vero e proprio bar e presenta un bancone con un affresco che illustra i cibi e le bevande che allora erano consumati. Un’altra stanza sembra fosse adibita a cucina, perché dotata di un fornello in muratura e di un dolio (grande recipiente di terracotta) infossato nel pavimento. Sul retro del locale è ancora visibile un piccolo cortile dotato di una fontana che permetteva agli avventori, durante la stagione più calda, di consumare all’aperto i pasti che erano preparati. Alla destra del Thermopolium si incontra la Casa di Diana. CASA DI DIANA 8 Costruita anticamente su tre o quattro piani, la casa raggiungeva probabilmente i 18 metri di altezza. Fu edificata intorno al 130-140 d.C. e rappresenta la tipica insula (caseggiato a uno o più piani di altezza), formata da diversi appartamenti che il proprietario affittava agli inquilini. Nell’interno della casa sono visibili a quote diverse i vari livelli pavimentali del II, del III secolo e del IV-V secolo d.C. L’edificio presenta al piano terra le tabernae: queste non erano dei semplici negozi così come noi oggi li intendiamo, ma nella maggior parte dei casi, laboratori artigianali che univano la produzione in loco a quello della vendita. Sulla parete di sinistra del cortile interno, una tavoletta rappresentante Diana Cacciatrice dà il nome alla casa. Ritornando sul Decumano Massimo si arriva all’incrocio con via Epagathiana, dove al bivio si prosegue per il decumano fino ad arrivare alle Terme della Marciana. TERME DELLA MARCIANA 9 Edificate alla fine del II secolo d.C., sono costituite da una grande sala che ospitava il frigidarium, di cui restano come testimonianze due pilastri dell’abside di una vasca che misurava oltre 14 metri di lato. In un piccolo ambiente adiacente, forse uno spogliatoio, è visibile uno splendido mosaico in bianco e nero, dove sono rappresentati atleti in atteggiamenti che rispecchiano le diverse discipline sportive praticate all’epoca. INSULA DEL GRAFFITO, DELLE PARETI GIALLE, DELLE MUSE E DOMUS DEI DIOSCURI 10 Questo complesso residenziale, edificato al tempo di Adriano,si distingue per la ricchezza degli apparati decorativi. Le insulae sono rilevanti per gli splendidi affreschi parietali che mostrano uccelli colorati, piccoli quadretti e figurine, oltre a mosaici in bianco e nero che riproducono disegni geometrici. L’Insula delle Muse era probabilmente la più elegante della città, per i suoi raffinati motivi architettonici e per i pannelli a fondo rosso e giallo, nei quali sono ritratte le figure delle nove Muse e di Apollo; questo è sicuramente il più notevole ornamento parietale di Ostia. Di queste splendide abitazioni è possibile visitare nel suo interno quella al lato sud detta Domus dei Dioscuri, la più grande, che probabilmente appartenne a un famoso magistrato locale. Era l’unica entro le mura di Ostia a disporre di un piccolo impianto termale privato che dimostrava la ricchezza dei suoi proprietari. Arrivati al bivio con via della Foce, si prende quest’ultima strada e si risale fino a incontrare le Terme dei Sette Sapienti. TERME DEI SETTE SAPIENTI 11 Il complesso termale era utilizzato dalle classi meno abbienti della città. Si apre sul lato sinistro con una grande sala circolare coperta, dove un grande mosaico in bianco e nero rappresentante scene di caccia pavimenta la sala. Un arco che reca ancora tracce di mosaico policromo ci introduce in un vestibolo adiacente la vasca, qui sono visibili affreschi parietali rappresentanti i sette sapienti, con accanto il loro nome, che danno consigli su come avere un buon funzionamento del corpo. In un’altra vasca è visibile un altro affresco raffigurante Venere che si bagna attorniata da numerosi pesci. Scendendo per via della Foce in direzione del bivio, si prosegue sulla sinistra per la via Epagathiana dove sorge la Horrea Epagathiana ed Epafroditiana. HORREA EPAGATHIANA ED EPAFRODITIANA 12 Questo è l’unico horreum (magazzino) di cui si conosce il nome dei proprietari Epagathius ed Epaphroditus, scritto in un’epigrafe posta sulla lastra marmorea nel timpano che sormonta il portale dell’ingresso principale. Risalente al II secolo d.C., si suppone non fosse utilizzato come un semplice magazzino, poiché mostra al suo interno degli accorgimenti costruttivi inconsueti per un normale horreum. Ad esempio le quattro edicole, le immagini delle divinità protettrici e la decorazione del pavimento del cortile con un mosaico figurato fanno pensare a un suo uso come deposito di prodotti di valore tipo metalli preziosi e spezie. Ricostruzione del Porto di Traiano Il borgo è un luogo unico. Nel suo spazio convivono diversi stili