Episodi del collezionismo in Terra d'Otranto:
la collezione Galluccio-Mezio*
Rosamaria Dell'Erba
1. Premessa
Ricostruire la consistenza di una delle più importanti quadrerie pugliesi, oggi dispersa, è stata occasione di riflessione su molteplici aspetti del fatto artistico, in particolare quelli emersi in relazione al collezionismo privato. Partendo da pochi dati: un elenco dei dipinti ritrovato alcuni anni fa nella fototeca della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico della Puglia a Bari ed alcuni elenchi rimasti nell'archivio familiare degli eredi della famiglia GalluccioMezio, abbiamo cercato faticosamente di mettere insieme gli esigui materiali disponibili. Dell'intera collezione, solo pochi dipinti sono noti:
"La guerra e la pace" a cui si aggiungono "Il Riposo dopo la fuga in Egitto" e "Davide col teschio di Golia" firmati da Luca Giordano e pubblicati dal Ferrari nella nota monografia del 1966 ed altri, di Giordano e
collaboratori, precisamente "le Pastorizie", resi noti del D'Elia nel 1964.
Nessuna menzione ai dipinti attribuiti al Ribera.
Non esistono a tutt'oggi studi di sintesi sul collezionismo salentino e
pochi compaiono sui generi per ciò che attiene alla pittura.
L'orientamento della storiografia artistica locale, ma non solo, ha privilegiato lo studio di soggetti sacri in cui fosse presente la figura come
garanzia dell'esecuzione da parte del pittore accreditato, concentrando il
*Contributo tratto dalla dissertazione presentata all'esame finale per il conseguimento del Diploma di Perfezionamento in Storia Regionale Pugliese presso il Dipartimento di Studi Storici dal Medioevo all'Età Contemporanea dell'Università
degli Studi di Lecce nell'a.a. 2003-2004 (relatore prof. Antonio Cassiano).
Ringrazio il prof. Cassiano per la disponibilità e la consulenza concessami durante
la redazione del saggio; un sentito ringraziamento va anche alla dott.ssa Antonella
Simonetti, direttrice delle Fototeca, e alla dott. Rosa Lorusso, direttrice dell'Ufficio
Catalogo, della Soprintendenza P.S.A.D. di Bari. Tutte le foto utilizzate nel lavoro
fanno parte del patrimonio della Soprintendenza, ad eccezione delle scene mitologiche di proprietà della scrivente.
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proprio interesse sul filone dell'attribuzionismo condotto essenzialmente sulla pittura chiesastica e pubblica anche a causa del più facile accesso alle opere.
Nel collezionismo privato sono largamente presenti i generi minori,
che, come la natura morta, il paesaggio, ma anche la scena di genere, il
ritratto, la scena mitologica non godevano di alto prestigio perché spesso erano affidati agli apprendisti di bottega'.
i Cfr. B.W. MEIJER, Sull'origine e mutamenti dei generi, in La pittura in Italia. Il
Seicento, Milano, Electa, 1989, t. II, pp. 585-86. "Lo scarso prestigio dei generi minori e dei loro pittori si rispecchiava effettivamente nel "vilissimo prezzo" dei loro
quadri, indipendentemente dal fatto che si trattasse di dipinti del Caravaggio o di
esposizioni di "naturalia". Un motivo non secondario era l'assenza quasi totale di
questi generi sul Trattato del Lomazzo, perché questi erano ancora in via di formazione.
Ancora a fine Ottocento la critica artistica definiva i suoi metodi: "Purtroppo...gli
studiosi, i conservatori del patrimonio artistico, coloro che devono difendere il verbo dell'arte, gli storici, non hanno ancora la scuola...La tutela delle cose d'arte fu
incerta ed inefficace, non uguale, non ampia sull'Italia." A. VENTURI, Per l'Arte, in
"Nuova Antologia", 1 gennaio,1892, fasc.1, pp. 45-58.
A distanza di pochi anni Aby Warburg, attratto proprio dagli studi di Venturi sugli
affreschi di Schifanoia avrebbe dato un contributo fondante alla critica artistica:
sancire l'importanza delle scienze ausiliarie della ricerca storica. Nel caso del Palazzo Schifanoia fu l'astrologia. Cfr. A. M. VISSER TRAVAGLI, Il Centenario del Museo Schifanoia e Aby Warburg, in Il Cosmo incantato di Schifanoia. Aby Warburg e
la storia delle Immagini astrologiche, Ferrara, Cart. Ferrara,1998, pp.7-9.
