Per il contributo che ci ha permesso la stampa di questo 15° volume della collana “Storie e racconti di mare”, sentiamo il dovere di ringraziare il nostro socio onorario Comm. Angelo Di Martino, Amministratore di una Azienda di Trasporti, Distribuzione e Logistica di primaria importanza in Italia. La battitura dei testi, la scansione di foto e documenti, l’impaginazione e la progettazione grafica sono a cura di Gioacchino Copani Finito di stampare presso Eurografica SRL di La Rocca S. S. 114 Orientale Sicula Contrada Rovettazzo - 95018 Riposto CT Tel. 095/931661 - Fax 095/7799108 info@eurograficalarocca.it Luglio 2010 Tutti i diritti riservati Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il Presidente del Circolo Cap. d. m. Gioacchino Copani PRESENTAZIONE DEL XV VOLUME Sabato 7 agosto 2010, all’interno del porto turistico “Marina di Riposto”, ha avuto luogo la cerimonia conclusiva della trentaseiesima edizione del Premio Nazionale Artemare. Il progetto, una Rassegna artistico-culturale sul tema “L’uomo e il mare”, è nato nel 1973 con la prima edizione del concorso “Fatti di bordo”, svolta nel febbraio del 1975 all’interno della sede del Circolo. Poi negli anni, sono nate, via via, altre sezioni; in ordine: Pittura (1977), Modellismo navale (1978), Fotografia (1979), Video documentario (1982), Canzone (1984), Giornalismo (1985), Narrativa (1988), Gastronomia (1995). L’ultima nata è stata la sezione “Protagonisti del mare”, che dal 1997 raccoglie l’eredità del “Premio Capitani Coraggiosi” organizzato dalla Pro loco e poi rimasto abbandonato per anni. Tutte le sezioni tranne la prima, denominata “Fatti di bordo” e che è riservata ai soli naviganti della Marina militare, mercantile e da diporto, sono aperte gratuitamente a tutti. Le vicende narrate dagli uomini di mare hanno dato vita ad una collana di “Storie e racconti di mare”, che con questo raggiunge il numero di 15 volumi. Tutti gli scritti sono vere testimonianze di vita vissuta ed esaltano, in ogni suo aspetto, il legame dell’uomo con il mare. Lo scopo del Premio è di diffondere in Italia lo spirito marinaro, tutelarne le tradizioni e portare in primo piano i problemi legati al mare. A tale scopo, ogni appuntamento annuale affronta una questione specifica sulle problematiche marittime e navali. Il progetto può considerarsi, senza dubbio alcuno, precursore di una miriade di iniziative che oggi si propongono la tutela dell’ambiente marino: “Vivere il mare”, “Amare il mare”, “Mare d’amare”, “Linea blu”, “Mare blu”, “Mare azzurro”, “Andare per mare”, ecc. Il raggiungimento di 36 anni d’ininterrotta attività, specialmente da parte di una piccola associazione marinara come la nostra, è certamente un traguardo importante. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 3 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° È un momento dunque particolarmente significativo che induce a riflessioni, a fare consuntivi e a prendere decisioni. La manifestazione è vissuta sempre e solo con i contributi della Regione, della Provincia e, principalmente, del Comune, perché non abbiamo saputo trovare generosi sponsor privati. In questa nostra lunga esperienza, abbiamo anche capito che spesso i contributi pubblici si ottengono più per clientelismo che per il valore in sé dell’iniziativa. Capita di osservare piccole associazioni, di cui magari non se ne conosce l’esistenza, che riescono ad ottenere contributi di decine di migliaia di euro per organizzare grosse manifestazioni. E senza che nessuno si stupisca e si chieda come ciò possa accadere. Perché una manifestazione possa raggiungere veramente la ribalta nazionale occorrono: tanta costosa pubblicità, premi molto consistenti, ricchi cachet per gli ospiti. Ma il nostro budget non ci permette tanto. Il contributo comunale, pur essendo il più consistente tra quelli assegnati alle associazioni, è modesto per il sostegno della nostra proposta. E per di più, negli ultimi tempi, è stato annualmente ridotto. Logica conseguenza è togliere il disturbo. Con sincerità, dobbiamo dire che ci dispiace che l’impegno speso in questi anni venga perso. Ed è per questo che più volte ci siamo permessi d’invitare l’Amministrazione comunale a far suo il nostro progetto. Il porto turistico è ormai una realtà consolidata nella vita ripostese, ed ogni paese a vocazione turistica deve avere una manifestazione che lo caratterizzi. Ebbene, il Premio Nazionale Artemare, per la sua storia e per l’importanza acquisita, può ben rappresentare la nostra città marinara. Attorno a questa “Festa del mare”, che Riposto celebra dal 1975, possono confluire tante altre iniziative attinenti all’ambiente “mare”. L’operare in sinergia attorno ad un unico tema porterebbe certamente ad un risultato migliore di quello ottenuto dalle singole ed isolate iniziative. Ci riteniamo giunti alla conclusione di una bellissima avventura nata trentasei anni fa, che desidereremmo altri proseguissero. Se l’Amministrazione comunale dovesse ancora una volta ignorare questo nostro appello, vorrà dire che il Circolo si ritiene autorizzato a cedere il marchio del Premio Nazionale Artemare ad un Comune marittimo e/o ad un’Associazione marinara che ne faranno richiesta. Se ci saranno più richieste, il Circolo saprà valutare e scegliere l’Ente più affidabile. Forse non è superfluo aggiungere che il Premio non lo cederemmo mai ad un Comune siciliano e/o ad un’Associazione siciliana, perché ritroverebbero le stesse difficoltà che il nostro Circolo ha incontrato per essere stato sempre coerente al suo motto: “Il mare, Patria dei liberi”. Pagina 4 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il Sindaco di Riposto dott. Carmelo Spitaleri Sabato 7 agosto 2010 ho partecipato, per la terza volta in qualità di Sindaco alla 36a edizione del Premio Nazionale Artemare. Sono trascorsi più di cento anni dalla posa della prima pietra per la costruzione del porto: tante cose sono cambiate ma non la vocazione marinara della nostra gente, non il suo legame indissolubile con il mare e le antiche tradizioni ad esso collegate. Il premio Nazionale Artemare esalta e valorizza, con competenza e maestria, le tradizioni e la cultura marinara della nostra gente, approfondendo le problematiche sempre complesse e di difficile risoluzione legate al mare. Dopo il collaudo del 1° bacino una mareggiata di rara potenza nel gennaio dello scorso anno ha danneggiato parte dei pontili, ritardando il decollo della struttura sulla quale sono riposte fondate speranze per un rilancio turistico - economico del nostro territorio. L’Amministrazione ha provveduto a far realizzare un progetto riguardante la riparazione dei pontili e la costruzione di un pennello provvisorio sottomarino per mettere definitivamente in sicurezza l’opera portuale. I funzionari della regione, dopo un attento esame, riconoscendo la validità delle soluzioni prospettate, finanzieranno quanto prima il completamento dell’opera. Una volta riparati i danni, l’Amministrazione ritiene di dover ricoprire un ruolo di protagonista assoluto, e non di comprimario, nella futura gestione del 1° bacino del porto turistico. Si perseguirà quest’obiettivo con strenuo ed intransigente impegno al fine di rappresentare al meglio la collettività ripostese che per storia, tradizione, cultura e risorse investite, rimane la prima beneficiaria del porto turistico. Concordo con l’idea espressa più volte dal presidente del circolo il cap. Gioacchino Copani circa l’opportunità di realizzare una sola ma importante manifestazione collegata al mare, perché sicuramente una sinergia tra associazioni permetterebbe di ottenere risultati più lusinghieri ed importanti; ma ritengo sia di difficile realizzazione perché non in linea con il modo di pensare di molti di noi. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 5 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° In ogni caso, come consuetudine, anche quest’anno nonostante la scarsezza di risorse in bilancio, l’Amministrazione è stato l’Ente più sensibile alle esigenze della manifestazione. A lei, Presidente, riconosco il grande impegno e la grande passione per la realizzazione del Premio che da sempre, con qualità e competenza, rappresenta ed esalta le tradizioni e la cultura marinara della nostra gente. Esso rappresenta uno dei momenti più importanti della mia vita amministrativa e la sua dignità val bene più di qualsiasi contributo. A noi Amministrazione, al Circolo e alle componenti sane della nostra società resta affidato il compito arduo di contribuire con l’esempio alla rigenerazione morale della nostra popolazione. Riposto senza premio Artemare perderebbe parte della sua storia e delle sue tradizioni. Marchio del Premio Artemare dove è possibile sostituire i logotipi degli Enti che volessero sponsorizzare la manifestazione Pagina 6 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Quindicesimo volume della collana “storie e racconti di mare” Contiene opere premiate nelle edizioni 2008 e 2009 del Premio Nazionale Artemare La Commissione giudicatrice del concorso“FATTI DI BORDO” (riservato agli uomini di mare) e di quello di “NARRATIVA” (aperto a tutti) - espletati negli anni 2008 e 2009 - è stata presieduta dal prof. universitario Orazio Licciardello e composta della dott.ssa Betty Denaro, Segretaria - del Sindaco del Comune di Riposto e del comandante della Capitaneria di Porto di Riposto pro tempore - della prof.ssa Sara Martello - del capitano di macchine Mario Di Pino e del capitano di lungo corso Angelo Leonardi. Nella commissione del 2008 hanno preso parte il Sindaco on. Carmelo D’Urso e il Ten Vasc. Francesco Terranova e in quella del 2009 erano presenti il Sindaco dott. Carmlo Spitaleri e il Ten. Vasc. Cesare Mariano Spedicato. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 7 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Pagina 8 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Circolo Ufficiali Marina Mercantile Riposto Comune Riposto Provincia Regionale Catania Regione Siciliana Ass. Beni Culturali Ambient. e P.I. Assess. Turismo Dipartimento turismo, sport e spettacolo P remio Nazionale ARTEMARE 2008 XXXIV Edizione sul tema ������������������ ���������������������������������������������������������������������������������� ���������������������������������������������������������� �������������������������������������������������������������������������������������� ������������������������������������������������������������������������������������������� ����������������������������������������� ���������������������������������������������������������������������������������������� ������������������������������������������������������������ ���������������������������������������������������������������������������������� ����������������������������������������������������������������������������������������������� ���������������������������������������������������������������������������������������� �������������������������������������������������������������������������������������������� ������������������������������������������������������������������������� Ingresso libero. Per i posti a sedere del 2 agosto e per ricevere il volume dei racconti di mare occorre presentare l’invito rilasciato dal Circolo Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto �������������������� Pagina 9 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SEZIONE FATTI DI BORDO 2008 - XIX edizione 1° Premio – Natale Pappalardo – Fiumicino RM – “Sapele 1968” «C’è il caldo torrido di questi luoghi remoti, così diversi dagli scenari consueti; c’è la luce impietosa di queste giornate lunghe e monotone; c’è il sentore della guerra, lontano ma pregnante; c’è il bisogno di comunicazione, di parole, di contatti fisici, che insopprimibile sovrasta la calura immota dei pomeriggi. Un racconto di parole rarefatte, pesanti, come sospese nell’aria greve di umidità, che trasuda una fisicità tangibile e un’esotica sensualità». 2° Premio – Orazio De Maria – Savona - “La luna e la falce” «Attraverso l’incubo che abita l’incoscienza del corpo disfatto, prende vita una vicenda fantastica, che pure racchiude e adombra fatti tristemente attuali e problematiche reali: i clandestini e la loro tragedia umana, la nostra paura del diverso che si traveste e si camuffa dietro le logiche più inappuntabili, le ragioni stringenti dei numeri e dell’economia che cozzano contro motivazioni egalitarie ed umane». 3° Premio – Idamo Rossi – Viareggio LU - “Nostromo-Gente di mare-Petrolio-L’imbarco” «La voce solitaria e suadente dell’autore ci conduce in una sorta di meditazione calma e a tratti sconsolata, ci guida in questo spigoloso sgomitare di segni sulla carta, sospesi sul nulla del foglio bianco, che sembra stritolarli ma cede invece al loro avanzare, e ci regala nitide immagini di momenti salienti della sua vita sul mare». Menzioni Francesco Castorina di S. Donato Milanese – “Il lavativo” «Per il tratto scorrevole, l’accuratezza e la lucidità con cui si descrivono momenti cruciali della vita di bordo». Giovanni Pagano – Torre del Greco (NA) – “Chernobyl” «La tragedia di Chernobyl e le rigidità del sistema comunista narrate da una prospettiva inusuale, quella del navigante che si ritrova nell’ex Unione Sovietica proprio in ragione del suo lavoro». Felice Zanghì – Ganzirri Messina – “Crociere del 2000” «Attraverso il racconto spensierato di una crociera su una nave di lusso, irrompono i ricordi dei momenti ora lieti ora difficili della vita per mare, e il contrasto tra gli agi moderni e le difficoltà del passato». Pagina 10 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Natale Pappalardo SAPELE 1968 D opo parecchi giorni di navigazione, arrivammo finalmente nei pressi del delta del Niger. Ormai Lomé era solo un ricordo, soltanto una grande nostalgia che mi portavo nel cuore, ancora un pezzo di memoria occupata dall’impatto con l’Africa con tutti i suoi colori, i suoi odori. Ci fermammo lo stretto necessario per far imbarcare tre piloti o pratici, come amavano definirsi loro. Dovevamo risalire il Niger per parecchie miglia ed avventurarci ben all’interno della Nigeria. Il pericolo dei pirati che infestavano quelle acque era ben noto ma, era niente al confronto con ciò che stava succedendo nel Paese: la guerra civile col Biafra. La nostra destinazione era Sapele. Il nome mi sembrava già tutto un programma. Quando poi cominciammo a risalire il fiume, cercavo di scorgere tra il fogliame degli alberi dal colore di un verde intenso, strano, differente dal colore di tutti gli alberi che avevo conosciuto fino a quel momento, qualche animale, che so, una scimmietta, un coccodrillo. Insomma ero o non ero in mezzo ad una giungla? A volte ci avvicinavamo così tanto alla riva, specialmente durante le curve del fiume, che mi pareva di essere nell’interno della foresta intricatissima. Guardando sulla carta nautica, il delta del Niger era tutto una ragnatela di corsi d’acqua che coprivano un territorio vastissimo. Erano migliaia! Sulla carta il nostro percorso era segnato, sembrava facile ma, se guardavo di prua, le biforcazioni mi sembravano tutte uguali, non avrei saputo quale scegliere. Il caldo umido, appiccicoso era sempre con noi giorno e notte. Specialmente di notte, era quasi impossibile entrare nella propria cabina e cercare di dormire se non verso le due o le tre del mattino. Non ricordo quanto durò la navigazione, in ogni modo più di un giorno sicuramente. Andavamo avanti molto adagio e a volte per seguire una curva molto stretta del fiume, dovevamo filare l’ancora e fare perno per girare su noi stessi, per poi riprendere la navigazione in quel mare verde di piante. Credevo che il Niger dovesse essere limpido, trasparente, azzurrino, invece era color fango e tutto torbido. Una vera delusione! Finalmente Sapele! Una cittadina fluviale senza tante pretese. Le comunicazioni radio erano effettuate tramite una nave inglese ormeggiata sul Niger. Era lei che fungeva da stazione radio terrestre, infatti, la cittadina era così piccola che non Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 11 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° possedeva gran che. Il traffico che si effettuava era esclusivamente dedicato al carico dei tronchi. Pezzi d’albero giganteschi erano issati in coperta ma più se ne caricavano più ne arrivavano lungo quell’immenso fiume. Chissà da dove venivano? Probabilmente avevano navigato un bel po’ prima di giungere da noi. Scesi a terra appena fu possibile. Beh, mettere il piede all’interno di una piroga, un semplice tronco d’albero scavato lungo e stretto, non era per niente facile. Era così sensibile! Bastava un niente per farla rovesciare, anche se, quei ragazzini che le guidavano parevano incollati ad una specie di sedile ed a proprio agio. Ridevano della nostra insicurezza e della nostra paura. Non c’era altro modo per scendere a terra, quindi ci adattammo. Eravamo stati avvisati che a Sapele c’era il coprifuoco. Non si poteva rimanere in città dopo il tramonto pena……qualsiasi cosa. Tantissimi militari armati e con la tuta mimetica giravano per tutte le strade e sinceramente, si sentiva che c’era una brutta aria, specialmente per noi bianchi. La guerra fratricida con il Biafra (1968) rendeva nervosi tutti, militari e civili. Mi raccontavano delle migliaia di vittime, delle privazioni e di tutto il sangue che stava scorrendo. Non avevo toccato con mano la guerra, per fortuna no, però l’avevo vicina, ne potevo sentire il fetore, la paura e l’angoscia negli occhi della gente anche se era intenta a fare le cose di sempre…… Il mercato, stupefacente! Non avevo mai visto tanta frutta sconosciuta tutta insieme. Quei colori intensi quell’odore che ti ubriacava. Vendevano di tutto ma, rimasi anche deluso perché credevo di trovare qualche oggetto caratteristico costruito dagli indigeni, ma era tutta roba di plastica con su scritto made in China. Eppure eravamo nel 1968 e non so a quante miglia all’interno dell’Africa. C’era perfino una bancarella dove vendevano medicinali. Tutto alla rinfusa e sotto il sole, come se fossero prodotti non deperibili, scatole di cartone insomma. Un giorno dovetti comprare una medicina per alleviare il dolore all’orecchio ad un membro dell’equipaggio e, non essendoci farmacie mi servii del mercato. In realtà ero in dubbio se comprarlo oppure no però, tornare a bordo senza medicinale, che forse avrebbe risolto il problema del marinaio, non me la sentivo. Mi avvicinai sospettoso alla bancarella gettando uno sguardo ai vari prodotti che sembravano provenire da tutto il mondo. C’erano di russi, cinesi, inglesi. Erano buttati alla rinfusa, e con quel caldo …… Il farmacista, beh quello che vendeva i medicinali si accorse che ero interessato a comprare qualcosa e subito mi si avvicinò. Magro, sdentato, con un sorriso che metteva ancor più in risalto le numerose rughe della pelle del viso. In qualche modo gli spiegai ciò che desideravo e lui, con una rapidità straordinaria, tirò fuori, da un mucchio di scatole e scatolette, proprio quella giusta. Quel mucchio di medicinali non erano, come pensavo, buttati là a caso, dove andavano andavano, ma erano predisposti in maniera logica e ordinata. Guardai quel tipo dai gesti veloci con un certo rispetto. Quando poi, dopo solo quarantotto ore, il marinaio mi affermò che quel prodotto che gli avevo portato era portentoso perché gli aveva Pagina 12 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Sapele 1968 Natale Pappalardo fatto passare quasi subito il dolore insopportabile all’orecchio, beh mi vidi costretto a considerare le cose che vedevo da un punto di vista diverso da com’ero abituato. Dovevo ricordarmi del signor Mattioli. Fu una sorpresa costatare che quel vecchio ubriacone sempre impataccato, avesse tanta sensibilità ed esperienza di vita. E quel semplice episodio del medicinale lo prendo ancor oggi da esempio, cercando di non giudicare più dalle apparenze o da quello che dicono. Un episodio negativo che non riesco a dimenticare, mi capitò nel pomeriggio del secondo giorno di permanenza a Sapele. Ero sceso da solo, sempre tramite i ragazzini che andavano avanti ed indietro con le piroghe. Dopo qualche minuto ero così sudato ed assetato che entrai nel primo bar che incontrai per rinfrescarmi un po’. La frescura del locale e la penombra, dopo il caldo ed il sole accecante mi sembrarono un oasi meravigliosa. Le pale del ventilatore da soffitto giravano lentamente e la luce, che filtrava attraverso le ampie finestre schermate da tende svolazzanti, proiettava sulle pareti dei chiaro-scuro intermittenti. Il vociare dei clienti era quasi coperto da una musica ritmica tipicamente africana proveniente da un juke-box posto di fronte al bancone.. Subito mi colpì il classico odore caratteristico dei locali chiusi africani: un misto di selvatico che ti prendeva alla gola. Sulla parete di sinistra, in fondo, c’erano dei tavolini con sedie di ferro smaltato. Mi sedetti scegliendone una ordinando contemporaneamente una Coca Cola ad un cameriere indaffarato che si aggirava rapido tra i clienti. Cercavo di far durare la bibita il più possibile anche se la tentazione di berla tutta d’un fiato era forte. Alcune ragazze, frequentatrici abituali del locale, si muovevano ritmicamente al suono della musica ed intanto, alla ricerca d’eventuali clienti, si offrivano con le stesse moine che da sempre ha caratterizzato il mestiere più antico del mondo. Una di quelle, proprio quella che a me pareva la più carina, mi sorrise e mi si avvicinò. Non riuscivo a capirne l’età, ma era giovanissima e aveva il viso con lineamenti delicati, quasi europei. Naso piccolo e dritto, e labbra carnose che avrebbero potuto essere benissimo di una ragazza di razza bianca. Non credevo esistessero ragazze tanto belle in Africa, ma subito dopo mi diedi dello stupido. Che cosa avevo visto finora? Che esperienza avevo? Mi ricordai delle attrici e delle cantanti afro-americane e in special modo mi venne in mente una ballerina che aveva trovato fortuna in Italia accanto a Rocky Robert. Una bellissima donna che aveva fatto sognare parecchi italiani: Lola Falana. La guardavo mentre mi si avvicinava, la pelle nerissima, i capelli coperti da una specie di fazzoletto e le gambe inguainate da un paio di pantaloni a strisce verticali coloratissimi. Si muoveva in modo armonioso facendo risaltare i fianchi e facendo alzare ed abbassare, ad ogni passo, grandi seni appena coperti da una camicetta annodata in vita, non trattenuti da alcun reggiseno. Era uno spettacolo! Sorrideva, si avvicinava e sorrideva mettendo Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 13 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° in mostra una dentatura scintillante. Quei denti le illuminavano il viso tanto era il contrasto tra il bianco e la carnagione nera. Si sedette accanto a me, posandomi una mano sul braccio. Una sensazione di freschezza e una ventata di profumo mi avvolse. Non sopporto gli odori forti ed intensi, anche se profumati ma il suo era delicato, non prepotente, mi pareva di stare accanto ad un fiore, un bellissimo fiore. Gli offrì una Coca e cominciammo a parlare dei soliti convenevoli…. Le guardavo le labbra carnose, la lingua, che intravedevo a tratti di un colore più scuro della nostra e gli occhi, nerissimi, li muoveva rapidi mentre mi guardava, studiando come circuirmi il più presto possibile. Non sapeva che ero già cotto al punto giusto! Improvvisamente qualcosa si ruppe. Non si sentiva più il vociare solito del bar. Solo la musica era la protagonista del locale. In mezzo al fumo delle sigarette, che si alzava ruotando come ad inseguire le pale del ventilatore, vidi quattro militari in tuta mimetica che, dopo essere entrati nel bar, si fermarono uno di spalle all’altro al centro del pavimento. Tutto si fermò. I baristi rimasero nella stessa posizione in cui erano quando li videro entrare e tutti i clienti non mossero un muscolo. L’aria si era fatta densa e la colpa questa volta non era da imputare né al fumo né al sudore della pelle. In silenzio i quattro militari si mossero allontanandosi l’uno dall’altro continuando a darsi le spalle. In questo modo avevano tutto il bar sotto controllo. Uno si diresse verso l’entrata e la bloccò mettendosi davanti la porta. Era gigantesco! Un altro, con un cappello floscio, mimetico come il resto della divisa, si diresse verso di me. Sentivo, nonostante il rullare dei tamburi, la pesantezza dei suoi anfibi che con passi cadenzati colpivano il pavimento. Avanzava lento verso di me con le braccia che gli dondolavano lungo i fianchi. Non potei fare a meno di notare il prolungamento del braccio destro. Sembrava un tutt’uno con il suo braccio il mitragliatore con un caricatore circolare che avevo visto solo nei film. Il braccio dondolava sempre di più man mano che si avvicinava tanto che, quando mi giunse vicinissimo gli rimase alzato parallelo al pavimento e all’altezza dei miei occhi. Non pronunciò nessuna parola, né fece alcun gesto. Si fermò semplicemente puntandomi l’arma in mezzo agli occhi. Guardai il buco nero del mitra a pochi centimetri dalla mia faccia e confesso che tutto il resto non mi interessò più. Non riuscivo a spostare la testa né a parlare. Pensavo a quello che poteva succedere. Bastava che sfiorasse il grilletto con un po’ più forza e….. addio Lino. Chi avrebbe saputo che fine avevo fatto? Chi si sarebbe interessato a me? Ne morivano tanti! Uno più, uno meno, che differenza poteva fare? Ma chi me lo aveva fatto fare ad andare lì? Perché non me ne rimasto a bordo, tranquillo? Quel buco nero, profondo, sembrava ingigantirsi sempre più, pareva inghiottirmi tutto. Quanto tempo passò? Non ne ho idea. I pensieri per risolvere quella situazione me ne vennero in mente a migliaia, ma li scartai tutti. Non c’è n’era uno che andasse bene. Il cervello lavorava ad un ritmo incredibile, mi andava a fuoco, sentivo in testa un caldo esagerato mentre, lungo la schiena, un brivido freddo me la raggelò. Pagina 14 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Sapele 1968 Natale Pappalardo Dopo un tempo che mi parve interminabile, il soldato mi fece cenno se poteva portarsi via la ragazza che era con me. Accennò persino ad un sorriso come a dire: - tanto a te non importa vero? – Aveva spostato leggermente il Thomson dal mio volto lasciandomi la possibilità di alzarmi dalla sedia. Mi sollevai lentamente e mi misi in piedi. La ragazza alla mia destra era terrorizzata, immobile, gli occhi fissavano un punto davanti a sé che non vedeva. Se avesse potuto sbiancare, quello era il momento adatto. Il profilo delicato contratto in una smorfia di paura. Terrore, angoscia, paura, sentimenti che regnavano sovrani in quel momento nel bar. Mi mossi verso l’uscita con una lentezza esasperata. Un passo dopo l’altro, lento, troppo lento. Lo sguardo dritto verso l’uscita, verso il gigante nero che fungeva da portiere. Volevo girarmi per vedere cosa facesse il soldato col cappello moscio ma non osavo. Temevo che mi sparasse alle spalle e per questo tenevo la schiena contratta, come a respingere i colpi che mi aspettavo arrivassero da un momento all’altro. Non avevo neppure finito di bere tutta la Coca Cola e… nemmeno pagata….Ma che pensieri che mi venivano in quel momento….La gola arsa, secca come se non avessi bevuto da chissà quanto tempo. Sentivo ansimare, qualcuno era affannato, qualcuno vicino a me. Non c’era nessuno accanto a me. Ero io! Io, che respiravo con affanno, io che morivo di paura. Ancora due passi ed ero davanti alla porta. Si sarebbe scansato per farmi uscire oppure?……Lo guardai dritto negli occhi alzando la testa. Quel soldato nero non avrebbe avuto bisogno di nessuna arma per uccidermi. Gli sarebbero bastate le mani. Non c’era niente che potessi fare per difendermi. Fuggire non potevo, battermi? Era ridicolo solo a pensarlo. Quindi continuai senza indugio verso di lui. L’odore acre di selvatico si mischiò con quello della paura che ognuno dei presenti emetteva più o meno intensamente a seconda di dove si posava lo sguardo dei soldati. Trattenni il respiro e continuai ad avanzare e…. o si spostava o….. si spostò. Il sole mi colpì con tutto il suo splendore, mi accecò, e un muro di calore si abbatté su di me. Avanzai in quell’inferno incandescente come se fossi arrivato in paradiso. Le gambe e tutto me stesso erano proiettate verso il fiume. Ritornare alla nave, ritornare, solo questo avevo in testa. Quando salii sulla piroga diretto alla Cumoreana, ancora non volevo credere che me la fossi cavata così. Cercavo di scorgere sulla riva che si allontanava da me qualche traccia di quei soldati. Se ci avessero ripensato? Mi ero visto già morto e buttato come tutti gli altri nel Niger, uno dei tanti cadaveri che galleggiavano lenti trascinati dalla corrente verso il mare. Io ci sarei arrivato o sarei finito prima nella pancia dei numerosi pesci e dei coccodrilli? Piano piano ci avvicinavamo alla nave, alla vecchia carretta nera ormai decolorata dalla ruggine che spuntava dappertutto. Non m’era mai apparsa tanto bella! Diedi al ragazzo della piroga il solito pacchetto di Malboro come compenso e salii sullo scalandrone della nave. Arrivato finalmente in coperta, ancora una volta mi girai con timore cercando di scorgere sulla riva i soldati federali. Anche se ormai ero al sicuro, la preoccupazione Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 15 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° non mi era affatto passata. Il sole che un attimo prima splendeva con tutta la sua potenza, adesso era nascosto da nuvole dense e grigie, probabilmente era in arrivo un violento acquazzone. Sulla riva da dove ero partito non c’era nessuno, tutto era calmo, in pace, soltanto il cielo brontolava pronto per la tempesta imminente. Era tutto così rapido in Africa! Non riuscivo a capacitarmi dei subitanei cambiamenti a cui ero sottoposto. Mi sentivo stanchissimo, come se avessi fatto una lunga e faticosa franchigia, invece il tutto si era svolto in pochissimo tempo. Mentre mi avviavo verso la mia cabina con l’intenzione di farmi una doccia qualcuno, non ricordo chi, mi domandò:- Già di ritorno Marcò? Non ci sono belle ragazze qui a Sapele? - Neanche gli risposi, continuai a salire come se non lo avessi sentito. Il radiotelegrafista di bordo Natale Pappalardo riceve il Primo premio per il racconto “Sapele 1968” dal Presidente della Giuria, prof. Orazio Licciardello Pagina 16 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Orazio De Maria LA LUNA E LA FALCE Cap. 1 - Il naufragio M i trovo ancora oggi a pensare, guardando il confine tra il deserto ed il mare, a quella che sarebbe stata la mia esistenza senza che fossero accaduti i fatti che ora, prepotentemente, mi tornano in mente e che desidero raccontarvi. Ma, anche adesso, come allora, quella frase torna insistente dentro la mia testa- Ricordare, di una vita trascorsa in fretta, e adesso piango. Ma per voi che leggete, forse è meglio partire dall’inizio. La tempesta arrivo all’improvviso, senza alcun preavviso o nulla che facesse pensare ad una simile forza della natura. Gli esperti del settore, i meteorologi, l’avrebbero definita improvviso e repentino cambiamento del fronte barico con rapido peggioramento delle condimeteo in zona. Qualche bagliore di lampi all’orizzonte, unitamente ad una grande massa di nuvoloni scuri, prudentemente mi aveva suggerito una rapida variazione degli assetti di crociera dell’imbarcazione. Malgrado però la chiusura dei boccaporti e la drastica riduzione del velame, la condizione di sfavorevolezza nei confronti della natura fosse dovuta al fatto di aver voluto affrontare il resto della navigazione in solitario, questo aspetto, nonostante la responsabilità e la perizia nel saper gestire e condurre una barca, nel mio caso un quasi dieci metri a vela, era stata solo ed esclusivamente colpa mia, del mio carattere di merda che allora, a questo punto della storia, mai avrei pensato avesse potuto deviare su strade che per me, almeno sino a quel momento, risultavano sconosciute ed incomprensibili. La pioggia, fredda ed intensa si abbatteva sulla barca con una violenza tale da non permettere di scorgere il paesaggio circostante che comunque, vista l’assenza di luna e stelle dovute alla presenza delle nubi, difficilmente avrebbe rilasciato alla vista chiarori e dettagli di qualche utilità per la navigazione. Pur avendo indossato una giacca cerata e malgrado avessi anche occhiali e cappello, l’umidità dell’acqua si era insinuata fin dentro le ossa, al pari di un asciugamano che, intriso di acqua, raddoppia il suo peso dovuto alla presenza di quest’ultima. Tutto questo, impediva al mio corpo, anche se abituato a molte ore di palestra, ad affrontare le dovute e collaudate manovre che, in altre circostanze, mi sarebbero venute naturali compiere. L’imbarcazione, sospinta da forti venti, tardava a stabilizzarsi in una posizione efficace a prevenire le alte onde che andavano ad infrangersi con cadenza quasi regolare contro le murate laterali e di prora. Il boma, oscillando paurosamente Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 17 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° dopo aver rotto la cima che lo teneva saldo, rappresentava un ulteriore pericolo alla mia sicurezza ed alla stabilità della stessa barca. Osservando dal dentro e con obiettività la realtà in cui mi ero cacciato, cercai di legare al meglio il timone, per raggiungere l’apparato radio VHF e cercare almeno di comunicare le mie coordinate fornitemi dal ricevitore GPS ma, dopo la prima chiamata, mi accorsi che l’antenna a stilo posizionata in testa d’albero oscillava paurosamente staccata dal suo supporto, questo almeno fu quello che intravidi i cinque secondi che precedettero la folata di vento che la staccò definitivamente. A questo punto, mi si era volatilizzata anche la possibilità di richiedere aiuto a qualcuno, mentre contemporaneamente riflettevo a come sia strano e allo stesso tempo naturale, guardarsi intorno in questi frangenti, cercando di scorgere qualche debole luce a cui aggrapparsi, verso cui cercare di fare rotta, o solamente per pensare di non essere completamente da solo in mezzo al mare. L’ennesima rollata dell’imbarcazione mi fece finire gambe all’aria alla base del timone e da lì, disteso ed in balia delle onde, con il pensiero mi trasferii, in un primo gesto di arresa alle mie forzate condizioni, verso quello che era stato l’inizio di questa storia. La mia storia con Marilla era nata tre anni prima, complici le splendide rive del lago di Como ma, soprattutto il locale circolo nautico che entrambi eravamo portati a frequentare visto il nostro comune amore per la vela. Laureata come assistente sociale, faceva parte di una famiglia di origini calabre che aveva fatto fortuna nel campo dell’edilizia. Per me, che gestisco uno studio di odontotecnico, forse è stata la classica storia di comodo, da iniziare con la ragazza di famiglia facoltosa, al pari della mia. In questi casi, stessi interessi, stessi denari e stessa cerchia di amici, facilitano la conoscenza e la convivenza. Malgrado tutto questo, però, i nostri caratteri erano difformi su alcuni aspetti. Le nostre principali fonti di dissapori, ad esempio, erano dovuti a motivi di natura politica. Marilla, infatti, aveva sempre avuto una mentalità sinistroide, che la portava a giustificare tutto quello che io, a quel tempo, chiamavo avanzata del decadimento morale e dei valori. Tra i vari motivi socio-politici, inserivo tra questi anche la massiccia presenza di extracomunitari che oramai stava invadendo e, per certi versi trasformando, le nostre città. Al contrario Marilla, tendeva a trovare giustificazioni in tutto, anche a questa rapida trasformazione sociale, giustificandola ed accogliendola non solo dentro di sé, come profonda convinzione, ma travasandola anche allo studio di futuri aspetti legali che, a dir suo, dovevano essere potenziati per favorire questi flussi di “carne umana”. Malgrado queste sottili ma profonde differenze, erano sempre state da noi, in quanto coppia di fatto, ampiamente superate, quella volta, seduto sulla cuccetta della cabina matrimoniale posta a prua della barca, sapevo essere lontane da qualsiasi forma di conciliazione, almeno nel volgersi di breve periodo. Partiti da Trieste, con tappa finale verso l’isola di Malta, avevamo deciso di provare l’ebbrezza della navigazione marina dopo le molteplici uscite sul lago, Pagina 18 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania La luna e la falce Orazio De Maria navigazioni quelle, che non possono sicuramente avere un paragone di riferimento se rapportate a quelle condotte negli specchi d’acqua marini mediterranei. Dopo la partenza triestina, il primo porto di attracco fu presso l’isola dell’arcipelago croato di Otok Svetac. In quel contesto, dopo una sera passata presso un locale tipico della zona, in preda ai fumi alcolici frutto di un buon pastoso vino rosso, ebbi l’ardire di apostrofare in malo modo un cameriere locale. Questa vicenda fu l’inizio di una lunga serie di discussioni con Marilla, discussioni evidentemente sopite da tempo e che, malgrado la perizia e la professionalità dovuta per la conduzione della barca in navigazione, furono portate avanti sino all’approdo successivo, avvenuto presso l’isola di Paxoi presso l’arcipelago greco. In quel contesto geografico, durante una sera che si accompagnava ad un cielo stellato e ad una brezza marina piacevole e appagante, nella cuccetta a prora via della nave, avvenne l’epilogo di quella che credevo, almeno allora, la nostra momentanea separazione. - Le nostre convinzioni sono profondamente diverse, il tuo modo di ragionare e concepire la nostra società è profondamente razzistico e anacronistico. – Ma che anacronismo!, sbottai alla fine della discussione, tu parli così poichè le origini dei tuoi genitori ti portano a farti pensare che il nostro Paese, almeno nella parte di contesto più produttivo, possa e debba avere il lusso di ospitare cani e porci! Forse, fu il tenore abbastanza aggressivo di questa ultima frase a produrre la cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso. Oggi, con il senno di poi, imputo anche alle mie origini familiari di produttori terrieri, l’impulsività delle mie idee. Durante il secolo scorso, infatti, la popolazione a vocazione agricola, facente parte della zona settentrionale del nostro paese, era alquanto chiusa alla modernità ed alle iniezioni innovative provenienti dalle culture straniere. Questa caratteristica, sicuramente presente nel mio dna, penso sia stata la principale forma di ispirazione delle mie idee di allora. - Le nostre vedute, in questo contesto sono inconciliabili, proseguì Marilla seduta ai bordi del letto, domattina provvederò a preparare i miei bagagli e scenderò a terra, aspetterò il primo traghetto verso la terra ferma e da lì proseguirò il mio viaggio, da sola. Tentai, sapendo che la mia era più una strenua difesa che un tentativo di convinzione vero e proprio, di farla desistere dalla sua decisione ma, come immaginai, sapevo che vi erano poche possibilità di farle cambiare idea. Forse un po’ di lontananza, una pausa di riflessione, avrebbe sicuramente giovato alle nostre idee, nel capire se vi era qualche possibilità di far maturare un qualche proponimento utile a far proseguire il nostro rapporto di coppia. Dopo la sua partenza, ebbi l’ardire di pensare che, malgrado tutto, la conduzione di una barca a vela di neanche dieci metri, tutto sommato potesse rappresentare una sfida appagante anche nella navigazione in solitario. Per gli uomini di mare, d’altronde queste sfide estreme rappresentano anche un ottimo viatico per sfuggire ai dolori patiti sulla terra ferma, almeno questa fu la mia “giustificazione interiore” alla prosecuzione del mio viaggio. Appunto, solo una giustificazione interiore, priva Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 19 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° di alcun valido raziocinio. L’arrivo di una decina di litri di acqua salata, e per di più fredda, in faccia mi riportò alla cruda realtà. Issandomi in piedi, in un turbinio di acqua e vento, richiamai verso la mia mente le poche forze fisiche rimastemi a disposizione, indossai il giubbotto di salvataggio e allentai i cavi del piccolo gommone da due metri e mezzo che era rizzato sopra l’ingresso del boccaporto posto in coperta, azione che si rivelò decisiva prima dell’inizio dell’imbarco copioso di acqua da parte dell’imbarcazione. Con il carico di acqua presente sulla stiva e in parte della cabina, le oscillazioni diminuirono, ma oramai l’inevitabile aveva iniziato il suo conto alla rovescia. Attesi quindi, che il lento ed inesorabile destino della barca giungesse al suo epilogo finale, lottai contro il vento che mi faceva oscillare paurosamente e che, passando tra l’albero della barca sibilando, riempiva le mie orecchie di clamori assordanti. Mi aggrappai così alle mie ultime forze, riuscendo a salire sul tender e a farmi scivolare in mare prima che la barca affondasse definitivamente e ancora prima che, del tutto stremato, perdessi i sensi abbandonandomi verso un oblio liberatorio. Allora non sapevo ancora che, visti gli eventi futuri di cui sarei stato testimone, con la scomparsa tra le onde di quel relitto, spariva per sempre una parte della mia esistenza e, parimenti, sarebbe stato varato il corso della mia nuova vita. Cap.2 - L’incontro Mi sono sempre chiesto, guardando certe volte qualche film a tema, di come fosse possibile il repentino cambiamento delle condizioni climatiche in mezzo al mare. L’inesperienza, mi portava a pensare, che la stessa azione fosse più il frutto del capriccio di qualche sceneggiatore che, invece, figlia delle possibilità scientifiche che un campo barico presenta. Ad ogni modo, non riuscii a calcolare per quanto tempo rimasi privo di conoscenza, di sicuro c’era il fatto che al mio risveglio mi trovai da solo, sul tender, senza il fuori bordo, (che comunque essendo da due cavalli non mi avrebbe permesso molta strada), con una sola borraccia di acqua dolce, quella attaccata sul giubbotto/salvagente, e, quello che più conta, in mezzo al mare, in uno specchio di acqua che, per quello che potevo sapere, poteva andare dalla Grecia meridionale sino a Malta. Passare da una condizione di freddo e pioggia a quella di sole e caldo, comporta, a parte il repentino cambiamento delle condizioni climatiche, anche un rapido cambiamento di umore fisico. Se la condizione risulterebbe piacevole a chiunque dinnanzi ad una spiaggia affollata di bagnanti spensierati, l’essere posti in condizione forzata, come la mia, in mezzo al mare, comporta un ripensamento a quelle che erano state le condizioni precedenti, dal freddo ci si può sempre coprire, l’acqua si può sempre raccogliere, ma al caldo e con l’arsura dovuta alla mancanza di acqua, le condizioni fisiche peggiorano notevolmente. Riparandomi il corpo ma, soprattutto il capo, con la giacca cerata, non mi resi conto di essere ricaduto ancora in un sonno profondo e, quando al mio Pagina 20 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania La luna e la falce Orazio De Maria risveglio, vidi la sagoma di un’imbarcazione di legno a circa mezzo chilometro dalla mia, ero sinceramente convinto di essere ancora in preda di qualche sogno frutto di un sonno agitato che, d’altronde, ben si sarebbe conciliato con quelle che erano le mie condizioni in quel momento. Afferrando l’unico remo che era rimasto a bordo dopo il naufragio e contemporaneamente urlando in direzione dell’altra imbarcazione mi spinsi verso quest’ultima. La stessa, rappresentava un barcone in legno di una quindicina di metri, di colore verde e bianco, chiaramente alla deriva, visto che il fuoribordo posto a poppavia era silenzioso come un cadavere. Da quella specie di zattera a forma di barcone, vidi elevarsi una testa che guardò verso la mia direzione. Quando finalmente giunsi in prossimità della fiancata, mi accorsi con rabbia ed amarezza, che la speranza di essere posto in salvo da quella condizione, almeno in quel caso, non si sarebbe potuta avverare. Ero, infatti, alla presenza di un barcone di disperati alla deriva, una delle tante carrette del mare che quotidianamente affrontano i viaggi della “speranza” e che, in alcuni e molteplici casi, di speranzoso non hanno nulla. Dopo la prima testa ne spuntarono altre, poi anche delle braccia che in maniera decisa mi issarono a bordo dell’imbarcazione. Posto che fui a bordo di quest’ultima, la mia mente correva col pensiero a cercare di capire quale fosse stata un’immagine di vita vissuta o studiata sui libri, che potesse rivelarsi consona a descrivere l’orrore in cui ero capitato. L’unica immagine che mi venne in mente di associare era quella di qualche girone dantesco descritto dal sommo poeta nella sua divina commedia. Accatastati e in stato di dormiveglia vi erano una ventina di corpi umani tutti di colore e di provenienza africana che riempivano in circolo tutte le paratie del barcone. Mi trovai in mezzo a quelle persone che più avevo odiato ed evitato nella mia vita, e adesso, andavo con il pensiero a quando affermavo che, le nostre navi militari, avrebbero potuto consumare un bel siluro da esercizio per far colare a picco qualche barcone di questi. In quella condizione, nella nuova condizione in cui ritrovavo, sperai in cuor mio, di trovarmi, qualora fosse accaduto, di fronte ad un comandante misericordioso e con la testa lontano dalle mie idee razziste ed estremiste. La “condizione sociale” e logistica a bordo, come è facilmente intuibile, non era certo delle migliori. Tutto intorno regnava, malgrado fossimo all’aria aperta, un tanfo che era rappresentato da un misto di sudore e vomito. La condizione anomala era che, malgrado anche io non brillassi in quel momento in fatto di igiene personale, ero portato a sentire gli odori altrui piuttosto che il mio. Oggi, giustifico quella circostanza con il fatto che le mie idee, che erano allora le mie profonde convinzioni razzistiche, mi portavano a percepire solo quello che volevo e non ciò invece che fosse frutto della realtà. L’oscurità calò repentina portandoci in regalo la prima frescura, contornata da un cielo stellato e da uno specchio di luna curvo come una falce. Posto in essere il fatto che la stanchezza e gli stenti patiti non ci avevano fatto brillare per loquacità durante le ore diurne, approfittammo delle ore di buio per analizzare razionalmente la nostra condizione. Uno di loro, che Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 21 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° parlava l’italiano in maniera discreta, mi si presentò come Azeem, pensando che la conoscenza del nostro idioma era dovuta a molteplici ore trascorse a guardare i nostri programmi televisivi satellitari, mi dovetti ricredere nel momento in cui mi rivelò che era un ingegnere elettronico esperto in apparecchiature elettromedicali. Proveniva, se così possiamo definire l’origine di questi uomini che, al pari degli apolidi, sono rimasti senza patria ed affetti familiari, dalla Somalia. Dopo il conflitto scatenato dai signori della guerra, proseguì con il racconto, sono stato costretto a lasciare tutto quello che avevo, per evitare di finire anche io dentro la spirale della violenza che oramai attanaglia la mia nazione, semmai ne fosse mai esistita una. Mia moglie è stata uccisa e, dopo questo avvenimento, niente mi lega più a quella terra. La mai speranza era quella, come tutti, di arrivare in Europa per vedere di iniziare una nuova esistenza. Anche un altro del gruppo, di nome Abdel, parlava la nostra lingua. Possedevo, una fattoria in Rwanda, ero dedito all’agricoltura e allevavo una grossa quantità di pecore. Dopo l’indipendenza dal Belgio, sono scoppiati i conflitti tra gli Utu e i Tutzi, separati durante la colonizzazione europea. Anche in questo caso, come la storia precedente, anche io ho perso tutto quanto era in mio possesso, la fattoria, i raccolti, gli animali. Adesso, con un passato azzerato e senza più neanche un’identità sono partito con la speranza di trovare un futuro migliore. Ma, per la povera gente, non esiste mai un futuro migliore. – Ok, va bene le disgrazie ma, allora i terroristi che sbarcano sulle nostre coste, con la scusa dei viaggi della speranza, dove li mettiamo! Mi rispose, a questo mio stupido quesito dettato dai canoni dell’ignoranza, Haile, egiziano. – Ma tu pensi che i terroristi fondamentalisti islamici viaggino sopra queste carrette? Non pensi che, con le coperture a livello globale, abbiano la possibilità di avere falsi passaporti, viaggiare comodamente in aereo e avere vitto e alloggio sotto copertura! Quale organizzazione sacrificherebbe uomini ben addestrati in viaggi che non hanno grandi percentuali di successo finale? In effetti, questo discorso non faceva una grinza.- Siamo in mare da tre giorni, partiti da una località a nord di Salun che sta ai confini tra l’Egitto e la Libia, disse proseguendo, ora distribuiremo l’ultimo litro di acqua rimasta e dopo: che Allah sia con tutti noi! In effetti, mi venivano in mente, per trovare un parallelo a tutte queste storie, i nostri immigrati italiani in Belgio, alla tragedia di Marcinelle accaduta nell’agosto del 1956 ove perirono 262 persone di cui 136 italiani, in fondo in fondo ognuno di noi è stato migrante. Anche oggi, anch’io sto fuggendo da qualcosa, da qualcuno o da me stesso. Dopo un altro giorno passato senza scorgere alcunché, ripiombammo nell’oscurità della notte. Sfinito ed allo stremo delle forze precipitai, quasi senza accorgermene, in un sonno profondo ed agitato. Mi trovavo presso un paesaggio agreste, ricco di palme, la luna era alta nel cielo, a forma di spicchio. Poi, improvvisamente, la luna divenne di color rosso, tutto intorno a me danzavano, in un delirio senza fine, centinaia di uomini di colore, con i volti dipinti, e in quella danza sfrenata Pagina 22 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania La luna e la falce Orazio De Maria mi indicavano con un dito, quasi come a volermi accusare di qualcosa, di qualche colpa che neanche io sapevo di avere. Poi, tutto ad un tratto, la luna si trasformò in una falce e si abbatté, come se fosse animata da un braccio invisibile, sopra quegli uomini, falcidiandoli tutti, donne e bambini compresi, in un turbinio di sangue e fiamme, maschere sul viso e fuoco. Le urla soffocate da un incessante e ritmato rullo di tamburi, e poi quella luna, una luna come una falce, che piombava dal cielo come un castigo divino! Cap. 3 – L’epilogo Mi svegliai da quel sogno e da quel sonno agitato, la danza presente dentro la mia testa si trasformò, quando tornai pian piano alla triste realtà, in una nenia sussurrata. Uno di loro, che dall’aspetto pareva oramai essere in un profondo stato di delirio, cantava una canzone in arabo, ove per arabo sto ad identificare qualunque lingua a me sconosciuta. Azeem, cosa sta dicendo, chiesi tanto per rompere la monotonia che stava per farci scivolare inesorabilmente incontro alla morte. È una cantilena della sua terra e recita, nella tua lingua, più o meno così – È notte, un flebile chiarore lunare rischiara la mia stanza, i miei occhi osservano le scure tonalità. Dormire, perché cancellare questo momento? Ripensare, ad una vita trascorsa in fretta, e adesso piango! Non ebbi il coraggio di controbattere nulla a queste parole, riflettendo solo di come, accomunati dalle disgrazie o da un pericolo imminente, tutti gli uomini diventano uguali come, in teoria, dinnanzi alla legge. Come nella famosa livella del comico napoletano. Senza sesso o razza, senza miseria o nobiltà, senza nome e senza età. La fame e la sete, mi portavano anche a pensare di come, gli innumerevoli avanzi di pranzi o cene, buttati senza ritegno nelle nostre pattumiere, sarebbero state accolte, in questa circostanza, come la manna caduta dal cielo nel deserto che mitigò le bibliche sofferenze del popolo ebreo in fuga dall’Egitto. Ma Mosè, in questa circostanza, era davvero lontano anni luce. Azeem, perché, qualora ci salvassimo, non mi dici come faccio a rintracciarti, magari con le tue qualifiche posso avere la possibilità di segnalarti a qualcuno, conosco molti rappresentanti di apparati elettro medicali. Pronunciai quella frase più per farmi coraggio che per convinzione, ritenendo ormai che l’epilogo finale della nostra storia sarebbe coinciso con una terribile morte che, vista la situazione, sarebbe stata accolta come il minore dei mali e la fine dei nostri patimenti. Avevo un punto di contatto a Brescia, però è meglio ti lasci l’indirizzo della casella di posta elettronica, che è possibile leggere da ogni parte del pianeta. Avevo una matita nella tasca interna della giacca, e mi segnai il tutto su un pezzo di carta per la successiva custodia. Nel corso dell’ultima notte di quella avventura le condizioni meteo mutarono rapidamente verso il peggio. Impetuosi venti da sud-ovest sollevarono onde altissime, che ci colpirono improvvisamente. Visto l’esiguità dello spazio presente Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 23 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° a bordo, decisi, per liberare un po’ di posto ed alleviare il peso che gravava sul barcone, di trasferirmi sul mio gommone che era ancora legato a poppavia del barcone, allungando un tantino la cima di rimorchio per evitare di cozzare con violenza sulla poppa. La forte pioggia ci investi per tutta la durata della burrasca, e pensando che oramai fosse tutto finito, mi infilai con la testa sotto il piccolo gavone di prora. Lì, con la vana speranza di aver acquisito un rifugio sicuro, persi nuovamente i sensi, abbandonandomi, senza ormai alcuna forza, in un mondo onirico parallelo a quello tristemente reale. Del mio risveglio, ricordo solo le mani che mi afferrarono, trasbordandomi verso un’imbarcazione che aveva la forma tipica di una vedetta di altura. Rimasi in stato di incoscienza per i successivi tre giorni, alimentandomi esclusivamente solo per mezzo di flebo, sino a quando tornai a far parte del mondo dei vivi. Il condizionatore accesso al massimo regime possibile, mal attenuava la forte calura del comando della Coast Guard maltese. Il tenente di vascello Zammitti, con cui avevo chiesto di conferire dopo essere tornato in possesso di tutte le mie facoltà mentali e fisiche, raccolse la mia prima testimonianza su come si erano succeduti i fatti relativi al naufragio sopra descritto. – Devo ancora una volta confermarle, che non abbiamo trovato alcun barcone, ove lei afferma di essersi legato con il suo tender dopo il naufragio. – Eppure guardi, sono sicuro, vi erano quindici persone sopra di esso, è impossibile siano sparite nel nulla! In quel momento, sentimmo bussare alla porta, ed apparve un sergente con in mano una busta. – Signor tenente, ecco le foto arrivate dal comando Atlantic di Sigonella. –Benissimo, grazie sergente. Rispose Zammitti. – Ecco, le uniche foto di un barcone di colore verde con una striscia bianca lungo la fascia superiore della barca, sono solo queste, riconosce l’imbarcazione? Mi disse porgendomi delle foto scattate presumibilmente da un velivolo. - Sì, eccolo è proprio questo, fu la mia risposta di rimando. –Ne è sicuro, sa, queste barche si assomigliano tutte. – Sì, sono sicuro c’è anche il motore dietro, quello rimasto senza benzina. - Bene, sappia comunque che quelle foto sono state scattate più di un mese e mezzo fa, durante una ricognizione aerea, e sfido che, dopo un mese e mezzo, possa ancora essere sopravvissuto qualcuno, all’epoca dei fatti, le avverse condizioni meteo marine non hanno permesso ad alcuna imbarcazione di prendere il largo, dopo di che di quel barcone non se ne è saputo più nulla. Rimasi senza avere la possibilità e la voglia di proferire alcuna parola. Nella mia testa, continuarono a emergere i ricordi di quello che avevo vissuto, sogno o realtà, uomini o ectoplasmi, con chi e, soprattutto, dove ero stato per tre giorni in mezzo al mare. Ma ero poi sicuro di essere stato in mare, o magari avevo navigato ai confini di quel limbo che sfocia nel fiume Acheronte? Dalla tasca interna della mia giacca cerata tirai fuori il mio portafoglio, dentro il quale c’era ancora il pezzo di carta con un indirizzo di posta elettronica. Nel corso dei Pagina 24 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania La luna e la falce Orazio De Maria mesi successivi ho provato ad inviare dei messaggi a quella casella, ma la risposta del server era sempre la stessa: casella di posta elettronica piena, impossibile recapitare il messaggio, insaporito in una fredda forma grammaticale cibernetica. Sono passati molti anni, dall’epoca dell’avvenimento di quei fatti, fatti di cui sono stato testimone e che ancora rappresentano, per me, un grande mistero. Anche adesso, passeggiando tra le strade polverose in questo buco del mondo posto in essere qui in nord Africa, osservando le casette tutte uguali, ad un solo piano, mi tornano in mente quei ricordi. Dopo la storia di cui sono stato, mio malgrado, protagonista ho lasciato definitivamente l’Italia, i miei agi, i miei soldi, la mia vita precedente. Niente poteva essere più lo stesso oramai, insieme a quei disperati ero sicuramente morto anche io, solo che, probabilmente, non me ne sono mai reso conto in maniera reale. Girovagando per il mercatino di cianfrusaglie, come faccio ogni giorno per tornare nella mia casupola, qualcuno, riconoscendomi mi saluta, apostrofandomi: il dentista. Adesso svolgo qui la mia attività, chi non può permettersi di pagare con denaro, mi regala un po’ di formaggio, del latte fresco, a me adesso va bene anche così. Quello che non riesco a non compiere nei miei riti abitudinari, che fanno oramai parte delle mie giornate, è quello di camminare fino a raggiungere, con i miei sandali lisi, la spiaggia, posta al confine tra il deserto ed il mare. Qui, scrutando l’infinita massa d’acqua che mi si para d’avanti allo sguardo, mi ritorna costantemente in mente, quando il mare infrangendosi con le sue onde sulla spiaggia pare chiacchierare con gli scogli, ancora, come una litania, quella nenia: Ricordare, di una vita trascorsa in fretta, e adesso piango. Il radiotelegrafista di bordo Orazio De Maria, autore del racconto “La luna e la falce” Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 25 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il porto di Riposto e il suo Faro Il bacino di destra (Amministrazione privata) in piena attività, il bacino di sinistra (pubblico) da tempo in attesa di collaudo Pagina 26 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Idamo Rossi POESIE DEL MARE NOSTROMO Due volte mi chiamasti ed io salii, l’inferno ebbi davanti, mi gettai nell’acqua verso la vita, dietro di me, la morte, ironia, con le sue fiamme correva sul mare. La tua voce mi salvò, seppi di te che salvo non fosti. Nostromo, ti devo la vita ed io non ricordo nemmeno il tuo nome. Naufragio m/c. Punta Ala - Augusta 04.08.1971 M/n. Jolly Verde Atlantico 05.09.1977 PETROLIO Sul mare del Nord dove i cicloni stanchi dell’oceano vengono a morire, dove le onde non hanno mai pace, dove il giorno cede ore alla notte, uomini saccheggiano agli abissi il loro tiranno. Mdv Capalonga Mar del Nord 30.01.1978 AVARIA Fermi sull’Adriatico, una livella è il mare dalla luna piena illuminato. Un attimo di pausa, Stecchetti mi sei venuto in mente. “... Taci lassù c’è Lissa...” M/c Altari - Adriatico 20.08.1997 Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 27 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° L’IMBARCO DEL MARINAIO Stamani all’aeroporto ti ho vista come il sole sparire, prima il tuo corpo al fine il tuo viso, la scala mobile ti toglieva alla mia vista. Come raggi solari all’orizzonte ho visto per ultimo i tuoi capelli ancora neri. Domani, il sole ancora sorgerà, ma io sarò così lontano. Volo Parigi - Città del Messico 18.10.2000 Il Direttore di macchina Idamo Rossi riceve il suo Premio Pagina 28 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Francesco Castorina IL LAVATIVO «Barra dieci a sinistra!». Mi sorpresi io per primo del tono aspro della mia voce, quasi risentito. La stessa impressione dovette averla il timoniere che mi guardò perplesso. Pigramente, come un lento, enorme animale preistorico, la gigantesca petroliera cominciò a muoversi nell’ampia curva dell’accostata che ci avrebbe portato sulla rotta stabilita. Osservai la corsa veloce dei gradi sulla girobussola. «Scontra!». Tornai di nuovo a guardare la girobussola. «Alla via così!». Una manovra perfetta, senza il minimo accenno di vibrazioni allo scafo. Lanciai uno sguardo dalla vetrata di poppa alle luci di terra che continuavano ad allontanarsi. Ci stavamo lasciando alle spalle il canale della Florida, destinazione Rotterdam. Dissi all’allievo di tenere bene d’occhio le luci al mascone di sinistra e passai in sala nautica. «Come va?». Il terzo ufficiale, Giuseppe Gasperini da Termoli, rialzò gli occhi dalla carta sulla quale stava tracciando le rotte del viaggio con un sorriso. «Direi bene chief, ho rifatto il calcolo delle coordinate dei vertici. Conferma il primo; adesso sto provando a tracciare le spezzate». «Quanto si risparmia rispetto alla rotta lossodromica?» Il terzo ufficiale ci pensò su un attimo. «A mio parere non più di 200 miglia; ma… ho anche consultato l’atlante delle tempeste e c’è un buon quaranta per cento di possibilità di beccarne qualcuna alle latitudini alte. Del resto siamo ancora in primavera». «Ne hai parlato con il comandante?». Il terzo ufficiale abbassò gli occhi imbarazzato. «Beh… si…, certo…». «…e cosa ne pensa?». Gasperini mi guardò dritto negli occhi; «Ha detto che bisogna fare come ha deciso lui… si va per ortodromia». Annuii. «Beh Giuseppe, sono quasi le diciannove, vai a cena e avverti il cameriere che io stasera non mangio. Ho solo una gran voglia di dormire un po’». «E io? Quando vado a mangiare io?». La voce fintamente supplichevole nell’ironica cadenza toscana apparteneva all’allievo di coperta Silvano Filippi, un simpaticissimo ed arguto livornese non ancora ventenne. «Infingardo di un cadetto, non sai che dovresti dividere tutti i momenti della tua inutile vita con il tuo Primo Ufficiale? Non hai ancora imparato che ho patente di Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 29 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° vita e di morte su di te?». «Lo so chief, lo so… ma se per caso decidesse di farmi morire questa sera, non sarebbe meglio che lasciassi questo mondo crudele con la pancia piena?». Scoppiammo tutti a ridere, quel giovanissimo ribaldo oltre che la risposta pronta aveva anche il dono della simpatia e non di rado le sue battute folgoranti servivano a rasserenare gli altri. Forse si è già capito, era nelle mie grazie, mi piacciono le persone pronte ed educatamente spiritose. Per questo alle volte facevo in modo di solleticare le sue risposte, sapendo bene che non si sarebbe mai preso la libertà di imporre una battuta per primo. «Vai, vai anche tu, lasciate che a lavorare sia sempre questo povero vecchio…». I due scomparvero in un battibaleno. Tornai in timoneria e vidi che le luci a sinistra erano già scadute a poppavia del traverso. Diedi loro una svogliata occhiata. “Pescherecci.” Nonostante avessimo il radar acceso e fossimo già dotati di GPS, presi alcuni rilevamenti della costa con il traguardo azimutale (potenza della tradizione!), poi inserito il pilota automatico uscii sull’aletta di dritta. Aspirai con voluttà l’aria fresca e salmastra della sera e alzai gli occhi al cielo. Quale magnificenza! Restai per parecchi minuti a contemplare lo spettacolo di un cielo stellato del quale è difficile usualmente godere. Il cielo limpido e pulito faceva sì che la volta celeste sembrasse molto più vicina ed è facile in momenti simili sentirsi rapiti e perché no dolcemente intimoriti, colpiti da sensazioni d’immenso. Quando si parla di Dio, si dovrebbe farlo sotto un cielo così e forse molte cose diverrebbero più facili da capire. “Che cosa siamo noi? Piccoli esseri imperfetti, vittime di un disegno troppo grande, oppressi dalla nostra stessa vita. Già…la vita, una battaglia che non si può vincere, una lotta continua contro le povertà, contro le infermità, una battaglia con un solo esito, la condanna ad una morte spesso orribile... e di contro l’incredibile stupidità con cui si spreca ogni piccola occasione di felicità, per vanità, invidia, gelosia, per falso senso dell’onore, per concetti falsamente razionali... La vita…un continuo inseguimento verso il nulla. Un inseguimento eterno, parallelo a quello di un minuscolo granello di polvere che continua ad inseguire una piccola stella nel cosmo. Le due cose insieme, nel mistero profondo ed irrisolvibile dell’universo.” «Buonasera chief». La voce del terzo ufficiale mi distolse di colpo dalle mie meste riflessioni. «Già di ritorno?». «Sono già le venti chief…». «Ah…sono così stanco da non essermene reso conto». Arrivò anche Filippi. Discutemmo così per qualche minuto ancora di ortodromia, del teorema di Eulero e della regola mnemonica di Nepero. Colsi anche l’occasione per intimare a Filippi di mostrarmi l’indomani il suo quaderno nautico che supponevo non avesse aggiornato da giorni e per ricordargli che già dalla sera ventura avremmo ripreso le osservazioni astronomiche (Va bene il GPS ma se si guasta?). Pagina 30 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il lavativo Francesco Castorina Poi salutai tutti, lasciando in ambasce il povero Filippi che sicuramente quella sera avrebbe avuto qualche motivo di apprensione. Tenevo molto a quella squadra di ottimi ufficiali, completata dal secondo, Flavio Sinni, un marchigiano affabile, affidabile e particolarmente capace. Tutti giovanissimi e il vecchio che ero io non aveva ancora compiuto trent’anni. Anche questo credo avesse contribuito a fare della “Sicilia” una nave felice. Almeno fino a un paio di mesi prima, quando c’era stato il cambio di comandante. È veramente singolare come il cambio di una sola persona possa condizionare così profondamente l’umore di un intero equipaggio sino a influenzarne i comportamenti e le relazioni sociali. Ma questo era quello che era avvenuto. Sin dal primo momento i rapporti erano stati difficili. Improvvisamente nulla più andava bene, gli ufficiali (tutti) erano divenuti degli “ignoranti esistenziali”; l’equipaggio un “covo di lavativi”. Tutti i miei tentativi per riportare la situazione a un tasso di normalità accettabile erano falliti. Di conseguenza ognuno a bordo aveva iniziato a ritrarsi in se stesso. Ci furono alcuni alterchi nel quadrato in seguito ad arronzate dirette dal comandante agli ufficiali e anche un paio di episodi di piccineria tanto miserabili da non valere la pena di rievocarli. Non che io voglia addossare tutte le colpe di quello che accadde al comandante, ma spesso, troppo spesso la portata delle sue reazioni anche di fronte ad episodi di minima o discutibile negligenza fu incredibilmente esagerata. Altre volte le sue accuse furono totalmente immotivate e questo io per primo non lo accettai. Le ragioni di quel comportamento? Non voglio ergermi a giudice di alcuno ma rimane forte la mia convinzione che un uomo debba evitare di cercare la sua forza d’animo in una bottiglia. Entrai in cabina e… mi sentii di colpo infinitamente solo. Su di una nave i rapporti sociali hanno una valenza diversa che sulla terraferma. Sono improntati ad una disciplina rigida, al rispetto per il grado e a quello interpersonale. In una nave però ognuno è solo; il suo unico compagno è se stesso. Tutti i marinai conoscono questa regola e la rispettano. Certo si lavora, si parla, si scherza, qualche volta si gioca ma quando si rientra nella propria cabina si è soli, irrimediabilmente soli; e responsabili di se stessi. Non è da vedere come un male assoluto però. Rimanere soli con se stessi serve. Fortifica, insegna a leggere dentro, può far scoprire cose spiacevoli ma può portare a volte a rintracciare in se stessi aspetti positivi come ad esempio quella vena di malinconica filosofia esistenziale, così comune in tanti uomini di mare. Mi buttai sulla cuccetta a peso morto, pensando che non sarei riuscito a prendere sonno, tanto era il nervosismo che mi opprimeva sin da quando avevamo lasciato il porto di caricazione. Una caricazione indubbiamente difficile, in boa foranea a Coatzacoalcos e praticamente in mare aperto. Un mare lungo che impediva la lettura corretta dei Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 31 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° pescaggi e le sonde delle cisterne che scavallavano di due piedi. Una caricazione condotta in punta di naso, con l’occhio attento a ogni minimo riferimento che avrebbe potuto essere d’aiuto. Con il pensiero fisso di terminare al pescaggio appropriato per arrivare a Rotterdam alla giusta “marca”. E quando dopo due giorni di attesa dei documenti del carico c’eravamo ritrovati in un mare liscio di un blu delicato ed uniforme, avevo potuto appurare che avevamo imbarcato appena 60 tonnellate in meno (su 249.800), il comandante mi aveva rivolto l’osservazione “che avevo commesso un grosso errore” e “che avevo danneggiato la compagnia”. Sotto lo sguardo incredulo degli ufficiali presenti e del pilota messicano avevo sentito l’osservazione crescere di tono sino a trasformarsi in un aspro rimprovero. Avevo dovuto far ricorso a tutta la mia calma e forza d’animo per replicare con un educato “Comandante, lei è profondamente ingiusto. In quelle condizioni non si sarebbe potuto far di meglio”. Le escandescenze però continuarono sino ad arrivare al punto di richiedere al pilota messicano di riormeggiare la nave per “completare la caricazione”. Un “usted està loco” chiuse la faccenda ma rimase in tutti noi una grande amarezza ed una viva preoccupazione per quel comportamento. Sul prendere sonno mi ero sbagliato. Pian piano le correnti di marea abbandonarono il mio corpo, lasciando il posto ad una calma piatta e il sonno arrivò puntuale scomponendo i miei ultimi pensieri. Sonno! Sonno profondo, ristoratore, al quale mi abbandonai totalmente. «Chief, chief… si svegli, per favore si svegli». Le parole faticarono a penetrare la spessa coltre di nebbia che mi ottundeva il cervello. Poi avvertii una mano ferma che mi scuoteva delicatamente la spalla. Pian piano riemersi dal vortice buio dell’incoscienza. «Giuseppe, cosa fai qui? Cos’è successo? Che ore sono?». «È la mezza chief e Cacciatori sta male». «Oh no! Ancora quel rompicoglioni!». Cacciatori era un marinaio di mezz’età, piccolo, magro ed abbastanza abile, una persona a modo tutto sommato, se non fosse per il fatto che ogni giorno accusava un malessere nuovo e quasi sempre dai sintomi sconosciuti. Mi ero fatto l’opinione che fosse un ipocondriaco ma i fatti successivi mi avrebbero dato torto. Indossai comunque in fretta i pantaloncini e la camicia cachi. «Che diavolo di malessere accusa adesso?». Chiesi scendendo le scale. Il terzo ufficiale mi guardò dritto negli occhi. «Ha dei forti dolori al petto; credo che stavolta sia una cosa seria. Gli ho dato un po’ di Micoren alle ventitré». «Avete avvisato il comandante?». Il terzo ufficiale annuì. «Ci ha detto di dargli un sedativo e di non chiamarlo per sciocchezze di questo tipo. È stato veramente difficile svegliarlo. Non rispondeva al telefono e s’era chiuso a chiave. Sinni ha mezzo sfondata la porta a furia di battere». Accennò ad un sorriso ironico. «Mi è parso…». Lanciai uno sguardo severo a Gasperini. «Giuseppe…». Il terzo ufficiale arrossì violentemente. Mi conosceva bene. Sapeva che nemmeno in presenza di indegnità di quel tipo avrei mai incoraggiato comportamenti o azioni Pagina 32 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il lavativo Francesco Castorina che non fossero legali, volte a diminuire l’autorità del Comandante. Cacciatori stava veramente male. Nella piccola cabina s’era radunata una folla che sbrigativamente invitai a sgomberare. «Gli state togliendo l’aria, non c’è nulla di cui preoccuparsi, tornate a dormire». Chiesi però di restare al nostromo. Un uomo accorto, misurato e intelligente di cui avevo profonda stima. «È un attacco di cuore», disse il nostromo. Gli feci cenno di tacere ed assentii con la testa. «Cosimo mi senti? Riesci a parlare?». Cacciatori annuì muovendo debolmente la testa. «Puoi dirmi cosa ti senti?». «Ho… il petto come… come schiacciato da un masso… non riesco a… respirare… do… dolori… ah… fortissimi…». Vidi che il volto gli si deformava in un’atroce smorfia di sofferenza, poi svenne. «Presto, non c’è un momento da perdere, deve essere una forma di angina o qualcosa di peggio, dobbiamo sedarlo o il dolore lo ucciderà. Gasperini vai a prendere la morfina e non dimenticarti l’annotazione sul registro degli stupefacenti. Nostromo accompagnatelo e portate giù pure una bombola d’ossigeno». Usai il telefono del corridoio per chiamare il ponte: «Sinni, la situazione è grave, sveglia il marconista ed avvisa il comandante che torniamo indietro, mandami giù una ricetrasmittente con il marinaio di guardia e tieni l’altra con te, accesa». «Chief... prima accosto e dopo avverto il comandante o accosto dopo averlo chiamato?». Capii subito cosa intendeva dirmi il secondo ufficiale. «Accosta Sinni, è un ordine. Accosta e poi avverti il comandante. Digli che ho dato io l’ordine. Ma accosta piano e poi tranquillamente quando sei sulla rotta opposta chiama il comandante». «Roger chief, inizio subito ad accostare». Il marconista arrivò pochi attimi dopo, portando lui la ricetrasmittente. «L’ho provata io, tutto bene e so tutto, ero ancora sveglio». «Bene Pino, cosa dici di fare?». «Mi metto subito in contatto con il CIRM e cerco di contattare anche la Coast Guard». «Bene e fammi un favore, dì a Sinni di lanciare una richiesta d’aiuto per VHF, potrebbero esserci navi con un dottore a bordo nelle vicinanze». Il marconista sorrise: «Lo sta già facendo, è in gamba quel ragazzo». Ora locale 1:55. Cacciatori rinvenne mentre gli somministravamo la morfina per via intramuscolare. Il secondo ufficiale mi informò che il marconista era entrato in contatto con il CIRM e che nessuna nave aveva sinora risposto al suo appello. «Continua… ogni 5 minuti lancia l’appello. Hai avvisato il comandante?». Silenzio imbarazzato. «Allora Sinni, l’hai avvisato o no?». «Positivo, chief, l’ho avvisato; ha detto di fare come ci pare…». «Bene e così faremo! Come ci pare e anche come va fatto! Mi raccomando riporta sul brogliaccio tutto e segna il punto sulla carta ogni volta che ti è possibile». Il nostromo arrivò con un bricco di caffè fumante, riempì alcuni bicchierini di Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 33 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° carta e me ne offrì uno. Mi portai alle labbra la corroborante bevanda gustandone ogni goccia con senso di vero godimento. Il terzo ufficiale, con molta delicatezza, provava intanto a far deglutire qualche sorso d’acqua a Cacciatori che continuava a lamentarsi con frequenza sempre uguale. Ora locale 2:35 la ricetrasmittente gracchiò. «Chief, sono entrato in contatto con una nave russa, la Soviet… qualcosa…, hanno il medico a bordo ed anche un ospedale… sono pronti a dirigere verso di noi ma il loro comandante vuole prima parlare con il nostro…». «Ho capito Sinni, arrivo subito». Feci di volata i quattro piani di scale, evitando l’ascensore, “non si sa mai che si blocchi proprio ora” ed arrivai sul ponte in debito d’ossigeno “Debbo dimagrire, dannazione, sto ingrassando troppo.” Sinni stava parlando con il comandante russo, mi cedette subito la cornetta. «This is italian ship “Sicilia”, bound to Rotterdam, master speaking. We need medical assistance, urgently». La voce calma e rassicurante del comandante russo ci informò che stavano dirigendo verso di noi a tutta forza. Ambedue ci rendemmo immediatamente conto che il punto di rendez-vous sarebbe stato raggiunto al più presto in due ore. Ci scambiammo comunque tutte le informazioni necessarie e convenimmo come operare quando ci fossimo trovati in vista. Gli ufficiali di guardia si sarebbero scambiati le rispettive posizioni ogni dieci minuti. Comunicai al comandante russo che stavamo provando a contattare anche la Coast Guard e che eravamo già in contatto con il CIRM. Poi egli mi passò il medico cui feci una breve relazione sullo stato clinico di Cacciatori. Il dottore confermò che potesse trattarsi di un attacco di cuore e ci chiese se avevamo a bordo una certa medicina. La ricognizione in infermeria fu vana, non avevamo quel farmaco. Sentii un senso di impotenza che mi pervadeva mentre ascoltavo le successive istruzioni del medico. Le 3:00; tornai nella cabina di Cacciatori con un senso d’oppressione sul cuore. Il volto ormai grigio dell’uomo, le labbra esangui e il suo flebile ma continuo grido di sofferenza mi indussero alle più scure previsioni. D’improvviso avvertii sinistra la presenza della Nera Signora. Arrivò il marconista. «Ho le istruzioni del CIRM… dicono che dobbiamo iniettargli una dose di morfina per endovena se vogliamo calmargli un po’ i dolori. Se non lo facciamo, rischiamo di perderlo». Lo fissai con gli occhi sbarrati, quasi spaventato. «Un’endovenosa… ma chi… chi è in grado di praticarla a bordo?». Vidi gli occhi dei presenti abbassarsi. Ripetei la domanda; «C’è qualcuno a bordo in grado di fare un’iniezione per endovena?». Rispose il terzo ufficiale; «Non c’è alcuno con il patentino da infermiere…». Mi resi conto in piena evidenza che rischiavamo di perdere un uomo perché a bordo non c’era chi potesse praticare professionalmente un’endovena. Pagina 34 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il lavativo Francesco Castorina La mia voce mi risultò estranea, quasi impersonale. «Bene, la faccio io. Giuseppe va a prendere l’occorrente… e sveglia Filippi. Dopo va a dormire un po’». Il terzo mi guardò; «Chief, non potrei prendere sonno…». «Giuseppe, ti capisco, comunque il servizio è il servizio, non possiamo rincoglionirci tutti insieme, le guardie bisognerà coprirle anche domani». Annuì e lasciò di malavoglia la cabina. L’allievo Filippi arrivò dopo cinque minuti, l’aria perfettamente sveglia e in mano l’occorrente per l’endovenosa. Il cuore cominciò a battermi forte. Feci appello a tutte le reminiscenze sull’argomento che avevano preso a vagare in forma caotica nella mia mente. Mi sforzai di ricordare il brevissimo addestramento che avevo ricevuto da allievo ai tempi della Esso e soprattutto cercai di calmarmi. “Devi provarci, devi! La morte se lo sta già portando via. Tu puoi salvarlo, devi!” Guardai l’orologio, le 3:48, i minuti sembravano correre ancora più veloci verso un inesorabile appuntamento. Scacciai quel pensiero dalla mia mente; “È tempo di agire!”, mi dissi. Cacciatori era nuovamente svenuto, gli auscultai il petto. Il cuore aveva un ritmo strano, irregolare. Gli misurai i battiti: quarantadue. “Debbo far presto!” “Debbo far presto!”