architettonici che è ancora possibile ammirare. L’antica Gregoriopoli, infatti, racchiude all’interno delle mura restaurate dal cardinale d’Estouteville delle testimonianze di epoca romana come alcune epigrafi , un sarcofago che costituisce ora la vasca di una fontana e tombe a fossa che indicano la presenza di una necropoli nella zona; una basilica quattrocentesca che conserva al di sotto dell’attuale struttura il suo impianto medievale; l’Episcopio (la residenza dei vescovi); il Castello di Giulio II e le abitazioni che risalgono alla fine del Quattrocento. BASILICA DI S. AUREA La basilica attuale di S.Aurea sorge su un primitivo impianto di una chiesa del periodo paleocristiano voluta nel IV secolo da Costantino per onorare i santi Pietro, Paolo e Giovanni Battista, che finì per inglobare la tomba della martire. La basilica divenne un punto di riferimento per i fedeli che ivi volevano essere sepolti, come ad esempio S.Monica, e per la popolazione in fuga da Ostia. L’edificio, già nell’alto medioevo, subì dei restauri: il papa Sergio I (687-701) fece rifare il tetto e, cento anni dopo, Leone III (795-816) riparò l’interno e l’esterno della basilica. Nel IX secolo, in epoca carolingia, altre trasformazioni riguardarono la chiesa che fu abbellita, come dimostrano gli elementi della suppellettile. In questo periodo la basilica fu anche teatro della celebrazione della solenne messa con la quale il pontefice Leone IV incoraggiò i soldati prima della battaglia di Ostia. Durante i lavori di ristrutturazione del borgo, voluti dal cardinale d’Estouteville nel Quattrocento, si decise per l’abbattimento della vecchia basilica e la costruzione di una nuova, il cui progetto fu affidato all’architetto Baccio Pontelli, che si avvalse della collaborazione dei fratelli Sangallo e di Baldassarre Peruzzi. Oggi la chiesa si presenta come un bell’esempio di architettura rinascimentale, con la sua semplice pianta marmorea, ricca di richiami classicheggianti; anche l’interno, abbondantemente restaurato, risente di questa semplicità. All’esterno sono visibili le finestre a tutto sesto, bipartite da una trama a bifora lobata. Alla sinistra della basilica è ancora oggi visibile un piccolo giardino nel quale sono stati condotti scavi che hanno portato alla scoperta della lastra tombale di S.Monica, la madre di S.Agostino, morta di malaria nel 387 a Ostia. I numerosi stemmi rovereschi presenti sul monumento denunciano la cronologia e forniscono indicazioni circa la committenza dell’impianto; alla destra dell’attuale altare maggiore della chiesa si conserva un elemento architettonico identificato in un portacero pasquale, sul quale è inciso S.A/R (abbreviazione che ricorda il nome di Aurea); il manufatto è stato datato al V secolo. Al periodo VIII-IX secolo deve essere ascritta la suppellettile (lastre di pluteo, piastrini, frammenti marmorei vari) che ancora oggi si conserva negli ambienti annessi alla chiesa e nel vicino Castello di Giulio II. LA FIGURA DI S.AUREA Su S.Aurea si sa poco o nulla di storicamente certo. Secondo la tradizione Aurea, appartenente a una nobile famiglia romana, faceva parte di un gruppo di cristiani che nel 268 subirono il martirio a Ostia ad arcum ante theatrum, ossia nei pressi del teatro. Negli anni in cui visse Aurea ci fu un riaccendersi delle persecuzioni contro i cristiani che, pena la tortura o la decapitazione, dovevano sacrificare agli dèi facendo bruciare dell’incenso sulle are. I trentadue cristiani, compresa Aurea, che in quell’occasione si rifiutarono, furono puniti con la morte. Si dice che il corpo, dopo essere stato gettato nel Tevere, fu raccolto sulle sue rive dal vescovo di Porto, S.Ippolito, che lo avrebbe poi seppellito in un podere della stessa famiglia di Aurea fuori le mura di Ostia. Le spoglie della santa furono poi collocate all’interno della basilica paleocristiana che sorgeva nella zona, cosicché gli abitanti di Ostia la considerarono dedicata alla santa. La devozione nei suoi confronti rimase a lungo radicata nella città, ma col passare dei secoli si perse il ricordo di dove fosse sepolta. Durante i lavori di demolizione della basilica ormai fatiscente ordinati dal cardinale d’Estouteville, le spoglie della santa furono ritrovate e successivamente traslate ad Albano. IL CASTELLO DI GIULIO II Il castello posto a difesa del borgo si presenta a forma di triangolo scaleno con la base rivolta verso il mare; anticamente, infatti, la foce del fiume Tevere si trovava a ridosso delle mura del castello. Per il suo ruolo fondamentale nel sistema difensivo costiero, che aveva il compito di proteggere Roma, fu fatto costruire dal