@ DELLA DOMENICA [email protected] ANNO XVI - N. 23 DOMENICA 16 gIugNO 2013 SPED. ABB. POST. - DL 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art.1, Comma 1, DCB) ROMA TAXE PERCUE - TASSA RISCOSSA - ROMA ITALY EURO 1,50 S ASTENSIONE ELETTORALE Siamo diventati tutti americani? Mauro Del Bue C e l’ha fatta Veltroni a farci diventare americani. Manteniamo altre abitudini alimentari e un sistema sanitario più giusto, anche se dispendioso. Ma uno dei pregi della nostra democrazia, e cioè quella di essere tra le più partecipate, è stato anch’esso azzerato. Votiamo più o meno come loro. Come nel Kansas o in Arizona. Siamo diventati un popolo più maturo? Nossignori. Ci siamo ammalati del morbo più pericoloso: quello del rifiuto della democrazia. Che è appassita sotto i nostri occhi. E in parte si è liquefatta senza che le venissero praticate terapie e interventi chirurgici, anche radicali. ‘Yes, we can’, recitava lo slogan veltroniano nel 2008, preso a prestito dall’aspirante alla Casa Bianca Barack Obama, anche se per Walter era riferito alla più modesta, ma utopistica, possibilità di battere Berlusconi. E così, dalla crisi economica e politica, che ha lanciato più di un segnale di allarme, siamo arrivati alla democrazia esercitata dalla minoranza. È la prima volta che accade in Italia. Alle recenti elezioni amministrative, infatti, ha votato il 48 per cento degli aventi dritto. Più che un partito politico ha vinto dunque la signora Astensione, una donna che si è prestata in questi anni ad accoppiarsi con molti partner, da Bossi a Grillo. Ma che adesso ha rifiutato tutti i connubi e ha scelto la solitudine, l’indifferenza. Il partito meno colpito, e che dunque ha stravinto le elezioni, è l’unica forza politica in campo, e cioè il Pd. Certo si tratta del partito che pareva più in crisi dopo le divisioni, le lacerazioni, gli odiati abbracci. Ma è pur vero che il Pd è l’unico partito che abbia un minino di organizzazione territoriale e di classe dirigente politica e amministrativa presentabile sul territorio. Il resto è nulla. Il Pdl è davvero sempre e solo Berlusconi e il suo pigro elettorato si mobilita esclusivamente per rilevanti campagne politiche, nella quali è in gioco il futuro del Paese. Per il resto preferisce il mare, i monti, il Milan. La Lega, dopo i fasti di Bossi, è ancora alle prese coi suoi lividi dovuti agli scandali, alle separazioni, alle lotte fratricide, e si arrende nel Nord alzando ovunque bandiera bianca. E Grillo subisce esattamente l’effetto Berlusconi moltiplicato. I suoi elettori hanno votato lui, non i suoi simili. Che sono poi tutt’altro che attendibili. I primi mesi di conoscenza del personale politico dei Cinque stelle è stato tutt’altro che entusiasmante. Accade così che il centro-sinistra si aggiudichi sedici ballottaggi su sedici, compreso Treviso, l’inespugnabile cittadella del leghismo duro, quello che ce l’ha coi ‘terroni’ e mal sopporta i neri. Compresa Catania, dove trionfa un sindaco che si diceva rinnovatore venticinque anni fa; compresa Brescia, dove la destra era di casa; compresa Siena, dove al Pd sono state associate vicende bancarie non certo edificanti. E compresa Roma, naturalmente. Una sola annotazione sul voto nelsegue a pagina 2 E T T I M A N A L E S O C I A Una chance di rilancio oltre l’astensionismo Le iniziative del Sindaco di Firenze e la stabilità del governo Gerardo Labellarte Italia ha già vissuto una storia simile: l’ha vissuta con Veltroni sindaco di Roma e Prodi presidente del Consiglio”. Riccardo Nencini ha risposto così alle domande dell’ANSA che sabato 8 a Firenze, a margine della raccolta di firme per i referendum e per illustrare le proposte del PSI sul lavoro, gli chiedeva se le ripetute prese di posizione del sindaco di Firenze Matteo Renzi indebolissero il governo guidato da Enrico Letta. La situazione di oggi, ha spiegato Nencini, “non nasce diversamente, può evolvere diversamente, ma l’origine è esattamente la stessa, cambia solo la città”. Interpellato proprio sull’evoluzione che secondo lui potrà avere, il segretario del Psi ha risposto dicendo che “la politica è mai dire mai, ma la prevalenza di quello che vedo è che l’evoluzione potrebbe essere simile a quella che abbiamo già vissuto nel 2008, e che portò alla vittoria di Berlusconi”. Dopo le amministrative “ci sarà una prevalenza di sindaci di centrosinia pagina 2 S enza radici e punti di riferimento stabili. Così si presenta oramai la gran parte dell’elettorato italiano. Questa la cifra principale, ancora una volta confermata, del turno elettorale amministrativo in Sicilia e dei ballottaggi nel resto del territorio nazionale. Cittadini sfiduciati e rassegnati, nessuna passione civile, scarsa partecipazione emotiva persino a duelli importanti e un tempo estremamente avvincenti quali quello per l’elezione del Sindaco di Roma. In questo quadro si inserisce la vittoria del centrosinistra, che ha caratteristiche spettacolari in quanto la coalizione travolge gli avversari quasi dappertutto, ma che non può trascurare gli scenari nei quali si colloca: quelli di una politica recitata da attori sempre meno apprezzati da un pubblico sempre meno numeroso e interessato. Il centrosinistra, e in particolare il Partito Democratico, prevalgono soprattutto in virtù della maggiore credibilità, o in qualche caso della minore impresentabilità, del proprio personale politico amministrativo locale. Il che è sicuramente positivo, ma dà anche il segno di quanto effimero possa essere questo successo, che può venire meno, come è già avvenuto, in presenza di leadership nazionali meno apprezzate o di avversari più credibili. Particolarmente clamoroso in queste elezioni il crollo del grillismo, la cui parabola appare ben più rapida di quella di altri movimenti che in questi anni hanno cavalcato la tigre dell’antipolitica, quali la Lega e l’Italia dei Valori. Nel giro di pochi mesi centinaia di migliaia di elettori, probabilmente disgustati dalle sconcertanti performance degli eletti Cinque Stelle, hanno abbandonato il comico genovese. Troppo presto per recitare il de profundis di Beppe Grillo e del suo inquietante guru, probabilmente giusto però il tempo per considerarne esaurita la prorompente spinta prosegue a pagina 5 Nencini: Renzi e Letta? Come Veltroni con Prodi “L La crescita della diseguaglianza Da Matteotti a Grillo. La democrazia Sono i ricchi non sopporta le minacce che frenano il PIL Mussolini non conoscevano la demoMarco Di Lello O n.le Presidente, il 10 giugno 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti fu rapito e ucciso da una squadra di fascisti. Il 2013 non potrà mai essere il 1924, se non altro perché gli italiani prima di Divorzio breve, immigrazione e lavoro le nuove proposte referendarie del PSI Cambiamo noi! Tre referendum da sostenere Maria Pisani I S T A - Stampa e Tv - Quello che non vi hanno detto di noi Leghisti contro lo Ius soli, ma tifosi di Balotelli “I leghisti? Sono contrari allo Ius soli ma seguono la nazionale di calcio italiana ed esultano quando segna Mario Balotelli. Il nostro Paese - ha detto Marco Di Lello sabato 8 al quotidiano online Bergamonews - così nega a questa gente un diritto basilare; nella sola Lombardia ci sono 11mila ragazzi nati da coppie di immigrati: dunque è una situazione che deve essere sistemata una volta per tutte. Tutti i figli di questa Italia devono essere cittadini italiani, senza distinzione di colore. La pdl per lo Ius soli è stata la nostra prima iniziativa dopo l’insediamento a Roma: siamo certi di poter fare un ottimo lavoro. Lo Ius soli proposto dal Psi, però, non diventerà un ‘lasciapassare’ per tutti gli immigrati che pensano di venire in Italia da irregolari per mettere al mondo dei figli: abbiamo lavorato e pensato anche a questo e nella pdl abbiamo inserito un limite temporale minimo di 5 anni; gli immigrati, per avere un figlio italiano, dovranno essere regolari nel nostro Paese da almeno 5 anni”. Mauroy: Cefisi, sostenne riformismo socialista in Italia Assassinato 89 anni fa dai sicari di Mussolini in un clima di violenza L’intervento pronunciato mercoledì 12 a Montecitorio per la commemorazione di Giacomo Matteotti L crazia, ma questa è una pianta delicata che va curata giorno dopo giorno. È una pianta, la democrazia, che non sopporta l’illegalità, i soprusi. Non sopporta la violenza, neppure quella verbale. Non sopporta le minacce. Nel suo primo discorso in Parlamento nel 1922, Mussolini pronunciò parole terribili che sono passate alla storia. segue a pagina 5 n nuovo pacchetto referendario U è stato presentato dal Segretario del partito socialista, Riccardo Nen- cini e dal leader dei radicali italiani, Mario Staderini. Due dei quesiti riguardano misure in correzione alla legge Bossi-Fini, con l’abrogazione del reato di clandestinità e delle norme discriminatorie in materia di lavoro regolare e di soggiorno dei cittadini stranieri. Il terzo quesito referendario riguarda invece il cosiddetto ‘divorzio bre- Maurizio Ballistreri a pag.3 Anniversario di Giuseppe Saragat Gli ideali, la cosa più importante Gian Franco Schietroma a pag.5 ve’ e prevede l’eliminazione dei tre anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio, come accade in molti altri Paesi europei tra cui la Francia del socialista Hollande. Proposte che restituiscono ai cittadini la possibilità di scegliere e di decidere, come ha sottolineato anche Riccardo Nencini, e che il partito socialista sosterrà insieme alla raccolta firme su un disegno di legge per estendere le tutele e i diritti sindacali segue a pagina 3 “Il decesso di Pierre Mauroy, primo ministro francese e presidente dell’IS, – afferma Luca Cefisi commentando la notizia della sua morte - addolora particolarmente i socialisti italiani. Come presidente dell’IS durante gli anni 90, Mauroy seguì con attenzione e partecipazione la crisi del socialismo italiano. In particolare, fu attento e deciso, nel difficile biennio ‘94-‘95, nel sostenere la scelta progressista del PSI di Del Turco e del PSDI di Schietroma, che dovevano fronteggiare l’aggressione di chi pretendeva di far finire la gloriosa storia del riformismo italiano nell’abbraccio mortale di Berlusconi. Mauroy sostenne i partiti storici del socialismo italiano alla causa del socialismo europeo, con intelligenza, contribuendo a salvaguardare un patrimonio organizzativo e politico che in Italia molti miravano a disperdere, sradicandolo dalla sinistra italiana”. Radio Maria: Anziani nel mirino per avere l’eredità? “Non è che con la crisi delle donazioni ora a Radio Maria si punti all’eredità dei fedeli, magari soli e anziani?”