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DELLA DOMENICA
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ANNO XVI - N. 23
DOMENICA 16 gIugNO 2013
SPED. ABB. POST. - DL 353/2003
(Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art.1, Comma 1, DCB) ROMA
TAXE PERCUE - TASSA RISCOSSA - ROMA ITALY
EURO 1,50
S
ASTENSIONE ELETTORALE
Siamo diventati
tutti americani?
Mauro Del Bue
C
e l’ha fatta Veltroni a farci diventare americani. Manteniamo altre abitudini alimentari e un
sistema sanitario più giusto, anche
se dispendioso. Ma uno dei pregi
della nostra democrazia, e cioè
quella di essere tra le più partecipate, è stato anch’esso azzerato.
Votiamo più o meno come loro.
Come nel Kansas o in Arizona.
Siamo diventati un popolo più maturo? Nossignori. Ci siamo ammalati del morbo più pericoloso:
quello del rifiuto della democrazia. Che è appassita sotto i nostri
occhi. E in parte si è liquefatta senza che le venissero praticate terapie e interventi chirurgici, anche
radicali.
‘Yes, we can’, recitava lo slogan
veltroniano nel 2008, preso a prestito dall’aspirante alla Casa Bianca Barack Obama, anche se per
Walter era riferito alla più modesta, ma utopistica, possibilità di
battere Berlusconi. E così, dalla
crisi economica e politica, che ha
lanciato più di un segnale di allarme, siamo arrivati alla democrazia
esercitata dalla minoranza. È la
prima volta che accade in Italia.
Alle recenti elezioni amministrative, infatti, ha votato il 48 per cento
degli aventi dritto. Più che un partito politico ha vinto dunque la signora Astensione, una donna che
si è prestata in questi anni ad accoppiarsi con molti partner, da
Bossi a Grillo. Ma che adesso ha
rifiutato tutti i connubi e ha scelto
la solitudine, l’indifferenza. Il partito meno colpito, e che dunque ha
stravinto le elezioni, è l’unica forza
politica in campo, e cioè il Pd. Certo si tratta del partito che pareva
più in crisi dopo le divisioni, le lacerazioni, gli odiati abbracci. Ma è
pur vero che il Pd è l’unico partito
che abbia un minino di organizzazione territoriale e di classe dirigente politica e amministrativa
presentabile sul territorio. Il resto
è nulla.
Il Pdl è davvero sempre e solo Berlusconi e il suo pigro elettorato si
mobilita esclusivamente per rilevanti campagne politiche, nella
quali è in gioco il futuro del Paese.
Per il resto preferisce il mare, i
monti, il Milan.
La Lega, dopo i fasti di Bossi, è ancora alle prese coi suoi lividi dovuti agli scandali, alle separazioni,
alle lotte fratricide, e si arrende
nel Nord alzando ovunque bandiera bianca. E Grillo subisce esattamente l’effetto Berlusconi moltiplicato. I suoi elettori hanno votato
lui, non i suoi simili. Che sono poi
tutt’altro che attendibili. I primi
mesi di conoscenza del personale
politico dei Cinque stelle è stato
tutt’altro che entusiasmante.
Accade così che il centro-sinistra si
aggiudichi sedici ballottaggi su sedici, compreso Treviso, l’inespugnabile cittadella del leghismo duro, quello che ce l’ha coi ‘terroni’ e
mal sopporta i neri. Compresa Catania, dove trionfa un sindaco che
si diceva rinnovatore venticinque
anni fa; compresa Brescia, dove la
destra era di casa; compresa Siena, dove al Pd sono state associate
vicende bancarie non certo edificanti. E compresa Roma, naturalmente.
Una sola annotazione sul voto nelsegue a pagina 2
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Una chance
di rilancio oltre
l’astensionismo
Le iniziative del Sindaco di Firenze e la stabilità del governo
Gerardo Labellarte
Italia ha già vissuto una storia simile: l’ha vissuta con Veltroni sindaco di Roma e Prodi presidente del Consiglio”. Riccardo Nencini
ha risposto così alle domande dell’ANSA che sabato 8 a Firenze, a margine della raccolta di firme per i referendum e per illustrare le proposte del
PSI sul lavoro, gli chiedeva se le ripetute prese di posizione del sindaco di
Firenze Matteo Renzi indebolissero il governo guidato da Enrico Letta.
La situazione di oggi, ha spiegato Nencini, “non nasce diversamente, può
evolvere diversamente, ma l’origine è esattamente la stessa, cambia solo la
città”.
Interpellato proprio sull’evoluzione che secondo lui potrà avere, il segretario del Psi ha risposto dicendo che “la politica è mai dire mai, ma la prevalenza di quello che vedo è che l’evoluzione potrebbe essere simile a quella
che abbiamo già vissuto nel 2008, e che portò alla vittoria di Berlusconi”.
Dopo le amministrative “ci sarà una prevalenza di sindaci di centrosinia pagina 2
S
enza radici e punti di riferimento
stabili. Così si presenta oramai la
gran parte dell’elettorato italiano.
Questa la cifra principale, ancora una
volta confermata, del turno elettorale
amministrativo in Sicilia e dei ballottaggi nel resto del territorio nazionale.
Cittadini sfiduciati e rassegnati, nessuna passione civile, scarsa partecipazione emotiva persino a duelli importanti e un tempo estremamente avvincenti quali quello per l’elezione del
Sindaco di Roma.
In questo quadro si inserisce la vittoria del centrosinistra, che ha caratteristiche spettacolari in quanto la coalizione travolge gli avversari quasi
dappertutto, ma che non può trascurare gli scenari nei quali si colloca:
quelli di una politica recitata da attori
sempre meno apprezzati da un pubblico sempre meno numeroso e interessato.
Il centrosinistra, e in particolare il Partito Democratico, prevalgono soprattutto in virtù della maggiore credibilità, o in qualche caso della minore impresentabilità, del proprio personale
politico amministrativo locale. Il che è
sicuramente positivo, ma dà anche il
segno di quanto effimero possa essere
questo successo, che può venire meno,
come è già avvenuto, in presenza di
leadership nazionali meno apprezzate
o di avversari più credibili.
Particolarmente clamoroso in queste
elezioni il crollo del grillismo, la cui
parabola appare ben più rapida di
quella di altri movimenti che in questi anni hanno cavalcato la tigre
dell’antipolitica, quali la Lega e l’Italia dei Valori. Nel giro di pochi mesi
centinaia di migliaia di elettori, probabilmente disgustati dalle sconcertanti performance degli eletti Cinque
Stelle, hanno abbandonato il comico
genovese. Troppo presto per recitare
il de profundis di Beppe Grillo e del
suo inquietante guru, probabilmente
giusto però il tempo per considerarne
esaurita la prorompente spinta prosegue a pagina 5
Nencini: Renzi e Letta?
Come Veltroni con Prodi
“L
La crescita della diseguaglianza
Da Matteotti a Grillo. La democrazia
Sono i ricchi
non sopporta le minacce
che frenano il PIL
Mussolini non conoscevano la demoMarco Di Lello
O
n.le Presidente, il 10 giugno 1924
il deputato socialista Giacomo
Matteotti fu rapito e ucciso da una
squadra di fascisti.
Il 2013 non potrà mai essere il 1924, se
non altro perché gli italiani prima di
Divorzio breve, immigrazione e lavoro
le nuove proposte referendarie del PSI
Cambiamo noi!
Tre referendum
da sostenere
Maria Pisani
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- Stampa e Tv -
Quello che non
vi hanno detto di noi
Leghisti contro lo Ius soli,
ma tifosi di Balotelli
“I leghisti? Sono contrari allo Ius
soli ma seguono la nazionale di
calcio italiana ed esultano quando
segna Mario Balotelli. Il nostro
Paese - ha detto Marco Di Lello
sabato 8 al quotidiano online
Bergamonews - così nega a questa
gente un diritto basilare; nella sola
Lombardia ci sono 11mila ragazzi
nati da coppie di immigrati: dunque
è una situazione che deve essere
sistemata una volta per tutte. Tutti i
figli di questa Italia devono essere
cittadini italiani, senza distinzione
di colore. La pdl per lo Ius soli è
stata la nostra prima iniziativa dopo
l’insediamento a Roma: siamo certi
di poter fare un ottimo lavoro. Lo
Ius soli proposto dal Psi, però, non
diventerà un ‘lasciapassare’ per tutti
gli immigrati che pensano di venire
in Italia da irregolari per mettere al
mondo dei figli: abbiamo lavorato e
pensato anche a questo e nella pdl
abbiamo inserito un limite temporale minimo di 5 anni; gli immigrati,
per avere un figlio italiano, dovranno essere regolari nel nostro Paese
da almeno 5 anni”.
Mauroy: Cefisi, sostenne
riformismo socialista in Italia
Assassinato 89 anni fa dai sicari di Mussolini in un clima di violenza
L’intervento pronunciato mercoledì 12 a Montecitorio per la commemorazione di Giacomo Matteotti
L
crazia, ma questa è una pianta delicata
che va curata giorno dopo giorno.
È una pianta, la democrazia, che non
sopporta l’illegalità, i soprusi. Non
sopporta la violenza, neppure quella
verbale.
Non sopporta le minacce.
Nel suo primo discorso in Parlamento
nel 1922, Mussolini pronunciò parole
terribili che sono passate alla storia.
segue a pagina 5
n nuovo pacchetto referendario
U
è stato presentato dal Segretario
del partito socialista, Riccardo Nen-
cini e dal leader dei radicali italiani,
Mario Staderini. Due dei quesiti riguardano misure in correzione alla
legge Bossi-Fini, con l’abrogazione
del reato di clandestinità e delle norme discriminatorie in materia di lavoro regolare e di soggiorno dei cittadini stranieri.
Il terzo quesito referendario riguarda invece il cosiddetto ‘divorzio bre-
Maurizio Ballistreri a pag.3
Anniversario di Giuseppe Saragat
Gli ideali, la cosa
più importante
Gian Franco Schietroma a pag.5
ve’ e prevede l’eliminazione dei tre
anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio, come accade in molti altri Paesi europei tra cui
la Francia del socialista Hollande.
Proposte che restituiscono ai cittadini la possibilità di scegliere e di decidere, come ha sottolineato anche
Riccardo Nencini, e che il partito socialista sosterrà insieme alla raccolta firme su un disegno di legge per
estendere le tutele e i diritti sindacali
segue a pagina 3
“Il decesso di Pierre Mauroy, primo
ministro francese e presidente
dell’IS, – afferma Luca Cefisi
commentando la notizia della sua
morte - addolora particolarmente i
socialisti italiani. Come presidente
dell’IS durante gli anni 90, Mauroy
seguì con attenzione e partecipazione la crisi del socialismo italiano. In
particolare, fu attento e deciso, nel
difficile biennio ‘94-‘95, nel sostenere la scelta progressista del PSI di
Del Turco e del PSDI di Schietroma, che dovevano fronteggiare
l’aggressione di chi pretendeva di
far finire la gloriosa storia del riformismo italiano nell’abbraccio
mortale di Berlusconi. Mauroy
sostenne i partiti storici del socialismo italiano alla causa del socialismo europeo, con intelligenza,
contribuendo a salvaguardare un
patrimonio organizzativo e politico
che in Italia molti miravano a
disperdere, sradicandolo dalla sinistra italiana”.
Radio Maria: Anziani nel
mirino per avere l’eredità?