cardinale d’Estouteville che prima fece restaurare la torre di Martino V e, successivamente, pensò alla costruzione del castello, la cui progettazione fu affidata al famoso architetto Baccio Pontelli, aiutato nei lavori da Giuliano da Sangallo. L’opera fu portata a termine nel 1484 sotto la direzione del cardinale Della Rovere, la cui attività è testimoniata dall’iscrizione sull’architrave marmoreo del portale centrale che reca, oltre al suo nome, anche quello dell’architetto. Oggi il castello si presentaformato da diversi torrioni dai quali emerge la torre di Martino V, che costituisce il mastio del castello, sul quale sono visibili gli stemmi dei pontefici che apportarono delle migliorie al castello: a sinistra quello di Sisto IV, al centro quello di Giulio II e a destra quello di Innocenzo VIII. L’edificio è attorniato da un fossato e si articola attorno a un cortile da dove si possono raggiungere e visitare i locali adibiti ai servizi militari e gli altri ambienti dove si svolgeva la vita dei soldati. Sempre dal cortile inizia una rampa cordonata, le cui pareti furono decorate da Baldassarre Peruzzi, dalla quale si sale sino alla piazza d’armi e al terzo piano, composto da tre stanze con cinque finestre che affacciano sul cortile; il castello, infatti, fungeva all’occorrenza anche da residenza signorile. Quando nel XVII e XVIII secolo Ostia fu abbandonata, il castello fu utilizzato come deposito di fieno e come dormitorio per i detenuti impiegati nei lavori di scavo nella zona archeologica di Ostia Antica. JI··· · · PIAllAI.! ; Df.U( ! . ('OIH'OAAl:IOHI : GRANDI JfORIIfA jrc mJ DEl V/Citi Il teatro Nino Manfredi nasce da un`idea di un gruppo di residenti ad Ostia Lido e appassionati di teatro, che per gestire questo spazio, si consociano e danno vita alla GE.SER.T.e C. S.R.L.(gestione servizi teatrali e culturali). Rilevano la struttura in via dei Pallottini, 10, che per tanti anni ha funzionato come cinema ed incaricano l'architetto Beniamino Lavorato e l'ing. Attilio De' Rossi per la ristrutturazione. Si ricavano così 300 comodi posti a sedere, tra platea e galleria, e una sala esposizionecirca 100 mq. Il teatro è fornito di un impianto luci e audio di primo ordine, in modo da soddisfare qualsiasi esigenza anche per la programmazione musicale. Per un teatro che per capienza è tra i primi nella capitale, ci vuole un nome importante; ecco così l`idea di chiamarlo Nino Manfredi (primo in Italia), e per questo, dobbiamo un ringraziamento particolare alla sig.ra Erminia Manfredi per la sua disponibilità e cortesia. Oggi il teatro Nino Manfredi è un "polo culturale", che utilizza le sue sale anche per promuovere convegni, mostre di pittura e scultura, presentazione di libri ecc. Riteniamo doveroso ringraziare tutto il pubblico che ci ha da subito sostenuto con entusiasmo e ha dimostrato di apprezzare la nostra iniziativa (basti pensare che la scorsa stagione ci sono stati oltre 1600 abbonati e circa 40.000 presenze). Il nostro grazie va in particolar modo a loro. E a loro chiediamo di continuare a seguirci, anche esprimendo suggerimenti o critiche, e magari di diventare sempre più numerosi. Lo scopo è far diventare il "Nino Manfredi" un`abitudine, cosicché ognuno possa sentirlo un po` come il suo teatro. Fausto, 50enne, ex leader e cantante di un complesso, Gli Sciacalli, che hanno conosciuto negli anni ’80 un momento di popolarità, oggi si arrabatta per vivere facendo l’ambulante nei mercati rionali e nelle sagre di paese. Vive con sua moglie Ottavia ed il figlio Elvis nella periferia romana, presso la casa del padre. Una vita che si trascina stanca, complicata, priva di soddisfazioni, con il rimpianto per quell’attimo di gloria. Fausto rappresenta un po’ ciò che è ed è stato il nostro paese. Un paese che ha vissuto momenti di grande slancio economico ed intellettuale e adesso è allo sbando, in cerca di un sogno, una speranza. Un paese che spesso affida al Superenalotto o alle macchinette dei videopoker l’illusoria soluzione dei problemi. E quando qualcuno, chiunque esso sia, irrompe sulla scena e ti propone il sogno è facile perdere lucidità e ricacciare indietro istinti critici. Come un assetato nel deserto, per te adesso esiste solo quel miraggio… una birra ghiacciata! Il resto non conta ed anche la memoria delle cose importanti viene risucchiata dal vortice di adrenalina in circolo nelle vene. Spetta al batterista dare il tempo di un nuovo inizio: lo show sta per cominciare! Nato Roma il 10.6.1956. Studi classici. Inizia ad occuparsi di scrittura applicata allo spettacolo solo alla fine degli anni ’80. 