. Lo chiedono i parlamentari socialisti con un’interrogazione ai ministri dello Sviluppo Economico e della Giustizia, primo firmatario Marco Di Lello, per sapere se è vero quanto pubblicato da alcuni organi di informazione, in ultimo La Repubblica (il 7 giugno ndr), cioè che vengono inviate ad anziani “lettere in cui si chiede di sostenere la Radio nella sua opera di evangelizzazione corredandole di bollettino conto-corrente e, soprattutto, sollecitandole a fornire, con la compilazione di un questionario allegato, i dati anagrafici, ed a effettuare un ‘lascito testamentario’ al medesimo fine”. Nell’interrogazione Di Lello chiede ai ministri se in tale attività non siano “ipotizzabili abuso della credulità popolare o addirittura di circonvenzione di persone in disagio psicologico”. segue a pagina 3 DELLA DOMENICA 2 o rs e v owww.partitosocialista.it ss e gr n co iL ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013 TERZO CONGRESSO NAZIONALE DEL PSI - VENEZIA 25-27 OTTOBRE 2013 La questione ineludibile delle alleanze La questione ineludibile delle alleanze Scelte difficili, ma inevitabili Convergenza centripeta di governo Giuseppe Miccichè I n vista del Congresso nazionale, l’Avanti! della domenica! ha aperto le proprie pagine al dibattito, che di fatto era stato iniziato da qualche tempo … in forma ridotta tra le righe di relazioni, dichiarazioni, scritti vari contenenti riferimenti alla difficile vita del partito, alla necessità di adottare adeguate misure organizzative, ma anche di concorrere con altri alla costruzione di un soggetto politico nuovo o di confluire in altro partito. La discussione che ora si apre ufficialmente si inserisce in un contesto politico in movimento, nel quale la vita dei partiti appare molto travagliata. Per alcuni si evidenziano problemi di ricollocazione, ristrutturazione, ecc., per altri addirittura di sopravvivenza. Questi ultimi riguardano soprattutto i piccoli partiti. L’evoluzione legislativa determina nei consigli regionali, provinciali e comunali la riduzione del numero dei consiglieri e assessori, e a livello nazionale si prepara l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la riforma del sistema elettorale, la riduzione del numero degli eletti alla Camera e la riforma del Senato. Momenti tristi si annunziano perciò per le formazioni politiche minori e minime. Dunque anche per il PSI. Non tenerne conto, fingendo che la cosa non lo riguardi, significherebbe relegare il partito nella sfera della insignificanza politica e della polverizzazione organizzativa. Stretto tra una presenza elettorale quasi irrilevante e le casse vuote, ignorato dai massmedia, mentre si approssima la riforma elettorale, per quanto ancora potrà vivere autonomamente? Sappiamo che non sono mancate in passato azioni per fare riassorbire la diaspora socialista, e campagne di adesioni tra i delusi a destra come a sinistra e nel “partito del non voto”, ma che sempre si sono rivelate vane quando non hanno finito per portare via dal partito qualcuno dei promotori. Sappiamo anche che si sono strette alleanze elettorali con gruppi diversi, non sempre foriere dei frutti sperati per la fragilità dei componenti, e che le discese in campo con lista di partito si sono rivelate disastrose. Sappiamo che s’è tentato più volte il rilancio del partito sotto l’aspetto della organizzazione, della elaborazione politica e della visibilità. Il risultato è sotto i nostri occhi. Abbiamo un partito che è entità troppo piccola per potere a lungo resistere con una sua autonomia organizzativa e politica, e deve perciò ricercare solide alleanze e vie sicure di sopravvivenza. Con chi? Attorno ad esso sono oggi da una parte Verdi, Rif. Co., Ci, IdV, Rc, dall’altra Cd, Udc, Sc, Radicali, Sel, Pd. I primi hanno scelto l’estremismo che l’elettorato non ha mostrato di gradire e rimangono fuori dai … gusti del partito. Da Cd, Udc, Sc ci dividono tante cose. I Radicali si caratterizzano per alcuni obiettivi di lotta che i socialisti condividono. Complessivamente, però, il loro programma, soprattutto nella parte sociale, non può soddisfare i socialisti, che storicamente, come sappiamo, considerano come motivi irrinunciabili della loro azione i problemi delle varie categorie lavoratrici. Sul piano elettorale non mostrano consistenza, e allearsi con essi (ma fanno parte dell’Alde!) magari in una riesumata “Rosa nel pugno” (a suo tempo fallita) equivarrebbe a marciare uniti verso la disfatta, e questo sarebbe la nostra fine. SEL, di cui è confortante la richiesta di adesione al PSE, potrebbe permetterci, come è stato detto, di conservare “un po’ di socialismo”, cosa non di poco conto in un tempo di spogliarelli ideologici e programmatici. Ci sono però, a nostro vedere, cose che dividono i due partiti, in particolare la tendenza dei ‘vendoliani’ a farsi attrarre nella sfera del massimalismo. Resta il PD (nella sua interezza, non la fantasiosa “componente revisionista”). Checché se ne dica a proposito di certe contraddizioni e insufficienza rilevabili nel suo comportamento, è un partito che ha fatto parte dell’Internazionale socialista, ha un posto di primissimo piano tra le forze progressiste europee, garantisce l’esaltazione e la difesa dei diritti civili e del lavoro nella accezione socialista, e ha accolto recentemente nelle sue liste candidati socialisti, permettendo di eleggerne sette. È nell’arco delle formazioni sopra elencate e non al di là, pena lo snaturamento, che il PSI dovrà ricercare i collegamenti e le alleanze elettorali. Resterà nello sfondo il problema della sua sopravvivenza come entità politica e organizzativa autonoma, cui si fa cenno nei ricordati interventi sull’Avanti!. E’ un problema che prima o poi saremo costretti ad affrontare. Per scioglierlo le strade percorribili sono due: costruzione con i piccoli partiti, i gruppi, le associazioni laiche e riformiste, ecc. di un soggetto politico nuovo che possa garantire la conservazione di valori propri del socialismo (democrazia, libertà, giustizia, diritti, …), o confluenza in altro partito. Con la ragione, dubitiamo che si possa optare per la costruzione di un nuovo soggetto: sarebbe la somma di varie debolezze e comunque il percorso risulterebbe molto lungo e accidentato: nel frattempo, prima di raggiungere il traguardo, l’elettorato ci dimenticherebbe. Di tutto questo in periferia e poi nel congresso, sulla base degli elementi informativi e di giudizio che l’evolversi della situazione nazionale porrà a disposizione, oltre che dei documenti pre-assise previsti dallo statuto, si dovrà discutere nei prossimi mesi approfonditamente al fine di individuare orientamenti sicuri. Incalzeranno in tale direzione e le leggi già operanti o in itinere di cui s’è detto, e la sempre più limitata capacità di resistenza delle strutture periferiche di partito. Discutiamo perciò serenamente, per far sì che a suo tempo le decisioni possano essere adottate con forte e maturata convinzione. A ogni livello dovranno assolutamente evitarsi movimenti disordinati e “scissioni dell’atomo”, per dirla col Gino Giugni del ’94, che né il socialismo né il partito e quanti in essi hanno creduto meritano. Siamo diventati tutti americani? del Bue dalla prima la capitale. Si dubitava dell’efficacia della candidatura della Bonino nel Lazio qualche anno orsono, per via della sua natura eccessivamente laica. Marino, in questi anni, è salito agli onori della cronaca per grandi battaglie laiche e in particolare per quella sul fine vita. Non hanno spostato una virgola. Anzi molti cattolici hanno preferito lui ad Alemanno, mentre il Vaticano, Direttore Politico della domenica Organo ufficiale del Partito Socialista Italiano aderente all’Internazionale Socialista e al Partito Socialista Europeo Manfredi Villani D al Seminario di Roma del 4 maggio 2013, promosso dall’Associazione culturale “il Socialista” di Milano, si è palesato nella famiglia Socialista lo stimolo per costruire un movimento socialista “largo”, insieme a nuova leadership. L’obiettivo di quel convegno si esplicitava con la partenza sia dal centro ma soprattutto dal basso e dai territori. Quello che non è stato detto a chiare lettere riguarda l’esistenza in Italia dal 2007 del contenitore politico rappresentato dal PSI. A noi del PSI che abbiamo tenuta accesa, dopo gli anni difficili dello SDI e del SI, la fiammella socialista nel nostro Paese va riconosciuto almeno il merito per aver riportato il PSI in Parlamento. Tre senatori e quattro deputati, nonostante che il Partito non faccia parte del Governo, per senso di responsabilità identitaria hanno già votato a favore dei provvedimenti ritenuti utili al Paese. Per il futuro congresso politico il nostro Segretario nazionale Riccardo Nencini ed il gruppo dirigente, continueranno a lavorare, con l’ausilio de- IL CORSIVO di Gabriele Maestri Abolire i rimborsi risolve i problemi? hiedere “cure dimagranti” alla politica è di moda. E, per carità, in molti C casi è sacrosanto. Il problema, al solito, è come ottenere il risultato. Il governo Letta propone di superare l’attuale sistema di provvidenze pubbli- che ai partiti: da vent’anni si parla “pudicamente” di “rimborsi elettorali”, dopo che i cittadini avevano votato in massa per l’abolizione del finanziamento pubblico al referendum del 1993 (proposto dai radicali, cui aderì un costituzionalista di area socialista come Massimo Severo Giannini). Il finanziamento pubblico, in sé, non è uno scandalo: se i partiti fossero quelli ritratti dall’articolo 49 della Costituzione non ci sarebbero obiezioni. Le cose non sono andate così, la rabbia di chi ha visto sperperi e abusi di quei denari è giustificata, ma chiudere tutti i rubinetti non pare la soluzione migliore. Il disegno di legge approvato dal governo inizia il percorso alla Camera, ma i tesorieri dei partiti sono in allarme, di nuovo. Già, perché l’anno scorso, sull’onda del “caso Lusi” e altri scandali, la politica non aveva fatto la legge sulla democrazia interna ai partiti, ma con la legge 96 aveva dimezzato i rimborsi (e tagliato stipendi e vitalizi): già allora i partiti hanno dovuto iniziare a risparmiare, anche sul personale. Chi può sta “cedendo” collaboratori a cooperative di servizi o a chi è diventato parlamentare, ministro o sottosegretario (con lo scorno di giovani competenti che vedono venir meno una possibilità di lavoro); se i finanziamenti pubblici spariranno, cresceranno i problemi. I più preoccupati, per dire, ricordano che dopo la legge 2 del 1997 si poteva devolvere al generico finanziamento dei partiti (non a uno in particolare) il 4 per mille dell’Irpef, il doppio della quota di cui si parla in questi giorni. Allora però le adesioni furono minime e nel 1999 si preferì il più “rassicurante” (e consistente) rimborso elettorale, esteso a più riprese, fino al taglio dell’anno scorso. Questa volta c’è già chi teme che, anche in mancanza di una scelta espressa, il 2 per mille andrà comunque ai partiti; il Governo ha smentito, ma a Montecitorio può ancora accadere di tutto. Per Ugo Sposetti, (ex?) tesoriere dei Ds, senza soldi pubblici i primi a restare a casa sarebbero “quelli che fanno le pulizie alle 5 del mattino, quelli che rispondono al telefono, quelli che scrivono i comunicati al computer”. Gente che – è sempre Sposetti a dirlo al Corriere – guadagna tra i 1000 e i 1500 euro al mese, “non vanno a casa quelli che girano con l’auto blu”. Tutto vero, forse chi chiede l’abolizione del finanziamento non pensava a questi effetti; ora che però li conosce, ciascuno potrebbe chiedere a Sposetti, in tono cortese, “E quelli dell’auto blu, di grazia, come si mandano a casa?” che qualche anno fa avrebbe aperto i suoi tentacoli per impedire che Roma venisse presa dagli infedeli, non ha mosso un dito. Se osserviamo bene il numero dei voti arriviamo alla conclusione che se un polo perde consensi questi non vanno mai all’altro polo, ma solo all’astensione. Altro che bipolarismo civile ed europeo. Letta sostiene che il suo governo dopo il voto è più forte. Ha ragione. Solo il suo partito poteva indebolirlo. Ma ha vinto le elezioni. Grazie all’astensione? Ma che importa. Siamo tutti americani, vero Uolter? Mauro Del Bue Segreteria di Redazione Domenico Paciucci Direttore Responsabile Dario Alberto Caprio Società Editrice Nuova Editrice Mondoperaio srl Redazione Carlo Corrér, Emanuele Pecheux gli iscritti e dei simpatizzanti, per i valori del socialismo democratico. Non va sottaciuto che il PSI abbia ancora un ruolo da svolgere e un richiamo più ampio alle forze progressiste della socialdemocrazia europea. Tuttavia non ritengo valida l’ipotesi di costituire anche in Italia la prospettiva politica di una “Sinistra riformista” di governo. La via nuova del PSI è tracciata per la percorrenza di fulcro tra sinistra e destra. Il futuro del Socialismo italiano, già incarnato nella struttura politica del PSI, avrà sviluppo imboccando la strada della convergenza centripeta di governo. Se sono rose fioriranno. Nel nome della rosa impressa sul logo della tessera del PSI lancio un monito agli improvvidi adepti di movimenti e/o associazioni spurie. Trattasi del richiamo dell’articolo 49 della Costituzione: tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Quindi il tema: ‘Socialisti, se non ora quando?’ non può essere altro che un ampio invito a richiedere la tessera di adesione al PSI. Presidente del Consiglio di Amministrazione Oreste Pastorelli Nencini: Renzi e Letta? Come Veltroni ... dalla prima stra”, in modo che “quello che non è riuscito alle elezioni politiche riuscirà alle amministrative, Roma in testa”. Secondo Nencini “potrebbe ripartire dai Comuni, soprattutto dai più grossi, non dico una rivincita ma l’impostazione di un lavoro che distinguerà fra un anno e mezzo, due, la destra italiana dalla sinistra italiana. È il termine che si dà Letta quando in Parlamento parla di un anno e mezzo o due per Redazione e amministrazione P.zza S. Lorenzo in Lucina 26 – Roma Tel. 06/68307666 - Fax. 06/68307659 email: [email protected] Impaginazione e stampa Erasmus, un’opportunità anche per la politica Leonardo Scimmi ocalizzando l’attenzione sugli F studenti Erasmus, notoriamente a-politici, potremmo scoprire che i loro interessi non sono a-politici, ma sono semplicemente trascurati dai partiti. In breve non sono gli studenti o ex studenti Erasmus a non interessarsi alla politica, ma, al contrario, sono i partiti politici a non avere i mezzi culturali e concettuali per intercettare gli interessi ed il linguaggio degli Erasmus. Erasmus che poi diventano persone ‘normali’ e prima o poi voteranno, ma che saranno sempre culturalmente Erasmus, per tutta la vita. Un po’ come si dice per i Carabinieri. Sapete quanti sono ogni anno gli studenti Erasmus? Intercettare il voto degli Erasmus ha un doppio beneficio. Primo è uno scoop, perché non lo fa nessuno; secondo, coinvolgendo energie fresche ed europee per antonomasia si potrà realizzare il progetto dei progetti, cioè l’Europa, fornendo al sogno europeo la classe dirigente di cui ha bisogno. È vero che nessuna classe dirigente diventa tale senza avere coscienza di essere una classe sociale, ma i partiti per una volta potrebbero fare uno sforzo degno della loro esistenza, gettando il cervello oltre l’ostacolo e creando gli strumenti per modificare la società stessa, per il bene del partito, dei giovani Erasmus e dell’Europa stessa. Come fare? Basta puntare sul progetto di un Erasmus della politica, predisporre una campagna sui media, presentare un progetto di legge per valorizzare la loro esperienza, prevedere un beneficio fiscale per la loro assunzione da aziende, organizzare un data base a Roma per collegare i Curricula e comunque monitorare tutti gli studenti Erasmus, creare opportunità di scambio fra partiti, incontri tra delegazioni, creare comitati Erasmus nei partiti etc. Certo ricordarsi degli Erasmus solo per il rimborso del biglietto del treno seconda classe per andare a votare è veramente anacronistico e furbesco. Neanche un Erasmus al primo anno ci cascherebbe. compiere il primo giro di riforme, che inizia ora”. Esistono “questioni sociali urgenti” di cui il governo si deve occupare. “Ci sono 3,5-4 milioni di persone - ha spiegato Nencini - che hanno contratti atipici non protetti da nessuna tutela: se aspetti un figlio e hai un contratto di quel tipo vieni licenziata, non hai diritto alla pensione e alle ferie. In secondo luogo, chi ha oltre 40 anni e perde il lavoro incontra difficoltà a ritrovarlo: qui pensiamo a defiscalizzare per l’impresa se assume gli over 40 e li riporta nel mercato del lavoro. Infine, misure di defiscalizzazione a vantaggio delle imprese per le assunzioni di donne e giovani”. Sottoscrizioni versamento su c/c postale n. 87291001 intestato a Nuova Editrice Mondoperaio srl P.zza S. Lorenzo in Lucina 26 00186 Roma Chiuso in tipografia il 12/6/2013 L.G. Via delle Zoccolette 25 – Roma Ufficio Abbonamenti Roberto Rossi 1 copia € 1,50 - 1 copia arretrata € 3,00 Aut. Trib Roma 555/97 del 10/10/97 La riproduzione è consentita a patto che sia citata la fonte. Il materiale ricevuto non viene restituito. www.partitosocialista.it DELLA DOMENICA www.partitosocialista.it 3 ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013 La crescita delle diseguaglianze deprime i consumi frenando la crescita Cucchi: l’essenza della questione è che entra vivo ed esce morto Sono i ricchi che frenano il PIL! Maurizio Ballistreri S embra riecheggiare il “non possumus”, più volte storicamente utilizzato dai capi della Chiesa cattolica nei rapporti con il potere statale, nella politica economica del governo Letta: “vorremo abbassare le tasse, non aumentare l’Iva, sostenere la crescita, il lavoro e i consumi, ma non possiamo: siamo prigionieri della politica recessiva e di austerity dell’Europa soggiogata dalla Merkel economics!”. E ciò avviene, proprio nei giorni in cui è stata mascherata una delle più grandi imposture della teoria economica, la cosiddetta “Teoria del debito” degli economisti (?) Rogoff e Reinhard, secondo la quale superare la soglia del 90% nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione, e che ha ispirato le politiche di austerity in Europa, generatrici di povertà diffuse. Contro questa falsa teoria il premio Nobel per l’Economia, l’americano Joseph Stiglitz, ha rotto gli indugi e ha formalizzato in un vero e proprio teorema. È la diseguaglianza il vero killer del Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il Prodotto interno lordo segna il passo e, a volte, precipita. Il teorema di Stiglitz dal fronte keynesiano getta una bomba oltre le trincee liberiste. Si fonda sul meccanismo di quella che gli economisti chiamano “propensione al consumo”: i ricchi ce l’hanno più bassa del ceto medio, dunque se la distribuzione del reddito favorisce i detentori di grandi capitali i consumi si deprimono, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. È invece il ceto medio a consumare quasi tutto quello che ha in tasca e a spingere Pil ed economia, Cambiamo noi! Tre referendum da ... Pisani dalla prima ai lavoratori atipici. Ancora una volta, dunque, proprio come nel 1974, si ritorna a discutere di divorzio per modificare una tra le leggi in materia più vecchie d’Europa nonostante l’introduzione dell’istituto nel nostro Paese sia stata decisamente tardiva. La legge italiana sul divorzio prevede due diverse fasi prima di arrivare all’annullamento legale del matrimonio. Nel nostro Paese, come in pochi altri Stati, esiste infatti uno ostacolo in più: tre anni di separazione. Prima ci si separa, poi si divorzia aumentando in tal modo il carico economico delle coppie, raddoppiando i tempi già lunghi della giustizia nostrana, ingolfando ulteriormente le aule dei tribunali con doppioni di cause. Siamo dunque ben lontani da ciò che accade nella maggior parte dei Paesi europei. Tra le proposte referendarie non c’è però soltanto il divorzio breve, ma an- Stampa & Tv Quello che non vi ... dalla prima Senato: Buemi, ‘grillino’ attento, potrebbero diffamarti “Come insegna anche la vicenda Malan, c’è qualcuno che esercita la diffamazione come arte o professione, per vocazione o per interesse”. Lo dice Enrico Buemi, intervenendo sulla bagarre tra i senatori M5S e Lucio Malan, accusato di essere un ‘pianista’. “Dando la mia solidarietà al senatore Malan, -prosegue Buemi- cito anche il mio caso: il quotidiano Libero.it mi ha messo in testa alla classifica degli assenteisti di Palazzo Madama. Paradossalmente ha ragione, ma ha commesso un grave torto: è vero che ho partecipato pochissimo ai lavori dell’Aula, ma solo perché sono subentrato al dimissionario Ignazio Marino, appena pochi giorni fa. Dunque –conclude- anche i ‘grillini’ stiano attenti; parafrasando Nenni, ‘c’è sempre qualcuno che può diffamare anche te’!”. quando la distribuzione del reddito lo favorisce. La prova? Il grafico di Stiglitz è inattaccabile: quando i ricchi (ovvero l’1 per cento più ricco della popolazione) si è appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la “bomba atomica economica”. È successo con la Grande Crisi del 1929, altro che le teorie liberiste che hanno segnato gli ultimi trent’anni: “Gli apologeti della diseguaglianza sostengono che dare più soldi ai più ricchi - scrive Stiglitz - sarà un vantaggio per tutti, perché porterebbe ad una maggiore crescita. Si tratta di una idea chiamata “trickle-down economics” (economia dell’effetto a cascata). Essa ha una lunga storia e da tempo è stata screditata”. Così il mainstream va nell’angolo. Il teorema è chiaro e lucido come una formula chimica o una relazione fisica: se l’indice di Gini (ovvero l’indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, appunto Corrado Gini) aumenta, dunque aumenta la diseguaglianza, il “moltiplicatore” degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena. La teoria di Stiglitz rischia di essere un nuovo colpo agli assunti della teoria economica dominante ormai vacillanti, dopo quello del Fondo Monetario Internazionale, ed è sempre più chiaro che la diseguaglianza colpisce fino ad uccidere il Pil, non solo per via della caduta dei consumi, ma anche perché il sistema è “inefficiente” se prevalgono rendite e monopoli. Sembra un po’ come l’“elementare Watson” dello Sherlock Holmes di sir Arthur Conan Doyle, ma per la Merkel e i chierici dell’austerità di Bruxelles rischia di essere come “le perle ai porci” di San Paolo! che il lavoro e l’immigrazione ed in particolare l’abrogazione degli articoli 4 bis, 5 bis e 10 bis, del Testo Unico sull’immigrazione ovvero le norme che legano indissolubilmente la possibilità di restare nel nostro Paese alla stipula di un contratto di lavoro e che prevedono il reato di immigrazione clandestina, un reato che, come puntualizza il Segretario del Psi, criminalizza una condizione anziché una condotta. L’immigrato che perde il lavoro non può trasformarsi in un irregolare. Come ha osservato il radicale Staderini, per evitare che centinaia di migliaia di lavoratori extracomunitari siano sottoposti ai ricatti dei datori di lavoro dai quali dipende oggi la loro possibilità di restare in Italia, occorre consentire il loro soggiorno nel nostro Paese anche senza lavoro. Per il responsabile immigrazione della Cgil, Piero Soldini, che ha aderito a titolo personale alla raccolta firme, l’attuale quadro legislativo non