ditorialeeditoriale editorialeeditoriale editorialeeditoria Da che mondo è mondo, compito del teatro, come di tutte le arti, è ricreare la gente BERTOLDT BRECHT, Nuove riflessioni sul teatro Iter in Con questo secondo numero, ITER presenta un nuovo, complementare percorso del proprio progetto editoriale. di Giulio Sardi Dopo la pubblicazione miscellanea uscita nel mese di aprile - e ringraziamo i tantissimi lettori che ci hanno dato fiducia acquistandola in edicola e sottoscrivendo l’abbonamento - le pagine della rivista vengono ora ad accogliere un argomento monografico dedicato a due secoli di storia teatrale ad Acqui. palcoscenico Dunque, un ITER più simile ad un libro, la cui consistenza è superiore alle 200 pagine (come si potrà apprezzare non ci sono stati, però, incrementi nel prezzo di copertina), ma che - anche in questa nuova forma - persegue il progetto già enunciato nel precedente numero. Quello di conciliare la serietà dei contributi con una esposizione di piacevole lettura, con un taglio il più possibile leggero, in cui il contributo iconografico possa assumere pari importanza rispetto alle fonti e alle elaborazioni del ricercatore. È quanto abbiamo provato a realizzare insieme a Roberta Bragagnolo, cui si deve gran parte del lavoro che presentiamo ai lettori. Il suo testo, nato in ambito scientifico, è stato arricchito da ulteriori approfondimenti atti a rendere ancora più evi- Ricerche fonti e immagini per un territorio Trimestrale Anno I, numero 2, luglio 2005 Direttore Giulio Sardi Redazione Angelo Arata, Valentina Pistarino, Elisa Pizzala, Carlo Prosperi, Vittorio Rapetti, Angelo Siri Segreteria di redazione Valentina Pistarino e Silvia Pastore Hanno inoltre collaborato Giorgio Botto, Riccardo Brondolo, Gian Enrico Bezzato Progetto Grafico Paolo Stocchi Fotografie L’apparato iconografico, quando non prodotto dall’autrice, attinge a Biblioteca Civica e Archivio Comunale di Acqui Terme, Archivio Franco Castelli, Archivio Mario Cavanna,Archivio Chiabrera, Archivio Luigi Vigorelli, Archivio Storico Mario Barisone conservato presso lo Studio Fotografico Tronville, Archivio Piero Zucca, Studio O&M Ingegneria S.r.l., Graziella Barberis, Floriana Tomba, Archivio Visma di Vesime, e agli archivi EIG e Iter Un ringraziamento per la collaborazione nelle ricerche a: Biblioteca Civica e Archivio Comunale di Acqui Terme, Archivio Vescovile d’Acqui, Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova; e a Lionello Archetti Maestri, Franco Castelli, Cesare Chiabrera, Marco Dolermo, Carlo Ferraro, Elena Gallesio Piuma di Prasco, Gian Battista Garbarino, Ando Gilardi, Eufemia Marchis, Pierluigi Muschiato, Beppe Navello, Carlo Prosperi, Gian Luigi Rapetti Bovio della Torre, Blythe Alice Raviola, Paolo Repetto, Floriana Tomba, Giuseppe Vigorelli Edito da Editrice Impressioni Grafiche Stampa Tipolitografia Impressioni Grafiche società cooperativa sociale, Acqui Terme (AL) Redazione via Carlo Marx 10- 15011 Acqui Terme (AL) Tel. 0144 313350 fax 0144313892 e-mail: [email protected] • www.eigeditrice.it © EIG 2005 ISSN 1825-6422 Registrazione n. 97 del Tribunale di Acqui Terme rilasciata in data 27 gennaio 2005 In copertina: L’attice acquese Nina Ivaldi (Collezione privata) dente il legame tra il teatro e la città. Su questa stretta connessione le pagine aprono numerose finestre che ora evidenziano il contesto storico, ora offrono testi curiosi, ora illustrano i personaggi (per ricreare la gente, come scrive Bertoldt Brecht) che la ricerca ha via via incontrato. Il corredo iconografico, per gran parte inedito, si incarica poi di accompagnare questo affascinante viaggio tra scene e rappresentazioni. La scommessa, ambiziosa, era quella di trasformare un testo di interesse specialistico in un libro per tutti. Ai lettori il giudizio se questa impresa - non semplice - abbia conseguito gli esiti che avevamo immaginato. Arrivederci al prossimo numero. Il presente numero sviluppa i contenuti della tesi di laurea Teatro e vita teatrale nella città di Acqui Terme, relatore prof. Dario Borzacchini, discussa dalla dott.ssa Roberta Bragagnolo presso l’Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia - DAMS, nell’anno accademico 2002-03. Dei box di questo numero sono autori Roberta Bragagnolo (R.Br.), Carlo Prosperi (C.Pr.), Giulio Sardi (G.Sa.). Questo numero di ITER “continua” sul sito internet della rivista, su cui è possibile consultare e “scaricare” gratuitamente la cronologia degli spettacoli acquesi e vari indici. L’indirizzo cui accedere è www.eigeditrice.it La fotografia di copertina del primo numero di ITER (aprile 2005) è stata scattata da Bruno Buffa nel luglio 1968. CONTENUTI INTRODUZIONE Le fonti Tre secoli di scene DAI LUMI ALLA CADUTA DELL’IMPERO Il Teatro del Seminario e il Teatro Blesi Una proposta: un teatro in casa Scassi Il Teatro Borreani dalla sua istituzione... ... al problema dell’assegnazione dei palchi Le opere Attori e musicisti I balli e il gioco della bassetta Il pubblico Alcune proposte di riforma del teatro alla fine del Settecento La stagione di Carnevale del 1803 Il teatro in Acqui a inizio Ottocento Appendice documentaria DALLA RESTAURAZIONE ALLA FINE DEL SECOLO Il Teatro Dagna. La genesi Il Dagna sino al 1856 Progetti per un nuovo teatro Il Dagna dal 1875 al suo abbandono L’attività teatrale Il Politeama Benazzo. La genesi L’attività teatrale Il Teatrino del Seminario minore Il Teatrino d’oltre Bormida (Teatrino Vecchie Terme) Il Teatro della Società Operaia I café-chantant Appendice documentaria 5 6 9 12 13 16 19 22 23 26 27 29 31 44 58 66 70 73 80 102 105 136 136 150 153 155 DALLA BELLE ÉPOQUE ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE ACQUI TEATRALE Il Politeama Garibaldi. La genesi L’attività teatrale Il Kursaal Il cinema e il problema del teatro ad Acqui 163 181 212 218 RECENSIONI 225 APPUNTI 238 DI VIAGGIO INDICE DEGLI APPROFONDIMENTI LA STORIA Acqui dal Settecento alla fine dell’età napoleonica 9 La riforma dei teatri 29 Acqui dal 1815 al 1880 57 Acqui Terme dal 1880 al 1941 164 GLI ARTISTI Angela Dotti Domenico Biorci Girolamo Penengo Amilcare Ajudi Giovanni Toselli La compagnia Piemontese di Tancredi Milone Un concerto di Elena Lamiraux Luigi Buccellati La compagnia Cuneo e Villa La compagnia Romagnoli e Brunetti Emilio Zago Laura Zanon Paladini La compagnia Palamidessi La compagnia Zacconi-Casilini Irma Gramatica Cottin Luigi Duse La compagnia Gaetano Benini Cesare Pasquali Pier Camillo Tovagliari La compagnia Vitaliani Carlo Duse La compagnia del cavalier Cola La compagnia Pietriboni Guglielmo Privato La compagnia De Farro Gaetano Sbodio Augusto Mugnaini Francesco Artale Enrichetta Camuncoli Isolina Piamonti Ida Carloni Talli Luigi Ferrati Edoardo Ferravilla Enrico Dominici Leopoldo Vestri 12 65 77 85 86 93 98 100 110 114 116 117 118 119 120 121 124 126 127 129 130 131 132 133 141 145 145 146 148 151 181 181 183 184 188 Dora Baldanello Giovanni Pezzinga Italia Vitaliani Andrea Maggi Virginia Reiter Giacinta Pezzana Raffaello Mariani Annibale Ninchi Iole Piano Gemma Caimmi Ruggero Ruggeri Lyda Borelli Gualtiero Tumiati Un’attrice acquese: Nina Ivaldi 194 195 196 196 196 197 198 201 202 203 205 206 208 210 IL TEATRO E LA CITTÀ 1785: ballare e suonare erano una cosa seria La bosinata Poesie del 1803 Gli acquesi e i palchi Il progetto del 1857 Il palco di Giovanni Furno Sonetto del 1855 Il basso Alessandro Bottero Voci acquesi per i cori dell’opera Enrico Gabbio Felice Boverio e Giuseppe Corrado 5 dicembre 1855: una sera al Teatro Dagna Flaminio Toso: fiori, giornali e scene Francesco Depetris, il teatro in testa Pietro Torrielli, il Merlo della Bollente Non solo banda: Giovanni Tarditi Maggiorino Ferraris Luigi Garelli, pennelli e colori per il teatro Tullo Battioni e Luigi Montecucchi Luigi Bovano: paste dolci e versi ...salaci Il marchese Vittorio Scati Il M° Vigoni e la sua Ginevra Franco Ghione, il mestro che diresse la Callas Un concerto al Garibaldi del M° Angelo Bisotti Franco Ghione sul podio del Garibaldi 25 45 49 69 71 74 83 84 90 92 94 95 103 105 109 111 112 135 139 152 167 182 204 209 220 INTRODUZIONE LE FONTI Plan de la ville d’Acqui, disegno a china acquerellato di fine secolo XVIII, IGM, cartella archivio 19, n° d’ordine 19. Non esiste alcuna pubblicazione sul teatro di Acqui, se si esclude il testo di Laura Palmucci Quaglino sugli edifici teatrali ottocenteschi dell’alessandrino1. Da questa assenza ha avuto inizio questa ricerca, basata prevalentemente sul materiale fornito dagli Archivi di Stato di Torino e Savona, dagli Archivi Comunale e Vescovile di Acqui, dagli Archivi privati Gallesio-Piuma e Cesare Chiabrera. Altri dati sono stati tratti dai periodici locali conservati, a partire dall’anno 1879, nella Biblioteca Civica di Acqui. In mancanza di recensioni teatrali, ci si è dovuti accontentare delle lettere (di cui non si è conservata risposta presso l’Archivio Comunale) inviate dai capocomici al Sindaco. Qualche aiuto lo ha potuto dare, per gli anni dal 1871 al 1879, la rivista teatrale “L’Arte Drammatica”, consultata presso il Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova. L’arco cronologico preso in esame è compreso tra l’inizio del XVIII secolo e il 1940 circa; l’attenzione si è rivolta principalmente agli spettacoli di prosa, lirica, operette e varietà, agli artisti che li hanno messi 1 L. PALMUCCI QUAGLINO, Itinerario attraverso i teatri ottocenteschi dell’alessandrino: Casale, Acqui, Tortona, Novi, Valenza, S. Salvatore, Alessandria 1985. 5 in scena, all’accoglienza da parte del pubblico e al giudizio dei cronisti locali, e secondariamente agli edifici per lo spettacolo e alle vicende che li hanno caratterizzati. Dallo studio sono stati esclusi gli spettacoli di marionette, il circo, gli spettacoli di prestigio, ai quali si è fatto solo qualche cenno. In alto Via Nuova, con a destra lo stabile del Teatro Dagna. In basso Palazzo Papis, alla cui destra si trova la galleria che conduce al Cinema Teatro Garibaldi. TRE SECOLI DI SCENE 6 Le prime notizie di un’attività teatrale nella città di Acqui Terme risalgono al Settecento. In quest’epoca gli spettacoli si svolgevano in luoghi che potremmo definire impropri: il Seminario (le notizie sono estremamente lacunose), una stanza senza logge e con un piccolo scenario nel palazzo di Luca Probo Blesi (dal 1755 circa) e un locale altrettanto angusto, con diciotto logge ed una loggia continuata al di sopra, aperto nel 1777 nella casa di Orazio Borreani. Se il teatro Blesi nasce per permettere l’ultimazione della vicina chiesa della Madonna della Neve attraverso i proventi delle recite, l’impresa del Borreani sorge per volontà di una Società dei Cavalieri unicamente per offrire un divertimento “sospirato” da molte persone. Allo stato attuale degli studi, sono poche le informazioni a nostra conoscenza sull’attività di questi primi teatri. Per quanto riguarda il teatro Borreani, molti titoli di opere buffe rappresentate alla fine del Settecento, desunti dalle lettere del Prefetto Decanis e dal manoscritto contenente i conti delle entrate e delle uscite, corrispondono ai nomi di opere di compositori di scuola napoletana, come Cimarosa e Paisiello; l’opera napoletana è, del resto, quella che compare prevalentemente nei cartelloni della totalità dei teatri italiani contemporanei. Contribuivano al bilancio del teatro, oltre ai ricavi derivanti dagli ingressi, dal fitto dei palchi e dalla vendita dei libretti, le entrate del gioco della bassetta che si svolgeva nel ridotto: nel 1785 però gli introiti non avevano superato le spese, con le conseguenti lamentele dei virtuosi che non erano stati pagati. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento è molto frequente la sistemazione di sale teatrali all’interno di conventi abbandonati o già destinati dal governo di antico regime ad altri usi. Dal 1807, quando un decreto imperiale accorda alla città di Acqui il convento di S. Francesco2 per costruirvi i bagni civili, si elaborano diversi progetti, mai realizzati, che prevedono la costruzione nel convento di un edificio comprensivo di sale per riunioni e di un teatro. Nel 1813, accanto ad una sala privata ordinariamente aperta durante la stagione dei bagni, esisteva un locale adibito a teatro nel vecchio oratorio di Sant’Antonio. In questo periodo, per sopravvivere nelle piccole città di provincia, le compagnie dovevano essere poco numerose, e nonostante questo, spesso non facevano fortuna e partivano lasciando migliaia di franchi di debito. Nel 1834 Luigi Dagna concede a Stefano Cornaglia e Leon Vita Ottolenghi un locale di sua proprietà per la costruzione di un nuovo teatro, moderno e adeguato alla città, necessario per garantire un passatempo ai numerosi forestieri che si recavano allo Stabilimento Balneario. Il teatro Dagna alterna per quasi tutto l’Ottocento spettacoli di prosa e lirici, nonché balli e veglioni all’inizio di ogni anno, e spettacoli di vario genere. A partire dal 1880 dovrà subire la concorrenza del Politeama Benazzo, “disgraziato ambiente teatrale” situato accanto all’Albergo Nuove Terme e, dal 1892, del Teatrino Vecchie Terme, situato in zona Bagni. Tra le tante compagnie di prosa di mediocre livello che si presentano al pubblico acquese, si individuano nomi importanti: Gustavo Modena, Ermete Zacconi, Antonio Brunorini, Angelo e Lina Diligenti, Luigi e Mirra Buccellati, Emilio Zago. Gli spettacoli lirici rivelano una prevalenza delle opere di Donizetti e Verdi; la mancanza di una dote da parte del Comune e le condizioni non ideali degli edifici teatrali, rendono difficile la realizzazione di spettacoli di alto livello: quando questo avviene, si deve esclusivamente all’impegno dell’impresario Luigi Ivaldi. 2 Cfr. J.C. LESNE, Notice historique et statistique sur la ville d’Acqui, ristampa anastatica dell’edizione 1807 Victor Alauzet, Acqui Terme 2004, p. 132 “il governo ha concesso un ex convento chiamato di San Francesco dove si farà arrivare senza difficoltà l’acqua dell’abbondante fonte cittadina [...]. Vi sarà nei pressi dei bagni una sala per gli spettacoli che attualmente gli Acquesi non hanno”. 7 La crisi che investe il teatro italiano alla fine dell’Ottocento si avverte in forma acuta anche nella città di Acqui. Dalle pagine dei periodici locali i cronisti criticano l’apatia del pubblico acquese: “In Acqui quando non ci sono spettacoli oppure sono meschini tutti si lagnano, e quando ve n’ha di buoni allora non si va a teatro”3. Si critica anche il gusto degli spettatori: Il pubblico acquese “non ama e non applaude che il ridicolo. I lavori dove campeggia la morale lo lasciano freddo e impassibile”4; essendo “composto in gran parte di operai e ragazzi”, “che cosa volete che ne sappia il nostro pubblico di tempeste dell’anima, di sacrifici, di eroismi e di tutte le altre diavolerie di cui sono capaci i cervelli degli autori. Il nostro pubblico ha troppo buon senso per arrivare a queste false sublimità (…)”5. I palchi restano spesso vuoti, anche durante gli spettacoli d’opera lirica: i loro proprietari, inoltre, pur non essendo abbonati, non lasciavano le chiavi a disposizione di conoscenti o dell’impresa, come avveniva normalmente negli altri teatri, e questo penalizzava gli incassi, aumentando i problemi del teatro. Negli ultimi anni dell’Ottocento Acqui è un fiorire di sale per spettacoli. Nel 1896 un piccolo palcoscenico viene inserito nel locale della Società Operaia, e tra il 1894 e il 1899 sorgono numerosi caffè-concerto: l’Aida, il caffè dell’Albergo Italia, il caffè Vittorio Emanuele e il caffè Vecchie Terme (in cui viene trasformato il teatrino d’oltre Bomida). Nell’aprile del 1899 viene inaugurato il Politeama Garibaldi. Con il nuovo secolo la situazione del teatro migliora lievemente: nonostante il passaggio di artisti di prosa di rilievo (ricordiamo Ida Carloni Talli, Ferravilla, Dora Baldanello, Italia Vitaliani, Virginia Reiter, Annibale Ninchi, Jole Piano, Ruggero Ruggeri, Gualtiero Tumiati, Irma Grammatica, Giulio Tempesti), è soprattutto per le operette e gli spettacoli di varietà che il pubblico accorre numeroso. Nel 1923 viene inaugurato il teatro Kursaal, sorto in soli cento giorni. Già da alcuni anni nei periodici locali si dibatte il problema del teatro: con l’avvento del cinematografo, che offre un trattenimento a prezzi più bassi, il pubblico frequenta sempre meno gli spettacoli teatrali e lo stesso teatro Garibaldi viene presto dotato di cabina di proiezione. Le rappresentazioni d’opera diventano sempre più rare, anche per la mancanza di un’orchestra di sufficienti dimensioni. Il Kursaal diventa cinema nel 1935; il Garibaldi sopravvive, alternando brevi tournè di compagnie di prosa e di varietà a proiezioni cinematografiche. 8 3 “La Bollente” del 21 giugno 1887, n. 22. 4 “La Bollente” del 24 novembre 1891, n. 47. 5 “La Bollente” del 21 ottobre 1890, n. 43. DAI LUMI ALLA CADUTA DELL’IMPERO Battaglia di Millesimo. Litografia di De Villain, da un disegno F. Grenier. IL TEATRO DEL SEMINARIO E IL TEATRO BLESI Il primo documento testimoniante l’esistenza di un teatro nella città di Acqui è una lettera informativa del Prefetto d’Acqui Poesio inviata alla Segreteria di Stato per gli Affari Interni e datata 25 ottobre 1755. Il Prefetto racconta come Luca Probo Blesi1, già da più anni direttore della cappella della Madonna della Neve, decida di intraprendere la costruzione di una nuova e più ampia chiesa, “per maggior decoro di un tal santuario”; essendo il santuario quasi senza reddito, Luca Probo Blesi viene autorizzato dal vescovo Rovero e dal successore Marucchi a valersi del teatro del Seminario affinché col prodotto delle recite potesse portare a termine la costruzione dell’edificio2. 1 2 Luca Probo Blesi, avvocato (?