1988 “Al Tabou de Saint Germain des Pres” (genere satirico) 1990 “Maligne Congiunture” (Genere drammatico)1991 inizia un’attività di traduttore di testi teatrali e sceneggiature dallo spagnolo. 1995 “Una Volta nella vita” (genere comico). 1999 “Il Cappello di carta” (commedia). 2003 “La tattica del gatto”. 2003 “Alcazar”. 2003 “Tre delitti”, scritto insieme a Edoardo Erba e Angelo Longoni. Vince la IX edizione del premio “Enrico Maria Salerno”, con il testo “La tattica del gatto”; Vince il premio Fondi La Pastora, con la commedia “La Spallata”. 2004 è uno degli autori dello spettacolo “Serata d’onore” di Gigi Proietti. 2004 scrive con Attilio Corsini lo spettacolo musicale “I tre moschettieri”. 2005 mette in scena “Calcoli”. 2006 “La vecchia Singer”. 2007 vince la I Edizione del Premio nazionale SIAE-ETI-AGIS, con il testo-progetto “L’Ebreo”. 2007 vince il “premio Totola” del Comune di Verona, come miglior testo con “Il cappello di carta”. 2007 il suo testo “La Estrategia del gato” rappresenta l’Italia al VII Festival de Dramaturgia Europea Contemporanea di Santiago del Cile. 2007 “Le Belle Notti”. 2007 “Grisù. Giuseppe e Maria”, con Nicola Pistoia, Paolo Triestino e Crescenza Guarnieri. 1990 “Maligne Congiunture” (Genere drammatico) 1995 “Una Volta nella vita” (genere comico). 1999 “Il Cappello di carta” (commedia). 2003 “La tattica del gatto”. 2003 “Alcazar”. “Tre delitti”, scritto insieme a Edoardo Erba e Angelo Longoni. “La Spallata”. 2004 è uno degli autori dello spettacolo “Serata d’onore” di Gigi Proietti. Scrive con Attilio Corsini lo spettacolo musicale “I tre moschettieri”. 2005 mette in scena “Calcoli”. 2006 “La vecchia Singer”. 2007 vince la I Edizione del Premio nazionale SIAE-ETI-AGIS, con il testo-progetto “L’Ebreo”. Vince il “premio Totola” del Comune di Verona, come miglior testo con “Il cappello di carta”. Il suo testo “La Estrategia del gato” rappresenta l’Italia al VII Festival de Dramaturgia Europea Contemporanea di Santiago del Cile. “Le Belle Notti”. “Grisù. Giuseppe e Maria”, con Nicola Pistoia, Paolo Triestino e Crescenza Guarnieri. 2008 "Ben Hur", con Nicola Pistoia e Paolo Triestino,l'adattamento de "Lo Scopone Scientifico" con Nicola Pistoia e Sidney Rome, "l dolori del giovane Wertmuller" con Massimo Wertmuller, "Sugo Finto" con Paola Tiziana Cruciani e Alessandra Costanzo, "La Serva" con Crescenza Guarnirei, "Due soli al comando" con Riccardo Fabretti. 2010 "L'Ebreo", con Ornella Muti e la regia di E.M. Lamanna, "Per fortuna è una notte di luna", regia di Stefano Messina per la Compagnia Attori e Tecnici, "Il re di Negombo", "Ladro di razza",con Rodolfo Laganà, "Le belle notti", "La cucina del Gattopardo". Fausto e gli sciacalli Storia dei nostri giorni A TEATRO, ancora una storia popolare di Gianni Clementi, una storia stavolta dei nostri giorni, in uno scenario domestico e periferico che ha abdicato ai propri sogni, vivendo un' esistenza deprimente dopo aver conosciuto momenti di illusorio benessere. Adesso la vicenda del suo Fausto e gli sciacalli, da martedì alla Sala Umberto con Paolo Triestino e Nicola Pistoia (anche registi dello spettacolo) e, tra gli altri, con Elisabetta De Vito, è la parabola discendente del cinquantenne Fausto ex leader e cantante di un complesso pop, Gli Sciacalli, che aveva assaporato notorietà e successo negli anni Ottanta. «Quando un uomo è depresso, e conduce un' esistenza grigia - spiega l' autore - e qualcuno gli propone una speranza, ossia il suo ex batterista torna a rilanciare l' idea di un gruppo musicale, quella persona non può che aggrapparsi alla prospettiva. In fondo è la metafora della nostra condizione attuale, con un' Italia che dopo sviluppo sociale e economico ora non fa che implodere nella crisi, e basta un qualsiasi ciarlatano che annunci un' improbabile risorsa finanziaria, ed ecco che una parte del Paese gli crede, anche se solo per disperazione o inedia». Il testo mette sotto una lente Fausto, la moglie Ottavia e il figlio Elvis in una borgata romana, dove l' adrenalina scappa fuori per un niente. «L' arrivo della novità scatena nuove passioni, perché nei disgraziati che sono preda dell' afasia la menzogna partorisce effetti paradossalmente positivi, destinati al disincanto. Un quadro che oggi si riproduce ovunque con miraggi di vita diversa, di ricrescita, di abbandono della miseria. Sta al pubblico decodificare». (Rodolfo Di Giammarco)17 marzo 2013 - 17 La Repubblica sez. ROMA Ancora una volta Gianni Clementi si dimostra uno tra i più prolifici ed originali drammaturghi contemporanei, riuscendo a destreggiarsi con una straordinaria facilità tra i vari registri linguistici passando dalla