. Fissai un’ultima volta quel volto esangue, poi afferrai il braccio sinistro e lo strinsi con il laccio emostatico. “Mio Dio… aiutami, fa che ci riesca”. Come mi è capitato alcune altre volte in vita mia, di fronte a situazioni difficili, recuperai per intero la calma e i miei nervi divennero di ghiaccio. Lentamente approssimai l’ago alla vena. La vedevo come sotto una lente d’ingrandimento! Grande e turgida. Non potevo sbagliare! Infilai l’ago e con leggerissima pressione premetti con il pollice sul pistoncino della siringa. “Vita, vita, vita! Fluisci o vita!”. Erano versi di chi non so quale poeta ma evocate dalla mia mente, salirono rapide alle labbra e in quel mormorio indistinto terminai l’opera. Non so cosa avessero capito delle mie parole gli altri, ma vidi che qualcuno si segnava. Mi sentii infinitamente sollevato. Se per Cacciatori c’era ancora una possibilità, essa permaneva intatta. Uscii all’aperto aprendo la porta stagna. La fresca, frizzante, benefica aria della notte mi venne incontro. Respirai profondamente una, due, tre volte, riempiendomi i polmoni e beandomi del gusto salino che la permeava. La ricetrasmittente gracchiò ancora una volta «Chief, chief, il marconista è in contatto con la Coast Guard, in stazione radio immediatamente prego». Arrivai in stazione radio ancora una volta con il respiro corto. Immediatamente il marconista mi mise al corrente della situazione. La Coast Guard aveva risposto ai nostri appelli, adesso stava identificandoci. Da quel momento in poi gli accadimenti assunsero un ritmo incalzante. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 35 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° La Coast Guard ci fornì le coordinate di un nuovo punto di rendez-vous, una nave guardacoste ci fu inviata incontro. Ci fu chiesto se avessimo una pista per atterraggio di elicotteri e quando rispondemmo di sì, ci fu detto di prepararla. Feci chiamare il posto di manovra e diedi “l’attenzione in macchina”. Dopo dieci minuti il primo macchinista mi informò che la macchina era pronta alla manovra. Accendemmo i riflettori, mentre gli estintori venivano preparati vicino alla pista d’atteraggio e la tubazione antincendio veniva messa in pressione. Chiamammo ancora una volta la nave russa e spiegammo loro che l’operazione di soccorso era passata in mano alla Coast Guard. Il comandante ci informò di avere già ricevuto istruzioni dagli americani di restare in zona in panna, sino all’arrivo dell’elicottero sulla nostra nave. Le cinque e il sole che emerge dall’oceano con dignità imperiale; i suoi primi raggi irradiano le lamiere della nave in un breve fulgore gioioso e poi accarezzano i nostri volti come a recarci conforto. «L’ho vista, eccola!». L’urlo di Filippi interruppe l’innaturale quiete. «Filippi, calma!». «Ehm… chiedo scusa signore. Volevo dire nave in avvicinamento controcorsa, cinque a sinistra». Puntai il cannocchiale. Un piccolo puntolino grigio all’orizzonte che ad ogni battito di polso si ingrandiva sempre di più. Senza dubbio una vedetta della Coast Guard. Anticipando la mia domanda, Sinni esclamò: «Distanza otto miglia punto tre». «Mezza forza!». «Mezza forza!». Ripeté Filippi e il trillo del telegrafo di macchina mi sembrò musicale e meraviglioso. «Avanti adagio!». «Avanti adagio!». Anche stavolta l’allievo aveva urlato ma non lo rimbrottai. Capii subito il motivo di tanta eccitazione; dritto di prora i suoi occhi acuti avevano già intravisto l’elicottero. Presto esso entrò anche nel mio campo visivo. «Sinni! Tra un paio di minuti ferma la macchina e poi segui le istruzioni che ti darà la Coast Guard, mantieni il governo e usa solo poca macchina avanti. Io scendo in coperta. Se hai difficoltà chiamami con il walkie-talkie e manda il marinaio ad issare le bandiere». «Macchina ferma tra due minuti, seguire istruzioni della Coast Guard e solo dead slow ahead per mantenere il governo della barchetta!». «Sinni, parola mia, tu farai carriera…». Feci portare Cacciatori in coperta sulla barella metallica, pronta ad essere agganciata. Ora aveva il volto disteso ma ogni tanto i muscoli del viso gli si contraevano sotto l’effetto degli spasmi. Nonostante le buone condizioni meteorologiche la gigantesca libellula d’acciaio (un Chinook ?), non tentò l’appontaggio. Rimase sospesa sulla pista mulinando le grandi eliche. Pagina 36 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il lavativo Francesco Castorina Poi si aprì un portello e lentamente una figura umana appropriatamente imbragata fu filata con attenta circospezione verso il ponte di coperta. La targhetta recitava “dr. J.A. Gomez”. Il simpatico, alto e occhialuto dottore mi strinse la mano. Mi chiese quali fossero i sintomi e quali farmaci avessimo somministrato al malato. Gli notificai il mio grado, poi gli passai un biglietto sul quale avevo annotato i farmaci dispensati e la posologia. Brevemente lo misi al corrente dei sintomi. Avvicinatosi alla barella visitò per lunghi minuti il paziente e poi mi disse: «lo portiamo con noi». Dopo aver colloquiato brevemente con l’elicottero ci fece segno di portare la barella al centro della pista. Dall’elicottero venne filato un cavo d’acciaio con un gancio di sicurezza all’estremità. Il nostromo agganciò con cura, poi guardando verso l’elicottero, roteando l’indice fece segno di virare. La barella si alzò piano piano e guidata dai nostri marinai con le cime di ritegno, scomparve nelle viscere del mostruoso insetto metallico. Fu poi la volta del dottore. Venne imbragato con la massima cura. Prima di lasciarci ci stringemmo nuovamente la mano. «Siete stati bravi», mi disse. Lo fissai per un attimo; «Will he live, doctor?». «May be, chief, may be…». Scomparve presto anch’egli e con un agile dietrofront l’elicottero fece rotta verso terra. Immediatamente seguito dalla vedetta della Coast Guard che per tutta la durata dell’operazione aveva stazionato a circa un quarto di miglio di distanza dalla nostra nave. L’elicottero sparì quasi subito alla nostra vista, lasciandoci leggermente attoniti. Né il successo dell’operazione aveva risollevato del tutto il nostro spirito, lasciandoci addosso una strana forma di cupa malinconia. Però… però era anche bello pensare che non fossimo stati lasciati soli, che altri uomini si erano impegnati a fondo perché una vita umana non andasse perduta in mare. Provai un empito di riconoscenza per l’efficientissima Coast Guard, per il comandante russo e per il medico che dal CIRM ci aveva così ben guidato in frangenti difficilissimi. Via VHF la Coast Guard ci comunicò che potevamo riprendere la nostra rotta e Sinni me ne diede notizia via radio. Erano le cinque e quarantacinque. Ero ancora in coperta e rabbrividii. Solo allora mi resi conto; per tutto quel tempo ero rimasto solo con i pantaloncini e la camiciola di cotone addosso. Il nostromo mi venne incontro sorridendo, «È ora di andare a fare colazione». Poi stringendomi la mano aggiunse: «Grazie chief… in nome di tutti, grazie…». EPILOGO Il marinaio Cacciatori ebbe salva la vita. L’elicottero lo sbarcò a Miami, da lì Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 37 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° con un aereo venne portato a Houston dove fu operato al cuore. L’operazione andò bene e lui si rimise prontamente. Così prontamente, che secondo “Radio Poppa”, ascoltata negli anni a venire, in convalescenza avrebbe pure fatto cedere alle sue voglie un’infermiera americana. Sinni ha fatto veramente carriera. Come Gasperini e Filippi del resto, ma per tutti e tre la loro vita successiva ha avuto corso lontano dal mare. Nonostante siano diventati delle persone importanti, ogni tanto si ricordano di me ed è un privilegio ricevere le loro telefonate e qualche volta le loro visite, specie ora che i miei capelli sono diventati radi e grigi e che sempre più spesso mi sorprendo a ricordare con nostalgia lontani episodi della mia gioventù sul mare. Il marconista Pino Mori ha chiuso anni fa la sua carriera marittima e con un po’ di dispiacere nel rendersi conto che i radiotelegrafisti sono ormai una razza estinta, si gode la sua meritata pensione in una bella casa alle Cinque Terre. Quanto a me conclusi a Genova quel non felice imbarco, afflitto da una dolorosa colica renale, avendo comunque ampiamente terminato il periodo contrattuale. Non riuscendo però la compagnia a trovare un rimpiazzo, rimasi comunque a bordo sino al completamento della discarica e lasciai la nave solo dopo averla zavorrata. Nonostante ciò il Comandante non ebbe pudore di riportare un “lavativo” nelle mie note caratteristiche, che ebbi aggio di consultare anni dopo. Naturalmente, nessuno gli prestò credito… Il Presidente della Giuria consegna il Premio al Cap.l.c. Francesco Castorina Pagina 38 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Giovanni Pagano CHERNOBYL I l mio primo viaggio nella ex Unione Sovietica risale al 1959 quando con una vecchia petroliera denominata Fransèscu dell’armatore genovese Pittaluga giunsi nel porto petrolifero di Batumi, nella Repubblica Socialista Sovietica di Georgia. Il comandante era un camoglino di vecchio stampo che aveva navigato anche con i bastimenti a vela; il suo nome era prettamente ligure, si chiamava Lorenzo Oneto. Il porto di Batumi è incastrato in fondo al Mar Nero sotto le montagne del Caucaso, proprio ai confini della Turchia. Prima di entrare in porto siamo stati in rada per ben quattro giorni e la prima cosa che mi colpì, e mi sembrò un po’ strana, erano dei potenti riflettori piazzati a terra che con potenti fasci di luce tenevano sotto controllo la nave illuminandola a pieno giorno; ne avevo sentito parlare sin da ragazzo che in URSS era tutto sotto controllo, ma una cosa simile non l’avevo mai immaginata. Io che ero cresciuto all’ombra dell’Azione Cattolica ricoprendo anche la carica di Delegato Aspiranti, ho avuto un attimo di esitazione pensando che forse ero prevenuto nei confronti dell’URSS. Mi vennero in mente tutte le battaglie elettorali contro i comunisti del mio paese e le grandi discussioni fino a notte tarda nella piazza del mio paese. Dopo la morte di Stalin nel 1953 subentrò Nikita Krusciov e del vecchio regime staliniano sembrava che qualcosa fosse cambiato (così almeno dicevano al mio paese). Adesso mi trovavo a contatto con la realtà e devo dire obbiettivamente che rispetto a quello che mi veniva raccontato molte cose non corrispondevano al vero. L’ho potuto notare quando la nave fu portata all’ormeggio, dopo i rituali controlli dei libretti di navigazione e la lista dell’equipaggio. I libretti venivano portati tutti in saletta, ognuno di noi lo ritirava e se ne andava nella propria cabina, aspettando la polizia che li ritirava ad uno ad uno, facendo un’ispezione alla cabina da cima a fondo. Dicevo appunto sembrava che le cose fossero cambiate ma in fondo in fondo non era cambiata un gran ché, solo che prima non veniva concesso di mettere piede a terra, adesso si poteva andare in franchigia in città, consegnando il libretto di navigazione al poliziotto alla scala, che ci rilasciava un pass già precompilato con il nome ed il numero dell’equipaggio, pass che bisognava custodire gelosamente, per un eventuale controllo in città. La franchigia era fino alle ore 22. Sembrava di essere liberi di girare ma, in effetti, non era così. Ogni membro dell’equipaggio Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 39 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° aveva il suo angelo custode, agenti segreti del KGB (servizio di spionaggio) sguinzagliati ad una certa distanza ci seguivano come ombre. La maggior parte dell’equipaggio veniva instradato all’Interclub (corrispondente ai nostri Seamen’s Club della Stella Maris) dove la direttrice e delle belle ragazze scelte dal partito ci davano il benvenuto. Queste ragazze avevano il compito di farci compagnia onde non poterci dare la possibilità di girare a zonzo per la città e poter curiosare intorno. Dopo il benvenuto della direttrice, ci intrattenevano con dei balletti tipici della Georgia e venivano proiettati dei documentari sulle meraviglie del popolo sovietico e della sua terra, con tutte le realizzazioni del regime. Le ragazze non erano altro che delle “entrenouses” autorizzate dal partito a riferire tutto ai servizi segreti. Una di queste ragazze suonava divinamente il piano e ci faceva ascoltare molte melodie napoletane. Il marconista, un bel giovane di Sorrento, si mise a cantare e l’Interclub scoppiò in un fragoroso applauso. Svetlana, la suonatrice del piano, rimase affascinata dalla voce di Antonio Jaccarino e rimase anche attratta e fulminata dalla sua avvenenza giovanile e dall’eleganza. All’uscita dell’Interclub schizzò fuori assieme alla ragazza, eludendo la sorveglianza della direttrice per fare quattro passi nei giardinetti di fronte. Nell’affettuosa intimità vennero sorpresi dal poliziotto del KGB che strattonò la ragazza per il braccio portandola via, mentre il povero Antonio rimase interdetto come uno scemo. Arrivò un altro poliziotto e lo condusse direttamente a bordo consegnandolo al Comandante, dicendo in una stentata lingua inglese: «Refused». Durante tutta la sosta della nave in porto, rimase consegnato a bordo non potendo vedere la sua bella Svetlana. Neanche la ragazza fu vista più all’Interclub. Questo è stato il mio primo impatto in terra Sovietica. Dopo ben 25 anni, nel 1983, mi è stata offerta l’opportunità di fare dei viaggi fissi: Italia – Mar D’Azov. Gli scambi commerciali fra URSS erano talmente cresciuti che il Ministero del Commercio con l’estero stipulò un contratto di interscambio mettendo sulla rotta Italia – Mar D’Azov ben dieci navi, cinque navi italiane: Lamone, Montone, Rubicone, Beatrice e Pietro della COSIMAR con sede a Palermo e della Petrokan S.p.A. di Ravenna e cinque navi dell’Azov Shipping Company, con sede a Zdanov (oggi Mariupol, città di Maria). Porti principali: Ravenna in Adriatico, Savona nel Tirreno. Porti di discarica Berdiansk e Zdanov nel Mar D’Azov. Fu proprio nel 1983 che in Unione Sovietica avvenne l’ascesa al potere di Mikhail Gorbaciov, portando una ventata nuova con la sua Perestroika e la sua Glassnost (cambiamento e trasparenza). Effettivamente molte cose rispetto al 1959 erano cambiate, non c’era più quella stretta sorveglianza di una volta, le ragazze dell’Interclub accettavano il regalino (la bottiglietta di profumo, le calze di nylon), le era concesso di fare la passeggiata nel parco assieme alle persone dell’equipaggio. Come a Batumi nel 1959, anche qui le ragazze venivano selezionate e provenivano dall’Istituto Pedagogico Pagina 40 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Chernobyl Giovanni Pagano “Valentina Ossipenko” (celebre eroina dell’ultimo conflitto mondiale) di Berdiansk e dall’Istituto Gregory Corban di Zdanov. Però, sebbene la corda fosse allentata, ogni venerdì pomeriggio la Direttrice dell’Interclub e le ragazze si riunivano e venivano interrogate una per una dall’agente del KGB per sapere cosa avevano ricevuto in regalo dal marittimo che frequentavano, dove erano state in giro, che discorsi si facevano, insomma volevano sapere tutto, anche le cose più intime. Se qualcuna mentiva, loro lo sapevano, poiché le ragazze erano spiate da altre ragazze che magari erano spiate dalle ragazze spiate. Fra loro non sapevano quale era la ragazza che la teneva d’occhio, tutte si spiavano a loro insaputa. Facendo dei viaggi fissi, dai oggi, dai domani, si prende una certa confidenza ed io in tre anni sulla stessa linea di confidenza ne avevo acquisita abbastanza. Mi conoscevano tutti, dai doganieri ai poliziotti, dai portuali all’agente marittimo, insomma sia a Berdiansk che a Zdanov ero di casa. Avevo libertà di portare fuori tutto, cosa che ad alti non era permesso, ero diventato un personaggio. Sul giornale locale “Rabboccinii Gaziette” (la gazzetta dei lavoratori) scrissi un articolo ove ho tessuto l’elogio al nuovo capo del Cremlino Mikhail Gorbaciov, articolo che mi venne pagato con 20 rubli, rubli che spesi all’Interclub, offrendo da bere a tutti quanti. Un giorno il Dottor Manlio Crilli, amministratore delegato della Petrokan S.p.A., dopo una riunione con i dirigenti dell’Azov Shipping Line, si presentò dietro i cancelli del porto di Bardiansk per venire a bordo. Al varco non lo fecero passare. Andai io a parlare con i doganieri, spiegando che era l’armatore e così poté venire a bordo. Un mattino del mese di maggio del 1986, erano circa tre anni che frequentavo l’Ucraina, era una bella giornata di sole, le tortorelle, svolazzavano sulle betulle dei viali di Berdiansk, le rosse amarene pendevano fuori dai cortili delle strade assieme ai salici piangenti. La primavera è bella anche in Ucraina! In un angolo dei giardinetti vidi i ciuffi di “ruca” che crescevano rigogliosi ed erano teneri e di un colore verde scuro. Come tutti sanno la “ruca” non è altro che la famosa “Ruchetta” che cresce negli anfratti del Foro Romano al Palatino, ed i romani ne vanno matti per mangiarla all’insalata. Ebbi subito l’idea di farne un bel fascetto e portarla a bordo, a mezzogiorno potevo condirla assieme ai pomodori all’insalata. Tranquillo tornavo a bordo gingillando, quando il militare che stava di guardia allo scalandrone mi bloccò dicendo: «Giovanni tu non puoi portare questa erba a bordo la nave». Pensavo che scherzasse, invece diceva sul serio. «Ma perché non la posso portare a bordo?», dissi. «Devi buttarla via», mi rispose con voce perentoria e, vedendo che io facevo finta di non capire, me la strappò dalla mano e senza tante storie la buttò a terra e la calpestò con i piedi. Ritornai a bordo un poco frastornato, raccontai l’accaduto al Comandante. Poco dopo venne a bordo un Colonnello della polizia assieme all’agente marittimo ed altri due militari. Si rivolse al Comandante della nave dicendo che volevano Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 41 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° interrogarmi poiché avevo violato le leggi vigenti in Unione Sovietica, riguardando l’illegittima esportazione di cose e materiali non consentiti. Si rivolgevano all’agente marittimo per poi tradurlo in italiano. Ma Sasha (Alessandro), che mi conosceva molto bene, rispose che potevano rivolgermi le domande direttamente, poiché capivo perfettamente la lingua russa. Incominciò così l’interrogatorio: - Perché hai raccolto quell’erba nei giardinetti? - In Italia quell’erba la usiamo come insalata. - Dopo tanti anni che vieni in Ucraina ti sei accorto adesso che è un’erba che si mangia? - Altre volte non mi ero accorto di questa erba. - Cosicché voi in Italia la mangiate? - Certamente, è molto saporita con olio aceto e sale. - Ma tu lo sai che è proibito raccogliere l’erba nei giardinetti? - Non lo sapevo. Mi fecero ancora un sacco di domande e, poiché eravamo con la nave in partenza, fecero un controllo accurato nella mia cabina, non trovando nulla di strano. Riferirono al Comandante che avrebbero preso una decisione se potevo o no tornare il prossimo viaggio in Ucraina, dandone comunicazione direttamente all’armatore a Ravenna. Poco dopo salpammo con destinazione Livorno per scaricare dei blocchi di marmo. Appena fuori dal porto, il marconista tolse i sigilli alla radio e prese il bollettino meteorologico, e poco dopo la stampa dell’ANSA. In porto la stazione radio veniva sigillata e tutte le notizie arrivavano via terra, tramite agenzia. Fu appena usciti dal porto che apprendemmo dall’ANSA che il giorno 26 di Aprile 1986 era avvenuto lo scoppio di un reattore della centrale nucleare di Chernobyl. Eravamo del tutto ignari del disastro che era successo con conseguenze catastrofiche nel raggio di 200 e passa chilometri. A Bardiansk nessuno sapeva nulla della disgrazia, forse solo gli alti ranghi delle autorità militari. Solo adesso riuscivo a capire il senso della loro visita a bordo, pensavano che io fossi a conoscenza del disastro accaduto ed avevo raccolto la “ruchetta” per farla esaminare per il controllo della radioattività. Quando arrivammo a Livorno, ci misero in quarantena, vennero a bordo autorità militari e tecnici della protezione civile con certe tute bianche che sembravano astronauti. Esaminarono con degli strumenti ogni angolo della nave. Poi aprirono i boccaporti e scesero in stiva per controllare la merce, il tutto risultò negativo, poteva iniziare la discarica. A Ravenna non arrivò nessuna comunicazione quindi potevo regolarmente tornare in Ucraina. Alla fine di giugno eravamo ormeggiati allo stesso molo del porto di Bardiansk che avevamo lasciato un mese prima. Dopo aver fatto la solita pratica d’arrivo con le autorità portuali, la sera verso le ore 20 mi recai in franchigia. Prima di uscire dal varco bisognava passare da un Pagina 42 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Chernobyl Giovanni Pagano “casotto” per il controllo della dogana, ormai erano più di tre anni che frequentavo il porto ed i doganieri mi conoscevano molto bene. Quella sera c’era Dimitri, un caro amico che ogni volta che mi vedeva le piaceva parlare di calcio, era tifoso della Dinamo di Kiev. Quella sera invece un poco rabbuiato mi disse: «Giovanni prima di uscire vai sopra la palazzina dove c’è una persona della polizia che ti vuole parlare». Salii le scale con un sussulto al petto, battei alla porta, mi venne ad aprire Nikolaj Romanenko, un poliziotto che io conoscevo, poiché stava sempre a gironzolare all’Interclub e lo incontravo quasi sempre nel parco e nelle strade, era sempre onnipresente dappertutto. Con fare gentile mi fece accomodare ed incominciò a parlare: «Purtroppo caro Giovanni ti devo comunicare che tu in Ucraina non potrai più mettere piede, sei considerata persona indesiderata, hai commesso un reato grave che non si può tollerare, il fatto di aver raccolto dell’erba ci ha insospettiti che tu possa essere una spia del controspionaggio dei servizi segreti americani, ne è prova il fatto che volevi portare l’erba in Italia per fare esaminare la radioattività, per propaganda contro l’Unione Sovietica». Rimasi allibito nell’ascoltare le sue parole, mi resi subito conto che ero entrato in un gioco perverso senza sapere nulla di ciò che lui mi diceva e pensava. Comunque alla fine del discorso cercò di rassicurarmi, vedendo anche il mio stato di forte agitazione e continuò a dire: «Ma io caro Giovanni ti voglio aiutare, noi sappiamo che tu ci tieni molto a tornare a Bardiansk e a Zdanov, sappiamo pure che hai un’amicizia con Irina Dimitrievina e ci tieni tanto a questa amicizia, ne parlerò con il mio capo del KGB e vediamo se posso convincerlo a cambiare opinione nei tuoi riguardi, ma tu devi aiutare anche me». Cacciò di tasca la lista dell’equipaggio della Motonave Lamone incominciando a chiedere notizie su tutti i componenti, in primis del Comandante della nave Nelio Gianmattei. Non mi sbilanciai con nessuno, e poi come potevo parlare male del mio Comandante, un vecchio lupo di mare, una persona veramente a posto sia moralmente che professionalmente, aveva fatto il Comandante sugli aliscafi della Caremar nel golfo di Napoli, prima di approdare alla Petrokan di Ravenna. Di tutti parlai bene, descrivendoli come brave persone e che si trovano a bordo per lavorare e mantenere dignitosamente le loro famiglie senza altri grilli per la testa (di questo i miei amici dell’equipaggio non hanno saputo mai nulla perché non ne parlai con nessuno). Il viaggio seguente e dopo che la nave aveva sbrigato la pratica d’arrivo, il rappresentante del partito Valery Krascininikov, membro del comitato centrale del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), che aveva il compito di controllare sia i doganieri che il personale dell’agenzia, mi chiamò da parte dicendomi che quando uscivo per la franchigia di recarmi all’hotel Berdiansk dove c’era il solito amico che mi aspettava, doveva comunicarmi delle cose importanti. Ormai ero entrato in un circolo vizioso, in un ingranaggio perverso e non potevo rifiutare. Il Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 43 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° gioco si faceva sempre più duro e pressante. Andai all’appuntamento, nella sala d’attesa dell’albergo c’era l’agente segreto Nikolaj che mi aspettava. Prendemmo l’ascensore che ci portò al 6° piano, si aprì una porta e mi trovai al cospetto di un alto ufficiale del KGB, che dandomi il benvenuto mi fece subito accomodare e, senza tanti preamboli, mi fecero vedere delle carte geografiche e topografiche della Sicilia, dell’Isola della Maddalena. Volevano sapere quanti missili c’erano nella base missilistica di Comiso, se effettivamente era vero che parte dei missili erano stati smantellati. Quanti rifugi c’erano nell’isola di Spargi nell’arcipelago della Maddalena per i sommergibili atomici americani. Mi chiesero della base aerea americana di Aviano. Alla fine per concludere volevano sapere quali materie si studiano all’Accademia Navale di Livorno e se potevo procurar loro dei libri di testo usati dagli Allievi Ufficiali. Risposi con garbo ma con fermezza che io non sapevo nulla di tutto ciò, sicuramente, ribattei, siete informati voi più di me. Queste sono cose che non mi riguardano e non posso esservi di nessuno aiuto, io sono qui per lavorare e non per fare la spia. Prima di congedarmi regalai una confezione di amaretto di Saronno che avevo comprato a bordo che accettarono di cuore. Nel salutarmi mi dissero che io in Ucraina ero sempre il benvenuto. Ho continuato i viaggi per il Mar D’Azov per altri sette anni fino al 1994 senza avere più nessun fastidio, anzi ero da tutti rispettato e ben voluto. Tutto questo equivoco era nato dal sospetto che io potessi fare esaminare l’erba raccolta dopo lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl. La dott.ssa Betty Denaro e il prof. Orazio Licciardello consegnano il premio al Direttore di Macchina Giovanni Pagano Pagina 44 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Felice Zanghì CROCIERE DEL DUEMILA P refazione dello stesso autore. In questo racconto, l’autore coglie gli spunti, partendo dalle situazioni attuali, per parlare di storie della marineria dei tempi passati, come fatti di bordo accaduti, realmente vissuti in prima persona, o riferiti da altri naviganti, e far notare il grande progresso che c’è stato nell’ultimo Secolo, per grazia di Dio, sia delle condizioni dei Marittimi che del benessere dei trasportati. Ci siamo, grazie a Dio ci siamo: 30 settembre 2007, “Alea jacta est”. La decisione rimandata per tanto tempo, finalmente è stata presa: partire per una piccola vacanza su nave in crociera nel Mediterraneo. Per quanto ad un Marittimo, quale io sono stato, possa sembrare paradossale dover pagare per imbarcare, abituato ad essere pagato, e “bene”, per la stessa circostanza, debbo tuttavia ammettere che andarci da turista è ben altra cosa. Inoltre, cerco di assolvere, per quanto in debito con mia moglie che per tanto tempo ha atteso paziente in casa, il compito di farle provare l’emozione di navigare in mare aperto. Così, adesso siamo qui, nel porto di Civitavecchia, e la nave si staglia immensa, alla vista, sullo sfondo del mare e lo chiude quasi tutto dietro la sua mole! Vi Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 45 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° siamo già sotto, mentre il taxi avanza, ed avanza da prora verso poppa, per portarci all’imbarcadero (barcarizzo)1, sono 315 metri di lunghezza: è un’impressionante suggestione. Al confronto, mi ritorna in mente il mio primo imbarco sulla “Giorgio Cini”, nave scuola a vela e motore, di appena 600 tonnellate di stazza, solo la duecentesima parte di questa che ne vale 120 mila. Quella era un Bastimento, con scafo in legno, un Barco Best, come nome originale, in quanto costruito in Spagna; in Italia veniva chiamato Brigantino Goletta2, in virtù dell’armamento di alberi e vele. Anche allora quella nave mi era sembrata piccolissima; ma in essa si avveravano i miei sogni giovanili di avventura sul mare, proiettati su quelle vele ed intrecciati a quei sartiami3. Allora l’imbarco fu semplicissimo: con una valigetta di fibra marrone, in cui custodivo alcune magliette bianche con la scritta “Istituto Nautico Caio Duilio”, oltre ai pochi capi di biancheria intima, fui ricevuto dal 2° Uff. di bordo che mi diede il numero del Rancio4 e dello stipetto per gli indumenti. Ora, superato un dedalo di transenne sul percorso per il terminal e le procedure di controllo, veniamo accolti al Cancello d’imbarco, da due meravigliose ragazze in divisa bianca da Marinaio, che poi risulteranno appartenere al Corpo di Ballo, le quali ci danno il benvenuto a bordo. Ci viene anche fatta una bellissima foto con loro al fianco, che credo conserveremo a lungo, perché da essa traspare una gioiosa emozione. Saliti a bordo, notiamo un’organizzazione perfetta che ci guida verso gli ascensori: so di dover raggiungere il ponte 7 Irlanda e mi ci avvio, mentre mia moglie mi segue intimidita. Camminando ho la sensazione di un lillipuziano del romanzo di Gulliver. Qui tutto è di grandi dimensioni. Giunto al ponte, ho da vedermela con trecento metri di corridoio che se non riesco a trovare subito la cabina, rischio di farmeli tutti a piedi, cosa che è capitata ad un altro ospite, salito dopo di me, che ho sentito litigare animatamente con la moglie, perché, a sentir lui, l’aveva portato nella direzione sbagliata. Io invece, dopo aver percorso qualche centinaio di metri, ho avuto la fortuna d’incontrare un Cameriere filippino che mi ha indirizzato verso la cabina assegnatami. Non è una Suite, troppo costosa per le mie ragioni economiche, ma è comoda e confortevole. C’è un piccolo frigobar ed un televisore che dà la possibilità di vedere tutti i programmi nazionali, internazionali ed interattivi; mentre un impianto di climatizzazione perfetta esclude la sensazione di stare in un luogo chiuso. Il primo impulso è quello di buttarmi sul letto, per saggiarne la morbidezza, e non mi delude. Mentre i muscoli del corpo si rilassano in un saporito riposo, la mia mente vaga verso lontani ricordi. Mi venite in mente voi, vecchi cari compagni di scuola, Calcaterra, Ummarino, Giordano, Pino, Trinchera, in quella prima sera, sul Brigantino Giorgio Cini, nell’unico salone della stiva5 centrale, allorquando smontati i tavolacci e le panche, che erano serviti per imbandire il pranzo e la cena, aperti i bastingaggi6 e tirate fuori le amache3, ci cimentavamo ad attaccarle ai montanti4. Privi di esperienza, dopo averle legate alla bella e meglio, vi saltavamo Pagina 46 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì sopra da una parte per ricadere poi dall’altra. E pensare che quella era una crociera a premio, solo per i più meritevoli, promossi a giugno. Vi ricordate i Marinaretti della Fondazione Cini? Ragazzini di sette, otto anni, che avevano bisogno del nostro aiuto, perché non ce la facevano in tante pratiche manuali, data la loro tenera età, talvolta piangevano. Infondo noi al loro confronto eravamo adulti, lupi di mare, avevamo superato i quindici anni, la soglia di età alla quale allora si cominciava ad indossare i pantaloni a gamba lunga, s’imparava a pisciare al muro9 e si tentava pure di entrare nei casini10, impresa molto ardua, dato che le relative padrone3 erano molto attente ad espellere in malo modo i ragazzi che non potevano dimostrare di aver compiuto il diciottesimo anno di età. Intanto mia moglie è quasi pronta per andare a cena e mi richiama alla realtà. In un bagno comodissimo e spazioso: già, perché questa è una cabina per disabili, cosa che mi aveva messo in apprensione al momento di scoprirlo, dopo la prenotazione. Con mia moglie, scherzando, avevamo fantasticato su chissà quali attrezzature vi avremmo trovato, oltre ai lettini separati; niente di tutto questo. L’Operatore dell’Agenzia ci aveva assicurato che si sarebbe trattato di una normalissima sistemazione, anzi, addirittura, appunto, con un bagno più ampio, come in realtà. Un’abbondante doccia calda e la morbidezza dell’accappatoio mi rimettono in sesto e mi danno la carica per la serata. Ci avviamo, e quasi subito l’ascensore ci porta al ponte 3 Belgio che mi dà la suggestione di un mondo da favola. Come in un caleidoscopio, le luci piovono da innumerevoli lampadari in cristallo di Murano, a forma di anemoni di mare e si riflettono sui mosaici policromi dei rivestimenti e sulle vetrine delle boutiques, gioiellerie, galleria d’arte, del ponte 4 Grecia e del ponte 5 Italia. Tre ascensori in cristallo volano su e giù senza il minimo rumore. Alla base di essi, le dolci note di un pianobar diffondono musica d’ascolto ed un anziano signore ingaggia, con passi incerti, motivi di ballo, con una altrettanto elegantissima anziana dama. L’effetto complessivo è quello dello stordimento. Dalle ore 19, nel salone ristorante Roma, un menù di arte culinaria italiana ed internazionale non delude le aspettative, ed una cena servita con alta professionalità lo impreziosisce. Sulle navi il vitto è stato sempre abbondante e di ottima fattura. Mi ricordo di un’altra crociera, di cinquant’anni fa, sul Transatlantico Vulcania, come viaggio d’istruzione di fine corso nautico. Allora ero alloggiato in “Classe Turistica”, eufemismo di Terza Classe, e la cabina era situata in uno dei ponti più bassi della stiva. Offriva uno spazio angusto accanto a due cuccette a castello, dove ci si stava appena, mentre il bagno era in fondo al corridoio dove c’era pure un oblò12 appena sopra la linea di galleggiamento, da cui si vedeva la superficie del mare e si sentiva il mormorio delle onde. Ciò stimolava i miei sogni facendomi immaginare fantasmi marini dei dispersi in mare, di cui allora ebbi la sensazione di vedere i volti e di sentire i lamenti durante la tempesta che incontrammo. Però a tavola era sempre Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 47 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° un momento di grande ristoro. “Abbondante”, mi ricorda un episodio capitato ad un nostro caro compagno di Classe. M.M. di cui non dico il nome per ovvi motivi di riservatezza. Immaginate, in quegli anni, della ricostruzione, dopo il conflitto mondiale, noi quasi tutti di famiglie operaie, se in casa propria, a tavola, potevamo trovare da mangiare, non era certo con grande dovizia, per cui, al cospetto di quelle mense imbandite con tante prelibatezze, eravamo spinti dalla voglia di approfittarne, non lasciarci sfuggire l’occasione. Un giorno, il Cameriere dopo aver servito la porzione, come di consueto, pronunciò la frase: «Vuole ancora Signore?» al che, il Povero Matteo si affrettò a dire: «Abbondante, abbondante!». Non l’avesse mai detto: i compagni, carogne!, memorizzarono all’istante. Quel nomignolo gli rimase per sempre, sia pure affettuosamente attribuito. Nel tempo però, anche qui c’è stata evoluzione: alle cinque portate, antipasto, primo piatto, secondo piatto, dolce frutta, di cui ognuna di almeno tre diverse specialità, sono stati aggiunti piatti vegetariani, pesce crudo e dolci senza zucchero. Mi sovviene ciò che raccontava mio padre, in merito al vitto sulle navi negli Anni Venti del Secolo scorso, allora ancora chiamate Bastimenti o Vapori13. Il contratto di arruolamento (di lavoro) prevedeva allora: al mattino, bevanda di caffè e distribuzione del pane se in porto o delle gallette14 se in navigazione. Il Marittimo doveva custodire detta razione che poi sarebbe servita anche per il pranzo e la cena. La bevanda veniva realizzata facendo bollire in un calderone di rame la quantità necessaria di acqua, nella quale veniva dispersa e rimestata una manciata di grani di caffè tostato e macinato che le dava il colore ed un certo sapore. In questa il Marittimo attingeva, riempiendosi la gavetta15, dove a sua volta inzuppava pezzi di galletta e faceva colazione. Per pranzo, un piatto caldo di minestra fatto con legumi, patate, pasta e cavoli o rape, in porto o quando disponibili. Per cena, il secondo piatto detto piatto forte3, in genere brodo con pezzi di carne, fresca in porto, salata in navigazione, o pesce salato, pesce stocco, baccalà od altra specie di pesce secco. Le porzioni erano attentamente misurate dal Cuoco e controllate dal Comandante, che amministrava la Cambusa4 in conto proprio. Da ciò scaturì il seguente episodio: Una sera d’estate, c’era tanto caldo, ed un Fuochista18 alla fine del turno di guardia, ritirata la sua gamella19 abbondantemente piena di brodo, andò a sedersi sul boccaporto3 della stiva, per un po’ di refrigerio all’aperto. Aveva fame! Quindi si era provvisto di un buon numero di gallette, unico alimento a consumo libero, e la sua intenzione era quella, finalmente, dopo una giornata di duro lavoro, di rimpinzarsi. Si mise alacremente a spezzare gallette, col cucchiaio di legno, immergerle nel brodo e mangiarne; malauguratamente però, era capitato proprio sotto il finestrone della plancia. Il Comandante che vi stava affacciato, lo stava osservando, e preoccupato per lo spreco di gallette, (proverbialmente genovese o lussinese), lo apostrofò: «bon prò Marù, ma porchè ghe mett tant gallett?» ed il Fuochista, sorpreso ma Pagina 48 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì non scoraggiato: «ma perché l’è trop caldu!» credendo d’aver vinto la partita; ma il Comandante, viepiù indispettito: «ma nun vedi che diven ciù caldu!» e l’altro, impertinente: «ed io ghe ne mett tant fin che non buge!». Tanto, può risultare incredibile ai giovani di oggi; ma è così, con quei sacrifici, che i nostri antenati fecero grande la nostra marineria nazionale. Dopo cena abbiamo appena il tempo per cambiarci d’abito, e poi di corsa al teatro “Grecia” per lo spettacolo serale. Una struttura enorme, tanto da fare invidia ai migliori teatri delle grandi città, con millesettecento posti a sedere su due piani, in ampie comodissime poltrone, con la fantasmagoria di luci e di colori, dove gli Architetti hanno profuso il meglio, già al primo impatto crea una certa emozione. Poi gli effetti speciali sonori, luminosi, piogge di stelle artificiali e bagliori psichedelici, preparano l’inizio dello spettacolo, presentato da una gasatissima speaker in cinque lingue. Ad un tratto, si accendono le luci, parte la musica ed irrompe sul palco un corpo di ballerine dalla bellezza mozzafiato, dalla bravura di livello Las Vegas, per eseguire Musicall dei più famosi. Ad ogni intervallo gli applausi scroscianti sono incontenibili. Caro papà, quanto mi stringe il cuore a pensare in quali condizioni disagiate avete vissuto i vostri tempi sulle navi! Se oggi fossi in vita! Se fossi nato almeno cinquant’anni dopo! Ricordo quanto mi raccontavi degli anni della Grande Emigrazione verso le Americhe. Dicevi che la sera, dopo la distribuzione del rancio21, insieme ad altri Marinai scendevi nella stiva ancora impregnata di carbone22, sebbene pulita dopo la discarica, improvvisandovi suonatori. Lì, sistemati su tavolacci si accalcavano centinaia di disperati che affrontavano l’ignoto in cerca di fortuna, in un viaggio interminabile che poteva durare 15 giorni o anche un mese, a seconda delle condizioni meteo marine; e voi cercavate di farli svagare, divertire un poco, portavate l’allegria suonando la chitarra, i mandolini, qualche zufolo; e pensare che tu ti sei sempre lamentato di non aver potuto mai imparare a suonare la chitarra perché non hai avuto la possibilità di pagarti un maestro. Oggi a suonare ci stanno dei musicisti, veri e propri Maestri. Sui Pacchetti23 di linea per le Americhe, per l’Australia o per l’Estremo Oriente, l’allegria non mancava mai. Nella 1^ Classe si poteva ballare tutte le sere al suono di orchestre da camera, che eseguivano tanghi, valzer e fox-troats. Nella 2^ e 3^ Classe l’orchestra era organizzata dai Camerieri ed altro personale di bordo che sapesse suonare uno strumento e la musica era più allegra: jazz, popolare, ritmica. Tanto, però, non è minimamente paragonabile all’intrattenimento musicale sulle navi di adesso, dove in numerosi saloni, muniti di pista da ballo, si offrono con diversificati gruppi canori, i più svariati generi musicali, dal classico al sudamericano, jazz, rock, discoteca. Mentre mi avvio verso il salone Berlino, data un’occhiata al mio orologio al polso, mi accorgo che a quest’ora dovremmo essere già partiti; ma non c’è nulla che me ne Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 49 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° possa dare la sensazione, né un cigolio, tremolio dello scafo, dondolio di rollio24 o di beccheggio25. Mi lascio alle spalle le luminarie sfavillanti dell’ambiente, ed aperta una porta laterale, a sorpresa porto fuori mia moglie, sul ponte lance. M’investe di colpo il vento dell’abbrivo26 della nave che mi riporta alle narici l’odore acre pungente del mare, a me tanto familiare. Mia moglie rabbrividisce invece, perché il vento è sostenuto, e la spuma lungo il fianco della nave tradisce la lotta delle onde di scirocco, contro lo stesso: si tira indietro per l’emozione, ha quasi paura. Siamo in mare aperto, nel famigerato “Golfo del Leone” che ha fatto piangere tanta gente di mare, nel passato. Adesso però è solo un gioco, un’emozione a pagamento. Anche mia moglie sa di storie marinare; io ne ricordo una che raccontava mio padre. Anno 1904, all’incirca nello stesso punto, il piroscafo Sileno arrancava a fatica verso occidente, con la sua macchina a vapore, alternativa a doppio effetto da 600 Cv., con vento di prora e mare forza sei, inseguiva quel pallido sole opaco che stava calando dietro la foschia per poi tuffarsi nel mare. Il Nostromo, brancolando nel buio della cala, aveva preso il lume e rifornitolo per bene di petrolio, che doveva durare per tutta la notte, lo stava attrezzando col lezzino27 per la legatura alla cima dell’albero. Anche il Mozzo era pronto, lì accanto, tutto intirizzito dal freddo e bagnato dagli spruzzi delle onde che di tanto in tanto montavano in coperta. Era un ragazzino di soli dodici anni, ma per quei tempi già adulto. «Tieniti forte!», gli diceva il Nostromo, «Peppino, ti raccomando, stringi il braccio sempre intorno all’albero, non farti strappare via!». Le ripeteva sempre queste raccomandazioni, e la voce gli tremava: non voleva che gli capitasse più, come quella volta che il colpo di mare s’era portato via il lume ed insieme “u picciriddu”28. Se mai!, questo fosse accaduto, bisognava comunque mandare su un altro picciriddu, perché il lume doveva assolutamente essere posto sulla cima dell’albero, prima che fosse notte. Ora Peppino, legato alla tavoletta, si abbarbicava all’albero, tenendo il lume in mano, fra un’ondata e l’altra, parandosi con la schiena gli spruzzi, mentre veniva issato con la ghia29 tirata da quel pancione del Nostromo. A tratti vedeva sotto di sé le creste delle onde rabbiose che assalivano la nave, dacché col movimento di rullio, l’albero veniva scaraventato fuori bordo, ora da una parte, ora dall’altra. Nel Duemila, grazie a Dio, in seguito all’evoluzione scientifica e tecnologica, per merito degli uomini di scienza, dal Ponte di Comando, all’imbrunire, un addetto schiaccia alcuni pulsanti, e con effetto magico, all’istante, la nave si corona di stelle artificiali: dalle luci di via30, a quelle di posizione31, al contorno nave, al pavese32. Ma le stelle vere? Peccato! Non si vedono più, non servono più nemmeno per fare il punto nave33: Da dentro una sfera, sistemata sul punto più alto della nave, sofisticate antenne captano i segnali emessi dal sistema di satelliti geostazionari, un computer fa il resto, ed in ogni istante, su appositi schermi si può leggere la posizione della nave, mentre un pennino, come una lumaca sulla foglia di cavolo, lascia la scia del percorso. Pagina 50 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì Rientrati, ci avviamo sul ponte quattro, per una passeggiata lungo le vetrine delle boutiques; mia moglie vi entra, io la seguo. Facciamo shopping, piccoli acquisti ricordo da portare agli amici, in particolare, ai nipotini, con un tenero pensiero. Poi passiamo al Casinò, dove ai banchi di roulette si assiepano giocatori “sfortunati”, che perdono sempre. Anche noi facciamo alcune puntate, con risultati “da pessimisti”. Per fortuna che ci sono fisches anche da dieci, cinque ed un Euro. Proseguiamo attraverso le luminarie dai colori inebrianti, accanto alle innumerevoli slot-machines, dove, di tanto in tanto si verificano cascate di monetine da 20 cent. che qualche giocatore “fortunato” raccoglie in un secchiello. Proseguendo la passeggiata, ci fermiamo davanti ad una galleria d’arte dove stanno esposti alcuni quadri d’Autore, di ottima fattura e dimensioni interessanti; uno in particolare, piace molto sia a me che a mia moglie. Rappresenta il vento: le vesti leggere di una mamma che tiene per mano una bambina, sono sollevate in sintonia dei fili d’erbe, mentre un gabbiano si libra immobile nell’aria; tutto, su di una spiaggia marina. Viene offerto in un’asta silenziosa il cui valore è giunto già a 5.400,00 Euro: interessante; ma troppo per le nostre tasche. Grande divertimento al salone Berlino, con balli di liscio, animazione, giochi. Facciamo qualche “giro di lento e di merenghe”; per lo più, stiamo ad ammirare i ballerini più bravi, “di scuola” che si esibiscono in gruppo. Facciamo nuove conoscenze: un piccolo Industriale che nel presentarsi mi dà il cognome, perché si vergogna del nome, troppo lungo, Bartolomeo. È una persona simpaticissima e ricca d’iniziativa. In breve mi racconta di avere venduto la sua attività, poiché i figli non hanno voluto continuarla, e di essersi portato in crociera tutti i suoi 50 dipendenti, che ora sono qua, quasi tutti, e si divertono da matti! Durante l’esercitazione di abbandono nave, mi capita vicino e scopre che io sono “di mare” perché aiuto gli sprovveduti nell’indossare i giubbotti salvagente. Allora comincia a farmi tante domande, avidamente, vuol sapere quante più cose possibili, e mi confessa di avere una gran paura del mare, perché non sa nuotare. Lo rincuoro, dicendogli che con queste navi è quasi impossibile ritrovarsi in acqua, e comunque col salvagente non si va a fondo. Ora, come esperto, tutto il gruppo mi circonda incuriosito; io li rassicuro e scherzosamente dico loro che se proprio vogliono avere paura, ce l’abbiano del fuoco e non dell’acqua del mare. Guardandomi intorno con occhio critico, scopro che la gran parte degli ospiti è costituita da pensionati e gente di mezza età; l’eleganza non è delle più raffinate, niente affatto paragonabile a ciò che il regista ci ha fatto vedere nel salone di 1^ Cl. del Titanic, dell’omonimo film. Molti uomini indossano pantalone e camicia, altri, pochi, l’abito scuro; poche sono le signore in abito da sera. Al ristorante, stiamo al tavolo con una coppia simile a noi, Insegnante lei, commerciante lui, in pensione. Con questi abbiamo instaurato una simpatica amicizia, ed ora insieme, ci spostiamo nel Salone Vienna, dove possiamo rilassarci, prendere un drink ed Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 51 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° ascoltare piacevoli canzoni da un bravissimo Cantante al pianobar. Ci scambiamo tante notizie sul presente, il passato, le attività, i figli. Scopro l’affinità che abbiamo riguardo l’attenzione per questi ultimi, modello “famiglia tradizionale, meridionale”. Mi viene di fare una battuta ironica: «Vi accorgete che man mano che ci allontaniamo da casa, ci sentiamo meglio?» che suscita una clamorosa risata di tutt’e quattro. Avvicinandosi la mezzanotte, sul ponte delle piscine “Riviera Magica”, un folto gruppo di persone si sta scatenando ai ritmi afrocubani, “sotto le stelle”. Vi prendiamo parte per qualche minuto, poi desistiamo dato che ci vuole molta energia ed allenamento che non abbiamo. Poi passiamo accanto ad un buffet imbandito di dolci, frutta, torte, ed anche pizza, spaghetti, salumi, salsicce e rustici. Ce ne asteniamo; la stanchezza ci spinge verso la Cabina, comincio a pregustare un dolce sonno fra le morbide coperte. Mia moglie si aspetta beccheggio e rullio, dacché il foglio informativo del Comandante preannuncia “mare agitato”, con spirito quasi masochista, dato che sa di soffrire il mal di mare, ma resta delusa: il letto è assolutamente immobile, né un rumore, né una minima scossa, che in fondo denuncerebbero la vitalità della nave, dell’apparato motore, della propulsione. Mi fa rammentare i tempi in cui navigavo, ben anche con navi di ragguardevoli dimensioni, quelle di 30.000 tonnellate di stazza, però in Atlantico, con mare agitato. Quante volte, per non essere buttato fuori dalla cuccetta, durante il sonno, dovevo adottare quel sistema che avevo escogitato, ed usavano anche altri: mettere sotto il materasso, dal lato esterno, alcuni salvagente, in modo da creare una sorta di culla che mi contenesse. BARCELLONA Barcellona si presenta sullo sfondo di un enorme cantiere in atto, in mare aperto, allo scopo di ampliare il già grande porto esistente. Mi colpisce il fervore dei lavori, indice di uno sviluppo attivo, percettibile, degno degli Anni Duemila. Mi viene un po’ di rabbia e di tristezza insieme, pensando all’immobilismo oggi dei porti italiani rispetto al divario che esisteva appena trent’anni fa, in senso opposto. Provo ammirazione e compiacimento per quanto hanno saputo fare i nostri “cugini” spagnoli in così poco tempo. La visita della città ci offre lo splendore del panorama e della sua estensione; la bellezza dei giardini e delle opere del Gaudì; l’incanto della facciata della Sagrada Famillia, unica al mondo. Per un attimo mi riporta ai Santuari indiani, poi noto che è una fiamma a tre cuspidi che s’innalza verso il cielo, fiamma che denota l’ardore della fede del suo artefice. Essa si presenta carica di innumerevoli simbolismi religiosi della Trinità e dell’Ascensione. La Cattedrale con la sua immensa mole, ci accoglie al suo interno, dove la possanza delle colonne, delle pesanti cancellate metalliche, del coro, posto al centro Pagina 52 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì dell’edificio, mi riporta la visione degli “Eretici” condannati e seviziati in quei luoghi, dall’Inquisizione, mentre giro intorno, quasi sento giungermi alle orecchie i loro lamenti. Durante il viaggio di rientro a bordo, restiamo bloccati con i pullman in prossimità dell’arrivo, poiché una fiumana di autotreni affluisce dall’autostrada verso le varie stazioni del porto, per imbarcare sulle numerose navi in attesa. La guida spiega che l’economia spagnola va molto bene per effetto dell’autonomia degli Stati regionali, in particolare vantando il privilegio della Catalogna. Durante la gita, Facendo domande provocatorie ai cittadini, ho potuto notare che effettivamente sono molto entusiasti del loro Governo, cosa rara in altri Stati, non diciamo in Italia! Inoltre mostrano gelosia e forte campanilismo nei confronti dei cittadini delle altre Regioni, ed una signora mi dice: «nosotros non accordemos», riferendosi agli Andalusi. PALMA DI MAIORCA Il mattino del quarto giorno, salito sul ponte sole, mi si presenti davanti la visione di Palma di Maiorca, e sembra un sogno, col suo lungomare dove stazionano migliaia di panfili di tutte le dimensioni, ed in lontananza, la città vecchia con la mole della Cattedrale Gotica. Sceso a terra, già in prossimità del porto, i negozi ridondano di perle di tutte le dimensioni, specialità locale, che qui vengono vendute anche a chili. Passando lungo l’Avenida del Mar, mi accorgo che tutte le casupole, così come le avevo conosciute cinquant’anni fa, sono state sostituite da costruzioni moderne. Grandi edifici ospitano alberghi lussuosi, Uffici e Centri Commerciali. Anche qui si vedono gli effetti del grande sviluppo economico. Prolungando la passeggiata, giungo alla Città vecchia, con le sue viuzze bordate dalle botteghe dell’artigianato etnico. Il tempo per visitare le altre bellezze dell’isola non è sufficiente; occorre che qualche volta ci decidiamo a venire per una permanenza più prolungata. Dopo pranzo, dal ponte 14, il più alto della nave, ci godiamo l’incantevole panorama della città mentre osserviamo le operazioni della manovra di partenza. Niente rimorchiatori: potenti eliche di manovra, trasversali, di cui si vedono i gorghi spumosi delle scie, sistemate all’interno di tunnel sia in prossimità della prora che della poppa, lentamente spingono il “gigante” e lo fanno ruotare in uno spazio ristretto, quasi su sé stesso. Non più Nostromi che si sporgano dalle ringhiere34 a prora, centro, poppa gridando a squarciagola, per rimandarsi gli ordini, come avveniva un tempo; ora soltanto degli operatori muniti di radiotelefono, si atteggiano a piccoli “Comandanti” nei punti strategici di manovra ormeggi. Poi, per la prima volta, sento la voce della nave: è un suono possente, profondo, assordante, quasi fisico, è il fischio della nave che saluta la città, ed incute emozione, anche in me, nonostante tanti anni di abitudine. Ora il “gigante” si muove, sempre più velocemente e mette la prora verso il mare aperto. C’è un venticello di Sud-Est che man mano Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 53 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° aumenta. In breve, alle spalle, gli elementi del paesaggio rimpiccioliscono e si confondono in una foschia grigia, e noi rientriamo nel ventre del “gigante”. In cabina accendo il televisore per seguire le notizie del Telegiornale: la ricezione, sia dell’audio che del video è perfetta. Tornando al tempo in cui navigavo, mi vedo impegnato a distendere fili volanti, improbabili antenne, attraverso oblò, carruggetti, il locale caldaie e fino sulla ciminiera, e collegare apparecchi radio a transistor, per ottenere la ricezione di una voce gracchiante, a tratti interrotta, quasi sempre disturbata da sovrapposizioni di emittenti più potenti o più vicine. «Tome, tome, tome cerveza! La cerveza della salù!», ancora mi rimbomba in testa, dopo vent’anni e più. Era la voce di Radio Barranquilla. Il Duemila è, senza dubbio, l’era dei satelliti! Ad un tratto mi squilla il telefonino cellulare e ricevo nitidamente la voce di mio figlio Fabio e quella della nipotina Sabrina di appena quattro anni, tanto cara, tanto dolce. Non è più necessario prenotarsi e fare la fila nel carruggetto, davanti alla porta della stazione del Radiotelegrafista, che “faceva il ponte” con Radio-Roma, per poter parlare con i familiari. In navigazione verso Tunisi, incontriamo un po’ di mare agitato nel Canale di Sicilia, ma la nave non accusa movimento di sorta, salvo qualche sobbalzo, appena avvertito, dovuto alle bolle d’aria accumulate dalle onde ed espulse dall’elica. Lungo la costa africana, verso Cap Blanc e Ras ali el Mekki, ammiro il paesaggio della catena dell’Atlante che in questo tratto scende fino al mare e mi sorprende il verde acceso della vegetazione, ad onta del luogo comune che suppone l’Africa in gran parte desertica. Dopo un bellissimo bagno in piscina e relativa breve nuotata, per le limitate dimensioni della stessa, me ne sto a prendere il sole ed asciugarmi. Vedo che c’è un gruppetto che ha iniziato una lezione di ballo collettivo, di salsa j merenghe guidato da un’istruttrice- animatrice, che di per sé è già divertente. È bassina e grassoccia e quasi comica, goffa nelle movenze della massa adiposa; ma ha degli occhi intelligenti ed un sorriso spigliato e naturale che suscita una forte simpatia. Io mi cimento, nel gruppo, mentre mia moglie impazzisce dal ridere e scatta foto a ripetizione. Poi passiamo sul ponte sole per cercare una sdraio. Io guardo in giro in cerca di qualcosa che da quando sono a bordo, furtivamente da mia moglie, mi aspetto di vedere: una bellezza nordica; fin ora senza successo. Ad un tratto, però, su di una sdraio scopro una ragazza bionda, dal corpo snello, elegante, e dall’incarnato chiaro, tanto chiaro da sembrare trasparente: si approssima a ciò che aspettavo di vedere, ma non regge al confronto di quanto è nel mio ricordo. Era la fine di aprile del 1956, il Transatlantico Vulcania navigava in Adriatico: aveva iniziato uno dei tanti viaggi fra l’Italia ed il Nord America, sua linea usuale. Partito da Trieste, dopo il consueto scalo a Venezia, ora dirigeva verso Patrasso. Gli alunni dell’ultimo anno della classe Capitani e Macchinisti dell’Istituto Nautico erano a bordo, impegnati in una crociera d’istruzione di fine corso. Sul ponte Pagina 54 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì passeggiata, erano intenti al gioco delle piastre allorché comparve una ragazzina bionda, alta, bellissima, elegantissima, tipico esemplare di discendenza vichinga, circondata da alcuni studenti che cercavano di farle la corte. Carmelo subito notò che ella non si curava di quelli ma stava guardando lui, ed ebbe la sensazione di avere una visione. I loro sguardi s’incontrarono, egli abbandonò il gioco, si accostò a lei, e cominciò l’idillio. «Comme t’appelle tu?», «Ingrid» gli rispose, ed a sua volta: «und du?», «Carmelo» egli disse «wie die Madonna des Carmel»; «Wiefile alt bist du? Combien des ans ais tu?», «disset» und du?