-1786), fu vice-Prefetto di Acqui e Provincia dal 1752 al 1755 e vice-Giudice della Città e Provincia nel 1752. ARCHIVIO DI STATO DI TORINO (d’ora in poi AST), Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 7. LA STORIA ACQUI DAL SETTECENTO ALLA FINE DELL’ETÀ NAPOLEONICA Nel 1714 il Monferrato viene annesso allo Stato sabaudo, promotore ad Acqui di importanti opere pubbliche come le terme militari; nel 1731 l’istituzione del ghetto raccoglie la numerosa ed antica comunità ebraica attorno alla piazza del mercato dove sgorga la fonte della Bollente. Nell’aprile del 1796 Napoleone entra in Italia e, battute ripetutamente le truppe piemontesi ed austriache in Piemonte (vittorie di Montenotte, Millesimo, Dego e Mondovì), Vittorio continua nella pagina seguente segue dalla pagina precedente Amedeo III è costretto a firmare l’armistizio di Cherasco: esso stabilisce che le terre alla sinistra della Stura e del Tanaro rimangano sotto il dominio sabaudo, mentre quelle sulla destra (in cui è compresa la città di Acqui) sarebbero state temporaneamente occupate dai francesi. Napoleone entra nella città di Acqui il 30 aprile, rimanendovi alcuni giorni, requisendo generi di prima necessità e impossessandosi di ventimila lire in oro e argento dell’Ospedale di carità, prima di partire alla volta di Tortona. Il passaggio dei soldati della repubblica dura circa sei mesi e risulta assai gravoso per la città a causa delle frequenti contribuzioni di guerra cui deve sottostare. Nel 1799, mentre Napoleone si trova in Egitto, l’Inghilterra, la Russia e l’Austria si coalizzano contro la Francia e danno inizio ad una campagna militare: le truppe austro-russe si impadroniscono in breve tempo dell’Italia centro-settentrionale restaurandovi gli antichi governi. Durante i movimenti delle truppe, Acqui viene più volte attraversata dagli eserciti francesi, austriaci e russi, e più volte saccheggiata. Nel 1800, vincendo a Marengo contro gli austriaci, Bonaparte riconquista il controllo del territorio italiano. Il Piemonte, dall’aprile 1801 divisione militare della Francia, viene formalmente annesso alla Repubblica l’11 settembre 1802: Acqui torna a far parte della repubblica francese, compresa prima nel dipartimento del Tanaro, e nel 1805 in quello di Montenotte. Il dipartimento di Montenotte comprendeva i circondari di Savona e Porto Maurizio, paesi dell’ex repubblica di Genova, ma con Ceva ed Acqui si allargava anche in una vasta zona del Piemonte: “In tal modo il governo francese aveva inteso conferire compattezza amministrativa a terre tra le quali, da secoli, si erano instaurati fitti rapporti economici, a dispetto dell’azione dei rispettivi governi – la repubblica di Genova e il regno di Sardegna – che avevano piuttosto mirato a scoraggiarli: Genova cercando di monopolizzare i commerci col Piemonte a danno di Savona, Torino puntando a deviare i traffici dagli scali liguri per indirizzarli sul porto di Nizza-Villafranca”; questa realtà economica, con una buona amministrazione, avrebbe potuto svilupparsi ancora di più. Sotto la dominazione francese Acqui, capoluogo del circondario, mantiene il suo territorio, conserva il Tribunale e l’ufficio di Sottoprefettura e nonostante le numerose soppressioni di chiese avvenute in Piemonte, non solo si lascia sussistere il vescovado, ma si estende la diocesi e molti beni vengono aggregati alla chiesa cattedrale. La città attira in modo particolare l’attenzione delle autorità francesi per la sua posizione geografica e per le sue acque termali. I Francesi “individuano nella città monferrina un importante nodo stradale e commerciale, sul quale non per nulla imperniano la viabilità del dipartimento”; è in questi anni che si costruisce la strada che mette in contatto Alessandria e Savona. Grande importanza viene attribuita alle Terme: al “vecchio stabilimento, già utilizzato dai Savoia per curare i loro soldati, e potenzialmente tanto più utile in uno Stato militare come quello napoleonico”, e alle “nuove terme che si progetta di costruire in città, una sorta di polo turistico-sanitario di concezione estremamente moderna”. Nel 1813 l’Austria, la Russia, la Prussia e l’Inghilterra si coalizzano nuovamente contro Napoleone: dopo la sua sconfitta e l’abdicazione, il congresso di Vienna riporta sul trono del Piemonte Vittorio Emanuele I, che cancella ogni traccia delle riforme napoleoniche. L’editto del 21 maggio 1814 stabilisce l’osservanza delle regie costituzioni del 1770 e delle altre provvidenze emanate fino all’epoca del 23 giugno 1800. Gli ebrei, che avevano ottenuto la parificazione civile sotto il dominio francese, perdono i propri diritti e ritornano tra le mura del ghetto, anche se le Costituzioni del 1° marzo 1816, risentendo dello spirito dei nuovi tempi, risultano più liberali del previsto. R.Br. Cfr. anche G. ASSERETO, Il dipartimento di Montenotte: amministrazione, economia e statistica, in G. CHABROL DE VOLVIC, Statistica delle Provincie di Savona, di Oneglia, di Acqui e di parte della provincia di Mondovì, che formavano il dipartimento di Montenotte, a cura di G. Assereto, Savona 1994, vol. I. Purtroppo non è stata trovata alcuna documentazione che ci aiuti a sapere qualcosa di più sull’attività teatrale del Seminario; sappiamo solo che, quando verso il 1755 questo edificio viene demolito, per poter continuare nella sua impresa l’avv. Blesi decide di costruire un teatrino nel suo palazzo3, essendogli ciò già stato suggerito da diverse persone fin dal 17414: in questo locale, piuttosto “angusto, senz’alcuna loggia, e con ristretto senario”5, si fecero diverse recite, “con gradimento universale di tutta la città, e senza il menomo sconcerto”6. I proventi delle recite, sottratte le spese da sostenere attorno all’edificio teatrale, costituivano quindi un sussidio da applicarsi alla fabbrica della chiesa della Madonna della Neve. Da una scrittura del 18 dicembre 1759 si evince che il prodotto delle recite era assai inferiore alla somma impiegata dal sig. Blesi nella realizzazione del teatro; gli amministratori della chiesa, timorosi di una sua richiesta di rimborso, ottengono dallo stesso una dichiarazione di non pretendere il denaro speso e di mai in futuro molestarli per tal fatto, e a loro volta rinunciano a pretendere nell’avvenire alcun utile ricavato dalle recite, da quel momento interamente a disposizione del sig. Blesi7. Le motivazioni che spingono gli amministratori della Chiesa a por fine all’accordo con l’avvocato non sono solo economiche: il Vescovo Capra riteneva non troppo congrua la promozione del culto della Beata Vergine col lucro del teatro. Ancora ben vivi nella memoria del Vescovo dovevano essere i disordini causati nell’agosto dello stesso anno dalla “Colombina” Angela Dotti, membro della compagnia recitante al teatro Blesi. Il sig. Bernardino Pullani, della città di Roma, viene arrestato nella notte tra il 21 e il 22, mentre vaga per la città maledicendo a gran voce la commediante Angela Dotti; successivamente interrogato dalle autorità, il Pullani dichiara che l’arresto non è avvenuto per colpa della signora Dotti, donna d’onore, ma a causa della sua gelosia e passione verso la stessa, nonché per istigazione di terze persone8. Con lettera del 25 agosto il sig. Blesi invia al Vescovo, per conto della commediante, la smentita del Pullani, informandolo che i colleghi della stessa sono pronti a fare ampia dichiarazione in suo favore9. Nonostante la smentita, il Vescovo interviene facendo allontanare la compagnia che già da tempo si trovava in città e con una lettera data3 4 5 6 7 8 9 Ibidem. ARCHIVIO VESCOVILE DI ACQUI (d’ora in poi AVA), Madonnina B. Vergine della Neve (Madonnina o Mad. del Monte), fald. 50, cart. 1, fasc. 12, Atto del 18 dicembre 1759. AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777. Ibidem, m. 2, n. 7, Lettera del Prefetto Poesio del 25 ottobre 1755. AVA, Madonnina B. Vergine della Neve (Madonnina o Mad. del Monte), fald. 50, cart. 1, fasc. 12, Atto del 18 dicembre 1759. AVA, Atti dei Vescovi, Vescovo Capra, fald. 15, cart. 1, fasc. 2, Relazione del Notaio Porta del 29 agosto 1759. Ibidem. 11 GLI ARTISTI ANGELA DOTTI Della bolognese Angela Dotti scrive Francesco Bartoli: “Toltasi a’ domestici affari della propria famiglia, con un buon capitale d’avvenenza incominciò a prodursi sulle Scene. Io, giovinetto, la vidi nel Teatro Marsigli della sua Patria dar incominciamento a’ suoi Comici esercizi. Furono i suoi progressi maggiori de’ suoi deboli principj, ed acquistando pratica, e spirito, unitamente a Giovanni Simoni, recitò da prima Donna, e fu in Italia, e fuori onorata d’encomj. Oggi, avendo trascorsa la sua florida giovinezza, s’impiega in parti che siano adatte agli anni suoi più gravi, e con una pari fortuna si va mantenendo in concetto, e riputazione”. R.Br. Cfr. anche F. BARTOLI, Notizie Istoriche de’ comici italiani, Padova 1978 (ristampa dell’edizione di Padova 1781-82), vol. I, p. 199. ta 31 agosto giustifica il suo operato considerando l’allontanamento della compagnia l’atto più discreto possibile, essendogli anche giunte all’orecchio dicerie sugli incontri tra Pullani e la commediante nella stanza dell’attrice e sui loro poco castigati discorsi. Il vescovo biasima l’uomo; è sorprendente come “(…) uno de’ rispettabili Signori di codesta Città, il quale potrebbe coi singolari beni, che Iddio li ha dato rendersi ancora più distinto, e preggevole siasi lasciato indurre a mostrare publicamente attacco ad una Donna da Teatro a segno pure, di soffrire, che fino pubblicamente fossero dai Attori forse a lui benché innominatamente dirizzati, ma per certo da una gran parte dei spettatori informati della corrispondenza, a lui applicati que’ caratteri, e quei intrighi, che sogliono rappresentarsi sú le scene” 10. UNA PROPOSTA: UN TEATRO IN CASA SCASSI L’oggetto principale della lettera del Prefetto del 25 ottobre 1755 era l’espressione del suo parere intorno alla volontà del marchese Scati11 di formare un nuovo teatro, pigionando una parte della casa del sig. Scassi. Il marchese, col pretesto che in una delle sere precedenti in casa Blesi, né lui né la sua signora fossero stati trattati con sufficiente riguardo, messosi a capo d’alcuni negozianti confratelli della Crociata di Sant’Antonio di cui era Priore, aveva progettato di edificare un edificio teatrale per procurare un’entrata alla Confraternita. Secondo il marchese il nuovo teatro avrebbe sicuramente meglio incontrato il gusto del pubblico, in quanto più vasto di quello già esistente e perché situato nel centro della città, quindi più facilmente raggiungibile dell’altro confinato in un’estremità della stessa. Tuttavia nessuna disposizione era ancora stata data per 10 Ibidem, Lettera del Vescovo Capra del 31 agosto 1759. 11 Stefano Francesco Scati, marchese (28 dicembre 17141773). Nella guerra 1742-48 ebbe il grado di capitano; vi combattè a capo della compagnia delle milizie di Acqui. l’esecuzione di un simile progetto: il marchese, trovandosi senza denaro per anticipare le spese, avrebbe voluto mantenere il solo titolo di Protettore dell’opera, mentre i confratelli erano dubbiosi sul fatto di ottenere un rimborso, una volta avanzata la somma necessaria. Il Prefetto Poesio si mostrò contrario a quest’iniziativa, innanzi tutto perché avrebbe portato all’interruzione dell’edificazione della nuova chiesa in cui il sig. Blesi aveva investito una considerevole somma, della quale non sarebbe stato indennizzato; inoltre la città di Acqui, essendo piccola, non aveva bisogno di un teatro più grande. Ma i problemi che preoccupano di più il Prefetto riguardano l’ordine pubblico. Le casate principali della città erano da più anni disunite, nonostante gli sforzi del Governatore di riunirle, ed al solo progetto di un nuovo teatro alcune famiglie neutrali si erano schierate chi per il sig. Blesi, chi per il sig. Scati, accendendo tra i due partiti un gran fuoco: la realizzazione del teatro avrebbe potuto accrescere i contrasti e creare disordini anche tra il pubblico schierato da una parte o dall’altra. Fatto ancora più grave i fautori del nuovo teatro, per farlo meglio fruttare, erano intenzionati a servirsene per balli pubblici nel periodo di Carnevale e per ridotto di giochi, e questo avrebbe portato ad un incremento dei vizi e del libertinaggio12. La mancanza d’ulteriori documenti al riguardo induce a pensare che il progetto sia stato abbandonato. IL TEATRO BORREANI DALLA SUA ISTITUZIONE… Nel 1777 la città di Acqui si trovava senza teatro pur “rimanendo da tutto il popolo per un onesto divertimento di tutti gli ordini di persone sospirato, che se ne apra uno”13. In una lettera datata 16 dicembre 1777 il prefetto Decanis informa che i signori conte Roberti di Castelvero14, conte Piuma di Prasco15, e baro- 12 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n.7, Lettera del Prefetto Poesio del 25 ottobre 1755. 13 Ibidem, m. 2, n. 23, Supplica dei Sig.i conte Francesco Roberti di Castelvero, conte Giovanni Francesco Piuma di Prasco e barone Ermenegildo Accusani di Retorto. 14 Francesco Spirito Roberti di Castelvero, conte (1755-1819): stimato“dai più intelligenti Maestri di Cappella” per i suoi componimenti musicali, “suonava con delicatezza specialmente il Violoncello”, G. BIORCI, Antichità e prerogative d’Acqui Staziella, Tortona 1818-1820 (Acqui Terme 2001), Appendice, p. 104. 15 Giovanni Francesco Piuma di Prasco, conte (14 settembre 1746-10 novembre 1835), fu Sindaco di Prasco nel 1811. 13 ne Accusani di Retorto, membri di una Società di Cavalieri16, senza pensare alle conseguenze, si sono accordati con alcuni commedianti d’opere buffe, perché vengano a recitare nella città di Acqui dall’Epifania e per tutto il Carnevale successivo e, non essendoci in città un teatro, hanno deciso con il sig. Borreani di costruirne uno utilizzando una parte della sua casa, situata nel Borgo di S. Pietro (nell’attuale piazza Addolorata). Da circa un mese e mezzo, infatti, si eseguono dei lavori “da Mastro da Muro” nella casa del sig. Orazio Borreani: dopo aver chiuso quattro o cinque archi di una galleria e distrutto un muro esistente tra essa e la stanza attigua, erano state costruite una volta al di sopra e diciotto logge piuttosto piccole, oltre quella del Governo, con sostegno di travi nei muri laterali17. Per allargate il sito era stata acquistata una casa attigua del canonico e del nipote Cravino per 600 lire e nuovi interventi erano stati svolti a causa del crollo della volta del teatro18. Successivamente era stata edificata al di sopra delle logge “una loggia continuata [il nostro loggione], che circonda tutta la platea capace di duecento e più persone, le quali”, precisa il Prefetto, “per il gran peso ponno in anno od in un altro anno facilmente precipitare, essendo dette Loggie in pocca veduta de Comici rappresentanti ed alcune affatto prive di vista”. All’interno del teatro era stata aperta una bottega di vini, acqua, cibi freddi e caldi, ed un ridotto per il gioco della bassetta19. La spesa totale impiegata ammontava a lire 2000, compreso l’acquisto della casa20; a sostenere le spese era stato lo stesso sig. Borreani chiedendo un prestito a “questi Ebrei” al sei per cento, con l’idea di restituirlo un po’ per volta entro pochi anni, approfittando dello stesso interesse pagatogli dagli associati, oltre il fitto annuo del locale del teatro di lire 9021. Sempre Decanis rivela che all’impresa si erano in seguito associati l’avvocato Talice e Carlo Domenico Torre22. Il Prefetto definisce il teatro “troppo misero per una città per la poca sua estensione tanto in longo che in largo, irregolare nelle loggie troppo anguste, e ben ristretto il passaggio al didietro delle medemme [medesime]”23. 14 16 Alla fine del Settecento è molto diffusa la nascita di teatri su iniziativa di una Società di Cavalieri: ciò avviene a Novi, Tortona, Alessandria e Casale (L. PALMUCCI QUAGLINO, op. cit., p. 2). Per quanto riguarda il teatro di Casale, esiste un documento del 20 luglio 1740 “in cui alcuni Nobili decidono di costruire un Teatro a Casale impegnandosi sulla parola d’onore di veri cavalieri a osservare quanto stabilito” (G. SERRAFERO, La nobile Società dei Cavalieri ed il Teatro di Casale. Storia e documenti, Casale Monferrato 1991, p. 13). 17 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n.7, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777. 18 Ibidem. 19 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. 20 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777. 21 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777. 22 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777. 23 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. È per ovviare a quest’ultimo inconveniente che il 6 aprile del 1778 gli associati inviano una supplica al Consiglio della città in cui chiedono l’autorizzazione a costruire “una soffitta però coperta e chiusa da apporsi al di fuori della muraglia che riguarda l’Abbazia di S. Pietro” per rendere più comodo l’accesso al palco e al didietro delle logge, “qual soffitta verrà formata in altezza e longhezza sì come resta designata nel qui annesso tipo fatto dal Capo mastro Domenico Battaglia (…) di modo che resterà decorosa, ed anche d’abelimento alla detta casa della città”. Il Consiglio accorda il permesso con ordinato del 6 aprile, a condizione però che la “(…) soffitta o bajetta si faccia nel modo più civile (…) che sarà possibile affinché non renda deforme veruna, anzi possa esser piuttosto d’abellimento, ma fu rappresentato, da durare però detta (…) pel solo spazio d’anni nove prossimi, spirati li quali saranno tenuti li sig.ri Soci e chi per essi far demolire detta soffitta o bajetta, riservando in caso contrario alla città la facoltà di lei medesima demolire a spese di detti sig.ri Soci”24. 6 aprile 1778. Disegno del capomastro Domenico Battaglia allegato alla supplica conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Acqui Terme. 24 La supplica con annesso disegno e ordinato è conservata nell’Archivio Storico Comunale di Acqui Terme (d’ora in poi ASCAT), Sez. I, Suppliche, ed è pubblicata in C. FERRARO, Prasco e il suo castello. Memorie storiche, cronache e documenti inediti, Alessandria 1996, pp. 70 e 73. 15 …AL PROBLEMA DELL’ASSEGNAZIONE DEI PALCHI Negli Stati Sardi del XVIII secolo l’apertura, la costruzione, la ricostruzione o la modificazione di un teatro erano sottoposte all’autorizzazione governativa in forma di regia patente o decreto reale: l’accettazione della domanda determinava l’emanazione di norme specifiche per quel teatro, norme che, essendo legate a particolari circostanze, avevano validità temporaneamente limitata25. Il Prefetto Decanis scrive nella lettera del 16 dicembre 1777: “sebbene io mi sia spiegato con alcuni di questa città, che una tale intrapresa sarebbesi dovuta presentare a codesta Segreteria, per avere la Regia Approvazione, ed stabilimenti, che si sarebbero dati, per evitare ogni disordine, non se ne fece caso”26. Nell’Archivio di Stato di Torino è conservata tuttavia una supplica inviata a S.M. con cui i conti Francesco Roberti di Castelvero, Francesco Piuma di Prasco e il barone Ermenegildo Accusani di Retorto, chiedono l’assenso all’apertura di un teatro a privativa loro fin dal Carnevale imminente, e per il tempo concesso, per “far in esso le pubbliche adunanze di divertimento”27. La supplica non riporta nel testo alcuna indicazione di tempo: è visibile però la data 11 gennaio ’77 posta sulla terza pagina del documento. Con una lettera del 17 dicembre 1777 la Segreteria degli Interni chiede al Prefetto Decanis di raccogliere informazioni in relazione alla richiesta di un gruppo di nobili di costruire un teatro nella città di Acqui28: è probabile si tratti di un’ulteriore supplica inviata dagli associati. I disordini di cui scrive il Prefetto nella lettera del 16 dicembre riguardavano l’assegnazione delle logge e lo coinvolgevano direttamente: domenica 7 dicembre il conte Roberti e il barone Accusani si erano recati a casa del Prefetto per offrirgli una loggia ed eventualmente un biglietto perpetuo, essendo la costruzione delle logge appena terminata; questi aveva accettato volentieri sia il palco che il biglietto e deciso di lasciare la chiave a loro disposizione, nelle sere in cui non desiderasse assistere alle commedie. Il Decanis era rimasto dunque sorpreso quando aveva saputo che nell’estrazione a sorte dei destinatari delle logge compiuta domenica 14, il suo nome non era stato incluso, e se n’era lamentato con il sig. Piuma. 16 25 A. F. DUBOIN, Raccolta per ordine di materia delle leggi, editti, manifesti, ecc. pubblicati dal principio dell’anno 1681 sino agli 8 dicembre 1798 sotto il felicissimo dominio della real casa di Savoia in continuazione ed a compimento di quella del senatore Borelli, Tomo XIII, vol. XV, Lib. VII, Tit. XXII, Capo I, Torino 1846, p. 853. 26 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23. 27 Ibidem. 