rappresenta infatti un modello capace di governare un fenomeno complesso come quello migratorio. Proposte dunque che esprimono insieme maturità e qualità politica, come sottolineato dallo stesso Segretario del Psi che si è impegnato a chiedere ai parlamentari del centrosinistra di aderire all’iniziativa. La scelta dello strumento referendario non è poi casuale. Come ha osservato Marco Di Lello, si tratta di temi prioritari per il Paese, ma non per la maggioranza del Parlamento, per questo è stata scelta la strada del rapporto diretto con i cittadini. Gli italiani potranno infatti esprimersi direttamente su questioni che altrimenti resterebbero fuori dall’agenda politica nazionale nonostante riguardino milioni di persone. Le Istituzioni e i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno infatti mai avuto una grande sensibilità per i diritti civili, come ha sottolineato il Segretario del Psi nel corso della prima assemblea del comitato promotore referendario ‘Cambiamo noi’, anche se simili richieste di cambiamento sono nel cuore della maggioranza degli italiani. REFERENDUM. SERVONO 500 MILA FIRME IN TRE MESI Divorzio breve, revisione della Bossi-Fini e abrogazione del reato di clandestinità, abolizione della pena detentiva per fatti di ‘lieve entita’’ in tema di droghe, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, lasciare allo Stato la quota di 8 per mille di chi non esercita l’opzione. Sono i quesiti referendari della campagna ‘CambiamoNoi’, presentata e lanciata venerdì sette a Milano, da un fronte ampio costituito da partiti e associazioni. Obiettivo raccogliere 500mila firme in poco più di tre mesi per arrivare al voto entro giugno 2014. Nel Comitato promotore, assieme al Partito socialista, anche i Radicali, Sinistra Ecologia e Libertà, l’associazione Antigone, Forum Droghe e l’Associazione Luca Coscioni. Cinque i temi su cui verrà avviata la raccolta firme: divorzio breve (‘per eliminare l’obbligo dei tre anni di separazione prima del divorzio’, hanno spiegato alla presentazione), droghe (‘per passare dalla detenzione alla sanzione pecuniaria per la coltivazione domestica e il possesso e trasporto di ‘quantitativi medi’ di stupefacenti’), finanziamento pubblico ai partiti (‘per abolire finanziamento e rimborsi’), otto per mille (‘per destinare allo Stato quei 600 milioni di euro derivanti da quel 60% di cittadini che ogni anno non sceglie’), lavoro e immigrazione (‘per l’abrogazione del reato di clandestinita’ e modificare quelle norme discriminatorie che comportano la perdita del permesso di soggiorno per quegli immigrati che perdono il lavoro’). Il Psi però si impegnerà a raccogliere le firme soltanto per due quesiti , sulla Bossi Fini e per il Divorzio breve. L’obiettivo - hanno annunciato tra gli altri il consigliere comunale milanese Radicale, Marco Cappato, i parlamentari socialisti, Pia Locatelli e Marco Di Lello, e la coordinatrice lombarda di Sel, Chiara Cremonesi - è di raccogliere le firme necessarie (anche con banchetti alle feste estive dei partiti coinvolti) ‘entro fine settembre, in modo da arrivare a votare entro giugno 2014’. Valter Vecellio A un ministro della Giustizia non si può, evidentemente, chiedere di più, al momento almeno. A sentenza ancora fresca d’inchiostro, e in attesa di conoscere come sia stata motivata, Annamaria Cancellieri, dopo aver premesso che essere “… donna di Istituzioni e non mi appartiene dare giudizi sull’operato della magistratura”, ha comunque espresso “alla sorella di Stefano Cucchi solidarietà, una grandissima partecipazione perché sono consapevole che quello è un dolore che nessuno ha lenito”. Noi però non siamo legati a doveri ministeriali, e quindi possiamo esprimerci con maggiore libertà. Per quel che riguarda la vicenda Cucchi, le chiacchiere stanno a zero, e se attendiamo le motivazioni della sentenza è solo per conoscere quali funambolismi giuridici hanno consentito il verdetto che è stato emesso. A noi la questione, ridotta all’osso, pare questa: un cittadino entra vivo in una istituzione dello Stato; ne esce morto. Non siamo disposti a transigere su una questione “elementare”: se lo Stato, attraverso una sua articolazione, priva un cittadino della sua libertà, automaticamente diventa garante e responsabile della sua incolumità, della sua integrità fisica e psichica. Senza “se” e senza “ma”. Cucchi, privato della sua libertà – ripetiamo: poco importa il motivo per cui lo si è fatto – è entrato vivo; è uscito morto. È da qui che occorre partire, questi sono i termini della questione, questo è lo scandalo. E nello scandalo la sconcertante vicenda processuale, che si è trascinata per ben quattro anni, e siamo solo al primo grado. Quella di Stefano è la storia di un ragazzo morto mentre si trovava nelle mani dello Stato. Un ragazzo arrivato a pesare 37 chili, con il volto tumefatto, l’occhio destro rientrato nell’orbita, gonfio, con i segni evidenti del pestaggio patito. Prima di arrivare al Pertini, Cucchi ha avuto a che fare con carabinieri, agenti di custodia, magistrati. Nessuno si è reso conto delle condizioni di Cucchi, in quel lungo periodo di de- tenzione che precede il ricovero in ospedale? Sostenerlo è un’offesa alla nostra intelligenza, come un oltraggio è non aver individuato (non aver voluto individuare?) i responsabili di tale scempio. Responsabili che sono più d’uno: gli autori materiali del pestaggio, e chi l’ha coperto, chi ha visto e girato lo sguardo altrove, chi ha sentito e non ascoltato, chi ha taciuto, chi non ha fatto, potendo e anzi, dovendo, fare. Cucchi per tutti quei giorni ha disperatamente chiesto di poter parlare con il suo avvocato. Un diritto che gli è stato negato. Questa grave violazione non la si può imputare ai medici. Stefano Cucchi ha subito un brutale pestaggio; questo pestaggio non può essere imputato ai medici. Altri ne sono gli autori, che al momento restano impuniti. Non mancherà ora qualcuno che ci esorterà a non abbandonarci in frettolosi e superficiali giudizi, ci ricorderà che occorre conoscere le motivazioni che hanno portato i giudici della terza sezione della Corte d’Assise di Roma. In linea di principio e in generale, si tratta di “regole” sensate, che è bene osservare. In questo caso, però è tutto chiaro e “semplice”: Cucchi entra vivo, esce morto. Si può discutere, dibattere, chiarire, smentire, l’accaduto lo si può declinare in tanti modi. Ma il punto di partenza, incontrovertibile, indiscutibile, è sempre uno, lo stesso: Cucchi entra vivo, esce morto. E non si tratta, purtroppo, di un episodio isolato: la lista di casi analoghi è lunga: Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Francesco Mastrogiovanni, Federico Aldrovandi, Aldo Branzino … Nessuna generalizzazione, per carità: poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria, fanno un lavoro duro, faticoso, difficile, rischioso. Non si finirà mai di dire loro grazie per quel che fanno. Ma proprio per questo casi come quello di Cucchi ci risultano molto più intollerabili e “bruciano”. Entrare vivi in un “luogo” dello Stato, uscirne morti, si tratti di un carcere, di una caserma, di una questura: no, non è accettabile, non è giustificabile; non va accettato o giustificato. IL DITO NELL’OCCHIO I saggi e la saggezza isognerebbe tornare a Platone. Al suo governo dei saggi. Cioè B dei filosofi, gli unici che avevano la possibilità di scrutare nel mondo delle idee. Era un modello istituzionale di tutto rispetto. Con un evidente conflitto d’interesse, essendo lui stesso, Platone, un filosofo. E dunque proponendosi di fatto come il più saggio di tutti. Dunque come il naturale capo di tutti i governi. Sarebbe come se in Italia si proponesse un governo delle banche presieduto da un esponente del mondo bancario. Oddio, Monti non veniva dall’Iperuranio. Il problema di Platone derivava dalla difficoltà di realizzare il suo progetto. Andava e veniva da Siracusa, ospite dei governati locali, ma ogni volta ne trovava uno diverso e finiva sempre per essere cacciato e anche imprigionato. Avrà pensato: “Che razza di Paese però l’Italia dove i governi cambiano così in fretta…”. Non era arrivato ancora a pensare ai giorni nostri. D’altronde, a forza di stare nell’Iperuranio può accadere. La verità è che tra i saggi e la saggezza c’è di mezzo il mare. Quello che separa Grecia e Italia. E che d’estate è assai frequentato anche a fronte della crisi che ha rischiato di far precipitare entrambi i Paesi nel baratro. Così capita ancor oggi che i saggi vengano scelti senza occuparsi della loro saggezza. Prendiamo quelli nominati da Napolitano che avrebbero dovuto elaborare un programma di governo comune. A cosa sono pervenuti dopo giorni di intenso lavoro? A stabilire, ad esempio, che tra le riforme possibili vi è il semipresidenzialismo alla francese, e che sulla legge elettorale esistono posizioni diverse? È saggio ammettere di non essere riusciti nell’intento. Errare humanum, sed perseverare diabolicum. E invece ecco che i saggi vengono riproposti elevando il loro grado a più numerosi aspiranti. Ben 35 platonizzanti, ma in Grecia il diploma di saggio-filosofo si otteneva solo dopo tre cicli di scuola, si arrogano ora il diritto di fare proposte di riforma istituzionale e costituzionale. Chi li ha eletti? Nessuno. Da chi hanno ottenuto un così elevato riconoscimento? Dal presidente Letta. Ma sbirciandone i nomi, risulta all’occhio che sono stati tenuti presenti i soliti equilibri politici. A un Violante corrisponde un D’Onofrio. E via equilibrando. Che non ci sia neppure un socialista, nemmeno l’ex presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non stupisce. I sette parlamentari del Psi battano un colpo. Resta il fatto che a costoro spetterà la prima mossa. Vuoi vedere che arriveranno alla stessa conclusione dei saggi precedenti, che sono poi in certa misura quelli attuali? Non vorrei che a Letta capitasse quel che capitava ai governanti di Siracusa dopo ogni viaggio di Platone. E che facesse anche lui una brutta fine. Non è mai saggio fidarsi troppo dei saggi…. DELLA DOMENICA 4 www.partitosocialista.it ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013 Mauro Del Bue rivoluzione di scegliere la violenza, che erano “brave persone”. O l’analisi di Prampolini sulla dittatura del proletariato. Essendo il proletariato la maggioranza perché non servirsi della democrazia? È per me un grande onore essere qui a celebrare una delle più significative personalità del mondo socialista italiano. Ringrazio chi mi ha chiesto di commemorare Giacomo Matteotti in occasione dell’ottantanovesimo anniversario del suo martirio. Mi diffonderò sulla sua vita di socialista, sul delitto e le sue motivazioni, sull’attualita del suo messaggio politico. Giacomo Matteotti era un socialista padano. Come il mio Prampolini, come il cremonese Leonida Bissolati, come il ravennate Nullo Baldini, come il bolognese Giuseppe Massarenti. Anche se rispetto a Prampolini e Bissolati egli non apparteneva alla prima generazione socialista, quella che aveva fondato il partito nel ferragosto del 1892, costruendo già prima le sue fondamenta. Apparteneva però a quella stessa tendenza, alimentata di spirito pragmatico e di forte impulso ideale. Come quelli che lo avevano preceduto, come lo stesso Filippo Turati, Matteotti era stato avvinto dal socialismo come fonte