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Fedele Merelli
GLI SCRITTI DI FRA CECILIO CORTINOVIS
(1885-1984)
P. Costanzo Cargnoni ha recentemente pubblicato il volume che raccoglie gli scritti di fra Cecilio Cortinovis1. Il presente contributo intende
tracciare una breve biografia di fra Cecilio, descrivere la storia e i contenuti dei suoi scritti e presentare l’edizione.
1. NOTE BIOGRAFICHE SU FRA CECILIO
Fra Cecilio nacque a Nespello, frazione di Costa Serina, in provincia e
diocesi di Bergamo, il 7 novembre 1885. Il giorno successivo fu battezzato e ricevette il nome di Pietro Antonio. La sua famiglia si componeva di
altri quattro fratelli e tre sorelle e conduceva vita agricola, povera ma
dignitosa. Il papà Lorenzo e la mamma Angela Gherardi, cristiani convinti, diedero al giovane una buona educazione umana e cristiana. Il parroco lo seguiva e lo aiutò nella scelta vocazionale, indicandogli l’ordine
dei cappuccini come il più adatto per lui.
La sua istruzione scolastica si fermò alla terza elementare, ma fu integrata dagli insegnamenti della madre, da alcune letture, dalla partecipazione alla vita parrocchiale e da tutti gli aiuti che trovava nel Terz’ordine
francescano, al quale si era iscritto.
1
FRA CECILIO CORTINOVIS DA COSTA SERINA, Diario – Lettere, note spirituali 1924-1982, edizione critica, introduzione e note a cura di C. Cargnoni, prefazione del card. D. Tettamanzi arcivescovo di Milano, Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2004, CLXXIV + 1845
p. Nel corso dell’articolo l’opera verrà citata: CECILIO, Diario-lettere… seguita dal n. del
paragrafo.
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L’esperienza della prima comunione, ricevuta a dieci anni e mezzo, fu
interpretata da fra Cecilio come momento fondamentale nella sua formazione e come inizio di una spiritualità fortemente eucaristica.
A 22 anni lasciò tutto per raggiungere Lovere (Bergamo) dove, il 29
luglio 1908, vestiva l’abito cappuccino e mutava il nome secolare, assumendo quello di fra Cecilio arricchito, per devozione, con quello di
Maria. Scelse, in piena consapevolezza, di rimanere fratello laico e di non
accedere al sacerdozio per vivere i contenuti della consacrazione religiosa. Emise la professione semplice o temporanea nel convento di Lovere il
2 agosto 1909.
I superiori lo inviarono nel convento di Albino (Bergamo) con i compiti di sacrista, refettoriere ed aiuto portinaio. Vedeva in tutte le mansioni la possibilità di servire, ma privilegiava quella di sacrista, perché poteva onorare direttamente il Signore nell’Eucaristia e stargli vicino. Dopo
soli cinque mesi fu trasferito a Cremona, dove rimase tre mesi, con gli
stessi incarichi.
Il 29 aprile 1910 veniva destinato dai superiori al convento di Viale
Piave in Milano dove si sarebbe fermato per oltre settant’anni (1982).
I primi tempi di vita religiosa servirono a fra Cecilio per fondare la sua
spiritualità, facendo tesoro della tradizione cappuccina e della esperienza di santità realizzata da tanti fratelli laici.
Due esperienze personali forti arricchirono e diedero concretezza alla
sua vita spirituale. La prima si colloca nel 1914 quando si ammalò di
meningite ed arrivò alle soglie del paradiso. Per lui fu un’esperienza di
Dio e della relatività delle cose temporali. Ciò generò un più forte amore
verso il Signore e la Madonna ed una comprensione più concreta della
povertà francescana.
La seconda esperienza fu mistica ed avvenne il 5 luglio 1922: fra Cecilio in pochi istanti poté comprendere tutte le realtà più profonde di Dio e
della fede. Sentì sempre il bisogno di confrontarsi con l’insegnamento
della chiesa, perché si riteneva discepolo, ma trovava in quell’esperienza
il riferimento concreto per comprendere i contenuti della fede.