“Non è che con la crisi delle donazioni ora a Radio Maria si punti
all’eredità dei fedeli, magari soli e
anziani?”. Lo chiedono i parlamentari socialisti con un’interrogazione
ai ministri dello Sviluppo Economico e della Giustizia, primo firmatario Marco Di Lello, per sapere se è
vero quanto pubblicato da alcuni
organi di informazione, in ultimo
La Repubblica (il 7 giugno ndr),
cioè che vengono inviate ad anziani
“lettere in cui si chiede di sostenere
la Radio nella sua opera di evangelizzazione corredandole di bollettino conto-corrente e, soprattutto,
sollecitandole a fornire, con la
compilazione di un questionario
allegato, i dati anagrafici, ed a effettuare un ‘lascito testamentario’ al
medesimo fine”. Nell’interrogazione Di Lello chiede ai ministri se in
tale attività non siano “ipotizzabili
abuso della credulità popolare o
addirittura di circonvenzione di
persone in disagio psicologico”.
segue a pagina 3
DELLA DOMENICA
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ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013
TERZO CONGRESSO NAZIONALE DEL PSI - VENEZIA 25-27 OTTOBRE 2013
La questione ineludibile delle alleanze
La questione ineludibile delle alleanze
Scelte difficili, ma inevitabili
Convergenza centripeta di governo
Giuseppe Miccichè
I
n vista del Congresso nazionale,
l’Avanti! della domenica! ha aperto
le proprie pagine al dibattito, che di
fatto era stato iniziato da qualche tempo … in forma ridotta tra le righe di relazioni, dichiarazioni, scritti vari contenenti riferimenti alla difficile vita del
partito, alla necessità di adottare adeguate misure organizzative, ma anche
di concorrere con altri alla costruzione
di un soggetto politico nuovo o di confluire in altro partito.
La discussione che ora si apre ufficialmente si inserisce in un contesto politico in movimento, nel quale la vita dei
partiti appare molto travagliata. Per
alcuni si evidenziano problemi di
ricollocazione, ristrutturazione, ecc.,
per altri addirittura di sopravvivenza.
Questi ultimi riguardano soprattutto i
piccoli partiti.
L’evoluzione legislativa determina nei
consigli regionali, provinciali e comunali la riduzione del numero dei consiglieri e assessori, e a livello nazionale
si prepara l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la riforma
del sistema elettorale, la riduzione del
numero degli eletti alla Camera e la
riforma del Senato. Momenti tristi si
annunziano perciò per le formazioni
politiche minori e minime. Dunque
anche per il PSI.
Non tenerne conto, fingendo che la
cosa non lo riguardi, significherebbe
relegare il partito nella sfera della insignificanza politica e della polverizzazione organizzativa. Stretto tra una
presenza elettorale quasi irrilevante e
le casse vuote, ignorato dai massmedia, mentre si approssima la riforma elettorale, per quanto ancora potrà
vivere autonomamente? Sappiamo che
non sono mancate in passato azioni per
fare riassorbire la diaspora socialista, e
campagne di adesioni tra i delusi a
destra come a sinistra e nel “partito del
non voto”, ma che sempre si sono rivelate vane quando non hanno finito per
portare via dal partito qualcuno dei
promotori. Sappiamo anche che si
sono strette alleanze elettorali con
gruppi diversi, non sempre foriere dei
frutti sperati per la fragilità dei componenti, e che le discese in campo con
lista di partito si sono rivelate disastrose. Sappiamo che s’è tentato più volte
il rilancio del partito sotto l’aspetto
della organizzazione, della elaborazione politica e della visibilità.
Il risultato è sotto i nostri occhi. Abbiamo un partito che è entità troppo
piccola per potere a lungo resistere con
una sua autonomia organizzativa e
politica, e deve perciò ricercare solide
alleanze e vie sicure di sopravvivenza.
Con chi?
Attorno ad esso sono oggi da una parte
Verdi, Rif. Co., Ci, IdV, Rc, dall’altra
Cd, Udc, Sc, Radicali, Sel, Pd. I primi
hanno scelto l’estremismo che l’elettorato non ha mostrato di gradire e
rimangono fuori dai … gusti del partito. Da Cd, Udc, Sc ci dividono tante
cose. I Radicali si caratterizzano per
alcuni obiettivi di lotta che i socialisti
condividono.
Complessivamente,
però, il loro programma, soprattutto
nella parte sociale, non può soddisfare
i socialisti, che storicamente, come
sappiamo, considerano come motivi
irrinunciabili della loro azione i
problemi delle varie categorie lavoratrici. Sul piano elettorale non mostrano
consistenza, e allearsi con essi (ma
fanno parte dell’Alde!) magari in una
riesumata “Rosa nel pugno” (a suo
tempo fallita) equivarrebbe a marciare
uniti verso la disfatta, e questo sarebbe
la nostra fine. SEL, di cui è confortante la richiesta di adesione al PSE,
potrebbe permetterci, come è stato
detto, di conservare “un po’ di socialismo”, cosa non di poco conto in un
tempo di spogliarelli ideologici e
programmatici. Ci sono però, a nostro
vedere, cose che dividono i due partiti,
in particolare la tendenza dei ‘vendoliani’ a farsi attrarre nella sfera del
massimalismo.
Resta il PD (nella sua interezza, non la
fantasiosa “componente revisionista”).
Checché se ne dica a proposito di certe
contraddizioni e insufficienza rilevabili nel suo comportamento, è un partito
che ha fatto parte dell’Internazionale
socialista, ha un posto di primissimo
piano tra le forze progressiste europee,
garantisce l’esaltazione e la difesa dei
diritti civili e del lavoro nella accezione socialista, e ha accolto recentemente nelle sue liste candidati socialisti,
permettendo di eleggerne sette.
È nell’arco delle formazioni sopra
elencate e non al di là, pena lo snaturamento, che il PSI dovrà ricercare i
collegamenti e le alleanze elettorali.
Resterà nello sfondo il problema della
sua sopravvivenza come entità politica
e organizzativa autonoma, cui si fa
cenno nei ricordati interventi sull’Avanti!. E’ un problema che prima o poi
saremo costretti ad affrontare.
Per scioglierlo le strade percorribili
sono due: costruzione con i piccoli
partiti, i gruppi, le associazioni laiche e
riformiste, ecc. di un soggetto politico
nuovo che possa garantire la conservazione di valori propri del socialismo
(democrazia, libertà, giustizia, diritti,
…), o confluenza in altro partito.
Con la ragione, dubitiamo che si possa
optare per la costruzione di un nuovo
soggetto: sarebbe la somma di varie
debolezze e comunque il percorso
risulterebbe molto lungo e accidentato: nel frattempo, prima di raggiungere il traguardo, l’elettorato ci dimenticherebbe.
Di tutto questo in periferia e poi nel
congresso, sulla base degli elementi
informativi e di giudizio che l’evolversi della situazione nazionale porrà a
disposizione, oltre che dei documenti
pre-assise previsti dallo statuto, si
dovrà discutere nei prossimi mesi
approfonditamente al fine di individuare orientamenti sicuri.
Incalzeranno in tale direzione e le
leggi già operanti o in itinere di cui s’è
detto, e la sempre più limitata capacità
di resistenza delle strutture periferiche
di partito.
Discutiamo perciò serenamente, per
far sì che a suo tempo le decisioni
possano essere adottate con forte e
maturata convinzione. A ogni livello
dovranno assolutamente evitarsi movimenti disordinati e “scissioni dell’atomo”, per dirla col Gino Giugni del ’94,
che né il socialismo né il partito e
quanti in essi hanno creduto meritano.
Siamo diventati
tutti americani?
del Bue dalla prima
la capitale. Si dubitava dell’efficacia
della candidatura della Bonino nel
Lazio qualche anno orsono, per via
della sua natura eccessivamente laica. Marino, in questi anni, è salito
agli onori della cronaca per grandi
battaglie laiche e in particolare per
quella sul fine vita.
Non hanno spostato una virgola. Anzi molti cattolici hanno preferito lui
ad Alemanno, mentre il Vaticano,
Direttore Politico
della domenica
Organo ufficiale del
Partito Socialista Italiano
aderente
all’Internazionale Socialista
e al Partito Socialista Europeo
Manfredi Villani
D
al Seminario di Roma del 4 maggio 2013, promosso dall’Associazione culturale “il Socialista” di Milano, si è palesato nella famiglia Socialista lo stimolo per costruire un movimento socialista “largo”, insieme a
nuova leadership. L’obiettivo di quel
convegno si esplicitava con la partenza
sia dal centro ma soprattutto dal basso e
dai territori. Quello che non è stato detto a chiare lettere riguarda l’esistenza in
Italia dal 2007 del contenitore politico
rappresentato dal PSI. A noi del PSI che
abbiamo tenuta accesa, dopo gli anni
difficili dello SDI e del SI, la fiammella
socialista nel nostro Paese va riconosciuto almeno il merito per aver riportato il PSI in Parlamento. Tre senatori e
quattro deputati, nonostante che il Partito non faccia parte del Governo, per
senso di responsabilità identitaria hanno già votato a favore dei provvedimenti ritenuti utili al Paese.
Per il futuro congresso politico il nostro Segretario nazionale Riccardo
Nencini ed il gruppo dirigente, continueranno a lavorare, con l’ausilio de-
IL CORSIVO di Gabriele Maestri
Abolire i rimborsi risolve i problemi?
hiedere “cure dimagranti” alla politica è di moda. E, per carità, in molti
C
casi è sacrosanto. Il problema, al solito, è come ottenere il risultato. Il
governo Letta propone di superare l’attuale sistema di provvidenze pubbli-
che ai partiti: da vent’anni si parla “pudicamente” di “rimborsi elettorali”,
dopo che i cittadini avevano votato in massa per l’abolizione del finanziamento pubblico al referendum del 1993 (proposto dai radicali, cui aderì un
costituzionalista di area socialista come Massimo Severo Giannini).
Il finanziamento pubblico, in sé, non è uno scandalo: se i partiti fossero
quelli ritratti dall’articolo 49 della Costituzione non ci sarebbero obiezioni.
Le cose non sono andate così, la rabbia di chi ha visto sperperi e abusi di
quei denari è giustificata, ma chiudere tutti i rubinetti non pare la soluzione migliore. Il disegno di legge approvato dal governo inizia il percorso alla
Camera, ma i tesorieri dei partiti sono in allarme, di nuovo. Già, perché
l’anno scorso, sull’onda del “caso Lusi” e altri scandali, la politica non
aveva fatto la legge sulla democrazia interna ai partiti, ma con la legge 96
aveva dimezzato i rimborsi (e tagliato stipendi e vitalizi): già allora i partiti
hanno dovuto iniziare a risparmiare, anche sul personale. Chi può sta
“cedendo” collaboratori a cooperative di servizi o a chi è diventato parlamentare, ministro o sottosegretario (con lo scorno di giovani competenti che
vedono venir meno una possibilità di lavoro); se i finanziamenti pubblici
spariranno, cresceranno i problemi.
I più preoccupati, per dire, ricordano che dopo la legge 2 del 1997 si poteva
devolvere al generico finanziamento dei partiti (non a uno in particolare) il
4 per mille dell’Irpef, il doppio della quota di cui si parla in questi giorni.
Allora però le adesioni furono minime e nel 1999 si preferì il più “rassicurante” (e consistente) rimborso elettorale, esteso a più riprese, fino al taglio
dell’anno scorso. Questa volta c’è già chi teme che, anche in mancanza di
una scelta espressa, il 2 per mille andrà comunque ai partiti; il Governo ha
smentito, ma a Montecitorio può ancora accadere di tutto.
Per Ugo Sposetti, (ex?) tesoriere dei Ds, senza soldi pubblici i primi a restare a casa sarebbero “quelli che fanno le pulizie alle 5 del mattino, quelli che
rispondono al telefono, quelli che scrivono i comunicati al computer”. Gente
che – è sempre Sposetti a dirlo al Corriere – guadagna tra i 1000 e i 1500
euro al mese, “non vanno a casa quelli che girano con l’auto blu”. Tutto
vero, forse chi chiede l’abolizione del finanziamento non pensava a questi
effetti; ora che però li conosce, ciascuno potrebbe chiedere a Sposetti, in
tono cortese, “E quelli dell’auto blu, di grazia, come si mandano a casa?”
che qualche anno fa avrebbe aperto i
suoi tentacoli per impedire che Roma venisse presa dagli infedeli, non
ha mosso un dito.