«dis nef». Il colloquio andava avanti ed a Carmelo, il cuore batteva forte per l’emozione, perché davanti ai suoi occhi si stava materializzando la fata uscita da una favola. Almeno, questa era la sensazione che egli provava in quel momento. Chiaramente era stato colpito dal “colpo di fulmine”, come si usa dire in questi casi. Scoprì che era una principessa del nord, parlava in francese, inglese, tedesco, niente italiano; egli si arrangiava col francese ed un poco di tedesco studiato alle Medie. Da sprovveduto corteggiatore, si lasciò guidare dalla spontaneità tanto che a tratti si sentì ridicolo. Lei per giustificare la sua timidezza, gli confessò di non aver avuto, fino allora, alcun fianzé, di non aver mai baciato alcun ragazzo prima di lui. Egli ribatté che era stupito di ciò, perché già da allora le ragazze del nord erano più libere, potevano uscire con i compagni di scuola. Lei gli rispose che non frequentava la scuola pubblica poiché riceveva le lezioni da Professori che andavano a casa sua, al castello. Carmelo la identificò con Biancaneve; il suo ingenuo amore incontrò il candore di lei. Ingrid portava al collo una collana con medaglione in cui c’era la fotografia, che egli riconobbe, dell’Imperatore Francesco Giuseppe, al che le chiese: «che è forse tuo nonno? Maybe is he iour great father?»; «nein!» rispose lei, e gli spiegò che non era suo nonno; portava quel medaglione come regalo avuto dalla nonna, che a sua volta lo aveva portato per riconoscenza dei favori ricevuti dalla famiglia da parte dell’Imperatore. Durante l’escursione a Patrasso, Carmelo ebbe modo di conoscerne il padre, nobile di fatto e di aspetto. Questi fu entusiasta si vederlo accanto a sua figlia, come amico, anzi lo invitò al ballo di gala di quella sera, confidandogli che in prima classe erano tutti «Vieux, vecchi», e pertanto era bene che la ragazza avesse un cavaliere giovane per toglierla dalla noia. Povero Carmelo! Non vi poté partecipare per non essere riuscito a procurarsi un abito da sera, allora indispensabile in tali circostanze, nemmeno a prestito, visto che anche i compagni ne erano sprovvisti. L’indomani inventò una scusa: disse che il Professore aveva tenuto una conferenza alla quale non era potuto mancare. L’idillio durò per altri giorni ancora, fino all’arrivo a Palermo, e fino a Taormina, dove si concluse in modo sgradevole, per ambedue, in seguito ad una reazione di contrarietà della madre di lei al vederli insieme: « Elle è faceuse, faceuse!» gli ripeteva piangendo. «Vergiss mei nicht!», (non dimenticarti di me), scrivimi! « Ich nie nicht dich vergessen kann!» Queste furono le ultime parole che egli sentì Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 55 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° pronunciare da lei: «Io non potrò mai dimenticarti». Una lettera di poche righe rimase a lungo nel cassetto della scrivania di Carmelo, mai spedita. Forse anche quelle di Ingrid furono “bloccate” in uscita. Una meteora aveva attraversato il cielo di un giovane Allievo Nautico, povero e sprovveduto; ma l’amore che travalica le barriere del mondo reale, ne conserva la traccia per sempre. Questa storia mi toccò fortemente allora, ed ancora adesso, mi dà una certa emozione se penso agli spasimi, l’ebbrezza, lo stordimento della prima infatuazione. Ora sono assalito da un sentimento strano, difficile da decifrare: ho quasi un inconscio desiderio e, allo stesso tempo paura, al pensiero di potere incontrare quella vecchia conoscenza. Di certo il suo spirito aleggia in questi ambienti, per quello che diceva, che con la famiglia erano sempre in viaggio intorno al Mondo. A quest’ora immagino sia una pur sempre bella! Anziana signora; ma preferisco conservare il ricordo di quella che conobbi cinquant’anni fa, a dispetto del tempo. APPRODO IN AFRICA Tunisi e la Kasbah ci danno l’emozione di conoscere una cultura così tanto diversa dalla nostra, nonostante la vicinanza territoriale, se appena 300 kilometri di mare la separano dalla Sicilia. Brandelli delle vestigia della gloriosa Civiltà Punica ancora presenti in questa terra, non sono in grado di compensare la povertà, se non miseria, di cui si ha subito la sensazione, appena scesi a terra, in cui oggi vive la popolazione locale. Già all’uscita dal “terminal”, veniamo assaliti da nugoli di venditori che insistono nel proporci la loro merce, con stile da “questuanti”; ma un meraviglioso cammello fa bella mostra di sé, a darci il segno di benvenuti nel mondo delle dune e dei deserti. In questo porto le navi approfittano per fare rifornimento di Gasolio. La benzina per auto costa 30 cent. Di Dinaro, circa 20 cent. di Euro. Come cambia il mondo! E quale ironia riserva la vita! Penso, con profonda tristezza, ai Caduti in Mare: quante giovani vite umane furono sacrificate durante le operazioni belliche degli Anni Quaranta, solo per trasportare il carburante di rifornimento per le truppe impegnate contro gli Inglesi. Quante navi furono affondate, data l’assoluta necessità, tanto che alla fine, la Marina Italiana fu costretta ad usare addirittura i sommergibili a tale scopo. Nessuno allora sapeva del mare di petrolio che esisteva sotto i loro piedi! Vedere i presidi armati, e non “spall’arm”, bensì “bracci’arm” cioè spianato, pronto a sparare, presso tutti gli Uffici e le piazze principali, è “un pugno allo stomaco”; mentre la dignità di cittadini liberi, viene offesa, al contempo, dal divieto di fotografare gli stessi luoghi e gli Agenti. La Kasbah, un dedalo di vicoli sporchi, maleodoranti, popolato da un formicolare di gente, per altro molto laboriosa, dedita ad un tipico artigianato etnico, è un esempio di caos in cui tanta gente può vivere ammassata. L’esperienza non è gradevole; ma vale la pena di farla, quantomeno per poter dire: « io ci sono stato!». Pagina 56 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì L’ISOLA DI MALTA Un breve balzo, una nottata di navigazione, ci porta a Malta. Già di buon mattino l’isola si presenta con la meravigliosa possanza dei bastioni di fortificazione di La Valletta. Una passeggiata a terra basta per rendersi conto di come qualche secolo di fortunata dominazione inglese, abbia lasciato un’impronta di alto livello di civiltà. I bastioni che furono sedi inespugnabili delle Guarnigioni dei Crociati, oggi sono meravigliosi posti di osservazione e fotografia per i turisti. Le trecento chiese di culto Cattolico, Ortodosso ed Anglicano, offrono la ricchezza del loro patrimonio artistico alla delizia degli occhi dei visitatori. Una saggia politica di pedonalizzazione della città ha trasformato il corso principale e le viuzze adiacenti in una sorta di galleria per un itinerario da shopping, dove una sequela di negozi di lusso espone oggetti d’ogni tipo, dai gadgets da souvenir, ai gioielli di valore, di cui la città vanta il privilegio. L’ordine e la pulizia denotano la tradizione anglosassone. L’impressione complessiva è quella di un “diffuso benessere”. VERSO LA FINE DEL VIAGGIO Con la partenza da Malta, comincia il viaggio di ritorno. Approfitto ancora per godermi tutto ciò che la nave offre, dai bagni in piscina, idromassaggio, lezioni di ballo, musica, giochi organizzati dagli animatori, alla cena di gala di commiato offerta dal Comandante, ed ancora spettacoli, musica, svago. Non nascondo che vorrei provare tutto ciò che c’è ancora da fare; ma mi accorgo che il tempo non basta, bisogna scegliere, c’ è chi fa una cosa e chi un’altra; a me rimangono ancora le scarpe da tennis impacchettate, perché non sono riuscito ad andare in palestra. Al mattino del settimo giorno: il Padreterno, dopo aver creato il mondo, si riposò, ma ci aveva messo Adamo, l’umanità, perché lo distruggesse nel tempo, perché tutto ciò che ha un inizio deve avere una fine, forse come il bambino che gioca sulla spiaggia, costruisce un bel castello di sabbia, e poi sadicamente lo distrugge con un calcio. Per noi invece è la conclusione della crociera, la fine del viaggio, l’arrivo al porto di Palermo. Un vecchio uomo di mare, con le spalle un po’ curve, radi capelli bianchi, a testa bassa si allontana dalla nave trascinando una grande valigia su rotelle, seguito da una bella signora. Si gira per dare un ultimo sguardo e gli vengono in mente le tante navi che abbandonò per non rivederle mai più. In esse c’erano brandelli della sua vita. Ora non sa se vi ritornerà ancora, se il tempo non sarà tiranno, forse ci tenterà. PALERMO Questa città, costola del corpo doloroso dell’Italia, ci accoglie con le sue contraddizioni. La bellezza delle sue opere d’arte: il Teatro Politeama, il Teatro Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 57 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Massimo, il Palazzo Reale, Villa Giulia, il Parco della Favorita, quali vestigia di un glorioso passato, fanno da contraltare ad una realtà di quartieri degradati, come la bucceria35, Marinella San Cataldo. Il malessere si percepisce non appena sbarcati a terra, perché si viene subito aggrediti da vetturini e tassisti abusivi che vogliono imporre forzosamente il giretto in carrozza, ma poi, alla fine regolarmente, bisognerà sostenere una lite a meno di farsi scippare una somma tripla, quadrupla di quella dovuta. Uno di questi mi costringe ad un alterco per riuscire a farmi una passeggiata in santa pace. Nell’agitazione gli dico che non è questo il modo migliore per fare turismo; così gli stranieri scappano, cosa che mi addolora molto essendo siciliano anch’io. Più oltre noto un bus panoramico comunale, mi avvicino ed apprendo che si può fare un giretto della città, di un’ora di durata, al prezzo di 25 Euro a persona. Mi viene da chiedermi come mai, a Barcellona, Palma, La Valletta, lo stesso giro si può fare con la spesa di appena 5 Euro. Il dubbio mi resta. VERSO CASA Il ritorno a casa, un po’ malinconico al confronto dell’allegria dei giorni precedenti, è rinfrancato dalla gioia di rivedere i propri cari. Il cane sembra impazzito nel vedermi, mi salta addosso, quasi voglia ragione della mia assenza dei giorni passati. Non so descrivere la gioia della nipotina nello scartare i souvenir, la bambola “con i capelli gialli, come aveva desiderato, e gli altri regali della Nonna. Questa volta non ho avuto la sensazione della terra che si muove sotto i piedi, come quando sbarcavo dalla nave dopo un anno di navigazione; ma se dovessi dire quali mari ho attraversato, quali panorami costieri goduti, mi trovo un po’ in difficoltà perché la navigazione avviene quasi esclusivamente di notte, e le distrazioni sono tante che non danno il tempo di accorgersi dell’arrivo o della partenza. Per parlare di queste cose, dovrei tornare ai ricordi della crociera sulla Giorgio Cini. Allora si navigava “costeggiando” e gli Istruttori ci insegnavano a riconoscere i segnali di terra, le torri con i segnali codificati con i quadretti colorati. Occorreva poi individuarli sulla Carta Nautica e fare il punto nave con i loro rilevamenti e badare attentamente agli avvertimenti dei portolani. Con i dati di pressione delle stazioni meteorologiche si tracciavano le isobare per fare il quadro sinottico sulle carte, utile per conoscere l’andamento delle condizioni meteo marine. Poi si passava alle esercitazioni di manovra delle vele, che mi piaceva moltissimo: io manovravo la randa tirando la scotta col paranco, insieme al Nostromo. I miei compagni, nel contempo, salivano sui pennoni per manovrare le vele quadre o alle rizze per manovrare i pennoni. Bei ricordi, nevvero? Cari vecchi compagni, mai più rivisti: Ummarino, Speranza, Trinchera, Palomba, Marletta. Si faceva pure il lavaggio in coperta, strofinando il ponte in legno con spazzoloni, mentre il Nostromo incitava: «Sona! Sona, sona!» in dialetto veneto. Si lucidavano gli ottoni, tutte le finiture, le campane degli argani, le Pagina 58 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Crociere del duemila Felice Zanghì cornici degli oblò; si faceva la nave bella, tanto che sui ponti ci si poteva sdraiare per terra. Si preparava la nave per la visita, che avveniva all’arrivo in porto. Tante belle ragazze salivano a bordo, e noi che indossavamo orgogliosi le belle magliette-divisa, le accoglievamo con cortesia e cercavamo di fare “conquiste”. Ci si scambiavano indirizzi come indizio dell’approccio per inviarsi poi delle belle cartoline. IL Duemila è un altro Secolo: si naviga in modo completamente diverso; ma il mare è lo stesso, per il fascino ed i suoi profondi misteri, sempre artefice delle fortune degli uomini. Dedicato: a tutti coloro che amano il mare oggi e che desiderano conoscere storie del mare dei tempi passati. Alla memoria di coloro che sul mare fecero la nostra Nazione Grande per mezzo dei loro immensi sacrifici, e lasciarono un inestimabile patrimonio di esperienza di cui oggi si gode. Note 1) Barcarizzo: apertura sulla fiancata della nave. 2) Brigantino goletta: bastimento con due alberi, di cui, quello di prora detto di trinchetto a vele quadre; quello di poppa, mezzana, a vele auriche. 3) Sartiami: insieme dei cordami che sostengono gli alberi nella posizione eretta. 4) Rancio: le vivande; ma anche il gruppo di appartenenza alla tavolata. 5) Stiva: Volume interno della nave destinato al carico delle merci. 6) Bastingaggi: gabbie sistemate lungo le murate (pareti interne) nelle quali venivano sistemate le brande avvolte, durante il giorno. 7) Amaca: telo di forma rettangolare tesato fra due montanti con cordicelle. 8) Montanti: pilastri tubolari di sostegno del ponte soprastante. 9) Pisciare al muro: espressione con la quale si apostrofavano i minori che per ingenuità ancora non sapevano farlo. 10) Casini: case di tolleranza, case chiuse. 11) Padrone: tenutarie, direttrici. 12) Oblò: finestrino circolare delle navi. 13) Vapori: navi con propulsione a macchine a vapore, 14) Gallette: specie di pizzette azzime ben indurite che si conservavano bene all’asciutto. 15) Gavetta: specie di grande tazza metallica, di provenienza militare. 16) Piatto forte: così detto perché più ricco di proteine. 17) Cambusa: luogo dove vengono tenuti i viveri, ma anche le vettovaglie. 18) Fuochista: addetto alla conduzione dei forni delle caldaie a vapore. 19) Gamella: secchio metallico di forma prismatica per le vivande. 20) Boccaporto: chiusura superiore della stiva. 21) Rancio: pranzo o cena, termine di derivazione militare. 22) Impregnata di carbone: perché nel viaggio precedente aveva trasportato carbone fossile dall’America all’Italia. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 59 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° 23) 24) 25) 26) 27) 28) 29) 30) 31) 32) 33) 34) 35) Pacchetti: dal francese “paquebot”, nave per trasporto di passeggeri. Rollio: oscillazioni laterali della nave. Beccheggio: oscillazioni longitudinali della nave. Abbrivo: vento dovuto alla scia aerea per la velocità della nave. Lezzino: cordicella sottile per legature. Picciriddu: ragazzino, piccoletto. Ghia: paranco semplice con una sola puleggia. Luci di via: verde a destra; rossa a sinistra. Di posizione: poste sulla cima degli alberi; più alta a poppa rispetto alla prora. Pavese: festone di bandiere o di luci sorretto sulle cime degli alberi. Punto nave: individua la posizione della nave sulla carta nautica. Ringhiere: parapetti tubolari sorretti da pilastrini detti “candelieri”. Ucciaria, bucceria: dall’inglese “butcher” macellare, macelleria. Il comandante Felice Zanghì ringrazia il prof. Orazio Licciardello e la dott.ssa Betty Denaro rispettivamente Presidente e Segretaria del Premio “Fatti di bordo” Pagina 60 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° L’on.le Carmelo D’Urso consegna la “Targa d’argento al merito” al giornalista de “La Sicilia” di Catania Il Sindaco di Riposto dott. Carmelo Spitaleri consegna il“Premio Città di Riposto”, XXVII edizione, al prof. Giuseppe Vecchio, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 61 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SEZIONE NARRATIVA 2008 - XIII edizione 1° Premio – Francesco Castorina – S. Donato Milanese MI “Un fiore sulle onde” «Un racconto fatto di ricostruzioni storiche e di vicende di fantasia, che come trine o ricami su quelli si drappeggiano, assecondando l’intento dell’autore di sottrarre all’oblio nomi, rintracciare colpevoli, ricostruire momenti di storia. Il tutto con ritmo e grazia, con un linguaggio che si modula sui canoni del giallo storico, adattandosi senza sforzo sia ai fatti di cronaca che ai passaggi fantastici». 2° Premio – Giovanni Bosia di Asti - “Cinque terre” «Note brevi, evocative, quasi visionarie, per narrare una storia senza storia in un tempo senza tempo: l’incontro tra uomo e mare. Attimi dilatati si susseguono e si accavallano, esaltano un sentimento di ancestrale appartenenza, scandiscono il ritmo di un incontro dagli accenti quasi sensuali, nella cornice di una natura dai tratti intensi e maliardi». 3° Premio – Nazario D’Amato di Reggio Emilia - “Il ritorno” «I due amori tra cui un uomo non sa e non può scegliere, l’insanabile conflitto tra il richiamo di onde e scogli e i profumi e silenzi insondabili della montagna, ricondotti infine ad unità da quel legame sotterraneo e misterioso che è la complicità tra coniugi». Menzioni Angelo L. Fornaca di Asti - “Le vie del mare” «Un racconto autobiografico scanzonato e ironico, ma al tempo stesso intenso, da cui traspare un grande amore per le proprie origini ed il proprio passato». Pagina 62 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Francesco Castorina UN FIORE SULLE ONDE A ll’alba del 27 settembre 1915 la dreadnought1 “Benedetto Brin” all’ancora nella rada di Brindisi, fu scossa a poppa da una potente esplosione. In pochi minuti la grande unità colò a picco, trascinando con sé oltre 400 uomini, tra cui 21 ufficiali, il comandante della nave e l’ammiraglio Rubin de Cervin. Il 6 agosto del 1916 una seconda dreadnought, la “Leonardo da Vinci”, si inabissava nel Mar Piccolo di Taranto a causa di un incendio scoppiato nella santabarbara. Parte dell’equipaggio perì tra le fiamme, compreso il comandante, Sonimi Picenardi. In ambedue i casi si era trattato di sabotaggi orchestrati dagli austriaci. Fra le due “imprese” agenti austriaci operarono nei porti di La Spezia, Genova, Ancona e Napoli, provocando gravi danni alle strutture e numerose vittime. Gli effetti psicologici furono disastrosi e la psicosi dell’inafferrabile spia austriaca dilaniò il morale dei combattenti. Ben presto, ci si rese conto che nelle operazioni erano coinvolti italiani traditori. Il controspionaggio della Marina dopo avere brancolato a lungo nel buio, finalmente imboccò la pista giusta. Un commerciante di agrumi, che faceva la spola fra l’Italia e la Svizzera avvisò i nostri servizi segreti che era stato avvicinato con grandi cautele da agenti austriaci. Il Capitano Ugo Conz che dirigeva il IV reparto di controspionaggio della Regia Marina, lo convinse a stare al gioco e nel contempo aprì a Zurigo un’agenzia, di cui fu fatto responsabile il Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, ufficialmente accreditato come consigliere presso la Legazione italiana di Berna. Ebbe così inizio una delle più audaci e celebri azioni di controspionaggio del secolo, nota come “il colpo di Zurigo”. Come viceconsole fu inviato in Svizzera il sottotenente di artiglieria ing. Ugo Cappelletti, un transfuga triestino laureato a Vienna. Ben presto fu raggiunto in Svizzera da altri due “disertori” giuliani, l’ingegnere Salvatore Bonnes e il sottotenente Bucevich, avvocato nella vita civile. Tutti e tre parlavano tedesco ed il loro compito era di reperire informazioni. Dopo qualche mese ebbero le prove che lo spionaggio austriaco in Italia faceva capo a una succursale del Consolato Asburgico di Zurigo, la “Evidenzbureau”, guidata dal Capitano di Fregata Rudolph Mayer. Subito dopo, con un gran colpo di fortuna entrarono in contatto con un fuoriuscito italiano, l’avvocato livornese Livio Bini, che condannato per falso in cambiali in Italia, era scappato e per disperazione s’era venduto agli austriaci, ai cui peraltro aveva, sino Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 63 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° allora, smerciato solo fumo. Cappelletti lo convinse a fare il doppio gioco ottenendo così precise informazioni circa la planimetria degli uffici austriaci e la dislocazione delle casseforti. Infine arrivarono dall’Italia un meccanico delle Officine Stigler di Milano, Remigio Bronzin ed un ex scassinatore livornese, Natale Papini, “esperto” in casseforti. Nella notte tra il 25 e 26 febbraio 1917, mentre a Zurigo impazzava il carnevale, la squadra diretta da Cappelletti penetrò nell’ufficio dell’”Evidenzbureau” e riuscì a forzare le casseforti. In una c’era l’elenco dei traditori italiani. Le carte presero la via di Roma e grande fu lo sconcerto quando furono passati in rassegna i nominativi, giacché c’erano diversi nomi importanti e tra loro il nome di un ufficiale di Marina; Ramiro Lacchi. Furono effettuati un centinaio di arresti ed in un colpo solo la rete spionistica austriaca fu decapitata. Gli austriaci beffati smobilitarono immediatamente gli uffici di Zurigo. La Spezia, Carcere militare, 4 aprile 1917 Adorata moglie, non so cosa stia succedendo. Sono stato arrestato con l’accusa di tradimento. Capisci? Tradimento! Una parola infame che non mi riesce nemmeno di articolare. Perché? Che cosa è successo?Lo ignoro. Mi si accusa di avere aiutato spie nemiche a sabotare la “Leonardo da Vinci”. Quale infamia, io che porto ancora sulla pelle i morsi del fuoco, che ho raccolto tra le mie braccia il comandante Picenardi morente… Non so come difendermi. Non vogliono ascoltarmi! Tra un mese comparirò davanti alla Corte Marziale. Sono disperato, il mio onore è perduto. Prego Dio che illumini gli uomini, ma avverto intorno a me solo un grande gelo…La censura non mi consente di scrivere di più, bacia per me il nostro amato Ettore. [Ramiro] Ancona, 7 aprile 1917 - Mio adorato, il male ottenebra le menti degli uomini. Basterebbe solo guardarti negli occhi per comprendere che non puoi essere colpevole del delitto che ti si ascrive… (Le successive otto righe sono state espunte dalla censura militare. N.d.A.). …sappi che il mio cuore è con te, ogni momento. Qualunque cosa accada, per tutta la mia vita. Non abbatterti, non cessare di difenderti, di proclamare la tua innocenza. Presto quest’infamante castello di menzogne cadrà. Ne sono sicura Scusami per le macchie sulla lettera, ma per quanto mi sforzi di essere forte ogni tanto l’onda del pianto fa naufragare i miei intendimenti. Buonanotte cuore mio, ho baciato Ettore per te. [Teresa] La Spezia, Carcere militare-27 maggio 1917 … (Le prime quindici righe della lettera sono state espunte dalla censura militare. N.d.A.)…così dunque è andata. Condannato a morte! Non hanno voluto ascoltarmi! Hanno solo mutato l’impiccagione in fucilazione, alle spalle. Neanche al petto, alle spalle! Mandato a morire a guisa dei vili… Amore mio, non temo la morte, sai quante volte ho rischiato la vita per questa Patria che ora mi uccide. Lo sapeva anche chi ha pronunciato la sentenza e non ha osato alzare i suoi occhi su di me. Temo solo il disonore, un disonore che non è mio! Che si riverbererà sui miei poveri genitori, Pagina 64 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina su di te, su mio figlio. Mio figlio! Cosa sarà di lui? Dio solo sa qual è il dolore che provo perché non potrò vederlo mai più. Credo che questa consapevolezza sia la cosa più terribile che possa capitare ad un uomo. Fa che non mi dimentichi troppo presto. Digli che suo padre è morto proclamando la sua innocenza. Non posso chiedere la grazia, tu lo sai, mi è impedito. L’avrei fatto, non per salvare la mia vita ma per avere tempo di provare la mia innocenza Adesso ti saluto cara moglie, mi hanno promesso che potrò riabbracciarti ed anelo quest’attimo, per baciare un’ultima volta il tuo viso, le tue mani... [Ramiro]. Ettore Lacchi sospirò e posò sulla scrivania quelle lettere ormai consunte. Poco discosto ce n’erano delle altre. La vita dei suoi genitori. Rivide per un attimo il viso affilato e dolce della madre ed ebbe la sensazione che i suoi occhi cerulei stessero indugiando sulle lettere. Le aveva lette centinaia di volte. Ogni volta gli davano l’illusione di avere parlato con il padre. Quel padre che rammentava appena. Le lettere gli restituivano la figura di un uomo leale, pervaso da un ostinato amor di Patria. Eppure era morto da traditore! Aveva quarant’anni Ettore e da quindici era avvocato. Dopo il praticantato, la guerra, combattuta in Africa. Ad El Alamein erano sepolti i suoi sogni, quasi tutti i suoi commilitoni ed il suo braccio sinistro. Quasi ne era stato contento. Aveva creduto così di espiare la colpa che era stata ascritta al padre, vera o no che fosse. Ma ben presto la sorgente delle sue pene s’era ricostituita e le nuvole che la alimentavano erano più scure e dense di prima. Non aveva alcuna colpa. Perché dunque soffrire così? La ragione era celata nella sua anima, nel profondo dei suoi pensieri. Era l’essenza del suo essere che rigettava il marchio dell’infamia. Ne aveva parlato con la madre, per ore ed ore. Per tutta risposta lei gli aveva consegnato le lettere. S’era rivolto alle istituzioni, voleva sapere, voleva disporre delle carte processuali. Per giustificare i tanti rifiuti una dicitura; sempre la stessa: “Avvenimento coperto dal segreto di Stato”.Quella formulazione burocratica voleva nascondere qualcosa? Coprire forse qualcuno? Alla lunga Ettore se ne convinse. «Giovanotto, lei mi sta affliggendo da settimane, le premetto che non rilascio interviste». Ettore si regolò gli occhiali sul naso; «Non sono giornalista, sono avvocato ma non sono qui per affari legali». Cappelletti lo fissò intensamente, studiandolo. Poi il suo sguardo si appuntò sull’arto artificiale. «Il braccio, come l’ha perso?». Ettore si accarezzò la protesi; «El Alamein, ero nella Folgore». «Capisco…e torna qualche volta laggiù?». Ettore sorrise amaro, «No, mai, d’altronde vi sono ben rappresentato dal mio braccio…». Cappelletti si alzò e per lunghi istanti rimase in piedi appoggiandosi all’alto schienale della poltrona, non smettendo mai di fissare l’altro. «Capisco, adesso per favore, mi dica cosa vuole». «Mi chiamo Ettore Lacchi, le dice niente il mio cognome?». Cappelletti tornò a sedere: «No, in verità no». «Sono il figlio di Ramiro Lacchi, l’ufficiale di Marina fucilato per tradimento dopo il “Colpo di Zurigo”». Gli occhi del vecchio ingegnere divennero di colpo Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 65 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° scuri e profondi. «Lacchi, già Lacchi, adesso ricordo… e lei ora, cosa vorrebbe da me?». «Ingegnere, io ho maturato la convinzione che mio padre fosse innocente. Vorrei poter ricostruire i fatti, per verificare se questa mia convinzione è giusta e lei può aiutarmi». «Aiutarla signor mio? Come?». « Ingegnere, la lista delle spie è rimasta in sue mani quasi 36 ore e i nominativi erano in chiaro…». «Come fa a esserne così sicuro?». «…perché gli arresti vennero effettuati appena 12 ore dopo che lei consegnò le carte a Conz. Un’eventuale decrittazione avrebbe portato via almeno 72 ore, mi sono informato». Il vecchio non rispose. «…ecco, io pensavo che forse lei avrà avuto modo di leggere la lista e se anche così non fosse, potrebbe essere a conoscenza di dettagli significativi». Ettore non avrebbe mai potuto prevedere un simile cambiamento di umore in quell’uomo all’apparenza così mite e sereno. Il volto del vecchio divenne paonazzo e la sua voce un ruggito. «Giovanotto! Non le permetto! Sta insinuando che io avrei potuto mancare alle consegne e per di più mi propone di rivelare fatti che sono coperti dal segreto di Stato! Vada via e smetta di importunarmi se non vuole subirne le conseguenze». Ettore attonito si alzò, raccolse il cappello e piegò accuratamente il cappotto sull’arto artificiale. «Ingegnere, mi avevano parlato di lei come di un uomo giusto. No! Non è così! Non può essere giusto chi rimprovera agli altri la loro sete di giustizia. È stato un errore parlarle, ma si ricordi, nessuna forza al mondo potrà fermarmi finché non avrò modo di conoscere la verità. Buona sera!». Quindi a passi svelti si diresse verso l’uscita. La voce roboante del vecchio lo bloccò sulla porta: «Giovanotto! Maledizione, torni indietro!». Si sedette e vergò rapidamente qualcosa su un bigliettino con grafia chiara e ferma. «Ecco a lei. Si rivolga a questa persona. Buona fortuna». Salisburgo recava ancora le ferite della guerra. Sui cumuli di macerie era scesa la neve ed alcuni monelli vi scivolavano sopra. Ettore imboccò la Tillenstraβe, arteria principale della vecchia zona residenziale. Una strada lunga un tempo fiancheggiata da alberi secolari, che erano stati tagliati per farne legna da ardere nel terribile inverno tra il 1945 e il 1946. I mozziconi dei tronchi, ricoperti dalla neve, si ergevano ancora a pochi centimetri dal terreno. La villetta aveva conosciuto tempi migliori, ma a parte l’intonaco scrostato e qualche pluviale fuori squadra, sembrava in discreto ordine. Il viale d’ingresso era stato liberato dalla neve, ma in qualche punto, tra i ciottoli, s’era formata una sottile crosta di ghiaccio ed Ettore rischiò di scivolare. Sulla targhetta lucida di ottone, le lettere ormai consunte si leggevano a fatica. “Garstner”. Premette due volte il pulsante del campanello senza avere risposta. Provò quindi con il battente di ferro. Dopo un’attesa che gli parve infinita la porta si socchiuse. Nel vano apparve un vecchio dal viso furbo. Scrutò Ettore con aria interrogativa. «Herr Garstner… vengo dall’Italia, vorrei parlare con lei…mi scusi per il mio pessimo tedesco». Il vecchio Pagina 66 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina lo squadrò e poi gli fece cenno d’entrare. Lo fece accomodare su una poltrona di velluto rosso, ormai liso. «Lei è italiano, ha detto?». Ettore assentì. «Il suo tedesco non è male, signor…». «Lacchi, Ettore Lacchi». «…dicevo che il suo tedesco è buono signor Laghi, ma vorrei approfittare di questa inaspettata visita per rinverdire un po’ il mio italiano. Lei permette vero?». Ettore annuì. L’italiano di Herr Garstner era corretto e forbito, con punte formali che in Italia erano ormai dimenticate. «Da giovane ho viaggiato a lungo da voi, Venezia, Roma, Napoli. I suoi occhi si persero per pochi attimi inseguendo quelle chimere di giovinezza lontana. Mi dica signor Laghi, in cosa posso servirla?». «Lacchi…herr Garstner, Lacchi». «Già, già, Lacchi, mi perdoni». Ettore decise di entrare subito in tema. «Herr Garstner, so che lei è stato un alto funzionario dell’Evidenziebureau…e vorrei chiederle informazioni circa gli avvenimenti di Zurigo; no…non mi interrompa, …è importante per me». Garstner sembrava aver perso la bonomia di prima, ma tornò presto a sorridere. «Lei è un “giornalaio”?». «Un giornalista?…no, no, sono avvocato e sono qui per parlare di mio padre, Ramiro Lacchi». Il vecchio si batté il palmo della mano sul capo. «Ramiro Lacchi, già. Ecco perché il suo cognome non mi era nuovo». Così l’avvocato comprese che la storpiatura di prima del suo cognome era stato un trucco per guadagnare tempo. Un vezzo da vecchia spia. Herr Garstner ridivenne di colpo serio, poi lo sguardo si posò sul braccio falso di Ettore. «Com’è successo prego?». «El Alamein…». Il vecchio scrollò più volte il capo. «Non la finiscono mai, maledetti idioti, sempre guerre…». Ettore si strinse nelle spalle. Garstner gli piantò sul viso i suoi penetranti occhi cerulei. «Cosa vuole lei da me?». «Conosceva mio padre?». Il vecchio si tolse dalla testa la papalina rossa che copriva i capelli candidi e l’appoggiò sul tavolino. «No, ma mi ricordo benissimo di lui. So che è stato fucilato». «Mio padre era… una spia? Un traditore?», domandò Ettore con i sensi in tumulto. «Mio eccellente signore, su questi fatti grava ancora il segreto di Stato. Mi par d’intendere però che lei non presta credito alla versione ufficiale. Le posso chiedere su quali prove fonda il suo dubbio?». «Colonnello, non ho prove e ricordo appena mio padre, ma “sento” di essere nel giusto. C’è qualcosa in fondo alla mia anima che rifiuta “quella verità”e che mi spinge ad andare in fondo. Questo pensiero è sempre stato il mio tormento, ogni giorno, anche quando… mi hanno amputato il braccio. Ho quarant’anni, mia madre è morta, non ho una donna e non credo più a niente se non a Dio». Gli occhi del vecchio militare s’erano ridotti a due fessure, ma i lampi che li traversavano, facevano intuire il travaglio della sua mente. Dopo un tempo che parve infinito si alzò, raccolse la papalina e se la rincagnò in testa. «Vede avvocato, tanto tempo fa io prestai giuramento di essere fedele all’Impero e di non rivelare mai alcun particolare del mio lavoro. Sono perfettamente conscio delle conseguenze che esso ebbe e ne provo rimorso. A volte mi sembra di udire nel vento le urla di Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 67 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° strazio dei moribondi che avevo condannato con le mie azioni. Non mi vergogno a dirlo, mi capita di piangere. Si era in guerra e la guerra ha le sue regole. Ma si può giustificare veramente così l’uccisione di uomini inermi per mano di traditori? “Gott mit uns2”. Non era vero! Prego spesso Dio perché mi perdoni. Lei mi offre l’occasione per rimediare in parte alla mia colpa. Non c’è giuramento che tenga di fronte alla verità! Le dirò quanto a mia conoscenza. Ettore lo invitò a parlare con un sorriso. «No! Signor Lacchi no! Suo padre non tradì! Qualcun altro usò il suo nome. La spia che rese possibile i sabotaggi». Ettore avvertì una vampa di calore salirgli dallo stomaco, scontrarsi col petto, ascendere alle tempie che presero subito a pulsare. Si sentì svuotato, poi come la marea che a lungo è stata repressa dalle dighe, la forza dell’emozione frantumò le difese e dilagò inarrestabile per il suo corpo. Sussultò, pianse. Mio Dio, come aveva anelato a quel pianto. Era la liberazione! Come investiti dalla piena i più segreti recessi della sua anima si vuotarono delle scorie di anni ed anni di umiliazioni e dolori. «Mio Dio… Mio Dio, ti ringrazio…». Allarmato il vecchio militare gli si avvicinò. «Non faccia così, stia calmo, si rilassi. Aspetti di udire il seguito». «Mi scusi, mi scusi…». Cavò dalla tasca un grande fazzoletto grigio e si deterse le lacrime. Il pianto aveva spazzato via dai suoi occhi anche la nebbia che gli faceva vedere il mondo sempre grigio; fu subito investito dagli altri colori. «Non accettavamo “nom de plume”, ma sapevamo che alcuni “collaboratori” s’erano presentati con identità fasulle. Naturalmente conoscevamo le loro vere generalità, ma stavamo al gioco e nelle liste li riportavamo con i nomi di copertura dichiarati da loro». «Posso prendere qualche appunto?». «Faccia pure, può pormi anche delle domande se vuole». Ettore ringraziò per l’ennesima volta il vecchio. «Colonnello Garstner, suppongo che tenevate anche una lista con le vere generalità dei “collaboratori”. Se così era, perché il commando italiano non la ritrovò?». «Il capitano Mayer ci aveva proibito di tenere simili liste, era convinto che dovessimo salvaguardare a tutti i costi i nostri collaboratori». Negli occhi dell’anziano ufficiale brillò un lampo di malizia; «…io però non lo ascoltai…». Ettore sentì una scarica di adrenalina attraversargli il corpo, la bocca gli si seccò all’istante. «Vuol dire che lei redasse comunque una lista con quei nomi?». Il vecchio lo fissò maliziosamente negli occhi; «Sì, lo feci e la nascosi». Ettore lasciò andare le braccia sui fianchi e l’arto artificiale battendo sul bracciolo di legno della poltrona produsse un rumore che sembrò uno schianto di tuono nel silenzio innaturale che si era creato. «Colonnello Garstner, questa questione è tremendamente importante per me, gliel‘ho già detto, ma non farò nulla per forzare la sua volontà. La supplico però di aiutarmi, se conosce il vero nome del traditore me lo dica. Le prometto che non la coinvolgerò!». Pagina 68 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina «Giovanotto, sono già le cinque. È il momento della mia passeggiata serale. I vecchi sono tremendamente abitudinari sa, su usciamo a prendere una boccata d’aria». La temperatura era ancora calata e il vento gelido portava con sé aghi di ghiaccio che ferivano il viso, eppure l’anziano ufficiale inspirò quell’aria gelata apparentemente beandosene. Le sue guance si imporporarono ed il sorriso gli rifiorì negli occhi. «Mi segua, qui vicino c’è una sala da the, continueremo lì la nostra discussione». Il locale era in manutenzione, mattoni e sacchi di cemento stavano accatastati qui e là. Un cameriere altero, calvo come una palla di biliardo, venne loro incontro. La sua marsina recava segni di rammendo e i polsini della camicia erano lisi. Li precedette, facendoli accomodare in una pretenziosa saletta. Il servizio era spaiato ma il the era ottimo. Garstner sorseggiò la bevanda con evidente piacere. «Dopo gli avvenimenti di Zurigo ero stato destinato ad altro incarico, ma continuai a seguire con interesse le “vicende italiane”. Quando seppi che avevano condannato a morte un innocente, mi recai a Vienna da Mayer. Pur se ancora profondamente depresso per lo scacco subito, da galantuomo qual’era, convenne che non si poteva lasciar morire una persona incolpevole. Scrivemmo una lettera per l’ufficio di Controspionaggio della Regia Marina. Decidemmo di appoggiarci alla diplomazia elvetica per l’invio. Mayer però non volle assolutamente rivelare l’identità del vero collaboratore. La lettera fu consegnata il 28 maggio 1917, ma suo padre fu ugualmente giustiziato il 14 giugno successivo. Ho passato anni a chiedermi perché». Ettore rimestò con il cucchiaino lo zucchero scuro sul fondo della tazza. «Colonnello, quelle persone per quale motivo tradivano? Era solo per denaro o li sosteneva qualche altra motivazione?». «Caro giovane, si tradisce per tanti motivi, spesso il denaro è il meno importante di essi. In Italia pescammo… si dice così?… bene nella vecchia nobiltà giuliana che s’era vista mettere da parte nel nuovo Regno. Avevamo veri “amici” nei loro ranghi, rimpiangevano i tempi dell’ “Austria Felix”. C’era qualche industriale che scommetteva sulla vittoria degli Imperi Centrali e a modo suo si preparava un futuro…». Garstner fece una smorfia di disgusto. «Chi tradiva per denaro era mosso dall’avidità e a volte dal bisogno. Colui che si spacciò per suo padre era un soggetto difficile da inquadrare. Militare di marina. Lo incontrai due volte riportandone un’impressione inquietante. Era alto, bello, con due strani occhi grigi spietati, da serpente. Mi riferivo a lui come al “cobra”. Noi eravamo certi che le autorità italiane avrebbero scagionato suo padre, ma così non avvenne». «Colonnello, ci fu un complotto per salvare quest’individuo… il cobra?». «Non saprei. Forse. Dovrà stare attento, quest’uomo è ancora vivo e potrebbe rappresentare un grave pericolo per lei». Ettore sentì un rivolo di sudore freddo percorrergli l’incavo della schiena. «Colonnello Garstner, può dirmi il suo nome?». Il vecchio lo fissò intensamente; «Farò di più». Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 69 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Si alzò e sparì nella sala adiacente. Ne rinvenne diversi minuti dopo con una grossa busta azzurra. La porse ad Ettore. «Dentro c’è la lista; a sinistra sono riportati le generalità dei “collaboratori”. Intendo dire i nomi che avevano dichiarato. A destra ci sono le loro vere generalità. Noterà che molti corrispondono, alcuni no. Legga il nome che le interessa, è nella quarta pagina». «L’aveva conservata qui… intendo dire la lista…». «Già…si è salvata dai nazisti, dalle bombe americane e dai russi…». Ammirato, Ettore scorse velocemente gli altri nomi, poi in corrispondenza del nome del padre lesse il vero nome del traditore. Trasalì impallidendo violentemente. «Non è possibile… non è possibile…». Garstner lo fissò attento. Un leggero sorriso gli increspava il viso scarno. «Ma è così. Capisce perché prima lo invitavo alla cautela?». Ettore si riscosse. Annuì. «Certo, certo. L’aspetto delle cose però non cambia. Herr Garstner, è disposto a cedermi questa lista?». Il vecchio sospirò profondamente. «Lei cosa farebbe al posto mio?». Ettore ci pensò un attimo su. «Suppongo che non gliela darei». Il vecchio annuì. «Non possiamo ridare la vita a suo padre, ma gli si può restituire l’onore. Lei è un militare, mi giuri che impiegherà la lista solo per questo scopo e che non ne farà usi che possano andare a scapito di altri. Ettore si alzò di scatto. «No colonnello, non glielo potrei giurare. Se fosse necessario non avrei scrupoli». Garstner si lasciò cadere sulla vecchia sedia. «Allora non mi resta che una cosa da fare. Torni domani alle nove». Il vento era caduto ed aveva ripreso a fioccare. Fu difficile trovare un posto per dormire. La maggior parte degli alberghi erano ancora ridotta in macerie e i pochi agibili erano stati requisiti dalle Amministrazioni degli eserciti occupanti. Davanti ad un piatto di minestra fumante si sentì contento di aver trovato posto in quella piccola locanda. La birra scivolando nello stomaco gli regalò un senso di benessere. La neve continuava a scendere a larghe falde. “Ho bisogno di dormire” pensò Ettore grattandosi in riflesso condizionato il braccio di legno. Il vecchio tram sferragliò adagio rallentando, poi si fermò di colpo. Il conducente indispettito spiegò che in alcuni punti la neve non era stata spazzata e non si poteva circolare. I passeggeri scesero bofonchiando. Ettore con le scarpe di vernice si avventurò in quella specie di taiga, rischiando l’osso del collo a più riprese. Fortunatamente, visto un negozio di calzature riuscì ad acquistare un paio di scarponi. Erano un punto più larghi, ma migliorarono decisamente il suo equilibrio. Alle nove in punto arrivò a casa di Garstner. Stavolta il vecchio colonnello lo stava aspettando. Al primo trillo di campanello spalancò la porta. «Per favore metta le altre». «Come prego?». Pagina 70 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina «Le scarpe, calzi le altre scarpe (indicando l’involto che Ettore teneva sotto il braccio), i chiodi rovinano il pavimento di legno». «Ah sì, certo, mi scusi, provvedo subito». «Gradisce un caffè?». Senza attendere risposta il vecchio soldato aveva già riempito due tazzine. Era una brodaglia disdicevole ma Ettore la ingollò senza battere ciglio. «Cosa ne dice?». «Di cosa?». «Ma del caffè, mio caro, del caffè…». «Ah, il caffè. Eccellente, davvero eccellente». «Non dica bugie, fa veramente… come si dice… schifo, si certo, schifo… sicuro, berrei volentieri un bel caffè all’italiana». Ettore arrossì, cerco di rimediare con qualche frase di circostanza, infine temendo di peggiorare le cose si zittì. «Signor Lacchi, ho molto riflettuto sulla situazione. Desidero che suo padre venga ripristinato…». «Riabilitato, colonnello?». «Si giusto, riabilitato. Ho preparato una dichiarazione che giurerò davanti ad un pubblico ufficiale. In Austria la cosa ha valore di prova nei procedimenti legali. Lei è avvocato, in Italia l’effetto di legge è simile?». «Credo che potremo utilizzarla come prova, se sarà istruito un processo militare. In quel caso lei verrà sicuramente citato come teste». «Intende dire testimone?». Ettore assentì. «Bene, nel qual caso mi presenterò». Le formalità richiesero mezza giornata. Ettore nominò un curatore legale residente ed insieme comparirono davanti al borgomastro. L’avvocato austriaco sapeva il fatto suo e riuscì a convincere il titubante borgomastro della legalità del procedimento. Apposta che fu la firma in calce, il documento fu riempito di timbri in tutti spazi liberi. Al ristorante, saltarono fuori due bottiglie di vino del Reno e l’atmosfera scivolò presto nel sereno compiacimento. «Herr Garstner, non so come ringraziarla». La vecchia spia sorrise amaramente. «Dovrei essere io a ringraziarla… per avermi consentito di rimediare un po’ al male che ho fatto… mi saluti l’Italia». «Colonnello, se lei acconsente, avrei piacere di averla presto mio ospite…». Un ampio sorriso si allargò sul viso del vecchio. Si ricompose subito.«Mi piacerebbe…vedremo…». Poi mentre il treno fischiava iniziando la sua corsa, s’irrigidì nel saluto militare. Ettore lo vide mantenere quella posa finché non disparve alla sua vista. I due uomini si fissavano da qualche istante in un silenzio greve, che rendeva più opprimente la calura della stanza. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 71 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Ettore si grattò la fronte sotto l’attaccatura dei capelli. Si sentiva teso come un arco. L’avessero toccato, avrebbe urlato. Faticava a mantenere la concentrazione. Si sforzò di limitare i pensieri che gli offuscavano la mente. Sedevano di fronte. Il “cobra”, l’uomo responsabile della morte di suo padre e colpevole del dolore esistenziale suo e di sua madre, lo fissava con quegli strani, ipnotici occhi grigi. Gli anni avevano aggravato una complessione fisica che in gioventù era stata potente, ma l’uomo esprimeva ancora un’impressione di forza che preoccupò Ettore. “Come potrei resistergli con il mio braccio di legno se mi aggredisse?”. La sua voce lo fece trasalire. Era calma, controllata ma una nota falsa tradì l’emozione. «Lei mi sta perseguitando da mesi ormai, perché ha voluto questo colloquio? Cosa desidera?». «Ammiraglio, le dice niente il mio nome?». L’alto ufficiale abbassò gli occhi sul biglietto da visita, poi lo fissò sorridendo. «No, in verità nulla, noto però che lei è avvocato. Non rammento di aver mai richiesto i suoi servigi. Le ripeto, cosa vuole da me?». «Sono il figlio di Ramiro Lacchi. Tenente di vascello Ramiro Lacchi. Ricorda qualcosa adesso?». L’altro non perse la calma ma un leggero fremito delle crudeli labbra sottili tradì la sua agitazione. «Come posso ricordare? Dopo più di quarant’anni passati in Marina? Ho conosciuto tante di quelle persone che ormai i loro nomi e i loro volti si sovrappongono nella mia memoria. Non pretenderà certo che mi ricordi di tutti». «Ammiraglio lei sta mentendo, lo sappiamo bene tutti e due. Ramiro Lacchi è l’uomo che fu vittima del suo tradimento. Uno dei tanti, ma l’unico che oltre alla vita perse pure l’onore». Anche a questo affondo il militare mantenne la calma; «In fede mia signore lei deve essere pazzo. Si fa ricevere dopo tante insistenze per dirmi che sono un traditore. Non fosse per il suo braccio offeso, lo avrei già sbattuto fuori a calci nel sedere. Non mi costringa a chiamare l’attendente e se ne vada. Investa qualcun altro con le sue farneticazioni, io non sono disposto a sopportarla un attimo di più». Ettore sorrise, era proprio come si era aspettato. L’aver previsto il comportamento dell’altro lo fece sentire più sicuro di sé. «Imbrogli le vele ammiraglio e dia un’occhiata a questo». La riproduzione fotostatica atterrò sulla scrivania sulle ali del vento della vendetta. «So che lei non ha problemi con il tedesco…». Il graduato prese il documento e dopo pochi attimi il colorito del suo volto virò al rosso acceso. «Cos’è questo? È un falso, uno spregevole falso. È un cumulo di menzogne». «Non urli così ammiraglio, non farà che affrettare la sua fine. Quel documento lo accompagnerà alla Corte Marziale». L’ammiraglio si sollevò di scatto dalla poltrona per scagliarsi contro Ettore ma le gambe gli cedettero di colpo e si afflosciò sulla sedia. Pagina 72 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina Il viso gli era diventato violaceo e le vene del collo turgide come bastoni, minacciavano di scoppiare. Allentò i bottoni del colletto ansimando. Riacquistata una parvenza di lucidità si rivolse ad Ettore. «Perché non addiveniamo ad un accordo?». «Non vedo in quali termini. Ammiraglio; io voglio rendere a mio padre l’onore perduto. Voglio la sua completa ria-bi-li-ta-zio-ne». Sillabò l’ultima parola urlandola. «Perché ha tradito? Certo non per soldi, lei è ricco e nobile! Perché dunque?». Gli occhi dell’altro divennero duri e cattivi ed i muscoli della faccia si tesero come se fossero sottoposti ad uno spasmo. «Cosa ne vuol sapere lei dei miei motivi. Piccolo borghese senza principi. È uno stolto idealista come suo padre? Nella vita conta una sola cosa; la virtù che ti proviene dalla nascita, dal sangue che scorre nelle tue vene, dal tuo blasone. Quei poveri, patetici, piccoli italiani, come avrebbero potuto capire ciò? Avrebbero insudiciato e sporcato quello che ci proveniva per diritto divino!». Ettore gli si avvicinò di scatto e gli sputò in faccia. «E cosa ha ottenuto vile bastardo, facendo morire così tanti uomini? Nulla! Nulla!! Lo stramaledetto resto di nulla! Dio la maledica! Lei è un traditore ed anche un vile senza coerenza. Si è venduto anche nell’ultima guerra? Quanti altri uomini ha condannato a morire?». L’ammiraglio si ripulì la faccia con la manica della divisa. Ettore si diresse verso la porta. «Tra 48 ore consegnerò il documento alla procura della Marina ed in copia ai giornali. Non cerchi di agire contro di me, la cosa farebbe comunque il suo corso. Stavolta non se la caverà. Le auguro di bruciare tra le fiamme dell’inferno». Gli puntò l’indice contro: «Due giorni, solo due giorni ancora, troppi anni ho dovuto cedere alla disperazione… due giorni ancora…». Uscì sbattendo la porta, senza salutare il perplesso piantone. L’ammiraglio restò immobile alla sua scrivania. Vi restò per alcune ore ancora. Il calar della sera portò una nota di fresco e le tende presero ad ondeggiare al soffio della brezza marina. Prese carta, penna e scrisse di getto una lettera. Dal mare era sorta una splendida luna, la guardò con ammirazione. Era grande, la più grande che avesse mai visto. E dietro la luna vide le schiere dei fantasmi, i morti della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci. Vide il volto di Ramiro Lacchi… e tutti lo guardavano con disprezzo, senza odio, senza parlare, senza accusarlo. Poi dalle tetre schiere si staccò una donna, la riconobbe… sua moglie… «Hanna, Hanna…». Hanna perduta molti anni prima. La donna avanzò verso di lui, il suo volto immobile in un gelido riflesso marmoreo. «Hanna…». Tese le mani verso di lei ma la donna si fermò di colpo fissandolo con occhi colmi di pietà. Poi dopo interminabili, muti istanti girò su se stessa e disparve dalla sua vista. «Hanna! Hanna! Hanna…». Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 73 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il piantone apparve improvvisamente sulla soglia. «Ammiraglio comandi!». «No…non ho bisogno di nulla, puoi andare». Si prese la testa tra le mani. Dal cassetto della scrivania l’acciaio brunito della grossa pistola rimandava cupi riflessi. Il metallo fresco, dava una piacevole sensazione. Si accarezzò il viso con essa, passandosi la canna sulle tempie come se il refrigerio potesse mettere fine alla dolorosa pulsazione. Poi rivolse lo sguardo al soffitto come a cercare il cielo, avvicinò la pistola alla bocca e premette il grilletto. La stagione estiva quell’anno si era prolungata oltre il consueto, cosicché ad ottobre inoltrato si godeva ancora di un caldo alito di sole. Herr Garstner si accomodò sulla testa candida il panama che un maligno alito di vento aveva minacciato di fargli volare in mare. C’era tanta gente sulla tolda della nave, la Marina aveva fatto le cose in grande; così dopo avere riabilitato con i dovuti onori Ramiro Lacchi, aveva deciso di commemorarlo con una funzione in mare. Ettore dedicò un lungo commosso pensiero ai suoi genitori. Si fecero avanti due marinai con una corona d’alloro. Il vento scuoteva dolcemente le solette delle loro divise. Il cappellano impartì la benedizione. Quindi la corona fu lanciata fuoribordo. Uno splendido fiore bianco la seguì. Volteggiò delicatamente prima di accarezzare le onde, planando nel cavo del serto d’alloro. Ettore ed il colonnello Garstner si girarono per capire chi l’avesse lanciato ma sul ponte superiore non videro alcuno. Il primo, rivolse gli occhi al cielo su cui correvano nuvole bianche non ancora presaghe dell’autunno e iniziò a mormorare una preghiera. Il colonnello Garstner allora gli si accostò e battendogli la mano sul braccio sano gli sussurrò: «Ben fatto Herr Lacchi, veramente molto ben fatto». NOTA DI CHIUSURA Il racconto prende lo spunto da un evento passato alla storia; pertanto una parte di esso è la ricostruzione del fatto e una parte frutto della “fantasia dell’autore”. Precisamente è fantasia quella che racconta la “ricerca”della verità da parte di Ettore Lacchi. Il protagonista, suo padre Ramiro, il colonnello Garstner e il “cobra” sono personaggi inventati. Sono invece realmente esistiti i personaggi richiamati nella prima parte del racconto e l’ing. Ugo Cappelletti alla cui memoria e scusandomi per questo, dedico il mio banale racconto. Reale è l’effetto che il “Colpo di Zurigo” produsse; cioè il repentino annientamento della rete spionistica austriaca in Italia. C’è tanto di vero anche nelle parole che Garstner pronuncia quando descrive Pagina 74 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un fiore sulle onde Francesco Castorina le tipologie di traditori. Dall’Evidenzie bureau di Zurigo furono asportate quattro valige di documenti ed una cassetta in cui erano custoditi soldi, gioielli ed un effetto personale del capitano Mayer. Le valige presero inizialmente la via di Berna, dove la documentazione contenuta fu esaminata da Pompeo Aloisi. Oltre alle liste delle spie dislocate in italia, c’erano cifrari, piani militari e varie altre cose. Aloisi venne per primo a conoscenza dei particolari relativi all’affondamento delle due corazzate italiane e dei nomi di chi materialmente aveva mandato ad effetto i sabotaggi. Cosa ancora più importante, venne scoperto un piano per sabotare altre due corazzate; la “Giulio Cesare” e la “Cavour” che sarebbero dovute saltare in aria rispettivamente il 5 ed il 17 marzo del 1917. C’erano in programma anche attentati alla Sede della Banca d’Italia e a Montecitorio, nonché altre incursioni a Napoli e Firenze. I protagonisti del “colpo di Zurigo”, come nelle migliori tradizioni italiche furono tutti dimenticati. Allo scassinatore Natale Papini fu pagato un premio di quarantamila lire, anche se per tutta la vita continuò invano a reclamare altre spettanze. A Bronzin furono pagate solo le spese sostenute. Morì in ospedale in miseria. L’avvocato Bini fu perdonato e a quel che si racconta divenne un uomo migliore. A Salvatore Bonnes ed Ugo Cappelletti fu inviata una lettera di congratulazioni e quella fu la loro unica ricompensa. Non fu assegnato ad alcuno un riconoscimento militare di qualche tipo, neppure una croce al valore! Tutti i valori rinvenuti a Zurigo vennero trattenuti dal Governo italiano quale “bottino di guerra”, tranne una spilla appartenente al Capitano Mayer che reclamata, venne restituita dopo la fine della guerra. …un fiore sulle onde, un fiore per tutti coloro che in pace ed in guerra hanno trovato riposo nelle profondità del mare… (Footnotes) 1 Antesignana della corazzata 2 “Dio è con noi” Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 75 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Taormina e il suo mare - Foto di Tino Copani Mare di Riposto - Foto di Tino Copani Pagina 76 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Giovanni Bosia CINQUE TERRE P er qualche anno ho vissuto in riva all’Adriatico, nelle Marche. Dopo il mio ritorno definitivo in Piemonte sentivo la nostalgia di un angolo di mare solitario. La Liguria, troppo curata da belletti e interventi dell’uomo, non si prestava al mio rapporto d’amore con il mare; troppa gente a calpestarmi l’ombra. Il mio è un rapporto sensuale, coinvolgente, integrale e come tale astioso verso la presenza innaturale di un certo tipo di folla. I più si sentono autorizzati a trasferire in spiaggia le chiacchiere cittadine, visi artificiali, creme puzzolenti, colori e vezzi estranei al luogo. Ti impongono i suoni stridenti delle radioline o rombanti di moderni strumenti. D’estate in Liguria non sei mai solo. Il mare lo cercavo all’alba, quando la brezza soffia leggera da terra e sposa i profumi degli alberi all’afrore della salsedine; sono considerazioni personali, sensazioni intime, ore di colloquio con me stesso. Mi assalivano le nostalgie delle piccole spiaggette sassose sotto gli strapiombi del Monte Conero. Le raggiungevo in barca, a volte dopo lunghe nuotate. Ora, dovevo trovare una soluzione. Così, un giorno di primavera verso la fine degli anni sessanta, girando all’azzardo, ho scovato nelle Cinque Terre un angolo di paradiso, poco oltre Vernazza. In alto, vigne terrazzate circuite da scalinate: gradini e gradini a perdita d’occhio. Qualche albero piegato nel tempo dal vento. Lì sul mare, due casette diroccate con i tetti sfondati e una terza abitabile, piccola e riparata, nascosta in una piccola insenatura disegnata, da ogni lato, da rocce scoscese. Testarde indagini sul proprietario m’allungarono le ricerche sino a Levante. Breve: l’affittai sordo alle giustificate rimostranze di mia moglie condannata a un mese di clausura. Rocce e la collina incombente su di noi, ripida. Ci s’arrivava a piedi, l’auto lasciata in un’aia distante un migliaio di metri, dietro un costone verso il paese. Per soddisfare il mio egoismo himalaiano spianai ogni difficoltà con il proprietario, accettai le sue condizioni per un mese d’affitto e imposi il consenso a mia moglie. Poveretta, la condannavo a una serie infinita di pediluvi, lei che non osava avventurarsi in un mare frastagliato di sole rocce. Tornammo il giorno convenuto. Il tempo incerto non ci diede il benvenuto e trascorremmo la mattinata nell’organizzazione dei servizi logistici. Forzando il mio temperamento mi imposi una calma sordità per non ascoltare un femminile Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 77 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° soliloquio, un sottofondo borbottato, monocorde, pigolante. Le opponevo un silenzio inattaccabile dalle provocazioni. Sopraggiunse la quiete, per stanchezza. Nel pomeriggio, da un balconcino fatiscente con sensazione di precaria stabilità, mi deliziavo nell’osservazione del mio regno. Al mio sguardo si presentava uno slargo limitato, conchiuso da incombenti rocce enormi e un mare schiumoso color piombo. Ai margini gli anni e le intemperie avevano depositato una coltre di vecchiume e terra, poi fecondata dal vento e dalla pioggia. Tra le pietre, erbe a ciuffi e cespugli, un gatto di randagia magrezza si stiracchiava nella gramigna. Come esploratore, salgo la collina abbandonando la riva e lesto mi addentro in salita. Il paesaggio è accigliato, austero, bellissimo. Un accenno di sentiero si sgomitola un po’ su e un po’ giù. Più in basso balena uno specchio opaco e grigio: il mare. Procedo e in alto, con il vento, arriva un nuvolone gonfio di tempesta. Comincia a piovere quassù, in pochi attimi lo spettacolo è irreale. Una metà del mondo circostante offuscato dalla pioggia e quella al di sotto, la metà del mare, finalmente azzurra e luminosa di sole improvviso. M’affiora allo spirito l’eterno conflitto tra il bene e il male, mentre si disegna timido un arcobaleno a comporre il dissidio, in un uniforme spolverio di sole nell’aria pulita. Il silenzio è denso, stagnante. Persino il mare laggiù si rivela quasi immobile e si limita a sciabordare a bassa voce. I gabbiani pigramente paiano immobili sul filo dell’aria, con eleganza secolare. Il restante è silenzio, silenzio sospeso su quest’angolo di mondo roccioso. Ad alta voce esclamo la mia meraviglia nell’esaltazione di scampare alla volgarità di una villeggiatura scialba, carica di suoni e colori violenti. Il ritrovato sole mi richiama a bordo mare, agli scogli, al desiderio di frescura in acqua. Scendo e mi avvolgo nel mio antico amore marino. Il richiamo di lontani anni bambini ancor oggi eccita ed esalta i miei sensi. Sono attratto dal luccichio inafferrabile di onde mai eguali, accompagnate dal sottofondo di una nenia di sirena. Penso: il mare nella solitudine è uno stato d’animo, difficile da descrivere a chi non ne sente la grandiosità. M’avvicino alla riva e mi allungo su un roccione levigato nel tempo dalle acque. Immobile, occhi chiusi, supino. Sull’acqua vagamente percepisco squarci di luce che affiorano come filacci di seta striati d’oro guizzante. L’azzurro incombe e s’inserisce tra il reticolo delle ciglia. Piccolo mondo di sensazioni, un microcosmo segreto che sol a me si svela e mi sento in pace, immerso in pensieri lievi e pigri, come scaturiti dalle membra rilassate. Pensieri sensuali che sfiorano la carne distratta dal sole, raggi suadenti ad aprire all’immaginazione. Attendo al fruscio accennato dall’onda incerta, al mormorio sommesso, rivelato da un fraseggio sempre eguale all’orecchio, eppur sempre rinnovato. Lo scarlatto della luce si insinua sotto le palpebre grevi, calmo, aspettando l’ispirazione. Il sangue indirizza al candore cittadino l’irruenza insistita del sole. Alzo leggermente il capo e lo sguardo si perde al limite grigiastro dell’orizzonte su profili incerti, vaghi. Pagina 78 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Cinque terre Italo Bosia Ora tendo l’orecchio all’onda che mi arriva più certa, costante, rinnovata. È un suono cristallino, quale invito, promessa, lusinga: richiamo di memorie infantili. Non mi rendo conto e scivolo pigramente nella frescura accogliente. Incorporeo, senza peso, le mani sfiorano la roccia spingendomi sul fondo con i primi lenti gesti esitanti. Fusione naturale tra movimento e pensiero, nell’essenza del presente vitale. Un breve momento staccato dal tempo. L’aiuto di occhiali, boccaglio e pinne mi proietta in una dimensione indefinita. Esaltazione dei sensi inebriati, nella sublimazione dell’essere in pura sensazione. Rinnovo ancora l’inconscia scoperta di perfetto equilibrio tra corpo e pensiero. Riaffioro alla luce per iniziare un mio collaudato balletto: un respiro, un - due bracciate, quattro colpi di gamba, in sincronia. Ancora, respiro-bracciate-gambe, ancora, continuo e il tempo si adatta a scandire i movimenti costanti. Automatismo riposante, senza fretta seguendo i tempi come un metronomo inconsapevole. Il sole sulle spalle, sulla nuca. Lo sento come bacio prolungato, caldo e appassionato di completo possesso. L’onda scivola, mi avvolge e desideri rallentati sfiorano la fronte leggeri e casti, si prolungano sulla curva del collo, più definiti si rinnovano senza pause. Il corpo cresce gioioso, si fa possente, dominatore e, su di esso, sento una progressione serpentina come una liana che mi s’adatta, spire che m’avviluppano, strisciano come carezze d’amante esigente, mai sazia. Gli occhi fissi al fondo che scorre senza scosse mentre avanzo ritmando le bracciate. Lo sguardo incetta, sullo schermo del fondale, ciottoli e rocce grigiastre possenti, eterne, trapuntate dal nero dei ricci, maculate dalle alghe abbarbicate in arterie verdazzurre che, con indolenza infinita, si cullano nel movimento. Esplosioni d’oro sparano d’intorno raggi imprecisi, sciabolate di luce che irridono ai contorni definiti, alle geometrie razionali. Lenta sfila una lunga teoria di cefali brunastri e a tratti un guizzo argenteo, subito sopito. Indifferenti alla mia presenza, ottusi nell’allungato branco, si affidano a misteriose correnti che solo loro indovinano o sanno. Illusione di camminare leggero e staccato sul variopinto tappeto che si dipana con improvvise presenze di anfratti, nicchie e terrazze. Soprattutto luci. Luci già vissute da bambino in un’alba segreta in un dormiveglia di festa. Dormiveglia in lente bracciate, continue e che si accumulano infinite. Sono solo con i miei pensieri e proseguo nel balletto: un respiro, un - due braccia, quattro colpi di gamba. Perdo il senso del tempo trascorso. Alzo il capo, Io sguardo al sole che sta tracciando la fine della sua curva all’orizzonte e mi dirigo alla riva, alla casetta, alla mia donna. Torno, ora sollecito e le pietre mi offendono il passo. Il primo giorno di un mese quasi perfetto, di luce, sole e amore. Ma su tutto, nuotare e nuotare, alla scoperta di nuovi angoli, altre insenature, oltre i costoni che delineavano il piccolo regno. Ore e ore a infilare i giorni in una collana tutta d’oro. Un continuo rinnovarsi ai miei occhi d’amante ingordo di mare. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 79 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Alcuni attori della Compagnia Teatrale Ionica” interpretano il racconto “Sul Doria c’ero anch’io” di Giovanni Conti di Genova che ha vinto il primo premio della prima edizione del Corcorso “Fatti di bordo” Il Presidente del Circolo consegna la targa di ringraziamento alla regista della rappresentazione Francesca Le Mura Pagina 80 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Nazario D’Amato IL RITORNO dedicato a Penelope L a prima cosa che fa Alfio, la mattina quando si sveglia, è il rito del caffè: va in cucina, prende dallo stipo il barattolo del caffè, lo apre, si immerge a narici spalancate nel profumo intenso e sferzante della polvere nera, prende la moca dallo scolapiatti, apre il rubinetto, fa scorrere per mezzo minuto un sottilissimo filo d’acqua “di deposito”, che zampilla nel lavello d’acciaio e scivola con sordi gorgheggi nel tubo di scarico, riempie il barilotto della moca senza superare la valvola di sfiato, vi immerge l’imbuto d’alluminio, lo riempie di polvere profumata che preleva, con attenzione e perizia, dall’antico barattolo di latta, chiude la moca avvitando il bicchiere col beccuccio, deposita la caffettiera sul fuoco piccolo della cucina e accende il gas. Quindi si avvicina alla porta del balcone affacciato sul porto, scruta l’orizzonte, osserva gli alberi delle barche ancorate nel porticciolo turistico e sentenzia fra sé e sé: «oggi scirocco, ci sarà brutto», oppure «libeccio, sarà bello». Poi risponde al richiamo della caffettiera che gorgheggia, si versa il caffè, ritorna al balcone e lentamente sorseggia l’insostituibile bevanda, trattenendo, dopo ogni sorso, la tazzina nella coppa della mano per riscaldarsene. Dopo di che si mette seduto sul divano posto al centro dell’officina di fronte al balcone, appoggia la tazzina sul tavolino, prende in mano la pipa che non fuma e se ne sta a pensare per tutto il tempo che ritiene necessario, finché non decide il da farsi. L’officina è la stanza non più grande di venticinque metri quadrati della sua casa sulla rupe, nella quale passa la maggior parte del tempo; un soggiorno, adibito più che altro a studio, dove si impone un’immensa libreria strapiena di libri, riviste, classificatori, un teorema multiforme e policromatico di dorsi - nobili e plebei, borghesi e popolari - di titoli e nomi di scrittori, di poeti, di narratori noti e sconosciuti del vivere, di luoghi e di anime; un’alzata, che si eleva dal pavimento alla volta, interrotta trasversalmente a metà altezza da un televisore, uno stereo, dischi, cassette, DVD, un proiettore super otto, una macchina fotografica disoccupata, un registratore portatile non più in uso, e una vecchia olivetti 32, cimelio di un tempo in cui la vita scorreva con un ritmo più lento. Il resto dell’ambiente è occupato da un grande tavolo di legno massiccio, messo a ridosso della libreria, che funge da scrivania e sul quale c’è un computer; da un divano, che si allunga al centro della stanza; da un cavalletto da pittore con una pittura avviata, vicino alla portafinestra, Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 81 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° rivolto verso la luce naturale; e da un baule di noce addobbato di cuscini colorati, al cui fianco, su un trespolo, attende una chitarra, con la pazienza dei vecchi, con il silenzio dignitoso del nobile consapevole del prestigio armonico del faggio rosso ciliegio della cassa acustica. Alle pareti, oltre a due racchette da neve, con sobrietà e gusto, sono attaccate targhe, riconoscimenti e quattro quadri di scarso valore artistico, ai quali - però - è particolarmente legato: la casa di mattoni rossi, il gabbiano, le farfalle, la tenda a strisce bianche e blu. Quella mattina, mentre beve il caffè, eretto davanti alla finestra, Alfio non riesce a concentrarsi su ciò che gli è davanti: la vita che si compone sulla panchina del porto, il rollio degli alberi delle barche, il faro, i battelli da pesca che sbuffano con rumori cupi e che si perdono in lontananza fino a scomparire, quando le barche escono dal porto; la litorale che nascendo dalle acque, dal porto si arrampica con curve goffe e panciute sulla collina e scompare fra le case del paese. Mentre osserva quello spettacolo - non con la noia del già visto, con l’abitudine del già conosciuto, col disincanto del previsto, ma con lo stupore, con la curiosità, con l’incanto della prima volta, giacché sempre diversa è la rappresentazione in quel teatro di cui anche egli è attore - è attratto e distratto, inspiegabilmente, dalla sua libreria, che lo distoglie dal porto e dal mare e verso la quale, tra un sorso e l’altro di caffè, volge lo sguardo, come per rispondere ad un richiamo silenzioso ma potente, che non capisce se provenga dai libri in fila negli scaffali di cui conosce ogni pagina o se, invece, emerga da dentro il suo petto, da un punto imprecisato fra il cuore e il collo dello stomaco, come un invito insistente e tenace a concentrare lì la sua attenzione piuttosto che altrove. Derogando al rito, con esitazione e circospezione, Alfio si avvicina alla libreria, scruta attentamente i volumi come se li vedesse per la prima volta, come se dovesse cercare un libro fra centinaia di libri sconosciuti, allunga la mano verso la mensola e ne estrae “Monti”, il primo libro che ha scritto agli inizi della sua carriera di scrittore, quando, anzi, neppure immaginava che lo scrivere sarebbe stata la ragione della sua vita. Lo apre e dal leggero profumo di muffa che lo raggiunge alle narici emerge un foglio ripiegato e un’achillea nana1, un’erba livida rinsecchita, inspiegabilmente sopravvissuta alla sua fragilità e al tempo. Non ha bisogno di aprire quel foglio un po’ ingiallito per conoscerne il contenuto: all’improvviso, come se gli fosse comparso alla porta un vecchio amico che non vedeva da moltissimi anni ma che subito riconosce, tutto un passato si apre davanti ai suoi occhi. Per qualche minuto Alfio trattiene il libro in mano, impacciato, senza sapere di preciso cosa fare, come reggendo un oggetto prezioso e tema di romperlo, di mandare in frantumi; poi, recuperando la manualità dell’abitudine e della consuetudine, i gesti precisi dell’artigiano con i suoi arnesi, chiude il volume con sicurezza nella mano tenendolo dal fronte e lasciando nella pagina il dito indice per non perdere il sito della scoperta archeologica del tempo, del suo tempo, e si dirige verso il centro Pagina 82 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il ritorno Nazario D’Amato della stanza. Appoggia la tazzina sul tavolinetto, si accoccola lentamente sul divano lasciandosi sprofondare fra i cuscini di raso, prende la pipa che non fuma e si mette a fissare il mare, l’orizzonte aperto, dove passato e presente si incontrano e su quell’orizzonte deposita i suoi pensieri. Quando, in gioventù, avevano provato a profetizzargli che un giorno avrebbe abbandonato i suoi monti, aveva urlato, tanto forte da far correre l’eco della sua voce per la valle, che mai e poi mai lo avrebbe fatto, perché lì era la sua vita. Molte volte si era allontanato dal suo paese per lavoro, ma sempre vi aveva fatto ritorno. Nella sua casa in sasso e legno di Campodolcino, appena fuori dal paese sulla strada per Motta, poco distante dalla teleferica e dal ponticello sul rio oltre il quale si snodavano i sentieri verso i boschi, le cime e gli alpeggi, aveva scritto tutti i suoi romanzi, le novelle, le poesie. La poesia, anzi, prima di ogni altra matura esperienza con la parola scritta, è stata la forma espressiva alla quale si è affidato, ancora ragazzino, senza immaginare che da lì a qualche anno essa sarebbe tornata a trovarlo e si sarebbe insediata in lui come un morbo benefico. Non c’era un altro luogo dove avrebbe potuto farlo. Diceva ai suoi amici che egli era Ulisse e Campodolcino Itaca; aveva sempre detto così fin dal suo primo viaggio, anzi da prima, da quando andò a studiare a Milano e già allora molti pensavano che Alfio avrebbe abbandonato le sue montagne e la sua gente e che, al massimo, si sarebbe fatto “milanese” e che come quei cittadini sarebbe tornato come un estraneo su quei monti, di tanto in tanto. Per prenderlo in giro gli dicevano che aveva cambiato aspetto, aveva modificato la camminata, che si muoveva non con passo lento, misurato e attento ma veloce e nervoso ma, soprattutto, che aveva perso il profumo forte di montanaro, di animale selvatico e di averne acquistato uno leggero e appena percettibile, quasi femminile, di animale domestico cresciuto fra i parquet, le moquette e i vapori di lavanda di certe case, di taluni salotti di città. L’odore della sua pelle era mutato, insomma, come se l’aria insalubre della metropoli, gli odori dello smog e del cemento avessero spodestato quello dell’ossigeno, della resina, dell’umido muschioso dei boschi, di legna bruciata nel camino e della cacca di vacca fumante che ogni montanaro si porta addosso indelebilmente. Ma li aveva sempre smentiti ed era felice di ciò. «È tornato Ulisse», scherzavano quelli del paese quando lo rivedevano fra loro dopo una lunga assenza, fieri del paesano famoso che aveva avuto successo ed il coraggio di non abbandonare la montagna, di non lasciarsi ammaliare dal canto delle sirene che aveva incontrato sulla via. «Eh, mi sono fatto legare all’albero maestro della mia nave!» scherzava con ironia senza, tuttavia, dire il falso. Erano felici i vecchi e gli amici di Campodolcino - pur per apparenti opposte ragioni - per la presenza di Alfio fra loro, per averlo sempre come fedele concittadino, tanto da riuscire a smussare gli angoli retti che squadravano i loro visi e ne imprigionavano i sorrisi in smorfie di marmo, fino a farsi scuotere le anime di Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 83 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° granito, che sembravano refrattarie alle emozioni, in vibrazioni di calore. Ed ogni ritorno non era mai una parentesi breve ma una lunga permanenza, durante la quale si riconsegnava a mai smarrite abitudini, di cui aveva nostalgia quando era lontano da lì. Si incontrava con gli amici nei crotti2 a bere vino, a mangiare taragna3 con la salsiccia, a cuocere carne e pane sulla piotta4, a parlare loro di cose lontane e da loro farsi raccontare di quelle vicine, aggiornamenti sulla vita del paese, sulle nascite, sui matrimoni, sulle morti. E con alcuni di loro andava a scarpinare e ad arrampicarsi sui pizzi, ripercorrendo antichi camminamenti: sullo Stella, sul Groppera, spingendosi fino al rifugio Chiavenna dove non poche volte ha dovuto passare la notte perché un temporale non preventivato lo aveva bloccato su quelle altezze intorno al lago Nero. E dopo che aveva passato quindici o venti giorni là, fra la sua gente e fra i suoi monti, gli dicevano che si era “bonificato”, che aveva ripreso la camminata giusta e anche gli odori di una volta; ma poi, come sempre, il lavoro lo chiamava in qualche parte d’Italia e del mondo e se ne ripartiva. Un’estate, Alfio decise di passare le vacanze in un posto di mare; si concesse un paio di giorni per pensare a quale posto scegliere, sfogliò distrattamente delle riviste turistiche senza che gli andarono in aiuto e, alla fine, scelse una piccola isola nel golfo di Napoli, quella meno turistica, meno aristocratica, più vera dell’arcipelago, con un porticciolo commerciale, qualche marina e una manciata di case colorate: Procida. Aveva da poco compiuto cinquant’anni. Ci sono eventi nella vita che dentro la veste della normalità nascondono un’inaspettata eccezionalità, che si occupa di te solo fra mille comparse, come aspettandoti dalla notte dei tempi; essa ti sconvolgerà la testa e l’anima, e ti ci consegnerai come se non aspettavi altro che quell’appuntamento. Dopo di quella vacanza, pur al tranquillo e al riparo delle sue cose nell’appartamento troppo grande per un singolo della casa milanese, l’autunno si presentò con un carico di insopportabile grigiore e si rese conto che qualcosa in lui non andava. Un malessere indecifrabile lo accompagnò ad intermittenza per diversi mesi, finché non gli venne di pensare all’isola e la sua inquietudine trovò una spiegazione e fu sostituita dalla nostalgia. L’anno dopo tornò sullo scoglio5 e decise che doveva stabilirvi la sua seconda dimora. Comprò casa e cominciò una transumanza fra i monti e il mare. I periodi di permanenza nell’isola diventarono sempre più lunghi e non era doloroso stare lontano dalle sue montagne, perché in quel fazzoletto di terra disteso sul Tirreno trovava ciò che gli mancava e che lo completava. Un mattino, diverso dagli