Tutto questo contribuì a dare alla sua spiritualità una forte accentuazione cristocentrica, eucaristica, mariana, francescana. Fu una premessa
per sviluppare una vita che non era mai astratta, ma concreta; devota, ma
non pietistica; immersa totalmente in Dio, ma sempre attenta all’uomo
più bisognoso.
A Milano, negli anni 1910-1921 esercitò vari uffici, tra cui quelli di
sacrista e di aiuto portinaio. Nel 1921 fu nominato ufficialmente portinaio
e questuante di città. Tutti sono concordi nel testimoniare che accoglieva
ogni persona con il sorriso e la carità. La portineria del convento era frequentata da persone di ogni genere: i ricchi manifestavano le loro pene, i
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poveri chiedevano aiuto, i fedeli cercavano un consiglio e soprattutto un
confessore. Nello stesso convento ve ne furono, in quegli anni, di molto
apprezzati e ricercati.
Negli anni 1923-1927 diede il suo contributo determinante per innalzare il monumento nazionale a S. Francesco che sorge in piazza Risorgimento e richiama anche ai distratti l’ideale evangelico. Bussò a molte porte della città per raccogliere le offerte necessarie.
La predilezione per i “suoi poveri” divenne sempre più forte con il
passare degli anni. Alcuni venivano per un semplice piatto di minestra,
altri per un vestito, per un consiglio, per un indirizzo dove trovare un
lavoro. Questa attività divenne più intensa nel periodo bellico. Fu allora
che egli escogitò tutti i mezzi per ottenere il cibo necessario da distribuire. Trovò aiuto in alcuni sacerdoti e in alcune autorità civili e poté superare le più severe restrizioni del dazio, quando doveva trasportare le
provviste raccolte nella campagna milanese.
Nel periodo fascista, il convento divenne luogo di passaggio e di
nascondiglio per perseguitati politici ed ebrei. Fra Cecilio riuscì a salvare
molte persone ed a sottrarre ai tedeschi alcuni confratelli ricercati. Eroica
fu la sua opera nel soccorrere i sinistrati dei bombardamenti, specialmente le monache.
Da molto tempo il suo cuore desiderava soccorrere i poveri in modo
più efficace e rispettoso. Quelle file di poveri sotto il sole e la pioggia in
attesa di un po’ di minestra gli ferivano il cuore. Finalmente questo suo
sogno divenne realtà per la generosità e l’aiuto di alcuni benefattori. Sorgeva il grande refettorio per i poveri, affiancato da altri servizi, che volle
chiamare Opera S. Francesco. Fu inaugurata solennemente dall’allora arcivescovo di Milano, il card. Giovanni Battista Montini (poi Paolo VI), il 20
dicembre 1959. Per vent’anni, questo fu il luogo dove esercitò la carità
perfetta: servire il Signore nei poveri per ricercarlo con più profitto nella
preghiera e nell’Eucaristia.
Ebbe rapporti di amicizia con molte persone tra le quali: il beato Ildefonso Schuster, san Giovanni Calabria e il servo di Dio Marcello Candia.
Nel 1979, divenuto ormai troppo fragile nella salute, utilizzò il suo
tempo e le sue energie per i poveri dello spirito. Moltissime persone
accorrevano a lui per ascoltare la sua parola, per ricevere conforto, per
ottenere una preghiera, per vedere come viveva con gioia l’attesa del
paradiso. La gente non lo abbandonò neppure negli ultimi due anni di
vita trascorsi nella infermeria cappuccina di Bergamo.
Anche le autorità civili apprezzarono la carità di fra Cecilio e vollero
esprimere pubblicamente la riconoscenza della Città e della Provincia di
Milano con due medaglie.
Il 10 aprile 1984, nell’infermeria di Bergamo, fra Cecilio Maria chiude-
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va i giorni del servizio terreno per iniziare a godere quella pienezza di
carità che aveva sempre desiderato e testimoniato.
Il cardinal Carlo Maria Martini iniziò (1993) e concluse (1995) il processo di beatificazione2.
2. GLI SCRITTI DI FRA CECILIO
Fra Cecilio non ha lasciato solo testimonianze di grande carità, ma
anche alcuni scritti che spiegano, almeno in parte, i segreti interiori della
sua lunga e intensa vita: le esperienze e le motivazioni spirituali.