Se osserviamo bene il numero dei
voti arriviamo alla conclusione che
se un polo perde consensi questi non
vanno mai all’altro polo, ma solo all’astensione. Altro che bipolarismo
civile ed europeo.
Letta sostiene che il suo governo dopo il voto è più forte. Ha ragione.
Solo il suo partito poteva indebolirlo. Ma ha vinto le elezioni.
Grazie all’astensione? Ma che importa. Siamo tutti americani, vero
Uolter?
Mauro Del Bue
Segreteria di Redazione
Domenico Paciucci
Direttore Responsabile
Dario Alberto Caprio
Società Editrice
Nuova Editrice Mondoperaio srl
Redazione
Carlo Corrér, Emanuele Pecheux
gli iscritti e dei simpatizzanti, per i valori del socialismo democratico. Non
va sottaciuto che il PSI abbia ancora
un ruolo da svolgere e un richiamo più
ampio alle forze progressiste della socialdemocrazia europea.
Tuttavia non ritengo valida l’ipotesi di
costituire anche in Italia la prospettiva
politica di una “Sinistra riformista” di
governo. La via nuova del PSI è tracciata per la percorrenza di fulcro tra sinistra e destra. Il futuro del Socialismo
italiano, già incarnato nella struttura
politica del PSI, avrà sviluppo imboccando la strada della convergenza centripeta di governo. Se sono rose fioriranno. Nel nome della rosa impressa
sul logo della tessera del PSI lancio un
monito agli improvvidi adepti di movimenti e/o associazioni spurie. Trattasi
del richiamo dell’articolo 49 della Costituzione: tutti i cittadini hanno diritto
di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale.
Quindi il tema: ‘Socialisti, se non ora
quando?’ non può essere altro che un
ampio invito a richiedere la tessera di
adesione al PSI.
Presidente del Consiglio
di Amministrazione
Oreste Pastorelli
Nencini: Renzi e Letta?
Come Veltroni ...
dalla prima
stra”, in modo che “quello che non è
riuscito alle elezioni politiche riuscirà
alle amministrative, Roma in testa”.
Secondo Nencini “potrebbe ripartire
dai Comuni, soprattutto dai più grossi,
non dico una rivincita ma l’impostazione di un lavoro che distinguerà fra
un anno e mezzo, due, la destra italiana dalla sinistra italiana. È il termine
che si dà Letta quando in Parlamento
parla di un anno e mezzo o due per
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Erasmus, un’opportunità
anche per la politica
Leonardo Scimmi
ocalizzando l’attenzione sugli
F
studenti Erasmus, notoriamente a-politici, potremmo scoprire che
i loro interessi non sono a-politici,
ma sono semplicemente trascurati
dai partiti.
In breve non sono gli studenti o ex
studenti Erasmus a non interessarsi alla politica, ma, al contrario,
sono i partiti politici a non avere i
mezzi culturali e concettuali per
intercettare gli interessi ed il
linguaggio degli Erasmus.
Erasmus che poi diventano persone
‘normali’ e prima o poi voteranno,
ma che saranno sempre culturalmente Erasmus, per tutta la vita.
Un po’ come si dice per i Carabinieri.
Sapete quanti sono ogni anno gli
studenti Erasmus?
Intercettare il voto degli Erasmus
ha un doppio beneficio. Primo è
uno scoop, perché non lo fa nessuno; secondo, coinvolgendo energie
fresche ed europee per antonomasia si potrà realizzare il progetto dei
progetti, cioè l’Europa, fornendo al
sogno europeo la classe dirigente di
cui ha bisogno.
È vero che nessuna classe dirigente
diventa tale senza avere coscienza
di essere una classe sociale, ma i
partiti per una volta potrebbero
fare uno sforzo degno della loro
esistenza, gettando il cervello oltre
l’ostacolo e creando gli strumenti
per modificare la società stessa, per
il bene del partito, dei giovani
Erasmus e dell’Europa stessa.
Come fare? Basta puntare sul
progetto di un Erasmus della politica, predisporre una campagna sui
media, presentare un progetto di
legge per valorizzare la loro esperienza, prevedere un beneficio
fiscale per la loro assunzione da
aziende, organizzare un data base a
Roma per collegare i Curricula e
comunque monitorare tutti gli
studenti Erasmus, creare opportunità di scambio fra partiti, incontri
tra delegazioni, creare comitati
Erasmus nei partiti etc.
Certo ricordarsi degli Erasmus
solo per il rimborso del biglietto del
treno seconda classe per andare a
votare è veramente anacronistico e
furbesco. Neanche un Erasmus al
primo anno ci cascherebbe.
compiere il primo giro di riforme, che
inizia ora”.
Esistono “questioni sociali urgenti” di
cui il governo si deve occupare. “Ci sono 3,5-4 milioni di persone - ha spiegato Nencini - che hanno contratti atipici
non protetti da nessuna tutela: se aspetti un figlio e hai un contratto di quel tipo vieni licenziata, non hai diritto alla
pensione e alle ferie. In secondo luogo,
chi ha oltre 40 anni e perde il lavoro incontra difficoltà a ritrovarlo: qui pensiamo a defiscalizzare per l’impresa se assume gli over 40 e li riporta nel mercato del lavoro. Infine, misure di defiscalizzazione a vantaggio delle imprese
per le assunzioni di donne e giovani”.
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ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013
La crescita delle diseguaglianze deprime i consumi frenando la crescita
Cucchi: l’essenza della questione
è che entra vivo ed esce morto
Sono i ricchi che frenano il PIL!
Maurizio Ballistreri
S
embra riecheggiare il “non
possumus”, più volte storicamente utilizzato dai capi della
Chiesa cattolica nei rapporti con il
potere statale, nella politica economica del governo Letta: “vorremo abbassare le tasse, non aumentare l’Iva, sostenere la crescita, il
lavoro e i consumi, ma non possiamo: siamo prigionieri della politica recessiva e di austerity dell’Europa soggiogata dalla Merkel economics!”.
E ciò avviene, proprio nei giorni
in cui è stata mascherata una delle
più grandi imposture della teoria
economica, la cosiddetta “Teoria
del debito” degli economisti (?)
Rogoff e Reinhard, secondo la
quale superare la soglia del 90%
nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione, e che
ha ispirato le politiche di austerity
in Europa, generatrici di povertà
diffuse.
Contro questa falsa teoria il premio Nobel per l’Economia, l’americano Joseph Stiglitz, ha rotto gli indugi e ha formalizzato
in un vero e proprio teorema. È la diseguaglianza il vero killer del Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri il Prodotto interno lordo segna il
passo e, a volte, precipita.
Il teorema di Stiglitz dal fronte keynesiano getta una bomba
oltre le trincee liberiste. Si fonda sul meccanismo di quella
che gli economisti chiamano “propensione al consumo”: i
ricchi ce l’hanno più bassa del ceto medio, dunque se la distribuzione del reddito favorisce i detentori di grandi capitali i consumi si deprimono, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. È invece il ceto medio a consumare quasi
tutto quello che ha in tasca e a spingere Pil ed economia,
Cambiamo noi!
Tre referendum da ...
Pisani dalla prima
ai lavoratori atipici.
Ancora una volta, dunque, proprio
come nel 1974, si ritorna a discutere
di divorzio per modificare una tra le
leggi in materia più vecchie d’Europa
nonostante l’introduzione dell’istituto nel nostro Paese sia stata decisamente tardiva.
La legge italiana sul divorzio prevede
due diverse fasi prima di arrivare
all’annullamento legale del matrimonio. Nel nostro Paese, come in pochi
altri Stati, esiste infatti uno ostacolo
in più: tre anni di separazione. Prima
ci si separa, poi si divorzia aumentando in tal modo il carico economico
delle coppie, raddoppiando i tempi già
lunghi della giustizia nostrana, ingolfando ulteriormente le aule dei tribunali con doppioni di cause. Siamo
dunque ben lontani da ciò che accade
nella maggior parte dei Paesi europei.
Tra le proposte referendarie non c’è
però soltanto il divorzio breve, ma an-
Stampa & Tv
Quello che non vi ...
dalla prima
Senato: Buemi, ‘grillino’ attento, potrebbero diffamarti
“Come insegna anche la vicenda
Malan, c’è qualcuno che esercita la
diffamazione come arte o professione, per vocazione o per interesse”.
Lo dice Enrico Buemi, intervenendo
sulla bagarre tra i senatori M5S e
Lucio Malan, accusato di essere un
‘pianista’. “Dando la mia solidarietà
al senatore Malan, -prosegue
Buemi- cito anche il mio caso: il
quotidiano Libero.it mi ha messo in
testa alla classifica degli assenteisti
di Palazzo Madama. Paradossalmente ha ragione, ma ha commesso un
grave torto: è vero che ho partecipato pochissimo ai lavori dell’Aula,
ma solo perché sono subentrato al
dimissionario Ignazio Marino, appena pochi giorni fa.
Dunque –conclude- anche i ‘grillini’
stiano attenti; parafrasando Nenni,
‘c’è sempre qualcuno che può diffamare anche te’!”.
quando la distribuzione del reddito lo favorisce.
La prova? Il grafico di Stiglitz è
inattaccabile: quando i ricchi (ovvero l’1 per cento più ricco della
popolazione) si è appropriano del
25 per cento del reddito scoppia la
“bomba atomica economica”. È
successo con la Grande Crisi del
1929, altro che le teorie liberiste
che hanno segnato gli ultimi trent’anni: “Gli apologeti della diseguaglianza sostengono che dare
più soldi ai più ricchi - scrive Stiglitz - sarà un vantaggio per tutti,
perché porterebbe ad una maggiore crescita. Si tratta di una idea
chiamata “trickle-down economics” (economia dell’effetto a cascata). Essa ha una lunga storia e
da tempo è stata screditata”.
Così il mainstream va nell’angolo.
Il teorema è chiaro e lucido come
una formula chimica o una relazione fisica: se l’indice di Gini
(ovvero l’indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, appunto Corrado Gini) aumenta, dunque aumenta la
diseguaglianza, il “moltiplicatore” degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena.
La teoria di Stiglitz rischia di essere un nuovo colpo agli assunti della teoria economica dominante ormai vacillanti,
dopo quello del Fondo Monetario Internazionale, ed è sempre più chiaro che la diseguaglianza colpisce fino ad uccidere il Pil, non solo per via della caduta dei consumi, ma anche perché il sistema è “inefficiente” se prevalgono rendite
e monopoli.
Sembra un po’ come l’“elementare Watson” dello Sherlock
Holmes di sir Arthur Conan Doyle, ma per la Merkel e i
chierici dell’austerità di Bruxelles rischia di essere come “le
perle ai porci” di San Paolo!
che il lavoro e l’immigrazione ed in
particolare l’abrogazione degli articoli 4 bis, 5 bis e 10 bis, del Testo Unico sull’immigrazione ovvero le norme
che legano indissolubilmente la possibilità di restare nel nostro Paese alla stipula di un contratto di lavoro e
che prevedono il reato di immigrazione clandestina, un reato che, come
puntualizza il Segretario del Psi, criminalizza una condizione anziché
una condotta.
L’immigrato che perde il lavoro non
può trasformarsi in un irregolare.
Come ha osservato il radicale Staderini, per evitare che centinaia di migliaia di lavoratori extracomunitari
siano sottoposti ai ricatti dei datori di
lavoro dai quali dipende oggi la loro
possibilità di restare in Italia, occorre
consentire il loro soggiorno nel nostro Paese anche senza lavoro. Per il
responsabile immigrazione della Cgil,
Piero Soldini, che ha aderito a titolo
personale alla raccolta firme, l’attuale quadro legislativo non rappresenta
infatti un modello capace di governare un fenomeno complesso come
quello migratorio.