altri, prese la decisione di abbandonare i suoi monti e di trasferirsi definitivamente sull’isola. Quello scoglio, quella minuscola e viva propaggine dei campi flegrei, quasi staccata dalla Monte di Procida con uno strappo, con uno stiramento tettonico dei muscoli della terra; quella minuscola isola a forma di ragno, piena di cale e di scogliere di tufo ricamate di paretarie e ginestre, quel giardino di limoni di pane, di arance, di “biancolella” e rosmarino, di gelsomino, di sole, era Pagina 84 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il ritorno Nazario D’Amato casa sua. Fece, quindi, le valigie, in un baule mise le cose più care da portare con sé - i libri, la pipa di suo nonno che gli lasciò suo padre perché lui la lasciasse al figlio e le racchette da neve che non usava più da molti anni - e da Milano prese il treno per Napoli. Tutto il resto, i silenzi delle vette, la sensazione di entrare nella dimora di Dio e di parlargli dopo le arrampicate e sperimentare, con l’euforia del successo dopo la difficoltà delle salite, cosa volesse dire esserne parte, tutto questo se lo portò nel cuore. Per i suoi amici la ragione di quel trasloco al mare, di quella metamorfosi così radicale ed improvvisa della sua vita, è sempre stata un mistero. In qualche misura lo è stato anche per lui anche se, poi, non ne è rimasto così sorpreso, così stupito: quell’evento, in fondo, non è stato del tutto inatteso. Qualcosa di sconvolgente era accaduto in lui, se l’esperienza del mare l’aveva coinvolto in modo così intimo, così totalizzante. Fra le spiegazioni più nobili che si diede ci fu quella dell’esperienza di Dio la quale, per essere veramente compiuta, vissuta fino in fondo, bisognava che passasse attraverso l’incontro con il mare e di chi quel mare lo viveva, così come c’era stato quello con la montagna, e in quel modo, quindi, si chiudesse il cerchio del suo rapporto con la natura e con l’uomo. Cos’altro era il suo viaggiare per lavoro se non un modo per soddisfare la sua ricerca di altro, dell’altro sconosciuto, di appagare le sue curiosità, di dare una risposta alle sue inquietudini? Tuttavia sapeva benissimo che c’era dell’altro, che ben altre ragioni, non meno nobili, l’avevano spinto a quella decisione. Qualche anno dopo le interpretò come la “sindrome di Penelope”, con il fatto, cioè, che nella sua amata Itaca, nella quale tornava dopo ogni viaggio, non c’era mai stata una saggia e paziente tessitrice ad attenderlo. Alfio non s’era mai posto questo problema, finché non ha incontrato Penelope su un’altra isola, in un’altra terra e a nulla gli è valso interrogarsi, arrovellarsi il cervello se fosse stata Itaca a richiamare Ulisse presso di sé o, invece, Penelope; se Ulisse sarebbe mai tornato nella sua terra se non ci fosse stata la sua donna là ad attenderlo e, ancora, quali fossero i numeri primi sui quali si gioca il destino degli uomini: quale la causa, quale l’effetto, cosa è determinante e cosa, invece, determinato? La risposta che trovò - visto che sentiva il bisogno culturale, emotivo, psicologico di darsi a tutti i costi una risposta e archiviare quelle domande - fu che sebbene Itaca e Penelope convivessero in Ulisse in un indissolubile ed inscindibile rapporto di reciprocità ed esercitassero su di lui un potente richiamo, ne determinassero l’equilibrio del vivere fra passato e futuro, fra certezze ed incertezze, tranquillità ed irrequietezza, sicurezza e incertezza, la terra è là dove c’è l’amore. Itaca è Penelope e, in ciò, Ulisse fu fortunato. «Buon giorno vecchio poeta». Una voce calda e carezzevole raggiunge Alfio e lo riporta al presente. Sicuramente del caffè saprebbe farne a meno, ma del saluto di sua moglie, della sua voce e delle Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 85 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° sue grandi mani che un attimo dopo gli toccano le spalle e la testa in una carezza che gli riscalda il cuore, del suo bacio sulla guancia sinistra mentre lo cinge dalle spalle in un abbraccio tenero e rassicurante, alla mancanza di tutto questo non sopravvivrebbe. «Buon giorno gabbiano ruffiano». La donna si stacca da lui, gira intorno al divano, si mette seduta al fianco di quel vecchio con la barba bianca un po’ selvaggia, infila il suo braccio sotto quello di lui e gli si rannicchia vicino. Poi reclina la testa sulla sua spalla. Un pomeriggio di quella prima vacanza sull’isola, passeggiando per le stradine lungo la costa, Alfio imboccò una lunga e ripida scalinata che scendeva al mare e si trovò in una caletta al riparo dai venti, affacciata sul mare aperto verso sud. Non c’erano bagnanti, faceva caldo, ma la sera incalzava, le ombre si facevano oblique, il mare calmo moriva con la sua risacca sulla spiaggia di rena nera, e il silenzio innaturale era rotto dallo stridio dei gabbiani e da lontani fischi di battelli. Così gli piaceva il mare, oppure nel suo contrario burrascoso, quando sembrava volesse inghiottire l’isola e rispedirla nelle viscere della terra. Quel montanaro non era lì unicamente per cercare riposo dalle fatiche di un anno, no. Voleva conoscere intimamente quel posto, ascoltarne i silenzi e i rumori, interpretarne le voci, quelle del vento, del mare, e della sua gente per capire - ancora una volta - cosa unisca gli uomini di ogni parte del pianeta e li fa simili, pur nelle apparenti diversità. Poiché nel riconoscersi parti dello stesso creato e dello stesso creatore, si trovano le ragioni della convivenza e della tolleranza e si comprende meglio se stessi. Mentre camminava a piedi nudi sulla battigia e assaporava il piacere dell’acqua che si infilava fra le dita dei piedi e poi ne riusciva come per gioco, si imbatté in una donna seduta su uno scoglio a ridosso dalla parete di tufo, che dipingeva su un album da disegno. Fu subito preso da un iniziale imbarazzo; se fosse stato su un sentiero di montagna e avesse incontrato una donna che procedeva nella direzione opposta alla sua – come tante volte era accaduto -, l’avrebbe salutata senza pensarci due volte: così si fa sui monti, non esistono sconosciuti ed estranei su per i sentieri. Ma superò subito quell’impasse, decise che non poteva ignorarla, le rivolse un cenno di saluto e sostò un poco presso di lei Si scambiarono poche, timide battute, si presentarono: «piacere Alfio», «piacere Grazia». Un gabbiano ad ali spiegate nel volo prendeva forma sul foglio da disegno; Alfio ritenne cortese esprimere un garbato e cortese apprezzamento dell’acquerello. Pochi minuti dopo la lasciò al suo disegno e risalì la ripida scalinata che conduceva verso il paese. Il sole era completamente sparito, inghiottito dalle acque del mare, scomparso dietro la linea di mare-cielo sulla quale la sua eco, con una corona di bagliore mitigato e allo stesso tempo esaltato dal nascondimento, si stendeva come un’autostrada di luce sul mare, fino alla terra ferma. Così gli era parso l’orizzonte, quando si voltò indietro per l’ultima volta, sulla sommità della scalinata, prima di immergersi nei Pagina 86 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il ritorno Nazario D’Amato vicoli stretti che portavano al suo albergo. Il giorno successivo, verso il tramonto, l’uomo tornò su quella spiaggia e lì la trovò ancora. Il secondo incontro fu affrancato dal timore e dall’imbarazzo del primo e Alfio si sentì rivolto ad un approccio normale, come fra conoscenti, anche se non proprio amici. Si fermò con lei e le tenne compagnia, mentre il gabbiano cresceva e il mare li ascoltava. E ritornò da lei ogni giorno, ad ogni tramonto, anzi, finché non finì la sua vacanza. Lei dipingeva, lui la guardava e se ne stava in silenzio al suo fianco ad osservarla, senza che l’assenza di parole si facesse ostacolo all’incontro, al dialogo. A tratti lei interrompeva la pittura, allora si mettevano seduti l’uno a fianco dell’altra e parlavano come vecchi amici. Qualcosa di misterioso e d’inspiegabile spingeva Alfio ad una confidenza precipitosa ma inevitabile, come non aveva mai sperimentato prima con le donne che aveva incontrato nella sua vita. La pittrice “non aveva con l’uomo nessuno di quei timori, di quelle riservatezze che si interpongono nelle relazioni fra un uomo e una donna”6; ella parlava, parlava della sua pittura, del bisogno di fermare sulla tela tutto ciò che dell’isola pareva infissabile, non solo e non tanto perché si mostrava nei mille volti cangianti dei riverberi, dei riflessi, delle ombre, della luce e del calore del sole, delle irruenze e delle carezze delle onde ma, soprattutto, per come l’animo vedeva di volta in volta tutto quello e ne interpretava movimenti e vibrazioni. Il gabbiano che stava dipingendo - gli diceva - le sue ali spiegate, non erano soltanto quelle del pennuto d’argento che si librava su quell’isola e su quel mare, ma il riflesso del suo desiderio di essere dentro quel volo affinché, attraverso di esso, potesse meglio conoscere l’isola, esplorarla nei suoi angoli e anfratti più reconditi, carpirne segreti e misteri oppure osservarne la normalità da una prospettiva diversa, non quella radente il suolo dei vermi e neppure da due metri dal terreno come gli umani, ma da un altro punto di vista, quello alto dell’uccello, il cui orizzonte è infinitamente più ampio, più aperto, più grande di ogni altro essere vivente. Del gabbiano sognava di condividere l’esperienza di liberarsi dal peso del corpo e levitare fino a volare e, in ciò, avere la sensazione, la certezza di un senso di libertà e di purificazione, come liberandosi da una zavorra: questo era il motivo del suo bisogno di dipingere, gli spiegava la donna. E gli chiedeva quale era il motore che spingeva lui a scrivere racconti, poesie. L’uomo, sollecitato da quell’incalzante richiesta, raccoglieva le idee, si sforzava di sintetizzare anni di domande e di risposte che da sé si rivolgeva, cercava di andare al nucleo centrale delle ragioni di quel che egli era, e le rispondeva che per lui “la parola era la sola predestinazione dell’uomo il quale era stato creato per formare pensieri, come l’albero per produrre i suoi frutti”; che “l’uomo si tormenta finché non ha espresso al di fuori ciò che lo agita dentro. La sua parola scritta è come uno specchio di cui ha bisogno per conoscere se stesso e per assicurarsi che esiste”7. Alfio e Grazia si stupivano, si meravigliavano e si confortavano, si compiacevano e si magnificavano nel verificare che, se pur con parole e metafore diverse, avevano detto la stessa Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 87 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° cosa. E ciò intrigava l’uomo e anche la donna giacché si scoprivano sullo stesso orizzonte ed era piacevole condividerne lo spazio. E, ancora, la procidana parlava al milanese dell’isola, delle cose che valeva la pena vedere, conoscere; delle piazzette della sua infanzia, di portoni che nascondevano scalinate che scendevano ripide al mare o che aprivano su giardini, su vigne. Raccontava di vecchi che, al riparo d’antichi portici a picco su balconate sul mare, ammiravano la profondità del mare e ne raccoglievano le voci, spesso le proprie che ritornavano come da un lungo viaggio nel tempo per farsi riascoltare. L’uomo il giorno dopo, allora, si portava in quei posti che gli aveva indicati la donna e gli pareva di osservarli, di osservare l’isola da una prospettiva che diversamente gli sarebbe stata nascosta e avrebbe avuto di quello scoglio una visione parziale e superficiale, come un qualsiasi turista distratto e questo gli faceva pensare che la sua vacanza aveva un senso, che ogni cosa che faceva in quei giorni aveva un senso. Attraversò portoni, visitò androni, giardini di limoni; si fermò nelle piazzette bianche di calce, incontrò un vecchio seduto sotto il portico con lo sguardo fisso sul mare. Alfio lo salutò con cortesia, il vecchio ricambiò il saluto e gli parlò come ad uno di famiglia, ad un nipote, ad un figlio o ad un amico del paese e gli consegnò la gerla dei ricordi; e lo straniero lo ascoltò con rispetto ed interesse, gli rimase al fianco finché non terminò di parlare e anch’egli guardò, da lì, la pianura d’acqua che si perdeva sull’infinito e gli venne di pensare ai versi “tu sei il mare, ostacolo e legame, strada maestra e insondabile baratro…”8, e gli parve, finalmente, di capirli. C’era, in quell’isolana dagli occhi di cielo e di mare, qualcosa di semplice e di intrigante, di piccolo e di grande, di raggiungibile e di infinito. La poesia e la pittura si incontravano in loro; tutto diventava verso, parola, tratto, colore, sogno e realtà. Sperimentava, con lei, la novità dell’esperienza della poesia che si liberava dall’astrattismo emotivo, dall’architettura formale e si faceva concreta, dava un senso alle cose: si faceva senso, nuovo e compiuto. Alla vigilia della partenza Grazia era sulla spiaggia, al tramonto, ad attenderlo. Non aveva l’album da disegno, ma reggeva un pacchetto; non era seduta sullo scoglio ma stava in piedi con il viso e lo sguardo rivolti al mare mentre il vento le scuoteva i capelli. «Vorrei darti un pensiero da portarti sui monti, così ti ricorderai del mare», gli disse la donna porgendogli il pacchetto. Alfio accolse con imbarazzo ed emozione il regalo. Stettero a lungo a parlare; poi si salutarono. La vacanza era finita. A Campodolcino aprì il dono della donna e rimase muto: il gabbiano aveva preso il volo e stava sui monti con lui. «Più silenzioso del solito» dice Grazia, mentre allunga le sue mani grandi su quelle dell’uomo, carezzandole, e gli sfila il libro di mano, senza che il marito opponga resistenza. Lo apre dove lui ci tiene il dito, raccoglie nella sua mano, con Pagina 88 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il ritorno Nazario D’Amato estrema delicatezza, il piccolo fiore bianco che ha dimorato per lunghissimi anni fra quelle pagine e volge uno sguardo comprensivo e affettuoso al vecchio canuto. Poi prende il foglietto e legge ad alta voce una poesia, datata ottobre 1926, scritta con una stilografica nera e tratto sicuro: Il temporale Che strano, ho paura! I tuoni, i lampi, il vento da tanto è lontana la calura e tra i monti alpini sento dirompere il fragor della procella la volta è senza stella. Che macabro concerto! Ecco, stavolta più vicino e par che attenda incerto l’ultima saetta. Terminata la lettura, trattiene per un tempo non breve l’antica pagina segnata dalle pieghe con una profonda croce scura che divide il foglietto in quattro parti perfettamente uguali; la fissa e par che rilegga quei versi semplici per meglio capirli o per incontrare, fra quelle parole di un tempo che non le appartiene e che pure avrebbe voluto conoscere, l’uomo che ha accanto e di cui sa che molte cose le sono sconosciute. Poi torna a fissare il marito, cerca di leggere nei suoi occhi verdi di bosco. Lo guarda con indulgenza, con amore, con affetto, vorrebbe parlargli con la testa e con il cuore, ma rimane muta. Sempre si sono dette le cose più importanti in silenzio e guardandosi negli occhi. Facendo violenza al desiderio di stargli accanto per tutta la mattinata, di tenerlo stretto fra le braccia o di farsi stringere dalle sue, si solleva con risolutezza dal divano, si avvicina al cavalletto e si dedica alla pittura interrotta la mattina precedente. Vorrebbe fare qualcosa per portarlo fuori dal guado della malinconia, per allontanare quel sentimento da quel luogo; vorrebbe dire qualcosa, ma tace, sa che sarà lui a parlare. «In estate andavamo, in squadre di ragazzi, a raccogliere quei fiori sulle cime di Campodolcino. Bisognava prenderne tanti per prepararci infusi e decotti. Erano miracolosi per la respirazione e per la digestione». La voce è tremula. Alfio ha bisogno di rischiararsi la gola. Sul divano si sente a disagio, come imprigionato, stretto da morse che gli vorrebbero impedire ogni movimento; ha la sensazione che un prurito lo aggredisca alle gambe, che un ragno o qualcosa di simile gli cammini lungo la schiena. Vorrebbe continuare a stare seduto, a non mostrare insofferenza, ma un tappo gli chiude la laringe, gli ostruisce la gola Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 89 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° e non lo lascia respirare. Allora, senza tradire inquietudine, mantenendo la calma – ora apparente – del rito del caffè, si alza e si avvicina alla finestra. Sull’orizzonte, che sembra toccarsi con mano, grosse nuvole stanno sedute imponenti sul mare come i monti sulla pianura. Si sofferma ad osservarle per un tempo interminabile, in silenzio, appoggiato con l’omero allo stipite bugiardato di pietra; poi, quando sente la gola libera, capace di produrre parole e respiro, riprende, con una vocazione che è essa stessa respiro, ossigeno: «Le nuvole lassù e i ruscelli dopo il disgelo…». Ancora una pausa di silenzio spesso e avvolgente, del quale l’officina si fa testimone, come dell’incontro fra passato e presente e – forse – del futuro che in quell’evento si sono incontrati. Come si vive in profondità un evento, in che modo se ne prende consapevolezza, coscienza dei suoi esiti, del suo irrompere tra di noi? In che modo narrarli? “La maggior parte degli eventi sono indicibili; si compiono in uno spazio inaccesso alla parola”9. Spesso la parola non ha accesso proprio in chi di essa si sente sacerdote, profeta, artigiano, assiduo frequentatore, e ciò dà un senso di impotenza, la deprimente e dolorosa impotenza del disarmato di fronte al nemico, che agli analfabeti e agli incolti è sconosciuta. Forse con questo sentimento di impotenza, di resa al fragore incombente dell’evento, Alfio continua, quasi balbettando: «la mia prima poesia…niente d’eccezionale…». Grazia, come se in quell’affermazione del vecchio montanaro, del soldato disarmato, dell’uomo ricatturato al sé sopito, avesse intuito una richiesta d’aiuto, rompe il silenzio e accenna: «Mi piacerebbe conoscere le tue montagne, la casa di legno, il posto dove sei nato…». Sicura che le parole trovano accoglienza nel marito, continua: «La valigia si prepara in fretta, poche cose. Possiamo partire domani con il primo vapore. Io porterò con me un album da disegno; tu potresti portare la tua vecchia olivetti 32. Sai, non ho mai disegnato un’aquila, mi piacerebbe incontrane una, se tu mi accompagnerai sulle cime dove si incontrano i venti e si danno consiglio i rapaci, come mi hai detto una volta, tanto, tanto tempo fa su quella cala dalla rena nera. Fu il nostro primo incontro, ricordi?». Ci sono uomini che non dimostrano mai la loro fragilità, che mai verserebbero una lacrima, per nessun motivo. Alfio è uno di quelli: un montanaro duro che il mare ha, solo in parte, addolcito. Tuttavia Grazia, girandosi verso di lui, vede una goccia scendergli sul viso e, per pudore, torna a guardare la sua tela. Ancora una pennellata di azzurro e uno scarabocchio sul bordo inferiore destro: la sua firma e la data. «Questo disegno è finito» dice senza voltarsi verso il marito. «Ci fermeremo per l’estate», acconsente Alfio. Grazia sorride, sa che metterà le giacche a vento nelle valige e qualche indumento pesante. Pagina 90 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il ritorno Nazario D’Amato (Footnotes) 1 piccolo fiore bianco di montagna delle alpi che cresce intorno ai 1550 mt, usato per ricavarne decotti, infusi. 2 cantine naturali scavate nella roccia per la conservazione del vino e dei salumi 3 tipica polenta della Valchiavenna e della Valtellina 4 piastra di pietra sulla quale viene cotta la carne 5 così chiamano la loro isola i procidani 6 “Graziella”, di Alphonse de Lamartine, Adriano Gallina editore pg. 82. 7 “Graziella”, di Alphonse de Lamartine, Adriano Gallina editore pg. 78 8 “La traversata dell’oasi”, di Maria Luisa Spaziani, Mondadori editore pg. 77 9 “Lettera ad un giovane poeta” di Rainer Maria Rilke, edizione Oscar Mondadori - poesia del ‘900 - , pag. 37 L’autore del racconto “Il ritorno” Nazario D’Amato di Reggio Emilia Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 91 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° La foto ricordo dei partecipanti alla Sezione “Canzone sul mare 2008” - XXII edizione Il tavolo della Giuria del Premio Canzone sul mare 2008 Pagina 92 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Angelo Luigi Fornaca LE VIE DEL MARE GENOVA PER ME A lla fine della Seconda Guerra Mondiale, Genova appariva ancora un indefinito miraggio per i solitari abitanti delle valli astigiane. Allora la grande città ligure si configurava soltanto come un punto lontanissimo e irraggiungibile anche per i sogni del piccolo “Tarzan” della Val Cereseto. Tuttavia é del tutto plausibile che le occulte forze del destino fossero già in procinto di attivarsi per cambiare il corso della storia dell’irrequieto “selvaggio” quando questi decise di catturare la ribalta delle cronache dell’epoca cavalcando l’immagine dell’aspirante “legionario” della Val Rilate; ma è altrettanto verosimile che ad orientare definitivamente gli eventi futuri abbiano concorso i due durissimi anni di “rieducazione campestre”, con la terapia dell’olio di “gomiti” e del sudore della fronte sotto le direttive imperiose della materna genitrice: un lungo periodo valso a marcare un salutare sparti-acque con il burrascoso passato. Mentre l’ex “pargolo” ribelle di mamma, nella sottintesa figura del sottoscritto, era ancora in attesa di confezionarsi una definitiva identità, laggiù, entro le ristrette mura della casa natia, la vita aveva continuato a seguire il suo inesorabile corso naturale: i vecchi nonni avevano lasciato per sempre la profonda Val Cereseto e mamma, dopo oltre dieci anni di solitudine, era approdata ad una nuova unione coniugale in quel di Genova. Era stata quella la vera svolta epocale che avrebbe spalancato nuovi ed imprevisti orizzonti al piccolo nucleo familiare: poco dopo, in un pomeriggio del mese di ottobre, “con la faccia un po’ così, e quell’espressione un po’ così che avevamo noi quando pensavamo a Genova”, lasciammo la nostra Val Cereseto e salimmo sul treno diretti proprio al capoluogo ligure, dove avevamo stabilito la nostra nuova residenza. Subito, appena ci muovemmo ed acquistammo velocità, mi sentii invaso da una sensazione di totale abbandono osservando l’antico mondo scivolare via oltre il finestrino in una sequenza senza fine. Poi, mentre le colline di casa si allontanavano oltre l’orizzonte, l’onda degli struggenti ricordi dell’infanzia incominciò a gonfiarsi: lentamente socchiusi gli occhi per vedere comparire nella memoria le immagini della profonda valle natia: la vecchia casa immersa nel mare di verde, le prime felici corse nei prati e le esplorazioni nei boschi in compagnia dei fidi Dor e Kadì; la presenza costante dei vecchi nonni e le visite settimanali di mamma nei giorni Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 93 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° festivi; e, lassù, al primo piano, quella finestra chiusa da tanto tempo, quando un giorno fra i tendaggi apparve la scarna figura di papà ammalato che non avrei mai più rivisto. Improvvisamente venni travolto da un mare di tristezza e di sconforto mentre le immagini del mondo sfuggente sembravano offuscarsi sempre più come sotto un sottile velo di lacrime. All’ennesimo sobbalzo del treno rialzai gli occhi e rividi il viso rassicurante di mamma accanto a me. La sensazione di solitudine scomparve all’istante: lei, pensai, era l’àncora vivente, il sicuro faro di riferimento che portavo con me lasciando la profonda Val Cereseto per affrontare il mare aperto della vita. Tutto il resto era ormai lontano: il piccolo e grande mondo degli amici d’infanzia, ma anche i vecchi ed inseparabili Dor e Kadì, i due fedeli “Argo” dei primi anni, rimasti laggiù nella casa di fondovalle ad attendere il ritorno del loro “Ulisse”. Ancora ed a lungo nei loro occhi, fissi e “muti” nel momento dell’addio, avrei rivisto la cupa rassegnazione di una lunga attesa senza conforto e senza speranza. Erano queste le immagini che si rincorrevano nella memoria prima che ogni cosa fosse oscurata al passaggio delle gallerie; poi, oltre gli Appennini, la lunga discesa verso il mare e l’arrivo alla Stazione di Genova-Principe. Subito la grande città si materializzò dinnanzi nelle sue mille forme e colori: un’immensa e variopinta moltitudine di volti nuovi in continuo movimento, ma anche un mondo sconosciuto che andavo ad affrontare senza amicizie o conoscenze. Ero smarrito e confuso, ma sapevo che era una via senza ritorno e la dovevo percorrere fino in fondo. Dopo il primo contatto con la nuova dimensione mi attendeva ancora un’ultima corsa in autobus per raggiungere la nostra abitazione a Sestri Ponente. Allora non sapevo che quella non sarebbe stata la mia destinazione futura, ma già percepivo il deserto di solitudine in cui ero pervenuto senza conoscere le difficoltà per superarlo. Più tardi, la notte stessa, nella piccola camera a contatto con la nuova realtà, le forti emozioni della giornata ebbero il sopravvento fino ad inondare i sogni di immagini fantastiche della lontana valle natìa, assalita da mostruosi esseri in preda ad una furia distruttiva. Soltanto nelle prime ore del mattino, con il tempestivo soccorso dei fidi Dor e Kadì, riuscii finalmente a liberarmi dagli incubi e dalle paure della notte fuggendo oltre, sulla piatta e sconfinata superficie azzurra del mare, poco prima del provvidenziale risveglio. Dai sogni alla realtà quotidiana, già nei giorni successivi le prime uscite furono mirate alla scoperta del mondo che mi circondava. Subito venni colpito da quell’immenso “corpo” pulsante di vita della città con i sinuosi contorni di una sirena adagiata lungo i confini della costa. Un fascino alieno ma attraente ed intrigante nei tortuosi vicoli e nelle rapide scalinate che si aprivano qua e là alla panoramica del mare. Da Voltri a Nervi, dall’altura del Righi al porto, per alcuni giorni andai all’esplorativa scoperta di Genova. Passo dopo passo vivevo i miei giorni con Pagina 94 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca crescente interesse in totale solitudine. La mia primitiva condizione di timidezza di piccolo Tarzan della Giungla di fondovalle non mi permetteva di trovare alcun punto fermo a cui ancorarmi. Solitario e solo con me stesso proseguivo a caso, salendo e ridiscendendo da un autobus all’altro, andando su e giù per fortunosi vicoli e rapide scalinate mirando al lontano orizzonte, per approdare infine in prossimità del porto dove ormeggiavano le grandi Navi di Linea in attesa di salpare per tutti i mari del mondo. Là, a Ponte dei Mille, erano i momenti in cui sostavo più a lungo lasciandomi cullare sulle onde della fantasia ad inseguire le rotte dei Transatlantici verso ogni più esotica destinazione. Forse il mio era soltanto un sogno, ma poteva diventare il vero sogno della nuova vita fuori dai ristretti confini della lontana valle natia? Dal sogno alla realtà il passo era obbligato nel momento del ritorno a casa; ed un giorno, al mio rientro, mamma, non si era persa nei sogni e, con il suo ben collaudato senso pratico, mi annunciò che aveva già provveduto ad iscrivermi alla Scuola serale dell’Istituto Tecnico nella Sezione Geometri: il Corso prevedeva il pieno recupero del tempo perduto durante le mie passate vicende legate alla Legione Straniera. Il tutto in previsione di un eventuale lavoro da svolgersi nel tempo libero delle ore diurne! Fantastico! E così il giorno seguente mi presentai in aula per riprendere gli studi con un pesante carico di dubbi e preoccupazioni nella prospettiva di un duro impegno di recupero di un intero biennio. Mamma, e che Dio l’abbia in gloria, era andata giù pesante nell’innovare la sua “terapia forzata” con una nuova ricetta a “strizza cervello” del suo unico rampollo; ed alle mie comprensibili rimostranze, lei mi confidò che i “semi” ad “olio di gomito e sudore della fronte” della Val Cereseto avevano dato ottimi frutti ed era ormai giunto il momento di un decisivo “salto di qualità”. L’iniziativa di mamma era indubbiamente meritevole di miglior sorte, ma apparve quasi subito destinata a non ricevere il dovuto consenso. A scuola, nel collaudare nuovamente la mia “tenuta” allo studio, ebbi l’amara sorpresa di constatare quasi subito un preoccupante vuoto di “vocazione” per tutto ciò che concerneva costruzioni, estimi ed associati vari. Il “conflitto ideologico” si manifestò ben presto durante le prime lezioni: sempre puntualmente presente in aula, ma con il pensiero assente a vagare altrove come alla ricerca di un orizzonte ancora indefinito. Le distrazioni si accompagnavano ad una sempre crescente sensazione di insoddisfazione e nel “ritornare” in classe dagli intermezzi mentali esterni, ero cosciente che mi stavo avviando su una china pericolosa con il rischio di un altro clamoroso flop. Lo stato di difficoltà in cui mi trovavo minacciava di andare a discapito del profitto se non fosse intervenuto qualche provvidenziale cambio di rotta. Come, dove e quando sarei riuscito a trovare una risposta al mio montante disagio? Come, dove e quando? Erano questi i pressanti interrogativi in quel pomeriggio quando varcai l’ingresso della Biblioteca Comunale di S.P. D’Arena. E proprio là, nell’ampio Salone di lettura, mentre stavo consultando un volume di Architettura Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 95 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° accanto ad altri studenti, a sorpresa sentii pronunciare il mio nome: «Angelo!» – disse una voce alle mie spalle. «Si?» – Risposi voltandomi mentre il bibliotecario avanzava verso il mio tavolo. «Sì!» – disse nel frattempo un ragazzo accanto alzandosi per ricevere un volume. Ero perplesso e meravigliato! Una coincidenza rara, ma non impossibile: due “Angelo” erano seduti accanto allo stesso tavolo della stessa Biblioteca senza conoscersi! Ed ovvia era anche la sorpresa reciproca, perché ci fissammo un istante con la stessa domanda: «Angelo?» – domandò l’altro. «Sì, Angelo!» – risposi. «Ciao! Sono Angelo Pezzi!». «Ciao! Angelo Fornaca». «Sei nuovo, qui?» continuò lui. «Infatti, è il primo giorno». «Di quale scuola sei?». «Istituto Tecnico Geometri. E tu?». «Istituto Augusto Righi: Radiotelegrafisti». «Radio...che?» – domandai incuriosito. «Radiotelegrafisti: Diploma e Brevetto Internazionale di Radiotelegrafista di Navi» – fu la sorprendete risposta. «Uauh! Hai detto Radiotelegrafisti di Navi? Un bel colpo!» – commentai. «Certamente! È un Titolo di Studio che autorizza l’imbarco in qualità di Ufficiale Radio su Navi di ogni Nazionalità, Tipo e Tonnellaggio in tutti i mari del mondo!» – confermò lui non senza una punta d’orgoglio. «E che si fa per iscriversi?» – domandai subito accendendomi di curiosità e di interesse. «La scuola ha un Corso diurno e serale. Se ti interessa fai un salto a trovarci. Noi siamo in via Assarotti. Il Direttore potrà spiegarti le condizioni generali. Adesso scappo di corsa. Ciao Angelo, arrivederci!» – concluse. «Ci rivedremo presto. Ciao Angelo!» – conclusi accompagnandolo con lo sguardo all’uscita. Era solo una sensazione, ma quell’incontro poteva aver segnato la svolta decisiva. Era quello il segnale che rispondeva ai miei interrogativi e da quel momento la mia attenzione si orientò nella nuova direzione. L’improvvisa scoperta del titolo di Radiotelegrafista di Navi significava la fine della noia e delle distrazioni per spalancare una invitante finestra su un mondo ancora sconosciuto, ma già invitante. In conclusione: “dovevo provarci!”. Così, già il giorno dopo, rispolverando una vecchia ed avventurosa abitudine, misi in opera la mia ultima “marinata” scolastica della Sezione Geometri per presentarmi in Via Assarotti al Centro di Radiotelegrafia. Subito all’entrata venni colpito da un Pagina 96 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca intenso ed intermittente “cicaleccio” di strani suoni, poco prima di essere introdotto in Direzione alla presenza di un distinto signore: Il Professore Canepa. Dopo le dovute presentazioni ed aver manifestato il mio interesse ad un eventuale ingresso nella scuola, il Direttore mi invitò a visitare l’attigua aula dove un gruppo di allievi dotati di cuffie audio era impegnato a battere sui tasti delle rispettive macchine da scrivere. Il Direttore mi mise al corrente che il Corso consisteva nella formazione di futuri Radiotelegrafisti di Navi per le Comunicazioni Radio mediante il “CODICE MORSE”: il linguaggio dell’Alfabeto a “Linee e Punti”, unico mezzo a rendere possibile in quegli anni le Comunicazioni fra Navi e fra Navi e Terra, e viceversa, a tutte le distanze. «Il Corso - precisò il Prof. Canepa - prevede una fase teorica ed una pratica della durata minima di 2 anni per accedere all’Esame Statale da sostenere a Roma presso il Ministero delle Poste e telecomunicazioni. Ovviamente tutto ciò comporta frequenza, impegno e passione costanti per poter ottenere risultati soddisfacenti.» Per concludere il Direttore mi consegnò un opuscolo informativo in cui avrei potuto familiarizzarmi con i temi teorici e pratici del Corso. Subito, sfogliando le prime pagine, ne rimasi “catturato” ed affascinato allo stesso tempo: in bella mostra, all’interno trovai il “Codice Internazionale Morse” ed i Segnali convenzionali a “Linee e Punti” della Radiotelegrafia con i quali avrei dovuto cimentarmi in futuro nel caso avessi deciso di affrontare l’impegnativa sfida che mi veniva lanciata. Tutto ciò non aveva ancora un preciso significato pratico, ma già avvertivo un’attrazione irresistibile. Quello che mi stava accadendo era una forte scossa emotiva nel segno di Morse, Righi, Marconi, ed altri ancora, con il riaffiorare nella memoria del ricorrente ricordo dell’infanzia: la lunga antenna sovrastante la vecchia casa nella lontana Val Cereseto dove un giorno papà aveva costruito con le sue mani la prima Radio a Galena nella forma di una magica “scatola parlante” destinata ad accompagnarlo fino agli ultimi confini della vita. A quel punto ne sapevo abbastanza da convincermi a “scendere in campo” sulle “orme” degli illustri precursori con l’intento di diventare un allievo di sicura presenza, impegno e passione. La pagina “galeotta” decisiva nell’orientare tutto il percorso della mia vita era schematizzata come risultante dal foglio illustrativo ancora in mio possesso: “INTERNATIONAL MORSE CODE AND CONVENTIONAL SIGNALS” A casa, alla notizia delle mie intenzioni, mamma manifestò una sufficiente apertura al dialogo. A quel tempo, il marito Giovanni era prossimo a “staccare” dal lavoro per raggiunti limiti d’età ed a breve vi era una prevedibile necessità del mio contributo economico per sostenere il bilancio familiare. Sulle prime venni spronato a continuare su entrambi i fronti della scuola: Geometri e Radiotelegrafisti; ma ben presto mamma, con rinnovato e spiccato senso pratico, lanciò la più realistica proposta di un unico biennio di studio “Radio” alla mia portata: un tempo accettabile Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 97 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° con le scadenze e le attese di riscatto! Era un autentico guanto di sfida che non potevo non accogliere con entusiasmo. L’arma “segreta” di mamma era la rinnovata fiducia nel suo inquieto rampollo. E mentre sentivo risorgere in me la volontà a sedermi su un banco di scuola, sapevo già ciò che avrei deciso. Così, poco dopo abbandonai definitivamente l’Istituto Tecnico Geometri e feci il mio regolare ingresso al Centro Augusto Righi di Radiotelegrafia. A quel tempo i progressi della tecnologia non avevano ancora portato alla luce Computer, Satelliti e gli associati automatismi. L’unico Sistema Universale di Comunicazione esistente fra Nave e Terra, e viceversa, era il Codice Morse sulle onde della Radio: era così nata la nuova figura del Radiotelegrafista, ossia colui che nelle funzioni di un “Computer Biologico” aveva maturato la capacità di tradurre istantaneamente in Codice Morse ogni informazione scritta e di decodificare simultaneamente una comunicazione Morse in linguaggio corrente di qualsiasi lingua per rendere possibile lo scambio “duplex” sulle onde Radio. Lo studio teorico e pratico del Codice Morse e di ogni modalità di applicazione erano lo scopo del Corso di Radiotelegrafia che mi accingevo ad affrontare con impegno e determinazione per prepararmi a sostenere il decisivo Esame di Stato per il conseguimento del Titolo di Radiotelegrafîsta Internazionali di Navi, con estensione al Brevetto Azzurro per Aerei di Linea. L’ingresso nel nuovo contesto del Righi mi permise subito anche una favorevole apertura sociale con i vicini di banco: Angelo Pezzi, Raffaele Costa ed altri erano i nuovi compagni ed i primi amici con cui dividere le ore della scuola, ma pure le quotidiane incursioni alla scoperta di Genova e dintorni. Ogni sera, da Via Assarotti a Piazza De Ferrari, scendevamo su Piazza Banchi attraverso tutto il dedalo dei vicoli e carrugi, fino alla Stazione Marittima, ad ammirare i “mostri sacri” della Marina Mercantile Mondiale: Saturnia, Vulcania ed Independence erano i ricorrenti nomi dei grandi Transatlantici in grado di alimentare i fantasiosi sogni dei futuri Ufficiali Radiotelegrafisti della Stazione Radio di una Nave in partenza sulle rotte dei mari di tutto il mondo. Erano questi semplici, ma già arditi sguardi che si proiettavano nel futuro quando ancora la “rotta” delle speranze doveva passare al vaglio dello studio da perseguire con impegno e continuità prima di tradursi in realtà. I primi tempi furono i più duri da superare per l’apprendimento e la “familiarizzazione” del complesso Alfabeto Morse, anche se potevo riconoscermi una non trascurabile predisposizione alla nuova e stravagante materia. Senza più ricorrere alle vecchie marinate del passato, di giorno in giorno e mese dopo mese, riuscii a superare gli “scogli” del primo periodo fino a giungere al completamento del primo anno di studio con risultati più che soddisfacenti. E, finalmente, a giugno ero pronto staccare la scuola per le sospirate e meritate vacanze estive da “consumarsi” nei dintorni della vecchia casa natìa. Pagina 98 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca Subito, in quella assolata domenica di giugno, il ritorno nei luoghi dell’infanzia ebbe l’effetto di riaccendere nella memoria tutto un passato di solitudine. Là, dove un tempo il piccolo “Tarzan” divideva la “Giungla” di fondovalle con amici a quattro zampe e un paio d’ali, sembrava essere avvenuta quasi una completa mutazione. Il cielo era azzurro ma privo delle gioiose frecce dei voli dei colombi, emigrati altrove alla ricerca di una mano amichevole, colma di granaglie; e, lassù, la lunga antenna della Radio a Galena non correva più sul tetto della casa, ma giaceva spezzata ai lati dei due alberi di sostegno; pure quella finestra al primo piano, chiusa da tanti anni, si era riaperta ad altra vita con l’arrivo dei nuovi abitanti. Anche fra i vecchi “amici storici” c’era: un vuoto. Il coro di un tempo era diventato una “voce” sola a lanciare l’avviso di avvistamento: all’istante riconobbi Kadì e mi fermai modulando quello che era stato il fischio “convenuto” di riconoscimento e di richiamo. Immediatamente il latrato cessò in posizione di attesa; poi, al secondo fischio, un “proiettile” di pelo: bianco-nero-nocciola si lanciò in una corsa sfrenata. La mole ed il peso di Kadì si avventarono su di me scodinzolando in un guaito gioioso nel tentativo irrefrenabile di leccarmi le mani ed il viso. Lui, il “vecchio amico” era ancora vigoroso di energia e vivo nei ricordi, ma Dor non c’era più: il freddo dell’inverno non aveva fatto sconti e se l’era portato via per sempre. Ancora nei giorni seguenti ritornai in valle a rinnovare il vecchio rito dei segnali e dei fischi convenuti per riceverne sempre la gratificazione della vecchia amicizia con il rinnovarsi nei suoi occhi felici l’invito alle sfrenate corse nei prati e sui tortuosi percorsi nei boschi a scortare l’ex piccolo “Tarzan”. Poi, inevitabilmente, venne il momento più triste dell’addio. Quel giorno “lui” era gioioso come sempre nello scodinzolare e nell’incitarmi ancora a nuove avventure nei prati; ma, a sera, quando mi vide allontanare dopo una prolungata carezza, si bloccò immediatamente e rimase muto ed immobile a fissarmi: la coda afflosciata e le orecchie “tese” come a chiedere una spiegazione o per captare ogni possibile segnale. Purtroppo ancora una volta quella che era stata la nostra “Giungla” natìa sembrava avviata a compiere un altro inganno: le nostre strade erano in procinto di dividersi e, forse, per sempre. Ma, all’improvviso, quando ero già sulla strada del ritorno, fui sorpreso da un intenso latrare alle mie spalle. Nel volgermi per un ultimo saluto, “la” vidi sfrecciare nel prato, mentre anche “lui” era scattato per puntare verso la stessa direzione. Certamente Kadì non era ancora un vecchio ed ansimante Argo; al contrario, i “geni” mai sopiti dell’ultimo guardiano della valle erano già in movimento a caccia dei primi approcci con un attraente “gomitolo” dal pelo bianco-nocciola. Senza dubbio era quello il segno che la vita nella “Giungla” stava per rifiorire nuovamente grazie all’apparizione di quattro zampe con particolari doti di seduzione; ed era altresì il segnale che gli ultimi giorni della prima età erano da considerarsi avviati a conclusione senza ulteriori spargimenti di rimpianti e di melanconie, in Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 99 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° attesa che l’ex piccolo “Tarzan” della Val Cereseto potesse dispiegare le vele al vento della vita come moderno navigatore sui mari del mondo. Dopo la parentesi estiva, il ritorno a Genova segnò la ripresa degli studi al Centro A. Righi. Il percorso per il conseguimento del “Brevetto-Diploma” di Radiotelegrafista Internazionale era ormai tracciato in tutti i particolari. Sapevo che mi attendevano lunghe ore giornaliere di “ascolto” in cuffia a decodificare il rapido “ticchettìo” del segnale Morse, avviati a velocità sempre più elevate per raggiungere la base minima di 125 caratteri alfabetici al minuto; ed altrettanto impegno doveva essere profuso a codificare simultaneamente ogni linguaggio corrente tramite un apposito dispositivo a tastiera per l’invio dell’informazione a distanza sulle onde Radio. E, dulcis in fundo, tutto ciò doveva essere integrato con un’approfondita preparazione teorica in Elettrotecnica e Radiotecnica per il completamento degli studi. Cavalcata sulle orme di Morse, Righi e Marconi, gli illustri pionieri dell’epoca recente, l’impresa mi appariva sempre più carica di fascino: la meta cui aspiravo e puntavo decisamente era la “scalata” al Ponte della Stazione Radio di una grande Nave in partenza sulle rotte degli oceani. E, nell’attesa di pervenire all’ambito traguardo, un giorno giunse il momento del primo vero contatto con la mia immaginaria dimensione futura durante la visita a Bordo del Transatlantico “Vulcania” ormeggiato a Ponte dei Mille nel porto di Genova. Quel mattino nel varcare la soglia della Stazione Radio mi trovai improvvisamente immerso in un mondo irreale e misterioso, costituito da un angusto, ma allo stesso tempo, sconfinato orizzonte: ovunque pareti di schermi, apparecchiature e strumenti luminosi pronti ad entrare in attività per proiettarmi nell’etere col premere di un semplice pulsante. Ero pervenuto al cospetto del mondo invisibile delle onde elettromagnetiche della Radio, la vasta gamma di fenomeni che avrebbe dovuto accompagnarmi nella mia futura attività con tutto il corredo di segnali e suoni provenienti da tutto il mondo. Quel ristretto angolo della Nave si andava altresì configurando come un autentico crogiuolo entro cui confluivano incessantemente messaggi e segnalazioni nelle più bizzarre ed incomprensibili lingue attraverso l’universale Codice Morse. Da quel momento la mia avventura futura prese ad involarsi sempre più sulle ali dell’entusiasmo alla conquista delle rotte del mondo a cavallo delle onde elettromagnetiche della Radio. Decisamente sull’orizzonte di Genova si andava imponendo una nuova realtà. Anche se talvolta il pensiero correva ancora a percorrere i sentieri della profonda valle natia, le immagini dei primi anni apparivano sempre più lontane e sfumate nel lento scorrere del tempo. Ormai sapevo che la mia vita era fatalmente orientata verso quella grande superficie azzurra, mentre le immagini del passato andavano inesorabilmente cedendo il passo al sopraggiungere dei nuovi eventi. Così sull’onda sempre più crescente dell’entusiasmo, trascorse un altro Pagina 100 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca anno e giunse il giorno della partenza con destinazione Ministero delle Poste e Telecomunicazioni in Roma. La prova che mi accingevo a sostenere era l’Esame di Stato della Repubblica Italiana per il conseguimento del Titolo di “Brevetto Internazionale di Radiotelegrafista di Navi” riconosciuto convenzionalmente da tutte le Autorità Mondiali! L’emozione era grande. Subito alla Stazione Termini, la Città Eterna mi venne incontro con tutto il suo “bagaglio” storico e culturale per invitarmi alla riscoperta: Colosseo, Fori imperiali e San Pietro furono soltanto le prime tappe della mia conquista in attesa dei fatidici “3 giorni 3” durante i quali si sarebbe deciso il futuro dell’ex piccolo Tarzan della Val Cereseto. Il “Tour” per le vie della città non aveva soltanto intenti turistici, ma era un furbesco “trucco” per ingannare il tempo, prima dello scoccare delle ore 08.30 di quel lontano mattino del 15 giugno 1951. E là, nelle austere aule del Ministero si compì l’atto decisivo della mia “scommessa” sulle future rotte degli oceani. Per 3 giorni mi sottoposi alle prove teoriche e pratiche per uscirne fuori in modo più che soddisfacente: «Una prova ottima», come confermò la Commissione Esaminatrice con conseguente segnalazione all’Albo della “Gente di Mare” con il Titolo di Radiotelegrafista Internazionale di Navi. Tutto finito? Nemmeno per sogno! All’iscrizione ufficiale del Titolo appena conseguito mancava ancora un particolare di primaria importanza per il rilascio del decisivo “Libretto di Navigazione” ad un uomo destinato alle traversate oceaniche: la prova mancante era l’Esame di Nuoto e Voga”, senza il quale tutti i precedenti sforzi sarebbero risultati vani! Sull’onda della promozione il ritorno a casa venne salutato in famiglia in modo trionfale con le immancabili celebrazioni di fiori e torte in tavola sotto la regia di una mamma finalmente appagata dalla piena realizzazione professionale del suo ex irrequieto figliuolo. Il suo entusiasmo per l’ambito traguardo cui ero pervenuto non fu minimamente scalfito alla notizia che non tutto era finito, ma occorreva un ulteriore sforzo per superare ancora un ultimo esame. Lei non aveva mezzi tecnici per giudicarmi, ma mi aveva visto innumerevoli volte sguazzare d’estate in poco meno di un metro d’acqua nella piccola “Bula”, il laghetto di fondovalle accanto alla casa natìa, ed era totalmente fiduciosa. Tuttavia, il giorno della prova, nel salire sull’imbarcazione della Commissione esaminatrice, che mi avrebbe portato fuori della diga foranea del porto, non ero affatto tranquillo, anche se mi ero preparato ad affrontare l’ultima prova con la dovuta determinazione; poi, al largo, là dove la superficie azzurra, andava tingendosi di una colorazione sempre più intensa per la crescente profondità, mi giunse l’ordine perentorio da parte dell’Ufficiale esaminatore: «Si tuffi!». Il momento “drammatico” era arrivato. Sapevo che la profondità non era il solito misero metro della piccola “bula” dove potevo toccare il fondo nei momenti Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 101 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° più difficili del galleggiamento, ed esitai qualche istante. Vedendomi titubante l’Esaminatore mi punzecchiò ironicamente: «Non mi dirà che non sa nuotare!». «Chi? Io?» - risposi con tono risentito e mi tuffai. Per qualche minuto annaspai vicino all’imbarcazione tentando di offrire una decorosa immagine di stile e galleggiamento agli occhi degli esperti che mi stavano osservando, finché mi giunse l’atteso ordine: ««Stop! Basta così! Può risalire in barca!». Quando rimisi i piedi sull’imbarcazione venni accolto dal sorriso divertito dei presenti, mentre l’Esaminatore stilava il giudizio sulla mia prova: A) Stile e tecnica: in evoluzione. B) Galleggiamento: deciso istinto di sopravvivenza. C) Coraggio: smisurato nell’affrontare i flutti del mare. D) Giudizio finale: positivo. E) Osservazioni: si raccomanda un’ulteriore intensificazione della preparazione per un periodo di 3 mesi prima di intraprendere traversate oceaniche! Subito dopo, con l’esito positivo della prova di “Voga” nelle acque antistanti al porto di Genova, anche la fase “atletica” degli esami era conclusa. Finalmente l’attesa “cavalcata” oceanica poteva prendere l’avvio dal Ponte di una grande Nave in partenza verso una lontana destinazione. Allora non immaginavo ancora dove la sorte mi avrebbe portato, attraverso quali mari ed i paesi che avrei toccato. L’obiettivo immediato mirava a varcare l’ignoto sulla linea dell’orizzonte per andare oltre, sospinto dalla precisa volontà di correre incontro alla mia avventura nel mondo. Sicuramente quel giorno, nel salire il ripido scalandrone dell’ “ALBA” nel porto di Palermo, andavo verso il primo vero traguardo della vita: la realizzazione dei segreti sogni di libertà cullati in solitudine nei lunghi pomeriggi estivi entro il ristretto metro d’acqua della “bula”, accanto alla casa natìa della lontana Val Cereseto. II LA PARTENZA Un pallido sole autunnale tenta invano di penetrare il diffuso manto nuvoloso di questo mattino di novembre mentre il treno scivola velocemente quasi senza rumore. Viaggio in solitario verso una lontana destinazione. Con me porto soltanto una grossa valigia ed un intero carico di ricordi e nostalgia: casa ed affetti sono già lontani. Corro lunga la Riviera Ligure. Ecco: attraverso il finestrino, intravedo il piatto grigio-azzurro del mare. Laggiù, Genova è la prima tappa. All’ombra della Lanterna mi attende una giornata frenetica: le “corse” presso la Compagnia di Navigazione, Sanità, Consolato e Capitaneria di Porto per il disbrigo delle complesse pratiche d’imbarco sull’ “ALBA”. Pagina 102 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca A Genova la Nave non c’è, ma le procedure di partenza continuano e si protraggono fino al pomeriggio inoltrato. A sera, infine, la mia avventura prende la via della Stazione di Genova-Principe dove è in partenza il treno diretto a Palermo. Sotto una pioggia sottile le carrozze brillano già di luci riflesse quando salgo sul “Direttissimo” e mi sistemo accanto ad un finestrino di sinistra. Alcuni attimi di intensa emozione mentre il treno si muove ed acquista velocità. Fuori osservo le candeline di luci che appaiono e scompaiono a tratti nel nulla. Alle mie spalle Genova si sta allontanando: il ritmico scorrere del convoglio è l’ultimo saluto. Le fermate si susseguono. Corro verso sud superando numerose Stazioni: La Spezia, Livorno, Roma e Napoli sono altrettante tappe nella notte prima di rivedere le luci dell’alba; ed oltre ed oltre ancora fino a Reggio Calabria per traghettare lo Stretto di Messina ed arrivare a sera al capolinea. Dopo 24 ore di viaggio sono arrivato a Palermo. Laggiù, fra le luci del porto c’è l’ “ALBA” che mi aspetta. Ormai è tardi e la lascio attendere. A Bordo andrò domani. Sono circa le 23.00 quando arrivo in albergo. Sono stanchissimo. Una notte ed un intero giorno di viaggio senza dormire hanno lasciato il segno. Tento un tuffo nella vasca tiepida per un bagno ristoratore, ma il letto è il mio traguardo più ambito. Mi stendo e mi addormento all’istante. Lentamente nella notte scivolo nel mondo dei sogni. Quello che m’invade è inquietante: un’enorme piovra sta allungando i tentacoli desiderosa di avvinghiarmi. Il primo attacco va a vuoto ed anche il secondo, ma al terzo assalto vengo abbrancato in una soffocante stretta e trascinato nelle profondità di un abisso. Lotto con tutte le mie forze per divincolarmi. Poi, d’improvviso, avverto un lancinante suono ad intermittenza mentre riemergo sullo stesso letto della stessa camera d’albergo di Palermo con la chiamata dal centralino che m’informa che sono le 07,30 del giorno 8 del mese di Novembre dell’anno 1951. Scendo per la colazione ed attendo l’arrivo del Taxi. Ora è giunto il momento di andare a vedere la mia Nave. Dopo aver percorso l’intera penisola me la trovo davanti ormeggiata al pontile impegnata in tutta l’operosità dell’umile “carretta dei mari”. «Eccola! È Lei!» Nelle arrugginite lamiere scorgo subito le ferite del lungo ed inarrestabile scorrere del tempo su quella che un giorno aveva preso le vie del mare come una giovane ed ardita avventuriera. Mi soffermo per qualche attimo titubante sul pontile ad osservarla, ma “sento” che ormai il dado è tratto e proseguo. Mentre mi arrampico sullo scalandrone ho già maturato l’azzardata decisione di arrembare una Nave vecchia, ma sempre valida ed in grado di affrontare ancora le future rotte degli oceani. Subito, nel primo impatto con la realtà della nuova dimensione marina, mi trovo a contatto con il “variegato” mondo dei futuri compagni di viaggio: gente proveniente dal nord e dal sud della penisola, con i volti “tostati” al sole dei tropici e lo sguardo un po’ curioso ed un po’ gioioso del Navigatore che ha scoperto un nuovo mondo; Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 103 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° gente di mare con cui dovrò confrontarmi quotidianamente nelle buone come in tutte le avverse condizioni che potranno scaturire da quelle forze misteriose che governano i venti ed i mari del mio pianeta ancora da scoprire. Nel percorso a salire attacco l’ultima rampa di scale e raggiungo il Ponte di Comando. Un rapido sguardo al complesso tecno-operativo della Navigazione; poi, appena oltre, sormontata dalle antenne, mi appare la porta con l’indicazione della Stazione Radio. È proprio dietro quell’insegna che sono diretto. Là c’è il regno invisibile delle onde elettromagnetiche, già avviato a conoscere totale visibilità e spettacolarità nelle future applicazioni delle comunicazioni di massa; ma, in particolare, è il luogo dove sarò presente quotidianamente per alcuni lunghi mesi. Ed ora eccomi a Bordo! Per la prima volta imbarco come Ufficiale Radiotelegrafista, Titolare della Stazione Radio. L’emozione è grande. I sogni di avventura dell’età infantile si stanno avverando: dalle piccole barchette di carta, costruite e varate sul minuscolo laghetto della lontana valle natìa negli afosi pomeriggi estivi, al Ponte Radio di una grande Nave in procinto di salpare per le rotte dei mari. Infine, il momento della partenza! I primi giri dell’elica, il sussulto dello scafo sotto la spinta dei motori mentre l’ “ALBA” si scosta dal pontile e si avvia all’uscita del porto. A poppa la terra si allontana lentamente fino a diventare una linea confusa ed indistinta con l’orizzonte; e, davanti alla prua, là dove il cielo s’immerge nel mare, il mistero dell’ignoto ad attendermi. Era così iniziata la mia avventura sugli oceani ma, ahimè, anche la prima grande rinuncia della vita: davo l’addio alla casa, alla famiglia ed alla splendida ragazza che amavo. Quella notte, la prima nell’angusta cabina di Bordo, mi trovai ben presto a condividere la cuccetta con coloro che si sarebbero rivelate come le fedeli compagne sulle rotte dei mari: la solitudine e la nostalgia; e, più tardi, quando i sogni si animarono di ombre, luci e colori, i ricordi di un lontano passato riemersero e s’imposero fino a ricondurmi nella profonda valle dell’Astigiano accanto alla casa natìa. Là, la mia “flotta” scivolava lentamente sulla superficie dell’immaginario oceano, mentre dal Ponte di Comando dell’ “Ammiraglia” andavo incontro all’avventura: sospinto dai venti della fantasia e bordeggiando lungo le coste di sconosciuti continenti, mi inoltravo sempre più lontano fino a raggiungere le più sperdute isole dei Mari del Sud. Navigatore ardimentoso, ma ancora alquanto ingenuo, non avrei mai supposto che qualcuno mi avesse preceduto sulle rotte del mondo; ma, in seguito, sfogliando qua e là sui primi libri di scuola, scoprii che ciò che era accaduto numerose volte: i nomi di Colombo, Vespucci e Magellano erano un po’ ovunque su tutti gli oceani della Terra. L’inattesa scoperta vanificò bruscamente le mie illusioni ed, infantilmente, sentii lievitare una viva punta di irritazione: «Da dove erano arrivati questi “intrusi”?». «Dal passato!», mi giungeva l’inevitabile risposta! Essi, dunque, avevano avuto la Pagina 104 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Le vie del mare Angelo L. Fornaca grande “opportunità” di comparire alcuni secoli prima ed era stato tutto fin troppo facile! Il piccolo ed irriverente “navigatore” che era in me aveva già l’arrogante “pretesa” di chi avrebbe potuto aspirare al nome di qualche continente, ma la competizione era avvenuta quando mancava il concorrente più agguerrito! Ero decisamente seccato! Nel lungo e tormentato dormiveglia “vedevo” che la mia “Ammiraglia” non avrebbe mai più avvistato un’isola oppure un continente sconosciuti. Era vero: avevo perduto sul tempo il primo confronto, ma sentivo maturarmi un bellicoso spirito di rivincita su tutti coloro che mi avevano preceduto. Poi, al mattino, dopo una sofferta e tormentata notte, l’improvviso risveglio: subito l’alba mi appare attraverso l’oblò inondandomi di luci e colori come per annunciarmi il suo invitante messaggio. Ecco, ora ne sono pienamente cosciente. Il mio non è più un sogno, ma l’apparire sull’orizzonte di una seducente sfida: la ricerca di altre ed ancora invisibili rotte è il nuovo traguardo. Nella scia del Passato, ma già proiettato verso lontani orizzonti, avrei potuto visitare i continenti, le terre e le isole di ieri per conoscere e cercare di capire quegli strani ed ineguagliabili esseri che vi abitano alla luce del XX Secolo. Nell’impugnare la penna per consegnare alla “Storia” l’avventura in corso, il temerario protagonista che si affacciava sulla tolda dell’ “ALBA” aveva già l’ardita presunzione di rifiutare il velo di oblìo che minacciava di seppellire gli ultimi autentici Navigatori dell’Era contemporanea. Il Sindaco, dott. Carmelo Spitaleri, conclude la cerimonia di premiazioe 2008 Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 105 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Pagina 106 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 107 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SEZIONE FATTI DI BORDO 2009 - XX edizione 1° premio – Francesco Castorina – “Ci rivedremo in quel porto lontano” «Se è vero che niente esiste per più di un istante, tranne ciò che custodiamo nella memoria, allora a maggior ragione dovremmo dire che ciò che davvero rimane è quello che fissiamo sulla carta. La parola scritta sottrae all’oblio il vissuto, ne definisce i contorni. E nel ritratto commosso che l’autore traccia di un compagno di bordo emerge tutto il bisogno di non dimenticare, di far conoscere questa piccola, triste storia che altrimenti il nulla, inesorabile, inghiottirebbe. Ne vien fuori un racconto essenziale e toccante, scritto con delicatezza e quasi con pudore, proprio come se l’autore non potesse più fare a meno di raccontare - anche quando raccontare fa male, perché significa rivivere». 2° premio – Zeffiro Rossi – “Un giro del mondo un po’ particolare” «Un viaggio che forse poco differirebbe da tanti altri, se non fosse per le passioni sanguigne che lo innervano e lo connotano, imprimendogli tratti violenti ed unici. E mentre la nave segue il suo lungo percorso, toccando luoghi di rara, incontaminata bellezza, dall’accavallarsi degli eventi e dal groviglio dei destini dei personaggi, emerge un unico possibile epilogo: la morte». 3° premio – Giovanni Pagano - “L’uovo di Colombo” «A volte la soluzione più semplice, lineare, forse addirittura più banale, è l’ultima a cui pensiamo, adusi come siamo ad affidare sempre più spesso il nostro destino ai calcoli ed alla tecnologia. Ma nonostante gli strumenti sempre più sofisticati, quella del mare resta una sfida della mente e alla mente, capace di metterci di fronte a noi stessi, ai nostri limiti ed alle nostre risorse, capace di riportarci alla parte più istintiva e animale del nostro io». Menzioni Idamo Rossi – “Un peso e due misure” «Due immani tragedie dei nostri giorni poste a raffronto in una riflessione amara, dai toni apertamente polemici». Merito di pubblicazione Anna Bartiromo - “Quando il mare è amaro” Piera Grassi Pedrelli - “Il primo viaggio di Paola” Vincenzo Marzullo – “Al largo del nulla” Pagina 108 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Francesco Castorina CI RIVEDREMO IN QUEL PORTO LONTANO… L eonardo Tridente era un uomo grande, grosso e di pochissime parole. In un’epoca in cui la tecnologia marittima esplodeva e si costruivano navi sempre più automatizzate, con sempre meno uomini di equipaggio, la sua qualifica a bordo era quella di carbonaio. È una tipica ostinazione della Marina essere estremamente conservatrice sotto taluni aspetti e così agli inizi degli anni settanta ci trovavamo ancora a fare i conti con denominazioni lavorative che non avevano più alcuna attinenza con la realtà. A ruolo c’erano ancora il “pennese”, il “fuochista” ed appunto il “carbonaio”. Ma, Leonardo Tridente non era un “carbonaio” qualsiasi, era “il Carbonaio”. Ne interpretava il ruolo con il massimo scrupolo e con la massima convinzione. Fazzoletto colorato al collo con qualsiasi temperatura, canottiera blu di cotone e ampi pantaloni di tela. Non c’era verso di fargli indossare la tuta di dotazione e il sudore faceva risaltare, lucida, la potente muscolatura delle braccia. Già, Leonardo Tridente di muscoli ne aveva davvero tanti ed era dotato di una forza titanica. Era capace di svitare con le mani bulloni del ventisette cui erano state date sette mani di pittura e portare a spalla carichi per i quali normalmente si dovevano attrezzare i paranchi e qualche volta i picchi di carico. Come tanti uomini della sua corporatura era anche mitissimo e dolce. Nel tempo libero non si mischiava mai troppo volentieri con i colleghi di lavoro, non assisteva alle proiezioni cinematografiche, preferendo starsene in cabina a lavorare pezzi di legno dai quali traeva rozze statuine che pure avevano un certo fascino. Insomma era un tipo che non amava molto la compagnia. Del resto, come asserivano i suoi compaesani, si comportava così anche nei brevi periodi che passava a terra. Ore ed ore consumate su una panchina a contemplare il mare, a volte interrotte da una breve visita al padre, al cimitero. Questo finché non arrivava il telegramma per l’imbarco. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 109 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Allora la sorella nubile e la madre gli preparavano con infinita cura le valige e poi insieme a lui prendevano il treno accompagnandolo sino agli uffici della Compagnia, a Roma. Veniva affidato per il viaggio a qualche altro marittimo destinato alla stessa nave, che lo avrebbe portato a destinazione, aiutandolo, se durante il viaggio ci fossero stati momenti di bisogno. Lo conoscevano tutti e nonostante la sua natura riservata, tutti gli volevano bene ed erano contenti di fare qualcosa per lui. Ah! Dimenticavo. Lo imbarcavano sempre sulla stessa nave. A tutti, Compagnia inclusa andava bene così, anche perché la volta che l’avevano imbarcato su una nave diversa era stata una tragedia. Non era riuscito ad ambientarsi e parecchie volte l’avevano trovato a girare di notte per i carruggetti, piangente e disperato. Rassegnata, la Compagnia l’aveva fatto trasbordare sulla solita nave, dove il buon Tridente s’era ritrovato appieno e aveva ripreso serenamente la sua solita vita. Proprio su quella nave l’avevo conosciuto, due anni prima. All’inizio qualche saluto scambiato in fretta e poco di più. Poi una volta si era presentato chiedendomi se in biblioteca ci fosse un libro con figure di fiori. Gliene avevo recuperato uno con bellissimi disegni, che gli avevano fatto accendere gli occhi dalla felicità. Alcuni giorni dopo, a pranzo, mentre eravamo alla fonda, il cameriere mi aveva servito un’encomiabile cerniotta appena pescata, dono di Tridente. Eh sì, perché il nostro era un bravissimo pescatore e riusciva sempre a cavare dal mare qualche preda, anche dove gli altri (me compreso) fallivano. Alcune volte, nel corso di quell’imbarco, pescammo insieme e non riesco a dimenticare il miracoloso bottino messo insieme al Northen Anchorage di Ras Tanura. Tra me e lui almeno duecento chili di pesce, con alcuni esemplari veramente “fuoriserie”. Ma quella simpatia tra noi, non sfociò durante l’imbarco in una forma d’amicizia; troppo brevi i contatti e troppo differenti gli orari di lavoro. Comunque, quando dopo due anni fui riassegnato alla stessa nave, con il grado di terzo ufficiale, lo trovai ad attendermi ai piedi dello scalandrone. Senza una parola mi strinse la mano sorridendo, poi sollevò senza sforzo alcuno le mie due pesanti valige, accompagnandomi sino alla cabina. Non so perché ma quella strana forma di benvenuto mi scaldò subito il cuore e fece dissolvere la residua malinconia per la casa appena lasciata. Conoscevo la nave, conoscevo e stimavo il comandante e c’era anche Tridente; cosa avrei potuto sperare di meglio? Viaggi meravigliosi…Singapore, Bombay, Hong Kong, Siracha, Dar Es Salaam, Durban, Suva nelle Isole Figi…, approdi che ci facevano dimenticare il caldo insopportabile del Golfo Persico, dove invariabilmente si riceveva il carico. La mia curiosità geografica veniva sempre più appagata da nuove visioni, da Pagina 110 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Ci rivedremo in quel porto lontano... Francesco Castorina nuove conoscenze. A Singapore avevo acquistato una bellissima radio con un lettore di musicassette incorporato. Avevo poi rimediato a poco prezzo, un mucchio di musicassette con ogni tipo di melodia. Da Burt Bacharach alla musica sinfonica, passando per la musica latina. Di queste musicassette piaceva particolarmente ascoltarne una, quella con le registrazioni di alcuni brani della Lakmè di Delibes. Tutte le sere, infatti, ascoltavo e riascoltavo, senza mai saziarmene e con vero senso di godimento, il cosiddetto “Duetto del fiore”. Una di queste sere mentre i divini gorgheggi di Maria Callas accarezzavano le paratie della cabina, udii bussare alla porta. Era Tridente ed aveva, stampata sul volto, un’espressione di meraviglia mista a stupore. Mi spiegò che si trovava a passare da quelle parti ed aveva udito la musica. Chiese cosa fosse quella “canzone” e chi cantasse così divinamente. Cercai di spiegargli che era un brano di un’opera lirica francese ma mi accorsi subito che non mi stava ad ascoltare. Seguiva estasiato le note, dondolando la testa sul collo, abbandonato in qualche arcana congettura di felicità. Ad un certo punto gli salirono le lacrime agli occhi. Naturalmente non capiva le parole, era la musica che lo toccava, commuovendolo. «È insieme tanto triste e dolce. Mi fa bene al cuore e mi fa venire voglia di piangere». Credo che fosse uno dei discorsi più lunghi che il buon Tridente avesse mai fatto. Gli sorrisi e gli battei un colpo sulla spalla. «Quando vuoi venire ad ascoltare di nuovo…». Mai invito fu accettato con più calore…da quella sera, ogni santa sera, tranne quando eravamo in manovra o in franchigia, il buon Leonardo alle diciannove in punto si presentava davanti alla porta della mia cabina ed insieme in quell’ora che precedeva il mio turno di guardia, di solito con qualche bevanda analcolica in mano, ascoltavamo musica ed invariabilmente ogni sera ascoltavamo il “Duetto del Fiore”. Mi piaceva osservare le reazioni del mio compagno d’ascolto; arrovesciava lievemente la testa, socchiudendo le labbra e serrando gli occhi, in un’espressione non lontana dal rapimento emozionale. Quando le note cessavano ripeteva sempre la stessa frase: «Cuore nobile l’ha scritta, cuore nobile la canta, cuori nobili l’ascoltano». Poi prorompeva in una lieve, educata risata; sempre della stessa durata, sempre nella stessa tonalità. Il giorno che cercai di spiegargli cosa significassero le parole (così come mi aveva spiegato il benevolo comandante…), bonariamente mi zittì. «Non voglio saperlo. Per me ogni volta dice cose diverse e ogni volta sento le cose che mi piace ascoltare». Esterrefatto pensai al miracolo della musica, a come può penetrare nei recessi dell’anima degli uomini, influenzandoli, a volte sino a condizionarne i comportamenti. La Musica da sempre esercita il suo fascino sugli uomini per il mistero che è insito Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 111 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° in Lei, per il suo modo di comunicare le emozioni, direttamente, senza visioni … Pensai che forse nessuno poteva rappresentare meglio di Leonardo, nella sua essenza, quel grande, meraviglioso mistero. Giorno dopo giorno imparai ad apprezzare sempre di più Leonardo Tridente e tra noi cominciò a germogliare l’amicizia. In pratica ero la sola persona a bordo, a parte il Direttore di macchina, cui rivolgeva la parola per motivi diversi da quelli lavorativi. Venni così a conoscenza di tanti fatti della sua non felice vita e constatai a che livelli la poesia del vivere ed il senso del bello albergassero in quel corpo da energumeno. Ogni tanto mi invitava nella sua cabina, “per ricambiare”, ma dovevo portarmi dietro la radio. Allora ai trilli della Callas rispondeva impettito “Lawrence“ un pappagallo (credo un parrocchetto del Malabar) dai colori verdi ed azzurri ormai appannati, che Leonardo aveva acquistato da un marinaio indiano a Ras Tanura, al prezzo di un orologio Seiko. “Lawrence” era l’ultimo di una probabile lunga serie di nomi e il pappagallo, che non era di “prima penna”, doveva già avere navigato per qualche lustro, visto che articolava comprensibilmente una serie di bestemmie in almeno cinque o sei lingue, tra cui l’afrikaans. Non era quel che si dice un “tipo raccomandabile”, al contrario. Un pennuto cialtrone capace di beccare a sangue chi gli “faceva girare il becco”, ma con Leonardo si erano subito capiti ed era uno spettacolo vedere come il losco volatile accoglieva il suo padrone alla fine del turno di lavoro. Leonardo lo teneva alla catena del trespolo (che problema acquistarne uno a Siracha…) solo durante gli approdi, per il resto l’inqualificabile pennuto era libero di svolazzare per la cabina, facendo i bisogni dove gli capitava e costringendo il nostro buon carbonaio a pulire a fondo ogni santo giorno che Dio mandava in terra. Per Leonardo il volatile era un affetto, un affetto vero. Gli dedicava molte cure e passava molte ore a cercare di insegnargli parole gentili. Ma non c’era verso, non una di queste parole andò ad arricchire il vocabolario del pappagallo. Il cialtronesco pennuto dimostrò invece un vero talento per imparare nuovi insulti e bestemmie. Fatto questo, che suscitò molta ilarità e parecchio divertimento a bordo. Si sprecarono i consigli; “visto che non si poteva portare in Italia, avrebbe potuto lasciarlo a pensione in qualche convento di suore. Ne avrebbe avuto di roba da insegnare alle educande…” o “ vista la conoscenza delle lingue e la fine educazione, lo si poteva impiegare nella reception di qualche albergo…” e così via. Ma Leonardo non faceva caso a queste facezie, lui aveva già messo le cose a posto. Durante la sua “assenza” da bordo per la licenza, il pappagallo sarebbe rimasto affidato al Direttore di macchina. Lui lo avrebbe ripreso in consegna al suo ritorno a bordo, perché era certo, su quella nave lo avrebbero rimandato. Pagina 112 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Ci rivedremo in quel porto lontano... Francesco Castorina Come quasi sempre succede in tutti i luoghi del mondo anche sulle navi trovano posto, in percentuali pari alla media degli altri luoghi, gli imbecilli e fu così che un giovanotto di macchina, dall’intelligenza pari a quella del pappagallo, se non inferiore, che spesso lavorava gomito a gomito con il nostro, prese a canzonarlo. Leonardo non replicò mai alle prese in giro, nemmeno quando queste somigliavano agli insulti ma qualcuno riferì al Primo Macchinista, che diede al perfido individuo un’arronzata da lisciare il pelo. Tutto questo ebbe purtroppo delle conseguenze, che si concretizzarono quando mancava un solo mese alla fine dell’imbarco di Leonardo. Una vista stupenda. Il mare profondamente blu e il cielo di un azzurro da sogno. A separarli la linea dell’orizzonte, dolcemente curva. Il vento che scompiglia i capelli, inasprendoli con invisibili cristalli di sale. Era stato un bellissimo giorno e la notte si era mollemente adagiata sulla nave, foriera di pari bellezza. Sì, era stato un giorno come un altro dei tanti passati a bordo, giorni adagiati in un’aurea tranquillità. La tranquillità della vita sul mare, dove non c’è mai un “momento da perdere” ma dove le ore sono scandite dalla ripetizione rituale dei gesti, sempre i soliti…dalla ripetizione continua di un cerimoniale sempre uguale e per questo sempre più rassicurante. Le mense ad orari precisi, il dolce il giovedì e la domenica. Il punto di mezzogiorno, la caccia alle stelle nel crepuscolo, le effemeridi, le tavole dei logaritmi per gli allievi, le tavole rapide per gli ufficiali e “che gli allievi non le usino finché non imparano…”. Gli immancabili pettegolezzi: “L’ho visto quasi perdere la nave per stare dietro a una di quelle lì in Centramerica…”; “Brav’uomo…ma non gli piacciono le bottiglie piene…”; “Come farà a piacere alle donne quello lì…una faccia da far venire gli incubi a un gorilla…eppure…”. Ore 20,42 rotta per Singapore, velocità 13,5 nodi, cielo sereno, stato del mare “calmo come l’olio”. Mente persa dietro alate chimere, sogni di un futuro spettacolarmente felice, flashback del viso della ragazza che mi aspetta a casa, sorriso interiore e senso di compiacimento (non ho ancora capito perché…) Il trillo del telefono mi fece sobbalzare. «Ponte! In ascolto!». «Francesco, sono il Primo Macchinista! Chiama subito il Comandante. Tridente è andato fuori di testa, sta spaccando tutto. La situazione è fuori controllo». Inebetito composi il numero del Comandante, riferendo il messaggio. «Vai a vedere cosa succede, ti rilevo io e torna subito a riferire». Volai di corsa sulla passerella centrale che dal ponte situato a centro nave portava a poppa e scesi le scale sino al secondo livello. Una piccola folla si era raccolta davanti alla cabina di Leonardo. Si udivano urla e tonfi. Feci fatica a farmi largo ed Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 113 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° avvistato il Primo Macchinista gli chiesi cosa fosse accaduto. «Non lo sappiamo. Pare che sia scappato il pappagallo. Non vuole sentire ragioni. Il pappagallo è stato cercato per tutta la nave e non si trova». «Provo a parlargli io» proposi, «No! È troppo pericoloso! È una furia, temo sia impazzito». La porta della cabina era stata scardinata, mi feci avanti senza varcare l’uscio. Leonardo stava nel mezzo della cabina ridotta ad un campo di battaglia. La cuccetta divelta e rovesciata, il divano spaccato in quattro pezzi, l’armadio sfondato, la specchiera del bagno in frantumi. Aveva rotto persino il tavolino e ora brandiva minacciosamente il sostegno di ferro tubolare, sbattendolo furiosamente contro le paratie. «Leonardo fermati, non fare così, fermati e lascia che ti parli». Si voltò verso di me. Il suo sguardo non aveva più nulla di umano, i tratti decisi ma usualmente gentili si erano stravolti, ricomponendosi in un ghigno di odio puro. Prima che pietà ebbi paura. Urlò. «Vattene via sei anche tu dei loro, vattene via andatevene tutti. Vi ammazzo, vi ammazzo tutti». E così urlando si precipitò nel carruggetto affollato, provocando un fuggi fuggi generale. Tornato sul ponte di comando, con le lacrime agli occhi riferii al comandante. Vidi che si torceva le mani. «Non resta che una cosa da fare. Chiama il nostromo e prendete la camicia di forza». Benché mi aspettassi quell’ordine non potei fare a meno di trasalire. Non sfuggì al Comandante la mia inquietudine. «È triste lo so, ma non c’è altro da fare. Proveremo dopo a sedarlo e metterlo ai ferri». Il nostromo arrivò presto ed arrivò anche il Capo Macchinista. In seguito ad un rapido conciliabolo fu convenuta la linea d’azione. Fu formata una squadra di dieci persone scelte fra le più robuste. La squadra sarebbe stata guidata dal Primo Ufficiale di coperta. Con il cuore in gola aspettai che tutto finisse. Le due ore successive furono innominabilmente lunghe e per quanto mi sforzassi di ricordare le parole di qualche dimenticata preghiera non fui capace di articolarne nemmeno una strofa. Ero nervoso e mi sentivo agitato. Il Primo Ufficiale salì sul ponte alle 23.30 per riferire che Tridente “era stato messo sotto controllo”. Ansimava pesantemente e ciò mi fece subito intendere che la lotta era stata parecchio dura. «È completamente impazzito», raccontò. «Gli abbiamo dovuto far passare una ghia tra le gambe per farlo cadere e poi siamo dovuti saltargli addosso tutti insieme. Probabilmente ha spezzato un braccio a Celeste». «Alla fine gli abbiamo infilato la camicia di forza e dopo lo abbiamo sedato. Per precauzione gli ho fatto legare i piedi. Ho lasciato un marinaio di guardia davanti alla porta chiusa». Con il comandante discussero ancora a lungo sul da farsi, mentre io verificavo Pagina 114 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Ci rivedremo in quel porto lontano... Francesco Castorina che il caporale di macchina, Giuseppe Celeste, non aveva il braccio rotto ma per fortuna solo contuso, anche se pesantemente. L’indomani insieme al primo ufficiale andai a verificare le condizioni di Leonardo. Giaceva rannicchiato in fondo ad una cabina di rispetto che era stata foderata con materassi ed era in condizioni di non nuocere ad alcuno, neanche a sé stesso. Un sottile filo di bava gli colava dagli angoli della bocca e si sentiva uno sgradevole odore di urina e feci. Sicuramente si era fatto addosso i bisogni. «Dovremmo lavarlo…». Il primo ufficiale mi lanciò un’occhiata significativa e non mi rispose. Non so se avete mai visto un uomo costretto in una camicia di forza. È uno spettacolo impressionante che non si dimentica facilmente e che produce angoscia nel pensare come questo mostruoso articolo agisce contro l’uomo che vi è imprigionato dentro. Oltre al dispiacere ed alla pietà sentii montare in me una rabbia sorda, inespressa, priva d’indirizzo ma che era originata da qualcosa che nel coacervo di emozioni che mi attanagliavano non riuscivo ad isolare né a definire. Il pappagallo fu cercato in tutti i recessi della nave, ma come prevedibile non fu trovato. ETA a Singapore ogni due ore. Scambio frenetico di telegrammi con la Compagnia. Contatto con l’agenzia di Singapore. “Seaman L. Tridente to be consigned to specialistic equipe on ship’s arrival. Then he will moved to S’pore psychiatric hospital.” Almeno mi pare di ricordare fosse scritto così. Una sentenza… e una mazzata; non solo per me. Una cappa plumbea aveva avvolto la nave come un cupo sudario. Ore 12.36 (per i minuti considerare sempre i multipli di sei, per facilitare i calcoli…) di una grigia, brutta giornata. Rada di Singapore. Pioviggina. Quattro barche affiancate. Immigration, Polizia, Agenzia ed una quarta con quattro nerboruti infermieri. Io alla scala reale. Lo trasportano di peso. Lo imbracheranno e lo fileranno sulla barca. Non lo vedremo mai più…Mi avvicino, mi guarda, mi sorride. Poi farfuglia qualcosa: «Ci ritroveremo lì, in quel porto lontano…quello della canzone…». Cerco di sorridere ma capisco che la mia è una smorfia. Infatti, piango e fingo che sia la pioggia che adesso scende più fitta a bagnarmi il viso. «Sì, ci ritroveremo lì Leonardo, nel porto della canzone…». Ma nella canzone il porto non c’è o forse sì? All’improvviso mentre gli passano la braca tra le gambe ogni espressione sparisce dai suoi occhi, la luce è di nuovo spenta. Mentre delicatamente lo filano giù lungo la murata inizia a cantare… ”Dôme épais le jasmin, a la rose s’assemble, rive en fleurs, frais matin, … Ma…allora… aveva imparato le parole a memoria… «Leonardo, Leonardo!». Non è più alla mia vista e già la barca si stacca puntando veloce verso riva. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 115 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° I giorni successivi furono tristi per tutto l’equipaggio ma nessuno pareva voler affrontare la questione, sembrava che ognuno di noi nutrisse un malcelato pudore a parlare dell’accaduto. Era come se tutti tacitamente si rimproverassero di non avere saputo o potuto aiutare Leonardo Tridente. Tacevamo tutti; tutti, tranne uno che continuava a pontificare. «L’ho sempre detto. Era predisposto…». Mi ci ero quasi bruciato le meningi sopra ma uno dopo l’altro i tasselli del ragionamento si erano incastrati alla perfezione, andando a comporre una ricostruzione verosimile. Passo dopo passo mi ero convinto che nella vicenda il linguacciuto giovanotto di macchina c’entrasse e come! In una serie di ripetuti flashbacks avevo focalizzato che il pappagallo non lasciava mai la cabina neanche con la porta e l’oblò aperti. Più volte l’avevo visto appollaiarsi sull’apertura dell’oblò senza uscire o zampettare sino alla porta lasciata aperta, affacciarsi sull’uscio e poi tornare indietro. Era un pappagallo prudente e soprattutto aveva una lunga abitudine di navigazione. Quindi per innato spirito di conservazione, doveva avere acquisito la necessaria esperienza per non commettere sciocchezze per lui fatali. Ne ero certo! Qualcuno lo aveva fatto scappare o meglio doveva averlo scaraventato di proposito fuori bordo ad una distanza tale che il povero animale ormai desueto al volo, non poteva coprire per ritornare sulla nave. Probabilmente, per non correre rischi questo infame lo aveva ammazzato prima e poi lo aveva gettato fuori bordo. I miei sospetti sul giovanotto di macchina cominciarono ad assumere consistenza reale. Era l’unico a bordo che si era comportato male con Tridente e ne aveva pagato le conseguenze. Era quindi l’unico che avrebbe potuto avere un motivo, per quanto futile, per perpetrare un’azione così ignobile. La mia indignazione cresceva ad ogni ora di più. Mi ero ormai convinto della colpevolezza del giovanotto di macchina ed ero ben deciso a fargliela pagare. Quando si è ragazzi e si pensa di essere nel giusto non si riflette sulle conseguenze che le proprie azioni potrebbero avere. Decisi di affrontarlo. Lo aspettai quindi davanti alla sua cabina. Mi vide; probabilmente si era preparato ad un’evenienza di questo tipo perché venne avanti tranquillamente con la solita aria strafottente. «Sta cercando me?». Non risposi alla sua domanda. «Sei stato tu! Non è vero?», lo apostrofai. «A fare cosa?». «Ad uccidere e far sparire il pappagallo di Tridente». Forse non si aspettava un attacco così diretto. Negò agitando la testa, ma il luccichio dei suoi occhi lo tradì. «Avevo ragione! Sei stato tu sudicio leccapalle bastardo!». La paura lo aveva paralizzato. Lo sovrastavo in altezza e la mia espressione doveva essere feroce. Non riusciva ad articolare risposta. Lo afferrai per il bavero sollevandolo letteralmente da terra. Un paio di braccia robuste mi cinsero immobilizzandomi. «Non si sporchi le mani, sior, non ne vale la pena con questa merda». Pagina 116 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Ci rivedremo in quel porto lontano... Francesco Castorina Era il nostromo che mi trasportò di peso distante, mentre il bieco individuo si chiudeva precipitosamente in cabina. Così immediatamente capii che anche altri erano arrivati alla mia stessa conclusione. Tremante di rabbia repressa ringraziai il nostromo. Mi resi conto che senza il suo intervento mi sarei con ogni probabilità lasciato andare ad un’esplosione di violenza e me ne vergognai. Alcuni giorni dopo venni a sapere che in seguito ad una “caduta” dalle scale in macchina, il giovanotto si era risolto a concludere che la permanenza su quella nave non faceva per lui e quindi aveva chiesto lo sbarco anticipato. Ci lasciò al pontile di Ras Tanura, insalutato ospite. Venni poi a sapere che la Compagnia ebbe a licenziarlo in tronco alcuni mesi dopo. Giorno dopo giorno, la benefica “routine” di bordo fece sì che tutto l’equipaggio rientrasse in una quieta normalità, anche se ogni tanto saltava fuori qualche discussione sulla vicenda. Il Comandante di tanto in tanto ci comunicava di avere avuto notizie ed invariabilmente Tridente stava migliorando… Solo dopo molto tempo ho compreso che egli al pari di noi non aveva avuto alcuna notizia, ma quelle bugie ci facevano bene e il vecchio ed esperto Comandante lo sapeva. Arrivò il giorno del mio sbarco; euforico come sempre in questa occasione, ma passando sul pontile intravidi l’oblò di quella che era stata la cabina di Leonardo e non potei impedire che mi si stringesse il cuore. Di Leonardo Tridente ho cercato di non sapere più nulla. Nel mio cuore sono sempre stato conscio di come sarebbe andata a finire. Ma qualche notizia trova sempre il modo di girare. Qualcuno mi ha riferito che dopo mesi di degenza a Singapore l’avevano rimandato in Italia. Da allora la sua vita fu un rosario di dolorosi ricoveri in un destino d’indifferenza. Una dolorosa catena di brutali cure mediche e di risultati nulli. È morto parecchi anni fa, di consunzione. Non avevo mai più ascoltato il “Duetto del Fiore” della Lakmè, quando alcune settimane orsono cercando un video musicale su internet, per sbaglio sono capitato nell’esecuzione di questo brano di Montserrat Caballè e di un’altra artista di cui ora non ricordo più il nome. Pochi minuti prima avevo visto il bando di Artemare, scoprendo con mio dispiacere che si tratta dell’ultima edizione. Ho pensato che fosse un segno del destino e che non potessi più fare a meno di raccontare questa storia che un tempo, ormai lontano, avevo deciso di tenere per me. La vita è andata avanti, con i suoi momenti belli e brutti, con le gioie e le incertezze. Incertezze che in un mondo sempre più complicato come il nostro, aumentano di giorno in giorno. Di una cosa però sono certo. Leonardo ed io ci incontreremo di nuovo, lì in quel porto lontano quello della canzone…forse incontreremo anche Lakmè e Mallika… Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 117 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il punto è che nell’aria del “Duetto del Fiore” il porto non c’è…o forse sì…del resto, io non conosco bene il francese… Dôme épais le jasmin, A la rose s’assemble, Rive en fleurs, frais matin, Nous appellent ensemble. Ah! glissons en suivant Le courant fuyant: Dans l’onde frémissante, D’une main nonchalante, Gagnons le bord, Où l’oiseau chante, l’oiseau, l’oiseau chante. Dôme épais, blanc jasmin, Nous appellent ensemble!… Il com.te della Capitaneria di Porto di Riposto, Ten. Vasc. Cesare Mariano Spedicato, consegna il Primo premio Fatti di Bordo 2009 al Cap. l.c. Francesco Castorina Pagina 118 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Zeffiro Rossi UN GIRO DEL MONDO UN PO’ PARTICOLARE È veramente per uno di quegli strani casi della vita, di cui è ricca quella del marinaio, che nel novembre del 1975, partii alla volta di Freetown in Sierra Leone per imbarcarmi sulla motonave panamense ”Sealord One”. L’agenzia che gestiva la nave a Genova, mi diede per certo, tra l’altro, che avremmo caricato nel vicino porto di Dakar in Senegal per l’Europa, dove avremmo fatto una serie di lavori necessari alla nave dopo una lunga sosta in rada a Lagos in Nigeria dove era rimasta diversi mesi in attesa di scaricare 15.000 tonnellate di sacchi di cemento. Addirittura si prevedeva una sosta di oltre un anno, perché al porto di Lagos erano arrivate tutte assieme centinaia di navi per scaricare i materiali necessari alla costruzione del nuovo porto, materiali che le autorità nigeriane avevano ordinato in un unico blocco senza tener conto di un programma dei tempi di discarica. L’armatore della nave decise arbitrariamente di abbandonare la rada, poiché aveva stipulato un contratto sfavorevole, in pratica senza stabilire un tempo di consegna. Per avere disponibile la nave decise allora di sbarazzarsi del carico gettandolo a mare al largo delle coste della Sierra Leone. Per questa particolare discarica furono assoldate varie decine di lavoratori locali. Un atto illegale quello di non consegnare un carico, gettandolo addirittura a mare, eppure fu compiuto anche da altre navi di diverse nazioni nelle stesse condizioni, dopo che alcune avevano atteso in rada fino ad oltre un anno. Partii da Roma con volo Alitalia per arrivare ad Abidjan in Costa d’Avorio dove giunti in ritardo persi la coincidenza verso la Sierra Leone. Contattata l’Agenzia in Italia, fui appoggiato alla Comaf di Abdjan nella persona del Signor Sommariva il quale mi comunicò che la nave si trovava ora a Bissau in Nuova Guinea, dove avrei dovuto raggiungerla. Così lunedì alle 14 partii per Dakar dove ad attendermi c’era un incaricato dell’Agenzia che mi accompagnò in albergo, visto che la partenza per Bissau era prevista per mercoledì. In cuore sentivo che quest’imbarco sarebbe stato diverso da tutti gli altri, e che il rientro in Europa mi puzzava, proprio perché come inizio era già un po’ incasinato e poi in agenzia sentivo parlare di viaggi alla “busca”. Fino allora non ero un navigante da “malafora” come si usa dire: conoscevo queste zone dove avevo già fatto alcuni viaggi di tronchi e merce varia, per arrivare massimo a Duala in Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 119 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Camerum. Ero stato in Nord Europa sino in Mar Baltico ma tutto sommato avevo sempre navigato il Mediterraneo. Inoltre sino ad allora eravamo nel 1975, avevo volato poco e solo con linee europee. Addirittura una volta in Finlandia, altre a Londra e Amsterdam, sempre con aerei affidabili come i DC9 di grandi compagnie aeree. In quell’occasione oltre alla “Gana Air Line”, volai con la “Senegal Air Line” a bordo di un velivolo bimotore a elica, forse un residuato dell’ultima guerra, con il quale a volo quasi radente abbiamo raggiunto Bissau. Ci fu uno scalo intermedio a Zingumchor una pista erbosa sempre in Senegal di cui appresi poi trattarsi di un importante punto di partenza per safari. Comunque dopo sei giorni di viaggio arrivai finalmente a bordo del “Sealord One”, il quale non mi fece una buona impressione, anche se poi mi ricredetti. Un bel barcone stile “Carrette”, come piacciono a me. Stazzava almeno 15.000 tonnellate, molto trascurato a causa dell’avventura vissuta in questi ultimi mesi. L’equipaggio era misto in maggioranza spagnoli, sia comandante, primo macchinista e per fortuna cuoco e garzone erano italiani. Si trattava di una classica bandiera ombra, un sistema a quei tempi molto usato da armatori italiani con pochi scrupoli, che sotto bandiere panamensi e Società di comodo Svizzere potevano evadere tasse e altro. Da Bissau andammo a Dakar, una piccola sosta tecnica, per far intervenire una squadra di sommozzatori specializzati nella pulizia delle carene. Intanto fu avvicendata una parte dell’equipaggio, tra cui il comandante ed il primo macchinista. La novità? Come dubitavo non si rientrava più in Europa, si andava a far carico di soia a Rio Grande Do Sul in Brasile per Jakarta in Indonesia e Manila nelle Filippine. Addio pronto ritorno a casa! Partimmo da Dakar il 22 novembre del 1975, il 25 passammo la linea dell’Equatore, per me era la prima volta e perciò assieme ad altri fui costretto ad adempiere ai consueti riti. Nell’occasione mi fu rilasciato un attestato che conservo sempre tra le mie carte, dove sopra un pezzo di carta nautica si certificava che Zeffiro Rossi quel giorno, anno del Signore 1975, aveva felicemente attraversato la linea dell’Equatore e debitamente sacrificato alle benigne Deità del Mare Atlantico aveva compiuto tutti i riti prescritti dalle leggi degli oceani. Il certificato corredato dall’immagine di una sirena e dal sigillo della “Olympus Co Inc” era rilasciato in forza delle autorità concesse dalle Deità e dalle Leggi del Mare. La navigazione fu regolare, alcuni normali problemi in macchina, ma niente di particolare, la mattina del 4 dicembre arrivammo a Rio Grande Do Sul dove ci fermammo circa una settimana. Da qui, pur senza saperlo, iniziò il mio primo indimenticabile giro del mondo di cui racconterò tra l’altro alcuni avvenimenti che vanno al di là della vita normale di bordo. Non racconterò né di tempeste, né di avarie, ma dei luoghi in cui facemmo scalo durante quella circumnavigazione del globo e in particolar modo di persone che furono protagonisti di un avvenimento probabilmente unico almeno nella nostra marineria, di cui sono stato testimone. Nella sosta di Rio Grande, chissà perché, acquistai un cucciolo (cachorros) di pechinese, forse mi parve che un animale così tanto simpatico poteva essere il buon Pagina 120 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un giro del mondo un po’ particolare Zeffiro Rossi compagno di un viaggio che probabilmente era destinato a essere molto lungo, infatti, il Senti, così lo chiamai, variò il ritmo del passar del tempo nelle lunghe navigazioni, anche se a dir il vero non ci fu molto di che annoiarsi. Con il comandante, capitano di Savona, eravamo coetanei e instaurammo subito un buon rapporto. Passavamo il tempo in lunghe conversazioni, tanto più che pranzavamo assieme nel salone a centro nave. Discreto uomo sempre sorridente, era come me un buon chiacchierone e oltre che esperto navigante, era proprio da “malafora”, aveva una buona cultura generale. Un tipo moderno in possesso di una buona dose di simpatia, che trovava il tempo di pensare ad altro, oltre che a quello di essere il comandante. Non era certo come molti altri, tutti d’un pezzo, che se pur professionalmente bravi, emanano solo il sussiego del comando. Intenditore d’arte, di sport, tifava Genoa, tra l’altro m’insegnò a giocare al meraviglioso gioco degli scacchi. Sul ponte di comando m’illustrava la navigazione, le rotte che facevamo e il perché, i punti salienti, il cielo stellato che nell’emisfero Sud è diverso con meno stelle e costellazioni dell’emisfero Nord. In poche parole era il comandante che piaceva a me. Mi ricordava il Partiti di Viareggio, uno dei primi comandanti di lungo corso che ebbi modo si apprezzare quando ero ancora secondo macchinista. Il primo e secondo ufficiale di coperta spagnoli erano abbastanza bravi: educato il primo, un po’ strafottente il secondo. Spagnola era in maggioranza la nazionalità del personale, inoltre c’erano un indiano, due arabi, un argentino e un brasiliano e due cinesi. In ogni modo tutto era tranquillo e ci si capiva bene. Mancava il terzo di coperta perché sbarcato a Rio Grande per malattia, il comandante faceva quindi la sua guardia. Il marconista, un personaggio curioso con il suo barbone sembrava uno zombi, eppure era valido e solerte, sempre in stazione radio, curava molto le notizie degli avvenimenti che giungevano da tutto il mondo, in particolar modo dalla Spagna e dall’Italia. In macchina, sia il secondo che il terzo erano due giovani ufficiali volenterosi, uno abbastanza esperto mentre l’altro, al suo primo imbarco da ufficiale, era sempre un po’ acerbo, ma aveva voglia di imparare e questo per me era una cosa importante. La maggioranza degli spagnoli provenivano da Vigo l’importante porto della Galizia, cuoco e garzone fortunatamente erano italiani e si mangiava benino. In macchina purtroppo patimmo l’imprevisto sbarco di tre persone, il caporale, l’elettricista e un ingrassatore, una perdita pesante che bene o male superammo. Il primo macchinista, cinquant’anni, di Rapallo, un po’ chiacchierone e semplicione, era comunque un buon collaboratore, anche se un po’ troppo in confidenza col personale spagnolo che lo avevano in antipatia. Da Vigo, ci aveva raggiunto a Rio Grande la moglie del secondo macchinista, che aveva avuto autorizzazione dal comandante e dai armatori di portarsi a bordo la giovane sposa Beatriz, una bella figliola di 23 anni, mora, non troppo alta, un che di gitano. Con il marito facevano una bella coppia, felici ed invidiabili. Si erano sposati da pochi mesi. Il giorno del Natale, dopo aver percorso circa 3600 miglia, completavamo la traversata dell’Oceano Atlantico, infatti, alle nove, doppiato Capo di Buona Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 121 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Speranza, eravamo al traverso di Capo Agulhas, il punto più meridionale del continente africano. Da quel punto affrontavamo l’Oceano Indiano con una rotta verso Nord Est che attraversato il Tropico del Capricorno ci portava verso le più miti zone equatoriali. Alle tredici per la ricorrenza del S. Natale, com’è usanza su tutte le navi, pranzammo tutti assieme nel salone mensa ufficiali, mancava solo il personale di guardia. Il locale era addobbato con i tradizionali festoni lucenti; un bell’albero di Natale tutto illuminato rendeva suggestivo l’ambiente. Una volta che tutto l’equipaggio fu a tavola, il comandante, con un breve e toccante discorso, ricordò le nostre famiglie lontane. Dopo l’applauso di rito la bella Beatriz c’invitò ad alzarci e... En nombre del Padre del Hijo y del Espiritu Santo. Padre nuestro, que estás en el cielo, santificado sea tu Nombre; venga a nosotros tu reino y hágase tu voluntad aqui en la tierra como en el cielo y en la mar; danos hoy nuestro pan de cada día y perdona nuestras ofensas, como tambien nosotros perdonamos a los que nos ofenden; no nos dejes caer en la tentación, y líbranos del mal. Amén. Ci fu un momento di commozione anche per chi non era avvezzo alla preghiera. Poi un ricco pranzo natalizio senza dimenticarci che eravamo in navigazione e che dovevamo riprendere presto il consueto ritmo della vita di bordo, ognuno con il proprio lavoro, con i propri pensieri e con le proprie speranze. Venne così anche la notte dell’ultimo dell’anno, trascorsa in lontananza tra il Madagascar e gli arcipelaghi delle famose Isole Mauiritius e della Réunion, mentre ci apprestavamo ad oltrepassare la linea del Tropico Capricorno. Il tempo era buono, si navigava bene. A mezzanotte, ora locale quattro ore avanti all’orario italiano, festeggiammo l’arrivo del 1976. Questa volta nella mensa equipaggio, dove c’era molta allegria animata dai canti degli spagnoli. A differenza del giorno di Natale ci fu anche qualche bicchiere di troppo bevuto durante il cenone. Verso la mezzanotte, Beatriz, che si era assentata da tavola, fece la sua comparsa, indossando un vestito rosso molto attillato che metteva in risalto tutta la sua bellezza adornata da un’elegante mantiglia nera. Eravamo al massimo del brio e appena lei accennò un Paso Doble, si scatenò una danza generale, e fu il finimondo: Ole!, Ole!, Ole! Tutti divennero dei toreador, sembrava d’esser in una balera di Barcellona, il tacchettio dei passi del ballo era frenetico, il pavimento della mensa vibrava e tutto durò fino a quando Beatriz con un salto felino saltò su un tavolo e diede inizio ad un numero di ballo straordinario. Tutti ci ammutolimmo, probabilmente vinti dalla stanchezza dovuta al troppo bere, ma sicuramente incantati da quella creatura che sul tavolo risvegliava in noi i mai sopiti desideri. Intanto il viaggio proseguiva. Era il 13 gennaio, quando verso sera entrammo nello Stretto di Sonda, tra Giava e Sumatra. Con un percorso di circa 5000 miglia avevamo felicemente attraversato anche l’Oceano Indiano. Nello stretto passammo vicino all’isola di Rakata, famosa per il vulcano Krakatau che il 27 agosto 1883 ebbe l’eruzione definita la più violenta mai registrata a memoria d’uomo. 36.000 Pagina 122 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un giro del mondo un po’ particolare Zeffiro Rossi furono i morti causati dagli tsunami generati dal fenomeno; persino il clima terreste subì rilevanti mutazioni. A parte il ricordo della tragedia vissuta in quei luoghi neppure cento anni prima, il panorama era spettacolare, le isole con le loro coste lussureggianti di vegetazione tropicale erano affascinanti. La mattina del giorno dopo arrivammo a Jakarta, dove scaricammo 3.000 tonnellate di sacchi di soia, tra un acquazzone e l’altro che mai n’avevo visti di così violenti. Per raggiungere Manila nelle Filippine dove arrivammo in poco meno di una settimana, ci aspettava il Mar di Cina. Rientrati con il passaggio dell’Equatore nel nostro emisfero, navigando sotto le coste del Borneo e poi nel pericoloso passaggio del Palawam lungo l’omonima isola, come un molo di 200 miglia, in un cristallino e meraviglioso mare, giungemmo felicemente nella gran baia di Manila. Gran bella città Manila, bei locali, belle ragazze. Molte hanno il vezzo di incapsulare in oro un dente canino. Che strano, ma ho sempre notato questo particolare sfizio delle genti asiatiche. Forse per questo approfittai della sosta per sistemarmi i denti e confesso che anch’io fui tentato da questa moda. La sosta durò oltre dieci giorni per scaricare in rada il carico su barconi con i nostri verricelli, che ci procurarono tanti problemi. Un po’ tutti godemmo quindi di alcune belle franchigie. Acquistammo un paio di camicie bianche ricamate, modello Baron, indossate su pantaloni blu, la divisa simbolo dei filippini; eravamo molto eleganti nel frequentare locali come ristoranti, e night. Intanto giunse notizia di andare a Bangkok a caricare zucchero diretto verso i porti USA. Nel viaggio per la Thailandia, attraverso il Mar di Cina, navigammo lungo le coste del Vietnam, dove giusto un anno prima il 30 aprile 1975, era finita una famosa e cruenta guerra. Il mio pensiero andò alla tragedia che aveva vissuto e continuava a vivere il popolo vietnamita, anche dopo che Saigon aveva preso il nome di Ho Chi Minh; infatti, di lì a poco avremmo sentito parlare di questo mare per le famose Boat People, cariche di gente in fuga. Si sarebbe trattato di almeno 40.000 persone che tra i flutti del mare sarebbero andate in cerca di una nuova libertà. A Bangkok ormeggiammo alle boe al centro del fiume Chao Phraya che lambisce la città. Qui caricammo lo zucchero grezzo che arrivava in sacchi a bordo dei caratteristici sampang, tipiche barche dove vive tutta la famiglia. I sacchi caricati, sempre con i nostri verricelli e posti sulle stive chiuse, venivano aperti con il taglio delle cuciture e scaricati da basso attraverso alcuni boccaporti aperti. La Venezia dell’Est, come era chiamata in passato Bangkok perché costruita su un dedalo di canali, ci circondava con il suo folclore, ed era presente anche a bordo dove era tutto un andirivieni di genti che svolgevano le più disparate attività. Dai mercanti al commercio minuto, agli addetti al carico e ai punti di ristoro sotto tendoni inventati nell’occasione, dove era possibile mangiare piccanti bocconcini di pesce e verdure e bere bevande a base di tè. Molte giovani offrivano la loro compagnia; probabilmente noi le avremmo Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 123 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° chiamate prostitute, ma per la loro dignità sembravano qualcosa di diverso. Queste ragazze non mercanteggiavano, chiedevano solo di farti compagnia e di stare in cabina per offrire i loro servigi, lavare la biancheria, pulire l’alloggio, cucinare e perché no, anche per far l’amore. S’improvvisavano come spose fedeli per tutta la sosta della nave, certo col tempo potevano essere invadenti, perché come spose erano tanto perfette da esser perfino gelose e possessive. Di questo se ne accorse il primo macchinista Giovanni Aste, perfetto ma sprovveduto donnaiolo che cadde nella tela di Nong, una bella ragazza di circa 18 anni che non gli permise di fare neppure una sera di franchigia e quando una sera, dopo dieci giorni, lui cercò di liberarsene, e forse lo fece in maniera troppo rude, lei in risposta fece un gesto inconsulto: preso un coltello, si tagliò le vene di entrambi i polsi. A bordo fu il caos, il comandante in attesa che arrivassero i soccorsi medicò con perizia le ferite riducendo l’abbondante perdita di sangue, certamente questo valse a salvare la vita a Nong, che finché non perse i sensi ebbe un contegno dignitoso e senza un lamento. Bamgkok, il piccolo Senti con un topino Assieme ai medici giunti con una barca ambulanza, arrivarono un gruppo di poliziotti che dopo una sommaria inchiesta portarono a terra comandante e il primo di macchina Aste. Avvertito l’Agente marittimo. Restammo nell’attesa degli eventi. Era circa mezzanotte, quando due gendarmi rimasti a bordo fecero sbarcare tutti quelli che non facevano parte dell’equipaggio. Il giorno dopo la nave era sotto sequestro, nessuna operazione di carico, nessun evento e neppure notizie del comandante. A bordo era una desolazione. Solo il giorno successivo, finalmente verso sera una barca accostò sotto bordo e ne discesero il comandante ed il macchinista. Tutto era chiarito, la ragazza stava bene e di lì a poco la vita di bordo, che si era fermata così bruscamente, riprese con tutto il suo colore. Trascorsero appena due giorni e ricomparve Nong, la quale con le evidenti fasciature ai polsi raggiunse con passi flessuosi il corridoio dove alloggiavano gli ufficiali di macchina. Rimase col suo compagno sino all’ultimo, per scendere da bordo alla partenza della nave, addirittura fuori del porto con la barca del pilota. Il carico di zucchero, per motivi di pescaggio fu completato nell’isola di Ko Si Chang da dove il 26 febbraio partimmo per San Francisco. Questa volta dovevamo traversare l’Oceano Pacifico con un viaggio di oltre 8.000 miglia ed un mese circa di navigazione. Ecco che dopo le movimentate soste in Indonesia, Filippine e Thailandia, ritornava la tranquilla monotonia della navigazione. La sosta a Bangkok è stata, per le affascinanti bellezze e caratteristiche del luogo, uno dei miei più bei ricordi di navigante, anche se purtroppo rattristata dalla storia d’amore della povera Nong. Ma come dimenticare questa città anche per le trasgressive franchigie. Il giro dei bagni turchi dove in un grande locale chiuso da una vetrata stavano sedute su Pagina 124 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un giro del mondo un po’ particolare Zeffiro Rossi una gradinata decine di massaggiatrici; ognuna portava sul petto una coccarda con un numero e tu potevi chiamare la preferita per mezzo di un microfono. E come dimenticare i tradizionali ristoranti, dove abbondavano squisiti piatti a base di crostacei. Erano circa tre mesi che la maggior parte dell’equipaggio era imbarcato e purtroppo proprio tra il personale di macchina notavo un certo malumore. Ne parlai con Aste il primo macchinista il quale confermò i miei dubbi, dicendomi che gli spagnoli ce l’avevano con lui, visto che le malelingue di bordo gli rimproveravano di aver fatto la corte alla moglie del secondo macchinista. La cosa, visto il tipo, non mi sorprendeva più di tanto, ma ero certo che a parte il fatto spiacevole e poco riguardoso verso un collega, la cosa non era andata oltre. Comunque qualcosa bisognava pur fare, avrei voluto parlarne con il comandante ma tirare ancora in ballo Aste mi dava fastidio; decisi allora di guardarmi attorno e capire come stavano veramente le cose per vederle da un’altra prospettiva. Da tempo a dire il vero avevo osservato che i due giovani sposi, erano troppo in confidenza con il terzo di macchina Alfonso Galban ed il secondo di coperta Ramon Ferrà. Va bene che erano paesani, ma tutto ha un limite. Avevo notato pur distrattamente che Beatriz, di prima sera, quando il marito riposava, perché alla mezzanotte doveva montare di guardia, “girondolava” per bordo a far chiacchiere con chiunque. Ogni tanto capitava anche nel mio alloggio per fare le feste a Senti, così si parlava del più e del meno, del suo paese in Galizia, delle tradizioni, del Santuario di Santiago de Compostela, dove è sepolto San Giacomo, e dove arriva il famoso e lungo Cammino percorso dai pellegrini. La cerimonia del “botafumero”, il tradizionale e particolare turibolo d’argento che oscillando sopra le teste dei fedeli sparge l’incenso. Inoltre, spesso quando mi intrattenevo in plancia con il comandante, la vedevo salire sul ponte di comando non appena montava di guardia Ramon il secondo Ufficiale di coperta. Noi scendevamo da basso e la ragazza restava sul ponte, sembra addirittura per tutte le quattro ore di guardia. Il timoniere ebbe a dire che erano quattro ore di tenerezze. La ragazza aveva dunque un flirt con Ramon, e la cosa oltre che sorprendente era almeno incomprensibile. Tuttora anche non volendo parlare di scandalo, non riesco a capire come sia potuto avvenire che una giovane sposa, sempre in gita di nozze, abbia perduto, direi stupidamente la testa. Dicono sia l’effetto del mare, dell’aria salmastra, della lontananza dal mondo con i suoi preconcetti, che può tirare di questi scherzi. Lo sanno bene coloro che hanno navigato sulle navi passeggeri, ma quelle erano avventure che certo non avevano conseguenze come in questo caso. Le cose in macchina non andavano purtroppo come io volevo e, infatti, ero costretto a stare di più da basso avendo perso un po’ la fiducia in tutti. Una sera risalendo in cabina non trovai come il solito ad aspettarmi festoso il Senti, lo chiamai ma niente da fare. Cominciai a cercarlo anche in cucina dove ogni tanto andava in cerca di cibo, ma nessuno lo aveva visto e la cosa mi sembrava veramente strana. Lo cercai con la torcia elettrica all’esterno, sul ponte lance, Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 125 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° attorno all’osteriggio di macchina; lo chiamavo ma non avevo risposta. Partecipava alle ricerche anche Beatriz. Con una certa angoscia cominciai a pensare che forse era caduto in mare e lei che in continuazione diceva “qué penas qué penas”, m’indispettiva e, infatti, le dissi di stare zitta. Fu allora che udii un mugolio, il cuore mi si rasserenerò; nessun altro segnale, la bestiola taceva, ma ormai ero certo che era a bordo e continuai nelle ricerche. Finalmente lo investii con il fascio di luce, fu un caso perché mai avrei pensato fosse sulla piattaforma che sostiene in alto sul fumaiolo la sirena. Mi arrampicai sulla scala a pioli per portarlo giù; mi sommerse di feste, tremava impaurito, ma chi lo aveva messo lì? Perché mi si faceva questo dispetto? Da quel momento lo lasciai sempre chiuso in cabina, quando scendevo in macchina, ma intanto chiamai Salvador il secondo macchinista, chiusi la porta e lo affrontai con decisione, ritenendo lui e i suoi paesani responsabili del gesto. Che parlassero chiaro, dov’era il problema? Mi confermò che i rapporti si erano guastati con il signor Aste in seguito alle attenzioni rivolte a sua moglie. Gli risposi che sinceramente mi sembrava un comportamento eccessivo e stupido da parte sua, perché Aste non pensava minimamente a Beatriz. Forse tempo addietro poteva aver avuto nei suoi riguardi qualche galanteria o forse un’eccessiva gentilezza, che è propria di noi latini. Ebbi allora l’ardire, ma ero tanto arrabbiato, di domandargli se tra lui e sua moglie andava tutto bene, mentre doveva essere felice di questo particolare viaggio di nozze. Il ragazzo scoppiò in pianto, era a conoscenza del rapporto tra Beatriz e Ramon il secondo di coperta: era disperato e non sapeva che pesci prendere. Mi fece pena, ma io come potevo aiutarlo? Difficile dargli dei consigli, eravamo in alto mare in un oceano sconfinato. Lo rincuorai con la promessa che noi italiani lo avremmo aiutato e compreso più dei suoi paesani. All’arrivo in America, mancava ancora una settimana, poteva decidere qualsiasi cosa per risolvere questo problema, ma intanto che cercasse di stare tranquillo, e non in disaccordo con noi, che tanto non serviva a niente. Chiamai su da me anche Alfonso il terzo di macchina. Capii subito il suo ruolo di pettegola comare che soffiava sul fuoco, chiamai anche Aste. Dopo esserci spiegati e chiarito il disaccordo, promettemmo al ragazzo che assieme avremmo fatto tutto il possibile per aiutarlo. Effettivamente già dall’indomani le cose in macchina migliorarono, la relazione tra i due amanti era divenuta ormai di dominio pubblico, tanto che Beatriz si trasferì direttamente nell’alloggio dell’amante e non si vide più a poppa. Tra lei che andò a vivere negli alloggi del ponte di centro e il marito in quelli di poppa, c’erano a dividerli, per ironia della sorte, due stive piene di zucchero. Pochi metri che erano come migliaia di miglia. Il comandante convenne che la situazione era grave tanto che poteva dar luogo a spiacevoli episodi e l’unica cosa era di stare attenti fino all’arrivo a San Francisco dove avrebbe provveduto a sbarcarli tutti e tre. Il 18 marzo passammo da Ovest a Est la linea del 180° meridiano e di cambiamento di data e ripetemmo così quel giorno. Quante novità per me in questo viaggio che, nonostante tutto mi stava affascinando come non mai. Giungemmo in America il 29 marzo, la prima cosa che mi colpì fu il colore del Pagina 126 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un giro del mondo un po’ particolare Zeffiro Rossi paesaggio, il cielo, il mare e la terra non avevano il terzo azzurro dei nostri luoghi, ma tutto mi appariva di un tenue pastello, come se mi trovassi in un quadro. Era la prima volta che arrivavo in America, quante volte avevo desiderato questo momento, da giovane filoamericano, non politicamente s’intende ma affascinato dal sistema di vivere, visto al cinema, dalle loro canzoni alla moda e da tante altre cose che in Italia erano ancora tabù. Che grande emozione quando passammo sotto il Golden Gate, il mitico ponte sospeso che con i suoi 2700 metri apre l’accesso alla Baia di San Francisco con al centro l’isola dove si trova Alcatraz, forse il più famoso carcere del mondo. Passare sotto quel ponte alto 67 metri sul mare, con gli alberi della nave che sembrava toccassero Il Golden Gate Bridge le sue strutture, mi ricordò le emozioni che avevo provato transitando lo Stretto di Messina, quando sembra toccare i cavi dell’alta tensione, che vanno dalla Calabria alla Sicilia. Ormeggiammo al porto di Crockett, dove arrivarono subito a bordo i rappresentanti dell’Agenzia Marittima con i nuovi dell’equipaggio: i due secondi ufficiali e finalmente gli altri tre di macchina che mancavano da Rio Grande in Brasile. Sembrava tutto risolto quando gli sbarcanti ed anche Beatriz che risultava a ruolo come cameriera, chiesero l’intervento del sindacato I.T.F. e del consolato spagnolo perché non intendevano sbarcare senza giustificato motivo. Infatti, chi mai si è trovato a sbarcare qualcuno per adulterio? Questa risoluzione del rapporto di lavoro non è contemplato in nessun contratto di lavoro. La situazione era tragico comica, ma da Lugano gli armatori fecero sapere che dovevamo partire subito perché avevamo cancello a Vancouver in Canada per un carico di zolfo e non potevamo rischiare di perderlo. Così i tre attori di questa storia restarono a bordo. Il nuovo ufficiale di coperta arrivato andò comunque a coprire quello del terzo che già mancava mentre in macchina mi trovai un ufficiale in più. Arrivammo a Vancouver il 4 aprile per ripartire alla volta di Buenos Aires, carichi di Zolfo. Durante la sosta il primo macchinista Giovanni Aste sbarcò ammalato, ironia della sorte Salvador il secondo che doveva essere sbarcato a San Francisco, passò primo di macchina e tutto a bordo ritornò tutto normale: equipaggio al completo, la luna di miele tra i giovani sposi definitivamente finita, perché la sposa rimase nell’alloggio di Ramon, io ed il comandante tornammo alle nostre abitudini e alle nostre partite a scacchi; in macchina tutto era regolare, il Senti non rimase più chiuso in cabina. A tarda sera del 6 aprile si partì da Vancouver. Il pilota sbarcò alle sette del Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 127 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° mattino dopo a Victoria. Da quel momento si percorse lo stretto di Juan de Fuca fino al Pacifico per poi intraprendere un lunghissimo viaggio che navigando verso Sud lungo le due Americhe, ci avrebbe portato attraverso lo Stretto di Magellano in Oceano Atlantico per giungere poi a Buenos Aires. In quell’anno, infatti, il Canale di Panama era chiuso per motivi politici. A bordo tutto procedeva per il meglio a parte le normali problematiche all’apparato motore che, benché le molte ore di moto si comportava egregiamente. Il passaggio di Salvador da secondo a primo macchinista mi dava occasione di parlare più spesso con lui. Alcune volte il discorso cadeva inevitabilmente su sua moglie e sul comportamento tenuto a San Francisco A mio avviso sarebbe stato meglio se fosse sbarcato per non continuare a vivere una situazione certamente insopportabile. Mi diceva che non era più innamorato della moglie, e mi parlava del gran problema che lo affliggeva, quello di riportare Beatriz a casa. Lo aveva promesso a suo padre quando da Rio Grande aveva telefonato a Vigo per farla venire a bordo. Il padre non era per niente contento, nutriva certe preoccupazioni per una ragazza che così giovane, affrontava una simile esperienza e poi gli dispiaceva stare tanti mesi senza vedere quell’unica figlia. Lui riuscì a strappargli il consenso, prendendo l’impegno che l’avrebbe protetta da tutto garantendo che non esistevano problemi di sorta, e non si doveva preoccupare. Ora il suo scopo era di riportarla a casa ad ogni costo. Diceva che se fossero sbarcati in America l’avrebbe persa per sempre. Certamente il ragazzo aveva ragione, certo mi faceva pena e non so cosa avrei fatto per aiutarlo. Il 20 aprile oltrepassammo la linea dell’Equatore tenendo al lato dritto le isole care a Charles Darwin cioè l’arcipelago delle Galàpagos, mentre il 24 effettuammo uno scalo tecnico a Callao in Perù per operazioni di bunkeraggio. Il primo maggio un’altra breve sosta a Valparaiso per imbarcare il pilota, perché avremmo navigato verso Sud alla bonaccia nei fiordi frastagliati della Patagonia Cilena. Questi con circa 800 miglia conducono fino allo Stretto di Magellano e con altre 300 miglia saremmo giunti in Oceano Atlantico. L’isoletta di Clio con la statua della Vergine protettrice dei marinai Pagina 128 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Un giro del mondo un po’ particolare Zeffiro Rossi Inizia l’Angostura Englesa Entrammo nella rotta dei fiordi dalla parte estrema a Nord del golfo di Ancud e poi, verso quello del Corcovado, e di Penas. Ancora uno stretto e lungo canale tra un intricato labirinto d’isole e fiordi, che verso Sud presenta un passo molto pericoloso, largo appena una decina di metri è quello dell’Angostura Englesa, dove le correnti possono raggiungere anche sei nodi. Proprio al centro nel punto più stretto si trova Clio, un’isoletta di pochi metri quadrati, dove nel 1949 gli uomini della Marina Cilena posero la statua della Vergine, Nostra Signora Stella Maris, protettrice dei marinai che in cerca di riparo dalle tempeste oceaniche si avventurano in questo tortuoso e pericoloso stretto passaggio. L’idea che da lì a pochi giorni saremmo “sboccati” in Atlantico riempiva il cuore di gioia. Sembrava di ritornare nei nostri mari. Dopo esser stati dall’altra parte del globo completavamo il giro del mondo geografico, vale a dire senza il passaggio di canali artificiali ed il fatto di concludere questo viaggio ci faceva assaporare la sensazione del ritorno a casa. Infatti, all’arrivo a Buenos Aires molti di noi sarebbero sbarcati per avvicendamento dopo circa sette mesi d’imbarco. Anche Salvador mi diceva che alla conclusione del viaggio probabilmente sbarcava rientrando in Spagna con la moglie. Il ragazzo era molto fiducioso, Beatriz nei giorni precedenti in un breve colloquio gli era sembrata pentita e disposta a ritornare a casa, dove avrebbero deciso del loro futuro. La navigazione tra i fiordi procedeva tra le meraviglie della natura; i panorami erano spettacolari. Passammo sotto montagne con i ghiacciai perenni che scendevano sino al mare. Addirittura si ammirarono isolette gremite di foche. Il mattino del 6 maggio entrammo nello Stretto di Magellano, con una prima parte molto stretta, tra monti a picco, poi larghissimo come un mare. A destra la Terra del Fuoco. Nella notte notammo molti fuochi a terra, ma non erano quelli che videro gli uomini di Magellano, quelli accesi dagli abitanti per riscaldarsi: erano le fiamme dei pozzi petroliferi e dei giacimenti di gas. Dirigemmo verso Punta Arenas dove sarebbe sbarcato il pilota, dopo di che avremmo continuato da soli la parte rimanente sino all’oceano. Erano circa le 11 di mattina, le guardie si apprestavano ad andare a tavola, mentre il comandante, il pilota, il terzo ufficiale eravamo sul ponte di comando. Era tutta la mattina che dalla cabina dei due amanti alcuni piani più sotto, ci giungevano accesi litigi, ma in quel momento gli urli anche se non capivamo cosa si dicevano si fecero più forti, tanto che in seguito ad un urlo esagerato il comandante disse al marinaio di andare a vedere cosa succedeva e di farli se non altro star zitti. Il marinaio di lì a poco riapparve stravolto e in preda ad una crisi isterica riuscì a dire “l’ha uccisa”. Ci precipitammo a basso e vedemmo sulla cuccetta in un lago di sangue Beatriz, l’amante aveva sempre in mano il rasoio con il quale le aveva tagliato la gola. Furono gli ultimi istanti di vita di Beatriz che spirò tra le braccia del comandante il quale non riuscì a far niente per salvarle la vita. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 129 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Che cosa successe in quegli istanti è indescrivibile, io tolsi il rasoio di mano a Ramon e lo accompagnai di forza in una vicina cabina libera; poi chiamai un marinaio perché facesse buona guardia sull’omicida per impedire altri atti inconsulti e difenderlo dal marito che urlando minacciava di ucciderlo. Tutto l’equipaggio era accorso al centro, intanto il comandante coadiuvato dal marconista e dal pilota avvertiva le autorità marittime di Punta Arenas. Di lì a poco giungemmo in rada a Punta Arenas, dove si diede fondo. Subito arrivarono numerosi agenti di polizia, un dottore e degli infermieri. Per Beatriz non c’era proprio più nulla da fare. Qualcuno a poppa aveva già messo la bandiera a mezz’asta. Il dottore praticò una flebo al marito che era in uno stato di depressione preoccupante, gli agenti arrestarono subito Ramon portandolo immediatamente via. Passate un paio d’ore anche il corpo di Beatriz rinchiuso in una bara fu trasportato all’obitorio della città cilena, lo accompagnava il marito assistito da un medico e dall’agente marittimo. A bordo scese il più grande sgomento, nessuno pronunciava una parola, qualcuno piangeva e si domandava perché. Nessuno poteva rispondere a questa domanda. Era certo che la ragazza, così come avevano sentito dai litigi del mattino, voleva ritornare con il marito, ma l’amante accecato dall’ira non intendeva saperne. Passarono due giorni e, completate le indagini, ottenemmo il permesso di ripartire, non prima di andare a salutare e portar conforto al povero Salvador. Il comandante dispose che fosse assistito dall’agenzia marittima per ogni necessità e per il rientro in Spagna della salma una volta espletate tutte le formalità. Ci abbracciammo a lungo con Salvador il quale nel ringraziarmi mi sussurrò: “La riporto a casa”. Ramon in prigione, aveva ricevuto la visita del Console spagnolo ed era in attesa di processo e probabile estradizione. Anche per lui il comandante dispose che fosse assistito: rimaneva pur sempre un giovane membro dell’equipaggio, vittima di una cieca gelosia. Si concluse così in maniera tragica questa storia che oltre, alla tristezza ci lasciò anche un sentimento di colpa: avremmo potuto fare qualcosa perché ciò non accadesse? Ripresa la navigazione si giunse a Buenos Aires il 14 maggio, dove la vita di bordo riprese regolarmente. Ci fermammo molto tempo a scaricare lo zolfo. Alcuni dell’equipaggio furono intanto avvicendati, mentre da parte mia dovetti darmi alle cattive per sbarcare, perché da Lugano mi chiedevano di fare ancora un viaggio di granaglie per Taiwan, nell’isola di Formosa. Sbarcai con Senti a La Plata il 28 maggio, sull’aereo che ci portava a Roma completammo il giro del mondo, poiché mancava ancora il tratto di circa 250 miglia sino al traverso di Rio Grande Do Sul. Sull’aereo, un volo charter per l’Italia organizzato dal Ministero degli Esteri Italiano, viaggiava un folto gruppo di friulani che rientravano in Italia in seguito al terremoto in Friuli di pochi giorni prima. Non appena l’aereo toccò terra a Roma ci fu un lungo applauso da parte di questi emigranti che ritornavano in Italia dopo decine di anni. Questo momento fu un attimo di felicità anche per me, che tutto sommato ero un migrante. Pagina 130 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Giovanni Pagano L’UOVO DI COLOMBO N el 1973 dopo aver completato il mio periodo d’imbarco sulla motonave Pallade della Flotta Lauro, sbarcai nel porto di Anversa per rotazione sociale, avendo effettuato navigazione atlantica Nord Europa - Nord America. Trascorso il periodo di ferie pur essendo in continuità di rapporto di lavoro da circa dieci anni, non fui assunto più, causa la riduzione del personale, per la vendita di alcune navi. Ormai la più grande flotta dell’armamento privato stava per scomparire. Il Cavaliere del Lavoro, Comandante Achille Lauro artefice dell’immensa fortuna accumulata aveva avuto un sussulto d’orgoglio. Cercò di rimodernare le due navi passeggeri “Achille Lauro” e “Angelina Lauro” ma come un presentimento dell’avverso destino (la dea bendata le aveva voltato le spalle), le due navi si incendiarono una nel porto di Palermo e l’altra alle Isole Canarie a Santa Cruz de Tenerife. Ma il coriaceo vegliardo non si arrese, emise l’ultimo canto del cigno con la costruzione delle nuove e modernissime navi da carico: Cervo, Capriolo, Gazzella, Kudù, Kerenù. Ma purtroppo, la sua forte fibbra doveva cedere il passo agli anni che si portava addosso, passando la mano ai figli: Ercole e Gioacchino. Però non ebbero la fortuna e l’intraprendenza del padre, alcuni debiti contratti, investimenti sbagliati portarono al fallimento ed al commissariamento della Lauro Lines. Nel giro di pochi anni il Palazzo di Vetro di via Nuova Marina a Napoli, sede della società rimase deserta. Anche la sede della redazione del quotidiano “Roma” giornale di ispirazione monarchica che era stato il fiore all’occhiello di Don Achille, vivacchierà ancora alcuni anni fin quando chiuse battenti cessando la pubblicazione. L’uomo che era stato il simbolo di Napoli, Sindaco della città di Napoli, sindaco della città di Sorrento, Presidente del Calcio Napoli negli anni cinquanta fu il primo in Italia a pagare un calciatore svedese Jeppesson per la sbalorditiva cifra di 105 milioni di lire. Siccome Jeppesson era biondo i napoletani lo chiamarono (Raggio di Sole). Quando gli eroi cadano dal piedistallo nessuno li ricorda e li osanna più. Cosicché anche Achille Lauro venne presto dimenticato, solo Sorrento sua terra natia lo ricorda con stima e benevolenza, intitolando a Lui e alla Moglie una delle principali piazze della città. Mi son fatto prendere la mano descrivendo il buon ricordo che ho di un grande uomo che ho conosciuto personalmente, a cui ero particolarmente affezionato, sia come persona, sia come mio datore di lavoro. Pur essendo stato licenziato, ho avuto ogni mia spettanza di fine rapporto compreso il preavviso. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 131 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Con me altri marittimi persero il posto di lavoro, ma come si dice dalle mie parti: “Il Signore, chiude una porta ed apre un porticato”. La porta aperta la trovai proprio a Torre del Greco, città dove risiedo e vivo. Fui assunto dalla Deiulemar, una piccola società di navigazione gestita da tre soci fondatori: Della Gatta, Iuliano, Lembo. Questa società era appena agli albori della sua costituzione ed aveva appena due navi. Oggi nell’anno 2009 la Deiulemar S.p.A. di Navigazione gestisce una delle flotte più importanti d’Italia, si può dire che è diventata una multinazionale avendo interessi in diversi settori economici. Come dicevo nel 1973 la Deiulemar aveva due navi, su una di queste, la “Gina Iuliano” imbarcai nel porto di Trieste il 4 Ottobre 1973 assieme al Comandante Renato Parisio, il Primo Macchinista Speranza Tobia ed il Caporale di Macchina Formisano Pietro. La Gina Iuliano era una vecchia carretta del mare, comprata nei cantieri di demolizione di Rotterdam, rimessa a posto alla meglio maniera, rinnovato il certificato di classe, fu messa in condizione di riprendere il mare. Quando salii a bordo io ed il Primo Macchinista ci guardammo in faccia, come per dire; mamma mia! Su che nave siamo capitati. Il Direttore di Macchina Aniello Vitiello (detto u Ricciulillu) mi passò le consegne di massima. Facemmo un giro giù in sala macchine, ove il motore principale un vecchio Burmaister and Wain era in riscaldamento e mi accorsi subito che dagli alloggi dei polverizzatori fuoriusciva acqua dalle testate. Il Direttore Vitiello cercò di tranquillizzarmi con una risata dicendomi che, l’acqua veniva fuori e non c’era nessuna preoccupazione che andasse a finire dentro il cilindro.dei piccoli osteriggi lasciavano a malapena filtrare uno spiraglio di luce in un locale più nero del carbone. Salimmo sopra in coperta, dove dentro una casamatta c’era impiantata una piccola officina, dove l’operaio meccanico Filippo Avola era alle prese con un cuscinetto di banco dei gruppi elettrogeni. Aveva costruito una specie di forgia di maniscalco dove scaldava il banco per portarlo a temperatura e sopra con il cannello riportava del metallo bianco fuso. Mi fu passato per consegne che questo era lavoro di quasi tutti i giorni, poiché le teste di biella ed i banchi dei motori gruppi elettrogeni erano soggetti a surriscaldarsi ed a fondere il metallo bianco. Ma la Società lo sa, è a conoscenza di tutto questo? - Il Direttore sbarcante si fece la solita e grande risata: certo che lo sa e ne è a perfetta conoscenza, ma l’operaio Avola qui presente detto il re dei cuscinetti ed il suo aiutante “Giovanni il carrettiere” sono capaci di sfornare ed aggiustare tre quattro cuscinetti al giorno. Per farla breve, qualunque cosa chiedevo: non c’erano problemi, tutto era a posto, poi non aveva importanza che tutto non funzionava come doveva funzionare. A Trieste imbarcammo anche il Super Carico, Signor Zicic Jasko, poiché la nave era noleggiata dalla Jadraska di Fiume. Ormai fervevano i preparativi per la partenza con destinazione Est Africa, primo posto d’approdo Dar Es Salam (Porto della Pace) in Tanzania. Bisognava ancora una volta circumnavigare l’Africa via Capo di Buona Speranza. Gli eventi della guerra del Kippur, fra Arabi e Israeliani avevano reso il Canale di Suez intransitabile, causa le navi affondate lungo il canale e nei Laghi Amari. Pagina 132 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania L’uovo di Colombo Giovanni Pagano Come nel 1967 con la famosa guerra lampo dei 6 giorni, ci toccò fare giocoforza il giro dell’Africa. Mi venne in mente un proverbio napoletano “I ciucci s’appiccicano e i barili si scassano” che corrisponde al detto siciliano “a corda ruppa ruppa ci và ‘nto menzu cu non havi curpa”. Il viaggio fino a Gibilterra andò abbastanza bene. Mi ero anche rassicurato di avere un ottimo personale di macchina che, all’occorrenza era abbastanza preparato. Passato lo stretto di Gibilterra accostammo a sinistra costeggiando il Marocco, La Mauritania ed il Senegal. Ma all’altezza di Capo Verde, il timone andò tutto a dritta, non rispondendo più ai comandi. Eravamo in un punto di intenso traffico dove si intersecano le rotte per il Sud Africa ed il Sud America. Ci mancò poco a non entrare in collisione con un traghetto diretto alle Isole di Capo Verde. Fermato il motore, fu subito fatto un accurato controllo di pulizia dei contatti sul controller trasmettitore e sul ricevitore nel locale agghiaccio timone. Il tutto venne risolto in breve tempo riprendendo la normale navigazione. Dopo 4 giorni il guasto si ripresentò nuovamente, quando eravamo attraverso di Città del Capo. La solita pulitina dei contatti questa volta con più accurata attenzione, ed il timone riprese le sue normali funzioni. Ma come si suol dire non c’è due senza tre, in pieno canale del Mozambico con la fortissima corrente delle Agulhas dritta di prora, il timone si bloccò a centro, e non si muoveva né a destra né a sinistra. Questa volta non era questione di contatti, ma tratta vasi di un fusibile bruciato sul circuito comando bobine. Anche questa volta abbiamo avuto tanta fortuna ed individuare immediatamente il guasto, sostituendo il fusibile incriminato. La nave riprese la sua rotta, incuneandosi, fra le Isole Comore e la costa e dopo qualche girono giungemmo al primo porto di approdo Dar Es Salam. Ho voluto menzionare le tre brevi soste fatte in mare causa l’avaria del timone, ma ci sono stati molti altri problemi che ci hanno destato parecchie apprensioni. Abbiamo avuto delle grosse noie con i gruppi elettrogeni, le porte del carter avevano una temperatura che oscillava intorno agli 80° centigradi, i cuscinetti di banco e testa di biella fondevano il metallo bianco come la cera di una candela accesa. Per evitare lo sbiella mento siamo stati costretti, a manutenzionare a rotazione, ora l’uno ora l’altro elettrogeno. Abbiamo avuto il nostro gran da fare. La cosa non poteva andare avanti in questo modo, oltre ad essere impegnati notte e giorno, eravamo stanchi, distratti, stressati, bisognava escogitare qualcosa di nuovo. La Gina Iuliano era stata costruita nei cantieri navali di Goteborg (Svezia), nave destinata a navigare nei mari freddi del Nord Europa ed aveva un particolare sistema di raffredamento, non era per niente adatta a solcare i mari dell’Africa equatoriale. Fu così in un baleno quasi per caso che passò per la mia mente la risoluzione del problema che il secondo Macchinista Tonino Miele sentenziò subito: ma questo è “L’Uovo di Colombo”. Ci mettemmo subito al lavoro, e nel giro di pochi giorni realizzammo l’idea con ottimi risultati. Questa la relazione inviata alla Deiulemar S.p.A. di Torre del Greco. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 133 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° È stato risolto il problema di raffreddamento olio di lubrificazione ai cuscinetto dei Gruppi Elettrogeni. È stato costruito un nuovo circuito ex nono indipendente ad acqua di mare solamente per i refrigeranti dell’olio. L’acqua dolce di raffreddamento che prima di entrare ai motori passava attraverso i refrigeranti dell’olio (per raffreddarlo) è stata apportata la modifica di farla entrare direttamente. Con tale modifica abbiamo ottenuto dei grandi vantaggi: l’olio non entra ai motori a temperature elevate che si aggirava sui 70-75° centigradi ed ad una pressione che arrivava al massimo di 0,3 Kg/cm quadrato. Allo stato attuale l’olio possiamo regolarlo alla temperatura che vogliamo ed ad una pressione costante di 1,2 Kg/cm quadrato, consentendo così una lubrificazione perfetta. Le porte del carter non scaldano più, con grande sollievo nostro e dei cuscinetti che hanno preso refrigerio. L’operaio meccanico Filippo Avola, ed il suo aiutante “Giovanni il carrettiere” hanno chiuso la fucina, e riposto nei cassetti i Raschini, li dedicheremo ad altri lavori di cui la nave ne ha estremo bisogno, ed ha ancora parecchi problemi da risolvere. A noi lo spirito di volontà che ci anima di sicuro non manca, l’unico nostro nemico è il caldo. La notte non si può dormire, siamo tutti alloggiati all’albergo “Luna” con i teli di branda tesati qua e là, questi sono viaggi molto duri e quindi si ha bisogno di persone preparate, moralmente, fisicamente e professionalmente ed aggiungerei ancora, votata al sacrificio di sopportazione del caldo africano. Sulla porta della casamatta che era adibita alla rimetallizzazione dei cuscinetti scherzosamente è stato affisso un cartello: “chiuso per fine attività, causa “L’Uovo di Colombo”. Alla presente relazione si allegano n. 3 schemi dei circuiti, acqua salata, acqua dolce ed il vecchio circuito, per rendervi edotti di ciò che è stato fatto. Speriamo che la modifica apportata sia di Vostro gradimento. Sul giornale di macchina parte 2a d’accordo con il Supercarico Signor Zicic, abbiamo registrato soltanto un’ora di sosta per le tre fermate dell’avaria al timone, delle tre effettivamente perse. In attesa di un vostro cenno di approvazione o di dissenso, inviamo a tutti Voi carissimi saluti, cordialmente. Direttore di Macchina Giovanni Pagano Abbiamo ricevuto la vostra relazione inviata da Dar Es Sallam, vi ringraziamo per tutto quello che avete fatto riguardo il guasto al timone. Vi siamo sinceramente grati, per il Vostro interessamento a tutela dei buoni rapporti tra la nostra Società ed i noleggiatori. Contentissimi per l’eccellente lavoro eseguito ai Gruppi Elettrogeni. Con l’augurio di una buona navigazione, ancora grati per il Vostro ottimo lavoro vogliate gradire i Nostri più distinti saluti. DEIULEMAR L’Amministratore Unico Cap. Iuliano Michele Pagina 134 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Idamo Rossi UN PESO E DUE MISURE I giornali hanno molto scritto in merito al processo per la morte degli operai nell’acciaieria Tyssen di Torino, oltre alla condanna (che spero sia esemplare) le famiglie hanno avuto un risarcimento di 2 milioni di euro. La vita di un uomo non ha prezzo, ma se non altro oltre la disgrazia ed il dolore, i familiari non saranno costretti ad elemosinare un pezzo di pane ed i figli avranno la possibilità di studiare e prepararsi alla vita senza preoccupazioni finanziarie. Non poteva non farmi ricordare, questo fatto, la mia brutta esperienza di 38 anni fa, quando, imbarcato come 2°macchinista sulla m/c Punta Ala, al pontile di Augusta, mentre terminavamo un carico di 5 mila tonnellate di vergin nafta, benzina super e benzina avion, la m/c. Messene in manovra investì il pontile causando un incendio immane dove entrambe le navi andarono perdute ed insieme 5 marittimi di cui due diplomandi nautici di anni 18 ed un operaio del pontile. Sono un uomo di poca memoria, eppure di allora ricordo tutto nei minimi particolari: il nuoto affannoso e disperato verso l’agognata salvezza, i pompieri che atterriti ed impotenti guardavano il consumarsi della tragedia (nessuno che potesse venire in nostro soccorso), le navi che mollavano gli ormeggi e in pochi minuti la rada fu deserta. Come non posso fare il paragone tra quei morti e quelli attuali? L’inchiesta (se così si può chiamare) è stata fatta in maniera abbastanza discutibile: le famiglie dei marittimi abbandonate a loro stesse. La moglie dell’elettricista che sono stato a trovare dopo un mese, oltre il telegramma del Presidente della Repubblica, non aveva avuto alcun aiuto. La vita continua! Noi marittimi dopo lo sbarco difficilmente riusciamo a mantenere i contatti, ognuno torna alle proprie città di residenza e il più delle volte difficilmente ci rincontriamo (infatti non ho più navigato un membro dell’equipaggio della Punta Ala). Gli anni si accavallano uno dietro l’altro, ma quella tragedia è impressa col fuoco nel mio intimo, più dell’incendio che uccise quei poveri uomini (ironia) bruciati nell’acqua. Questi sono pensieri che durante i vari imbarchi ho trascritto sulla carta. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 135 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° POVERA MADRE Ci accusasti di non averli salvati, noi che dall’inferno eravamo scampati, cosa ti si poteva dire “povera madre”. Abbassammo gli occhi, non ti rispondemmo. M/n Jolly verde -Oceano Atlantico - 20.4.1077 L’INCENDIO Là c’è la vita, sforzati, sforzati, nuota veloce raggiungi la vita. Il corpo non risponde. Perché non sono davanti dove nuotano gli altri, loro si salvano. Quando quella testa dietro di me, quando quella sarà avvolta dalle fiamme, un attimo sarà la fine. Non è possibile è un sogno. Padre, padre salvami. Aiuto, aiuto, solo, nessuno osa; sento che morirò, che non amerò più, nuota, nuota, raggiungi la vita. Pagina 136 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Idamo Rossi Due pesi e due misue Il sole è oscurato, la barriera di fiamme veloce corre sull’acqua, esplosioni nell’aria, ora saltano le caldaie; è finita, è finita, 28 anni ed é finita. Raggiungo nudo la terra, soccorritori attoniti, impotenti guardano l’immane tragedia. M/n Jolly verde Atlantico 5.9.1977 naufragio M/c. Punta Ala 4.8.1971 MORIRE SULL’ACQUA È più doloroso: morire per una raffica di mitra? Morire, ironia, bruciati sull’acqua? Marinai della Punta Ala, arsi, nell’affannoso, disperato nuoto verso vana salvezza, ad Augusta nella rada. La vostra fine, negata di soccorso, accusa. Di voi, meglio tacere, non medaglie, non pubbliche sottoscrizioni, non congrui assegni ministeriali. I vostri corpi, recuperati, nell’acqua sporca, oleosa, sfigurati, Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 137 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° incassati, spediti come pacchi, privati dell’ultimo abbraccio. Solo chi muore in piazza ha diritto agli onori “del popolo italiano”. Come le fiamme, soffocarono le vostre grida, l’egoismo cancellò la vostra vita. A Genova, allo stadio, offendono l’arbitro: “MARITTIMO”. M/dv Capalonga Mar del Nord 31.7.1978 Non tutte le morti sono uguali, anche in questo (si fa per dire) ci vuole fortuna, speriamo che almeno Lui ne tenga conto. Il Sindaco dott. Carmelo Spitaleri consegna la “Targa d’argento al merito”, XX edizione, al dott. Filippo Massari “...per la lodevole operosità promozionale delle attività subacquee...” Pagina 138 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Anna Bartiromo QUANDO IL MARE È AMARO L a “Lucrezia d’Amaro”, in navigazione già da alcuni mesi, su rotta Nord Europa-Tunisi, stava caricando nel porto di Rotterdam, dove, da qualche giorno c’era un avvicendamento di personale (a bordo). Un primo di coperta e un cuoco. Entrambi provenienti dalla Sicilia. In realtà anche il direttore di macchina Benito del Mastro, originario dell’isola d’Elba aveva chiesto lo sbarco, ma non era stato possibile sostituirlo, così si vide costretto a continuare. Fu una vera delusione per lui e se ne mostrò apertamente contrariato con il comandante, sig. Raia, quando nei momenti di libertà, riusciva a manifestargli tutto il suo disappunto. Il fatto è che quella era la prima volta su una cargo. Fino allora, infatti, aveva sempre navigato su linee di lusso toccando le più invidiate rotte di crociera, godendo di panorami bellissimi e di luoghi incantevoli, lavorando quasi fosse un gioco... Poi la depressione, conseguenza di un divorzio non voluto, che gli aveva procurato attacchi di panico misti a crisi di ansia improvvise che lo avevano tenuto qualche tempo lontano dal mare, per cui, quell’imbarco, non proprio di suo gradimento, gli si era reso necessario sia per esigenze economiche che per ricominciare. Ovviamente non senza aver dovuto rivedere un po’ alcune cose per un minimo di aggiornamento. *** Tuttavia, giorno dopo giorno, quel cuore di ferro che batteva in maniera così assordante per le sue orecchie, impietoso e insopportabile, sembrava quasi voler scandire apposta per lui, ore senza fine. Allora gli tornava alla mente quel confortevole silenzio (si fa per dire) dei motori elettrici, certamente meno rumorosi, installati di solito sulle moderne navi passeggere. Persino i pannelli sinottici, indicatori di temperatura, livello dell’olio, pressione, allarme e così via, gli pareva avessero colori più vivaci. A volte i pensieri lo portavano a riflettere di più su tutto questo, specie quando, di sera, solo nella sua cabina, il rumore cadenzato proveniente dalla sala macchine, gli disturbava a tal punto il sonno da non farlo quasi affatto dormire per cui continuava a rigirarsi nervosamente nel letto, per alzarsi, alla fine più stanco di prima. Ma ciò che più lo irritava erano la calma e l’indifferenza di chi, uso a quel trambusto, pareva, tuttavia, condurre ugualmente una vita quasi normale. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 139 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Aggiungasi a ciò che, nonostante avesse intorno a se, un equipaggio palesemente amicale, non riusciva a socializzare il che non gli facilitava certo la vita. Infatti, persisteva in lui una sorta di diffidenza globale dovuta, forse, chissà, ai suoi trascorsi problemi che proprio non gli consentivano di entrare in sintonia con loro. Al comandante non era certo sfuggito questo suo stato d’animo e, pur essendone sinceramente preoccupato, non ne aveva parlato a nessuno. In fondo si era istaurato un buon rapporto con lui con cui si intratteneva piuttosto sempre a parlare o durante il giorno in momenti di relax, (piuttosto rari a bordo, c’è da dire), o a pranzo o a cena, toccando gli argomenti più svariati, sia per un normale scambio di idee necessario a valutare quanto si verificava quotidianamente sulla nave, come la situazione in macchina, la rotta e così via, sia per farlo sentire meno solo. Più spesso si incontravano sul ponte, là, dove quando il mare è calmo, (come può esserlo l’Atlantico in alcuni momenti), sembra quasi possibile provare una sensazione di assoluto, di incanto speciale che, se hai l’animo sereno e sai che stai facendo bene il tuo lavoro, respiri profondamente l’odore di salsedine che ti sale alle narici, quasi spruzzato dagli schizzi delle onde che si sfrangiano sullo scafo, e accetti umilmente di essere soltanto una pedina nelle mani di qualcuno o di qualcosa, che, al di sopra e al di fuori di te, può decidere in qualunque momento della tua vita. Ma alla vista di quegli enormi blocchi di ferro quei grossi containers, abilmente allineati in perfetto ordine sopra tutta la tolda da formare quasi una nuova piattaforma trattenuta saldamente dai twist-locks, davano a Benito del Mastro una visione diversa e alquanto alterata dalla realtà in cui si trovava, mettendogli addosso, piuttosto che pace maggiore disagio e un acuto senso di sconforto e di impotenza in vera sofferenza al punto che, di lì a poco, dovette ricominciare a prendere dei sedativi. * * * La navigazione proseguiva abbastanza tranquilla... C’è un cambio di destinazione, disse il capitano quella sera a cena rivolto al direttore, mentre finiva il suo dessert. Ci è arrivata una e-mail dalla Compagnia stamattina che ci dice di proseguire per Odissea, sul mar Nero, dove andremo a scaricare. Così non ci fermiamo più a Tunisi. Mi dispiace per voi, Signor direttore, che aspettavate il cambio per sbarcare. Pazienza, comprendo il vostro desiderio di andar via ma ancora pochi giorni, poi... Tutto sommato Odessa potrebbe pure piacervi, ci avete pensato..., c’è del buon cibo, grandiosi monumenti, ci sono belle donne, disponibili, servizievoli... Eh, le dame dell’est lo sono sempre... Aveva parlato lentamente, quasi in una sorta di meditazione a ritroso, come a cercar qualche ricordo nel suo passato, forse di una fanciulla in particolare con cui aveva trascorso attimi indimenticabili e non si era accorto del viso contrariato di chi gli era accanto. Era comunque stata una giornata faticosa quella, e si era fatto un po’ tardi. Così si salutarono. Pagina 140 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Quando il mare è amaro Anna Bartiromo Rimasto solo nella sua cabina Benito del Mastro si gettò sul suo letto nella vana speranza di dormire. Una sorte di frenetica inquietudine, di malcelata rabbia, di bisogno urgente di alzarsi e andar via il più presto possibile per tornare a casa nonché l’impossibilità di attuare ciò lo facevano sentire in prigione e una strana ansia, mista ad angoscia e a batticuore si stavano sempre più insinuandosi in lui. Prese allora una pillola, ma andò peggio. Ormai non aveva più il controllo dì sé. Sembrava che le ore fossero interminabili e che le pareti del suo alloggio gli si avvicinassero lentamente per schiacciarlo. Sobbalzò, voleva uscire, doveva uscire e allontanarsi da quella gabbia dì ferro che ormai rappresentava per lui soltanto un’oppressione. Sentiva come un fuoco devastante ardergli dentro, una strana forza che lo distruggeva piano piano, impedendogli anche la più piccola visione logica della realtà. * * * Era notte, notte fonda. O le prime ore del mattino come è d’uso nel linguaggio di bordo. Forse le due, le due e un quarto quando qualcuno spinse furtivamente la porta socchiusa della cabina del comandante ed entrò minaccioso. Il mare era nero come la pece e non c’erano stelle nel cielo. Le uniche a brillare erano le luci di posizione di quel gigante buono che accarezzava le onde con il suo scafo… Sul comodino le foto dei suoi cari, la moglie, i figli, i nipotini. D’un tratto un grido lacerante ruppe il silenzio; una richiesta di aiuto mista a disperazione che si ripeté per oltre quattro volte, prima più forte, poi sempre più debolmente. Che sarà mai gridò qualcuno precipitandosi dal letto nei corridoi della nave . Cos’è stato? E la risposta fu un agghiacciante inatteso spettacolo di orrore. Pallido, tremante, madido di sudore, un coltello lordo di sangue stretto tra le mani, un viso terreo e spaventato come se avesse visto un fantasma, qualcuno usciva dalla stanza del comandante del tutto fuori di sé biascicando parole senza senso e poi. È lì per terra, mio Dio, cosa ho fatto... di chi è tutto quel sangue... E intanto si aggirava inebetito nel corridoio, seminudo e completamente fuori controllo, senza rendersi affatto conto dell’accaduto, tra l’imbarazzo e il disorientamento generale di ufficiali e bassa forza prontamente accorsi. Dal canto suo, in un ultimo soffio di vita, il comandante Raia, morente, si trascinò fino alla stanza del nostromo per consegnargli in un filo di voce, il nome del suo assassino: «È stato Del Mastro ad uccidermi», sillabò prima di accasciarsi sul pavimento senza vita. Inutile descrivere il caos a bordo, le lacrime a stento trattenute, la rabbia, le mute domande dalle risposte disattese, lo sconcerto generale. Poi il silenzio. Sulla sua vita, gli affetti, su tutti gli anni vissuti in mare, su quella professione tanto dignitosamente espletata che avevano fatto di lui un uomo esemplare e un comandante tanto stimato e rispettato nonché adorabile padre. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 141 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° E chissà che forse, proprio nello sforzo estremo dì comunicare il nome di quell’uomo, non ci fosse solo il giusto bisogno di denunciare il proprio assassino bensì anche il tentativo disperato di proteggere gli altri da un eventuale, possibile errore, per una inutile indagine che potesse magari sfociare in un’ingiusta accusa infamante verso un innocente insomma... un ultimo atto di coraggio prima di morire. * * * Le onde rallentano la loro corsa quando, esauste, si accartocciano in ricami di spuma sulla riva; le navi continuano a solcare i mari con il loro carico speranzoso di uomini e cose. I marinai si fanno nocchieri della loro vita lavorando proprio nel ricordo del sacrificio di un uomo come il comandante Raìa, consapevoli che a muoverli e a spingerli sempre più lontano potrà essere soltanto il coraggio. Lo spunto del racconto è stato tratto da un fatto realmente accaduto. Tuttavia i nomi e gli eventi sono di pura invenzione e ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale. Pubblico della “Premiazione 2009” Pagina 142 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Piera Grassi Pedrelli IL PRIMO VIAGGIO DI PAOLA G iulio, mio marito, amando molto la sua famiglia, appena si presentava l’occasione c’invitava a bordo. Ricordo in particolare un viaggio in mare, il primo della mia primogenita. Paola aveva allora tre anni e andando all’asilo, con l’aiuto delle maestre aveva preparato un delizioso quadretto con le foto dei genitori, che con molto orgoglio ci avrebbe regalato per Natale. Ma c’erano molte probabilità che per le feste Giulio fosse lontano da noi. Come moglie di marittimo, anche se a malincuore, mi ero abituata a questa vita di sacrificio che se da una parte ci toglie dall’altra ci dà l’opportunità di mantenere il rapporto sempreverde, non essendo logorato dalla quotidianità e dall’abitudine che alla lunga lo impoveriscono di quell’alone di romanticismo che io avevo iniziato ad apprezzare. Festa, come diceva Giulio, era ogni giorno che trascorrevamo assieme indipendentemente dal numero segnato in rosso sul calendario. Ma per la bambina, molto affezionata al papa, sarebbe stata una grande delusione non potergli donare il suo regalo il giorno di Natale. Quando una sera, ebbi la bella sorpresa di ricevere la telefonata con l’invito di Giulio ad andare ad Augusta con la bambina, così avremo trascorso le feste assieme, acconsentii con entusiasmo anche se suoceri e genitori mi diffidavano del fare intraprendere alla piccola un viaggio tanto lungo. Paola era molto turbolenta e in quel primo viaggio mi sfinì talmente che arrivati all’imbarcadero di Augusta desideravo solo una cosa: arrivare al più presto a bordo per rinfrancarmi con una bella doccia! Dovemmo aspettare una mezz’ora buona prima d’imbarcarci sull’imbarcazione di servizio che doveva portarci sulla nave in rada a Priolo e in quel tempo, per nulla stanca, mia figlia rischiò di finire in mare più volte. Finalmente salimmo sulla barca a motore assieme ad alcuni membri dell’equipaggio e dovetti star fuori perché, la piccola peste, voleva vedere la scia che a poppa seguiva la barca “come una coda lunga lunga” diceva. Il mare piuttosto mosso, che faceva ondeggiare l’imbarcazione, la divertiva invece d’impaurirla! Quando dovemmo salire sulla biscaglina il mare era ancora aumentato. Mentre un robusto marinaio si issava Paola sulle spalle, intimandole di tenersi ben aggrappata, io guardai preoccupata la barca: ad ogni ondata si allontanava un Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 143 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° po’ di più dalla biscaglina e temevo per l’incolumità della bimba; ma il marinaio con l’agilità di una scimmia prese a salire e d’un balzo la depositò sana e salva tra le braccia del papa che assisteva dalla nave alla nostra scalata. Ora toccava a me: temevo che non ci sarei mai riuscita a prendere al volo la cima, sarei finita in mare facendo oltretutto la figura dell’imbranata, pensavo, quando un marinaio m’issò, praticamente di forza, e mi trovai sulla nave assieme a marito e figlia che rideva a crepapelle, la viperetta! Che figura avevo fatto! Mi consolai sapendo che la moglie del comandante, nel viaggio precedente, era caduta in mare scivolando dallo scalandrone. La sera stessa partimmo alla volta di Smirne attraversando il famoso canale dei Dardanelli con il mare agitatissimo che ci impedì di entrare in porto. Natale lo trascorremmo in rada con il mare forza nove che mise in crisi quasi tutto l’equipaggio. A tavola gli unici superstiti era la nostra famigliola, il primo macchinista, il secondo di coperta, il marconista e il comandante. Affinché i piatti non si rompessero avevamo messo il ferma piatti circolare, siccome dopo averci servito gli antipasti, anche il cameriere, colto dalle nausee, dovette ritirarsi in cuccetta, il comandante in persona ed io facemmo le sue veci, servendo a tavola. Per fortuna il cuoco aveva fatto in tempo a prepararci i vari manicaretti prima di arrendersi al mal di mare e fu un vero pranzo di Natale, con tanto di regali al suo termine. Paola stupiva tutti per la sua vitalità, altro che nausea: mangiò di tutto con vero appetito! Il giorno dopo era una giornata splendida; il cielo terso e il mare liscio come una tavola, ci permisero di passare parte del pomeriggio, osservando il marinaio e il cuoco intenti a pescare. Il mare offriva totani in abbondanza e ogni volta, tirando su la lenza con gli appositi ami a grappolo, essi erano stracarichi dei prelibati molluschi. Anche Paoletta volle provarci, con l’aiuto del papà, e si emozionò tantissimo quando vide che anche lei era riuscita a prenderne. Il giorno dopo entrammo in porto e scendemmo a Smirne. La città turca mi piacque tantissimo, un po’ meno il cibo devo dire che consumammo in un elegante ristorante. Le verdure ripiene con riso e uvetta erano talmente piccanti che la piccola come le assaggiò le sputò, scoppiando a piangere, io resistetti a fatica ma per tutto il pomeriggio fui tormentata dal bruciore di stomaco. Ben vi sta, commentarono a bordo: noi, in barba alla cucina locale, abbiamo gustato gli ottimi totani del cuoco che ci ha preparato in ogni maniera possibile! Il cuoco, un tipo di mezza età di Molfetta era davvero una persona speciale: sempre di buonumore, disponibile, raccontava aneddoti divertenti, oltre ad essere un ottimo cuoco pulito e fantasioso. Spesso per passare il tempo mi recavo in cucina chiedendogli se potevo aiutarlo, faceva mille difficoltà dicendomi che aveva già chi lo aiutava, due validi garzoni sui vent’anni, poi dato che insistevo, mi metteva davanti un cinque chili di patate e io mi mettevo a pelarle, mentre lui raccontava le sue storie che tanto divertivano anche la nostra bambina. Terminata la caricazione partimmo alla volta di Palermo. Il carico consisteva in Pagina 144 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il prino viaggio di Paola Piera Grassi Pedrelli sacchi di pistacchi e cassette di fichi secchi e uvetta (la prelibata uvetta di Smirne). Naturalmente per tutti noi non mancarono assaggi di queste prelibatezze e Paoletta ne fece pure una leggera indigestione. La navigazione proseguiva con mare calmo, la temperatura, nonostante il periodo, era piuttosto mite. All’altezza della Grecia il marconista, portando il bollettino meteo al comandante, ci segnalò che nel canale di Sicilia avremmo trovato mare forza otto. Forse c’era un’altra soluzione: passare per lo stretto di Messina ed evitare il brutto tempo ma il comandante decise di proseguire per il canale. Purtroppo all’altezza della Sicilia il mare aumentò maggiormente e quindi dovemmo cercare riparo nell’isola di Malta. Con non poche difficoltà e tanto rollio riuscimmo a metterci a ridosso per circa ventiquattro ore. La nave era sballottata da onde sempre più minacciose, per fortuna eravamo a pieno carico: il grande mercantile adibito a merce varia, aveva stabilità. Dall’oblò della cabina io e Paola assistevamo ad uno spettacolo affascinante: a tratti tutta la coperta era invasa completamente dalle onde e sembrava trasformarsi in sottomarino. Per nulla spaventata, la piccola si divertiva un mondo, strillando eccitata ogni volta. Visto che le condizioni meteo marine tendevano a migliorare riprendemmo la navigazione; la nave si comportava ottimamente e presto raggiungemmo la Conca d’oro e qui attraccammo a sera tardi. Eravamo alla vigilia di Capodanno, le operazioni commerciali sarebbero iniziate solo il due gennaio. Furono due giorni di bel tempo che potemmo trascorrere a scoprire la bellissima città ricca di monumenti e chiese storiche. Per il primo giorno dell’anno potemmo pranzare tutti assieme, contrariamente al Natale, il mare ce lo permise. Sandro il cuoco, diede il meglio di sé e alla fine lo applaudimmo invitandolo a brindare con noi al nuovo anno. La sosta a Palermo si prolungò più del previsto, dopo tornammo ad Augusta e da lì sbarcammo, io e la piccola, la vigilia della Befana. La nave a Priolo caricava sacchi di fertilizzanti per la Turchia. Alla mattina del sei arrivammo a Spezia e alla stazione trovammo mio padre ad aspettarci. Durante il viaggio verso casa mio padre s’informò dalla nipotina come era stata a bordo e lei entusiasta esclamò: “Benissimo nonno, la nave ballava tanto, le onde la coprivano e si trasformava in sommergibile, sono stata in un ristorante dove si mangiava la verdura con il fuoco dentro, ho pescato i pesci rotondali (li chiamava così perché li facevo ad anelli per friggerli). Il mio papa comanda la sala dei motori e ordina alla nave di camminare anche con il mare forte.” Con questa descrizione, fatta in tono tanto eccitato, penso il nonno si convincesse definitivamente che tutte le sue paure erano infondate e che davvero quél primo viaggio di Paola era stata un’esperienza positiva e anche istruttiva e a lungo sarebbe rimasta tra i suoi ricordi più belli. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 145 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Cofanetto prototipo per raccogliere i volumi della collana “Riposto e il suo mare” Pagina 146 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Vincenzo Marzullo AL LARGO DEL NULLA N el 1950 pochi mercantili erano provvisti di radar e allora buhm… buhm era il lungo lugubre ululato che ogni cinque minuti la sirena di bordo lanciava, a tutti e a nessuno, ad evitare un triste incontro. Si arrancava nel Canale della Manica per Amsterdam da Huston con 30 tonnellate di benzina avio, nave “Lord Calvert”. Si navigava in bonaccia piatta e però entro un fitto banco di nebbia con diffusione solare accecante e tale da rendere nulla la visibilità oltre i 15-20 metri. Dal belvedere di poppa, il ponte di comando, le vedette e quant’altro sembravano spariti nel nulla. E sempre il buhm, buhm lamentoso della sirena. Nei locali di poppa invece sembrava calata la morte, visto il lugubre silenzio che regnava nei carruggi e rotto solo dall’imprecazione del vecchio, patito, nostromo: «Preferisco i cicloni a questa benedetta nebbia». I panni della gente erano distesi puliti ad asciugare sopra le caldaie ma, stante il mortorio, erano rimasti abbandonati, perché incerta la franchigia e oltretutto portavano scarogna. Sospesi i lavori non essenziali. Soltanto lo squillo del primo pasto portò un po’ di movimento per tutti a carruggi; la gente si salutata a viso basso mormorando, e prevedendo il peggio stante l’alto numero di navi battenti il Canale. Purtroppo il peggio stava per arrivare e, di fatto, arrivò prima nella saletta ufficiali scatenando un vero terrore. I quattro ufficiali (autore compreso), che pranzavano nei posti rivolti verso gli oblò, rimasero bloccati come fossero pietrificati nel vedere che la luminosità accecante emessa dagli oblò diventava via via sempre più debole e, in fine, oscurarsi quasi del tutto. Il fenomeno si diffuse per tutta la saletta, terrorizzando nel contempo la gente dei locali con gli oblò rivolti a manca. Tutti aspettavano, terrorizzati, l’urto della collisione e con esso quasi la morte sapendo che nelle tank dormivano 30 mila tonnellate di benzina avio. Fortuna volle che pochi istanti dopo gli oblò, a poco a poco, ripresero ad illuminarsi. Il tutto durò appena pochi secondi vissuti, virtualmente, nell’al di là. La gioia per lo scampato pericolo attraversò tutta la barca, tenuto conto che avevamo lasciato il bancaccio e, con esso, i soliti giuramenti da marinaio. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 147 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SEZIONE NARRATIVA 2009 - XIV edizione 1° premio – Giovanni Coglitore – “Siamo già in paradiso” «Spesso il presente ha radici lontane, che si tendono ed affondano in luoghi che non sono quelli noti e abituali. Ma dal racconto di tante vite (dalla Riposto del primo Novecento alle avventure nello spazio dei giorni nostri) emerge come ciò che completa i destini, che li rende unici, è il lampo del genio, il desiderio dell’avventura, la piccola scintilla di follia – o semplicemente il desiderio di un altrove e di un non visto – che ci fa deviare dai binari consueti per tracciare nuove rotte e scoprire nuovi possibili scenari. Un racconto avvincente di largo respiro». 2° premio – Anna Rosa Balducci – “Storie di mare” «Un’abile tessitrice compone un arazzo di parole. Il lavoro scorre, veloce e preciso, e dall’intreccio di trama e ordito emerge una storia fatta di storie, un quadro variopinto il cui filo conduttore è sempre il mare, oggetto – o forse pretesto – di poesia. E mentre osserviamo le immagini che si delineano, simili a delicati acquerelli, abbiamo l’impressione di sentire, come musica di sottofondo, il muoversi dei ciottoli sulla spiaggia, levigati dal continuo andirivieni delle onde». 3° premio – Orazio De Maria - “Il medaglione di ebano scuro” «Cronaca di fatti realmente accaduti o frutto di fervida fantasia? In fondo, poco importa: non occorre credere alle storie per amarle, basta che in esse si trasfonda un soffio di poesia e di eternità, che catturi e fissi l’elemento magico del quotidiano. Perché, a ben vedere, in questa storia d’amore che si ripete tra generazioni diverse c’è qualcosa che avvicina i protagonisti al mistero del trascendente, all’essenza stessa della vita». Menzioni “Si può amare il mare anche se...” di Eugenia Pileggi - Catania «Si può amare il mare anche quando ti porta via un figlio? Una tragedia del mare narrata da voce di donna e vissuta con cuore di madre». “Skipper” di Maria Salemi - Bolzano «Fresca e scanzonata, una poesia in musica che suscita voglia di vivere e desiderio di avventura». Degna di pubblicazione la poesia “A mio nonno” Pagina 148 di Marinella Scordo - Riposto CT Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Giovanni Coglitore SIAMO GIÀ IN PARADISO M olti, ma molti anni fa, quando ancora non c’era la televisione a colori e le strade non erano tutte asfaltate, si sentivano allora il rumore degli zoccoli dei cavalli e le ruote dei carri sul selciato, insemina, in quel mondo che non c’è più, una notizia fece tutti trasalire: “Hanno lanciato degli uomini nello spazio, alla conquista della luna! Alcuni increduli dicevano: “Ma no... ! Non è possibile, ma cosa vogliono farci credere?”. Altri invece preoccupati, si chiedevano tra loro: “Chissà dove andiamo a finire di questo passo!”. Li chiamarono “cosmonauti”, (navigatori dello spazio). Uno di questi, un’italoamericano di nome Ryan Fazio che collaborava con la N.A.S.A: (Nazionale, Aeronautica, Spaziale, Amministrazione) dall’alto dello spazio, vide la Terra e la paragonò ad una perla blu; il suo cuore si riempì di nostalgia, desiderava respirare quell’aria fresca dei boschi, correre sulla risacca e lasciare che l’alito del vento sfiorasse la sua faccia, godere delle miriadi di colori suscitati dalle gocce di rugiada lambiti dai caldi raggi del sole, camminare sull’erba verde trapunta di fiori, guardare le punte innevate dei monti e ammirare nella sera, la volta stellata che come un manto copre il nostro sfavillante pianeta. Ryan rifletteva e fantasticava: egli si vedeva nella notte, mentre il suo piacevole riposo era conciliato dallo sciacquio di un ruscello o al rumore degli animali notturni; alzarsi la mattina col cinguettio degli uccelli o al canto mattutino di un gallo, sentire l’abbaiare di qualche cane in lontananza o il rumore delle onde del mare che s’infrangono sulle coste frastagliate oppure arenarsi sulla sabbia dorata, godere alla vista delle vastità dei paesaggi, dei villaggi disseminati qua e là, nelle campagne, con gli spioventi tetti rossi da sembrare campi di papaveri. Ryan annusava come a voler sentire l’odore della terra lavorata, desiderava allargare le narici agli odorosi pini, esultare al divampare delle ginestre, egli era ansioso di tornare e vedere quei tramonti che infiammano il cielo e le ondeggianti oceani agitati dal vento; sentì il suo cuore battere di gioia, e l’astronauta si rese conto che, “Viviamo già in paradiso”. Ryan mentre era librato nello spazio aveva molto tempo per riflettere e meditare; egli diceva: “Ecco, l’uomo ha progredito, ma c’è una netta distinzione tra l’uomo e la natura che per millenni continua come il primo giorno, la rondine fa sempre lo stesso nido e la volpe la stessa tana, la notte e il giorno si susseguono perennemente e le stagioni inneggiano alla vita. L’erba nei campi e la neve sui monti; mentre Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 149 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° l’umanità dalle passate ere ad oggi è talmente progredita, da dimenticare l’altruismo, l’amore verso il prossimo e non vedere più il “Nostro Paradiso”. Ryan ricordava i racconti di suo padre della lontana Sicilia, prima che egli nascesse e conoscesse sua madre, e nel ricordo le sue labbra s’incresparono in un sorriso nostalgico. Il lontano passato fluiva nella sua mente ed egli era felice di ricordare. “Mio padre, Antonio Fazio”, ricordava Ryan: “Seduto vicino al camino con la classica pipa in bocca mi raccontava delle sue avventure; ed io, ancora poco più di otto anni, ascoltavo rapito dalla sua bocca. Egli diceva spesso: “Tu non farai il marinaio!”. Mio padre nacque a Riposto sul litorale Jonico, a pochi chilometri dalla città di Catania il 20 aprile 1905. Riposto era un paese di pescatori e lo è tutt’ora; anche se molte cose sono cambiate. Mio padre era la disperazione della nonna che oramai vedova voleva che suo figlio trovasse una buona moglie e che sì togliesse i tanti grilli per la testa. E per la verità, mio padre di grilli n’e aveva proprio tanti. Una vicina di casa, parlò con la nonna perché voleva combinare il matrimonio con sua figlia; mio padre già ventenne raccontava che si era abituato alle facce del paese e quando la nonna le prospettò il matrimonio con la figlia della vicina e che gli avrebbe portato una buona dote, mio padre rispose: “Beh... sposala tu, se ti fa tanto piacere! Io non sposerò nessuna del paese e non morirò come mio padre facendo il pescatore per pochi denari; proprio no!” Egli era un avventuroso, un sognatore, a volte finita la pesca notturna se ne stava per delle ore a contemplare il mare nei suoi argentei riflessi e il suo cuore si riempiva di qualcosa simile alla nostalgia, egli non riusciva a comprendere che cosa lo attirava, forse il desiderio di una realizzazione fantastica, di qualcosa indescrivibile. Ed io in qualche modo gli somiglio, ecco perché mi ritrovo con i miei colleghi a guardare il nostro meraviglioso Globo dall’alto dello spazio. Erano trascorsi una decina d’anni e avevo già ottenuto il meritato diploma di maturità, conseguito al Cambridge college, uno dei più costosi di Boston, nello stato del Massachusetts, lambito dall’oceano Atlantico. Ci trovavamo nell’intimità familiare, ed io chiesi a mio padre: “Come hai conosciuto la mamma?”. Egli sorrise e guardando nel vuoto come a ricordare iniziò il suo racconto e le sue parole sono ancora nitide nella mia mente. In quel periodo, circolava tra i giovani del paese la diceria che le ragazze più belle si trovavano a Castiglione, anch’esso nella stessa provincia, situato tra l’Etna e il fiume Alcantara che divide le due province, Catania e Messina. Castiglione è un paese montano di pochi abitanti dediti alla coltivazione d’uliveti, vigneti, noccioli e pastorizia. La diceria era nata dalla curiosità e dal desiderio dei giovanotti di evadere, di vedere facce nuove; la maggioranza della gente, nasceva, cresceva ed invecchiava nello stesso paese, perciò il desiderio di andare altrove tra i giovani ne accentuava la fantasia. E cosi s’inventavano dicerie e storie che alimentavano la loro immaginazione. Anche mio padre, ancora per la preoccupazione di mia nonna, volle avere l’esperienza Pagina 150 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore di andare a Castiglione, dove conobbe quella ragazza che poi doveva divenire la mia mamma. Si accordò con altri due amici e decisero che per la prima domenica di Maggio, il giorno della festa padronale, si sarebbero recati a Castiglione. Il paese in quel giorno sarebbe stato addobbato a festa, i balconi fioriti lungo il viale che porta alla piazza principale sarebbero stati una fantasmagoria di colori. I festeggiamenti in onore della Madonna della Catena, iniziavano già il sabato pomeriggio, con la banda musicale e i costumi locali a seguito, e si protraevano sino alla mezzanotte della domenica, quando la gente sui balconi e nella piazza gremita di bancarelle e il palco dove la banda suonava per anni la stessa marcia, sarebbero stati nell’attesa, della conclusione dei festeggiamenti. I castiglionesi, allora tutti con gli occhi rivolti al ciclo, sarebbero stati pronti ad assistere ai fuochi d’artificio in una miriadi di colori. Ogni anno la festa era un avvenimento, soprattutto per le ragazze del paese che mettevano in mostra i loro vestiti nuovi, ma quello che più contava era la loro bellezza. I giovani del paese guardavano a muso duro i giovanotti forestieri e non era raro assistere a qualche rissa dovuta alla gelosia. “Quel sabato di maggio, appena dopo l’alba, la mattinata splendeva come un diamante”. Raccontava mio padre, anche se di diamanti non n’e aveva mai visti, ma l’idea era calzante. E continuò nel suo racconto come neanche un poeta poteva descrivere meglio. Egli diceva: “II ciclo era di un azzurro cristallino, e i raggi del sole si stagliavano sul mare in una luce abbagliante con un luccichio argentato; osservavo le barche ondeggiare, mentre i pescatori tiravano su le reti, scorgevo le loro facce solcate dal sole e della salinità dell’acqua marina, ma i loro volti erano sorridenti, in quella festosa giornata non poteva essere diverso. Quel poco pesce che prendevano li faceva gioire; ed io vestito a festa mentre aspettavo gli amici, guardavo l’orizzonte e l’ansietà mi assaliva”. Mio padre diceva, che forse somigliava a suo zio, fratello di suo padre che da giovanotto appena dopo la grande guerra, si era imbarcato clandestinamente per l’America del nord, si poteva dire che era letteralmente scappato di casa. A Boston non si sa come, aveva fatto fortuna e dato che, il suo mestiere era fare il marinaio, non si sa con quali mezzi, egli riuscì a divenire padrone di due pescherecci e dei marinai che lavoravano per lui, ma non aveva a chi lasciare quella fortuna; perché era rimasto scapolo e senza figli. Più volte aveva scritto a suo fratello che voleva adottare il nipote Antonio, e mio padre raccontava che il nonno rispondeva sempre così: “Non ho figli da vendere io!” E così mio padre dovette continuare la tradizione di famiglia e fare il pescatore. Con la morte del nonno, mio padre mantenne i contatti con suo zio, ecco perché, guardava l’orizzonte ansioso; però si era preposto che sino a quando c’era sua madre non l’avrebbe mai abbandonata. Egli aspettava in stazione trepidante l’arrivo dei suoi amici, dovevano prendere il treno per Catania e dopo aspettare la corriera che li avrebbe portati a Castiglione. Avrebbero dormito in quell’unica locanda dove ospitava pure i carrettieri di passaggio. Mentre egli Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 151 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° aspettava, ripensò alle raccomandazioni della nonna che sino all’ultimo cercava di dissuaderlo dicendogli: “Ma dove vai? Perché non sposi una ragazza del nostro paese che già conosci, e metti quella testaccia a posto?”. Ma lei già sapeva che era come parlare al vento, non poteva impedirgli di andare e si era rassegnata ad aspettare con pazienza. La cocciutaggine era nel d.n.a della famiglia e mio padre non era un’eccezione; però il suo cuore s’intenerì nel pensare a quell’amore premuroso di sua madre, egli non voleva darle un dolore, ma quella forza interiore che lo spingeva era come un’esplosione emotiva che non poteva contenere. Il treno era in arrivo e i suoi amici non erano ancora arrivati, egli sì era quasi rassegnato a partire da solo, invece arrivarono correndo proprio all’arrivo del treno in stazione. Mio padre gridò loro: “Presto salite, mi racconterete dopo!” Si riunirono in quella carrozza di terza classe con i sedili di legno, ma non avevano il tempo di lagnarsi perché uno degli amici di mio padre affannosamente raccontò: “A stento sono riuscito a convincere i miei genitori, mia madre non mi avrebbe lasciato uscire di casa neanche se mi sarei messo in ginocchio, anzi mi disse: “Non ti azzardare a fare ti testa tua perché al tuo ritorno ti legherò alla cuccia insieme al cane!”. “E allora?”, chiese mio padre. E il suo amico, questa volta ridendo esclamò tentennando: “Tutto merito di mio padre! Egli si mise dalla mia parte ricordando che anche lui era stato giovane e che qualche scappatella mi avrebbe rafforzato il carattere, e allora ho dovuto subire per tutta la mattinata le prediche di mia madre che non si stancava con le sue raccomandazioni; però mio padre mi avvertì dicendomi di non tornare con le teste rotte”. “Oh bella! E perché?”, chiese l’altro amico. Ed egli rispondendo disse: “Perché a sentire mio padre, sembrerebbe un diario da medioevo; pensate un po’, mi disse che non dobbiamo guardare le ragazze, altrimenti saranno botte da orbi!” Mio padre intervenne dicendo: “Ma allora perché andiamo?” E l’amico riprese a dire: “Possiamo guardarle, ma non fissarle troppo se non vogliamo buscarli dai parenti”. Mio padre con noncuranza esclamò: “Non diamogli retta, non siamo ai loro tempi! Io sceglierò la più bella del paese e nessuno me lo potrà impedire!”. Mentre mio padre raccontava, mia madre che si affaccendava in casa, a sentirlo parlare esclamò: “Sei sicuro che fosse proprio la più bella?” “Perché ci sono dubbi? Da quando ti ho portata a Riposto, a Castiglione è mancata la luce!”, esclamò mio padre ridendo, e mentre parlava gli brillavano gli occhi. Mia madre non seppe resistere, si avvicinò e in un impeto di tenerezza gli scompigliò i capelli e ritornò alle sue faccende. Mio padre riprese il racconto e disse che per l’altro amico era stato più facile, i suoi genitori s’informarono con chi andava e lo lasciarono partire. A Catania, usciti dalla stazione, poco dopo salirono sulla corriera che li avrebbe portati a Castiglione. Scherzavano e ridevano tra loro, felici, come potevano essere dei giovani alla loro età. Arrivarono poco prima di mezzogiorno e la loro prima Pagina 152 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore esigenza era soddisfare l’appetito, comprarono un panino e seduti su di un sedile della piazza, mentre mangiavano incominciarono a guardarsi attorno, ma di ragazze neanche l’ombra. Uno di loro esclamò: “Non si vede una donna in giro!” Mio padre faceva la parte dell’esperto e rispose: “A quest’orario saranno tutte in casa, ma per la festa, domani, vedrete che sfilata!” Mangiarono e dopo chiedendo informazioni si diressero verso la locanda, dove diedero loro una stanza disadorna con appena i tre lettini e il water fuori in uno stanzino sul balcone, l’unico aspetto positivo era il panorama, mio padre raccontava estasiato di quello che si vedeva: “Una striscia di rosso intenso si specchiava sul mare in lontananza. I paesi disposti lungo la costa, sembravano una cornice ai piedi del monte, mentre tutt’intorno, animali brucavano nelle terrazze verdi di foraggio. Alzai lo sguardo e riuscì perfino a distinguere la costa peninsulare, era fantastico poter spaziare e vedere quel magico paesaggio. Tutti e tre eravamo rapiti da tale vista e tiravamo ad indovinare qual era quel paese o quell’altro, indicandoli col dito”. Dopo raccontava mio padre, si misero a fantasticare e fare scommesse, su chi di loro sarebbe riuscito a scegliere una ragazza da sposare. E sì! Perché a quei tempi era quello l’unico scopo per avvicinare una ragazza, e facevano progetti per il futuro. Parlando e fantasticando, la musica li colse di sorpresa e si accorsero che il sole volgeva al tramonto. La banda con a seguito un gruppo nel costume locale, s’incamminava verso la piazza e la gente apriva le porte al loro passaggio facendo ala da una parte e dall’altra della strada. Mio padre e i suoi amici si precipitarono giù per vedere da vicino, ma il loro scopo era ben altro. S’intrufolarono in mezzo alla folla, ma di ragazze neanche a pensarci; erano tutti uomini e persone anziane. “Dove erano finite le donne?”, si chiedevano. Invece le ragazze erano tappate in casa e se qualcuna lungo la strada si azzardava ad uscire il naso dall’uscio, si riceveva qualche spintone dalla madre o dal padre, oppure di qualche fratello maggiore. La loro uscita era per l’indomani, la mattina per andare a messa, seguite dai loro genitori, il pomeriggio in processione dietro il fercolo sacro, con la veletta e la candela accesa in omaggio alla Madonna, sino al suo rientro nella basilica. Ed era impossibile per qualsiasi giovane poterle avvicinare, raccontava mio padre. Ma riprendiamo dalla sera di sabato, mio padre e i suoi amici si accodarono alla folla che seguiva la banda e il gruppo nel costume siciliano, con pantaloni alla zuava di velluto scuro, camicia bianca a larghe maniche, fascia alla vita e foulard sgargianti per gli uomini; e per le donne, gonna lunga pieghettata alle caviglie, camicetta bianca e foulard rosso, seguivano la banda a suon di tamburello flauto e scacciapensieri, ma tra quelle donne neanche una giovane ragazza. Mio padre, quasi, quasi si era rassegnato, credendo di aver fatto un viaggio a vuoto, egli e i suoi amici seguivano la folla così, senza nessun interesse, ma notarono che davanti l’uscio delle case con le porte spalancate, c’era qualche viso fresco di ragazza che faceva capolino non osando uscire del tutto e il cuore di mio padre Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 153 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° riprese a battere di qualche possibile speranza. La serata si concluse con il ballo del gruppo sul palco presentato dal primo cittadino, il “podestà”, che colse l’occasione per esaltare il regime fascista e poi il concerto della banda terminò verso mezzanotte, e con il beneplacito delle autorità, concluse con l’inno di Mameli. Mio padre raccontava che andarono a dormire stanchi e delusi, sperando nella giornata di domenica. L’indomani mattina era d’obbligo andare dal barbiere, radere la barba e imbrillantinare i capelli, il barbiere che di solito era proverbiale la sua loquacità, chiese curioso: “Voi non siete del paese, di dove siete?”. Mio padre che voleva mantenere l’incognito rispose per tutti: “Veniamo dal continente, da dove le pietre si chiamano sassi e siamo qui perché abbiamo sentito dire che le don...”, ma non riuscì a finire la frase perché si ricevette un pizzicotto dal suo amico; ed egli si riprese dicendo: “Si, abbiamo sentito che le domeniche fate sempre festa, qui in paese” “Non sempre”, rispose il barbiere e continuò dicendo: “Ma voi siete capitati bene, perché oggi è la festa della Madonna della Catena e se non dovete ripartire in fretta, questa sera ci saranno dei fuochi d’artificio che solo in questo paese si possono ammirare”. E continuo nel suo ciarlare esaltandone le bellezze. I giovani annuivano senza dargli troppa retta. Usciti dal barbiere, lucidi e impomatati si diressero verso la basilica, e per strada il loro cuore sobbalzava di continuo. La strada era disseminata di ragazze vestite a festa a braccio tra loro e dietro una sfilza di parenti diretti in chiesa. La bellezza era loro accanto, ed era così tanta, che i loro occhi si alternavano continuamente. “Non eravamo i soli a guardare”, raccontava mio padre; anche le giovani guardavano sottecchi facendo sorrisini maliziosi e parlottando tra loro. Tra le tante, mio padre fece la sua scelta, seduto a distanza vide che anche lei, di tanto in tanto girava lo sguardo appena percettibile per non incorrere in qualche rimprovero dei suoi genitori seduti dietro, I suoi amici guardavano, ma non riuscivano a decidersi. Il sacerdote fece la sua predica che nessuno ascoltava e dopo di che, ogni famiglia fece ritorno a casa per il pasto speciale della domenica festiva. Mio padre non si lasciò sfuggire l’occasione e a distanza seguì quella famiglia deciso ad imparentarsi. I suoi amici ridevano della sua caparbietà dicendo: “Ma sei sicuro che lei dirà di sì? Ti conviene lasciare stare e dare retta a tua madre; sposati la tua vicina!” Ma come si diceva, mio padre era partito deciso di farsi fidanzato e nessuno glielo toglieva dalla testa. Era cocciuto come un mulo e quando egli si poneva una meta, beh..., siamo di famiglia. Dopo che mio padre vide dove abitava, solo allora diede retta allo stomaco e per quel mezzogiorno fecero i turisti, andarono a mangiare in osteria, essere serviti fu la loro prima esperienza, si guardavano l’un con l’altro, soddisfatti. Il pensiero di mio padre era come potersi dichiarare e si chiedeva: “Come farò a dirle che la voglio sposare, se non è mai da sola? Con quella ragazza vicino che forse sarà sua sorella, con i suoi genitori che non la lasciano un istante! Dovrò inventarmi qualcosa”, rimuginava mio padre. E gli amici se la ridevano vedendolo così pensieroso. Le Pagina 154 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore ore passavano e le strade si riempivano di gente festante, la banda era già sul palco e mio padre aspettava a distanza, che anche quella famiglia uscisse di casa. Finalmente li vide, lei mano nella mano, con sua sorella minore e i genitori agghindati dietro, ad un passo da loro. A mio padre il cuore gli pulsava come un tamburo da guerra, come fare? Man mano la folla aumentava nelle strade e nella piazza, questo era a suo vantaggio, perché riuscì ad avvicinarla quasi a spalla a spalla, le disse una sola parola, ed essa si tolse la scarpa e glie la tirò, non per fargli del male, ma per far vedere agli occhi degli altri la sua serietà, non ammetteva che le si dicessero parole in pubblico, anche se non c’era nessun*altra occasione; oppure doveva farsi rappresentare dinanzi ai suoi genitori. Ma mio padre, impulsivo com’era non accettava certe regole; egli afferrò la scarpa come fosse un trofeo, se la mise in tasca e scappò tra la folla, il padre cercò di rincorrerlo e se lo afferrava erano di sicuro botte. La folla fu sua alleata e mio padre si dileguò. Il futuro suocero e mio prossimo nonno, non riuscendo a trovarlo, afferrò per il bavero uno dei suoi amici gridando: “Quello era con voi! Ora mi direte chi è!” La moglie cercava di calmarlo, ma egli era irremovibile e strattonava con forza il giovane amico che con un’aria serafica esclamò: “E chi Io conosce! Noi veniamo da Riposto, come facciamo a conoscere la gente del paese?” “Ma che paese e paese! Chi lo ha visto mai quello!”, gridava il padre. La moglie infine riuscì a calmarlo, ma dovettero ritornarsene a casa, la festa per loro era finita, con notevole disappunto della sorella minore Lucia che si lamentava dicendo a sua sorella Maria: “Per colpa tua siamo dovuti rientrare!”. “Potevo camminare con una sola scarpa?”, si difese Maria. “E tu perché gli hai tirata la scarpa?”, rispose risentita la sorella. “Su smettetela di litigare!”, intervenne la madre e presa la figlia Maria per un braccio le chiese: “Ma si può sapere che cosa ti ha detto quel giovanotto?”. Maria esitante disse: “Beh... mi ha detto che sono bella”. La sorella risentita esclamò: “E per questo gli hai tirato la scarpa? Sei impossibile, tu non ti sposerai mai!”. La madre portò la mia futura mamma dinanzi allo specchio e le chiese: “Come ti vedi tu?”. Maria rimirandosi rispose: “Sono bruttissima!”. E la madre sorridendo esclamò: “E invece quel giovanotto ha detto la verità, sei molto bella, diglielo anche tu Lucia!”. “Certo che è bella! Magari fossi anch’io come lei”, rispose la sorella. La madre amorevolmente chiese: “Anche tu? Vi assicuro che siete due belle ragazze e non passerà molto tempo che purtroppo devo fare a meno di voi!”. “E perché?”, chiese la mia futura zia. La madre le abbracciò entrambe e sorridendo disse: “Perché i giovanotti faranno a gara per portarvi via da me. L’esperienza mi dice, che quel ragazzo riporterà presto la tua scarpa Maria, e magari...”. “E magari?”, ripetè Maria ansiosa. “E magari richiederà la tua mano, ci puoi scommettere!”, esclamò la madre sicura di sé. “E se invece l’ha portata via per dispetto?”, chiese Maria con rammarico. La madre rispose evasivamente: “Vedremo, vedremo!”. Intanto mio padre, finita la Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 155 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° festa ritornò con i suoi amici alla locanda, con la mano in tasca si teneva stretta a se quella scarpa. Egli si sentiva un principe, ma non aveva motivo di cercarla tra la folla, mio padre conosceva bene la sua principessa. Lunedì, di prima mattina si accinsero a ritornare, la corriera partiva dalla piazza principale alle sei e dovevano sbrigarsi, sulla strada del ritomo uno degli amici chiese a mio padre: “Vuoi farmi vedere questa scarpa? Chissà se le puzzavano i piedi?”. Mio padre si fece serio e rispose: “Non ti permettere più d’insultare la mia futura sposa!”. E l’amico esclamò: “Eh... come la fai lunga! Hai solo una scarpa! Sei sicuro di ottenere il resto?”. “Lo vedremo! Io vi dico, che sabato prossimo sarò fidanzato! Statene sicuri”.. Alla stazione di Riposto, mio padre salutò gli amici e fece ritorno a casa. Mia nonna l’accolse a braccia aperte, non essendo abituata alla sua assenza, scoppiò in lacrime e mio padre la rassicurò carezzandole quella testa bianca. Poi ripresosi lei assunse un tono di rimprovero dicendogli: “Lo vedi che cosa vuoi dire allontanarti da casa; stamattina tutti hanno fatto una buona pesca, solo la nostra barca è rimasta in secca!”. “Mi rifarò questa notte, vedrai”. Intanto guarda che cosa ho portato da Castiglione!”, e mio padre le fece vedere la scarpa, dicendole: “Sabato prossimo andrò a farmi fidanzato”. “Con una scarpa?”, chiese incredula la nonna. E mio padre ridendo: “No, vado a riprendermi l’altra”. “Un’altra volta? Ma dimmi un po’, hai forse perduto la testa? Altri due giorni fuori di casa?”. “Dovrò pure sposarmi un giorno, no? E poi questa volta, ritornerò il giorno stesso”. E la nonna mentre si allontanava continuava a ripetere come una cantilena: “Mogli e buoi, dai paesi tuoi, mogli e buoi dai paesi tuoi”. Mio padre sorrideva, posò con cura quella scarpa tra le sue cose e si diede da fare nel preparare le lampare per la notte. Quella settimana a mio padre gli sembrò un’eternità e il sabato successivo già di prima mattina si mise in ghingheri per avviarsi alla stazione. Questa volta, la madre rassegnata sentenziò: “Tu vai a cercare un’erba selvatica, che non è del tuo campo!” Ma egli sorrise e con la scarpa avvolta con cura in un pacco regalo con tanto di nastro rosa, si avviò. Arrivato a Costiglione, prima di recarsi in casa di mia madre volle rilassarsi; egli raccontava che si sentiva tutto un tremito e tra se disse: “Meglio che prima mangio un panino, berrò un bicchiere di vino, anzi due, altrimenti lo stomaco mi sobbalzerà cosi forte che non riuscirei a parlare”. Dopo che si fu rilassato, tirò un lungo respiro e si presentò dinanzi alla porta bussando discretamente. Quando sentì dei passi avvicinarsi, il cuore incominciò a battere come una campana a mezzogiorno; ma egli rimase fermo come un soldato di fronte al nemico. Venne ad’affacciarsi dalla finestra, la sorella minore che come lo vide scappò via gridando: “Mamma! Mamma! C’è il giovanotto della festa!” La mamma annuì e sorridendo guardò la figlia ammiccando. Maria invece presa Pagina 156 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore dall’emozione non sapeva cosa fare. La mamma la tranquillizzò e disse di starsene tutte e due lì che l’avrebbe ricevuto lei. Andò ad aprire chiedendo cosa volesse. Mio padre con la voce un po’ tremante disse: “Ero venuto a riconsegnare quello che io ritengo un pegno”. “Un pegno?”, chiese la mia futura nonna facendo finta di niente. Mio padre non si perse d’animo e riprese a dire: “Sì, sono venuto a riportare la scarpa e chiedere la mano di vostra figlia”. “Ma guarda che combinazione! Noi l’aspettavamo. Sedete qui con comodo che io vado a chiamare mio marito”. Le ragazze nella stanza accanto si stringevano le mani emozionantissime, e stavano attaccate con le orecchie alla porta di mezzo ad ascoltare ogni minimo respiro. Quando la nonna informò il marito nella vicina campagna, che il giovane della festa aveva riportato la scarpa, egli andò su tutte le furie e senza ascoltare oltre, gridando e minacciando diceva: “Una bella faccia tosta! Ma io gliela rompo quella faccia! Aspetta che arrivo!”. La moglie gli correva dietro dicendogli che era un bravo giovane e che aveva buone intenzioni. Ma egli non sentiva ragioni e non appena varcò la soglia di casa, afferrò mio padre gridandogli in faccia: “Io ti spacco la testa se non te ne vai da dove sei venuto!”. Mio padre s’irrigidì aspettandosi qualche sganassone. Ma la moglie arrivò in tempo, afferrò per il collo il marito e con tutte le sue forze lo costrinse a sedere gridando: “Ma la vuoi smettere di fare il matto? Questo giovane poteva anche non venire, ma se è venuto vuol dire che le sue intenzioni sono serie! E ora calmati e fai le domande che si addicono ad un buon genitore”. Il mio futuro nonno, doveva fare la scena di capo famiglia, doveva far sentire il peso della sua autorità; tossì più volte, si strofinò le mani sui calzoni e con un tono accomodante incominciò: “Allora, prima d’ogni cosa, voglio sapere come ti chiami e da dove vieni”. Mio padre un po’ rasserenato rispose: “Mi chiamo Antonio Fazio e vengo da Riposto”. A sentire il nome del paese, mio nonno si alzò di scatto ed esclamò: “Ah... brutto malandrino! Eravate tutti d’accordo?”. Ma la moglie vigilava, gli mise una mano sulla spalla rifacendolo sedere e le ragazze nel retro stavano sulle spine. Il nonno riprese le domande: “Qual è il tuo mestiere?”. E mio padre: “Faccio il marinaio”. “Eh… no! Non darò mai mia figlia ad un marinaio, i marinai stanno fuori per delle settimane e lei rimarrà da sola ad aspettare e stare in pena. No, assolutamente no!”. Mio padre cercò di aggirare l’ostacolo dicendo: “Io non faccio proprio il marinaio, faccio il pescatore”. “Ancora peggio! Mia figlia non la sposo per farla diventare vedova, una burrasca e si ritrova a lutto”. La moglie ascoltava e stava forzatamente zitta, era il marito che doveva indagare e lei si mordeva le labbra. Mia madre nell’altra stanza pestava i piedi e stringeva i denti. Mio padre non si diede per vinto e disse: “Allora se morirò Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 157 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° sarà colpa vostra, se mi fate sposare vostra figlia, sarò prudente, uscirò quando c’è bonaccia e non rischierò la vita, perché so che ad aspettarmi c’è la mia famiglia. Se invece non me la fate sposare, uscirò col maltempo e le burrasche, la barca si capovolgerà e io annegherò, tanto, non ci sarà nessuno ad aspettarmi, e voi mi avrete sulla coscienza”. “Ma guarda questo! Mi vuole incolpare della sua morte!”. La nonna sbottò: “Ma che morte e morte! Questo giovane è venuto in casa nostra per la vita, non certo per la morte! E poi i pescatori non sono mai morti di fame, e in ogni caso noi dove siamo, al polo nord? Non vogliamo vendere nostra figlia, ma la stiamo solo sposando!”. Il marito fece un momento di pausa e disse: “Sentiamo la diretta interessata”, e disse alla moglie di chiamare Maria. La ragazza entrò con gli occhi bassi non osando guardare e il padre, le chiese: “E allora cosa ne pensi tu? E non dite di che cosa, perché eri di là che ascoltavi”. Mia madre senza alzare gli occhi rispose: “Mi piacerebbe vedere il mare da vicino”. Il padre, la guardò un attimo e disse: “Puoi andare, ai già parlato troppo!”. E continuò dicendo: “La risposta l’hai avuta, puoi andare”. La moglie s’intromise ed esclamò: “Lo mandi via così senza dirgli niente?”. “E che cosa dovrei dirgli? Non lo sa lui che cosa deve fare? E se non lo sa, che se lo faccia spiegare dai suoi genitori”. Mio padre ancora con il fagotto in mano contenente la scarpa disse: “Non potrei consegnare la scarpa e salutare la mia fidanzata?”. Il padre lo guardò torvo ed esclamò: “Tu corri troppo ragazzo mio! Ancora non è la tua fidanzata, vieni domenica prossima con i tuoi genitori e dopo sì vedrà”. Mio padre rispose mesto: “Posso portare solo mia madre, il padre mi è morto”. Negli occhi di mio nonno passò un lampo di tenerezza e disse: “Beh... porta tua madre; tuo padre è morto in mare?”. Mio padre si risenti un po’ e rispose: “Ma voi l’avete proprio con il mare? Mio padre è morto in casa con il conforto dei parenti! E poi domenica non posso venire, non c’è la corriera, verrò di sabato come oggi”. La nonna lo avvicinò accomodante. Gli mise una mano sulla spalla e disse: “Non te la prendere Antonio, mio marito ha i suoi modi, ma è un brav’uomo; vieni pure di sabato, ti aspettiamo”. Il marito si alzò, stese la mano a mio padre, e gliela strinse con calore, come a trasmettergli tutta la sua comprensione e ritornò al suo lavoro. La nonna lasciò che suo marito andasse via e come tutte le donne il cui cuore di mamma è tenero, chiamò sua figlia e la presentò a mio padre dicendo: “È giusto che sia tu a consegnarle la scarpa, ti permetto di stringerle la mano”. I ragazzi si guardarono negli occhi e mio padre raccontava che non aveva mai provato un sentimento più grande, la gioia che traspariva dal suo volto era così contagiosa che Maria, sentì gli occhi inumidirsi, mentre dalla porta socchiusa Lucia guardava e sorrideva felice per sua sorella. Pagina 158 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore La nonna infine disse: “Ora vai Antonio, altrimenti perdi la corriera”. Mio padre non si sarebbe mai stancato di specchiarsi in quei occhi color nocciola, ma capì che la madre aveva ragione, staccò con fatica quella mano dalla sua e uscì in strada diretto verso la piazza. Mia mamma non sapeva se piangere o ridere; abbracciò sua madre e sua sorella, non sapeva come esternare la sua gioia, tanto che si mise a cantare: “Amor dammi quel fazzolettino...”. E mia madre l’intonò dalla cucina facendo indispettire mio padre che voleva finire di raccontare dicendo: “Smettila di cantare che ancora non ho finito!”. Mio padre continuò il suo racconto, da quando ritornò a casa con il cuore colmo di felicità. Non appena, entrò in casa, prese sua madre e la sollevò di peso ruotandola per la stanza. La madre presa alla sprovvista esclamò: “Ma che ti prende, sei diventato matto?”. “No mamma, sono felice come non mai, sabato ti porterò a conoscere la mia futura moglie”. La nonna che non si fidava molto disse: “In montagna io non ci vengo, quella è gente che non si sa neanche vestire, ti faranno soffrire”. Mio padre disse accoratamente: “Mamma tu vuoi che io sia felice?”. E la nonna: “Si capisce! Ed è per questo che io ti dico di guardare altrove”. E mio padre, pazientemente riprese a dire: “Allora l’unica che mi può fare felice è Maria e se tu non vieni, io non mi sposerò più; nessuna potrà prendere il suo posto”. La nonna visto che suo figlio faceva proprio sul serio, addolcì la voce e disse: “E va bene, verrò a conoscere questa Maria e speriamo che sia per il tuo bene”, e borbottando aggiunse che non approvava il loro modo di agire. “Com’è che ti hanno fatto entrare non lo so! Ai miei tempi il compare dovette fare un mese di viaggi a casa mia, prima di fare entrare tuo padre. Di questo passo dove andiamo a finire, che le ragazze si fidanzano per strada?”. “Questo non lo so, ma una cosa è certa: i tempi cambiano mamma”, disse mio padre tentennando. Mio padre si fidanzò ufficialmente e per un anno di fila, una volta la settimana, il sabato, andava a trovare la fidanzata e ripartiva lo stesso giorno; finché il 10 maggio 1926, coronarono il loro sogno d’amore. Nove mesi dopo nacqui io e mi chiamarono Rino, per tutti ero Rinuccio. Sin da bambino giocavo sulla spiaggia ed ero interessato ai ciottolini colorati che la risacca faceva rotolare avanti e indietro ed io m’incantavo a guardare ammirato. Nei giorni di pioggia e specialmente in primavera, quando l’acquazzone lasciava allo splendore pomeridiano, le formiche uscivano dalla loro tana cercando pagliuzze e sementi in una fila indiana interminabile; ed io mi divertivo, andavo sotto la tettoia dove la nonna teneva la crusca per le galline ne prendevo una mangiata e la portavo alle formiche con gran disappunto della nonna che diceva: “Se ti prendo!”, e rideva facendo finta di rincorrermi. Io ammiravo per delle ore le formiche che si davano da fare per riempire i loro magazzini sotterranei, quando c’era qualche rigagnolo, io mettevo un filo di paglia e vedevo che le formiche apprezzavano il mio suggerimento, era uno spasso vederli attraversare sul ponte che io avevo loro indicato. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 159 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Avevo già compiuto cinque anni, quando la nonna si ammalò e con mio grande dolore dopo pochi mesi morì. Mio padre era assillato dallo zio, voleva che partisse per l’America, era tutto pronto anche l’atto di richiamo firmato e bollato dalle autorità americane. Anche mio padre era desideroso di partire, non se la sentiva di fare tutta la vita il pescatore; aveva già i passaporti pronti per tutta la famiglia, ma a Castiglione quando se ne parlava era un continuo lamento e pianto. Mio padre cercava di convincerli dicendo: “Che cosa potrò dare a Rinuccio? Farà anche lui il pescatore tutta la vita, oppure zapperà la terra come voi che avete la schiena curva e la faccia bruciata dal sole? Per cosa poi, per tirare avanti a mala pena?”. Il nonno tentennò più volte e poi disse: “Se è per la fortuna di Rinuccio, anche se forse non lo potrò vedere più, che sia fatta la vostra volontà. Ma voglio che ogni anno mi mandiate una fotografia”, disse a testa bassa. Quel povero vecchio diceva la verità. Mia nonna scoppiò in pianto, mia zia, piangeva anche lei e mia madre ancora di più e fecero piangere anche me, vedendoli così afflitti. Un mese dopo arrivarono i dollari dello zio per il viaggio. C’imbarcammo a Messina, i nonni e la zia vollero vederci partire e fu un vero strazio vederli piangere così a dirotto; tanto che io non volevo staccarmi dalle braccia della nonna che continuava a baciarmi di continuo. Il suono della sirena ci chiamava a bordo e il distacco fu straziante, il comandante della nave, la Lloyd Adriatico, gridava col megafono di appressarsi alla passerella, ci avviammo con gli occhi gonfi e il cuore a pezzi. I miei nonni e mia zia stettero lì a sventolare i fazzoletti sino a che, sparimmo all’orizzonte. Il viaggio durò vent’otto giorni, per tutto quel tempo vedemmo solo mare e cielo, il cibo era scadente, ma l’ansia e la gioia di mio padre che ci prospettava una vita comoda e felice, ci compensava dalle difficoltà e inconvenienti del viaggio. Quando al vent’ottesimo giorno, finalmente si scorse la terra in lontananza, tutti i passeggeri salirono sul ponte della nave per guardare quella “Terra” di speranza. Tutti ridevano e gioivano, battevano le mani e puntavano il dito verso la terra ferma. Lo zio ci aspettava con entusiasmo e quando la nave attraccò, egli guardava i passeggeri scendere scrutandoli uno per uno; mio padre subito lo riconobbe, era tale e quale suo padre e alzò le braccia per farsi notare, lo zio a sua volta non stava in sé dalla gioia, per lui era come se fosse arrivato suo figlio. Si precipitò e con slancio abbracciò suo nipote. Si fecero le presentazioni, ed egli subito mi prese in braccio e ci guidò verso la sua macchina. A me sembrò quasi una favola. Lo zio guidò sino alla periferia di Boston, in una zona residenziale, una villetta con giardino ci accolse; la mia mamma ne fu entusiasta e mio papà gli batté una mano sulla spalla come a dirle: “Te lo dicevo io!”. Lo zio disse con fare cerimonioso: “Questa è la vostra casa, è già stata comprata a vostro nome, nel frigo c’è cibo in abbondanza e questi sono per i primi giorni”. E lo zio posò sul tavolo della cucina una cospicua somma. E continuò dicendo: Pagina 160 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Siamo già in paradiso Giovanni Coglitore “Riposatevi qualche giorno, domani manderò un mio dipendente, vi farà conoscere la città e nei dintorni della vostra casa, c’è tutto quello che vi occorre”. Mio padre dopo un po’ di tirocinio, prese il comando dell’equipaggio dei due pescherecci, a volte stava lontano anche delle settimane e mia madre in pena, rimaneva per diverse ore della giornata a guardare l’immenso Atlantico. Con il felice evento di un altro figlio, mia madre riuscì a riempire la giornata e impegnare la sua mente. Fu mio fratello che infine raccolse l’eredità dello zio e di mio padre. Io dopo il diploma di maturità mi sono iscritto all’Harvard University, una delle maggiori università di Boston. A differenza di mio padre, anche se con lo stesso entusiasmo, egli guardava il mare ed io lo spazio; per cui mi scrissi alla facoltà di fisica astronomica. Più studiavo e ancor di più mi appassionavo alle varie scoperte. Per gli astronauti è entusiasmante fotografare la Terra da una navetta spaziale, quando la vedono stagliarsi maestosa nel ciclo. “È la parte più bella dei voli spaziali”, eppure il nostro pianeta sembra troppo piccolo se lo si paragona con il sistema solare. La mia riflessione è: “È la terra parte del nostro sistema solare, oppure è il sistema solare che esiste perché possa esistere la terra in virtù di forze gravitazionali? Comunque sia, questi fatti relativi all’universo hanno attinenza con la vita e il suo significato. Lo studio della terra mi affascina, essa è dalle dimensioni giuste, per ovvi motivi è alla giusta distanza dal sole e i suoi movimenti e la sua posizione nella nostra galassia “la via lattea”, sono indispensabili. Tutto ciò permette la vita sulla nostra meravigliosa Terra. Tutto ciò è casuale? Io dovrei dire come disse il grande matematico inglese Sir Isaac Newton: (1642-1727) “Io non so come mi vede il mondo, ma io mi vedo come un bambino sulla spiaggia che si diverte a trovare qualche ciottolo più bello, dinanzi ad un oceano d’inesplorata conoscenza. Il Dr. Giuseppe Zappalà consegna il 1° Premio Narrativa 2009 al Sig. Giovanni Coglitore Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 161 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Cofanetto che raccoglie i volumi della collana “Storie e racconti di mare. Questo quindicesimo volume completa la collezione. Dai volumi pubblicati e delle copie ancora disponibili, è stato possibile comporre solo 50 serie complete. I pochi cofanetti rimasti, con in più 2 copie di questo quindicesimo volume, vengono ceduti con un’offerta minima di 100 euro. Pagina 162 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Anna Rosa Balducci STORIE DI MARE Q uando si sta vicino all’acqua è difficile non scrivere. Anche se non si è attrezzati, i pensieri vanno lì, alle parole che si potrebbero sommare, una dietro l’altra. Con le parole è facile costruire schemi narrativi, opere, favole o anche solamente storielle. La presenza dell’acqua aiuta la fantasia a stare larga, a girovagare, a ritornare e a ripartire per poi ritornare, esattamente come le onde del mare. La fantasia deve avere spazio, o almeno la possibilità di fuggire, di muoversi, andare, e quando trova due sbarre di ferro che vorrebbero tenerla prigioniera, si insinua tra le fessure aperte, e fugge ugualmente. Sul mare, o vicino al mare, è tutto più semplice. La narrazione zampilla sorgiva, gorgoglia insinuante, chiacchiera birichina. Andando a passeggiare, un pomeriggio qualunque, poi, si riesce sicuramente a ritrovare la dimensione del tempo. Sembra, qui detta, una di quelle frasi ripetute per riempire uno spazio, e invece il tempo è qualcosa che spesso si perde. Si perde nella paccottiglia degli oggetti, nei cuori infranti dall’abitudine, dai volti sconsacrati delle false religioni. Un passo dietro l’altro, regolari, metodici, lungo la linea dell’acqua, e il tempo comincia a ritornare nella sua preziosa realtà. Un buon oggetto, con un inizio e una fine, assume consistenza. Davanti all’acqua, vicino al ritmico, regolare, sciacquio delle onde che sbattono contro la battigia, i pensieri vanno meglio d’accordo con il ticchettare dei minuti e possono trasformarsi in parole con più facilità... Uno, due, i passi vanno, i minuti anche. Sulla tastiera dei minuti, si può cominciare a raccontare un’altra storiella. Non importa se di poco conto. Di storie ce ne sono tante che corrono sulla superficie delle onde, ogni storia è adatta ad una giornata particolare, solo a quella, ad una particolare fase del tempo atmosferico e del tempo con la ti maiuscola, quello cui non si sfugge, quello che crea le giornate, e gli intrecci tra gli esseri umani, e le guerre e le paci. Prendiamo una giornata come questa, di inizio primavera, una primavera grigiocalda, con momenti intensi e fuggevoli di freddo ancora invernale ed umido, vicino alla costa. Si vorrebbe, in una giornata come questa, che spuntasse qualcosa di caldo e di Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 163 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° colorato all’improvviso, con una forma naturale e irrefrenabile: una chiazza di fiori, un raggio di sole forte, una passione, un’idea. Come questa STORIELLA COSI’ COSI’, INTORNO A DUE AMICI DI CITTA’ Quella che prese e travolse due amici di un paese del nord del mondo, quando decisero, di punto in bianco, di avventurarsi in un bel viaggio di emozioni e di divertimento. Erano due buoni amici, giovani, allegri, con un lavoro sicuro e una gran voglia di vivere addosso. Sistemate in fretta e furia due piccole valigie, una per ciascuno, si erano avviati, di stazione in stazione, di ostello in ostello, proprio come due antichi pellegrini, in cerca della felicità. Finché un bel giorno, uno dei due, il più sincero, trovò una ragazza giovane e dolce di cui innamorarsi. Lo disse all’amico, al compagno di mille avventure, e lui lo salutò con affetto, augurandogli buona fortuna e tanta felicità. Avrebbe proseguito da solo il cammino, e sarebbe arrivato molto lontano, forse addirittura agli estremi paesi del sud del mondo. E così i due amici per la pelle si erano divisi. Uno era rimasto solo e aveva continuato a viaggiare. L’altro si era innamorato e si era fermato. Quello che aveva continuato a camminare, dopo circa dieci anni, era realmente arrivato in un povero villaggio dell’ultimo sud del mondo. A prima vista pareva un villaggio come tanti, né povero né ricco, ma a ben guardarlo si capiva che qui tanti bambini erano scalzi, tante mamme non avevano latte per i propri neonati, tanti vecchi, scheletriti, soli e tremanti, stavano ai cigli delle strade ad aspettare che il giorno passasse. Le strade, poi, erano trafficatissime, attraversate in largo e in lungo, ad ogni ora del giorno e della notte, da enormi vecchie automobili che quando erano in moto emettevano fumi neri e densi, così densi che in quei momenti il villaggio veniva interamente coperto, e scompariva alla vista di chiunque passasse ad una piccola distanza. Lì il nostro amico si era fermato, proprio nello stesso momento in cui il suo compagno di avventure di un tempo diventava babbo per la terza volta. E...-... ma in verità, cosa ci può essere di fantastico da raccontare, in una storia così?sussurrano le onde tutte in coro-... questa è una storia come ce ne sono tante, né bella né brutta, una storia qualunque... si può passare ad una storia che abbia del fantastico? E così, lungo la battigia, vicino al fruscio delle onde, si ricomincia, con LA STORIA DELLA NAVE PIRATA che sbarcò in una cittadina moderna, turistica ed attrezzata, all’inizio del nuovo millennio, proprio durante una notte di luna piena e di gran baldoria. Erano tutti indaffarati a divertirsi, e i capi della città avevano promesso vino e birra a fiumi, aranciate frizzanti e altre diavolerie colorate per i più giovani, per tutta la notte. E musica, e rumore, e fuochi d’artificio. La città era tutta un tripudio, non c’era angolo che non fosse invaso da questa travolgente, apparente felicità. Ma cosa c’era di diverso, dal giorno prima, in quella notte di grande baldoria? Pagina 164 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Storie di mare Anna Rosa Balducci Assolutamente nulla, i poveri erano sempre poveri, i malati sempre malati, il mare e l’aria sempre sporchi, i ragazzi sempre con gli occhi persi, gli adulti sempre frettolosi e distratti. Niente di nuovo, nonostante le promesse. Eppure, si divertivano tutti, e mangiavano e bevevano a crepapelle. Così, dello sbarco furtivo della nave pirata nessuno si accorse. Uno... due... tre... quattro... cinque... venti... trenta... forse cinquanta pirati veri, di quelli dei libri di avventure, stavano sbarcando in tutta tranquillità, addirittura dopo aver sistemato la nave, con tanto di bandiera con un enorme teschio, nera e paurosa, nel bel mezzo delle altre imbarcazioni turistiche. “Lucianella ti invita ad uno splendido tour al largo, e vino e canti, e balli e tutto quello che puoi desiderare in un pomeriggio di vacanza al mare!”