Riguardo al rinnovato interesse per la committenza gentilizia e per l'araldica come
scienza ausiliaria della storia cfr. A. LAPORTA, Introduzione a L. A. MONTEFUSCO, Le
successioni feudali in Terra d'Otranto. La provincia di Lecce, Novoli, Istituto Araldico Salentino Amilcare Foscarini, 1994-1996, p. 5; così si esprime Pier Felice degli Uberti: "Dopo il rifiuto generalizzato degli anni sessanta questi anni novanta è
risorta la passione per lo studio degli ordini cavallereschi e le scienze ausiliarie della storia... erroneamente considerate al di fuori della cultura ufficiale".
"Soltanto una cinquantina di anni fa i soggetti dei dipinti erano considerati poco importanti:non contavano che la forma (allora chiamata "forma significante") e il colore. Così dichiara nel 1974 JAMES HALL nell'Introduzione al noto Dizionario dei
soggetti e dei simboli nell'arte, pubblicato in Italia da Longanesi nel 1983.
Per la pittura in Puglia cfr. P. LEONE I)E CASTR1S, La pittura del Cinquecento nell'Italia meridionale,in La pittura in Italia, Milano Electa, 1987, t. II, pp. 472-514,
in modo particolare La pittura in Puglia tra Venezia e Napoli.
Tra i primi studi di sintesi sulle influenze venete, umbre, marchigiane e provenzali
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Questa posizione della critica artistica salentina è stata dettata da una
motivazione legata all'urgenza di studiare personalità artistiche emergenti nel vastissimo patrimonio artistico locale, di gran lunga più ingente rispetto a quello delle altre province pugliesi.
La ricerca archivistica ha svolto una funzione determinante come
supporto all'analisi stilistica.
La lettura e l'interpretazione del documento sono momenti fondanti
del compito dello storico. Mai come in questi ultimi anni l'apparato tecnico documentale ha assunto una valenza diagnostica decisiva ed epistemologicamente imprescindibile nel giudizio e nella valutazione dell'evento preso in esame, anzi, per meglio dire, sono le cosiddette scienze
ausiliarie della storia che permettono allo studioso di costruire il fatto
storico. Questo è altresì vero se l'indagine è diretta verso opere d'arte.
Ma indagare sulla genesi delle correnti artistiche e seguirne 1' iter di
diffusione implica un giudizio di valore in merito ad un centro di diffusione e ad una periferia culturale, nel nostro caso il Salento. L'adattamento della cultura artistica locale alle dominazioni commerciali, come
fu ad esempio l'importazione di pittura veneziana per tutto il periodo
dell'egemonia veneta nei porti pugliesi, non sempre è stato omogeneo a
causa della presenza politica e culturale napoletana del Viceregno. Ma
ancora altri influssi culturali arricchivano la cultura pittorica tanto che è
"... difficile, per le inflessioni di cultura umbra e marchigiana avvertibili in Puglia, distinguere fra discese "veneto-adriatiche" ed importazioni
da Napoli". Considerata questa produzione così articolata la scelta di privilegiare i generi maggiori della pittura fu d'obbligo.
Nel passato, i criteri estetici sottesi alla politica delle campagne per il
catalogo delle opere d'arte, hanno di fatto incoraggiato lo studio delle
emergenze. I patrimoni venivano catalogati solo parzialmente a volte solo per alcune categorie di beni. Vi sono state negli anni '70 campagne catalogiche per la sola pittura mirate non alla conoscenza della consistenza ma alle opere di "sommo pregio". I canoni estetici del Bello e del
Brutto avevano escluso dall'indagine intere categorie di manufatti sia
quelli relativi allo stadio dell'opera, perché considerati inferiori rispetto
all'opera finita: il bozzetto, il disegno preparatorio, lo studio; come an-
cfr. M. S. CALÒ MARIANI, Note sulla pittura salentina del '400 in "Archivio Storico Pugliese", Anno XXXII, Fasc. I-IV, Gennaio-Dicembre 1979, pp. 3-28.
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che tutte le arti minori o anche dipinti e sculture che non fossero accreditati da studi di chiara fama. Solo le opere di eccezionale valore, di
"sommo pregio", venivano studiate, ma nel solco del filone dell'idealismo che rifiutava alle ragioni dell'arte qualsiasi rapporto con la pratica.
Se si indaga nel campo della storiografia artistica i giudizi di valore hanno pesato talmente tanto da escludere intere civiltà dal vaglio critico.
Questa svalutazione ha interessato anche la Terra d'Otranto 2 .