Oltre ad un certo numero di lettere, ci rimangono 5 quaderni del suo
diario che lui ha voluto intitolare: Pensieri confusi.
Fin dai primi tempi della vita religiosa aveva iniziato a scrivere un
diario sotto la guida del suo educatore, ma quel primo quaderno andò
distrutto durante la malattia mortale che lo colpì nel 19143.
I 5 quaderni, molto corposi, partono dal 15 agosto 1924, solennità dell’Assunzione di Maria ed arrivano al 1976.
Di sua spontanea volontà non avrebbe mai preso l’iniziativa di scrivere, perché non ne vedeva l’utilità e la necessità, inoltre non aveva molto
tempo a sua disposizione e avrebbe preferito dedicare quei momenti alla
preghiera e alla carità. Anche mentre li componeva ogni tanto sentiva il
sacrificio di dover scrivere, ciò era dovuto anche al fatto che lui aveva frequentato solo la terza elementare, non aveva dimestichezza con la penna
e la riprendeva a quarant’anni.
Incominciò a scrivere per ubbidienza al suo confessore, p. Felice Moioli da Desenzano al Serio (1890-1969), un confratello cappuccino che fu
guida spirituale a numerose persone, anche molto note come la famiglia
dei Beretta (la beata Gianna e il fratello p. Alberto) e i Gedda. Da tempo
p. Felice insisteva, perché mettesse per iscritto i pensieri, specificando
anche lo scopo: «per il mio profitto spirituale»4.
Non scrisse, quindi, per mettersi in mostra, per pubblicare o per altri
fini simili5. Furono i suoi devoti a far circolare gli scritti prima dattiloscritti, poi a fascicoli ed, infine, fu fatto un estratto pubblicato con il tito-
2
F. MERELLI, Fra Cecilio povero tra i poveri, Nuove Edizioni Duomo, Milano 1994, 1995,
1998; 2 ed. 2004 con l’aggiunta dell’appendice: Fra Cecilio e il beato Ildefonso Schuster.
3
La storia di questo primo diario è narrata in: Cecilio, diario-lettere…982; si veda anche
23 e 283.
4
Così è detto all’inizio del diario: CECILIO, Diario-lettere…, 1.
5
In CECILIO, Diario-lettere…, 141, dice espressamente: «Non so il perché scrivo queste
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lo: Nella luce divina. Riflessioni, pensieri eucaristici, lettere, che ebbe 16 edizioni dal 1969 al 1999. Purtroppo, in questa pubblicazione, furono utilizzati solo i quaderni 4 e 5 e nulla dei primi tre. La scelta dei pensieri fu fatta in modo arbitrario e dilettantesco, ritagliando qualche frase ogni tanto
con scarti, alcune volte, di decine di pagine. Qualche volta le esperienze
si sono ridotte a pensieri astratti ed hanno perso il sapore del vissuto.
Nonostante questo pessimo servizio reso agli scritti di fra Cecilio, il volume fece molto bene a tante persone.
Divenuti ormai di pubblico dominio, fra Cecilio amava far leggere i
suoi pensieri a coloro che andavano a visitarlo, ma era solo per avere
argomenti spirituali per il dialogo e non perdere tempo in altri discorsi
che riteneva inutili. Alcune volte, dopo la lettura, faceva brevi commenti. Interveniva quando il lettore commetteva errori, rivelando così di
conoscerli a memoria e di esservi attaccato, non per morbosità o per presunzione, ma per gelosia: riteneva, infatti, che il contenuto del diario non
fosse suo, ma del Signore, mentre sapeva bene che la forma era sua, perché lui stesso aveva la consapevolezza di non essere all’altezza di scrivere. Ed, in effetti, c’è una notevole differenza tra la ricchezza dei contenuti e la povertà dello strumento linguistico. Anche questa è una prova della vita spirituale profonda di fra Cecilio. I suoi scritti non sono da attribuire alla sua sapienza umana, ma alla docilità allo Spirito. Ci sono negli
scritti echi di autori ascoltati a mensa, nelle prediche o letti personalmente, ma non sono mai pura ripetizione, bensì sono assimilati ed integrati
nella sua personale esperienza.