. Accanto alla nave pirata, l’imbarcazione turistica ‘Lucianella’ stava a sonnecchiare, tranquilla. I pirati, belli, giovani, silenziosi e determinati, avevano il campo libero, nella città frastornata, tra le vie piene di balordi, dentro le case semiaperte perché tutti - chissà perché-si erano convinti di essere in una serata speciale, di bontà ed allegria. Così i pirati avevano razziato e rubato, saccheggiato e distrutto a volontà, nessuno li aveva fermati. Anzi, era accaduto di più. Si erano addirittura confusi con la folla, e dentro la gran sarabanda parevano personaggi in costume, villeggianti qualunque, un po’ originali. E verso l’alba se ne erano andati, lasciando la città già abbastanza malconcia per il rovinio causato dalla festa, immiserita e spoglia. La luna, scomparendo dal cielo, leggera come un soffio, confondendosi con il chiarore del giorno, pareva chiedersi il perché di quella brutta avventura. Ma non aveva parole, per comunicare il suo stupore. Ciac... ciac... stafaciac... Le onde si fanno riccioline, birichine, sospettose, ammaliatrici, ma la terza storia è piuttosto invadente, arriva e scivola sulla secca come una grossa zattera, portata dal lontano oceano in una risacca di casa. Eccola, la storia che arriva, LA STORIA DI UNA MAMMA CHE VUOLE SALVARE LA SUA BAMBINA. Presto detta, purtroppo il tempo stringe, non ci si può dilungare, ma a questo punto ce ne sarebbero di cose da dire. Una mamma ha visto la sua bambina in grande pericolo, ecco, si sta avviando a correre lungo un crinale che separa il porto cittadino dalla strada, è un crinale stretto, la bambina si è lanciata per inseguire il suo palloncino che le è scappato via, per una folata di vento. Il muricciolo su cui corre è stretto, sconnesso, basta pochissimo perché un piedino incespichi in un sasso, o in un buco del cemento. La mamma ha il cuore che corre all’impazzata, le rompe il petto per il tanto battere, non riesce ad essere veloce come vorrebbe... è un attimo, è solo questione di un attimo, ma è uno di quegli attimi in cui si concentra tutta una lunga storia, di vita, e di morte e di amici e di nemici, di principi e di rospi e di principesse e di fate. Corri, corri, con il cuore che impazza... ecco, un capello, un fragile capello che si Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 165 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° attorciglia attorno ad un altro capello, formano un ricciolo... a quel ricciolo la mamma si aggrappa... ecc... afferra la sua bambina da quel ricciolo ribelle... l’ha presa!!!!!!!!! Meraviglia, tutto intorno comincia a cantare, è primavera, e le gemme si stanno muovendo sotto la terra, attaccate alla corteccia delle piante, i pesci dormono sotto le conchiglie vecchie di millenni... eppure, quando la mamma riesce a salvare la sua bambina, tutta la natura si risveglia, e comincia a ridere di gioia. Il mare raccoglie tutte le storie, piccole e grandi, le custodisce, per poi raccontarle alla prima occasione. CI SONO MOMENTI MAGICI PER LASCIARE CHE LE STORIE CORRANO SUL MARE. Quando è caldo e il sole ha battuto e ribattuto a pelo dell’acqua e sulla sabbia bruciata rimangono impietriti i ricordi dei pensieri, chiunque sia passato ha lasciato un’orma. Il sole impietrisce i ricordi, poi, quando cala e l’aria si fa più fresca, la brezza di mare comincia a soffiare e allora i ricordi cominciano a muoversi, ad agitarsi tra la riva e l’onda. Vanno, vanno, si intrecciano e si incontrano, come vecchi amici si riconoscono. L’ora migliore, in questi casi, è all’alba o all’imbrunire, quando il cielo è terso, l’aria tiepida, il sole dolce e la brezza corre dovunque. Oppure nei lunghi pomeriggi di nebbia, quando le sirene dei fari chiamano le imbarcazioni che si sono avventurate al largo, con il loro suono ritmico, monotono, uguale. Nessuno sa chi siano i marinai che stanno al largo, forse giovani che hanno scelto quell’avventura per una notte, come se fosse stata una giovane amante. Una notte in mare, per tornare all’alba con il carico guizzante ed allegro, l’oro del mare, la ricchezza, la vita. La pelle scura anche in inverno, i capelli umidi, le membra ingranchite dentro i giacconi impermeabili, gli occhi gonfi di sonno. Ma con quel mare dentro, scuro, avvolgente, totale. La sirena chiama e chiama, sparge il suo ritmo monotono lontano, come un lamento, vuole che i giovani tornino. Torneranno. Certo che torneranno, ma è capitato, è capitato, è capitato che non siano tornati, una due, tre, troppe volte. C’è un punto, al largo, che non sa contenere l’urlo delle tempeste, imbizzarrisce le onde, sovrasta qualsiasi imbarcazione, quando capita. Ci sono storie, ci sono storie... se le sono dette le donne che hanno aspettato invano. Un altro momento buono per raccontare è durante le notti di luna. Non importa se di plenilunio o di luna araba, basta che la luna compaia, sbuchi, si intraveda, anche se tra le nubi, o tra i rami degli alberi sui tetti delle città. La luna e l’acqua vanno d’accordo, sono in sintonia, si cullano a vicenda, l’una racconta, l’altra si riflette nello specchio o cupo o argenteo, si ninnano, si rincuorano. E quante se ne dicono. Spesso ridono. Ridono delle bizzarrie degli uomini, dei loro affanni, di quel loro correre spesso senza una meta, di quel loro eterno andare. Oppure sbirciano tutta la somma dei pensieri che sono rimasti depositati, che vogliono fuggirsene inquieti. E ne carpiscono l’intimo segreto, la molla vitale, il meccanismo che muove le avventure. Pagina 166 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Storie di mare Anna Rosa Balducci Perché in silenzio la luna ‘vede’, riesce a entrare nei pensieri, soffice e impalpabile, si insinua negli animi. Lei ‘sente’ quello che noi umani sentiamo. Le nostre curiose avventure di cuore, le nostre bizzarre attese, i desideri e i sogni. Sorride, la luna, perché quasi tutto quello che inseguiamo si dissolve, come neve al sole. E quando si cammina vicino alla scia dell’acqua, è facile, spesso, che arrivi prepotente un desiderio. IL DESIDERIO DELLA CASA Se è troppo caldo, si desidera una casa ampia, fresca e bianca in cui stare ad aspettare che la caligine afosa, il torpore del cielo immobile e bianco lasci spazio alla brezza, se c’è nebbia, quella nebbia fredda e uggiosa di certe giornate novembrine, o anche di metà febbraio, quando la temperatura della terra è abbastanza calda per produrla, ma il vento dell’inverno lavora tutto attorno, a gelare le notti e i giorni. E anche quando il freddo gelido del nord spazza via le sterpaglie che le tempeste hanno depositato sulla riva, urlano contro i pali di cemento e contro quelle poche costruzioni rimaste a sfidare la brutta stagione. Urla forte, sferza la pelle, impietrisce le mani, fa lacrimare gli occhi. Il desiderio della casa allora si fa forte, intenso, sempre più forte. Nella casa grande si sogna di tornare, a rincuorarsi, a fare merenda, a sedersi ad aspettare, a fare tutto quello che si può, in un luogo di riparo e di quiete. E talvolta ci si acquatta, in riposo e si immagina di essere arrivati a destinazione. Eccola, la casa grande, bianca, poco più in là della riva, sembra preparata da un tempo immemorabile. Nelle linee è elegante, sobria nell’insieme, con un filo di verde che la circonda e qualche pianta rampicante tutto attorno al recinto. Spunta dalla sabbia, come una di quelle vecchie ville padronali rimaste legate al loro tempo di decoro e lunghi bagni di mare, di tramonti sfumati e di albe splendenti, luccicanti di mille pagliuzze argentee, a pelo dell’acqua. Immobile, signorile ed accogliente, sa vincere l’atonia dell’ora panica, l’ora del mezzodì, l’ora del sole allo zenit, del caldo che rende rarefatto il silenzio. Solo fruscio delle onde, che sciacquano e risciacquano la prima linea della sabbia color ocra e bianco. La casa sulla spiaggia è l’approdo certo, il riposo, la festa. È l’allegria delle lunghe tavolate, la compagnia mentre il giorno muore. È qui che è dolce raccontare le lunghe storie del mare. Ci si siede, con amici e parenti lontani, con le frutta di stagione, i cibi migliori, il pane croccante, il vino dei colli e si fanno correre i pensieri, i ricordi, le fantasie, mentre il mare, fuori, fa i comodi suoi. È bonaccia, una lunga bonaccia calda, ma le sirene nascondono improvvisi mutamenti delle correnti bizzarre, oppure pare che l’aria rinfrescata dall’ultimo temporale duri a lungo, stabile, in un sereno limpido e lungo sull’orizzonte, ma laggiù una piccola nube insidiosa si prepara a crescere, avanza, s’ingrossa, fino al tetto della casa sulla sabbia. Non importa, l’importante è essere dentro, al riparo, e raccontare a lungo, senza tempo, senza che il tempo avanzi. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 167 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° ECCOLE LE STORIE DI MARE che ritornano a vivere, saltellano attorno al tavolo, si cercano e si ripetono. - Racconta, racconta, di quella volta che hanno trovato il corpo della ragazza, lungo disteso, si era uccisa perché aveva commesso l’omicidio del suo bambino mai nato... l’avevano lasciata sola, a piangere, con i suoi fantasmi. Erano i primi anni del secolo ventesimo, il vecchio secolo che ci ha lasciato con le sue grandi storie, le sue lezioni, siamo qui a raccoglierne le briciole... - E tu racconta, racconta, di quei cori di libertà e di ardimento, i cori che raccoglievano i sogni di giovani spersi, nei meandri del proprio futuro, l’eterno gioco dei figli che si ribellano ai padri... se fosse una cosa nuova... -... e tu, cosa racconti? - Ancora di una madre, che salva la figlia, e vorrebbe piangere e implorare, per un futuro buono... dopo rimane il silenzio, il silenzio del tempo che si assopisce... un po’ di allegria, nel torpore dell’attesa. Ecco, si è fatta ancora notte. La notte trova la grande casa vuota. Se ne sono andati tutti, ognuno per i propri affari, ognuno alle proprie residenze temporanee. Come profughi, appena sbarcati, in cerca di sistemazione. -Me la trova, per favore, una soluzione? -Domani, domani, a quell’altro ufficio, per favore... Domani, domani... Sì, quando si sta vicino all’acqua è difficile non raccontarselo, poi, il domani. Il Dr. Giuseppe Zappalà, Amm. Delegato del porto turistico che da anni ospita la Premiazione Artemare, consegna il 2° Premio Narrativa 2009 alla Signora Anna Rosa Balducci. Pagina 168 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Orazio De Maria IL MEDAGLIONE DI EBANO SCURO T alvolta certe notti, sotto splendidi chiari di luna, sono capaci di fermare il tempo, congelare certi attimi, in cui, anche le più atroci disgrazie sembrano dissolversi nel buio dell’eterna tranquillità del paesaggio circostante. Al chiarore di una splendida luna piena, levatasi in cielo alla fine di quell’estate del 1944, anche la guerra, seppur oramai lontana da quelle spiagge a sud della Sicilia, pareva non essersi mai materializzata. I tremendi quanto tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale, parevano aver lasciato il passo, dopo la liberazione per opera delle forze alleate, ad uno status vivendi che, almeno alle latitudini ove quella luna brillava, riportava il corso delle cose ad una naturale evoluzione, con la presenza tra la gente di un senso di apatia e rassegnazione su quello che, almeno apparentemente, poteva essere il futuro della propria esistenza. Una consapevolezza, che rappresentava quanto di più positivo potesse esserci rimasto in quel particolare periodo, era rappresentata dal fatto che, malgrado tutto, si era ancora vivi, che il peggio era passato e che adesso si poteva re-iniziare una nuova esistenza, senza le bombe, le corse verso i rifugi, gli sfollamenti. Tutto questo, purtroppo, non era ancora reale in altre parti del Regno d’Italia. Se fossero quelli i pensieri presenti nei cuori di quei due giovani, a ridosso di un enorme scoglio presente sulla spiaggia che li riparava da eventuali sguardi indiscreti, non è certo, ma quella notte, quella serenità dei luoghi, probabilmente amplificava molte di quelle sensazioni. La storia dei due giovani, abbracciati l’un l’altro teneramente, poteva essere una di quelle che il periodo storico poteva anche registrare nel corso naturale degli eventi ma, come tutte le storie in cui vi sono di mezzo i sentimenti e la natura umana legata agli stessi, l’unica cognizione era rappresentata dal fatto che, in questi casi, nulla è mai scritto in maniera definitiva. La giovane donna, presentava una carnagione chiara, quasi inusuale per quei posti, assunta quasi come per il fatto di essersi esposta al chiarore della luna, piuttosto che a quello dei raggi solari e difatti, con il chiarore lunare si fondeva in un’unica luce. I capelli neri lucidi stridevano sia con lo stesso colore della pelle, sia con quello degli occhi che, al contrario della chioma, erano di un verde pallido. Al di là comunque dei caratteri somatici, il portamento e l’intelligenza della giovane, denotavano, anche a chi l’avesse vista per la prima volta, una superiorità intellettuale fuori dal comune. Di origine nobiliare, discendeva da una famiglia di marchesi che, come il fato accomuna in questi casi, era stata Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 169 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° toccata dagli eventi bellici. Al fine di vedere assicurata comunque una vita fatta di tranquillità economica alla figlia, dopo gli studi effettuati in un collegio del nord, era stata fatta sposare ad un ricco possessore terriero, bruto di carattere e attivista fascista. Come tutte le unioni combinate per interessi più che per amore, la stessa, non era mai stata felice ed anche la figlia, nata dal grembo di quella ragazza, non era figlia di quella. Il giovane steso di fianco ad ella, la senti muoversi per un attimo assaporando ancora una volta il profumo che emanavano i suoi capelli, girandosi lentamente Lucia raccolse il suo sguardo dentro i suoi occhi chiudendosi appena quando lo stesso rispose al suo bacio appassionato. Vado a fare il bagno, stasera fa più fresco fuori che in acqua, raggiungimi anche tu, disse la donna alzandosi e dirigendosi verso il mare. Arrivo subito, rispose di ritorno lui. Lui, giovane dalle caratteristiche somatiche opposte alla donna, presentava una carnagione abbronzata e capelli castano chiari. Ufficialmente era un meccanico di macchine agricole al servizio del marito di lei. Arrivato parimenti all’inizio del conflitto, non si capisce da dove e come, era stato preso al servizio della casa visto le competenze tecniche nel settore meccanico. Quello che non era ufficiale, sia per l’anagrafe sia per nessun altro oltre che per lei, era rappresentato dal fatto che Paolo, nome di copertura, era in realtà Paul Castiglione, il cui nonno era emigrato in America a lavorare per una compagnia di posatura di cavi telegrafici che attraversavano l’oceano unendo i due continenti. Paolo, nome di copertura, era cresciuto in America, laureandosi ingegnere meccanico, rivestiva il grado di sottotenente quando fu incaricato di emigrare, stavolta in antitesi di quanto fatto dal nonno, oltre le linee nemiche, conoscendo benissimo il siciliano che rappresentava la lingua dei suoi avi. Il suo compito era quello di fornire notizie sul dispositivo bellico posto in essere sull’isola cuore del Mediterraneo, notizie che forniva per mezzo di comunicazioni radiotelegrafiche. Il caso volle che trovasse impiego presso la fattoria di Lucia e qui, visto le opposte peculiarità caratteriali che lo contraddistinguevano dal marito di lei, ebbe inizio la storia d’amore tra i due, la dolce marchesa e l’uomo venuto al di là del mare. Fu una sera di questo idillio, che durava oramai da 4 anni, che Lucia scoprì le vere “mansioni” dello strano meccanico, ma, vuoi per la repulsione al regime fascista, vuoi per i sentimenti nati tra i due, la stessa non si sognò mai di infrangere quel segreto, divenendone piuttosto complice consapevole. Seguendone con lo sguardo i movimenti, Paolo la vide entrare in acqua e, dopo essersi accertato che non vi fosse anima viva attorno, si alzò e guadagnando la riva e raggiungendola in acqua. Quando furono nuovamente vicini, alla luce della luna e tra il lieve ondeggiare del mare, si sciolsero in un profondo abbraccio, appassionato come il sentimento che provavano l’uno per l’altra e, in un crescendo di passione il calore dell’unione dei loro corpi travolse in un instante ogni cosa, anche la freschezza delle acque. Al riparo dietro lo scoglio, sotto la coperta predisposta quale minimo ricovero, Lucia inizio a parlare. – La guerra volge alla fine, ringraziando il cielo, anche la Pagina 170 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria nostra vita spero possa trovare pace. -Ne abbiamo già discusso, tu ti imbarcherai su una nave diretta in America, per non destare sospetti poi io e la piccola Angelina ti raggiungeremo quando gli eventi saranno propizi, e tutto organizzato a puntino, compreso il mio “sganciamento” dalla missione. Il piano consisteva nel far partire Lucia da sola, verso l’isola d’Elba, ove i genitori, che ivi avevano una casa, si erano rifugiati per sfuggire dagli orrori della guerra e dove, malgrado fosse stata invitata a raggiungerli parecchie volte, Lucia non si era mai sentita in dovere di raggiungerli. Dalla stessa sarebbe salpata una nave sotto copertura che avrebbe raggiunto le coste Americane dove, avvisati della traversata, Lucia avrebbe trovato persone fidate che si sarebbero occupate di lei sul momento. Avendo studiato la lingua inglese in collegio, Lucia non avrebbe nemmeno trovato difficoltà di comunicazioni o di inserimento in attesa di Paolo, che sarebbe fuggito in seguito con la piccola Angelina. Questo era nei sogni e nelle speranze dei due giovani, una fuga via mare lunga quanto un oceano. È meglio rientrare, prima che si accorgano della mia assenza e prima che mio marito torni dalla battuta di pesca, domani sarà un altro giorno che passando diminuirà il tempo che ci separa dalla nostra futura felicità. Il capitano Juanito Gonzales era nativo dello Stato Argentino, la sua carriera di comandante di mercantili si era prevalente svolta su navi da carico che il buon senso avrebbe sicuramente sconsigliato a chiunque di salirvi sopra. Da considerare che, in quei particolari periodi, non è che si andasse tanto per il sottile per quel che concerne la logistica di bordo. La scelta di condurre questo tipo di imbarcazioni non era dovuta a mancanza di capacità marinaresca ma, al contrario, la lunga esperienza acquisita poneva in assoluta fiducia la sua persona, e gli armatori, sapevano benissimo, che se vi fosse stato un uomo capace di condurre navi di quel genere questo era sicuramente lui. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, considerato il fatto che le navi mercantili rappresentavano la maggiore fonte di spostamenti a lungo raggio di mercanzie e quanto di altro si potesse spostare da tutti i continenti, erano tante le navi che partivano in giro per il mondo, alcune navigando con carico regolare, altre, il più delle volte con carichi….nascosti. Per tutti questi ordini di motivi il comandante “Juan” era stato contattato dei servizi militari degli Stati Uniti, svolgendo anche per conto loro, ed all’occorrenza, trasporti di materiale di vario genere sotto copertura. Ultimamente i rischi andavano comunque moltiplicandosi, non tanto per i controlli o la possibilità di essere scoperti, ma per il fatto che il blocco a causa delle marinerie avverse, soprattutto per opera della componente subacquea, rendeva pericolosa ogni traversata mettendo seriamente a rischio la possibilità di arrivare indenni alla destinazione finale. Arrivati a questo punto del conflitto, che si prospettava stesse per giungere al suo epilogo, era inutile riportarsi con il pensiero ai pericoli corsi nel passato, semmai lo sforzo nel presente doveva essere profuso per cercare di portare al termine la missione salvaguardando la nave e le vite che Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 171 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° su di essa erano presenti. Malgrado fossero questi i pensieri che animavano la mente del capitano, vi era anche una flebile quanto latente sensazione di oscuro presagio. Tale ammonizione faceva sempre più prendere in mente la convinzione di ritirare la propria candidatura verso quel genere di viaggi, volgendo l’intenzione a quel meritato congedo da quella professione che, seppur appagante, esibiva ormai inesorabilmente una lunga carriera anagrafica che urlava, dal profondo del cuore, verso un abbandono quanto mai meritato da quel genere di vita. Il forte richiamo della lontana casa in riva al mare rappresentava, a quel punto della sua carriera, la giusta meta a coronamento dei lunghi trascorsi in giro sul mare. Erano questi i pensieri che, dalla plancia di comando della nave, attanagliavano la mente del capitano in quella notte scura in navigazione al largo delle isole Canarie dopo la partenza in sordina dall’isola d’Elba. Altri pensieri, a parte quelli che descrivevano le sensazioni ora riportate, vennero richiamati nella sua mente alla vista, sul primo ponte di coperta, da un insolito “carico” rappresentato da quella donna misteriosa imbarcata sull’isola italiana. Ella, apparve al suo sguardo quasi come un fantasma, e come tale si muoveva, quasi come se non avesse un corpo, quasi come se non appartenesse a questa terra ma, al contrario, provenisse da un mondo parallelo di spettri in fuga da una nave fantasma. La pelle chiara, in netto contrasto con il vestito scuro, la faceva apparire come un ectoplasma, l’alone di mistero che la circondava, amplificava queste sensazioni. Lo sguardo volto ancora verso la costa, quasi a memorizzare nella sua mente gli ultimi istanti in terra natia, la riportavano con i pensieri verso la lontana isola, ove, costretta dagli eventi e da un susseguirsi di sentimenti oramai senza controllo, era stata costretta ad abbandonare, in solitaria fuga, verso un destino dai contorni pressoché ignoti. Il capitano Juan la raggiunse trovandola in coperta assorta in questo turbinio di pensieri. - Signora, la serata è molto umida, sarebbe meglio se rientrassimo al coperto. - Capitano è lei, mi scusi non avevo avvertito la sua presenza, notizie dalla terra ferma? - Abbiamo avuto scambio per mezzo di radio telegrafo, l’amico in comune mi ha chiesto di assicurargli che tutto si svolgesse come previsto. Tutto come previsto, era questo il punto, cosa volesse dire come previsto. Capitano, lei ha mai avuto la sensazione nella sua vita di fare sempre la cosa giusta? Quella domanda, pareva rispondere a tutte le sensazioni che trasparivano dal profondo della sua anima. Se avessi la risposta giusta a questa domanda, molto probabilmente, non sarei qui in questo momento, e comunque il destino invisibile di ognuno di noi è sempre appeso a sottili fili, di cui noi non siamo nella facoltà di muovere o tessere i contenuti. Venga l’accompagno dentro, staremo sicuramente più al caldo. Appena rientrata al coperto venne accompagnata da un marinaio nella cabina che gli avevano riservato per l’occorrenza, ove avevano già posizionato i suoi bagagli. Solo a questo punto si ricordò delle carte che gli aveva lasciato Paolo, carte di cui non conosceva il contenuto, ma che preferì mettere al sicuro in un baule stagno che Pagina 172 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria era predisposto con una chiave di chiusura. Appena chinatasi per ricoverare la busta sigillata, gli si impigliò il piccolo medaglione che portava al collo, rimasto impigliato dentro la piccola maniglia. Questo, era un piccolo girocollo con una medaglietta di ebano scuro, di forma ovale, la cui particolarità consisteva nel fatto di potersi aprire a metà all’interno della quale erano state incollate due piccole foto, quella di Paolo e quella della piccola Angelina, le uniche due persone che contavano al di sopra di ogni cosa per lei. Fu in quel momento che venne sopraffatta dall’emozione, o forse, dalla stanchezza delle ultime ore e, facendosi sopraffare del susseguirsi degli eventi, dopo aver riposto la medaglietta nello stesso contenitore, si sciolse in un lungo e disperato pianto. Il capitano di corvetta Marthi Backer, era originario della Baviera, durante la rivoluzione politica che investì la Germania subito dopo la crisi del ventinove, fu a fianco dei sostenitori politici che appoggiarono le tesi del nazifascismo. Questo aspetto, unitamente a una grande predisposizione per ciò che aveva a che fare con il mare, gli fecero presto scalare la catena gerarchica di comando, trovandosi ben presto al comando di un U-BOAT, i famosi sottomarini tedeschi, che rappresentavano, insieme alla componente corazzata dei Panzer, una delle più formidabili macchine da guerra che il genio germanico avesse potuto partorire. Tutto ciò era amplificato dalla grossa competenza di uomini che, se in condizioni normali erano dotati di un valido addestramento di superficie, divenivano una valida macchina da guerra sotto la stessa, trovando una valida collocazione persino alle fredde e basse profondità oceaniche. Anche se le sorti del conflitto parevano volgere verso una insperata disfatta, le occasioni di rendere proficue queste macchine da guerra non mancavano di certo. Osservando la foto della moglie incollata sopra nella paratia che confinava con la sua branda, il pensiero andava verso la sua casa in quel di Kiel. Esiste un momento, in ogni conflitto in cui il genere umano abbia espresso il peggio di se stesso, in cui la stanchezza per tutto lo stato di cose poste in essere prende il sopravvento, in cui le convinzioni, pur se forti e radicate nelle menti dei contendenti, iniziano a vacillare. D’altronde, non fummo posti su questo pianeta per infliggere lutti e distruzioni tra noi simili ma, sicuramente, per più alti e nobili scopi. A questo punto, si combatteva più per la personale sopravvivenza che per la gloria di una guerra oramai avviata verso una lenta ed inesorabile disfatta. Forse, non è dato di saperlo con sicurezza, erano queste le riflessioni del comandante Backer, riflessioni che vennero interrotte dalla voce dell’ufficiale in seconda proveniente dall’interfono posto nel suo alloggio. Comandante, rileviamo traffico mercantile. Vengo subito, rispose il comandante. La piccola centrale operativa, era illuminata da deboli luci di colore rosso, che si sommavano al chiarore fornito da quelle che, di rimando, erano accese nelle varie consolle degli operatori. Secondo, quale rotta seguiamo. Rotta 210, velocità 7 nodi. Sonar rilevamento del bersaglio. Bersaglio su rilevamento 010 gradi, velocità 12 nodi, prora nemica su rotta 280. Ricevuto, portarsi a quota periscopica. Quello che Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 173 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° restituì, in fatto di immagini, la lente del periscopio, era formato dalla sagoma di una media nave mercantile, il cui profilo veniva a tratti illuminato da una serie di lampi che si stagliavano sull’orizzonte. Presenza di naviglio ostile. Negativo comandante. Era perfino troppo semplice, come se si andasse per una battuta di caccia in cui però la preda, non era rappresentata da una belva feroce e famelica, quanto da una placida mucca al pascolo. Bene, assumere primo grado di combattimento, rotta di lancio appena lasciata la quota periscopica. Heil Hitler, rispose l’ufficiale di rotta volgendosi verso il comandante con il braccio destro sollevato. Dalla plancia di comando della nave il comandante Juan scrutava con l’ausilio del binocolo i nuvoloni che, in prossimità dell’orizzonte ottico, facevano prevedere una burrasca che non avrebbe reso certamente tranquilla quella nottata di navigazione. Il timoniere manteneva la rotta ordinata che prevedeva di passare a largo delle coste di Porto Santo un’isola vicino alla più grande Madera. Giunti a quel punto, era previsto un contatto radio telegrafico con una stazione clandestina a terra, per confermare gli esiti, fino a quel punto, della navigazione. A parte lui ed il timoniere era presente anche un ufficiale di rotta che, fuori dalla plancia, scrutava l’orizzonte fumando una sigaretta, la sua attenzione ad un tratto venne attirata verso una scia, che pareva essere lasciata da un pesce velocissimo. L’esplosione violenta che seguì qualche istante dopo, arrivò in simultanea con la reale percezione del pericolo che la mente fu capace di elaborare una frazione di secondo prima dell’impatto. Lucia, dormiva di un sonno agitato nella cabina posta a poppavia della nave, il violento impatto ed il relativo spostamento causato dall’esplosione la fecero piombare sul freddo pavimento dell’alloggio, non riuscì a calcolare il tempo in cui rimase priva di conoscenza, ma quando riprese i sensi, riuscì a sollevarsi sulle gambe, appoggiando le mani sul piccolo lavabo presente sulla stanza, l’immagine che gli restituì lo specchio la vedeva con la faccia insanguinata, in virtù della caduta che gli aveva procurato una ferita sulla fronte. Quello che risultò ancora più angosciante per lei, fu l’ascoltare il tremendo rumore prodotto dalla nave agonizzante, era come un cupo lamento, un grido soffocato, che il metallo torturato emetteva come se fosse stato vivo, con un’anima dentro. Dalla piccola stazione radio, il capitano Juan telegrafava alla stazione costiera con cui aveva coordinato di collegarsi, SOS, SOS, nave colpita da siluro, imbarchiamo acqua affondiamo rapidamente. Questo in un ultimo gesto disperato primo comunque di reale probabilità di sopravvivenza. Lucia, tento di aprire la porta della piccola cabina, ma il metallo, deformato dalla violenta esplosione, oppose un’insopprimibile resistenza, dovuta anche all’enorme quantità di acqua che ostruiva il corridoio fuori la porta. Oramai priva di forze, Lucia si arrese, rimanendo seduta dietro la porta, con i vestiti bagnati dall’acqua che iniziava a filtrare dalle prese d’aria. Fu l’inizio di quei momenti in cui tutta la vita iniziò a trascorrergli come un romanzo scritto davanti ai suoi occhi. L’infanzia serena e, sotto certi aspetti agiata, lo scoppio della guerra, il matrimonio infelice con un uomo rude, ignorante e cattivo nell’animo, l’infelicità annullata dal rapporto d’amore con Paolo, quante Pagina 174 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria ore felici avevano passato insieme, la nascita della piccola Angelina, sua figlia, la cosa più pura e grande che avesse mai avuto. Dove stava adesso Angelina, cosa stava facendo? La sensazione di profonda oppressione che provava dentro di se, era annullata sapendola lontana da quel luogo di morte, freddo, buio, umido. Forse era tranquilla in campagna a dormire di un sonno tranquillo lontano da un infausto destino. Aveva fatto la cosa giusta? Sì, in fondo ne era valsa la pena, morire nella convinzione di amare dal profondo del cuore è sicuramente la cosa giusta, al di là dei disegni oscuri del destino, ma il destino era lontano anni luce da quella tomba in fondo al mare, adesso era soltanto una luce, accecante, bianchissima e lontana che vide un istante prima che i polmoni esaurissero l’ultima scorta di aria. Miami, luogo con alle spalle il golfo del Messico e con lo sguardo rivolto alle isole Bahamas, rappresenta uno di quei luoghi ove si dovrebbe trascorre gran parte della giovinezza. Non che qui in Italia non si abbiano bellezze simili, ma, il profondo senso di selvaggio ed incontaminato delle nostre coste e località turistiche, non si avvicina, e meno male, minimamente all’assetto organizzativo di quella lunga costa degli Stati Uniti. Ecco perché possa essere il caso di soggiornarvi dai 20 ai 30 e ritirarsi degnamente in Italia dopo quella soglia anagrafica. Il gruppo di giovani impegnati in acrobazie evolutive sulle onde, a bordo delle loro tavole da surf, parevano degli esseri provenienti da una civiltà che, sicuramente, giaceva in fondo all’oceano. La naturalezza, quando la spregiudicatezza con cui affrontavano le alte onde, facevano pensare a tutto questo o, forse, la gioventù e la latitudine dei luoghi ben si prestavano a queste forme comportamentali. Il primo del gruppo, formato da una mezza dozzina di giovani che oscillava tra i venticinque ed i trenta, presentava una corporatura da atleta, tipica dei ragazzi della sua età, capelli castano chiari e di pelle abbronzata, si giro alla sua sinistra urlando al resto del gruppo: - Allora vogliamo muoverci o dobbiamo aspettare il resto della giornata per ritornare in spiaggia! Jim, ebbe il tempo di proferire solo queste parole, non accorgendosi che, simultaneamente, dalla destra Doris lo affiancava elargendogli una sonora pacca in quel luogo ove il colore del sole batte di rado a meno che non sia sostituito da qualcosa di artificiale dentro un centro fitness. Sbilanciato non tanto dal colpo quanto dalla sorpresa ebbe solo il tempo di vedere la sagoma in bikini della ragazza che, sorpassandolo dalla destra gli mostrava il suo sinuoso corpo e l’enormità di ricci scuri presenti in testa, questo prima della susseguente rovinosa caduta tra i flutti dell’oceano. Quando giunse sulla spiaggia, gli amici di sempre stavano distesi sui teli da mare, assumendo l’atteggiamento di quelli che è stanno da tempo ad attendere qualcuno in ritardo ad un appuntamento. Questa volta, il cavaliere senza macchia e senza paura, il numero uno del gruppo doveva pagare pegno, per colpa di una donna per giunta.- Buon giorno, dormito bene stanotte, siamo pronti a cavalcare le onde. Il tono vagamente ironico di John, non esprimeva dubbi su quello che sarebbero stati le argomentazioni per il prossimo quarto d’ora, almeno, se fosse andata bene. -Attacco alle spalle, sinonimo di viltà, esordì subito Jim. Eseguito alla Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 175 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° perfezione sì, ma da esponente del gentil sesso, svantaggio annullato, mi dispiace. Il gruppo era formato dai soliti sei amici tra cui due donne. Conoscenti dai tempi della scuola, frequentandosi avevano condiviso amicizia, giochi, scorribande, lauree e qualche storia sentimentale. Tutti abitavano dalle parti di Sunset Island, in quel dedalo di ville sospese tra ponti e terra ferma in cui, oltre che con le auto, non erano impossibili frequenti spostamenti in barca, infatti, come quasi tutti i ragazzi della loro età, quasi tutti erano dotati di abilitazioni per condurre imbarcazioni. Avevano specializzazioni in biologia marina e oceanografia, trovando in questo modo, nel mare un naturale sbocco che non si limitava al puro divertimento. Doris era una biologa e i numerosi tentativi fatti per conquistare il cuore di Jim, erano classificati come gli assalti che Giovanna d’Arco conduceva verso le roccaforti dei castelli francesi. Se si esclude il rogo finale, i suoi successi non potevano certo essere paragonati alla Pulzella francese. Troppo similitudini, rendevano i due amici uguali nello spirito libero e nella voglia di emergere nonostante la differenza di sesso. Il suono del cellulare, fu come la manna caduta dal cielo per gli ebrei in fuga dall’Egitto, offrendo opportunamente una dignitosa ritirata agli sfottò che gli amici avevano in serbo per lui. Scusatemi devo rispondere. Passati pochi minuti Jim torno tra di loro, era l’ospedale si tratta di mio nonno, le condizioni sono peggiorate, devo andare. Aspetta ti accompagno, disse Doris magari potresti avere bisogno di qualcosa. Alla guida del piccolo fuori strada giapponese, i pensieri del giovane andarono verso il nonno Paul, oramai avanti con gli anni ma che aveva offerto a Jim il massimo affetto possibile, anche dopo la morte dei suoi genitori adottivi, periti in un incidente aereo quando, il piper pilotato dal figlio di Paul si era inabissato in mare facendone la tomba dei suoi genitori adottivi. Della sua adozione venne a conoscenza da suo nonno che, da quel momento sostituì in tutto la figura degli stessi. Adesso sta riposando, disse l’infermiera al loro arrivo, ma ha avuto un altro attacco. È molto strano non annettere di abituarsi mai a quella che potrebbe essere la dipartita dei nostri cari, anche quando questi ultimi sono avanti negli anni. I sentimenti e gli affetti, quando sinceri, su questa terra rappresentano quando di più straordinario possa legarci nel nostro breve passaggio che è rappresentato dalla nostra esistenza. -Potrei vederlo, disse Jim. Sì, ma non lo affatichi rispose di ritorno l’infermiera. Paul sembrava riposare tranquillo sul suo asettico letto di ospedale, ma aprì gli occhi quando vide entrare i due giovani. Ciao Jim, ciao Doris, come era l’oceano stamattina? Come sempre nonno, come quando vai in barca tra le isole della Florida, anzi vedi di schiodare il tuo bel culo da questo letto che ci organizziamo una bella battuta di pesca. Caro ragazzo, la cosa che apprezzo in te è che non ti arrendi mai neanche davanti al fatto compiuto, una caratteristica che ti porti da quando avevi i calzoni corti. Senti, adesso non ho molto tempo, avvicinati ascoltami bene, rifletti solo sulle mie parole, a quel tempo mi sembrò tutto perduto, quelli che mandarono dall’America per liberare la penisola italiana non si rivelarono così onesti, almeno non quelli che arrivarono in Sicilia, vennero in fatti messi al potere Pagina 176 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria mafiosi che operavano nei dock di New York, gente che, in cambio della facilitazione dello sbarco da parte delle nostre truppe, prese in mano il potere politico nell’isola. -Nonno, ma che stai a raccontare, ancora con queste storie sulla guerra, pensa a riposarti. –No, stammi a sentire, è tutto scritto, devi cercare il mio diario con la copertina di pelle, sta nel mio baule militare, in soffitta, sta scritto tutto lì. La situazione era compromessa, definitivamente, la nave era affondata, il marito si portò via Angelina, era un appartenente a quei loschi giri mafiosi, lui, lui soltanto, non ho potuto portare via Angelina, perché, perché, disse iniziando a singhiozzare. -Nonno riposati adesso ne parleremo poi di questa Angelina, disse Jim guardando verso Doris. -Si, hai ragione, adesso sono un po’ stanco, trova il diario, leggilo, solo dopo sarai in grado di capire. - D’accordo, ma adesso vedi di riposare. Guidando verso casa Jim si rivolse verso Doris dicendo, cosa diavolo avrà voluto dire, chi sarà mai questa Angelina. Non lo so, ma tuo nonno è sempre stato un uomo brillante e quelli non mi sembrava fossero dei vaneggiamenti di un pazzo. Giunti di fronte la villetta di Doris i due amici si promisero di vedersi subito dopo cena per cercare il diario del nonno e capire quale mistero si celava dietro le parole dello stesso. Trovarono il baule in soffitta e dentro, celato da un sacchetto di tela, c’era il diario e uno strano medaglione di forma ovale, di legno che pareva ebano, attaccato a un collare di cuoio; all’interno di questo strano ciondolo stavano le foto di una donna e di una bambina. Mai viste, sembrano antiche, chi saranno mai. Penso che la risposta alle nostre domande si trovi scritta su questo diario, rispose Doris. Finirono di leggere che erano le due del mattino, la sorpresa di Jim, allo scoprire di quella lontana storia, accaduta in un paese lontano, tanti anni fa, fu totale. Le lacrime di Doris furono la reazione di una donna che capì i sentimenti che si celavano dietro di essa. Mi pare impossibile che per tutto questo tempo non mi avesse rivelato nulla. Cosa volevi che ti dicesse, tuo nonno ha avuto una brillante carriera qui in America, adesso, in fin di vita, vedovo e senza più nulla da chiedere alla vita ha voluto, probabilmente renderti partecipe di questo suo segreto. Pensa quando gli deve essere costato. Ma perché non dirmi nulla? Ne sei poi così convinto, chi ha stimolato i tuoi ad adottarti, chi ti ha mantenuto agli studi e sotto la sua ala protettrice in tutti questi anni, ragiona bene, sei un dottore in oceanografia, questo vorrà dire pur qualcosa, perché ha insistito così tanto affinché tu studiassi anche la lingua italiana. Pensavo l’avesse fatto solo per le sue origini, disse Jim. Adesso sai quale verità si nascondeva dietro a tutto quanto. Cosa dovrei fare. La migliore cosa è andarglielo a chiedere domani, in ospedale. La mattina, dopo colazione, Doris si recò con la moto a casa di Jim, suonò alcune volte il campanello e, non ottenendo risposta si decise ad entrare. Jim, testa di cavolo vuoi schiodarti da quel letto! Lo trovò in cucina con il telefono ancora in mano, gli occhi ancora umidi come di qualcuno che avesse appena finito di piangere. - È morto, fu l’unica parola che gli senti pronunciare. Il funerale si svolse in forma strettamente privata, adesso fu ben chiaro a tutti il desiderio, espresso in tempi non sospetti, riguardo alla dispersione delle Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 177 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° sue ceneri in mare. La strana bizzarria di un vecchio, assumeva adesso, contorni e disegni ben definiti, quelli di tornare a stare di nuovo insieme a Lucia, la misteriosa marchesa, affondata su un cargo al largo delle coste dell’isola di Porto Santo verso la fine della seconda guerra mondiale. Penso sia la migliore cosa da fare, disse John rivolto verso Jim, d’altra parte se vuoi andare in fondo a questa storia la migliore soluzione è quella della partenza, In effetti, posso pure prendermi qualche periodo di ferie, possiamo anche approfittare per consegnare qualche ricerca sui fondali marini di quelle zone all’Università. Sono d’accordo con te aggiunse Doris. In effetti, qui ho sistemato tutto, documenti riguardo alla successione e quanto altro la burocrazia richiedesse, io direi di organizzare il viaggio in aereo sino alle isole della Spagna, lì potremmo noleggiare una barca e proseguire le ricerche dal punto di latitudine e longitudine che risultava dall’ultima trasmissione telegrafica intercettata. Allora siamo d’accordo mettiamo a punto tutti i dettagli del piano di viaggio ed organizziamoci per la partenza. La barca a vela lunga dieci metri che avevano noleggiato era ancorata alla fonda sul lato nord dell’isola di Porto Santo, piccola isoletta a nord dell’arcipelago delle Canarie, le condizioni climatiche favorevoli, avevano favorito una serie di immersioni svoltesi in relativa tranquillità, intorno alle coordinate geografiche comunicate dal telegrafista prima dell’affondamento. Le difficoltà della ricerca consisteva nel fatto che ai tempi in cui si erano svolti i fatti non esistevano ancora i sofisticati strumenti di cui erano adesso dotate le moderne navi. –Ancora nulla, disse John riemergendo dai fondali, comunque la zona dovrebbe essere questa, considerato il fatto che navigavano vicino alla costa per trasmettere i segnali radio, certo, avessero avuto un GPS, ma a quei tempi era tanto se avevano la radio. Propongo di spostarci un miglio ad ovest, mi immergerò io stavolta così ti do il cambio, replicò Jim dalla poppa dell’imbarcazione. Dopo aver ancorato nel punto prestabilito, si prepararono per un’altra escursione nei fondali. Scendo anche io, disse Doris, ha desiderio di scattare qualche foto dei fondali. Indossate le mute abbracciarono dei piccoli macchinari gialli a forma di siluri, questi, erano dotati di piccoli motori elettrici e di un faro ubicato sulla parte prodiera, avevano il compito di far muovere chi si immergeva in profondità senza fargli sprecare energie suppletive per nuotare per mezzo delle pinne, il faro ausiliario forniva la luce sufficiente ad orientarsi nei luoghi più oscuri. La presenza di variegate specie di popolazioni ittiche, confermavano la tutela ambientale di quelle profondità cosa questa, che stava divenendo merce rara, in alcune parti del pianeta. Chissà se riusciremo mai a trovare questa nave dopo tutto questo tempo, pensava Jim dalle profondità ove si muoveva in ricerca, d’altronde sono stato testimone di immersioni in posti in cui ho trovato presenze dei famosi caccia giapponesi abbattuti durante la seconda guerra mondiale, presume che una nave da 100 tonnellate sia più semplice da rintracciare. Dopo qualche tempo che si erano immersi, Doris, comunicò di dover risalire poiché stava in riserva di ossigeno. Ok, fece segno Jim con la mano, io ho Pagina 178 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria altri dieci minuti di autonomia ci vediamo su. Passarono alcuni istanti quando, illuminato dal faro del piccolo mezzo di propulsione, Jim parve scorgere, dietro ad un piccolo promontorio roccioso quello che sembrava un fumaiolo, avvicinandosi ancora di più, ebbe la certezza di essere in presenza di quella che poteva essere una nave da un’antenna radio goniometrica che, seppur rivestita dalle incrostazioni marine, aveva la classica forma di due cerchi perpendicolari tra di loro. Incurante della poca autonomia di ossigeno si precipitò alla svelta nella direzione di quanto aveva scoperto. Superato lo stato delle rocce che ostruivano la visione, si trovò, nelle profondità del mare, circondata da una folta vegetazione acquatica, immersa come una silenziosa tomba quella che era stata l’ultima dimora terrena di venti uomini e di una donna. La nave si presentava spezzata in due tronconi che interrompevano la continuità delle murate proprio al centro dello scafo. Scartando l’ipotesi di avventurarsi verso la prora, preferì concentrare la sua attenzione verso il castello di poppa, ove si trovava la plancia ed erano ubicate le cabine. Entrando da un portellone laterale si trovò nella sala di comando, ove lasciò il piccolo scafo di profondità a quel punto di scarsa utilità per l’esplorazione preferendo armasi di una torcia impermeabile. Alla luce di una sottile lama di luce inizio ad esplorare il ponte sottostante la plancia. Non sapeva neanche lui cosa cercava di preciso, quello che sperava, in cuor suo, era ritrovare quella cassetta stagna lunga circa mezzo metro che la misteriosa marchesa stava portando in America, con i documenti top secret dell’allora giovane tenente Castiglione. Questa, avrebbe sicuramente rappresentato la prova tangibile che quella nave rappresentava l’anello di congiunzione di quella storia, avvenuta a cavallo dell’oceano, una quarantina di anni prima. Con relativa celerità inizio a perlustrare il ponte degli alloggi che, nonostante la presenza degli oblò, era rischiarato, dopo tanti anni, dal solo fascio di luce della torcia che Jim reggeva tra le mani. Il tempo a disposizione era limitato ed il respiro si faceva sempre più pesante, tra qualche ostante sarebbe sicuramente entrato in riserva di aria. Forse è il caso di tornare in superficie e tornare con calma, ma i cinque giorni passati alla caccia di quella nave alimentavano l’incoscienza e la voglia di capire se fossero giunti alla meta. Quando stava prendendo piede la convinzione di risalire, da una porta semi aperta, Jim registrò una stranezza, una fioca luminescenza che filtrava da quella stanza e che pareva attirarlo verso di essa. Pensò si trattasse del faro del mezzo anfibio di Doris che, riemergendosi per venirlo a cercare, stava probabilmente facendo filtrare la sua luce da qualche apertura dall’esterno. Proseguendo con cautela verso quella direzione, riuscì con difficoltà a spostare la porta, accorgendosi che in quella cabina, ripiombata al buio, non vi era alcuna apertura che guardasse verso l’esterno. Tra il disordine e la corrosione, frutto del lungo ed inesorabile lavorio del mare e del tempo, coperta da una fitta copertura di crostacei ed alghe, notò quello che pareva essere un forziere, che pareva corrispondere alle misure ricercate. Sollevando con relativa facilità, Jim si stava accingendo ad uscire dalla cabina, quando ad un tratto, nascosta allo sguardo visto Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 179 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° che il fascio di luce puntava verso il basso una cernia, disturbata dai movimenti del subacqueo saltò fuori all’improvviso, urtando il volto di Jim, che, per la sorpresa, perse il boccaglio del respiratore. Quando riprese i sensi a poppa della barca, i due amici gli stavano di sopra, con John che lo scuoteva con vigore; Ma che diavolo ti è saltato in mente! Non pensavi che avresti potuto lasciarci la pelle. Se non fossi riscesa con una mono bombola di ausilio e non avessi scoperto anche io la nave a quest’ora eri bello che fritto, aggiunse Doris. Ragazzi, ho trovato la cassa, mi dispiace di avervi fatto stare in pensiero, ma non ho saputo resistere. Certo, come tuo solito! Disse John. A proposito l’avete tirata su? -Avendo solo due braccia, io ho pensato a tirar su te, non sono mica la dea Kali!, rispose la ragazza. - Allora andiamo a recuperare la cassetta, disse Jim, facendosi forza per rimettersi in piedi.Facciamo invece che tu vai sotto coperta e scendiamo noi due, per oggi ne hai combinate abbastanza, proferirono all’unisono gli altri due. Al calar della sera le operazioni di recupero vennero ultimate, facendo rotta verso l’approdo di Porto Santo, Jim osservava con interesse la piccola cassetta oramai ricoperta dalle incrostazioni marine, riposta sotto coperta sul piccolo tavolo di rotta. Dopo la manovra di attracco e una doccia ristoratrice, i tre giovani, iniziarono le operazioni di apertura del contenitore, lavorando prima con un piccolo scalpellino per rimuovere i depositi calcarei lungo la linea di separazione dell’apertura e, successivamente iniziarono a forzare la serratura lavorando con un trapano a batterie. Le operazioni non furono semplici ma alla fine, rompendo nel frattempo un paio di punte di trapano, ebbero la meglio sulla serratura. L’apertura del coperchio venne effettuata come se stessero aprendo un sarcofago egiziano, in effetti, l’aria che ivi era racchiusa da molti anni rimandava un odore di marcio e stantio, ma la tela di juta cerata che conservava alcuni documenti di carta aveva operato un’ottima impermeabilizzazione. Tra documenti di coordinate, nomi e cognomi e altro genere di messaggistica cifrata, i tre trovano un medaglione, nella forma e fattura simile a quello trovato nel baule del nonno di Jim. La differenza tra i due consisteva nel fatto che, al suo interno e perfettamente conservate, stavano le foto di nonno Paul e di una bambina piccolissima. Ragazzi, questa è la prova che stavamo cercando, adesso non ci sono più dubbi su quello che accadde quasi mezzo secolo prima a cavallo tra le due sponde dell’oceano, e il suo tragico epilogo. Siamo stati fortunati, ancora non mi spiego come abbiamo fatto, solo ora ripenso a quello strano chiarore che usciva da quella cabina, io pensavo fosse il battello subacqueo di Doris che lo illuminava dall’esterno, ma la totale mancanza di aperture nello scafo aumentano il mistero, chi mi aveva fornito quello strano segnale? E perché, pensò tra sé e sé Jim. Seduti intorno ad un tavolo di una trattoria nelle vicinanze della spiaggia, di fronte ad una grossa padella di pajella a base di pesce, i tre amici commentavano gli ultimi giorni vissuti insieme. Arrivati a questo punto ci sono tutti gli elementi per dare fine alla nostra avventura, esordì ad un tratto John. Bene, in effetti, con il ritrovamento della nave e della cassetta, si chiude il cerchio su quanto abbiamo letto sul diario di tuo Pagina 180 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria nonno, proseguì Doris. Ma come, vi rendete conto di come, al contrario, tutto inizia proprio adesso. In che senso, fece Doris, nel senso che adesso ho tutte le coordinate, luoghi, prove della storia che aveva vissuto mio nonno tempo addietro. Per cui, fece John. Per cui se mi giro indietro mi trovo senza più nessuno, i miei sono morti, mio nonno anche, non ho fratelli ma, forse, da qualche parte in Italia esiste ancora qualcuno che è legato, in un modo o nell’altro, con mio nonno Paul, e, forse, quel qualcuno è il solo che mi rimanga a parte voi, naturalmente. A questo punto, diario alla mano, devo proseguire le mie ricerche, non vi chiedo di restare, questa storia interessa solo me direttamente, potete tornare a Miami io, se vi fossero novità vi terrò aggiornato. Ma come farai a muoverti da solo in luoghi che non conosci neanche, obiettarono i due amici. In primis, conosco abbastanza bene la lingua, in secondo luogo è venuto il momento di rispolverare vecchie amicizie e mi riferisco al mio amico di studi Rick. Chi, quello che sta nei marine. Esatto e, per completare l’opera, è quello che è di stanza a Sigonella, in Sicilia. Arrivato presso la sala attesa bagagli dell’aerostazione di Catania Fontarossa, il pensiero di Jim, andava verso le vicissitudini passate negli ultimi giorni, Tutto pareva aver abbracciato un arco temporale ampio, ma dalla morte del nonno in poi, vi erano stati una catena di eventi che, adesso, lo avevano portato in quel lembo di terra straniera, ove si fondevano le origini della sua famiglia nella notte di un passato quanto mai remoto. L’incontro con Rick, era stato annunciato a giro di telefono, l’amico di infanzia, sorpreso dalla sua visita, si dimostro contento nel rivederlo inaspettatamente dopo così tanto tempo. Nonostante il lungo periodo di lontananza i due si riconobbero subito e fecero strada, dopo i convenevoli di rito, verso l’auto di Rick, parcheggiata fuori dall’aeroporto. -Allora, hai deciso di arruolarti nell’esercito, lo stuzzico l’amico. – Mai dire mai magari, vista la mia affinità con il mondo marino potrei prendere in seria considerazione il corpo dei marine. Guidando per le strade cittadine che conducevano al villaggio ove era ubicata la casa di Rick, i due amici iniziarono a testare i vocaboli in dialetto siculo che il nonno di Jim, anni prima, aveva provveduto ad insegnare al nipotino, al pari di nuova lingua. La sera, seduti in un ristorante di fronte ad una pizza che non aveva niente da spartire a quelle che venivano propinate negli States, Jim terminò di erudire l’amico sulla storia che lo aveva portato così lontano da casa. Da quella che mi hai raccontato, e da quello che si evince dalla lettura del diario di tuo nonno, penso che le ricerche debbano avere inizio partendo dalle coste del siracusano, sperando di riuscire ancora a trovare qualche traccia di quella famiglia, approfittando della tua venuta, ho preso qualche giorno di ferie avendo la possibilità, in questo modo, di accompagnarti per qualche giorno. Non capisco ancora cosa pretendo di trovare né il perché abbia intrapreso questa ricerca ma capisci bene che, con la morte di mio nonno, sono rimasto l’unico della famiglia e, benché sia stato adottato appena nato, il fatto di poter trovare qualcuno che abbia avuto a che fare con la mia famiglia americana rappresenterebbe un motivo per pensare di non Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 181 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° essere rimasto da solo al mondo, amici esclusi, naturalmente. Allora propongo per un sano sonno conciliatore, partendo domani mattina per iniziare le ricerche. La costa nelle vicinanze di Marzamemi, si presentava con una sabbia finissima, che si alternava, verso l’interno della costa, a pietre di colore bianco, la vegetazione, a parte gli immancabili fichi d’india, era composta per lo più da agrumeti e piante di fichi. Consultando le cartine stradali impiegarono non poco prima di trovare la contrada che il nonno Paul aveva descritto con dovizia di particolari nei suoi scritti. Furono comunque questi ultimi a non dare adito a dubbi quando Jim, in lontananza si trovò di fronte ad una grande casa canonica, circondata da agrumi, che pareva, nella sua maestà, appena essere uscita dal diario di suo nonno. La casa, di due piani, aveva sulla facciata principale un lungo balcone che conteneva, al suo interno, tre porte esterne. Al piano terra, sotto lo stesso, un grosso portone centrale separava altre due porte finestre. La proprietà era interamente circondata da un muro perimetrale alto circa un metro costituito da mattoni in tufo bianco, erano presenti anche un pozzo ed un pergolato. Dopo qualche istante di attesa sbucò fuori, dalla parte posteriore della struttura quello che pareva essere uno stalliere. Bene, disse Rick, armiamoci di un buon pretesto per attaccare bottone e, se le indicazioni sono giuste vediamo cosa riusciamo a scoprire. Buona giornata, abbiamo letto un cartello in cui c’era scritto che vendete vino, possiamo averne una decina di litri? Certamente, questo è vino buono, padronale, venite al fresco che ne assaggiamo un bicchiere, si espresse l’uomo in dialetto siculo facendo strada verso le cantine. La parte opposta della facciata, riparata dal sole da un pergolato forniva l’ingresso ad una cantina ampia e spaziosa, avendo i muri perimetrali molto ampi, la stessa si presentava fresca, con al suo interno una fila di quattro grosse botti da almeno un migliaio di litri di capienza. Questo è nero di Avola, disse il contadino accompagnando con il bicchiere l’assaggio dei due ragazzi, voi siete forestieri, vero? – Sì, in effetti, non siamo di queste parti, stiamo facendo una gita in questi luoghi poiché mio nonno, che era originario di famiglia di queste zone, è stato qui durante la seconda guerra mondiale, rispose Jim. E come si chiamava suo nonno, domando il contadino. Paul, cioè Paolo Castiglione. Minchia! Gridò l’uomo sorpreso dilatando gli occhi. Alfio, uomo di una sessantina di anni, volle assolutamente che si fermassero a mangiare, mai e poi mai pensava di poter sentire nominare quel nome dopo tanti anni. Il pranzo, a base di prodotti tipici locali e di una parmigiana di melanzane, che Jim era la prima volta che assaggiava, gustandone piacevolmente il sapore, fu annaffiato dal vino assaggiato poco prima, vino che parve aprire l’animo di Alfio. Conobbi tuo nonno, che ero ancora “picciriddo”, mio padre era a servizio del padrone di questa terra come “massaro”, e mi ricordo che tuo nonno sapeva fare molto bene il meccanico. Era un uomo istruito, mi ricordo che era uno dei pochi che sapesse leggere e scrivere, un giorno lo scoprii che parlava dinnanzi ad una valigetta che era collegata ad un filo lungo, lui accorgendosene, mi disse di non dire niente a nessuno e mi fece ascoltare le musiche che arrivavano da lontano, sapete, a quei tempi era Pagina 182 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria proibito ascoltare le radio straniere. Mi ricordo che faceva sempre da autista alla signora marchesa, in quanto era uno dei pochi che avesse la patente di guida. Sa che fine fece quella donna, domando Jim. Oh, sapeste, verso il finire della guerra la marchesa andò a trovare la madre, che stava poco bene. La sua famiglia aveva una casa in un’isola del nord, l’isola d’Elba. Quando sbarcarono gli americani, i potenti signorotti locali, come il proprietario di queste terre, dapprima si nascosero, in quanto erano stati collusi con il regime di Mussolini ma, successivamente, furono posti dagli stessi alleati al potere o in condizioni tali da poterlo esercitare, in ogni piccolo comune. Il padrone era un uomo rozzo e violento, così mi raccontava mio padre. La cosa strana è stata che di quella donna non si seppe mai più nulla, la madre racconto che venne dichiarata dispersa dopo un bombardamento, ma il suo corpo non venne mai ritrovato. Ma, adesso che ci penso, anche tuo nonno andò via in circostanze misteriose, dopo la fuga del padrone che si portò via la figlia piccolissima, ricordo che di questo fatto sembrava ne fosse rimasto molto addolorato. Sì, in effetti, mi raccontò che era molto legato alla bambina, cerco di dissimulare Jim. Mi dispiace aver saputo della sua morte, ma d’altronde anche mio padre, così come il padrone, sono morti da anni aggiunse Alfio, ad ogni modo la proprietà adesso è stata affittata dalla mia famiglia che versa quanto dovuto tramite bonifico bancario. Si salutarono affettuosamente portandosi dietro una bella damigiana di dieci litri di buon vino. E adesso cosa si fa, abbiamo sì fatto dei passi avanti ma se vuoi andare alla fine della storia devi per forza di cose recarti presso l’isola della Toscana, sentenziò Rick. – A questo punto non vedo altra soluzione aggiunse Jim. Prima della partenza, avvenuta il giorno successivo, si salutarono affettuosamente con Rick prima di prendere l’aereo che da Catania lo avrebbe portato a Pisa, con la promessa di rivedersi presto senza fare trascorrere dei secoli. Giunto a Pisa, avrebbe proseguito il viaggio verso Piombino e da lì sarebbe salpato verso l’isola d’Elba, aveva il recapito della residenza della famiglia di Angelina dal diario del nonno e, sempre se questo non fosse cambiato, poteva continuare le sue ricerche da quello. Dopo una notte trascorsa in un hotel, la mattina seguente, si imbarcò con la vettura presa a noleggio alla volta dell’isola d’Elba. Affrontando con la macchina alcune curve di una strada in salita Jim poté ammirare il panorama circostante, nello stesso tempo i pensieri che si affacciavano nella mente non riuscivano ancora a fornirgli tutte le risposte alle numerose domande che aveva in testa. Cosa avrebbe detto, come avrebbero reagito i suoi potenziali interlocutori, dopo tutti quegli anni qualcuno era ancora a conoscenza di quella storia. Fermandosi a chiedere le ultime informazioni, riuscì ad arrivare presso la sospirata meta, rappresentata da una villa stile primi del novecento, che gli si parò dinnanzi. Suonando il campanello si senti rispondere da una voce piuttosto avanti negli anni. Varcando la soglia del cancello si trovo in un piccolo vialetto che immetteva in uno spiazzo circondato da un giardino, non curato in perfetto stile americano, come quelli che era abituato ad incontrare lungo la sua Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 183 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° strada, ma piuttosto, invece del classico prato rasato, la presenza di piante a macchia mediterranea e alberi di pini la facevano da padrone. Senta, io cercavo la signora Angelina marchesa di Casalrosato. – Oh, la signora è da qualche anno che non c’è più è morta insieme al marito a seguito della disgrazia del traghetto, no ha saputo? –No veramente io non sono di queste parti, ma lei, è una parente, rispose Jim. -No io sono solo la governante, accudisco la casa e la signorina. -Signorina chi? -Ma la figlia della signora che cercava, la signorina Francesca, precisò l’anziana signora. - Oh, e adesso dove si trova? Tornerà stasera, ha uno studio commerciale a Follonica. – Ho capito, senta signora potrebbe lasciargli questa agenda da leggere, io sarei… bhe, in effetti, non so neanche io cosa sono in questo caso, comunque dica che mi chiami presso questo albergo, le lascio il biglietto da visita, dietro a penna c’è scritto il mio nome. L’attesa si prolungò per tutta la giornata di sabato, giorno in cui Jim ne approfitto per visitare qualche spiaggia nelle vicinanze, d’altronde il fascino che il mare esercitava su di lui, era quanto mai terapeutico per fargli smaltire la stanchezza accumulata durante le ultime settimane dedicate alle ricerche sia in mare che sulla terra ferma. La sera di sabato il telefono in camera squillò distogliendolo dalla lettura del libro in cui era immerso. Pronto, il signor Castiglione, esordì una voce femminile dalla cornetta del telefono. – Sì, sono io, rispose Jim. Sono Francesca, ho letto l’agenda che ha lasciato alla mia governante, vediamoci a casa mia. Dopo aver percorso il primo tratto di strada che dall’albergo portava alla villa, prima di salire per le colline, Jim si voltò a guardare il mare dal finestrino della macchina. La riflessione che fece fu quella di pensare a come questa enorme distesa di acqua, che ricopre il nostro pianeta per il settanta per cento, possa unire i destini di migliaia di individui. Forse, anche per la sua continuità, era come un’enorme autostrada, che metteva in comunicazione non solo popoli diversi, ma sapeva anche intrecciare, drammaticamente anche i loro destini. Immerso nei suoi pensieri arrivò alla villa e venne fatto accomodare nel salotto a piano terreno che offriva alla vista il giardino di fronte, collegato ad esso tramite una porta finestra. Fu da quella che, dopo una decina di minuti di attesa apparve la donna. Avendo il sole alle sue spalle, Jim non riuscì da subito a leggerne i contorni del viso ma, attraversata la soglia, con il corpo posto in ombra apparve innanzi a lui in tutta la sua bellezza. Capelli ricci e neri, carnagione chiara e occhi di un limpido colore verde. A quella visione, Jim penso di trovarsi di fronte ad un fantasma, un fantasma venuto da lontano dalle profondità dell’oceano, tornato malinconicamente sulla terra ferma. Cristo, penso è uguale a sua nonna. Fu in quel preciso istante, durato una ventina di secondi che tra i due giovani scoccò qualcosa di indefinibile, qualcosa che avrebbe portato ad una unione, unione che sarebbe durata quanto una intera vita. Epilogo I due ragazzi, non privi di emozione, stavano in piedi a poppa dell’imbarcazione presa a nolo dopo aver gettato l’ancora. Le coordinate erano le stesse esplorate Pagina 184 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Il medaglione di ebano scuro Orazio De Maria qualche settimana da Jim con i suoi amici, ossia il punto su cui giaceva il relitto affondato più di quaranta anni or sono. Tra le mani stringevano una piccola cassetta metallica al cui interno avevano posto il medaglione di ebano scuro, modificato per contenere adesso, le foto di Nonno Paul da un lato e quella di Lucia dall’altra. – È strano, riflettevo, di come il mare abbia legato tragicamente i destini delle persone a noi care, disse Francesca, che a distanza di un mese dalla conoscenza con Jim, aveva chiuso per ferie il suo ufficio di commercialista per seguire quel ragazzo americano legato e lei da un sottile filo di cui sconosceva l’esistenza. La morte dei nostri genitori periti in circostanze diverse ma sempre in mare, la morte di mia nonna sempre con il contorno dello stesso tragico destino, è come se il mare ci togliesse quello che amiamo di più. È anche vero però, rispose Jim, che senza questo intreccio di accadimenti non ci saremmo mai trovati, il mare toglie ma, nel nostro caso, crea e restituisce. Bene, adesso sarà meglio fare quanto deciso. – Sei sicuro di volertene separare? Disse Francesca. – Sì, sono sicuro che entrambi avrebbero voluto così, e così dicendo deposero in mare la piccola cassetta con dentro il medaglione che, al contatto con le acque, sprofondò rapidamente tra gli abissi. Con un senso di tristezza, rimasero a guardare la stessa affondare rapidamente, quando si ripresero Jim disse, adesso andiamo abbiamo tante cose da organizzare, prima tappa casa mia in America dopo…. Quello che, per tanti anni era rimasto un salone buio e solitario, improvvisamente sembrò illuminarsi all’improvviso, non si riscontrava traccia di disordine, tutto era lindo e pulito come se, misteriose mani, avessero ravvivato le vernici, lucidato gli ottoni, pulito i tavoli. Allora Paul, questo è il primo caso di una sposa che aspetta sull’altare, ti sei deciso finalmente. Capitano Juan, amico mio, è da una vita che ho deciso, ma adesso, ora che la morte ha annullato il tempo e riacceso i ricordi, mi pare che sia solo stato un enorme silenzio, quello che ha accompagnato la mia esistenza negli ultimi quaranta anni e non mi pare vero che sia passato tutto questo tempo. La sposa apparve dalla porta che dava dentro il locale mensa, era bellissima, come se la ricordava, come l’aveva sempre conservata nel suo cuore. A piccoli passi, con in mano un mazzo di corallo rosso a forma di mazzo di fiori, Lucia raggiunse il fianco di Paul, con un ritardo di quaranta anni che la morte, aveva annullato in un solo istante nello stesso momento in cui si strinsero le mani Tutti i membri dell’equipaggio si strinsero in cerchio intorno al tavolo della cerimonia, vestiti con gli abiti migliori. Bene, per i poteri che mi concede il diritto marittimo iniziamo la cerimonia per unire in matrimonio Lucia e Paul. Avete portato gli anelli, disse il capitano, No, abbiamo voluto fare uno strappo alla regola capitano, ci scambieremo questi due medaglioni, l’unica cosa che ci collega al nostro ultimo incontro. Per me va benissimo, così sia. Vuoi tu Paul prendere per sposa Lucia, adesso per l’eternità? Si lo voglio, rispose il giovane Tenente Castiglione. E tu Lucia, vuoi prendere come tuo legittimo sposo per la tua vita eterna il qui presente Paul. Sì, lo voglio. Fu in quel preciso istante che tutta la nave ripiombò in quella oscurità da cui era, Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 185 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° per un’ultima volta riaffiorata, per porre fine, stavolta definitivamente, a quella lunga storia d’amore. N.d.A. Sono consapevole del fatto che quanto da me descritto nel racconto, non è quello che si è abituati a leggere su questa collana di libri. Aggiungo che, probabilmente, il mio intervento non si sposa con il premio racconti di bordo. Però, sono altresì consapevole che vi sono delle storie, che hanno come sfondo il mare, che meritano di essere raccontate, indipendentemente dal fatto che si scriva o no, e non è sicuramente il mio caso, con il desiderio di inseguire sogni di piazzamento quando si è onorati di partecipare ad un premio. Quando venni a conoscenza di questa storia, lavoravo in estate in un ristorante sito nel paese di Acitrezza, ai tempi andavo ancora a scuola e nel Catania giocavano Pedrigno e Luvanor! Fu in quella circostanza che conobbi un ufficiale superiore della base Americana, di origini italiane, che mi mise al corrente della trama di questo racconto. Senza nemmeno avere la pretesa di pensare di riproporvelo in maniera consona, ho dovuto immedesimarmi nella parte di un regista che, seduto in prima fila sulle poltrone di un teatro, guarda la compagine degli attori provare le loro battute. Andando avanti con la storia, mi sono accorto, con mio stupore, e che io, il regista, il narratore, improvvisamente non contavo più nulla in quanto gli attori, che in teoria avrei dovuto guidare, e vivevano di vita propria, con la tremenda consapevolezza che non sarebbero mai potuti uscire dal ruolo che avevo loro cucito addosso. Questa sensazione è divenuta realtà ogni qual volta che, alzandomi dalla poltrona, abbandonavo la sala libero di poterlo fare, mentre loro, fermi sul palco, consapevoli di non poter avere questa possibilità. Questo, per un attore di teatro, abituato ad intercalarsi in ruoli e personaggi differenti, è una cosa tremenda, in quanto rimanendo schiavo di un personaggio lo si finisce per acquisirlo nella realtà. Questo è quanto è accaduto ai protagonisti e, forse, è questa l’unica caratteristica che li fa sposare con il premio Artemare. La rivalsa a tutto questo da parte loro è stata quella che, consapevoli del loro ruolo, hanno iniziato a vivere di vita propria, senza la possibilità da parte mia di intervenire per mutare il corso degli eventi o delle battute. Al di là del risultato finale sono consapevole del fatto che laggiù, nel fondo dell’oceano, qualcuno si sarà riconosciuto in questa storia, sentendosi rincuorato di sapere che alla fine tutto è andato come il destino ha voluto che andasse, e che voi lettori, spettatori inconsapevoli, abbiate avuto l’opportunità di applaudire quei personaggi che, in silenzio, oramai liberi da vincoli di scena sono spariti per sempre dietro un sipario chiuso davanti ai loro occhi. Ho volutamente modificato, anche se non di tanto, nomi e luoghi presenti nel racconto, anche per rispettare il desiderio di chi, gentilmente, dimostrandomi amicizia, mi ha messo a conoscenza della storia. Pagina 186 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Eugenia Pileggi SI PUÒ AMARE IL MARE ANCHE SE… S i può amare tanto il mare anche quando porta via un figlio e lo culla per tre mesi senza lasciarlo e lo tiene stretto chissà in quale profondità, e poi farlo riemergere per una degna sepoltura? Sì! Perché lo amava Andrea fin da bambino quando andava in barca con il padre per la pesca. Anna, la madre di Andrea, camminava in quella piazza del paese con l’unica figlia Maria, che le era rimasta, e mettendole la mano sul pancione sentiva già il suo primo nipotino che scalciava come se dicesse: “Ho fretta di vedere la luce, assaporare la vita!”