Un altro pregiudizio che ha notevolmente pesato nella storiografia artistica è quello sull'arte barocca che, nel napoletano, si è legata alle vicende della committenza borbonica condannata dalla storiografia risorgimentale al più completo oblìo. Non ultimo, il contributo di Croce, in
cui Barocco era sinonimo di Seicento e quindi di decadenza, riabilitato
di recente e riletto in un'ottica storicistica da Roberto Pane 3 .
A partire proprio dall'alba del Medioevo la penisola salentina continua la sua amministrazione imperiale affrancandosi dalle continue scorrerie longobarde attraverso un vero e proprio confine: il Limitone dei Greci le cui tracce sono ancora visibili da Sava fino a Brindisi. area culturalmente e non solo geograficamente differenziata dal resto della Puglia. L'autonomia dell'area ellenofona si porrà in contrasto
con il nascente Stato della Chiesa favorito dai Longobardi: sarà proprio il consolidamento del potere ecclesiastico romano ad appoggiare la distruzione in epoca orsiniana di molte chiese greche perché è con gli Orsini che la Terra d'Otranto sarà
fatta Principato. Nella terra di San Pietro in Galatina il Montinari annovera 68 chiese anticamente esistenti e poi distrutte: cfr. M. MONTINARI, Storia di Galatina, Galatina, Editrice Salentina,1972, p. 210-214. L'eredità bizantina della Terra d'Otranto fu volutamente messa da parte da Vasari il cui favore per la cultura pittorica toscana pesarono non poco sulla nostra storia artistica: cfr. A. CASSIANO, L'eredità bizantina, in Iconostasi dalla chiesa di San Niccolò dei Greci, Lecce, Conte editore,
1990, p.7. Il Rinascimento era tradizionalmente considerato la stagione d'oro dell'arte italiana, le opere apprezzate anche sul piano commerciale dall'abile Bernard
Berenson. Il Barocco e l'arte gotica, rivalutata in età contemporanea dagli Inglesi,
avranno, invece, fortune critiche alterne.
3 F. HASKELL, Mecenatismo e collezionismo nella Napoli dei Borbone durante il
XVIII secolo, in Civiltà del Settecento a Napoli 1734-1799, Napoli, dicembre 1979ottobre1980, Firenze, Giunti, vol. I, p. 32: "Negli anni intorno al 1780 Angelica
Kauffmann, Vigée Lebrun,Wilhelm Tischbein ed altri girarono con disinvoltura tra
le corti di Sir William Hamilton e dei Borbone, e il loro gusto per una piacevole mitologia e ritrattistica spinse Napoli del tutto nell'orbita di questa ultima fase di mecenatismo e pittura di tipo aristocratico ed internazionale, prima del diluvio."
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Le avanguardie storiche dell'inizio del Novecento con l'affermazione dell'imperante astrattismo, della modernità e del culto dell'industria
e della velocità erano in netto contrasto con i canoni estetici della magnificenza scenografica, della indolente descrizione dei tessuti vellutati,
degli amori degli Dei, dei paesaggi campestri, della teatralità delle corti
barocche.
Nelle campagne catalogiche promosse dal Ministero dei Beni Culturali allora Ministero della Pubblica Istruzione, bisognerà attendere gli
anni '30 del XX secolo per vedere comparire schedature di opere barocche, peraltro solo argenti! La mostra del 1938 sui Tre secoli di arte napoletana darà l'avvio al dischiudersi degli studi sull'arte barocca ed è
anche l'anno in cui Roberto Longhi formulerà il criterio del "valore di
connessione ambientale" al fine di arginare i criteri estetici di matrice
idealistica sottesi al precedente catalogo selettivo delle opere d'arte. Sicuramente l'aggiornamento degli studi artistici dovuto alle istanze neopositivistiche e le ricerche archivistiche determinarono una svolta nella
ricerca e nella metodologia della storia dell'arte'''.
"Chi sostiene l'insularità delle grandi opere d'arte o dei grandi artisti
si preclude a mio parere ogni possibile comprensione dell'accadere artistico e del suo processo. Una volta trasformate in monadi autosufficienti, quelle opere e quegli artisti non si lasciano più riportare alla viva cor-
Per Croce e Riegl cfr. R. PANE, Croce e la fortuna critica del Barocco, in Seicento Napoletano. Arte, costume, ambiente, Milano, Edizioni di Comunità, 1984, pp.16-27.