Proposte dunque che esprimono insieme maturità e qualità politica, come sottolineato dallo stesso Segretario del Psi che si è impegnato a chiedere ai parlamentari del centrosinistra di aderire all’iniziativa.
La scelta dello strumento referendario non è poi casuale. Come ha osservato Marco Di Lello, si tratta di temi
prioritari per il Paese, ma non per la
maggioranza del Parlamento, per
questo è stata scelta la strada del rapporto diretto con i cittadini.
Gli italiani potranno infatti esprimersi direttamente su questioni che altrimenti resterebbero fuori dall’agenda
politica nazionale nonostante riguardino milioni di persone. Le Istituzioni
e i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno infatti mai
avuto una grande sensibilità per i diritti civili, come ha sottolineato il Segretario del Psi nel corso della prima
assemblea del comitato promotore referendario ‘Cambiamo noi’, anche se
simili richieste di cambiamento sono
nel cuore della maggioranza degli italiani.
REFERENDUM. SERVONO 500 MILA FIRME IN TRE MESI
Divorzio breve, revisione della Bossi-Fini e abrogazione del reato di
clandestinità, abolizione della pena
detentiva per fatti di ‘lieve entita’’ in
tema di droghe, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, lasciare allo Stato la quota di 8 per
mille di chi non esercita l’opzione.
Sono i quesiti referendari della campagna ‘CambiamoNoi’, presentata e
lanciata venerdì sette a Milano, da
un fronte ampio costituito da partiti
e associazioni. Obiettivo raccogliere
500mila firme in poco più di tre mesi per arrivare al voto entro giugno
2014. Nel Comitato promotore, assieme al Partito socialista, anche i
Radicali, Sinistra Ecologia e Libertà, l’associazione Antigone, Forum
Droghe e l’Associazione Luca Coscioni. Cinque i temi su cui verrà avviata la raccolta firme: divorzio breve (‘per eliminare l’obbligo dei tre
anni di separazione prima del divorzio’, hanno spiegato alla presentazione), droghe (‘per passare dalla
detenzione alla sanzione pecuniaria
per la coltivazione domestica e il
possesso e trasporto di ‘quantitativi
medi’ di stupefacenti’), finanziamento pubblico ai partiti (‘per abolire finanziamento e rimborsi’), otto
per mille (‘per destinare allo Stato
quei 600 milioni di euro derivanti da
quel 60% di cittadini che ogni anno
non sceglie’), lavoro e immigrazione
(‘per l’abrogazione del reato di
clandestinita’ e modificare quelle
norme discriminatorie che comportano la perdita del permesso di soggiorno per quegli immigrati che perdono il lavoro’). Il Psi però si impegnerà a raccogliere le firme soltanto
per due quesiti , sulla Bossi Fini e
per il Divorzio breve.
L’obiettivo - hanno annunciato tra
gli altri il consigliere comunale milanese Radicale, Marco Cappato, i
parlamentari socialisti, Pia Locatelli e Marco Di Lello, e la coordinatrice lombarda di Sel, Chiara Cremonesi - è di raccogliere le firme necessarie (anche con banchetti alle feste
estive dei partiti coinvolti) ‘entro fine settembre, in modo da arrivare a
votare entro giugno 2014’.
Valter Vecellio
A
un ministro della Giustizia non si
può, evidentemente, chiedere di
più, al momento almeno. A sentenza
ancora fresca d’inchiostro, e in attesa
di conoscere come sia stata motivata,
Annamaria Cancellieri, dopo aver
premesso che essere “… donna di Istituzioni e non mi appartiene dare giudizi sull’operato della magistratura”,
ha comunque espresso “alla sorella di
Stefano Cucchi solidarietà, una grandissima partecipazione perché sono
consapevole che quello è un dolore
che nessuno ha lenito”.
Noi però non siamo legati a doveri ministeriali, e quindi possiamo esprimerci con maggiore libertà. Per quel che
riguarda la vicenda Cucchi, le chiacchiere stanno a zero, e se attendiamo
le motivazioni della sentenza è solo
per conoscere quali funambolismi giuridici hanno consentito il verdetto che
è stato emesso.
A noi la questione, ridotta all’osso,
pare questa: un cittadino entra vivo in
una istituzione dello Stato; ne esce
morto.
Non siamo disposti a transigere su una
questione “elementare”: se lo Stato,
attraverso una sua articolazione, priva un cittadino della sua libertà, automaticamente diventa garante e responsabile della sua incolumità, della
sua integrità fisica e psichica. Senza
“se” e senza “ma”.
Cucchi, privato della sua libertà – ripetiamo: poco importa il motivo per
cui lo si è fatto – è entrato vivo; è uscito morto. È da qui che occorre partire,
questi sono i termini della questione,
questo è lo scandalo. E nello scandalo
la sconcertante vicenda processuale,
che si è trascinata per ben quattro anni, e siamo solo al primo grado. Quella di Stefano è la storia di un ragazzo
morto mentre si trovava nelle mani
dello Stato. Un ragazzo arrivato a pesare 37 chili, con il volto tumefatto,
l’occhio destro rientrato nell’orbita,
gonfio, con i segni evidenti del pestaggio patito.
Prima di arrivare al Pertini, Cucchi
ha avuto a che fare con carabinieri,
agenti di custodia, magistrati. Nessuno si è reso conto delle condizioni di
Cucchi, in quel lungo periodo di de-
tenzione che precede il ricovero in
ospedale?
Sostenerlo è un’offesa alla nostra intelligenza, come un oltraggio è non
aver individuato (non aver voluto individuare?) i responsabili di tale scempio. Responsabili che sono più d’uno:
gli autori materiali del pestaggio, e
chi l’ha coperto, chi ha visto e girato
lo sguardo altrove, chi ha sentito e non
ascoltato, chi ha taciuto, chi non ha
fatto, potendo e anzi, dovendo, fare.
Cucchi per tutti quei giorni ha disperatamente chiesto di poter parlare con
il suo avvocato. Un diritto che gli è
stato negato. Questa grave violazione
non la si può imputare ai medici.
Stefano Cucchi ha subito un brutale
pestaggio; questo pestaggio non può
essere imputato ai medici. Altri ne sono gli autori, che al momento restano
impuniti.
Non mancherà ora qualcuno che ci
esorterà a non abbandonarci in frettolosi e superficiali giudizi, ci ricorderà
che occorre conoscere le motivazioni
che hanno portato i giudici della terza
sezione della Corte d’Assise di Roma.
In linea di principio e in generale, si
tratta di “regole” sensate, che è bene
osservare. In questo caso, però è tutto
chiaro e “semplice”: Cucchi entra vivo, esce morto.
Si può discutere, dibattere, chiarire,
smentire, l’accaduto lo si può declinare in tanti modi. Ma il punto di partenza, incontrovertibile, indiscutibile, è
sempre uno, lo stesso: Cucchi entra vivo, esce morto.
E non si tratta, purtroppo, di un episodio isolato: la lista di casi analoghi è
lunga: Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Francesco Mastrogiovanni, Federico Aldrovandi, Aldo
Branzino …
Nessuna generalizzazione, per carità:
poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria, fanno un lavoro duro, faticoso, difficile, rischioso. Non si
finirà mai di dire loro grazie per quel
che fanno. Ma proprio per questo casi
come quello di Cucchi ci risultano
molto più intollerabili e “bruciano”.
Entrare vivi in un “luogo” dello Stato,
uscirne morti, si tratti di un carcere, di
una caserma, di una questura: no, non
è accettabile, non è giustificabile; non
va accettato o giustificato.
IL DITO NELL’OCCHIO
I saggi e la saggezza
isognerebbe tornare a Platone. Al suo governo dei saggi. Cioè
B
dei filosofi, gli unici che avevano la possibilità di scrutare nel
mondo delle idee. Era un modello istituzionale di tutto rispetto.
Con un evidente conflitto d’interesse, essendo lui stesso, Platone, un filosofo. E dunque proponendosi di fatto come il più saggio di tutti. Dunque
come il naturale capo di tutti i governi. Sarebbe come se in Italia si proponesse un governo delle banche presieduto da un esponente del mondo
bancario. Oddio, Monti non veniva dall’Iperuranio. Il problema di Platone derivava dalla difficoltà di realizzare il suo progetto. Andava e veniva
da Siracusa, ospite dei governati locali, ma ogni volta ne trovava uno
diverso e finiva sempre per essere cacciato e anche imprigionato.
Avrà pensato: “Che razza di Paese però l’Italia dove i governi cambiano
così in fretta…”. Non era arrivato ancora a pensare ai giorni nostri. D’altronde, a forza di stare nell’Iperuranio può accadere. La verità è che tra
i saggi e la saggezza c’è di mezzo il mare.
Quello che separa Grecia e Italia. E che d’estate è assai frequentato
anche a fronte della crisi che ha rischiato di far precipitare entrambi i
Paesi nel baratro. Così capita ancor oggi che i saggi vengano scelti senza
occuparsi della loro saggezza.
Prendiamo quelli nominati da Napolitano che avrebbero dovuto elaborare un programma di governo comune. A cosa sono pervenuti dopo giorni
di intenso lavoro? A stabilire, ad esempio, che tra le riforme possibili vi è
il semipresidenzialismo alla francese, e che sulla legge elettorale esistono
posizioni diverse? È saggio ammettere di non essere riusciti nell’intento.
Errare humanum, sed perseverare diabolicum.
E invece ecco che i saggi vengono riproposti elevando il loro grado a più
numerosi aspiranti. Ben 35 platonizzanti, ma in Grecia il diploma di
saggio-filosofo si otteneva solo dopo tre cicli di scuola, si arrogano ora il
diritto di fare proposte di riforma istituzionale e costituzionale.
Chi li ha eletti? Nessuno. Da chi hanno ottenuto un così elevato riconoscimento? Dal presidente Letta. Ma sbirciandone i nomi, risulta all’occhio che sono stati tenuti presenti i soliti equilibri politici. A un Violante
corrisponde un D’Onofrio. E via equilibrando. Che non ci sia neppure un
socialista, nemmeno l’ex presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non stupisce.
I sette parlamentari del Psi battano un colpo. Resta il fatto che a costoro
spetterà la prima mossa. Vuoi vedere che arriveranno alla stessa conclusione dei saggi precedenti, che sono poi in certa misura quelli attuali?
Non vorrei che a Letta capitasse quel che capitava ai governanti di Siracusa dopo ogni viaggio di Platone.
E che facesse anche lui una brutta fine. Non è mai saggio fidarsi troppo
dei saggi….
DELLA DOMENICA
4
www.partitosocialista.it
ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013
Mauro Del Bue
rivoluzione di scegliere la violenza, che erano
“brave persone”. O l’analisi di Prampolini sulla
dittatura del proletariato. Essendo il proletariato
la maggioranza perché non servirsi della democrazia?
È
per me un grande onore essere qui a celebrare una delle più significative personalità del
mondo socialista italiano. Ringrazio chi mi ha
chiesto di commemorare Giacomo Matteotti in
occasione dell’ottantanovesimo anniversario del
suo martirio. Mi diffonderò sulla sua vita di socialista, sul delitto e le sue motivazioni, sull’attualita del suo messaggio politico.
Giacomo Matteotti era un socialista padano. Come il mio Prampolini, come il cremonese Leonida Bissolati, come il ravennate Nullo Baldini, come il bolognese Giuseppe Massarenti. Anche se
rispetto a Prampolini e Bissolati egli non apparteneva alla prima generazione socialista, quella che
aveva fondato il partito nel ferragosto del 1892,
costruendo già prima le sue fondamenta. Apparteneva però a quella stessa tendenza, alimentata
di spirito pragmatico e di forte impulso ideale.
Come quelli che lo avevano preceduto, come lo
stesso Filippo Turati, Matteotti era stato avvinto
dal socialismo come fonte di giustizia alle prese,
com’erano tutti costoro, con la miseria opprimente delle popolazioni delle campagne, che faticavano a sopravvivere nonostante il duro lavoro ed
erano vittime di gravi malattie e di una morte precoce.