. Anna, con un sorriso che voleva essere pianto, disse alla figlia: “L’ho tenuto per nove mesi in acqua e l’acqua me lo ha portato via!”. Si riferiva al liquido amniotico, ma Anna non volle aggiungere altro, non voleva turbare più di tanto la figlia in un momento così magico, così bello, come quello della maternità! Il marito di Anna faceva il pescatore ancor prima che si sposassero e, nelle belle serate estive, Andrea preparava la barca con tanto amore e con tanta gioia, scrisse il suo nome sulla barca e accanto disegnò due ali dicendo al padre: “Con questa barca voleremo!”. Poi si allontanavano dopo aver fatto il segno della croce, attingendo il dito in quell’acqua meravigliosa che dicevano benedetta da Dio. I lumini del ciclo diventavano i loro compagni e la luna generosamente, specie quando era piena, regalava loro un po’ di luce. Del mare conoscevano l’umore, lo vedevano azzurro, quando regala serenità e calma e lo vedevano quando indossava l’abito grigio che mette tristezza, quando si arrabbiava e metteva loro paura. L’amore per il mare era grande, Angelo, il papa di Andrea era figlio di un pescatore, quindi, da piccolo sognava che avrebbe fatto lo stesso mestiere del padre, forse con qualche soldino in più per comprarsi un mezzo più sicuro della barca! Maria, aveva sofferto tanto per la morte del fratello al quale era molto legata. “Come lo chiamerai”, disse Anna alla figlia e, sebbene conoscesse già la risposta, i suoi occhi si illuminarono di gioia quando la figlia pronunciò il nome Andrea. Il dolore aveva unito ancora di più la famiglia, aiutati anche da una grande fede. Padre Francesco, il parroco della chiesetta del paese, dove tutta la famiglia si reca ogni domenica per la messa, non ha mai abbandonato Anna con i suoi cari; anche oggi, dopo due anni dalla tragedia, spesso lo sentono bussare alla porta. Chi meglio Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 187 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° di un sacerdote sa trovare parole giuste per dare loro un po’ di sollievo? Andrea era un giovane che amava la vita, era buono, lo incontravi al bar, in parrocchia, nelle feste del paese, e poi aveva tanti compagni di scuola perché aveva frequentato l’istituto nautico, sperando che un giorno, avrebbe lavorato come ufficiale presso la marina mercantile. Angelo da due anni non prende più la sua barca per andare a pescare, la tragedia ha cambiato la sua vita, ama il mare ma nello stesso tempo è bisticciato perché pensa di essere stato tradito da quelle acque che lo hanno visto crescere. Con un dolore così grande non riesce ad accettare che Andrea era stato imprudente, affrontando insieme ad alcuni amici il mare con un cielo che lasciava pensare che da un momento all’altro un forte temporale sarebbe arrivato di certo. Gli amici che stavano con lui, impauriti, sono ritornati indietro e non sono serviti i loro consigli, Andrea avanzava sicuro di farcela! Angelo compra il pesce da altri pescatori, continua a venderlo in quella piazza vicino casa, non saprebbe fare altro mestiere né si può andare in pensione a cinquant’anni. La sera si ferma a parlare con altri pescatori al porticciolo e poi, prima di rientrare, tocca la barca e la bacia come fosse una reliquia; Anna, invece, come fosse un rito, la vediamo uscire sul balcone alle ore 8,15 – 8,20 e rimane una diecina di minuti, con lo sguardo fisso a quelle acque che hanno sentito l’ultimo grido disperato di Andrea. Nel mese di maggio, giorno del compleanno del figlio, e nel mese di settembre, giorno della tragedia, Anna attraversa la piazza, arriva al porticciolo, si siede sul bordo della barca tenendo fa le dita una corona del rosario, poi si alza e va ad accarezzare alcuni ragazzi che giocano a pallone facendo arrivare le loro voci in quelle bianche case, addossate una sull’altra come in un abbraccio. Chi guarda la sera quelle case illuminate sembra di vedere un presepe! Prima di andare via, Anna si avvicina alla battigia, apre la borsetta e prendendo una piccola bottiglia di plastica con dentro un biglietto e la fa scivolare in mare; non le basta portare dei fiori sulla tomba del figlio, ma in quel mare sente ancora la presenza di Andrea, le gioie che provava quando si tuffava da bambino, e con tanto dolore il suo ultimo grido disperato! Un pescatore, trovando un giorno una piccola bottiglia, volle leggere il biglietto che poi rimise dentro e riconsegnò alle onde, mentre per l’emozione si asciugava gli occhi. Anna aveva scritto: “Sei sempre con me, sei l’angelo del mare!”. Tutti, in quel piccolo paese, avevano sofferto per la morte di Andrea e i pescatori sono stati molto vicini ad Angelo e cercano in tutti i modi di convincerlo a riprendere la pesca, ma forse è ancora troppo presto. Andrea, un pomeriggio di settembre, andò in barca con degli amici e Antonio, l’amico più caro, cadde in acqua per un malore; in un primo momento pensarono che scherzasse, ma quando capirono che stava male chiamarono il 118; Andrea, per tre giorni, stette al capezzale dell’amico che sembrava in coma e tenendogli la mano Pagina 188 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Si può amare il mare anche se... Eugenia Pileggi gli diceva; “Antonio, svegliati perché abbiamo tante cose da raccontarci e da fare insieme”. Dopo una settimana, il Signore aveva ascoltato le sue preghiere, Antonio si era ripreso e la loro amicizia cresceva e si rinsaldava! Ma, al funerale di Andrea quell’amico del cuore ripeteva senza darsi pace: “Perché mi hai lasciato solo, non eri tu che mi dicevi che avevamo tante cose da dirci e da fare insieme?”. Anna, con la sua grande fede, sa che i nostri cari sono con noi, che il dialogo fra madre e figlio non si interrompe mai, anzi, con la morte si intensifica. La scrittrice Giusi Liuzzo ha presentato di recente il suo libro, dove racconta della morte del figlio giovanissimo per una malattia ematologica, un grande dolore che è riuscita a superare con i messaggi che suo figlio invia attraverso la scrittura automatica. È un mezzo che tanti non condividono, ma per una madre è sentire accanto la persona più cara, un figlio! Anna e tutti quelli che abbiamo fede sappiamo che la vita non finisce, ma si trasforma e impariamo a guardare il cielo. Fra pochi mesi arriverà il piccolo Andrea, conoscerà lo zio attraverso i racconti della mamma e dei nonni, ma lo zio lo conosce già perché lo vede e diventerà il suo angelo custode. Ci facciamo tante domande e tante restano senza risposte, ma è la fede che ci sostiene, senza di essa non potremmo sopportare le croci. Perché tanti giovani muoiono e invece tanti vecchi sofferenti e stanchi continuano a vivere nella sofferenza? Dio ha detto: “Le vostre vie non sono le mie, né i vostri pensieri sono i miei!”. Noi non lo sappiamo, ma forse Dio ha bisogno di angeli per guidare chi resta e Andrea veglierà su tutta la famiglia e su quelli che lo hanno amato! L’autrice del racconto “Si può amare il mare anche se...” Eugenia Pileggi Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 189 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Tre intermezzi che hanno allietato la cerimonia di premiazione Il cantautore G. Pastorello ha cantato due sue canzoni che hanno vinto negli anni il Festival della canzone sul mare L’attore Nicola Costa recita brillantemente un brano de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia La Compagnia Teatrale Ionica presenzia con la lettura di alcuni brani di racconti premiati in passato Pagina 190 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Maria Salemi SKIPPER Skipper, voglio fare lo skipper, scivolare sul mare tra i flutti e i marosi poter navigare... vele al vento e sognare, che sarò uno skipper. Skipper, sono quasi uno skipper, sfiderò le onde nere scacciando paure e vivrò d’avventure, per poter raccontare le esperienze vissute sul mare... Di tempeste e di vento o del grande silenzio che affiora sulle onde tranquille del mare, e di voli di bianchi gabbiani, di rossi tramonti, di bagliori, di suoni e di canti di armoniose sirene che ti sanno ammaliare... Skipper, voglio fare lo skipper perché voglio ascoltare, capire il sospiro e il respiro del mare. ................ .............................. Perché voglio ascoltare, capire il sospiro e il respiro del mare. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 191 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Pagina 192 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Marinella Scordo A MIO NONNO (Pippinellu napulitanu) Mi ritrovo a camminarle sopra, sulla sua pelle di basalto e lacrime. Lei così orgogliosa nei suoi fiori di zagara, lei che mi seduce ad ogni nuova alba. L’avevo amata senza sceglierla, ritrovandomi già sommersa dal suo canto, un canto antico di uomini senza vanità, fedeli tra gli abissi e peccatori sulla terra ferma. Lo screzio di un ricordo, riporta i miei piccoli passi su un muretto ormai fantasma, intrecciata alla mano grande di mio nonno, che quasi sembrava cingere coralli, uomo silenzioso e austero come il suo mare, dagli occhi profondi e lontani, e il cuore avvolto da una lampara. Non basterebbe più un faro a farti ritrovare la strada, e nemmeno la rotta con la quale i pescatori orientano il loro orizzonte. Tutto è cambiato mio caro nonno, da quando non ci sei più, Riposto non ha più confini e il tuo violino non ha più note da suonare. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 193 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SEZIONE SPECIALE ARTEMARE 2009 DEDICATA AI CADUTI DEL MARE Pagina 194 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° MONUMENTO AI CADUTI DEL MARE Finalmente anche Riposto ha un monumento ai caduti del mare. La vocazione marinara del Paese ha comportato il sacrificio della vita di tanti suoi figli ed era doveroso che ci fosse un posto dove poterli ricordare. L’Amministrazione comunale ha il merito di aver saputo individuare le risorse per la realizzazione e l’installazione del monumento, mentre il nostro Circolo ha la responsabilità delle scelte del bozzetto e del luogo dove erigerlo. La statua in bronzo, poggiata su due colonne di pietra lavica a forma di prua di nave, raffigura delle onde marine che avviluppano un naufrago. L’opera monumentale, di oltre 8 metri d’altezza, è stata realizzata su progetto dello scultore romano Silvio Amelio, autore di chiara fama e di vasta produzione artistica. L’opera potrà essere più o meno apprezzata, ma comunque assolverà il suo compito, che è quello di onorare chi ha sacrificato la propria vita sul mare e di dare conforto a familiari, parenti e amici. In internet, si possono osservare centinaia di monumenti dedicati ai caduti del mare. Le foto più significative e meno ripetitive sono state inserite su questo XV volume della collana “Storie e racconti di mare”. Da un attento esame di queste immagini (pagg. 201/205) si nota una predominanza di ancore, catene, eliche, timoni, marinai al timone, delfini, gabbiani, madri e moglie in attesa, ecc. Sono poche, invece, anche perché più difficili da realizzare, le sculture che cercano di esprimere emblematicamente il sacrificio che si vuole rappresentare. Un’altra cosa che si osserva, in questa enorme rete universale che è Internet, è la presenza di elenchi di caduti del mare a far parte dei monumenti. Addirittura, ci sono siti con il monumento virtuale (solo “on line”) e sfilze di nomi di caduti con tante righe di biografia. Forse perché al familiare interessa più il nome del proprio caro impresso sul monumento che il monumento in se stesso. Questo desiderio dei nomi incisi sui monumenti è stato constatato personalmente quando si è fatto presente che l’iscrizione sulla base del nostro monumento, per la sua particolare sagoma, non è appropriata. La reazione negativa, la delusione degli interessati ci hanno spinti a studiare una soluzione alternativa. E così si è pensato di riportare i nominativi su pergamene in ottone, unite poi a formare un Leggio con l’elenco dei libro che verrebbe collocato su un leggio di pietra lavica. nomi dei morti in mare Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 195 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° In occasione di questo evento, da lungo tempo atteso, il Consiglio direttivo del Circolo ha deciso di istituire un “Premio speciale alla memoria del sottotenente di vascello Carmelo D’Urso, decorato al valor militare e disperso in mare”, da assegnare ad un testo letterario che affrontasse l’attuale tragedia dell’immigrazione clandestina via mare. Si è ritenuto che l’immane strage di migliaia di migranti morti o dispersi in mare meritasse un posto sulla lapide del nostro monumento e uno spazio nella raccolta “Storie e racconti mare”. Il Premio è stato conferito alla dott.ssa Daniela Damigella per il suo lavoro “Rischi e potenzialità della mobilità sociale nell’area del Mediterraneo” ed è stato consegnato in occasione della premiazione di Artemare 2009. Ritrovamento di un’ancora nel mare di Riposto L’ancora è del tipo «Trotman» ed era in uso sulle navi dal 1846 fino agli inizi del XX secolo. Essa è stata trovata nel mese di se�embre 2002 dagli operai della di�a «Ira Costruzioni» dentro lo specchio d’acqua del porto ripostese. La particolarità del reperto è rappresentata dalle marre mobili con delle ale�e a forma di «L», che ruotano a�orno ad una forcella ricavata nella parte inferiore del fuso. Pesa oltre una tonnellata ed ha una altezza di 3,50 metri; il ceppo è del tipo fisso ed ha una lunghezza di 2,40 metri, mentre le marre si estendono per 1,80 metri. Certamente deve essere appartenuta ad uno dei piroscafi che facevano scalo a Riposto negli anni tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. L’ancora è stata ripescata non molto lontano dal posto dove è stato ere�o il monumento ai caduti del mare e sarà collocata ai piedi di tale monumento. Pagina 196 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° SCHEDA BIOGRAFICA DEL COM.TE CARMELO D’URSO Risulta inserita all’indirizzo www.artemare.it pagina: Marineria di Riposto Carmelo D’Urso nasce a Riposto (CT) il 16 luglio 1908. Frequenta le prime due classi della Sezione Capitani dell’Istituto Nautico «Ruggero di Lauria» di Riposto negli anni scolastici 1921-22 e 1922-23. Per la soppressione dell’Istituto ripostese, conclude gli studi nell’Istituto Nautico «Duca degli Abruzzi» di Catania, presso il quale consegue nell’anno scolastico 1924-25 la licenza di Capitano di lungo corso, riportando il massimo dei voti (venti su venti) nelle materie professionali. Nel gennaio 1926 comincia la sua vita sul mare con i viaggi oceanici dei piroscafi «Galatea» ed «Australia». Presta il servizio militare di leva dal febbraio 1928 al giugno 1930. Da sottocapo viene promosso sottufficiale col grado di 2° Capo Timoniere «D»; si congeda come 2° Capo Timoniere «D» anziano. Gli si conferisce nell’ottobre 1930 il grado di Scrivano nella Marina Mercantile. Dal marzo 1931 al giugno 1932 ritorna sulle rotte oceaniche a bordo del «California». Nel settembre 1932 ottiene il grado di Capitano di lungo corso nella Marineria mercantile. Si imbarca, quindi, dal marzo 1933 all’ottobre 1934 come allievo ufficiale, prima, e come 2° ufficiale, dopo, sul mercantile «Progresso». Come primo ufficiale naviga dall’ottobre 1934 al febbraio 1936 sul «Risveglio», sul «Tenace», sul «Langano», navi della Compagnia di navigazione “Ignazio Messina & C.” di Genova . Partecipa, come sottufficiale, al conflitto italo-etiopico, dal maggio al settembre 1936, nella categoria “segnalatori”. Riprende la sua attività nella Marina mercantile, imbarcandosi come 1° ufficiale sull’«Ogaden», prima, e sul « Tembien », navi sempre della flotta I. Messina. Dall’agosto al dicembre 1939 è comandante del piroscafo «Tembien». Nell’agosto 1939 viene nominato Guardiamarina di Complemento nel corpo di Stato Maggiore, grazie ai numerosi anni di navigazione in comando di guardia. Il 26 dicembre 1939 viene chiamato alle armi ed avviato al Corso Sommergibilisti a Taranto, dove presta giuramento presso il Comando 4° Gruppo Smg. l’8 gennaio 1940. Nel febbraio 1940 viene assegnato, come ufficiale di rotta, al sommergibile «Sirena»; successivamente, nell’agosto 1940, viene imbarcato sul sommergibile «Corallo». Viene promosso Sottotenente di Vasc. di C. nel maggio 1942 e comandante in 2ª del «Corallo» nel settembre 1942. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 197 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Il Smg Corallo, entrato in servizio nel 1936, compì complessivamente 48 missioni di guerra attaccando ripetutamente con siluri unità avversarie ottenendo come risultati certi l’affondamento di tre motovelieri. Il 10 dicembre 1942 (al comando del Ten. Vasc. Guido Guidi, che ha rilevato il Com.te Andreani a metà giugno ’42) il CORALLO salpa da Cagliari per portarsi in agguato sulle coste africane, fra Bona e Biserta. La “tabella ordini” prevede per la notte sul 13 una puntata offensiva in Algeria, nella rada di Bougie (in arabo: Béjaïa). Dopo la partenza, però, del sommergibile non si hanno più notizie, né si hanno risposte alle chiamate radio, ripetute fino al 23 dicembre. Della sua perdita si avrà conferma solo nel dopoguerra, dalle fonti ufficiali inglesi. Nella notte fra il 12 e il 13 dicembre, a circa 14 miglia al largo di Bougie, il CORALLO viene scoperto da unità antisom inglesi e sottoposto ad intenso bombardamento. Costretto ad emergere, viene speronato dalla cannoniera ENCHARTRESS (che rimane essa stessa seriamente danneggiata) e affonda immediatamente nel punto 36°58’N – 05°07’E. Nessun superstite. Il 23 dicembre 1942 viene dato disperso in guerra. Al S.T. di Vascello Carmelo D’Urso sono state conferite tre Croci di Guerra al valor Militare. Fu autorizzato a fregiarsi del distintivo di guerra, di n. 3 stellette sul nastrino e del distintivo d’onore per il personale imbarcato nei sommergibili. Nel 1953 gli sono state riconosciute le campagne di guerra 1940 – 1941 – 1942 – 1943. Nel luglio 1955 gli è stata conferita, alla memoria, la Croce al Merito di Guerra. Carmelo D’Urso, fra l’altro, fu anche studioso di problemi di astronomia applicati alla navigazione. Nei lunghi anni della navigazione mercantile, egli amplia un suo lavoro giovanile, arricchendolo di parti teoriche e pratiche fino a farne un vero e proprio manuale. «Nuova navigazione astronomica» è il testo che egli concepisce e compila e del quale resta un’edizione provvisoria, rilegata in tela, dattiloscritta e con disegni a mano molto curati. Alla sua memoria, il figlio on.le Carmelo D’Urso, da oltre 20 anni, assegna delle borse di studio agli alunni meritevoli dell’Istituto Tecnico Nautico di Riposto. Nel 2006, in occasione dell’anniversario del primo centenario del porto di Riposto, la Commissione costituita dal Com.te dell’Ufficio Circondariale marittimo ripostese, gli intitola la banchina del molo di ridosso. Nel 2009 in occasione dell’erezione di un monumento ai caduti del mare a Riposto, il Circolo degli ufficiali della Marina mercantile, promotore del Premio Nazionale Artemare, ha indetto un Premio speciale Artemare alla sua memoria con la motivazione: “ …per le decorazioni e riconoscimenti avuti, per i suoi interessanti studi sulla ‘Nuova navigazione astronomica’, interrotti dalla prematura scomparsa, e per la brillante carriera sulle navi della Marina mercantile che lo portò ancora giovane al grado di Comandante”. Pagina 198 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Giornata della Memoria per i marinai scomparsi in mare Con la legge 31 luglio 2002 è stata istituita la “Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare”, da commemorare annualmente il giorno del 12 novembre presso il Monumento al marinaio d’Italia nella ci�à di Brindisi. Il giorno 12 novembre è stato scelto come data simbolica perché nello stesso giorno del 1918, il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare e Comandante delle Forze Navali Mobilitate, Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, firmò il “Bolle�ino della Vi�oria sul Mare”. Intervento CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA MILITARE Amm. di Squadra Paolo La Rosa Brindisi, 12 novembre 2008 …Anno dopo anno, dal 12 novembre del 2002, questa celebrazione propone l’omaggio ai propri caduti da parte di tutta la marineria italiana. Marinai con e senza le stellette, in servizio ed a riposo, tutti sentiamo forte il dovere e, al tempo stesso, il bisogno della memoria dei nostri Caduti in mare. Non possiamo e non vogliamo dimenticare chi ha donato la vita per la nostra stessa missione, nella consapevolezza che ciascuna vita è un contributo al bene comune. II destino degli uomini che si consuma in mare è particolare, come particolare è il rapporto dei militari con la morte. La cerimonia, le onoranze, il monumento e quei nomi scolpiti sul marmo, ci aiutano a meglio comprendere. II rischio dell’estremo sacrificio o, più ancora, quello di forzarlo su altri, permea la nostra condizione, non facile, né agevole, rispetto alla naturale tendenza alla conservazione della vita quale bene supremo dell’uomo. Per il militare, la propensione a rimuovere il pensiero della morte si inserisce nel sistema di valori, alto e complesso, fatto proprio con il giuramento alla Patria. Sono valori positivi di pace, libertà e giustizia, di dovere e servizio, che esaltano una concezione etica dell’esistenza in difesa e vantaggio della comunità. La morte non rappresenta un congedo definitivo, per nessuno. Tanto meno interrompe l’appartenenza alla Marina. La continuità di quei valori alimenta la nostra storia, che si arricchisce delle migliaia di storie individuali, tutte diverse, ciascuna con una sua dignità, e che è collante fra i marinai di ieri e d’oggi. Un legame che, auspice l’ANMI, abbiamo celebrato qualche settimana fa a Reggio Calabria, durante la festa dei Marinai e che, proprio oggi che ricorre il novantesimo anniversario del bollettino della Vittoria sul mare, al termine della Prima guerra mondiale, ritroviamo nelle parole del Grande Ammiraglio Thaon de Revel: “tutti gli italiani conoscono i nomi dei singoli eroi e delle vittorie fulminee, ma non a tutti è nota l’opera silenziosa, aspra, generosa, compiuta in ogni ora, in ogni evento, in ogni fortuna...”. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 199 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Le onoranze militari che caratterizzano i nostri riti funebri, oltre che esprimere l’affetto per i cari scomparsi, rendono omaggio alla loro identità collettiva. Riconoscono i morti per la Patria e per la comunità, che dalla dimensione nazionale si espande sempre più, per l’ispirazione dei principi di solidarietà e fratellanza che travalicano i confini dello spazio e del tempo. Una comunanza speciale, generata dalle difficoltà che si affrontano “sul mare” e “per il mare” e rafforzata dalla condivisione delle sorti che legano il fato dei naviganti, civili e militari, nel confronto con la mirabile immensità e la profonda drammaticità del mare. I reperti navali del Monumento, provenienti da Marine su fronti opposti nei trascorsi bellici, lo testimoniano: il culto per i caduti non distingue nazionalità diverse e celebra con pari rispetto il sacrificio di quanti si sono immolati per una missione che è identica su qualunque mare del mondo. Con queste considerazioni ci ritroviamo ai piedi di questo Monumento, dalla forma semplice ed essenziale del timone che governa la nave, simbolo della continuità tra la vita e la morte, che nella tradizione iconografica cristiana rappresenta il traghetto verso “l’al di là”. Simbolo del rapporto fra uomo e mare, che nel suo momento più alto si sublima nel sacrificio della vita tra i flutti. Simbolo del mistero che avvolge i caduti in mare, morti senza tomba, le loro spoglie raccolte e custodite nel silenzio delle profondità. Qui non il corpo ma solo i nomi, così strappati all’oblio che il tempo porta con sé. Sono tutti cari alla nostra memoria, quei nomi. Quelli, i tanti, che nemmeno hanno un nome, hanno la gloria. Li ricordiamo tutti, migliaia, senza distinzioni di grado, d’epoca, di gesta, morti in tempo di guerra o di pace. Questo luogo della rimembranza, al culto dei defunti aggiunge la sacralità della memoria, che comporta l’impegno non solo di custodirne e tramandarne i valori, ma soprattutto di prenderli ad esempio. Così al ricordo dei morti si accompagnano le riflessioni sulla vita, per valorizzarne il messaggio e porsi nel presente in coerenza e continuità con il passato. Quel timone diviene un monito contro la concezione del mare come spazio di separazione, di guerra, di attività criminali. II dolore per la vita sacrificata induce questioni profonde sulle vicende che hanno visto e che ancora vedono tante perdite di vite umane in mare e sollecita il ripudio di ogni forma di violenza. II mare è primaria fonte di vita che reclama un argine al degrado ambientale ed ai contrasti fra i popoli, che minacciano l’ecosistema, l’economia del mondo, lo stesso futuro del genere umano. La questione della sicurezza marittima si pone tra le massime priorità della Comunità internazionale. Fra i fattori più sensibili, i rischi connessi alle attività illecite e criminali negli spazi marittimi, quali la pirateria, il contrabbando, il traffico di clandestini ed il trasporto di armi di distruzione di massa, il terrorismo. Nel mondo globalizzato, il mare si conferma dunque elemento di fondamentale importanza strategica nel confronto con le sfide alla sicurezza collettiva, su cui devono concentrarsi gli sforzi nazionali ed internazionali per la stabilità, lo sviluppo economico e la prosperità dei popoli. A tutto ciò la Marina è preparata, con mezzi sempre più avanzati, con personale specializzato ed addestrato, con grande spirito di servizio, e trova giusta ispirazione nella memoria dei propri caduti in mare: che Loro abbiano meritata pace e che noi sappiamo trarre forza ed esempio dalle Loro virtù. Pagina 200 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° MONUMENTI AI CADUTI DEL MARE IN ITALIA E NEL MONDO Alassio SV Diana Marina BR Ostuni BR Nave Bersagliere Bordighera IM Catanzaro Camogli GE Catania Latisana UD Manfredonia FG Marciana Marina LI Milano Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 201 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Isola di Aruba Dublino - Irlanda Newlyn - Inghilterra Belgio Pegli GE Pescara Odessa - Ucraina Londra - Inghilterra Parghelia VV Pizzo Calabro VV Port Dover - Canada Port Dover 2 - Canada Pagina 202 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Venezia Verona Montauk NY - USA Florida Foto Rousset Saint Pierre - Francia Pozzallo RG Rovereto TN Savannah Sirmione BG Sori GE Taormina ME Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 203 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Hvalba - Isole Faroe Georgetown Texas - USA San Bartolomeo a mare - IM Tallinn - Estonia Galway - Irlanda Roseto degli Abruzzi - TE Taranto Udine Dunmore East - Irlanda Gloucester - Inghilterra Riva del Garda TN Washington - USA Pagina 204 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Piraeus - Grecia Liepaja - Lettonia Reykjavik - Islanda Londra- Inghilterra Sunshine Coast-Australia Assateague Island - USA Lunenburg - Canada Claddagh Galway - Irlanda Rosses Point - Irlanda Whittier - Alaska Alaska Vigo - Spagna Foto Sunset Foto Redbubble New York - USA Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 205 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Fra Riposto e il mare esiste da sempre un rapporto inscindibile. Dal mare la civiltà del pensiero e dell’arte, la pesca e il commercio, l’anelito del navigare nell’immenso dell’ignoto, sono giunti e hanno preso radice nei ripostesi, segnandone il carattere e la destinazione esistenziale. Non sempre è stato un rapporto sereno. La rabbia e la fame transitano nelle fibre della natura e, se improvvisa la furia dei venti ne scuote e sconvolge le membra, il mare divora i suoi figli come un tremendo dio pagano. La storia dei marinai di Riposto è tutta qui, nell’alternarsi di gioie e dolori, per i doni ricevuti e le lacrime versate, che a loro provengono dalla volontà di perseguire il benessere e dalla necessità di ripagarlo con la sofferenza. A volte con la morte. Vincenzo Di Maria Targa di commemorazione del Monumento ai caduti del mare ere�o a Riposto all’interno della banchina di riva del porto turistico pubblico nel 2009 Incerti, su rive inospitali, uomini sconosciuti scrutano il mare, per cogliere segni di buon auspicio o per fugare oscuri presagi. In bilico tra la disperazione del presente e il disperato bisogno di un futuro, sanno che nella distesa marina è l’unica possibile salvezza; chiudono gli occhi e affidano la loro vita alla sorte, troppo facili prede dell’avidità e del cinismo altrui. Nuovi incubi attendono chi sopravvive alle insidie del mare, ma spesso è sul mare che la tragedia si compie, ed enormi bare d’acqua si richiudono su corpi senza volto e senza nome. Noi non possiamo ignorare queste morti, logiche inappuntabili e ragioni numeriche non valgono a legittimare le stragi. Mentre passeggi su queste rive, fermati ad ascoltare: nel profondo dell’abisso non v’è quiete, e forse, nelle sere di vento, Benedetta Denaro il mare porterà l’eco delle loro voci. Targa in ricordo delle migliaia di migranti annegati a�raversando il mare Mediterraneo alla ricerca di una vita migliore Pagina 206 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° I VIAGGI DELLA SPERANZA Quanto segue viene riportato non perché può interessare più di tanto i lettori di oggi, ma perché potrà essere un documento storico per quelli di domani ……………………. L’ultimo barcone della speranza è affondato al largo delle coste libiche. A bordo erano in 150 egiziani: se ne è salvato solo uno. Gli altri sono finiti in fondo al mare. Una strage vecchia di nove giorni. Per questo si pensa che alcuni dei corpi potrebbero essere tra quelli rinvenuti tra quella data e sabato scorso: un totale di 23 cadaveri. (Maggio 2005) Pagina 207 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° ……………………. Immigrazione. Mistero su un barcone di extracomunitari in balia delle onde: forse gettati in acqua cadaveri Giovedì 4 agosto 2005 ……………………. Fortress Europe - Immigrati morti alle frontiere dell’Europa Almeno 5.544 i migranti morti lungo i confini del Vecchio Continente dal 1988 ad oggi, due terzi sono annegati nelle acque del Mediterraneo. (23/10/2006) ……………………. 29/10/2007 08:42:11 TRAGEDIE DEL MARE, RIPRESE RICERCHE DEI DISPERSI. 16 I MORTI Nel naufragio di Roccella Ionica mancherebbero all’appello almeno 20 persone. In Sicilia nuovi sbarchi nella notte. ……………………. SPAGNA, MORTI O DISPERSI 90 IMMIGRATI PARTITI DA MAROCCO E SENEGAL 10. Dicembre 2007 - 16:02 ……………………. LAMPEDUSA. Un barcone carico di immigrati è naufragato, nel pomeriggio di giovedì, al largo delle coste libiche e a 150 miglia a sud dell’isola di Lampedusa. Il bilancio è di 12 morti, i cui corpi sono stati recuperati dalla nave Sirio della Marina militare italiana. La “carretta del mare” trasportava altre 27 persone, che sono sopravvissute alla tragedia grazie all’intervento dei marinai del peschereccio “Ariete” di Mazara del Vallo. A far rovesciare il barcone è stata un’onda gigantesca, come raccontato dagli stessi marinai. Le vittime sono state identificate dagli altri immigrati che erano a bordo dell’imbarcazione, in maggioranza di nazionalità somala e senegalese. (Giugno 2008) ……………………. Clandestini, naufraga barcone: 40 morti e 100 dispersi Pupia. TV 16 giu 2008 Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 208 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° ……………………. Affonda un barcone, ancora morti e dispersi nel canale di Sicilia emanuele rossi Martedì 29 Luglio 2008 ……………………. Immigrazione, nuova tragedia in mare naufraga barcone, dispersi 26 tunisini Repubblica. (19 gennaio 2009) ……………………. Malta, disperso barcone immigrati A bordo 120 persone, domenica l’sos Un barcone con circa 120 migranti, in maggioranza somali, risulta disperso da domenica scorsa, mentre era in navigazione a circa 80 miglia a Sud di Malta. Erano stati gli stessi extracomunitari a lanciare l’sos, con un telefono satellitare, sostenendo di essere in difficoltà a causa del mare in tempesta. I soccorritori sono stati costretti a interrompere le ricerche, a causa delle proibitive condizioni meteo. da Tgcom news CRONACA — 5 febbraio 2009 alle 2:13 ……………………. Affondano tre barconi: «300 dispersi» 29 March, 2009 06:20:00 Ashraf Ramelah LA GUARDIA COSTIERA CONFERMA: UN RIMORCHIATORE ITALIANO HA SALVATO 350 PERSONE; Strage davanti alle coste libiche, le barche trasportavano centinaia di persone, molti egiziani. Recuperati 21 corpi. ……………………. Strage al largo delle coste libiche: naufraga barcone di immigrati ... Mar 30, 2009ý - (Adnkronos) - Duecentocinquasette immigrati risultano dispersi nel naufragio di un barcone avvenuto a largo delle coste libiche. A quanto riferisce la radio ... ……………………. martedì 31 marzo 2009 ORE 13 ALTRI 400 EXTRACOMUNITARI SONO APPRODATI IN SICILIA NELLE ULTIME ORE Pagina 209 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° ……………………. IMMIGRATI: IL MEDITERRANEO E’ UN CIMITERO. GIA’ OLTRE 13 MILA MORTI ASCA - Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale - Mar 31, 2009 ……………………. Lunedì, 29 giugno 2009 Affondano due barconi, 500 immigrati dispersi Tragedia al largo della Libia: centinaia gli extracomunitari a bordo delle imbarcazioni dirette nel nostro Paese. Altri due pescherecci in difficoltà. Sabato scorso una nave cisterna italiana ha soccorso 350 clandestini nelle stesse acque. ……………………. 31 lug 2009 Immigrati, ancora sbarchi: soccorso barcone a largo di Lampedusa ... ... PALERMO (30 luglio) - Riprendono gli avvistamenti di clandestini nel Canale di Sicilia. Dopo i 14 intercettati ieri a 35 miglia a sud di Lampedusa (Agrigento) e respinti in Libia e i 25 soccorsi a poche miglia dall’isola, una nuova imbarcazione è stata soccorsa stamani all’alba. La turbonave Sansinena della Società Americana “Iunion Oil Company”, con equipaggio italiano di cui alcuni di Riposto,scoppiata nel porto di San Pedro di Los Angeles (U.S.A.) il 17/12/1976 Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 210 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Daniela Damigella Dottore di Ricerca in Fondamenti e Metodi dei Processi Formativi, Università di Catania RISCHI E POTENZIALITÀ DELLA MOBILITÀ SOCIALE NELL’AREA DEL MEDITERRANEO Premessa «Il Mediterraneo sarà come vorranno che sia gli uomini del Mediterraneo (Braudel, 1985)» Il mar Mediterraneo, una sorta di grande lago salato sul quale si affacciano tre continenti, è stato fin dai primordi un luogo della storia. Le terre che si prospettano sui suoi circa 2.500.000 Kmq di superficie hanno conosciuto la nascita, la maturazione e la fine delle civiltà fra le più importanti che hanno segnato la storia dell’uomo (Hamel, 2006) e che, nel corso dei secoli, hanno fatto del bacino mediterraneo un luogo di incontro, di contaminazione e, talvolta, di scontro tra popoli diversamente caratterizzati per cultura e tradizioni. Per avere un’idea di quanto sia articolata l’immagine di questo mare, basti pensare alla natura dicotomica di alcuni suoi volti, attuali e potenziali: ponte che congiunge popoli e culture ma anche barriera che si frappone a forme di contatto o a tentativi di mobilità sociale; luogo di conflitti etnico-religiosi e centro di scambi culturali e sociali. Lo storico Braudel, sebbene giunga alla conclusione che nel Mediterraneo tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale, riconosce che esso è mille cose insieme: “non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia” (Braudel, 1985/1987, p.7). In linea con questo pensiero, Matvejeviæ afferma che “non esiste una sola cultura mediterranea, ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo; queste culture sono caratterizzate da tratti simili e per certi versi differenti, raramente riuniti e mai identici. Le loro somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare vicino e all’incontro sulle sue sponde di nazioni, di civiltà, di forme e di espressioni comuni. Le loro differenze sono segnate da fatti di origine e di storia, di credenze e di costumi, talvolta inconciliabili. Né le somiglianze, né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le seconde” (Matvejeviæ, 1999, p.257). In generale, il fil rouge che accomuna tutto il Mediterraneo sembra rintracciabile nel fitto intreccio di comunità etniche e religiose che si sono giustapposte e a volte sovrapposte lasciando ciascuna la propria traccia senza, però, cancellare completamente l’eredità delle civiltà che le avevano precedute. Nello specifico, il patrimonio culturale che unisce le terre e i popoli che in questo bacino si affacciano richiama alla mente la logica e la ragione della filosofia greca, il diritto e la forma politico-territoriale dell’Impero romano, le tre religioni monoteiste (ebraismo, islamismo e cristianesimo), la diffusione di specifiche colture (vite, ulivo, agrumi) e il clima mite. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 211 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Gli elementi di diversità, invece, si concentrano nell’attuale presenza di differenti modelli politici (democrazie e regimi stabili o in transizione), nelle disparità economiche e demografiche, nella strumentalizzazione della religione per fomentare guerre e conflitti tra i popoli e nell’ingerenza e/o coincidenza della stessa con le leggi dello Stato, ma anche nelle reciproche rappresentazioni negative operate da chi abita la riva sud e nord di questo mare. La complessità del Mediterraneo si riflette altresì nel suo essere, oggi, una sorta di ‘ponte’ attraversando il quale sarà possibile migliorare le proprie condizioni di vita ma anche un ‘luogo’ di morte in cui riposano le speranze di chi, molto spesso, fugge da situazioni di totale negazione dei diritti umani fondamentali. Il Mediterraneo, pertanto, non può essere interpretato esclusivamente come luogo fisico/geografico ma, richiamandoci a Lewin (1935/1965, pp.86-87), esso andrebbe piuttosto inteso nei termini di un ‘ambiente psicologico’ dinamico, in cui al di là degli aspetti fisici hanno un ruolo di fondamentale importanza le persone, gli oggetti, le situazioni presenti passate e future, reali, probabili o soltanto ipotetiche che per l’individuo assumono valenze positive o negative, elicitando sentimenti che possono essere di attrazione o di repulsione. Seguendo tale impostazione risulta evidente come un medesimo luogo possa essere rappresentato in modo non soltanto plurale, ma, talvolta, anche dicotomico: lago di pace Vs. terreno di conflitti; orizzonte di possibilità e porta aperta Vs. barriera fisica e mentale. La gestione del fenomeno dei flussi migratori nel Mediterraneo sembra oscillare tra l’esigenza di garantire la sicurezza nazionale e di allontanare il rischio di ‘invasione’, attraverso politiche di chiusura e di militarizzazione delle frontiere, e la realizzazione di reali politiche di cooperazione internazionale e di riconoscimento dei diritti umani al fine di evitare la creazione di un Mediterraneo-fortezza. Affrontare efficacemente il fenomeno dei flussi migratori nel Mediterraneo non può certo risolversi in politiche di innalzamento delle frontiere e di militarizzazione delle stesse, esso richiede, piuttosto, interventi che da più parti ed a vari livelli favoriscano la costituzione di società inclusive e democratiche ed il rispetto dei diritti umani fondamentali. 1. I molteplici volti del Mediterraneo La letteratura, al fine di delineare la complessità socio-culturale di quest’area, suggerisce di considerare cinque Mediterranei: l’Arco latino (dalla punta di Gibilterra alla Sicilia); la riva Sud (tra il Maghreb e l’Egitto); la Conca adriatica (dalla sponda italiana a quella balcanica); la Riva orientale che aggrega i paesi mediorientali; il Ponte Anatolico-balcanico tra Grecia e Turchia (Clementi, 1995). La medesima area, così differenziata da un punto di vista geo-culturale, è contrassegnata anche da elementi che accomunano. È qui che sono state poste le basi per la condivisione e l’integrazione con altri popoli e culture, di cui l’architettura delle città mediterranee ne presenta i segni laddove gli spazi condivisi rappresentano un ‘fuori’ che viene introiettato dal ‘dentro’ (Angelini, 2007, p.11). Braudel propone un’immagine unificatrice del Mediterraneo, sinteticamente rappresentato sia come “un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori, si tengono tutte per mano” (Braudel, 1985/1987, p.51) che come uno ‘spazio movimento’ in cui le relazioni sviluppatesi nei diversi secoli, non sempre pacifiche, hanno, comunque, concorso a definire le identità dei diversi popoli che in quest’area si sono sviluppati (Ibidem). Egiziani, fenici, cretesi, greci, romani, bizantini, arabi, ottomani, spagnoli e popolazioni discese dal Nord (normanni, svevi, angioini) hanno disseminato in questo territorio presenze di pietre e di lingue, di credenze religiose e di certezze scientifiche, di costumi e di paesaggi coltivati, di modi di produzione e di ordinamenti politico-sociali. Si tratta di elementi che costituiscono l’eredità di una pluralità di civilizzazioni e che fanno da potenziale sfondo per una comune identità mediterranea (Sgroi, 2007, pp.18-19). Alla luce di quanto detto, le sembianze che assume la realtà mediterranea sono quelle di un mondo articolato e differenziato in cui momenti di armonia e di dialogo si alternano a momenti di rottura e di recrudescenza della guerra, facendo spesso di questo luogo un teatro di rivalità e di conflitti in cui non sempre l’apertura e l’accettazione dell’altro, del diverso, dello straniero caratterizza i rapporti tra i popoli. Pagina 212 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Oggi ‘l’altro-mediterraneo’ coincide quasi esclusivamente con l’immigrato che, vissuto come portatore di una diversità inconciliabile con i propri sistemi di credenze, suscita timori e ansie spesso gestite attraverso processi, più o meno espliciti, di ghettizzazione o di assimilazione. Seguendo le dinamiche che sottendono i processi di categorizzazione sociale, l’immigrato proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo tende ad essere interpretato sulla base di quegli stereotipi che, costituendo un ostacolo alla conoscenza ed un alimento per ignoranza e superbia, lo rappresentano come sottosviluppato, terrorista, fondamentalista, ecc. L’Europa, liberatasi del muro di Berlino, rischia di costruire nel Mediterraneo una barriera ancora più forte, perché culturale e mentale, invisibile ma molto concreta. Per evitare che ciò accada l’UE da oltre un decennio, attraverso la Dichiarazione di Barcellona del 1995, è chiamata a consolidare i suoi legami con il mondo mediterraneo, giocando il ruolo di catalizzatore, mediatore e negoziatore di conflitti al fine di rielaborare le rappresentazioni negative dell’opinione pubblica europea nei confronti dei paesi del sud del Mediterraneo e di questi ultimi rispetto all’Occidente. Un’ulteriore possibile fonte di cambiamento, secondo una prospettiva bottom-up, potrebbe essere rappresentata dagli immigrati di origine sud-mediterranea presenti nei paesi della sponda settentrionale. Essi potrebbero costituire un importante elemento di collegamento tra le due rive nella misura in cui modalità di contatto, supporto istituzionale e attività progettuali, realizzate in vari ambiti e a vari livelli, si ispirino a politiche di apertura e di reciprocità. Nel merito, non bisognerebbe dimenticare l’importante ruolo di collante che, da sempre, la letteratura e l’arte hanno giocato nel contribuire a costruire ponti tra culture e popoli. La scrittrice tunisina Belhaj ricorda come nella Tunisia di quarant’anni fa “le grandi figure dell’arte, della letteratura, della politica e della scienza diventavano tanto familiari ai nostri spiriti che davano realmente corpo a un universale senza razza, colore, etnia e in cui i territori dell’interno e dell’esterno non avevano frontiere” (Belhaj & Boubaker, 2003, p.24). E’ solo rifuggendo gli estremismi che il dialogo, l’apertura e il rispetto reciproco diventeranno le basi per costituire società future inclusive e democratiche. Tali obiettivi saranno perseguibili nella misura in cui ciascun individuo sarà disponibile sia ad abbandonare un pensiero monistico, che costringe ad una visione della realtà che non permette l’accettazione delle diversità e del conflitto, intesi come elementi di crescita, sia ad accogliere un pensiero duale che permette di seguire allo stesso tempo due diversi schemi di riferimento o di interpretazione della realtà, accettando le contraddizioni senza reprimerle o rifiutarle (Spaltro, 1977, pp.28-30). 2. Flussi migratori nel Mediterraneo Nel corso dei millenni il Mediterraneo ha attratto a sé una moltitudine di uomini che si sono stabiliti sulle sue sponde contribuendo così a creare un’immagine dello straniero che oscilla tra l’idea del nemico che si affaccia improvvisamente sulle coste per rapinare, saccheggiare o colonizzare e quella di colui che affascina per la diversità di cui è portatore. Tra la fine del XIX e nel corso del XX secolo il Mediterraneo si è caratterizzato per processi di emigrazione che hanno condotto italiani, nordafricani, spagnoli, portoghesi, iugoslavi, greci e turchi in America, Germania, Svizzera e Francia. Oggi è la meta di chi intende attuare strategie di mobilità sociale per fuggire alla miseria, alla guerra, alla marginalità sociale e al mancato rispetto dei diritti umani fondamentali. Talune città mediterranee, infatti, diventano luoghi privilegiati di incontro/scontro tra culture ed identità differenti a seguito di un fenomeno migratorio che assume caratteri del tutto inediti per intensità e durata dei flussi, natura strutturale e non congiunturale, frequenza e molteplicità delle occasioni di contatto. Le moderne migrazioni, che caratterizzano l’area ormai da qualche decennio, hanno assunto, negli ultimi anni, proporzioni tali da generare continui confronti tra le forze sociali e politiche caratterizzati dall’adozione di provvedimenti funzionali ad una ‘efficace’ risoluzione del fenomeno. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 213 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° L’orientamento scelto sembra oscillare tra la coerenza con il rispetto dei diritti umani fondamentali e l’esigenza di fornire risposte immediate al diffuso senso di insicurezza, spesso alimentato dai media, che dilaga tra la popolazione del paese ospitante. In Italia, i flussi migratori che utilizzano il Mediterraneo come via per raggiungere l’Europa e i conseguenti sbarchi sulle coste siciliane sono da più parti rappresentati nei termini di una vera e propria ‘invasione’. Rispetto a tale percezione del fenomeno, bisogna precisare che le migrazioni attraverso il Mediterraneo, nonostante la visibilità e la risonanza mediatica, rappresentano la modalità di ingresso clandestino meno importante da un punto di vista quantitativo. Infatti, i dati forniti dal Ministero dell’Interno italiano, rilevano che il 63% degli stranieri residenti in Italia senza permesso di soggiorno sono coloro che, entrati con visto turistico, vi rimangono oltre la scadenza (i cosiddetti overstayers); un altro 24% è giunto in Italia in autostrada da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia; i 22.016 sbarchi in Sicilia, Puglia e Calabria costituiscono appena il 13% degli ingressi illegali. Nell’ambito di questa seppur minima percentuale, l’Osservatorio sulle vittime dell’immigrazione clandestina, Fortress Europe, rileva che, sebbene i dati censiti rappresentino solo una sottostima, dal 1994 al 2007, 3.118 persone sono decedute nel tentativo di attraversare il Canale di Sicilia (tra Libia, Egitto, Tunisia, Malta e Italia) e di queste 2.046 risultano disperse. Ad esse bisogna aggiungerne altre 125 morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna e 140 che tentavano di attraversare il Mediterraneo nascosti nella stiva o nel container di qualche mercantile. Solo nel 2007, sempre nel Canale di Sicilia, le vittime sono state almeno 556 contro le 302 del 2006, nonostante una diminuzione degli arrivi del 20% (Cfr. Tab. 1). Tab.1 I numeri degli immigrati morti/dispersi nel Canale di Sicilia [Fonte: http:// fortresseurope.com] Anno 2009 (al 04/05) 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 1998 1997 1996 1994 Totale Morti 42 119 146 96 78 111 90 127 8 14 6 284 0 1.117 Dispersi 297 1.055 410 206 359 95 323 109 0 2 0 19 2 2.982 Totale 339 1.274 556 302 437 206 413 236 8 16 6 303 2 4.099 L’organizzazione dei ‘viaggi della speranza’ coinvolge, in genere, sia i recruteurs, i reclutatori che contattano chi vuole partire, prediligendo persone poco istruite, un po’ ingenue e in grado di pagare, sia i passeurs che si occupano di pianificare la traversata. Ultimamente, per non rischiare anni di carcere, al timone dell’imbarcazione non siede un uomo della rete ma un volontario tra i passeggeri a cui vengono date alcune indicazioni sommarie prima della partenza. Così basta la prima onda arrabbiata per rovesciare la nave ed ingoiare nei flutti del mare tutti coloro che non sanno nuotare [Del Grande, 2007, pp.26-27]. Il deserto del Sahara è un altro ostacolo da superare per raggiungere il Mediterraneo dall’Africa Pagina 214 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Occidentale o dal Corno d’Africa utilizzando camion o fuoristrada. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.615 persone, ma si tratta, anche in questo caso, di una sottostima se si considera che, stando alle testimonianze dei sopravvissuti, quasi ogni viaggio conta i suoi morti. In altri termini potremmo sostenere che “le coste del Mediterraneo si dividono in due, di partenza e di arrivo, però senza pareggio: più spiagge e più notti d’imbarco, di quelle di sbarco, toccano l’Italia meno vite, di quante salirono a bordo. A sparigliare il conto la sventura […]. Eppure l’Italia è una parola aperta piena d’aria” [De Luca, 2005, p.7]. Al di là della dimensione numerica, è indubbio che quel mare che a lungo è stato considerato la ‘culla delle civiltà’ sta diventando il cimitero di molti immigrati, denominati harrag in lingua araba (lett. colui che brucia), che decidono di ‘bruciare la frontiera’; un confine che, spesso, assume le sembianze di una barriera invalicabile per il raggiungimento di nuovi e possibili orizzonti, un muro d’acqua e l’avamposto di una fortezza. A denotare i cambiamenti subiti nel bacino mediterraneo è il Museo della memoria del mare, realizzato autonomamente da un impiegato delle Poste tunisino, Mohasen Lidhiheb, che da undici anni raccoglie gli oggetti consegnati dal mare: prima l’immondizia del nord, giunta dal Canale di Sicilia, poi i messaggi in bottiglia che parlano della crisi dell’uomo moderno ed, infine, le vittime della corsa verso l’Occidente. A ricordare questi ultimi una montagna di almeno 150 paia di scarpe, nuove, sportive, giovanili. Sono le scarpe dei naufraghi custodite insieme a un centinaio di camicie, giacche, pantaloni, maglioni e magliette [Del Grande, 2007, p.119]. 3. Aspetti psico-sociali del fenomeno Tali spostamenti di uomini che dalla sponda sud si muovono verso quella nord del Mediterraneo possono essere considerati come tentativi di mobilità sociale che, troppo spesso, purtroppo, si risolvono in tragedia. Nello specifico, richiamandoci alla teorizzazione di Tajfel, la mobilità sociale può essere intesa come una vera e propria strategia funzionale al cambiamento ed al perseguimento di migliori condizioni di vita e di una più positiva rappresentazione del proprio Self che rimanda al sentire dei singoli, alle loro credenze e ideologie, al tipo di aspettative che essi hanno maturato relativamente a se stessi, al rapporto con il gruppo e con il sociale di riferimento, alle tipologie di relazioni vigenti. Essa sembra caratterizzarsi per il sistema di credenze personali che pongono al centro dell’attenzione i bisogni e le opzioni dell’individuo, nonché le possibilità che allo stesso sono date di perseguire e raggiungere individualmente i propri obiettivi di auto-realizzazione (Licciardello, 2003, p.34). In altri termini, “la mobilità sociale consiste nella strutturazione soggettiva di un sistema sociale (per quanto grande o piccolo tale sistema possa essere), in cui l’ipotesi fondamentale è che il sistema sia flessibile e permeabile e che consenta un movimento molto libero da un gruppo ad un altro dei singoli individui che lo compongono” (Tajfel, 1981/1985, p.302). Diversamente, la mobilità sociale può essere limitata o inibita dalla percezione di confini sociali nettamente delineati ed immutabili, nel senso che è impossibile o almeno molto difficile che gli individui riescano a spostarsi da un gruppo ad un altro (Ibidem, p.299). Evidentemente, nonostante la presenza di leggi, regole e sanzioni che limitano i flussi migratori nel Mediterraneo, la percezione dei protagonisti di questi ‘viaggi della speranza’ è quella di un sistema illegittimo e modificabile in cui fattori di spinta e di attrazione giocano un ruolo di fondamentale importanza. Sulla base di tale prospettiva, “partire diventa un’ossessione e la cultura fatalista e feticista dell’Africa nera aiuta a sedare i timori. Tutti i giovani si portano appresso un grigri. Sono cinturini di cuoio, oppure braccialetti di pelle e conchiglie. Si comprano dai marabù […] e servono ad attirare la protezione degli spiriti contro le forze del male e del malocchio. Ne esistono per non annegare, per non essere colpiti dai proiettili, e addirittura per diventare invisibili in situazioni di pericolo” [Del Grande, 2007, p.45]. Chi tenta di raggiungere l’Europa si definisce un soldato che combatte per il suo avvenire, affermando con forza che se “fossimo stati bene a casa nostra, non saremmo mai partiti. Certo, avevamo una casa ed un piatto caldo ogni sera. Ma a un certo punto un giovane ha delle necessità. Quando dico che siamo tutti soldati è perché lottiamo contro la nostra miseria. Non Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 215 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° la stiamo fuggendo, la combattiamo.” [Ibidem, p.103]. Per coloro che riescono a raggiungere la meta desiderata un’altra barriera con cui dover fare i conti è mentale, fatta di pregiudizi e di stereotipi. Essa ostacola il dialogo tra soggetti appartenenti a differenti sistemi socio-culturali che si trovano a condividere medesimi spazi in società sempre più multietniche. Gran parte degli immigrati provenienti dalle sponde del Mediterraneo possiede, infatti, una cultura che per taluni aspetti risulta profondamente diversa da quella del luogo che li accoglie. Fatto, questo, che propone un’ulteriore questione da affrontare: concorrere alla creazione di una società caratterizzata da processi di integrazione rispettosi dei differenti backgrounds culturali nel rispetto delle regole del paese di arrivo e dei diritti umani fondamentali. In altri termini, si tratta di sviluppare competenze funzionali alla gestione di conflitti che non vanno soffocati ma ‘agiti’ attraverso il dialogo, la negoziazione ed il reciproco confronto. Diversamente le distanze rischiano di trasformarsi in intolleranza e violenza. In una tale realtà, il rischio è che si attivino processi di assimilazione e di ghettizzazione a cui fanno da pendant le trappole implicite dell’antirazzismo assimilazionista (che può tradursi nel razzismo dell’omologazione) e dell’antirazzismo della differenza (cui corrisponde il razzismo differenzialista) (Licciardello, 1997, p.124). L’assimilazione costituisce una strategia di gestione delle relazioni interetniche che si esprime nella tendenza del gruppo maggioritario a inglobare quello minoritario sulla base di una presunta superiorità del proprio modello culturale. Essa si traduce facilmente nel “razzismo dell’omologazione, poco o per niente rispettoso delle specificità culturali che fungono invece da solido referente identitario per chi si trova in un contesto a lui estraneo” (Ibidem). È come se si postulasse la superiorità di una cultura sull’altra e si concepisse “la cultura come realtà omogenea, compatta e pura, da preservare da contaminazioni che ne svilirebbero la valenza. Un’ipotesi paradossale poiché, proprio il concetto di cultura, contiene in sé l’idea del movimento, dell’apertura, della costante implementazione. Cultura è, infatti, area di scambio, di narrazioni condivise o contestate dalle stesse soggettualità che ne fanno parte” (Hamel, 2006, p.67). Il riconoscimento delle differenze, a sua volta, può tramutarsi in razzismo differenzialista, cioè nel rifiuto del contatto e in una sorta di ghettizzazione fisica e mentale in base alla quale non si nega a nessuno il diritto di esistere, ma senza indebite e impossibili contaminazioni. La diversità viene affermata perché da essa ci si può difendere con indifferenza e distacco, in una convivenza fatta di gruppi giustapposti in cui si nega l’uguaglianza e si postula il principio della gerarchia. Si potrà approdare ad un reale pluralismo culturale quando le differenze verranno riconosciute, rispettate e valorizzate come possibile fonte di arricchimento del patrimonio culturale complessivo, che sarebbe allora frutto non della fusione indistinta (melting pot), ma del confronto e della pacifica coesistenza di culture diverse. Si tratta di una strategia difficile da applicare per diversi motivi. Essa richiede capacità di pensare al plurale, cioè di orientarsi alla reciprocità, aprirsi consapevolmente al nuovo, leggere l’altro oltre le appartenenze e interloquire con lui funzionalmente per realizzare le condizioni di reciprocità indispensabili per la tolleranza e la civile convivenza (Licciardello, 1997, p.128). È necessario, inoltre, un grosso sforzo di tipo istituzionale per adeguare le strutture della società alle esigenze e alle caratteristiche delle diverse culture senza cadere nel rischio del relativismo spinto che, in nome della validità autonoma delle singole culture, porta all’acquiescenza politica e rinuncia a porre valori assoluti come quelli relativi al rispetto della vita, alla libertà e alla dignità della persona. Conclusioni I cambiamenti sociali, alla cui definizione concorrono processi di globalizzazione, di ridefinizione dei confini territoriali, nonché di mobilità sociale e di costituzione di nuove forme di ‘vicinato’, delineano nuove realtà all’interno delle quali si pone la questione relativa alla convivenza tra soggetti appartenenti a differenti sistemi culturali. Da più parti ed a più livelli si parla del Mondo come di un Grande Villaggio nel quale realizzare Pagina 216 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° zone di libero scambio, assicurare la libera circolazione delle informazioni e delle merci e potenziare il dialogo ed il reciproco rispetto tra le diverse culture. Il discorso si fa più ‘spinoso’ e complesso nel caso della libera circolazione degli individui. In questo caso, gli orientamenti oscillano tra l’esigenza di lottare contro la criminalità e il terrorismo, di scongiurare i rischi di ‘invasione’ e di favorire l’ordine pubblico e l’accoglienza ad individui che fuggono dalla miseria e dalla guerra su imbarcazioni di fortuna pagando a caro prezzo un viaggio verso l’ignoto o verso una realtà che si pensa di conoscere attraverso le immagini dei mass-media, ma che, spesso, si rivela fonte di profonde aspettative deluse. Seguendo il primo approccio si tende sempre più ad elargire somme di denaro per opporsi alle ondate migratorie, denaro che sarebbe sicuramente più utile ed efficace se speso in progetti di sviluppo locale nei Paesi d’origine degli immigrati stessi. In un tale scenario, è forte il rischio di trattare la diversità attraverso meccanismi cognitivi di semplificazione e di difesa del proprio ‘universo di significati’, nonché di ‘rigidificazione’ (Raviola, 2003, p.66), cioè di accentuazione delle frontiere al fine di conservare e difendere il già noto, al punto che ogni input esterno non può penetrare all’interno se non per confermare abitudini, consuetudini ed orientamenti. Tali processi si traducono in stereotipi e pregiudizi che, tagliando a fette il mondo in bianco e nero, giusto e sbagliato, Nord e Sud, fanno da sfondo ad orientamenti segregazionisti e differenzialisti. L’auspicio è che lo scambio, l’apertura e la reciprocità connotino le relazioni con l’Alter, vissuto come risorsa, ma anche come elemento di confronto rispetto a possibili dimensioni conflittuali da gestire utilizzando gli strumenti del dialogo e della negoziazione. Nel merito, il bacino mediterraneo, complesso, irrazionale, seducente e contraddittorio, rappresenta l’emblema di una pluralità e poliedricità che può essere vissuta come potenziale fonte di arricchimento o, al contrario, di pericolo, da cui scaturiscono muri e barriere mentali. Nell’ultimo decennio, attraverso gli obiettivi e gli interventi definiti nell’ambito del partenariato euro-mediterraneo, si sono poste le basi per la realizzazione di uno spazio di dialogo e di integrazione nell’area mediterranea, sebbene a tutt’oggi permangano situazioni problematiche di carattere, insieme, socio-politico, culturale ed economico per cui da più parti si parla di un’occasione mancata e di aspettative disattese. Per certi aspetti il Mediterraneo sembra delinearsi come una zona di frontiera, termine che evoca immagini di guerra, conflitto e divisione ma che, se inteso in termini lewiniani, potrebbe definire vicinanze e collegamenti più che sbarramenti e chiusure. La rivalutazione delle zone di‘confine’, infatti, porta a fare di esse i punti di massimo cambiamento, di sviluppo sociale e di stimolo per passare attraverso (loco:mozione). In un tale processo di trasformazione la dimensione temporale assume una certa rilevanza, per cui una realtà con tanto passato e tanto futuro ha un’ampiezza ed una forma nello spazio presente capaci di influenzare il contesto, i legami ed il destino più di ogni altra realtà con poco passato e meno futuro. L’opzione del futuro, consistente nella capacità di progettare e di programmare, è di fondamentale importanza in quanto rende la realtà viva, dinamica, pulsante e sempre sul punto di evolversi (Contessa, 2003, p.42). In generale, il passato rappresenta una risorsa di fondamentale importanza per comprendere il presente e per progettare il futuro. Il passato del Mediterraneo, caratterizzato da una storia più densa e più stratificata che altrove e che lo ha visto culla di civiltà e culture, potrebbe rappresentare quella comune eredità su cui edificare una progettualità funzionale al superamento del bipolarismo semplificazionista che contrappone i popoli e che contribuisce a dismettere i ponti per erigere barriere. In altri termini, come rileva Consolo, “si va indietro, per poter poi esplodere in avanti. In questo movimento dalla profondità, verso l’esterno, se si rimane prigionieri della profondità, si entra nel dialettalismo e lì si è in una sorta di compiacenza e di Eden fittizio” (Consolo 1999, p.192). Il cambiamento, pertanto, sembra inevitabile se si vuole costruire una società in cui la ‘diversità’ venga percepita come fonte di crescita e di arricchimento reciproco e non come una minaccia che annulla o impoverisce la nostra identità e che può ingenerare comportamenti di intolleranza e di discriminazione più o meno espliciti. Circolo Ufficiali Marina Mercantile - Riposto Pagina 217 Collana “Storie e racconti di mare” - Volume 15° Tale cambiamento andrebbe inscritto all’interno di una dimensione progettuale in cui il soggetto non si percepisca come elemento di una catena deterministica, per cui passato, presente e futuro si collocano lungo una logica lineare già scritta, in cui ogni possibile muore, ma sia consapevole che ogni comportamento (individuale e collettivo) è insieme causa ed effetto di ogni altro, all’interno di un campo di forze reciprocamente influenzanti. Pertanto, è all’interno di una logica circolaregalileiana e di un approccio costruttivista che è possibile pensare ad un individuo protagonista attivo dei processi di conoscenza e co-costruttore della medesima al punto da concorrere a realizzare quel senso di appartenenza ad una realtà sociale sovraordinata che ingloba senza per questo negare le identità di sottogruppo (Gaertner et alii, 2000). I popoli del Mediterraneo hanno la possibilità di avvalersi di un’appartenenza supplementare e conciliatrice, quella mediterranea appunto, che senza escludere le altre appartenenze pone le sue radici in millenni di scambi di vario genere (migrazioni, guerre, culture e cucina) su cui poter far leva per concorrere a realizzare tale dimensione comune (Maaluof, 1999, p.217). In un tale contesto, la Sicilia assume un ruolo di fondamentale importanza proponendosi come un ‘laboratorio’ naturale per sperimentare possibili forme ed esiti di processi di integrazione tra ‘diversi’ nonché di accoglienza. Quest’isola, infatti, fin dagli albori della storia è stata al centro delle rotte percorse da genti alla ricerca di colonie e mercati divenendo crogiuolo fecondo per la sintesi culturale di gruppi sociali anche profondamente diversi ed in conflitto tra loro: popoli antichissimi (Sicani, Elimi, Ausoni, Morgeti), antichi (Greci ,VIII secolo a.c.n., e Fenici -VII secolo a.c.n.), di epoca alto e basso medievale (Bizantini, Arabi, Normanni), “moderni” (Angioini, Aragonesi, etc), fondendo elementi e caratteristiche culturali, hanno prodotto una cultura complessa e tuttora diversificata (molteplicità di dialetti, cucina, etc.). Oggi, la Sicilia è crocevia per genti di cultura, usi e costumi molto diversi, ‘porta di ingresso’ per l’Europa ma anche luogo in cui gli immigrati scelgono di stabilirsi per lavorare, studiare o ricongiungersi con i propri familiari. Il prof. Orazio Licciardello dell’Università di Catania illustra il lavoro presentato dalla dott.ssa Daniela Damigella Pagina 218 Comune Riposto - Regione Sicilia - Provincia Catania GRUPPO “DI MARTINO TRASPORTI” GRUPPO “DI MARTINO TRASPORTI” GRUPPO “DI MARTINO TRASPORTI” GRUPPO “DI MARTINO TRASPORTI” INDICE Il Presidente del Circolo Cap. d. m. Gioacchino Copani PRESENTAZIONE DEL XV VOLUME ............................................ Pagina 3 Il Sindaco di Riposto dott. Carmelo Spitaleri ................................... Pagina 5 Quindicesimo volume della collana “STORIE E RACCONTI DI MARE” Contiene opere premiate nelle edizioni 2008 e 2009 .............................. Pagina 7 SEZIONE FATTI DI BORDO 2008 - XIX edizione ........... Pagina Natale Pappalardo SAPELE 1968 ................................................................................. Pagina Orazio De Maria LA LUNA E LA FALCE .................................................................. Pagina Idamo Rossi POESIE SUL MARE ......................................................................... Pagina Francesco Castorina IL LAVATIVO ................................................................................. Pagina Giovanni Pagano CHERNOBYL ................................................................................. Pagina Felice Zanghì CROCIERE DEL DUEMILA .......................................................... Pagina SEZIONE NARRATIVA 2008 - XIII edizione ...................... Pagina Francesco Castorina UN FIORE SULLE ONDE ............................................................. Pagina Giovanni Bosia CINQUE TERRE ............................................................................ Pagina Nazario D’Amato IL RITORNO .................................................................................. Pagina Angelo Luigi Fornaca LE VIE DEL MARE ........................................................................ Pagina SEZIONE FATTI DI BORDO 2009 - XX edizione 10 11 17 27 29 39 45 62 63 77 81 93 .......... Pagina 108 Francesco Castorina CI RIVEDREMO IN QUEL PORTO LONTANO... ..................... Pagina 109 Zeffiro Rossi UN GIRO DEL MONDO UN PO’ PARTICOLARE ..................... Pagina 119 Giovanni Pagano L’UOVO DI COLOMBO .............................................................. Pagina 131 Idamo Rossi UN PESO E DUE MISURE .......................................................... Pagina 135 Anna Bartiromo QUANDO IL MARE È AMARO .................................................. Pagina 139 Piera Grassi Pedrelli IL PRIMO VIAGGIO DI PAOLA ................................................. Pagina 143 Vincenzo Marzullo AL LARGO DEL NULLA ............................................................. Pagina 147 SEZIONE NARRATIVA 2009 - XIV edizione ................... Pagina Giovanni Coglitore SIAMO GIÀ IN PARADISO ......................................................... Pagina Anna Rosa Balducci STORIE DI MARE ........................................................................ Pagina Orazio De Maria IL MEDAGLIONE DI EBANO SCURO ....................................... Pagina Eugenia Pileggi SI PUÒ AMARE IL MARE ANCHE SE... ..................................... Pagina Maria Salemi SKIPPER ....................................................................................... Pagina Marinella Scordo A MIO NONNO ........................................................................... Pagina 148 149 163 169 187 191 193 SEZIONE SPECIALE ARTEMARE 2009 DEDICATA AI CADUTI DEL MARE ........................... Pagina 194 MONUMENTO AI CADUTI DEL MARE ................................... Pagina 195 SCHEDA BIOGRAFICA DEL COM.TE CARMELO D’URSO ......... Pagina 197 GIORNATA DELLA MEMORIA PER I MARINAI SCOMPARSI IN MARE .................................................................. Pagina 199 MONUMENTI AI CADUTI DEL MARE IN ITALIA E NEL MONDO ........................................................................... Pagina 201 I VIAGGI DELLA SPERANZA ..................................................... Pagina 207 Daniela Damigella RISCHI E POTENZIALITÀ DELLA MOBILITÀ SOCIALE NELL’AREA DEL MEDITERRANEO ....................................................................... Pagina 211