Riguardo all'opera di CROCE, Storia dell'età barocca in Italia (le tre edizioni del
1929,1944,1953), Pane spiega: "E' accaduto così che si sia verificato quello che
chiamerei un equivoco prospettico: mentre Croce considerava il barocco nei limiti
dell'angolazione suddetta, e cioè come storia del Seicento italiano, per noi, invece,
più impegnati nella storia artistica, il barocco (e il suo epilogo nel rococò) occupa,
non soltanto il secolo XVII, ma gran parte di quello successivo. Non si sarebbe dovuto, quindi, chiedere al saggio crociano ciò che esso non si era proposto di darci;
ma, se ci è consentito oggi un confronto che giova a farcelo apprezzare nel suo insieme, direi che esso è come un grande paesaggio, che ci sia fatto presente attraverso i sentimenti che ispira, e non dalla descrizione dei suoi singoli episodi; direi
qualcosa che richiama il senso del paesaggio come "stato d'animo".
4 Cfr. R. LONGHI, Relazione al convegno dei Soprintendenti, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1938, cit., in F. NEGRI-ARNOLDI, Il Catalogo dei Beni Culturali ed
Ambientali, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1981, p. 31.
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rente della storia da cui pure sono nate. Anzi, se consideriamo la genealogia artistica dei grandi maestri ci accorgeremo subito che la difficoltà
maggiore non è quella di mostrarne i legami con la tradizione, ma di accertare e soprattutto definire la natura dell'innovazione e il suo grado di
originalità" 5 .
2. Notizie sul collezionismo di Terra d'Otranto in età moderna
Terminata l'influenza veneziana intorno al quarto decennio del Seicento la Puglia rivolge il proprio interesse verso Napoli, spostando l'asse commerciale dall'oriente e dal mare verso l'area continentale, incrinando in tal modo quell' equilibrio rivolto ad Oriente che era stato fino
ad allora parte dell'identità culturale della Terra d'Otranto. In questo diverso orientamento la posizione del Salento, come spiega il D'Elia, sarà
peculiare rispetto al resto della Puglia. 6
Stenteranno i salentini, a giudicare dai dipinti dei massimi esponenti
della cultura pittorica del Salento, G. A. Coppola e Verrio, a rivolgere le
loro commissioni nel napoletano.
Metodo e prassi nella storia dell'arte,Torino, Bollati Boringhieri, p.132
6 Il primo studio di sintesi sulle importazioni veneziane e napoletane nel Salento è
quello di L. GALANTE, Sintonia e varianti della pittura salentina nell'incontro con
la cultura metropolitana, in Barocco leccese, Milano, Electa, 1979, pp. 247-297.
Altri studi: L. MORTARI, Appunti sulla pittura del Sei e Settecento in Puglia, in Ricerche sul Sei e Settecento in Puglia, Fasano, Schena, 1980, pp. 5-61; L. GALANTE,
Contributi alla pittura del Sei Settecento in Puglia in L. GALANTE -R. Poso, Questioni artistiche pugliesi, Galatina, Congedo,1984; L. GALANTE, Per la fortuna della pittura napoletana in Puglia, in Ricerche sul Sei e Settecento in Puglia, 111, Fasano, Schena,1984-1989; L. GALANTE, Pittura in Terra d'Otranto (,S'ecc. XVI-XIX),
Galatina, Congedo, 1993; IDEM, Clero e nobiltà nelle vicende della pittura in Storia di Lecce. Dagli Spagnoli all'Unità, Bari, Laterza, 1995; ma vedi anche M. GUASTELLA, Segnalazioni di pittura napoletana e un dipinto di Alessandro Fracanzano
a Brindisi, in "Itinerari di Ricerca Storica", I, Galatina, Congedo, 1988, pp. 55-64.
Il noto saggio di M. D'ELIA, La pittura barocca, in AA.Vv. La Puglia tra Barocco
e Rococò, Milano, Electa, 1982, pp. 162-320, resta a tutt'oggi il riferimento principale per i rapporti tra Napoli e la Terra d'Otranto limitatamente alla diffusione della cultura pittorica. Ricco di opere e di documenti è il lavoro di M. PASCULLITER RARA, Arte napoletana dei secoli XVI-XVII in Puglia, Fasano, Schena,1985.
5 0. PACHT,
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Questo il panorama fino ad ora emergente che potrebbe rivelare non
poche sorprese con uno studio capillare delle collezioni private. Come
osserva il D'Elia la presenza di Giordano nel Salento, ed in tutta la Puglia, non è consistente, ma è necessario sottolineare che la maggior parte di questi erano ed ancora rimangono di proprietà privata. Le corti pugliesi degli Orsini di Gravina e degli Acquaviva di Conversano hanno
espresso attraverso la committenza a grandi artisti il livello culturale caratterizzato anche da una indubbia competizione con la corte napoletana.