I socialisti sentivano amore per i più deboli, amore di giustizia, che aveva saputo rapire anche
l’autore di Cuore, Edmondo De Amicis, il quale
scrisse il fondo dell’Avanti in occasione del primo maggio del 1897, cinque mesi dopo la nascita del quotidiano socialista, il Natale del 1896.
Giacomo Matteotti sapeva che per perseguire i
suoi ideali non avrebbe dovuto attendere mitiche
ore X, quello sciopero generale al quale faceva riferimento il soreliano Arturo Labriola, che poi si
convertì al riformismo, più tardi flirtò col fascismo e poi morì comunista.
Una delle differenze sostanziali tra riformisti e rivoluzionari, se ci pensate bene, è che i riformisti,
tranne casi eccezionali, rimasero tali per tutta la
vita, spesso i rivoluzionari cambiarono invece le
loro convinzioni iniziali. Pensiamo, al di là del
caso Mussolini che certo è il più eclatante, a quello di Nicola Bombacci che fondò con Bordiga il
Partito comunista a Livorno nel 1921 e poi morì
impiccato a testa in giù con la Buonanima. Turati, Prampolini, Treves, Matteotti rimasero loro
stessi. E oggi ci propongono la sola versione di
socialismo che non sia stata ripudiata dalla storia.
Giacomo Matteotti era nato a Fratta Polesine il
22 maggio del 1885 da una famiglia benestante,
anche se di umili origini. Frequentò le scuole a
Rovigo e si laureò in Giurisprudenza a Bologna
nel 1907. La stessa laurea di Turati, di Prampolini, di Treves, lo stesso percorso di avvicinamento
al socialismo. Più vicino al messaggio di Benoit
Malon che di Marx, più attento all’ultimo Engels
che ipotizzava con l’espandersi del suffragio universale una evoluzione democratica verso il socialismo, che non alle infatuazioni sindacaliste rivoluzionarie del primo novecento che prospettavano la violenza rigeneratrice e che poi verranno
recepite anche da un altro messaggio politico, anche Matteotti si accosta al socialismo con una
concezione costruttiva. E inizia a lavorare per la
conquista dei pubblici poteri nelle amministrazioni locali, è infatti consigliere provinciale socialista di Rovigo nel 1910, mentre nel Psi ancora prevaleva la maggioranza riformista di Turati e
l’esigenza di collaborare coi liberali alla Giolitti,
per tutelare e allargare i diritti dei lavoratori.
Di lì a un anno la fiducia in Giolitti vacillò. E
quando il leader piemontese iniziò l’impresa coloniale di Libia la corrente riformista del Psi si
spaccò. Da una parte Turati, Treves, Prampolini,
lo stesso Matteotti, sia pur da un avamposto provinciale, dichiararono conclusa quell’esperienza,
dall’altra Bissolati, Bonomi, Cabrini, invece, ritennero che la collaborazione dovesse continuare. I riformisti si divisero e ne approfittarono i rivoluzionari, tra i quali emerse con forza il carattere deciso e spavaldo di un giovane romagnolo
nato a Predappio, quel Mussolini che di Matteotti diverrà il principale bersaglio dopo la sua conversione fascista. E che lo ripagherà come sappiamo.
Al congresso di Reggio Emilia del 1912 i riformisti di destra vennero espulsi dal Psi dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Mussolini, che
di lì a poco diverrà anche direttore dell’‘Avanti!’.
E da allora la componente riformista resterà sempre in minoranza nel partito fino al congresso di
Palermo del 1981. Matteotti, come Turati, Treves, Prampolini, Zibordi sarà poi su posizioni decisamente neutraliste di fronte al primo conflitto
bellico, contrariamente a Bissolati e allo stesso
Mussolini, che nel 1914 si distaccherà per questo
dal Psi fondando, anche grazie ai finanziamenti
del governo francese, il quotidiano ‘Il Popolo
d’Italia’, di orientamento interventista. Matteotti,
così come sarà il più deciso tra i riformisti a condannare il primo fascismo, scrutandone le pieghe,
indagandolo nelle cause, denunciandone i soprusi, così fu il più intransigente tra i riformisti a
condannare la guerra. Venne per questo minacciato dai nazionalisti e dopo un discorso tenuto
nel 1916 fu addirittura condannato e internato a
Messina per qualche tempo. Era evidente che la
concezione costruttiva del socialismo, quella che
Matteotti, Turati, Prampolini
espulsi dal Psi
su ordine di Lenin
Il 10 giugno 1924 veniva rapito e assassinato dai sicari del dittatore fascista
Matteotti ha ucciso Mussolini!
Il suo messaggio si mostra per taluni versi a noi ancora attuale. Quello di un socialista riformista attento ai temi del lavoro e della solidarietà, che lottava nel suo territorio
polesano per il riscatto delle plebi oppresse dalla miseria e dalla malattia.
Quello di un democratico che sfida un regime costruito sulla violenza e la denuncia con
ostinazione. Oggi Matteotti e più vivo che mai
nel 1921 a Livorno, Turati volle sottolineare come “il socialismo che diviene nelle cose e nelle
teste” e che non è “il miracolo di un giorno o di
un’ora”, e che “non diviene per altre vie che questa, perché ogni scorciatoia non fa che allungare
il cammino”, perché “la via lunga è la sola breve”, quella composta di pubbliche amministrazioni da conquistare democraticamente, di sindacati e cooperative, di giornali e scuole pubbliche,
di servizi municipalizzati, fermentata da organizzazione, educazione, riscatto, era evidente che
tutto questo presupponesse il mantenimento e il
rafforzamento della democrazia. La via riformista senza democrazia era un vicolo cieco. Una vita senz’aria. Ecco perché furono soprattutto i riformisti a battersi contro il fascismo già dall’inizio, mentre i rivoluzionari comunisti pensavano
che in fondo tra dittatura e democrazia borghesi
non ci fosse differenza, e che anzi la prima potesse consentire di avvicinare l’ora della rivoluzione
proletaria.
Ecco perché furono soprattutto
i riformisti
a battersi contro il fascismo
Furono personaggi come Matteotti, Zibordi, lo
stesso Carlo Rosselli, oltre a Piero Gobetti, che
indagarono il fenomeno fascista, ne afferrarono
la pericolosità e anche il livello alto di popolarità
che poteva raggiungere in Italia a seguito della
vittoria in guerra e dopo il tentativo, dopo l’ottobre bolscevico del 1917, di fare come in Russia.
Due vie nuove, quella fascista e quella comunista, si erano così aperte per un’Italia in subbuglio
in un dopoguerra in cui anche i socialisti compirono il grave errore di non capire le esigenze dei
combattenti, che erano tornati dal fronte dopo un
bagno di sangue che era costata la vita a 650 mila italiani, più del doppio delle vittime della seconda guerra, prevalentemente giovani e giovanissimi, e che aveva gettato nel lutto una parte
cospicua di famiglie. Coloro che avevano avuto
la fortuna di ritornare erano spesso osteggiati,
mentre nei comuni conquistati dalla sinistra si
gettavano alle ortiche le bandiere tricolore sostituendole con quelle rosse.
Perfino Turati venne processato politicamente al
congresso di Roma del 1918 perché aveva assunto, dopo Caporetto, una posizione favorevole alla
difesa in armi del suolo patrio, minacciato dall’invasione austro-tedesca. La maggioranza del
Psi s’infatuò, nell’immediato dopoguerra, del mito bolscevico e indicò nella dittatura del proletariato il suo obiettivo strategico.
Si allargarono ancora più le distanze dentro il
partito e al congresso di Bologna, nel 1919, il Psi
scelse addirittura di aderire alla nuova Internazionale comunista, contro il parere dei riformisti divenuti nel frattempo una ristretta minoranza. In
quell’anno Giacomo Matteotti divenne per la prima volta deputato. In quelle consultazioni politiche, le prime col suffragio universale con soglia
di accesso a 21 anni, ma che continuava ad escludere le donne, e col metodo proporzionale, il Psi
raggiunge il suo massimo storico col 32 per cento dei consensi. Nelle consultazioni precedenti,
quelle del 1913, era stato eletto nel collegio di
Lendinara, in provincia di Rovigo, Giuseppe Soglia, un maestro romagnolo che era stato chiamato a Reggio Emilia per dirigere le scuole comunali. Una sorta di felice invasione reggiana nel
Polesine. Il Psi, nel 1919, era il primo partito e assieme ai popolari di Sturzo, neonati, disponeva
della maggioranza del Parlamento italiano. Ci
voleva poco a dar vita a un governo progressista.
E invece i neo bolscevichi del Psi, da Serrati - che
poi si rifiutò di espellere i riformisti nel 1921,
disattendendo i 21 punti di Mosca, cosa che invece fece nel 1922 - e con lui Gramsci - che sparava le sue raffiche contro i riformisti dalla colonne
dell’Ordine nuovo - e con loro Bombacci e Bordiga, pensavano ad altro. Non alla via parlamentare, ma a quella insurrezionale. Si allargò un
conflitto politico ed etico.
Famosa la battuta dei tre pellegrini socialisti a
Mosca Lazzari, Maffi e Riboldi di fronte a Lenin,
i quali risposero, all’intimazione del padre della
Sul mito russo il Psi si divise addirittura in tre fra
il 1921 e l’ottobre del 1922. A Livorno, nel gennaio del 1921 nacque il PCdI, e nel 1922 i riformisti furono espulsi dal Psi, che voleva unificarsi
coi comunisti, nel 1924 Nenni lo impedirà, e naque il Psu del quale Giacomo Matteotti fu segretario.
Matteotti, Turati, Prampolini espulsi dal Psi su
ordine di Lenin, un atto che rappresenta una delle pagine più nere della sua storia, una storia che
in realtà rinacque proprio grazie al Psu di Matteotti. Il segretario del nuovo partito socialista si
schierò subito a favore dell’unità dei socialisti e
nel 1924, dopo l’uscita dal Psi di Serrati e dei terzinternazionalisti, definiti terzini, che avevano
direttemente scelto di iscriversi al Partito comunista, propose l’unità di tutti i socialisti specificando di essere sempre stato “favorevole all’unità perché, al di sotto delle frasi e delle forme”,
egli scrive, “ho sempre visto una identità sostanziale tra tutti i socialisti e un’antitesi netta soltanto col comunismo”.
Questo articolo venne pubblicato su “La Giustizia”, organo nazionale del Psu, a poche settimane
dal suo discorso parlamentare. I massimalisti del
Psi giudicavano impossibile l’unità col partito di
Matteotti che non comprendesse anche i comunisti, proprio mentre il partito di Matteotti lanciava
un’offensiva senza precedenti contro il fascismo.
Matteotti aveva scritto nel 1923 un opuscolo di
cento pagine, “Un anno di dominazione fascista”,
che malgrado il sequestro a cui era stato sottoposto egli cercò di diffondere in tutta Italia. Già nel
1921 Matteotti aveva scritto l’‘Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia’, che denunciava le violenze durante la campagna elettorale del
1921.
Il suo martirio è sempre stato messo in relazione
alle clamorose denunce contenute nel suo discorso parlamentare del 30 maggio del 1924. Fu Matteotti a denunciare i brogli e le irregolarità delle
elezioni e ad accusare il governo di Mussolini di
aver così violato più volte la legge. Matteotti, più
che non altri, riteneva che nei confronti del fascismo non ci fosse altro da fare se non l’azione più
risoluta per la denuncia delle illegalità e della
violenza. S’era opposto recisamente a qualsiasi
dialogo con Mussolini sconfessando i tentennamenti di Gino Baldesi e dello stesso Ludovico
D’Aragona. Nel suo discorso tenuto alla Camera
era stato più volte interrotto. Aveva proposto con
un ordine del giorno di annullare le elezioni, ordine del giorno bocciato dalla maggioranza. Una
volta terminata la seduta avrebbe confidato all’amico Giovanni Cosantini: “Adesso preparatevi a
fare la mia commemorazione”.