comicità napoletana a quella romana, il tutto condito in modo superbo da incursioni di slang frutto di un esilarante connubio di lingua straniera mista a idiomi nostrani. La facilità e la delicatezza che dimostra nell’elaborare testi profondi e al tempo stesso tanto diversi e trasversali, dimostrano una intelligenza e sensibilità culturale fuori dal comune che fanno di lui un esponente di quella commedia all’italiana che tanto ci ha reso famosi in tutto il mondo. I personaggi creati dalla sua penna sono sempre minuziosamente dettagliati e mai semplicemente macchiettistici, trasudano motivazioni di carattere psicologico mai banali ma che affondano le radici nella quotidianità di cui la nostra vita è pervasa, generando al termine dello spettacolo una percezione di complicità con le loro vicende che ce li rende simpatici e familiari. Il suo è un teatro che racconta la società di oggi, mettendo il dito, o meglio la penna, nelle sue piaghe, denunciandone i malesseri e le distorsioni sempre in chiave ironica e cinica, rivolgendosi indistintamente a tutti, dall’intellettuale all’operaio. In questo nuovo spettacolo il tema portante ruota attorno al difficile rapporto tra il sogno e la pragmatica realtà con la quale le nostre aspirazioni devono fare i conti quotidianamente. E così ecco che Fausto (Paolo Triestino), uomo di mezza età ex leader del complesso “Gli Sciacalli” ormai caduto in disgrazia, si ritrova alle prese con una vita fatta di un lavoro deludente e rapporti logori e ripetitivi nella disperata missione di arrivare a fine mese. A lui si affianca la moglie Ottavia (Elisabetta De Vito), corista del gruppo, anch’essa pervasa dai rimpianti di una vita che si trascina stanca, priva di soddisfazioni, segnata da una insanabile delusione frutto di un sogno naufragato con un segreto nascosto. A minare il già precario rapporto tra i due, si inserisce il figlio Elvis (Ariele Vincenti), contestatore, aggressivo, animato dalla spasmodica ricerca di una felicità resa sempre più irraggiungibile da un sistema cinico e annichilente. E di questo colpevolizza i genitori rei, nell’ immaginario del figlio, di essere complici di quel sistema sociale, senza rendersi conto che forse a ben vedere loro ne sono le prime vittime. A vivacizzare le dinamiche familiari ci penseranno due vicini di casa e di avventura: Sandro (Ciro Scalera), ex bassista del gruppo, ora vigile urbano in preda ad una grave depressione, e la sua giovane moglie Angela (Sandra Caruso), cantante neomelodica che insieme al marito cerca di arrotondare lo stipendio suonando in giro per ristoranti esibendosi in perfomance a dir poco improbabili. La deprimente quotidianità verrà di lì a poco interrotta dal ritorno di Elmore (Nicola Pistoia), il batterista del gruppo che grazie alla sua disonestà intascò il 95% dei diritti d’autore della fortunata canzone che li rese famosi. Dilapidata l’intera somma, Elmore si ripresenta al cospetto dei suoi vecchi amici noncurante delle possibili reazioni di questi. Così, dopo i necessari chiarimenti e giustificazioni di facciata, facendo leva sulla inesauribile necessità di sognare dell’uomo, l’ex batterista prospetta nuovi orizzonti di successi e inediti scenari di popolarità che li porteranno a ributtarsi mani, piedi e…tasche nella nuova impresa. Purtroppo il confine tra sogno e impietosa realtà talvolta viene contrappuntato dal pericolo sempre in agguato dell’inganno e del suo perpetrarsi; tuttavia, l’autore, in un epilogo paradossale intriso di sarcasmo sembra suggerire che, forse, vivere una vita con la speranza di realizzare un sogno vale il prezzo di una possibile delusione. Dino De Bernardis Uno spettacolo che è una metafora… come Esopo, Clementi usa uno spaccato di vita quotidiana per raccontare un’ Italia credulona e fin troppo incline all’illusione che si fa raggirare da esperti affabulatori, venditori di sogni che senza scrupoli approfittano delle debolezze altrui per raggiungere i propri obiettivi. La drammaturgia è caratterizzata da una comicità (un po’ troppo) popolare che porta lo spettatore a vivere 2 ore all’insegna del divertimento leggero, non curante dell’ironia che indisturbata scava nell’animo e pian piano porta alla cruda verità. Una quarta parete che lentamente diviene uno specchio. La coppia Triestino-Pistoia, ormai consolidata e garante di qualità, sorprende ancora una volta. La loro complicità in scena è disarmante e le loro interpretazioni “geniali”! Se poi a supportarli troviamo un cast all’altezza il risultato non può che essere ottimo. Elisabetta De Vito affronta con grande maestria la figura della donna stanca e insoddisfatta senza