Questa politica di antagonismo aveva caratterizzato anche il Principato
di Giovanni Antonio Orsini, ultimo principe di Taranto e grande mecenate, così come descritto da M. Paone 7 .
L'esercizio del potere da parte dei feudatari pugliesi si espresse dunque anche attraverso la manifestazione di una volontà di arricchire le
proprie corti con opere d'arte. Alcune volte si trattò di un vero e proprio
"programma" come quello fornito a Roviale, tra il 1527 e il 1530, dai duchi di Gravina per la decorazione del cortile del loro palazzo. Si trattava
della pratica ormai attardata dell'illustrazione delle res gestae di un monarca o di un condottiero, in questo caso erano "i fatti degli antichi Signori di casa Orsini" 8 .
Ma le collezioni private sono ancora parzialmente conosciute e difficili da rintracciare perché ormai, almeno quelle storiche, risultano quasi
tutte disperse. Tra quelle documentate vi è quella della famiglia Gallone
che nel 1588 acquista il feudo di Tricase e nel 1655 ottiene il titolo di
Principe con Stefano III. Un'altra raccolta resta quella dei Conti Mattei
di Novoli, dei Marchesi di Montemesola, del Palazzo ducale di Poggiar-
7 M. PAONE,
Arte e cultura alla corte di Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, in AA.
Vv., Studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina, Congedo,
1973, pp. 59-101. Già il Ruotolo aveva sottolineato la peculiarità dell'aristocrazia
pugliese che risiedeva stabilmente nei feudi già in età rinascimentale, pur "concedendosi dei soggiorni a Napoli": cfr. R. RUOTOLO, Aspetti del collezionismo napoletano del Seicento, in Civiltà del Seicento a Napoli, Museo di Capodimonte 24 ottobre 1984-14 aprile 1985, Museo Pignatelli, 6 dicembre 1984-14 aprile 1985, Milano, Electa, 1980, p.41-48. Per il ciclo di Gravina cfr. J. KLIEMANN, Gesta dipinte.
La grande decorazione nelle dimore italiane dal Quattrocento al Seicento, Milano,
A. Pizzi, 1993, p. 201. Il Kliemann cita comunque il De Dominici.
8 Ivi.
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do, del principe De Liguoro a Presicce. Tra quelle superstiti figura anche
quella dei Galluccio-Mezio 9 .
Nell'ambito degli studi sull'arte napoletana, compaiono anche riferimenti alle principali collezioni, ma questi trovano posto non nei grandi
studi, dedicati a monografie o a mostre, ma all'interno di riviste specialistiche come "Napoli Nobilissima" 10 . Diversi articoli precedono di gran
lunga i saggi ospitati su testi di più ampia diffusione, essendo essi datati alla fine dell'Ottocento. Nel 1893 compare Il Museo del Duca di Martina di A. Maresca di Serracapriola, l'anno successivo l'Inventario dei
quadri di casa Colonna, fatto da Luca Giordano di F. Colonna di Stigliano, nel 1898 La Quadreria del Principe di Scilla di E. Rogadeo di
Torrequadra. Dell'inizio del Novecento sono La quadreria dei principi
di Avellino di Don Ferrante (1902) e La quadreria del Principe di Salerno di Don Fastidio (1906) 11 . Alcuni decenni prima moriva a Napoli il salentino Michele Arditi, marchese di Castelvetere (1746-1838), archeologo e giurista tra i soci fondatori e direttore del Museo Nazionale di Napoli sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat 12 .
Già il De Giorgi nei suoi Bozzetti aveva lamentato l'assenza di un accenno negli studi locali all'Arditi, lacuna che imperdonabilmente permane a tutt'oggi. La Corografia (scritta dal suo discendente Giacomo) è forse l'unica fonte nota che documenta la vastissima attività dello studioso.
L'Arditi già a suo tempo si fece interprete di un atteggiamento democratico e pionieristico, devolvendo, con generoso entusiasmo, le sue col-
Le collezioni sono tutte menzionate da GALANTE, La natura morta in Puglia e in
Basilicata, in La natura morta in Italia, Milano, Electa, 1989, vol. Il, p. 965.