La repressione scattò subito. Nel pomeriggio del
10 giugno Matteotti scompare. Si viene subito a
sapere che è stato aggredito da cinque sconosciuti e portato a forza nella loro automobile. Poco
giorni dopo la sconcertante rivelazione. Matteotti é stato ucciso. I presunti responsabili vengono
subito arrestati. L’opposizione parlamentare manifesta immediatamente la sua protesta per il barbaro omicidio e dedice di astenersi dai lavori parlamentari. Nasce il cosiddetto ‘Aventino’.
Si risalì subito all’auto usata per il prelevamento
di Matteotti. Apparteneva a Filippo Filippelli, direttore del Corriere italiano. La Camera chiuse i
lavori e vennero arrestati, tra gli altri, Cesare
Rossi, capo ufficio stampa della presidenza del
Consiglio che chiamerà in causa lo stesso Mussolini quale mandante dell’omicidio, Giovanni Marinelli, Filippo Filippelli e Amerigo Dumini,
squadrista toscano, stipendiato dalla presidenza
del Consiglio, assieme agli altri uomini che con
Dumini facevano parte della banda (Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo, Auguto
Malacria, tutti provenienti dall’arditismo milanese). Recentemente la pubblicistica sul delitto
Matteotti avanza la tesi di un coinvolgimento nell’assassinio del leader socialista di ambienti legati all’alta finanza e alla monarchia, che proverebbe, per alcuni, la completa estraneità dal delitto di
Mussolini, mentre per altri, pur con un movente
diverso, la confermerebbe appieno. Il movente
sarebbe costituito dal pericolo dell’esplosione di
uno scandalo a seguito di un’annunciata interpellanza di Matteotti sulle tangenti pagate dalla società prolifera Sinclair, il cui testo sarebbe stato
contenuto nella cartella sequestrata al momento
del suo prelevamento e mai più rintracciata. Per
alcuni queste tangenti avrebbero interessato direttamente la monarchia, per altri il governo.
Può anche essere che le ragioni fossero piu d’una.
di carattere politico e anche morale. Questo nulla
toglierebbe alla nobiltà del gesto di Matteotti.
Anzi, ne verrebbe vieppiù accresciuta la sua for-
DELLA DOMENICA
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ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013
Ricordo di Saragat, a 25 anni dalla scomparsa
za di combattente contro le violenze, la sopraffazione, l’immoralità. Il delitto sarebbe stato intenzionale secondo il figlio di Matteotti, Matteo, e
glielo, avrebbe confermato l’autore, piangente, il
Poveromo, in carcere nel 1951, poco prima di
morire. Su Matteotti Turati ebbe parole ispirate
alla più sentita commozione. Disse di lui: “Egli
era il più forte e il più degno”.
Il delitto Matteotti colpì al cuore il regime, che
barcollò. Il fallimento della tattica aventiniana, la
divisione dei partiti antifascisti, il ritorno in aula
dei comunisti, finirono per indebolire la linea politica dell’opposizione e il fascismo riuscì a reggere a quello che poteva essere il preludio della
sua fine. Reggerà per altri vent’anni. Ma il mito
di Matteotti durerà assai di più. E sarà consegnato alla storia come il sacrificio più puro di un temerario, eroico cavaliere della democrazia. Il suo
coraggio resterà scolpito nella memoria di tutte le
coscienze. Si potrebbe perfino paradossalmente
sostenere che è stato Matteotti a uccidere Mussolini e non il contrario.
Il suo messaggio si mostra per taluni versi a noi
ancora attuale. Quello di un socialista riformista
attento ai temi del lavoro e della solidarietà, che
lottava nel suo territorio polesano per il riscatto
delle plebi oppresse dalla miseria e dalla malattia. Quello di un democratico che sfida un regime
costruito sulla violenza e la denuncia con ostinazione. Oggi Matteotti e più vivo che mai e dispiace che qualcuno voglia prendersi gioco della
sua vita di uomo politico, di socialista democratico. Come furono i suoi figli, Matteo, segretario
nazionale del Psdi, poi socialista autonomista del
Psi, e poi, ancora, ministro socialdemocratico, e
Giancarlo, più volte parlamentare, che seguì il
fratello nel partito di Saragat a qualche anno distanza e che ho avuto il piacere di conoscere nei
corridoi della Camera dei deputati, dove a volte
mi incrociava soffermandosi a parlare di politica
con me.
una profonda crisi di democrazia, con parlamentari nominati dai leader dei partiti e non scelti dai cittadini, con sindaci, presidenti di province e regione
che nominano i loro assessori, con listini regionali
che cooptano i consiglieri, mentre abbiamo deciso
di sopprimere le circoscrizioni nelle città con meno
di 250 mila abitanti e di eliminare, nella istituzione
provinciale, l’unico ente elettivo e cioè il Consiglio. Se sommiamo tutto questo al ruolo preponderante che l’informazione ha assunto nell’orienta-
E così si riaccende il fuoco del riscatto sociale,
del lavoro che oggi sfugge, soprattutto alle nuove
generazioni, in una società che pare costruita all’incontrario. Cogli anziani che mantengono i
giovani e col futuro che si nega a chi ne ha più diritto. Restano scolpiti in noi i valori della libertà
e della giustizia sociale per affermare i quali hanno lottato uomini come Matteotti. E noi vogliamo continuare a combattere ricollegandoci a loro
perché solo un partito che ha una storia è degno
mento della pubblica opinione, al fatto che in tre
salotti televisivi si può decidere la vita o la morte
dei partiti, e alla rete informatica che spesso non è
neutrale e che soprattutto divide l’opinione pubblica tra chi sa destreggiarla e chi no, ne ricaviamo
che il tema della democrazia, quello per difendere
la quale Matteotti è morto, si ripropone oggi sia pur
in forme e modi assai diversi.
di avere un futuro, anche se non dispone di un solido presente.
Questi siamo noi, noi che ci consideriamo eredi
della bella storia del socialismo riformista e democratico, della bella storia di un’anima candida
quale è stato Giacomo Matteotti.
(testo della commemorazione tenuta
a Fratta Polesine il 9 giugno 2013)
Oggi viviamo in un sistema
politico con partiti senza storia e
a volte anche senza idealità
Ho avuto modo di leggere qualche giorno orsono
un articolo, che riprendendo una recente pubblicazione, conteneva accuse alla famiglia di Matteotti, che non riprendo, perché fuori tema e luogo, e critiche anche su di lui, a proposito delle
violenze che si consumarono nel biennio rosso
nella sua provincia.
Francamente non comprendo come egli avrebbe
potuto, in una realtà arretrata e densa di lotte aspre,
controllare e guidare ogni lega, ogni sollevazione,
ogni occupazione, ogni fermento sociale. Ma accusare Matteotti di essere complice o quanto meno
neutrale rispetto a quasiasi forma di violenza, lui
che è morto per le sue denunce contro la violenza,
mi pare assurdo e paradossale.
Viviamo oggi in un sistema politico con partiti senza storia e a volte anche senza idealità. Posso anche
aggiungere che negli ultimi anni abbiamo vissuto
NENCINI. I FRATELLI ROSSELLI, MTTEOTTI E SARAGAT: PROTAGONISTI E TESTIMONI DEL VALORE DELLA LIBERTÀ
Ricorrono in questi giorni gli anniversari della scomparsa di tre maritri socialisti e di una persoanIità che più di chiunque altro incarnò e seppe indicare alla sinistra italiana i valori del socialismo democratico. I fratelli Rosselli e Giacomo Matteotti, barbaramente trucidati dai fascisti restano i simboli della lotta che i socialisti e gli antifascisti condussero in nome della libertà e della democrazia fino al supremo sacrificio delle loro vite.
Giuseppe Saragat, anch'egli perseguitato dal regime mussoliniano, dopo la
liberazione, fu il socialista dell'eresia e dell'anticonformismo fino al punto
Da Matteotti a Grillo.
La democrazia non ...
Di Lello dalla prima
“Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”, disse tenendo sospesa sulla testa dei parlamentari la minaccia fisica della violenza fascista.
Un modo per incutere timore e costringere i neo eletti a non contrastarlo.
Passano gli anni, ma per la prima volta
dopo quasi 90anni, siamo costretti ad
ascoltare quasi ogni giorno parole pesanti che irridono le Istituzioni. Nessuno le prende davvero sul serio perché
chi le pronuncia non possiede neppure
lontanamente le capacità oratorie, organizzative, politiche di Mussolini. Il
suo mortale potenziale distruttivo.
Però dobbiamo stare attenti. Le parole,
quando sono un puro esercizio di demagogia intrisa di menzogne, quando
non si confrontano mai in un pubblico
contraddittorio, sono solo veleno che
intossica. La lezione di Matteotti è nelle parole stesse con cui Mussolini si
assunse la responsabilità di quanto accaduto: “Se tutte le violenze sono state
il risultato di un determinato clima sto-
compiere scelte dolorose che non furono comprese ma anzi avversate e che
oggi si rivelano come profetiche.
Il denominatore comune che ha unito in un unico filo rosso questi grandi
socialisti che ricordiamo con orgoglio è stato l'amore per la democrazia, l'uguaglianza e la libertà.
E, poichè essi sono un patrimonio della memoria per tutti gli italiani, ci sarebbe piaciuto, che in nome di questi valori, venissero ricordati non solo da
noi socialisti.
rico, politico e morale, ebbene a me la
responsabilità di questo, perché questo
clima storico, politico e morale io l’ho
creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”.
La colpa che veramente diamo a chi ha
definito solo l’altro ieri quest’Aula come una “tomba maleodorante della Seconda Repubblica” è che 89 anni dopo
Matteotti, ci costringe a difendere l’onore di queste Camere, ad esprimere
solidarietà alla sua Presidente, quando
invece ogni risorsa intellettuale, ogni
secondo di lavoro, dovrebbe essere
speso a contrastare la distanza crescente tra ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri.
Non ci serve la propaganda, ma una ricetta seria per un lavoro sempre più rarefatto. Non ci servono gli insulti, ma
le parole per ridare fiducia a giovani
che si perdono perché non hanno futuro. Non ci serve un’altra democrazia,
ma di rafforzare questa, che è diventata fin troppo liquida. Ci serve di riprendere il cammino di Giacomo Matteotti, da lì dove l’ha lasciato.
E sono certo che in quest’aula i deputati e la deputata socialista troveranno
tante compagne e tanti compagni di
lotta a difesa della nostra democrazia.
Una chance
di rilancio ...
Labellarte dalla prima
pulsiva. Tutto ciò non costituisce certo una novità: il processo di disaffezione alla politica, che in qualche
modo si accompagna ineluttabilmente alla sua progressiva personalizzazione, non è certo fenomeno che si
manifesta oggi. Innegabile tuttavia
che stia assumendo nel nostro Paese,
anche in relazione a ciò che accade in
Europa, dimensioni pericolose per la
stessa legittimazione delle nostre istituzioni democratiche.
Dobbiamo anche noi rassegnarci alla
tendenza in atto, che appare impossibile da contrastare, anche per forze
ben più radicate della nostra? È pensabile che il PSI, anziché accettare fatalisticamente la rassegnazione dell’elettorato e la sua ricerca disperata
di nuovi interlocutori finalmente credibili come dati negativi e incontrovertibili, possa trasformarli in una
chance di rilancio?
Difficile. Molto, molto difficile. Non
impossibile.
“La cosa importante
è avere degli ideali”
Gian Franco Schietroma
L’
11 giugno 1988 veniva a mancare uno dei
grandi padri della Repubblica, Giuseppe
Saragat. A 25 anni dalla scomparsa dello statista,
è opportuno ricordarlo anche perché, a fronte degli ormai frequenti esempi di cattiva politica, c’è
bisogno di richiamare l’attenzione dell’opinione
pubblica e, soprattutto, dei giovani verso personaggi che si sono contraddistinti per integrità
morale e per straordinario spessore.