cadere in quel cliché che per altre colleghe rappresenta il più alto rischio. Talento pluripremiato che meriterebbe molta più risonanza. Tempo al tempo… Ciro Scalera, di forte presenza scenica, con la sua raffinata ironia e intelligente verve comica è abile nel far scattare la risata pur stando immobile, nonostante il suo personaggio fosse “bradiposo” sia nelle azioni che nelle emozioni. Sandra Caruso ci propone, con esilarante e impeccabile abilità, un personaggio vero e mai scontato… sarebbe un’ineccepibile “capera” in una commedia di De Simone. Ariele Vincenti incarna fin troppo bene il disagio giovanile, con la rabbia e l’arroganza tipica di chi non si sente il terreno sotto ai piedi. A tratti forse un po’ troppo sopra le righe, ma efficace. Bello uscire da teatro soddisfatti per aver visto sei attori degni di essere chiamati tali. E questo, purtroppo, non capita spesso! Giulia Bornacin Due attori eccentricamente lunari, con risvolti surreali che si inseriscono però, per bene, nelle pieghe della nostra società. Paolo Triestino e Nicola Pistoia dopo il grandissimo successo di Grisù, Giuseppe e Maria e Ben Hur, imperterriti continuano la loro collaborazione artistica con Gianni Clementi, che ha confezionato per loro un nuovo testo Fausto e gli sciacalli. Come sempre nei loro testi un’umanità tenera e forse dimenticata, capace di portare gli spettatori attraverso un viaggio ironico ed anche leggermente malinconico. La coppia Triestino-Pistoia con un azzeccata sintonia riesce sempre e comunque a farci sorridere e tenerci sulla corda, affrontando temi forti e ad a volte drammatici inseriti nella nostra controversa realtà. C’è in questo caso Fausto, un cinquantenne, già leader e cantante solista di un gruppo, Gli Sciacalli, che negli sfavillati e glitterati Anni Ottanta si sono imbattuti in un sovrastante attimo di popolarità. Dopo più di venti anni ritroviamo il povero Fausto che si inventa la vita, girovagando, qua e là, in veste di ambulante, attraversando mercati rionali e sagre di paese, con una malinconia ancorata ad un passato che non esiste più. Per di più il nostro protagonista vive in una tipica periferia romana con la moglie Ottavia attempata 48enne ed ex corista del complesso, aiuta il menage familiare facendo la parrucchiera a domicilio. Elvis, il loro figlio, con aspirazioni da rapper, non perde occasione per ricordargli il loro fallimento. Gennaro, napoletano doc, ed ex bassista del gruppo, attualmente vigile urbano in perenne congedo per malattia, insieme alla sua compagna Angela, cantante neomelodica, arrotonda lo stipendio suonando in cerimonie nuziali nella provincia campana. E’ un Gennaro cronicamente depresso che, abitando sullo stesso pianerottolo, tormenta Fausto, ricordando i fasti ormai lontani.ed il figlio dall’ingombrante nome, nella fattispecie, Elvis. Ma un giorno qualcuno bussa alla porta di Fausto: si tratta di Elmore, l’ex batterista inglese degli Sciacalli, scomparso 25 anni prima, dopo aver truffato Fausto. Il ritorno di Elmore è una vera e propria sferzata di adrenalina per i nostri naufraghi.I tre che possiamo definire quasi nullatenenti, vivono nella casa del padre di Fausto. L’esistenza dell’ex leader degli Sciacalli si trascina stanca, con innumerevoli difficoltà. Le soddisfazioni scarseggiano e si affaccia nell’anima del musicista sfortunato il rimpianto per quell’attimo che fu di gloria. Fausto è l’emblema, così almeno sembra, di quello che è stato il nostro paese. Una nazione che ha attraversato momenti di sferzante slancio economico ed anche e soprattutto intellettuale. Una intera popolazione alla rincorsa di un sogno e di una speranza. Un paese che, fatalisticamente, affida al Superenalotto o alle macchinette dei videopoker una improbabile ed illusoria risoluzione dei problemi. E quando sembra che qualcuno, chiunque sia, arriva con passo di carica, nella tua vita e ti propone il sogno è molto facile perdere la testa. Come un assetato nel deserto, esiste solo quel miraggio, una birra ghiacciata. Il resto non ha importanza e si perde anche la memoria delle cose veramente importanti perché si viene intrappolati da schiume di adrenalina che entrano sferzanti nelle vene. Emanuela Ramponi La prima scena vede il sipario aperto per metà per far intendere di essere altrove rispetto al fondale che, con il dipanarsi del testo, si mostra completamente indicando un tinello di una casa popolare del quartiere Casilino di Roma. La commedia vorrebbe essere comica, ma la capacità geniale dell’autore, la rende uno spaccato di vita, attraverso un impietoso, realistico ed irresistibile umorismo, sottolineato anche dalle