28 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777. In un successivo incontro con i signori Roberti ed Accusani, quest’ultimo all’inizio aveva sostenuto che il Decanis “aveva determinato di prendere il Biglietto perpetuo, e non la loggia”, poi di fronte all’osservazione che ciò non avrebbe avuto senso poiché, senza loggia, sarebbe stato sufficiente pagare il biglietto d’entrata per rimanere in platea, si erano scusati, ma essendo tutte le quattro logge già assegnate, avevano accettato di riflettere su una proposta del Prefetto: convincere uno dei destinatari estratti a cedergli la loggia, con la promessa di mettere a disposizione del concessore la chiave perché se ne servisse secondo i suoi desideri. Qualche giorno dopo, con grande sorpresa, il Decanis era venuto a sapere che gli associati erano partiti con il capitale, e avevano assegnato al dottor Bolzoni una delle logge riservate alla società29. Lo stesso inconveniente era capitato al sig. Ferdinando Talice e al negoziante Giovanni Maria Perrone, mentre non erano stati cercati né il sig. Sindaco Dagna Sabina né l’avv. Castagna, entrambi imbussolati ed estratti30. L’impudenza degli associati aveva generato in seguito altri contrasti con i destinatari delle logge: la seconda metà del mese di dicembre il notaio Sardi, causidico collegiato della città e Procuratore di casa Roberti, si era recato dai proprietari delle logge, per far loro firmare alcuni capitoli, tra i quali quello di pagare tre spettacoli l’anno a lire 12 l’uno. Nel marzo del 1778 il conte Piuma si reca nella capitale per sollecitare la supplica di tener aperto il teatro31. Nonostante i problemi insorti, gli associati non si perdono d’animo: in una lettera datata 7 aprile 1778, scrive il Prefetto: “Nella settimana scaduta sette di questi sig.ri, ai quali fu assegnata la rispettiva loggia, feccero restituire la chiave di essa a mottivo, che li detti sig.ri Associati li feccero presentare una scrittura continente diverse condizioni, alle quali li volevano obligati. Una tal restituzione imbarazzò non poco li stessi sig.ri Associati e si menneggiarono [?] presso questo sig. Governatore, cui anche ne parlò detto sig. Intendente, perché procurasse, come infatti trattò la riaccettazione di dette chiavi, senza condizioni prettese con detta scrittura”32. Dalla lettera inviata da Francesco Roberti al conte Piuma, e datata 28 marzo 1778, si evince che i sette signori di cui parla il Prefetto erano il conte Lupi, il conte Benevello, il conte Asinari, i signori Porta, Seghini, Thea e l’avv. Paolo Chiabrera: questi, “dopo aver tenuto un congresso in Casa Benevello”, avevano deciso di restituire le chiavi, “in seguito ad una scrittura (…) fatta di consenso del signor Governatore; come di fatto (…) le portò il Prato tutte unite assieme”. Il conte Roberti, 29 30 31 32 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 16 dicembre 1777. Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777. Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. Ibidem. 17 “avendo presentito che questi signori vogliono [far] decidere alla Segreteria di Stato”, acclude alla lettera la suddetta scrittura, affinché il conte Piuma “se venisse a presentire qualche doglianza possa fare le nostre difese”, e invita il conte a parlare con l’avv. Bertolotti, circa l’approvazione all’apertura del teatro, esprimendo così il suo parere: “(…) veramente la vedo molto difficile stantechè la Società non è durevole, ma il tentare per sentire in che sentimento sono non può essere di danno veruno, e se sarà necessario ch’io scrivi al signor cav.re di Piozzo affinchè ne parli a sua C: il signor Conte Perrone, lei non ha che farmelo sapere ch’io immediatamente le scriverò”33. Tutte le controversie nate intorno all’assegnazione delle logge inducono il Decanis ad essere contrario all’autorizzazione a tenere aperto il teatro; egli così si esprime, senza remore, nella lettera del 24 marzo 1778: “Io sarei perciò in sentimento che per non accordarla ed anzi aver motivo di proibirla, le chiamasse V.E. conto di quanto è seguito, ed il tipo di detto teatro, senza mai lasciarsi intendere, che da me provengono le accennate notizie, perché il furore degli interessati anderebbe all’ultimo segno, e non si lascierebbe segno per abbattere la verità, essendo qui facile d’incutere gli uni, e gli altri, perché non le palesino, e di trovar notaj che si piegano a riccevere attestazioni men vere, od a contribuirvi ed anco a far risultare che sieno giurate, senza che siasi dagli attestati prestato giuramento, e con ciò meno animarli a deporre”34. Egli si schiera dalla parte delle “persone sensate” che ritengono “non convenir dett’impresa a questa picciola Città e Provincia piena di miserie”35. L’autorizzazione all’apertura del teatro fu comunque concessa agli associati, per la durata di nove anni: nel dicembre del 1785 il teatro è preso in affitto dal “Sarto Agostino Gardini, Barbiere Giuseppe Baccalaro, e Neofito Lorenzo Corsi tutti di questa Città, di bassa estrazione, quasi nullatenenti, di niun credito, e di poco buon concetto”, senza chiedere l’autorizzazione regia, necessaria in quanto la locazione degli associati 18 33 Archivio Gallesio-Piuma, Lettera pubblicata in C. FERRARO, op. cit., pp. 70-71. 34 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23. 35 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777. cessava “col novennio che scade con tutto il corrente mese”. I nuovi affittuari si erano recati a Milano a scritturare dei virtuosi per dare alcune opere buffe nel periodo di Carnevale, e si erano presentati dal Governatore Buri per ottenere il suo assenso. Il Governatore però aveva espresso un parere negativo, temendo che, data la miseria del paese, essi non sarebbero riusciti a coprire le spese, come era avvenuto l’anno precedente, e a causa dei disordini e furti causati dal gioco che si svolgeva nel ridotto del teatro36. Una lettera del barone Accusani di Retorto e del conte Roberti di Castelvero precisa meglio la situazione. L’affitto del teatro di 250 zecchini da parte dei nuovi impresari aveva durata annuale, e gli spettacoli da rappresentare erano destinati in particolare al divertimento degli ufficiali del nuovo Reggimento Provinciale della città. Credendo che Orazio Borreani avesse ottenuto il regio placet e l’assenso del Governatore per la continuazione del teatro, gli impresari si erano recati a Milano ed altrove, a scritturare diversi virtuosi. Ora, con il rifiuto del Governatore di aprire il teatro, e dovendo pagare i virtuosi, alcuni dei quali erano già in città, si erano rivolti ai signori Accusani e Roberti, perché mettessero loro in scena gli spettacoli che sarebbero iniziati il 26 dicembre; a loro volta, Accusani e Roberti chiesero l’autorizzazione al Governatore37, del quale tuttavia non conosciamo la risposta. LE OPERE La nostra conoscenza degli spettacoli rappresentati al teatro Borreani, allo stato attuale delle ricerche, presenta molte lacune. Questi spettacoli comprendevano drammi giocosi (opere buffe), tragedie, commedie e intermezzi in musica con balli; le rappresentazioni duravano “per l’ordinario” cinque ore, terminando un’ora prima della mezzanotte, quando iniziavano i balli in maschera che si protraevano sino al mattino38. Nel libro giornale manoscritto contenente i conti delle entrate e delle uscite inerenti al teatro per gli anni 1777-177839, è possibile individuare i nomi di alcune opere rappresentate o da rappresentare: La Mirandolina, La frascatana, Alcina, Il principe di Lagonero, l’intermezzo Il convitato di pietra40. 36 AST, Corte, Lettere particolari, L., m. 5, Lettera del Governatore Lanzavecchia del 25 novembre 1786. 37 Ibidem, Lettera del barone Accusani e conte Roberti del 5 dicembre 1786. 38 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. 39 Il manoscritto reca sul frontespizio 1780-C 215- Sig.r Grasso, C.te Piuma, C. Roberti ed Accusani, Archivio Gallesio-Piuma, ed è in parte pubblicato in C. FERRARO, op. cit., pp. 72 e 74. 40 La Mirandolina è il titolo di un dramma giocoso di P. Guglielmi, La frascatana di G. Paisiello, mentre un dramma giocoso dal titolo Il Principe di Lagonero è stato composto da P. Anfossi e da Paisiello. 19 In una lettera del 24 marzo 1778 il Decanis riferisce che nella stagione del passato Carnevale sono state rappresentate quattro opere buffe: di queste, soltanto la prima, intitolata La sposa fedele (dramma giocoso in musica stampato a Torino e rappresentato nel teatro del Principe di Carignano nell’autunno del 1768, con musica di P. Guglielmi) era stata presentata al Prefetto, nonostante egli avesse richiesto di poterle esaminare tutte e di inviarne una copia al vescovo. Gli intermezzi eseguiti tra i tre atti di questi drammi, erano stati giudicati dal Decanis troppo liberi e osceni; ecco la sua descrizione di uno di essi: “(…) si avanzarono in una volta a far chiamar dall’Arlichino al Dottore, se un Fratello, un Cugino poteva sposar una Sorella, una Cugina, e sulla risposta del Dottore, di non esser permesso tal matrimonio, e nuova dimanda, se mal vi fosse se alcuna di dette Parenti fosse stata conosciuta, fu da esso risposto, che sarebbe un incesto (…)”. In un altro intermezzo, “(…) fatta premura dall’Arlichino al Brighella, di procurarli una somma di quaranta Filippi, abbia questo mosso un Ebreo a donarla ad un Cristiano, mediante cui si sarebbe questo reso Ebreo, e senza lasciarsi detto Brighella intendere da detto Arlichino d’un tal suo maneggio, lo ha presentato al detto Ebreo, e quindi il Rabino ed altri Ebrei, son divenuti all’atto prossimo di circoncidere detto Arlichino” 41. Una lettera del conte Roberti, datata 21 aprile 1778 e inviata al conte Piuma, che in quel tempo risiedeva a Torino, mostra il vivo impegno del conte Roberti e della contessa Pellinetta, moglie del Piuma, nella ricerca degli abiti per l’opera Il principe di Lagonero: “La sig.ra Contessa sua ha scritto a Genova per avere dal Puttini li abiti del Opera del Principe di Lagonero42, o sia la Contadina in Corte, e questo birbante ha avuto l’ardire di dimandare per fitto lire trecento di Piemonte, mentre in Alessandria il Barone comperava tutti li abiti dell’Avaro43 con lire centodieci: ora vede V. S. Ill.ma conviene che anch’el- 20 41 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. 42 Quest’opera era stata rappresentata nel teatro Sant’Agostino di Genova nel Carnevale del 1778, con musica di P. Anfossi (C. SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800. Catalogo analitico con 16 indici, Cuneo 1990, vol. IV, p. 466). 43 Questo dramma giocoso era stato rappresentato nel Nuovo Teatro di Alessandria in occasione della fiera d’aprile 1777, con musica di P. Anfossi (ibidem, vol. I, p. 373). la s’adoperi per il teatro e cerchi li abiti che vedrà dalla qui acchiusa nota fatta dal signor Blasi. Io credo che V. S. possa far capo dal signor Ignazio Celognat impresaro del Teatro Carignano, oppure dal signor Conte di Diano, direttore dei vestiari del Teatro Regio. Credo che quest’opera sii stata fatta in Torino; oppure puol guardare di trovarne di quelli che si possano contare facendoli acomodare dal sartore del teatro a norma della lista, e si ricordi che la Prima Donna ed il primo Buffo mezzo Carattere sono grandi come lei. Spero caro signor Conte ch’Ella riuscirà poter compiere con gli abiti una così sontuosa opera”. Non mancano nella lettera spiritose allusioni all’atteggiamento abituale del barone Accusani nei confronti delle attrici: “farò ogni mio studio affinché il Barone non sij di nuovo in Amore verso la Prima Donna”44. Anche nel conte Piuma era viva la passione per l’opera; questo emerge chiaramente in una lettera inviata da Genova il 7 marzo 1813, in cui il conte esprime al Sottoprefetto Filli il suo giudizio su un’opera di Mayer: “Nous avons en ici ce Carneval le célèbre Mayer qui ha composé tout exprès pour ce theatre une pièce nouvelle intitulée La rosa rossa e la rosa bianca. La musique en est vraiment superbe; on pretend que ce soit le chef d’œuvre de ce maitre, et je crois que le plus bel éloge qu’on en puisse faire c’est qu’elle a fait fanatisme quoiqu’on l’ait donnée après la Lodoviska”45. Nel Carnevale 1786 si rappresentano i drammi giocosi L’italiana in Londra, Il convito, Le gelosie villane46; nella primavera dello stesso anno tragedie, commedie e intermezzi con balli vengono recitati da una “Nobile Società di Cavalieri e dilettanti”, e nell’estate ed autunno dalla “Compagnia Comica Italiana” diretta da Vincenzo Galuppi. Della stagione del Carnevale 1787 si conoscono Il falegname di Domenico Cimarosa, La vendemmia di Giuseppe Gazzaniga e I fratelli Pappamosca di Felice Alessandri, mentre nell’estate dello stesso anno 44 Archivio Gallesio-Piuma, Lettera pubblicata in C. FERRARO, op. cit., pp. 71-72. 45 Archivio di Stato di Savona (d’ora in poi ASS), Dipartimento di Montenotte (d’ora in poi D.M.), 50, fasc. 2. 46 L’italiana in Londra e Il convito sono i titoli di due opere di D. Cimarosa, mentre con il titolo Le gelosie villane troviamo due opere di G. Sarti e P. Anfossi. Foglio volante dello stampatore acquese Gian Francesco Arcasio, edito in occasione della nascita e del battesimo di Napoleone II l’11 giugno 1811. AVA, documento in corso di catalogazione. 21 si mettono in scena Il Solimano secondo47, “musica nuova d’un Cavaliere dilettante in Musica”, e Gli amici in cimento, “musica nuova d’un altro Cavaliere dilettante in Musica”48. Un interessante manoscritto del 180349, contenente alcune poesie composte in occasione del Carnevale, ci permette di conoscere i nomi di altre opere rappresentate da dilettanti, in quanto compaiono nel testo di un sonetto: La Nina, L’Epée, La vedova, La scozese, I franchi, Clementina50. È possibile ipotizzare l’esistenza di rapporti con le piazze di Genova, Torino e della più vicina Alessandria, che appartenevano ad un circuito più ampio: il conte Piuma aveva infatti abitato per un certo periodo a Torino, stabilendo contatti con l’impresario del Teatro Carignano e con il direttore dei vestiari del Teatro Regio; Genova era inoltre la città natale della contessa Pellinetta, moglie del conte Piuma (rapporti in ogni caso sporadici, in quanto l’attività del teatro Borreani non era regolare, ma probabilmente legata al Santo patrono o alla fiera, come spesso avveniva nelle zone agricole). ATTORI E MUSICISTI Sul palcoscenico del teatro Borreani si esibivano nobili dilettanti e attori professionisti. Dal libro delle entrate e delle uscite del 1777-1778 è possibile individuare i nomi di alcuni artisti. Mandini e Blasi avevano partecipato probabilmente alla rappresentazione de Il Principe di Lagonero; ritroviamo infatti il basso buffo Stefano Mandini di Bologna e Serafino Blasi (Blasio) di Roma ne Il Principe di Lagonero dato nel teatro S. Agostino di Genova nel 1778 con musica di P. Anfossi, il primo nella parte di 22 47 Una rappresentazione del dramma giocoso Solimano Secondo, ossia Le tre sultane, avviene nel Nuovo Teatro della Nobile Associazione di Vercelli nel Carnevale dell’anno 1788, con musica di Dalindo Stinfalico Accademico Filarmonico di Bologna, ossia il conte Luigi Cotti di Brusasco, (C. SARTORI, op. cit, vol. V, p. 247). 48 I titoli delle opere rappresentate nelle stagioni 1786 e 1787 sono desunti da un dattiloscritto conservato presso la Biblioteca Civica di Acqui Terme (d’ora in poi BCAT, cartella Teatro in Acqui, in corso di catalogazione), e fornito dal dott. Armando Fabio Ivaldi; non si conosce la fonte. 49 Manoscritto recante il titolo Poesie in occasione che nel Carnevale dell’anno XI: Rep. 1803 nel Teatro in Acqui – si rapresentò da varj Dilettanti diverse Commedie oltre La Nina Dramma Giocoso in Musica, Collezione privata. 50 Per queste opere si veda alla p. 29. Rinaldo51, il secondo come Berto52. La seconda donna Pallavicini potrebbe essere quella Marianna Pallavicini che risulta cantante al Teatro Regio di Torino nelle stagioni 1783-178453, 1784-178554, 1786178755; la prima ballerina Torzelli può corrispondere a Colomba Torzelli (Torselli), figurante straniera sempre al Teatro Regio nella stagione 1771-177256, seconda ballerina grottesca nel 1772-177357 e prima ballerina grottesca nel 1780-178158. Pontiggia, Trentanove e la seconda buffa Scotti possono essere identificati rispettivamente con il buffo Gaetano Pontiggia (Pontigia, Poltiglia)59, il buffo Luigi Trentanove60, la buffa Teresa Scotti61. Si pagano inoltre onorari, per la partecipazione a diverse recite, a Pietro Urbani, Giuseppe Grandotti, al suggeritore Gerolamo Gatti, al primo ballerino Barratti, al secondo ballerino Corsi, alla prima buffa Gioanelli, alla terza buffa Barlucchi, alla seconda ballerina Fortuni, alla Benvenuta. Tra i musicisti compaiono i nomi di Marenco, Torchio (contrabbasso), Nicola Ferraris, Castagnole, Giuseppe Zoccola (violoncello), Tirone, Pesce, i fratelli Salsilli; si cita inoltre l’orchestra di casa Blesi, la banda di Saluzzo e di Nizza. I BALLI E IL GIOCO DELLA BASSETTA* *Antico gioco d’azzardo di origine veneziana, simile al faraone e particolarmente diffuso nel Settecento. Era così chiamato perché a ciascun giocatore veniva distribuito un mazzetto di carte “basse” (dall’uno al cinque). Le autorità giudicavano con diffidenza l’attività del teatro Borreani. Il Decanis riferisce che l’intenzione degli associati di servirsi di commedianti che avevano recitato nel teatro di Alessandria, per dare alcuni spettacoli il 2 giugno 1778, giorno della Fiera di San Guido, aveva infastidito il Vescovo62; nel dicembre dell’anno precedente il Vescovo aveva inoltre ricevuto parole di disprezzo per aver proibito ad un chierico organista del Duomo di suonare il violino nel teatro63. 51 C. SARTORI, op. cit., Indice II, p. 391. 52 Ibidem, p. 95. 53 M. TH. BOUQUET, Il teatro di corte dalle origini al 1788, in A. BASSO (a cura di), Storia del Teatro Regio di Torino, vol. I, Torino 1976, p. 409. 54 Ibidem, p. 416. 55 Ibidem, p. 423. 56 Ibidem, p. 355. 57 Ibidem, p. 357. 58 Ibidem, p. 392. 59 C. SARTORI, op. cit., Indice II, p. 530. 60 Ibidem, p. 652. 61 Ibidem, p. 604. 62 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. 63 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 16 dicembre 1777. 23 Il Prefetto ricorda i disordini provocati anni prima da una “Colombina” recitante al teatro Blesi e non manca di riferire la cattiva impressione generata dal “vedersi girar per Città una Donna di Compagnia de presenti Commedianti vestita in abito da uomo”64. Le rappresentazioni spesso generavano contrasti anche tra gli spettatori: “Dal principio di dette recite fin qui si son sempre sparsi scritti perlopiù ingiuriosi, ed ultimamente contro li due partiti, che hanno favorito chi la prima, e chi la seconda delle Donne recitanti”65. Diversi disordini erano poi generati dai balli e dal gioco della bassetta: il 20 dicembre 1777 il Decanis riferisce il malcontento di parte del popolo e della città riguardo l’apertura del teatro, “perché si diceva che fra le recite del Carnevale si sarebbero in d.o Teatro fatti diversi balli con giuoco di bassetta, la quale metteva e mette molti in apprensione per le ordinarie perdite che ne succedono”66. Nel marzo del 1778 scrive: “Detti Balli han portato alcuni sconcerti, massime doppo che al solito Cartello esposto al Pubblico si scrisse, che le Signore avrebbero potuto riccusare il Ballarino in Maschera. Queste Maschere per la maggior parte erano persone vili, e si è esatto dalle medemme soldi dieci per l’entrata, senza che potessero ballare. Si è in dette notti tenuto il Giuoco della Bassetta, in cui gli Sign.ri Associati entravano per la metà della Banca essendo l’altra metà per il Banchiere, e per due o tre altri suoi Compagni. Palazzo Roberti, in piazza Addolorata, in una immagine di inizio Novecento. 24 64 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777. 65 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. 