La ragione per cui continuò a scrivere fino al 1976, fu, di nuovo, solo
l’ubbidienza. P. Marino Mariani da Desio (1893-1967), subentrato a p.
Felice come confessore, più volte scrisse personalmente sul diario, chie6
dendo a fra Cecilio di continuare a stendere i quaderni .
Fra Cecilio, infatti, ogni tanto desiderava interromperli. Così nel mese
di agosto 1929, pensando di utilizzare il tempo che dedicava allo scrivere a «comunicazioni e intimità con Dio», aveva fatto un progetto per ottenere la dispensa. In tutto ciò vi era anche un ragionamento spirituale.
Pensava, infatti, che Gesù e Maria, che pure avevano molte più ragioni di
cose, non mi sembra necessario. Caccio via anche questa tentazione. Scrivo per ubbidire,
tanto mi basta. Se chi insiste perché li scriva li vorrà gettare sul fuoco, io sono ugualmente contento. Non sono capace di scrivere neanche una riga senza guardare al s. Tabernacolo...» ed aggiunge che per scrivere non deve venir meno all’ufficio di portinaio assegnatogli dal superiore.
6
P. Marino scrive sul Diario: CECILIO, Diario-lettere…, 168/1, 400, 902, 940 nota 598, 966
nota 194.
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scrivere, non lo avevano fatto. Mentre faceva questi ragionamenti arrivò
uno dei due padri che gli avevano chiesto di scrivere. Ne approfittò per
esporre i suoi progetti, ma si sentì rinnovare l’ubbidienza di continuare7.
Ancora, nel mese di settembre 1932, fra Cecilio domandò espressamente a p. Marino di dispensarlo «da questa penitenza, adducendo
anche la mia incapacità e mancanza di tempo, ma mi rispose di scrivere
almeno un pensiero di tre minuti al giorno per ubbidienza»8. Siccome non
riusciva a scrivere tutti i giorni, allora trovò lo stratagemma di raccontare una esperienza spirituale distribuendola un po’ per giorno, in modo
che, realmente, arrivasse a scrivere tutti i giorni. Sono i sotterfugi che troviamo presso vari santi.
Nel mese di maggio del 1933 p. Marino gli chiese di scrivere almeno
brevi pensieri su ciò che succedeva durante la questua in città. Fra Cecilio approfittò dell’occasione per far presente che non era capace di scrivere e non aveva tempo. Ma non ottenne nulla, anzi: «Mi disse, senza che
io gli chiedessi, che i quaderni già scritti li tiene lui e ne farà di ciò che lui
crederà bene. Di scrivere ancora per ubbidire e consegnargli il quaderno
e basta. Gli chiesi di dirmi dove devo correggere i miei sentimenti e azioni espressi negli altri quaderni, e mi disse “non correggere nulla”...»9. C’è
da stupirsi di fronte a questa ubbidienza nello scrivere, a questa povertà
nel lasciare che un altro tenga i suoi quaderni e ne voglia fare l’uso che
gli pare, a questa umiltà nel chiedere di correggere ciò che ritiene ispirato sì, ma mediato dalle sue capacità e dalla sua preparazione.
A questo proposito annota: «Quando, per compiere la mia ubbidienza, mi metto per scrivere qualche pensiero, non avendo nulla studiato
non so mai come fare, ma appena la carità di Gesù e di Maria mi illumina, i pensieri si affollano alla mente come li sente il cuore, e il braccio si
stanca prima di esaurire ciò che la divina carità di Gesù ha messo nel cuore e nella mente»10.
Lo stesso fra Cecilio narra il modo in cui scriveva i suoi diari. Generalmente, almeno durante gli anni in cui rimaneva più a lungo in veglia,
li stendeva di notte davanti al Tabernacolo. Altre volte, li componeva
7
CECILIO, Diario-lettere…, 209.
CECILIO, Diario-lettere…, 623.