battute in romano e napoletano. La recitazione è brillante e non cala mai di tono. Rosannamaria Sotgiu Dopo il neorealismo di Grisù, Giuseppe e Maria e la periferia suburbana di Ben Hur, si rinnova il sodalizio artistico fra Nicola Pistoia e Paolo Triestino, considerate a pieno titolo una della “coppie” migliori del teatro italiano e l’autore Gianni Clementi. La commedia di Clementi getta ancora uno sguardo emblematico sulla periferia romana che non è certo così drammaticamente pasoliniana, ma è simbolo dell’Italia e della società moderna, raccontando con garbo dissacrante e sarcasmo il durissimo scontro fra sogni traditi e speranze disattese dinanzi all’amarissima realtà. Senza dimenticare gli inevitabili risvolti comici pur nella loro tragica drammaticità. Fausto e gli sciacalli diventa allora un viaggio metaforico fra le speranze e la vita di uomini e di donne comuni che hanno dovuto rinunciare ai sogni per lasciare spazio alla realtà dimenticando spesso di come riuscire a essere felici. Un testo costruito stavolta non solo sulla straordinarie capacità della coppia Pistoia (nei panni di un tenero perdente)-Triestino (che incarna una sorta di Shel Shapiro, dall’irresistibile accento inglese con abiti da guru indiano) che creano delle maschere umane tremendamente vere, ma che si avvale anche di un maggior numero di personaggi per meglio connotare una storia sempre attuale di uomini alla disperata ricerca della felicità che devono fare i conti con la vita. Grande, e meritatissimo, successo di pubblico. Fabiana Raponi Il luogo in cui svolge la vicenda è l’accogliente e modesta casa di Fausto (Paolo Triestino), ubicata in via Casilina a Roma. Il piccolo appartamento arredato con mobili semplici ed essenziali rispecchia le loro ridotte possibilità economiche. I personaggi di Clementi, appartenenti a due delle identità culturali distintive della penisola, ovvero quella napoletana e quella romana, sono caratterizzati con peculiarità psicologiche e sociali che riflettono lo stereotipo dell’uomo represso e insoddisfatto. Il lavoro dei due registi Triestino e Pistoia trova il giusto connubio con il testo di Clementi e ne scaturisce uno spettacolo che trae ispirazione dalla commedia all’italiana, ma non la restituisce. L’utilizzo di dialetti nostrani si mescola a idiomi stranieri, generando miscugli linguistici che trovano riscontro nelle risate degli spettatori. Fausto cinquantenne ed ex leader del complesso Gli Sciacalli, che ha cavalcato la vetta della classifica negli anni ’80 con il brano Annalisa, è un uomo frustrato che conduce un lavoro poco gratificante. Ottavia (Elisabetta De Vito), sua moglie ed ex corista del gruppo, è rassegnata ad una vita scialba e ripetitiva, aggravata , inoltre, da una relazione di coppia consunta. Elvis (Ariele Vincenti) è il figlio adolescente, ribelle e aggressivo che trova sfogo nella sua lotta contro il sistema attraverso la musica hip hop, scatenando, talvolta, la rabbia contro il padre incredulo. Personaggi familiari e scontati che vivono le loro vita all’ombra della gloria d’un tempo. A coronare il quadretto ci sono i vicini di casa e amici: Sandro (Ciro Scalera) e la moglie Angela (Sandra Caruso). Sandro, ex bassista del complesso, è un vigile urbano depresso. I due per arrotondare lo stipendio si esibiscono durante i matrimoni in performance a dir poco ridicole. L’arrivo di Elmore (Nicola Pistoia), ex batterista del gruppo fuggito, nei lontani anni ’80, con il 95% dei diritti del brano Annalisa, sconvolge la pigra realtà che pervade le loro vite. L’amico/traditore torna, non curante delle reazioni, dopo aver speso tutto il denaro ricavato dal successo del famoso brano. L’ex batterista con fare disinvolto, in abbigliamento hippie, raccontando di viaggi fantastici e di luoghi paradisiaci, si presenta con l’intento di riunire il complesso, promettendo un futuro ricco di successi e speranze. Seppur inizialmente perplessi, gli ex componenti, esausti ed esasperati dalle loro scialbe vite, decidono ancora una volta di fidarsi del buon vecchio Elmore. Fausto e Sandro investono tutti i loro risparmi di una vita per rituffarsi nel passato, ignari di ciò che li attende. Infine, il sogno è stato infranto ancora una volta e la commedia si conclude con un finale piuttosto scontato, ovvero che non il denaro, ma i sogni rendono felici. Caterina Matera da www.dramma.it Fausto è sulla cinquantina e passa le sue giornate al mercato rionale a vendere improbabili utensili da cucina, diviso fra Tonino Pelino indispensabile pelaverdure e coccodrilli di peluches made in China, consuma la sua esistenza discutendo col figlio Elvis, rapper