di giustizia alle prese, com’erano tutti costoro, con la miseria opprimente delle popolazioni delle campagne, che faticavano a sopravvivere nonostante il duro lavoro ed erano vittime di gravi malattie e di una morte precoce. I socialisti sentivano amore per i più deboli, amore di giustizia, che aveva saputo rapire anche l’autore di Cuore, Edmondo De Amicis, il quale scrisse il fondo dell’Avanti in occasione del primo maggio del 1897, cinque mesi dopo la nascita del quotidiano socialista, il Natale del 1896. Giacomo Matteotti sapeva che per perseguire i suoi ideali non avrebbe dovuto attendere mitiche ore X, quello sciopero generale al quale faceva riferimento il soreliano Arturo Labriola, che poi si convertì al riformismo, più tardi flirtò col fascismo e poi morì comunista. Una delle differenze sostanziali tra riformisti e rivoluzionari, se ci pensate bene, è che i riformisti, tranne casi eccezionali, rimasero tali per tutta la vita, spesso i rivoluzionari cambiarono invece le loro convinzioni iniziali. Pensiamo, al di là del caso Mussolini che certo è il più eclatante, a quello di Nicola Bombacci che fondò con Bordiga il Partito comunista a Livorno nel 1921 e poi morì impiccato a testa in giù con la Buonanima. Turati, Prampolini, Treves, Matteotti rimasero loro stessi. E oggi ci propongono la sola versione di socialismo che non sia stata ripudiata dalla storia. Giacomo Matteotti era nato a Fratta Polesine il 22 maggio del 1885 da una famiglia benestante, anche se di umili origini. Frequentò le scuole a Rovigo e si laureò in Giurisprudenza a Bologna nel 1907. La stessa laurea di Turati, di Prampolini, di Treves, lo stesso percorso di avvicinamento al socialismo. Più vicino al messaggio di Benoit Malon che di Marx, più attento all’ultimo Engels che ipotizzava con l’espandersi del suffragio universale una evoluzione democratica verso il socialismo, che non alle infatuazioni sindacaliste rivoluzionarie del primo novecento che prospettavano la violenza rigeneratrice e che poi verranno recepite anche da un altro messaggio politico, anche Matteotti si accosta al socialismo con una concezione costruttiva. E inizia a lavorare per la conquista dei pubblici poteri nelle amministrazioni locali, è infatti consigliere provinciale socialista di Rovigo nel 1910, mentre nel Psi ancora prevaleva la maggioranza riformista di Turati e l’esigenza di collaborare coi liberali alla Giolitti, per tutelare e allargare i diritti dei lavoratori. Di lì a un anno la fiducia in Giolitti vacillò. E quando il leader piemontese iniziò l’impresa coloniale di Libia la corrente riformista del Psi si spaccò. Da una parte Turati, Treves, Prampolini, lo stesso Matteotti, sia pur da un avamposto provinciale, dichiararono conclusa quell’esperienza, dall’altra Bissolati, Bonomi, Cabrini, invece, ritennero che la collaborazione dovesse continuare. I riformisti si divisero e ne approfittarono i rivoluzionari, tra i quali emerse con forza il carattere deciso e spavaldo di un giovane romagnolo nato a Predappio, quel Mussolini che di Matteotti diverrà il principale bersaglio dopo la sua conversione fascista. E che lo ripagherà come sappiamo. Al congresso di Reggio Emilia del 1912 i riformisti di destra vennero espulsi dal Psi dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Mussolini, che di lì a poco diverrà anche direttore dell’‘Avanti!’. E da allora la componente riformista resterà sempre in minoranza nel partito fino al congresso di Palermo del 1981. Matteotti, come Turati, Treves, Prampolini, Zibordi sarà poi su posizioni decisamente neutraliste di fronte al primo conflitto bellico, contrariamente a Bissolati e allo stesso Mussolini, che nel 1914 si distaccherà per questo dal Psi fondando, anche grazie ai finanziamenti del governo francese, il quotidiano ‘Il Popolo d’Italia’, di orientamento interventista. Matteotti, così come sarà il più deciso tra i riformisti a condannare il primo fascismo, scrutandone le pieghe, indagandolo nelle cause, denunciandone i soprusi, così fu il più intransigente tra i riformisti a condannare la guerra. Venne per questo minacciato dai nazionalisti e dopo un discorso tenuto nel 1916 fu addirittura condannato e internato a Messina per qualche tempo. Era evidente che la concezione costruttiva del socialismo, quella che Matteotti, Turati, Prampolini espulsi dal Psi su ordine di Lenin Il 10 giugno 1924 veniva rapito e assassinato dai sicari del dittatore fascista Matteotti ha ucciso Mussolini! Il suo messaggio si mostra per taluni versi a noi ancora attuale. Quello di un socialista riformista attento ai temi del lavoro e della solidarietà, che lottava nel suo territorio polesano per il riscatto delle plebi oppresse dalla miseria e dalla malattia. Quello di un democratico che sfida un regime costruito sulla violenza e la denuncia con ostinazione. Oggi Matteotti e più vivo che mai nel 1921 a Livorno, Turati volle sottolineare come “il socialismo che diviene nelle cose e nelle teste” e che non è “il miracolo di un giorno o di un’ora”, e che “non diviene per altre vie che questa, perché ogni scorciatoia non fa che allungare il cammino”, perché “la via lunga è la sola breve”, quella composta di pubbliche amministrazioni da conquistare democraticamente, di sindacati e cooperative, di giornali e scuole pubbliche, di servizi municipalizzati, fermentata da organizzazione, educazione, riscatto, era evidente che tutto questo presupponesse il mantenimento e il rafforzamento della democrazia. La via riformista senza democrazia era un vicolo cieco. Una vita senz’aria. Ecco perché furono soprattutto i riformisti a battersi contro il fascismo già dall’inizio, mentre i rivoluzionari comunisti pensavano che in fondo tra dittatura e democrazia borghesi non ci fosse differenza, e che anzi la prima potesse consentire di avvicinare l’ora della rivoluzione proletaria. Ecco perché furono soprattutto i riformisti a battersi contro il fascismo Furono personaggi come Matteotti, Zibordi, lo stesso Carlo Rosselli, oltre a Piero Gobetti, che indagarono il fenomeno fascista, ne afferrarono la pericolosità e anche il livello alto di popolarità che poteva raggiungere in Italia a seguito della vittoria in guerra e dopo il tentativo, dopo l’ottobre bolscevico del 1917, di fare come in Russia. Due vie nuove, quella fascista e quella comunista, si erano così aperte per un’Italia in subbuglio in un dopoguerra in cui anche i socialisti compirono il grave errore di non capire le esigenze dei combattenti, che erano tornati dal fronte dopo un bagno di sangue che era costata la vita a 650 mila italiani, più del doppio delle vittime della seconda guerra, prevalentemente giovani e giovanissimi, e che aveva gettato nel lutto una parte cospicua di famiglie. Coloro che avevano avuto la fortuna di ritornare erano spesso osteggiati, mentre nei comuni conquistati dalla sinistra si gettavano alle ortiche le bandiere tricolore sostituendole con quelle rosse. Perfino Turati venne processato politicamente al congresso di Roma del 1918 perché aveva assunto, dopo Caporetto, una posizione favorevole alla difesa in armi del suolo patrio, minacciato dall’invasione austro-tedesca. La maggioranza del Psi s’infatuò, nell’immediato dopoguerra, del mito bolscevico e indicò nella dittatura del proletariato il suo obiettivo strategico. Si allargarono ancora più le distanze dentro il partito e al congresso di Bologna, nel 1919, il Psi scelse addirittura di aderire alla nuova Internazionale comunista, contro il parere dei riformisti divenuti nel frattempo una ristretta minoranza. In quell’anno Giacomo Matteotti divenne per la prima volta deputato. In quelle consultazioni politiche, le prime col suffragio universale con soglia di accesso a 21 anni, ma che continuava ad escludere le donne, e col metodo proporzionale, il Psi raggiunge il suo massimo storico col 32 per cento dei consensi. Nelle consultazioni precedenti, quelle del 1913, era stato eletto nel collegio di Lendinara, in provincia di Rovigo, Giuseppe Soglia, un maestro romagnolo che era stato chiamato a Reggio Emilia per dirigere le scuole comunali. Una sorta di felice invasione reggiana nel Polesine. Il Psi, nel 1919, era il primo partito e assieme ai popolari di Sturzo, neonati, disponeva della maggioranza del Parlamento italiano. Ci voleva poco a dar vita a un governo progressista. E invece i neo bolscevichi del Psi, da Serrati - che poi si rifiutò di espellere i riformisti nel 1921, disattendendo i 21 punti di Mosca, cosa che invece fece nel 1922 - e con lui Gramsci - che sparava le sue raffiche contro i riformisti dalla colonne dell’Ordine nuovo - e con loro Bombacci e Bordiga, pensavano ad altro. Non alla via parlamentare, ma a quella insurrezionale. Si allargò un conflitto politico ed etico. Famosa la battuta dei tre pellegrini socialisti a Mosca Lazzari, Maffi e Riboldi di fronte a Lenin, i quali risposero, all’intimazione del padre della Sul mito russo il Psi si divise addirittura in tre fra il 1921 e l’ottobre del 1922. A Livorno, nel gennaio del 1921 nacque il PCdI, e nel 1922 i riformisti furono espulsi dal Psi, che voleva unificarsi coi comunisti, nel 1924 Nenni lo impedirà, e naque il Psu del quale Giacomo Matteotti fu segretario. Matteotti, Turati, Prampolini espulsi dal Psi su ordine di Lenin, un atto che rappresenta una delle pagine più nere della sua storia, una storia che in realtà rinacque proprio grazie al Psu di Matteotti. Il segretario del nuovo partito socialista si schierò subito a favore dell’unità dei socialisti e nel 1924, dopo l’uscita dal Psi di Serrati e dei terzinternazionalisti, definiti terzini, che avevano direttemente scelto di iscriversi al Partito comunista, propose l’unità di tutti i socialisti specificando di essere sempre stato “favorevole all’unità perché, al di sotto delle frasi e delle forme”, egli scrive, “ho sempre visto una identità sostanziale tra tutti i socialisti e un’antitesi netta soltanto col comunismo”. Questo articolo venne pubblicato su “La Giustizia”, organo nazionale del Psu, a poche settimane dal suo discorso parlamentare. I massimalisti del Psi giudicavano impossibile l’unità col partito di Matteotti che non comprendesse anche i comunisti, proprio mentre il partito di Matteotti lanciava un’offensiva senza precedenti contro il fascismo. Matteotti aveva scritto nel 1923 un opuscolo di cento pagine, “Un anno di dominazione fascista”, che malgrado il sequestro a cui era stato sottoposto egli cercò di diffondere in tutta Italia. Già nel 1921 Matteotti aveva scritto l’‘Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia’, che denunciava le violenze durante la campagna elettorale del 1921. Il suo martirio è sempre stato messo in relazione alle clamorose denunce contenute nel suo discorso parlamentare del 30 maggio del 1924. Fu Matteotti a denunciare i brogli e le irregolarità delle elezioni e ad accusare il governo di Mussolini di aver così violato più volte la legge. Matteotti, più che non altri, riteneva che nei confronti del fascismo non ci fosse altro da fare se non l’azione più risoluta per la denuncia delle illegalità e della violenza. S’era opposto recisamente a qualsiasi dialogo con Mussolini sconfessando i tentennamenti di Gino Baldesi e dello stesso Ludovico D’Aragona. Nel suo discorso tenuto alla Camera era stato più volte interrotto. Aveva proposto