9
CECILIO, Diario-lettere…, 699. Le difficoltà vengono descritte anche nel seguito dello
stesso quaderno 713. Più chiaramente scrive: «Non avrei mai scritto né questi né altri piccoli pensieri se non fosse volontà di Gesù, molto meno li potrei scrivere se Gesù non mi
aprisse la mente. Le cose di Dio sono semplici e saziano l’anima in semplicità, ma non le
posso esprimere che in grande povertà di parole non conoscendo il modo di ben esprimerle»: 927.
10
CECILIO, Diario-lettere…, 816, dove è pure interessante il rapporto tra cuore e mente.
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mentre era in portineria, tra una chiamata e l’altra, attento a non mancare mai al suo ufficio. Testi più ampi ed organici furono scritti durante gli
esercizi spirituali, specialmente quelli che faceva da solo, senza un predicatore.
Quando scriveva davanti al Tabernacolo, di notte, si inginocchiava,
recitava cinque «gloria» in onore del Santissimo Sacramento e tre Ave
Maria in onore di Maria Santissima, poi iniziava a scrivere «ciò che in
verità mi viene in mente, a maggior gloria di Dio e a mia confusione.
Molti pensieri e cognizioni, per lo più imparate davanti al s. Tabernacolo, non le posso notare per mancanza di tempo, poiché mai e poi mai,
devo minimamente venir meno al mio primo dovere di ubbidienza».
Infatti, considerava quella di scrivere una ubbidienza secondaria rispetto
a quella degli compiti affidatigli dai superiori11.
Interessante anche il giudizio che dava di questi suoi scritti. Da una
parte dice di conoscere «la mia incapacità ad esprimere i sentimenti dell’anima»; dall’altra si meravigliava di ciò che riusciva a scrivere: «Rileggendo, mi meraviglio di me stesso, o dirò meglio, mi convinco maggiormente che certi pensieri non sono miei, e mi persuado sempre più che tutto ciò che è buono viene da Dio; e lo ringrazio»12.
Il contenuto di tali scritti è quasi solo spirituale: pensieri, preghiere,
propositi, esperienze interiori, note di esercizi spirituali predicati da altri
o vissuti privatamente, incontri con i confratelli laici, note autobiografiche giovanili lette alla luce di esperienze spirituali posteriori, copia di
qualche lettera.
P. Marino da Desio intervenne più volte a chiedergli di non scrivere
solo pensieri riguardanti la vita spirituale, ma anche il suo lavoro, episodi giornalieri e fatti accaduti durante la questua13. E lui ubbidiva. Per
qualche giorno annotava episodi esterni accadutigli, poi non riusciva più
a parlare di cose materiali, «perché non so dire altro che Gesù e Maria.
Non so pensare altro che Gesù, Maria, vita nascosta in Cristo, vivere di
Cristo, accettare con trasporto la redenzione di Cristo»14.
In questi scritti si scopre un fra Cecilio «mistico», un uomo tutto e solo
di Dio. E bisogna tenerne conto se si vuole comprendere la sua attività.
Staccare le opere di fra Cecilio da questa sorgente, significherebbe non
capirle più.
11
CECILIO, Diario-lettere…, 360.
CECILIO, Diario-lettere…, 360.
13
Simili richieste in CECILIO, Diario-lettere…, 237 e nel già citato 699.
14
CECILIO, Diario-lettere…, 253.
12
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Qualche volta, ricordando l’ubbidienza impostagli, si lascia andare e
ricorda fatti del passato, annota qualche episodio particolare accadutogli;
ma anche in questi casi, non lo fa mai per curiosità, per esibizionismo o
per autocompiacimento. Vuole sempre fissare l’aspetto spirituale, vuole
passare da un’esperienza concreta al suo Signore, vuole riconoscere,
ammirare e celebrare le opere meravigliose operate da Dio e dalla Vergine santissima. Qualche volta, sempre per ubbidienza, giunge fino al punto da fornire una statistica della sua attività caritativa, ma poi, quando il
suo confessore non gli dice più nulla, si ritiene dispensato dal farlo altre
volte.
3. L’EDIZIONE DEGLI SCRITTI
P. Costanzo Cargnoni si è accollato un grande lavoro nel preparare e
seguire l’edizione degli scritti di fra Cecilio. Ed il lavoro è veramente ben
riuscito. Ci offre un testo scorrevole e di facile lettura, ma non vien meno
alle esigenze scientifiche di chi vuol conoscere anche il testo originale per
cui, in nota, vengono indicate le parole corrette dallo stesso fra Cecilio o
dall’editore, le parole o le frasi scritte successivamente interlineari, ecc.