del disagio urbano , la moglie Ottavia, parrucchiera a domicilio e gli amici Angela e Gennaro, vicini di pianerottolo nonché coppia del neomelodico . La vita scorre così in uno dei tanti palazzoni popolari della casilina, senza particolari sorprese, a parte le ordinazioni telefoniche del povero Sor Alfredo, padre di Fausto, fan delle televendite e affezionato acquirente degli imbonitori da tubo catodico. Mentre dunque tutti si barcamenano per un posto auto, o una raccomandata per disdire ordinazioni di idromassaggi o nani da giardino, improvvisamente l'imprevisto, quel deus ex machina da commedia greca efficacemente trapiantato in questo gioiellino di piece firmato Gianni Clementi e straordinariamente interpretato dalla coppia Pistoia-Triestino, due giganti da palcoscenico. Elmore, il batterista inglese della band Fausto e gli Sciacalli della quale facevano parte negli anni '70 Fausto l'ambulante e Gennaro pizzardone partenopeo, ieri giovani capelloni, oggi stanchi e grugnati over, è lui l'inatteso che arriva a scompigliare ogni cosa, a rimettere tutto in discussione. E come il figliol prodigo Elmore ritorna dai vecchi amici, a redimere il furto della canzone Annalisa , successo del gruppo di 25 anni orsono e a riproporre la reiterata reunion per uno show televisivo sulle meteore musicali del passato. Il sogno, l'illusione di uscire anche solo per un attimo dalla monotonia ridona agli ex musicisti il brivido, la voglia di reinventarsi, di tornare ad amare le proprie donne con lo slancio di un tempo, la forza di rispolverare zeppe e pailettes per riconquistarsi un minuto i celebrità, ma soprattutto di dignità. Ce la faranno Fausto e gli Scacalli a tornare sulla cresta dell'onda? Questo piccolo pezzo teatrale da maestri, merita la riposta degli spettatori stessi, un invito dunque a non perderlo a teatro, nella capitale fino alla fine di Marzo 2013 al Sala Umberto e poi in giro per lo stivale. Ottima la resa scenica, fantastici tutti gli interpreti, perfetta la regia, si ride, tanto, ma si riflette anche, assolutamente da vedere! Fabiana Dantinelli 28/03/2013 da: www.giornaleteatro.it Nell’ambito delle attività sociali e culturali della Parrocchia di S. Giovanni Battista e S. Benedetto Abate di Pescara Colli si è legalmente costituita l’Associazione Teatrale PerStareInsieme” È un’associazione senza scopi di lucro, rivolta in modo particolare ai parrocchiani ed ha come finalità quella di creare fra i suoi componenti un positivo clima di condivisione di esperienze che conduca alla scoperta dell’importanza dello stare bene insieme. Obiettivi fruizione dei migliori spettacoli teatrali rappresentati sul territorio; analisi e la comprensione del linguaggio e delle tecniche teatrali; allestimento di spettacoli teatrali dialettali e in lingua. Commedie e spettacoli rappresentati dal luglio 2008 ad oggi Lu ziprete – da Eduardo Scarpetta (7 repliche) La cantata dei pastori – da Andrea Perrucci (2 repliche) Lu diavule e l’acqua sande – da Camillo Vittici (5 repliche) La condanna dell’Innocente – di Alberto Cinquino (3 repliche) …e volò libero – di Carmine Ricciardi Titillo – da E. Scarpetta (4 repliche) La fattura – di Evaldo e Isabella Verì (6 repliche) Lu testamente – di Michele Ciulli (13 repliche) Natale in casa Bongiorno di C. Natili e C.Giustini (7 repliche) La scommessa e Gennareniello da E. De Filippo (2 repliche) La compagnia si diverte – farse e sketchs di autori vari (9 repliche) Cose turche – di Samy Fayad (6 repliche) Terra di nessuno – di Evaldo Verì (5 repliche) Altre attività culturali Cineforum sul film La strada di Federico Fellini Gite a Roma per assistere agli spettacoli La strada con Venturiello e Tosca al Teatro Valle, a Il piacere dell’onestà e Le allegre comari di Windsor con Leo Gullotta, al Teatro Eliseo a Perugia al Teatro Morlacchi per L’inganno con Glauco Mauri e Roberto Sturno e a Civitavecchia al Teatro Traiano per Il borghese gentiluomo con Venturielllo e Tosca. Attività sociali Destinazione dell’incasso netto di uno spettacolo in beneficenza ad una famiglia aquilana colpita dal terremoto, di due spettacoli all’AISLA, e di due spettacoli alla Caritas Parrocchiale. Info: Carmine Ricciardi (presidente) cell. 3489353713 Recapito: c/o Carmine Ricciardi Strada Colle Scorrano 15 - 65125 Pescara Colli e-mail: [email protected] WEB: www.perstareinsieme.it Prossimamente La vazzìje commedia dialettale in due atti di Michele Ciulli Lu diavule e l’acqua sante (commedia dialettale in due atti da Camillo Vittici) Sabato 8 giugno ore 21,00 Teatro Parrocchiale S. Giovanni B. – S. Benedetto A. PINOCCHIO LABORATORIO TEATRALE PER BAMBINI