con un ordine del giorno di annullare le elezioni, ordine del giorno bocciato dalla maggioranza. Una volta terminata la seduta avrebbe confidato all’amico Giovanni Cosantini: “Adesso preparatevi a fare la mia commemorazione”. La repressione scattò subito. Nel pomeriggio del 10 giugno Matteotti scompare. Si viene subito a sapere che è stato aggredito da cinque sconosciuti e portato a forza nella loro automobile. Poco giorni dopo la sconcertante rivelazione. Matteotti é stato ucciso. I presunti responsabili vengono subito arrestati. L’opposizione parlamentare manifesta immediatamente la sua protesta per il barbaro omicidio e dedice di astenersi dai lavori parlamentari. Nasce il cosiddetto ‘Aventino’. Si risalì subito all’auto usata per il prelevamento di Matteotti. Apparteneva a Filippo Filippelli, direttore del Corriere italiano. La Camera chiuse i lavori e vennero arrestati, tra gli altri, Cesare Rossi, capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio che chiamerà in causa lo stesso Mussolini quale mandante dell’omicidio, Giovanni Marinelli, Filippo Filippelli e Amerigo Dumini, squadrista toscano, stipendiato dalla presidenza del Consiglio, assieme agli altri uomini che con Dumini facevano parte della banda (Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo, Auguto Malacria, tutti provenienti dall’arditismo milanese). Recentemente la pubblicistica sul delitto Matteotti avanza la tesi di un coinvolgimento nell’assassinio del leader socialista di ambienti legati all’alta finanza e alla monarchia, che proverebbe, per alcuni, la completa estraneità dal delitto di Mussolini, mentre per altri, pur con un movente diverso, la confermerebbe appieno. Il movente sarebbe costituito dal pericolo dell’esplosione di uno scandalo a seguito di un’annunciata interpellanza di Matteotti sulle tangenti pagate dalla società prolifera Sinclair, il cui testo sarebbe stato contenuto nella cartella sequestrata al momento del suo prelevamento e mai più rintracciata. Per alcuni queste tangenti avrebbero interessato direttamente la monarchia, per altri il governo. Può anche essere che le ragioni fossero piu d’una. di carattere politico e anche morale. Questo nulla toglierebbe alla nobiltà del gesto di Matteotti. Anzi, ne verrebbe vieppiù accresciuta la sua for- DELLA DOMENICA www.partitosocialista.it 5 ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013 Ricordo di Saragat, a 25 anni dalla scomparsa za di combattente contro le violenze, la sopraffazione, l’immoralità. Il delitto sarebbe stato intenzionale secondo il figlio di Matteotti, Matteo, e glielo, avrebbe confermato l’autore, piangente, il Poveromo, in carcere nel 1951, poco prima di morire. Su Matteotti Turati ebbe parole ispirate alla più sentita commozione. Disse di lui: “Egli era il più forte e il più degno”. Il delitto Matteotti colpì al cuore il regime, che barcollò. Il fallimento della tattica aventiniana, la divisione dei partiti antifascisti, il ritorno in aula dei comunisti, finirono per indebolire la linea politica dell’opposizione e il fascismo riuscì a reggere a quello che poteva essere il preludio della sua fine. Reggerà per altri vent’anni. Ma il mito di Matteotti durerà assai di più. E sarà consegnato alla storia come il sacrificio più puro di un temerario, eroico cavaliere della democrazia. Il suo coraggio resterà scolpito nella memoria di tutte le coscienze. Si potrebbe perfino paradossalmente sostenere che è stato Matteotti a uccidere Mussolini e non il contrario. Il suo messaggio si mostra per taluni versi a noi ancora attuale. Quello di un socialista riformista attento ai temi del lavoro e della solidarietà, che lottava nel suo territorio polesano per il riscatto delle plebi oppresse dalla miseria e dalla malattia. Quello di un democratico che sfida un regime costruito sulla violenza e la denuncia con ostinazione. Oggi Matteotti e più vivo che mai e dispiace che qualcuno voglia prendersi gioco della sua vita di uomo politico, di socialista democratico. Come furono i suoi figli, Matteo, segretario nazionale del Psdi, poi socialista autonomista del Psi, e poi, ancora, ministro socialdemocratico, e Giancarlo, più volte parlamentare, che seguì il fratello nel partito di Saragat a qualche anno distanza e che ho avuto il piacere di conoscere nei corridoi della Camera dei deputati, dove a volte mi incrociava soffermandosi a parlare di politica con me. una profonda crisi di democrazia, con parlamentari nominati dai leader dei partiti e non scelti dai cittadini, con sindaci, presidenti di province e regione che nominano i loro assessori, con listini regionali che cooptano i consiglieri, mentre abbiamo deciso di sopprimere le circoscrizioni nelle città con meno di 250 mila abitanti e di eliminare, nella istituzione provinciale, l’unico ente elettivo e cioè il Consiglio. Se sommiamo tutto questo al ruolo preponderante che l’informazione ha assunto nell’orienta- E così si riaccende il fuoco del riscatto sociale, del lavoro che oggi sfugge, soprattutto alle nuove generazioni, in una società che pare costruita all’incontrario. Cogli anziani che mantengono i giovani e col futuro che si nega a chi ne ha più diritto. Restano scolpiti in noi i valori della libertà e della giustizia sociale per affermare i quali hanno lottato uomini come Matteotti. E noi vogliamo continuare a combattere ricollegandoci a loro perché solo un partito che ha una storia è degno mento della pubblica opinione, al fatto che in tre salotti televisivi si può decidere la vita o la morte dei partiti, e alla rete informatica che spesso non è neutrale e che soprattutto divide l’opinione pubblica tra chi sa destreggiarla e chi no, ne ricaviamo che il tema della democrazia, quello per difendere la quale Matteotti è morto, si ripropone oggi sia pur in forme e modi assai diversi. di avere un futuro, anche se non dispone di un solido presente. Questi siamo noi, noi che ci consideriamo eredi della bella storia del socialismo riformista e democratico, della bella storia di un’anima candida quale è stato Giacomo Matteotti. (testo della commemorazione tenuta a Fratta Polesine il 9 giugno 2013) Oggi viviamo in un sistema politico con partiti senza storia e a volte anche senza idealità Ho avuto modo di leggere qualche giorno orsono un articolo, che riprendendo una recente pubblicazione, conteneva accuse alla famiglia di Matteotti, che non riprendo, perché fuori tema e luogo, e critiche anche su di lui, a proposito delle violenze che si consumarono nel biennio rosso nella sua provincia. Francamente non comprendo come egli avrebbe potuto, in una realtà arretrata e densa di lotte aspre, controllare e guidare ogni lega, ogni sollevazione, ogni occupazione, ogni fermento sociale. Ma accusare Matteotti di essere complice o quanto meno neutrale rispetto a quasiasi forma di violenza, lui che è morto per le sue denunce contro la violenza, mi pare assurdo e paradossale. Viviamo oggi in un sistema politico con partiti senza storia e a volte anche senza idealità. Posso anche aggiungere che negli ultimi anni abbiamo vissuto NENCINI. I FRATELLI ROSSELLI, MTTEOTTI E SARAGAT: PROTAGONISTI E TESTIMONI DEL VALORE DELLA LIBERTÀ Ricorrono in questi giorni gli anniversari della scomparsa di tre maritri socialisti e di una persoanIità che più di chiunque altro incarnò e seppe indicare alla sinistra italiana i valori del socialismo democratico. I fratelli Rosselli e Giacomo Matteotti, barbaramente trucidati dai fascisti restano i simboli della lotta che i socialisti e gli antifascisti condussero in nome della libertà e della democrazia fino al supremo sacrificio delle loro vite. Giuseppe Saragat, anch'egli perseguitato dal regime mussoliniano, dopo la liberazione, fu il socialista dell'eresia e dell'anticonformismo fino al punto Da Matteotti a Grillo. La democrazia non ... Di Lello dalla prima “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”, disse tenendo sospesa sulla testa dei parlamentari la minaccia fisica della violenza fascista. Un modo per incutere timore e costringere i neo eletti a non contrastarlo. Passano gli anni, ma per la prima volta dopo quasi 90anni, siamo costretti ad ascoltare quasi ogni giorno parole pesanti che irridono le Istituzioni. Nessuno le prende davvero sul serio perché chi le pronuncia non possiede neppure lontanamente le capacità oratorie, organizzative, politiche di Mussolini. Il suo mortale potenziale distruttivo. Però dobbiamo stare attenti. Le parole, quando sono un puro esercizio di demagogia intrisa di menzogne, quando non si confrontano mai in un pubblico contraddittorio, sono solo veleno che intossica. La lezione di Matteotti è nelle parole stesse con cui Mussolini si assunse la responsabilità di quanto accaduto: “Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima sto- compiere scelte dolorose che non furono comprese ma anzi avversate e che oggi si rivelano come profetiche. Il denominatore comune che ha unito in un unico filo rosso questi grandi socialisti che ricordiamo con orgoglio è stato l'amore per la democrazia, l'uguaglianza e la libertà. E, poichè essi sono un patrimonio della memoria per tutti gli italiani, ci sarebbe piaciuto, che in nome di questi valori, venissero ricordati non solo da noi socialisti. rico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”. La colpa che veramente diamo a chi ha definito solo l’altro ieri quest’Aula come una “tomba maleodorante della Seconda Repubblica” è che 89 anni dopo Matteotti, ci costringe a difendere l’onore di queste Camere, ad esprimere solidarietà alla sua Presidente, quando invece ogni risorsa intellettuale, ogni secondo di lavoro, dovrebbe essere speso a contrastare la distanza crescente tra ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri. Non ci serve la propaganda, ma una ricetta seria per un lavoro sempre più rarefatto. Non ci servono gli insulti, ma le parole per ridare fiducia a giovani che si perdono perché non hanno futuro. Non ci serve un’altra democrazia, ma di rafforzare questa, che è diventata fin troppo liquida. Ci serve di riprendere il cammino di Giacomo Matteotti, da lì dove l’ha lasciato. E sono certo che in quest’aula i deputati e la deputata socialista troveranno tante compagne e tanti compagni di lotta a difesa della nostra democrazia. Una chance di rilancio ... Labellarte dalla prima pulsiva. Tutto ciò non costituisce certo una novità: il processo di disaffezione alla politica, che in qualche modo si accompagna ineluttabilmente alla sua progressiva personalizzazione, non è certo fenomeno che si manifesta oggi. Innegabile tuttavia che stia assumendo nel nostro Paese, anche in relazione a ciò che accade in Europa, dimensioni pericolose per la stessa legittimazione delle nostre istituzioni democratiche. Dobbiamo anche noi rassegnarci alla tendenza in atto, che appare impossibile da contrastare, anche per forze ben più radicate della nostra? È pensabile che il PSI, anziché accettare fatalisticamente la rassegnazione dell’elettorato e la sua ricerca disperata di nuovi interlocutori finalmente credibili come dati negativi e incontrovertibili, possa trasformarli in una chance di rilancio? Difficile. Molto, molto difficile. Non impossibile. “La cosa importante è avere degli ideali” Gian Franco Schietroma L’ 11 giugno 1988 veniva a mancare uno dei grandi padri della Repubblica, Giuseppe