66 Ibidem. Si dice che la Banca abbia guadagnato lire cinque milla perdute da diversi che han giuocato, che certamente non sono in stato di soffrire tali perdite e gli detti Sig.ri Associati, oltre il guadagno della metà di tal Somma, hanno riscosso sul fondo del guadagno avanti di dividerlo un zechino per ogni Banca, anche quando se ne sono fatte due o tre nella stessa notte, 67 e lire una per ogni giuoco, o sia ammasso di carte” . Molti balli si svolgevano nelle dimore private dei nobili della città: ci è pervenuto il testo di una bosinata, componimento satirico scritto per divertimento della nobiltà di Acqui Terme in occasione del Carnevale 1791, 67 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778. IL TEATRO E LA CITTÀ 1785: BALLARE E SUONARE ERANO UNA COSA SERIA Le severe prescrizione dell’Ancien régime emesse da don Giuseppe Odoardo conte di Lanzavecchia di Buri, maggiore generale della Armata di Sua Maestà, governatore della Città d’Acqui e Provincia dell’Alto Monferrato. Per le contrade di questa città non si potrà fare senza la nostra licenza alcuna serenata con quantità d’instrumenti atta ad eccitare il concorso del popolo, sotto pena di giorni 8 di crottone [galera, da crota] tanto ai suonatori tanto che farà [e]seguire la medesima, colla quale pena incorreranno coloro che si faranno licito di andare in maschera tanto per le contrade della città che ne’ teatri e case di giorno e di notte senza la nostra licenza, in iscritto che loro verrà spedita dal segretario nostro infrascritto [Fulcheri]. Non si potranno pure far balli né pubblici né privati, né tampoco sotto pretesto di conversazione tanto in questa città e finaggio che nelle terre di questa provincia senza la detta nostra licenza rispetto alla [Curia e all’usus Feudorum?] e senza la licenza de’ rispettivi vassallo e Giurisdicente secondo la consuetudine che per tale riguardo possa esservi rispetto a caduna delle dette terre, sotto pena del padrone della Casa, in cui si ballerà, ed ai suonatori di scudi tre caduno, salvo che si trattasse di una privata ricreazione al sono di qualche stromento fra persone della stessa famiglia, e qualche loro vicino. E ne’ luoghi, e nelle terre, dove si troverà un distaccamento comandato da qualche Uffiziale Militare, dovranno tanto i vassalli che i giusdicenti al caso che da esso si accordi, o si neghi la licenza di ballare, rendere inteso il suddetto Uffiziale Comandante dell’accordata o negata permissione. Quelli che sopra detti balli porranno mano alla spada, o altre armi in qualche contesa o appiglio, o che tenteranno d’impedire o rompere il medesimo ballo, o che useranno violenza o altri mali termini per entrare, o farsi favorire nel ballare, sovra di essi contro l’arbitrio chi ne spende il proprio denaro o delle donne del ballo, incorreranno la pena di giorni 15 di crottone, ed anche quella di essere rimessi alla giustizia per l’opportuno procedimento e maggior castigo nel caso che vi fosse intervenuta qualche ferita o la delazione proibita di qualche arma. G.Sa. recante il titolo Congresso eseguito in casa Roberti tra la più scielta [sic] Nobiltà coll’intervento dell’Ill.mo Sign.r Governatore per formare una società danzante. 179168 (vedi Appendice documentaria p.44): tra i personaggi che compaiono nel documento vi è Francesco Spirito Roberti di Castelvero, proprietario della casa in cui si immagina avvenga il congresso, e membro della Società di Cavalieri gerente del teatro Borreani. IL PUBBLICO Il pubblico del teatro Borreani non era costituito solo da nobili acquesi, ma anche da persone meno abbienti e da numerosi ebrei che abitavano l’affollato borgo Pisterna. Il Prefetto Buzano, in una lettera datata 1° gennaio 1782, riferendosi al Regio Ordine del 23 dicembre 1778 con cui si permetteva di assistere agli spettacoli agli ebrei che non ne avessero fatto abuso, afferma di aver “osservato una grande affluenza d’Ebrei, che giornalmente chiedono tale permesso, e vi sono fin di quelli, che ebbero a chiedermi di dargli una volta per sempre la licenza d’andare a tutte le recite”. Tutto ciò creava degli inconvenienti: anzitutto “un notabile impiego di tempo per sentir le dimande di tutti questi Ebrei”; inoltre, cosa più grave, “(…) quando a molti si conceda in un sol giorno la licenza, possono agevolmente confondersi con essi quegli altri, che non hanno licenza, per portarsi ancor essi al teatro. E molto più in questo tempo pare necessario usar molta riserva per esser seguiti in queste scorse notti diversi gravi furti, ben sapendovi quanto vi dia a temere che gli Ebrei vi prestino mano, massime con la ricettazione delle cose furtive, essendo questo ghetto popolatissimo, e molti di loro affatto miserabili, e pezzenti, così che non sembra da fidarsi a lasciarli uscire di notte”. Scrive il Prefetto, che essendosi aperto due giorni prima il teatro, e avendo egli negato ad alcuni richiedenti la licenza, “non solamente fecero meraviglia, ma intendo eziandio abbino preteso portarne qualche reclamo”. Egli propone di dare ogni sera il permesso ad un discreto numero di ebrei “di quelli, che non danno luogo a sospettare di loro”, e di “far esiggere nella Segreteria un qualche tenue emolumento, stante la non breve occupazione, che si arreca a chi deve notar in registro le licenze per eseguir il prescritto di d.a lettera” 69. 26 68 Manoscritto tratto da un fondo d’archivio privato della famiglia Brezzi di Montecastello (il can. Paolo Brezzi, morto nel 1860 circa, era segretario del Vescovo di Acqui Carlo Giuseppe Maria Sappa de’ Milanesi, alessandrino, 1788-1834) e pubblicato in F. CASTELLI, I peccati in piazza. Bosinate carnevalesche in Piemonte, Alessandria 1999, pp. 189-190. 69 AST, Corte, Sez. I, Materie Ecclesiastiche, Cat. 37, Ebrei, mazzo 2 da inventariare. ALCUNE PROPOSTE DI RIFORMA DEL TEATRO ALLA FINE DEL SETTECENTO Tra il ’97 e il ’99 Napoleone trasforma i vecchi Stati italiani in Repubbliche, con costituzioni simili a quella francese del 1795: le più importanti sono la Repubblica Cisalpina, comprendente la Lombardia e l’Emilia e che nel 1802 diventa Repubblica Italiana, la Repubblica Romana, corrispondente allo Stato della Chiesa, e la Repubblica Partenopea, fondata nel 1799 e comprendente i territori del Regno di Napoli. Tra la fine del ’96 e il corso del ’97 Milano era diventata il maggior centro del patriottismo giacobino italiano: nella città lombarda erano infatti affluiti esuli provenienti da tutte le regioni, che avevano avviato dibattiti e discussioni sulla possibilità di una nuova sistemazione politica della penisola. Anche il teatro diventa oggetto di discussioni; i primi tentativi di riforma del teatro italiano appaiono nel periodo giacobino: in Francia la legge del 13-19 febbraio 1791 sugli spettacoli, abolendo ogni disposizione precedente, aveva proclamato l’assoluta libertà per ogni genere di attività teatrale, e il movimento giacobino italiano fonda su questo provvedimento le proprie idee ed azioni. Si combattono le vecchie convenzioni teatrali e si affida al teatro la funzione di assemblea educatrice del popolo. Si indicono concorsi pubblici per progetti relativi all’organizzazione dei teatri nazionali con premi in denaro. Il 4 novembre 1797 vengono pubblicati nel giornale “Termometro politico della Lombardia” due regolamenti, il Decreto per il teatro del governo provvisorio bresciano e il Piano disciplinare per il teatro del governo provvisorio, coi quali si tenta di uniformare la legislazione teatrale nella Repubblica Cisalpina e si dettano norme riguardanti il repertorio: “(…) si vietano i drammi in musica considerati corruttori dei costumi, si proibiscono gli addobbi troppo lussuosi nei palchi, si afferma che il teatro è una scuola di pubblica istruzione, si proibiscono le rappresentazioni in maschera, si introduce il concetto di “prezzo politico” per l’ingresso nei teatri, posti sotto la direzione di una commissione composta di tre 70 membri eletti dal governo” . Un’altra proposta, pubblicata nel “Termometro” il 26 luglio 1796, è quella costituita dalle Norme per un teatro nazionale proposte dal cittadino Francesco Saverio Salfi. 70 L. TREZZINI, Società e legislazione, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, diretta da R. Alonge, G. Davico Bonino, Torino 2000, vol. II, p. 1026. 27 In essa “(…) si indica nei drammi francesi post-rivoluzione l’esempio da seguire per la rifondazione della drammaturgia nazionale; si auspica la costituzione di una compagnia nazionale di attori, buoni patrioti, “onesti ed abili”, modello di virtù per tutti i cittadini (…); si considerano gli attori un organo della pubblica istruzione; si richiede la costituzione di un fondo, a garanzia delle municipalità, per il mantenimento dei teatri, protetti e amministrati dalle medesime, togliendoli così agli impresari; negli interventi si dà la priorità al teatro di “declamazione”, e poi a quello di 71 musica e di danza” . 71 G. AZZARONI, Del teatro e dintorni. Una storia della legislazione e delle strutture teatrali in Italia nell’ottocento, Roma 1981, pp. 204-205. Nel giornale del 29 ottobre 1808 (collezione privata) si menziona il viaggio compiuto da Alessandria a Savona - via Acqui da S.A. il Principe Borghese, Governatore Generale. 28 LA STORIA LA RIFORMA DEI TEATRI Il 1° luglio 1798 il Gran Consiglio della Repubblica cisalpina approva la proposta della commissione sui teatri, riguardante il problema della riforma del teatro, proposta che diventa legge per tutto il territorio della Repubblica. Riportiamo di seguito alcune delle principali affermazioni: “Tre soli mesi all’anno si rappresenteranno opere in musica così dette serie o buffe (…); negli altri nove mesi si reciteranno tragedie e commedie patriottiche”; “Le tragedie che si recitano ispireranno odio al governo dei tiranni, coraggio e fierezza repubblicana, commiserazione per l’innocenza oppressa”; “La commedia smaschererà l’orgoglio brutale dell’aristocrazia, l’impostura dell’ipocrita superstizione, l’ambizione ridicola del ricco, le cabale dell’intrigante, l’avarizia del provvisioniere, la venalità di un magistrato, l’infamia del falso patriota. Essa avrà una plenipotenza universale di censura sul costume del tempo”; “Fra un atto e l’altro si canteranno arie patriottiche, o almeno se ne suonerà la musica”; “Ne’ capiluoghi di dipartimento si formano delle compagnie nazionali. I maestri di eloquenza delle scuole centrali istruiscono nella declamazione teatrale quei giovani dell’uno e dell’altro sesso, che avendo buone disposizioni, vogliono ascriversi nelle compagnie medesime”; “Il potere esecutivo è incaricato di assicurare in ogni capoluogo di dipartimento e in ogni altro almeno contenente tra le sue mura ottomila abitanti, un teatro di proprietà nazionale”; “Questi teatri vengono amministrati diretta- mente a conto della nazione dalle amministrazioni locali, secondo le norme che saranno prescritte”; “Ogni anno le amministrazioni dipartimentali sono tenute a pubblicare a parte colla stampa lo stato attivo e passivo dell’azienda dei teatri, le spese tanto ordinarie quanto straordinarie occorse e l’introito delle somme ricevute”; “In tutti i teatri dichiarati di proprietà nazionale si distruggeranno tutte le divisioni tra palchetto e palchetti, e se ne forma una loggia sola aperta a tutto il popolo”; “Il potere esecutivo dà le norme opportune alle amministrazioni locali, onde l’ingresso per le recite sia fissato al minimo prezzo possibile per più facile concorso de’ cittadini”; “Ogni sera di decade ed ogni sera di festa nazionale il teatro sarà dato al popolo gratuitamente. Le amministrazioni distribuiranno per tali sere biglietti preferendo quei cittadini che, a cagione del loro stato, negli altri giorni frequentano meno il teatro”. Gli avvenimenti politici impedirono l’attuazione di questo piano di riforma. Nei vari progetti di legge, che propongono la moralizzazione del teatro, Arlecchino e le maschere della commedia dell’arte vengono presentati come i nemici più pericolosi: gli editti del 18 gennaio 1801 e dell’8 gennaio 1802 ne vietano l’utilizzo. R.Br. Cfr. anche G. AZZARONI, op. cit., pp.195 e 207209. LA STAGIONE DI CARNEVALE DEL 1803 a cura di G.Sa. “Bello al veder in sull’Acquesi scene, andar fastoso oggi desio d’onore, chi esprime al vivo un de l’Epèe, chi ardore dimostra nella Nina…” Da un sonetto di Vincenzo Radicati, scritto per il Carnevale 1803 (per il cui testo completo rimandiamo alla p. 53), possiamo trarre indizi di un cartellone di inizio Ottocento, in cui son citati poeticamente i titoli degli allestimenti - c’è la Vedova, la Scoseze, i Franchi, la Clementina indicati in modo criptico. Con tutte le cautele del caso proponiamo di scioglierle come segue. 29 Interno di teatro di fine Settecento. Iniziamo da l’Epée. Dovrebbe trattarsi de L’Abbé de l’Epée, comédie historique, en cinq actes et en prose, par J[ean] N[icolas] Bouilly [1763-1842], membro della société philotechnique, che il frontespizio del libretto (chez André, imprimeur-libraire, rue de la harpe, nº. 477 [Parigi] ) dice rappresentato per la prima volta il 23 frimaio dell’anno VIII, ovvero il 14 dicembre 1800. Non inganni il luogo di rappresentazione (Palazzo di Giustizia) e professione principale dell’autore (avvocato): il Nostro scrisse per molti compositori del tempo, fra cui Auber, Dalayrac, Méhul, Morlacchi, Cherubini, “inventando” la storia di quella Léonore (musicato da Gaveaux nel 1798), da cui Sonnleithner trasse il libretto per il Fidelio di Beethoven. Da notare poi la “deriva italiana” che si attuerà per merito di Giuseppe Mosca (17721839), che con la collaborazione del librettista Luigi Ricciuti porterà sulle scene l’opera in italiano, a Napoli nel 1826. Quanto alla Nina, si tratta dell’opera di Paisiello, che “La Gazzetta di Firenze” (1 giugno 1822) non esita a giudicare - con Sisara di Guglielmi, Orazi e Matrimonio Segreto di Cimarosa - “capo d’opera in tutti i luoghi e in tutti i tempi”. La celebrità ci induce alla sintesi. Passiamo così alla Vedova. Potrebbe trattarsi della Teresa Vedova di Vittorio Trento (1761 - 1833), libretto di Giulio Artusi, che sappiamo essere andata in scena a Venezia nel 1801 (Teatro Venier in S. Benedetto nella stagione di carnovale, di cui fa fede il libretto stampato in Venezia dal Casali) e a Torino nell’autunno del 1802. Non solo. Nel 1803 la Teresa vedova, farsa per musica tratta fedelmente dalla commedia di questo titolo dall’abate Giulio Artusi veneziano venne a stampata a Milano da Pirola, e ciò può essere inteso come indizio di una certa fortuna. La vicinanza geografica, confermata dai contatti che gli acquesi ebbero con il mondo subalpino, e poi anche la cronologia suggerisce se non un percorso, almeno una suggestione, che sembra valere anche per l’Ariodante o Ginevra di Scozia, libretto di Gaetano Rossi e musica di Giuseppe Mosca, andata in scena il 27 gennaio 1802 a Torino.Tratto dal Furioso (canti IV, V e VI), il soggetto già celebre dal Cinque (tragedie in prosa e commedia dell’arte) al Settecento per merito di Vivaldi e poi di Pollarolo (1718), Sarro (1720) ed Haendel (1735), venne ulteriormente promosso da un lavoro drammatico di Giovanni Pindemonte. Il poeta lo rappresentò con vivo successo nel 1795 al Teatro di San Gio- 30 vanni Grisostomo in Venezia, dal quale venne tratto il libretto dell’opera Ginevra di Scozia di Simone Mayr (1801). Questa inaugurò il teatro di Trieste e assicurò un’ampia risonanza al nome dell’operista, il quale divenne - sino al folgorante avvento di Rossini - il compositore teatrale più acclamato d’Italia. Da notare poi che quest’opera anticipa, curiosamente, un’altra Ginevra che quasi novant’anni dopo calcherà il teatro acquese. Sarà quella la Ginevra di Giuseppe Vigoni (di lui si parla anche nel box di approfondimento di p. 182) su testo della marchesa Teresa Venuti di Roma, pronta ad attingere alle pagine di Lord Alfred Tennyson che pone nella fabula Artù, Lancillotto, Tristano, il Sire ed Eliana d’Astolat. Il libretto conservato però non è acquese, ma fu impresso già nel 1891 a Città di Castello, come si evince dagli esemplari conservati presso la Fondazione Cini di Venezia. Quanto ai Franchi, l’ipotesi (e nulla più) è che il titolo possa alludere alla Comédie lyrique Les Paladins (1760) di Jean-Philippe Rameau, mentre con la Clementina, Vincenzo Radicati poteva riferirsi alla Clementina e Dorvigni ossia La forza delle passioni, esito dell’ispirazione del marchese bolognese Francesco Albergati Capacelli (1728 - 1804), scrittore, politico e commediografo italiano. Quali conclusioni si possono tirare una volta identificate le opere? Certo nessuna riflessione si può proporre circa le qualità degli allestimenti, poiché nulla sappiamo degli artisti coinvolti e delle musiche: il repertorio scelto, però, testimonia un gusto assai aggiornato, che attinge tanto ai più celebri compositori transalpini, quanto ad un “canone” che tre teatri guida del settentrione d’italia - come quelli di Venezia, Milano e Torino - stanno fissando, e al quale risulta naturale adeguarsi. Acqui, dunque, piccola piazza, ma aggiornata e “alla moda”. Il segno forse anche di una vocazione “internazionale” che certo Napoleone e la sua amministrazione, se avessero potuto, avrebbero incentivato. Non a caso, per i francesi il teatro era una priorità... IL TEATRO IN ACQUI A INIZIO OTTOCENTO Il Piemonte viene annesso alla Francia nel settembre del 1802 e successivamente suddiviso in Dipartimenti, secondo l’organizzazione già esistente nell’impero francese. La struttura del Dipartimento francese è imperniata sul Prefetto, figura direttamente in contatto col Ministero dell’Interno, assistito da un segretario generale di prefettura nominato dal Governo. Il Dipartimento è suddiviso in circondari, ciascuno con a capo un sottoprefetto di nomina governativa, strettamente dipendente dal Prefetto ed affiancato da un consiglio di circondario che riproduce in piccolo le caratteristiche del Consiglio generale. 31 In ogni comune c’è un Sindaco, nominato dall’Imperatore nei grandi centri e dal Prefetto in quelli piccoli, con uno o più vice sindaci, affiancati da un Consiglio municipale anch’esso con funzioni consultive. I Comuni sono raggruppati in cantoni, ossia circoscrizioni giudiziarie (ogni cantone è sede di un giudice di pace) ed elettorali; il Sindaco del capoluogo di cantone è spesso chiamato a coordinare l’attività amministrativa della propria zona, per esempio a proposito della raccolta d’informazioni statistiche72. La città di Acqui, dapprima appartenente al Dipartimento del Tanaro, soppresso il 23 settembre 1805, entra a far parte del Dipartimento di Montenotte, nato con il Decreto del 6 giugno 1805, e diventa capoluogo di cantone73. Il primo ad essere nominato alla Prefettura del Dipartimento è Nardon nel luglio 1805, il quale s’insedia nella città di Savona, capoluogo del Dipartimento, nel mese di settembre. Dopo pochi mesi però Nardon viene trasferito alla sede di Parma con decreto imperiale del 28 gennaio 1806 e sostituito dal giovane conte di Chabrol74. Le informazioni sulla situazione teatrale acquese di quel periodo derivano dalla documentazione relativa a due indagini promosse dal governo di Parigi, la prima nel 1806 e la seconda nel 1813. Il Decreto imperiale dell’8 giugno 1806 sugli spettacoli contiene alcune disposizioni particolari sui teatri dei dipartimenti: nelle grandi città dell’Impero i teatri sono ridotti a due, nelle altre città non può sussisterne che uno, mentre per tutti è necessaria l’autorizzazione del Prefetto; le compagnie ambulanti possono sussistere solo con l’autorizzazione del Ministro dell’Interno e della polizia; il Ministro dell’Interno avrebbe designato i circondari destinati alle compagnie ambulanti, preavvisandone i Prefetti; in ogni capoluogo di Dipartimento solo il teatro principale ha il diritto di dare balli in maschera75. Per l’esecuzione di queste disposizioni il Ministro dell’Interno aveva bisogno di precise indicazioni sulla situazione teatrale nei Dipartimenti. Con una circolare del 28 luglio 1806 il Ministro dell’Interno Champagny chiede ai Prefetti alcune informazioni: qual’è la situazione degli spettacoli nel Dipartimento; quali città, per popolazione e risorse particolari, sono in grado di mantenere una o due compagnie di commedianti; se le compagnie d’ambulanti possono mantenersi senza inconvenienti, e quali circondari conviene loro designare76. 