Saragat fu coerentemente socialista democratico
e da questa impostazione ideologica, maggioritaria nella sinistra europea del secondo dopoguerra, ma, purtroppo, non in Italia, combattè una lotta aspra e senza concessioni al Partito Comunista
Italiano ed al comunismo sovietico. Ciò non impedì al PCI, nel 1964, di votarlo e di eleggerlo,
insieme con la stragrande maggioranza del Parlamento, alla Presidenza della Repubblica, dove si
distinse per equilibrio, correttezza e rettitudine.
Saragat era stato, nell’immediato dopoguerra,
Presidente di quell’Assemblea Costituente che
diede vita ad una Carta, i cui principi e valori sono tuttora un insostituibile punto di riferimento
per noi tutti.
La democrazia italiana deve moltissimo a Giuseppe Saragat. Dopo aver partecipato per tutto il
ventennio alla lotta contro la dittatura fascista e,
successivamente, alla Resistenza all’occupazione hitleriana dell’Italia, Saragat fu tra coloro che
diedero un contributo decisivo all’avvento della
Repubblica. Inoltre egli, unico nella sinistra italiana di quel tempo, vide lucidamente il pericolo
che il totalitarismo staliniano costituiva per le libertà democratiche appena riconquistate.
Fu uomo di straordinaria cultura, grande conoscitore di libri rari ed eccezionali, capace di leggere in lingua originale Goethe e Marx, esemplare per senso delle istituzioni ed onestà.
La forte coerenza politica gli consentì di avere il
coraggio dell’impopolarità. Ebbe intuizioni al limite della profezia, con una visione della politica
che, con la difesa della libertà e della democrazia, doveva realizzare le condizioni materiali della giustizia sociale. Il lavoro era al cardine del
suo pensiero politico e, così pure, il celebre trinomio “case, scuole, ospedali”.
Tra i miei ricordi di adolescente campeggia un
magistrale discorso di Giuseppe Saragat al Cinema Teatro Nestor di Frosinone, nel 1963, di cui
rammento il puntiglioso riferimento alle riforme
sociali operate dalle socialdemocrazie scandinave, che, a distanza di tanti anni, sono ben lungi
dall’essere adottate nel nostro Paese.
Anche in ragione di ciò, ritengo che occorre
guardare al socialismo europeo per cambiare l’Italia e per realizzare quella giustizia sociale che è
essenziale per un vivere civile ed umano.
Occorre, altresì, che la politica riacquisti credibilità. Al riguardo può far riflettere una frase che
Saragat mi disse qualche tempo prima di morire:
“Caro Gian Franco, tu sei giovane, ricorda sempre che per un giovane la cosa più importante è
avere degli ideali. Noi, della nostra generazione,
li abbiamo avuti”.
Basta questa semplice frase per rendere bene l’idea sulla distanza abissale che purtroppo esiste
tra una parte considerevole della politica di oggi
e Giuseppe Saragat. Ma è un divario che, soprattutto con l’aiuto dei giovani, dobbiamo tentare di
colmare, se vogliamo sperare in un mondo migliore.
IL CORSIVO di Felice Besostri
Presidenzialismo. Come in Francia, ma all’italiana
ra l’altro si fa confusione. In Francia non c’è nessun presidenzialismo,
T
ma un semi-presidenzialismo, che malgrado il nome è una variante
razionalizzata della forma di governo parlamentare.
Il pericolo in Italia non è l’adozione di questa o quella forma di governo, ma
la sua concreta attuazione, perché si piegano a interessi di bottega le forme
di governo di altri Paesi imbastardendole. Quello che trovo assurdo è che un
Parlamento di nominati voglia stravolgere la Costituzione con la foglia di
fico di una ventina/quarantina di esperti lottizzati (guai a dimenticare chi
scrive sui giornali: sono vendicativi) senza un preventivo referendum sulla
forma di governo e, tanto che ci siamo, sulla forma di Stato. Non che sia ottimista dell’esito, ma almeno ci sarà un dibattito pubblico in cui far valere le
proprie ragioni. Perché questa accelerazione? Posso rispondere con Virgilio
nella Divina Commedia, dove l’espressione viene usata per la prima volta
nei confronti di Caronte: “[...] Caron, non ti crucciare: Vuolsi così colà dove
si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Inf. III 95-96).
La seconda volta viene rivolta a Minosse: “[...] Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più
non dimandare” (Inf V 22-24).
La terza, con qualche variazione, a Pluto: “[...] Taci, maladetto lupo; consuma dentro te con la tua rabbia.Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi
ne l’alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo”. (Inf VII 8-12)
Cioè si vuole lassù dove l’Arcangelo Michele vendicò la ribellione degli
angeli, cioè in Paradiso. Chi sia colui che sta colà dove si puote? Ai postumi (posteri) l’ardua sentenza (A. Manzoni - 5 Maggio). Per me non è una
persona ma una lobby, con infiltrazioni dovunque, anche a sinistra.
(dal blog della Fondazione Nenni)
DELLA DOMENICA
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ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013
Un libro di Andrea Spiri: La svolta socialista. Il Psi e la leadership di Craxi dal Midas a Palermo (1976-1981)
Craxi e la modernizzazione del socialismo
Gianfranco Sabattini
I
n nessun Paese, forse, come in Italia, i rapporti tra i principali partiti della sinistra sono stati improntati ad una
lotta senza quartiere, perlopiù condotta dal PCI con metodi
di chiara natura stalinista per la soppressione del PSI.
Quando Bettino Craxi, nel luglio del 1976, divenne segretario del PSI, nessuno del gruppo dirigente del PCI immaginava che ciò avrebbe segnato una nuova fase nella vita
del socialismo italiano. Al Midas seguirono anni di ricupero del partito dalla ghettizzazione alla quale il PSI era stato
relegato dopo l’esperienza frontista fallimentare di Nenni.
Negli anni successivi alla sua ascesa alla segreteria, però,
per sottrarre il partito agli esiti dell’abbraccio asfissiante
tra PCI e DC, avvalendosi dell’elaborazione teorica degli
intellettuali che si raccoglievano intorno a Mondoperaio, il
nuovo segretario fece del confronto sulle idealità della
sinistra il motivo di una nuova battaglia per approfondire
e consolidare la visibilità e l’autonomia del partito.
Craxi fece dell’autonomia politica e culturale del PSI il
punto di non ritorno dell’evoluzione della sinistra italiana
in senso riformista. Sul terreno del riformismo il PCI
incontrò però insormontabili difficoltà al proprio interno e
sarebbe stato necessario attendere il 1989 perché il “crollo
del muro” imponesse anche al partito di Togliatti, Longo e
Berlinguer la convenienza opportunistica di una sua “svolta”. È questo in sintesi l’impatto che la breve parabola di
Craxi ha avuto sull’evoluzione riformista dell’intera sinistra italiana; essa emerge chiaramente dal recente libro di
Andrea Spiri “La svolta socialista. Il Psi e la leadership di
Craxi dal Midas a Palermo (1976-1981)”; ma è bene ricordare il prezzo che Craxi è stato chiamato a pagare col
concorso irresponsabile di quel partito che egli stesso
aveva concorso a legittimare presso la famiglia dei partiti
socialisti democratici europei.
Nel 1990 a Madrid erano riuniti i rappresentanti delle più
diverse sinistre europee in occasione di una tavola rotonda
sul socialismo del futuro. In quell’occasione, Occhetto,
intervenuto in rappresentanza del PCI, ricevette da Claudio Martelli, anch’egli presente alla riunione di Madrid,
l’impegno che il PSI non avrebbe posto alcun ostacolo
all’ammissione del PCI all’Internazionale socialista. Quasi
a titolo di riconoscenza, Occhetto colse l’occasione per
esternare che l’ingresso del PCI nell’Internazionale avrebbe facilitato i rapporti a sinistra, soprattutto a livello nazionale; un’apertura di credito, quella del segretario del PCI,
che avrebbe dovuto indurre a sperare che la svolta della
Bolognina e l’ammissione all’Internazionale avrebbero
sicuramente affievolito la concorrenza a sinistra e facilitato i rapporti tra i partiti socialisti italiani.
Nonostante i buoni propositi ed il “favore” ricevuto,
Occhetto non seppe evitare, dopo l’inizio di “tangentopoli” nel 1992, che il segretario del Partito socialista italiano
ne divenisse il capro espiatorio; nulla, lui e il suo nuovo
partito, fecero per impedire che, dopo la negata autorizza-
BREVI
Genova
Il Psi ligure esprime soddisfazione per
l’elezione a Sindaco di Carlo Capacci
a Imperia e di Valentina Ghio a Sestri
Levante. Due successi netti che sono il
riconoscimento del valore dei candidati, dei loro programmi di governo e
della coalizione di centrosinistra che li
hanno sostenuti. Il Psi esprime la propria soddisfazione per l’elezione dei
propri candidati. “Dopo vent’anni di
assenza, - ha detto Maurizio Viaggi torniamo autonomamente nel consiglio comunale d’Imperia. Dai banchi
dei consigli, con più forza, garantiremo il nostro contributo d’idee e passione politica al centrosinistra e alle
sue amministrazioni”.
Milano
“A parte la stupidaggine dei metrò che
non servirebbero ai milanesi e della proposta di spalmare i costi di Milano su gli
altri comuni, - ha dichiarato Roberto Biscardini - D’Alfonso mette il dito nella
zione a procedere della Camera dei deputati nei confronti
di Craxi, fosse inscenata la gazzarra di Piazza Navona e
che, all’Hotel Raphael, Craxi fosse il bersaglio del lancio
di oggetti di ogni tipo e il destinatario di slogan che auspicavano per lui il carcere (Bettino, Bettino il carcere è vicino). La prosecuzione delle inchieste portò Craxi a collezionare svariati “avvisi di garanzia”, costringendolo nel
1993 a dimettersi da segretario del Partito per scegliere,
dopo la condanna definitiva a diversi anni di carcere, l’esilio volontario ad Hammamet in Tunisia, dove rimase dal
1994 fino alla sua morte, avvenuta il 19 gennaio 2000. Con
la caduta di Craxi, il Partito socialista è sostanzialmente
scomparso e le sue veci sono state assunte, maldestramente, da quel partito, il PCI, che dopo essere stato accreditato dai socialisti italiani presso l’Internazionale socialista, si
è impossessato, come ha avuto modo di affermare Ugo
Intini, degli abiti del PSI, unitamente ai suoi documenti di
identità, con cui ha potuto definitivamente legittimarsi per
inserirsi nella storia del Paese sotto le mentite spoglie del
PDS.
Non c’è dubbio che l’atteggiamento del PCI-PDS e dei
suoi massimi dirigenti sia stato ambiguo e reticente di
fronte alle difficoltà del leader socialista, il quale, peraltro,
aveva avuto il coraggio, in piena “tangentopoli”, di
pronunciare alla Camera un discorso severo contro il
problema del finanziamento illegale dei partiti, riguardante non soltanto il PSI, ma l’intero sistema politico. Craxi,
in realtà, abbandonato a sé stesso, pagò il coraggio col
quale aveva connotato il socialismo italiano in termini di
riformismo, che il PCI-PDS solo obtorto collo e opportunisticamente accettò come requisito essenziale della sua
identità per riproporsi all’elettorato nazionale.