Saragat. A 25 anni dalla scomparsa dello statista, è opportuno ricordarlo anche perché, a fronte degli ormai frequenti esempi di cattiva politica, c’è bisogno di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e, soprattutto, dei giovani verso personaggi che si sono contraddistinti per integrità morale e per straordinario spessore. Saragat fu coerentemente socialista democratico e da questa impostazione ideologica, maggioritaria nella sinistra europea del secondo dopoguerra, ma, purtroppo, non in Italia, combattè una lotta aspra e senza concessioni al Partito Comunista Italiano ed al comunismo sovietico. Ciò non impedì al PCI, nel 1964, di votarlo e di eleggerlo, insieme con la stragrande maggioranza del Parlamento, alla Presidenza della Repubblica, dove si distinse per equilibrio, correttezza e rettitudine. Saragat era stato, nell’immediato dopoguerra, Presidente di quell’Assemblea Costituente che diede vita ad una Carta, i cui principi e valori sono tuttora un insostituibile punto di riferimento per noi tutti. La democrazia italiana deve moltissimo a Giuseppe Saragat. Dopo aver partecipato per tutto il ventennio alla lotta contro la dittatura fascista e, successivamente, alla Resistenza all’occupazione hitleriana dell’Italia, Saragat fu tra coloro che diedero un contributo decisivo all’avvento della Repubblica. Inoltre egli, unico nella sinistra italiana di quel tempo, vide lucidamente il pericolo che il totalitarismo staliniano costituiva per le libertà democratiche appena riconquistate. Fu uomo di straordinaria cultura, grande conoscitore di libri rari ed eccezionali, capace di leggere in lingua originale Goethe e Marx, esemplare per senso delle istituzioni ed onestà. La forte coerenza politica gli consentì di avere il coraggio dell’impopolarità. Ebbe intuizioni al limite della profezia, con una visione della politica che, con la difesa della libertà e della democrazia, doveva realizzare le condizioni materiali della giustizia sociale. Il lavoro era al cardine del suo pensiero politico e, così pure, il celebre trinomio “case, scuole, ospedali”. Tra i miei ricordi di adolescente campeggia un magistrale discorso di Giuseppe Saragat al Cinema Teatro Nestor di Frosinone, nel 1963, di cui rammento il puntiglioso riferimento alle riforme sociali operate dalle socialdemocrazie scandinave, che, a distanza di tanti anni, sono ben lungi dall’essere adottate nel nostro Paese. Anche in ragione di ciò, ritengo che occorre guardare al socialismo europeo per cambiare l’Italia e per realizzare quella giustizia sociale che è essenziale per un vivere civile ed umano. Occorre, altresì, che la politica riacquisti credibilità. Al riguardo può far riflettere una frase che Saragat mi disse qualche tempo prima di morire: “Caro Gian Franco, tu sei giovane, ricorda sempre che per un giovane la cosa più importante è avere degli ideali. Noi, della nostra generazione, li abbiamo avuti”. Basta questa semplice frase per rendere bene l’idea sulla distanza abissale che purtroppo esiste tra una parte considerevole della politica di oggi e Giuseppe Saragat. Ma è un divario che, soprattutto con l’aiuto dei giovani, dobbiamo tentare di colmare, se vogliamo sperare in un mondo migliore. IL CORSIVO di Felice Besostri Presidenzialismo. Come in Francia, ma all’italiana ra l’altro si fa confusione. In Francia non c’è nessun presidenzialismo, T ma un semi-presidenzialismo, che malgrado il nome è una variante razionalizzata della forma di governo parlamentare. Il pericolo in Italia non è l’adozione di questa o quella forma di governo, ma la sua concreta attuazione, perché si piegano a interessi di bottega le forme di governo di altri Paesi imbastardendole. Quello che trovo assurdo è che un Parlamento di nominati voglia stravolgere la Costituzione con la foglia di fico di una ventina/quarantina di esperti lottizzati (guai a dimenticare chi scrive sui giornali: sono vendicativi) senza un preventivo referendum sulla forma di governo e, tanto che ci siamo, sulla forma di Stato. Non che sia ottimista dell’esito, ma almeno ci sarà un dibattito pubblico in cui far valere le proprie ragioni. Perché questa accelerazione? Posso rispondere con Virgilio nella Divina Commedia, dove l’espressione viene usata per la prima volta nei confronti di Caronte: “[...] Caron, non ti crucciare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Inf. III 95-96). La seconda volta viene rivolta a Minosse: “[...] Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Inf V 22-24). La terza, con qualche variazione, a Pluto: “[...] Taci, maladetto lupo; consuma dentro te con la tua rabbia.Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi ne l’alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo”. (Inf VII 8-12) Cioè si vuole lassù dove l’Arcangelo Michele vendicò la ribellione degli angeli, cioè in Paradiso. Chi sia colui che sta colà dove si puote? Ai postumi (posteri) l’ardua sentenza (A. Manzoni - 5 Maggio). Per me non è una persona ma una lobby, con infiltrazioni dovunque, anche a sinistra. (dal blog della Fondazione Nenni) DELLA DOMENICA 6 www.partitosocialista.it ANNO XVI - N.23 - DOMENICA 16 GIUGNO - 2013 Un libro di Andrea Spiri: La svolta socialista. Il Psi e la leadership di Craxi dal Midas a Palermo (1976-1981) Craxi e la modernizzazione del socialismo Gianfranco Sabattini I n nessun Paese, forse, come in Italia, i rapporti tra i principali partiti della sinistra sono stati improntati ad una lotta senza quartiere, perlopiù condotta dal PCI con metodi di chiara natura stalinista per la soppressione del PSI. Quando Bettino Craxi, nel luglio del 1976, divenne segretario del PSI, nessuno del gruppo dirigente del PCI immaginava che ciò avrebbe segnato una nuova fase nella vita del socialismo italiano. Al Midas seguirono anni di ricupero del partito dalla ghettizzazione alla quale il PSI era stato relegato dopo l’esperienza frontista fallimentare di Nenni. Negli anni successivi alla sua ascesa alla segreteria, però, per sottrarre il partito agli esiti dell’abbraccio asfissiante tra PCI e DC, avvalendosi dell’elaborazione teorica degli intellettuali che si raccoglievano intorno a Mondoperaio, il nuovo segretario fece del confronto sulle idealità della sinistra il motivo di una nuova battaglia per approfondire e consolidare la visibilità e l’autonomia del partito. Craxi fece dell’autonomia politica e culturale del PSI il punto di non ritorno dell’evoluzione della sinistra italiana in senso riformista. Sul terreno del riformismo il PCI incontrò però insormontabili difficoltà al proprio interno e sarebbe stato necessario attendere il 1989 perché il “crollo del muro” imponesse anche al partito di Togliatti, Longo e Berlinguer la convenienza opportunistica di una sua “svolta”. È questo in sintesi l’impatto che la breve parabola di Craxi ha avuto sull’evoluzione riformista dell’intera sinistra italiana; essa emerge chiaramente dal recente libro di Andrea Spiri “La svolta socialista. Il Psi e la leadership di Craxi dal Midas a Palermo (1976-1981)”; ma è bene ricordare il prezzo che Craxi è stato chiamato a pagare col concorso irresponsabile di quel partito che egli stesso aveva concorso a legittimare presso la famiglia dei partiti socialisti democratici europei. Nel 1990 a Madrid erano riuniti i rappresentanti delle più diverse sinistre europee in occasione di una tavola rotonda sul socialismo del futuro. In quell’occasione, Occhetto, intervenuto in rappresentanza del PCI, ricevette da Claudio Martelli, anch’egli presente alla riunione di Madrid, l’impegno che il PSI non avrebbe posto alcun ostacolo all’ammissione del PCI all’Internazionale socialista. Quasi a titolo di riconoscenza, Occhetto colse l’occasione per esternare che l’ingresso del PCI nell’Internazionale avrebbe facilitato i rapporti a sinistra, soprattutto a livello nazionale; un’apertura di credito, quella del segretario del PCI, che avrebbe dovuto indurre a sperare che la svolta della Bolognina e l’ammissione all’Internazionale avrebbero sicuramente affievolito la concorrenza a sinistra e facilitato i rapporti tra i partiti socialisti italiani. Nonostante i buoni propositi ed il “favore” ricevuto, Occhetto non seppe evitare, dopo l’inizio di “tangentopoli” nel 1992, che il segretario del Partito socialista italiano ne divenisse il capro espiatorio; nulla, lui e il suo nuovo partito, fecero per impedire che, dopo la negata autorizza- BREVI Genova Il Psi ligure esprime soddisfazione per l’elezione a Sindaco di Carlo Capacci a Imperia e di Valentina Ghio a Sestri Levante. Due successi netti che sono il riconoscimento del valore dei candidati, dei loro programmi di governo e della coalizione di centrosinistra che li hanno sostenuti. Il Psi esprime la propria soddisfazione per l’elezione dei propri candidati. “Dopo vent’anni di assenza, - ha detto Maurizio Viaggi torniamo autonomamente nel consiglio comunale d’Imperia. Dai banchi dei consigli, con più forza, garantiremo il nostro contributo d’idee e passione politica al centrosinistra e alle sue amministrazioni”. Milano “A parte la stupidaggine dei metrò che non servirebbero ai milanesi e della proposta di spalmare i costi di Milano su gli altri comuni, - ha dichiarato Roberto Biscardini - D’Alfonso mette il dito nella zione a procedere della Camera dei deputati nei confronti di Craxi, fosse inscenata la gazzarra di Piazza Navona e che, all’Hotel Raphael, Craxi fosse il bersaglio del lancio di oggetti di ogni tipo e il destinatario di slogan che auspicavano per lui il carcere (Bettino, Bettino il carcere è vicino). La prosecuzione delle inchieste portò Craxi a collezionare svariati “avvisi di garanzia”, costringendolo nel 1993 a dimettersi da segretario del Partito per scegliere, dopo la condanna definitiva a diversi anni di carcere, l’esilio volontario ad Hammamet in Tunisia, dove rimase dal 1994 fino alla sua morte, avvenuta il 19 gennaio 2000. Con la caduta di Craxi, il Partito socialista è sostanzialmente scomparso e le sue veci sono state assunte, maldestramente, da quel partito, il PCI, che dopo essere stato accreditato dai socialisti italiani presso l’Internazionale socialista, si è impossessato, come ha avuto modo di affermare Ugo Intini, degli abiti del PSI, unitamente ai suoi documenti di identità, con cui ha potuto definitivamente legittimarsi per inserirsi nella storia del Paese sotto le mentite spoglie del PDS. Non c’è dubbio che l’atteggiamento del PCI-PDS e dei suoi massimi dirigenti sia stato ambiguo e reticente di fronte alle difficoltà del leader socialista, il quale, peraltro, aveva avuto il coraggio, in piena “tangentopoli”, di pronunciare alla Camera un discorso severo contro il problema del finanziamento illegale dei partiti, riguardante non soltanto il PSI, ma l’intero sistema politico. Craxi, in realtà, abbandonato a sé stesso, pagò il coraggio col quale aveva connotato il socialismo italiano in termini di riformismo, che il PCI-PDS solo obtorto collo e opportunisticamente accettò come requisito essenziale della sua identità per riproporsi all’elettorato nazionale. Ironia della storia, nel giorni scorsi, la SPD tedesca, considerata la madre di tutte le sinistre, in occasione della celebrazione dei 150 anni dalla sua costituzione ha riunito a Lipsia trenta “partiti fratelli”, tra i quali il PD, rappresentato da D’Alema