32 72 G. ASSERETO, Il dipartimento di Montenotte: amministrazione, economia e statistica, in G.CHABROL DE VOLVIC, Statistica delle Provincie di Savona, di Oneglia, di Acqui e di parte della provincia di Mondovì, che formavano il dipartimento di Montenotte, a cura di G. Assereto, Savona 1994, vol. I, p. 73, nota 25. 73 Ibidem, pp. 64-66. 74 Ibidem, pp. 71-74. 75 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, Traitè de la Législation et de la Jurisprudence des théatres, Paris 1855, vol. II, p. 431. 76 ASS, D.M., 50, cart. 2. Il Sottoprefetto di Acqui Giuseppe Filli risponde, con una lettera datata 9 agosto: “Monsieur, Dans mon arrondissement il n’y a que la seule ville d’Acqui, où des comédiens pourraient se maintenir pendant une partie de l’année, c’est-a-dire au Carnaval et au printems; mais cette ville n’a aucune salle de Spectacle et nul moyen pour s’en procurer une. Je vous observerai aussi, que lors même qu’il y eût à Acqui une salle de spectacle, des Comédiens ambulans n’y feraient pas une grande ressource, e il faudrait que la troupe fût bien 77 peu nombreuse, pour pouvoir s’y soutenir” . [Signore, nel mio distretto non c’è che la sola città d’Acqui, dove dei commedianti potrebbero mantenersi durante una parte dell’anno, vale a dire nella stagione di carnevale e in primavera; ma questa città non ha alcuna sala di spettacolo e nessun mezzo per procurarsene una. Io vi farei poi osservare che anche se ci fosse ad Acqui una sala per spettacoli, non costituirebbero una grande risorsa e bisognerebbe che la compagnia fosse poco numerosa per potersi sostentare.] 77 Ibidem. Ordine napoleonico di cantare il Te Deum per la vittoria di Austerlitz. L’immagine è riprodotta nel volume Visone. Vita quotidiana nei secoli, Alessandria 1994. 33 Un documento trovato nell’Archivio di Stato di Savona dispone in forma di modello le informazioni richieste dal Ministro nella suddetta circolare: le città che possono fornire mantenimento ad una compagnia di commedianti risultano essere Savona, Acqui, Ceva, Porto Maurizio, solo durante il Carnevale e la primavera e purché la compagnia sia ben poco numerosa, e Pietra; quanto alla seconda domanda, si risponde che le compagnie ambulanti potrebbero mantenersi solo se il loro numero non eccedesse le dieci persone, per le quali esisterebbero delle case particolari da affittare; quanto alle aree da designare loro, saranno i circondari dei rispettivi Dipartimenti; infine si scrive che la situazione attuale degli spettacoli per Pietra è buona, mentre per le altre città del dipartimento “est dangereuse étant la plus pitoyable: il faudrait inculquer les principes de civisme et de morale consacrés dans la cité pièce du Père de famille78” [è pericolosa e la più pietosa: bisognerebbe inculcare i principi di civismo e morale consacrati nell’opera del Padre di famiglia]; si aggiunge inoltre che la commedia e la tragedia sono da preferire all’opera79. Con l’Ordinanza del 25 aprile 1807, redatta dal Ministro dell’Interno in esecuzione del più generale Decreto dell’8 giugno 1806, si dividono i teatri di Parigi in grandi teatri e teatri secondari, e si stabiliscono i repertori dei teatri dipartimentali. Nel Titolo II si afferma che le compagnie permanenti o ambulanti possono recitare opere del repertorio sia dei grandi teatri, sia dei teatri secondari. Nelle città con due teatri, il principale gode specialmente del diritto di rappresentare le opere del repertorio dei grandi teatri, e con l’autorizzazione del Prefetto quelle del repertorio dei secondari; il secondo teatro gode specialmente del diritto di rappresentare opere dei teatri secondari, e solo in alcuni casi può scegliere le opere del repertorio dei grandi. Nel Titolo III si designano le circoscrizioni destinate alle compagnie di commedianti ambulanti. Le città impossibilitate ad offrire spettacoli durante l’intero corso dell’anno sono classificate in modo da formare 25 circondari: ad ogni circondario è assegnato un impresario di spettacoli, il quale non può ingaggiare compagnie di un altro circondario, senza l’autorizzazione del Ministro dell’Interno e del Ministro della polizia generale. Gli impresari presentati per questo o quel circondario devono, prima del 1° agosto del 1807 e dell’anno successivo, comunicare il numero degli attori della compagnia, l’epoca e la durata del soggiorno nella città della circoscrizione assegnata. La durata dell’autorizzazione è di tre anni al massimo; le condizioni alle quali sottostanno le concessioni sono comunicate ai Prefetti e dagli stessi ne viene sorvegliata l’esecuzione; l’inosservanza delle condizioni provoca la revoca dell’autorizzazione e, in alcuni casi, il pagamento di un’indenni- 34 78 Si riferisce all’opera di D. Diderot del 1758. 79 ASS, D.M., 50, cart. 2. tà alla cassa dei poveri. Il Ministro della polizia generale, una volta ottenuta una copia dell’autorizzazione dal Ministro dell’Interno, concede all’impresario, in caso di mancanza d’inconvenienti, una particolare approvazione. Nelle città in grado di offrire spettacoli tutto l’anno, e in quelle con due teatri, l’autorizzazione a stabilirvi una compagnia è accordata dal Prefetto, e rilasciata nel corso del 1807 80. Il sistema degli “arrondissements théatraux” verrà esteso ai teatri italiani solo nel 1813. Con una circolare del 1° luglio 1808 il Ministro dell’Interno Cretet, informato che alcuni impresari di spettacoli detti “di curiosità”, quali danze della corda, acrobazie, esercizi d’equitazione, si permettono di far recitare pantomime e altre opere drammatiche, invita i Prefetti a dare i più pronti ordini per impedire che continui tutto ciò, ossia che tali impresari mettano in scena opere che appartengono all’arte drammatica81. 80 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, op. cit., vol. II, pp. 436-438. 81 ASS, D.M., 50, cart. 2. Lettera del 10 ottobre 1810 del capocomico Biaggio Visconti. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 35 Il 10 ottobre 1810 il capocomico Biaggio Visconti scrive una lettera al Sindaco di Acqui per avere informazioni sul teatro della città, non sapendo quale ne sia il direttore82. Non siamo in possesso della risposta del Sindaco, utile per capire di che teatro si tratti; occorre però osservare che nel catasto napoleonico, datato 1810, l’edificio Borreani non viene più indicato come teatro83. Nella circolare del 1° marzo 1812 il Ministro dell’Interno Montalivet informa il Prefetto dell’impossibilità di eseguire il piano d’organizzazione generale dei teatri per la stagione teatrale successiva, e della conseguente proroga della normativa vigente fino alla fine del medesimo anno: saranno quindi riconosciuti come Direttori privilegiati gli imprenditori già muniti di brevetto84. Nel dicembre dello stesso anno, essendo giunti al momento del rinnovo dei privilegi per le direzioni dei circondari dei teatri, il Ministro richiede informazioni sulle diverse compagnie e sul modo in cui il servizio è svolto. In particolare chiede: come svolge i suoi impegni il direttore della compagnia che serve la città; il numero degli attori della compagnia e il nome degli attori principali; in quale tempo la compagnia servirà ciascuna delle città del Dipartimento e per quanto vi resterà; quale sala di spettacolo occuperà; quali di queste sale appartengono al Comune e quali ai privati; il prezzo d’affitto delle sale e attraverso quale persona è pagato. La scelta del repertorio è un argomento molto importante: i Direttori dovranno sottoporre all’autorità il repertorio intero e i Prefetti dovranno inviarlo al Ministro, indicando quali piece sono recitate nelle loro città e l’accoglienza che ricevono. I Direttori non potranno aggiungere alcun pezzo senza l’assenso del Ministro, oppure, in caso d’urgenza, del Prefetto, che dovrà in ogni caso comunicare il fatto. Il Ministro chiede di avere risposta alle precedenti domande entro la fine di gennaio85. Il contenuto della risposta del 24 dicembre del Prefetto di Montenotte è desumibile dalla lettera inviata dal Ministro al Prefetto il 9 gennaio 1813: non esisteva una compagnia regolare d’attori per il Dipartimento di Montenotte, ma solo commedianti isolati che, in qualche periodo dell’anno, si adunavano in qualche città per darvi alcune rappresentazioni. Montalivet descrive una situazione teatrale non buona: quella delle imprese delle grandi città è disprezzabile, mentre la direzione delle compagnie delle città secondarie è in uno stato di disordine. Per regolarizzare il servizio teatrale il Ministro comunica la sua volontà di estendere ai Dipartimenti al di là delle Alpi il sistema adottato nei Dipartimenti dell’Ancien Régime. I Dipartimenti di Genova, di Montenotte e degli Appennini vengono riuniti nel circondario dei teatri n. 46: 36 82 83 84 85 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. BCAT, Cartella Catasto napoleonico, in corso di catalogazione. ASS, D.M., 50, cart. 2. Ibidem, Circolare del 2 dicembre 1812. esso sarà suscettibile di avere compagnie stazionarie per le città che potranno mantenere spettacoli durante tutto l’anno, e compagnie ambulanti per quei Comuni che potranno offrire spettacoli solo durante una stagione; i Direttori delle compagnie saranno nominati su presentazione dei Prefetti. Per aiutare i Prefetti nell’organizzazione viene designato un commissario a loro disposizione: è Jean Giraud, autore drammatico, conosciuto nel Dipartimento di Montenotte, il cui compito sarà quello di sorvegliare i Direttori, i repertori, le rappresentazioni, far pagare i diritti per i poveri e per gli autori, comunicare con i Prefetti ed eseguirne le istruzioni, rendere conto ogni tre mesi della posizione delle imprese86. 86 Ibidem. 1809. Invito a cantare il Te Deum per ulteriori vittorie napoleoniche. L’immagine è riprodotta nel volume Visone. Vita quotidiana nei secoli, Alessandria 1994. 37 Nella lettera del 22 maggio 1813 Montalivet fornisce le istruzioni relative alle condizioni da imporre ai direttori e i privilegi da accordare, oltre a misure particolari per tenersi al corrente sulla situazione delle imprese. Tutti i direttori devono, all’inizio di ciascun anno teatrale, sottomettere la lista degli attori al prefetto del Dipartimento dove si trova la città principale del circondario servito, affinché egli la rimetta al Ministro con le proprie osservazioni; lo stesso procedimento è previsto per il repertorio generale della compagnia; i direttori delle compagnie ambulanti devono inviare ai Prefetti, tutti gli anni, il loro itinerario; i Direttori non possono avere subappalti; se hanno due compagnie, devono avere per ciascuna di esse un regista a loro conto, e comunicarne il nome al Prefetto. I direttori delle compagnie stazionarie e ambulanti godono dei privilegi dei balli mascherati e hanno diritto a percepire un quinto sull’introito lordo degli spettacoli di curiosità, danze della corda, cavallerizzi, fisici, ed altri esercizi del medesimo genere, dopo il prelevamento dei diritti per i poveri87. Si stabilisce inoltre che i Prefetti rendano conto, ogni tre mesi, della condotta dei direttori delle compagnie stazionarie e ambulanti, e sottopongano al Ministro dell’Interno lo stato degli introiti e delle spese delle compagnie88. Il regolamento del 19 agosto 1814 e 13 maggio 1815 ripete e amplia le norme cui sono sottoposte le Province. Ogni circondario in cui è suddiviso l’Impero comprende uno o più Dipartimenti, a seconda del numero delle città in grado di offrire spettacoli; esso può avere due tipi di direttori: direttori di compagnie permanenti per le città con spettacoli permanenti, designati dai Prefetti e nominati dal Ministro dell’Interno, con autorizzazione accordata per uno, due, tre o più anni; direttori di compagnie ambulanti per servire i comuni che non possono avere spettacoli ogni anno, scelti dal Ministro sulla base delle note del Prefetto, con autorizzazione valevole per non più di tre anni. I Direttori, dopo aver dato prova della possibilità di sostenere un’impresa teatrale (in alcuni casi avendo anche pagato una cauzione in immobili), ottenuto il brevetto, devono recarsi dal Ministro della Polizia generale per ricevere gli ordini. Importante era prendere tutte le misure perché tutti i Comuni divenissero proprietari di sale teatrali, e disporre che nelle città prive di sale pubbliche o private, ma suscettibili di offrire spettacoli, se ne costruisse almeno una89. Uno stato delle città del Dipartimento di Montenotte suscettibili d’avere un corso di rappresentazioni in alcune stagioni dell’anno, spedito al Prefetto di Genova il 25 agosto 1813, c’informa che la città di Acqui 38 87 In Francia esisteva fin dal XVI secolo un’imposta speciale sull’esercizio dei teatri e degli spettacoli; essa rappresentava un rimborso per i poveri per i danni arrecati dal teatro, che, allontanando il popolo dal servizio divino, riduceva la consistenza delle elemosine; l’imposta, prorogata per diversi anni, divenne definitiva con il Decreto del 9 dicembre 1809 (G. AZZARONI, op. cit., p. 25). 88 ASS, D.M., 50, cart. 2. 89 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, op. cit., vol. II, pp. 445-449. avrebbe potuto dare un numero di 30 rappresentazioni durante la stagione dei bagni. La commedia è il genere preferito dagli abitanti, e si osserva che le città di Acqui, Finale e Porto Maurizio amano ugualmente l’opera in musica e la commedia, ma che il primo genere di spettacolo è troppo costoso perché una compagnia di musicisti “puisse y trouver son compte” [possa ottenere buoni guadagni]; le città, del resto, non possono fornirsi “de joueurs d’instrumens pour faire marcher le spectacle” [di strumentisti per ben condurre lo spettacolo], di conseguenza la commedia “est le seul [genre] qui peut leur convenir” [è la sola forma di rappresentazione adatta]. Durante la stagione dei bagni in Acqui e a Carnevale nelle altre città, “une troupe peu nombreuse pourra y trouver des ressources suffisantes dans le concours du public qui aime à s’amuser dans ces Saisons de préference à toutes autres”90 [una compagnia poco numerosa potrebbe trovare risorse sufficenti in rapporto al più numeroso pubblico che ama divertirsi più in queste stagioni rispetto ad altre]. Bains civils d’Acqui. Progetto di trasformazione del convento di San Francesco in bagni termali e teatro per la città (1813). BCAT, Disegni, in corso di catalogazione. 90 ASS, D.M., 50, cart. 2. 39 Il 26 agosto 1813 il Sottoprefetto di Acqui Filli descrive al Prefetto di Montenotte la situazione della città, fornendo le informazioni richieste con lettera del 24 dello stesso mese. Nelle Città di Acqui e di Nizza Monferrato esistono sale per spettacoli, le quali però appartengono a privati, e non posseggono del teatro che il nome: quella di Nizza è pressoché sempre chiusa, ed è impossibile che una compagnia appena mediocre vi trovi un beneficio sufficiente per mantenersi; quella di Acqui resta ordinariamente aperta durante la stagione dei bagni. Il Sottoprefetto riporta alcune informazioni contraddittorie rispetto alle affermazioni che compaiono nel documento precedentemente citato: il genere di spettacolo che sembra piacere di più è l’opera buffa, “c’est aussi le moins dispendieux, à cause que le nombre d’auteurs nécessaire est bien plus petit que pour la comédie [lirique], tandis qu’ici l’orchestre ne coûte rien, étant toute composée d’Amateurs (et ces Amateurs ne voudraient peut-être pas jouer à la comédie)”[e anche la meno dispendiosa, poiché il numero di attori necessario è ben inferiore a quello del melodramma e, inoltre, qui l’orchestra non costa nulla, essendo tutta composta da dilettanti (e questi dilettanti non vorrebbero, non saprebbero suonare nel melodramma)]; malgrado questo “les Entrepreneurs de ces spectacles ne font point fortune ; le dernier est parti en laissant ici quatre à cinq cent francs de dettes” [gli impresari di questi spettacoli non fanno fortuna; l’ultima è partita lasciando quattro o cinquecento franchi di debito]. Filli spera in un miglioramento della situazione per le compagnie con la costruzione dei nuovi Bagni Civili91. Un decreto imperiale del 23 maggio 1806 aveva infatti disposto la consegna dei “bagni di Acqui” all’Amministrazione della guerra; nel successivo mese di luglio Chabrol si era recato nella città e si era accordato col Generale del genio Chasseloup per lasciare una parte delle terme a disposizione dei civili, ma nel contempo si era preoccupato di far progettare un nuovo stabilimento, fortemente reclamato dalla città. Il nuovo edificio doveva sorgere nel centro della città, più precisamente nell’ex convento di San Francesco: Chabrol aveva già fatto redigere un progetto, calcolato i costi, e chiedeva al governo un finanziamento per iniziare i lavori. Il 28 marzo 1807 un decreto imperiale aveva accordato alla città il convento di S. Francesco per costruirvi i bagni civili. Si stese un nuovo progetto, che prevedeva la riunione nell’edificio di appartamenti, sale per riunioni e un teatro. Il Consiglio municipale, benché ritenesse eccessivo per le magre finanze acquesi il preventivo di spesa di 125.000 franchi, considerando la bellezza e l’utilità dell’edificio, aveva aperto un prestito civico di 100.000 franchi, e invitato gli abitanti a concorrere alla costruzione con forniture gratuite di materiali e di manodopera; aveva inoltre suggerito a Chabrol di cercare un imprenditore disposto ad assumersi il carico dei lavori in cambio di una con- 40 91 Ibidem. cessione a lungo termine dello stabilimento termale. Due progetti inviati a Parigi, l’uno dell’ingegnere dei Ponti e Strade Coïc, l’altro dell’architetto torinese Monsignore, furono bocciati dal Conseil des bâtiments civils, ma seguiti da progetti di modifica che si trascinarono per lungo tempo. Nonostante l’offerta di due impresari, Pier Giorgio Vanni e Pietro Antonio Gastaldi di Netro, di eseguire i lavori in cambio di uno sfruttamento per 16-18 anni, e le sollecitazioni del Consiglio generale del Dipartimento a prendere una decisione in proposito, sul finire del 1810 nulla ancora si era mosso. Solo alla fine del 1811 il Conseil des Bâtiments civils decise di approvare un terzo progetto dell’architetto parigino Guillot, ma trascorse un altro anno prima che fosse emanato, l’11 agosto 1812, il bando per l’appalto dei lavori. Il preventivo di spesa ammontava a franchi 151.195,21, ma dall’appalto era stato escluso il progetto relativo al teatro, per il quale si prevedeva una spesa aggiuntiva di 111.000 franchi circa. La gara fu vinta, con un ribasso del 2,5 %, dal suddetto Gastaldi e dal suo socio Giuseppe Colombino, due dei più importanti impresari di opere pubbliche di quegli anni, i quali però poco dopo chiedevano un ulteriore finanziamento di 28.876,55 franchi. La caduta del regime bloccò i lavori, lasciando aperta una lunga controversia tra il governo francese e l’architetto Guillot, che avrebbe sollecitato ancora a lungo il pagamento del proprio onorario92. Senza un edificio teatrale adeguato, sfumata la prospettiva di una maggior affluenza di forestieri prevista con i nuovi bagni civili, era inutile sognare di avere una compagnia di dodici o quindici commedianti, quando già una compagnia d’opera buffa con sei o sette attori faticava a trarre guadagni. Da una lettera del Commissario Giraud del 28 agosto 1813, inviata al conte Brignole, Prefetto di Montenotte, pare che ad essere incaricato della direzione del servizio teatrale del Dipartimento dovesse essere un certo sig. Ferro93; qualche mese dopo il Ministro dell’Interno comunica al conte Brignole la nomina del sig. Bianchi a direttore dei teatri del 46° circondario, con autorizzazione valida dal 1° dicembre 1815 fino al 30 novembre 1816. Il Ministro si sofferma a chiarire l’obiettivo del sistema adottato per i teatri, con parole che rendono bene l’idea della situazione delle compagnie nel primo Ottocento: il sistema tende a mettere le imprese teatrali più alle dipendenze dell’autorità di quanto lo siano state fino a quel momento e a distruggere le cattive piccole compagnie che trasportano di borgo in città la loro miseria e il loro cattivo gusto. Egli avrebbe piacere che la compagnia francese passasse qualche tempo a Savona, e invita il Prefetto a rivolgersi alla 92 G. CHABROL DE VOLVIC, op. cit., vol. I, pp. 306-307, nota 116. 