IO L. GALANTE, I dipinti napoletani della collezione D'Errico (seco. XVII-XVIII),
Galatina, Congedo, 1992, p. 8.
i! Gli articoli riportati da Galante, I dipinti, op. cit., p. 8, sono: A. Maresca dí Serracapriola, Il Museo del Duca di Martina, in Napoli Nobilissima, 11, 1893; Colonna di Stigliano, Inventario dei quadri di casa Colonna falto da Luca Giordano,
in Napoli Nobilissima, IV, 1894; E. Rogadeo di Torrequadra, La quadreria del Principe di Sedia, in Napoli Nobilissima, VIII, 1898; Don Ferrante, La quadreria dei
Principi di Avellino, in Napoli Nobilissima, XI, 1902; Don Fastidio, La quadreria
del Principe di Salerno, in Napoli Nobilissima, XV, 1906.
2 G. ARDITI, La Corografia fisica e storica della Provincia di terra d'Otranto, („ecce, 1879 1885, pp.492 493. Sulla famiglia Arditi vedi anche C. I,. ARDITI, Cenni
Crono-Biografici del Casato Arditi dal secolo XV al XIX, Lecce, Lattaren i, 1899.
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lezioni al Museo della capitale del Regno (dove aveva dimorato per settantacinque anni), sottolineando con questo gesto, il tradizionale attaccamento alla corte dell'antica aristocrazia che non esitava ad abbandonare la periferia del Regno per trasferirsi in città.
Ma in periferia i palazzi signorili sono ugualmente ricchi di opere
d'arte per tener fede ad un decoro che si conviene ad un aristocratico:
"L'aristocratico è tale ovunque si trovi, le sue dimore devono testimoniarlo sia davanti a quattro pastori attoniti sia davanti a un cavaliere assorto che passi lontano" 13 . Nessuno studio è finora comparso sull'Arditi le cui ingenti donazioni al costituendo Museo partenopeo indicano la
volontà precisa di un riconoscimento della pubblica fruizione del patrimonio artistico già alla fine del Settecento 14 . L'Arditi, inoltre, in quanto
proprietario di una quadreria di artisti napoletani si pone come figura di
primissimo piano nel collezionismo salentino.
La collezione Arditi, costituita anche da manoscritti e carte relativi all'Accademia pontaniana, era ben nota a Tommaso Persico, curatore dell'opera di Everardo Gothein Il Rinascimento nell'Italia Meridionale. Il
Persico cita anche Carlo Luigi residente a Presicce a cui sarebbero pervenute la carte pontaniane acquistate da Michele Arditi dal Meola 15 .
13 G. LABROT,
Baroni in città. Residenze e comportamenti dell'aristocrazia napoletana, 1530-1734, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1979, p. 56, cit., in M. Pasculli-Ferrara, Arte napoletana, cit. p. 14.
14 G. ARDITI, Corografia, cit, p.492.
L' Arditi scrisse 116 opere di genere diverso: poesie, studi storici ed archeologici ed
epigrafici. Di queste 19 furono pubblicate a partire dal 1767 al 1832, tutte le altre
sono inedite. Tra queste compare: Dissertazione bibliografica sopra 27 volumi del
400, (regalati dallo stesso al Museo di Napoli), Spiegazione di molte e diverse pitture trovate a Pompei, La Iapigia numismatica, Illustrazione della collezione delle
gemme antiche di Sua Maestà la Regina. Le donazioni riguardavano monete, medaglie, vasi italo-greci, sculture, pergamene, codici membranacei, libri pregiati.
15 T. Persico a proposito delle carte pontaniane menziona l'Arditi come "Michele
Arditi, il più insigne raccoglitore in questo campo..." ed ancora: "Questa collezione, da pochissimi studiosi potuta finora esaminare, è in potere attualmente dal Sig.
Carlo Luigi Arditi, residente in Presicce, discendente dall'archeologo Cav. Michele, morto nel 1838, cui era stata venduta dal Meola". T. PERSICO, curatore della traduzione note ed indici di E. GOTHEIN, Il Rinascimento nell'Italia Meridionale, Firenze, Sansoni,1915, pp. 250-252.
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3. La collezione Galluccio-Mezio nella storiografia locale
Le prime notizie sulla collezione appaiono nella storiografia locale
nel 1855 nella relazione del giudice e funzionario borbonico D. Tommaso Vanna:
"Il signor Luigi Mezio possiede due grandi paesaggi, La Visione di
S. Giuseppe, La Pace e la Guerra, Davide col teschio del Gigante Golia, Arianna abbandonata da Teseo, Il passaggio dell'Eritreo, tutti dipinti di Luca Giordano, La Caccia del Toro, ed altri paesaggi di Giuseppe Rosa; la Storia di Sansone in quattro quadri, e S. Onofrio dello Spagnoletto; un quadro rappresentante pane e fiori di fichi del cav.