Le due finalità sono rispettate e tutti possono trovarvi quello che cercano.
Ci voleva veramente questa edizione, prima di tutto, per far conoscere le ricchezze spirituali di questo religioso cappuccino che non possono
essere tenute nascoste. In secondo luogo era necessaria, perché in molti
opuscoli sono stati pubblicati stralci degli scritti di fra Cecilio, però molte volte tolti dal loro contesto, altre volte piegati ad un devozionalismo
esagerato che non gli apparteneva, in quanto, la sua devozione era sempre incarnata. Altre volte dalle sue esperienze spirituali sono state estratte semplici frasette come se ne possono trovare anche in altri libri spirituali, ma sono diventate troppo generiche e quindi non più sue. Altre volte ancora scegliendo temi specifici si sono piegati e ritoccati gli scritti di
fra Cecilio per adattare i suoi testi alle circostanze.
Questa edizione fa giustizia del testo originale come è nato dalla sua
sensibilità, dalla sua fede e dall’obbedienza. Forse i meno fervorosi
potrebbero scoraggiarsi davanti ad un testo così ampio ma, nel caso si
volesse offrire ai lettori un testo più breve, bisognerà fare scelte che non
ripetano gli errori che si sono verificati nel volume Nella luce divina, che,
secondo noi, non può più essere proposto dopo questa edizione.
P. Costanzo ha inoltre sfruttato molte lettere di fra Cecilio per completare le lacune dei diari. Anche le lettere sono ricche di annotazioni autobiografiche e rivelano la profondità e la coerenza della vita spirituale.
Meriterebbero una pubblicazione a parte.
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P. Costanzo ha fatto precedere al testo di fra Cecilio una lunga introduzione (pp. XI-CLXXIV) dove il lettore viene iniziato ad una conoscenza
della sua vita e della sua spiritualità, rispettando la cronologia entro la
quale si sono realizzati. Pian piano emergono anche gli argomenti e gli
atteggiamenti come sono stati guidati dallo Spirito Santo e recepiti dal fratello cappuccino. Tutto ciò è fatto in modo tale che il lettore quando leggerà i testi, non lo farà con preconcetti, ma con gli elementi sufficienti per
comprendere in modo più adeguato il testo. C’è sempre il pericolo, infatti, che le introduzioni contengano anche delle precomprensioni che sono
poi dannose ad una retta penetrazione della personalità dell’Autore.
Per i più attenti, nell’introduzione vengono toccati anche argomenti
più tecnici che riguardano, per esempio, il modo di scrivere di una persona che non aveva sicuramente a disposizioni tante tecniche linguistiche, grammaticali e lessicali.
Il volume si chiude con un primo indice biblico (pp. 1691-1696) in cui
si può vedere come la spiritualità di fra Cecilio era fondata sulla parola
di Dio, specialmente sul Nuovo Testamento. Faceva senz’altro grande
tesoro dei testi ascoltati durante la liturgia e la lettura in refettorio, ma
anche di un contatto personale e perseverante.
Infine un corposo indice analitico (pp. 1697-1810) offre al lettore la
possibilità di poter riprendere alcuni argomenti specifici, ma anche di
avere una visione concreta di quali sono i temi che tornano con maggior
frequenza e che, di conseguenza, stanno più a cuore a fra Cecilio. L’importante è che questo strumento preziosissimo non offra alibi per tralasciare di accostare personalmente ed in modo sistematico gli scritti di fra
Cecilio. La necessità immediata di avere a disposizioni testi per riflettere
o argomenti per proporli ad altri sarebbe un pessimo nemico della conoscenza di Fra Cecilio e della sua esperienza spirituale che sono un dono
fatto dal Signore all’ordine e alla chiesa in questi tempi.
C’è da sperare che questa edizione favorisca studi più approfonditi su
una esperienza religiosa e cappuccina che può continuare a fare del bene
a molte persone, anche laiche, come è stato durante la vita del Servo di
Dio.
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