93 ASS, D.M., 50, cart. 2. 41 Direttrice94: si riferisce alla compagnia di madamoiselle Raucourt, che aveva recitato in Italia tra il 1807 e il 1813. Tra le varie misure che il Commissario Giraud aveva proposto per migliorare il sistema, vi era quella di assicurare agli autori il pagamento dei diritti per le loro opere rappresentate: l’esecuzione di queste misure aveva creato qualche problema, tanto che nella circolare del 12 ottobre 1812 il Ministro aveva riferito dei reclami ricevuti dagli autori sul rifiuto di molti impresari di pagar loro i diritti, e aveva invitato i Prefetti a far rispettare gli articoli dei decreti del 1791, 1793 e del 180695. Per assicurare l’incasso dei diritti d’autore l’avvocato Filippo Talucchi di Torino aveva proposto di stabilire nella sua città un’Agenzia Drammatica su imitazione di quelle di Parigi, proposta approvata dal Prefetto del Dipartimento del Po con ordinanza del 20 agosto 1813 e gradita al Ministro dell’Interno. Con lettera del 15 settembre 1813 l’avvocato Talucchi invia esemplari del piano al Prefetto di Montenotte, per farlo conoscere agli amministrati tramite pubblicazione sul giornale96. Nella sua lettera del 26 agosto 1813 il Filli affermava che Acqui disponeva di una sola sala di spettacoli privata: un documento trovato nell’Archivio di Stato di Torino, contenuto nel fascicolo Provvedimenti per far rientrare gli ebrei nel ghetto e datato 20 ottobre 183097, ci rivela l’esistenza di una sala adibita a questo scopo, dopo il 1812, nella Chiesa di Sant’Antonio. Dopo la soppressione della Chiesa da parte del governo napoleonico, la confraternita di Sant’Antonio era stata infatti trasferita dalla Curia Capitolare nella vicina chiesa di S. Paolo: il vecchio oratorio di Sant’Antonio era stato concesso al Comune, come da Convocato della Confraternita del 1° giugno 1812, in seguito alle sollecitazioni del Viceprefetto Filli, con l’idea di costruirvi un’ala ad uso di mercato (il denaro ricavato era stato impiegato per restaurare la chiesa di S. Paolo, degradata dopo essere stata per lungo tempo adibita al servizio militare). Ma il locale non era mai stato ridotto ad ala pubblica per uso di mercato, piuttosto era stato adibito “ad altro uso indegno, cioè ad uso di prigione per li ladri di campagna, e per le donne di cattiva vita”98; oltre a questo aveva anche “servito ad ogni uso profano, cioè per Magazeno, Teatro, Saltimbanchi, ed ora per falegname, sempre stata affittata da questa Civica Amministrazione col prodotto di lire cento annue”99. Nonostante le disposizioni francesi tese a migliorare la situazione teatrale italiana, le compagnie continuano a fare pessimi affari: se il 20 apri94 95 96 97 42 Ibidem, Lettera del Ministro dell’Interno del 7 ottobre 1813. Ibidem. Ibidem. AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. 37, mazzo 7 da inventariare, Lettera del Regio Comandante della Città e Provincia d’Acqui. 98 AVA, Confraternita di Sant’Antonio, fald. 36, cart. 2, fasc. 3, Convocato della Confraternita di Sant’Antonio, s. d.. 99 AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. 37, mazzo 7 da inventariare, Lettera del Regio Comandante della Città e Provincia d’Acqui del 20 ottobre 1830. le 1814 il Direttore dei teatri Bianchi scrive al Prefetto di Savona, invitandolo a sottrarre la compagnia che agisce nel suo teatro alla critica e difficile situazione in cui si trova, e a porre un freno al rischio cui va incontro100, ad Acqui il capocomico Luigi Salsilli, poiché la sua compagnia “da circa otto giorni non ha potuto aprire il Teatro per mancanza di Concorrenti, e perciò impossibilitata colle sue fatiche a procacciarsi il troppo necessario sostentamento, e senza la sensibilità d’un’umano Regista, che benché ristretto di forze ci ha somministrato il modo di prolungare l’esistenza non sarebbe più fra gli esseri”, prega il Sindaco di “rimarginare la grave ferita che la sud.a ha immeritatamente ricevuto con il farmaco salutare di vostra generosità”101. Purtroppo non siamo in grado di dire a quale teatro il Salsilli si riferisca. 100 ASS, D.M., 50, cart. 2. 101 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Lettera al Sindaco del 24 aprile 1814. La supplica del capocomico Luigi Salsilli. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Lettera al Sindaco del 24 aprile 1814. 43 APPENDICE Carnevale 1791. Bosinata composta per divertimento della nobiltà di Acqui, tratta dall’archivio privato della famiglia Brezzi di Montecastello. 44 DOCUMENTARIA IL TEATRO E LA CITTÀ LA BOSINATA La satira dialettale (del volgo ma anche dei signori), proprio nel Basso Piemonte e - più specificamente - nel Monferrato ha espresso un ricco corpus di testimonianze orali e scritte (la più antica, acquese, è del 1791) che attestano, inequivocabilmente, la vivacità del fenomeno. Bosin in dialetto milanese vale contadino, uomo rozzo di campagna. Lombarda infatti è l’origine di questa forma d’espressione popolaresca, che già nel XVI secolo viene adottata dai ceti colti. Ai carrettieri dell’Alessandrino è forse da ascrivere l’importazione di questi modi espressivi cui le classi subalterne riservarono, principalmente, il tempo del carnevale. Ma come si evince chiaramente, qui i modi furono presto adottati dai ceti colti. La bosinata consiste nella confessione pubblica dei “peccati” di una comunità, che rovescia l’esistente sollecitando la sperimentazione impunita di situazioni “diverse”. Il giorno del martedì grasso (o nell’ultima domenica del carnevale) su un carro (o un balcone, o su un palco appositamente costruito) si inscena una rappresentazione che vede protagonisti alcuni tipi fissi (Vegg, Fio, Fija – anziano, giovane e ragazza; altri se ne possono aggiungere) che mettono alla berlina i protagonisti del paese, anche con aspre critiche e salacità (riservate in particolar modo alle fanciulle in cerca di marito). Un anno, idealmente, si viene a chiudere e la bosinata (corrispettivo del testamento) assolve i compiti tanto di rito di espulsione collettiva del male, quanto di rito propiziatorio della fertilità (per questo si allude alla tematica sessuale e matrimoniale). G.Sa. Cfr. anche FRANCO CASTELLI, I peccati in piazza. Bosinate Carnevalesche in Piemonte, Alessandria 1999. Bosinata composta per divertimento della nobiltà di Acqui Terme in occasione del Carnevale 1791. Congresso seguito in casa Roberti tra la più scielta Nobiltà coll’intervento dell’Ill.mo Sig.r Governatore per formare una società danzante. 1791. IL GOVERNATORE1 Dunq lor Signori alan dispost D’unis tutti a fè balé Tut va bin: venta osservé S’a staran tutti al propost Per mi i dag mia parola Vada sing, vada des schin Purch’as daga d’bei festin I tem nen la parpajola Ch’as procuro un bel salon Con n’orchestra ben cunpia: Caffè, ed acque da de via 1 Cavalier Malabaila. 2 Cavalier Cristoforo Ghilini. E una grand luminazion L’INTENDENTE2 A dis ben Sor Governator Ch’as procuro Orchestra e Sala Un sit grand, ch’a l’abbia d’ala Ch’ai sia post pr’’l Borsuè, e ’l Sior. Mi saria d’sentiment D’fè buté su un Botteghin Come a s’usa dcò a Turin S’ pur lor autr a son content 45 IL CONTE ROBERTI3 Radicati s’ voi à veule Impresten voster salon As farà una bella union Gnune scuse! Voi a peule Per l’Orchestra ai è poc mal I ai pensà, ch’a Cremolin Ai è ancora doi bon violin Ch’as peul fesne capital E una grand luminazion CONTE RADICATI4 S’ai è nen auter c’lolì Ch’a mancheisa a fè balé Fin da des vad fè rangiè Tut a posta per sossì Venta vedde s’i associati A saran tutti content Ch’a dio pur so sentiment Ch’a comensa chiel Conte Scati CONTE SCATI MARENCO5 Già, Già, Già IL CAVAGLIERE SCATI6 Mi diria sua sala è bela E a proposit per balè Ma trop ciair venta pensè Ai andrà pr’illuminela N’autra ai nè difficoltà As propon Caffè, e rinfresch O fot sì chi stommo fresch 46 Ant sossì sommo pa obbligà CAVAGLIERE PIUMA7 Costa è n’autra, mi sai pà Dove diavol l’abio la testa Caffè, ed acque su una festa Tut lolì sicur ai va Già il lo ved, e il lo giurria Che sossì dev prest finì Un veul no, e l’auter veul si Fin da des mi m la faria IL COMMISSARIO8 Ou noster Piuma ou dis d’incant In son manc rason da dì Oui dev esse tit compì Se dnò mi mna vag, e ai piant An vrità anò mai sentì Der rason chsi strambalaie Si n’an nent d’né anter braie L’è superfl chi veno a dì! CONTE LUPi9 O fin lè ou so sentiment L’è ben gist, ch’il diggo ticc A chi r pias bagnà, a chi sicc Com si sia poi me am content Coui sia da beive manc ma erbsogna Per bagné ar sgnore ‘r Bocchin Che aiò dicc ai fazz n’anchin E amna vad an Cassarogna. 3 Francesco Spirito Roberti di Castelvero, conte (1755-1819). 4 Vincenzo Melchiorre Radicati di Passerano, conte (1752-1822). 5 Alessandro Scati-Marenco, conte (1742-1817), nel 1784 era consigliere del Comune di Acqui; morì celibe e con lui si estinse il ramo degli Scati-Marenco. 6 Guido Ignazio Scati, dei marchesi Scati, detto il Cavalier Scati (1751-1835), cadetto nel Reggimento dei Fucilieri, fu sindaco di Acqui. Nel 1800 fu tra i municipalisti d’Acqui eletto dal governo francese sedente a Torino. 7 Paolo Piuma dei conti di Prasco, cavaliere (1747-1794), ufficiale del Reggimento di Acqui, morì in combattimento. 8 Commissario non meglio identificato. 9 Giuseppe Maria Lupi di Moirano, conte (1715-1792) riformatore delle scuole acquesi. L’AVVOCAT FISCAL10 Mi i’ai fa me conclusion Ma da lo chi peuso capì Tut sossì l’andrà finì In un zero bel, e bon Pr’autr as sa, ch’ent un congress Tutti a son nen d’un parer I’ai sentì ch’è nen pi d’ier N’auter dcò cl a dit l’istess. IL PREFETTO11 I Congress son fait espress Per di tutti sua opinion E ‘l motiv dle bele union Son nen autr ch’i congress D’ sentiment anche son mi Ch’as dev dè d’ festin grandios Per tutt lo, ch’as sio sprendios As dev nen guardè a lolì L’AVVOCAT CHIABRERA12 in stil sublime Ma al sentir di lor Signori Vuolsi fare una Cuccagna Sentirem che dirà Dagna Dirà forse: Amico onori Se si può: direm così Una sala ritrovare Non si grand’a illuminare Un flambé durrà tre dì Soldi quattro a ognuna pinta Porterò vin bono, e nero Da dar ber a tutto il Clero Si guadagna ancor la tinta IL CONTE SCATI Già, Già, Già MONSÙ DAGNA13 Caspitina l’Amico caro Cazziga! Ci fan onori E in presenza a sti Signori Dirò: non temo il denaro. Voglio dire il vero: Amico Anche a me rincresce un po’ Ma un rimedio troverò E sentite che vel dico In persona me n’andrò Sulla piazza del mercato Col mio servo o serva a lato E più poco prenderò D’ova sol mezza dozzina Di butirro mezza libra, E che il cuoco s’equilibra Voglio ancor sulla farina E così discorriam quà Dei Tartuffi, e Pescaria Che dir posso in vita mia Quasi mai aver mangià. E se in tal maniera fo Verrà il fin del Carnevale Ch’osservando sul totale Un guadagno troverò L’AVVOCATO TORRE14 Com si sia ch’as accordo Me am dispon chmi voro lor E così ou dev fe er ver sgnor S’a vol c’tutti ansem concordo. 10 Angelo Vincenzo Bovio della Torre, avvocato fiscale e vice intendente, già avvocato fiscale di Tortona (Rivalta Bormida 1741- Molare 1820). 11 Avvocato Tomaso Inverardi, già Prefetto di Susa. 12 Avvocato Paolo Chiabrera (1734-1807). Consigliere di Prefettura ad Asti sotto il governo napoleonico (1802); accoltellato nel 1800 unitamente all’avv. Lingeri e al cav. Scati perché favorevoli ai Francesi. 13 Stefano Ferdinando Dagna (1740-1796), sposò Costanza Perrone. 14 Carlo Domenico Maria Torre, avvocato (1737-ante 1813), sposò nel 1764 Anna Maria Teresa Chiavazza. 47 TRADUZIONE GOVERNATORE. Dunque lor Signori hanno disposto / d’unirsi tutti a far ballare. / Va tutto bene: bisogna solo vedere / se staranno tutti alla proposta. / Per me, do la mia parola: / vadano pure 5 o 6 scudi, / pur che si dia un bel festino, / io non temo la parpagliola (?). / Si procurino un bel salone / con un’orchestra valida: / caffè, acque da offrire / e una grande illuminazione. INTENDENTE. Dice bene, signor Governatore, / si procurino orchestra e sala: / un ambiente grande, / che abbia spazio sufficiente per il borghese e il nobile. / Io sarei dell’avviso / di allestire un botteghino / come s’usa ora a Torino, / se pure loro sono d’accordo. CONTE ROBERTI. Radicati, se volete, / prestateci il vostro salone, / si farà una bella unione. / Nessuna scusa! Voi potete, / per l’orchestra poco male, / ho pensato che a Cremolino / ci sono ancora due violini / di cui si può fare capitale. CONTE RADICATI. Se non c’è altro / che quello che manca a far ballare, / fin da ora vado a combinare / tutto apposta per questo. / Bisogna vedere se gli associati / saranno tutti contenti. / Dicano pure il loro pensiero. / Cominci lei, Conte Scati. CONTE SCATI MARENCO. Già, già, già. CAVALIER SCATI. Io direi che la sua sala è bella / e adatta per il ballo, / ma temo che troppi lumi / ci vogliano per illuminarla. / Poi c’è un’altra difficoltà: / si propongono caffè e rinfreschi? / Allora sì che stiamo freschi! / Mica siamo obbligati… CAVALIER PIUMA. Questa è un’altra, io non so / dove diavolo abbiano la testa: / caffè e rinfreschi in una festa / ci vanno di sicuro! / Già lo vedo, potrei giurarlo, / che 48 questo finirà presto: / uno non vuole, l’altro vuole, / io la farei fin da ora. IL COMMISSARIO. Il nostro Piuma dice d’incanto. / Non sono ragioni da dire: / ci deve essere tutto a puntino, / se no me ne vado e li pianto. / In verità non ho mai sentito / ragioni così strampalate: / se non hanno quattrini nelle tasche, / è inutile che vengano a dire! CONTE LUPI. Il suo sentimento / è ben giusto, lo dicano pure tutti, / a chi piace bagnato, a chi asciutto, / comunque sia, io m’accontento. / Occorre ci sia da bere / per bagnare il bocchino alle signore, / alle quali faccio un inchino / e me ne vado in Cassarogna. L’AVVOCATO FISCALE. Io ho tratto la mia conclusione, / ma da quel che posso capire, / tutto ciò finirà / in uno zero bell’e buono. / Peraltro si sa che in un congresso / non tutti sono dello stesso parere; / ho sentito che è non più di ieri, / un altro che ha detto lo stesso. IL PREFETTO. I congressi sono fatti apposta / per dire tutti la propria opinione / e il motivo delle belle unioni / altro non sono che i congressi. / Anch’io sono del parere / che si debba fare un festino grandioso, / per cui se sarà dispendioso / non ci si deve badare. L’AVVOCATO CHIABRERA in stil sublime. (3 strofe in italiano) CONTE SCATI. Già, già, già. MONSIEUR DAGNA. (6 strofe in italiano) AVVOCATO TORRE. Comunque si accordino, / io mi dispongo come vogliono loro, / e così deve fare il vero signore, / se vuole che tutti insieme concordino. POESIE DEL 1803 Poesie d’occasione, come già dichiara l’intestazione manoscritta e distribuita con epigrafica eleganza su nove righe racchiuse in una cornice ornamentale a ghirlande o festoni vegetali: poesie a loro volta incorniciate – tranne l’ultima, chiaramente aggiunta in seguito e dettata da tutt’altra occasione – in riquadri colorati e tutte vergate dalla stessa mano, in una grafia allo stesso tempo rapida e chiara, di facile decifrazione. Se unica è la grafia del manoscritto fascicoletto, diversi sono però i verseggiatori. Si comincia con un sonetto di Giulia Thea Piuma che si congratula con la damigella Cristina Roberti, che nel carnevale del 1803 ha, con altri attori dilettanti, calcato le scene teatrali acquesi con notevole successo. Cristina ha recitato e cantato, calandosi con straordinaria versatilità in ruoli ora leggeri ora patetici, suscitando l’ammirazione di tutti, in particolare dell’amica che gioisce del suo successo. Ma a Cristina sono dedicate altre due poesie: la prima è una canzone (più propriamente una canzonetta) di V. Radicati in quartine di settenari alternativamente sdruccioli e piani, con i versi piani che di norma rimano tra loro; la seconda è un sonetto di G. B. Bruni. Il Radicati insiste sul fatto che Cristina è figlia d’arte: dai genitori ella ha appreso, ad un tempo, i segreti di Talia (musa della commedia) e di Melpomene (musa della tragedia e della lirica). Assistito da Apollo, dio dei carmi, il poeta, imitando Dedalo, ardisce spiccare il volo verso le ardue pendici dell’Elicona, il monte della Beozia sacro alle muse, e qui con sua grande sorpresa vede assisa accanto ad Euterpe, musa della musica, la bella Cristina: vivente dimostrazione che la sensibilità artistica non è preclusa alle donne, come pure vorrebbe un vieto pregiudizio. Lo stesso mito di Dafne va quindi rivisto e corretto: la ninfa inseguita da Apollo e trasmutata in lauro, anziché apprestare serti per incoronare poeti come Omero, Teocrito e Pindaro, ne destina uno a Cristina. Al punto che di fronte all’applauso generale del pubblico anche il poeta chiede alla sua ispirazione di innalzare al cielo (“all’etra”) inni di lode e, tra gli applausi stessi delle Grazie e degli Dei, di cingere, coi suoi canti, la fronte di Cristina della meritata corona. Il Bruni si esibisce invece in un galante omaggio: quando Cristina interpreta la parte di Amalia, nel Misantropo, commuove tutti in modo IL TEATRO E LA CITTÀ meraviglioso. E se la sua arte fosse all’altezza del compito, il poeta vorrebbe equiparare la bravura dell’attrice a quella delle tre Grazie. Segue un sonetto di V. Radicati dedicato Agli Amatori, e Dilettanti, in cui l’autore passa compiaciuto in rassegna le opere rappresentate sulle scene acquesi da attori non professionisti ma tutt’altro che privi di maestria. Guido De Alessandri, in un altro sonetto, si sofferma invece sulla commedia di cui sono protagonisti Amalia e Meneau, sottolineandone i risvolti patetici. Nei due ultimi sonetti lo stesso poeta elogia i Filarmonici prima e la Nina pazza per amore poi: Acqui (anzi, Caristo) nei suoi versi diventa Tebe, le cui mitiche mura furono costruite da Anfione, il cantore al cui suono le pietre si muovevano da sole. Allo stesso modo, assecondando i voleri del regista, gli attori acquesi si muovono in modo naturale sulla scena, come se a guidarli fosse lo stesso Apollo, che sul monte Pindo, in Tessaglia, dirige il coro delle muse con tanta perizia da indurre i Numi a fare quanto egli desidera. Di Nina il poeta ammira la poliedricità, la capacità di cangiare idee e sentimenti che l’assimila alla luna (“Cintia”) e all’arcobaleno (“Iri”); con la sua leggiadra volubilità Nina, più di ogni altro personaggio, ha il potere di conquistare i cuori altrui, eppure anch’essa, all’apparenza così padrona di sé e di quanti entrano nella sua orbita, ad un certo punto impazzisce per amore, cui nulla e nessuno resiste. Chiude la silloge una anonima canzonetta dedicata A Nice guarita da una Rosipola, in quartine di quinari alternativamente sdruccioli e piani, con i piani che rimano tra loro. Il poeta invita le “aurette amabili”, forse le brezze primaverili, a muovere le ali (“vanni”) incontro a Nice per festeggiarne la guarigione in compagnia delle Naiadi, ninfe delle fonti (nel nostro caso la Bormida), dei Fauni e delle Driadi (divinità boscherecce). Con la riacquistata salute Nice torna a rifiorire e tutti coloro che hanno trepidato per lei (cioè, secondo la moda arcadica dei travestimenti, ninfe e pastori) ora esultano. Anche il poeta esulta, innalzando al cielo (“etera”) inni di gioia per Nice, di cui apprezza soprattutto il cuore e l’animo. A chiusura del fascicoletto, un altro disegno ornamentale. C.Pr. SONETTO Pieno del Nome suo, onde fra noi Van fastose le scene, e il patrio suolo, Ovunque io mova, ognor de’ plausi suoi, O saggia, Illustre Amica incontro il volo. S’ella parla [odo pur] a detti suoi Ubbidienti son letizia e duolo: Se spiega al canto il labbro, oh! allora poi Sciolto non lascia un guardo un pensier solo. Ineffabile intanto é il mio contento E adorna quasi de’ tuoi chiari vanti Me stessa, o Cara riconosco a stento. Ne lusinghiero é il mio linguaggio, o audace Commune ogni lor ben han alme amanti, e sincera amistà sempre è verace. 