Rocco; e diversi quadri di storia naturale, del cav. Casizzo" 16 .
D. TOMMASO VANNA, Galatina, in Urbs Galatina, Numero Unico, Galatina, Congedo, 1992, pp.189-257, p. 203. Titolo originale dell'opera: T. VANNA, Il Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato, IX, Terra d'Otranto: Galatina, a c. di F. Cirelli, Napoli, G. Nobile, 1854-1855.
Per una bibliografia sulla famiglia Mezio vedi L. TASSELLI, Antichità di Leuca, Lecce, P. Micheli, 1693, p. 516; per Federico Mezio (1551-1626), vescovo di Termoli,
cfr. F. CASOTTI, Opuscoli di Archeologia Storia ed Arti patrie, Firenze, G. Pellas,
1874, per Federico Mezio, prezioso collaboratore del cardinal Baronio nella compilazione degli annali ecclesiastici, si rinvia a G. ARDITI, La corografia fisica e descrittiva della provincia di Terra d'Otranto, Lecce, Scipione Ammirato, 1879-1885,
in cui l'autore si occupa soprattutto di Girolamo Mezio. Un Accurzio Mezio sposò
la presiccese Carmela Brunetti che portò in dote l'attuale Palazzo Arditi. Successivamente un Giovanni Mezio sposerà Gabriella Arditi: cfr. C. DE GIORGI, La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, Lecce, Spacciante,1888; R. Rizzai], Pagine di
Storia galatinese. Memorie, Galatina, Tip. Rizzelli, 1912; A. FOSCARINI, Armerista
e notiziario delle famigli nobili, notabili e feudatarie di Terra d'Otranto, Lecce,1927, rist. an. Forni, Bologna,1971, p. 207; le postille di mons. A. ANTONACI alla biografia di Federico Mezio, in M. MONTINARI, Storia di Galatina, Galatina, Editrice Salentina, 1972, p. 356-357; l'opera utilizzata dal Montinari, A. T. AR(111)1,
Galatina letterata, Genova, G. B. Celle, 1709, da me è stata consultata nell'edizione anastatica di Madona Oriente, Aradeo, 1993, a c. di G. L. Di Mitri e G. Manna;
B. PAPADIA, Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia, a c. di Giancarlo
Vallone, Galatina, Congedo, 1984; C. RIPA, Iconologia, Padova,1630 (per Federico
Mezio), cit. in M. CAllATO, L'area galatinese, in M. CAzzATo-A. COSTANTINI-V.
ZAcctliNo, Dinamiche storiche di un'area del Salento, cit.; A. ANTONACI, Galatina
Storia e Arte, Galatina, Torgraf, 1999. Per la famiglia Galluccio vedi: S. AMMIRATO, Delle famiglie nobili napoletane, Firenze, I 580, rist. an., Bologna, Forni, 1973,
pp. 304-306; G. Ra - ctio, Notizie di famiglie nobili ed illustri della Città e Regno di
Napoli, Napoli, Domenico Antonio e Nicola Panino Editori, 1717.
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Rosamaria dell'Erba
Nel 1888 il De Giorgi nei suoi Bozzetti dedica ampio spazio proprio
alle collezioni di Terra d'Otranto tra cui compare anche la quadreria galatinese dei Mezio:
"Nella raccolta dei signori Mezio ammireremo invece delle grandi
pitture di Luca Giordano rappresentanti Il sogno di Giuseppe, la pace e la guerra, Davide ed il capo del gigante Golia, Arianna abbandonata da Teseo, ed il passaggio dall'Eritreo; la caccia al Toro ed alcuni paesaggi con animali del De Rosa su mentovato; molti quadri di
animali, di fiori, di frutta del cav. Casizzo; ed altri di fiori e frutti di
scuola fiamminga" 17 .
Sempre in riferimento a Galatina il De Giorgi accenna anche alla collezione Verardi di cui menziona "L'ingresso dell'arca di animali", "L'uscita dell'arca di animali" entrambi di "De Rosa". Nei Cenni storici di
Galatina pubblicati da Ruggero Rizzelli nel 1895 la collezione Mezio è
descritta così come altre raccolte galatinesi già segnalate dal Vanna:
"...In casa Mezio La Visione di S. Giuseppe, La pace e la guerra, Davide col teschio del gigante Golia, Arianna abbandonata da Teseo, Il
passaggio dell'Eritreo, tutti dipinti di Luca Giordano; La caccia del
toro di Giuseppe Rosa; La storia di Sansone in quattro quadri, e S.