e Bersani, per lanciare la proposta di rifondare l’Internazionale socialista attraverso la costituzione di un’“Alleanza dei progressisti”; ciò al fine di portare il riformismo socialista all’internazionalismo delle origini, in considerazione del fatto che negli ultimi decenni i socialisti democratici e riformisti hanno privilegiato la politica nazionale rispetto a quella internazionale. Viene spontaneo chiedersi se, per caso, i rappresentanti del PD, dopo aver versato tardivamente alcune lacrime di coccodrillo sulla fine del PSI e del suo leader, abbiano mai pensato che ai socialisti italiani, dopo aver loro negato ogni visibilità in occasione della recente alleanza elettorale, sarebbe stato opportuno riservargli, almeno nella “loro casa d’origine”, lo “strapuntino” che gli è stato negato, come ha di recente ricordato Mauro Del Bue, in occasione della costituzione del governo delle “larghe intese” nel loro Paese di residenza, quasi a sottolinearne il “peso” marginale. Sic transit gloria mundi. [email protected] piaga di un bilancio fuori controllo. Bilancio che, io aggiungo, ha ormai un deficit strutturale e sul quale non si è ancora intervenuti con sufficiente energia. L’intervista di D’Alfonso, amico e rappresentante della lista di Pisapia, insieme alla costatazione che per due anni i milanesi hanno sopportato la stupidità di queste domeniche a piedi, impongono a Pisapia di tirare le somme, e correggere con fermezza ciò che non va, a partire dal fatto che per due anni ha avuto anche cattivi consiglieri.” Lecce L‘automobile del sindaco di Melendugno,Marco Potì, parcheggiata nei pressi dell'abitazione, è stata distrutta nella notte tra il 6 e il 7 da un violento incendio doloso. Solidarietà è stata espressa dalla Federazione di Lecce e da esponenti di altre forze politiche. L’auspicio rivolto è che gli inquirenti possano fare presto luce sul vergognoso atto intimidatorio. Negli ultimi mesi nel Salento sono stati diversi gli epi- sodi di danneggiamenti e incendi ai danni di automobili di altri politici o ex amministratori. Capua (CE) Con la solidarietà espressa ai lavoratori dell’Indesit di Teverola si è svolta nella serata del 6 giugno, l’assemblea cittadina del PSI che ha deliberato la data del primo congresso cittadino che si terrà presso la sede sita in Corso Appio (ex albergo delle Poste), a partire dalle ore 18.00, del 15 giugno. “Le adesioni al Partito Socialista nella Città di Capua - ha detto il segretario provinciale Mimmo Dell’Aquila - rappresentano un dato politico estremamente importante, non solo per la Sinistra e il centrosinistra cittadino”. “Finalmente - ha aggiunto il capogruppo in Regione, Gennaro Oliviero - tornano alla ribalta quelle forze di matrice riformista le quali, sono sicuro, contribuiranno non solo a rilanciare il dibattito culturale e politico, ma a rigenerare un’intera classe dirigente cittadina". >> DIRITTI & LAVORO a cura di Carlo Pareto<< ESTRATTO CONTO INTEGRATO PER 1 MILIONE DI LAVORATORI La situazione previdenziale a portata di mano in un semplice click. Si estende a un milione di lavoratori che hanno versato i contributi a più enti la possibilità di vedere riassunta la propria posizione in un unico file. Con il messaggio 8822 del 30 maggio, l’Inps ha confermato l’implementazione della seconda fase dell’estratto contro integrato con il conseguente ampliamento da 100mila a un milione della platea di soggetti interessati. Collegandosi al sito internet dell’ente a cui ci si è iscritti più di recente, ogni lavoratore coinvolto nell’iniziativa può prendere visione dei contributi che risultano corrisposti nel corso del tempo e nelle varie gestioni. C’è anche la possibilità di segnalare errori tra quanto al lavoratore risulta dovrebbe essere versato e quanto riportato nel prospetto. A regime il servizio dovrà essere reso disponibile per i circa 6 milioni di lavoratori che nel corso della vita hanno corrisposto contributi a più enti diversi. L’estratto conto integrato – si sottolinea - rientra in un progetto più ampio che punta a incrementare la consapevolezza degli italiani nei confronti del tema previdenziale. Gli altri strumenti messi in campo sono, per gli iscritti all’Inps, il calcolatore della pensione che fornirà la data del pensionamento e l’importo presunto del relativo trattamento pensionistico. Inizialmente disponibile per i nati prima del 31 dicembre 1955 e con contributi accreditati solamente nel fondo pensione lavoratori dipendenti o soltanto nelle gestioni speciali lavoratori autonomi o solo nella gestione separata, verrà a breve successivamente esteso a tutti. Inoltre, entro la fine del 2013 dovrebbe essere messo a disposizione un simulatore della pensione per i più giovani che, sulla base della contribuzione che risulta accredita all’Inps, elaborerà degli scenari previdenziali fornendo indicazioni di massima sulla prestazione di quiescenza che si potrà ottenere. UN UNICO CONTACT CENTER TELEFONICO INPS Dal 1° giugno anche gli iscritti alle gestioni pensionistiche dei lavoratori dello spettacolo (ex-Enpals) e dei dipendenti pubblici (ex-Inpdap) potranno chiamare, per avere informazioni telefoniche, il Contact Center Multicanale InpsInail: il numero verde gratuito 803.164 per le chiamate da telefono fisso; e il numero 06.164164 per le chiamate da telefono cellulare (in questo caso la chiamata è a pagamento e il costo dipende dal piano tariffario applicato dai gestori telefonici). Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato dalle 8 alle 14. Oltre che in italiano, fornisce informazioni e risposte anche in 7 lingue straniere (tedesco, inglese, francese, arabo, polacco, spagnolo e russo) utilizzando operatori bilingue. Nelle restanti ore (e nei giorni festivi) rimane attivo un servizio automatico di risposta, che per la provincia di Bolzano è anche in lingua tedesca, in funzione 24 ore su 24. [email protected] Lettere [email protected] Teniamoci ancorati al Pse Sono molto d’accordo con la compagna Pia Locatelli che il nostro Partito si colleghi strettamente con le linee e gli obiettivi del PSE e dell’Internazionale Socialista, evitando le tattiche perdenti di posizioni Liberal che a livello europeo sono fuori la famiglia Socialista. Il Congresso è una grande occasione perché, dopo l’annunciata richiesta di adesione di SEL al PSE, dobbiamo sollecitare e incalzare anche il PD a porre nel loro Congresso l’ineludibile problema dell’adesione al PSE. IL messaggio giusto e vincente è quello di sconfiggere le politiche neo-liberiste e di austerità del centro-destra in Europa, come in Italia ed affermare le linee e le proposte socialiste e riformiste sostenute in Europa dalla famiglia socialista. La necessità di politiche socialiste deve essere il punto di riferimento fondamentale portato avanti dal PSI per influenzare anche gli altri Partiti di centro-sinistra e costruire anche in Italia un forte Partito Socialista. Gioacchino Assogna - Roma Non dimentichiamo i meriti Finalmente è stata inaugurata l’avveniristica stazione Mediopadana di Reggio Emilia, una stazione con un potenziale bacino di utenza di oltre due milioni di persone. Una opportunità di sviluppo per la città e non solo. Come già da più parti si è detto, la stazione sarà a pieno regime non appena verranno ultimate le previste opere infrastrutturali. Avanti quindi con fiducia e col consenso/impegno delle rappresentanze economiche e politico-istituzionali. Quello stesso impegno che profuse nel 2005/2006 Mauro Del Bue, allora Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Del Bue fu fondamentale nell’ottenere un determinante contributo governativo di oltre 30milioni di euro per la realizzazione della stazione dell’alta velocità. Confidiamo che, nel definire, giustamente, la “Stazione TAV un successo collettivo”, nell’euforia del momento, non ci si dimentichi di chi ne ha favorito la realizzazione. Mario Guidetti Il ruolo del cristianesimo A mio avviso l’europa potrà integrarsi bene e meglio se il cristianesimo ritroverà i veri valori sociali avvicinandosi e forse coincidendo col socialismo umanitario ab origine ... In un tempo di laicità forse anche malintesa, la principale religione dell’Europa, può far molto per il miglioramento delle condizioni sociali degli abitanti del continente. Ristabilire una eguaglianza nella libertà, e nella semplicità culturale delle origini, è fondamentale per l’Europa intera. Adalberto Andreani - Rieti APPUNTAMENTI Civitavecchia. Giovedì 13 giugno la sezione locale organizza alle ore 16 presso l’Aula Cutuli del Comune di Civitavecchia, una conferenza stampa sulla campagna referendaria promossa dal comitato referendario “Cambiamonoi” e sostenuta anche dal PSI e sui tre disegni di decreto delegato presentato al Senato relativamente a interventi per il sostegno dell’occupazione giovanile e femminile e delega al Governo in materia di regime fiscale agevolato. Alla conferenza interverranno il Senatore Enrico Buemi, l’assessore comunale Alvaro Balloni, il consigliere comunale Mauro Mei e la responsabile del Psi locale Angela Tandurella. Napoli. Giovedì, 20 giugno alle ore 16.00, presso il salone CGIL Campania, Via Torino 16, dibattito “Quale socialismo per quale sviluppo”. Presiede On.le Filippo Caria. Introduce Nino Cavaliere. Relazione di Giuseppe Biasco. Intervengono: Carlo Ghezzi, Gerardo Ragone, Arturo Scotto, Franco Tavella. Conclude Riccardo Nencini. Roma. Venerdì 21 giugno alle ore 9,30, presso la Sala delle Colonne (Camera dei Deputati), organizzata dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati, presentazione del libro di Silvia Bianciardi: Argentina Altobelli e “la buona battaglia”. Franco Angeli Editore. Roma. Venerdì 21 giugno 2013, ore 17,00, Sala degli Atti legislativi – Biblioteca del Senato, Piazza della Minerva, 38 presentazione del volume FRATERNITà, Rilettura civile di un’idea che può cambiare il mondo di Maria Rosaria Manieri con la prefazione di Giuseppe Vacca, Edizioni Marsilio. Intervengono: Giuliano Amato , Franco Cassano, Giuseppe Vacca. Introduce, Luigi Covatta. Sarà presente l’Autrice. Per adesioni e informazioni: Mondoperaio – P.zza S. Lorenzo in Lucina, 26 - 00186 Roma. [email protected] Montechiarugolo (PR). Sabato 22 giugno, alle ore 9,30 nella Sala Consiliare, dibattito organizzato dalle Federazioni di Parma e Reggio Emilia, ‘Acqua dell’Enza - Ricchezza da non disperdere’ Presiedono: Arcangelo Cocconcelli, Gianluca Soliani. Apertura dei lavori: Claudio Magnani, già Presidente della Provincia di Parma. Relazione introduttiva di Emilio Bertolini, già Presidente dell’Unione dei Consorzi di Bonifica dell’Emilia Romagna. Intervengono: Ing. Alberto Montanari, Università di Bologna; Amilcare Bodria, Sindaco di Tizzano Val Parma; Ing. Eugenio Bertolini, Dirigente IREN. Conclude Mauro Del Bue. Palestrina (RM). Venerdì 14 giugno alle ore 17,30 presso i locali del Centro Sociale Anziani di Palestrina, Corso Pierluigi n. 61 convegno/dibattito sul tema “Il centrosinistra della regione Lazio per il rilancio della sanità pubblica”. Presiedono Marco Gambini e Alessandro Vincenzi, intervengono Alberto Santoboni Primario Medico Ospedale di Colleferro, Enrico Saracini del Psi Regionale, Rodolfo Lena Presidente della Commissione Sanità Regione Lazio. Conclude Gerardo Labellarte della segreteria nazionale del PSI. (a cura di Barbara Conti)