50 ALLA MEDESSIMA [sic] CANZONE A te gentil amabile Di cari Genitori A te ragiono, o figlia Di ben concetti ardori. Ma chi é costei, che fulgida Porta aurata chioma? Ah! di Roberti é figlia Cristina Ella si noma. A te che sin dal nascere D’ambrosia fatta l’onda, l’alba spontó piú lucida Di Bormia in su la sponda; Era sugli anni teneri, E vide infin d’allora, che la virtú d’Apolline Splende al bel sesso ancora. A te cui madre d’emula Virtude ornò la brama, per cui Talia festevole Oggi suo onor ti chiama. E vide che tirannica Fu la sentenza, e l’uso Di condannar le femmine Sol alla rocca, e al fuso. A te, che onore, e merito Giá sei di Melpomene Per cui gloriose vantansi Fra noi le Acquesi scene. A lei serví di stimolo Ad opre eccelse, e nuove Il Genitore celebre 1 Senza cercarlo altrove. M’ascolta intanto; un fervido Estro a tentar mi sprona Le forse innacessibili Pendici d’Elicona. Serví di terso specchio La Genitrice anch’Essa Onde virtude, e merito N’ebbe la figlia stessa. Nuovo favor d’Apolline Il mio pensier sublima, Emulator di Dedalo, Giá son del colle in cima. Quando la bella Dafnide Presso il paterno fiume Qual capriolo, o Dajno Fuggía l’amor del Nume. Ma qual vegg’io? qual vergine Carca di belle idee Seder lá su quel tripode Fra le sorelle Ascree? Non si converse in lauro Sol per ornar la fronte D’Omero, di Teocrito, Del vecchio Anacreonte. D’acuta luce enfatica La fronte sua sfavilla, Accanto Euterpe giubila, Se canta, oppur se trilla. Anzi la Greca Vergine Nell’immortal palestra Tolse gli allori a Pindaro Quai al tuo merto appresta. 1 S’allude al padre celebre dilettante di Musica. 2 Si allude alla madre. 2 51 Ma chi è costei, che fulgida Orna d’aurata chioma Teresa 3 è la sua figlia, Cristina Ella si noma. Tu pur festevol cantici In sul adorna cetra Di sagro olivo, ed edera Ergi mia Musa all’etra. Già i teatrali Genj, bello al veder, giuliva Corrona a Lei ne formano Fra plausi, e fra gli evviva. E qui dove le Grazie E i faretrati Numi A gara tutti applaudano Le forme, ed i costumi. E mentre tutti accorano I Genj ancora umani Appaluso ne fa il popolo Col battere le mani. Tu ad Essa d’Apollineo Serto circonda il crine, vedrai plaudire al merito le Ninfe Monferrine. di V. Radicati ALLA MEDESSIMA [sic] SONETTO Quando con grazia, e leggiadria si muove D’Amalia il labbro in palesar gl’accenti Nel Misantropo, allor con tai concenti Fa meraviglie non piu viste altrove. Con tal vaghezza i cuori altrui commove Onde Meneau rapito a tai portenti Ebro di gioja esulta, e fra viventi Chi vi sará che non v’ammiri, e approve? A tal vostra virtude, oggi ben dessi Gloria maggior, ma cosa mai poss’io Degno di Voi, del vostro nome chiaro? Spiegarmi almeno in degno stil sapessi, che con le piume dell’ingegno mio v’innalzerei delle tre Grazie al paro. Di G. B. Bruni 52 3 Teresa è la madre di Cristina AGLI AMATORI, E DILETTANTI SONETTO Bello al veder in sull’Acquesi scene Andar fastoso oggi desio d’onore, chi esprime al vivo un de l’Epée, chi ardore dimostra nella Nina, e chi le pene. Nella Vedova poi, quanto mai bene Ciascun declama, onde ne sente il cuore Effetto ora di pianto, ed or d’amore, Or di letizia van le menti piene. Chi accoppia vezzi, maestria, ed arte Nella Scoseze in un co’ Franchi ancora, Chi in Clementina i cuor divide, e parte. Pregi son questi, onde natura infiora Vostre bell’alme, Acquesi, e in ogni parte Benigno Ciel vostre virtudi onora. Di V. Radicati N. B. La linea denota varie commedie rapresentate [sic]. SULL’AMAGLIA [sic] SONETTO Tal era Amaglia [sic], allorche in lei l’impero Prese ragion sopra ’l capriccio errante, e nell’immagin del suo primo amante risorto entro a suo cuor fissó il pensiero. E tal era Meneau quando il mistero Dell’odio aperse al fido amico innante E in lor diffetto dal capo alle piante Invan desia trovar censor severo. Dolce é mirar sorger dall’onde il Conte, e la Contessa qual propizia stella splender d’umile penitente a fronte. Spettacol nuovo a lagrimar ne appella Mentre Eco a Carlo fan la valle e il monte, fa plauso Era ai sospir d’Amalia bella. Di Guido De Alessandri 53 DEL MEDESSIMO [sic] A FILARMONICI SONETTO Tebe é questa novella, e questi Orfeo Anzi Anfion, che al suon dell’aurea lira Molce il cuor de’ mortali, e a se le tira A dolce vita in grembo al suol Acheo. Tal delle Muse in Pindo il Corifeo Gl’Jddi, le Dive a suo talento aggira Nina sì ben per lui piange, e delira Che Baron non invidia oggi al Tarpeo. Filli per te Caristo alza la testa Dal cener suo a rimirar suoi figli Intorno a Nina sua lieti a far festa. Norma da cenni tuoi, da tuoi consigli Prende il vago Drappel che ha per te desta L’ammirazione in Febo a cui somigli. DAL MEDESSIMO [sic] A NINA SONETTO Non cangia Cintia tante volte aspetto, Né l’Iri mai vestì tanti colori: Non ha tant’erbe il prato, e l’orto fiori Quante Voi forme, o Nina, e idee nel petto. Onde ognun, maraviglia have, e diletto Di mirar l’arte, onde legate i cuori Sia savia Nina, o sia di senno fuori Nissuno have occhio o cuor per altro oggetto. Chi porta al cielo Amalia, e chi Idelgarde Si strugge Dorvignì per Clementina, Lindor preggia sol Nina, onde tutt’arde. Duolsi il suol, che v’accolse in sen bambina. Che Lindor vostro tanto a giunger tarde, Or che ogni stella al suo favor s’inchina. 54 [A NIC]E GUARITA DA UNA ROSIPOLA CANZONE Aurette amabili Che sussurrate Piu liete, e floride Or vi destate. Beltade, e spirito Prende vigore Non è più languido Un sì bel fiore. Dall’odoriffere Spiagge secrete A Nice i rapidi Vanni volgete. Quando la misera Egra languia Quanti al cuor palpiti Ognun sentia. Voi belle Naiadi Di Borma in riva Meco festevoli Fate gl’evviva. Or fatta libera Dall’atro male Il cuor ne giubila D’ogni mortale. Voi Fauni, e Driadi Ancor v’unite Carole a tessere Le più gradite. Già ne tripudiano Ninfe, e Pastori Per Essa ch’ardono Di casti amori. Dalla Rosipola La Ninfa amata Grazie all’Altissimo Fu risanata. Inni di giubilo Tu n’ergi intanto Mia Musa all’etera E chiudi il canto. Sgombra dal barbaro Che l’affligea Dolore acerrimo Oggi ricrea. E s’altri ammirano Vaga bellezza Tu il cuore, e l’animo In Nice apprezza. 55 DALLA RESTAURAZIONE ALLA FINE DEL SECOLO Progetto per l’allestimento di un insieme strumentale da impiegarsi in Acqui nel 1828. Documento dell’Archivio Storico Comunale, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. ACQUI DAL 1815 AL 1880 Durante il periodo napoleonico Acqui fu capoluogo di circondario (con sede di tribunale e sottoprefettura) compreso fino al 1804 nel dipartimento del Tanaro e quindi in quello di Montenotte. Dei grandiosi progetti elaborati dal governo francese - bagni nei locali dell’ex convento di San Francesco, regolamento edilizio, ampliamento delle vie del centro, risanamento del ghetto - solo quest’ultimo fu poi effettivamente realizzato da Giuseppe Saracco, che, negli anni della sua amministrazione, diede pure il via ad una radicale ristrutturazione urbanistica della città, con il riscatto degli stabilimenti termali dallo Stato, la costruzione dell’edicola della Bollente, della sinagoga, del palazzo del tribunale, del macello pubblico, del mercato coperto, dello stabilimento Nuove Terme, dell’asilo infantile, del lavatoio pubblico, dell’ospedale civile, dell’edificio delle scuole elementari e con la sistemazione di piazza Vittorio Emanuele e di piazza Foro Boario. Mentre gli anni di Saracco saranno anni di notevole progresso, l’intero decennio che seguì alla Restaurazione fu segnato dalla miseria e dalla fame. I lupi che infestavano l’agro acquese si spinsero, a più riprese, fino alle porte della città, resa peraltro meno sicura dall’abbattimento delle mura imposto dagli Austriaci. Un’epidemia di morbo petecchiale contribuì ad aggravare la situazione. Falliti i moti del 1821, transitò per Acqui il conte Santorre di Santarosa, avviato verso l’esilio greco. A cominciare dagli anni trenta, però, Acqui, sede di un piccolo tribunale di prefettura e capoluogo di provincia, con un comando militare e un ufficio d’intendenza di seconda classe, diventò un vivace centro alberghiero. L’interessamento del re Carlo Felice prima e di Carlo Alberto poi portò a un ampliamentoammodernamento degli edifici termali all’insegna della funzionalità, con un’opportuna diversificazione tra terme militari, civili e per i poveri. A coronare l’opera giunse nel 1847 la LA STORIA costruzione del ponte sulla Bormida. Nel 1854 soggiornò in Acqui, per un breve periodo di cura, anche Giuseppe Garibaldi, raccogliendo fervide adesioni ai suoi generosi progetti patriottici. Ma l’evento più significativo per lo sviluppo economico-turistico della città fu senz’altro l’inaugurazione del tronco ferroviario Acqui-Alessandria (24 maggio 1858), cui seguirono nel tempo altre tratte ferrate patrocinate da Saracco: Acqui-Genova, Acqui-Savona, Acqui-Asti. Ne trasse beneficio e incremento pure la viabilità ordinaria (Acqui-Sassello, Acqui-Cortemilia). Nel 1859, dopo la battaglia di Magenta, in cui brillò per l’ennesima volta il valore del futuro generale Emanuele Chiabrera, Acqui ospitò numerosi prigionieri austriaci e ungheresi: di questi ultimi gl’irredentisti Kossuth, Klapka e Thürr costituirono un’intera legione. Nel 1859 sorse la Società Operaia di Mutuo Soccorso (SOMS). Nel 1860, per iniziativa di Urbano Rattazzi, la provincia di Acqui venne abolita e aggregata a quella di Alessandria. Nondimeno, grazie all’intraprendenza di Saracco e al vivace dibattito che si accese intorno a lui, la città seppe trovare le energie per un ulteriore sviluppo, il quale lungi dall’ arrestarsi all’economia e in particolare alla trasformazione edilizia del centro urbano, si estese all’ambito socio-culturale, in un inedito fervore di nuove iniziative editoriali, assistenziali, scolastiche. Tanto che, in conclusione, si può veramente dire che gli anni di Saracco furono per la città termale una sorta di piccolo, irripetibile “Rinascimento”. C.Pr. Cfr. anche G. LAVEZZARI, Sunto delle deliberazioni del Consiglio Municipale d’Acqui dal 1848 al 1885 e cenni intorno agli uomini che vi presero parte, Acqui 1886; IDEM, Storia d’Acqui, Acqui 1888 (rist. anast., Bologna 1985); E. COLLA, Aquae Statiellae. Acqui Terme nella Storia, Genova 1978. 57 La prima notizia dopo la Restaurazione è rintracciabile nel 1830, anno in cui è presente in Acqui il capocomico Antonio Bellini: nella sua lettera, inviata ad Asti, il capocomico assicura di avere “una Buona anzi buonissima Prima Donna Giovine, ed un buon Meneghino uno dei migliori in tutto il mestiere Comico, una nuova scelta di buone rappresentazioni ben corredate da studio, decorazioni e analoghi ricchi vestiari”, ma anche in questo caso non si precisa il nome del teatro di Acqui in cui la compagnia avrebbe recitato1. IL TEATRO DAGNA LA GENESI Da molto tempo si sentiva l’esigenza nella città di Acqui “di costruire un teatro sul nuovo gusto moderno, poiché il preesistente non ne aveva né la forma né il comodo, consistendo esso in una sala impro- L’edificio del Teatro Dagna oggi. 58 1 Archivio Storico Comunale di Asti (d’ora in poi ASCA), Guardaroba P, cart. 57, fasc. 4, lettera del 5 giugno 1830, citata in G. VENTIMILIA, La vita teatrale in Asti nell’Ottocento, tesi di laurea, Università degli studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Guido Davico Bonino, a.a. 1997-98, pp. 144-145. pria”2. La necessità d’erezione di un edificio appropriato veniva a scontrarsi con le ristrettezze economiche pubbliche e private, e con quello spirito di rivalità che fin dal Seicento caratterizzava le famiglie della città. L’opera era resa ancor più urgente “(…) per la circostanza particolare in cui si trova questa città, che favorita dalla meravigliosa quantità delle sue acque termali, tirando a se un numeroso concorso di forestieri, ognuno riconosceva il bisogno di offrire a questi durante il tempo del loro soggiorno nello Stabilimento Balneario un passatempo, che valesse a scemare le pene d’un’incomoda cura termale”3. Particolare dello Statuto dell’Accademia Filarmonica della Città d’Acqui, 1843, in cui si legge la data della primigenia fondazione il 23 maggio 1834. Collezione privata Cesare Chiabrera. Nel 1834 Luigi Dagna concede, con atto del 28 aprile, un locale di sua proprietà a fianco della sua abitazione e situato sull’angolo della Contrada Nuova e della Piazza della Rocca (oggi corso Italia e piazza San Pagina iniziale dello Statuto dell’Accademia Filarmonica della Città d’Acqui, 1843. Collezione privata Cesare Chiabrera. 2 AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, n. 107, Relazione dell’Intendente della Provincia di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per gli Affari Interni con lettera del 28 gennaio 1837. 3 Ibidem. 59 Francesco), ai signori Stefano Cornaglia, di professione falegname, e Leon Vita Ottolenghi, i quali si obbligano a costruirvi Le immagini di questa pagina e delle successive sono tratte dal libretto della Chiara di Rosenberg. Collezione privata Cesare Chiabrera. “(…) un nuovo teatro a norma del piano, che il detto sig. Dagna avrebbe loro somministrato, con tre ordini di palchi, non meno di 15 per caduno, con facoltà ad essi imprenditori di godere esso teatro per anni 22, e di alienare anche in perpetuo i palchi, meno 12, di cui 10, cioè 3 al primo ordine, 3 al secondo e 4 al terzo, dovevano rimanere per dote al teatro, uno ad uso dei ss. Sindaci della città per anni 30 soltanto, ed un altro in proprietà perpetua al sig. Dagna concessionario del locale, ed anche gli imprenditori si obbligavano a garantire l’edificio dal fuoco, assicurandolo a loro spese presso la Società Reale degli incen4 di” . Oltretutto, proprio dal 23 maggio 1834 è attiva ad Acqui l’Accademia Filarmonica che, non è un caso, nello statuto del 1843 porta, nell’elenco degli associati, come primo nome quello di Luigi Dagna. Quest’atto comprendeva una convenzione tra i due imprenditori, con cui il sig. Cornaglia rendeva il Sig. Ottolenghi partecipe dell’impresa. 60 4 Ibidem. Nel Consiglio comunale del 4 aprile 1834, qualche giorno prima della stipulazione di quest’atto, “forse perché già verbalmente intesa col sig. Dagna la cessione anzidetta”5, Stefano Cornaglia presenta alla Civica Amministrazione un ricorso in cui chiede “il di lei assenso per tale di lui impresa, e, questa assecondando, non permettere che altro edifizio di simil natura venga erretto in questa città per il corso almeno di anni quaranta”, offrendo a ciascuno degli otto Consiglieri della Città un palco al primo ordine “mediante corrispondente capitale”. I Congregati accoglievano in generale la proposta del Cornaglia, osservando “che trovandosi la città impegnata in forti spese, che non gli permetterebbero incontrare quelle d’un Teatro, niente osta, che, per quanto le spetta, dii la sua fede al Ricorrente di non costrurne essa un altro per un limitato corso d’anni trenta”, ed aggiungevano: “(…) d’altronde, se la città si spoglia, anche a tempo, della facoltà di edificare un Teatro, egli è anche giusto, e conveniente che essa abbia in corrispettivo di tale concessione un palco gratis in luogo distinto per restare a disposizione dei Sig.ri Sindaci pro tempore, pendente il corso di anni trenta, e purchè ne rapporti il Cornaglia dal proprietario del fabbricato il dovuto assenso, e ratifica, da farne fede all’Amministrazione”. 5 Ibidem. 61 Per quanto riguardava l’offerta di otto palchi, il loro prezzo sarebbe stato fissato tramite perizia6. I primi problemi da risolvere derivavano dalla necessità di occupare quattro tavole di sito pubblico per costruire la scala di accesso al teatro e permettere il rettilineamento della sua facciata col fronte degli altri edifici che davano sulla Contrada Nuova7: il progetto avrebbe dovuto essere subordinato al piano d’abbellimento della città, il quale però, inviato al Congresso Permanente con lettera del 12 giugno 1828, non era ancora stato approvato in quanto ritenuto difettoso8. Siamo in possesso di una bosinata dalla quale si evince che una parte delle famiglie decurionali della città non condivideva l’idea di occupare una parte della Contrada Nuova in funzione del Teatro9. In un’altra bosinata (si veda per il testo e la traduzione alle pp. 155 e seguenti), composta quando i lavori di costruzione della facciata erano al termine, un altro cittadino esprime un giudizio negativo 62 6 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 7 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 3, n. 97, supplica di Luigi Dagna Sabina del 24 gennaio 1835. 8 Ibidem, Lettera alla Regia Segreteria di Stato per gli Affari Interni del 16 giugno 1834. 9 Il documento è tratto da un fondo d’archivio privato della famiglia Brezzi di Montecastello. sulle numerose questioni sollevate intorno al fronte dell’edificio10. Nonostante le polemiche, infatti, il 3 aprile 1835 si stipulava nell’Ufficio dell’Intendenza l’atto di cessione del terreno di proprietà pubblica, avendo il sig. Luigi Dagna accettato di fare al fabbricato qualunque variazione venisse ordinata in occasione dell’approvazione del piano di abbellimento della città, concedendo, in corrispettivo, la proprietà perpetua d’un palco in luogo distinto alla città, e diritto di prelazione nell’acquisto dei palchi prima ai membri del Civico Consiglio, e dopo questi alle antiche famiglie decurionali11. Nella seduta del 9 aprile 1835 il Sindaco però delibera “doversi lasciare la facoltà a d.ti Impresari di alienare i palchi (...) primieramente ai cittadini, mediante un loro avviso al Pubblico, e quindi, spirati quindici giorni dalla pubblicazione d’esso avviso, a chi più loro aggrada”12. Gli impresari, non ritenendosi comunque sciolti dalle obbligazioni contratte, invitarono per iscritto i Consiglieri e i capi delle più antiche famiglie acquesi all’acquisto dei palchi alle condizioni e al prezzo da loro fissato. Avendo gli uni e gli altri rifiutato, considerando le condizioni arbitrarie e violati i propri diritti, “(…) rimasero senza palco le persone le più notabili della città, quando che persone di classe assai inferiore ne ottennero uno ed anche di più, acquistandone ancora altri in nome di persone a dichiararsi, che sono in oggi occupati dagli Ebrei, così che specialmente nei primi due ordini di palchi si vedono cristiani ed Ebrei confusi assieme, quale amalgama è veramente disdicevole sotto ogni rapporto, ed altri palchi poi furono occupati da individui estranei alla città”13. 10 11 12 13 Ibidem. ASCAT, Sezione II, Serie XXI, fald. 24. Ibidem. AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, n. 107, Relazione dell’Intendente della Provincia di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per gli Affari Interni con lettera del 28 gennaio 1837. Nell’anno della nascita del Teatro Dagna, Acqui piange la scomparsa del Vescovo Carlo Giuseppe Sappa. L’evento non manca di sollecitare la produzione poetica di molti dilettanti che si cimentano nell’esercizio del ricordo in versi. Nell’immagine il frontespizio di un opuscolo conservato presso la bibioteca dell’Archivio Vescovile di Acqui. 