Ironia della storia, nel giorni scorsi, la SPD tedesca, considerata la madre di tutte le sinistre, in occasione della celebrazione dei 150 anni dalla sua costituzione ha riunito a
Lipsia trenta “partiti fratelli”, tra i quali il PD, rappresentato da D’Alema e Bersani, per lanciare la proposta di
rifondare l’Internazionale socialista attraverso la costituzione di un’“Alleanza dei progressisti”; ciò al fine di
portare il riformismo socialista all’internazionalismo delle
origini, in considerazione del fatto che negli ultimi decenni i socialisti democratici e riformisti hanno privilegiato la
politica nazionale rispetto a quella internazionale. Viene
spontaneo chiedersi se, per caso, i rappresentanti del PD,
dopo aver versato tardivamente alcune lacrime di coccodrillo sulla fine del PSI e del suo leader, abbiano mai
pensato che ai socialisti italiani, dopo aver loro negato
ogni visibilità in occasione della recente alleanza elettorale, sarebbe stato opportuno riservargli, almeno nella “loro
casa d’origine”, lo “strapuntino” che gli è stato negato,
come ha di recente ricordato Mauro Del Bue, in occasione
della costituzione del governo delle “larghe intese” nel
loro Paese di residenza, quasi a sottolinearne il “peso”
marginale. Sic transit gloria mundi.
[email protected]
piaga di un bilancio fuori controllo. Bilancio che, io aggiungo, ha ormai un deficit strutturale e sul quale non si è ancora intervenuti con sufficiente energia.
L’intervista di D’Alfonso, amico e rappresentante della lista di Pisapia, insieme alla costatazione che per due anni i
milanesi hanno sopportato la stupidità
di queste domeniche a piedi, impongono a Pisapia di tirare le somme, e correggere con fermezza ciò che non va, a
partire dal fatto che per due anni ha avuto anche cattivi consiglieri.”
Lecce
L‘automobile del sindaco di Melendugno,Marco Potì, parcheggiata nei pressi dell'abitazione, è stata distrutta nella
notte tra il 6 e il 7 da un violento incendio doloso. Solidarietà è stata
espressa dalla Federazione di Lecce e
da esponenti di altre forze politiche.
L’auspicio rivolto è che gli inquirenti
possano fare presto luce sul vergognoso atto intimidatorio. Negli ultimi mesi nel Salento sono stati diversi gli epi-
sodi di danneggiamenti e incendi ai
danni di automobili di altri politici o
ex amministratori.
Capua (CE)
Con la solidarietà espressa ai lavoratori dell’Indesit di Teverola si è svolta
nella serata del 6 giugno, l’assemblea
cittadina del PSI che ha deliberato la
data del primo congresso cittadino che
si terrà presso la sede sita in Corso Appio (ex albergo delle Poste), a partire
dalle ore 18.00, del 15 giugno. “Le
adesioni al Partito Socialista nella Città di Capua - ha detto il segretario provinciale Mimmo Dell’Aquila - rappresentano un dato politico estremamente
importante, non solo per la Sinistra e il
centrosinistra cittadino”. “Finalmente
- ha aggiunto il capogruppo in Regione, Gennaro Oliviero - tornano alla ribalta quelle forze di matrice riformista
le quali, sono sicuro, contribuiranno
non solo a rilanciare il dibattito culturale e politico, ma a rigenerare un’intera classe dirigente cittadina".
>> DIRITTI & LAVORO
a cura di Carlo Pareto<<
ESTRATTO CONTO INTEGRATO PER 1 MILIONE DI LAVORATORI
La situazione previdenziale a portata di mano in un semplice click. Si estende
a un milione di lavoratori che hanno versato i contributi a più enti la possibilità di vedere riassunta la propria posizione in un unico file. Con il messaggio
8822 del 30 maggio, l’Inps ha confermato l’implementazione della seconda fase dell’estratto contro integrato con il conseguente ampliamento da 100mila a
un milione della platea di soggetti interessati. Collegandosi al sito internet dell’ente a cui ci si è iscritti più di recente, ogni lavoratore coinvolto nell’iniziativa può prendere visione dei contributi che risultano corrisposti nel corso del
tempo e nelle varie gestioni.
C’è anche la possibilità di segnalare errori tra quanto al lavoratore risulta dovrebbe essere versato e quanto riportato nel prospetto. A regime il servizio dovrà essere reso disponibile per i circa 6 milioni di lavoratori che nel corso della vita hanno corrisposto contributi a più enti diversi. L’estratto conto integrato – si sottolinea - rientra in un progetto più ampio che punta a incrementare la
consapevolezza degli italiani nei confronti del tema previdenziale. Gli altri
strumenti messi in campo sono, per gli iscritti all’Inps, il calcolatore della pensione che fornirà la data del pensionamento e l’importo presunto del relativo
trattamento pensionistico.
Inizialmente disponibile per i nati prima del 31 dicembre 1955 e con contributi accreditati solamente nel fondo pensione lavoratori dipendenti o soltanto
nelle gestioni speciali lavoratori autonomi o solo nella gestione separata, verrà
a breve successivamente esteso a tutti. Inoltre, entro la fine del 2013 dovrebbe
essere messo a disposizione un simulatore della pensione per i più giovani che,
sulla base della contribuzione che risulta accredita all’Inps, elaborerà degli
scenari previdenziali fornendo indicazioni di massima sulla prestazione di
quiescenza che si potrà ottenere.
UN UNICO CONTACT CENTER TELEFONICO INPS
Dal 1° giugno anche gli iscritti alle gestioni pensionistiche dei lavoratori dello
spettacolo (ex-Enpals) e dei dipendenti pubblici (ex-Inpdap) potranno chiamare, per avere informazioni telefoniche, il Contact Center Multicanale InpsInail: il numero verde gratuito 803.164 per le chiamate da telefono fisso; e il
numero 06.164164 per le chiamate da telefono cellulare (in questo caso la chiamata è a pagamento e il costo dipende dal piano tariffario applicato dai gestori
telefonici). Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato
dalle 8 alle 14. Oltre che in italiano, fornisce informazioni e risposte anche in
7 lingue straniere (tedesco, inglese, francese, arabo, polacco, spagnolo e russo)
utilizzando operatori bilingue. Nelle restanti ore (e nei giorni festivi) rimane
attivo un servizio automatico di risposta, che per la provincia di Bolzano è anche in lingua tedesca, in funzione 24 ore su 24.
[email protected]
Lettere
[email protected]
Teniamoci ancorati al Pse
Sono molto d’accordo con la compagna Pia Locatelli che il nostro Partito si
colleghi strettamente con le linee e gli obiettivi del PSE e dell’Internazionale
Socialista, evitando le tattiche perdenti di posizioni Liberal che a livello europeo sono fuori la famiglia Socialista. Il Congresso è una grande occasione
perché, dopo l’annunciata richiesta di adesione di SEL al PSE, dobbiamo
sollecitare e incalzare anche il PD a porre nel loro Congresso l’ineludibile
problema dell’adesione al PSE. IL messaggio giusto e vincente è quello di
sconfiggere le politiche neo-liberiste e di austerità del centro-destra in Europa, come in Italia ed affermare le linee e le proposte socialiste e riformiste
sostenute in Europa dalla famiglia socialista. La necessità di politiche socialiste deve essere il punto di riferimento fondamentale portato avanti dal PSI per
influenzare anche gli altri Partiti di centro-sinistra e costruire anche in Italia
un forte Partito Socialista.
Gioacchino Assogna - Roma
Non dimentichiamo i meriti
Finalmente è stata inaugurata l’avveniristica stazione Mediopadana di Reggio
Emilia, una stazione con un potenziale bacino di utenza di oltre due milioni di
persone. Una opportunità di sviluppo per la città e non solo.
Come già da più parti si è detto, la stazione sarà a pieno regime non appena
verranno ultimate le previste opere infrastrutturali. Avanti quindi con fiducia e
col consenso/impegno delle rappresentanze economiche e politico-istituzionali. Quello stesso impegno che profuse nel 2005/2006 Mauro Del Bue, allora
Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Del Bue fu fondamentale nell’ottenere un determinante contributo governativo di oltre 30milioni di euro per la realizzazione della stazione dell’alta velocità. Confidiamo
che, nel definire, giustamente, la “Stazione TAV un successo collettivo”,
nell’euforia del momento, non ci si dimentichi di chi ne ha favorito la realizzazione.
Mario Guidetti
Il ruolo del cristianesimo
A mio avviso l’europa potrà integrarsi bene e meglio se il cristianesimo
ritroverà i veri valori sociali avvicinandosi e forse coincidendo col
socialismo umanitario ab origine ...
In un tempo di laicità forse anche malintesa, la principale religione
dell’Europa, può far molto per il miglioramento delle condizioni sociali degli
abitanti del continente. Ristabilire una eguaglianza nella libertà, e nella
semplicità culturale delle origini, è fondamentale per l’Europa intera.
Adalberto Andreani - Rieti
APPUNTAMENTI
Civitavecchia. Giovedì 13 giugno la
sezione locale organizza alle ore 16
presso l’Aula Cutuli del Comune di
Civitavecchia, una conferenza stampa
sulla campagna referendaria promossa dal comitato referendario “Cambiamonoi” e sostenuta anche dal PSI e
sui tre disegni di decreto delegato presentato al Senato relativamente a interventi per il sostegno dell’occupazione giovanile e femminile e delega
al Governo in materia di regime fiscale agevolato.
Alla conferenza interverranno il Senatore Enrico Buemi, l’assessore comunale Alvaro Balloni, il consigliere comunale Mauro Mei e la responsabile
del Psi locale Angela Tandurella.
Napoli. Giovedì, 20 giugno alle ore
16.00, presso il salone CGIL Campania, Via Torino 16, dibattito “Quale socialismo per quale sviluppo”. Presiede
On.le Filippo Caria.
Introduce Nino Cavaliere. Relazione
di Giuseppe Biasco. Intervengono:
Carlo Ghezzi, Gerardo Ragone, Arturo
Scotto, Franco Tavella. Conclude Riccardo Nencini.
Roma. Venerdì 21 giugno alle ore 9,30,
presso la Sala delle Colonne (Camera
dei Deputati), organizzata dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati, presentazione del libro di Silvia Bianciardi:
Argentina Altobelli e “la buona battaglia”. Franco Angeli Editore.
Roma. Venerdì 21 giugno 2013, ore
17,00, Sala degli Atti legislativi –
Biblioteca del Senato, Piazza della
Minerva, 38 presentazione del volume FRATERNITà, Rilettura civile
di un’idea che può cambiare il mondo
di Maria Rosaria Manieri con la prefazione di Giuseppe Vacca, Edizioni
Marsilio.
Intervengono: Giuliano Amato ,
Franco Cassano, Giuseppe Vacca.
Introduce, Luigi Covatta. Sarà presente l’Autrice.
Per adesioni e informazioni: Mondoperaio – P.zza S. Lorenzo in Lucina, 26 - 00186 Roma.
[email protected]
Montechiarugolo (PR). Sabato 22
giugno, alle ore 9,30 nella Sala Consiliare, dibattito organizzato dalle Federazioni di Parma e Reggio Emilia, ‘Acqua dell’Enza - Ricchezza da non disperdere’
Presiedono: Arcangelo Cocconcelli,
Gianluca Soliani. Apertura dei lavori:
Claudio Magnani, già Presidente della
Provincia di Parma. Relazione introduttiva di Emilio Bertolini, già Presidente dell’Unione dei Consorzi di Bonifica dell’Emilia Romagna. Intervengono: Ing. Alberto Montanari, Università di Bologna; Amilcare Bodria, Sindaco di Tizzano Val Parma; Ing. Eugenio Bertolini, Dirigente IREN. Conclude Mauro Del Bue.
Palestrina (RM). Venerdì 14 giugno alle ore 17,30 presso i locali del
Centro Sociale Anziani di Palestrina,
Corso Pierluigi n. 61 convegno/dibattito sul tema “Il centrosinistra
della regione Lazio per il rilancio
della sanità pubblica”.
Presiedono Marco Gambini e Alessandro Vincenzi, intervengono Alberto Santoboni Primario Medico
Ospedale di Colleferro, Enrico Saracini del Psi Regionale, Rodolfo Lena
Presidente della Commissione Sanità
Regione Lazio.
Conclude Gerardo Labellarte della
segreteria nazionale del PSI.
(a cura di Barbara Conti)
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