Onofrio dello Spagnoletto; un quadro rappresentante pane e fiori di
fichi del cav. Rocco, e diversi quadri di storia naturale del cav. Casizzo" 18 .
Nei medesimi anni la rivista "Napoli Nobilissima" pubblica degli articoli dedicati a note quadrerie del napoletano: la collezione di Gaspare
Roomer, del Principe di Conca, del principe della Rocca, del duca Capece Galeotta, dei Filomarino, del principe di Tarsia Spinelli, del duca di
Maddaloni, del duca Niccolò Pignatelli di Monteleone, dei Caracciolo
Russo, principi di Avellino, del principe di Salerno Leopoldo Borbone,
di casa Colonna, del principe di Scilla, del marchese di S. Angelo e del
principe di Fondi e di Ottaiano 19 .
17 C. DE GIORGI, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, II, Lecce, Spacciante,
1888, pp. 413-426.
18 R. RIZZELLI, Cenni storici di Galatina, Galatina, Tipografia Rizzelli, 1895.
19 cfr. L. GALANTE, I dipinti, cit. p. 8. 11 Ruotolo in Aspetti del collezionismo, cit.,
p. 43: "Il Roomer acquistò quanto di meglio si producesse in Fiandra ed in Italia e
la sua raccolta è caratterizzata da un respiro europeo che manca alle altre. Il 1634 è
l'anno della prima, precisa menzione di essa... Gaspare aveva individuato le per-
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Episodi del collezionismo in Terra d'Otranto: la collezione Galluccio Mezio
La Corografia dell'Arditi pubblicata a partire dal 1879, tace, com'è
noto, sulle collezioni private, ma riporta nella descrizione di Presicce un
accenno alla famiglia Mezio di cui è presente nella parrocchiale un monumento sepolcrale dedicato a Girolamo Mezio promotore insieme a
Giacomo Arditi (senior), della ricostruzione della Parrocchiale di Presicce a partire dall'anno 1778 20 .
Si chiudono proprio con il Rizzelli i riferimenti alla raccolta perché la
storiografia locale novecentesca non riporterà più alcuna notizia fino al
1964, anno in cui Michele D'Elia, pubblica sul Catalogo della Mostra
dell'arte in Puglia dal Tardo antico al rococò, relativamente alla scheda
biografica di Luca Giordano, i dipinti della collezione. Per la prima volta compare un'analisi stilistica che indica nelle Pastorizie ma anche nel
David con la testa di Golia, l'intervento di collaborazioni. Compaiono
delle datazioni circostanziate ma soprattutto la notizia sull'acquisizione
della raccolta da parte dei Mezio.
"Senz'altro più tarde alcune tele provenienti dalla collezione dei
Principi di Secly, oggi in collezione privata a Galatina. Di queste, le
due scene di vita pastorale pur denunciando, come la coeva Partenza
di Rebecca della Pinacoteca di Bari, larghi interventi di collaboratori, presentano particolari qualità di fattura, soprattutto nella resa dei
fondi, degni di certi paesaggi romani del '700. Il confronto con le tele dello stesso soggetto conservate al Prado ed eseguite dal Giordano
al tempo della sua permanenza in Spagna, fanno pensare ad una data
appena posteriore a quel soggiorno.
Già settecentesche nella stessa collezione l'Incontro di Bacco e
Arianna, e la Fuga in Egitto, che rivela un rinnovato accostamento a
Tiziano e agli emiliani; e finalmente le due Allegorie, firmate, dai toni corruschi e infuocati" 21
.
sonalità portanti delle pittura napoletana ed aveva ben 8 Ribera, 6 Stanzione, 2 Battistello, delle Battaglie del Falcone. Accanto ad esse alcune delle voci più alte del
caravaggismo e del generismo nordico, attive fra Roma e le Fiandre: Bromer, Paul
Brii!, Cornelio Poelenburgh, David de Heere, Gerard van deo Bos. Per non dire del
Van Dyck, dei francesi Vouet e Valentin, del Carracci (quale?), del Rustici del Saraceni, dello Spadarino...".
2 G. ARtwri, La Corografia, cit., p.490
21 M. D' ELIA in Mostra dell'arte in Puglia dal tardo antico al rococò, a e. di M.
°
D'ELIA,
Roma, De Luca, 1964, p.163. Successivamente alla segnalazione del DT,210
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