63 Decorazioni del foyer del Teatro Dagna. Inoltre gli impresari, diffondendo false voci sul ridotto numero di palchi rimasti disponibili, avevano indotto diverse persone ad accorrere all’Ufficio dell’avv. Saracco a sottoscriverne l’acquisto senza badare alle condizioni di vendita. Il teatro venne inaugurato il 30 maggio 1835 con spettacolo d’opera e ballo in musica, e riaperto nell’inverno e nell’estate del 1836. L’edificio presentava una facciata neoclassica e un basso porticato; il piano terra era occupato da alcune botteghe e dal Caffè del Teatro14. Essendo molto elevato il fitto serale cui gli attori erano sottoposti, a causa dell’avidità degli impresari, gli abbonati e i palchettisti si videro costretti a sottostare ad un’elargizione alla compagnia, per permetterne la continuazione delle rappresentazioni. Ma la mancata richiesta dell’autorizzazione sovrana, lamentata dall’Intendente della Provincia, non tarda a creare dei problemi: il modo in cui era avvenuta la vendita dei palchi aveva infatti creato diversi malumori tra i destinatari dei palchi. Figurava tra questi ultimi “(…) un Francesco di Andrea Provenzale il quale eccitato dalli Cornaglia ed Ottolenghi a ridurre in pubblico istromento la fatta promessa d’acquisto del palco al 3° ordine n. 15, vi si rifiutò allegando non esservi nelle obbligazioni dei venditori un sufficiente corrispettivo del convenuto prezzo, e segnatamente perché non si scorgessero questi obbligati a procurare annualmente l’apertura del teatro”. Cessione a favore del sig. Luigi Dagna di quattro tavole di sito pubblico per l’edificazione della facciata del Teatro. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. Andrea Provenzale si era rivolto al Regio Trono a nome di altri proprietari di palchi, supplicando dei provvedimenti straordinari, “sì per la decisione delle narrate differenze, che per quelle insorte o da insorgere” e chiese la costituzione di una particolare delegazione composta dal Comandante, dal Prefetto e dall’Intendente, a cui conferire l’autorità “per decidere ogni quistione, fissare la vera interpretazione per l’assegnazione dei palchi, imporre un regolamento e l’obbligo a detti 64 14 Laura Palmucci Quaglino propone l’ipotesi che il progetto del Teatro Dagna si debba all’ingegnere Reyneri, il quale, tra il 1825 e il 1836, aveva curato il primo progetto per il ponte in muratura sulla Bormida (L. PALMUCCI QUAGLINO, op. cit., p. 20). GLI ARTISTI DOMENICO BIORCI impresarii di un annuo spettacolo in opera in musica come nel primo anno dell’apertura del Teatro”15. Con Regio Biglietto del 23 settembre 1837 S. M. avoca a sé e al Consiglio “la cognizione di ogni controversia insorta o che possa insorgere” tra Andrea Provenzale, il cavaliere Lupi di Moirano, Luigi Vivalda, l’avv. Paolo Gardini, l’avv. Stefano Braggio16, il causidico Giuseppe Cuore, “proprietarii de’ palchi nel nuovo teatro d’Acqui, ed altri di quei cittadini, e li Stefano Cornaglia ed Ebreo Leon Vita Ottolenghi costruttori questi ed impresarij di detto Teatro”, affidando ad una speciale Delegazione composta dal Prefetto, Intendente della città di Acqui e dall’avvocato fiscale di quel Tribunale, di stendere un progetto di regolamento per la Direzione del teatro secondo le norme indicate dalla Regia Segreteria17. Bisogna però aspettare l’anno 1851 perché venga istituita una Direzione del teatro. In seguito al ricorso del Sindaco, il Ministero dell’Interno invia un Dispaccio alla Regia Intendenza d’Acqui, in data 24 febbraio, con cui istituisce una Direzione “incaricata di soppravedere in via conciliativa e di concerto coll’impresario del Teatro stesso al buon andamento degli spettacoli”. La Direzione risulta composta di sette membri: cav. Michele Gionferri, avv Gio. Batta Accusani, cav. Federico Bruni, m.se Luigi Vivalda, medico Ernesto Gionferri, Gabriele Chiabrera, Domenico Biorci18. Il 28 febbraio vengono eletti, per mezzo di votazione segreta, l’avvocato Michele Gionferri a Presidente della Direzione e il medico Ernesto Gionferri a Segretario19. In seguito al Dispaccio ministeriale del 24 febbraio Domenico Biorci aveva redatto un Regolamento del teatro d’Acqui, spedito poi a Torino20, del quale si sono perse le tracce. Nato nel 1795 dal secondo matrimonio di Guido Biorci, l’illustre autore delle Antichità e prerogative d’Acqui Staziella, con Antonia Maria Lingeri, figlia del quondam causidico Lorenzo, nel 1838 Domenico, col consenso del padre, che, rimasto vedovo per la seconda volta, si era nel frattempo sposato (4 luglio 1825) con Antonia Maria Cavalli di Carmagnola, si trasferì a Milano. Qui, “della nuova matrigna la temuta / uggia sfuggendo” e munito di “superiori patenti”, attese per vari anni all’insegnamento - pubblico e privato - delle umane lettere e al giornalismo. Collaborò, con articoli e recensioni di vario genere al “Ricoglitore” di Milano, all’“Annotatore” di Torino, al “Poligrafo” di Verona, ma soprattutto alla “Gazzetta Milanese”, e coltivò intensamente gli studi letterari, pubblicando saggi (Trattato continua nella pagina seguente 15 AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, f. 110, Lettera del Cancelliere alla Segreteria di Stato per gli Interni del 12 agosto 1837. 16 Il 31 dicembre 1836 l’avv. Stefano Braggio aveva acquistato il palco n. 16 al secondo ordine, mentre il palco n. 14, stesso ordine, era stato acquistato dal capitano Giuseppe Gallo (Archivio Storico di Alessandria, Notarile di Acqui, Notaio Saracco, vol. 2365). 17 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 18 Ibidem, copia del Dispaccio ministeriale inviata al Sindaco dall’Intendente con lettera del 27 febbraio 1851. 19 Ibidem, Verbale di costituzione della Direzione del Teatro d’Acqui. 20 D. BIORCI, I miei trent’anni. Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e politiche, Torino 1859, p. 12. 65 segue dalla pagina precedente completo di poetica, Rusconi, Milano 1832) e poesie (I fasti di Milano, Visai, Milano 1828; un poemetto in 85 ottave dedicato a La Galleria de’ Cristoforis; I più bei quadri di pittura e scultura esposti in Brera; Rusconi, Milano; una Visione per le esequie del conte Giberto Borromeo, Tipografia dei Classici, Milano 1837; etc.) che incontrarono il gradimento di autorevoli intellettuali, ma non evitarono, a volte, le forbici della censura. Nel 1835 uscì a Milano l’opera più ambiziosa del Biorci, un poema epico in otto canti, dedicato allo zar Nicola I di Russia e intitolato la Pace di Adrianopoli, ossia la Grecia liberata. Fra clangor di buccine e qualche patetico inserto, come l’episodio di Filleno e Alcmena, mescolando realtà e finzione, vi si esalta la lotta della Grecia per “l’emancipazione dal turchesco giogo”. Nel 1843 Domenico fu proclamato socio onorario dell’Accademia filarmonica e letteraria di Acqui. In occasione del funerale di Carlo Alberto compose una cantata “messa quindi in musica dal valente organista e compositore Giuseppe notaio Baccalario”. Sull’acquese “La Bollente”, di cui negli anni cinquanta divenne assiduo collaboratore, comparvero alcune iscrizioni funebri commissionategli dal sindaco della città, nonché articoli e carmi di vario argomento. Ad Acqui conobbe Jules Michelet, cui dedicò un’Épître in versi. Partecipò anche alla vita politica cittadina e fu, tra l’altro, inserito nella commissione intesa a promuovere la costruzione del tronco ferroviario Acqui-Alessandria. Quando, il 24 maggio 1858, ad inaugurare la tratta venne ad Acqui il re Vittorio Emanuele II, Domenico compose un Canto che, oltre a celebrare il sovrano, compendiava “la storia della ferrovia, i suoi primordii e contrasti ed il suo compimento felice”. Lottò in difesa dei fratelli della Dottrina Cristiana contro Giuseppe Saracco, “l’avvocatel dall’uovo appena uscito”, che spingeva per la laicizzazione dell’istruzione, ma, su questo terreno, Domenico si attirò gli strali satirici del professor R. Sacchi, che pubblicò, a puntate settimanali, una Biorceide in versi. Nel 1859 a Torino per i tipi degli Eredi Botta diede alla stampa I miei trent’anni. Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e politiche colla riproduzione dell’episodio Elleno ed Alcmena relativo alle ultime guerre dell’indipendenza greca: un’opera autobiografica che, un po’ ingenerosamente il Lavezzari, nella sua Storia di Acqui, definì “sorta di manicaretto di nessun valore”. Peraltro lo stesso Lavezzari scrisse di lui che “non fu cattivo poeta”, seppur borioso e permaloso. Era, in ogni caso, un verseggiatore di facile vena, come dimostrano ad abundantiam altre sue occasionali composizioni, tutte caratterizzate da uno stile alto, enfatico, classicheggiante. Ad Acqui morì, celibe, nel 1872. C.Pr. Cfr. anche D. BIORCI, I miei trent’anni. Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e politiche colla riproduzione dell’episodio Elleno ed Alcmena relativo alle ultime guerre dell’indipendenza greca, Torino 1859; G. LAVEZZARI, Sunto delle deliberazioni del Consiglio Municipale d’Acqui dal 1848 al 1885 e cenni intorno agli uomini che vi presero parte, Acqui 1886; IDEM, Storia d’Acqui, Acqui 1888 (rist. anast., Bologna 1985); C. PROSPERI-G.L. RAPETTI BOVIO DELLA TORRE, Rivalta Bormida: vita e vicende di una villanova dalle origini alla fine del secolo XVIII, Acqui Terme 2004, pp. 573-595. IL DAGNA FINO AL 1856 Nella sua relazione del 27 gennaio 1837 l’Intentente della Provincia di Acqui scrive che “il teatro doveasi costruire dagli imprenditori con tre Ordini di Palchi, con 10 Palchi almeno caduno, invece fu da essi edificato più assai ampio in totale di Palchi 56”21; esso poteva conte- 66 21 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 3, f. 107, relazione dell’Intendente della Provincia di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per gli Affari Interni con lettera del 28 gennaio 1837. nere 45022, 50023 spettatori. Trascorsi poco più di dieci anni, il teatro Dagna manifesta già i primi segni di declino, sia nella struttura che nell’attività. In una lettera del 29 marzo 1847 l’Intendente Pavese informa il Sindaco che il plafone del teatro minaccia rovina24; da qualche tempo inoltre non hanno più luogo nell’anno due corsi di rappresentazioni “degne del Pubblico”, e ci si lamenta per “l’esistenza materiale di un povero Teatro senza attori, e se attori vi hanno, costretti il più delle volte a languire d’inedia” 25. Diverse informazioni sullo stato dell’edificio possono essere desunte dalla documentazione relativa alla proposta d’acquisto del Teatro-Casa Dagna. Nella seduta del 3 giugno 1852 il Consiglio Comunale deliberava infatti di voler acquistare l’edificio e ne affidava all’ingegner Pera la stima del prezzo d’acquisto. Nella sua relazione, datata 20 settembre 1854, il Pera afferma avere il teatro 50 palchi, di cui 41 venduti, affermazione che contrasta con quella dell’Intendente della Provincia di Acqui riportata precedentemente. L’edificio teatrale viene nella relazione dell’ingegnere così descritto: 1849. Manifesto relativo ad un’iniziativa patriottica al Teatro Dagna. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. “ (…) trovasi costrutto colla maggior economia possibile a detrimento della sua stabilità e della sua durata, e mostrasi in uno stato di abbandono per quanto è della manutenzione. Il tetto principalmente è in ista- Documento della pratica Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. 22 Tale dato è desunto da un elenco dei teatri italiani attivi fra gli anni 1868-1890, dovuto ad un’inchiesta ministeriale, contenuto in E. ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza dei teatri, Milano 1872, vol. II, pp. 580-597, e pubblicato in F. VARALLO (a cura di), Teatri storici. Luoghi dello spettacolo in Piemonte dalla corte settecentesca al decoro della città moderna, Torino 1998, p. 198. 23 D. DE ALESSANDRI, Acqui, le sue Terme e i suoi dintorni, Acqui 1888, p. 46. 24 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 25 Ibidem, Erezione di nuovo teatro, Relazione del consigliere Biorci del 16 febbraio 1857. 67 to di decadenza, e tutte le costruzioni interne in legname sono prossime al termine della loro durata. Ogni altra parte poi non conta bensì che venti anni di vita, ma non presenta un aspetto di lunga durata futura; e considerevoli opere di radicale riparazione soltanto possono rimediare alla passata manutenzione”. Erano necessari inoltre interventi alla scala per renderla più comoda. L’ingegnere osserva che, acquistando il teatro, la città non avrebbe un edificio adeguato all’importanza che andrebbe ad assumere con la costruzione della ferrovia e l’ampliamento dei suoi Stabilimenti Balneari; eseguite queste opere si sentirà il bisogno di un Teatro migliore: Divanetto parte dell’arredamento del Teatro Dagna. Collezione privata. “Quindi anche le scale ora progettate saranno troppo ristrette, la decorazione interna dovrà essere tutta rinnovata ed arricchita. E non convenendo fare spesa d’importanza attorno ad uno scheletro debole, anche l’ossatura generale dei Palchi dovrà essere in molte sue parti riformata. E dopo tante spese ancora non si avrà mai un teatro sufficientemente commodo e bello perché il Palco Scenico non sarà abbastanza ampio, il movimento delle vetture incaglierà quello delle Persone all’entrata ed uscita dal Teatro, mancheranno Magazzini, non vi sarà una Sala per la dipintura delle Scene, non si avrà una sufficiente dote di palchi, e si avranno insomma mille altre imperfezioni inevitabili che suggeriranno la costruzione di un nuovo Teatro in terreno del tutto libero (…)”26. La lettura della documentazione, che comprende una seconda perizia del 185527, ci permette una ricostruzione degli interni. All’entrata una scala di 68 26 Ibidem, Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro-Casa Dagna. 27 Ibidem, Perizia pelli ristauri al Teatro. Documento della pratica Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. IL TEATRO E LA CITTÀ GLI ACQUESI E I PALCHI pietra d’Acqui, lunga un metro e cinquanta e con ringhiera in ferro, conduceva al piano superiore e terminava su di un pianerottolo. Qui, da una porta sormontata da un piccolo architrave in legno, si accedeva al teatro e, attraverso un altro ingresso, alla platea. Il pavimento era composto da pianelle grandi quadrate; un plafone costruito con gesso e canne, centinato a foggia di volta e colorato, sormontava la platea e il palcoscenico di pioppo; sopra quest’ultimo, il soffitto era costruito con rigoni sostenuti da travi, e possedeva ballatoi con ringhiera, sempre di pioppo. Attraverso alcune piccole porte sul palcoscenico e sotto di esso, si accedeva ai camerini; un grande lampadario a catena con cristalli illuminava la platea. Attraverso i due tronchi di scala sulla sinistra, si giungeva ai diversi ordini di piani; lungo gli stretti corridoi dei tre ordini, sormontati da un plafone simile a quello del palcoscenico e di tutti i palchi, erano disposte le latrine e alcuni camerini. Attraverso piccole porte di pioppo munite di toppa con chiave si accedeva ai palchi; quelli superiori disponevano anche di cortine di seta blu con fiocchi, trattenute alle estremità da guarnizioni d’ottone; separati da piantoni di legno forte dello spessore di dieci centimetri, i palchetti erano sostenuti da pilastrini di rovere dorati e sagomati, terminanti con una mensola; le lesene dei due palchi di proscenio presentavano invece un piedistallo di pioppo dorato e terminavano con un capitello. Il parapetto di pioppo, alto un metro, terminava con un piano d’appoggio munito di cuscino imbottito; sotto il parapetto del primo ordine compariva un assito sagomato e colorato dell’altezza di un metro. La perizia del 1855 era seguita ad una ricognizione dell’edificio eseguita il 20 aprile da una commissione incaricata dal Comune e dalla Società dei palchettisti, composta dai consiglieri Napoleone Viotti, Giuseppe Felli e Giuseppe Ferraris per la città, e dal vicesindaco e deputato Saracco, Guido Cavalleri, Giuseppe Accusani, David Leon Debenedetti per i palchettisti. Tra i nomi dei palchettisti compaiono Gabriele Chiabrera, Donato Ottolenghi, Maurizio Ottolenghi, avv. Saracco, Mathayia Levi, Dagna Sabina, cav. Guido Cavalleri, Salvador David Ottolenghi, Francesco Tarchetti, avv. Giuseppe Castelli, Stefano Cornaglia, Carlo Giuseppe Gatti, Federico Bruni, Domenico Biffinnando, Giuseppe Battaglia, David Leon Debenedetti, Jona Ottolenghi, Bonajut Ottolenghi, Giuseppe Lupi, Felice Seghini, Guido Seghini, Ezechia Ottolenghi, Giuseppe Benevolo, Pietro Giuso, Pietro Dogliotti, Isacco Ottolenghi, avv. Giuseppe Fiore, Leon V. Ottolenghi, Giovanni Borreani, Emilio Manara, avv. Gio Batta Accusani, Gio Batta Caligaris. R.Br. Relazione di visita del locale del Teatro per riconoscere i restauri, documento della pratica Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. La perizia prevedeva la costruzione di un quarto ordine per uso di loggione con l’alzamento delle mura principali, la distruzione dell’antico minacciante tetto e del fessurato plafone, la costruzione di una nuova scala a destra per accedere al loggione, e a sfogo del teatro sino al piano della platea, nonché per l’accesso agli ordini di destra, per evitare agli accorrenti di fare lunghi giri, oltre a restauri e civilizzamenti del corpo del teatro28. Nella seduta del 12 novembre 1856, dopo molte discussioni e sentiti pareri di diversi ingegneri, il Consiglio proclama reietto l’acquisto dell’edificio29. Le condizioni del teatro, considerato inadeguato sia nella costruzione che nella forma, prendono il sopravvento sul timore di rimanere per anni senza un edificio teatrale adeguato. PROGETTI PER UN NUOVO TEATRO Dopo soli otto giorni dalla deliberazione, i geometri Carlo Ferraria e Giuseppe Olivieri presentano al Consiglio una proposta per l’edificazione di un nuovo teatro più ampio, e di più solida costruzione in muratura: chiedono alla città lo sborso di lire 46.000, più lire 10.000 per un loggione, la concessione gratuita dell’area, e di lasciare agli stessi la proprietà del maggior numero di palchi, nonché la quota sborsata dai palchetti28 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Reiezione della proposta d’acquisto del TeatroCasa Dagna. 29 Ibidem. Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna. Frontespizio della pratica 2. Erezione di nuovo Teatro. Frontespizio della pratica 3. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. sti dell’attuale teatro per avere un corrispondente palco nel nuovo30. Considerate svantaggiose le condizioni del contratto, il Consiglio nella seduta dell’11 dicembre 1856 nomina una commissione per trattare migliori condizioni coi proponenti31. 30 Ibidem, Erezione di nuovo teatro, Proposta del 20 novembre 1856. 31 Ibidem. IL TEATRO E LA CITTÀ IL PROGETTO DEL 1857 Il 10 febbraio 1857 Ferraria e Olivieri presentano al Consiglio il seguente progetto: 1° L’intero edificio Teatrale sarà composto di Teatro, e d’un fabbricato inerente, il quale conterrà un locale per Caffè, altro per Trattoria al pian terreno, con passaggio per mezzo di atrii alla platea. Al piano superiore conterrà una gran sala con casino latitante. 2° Il vestibolo delle scale sarà sufficientemente grande, e le scale di non minore grandezza di metri 1,50. 3° I corridoi de’ palchi met. 1,30 siccome quelli del Teatro Municipale d’Alessandria. 4° La platea avrà la forma di quella del Carlo Felice di Genova, ed un diametro non minore di metri 14 con una conveniente pendenza, e conterrà un numero di sedie chiuse non minore di 20. 5° Gli ordini de’ palchi saranno in num. di tre oltre il loggione, e ciascun ordine ne conterrà 27; però il primo ordine solo 26 per dar luogo alla porta d’ingresso che non sarà di grandezza minore di met. 1,80. 6° Ciascun palco avrà la grandezza di met. 1,50 tali essendo quelli del Regio a Torino; una lungh. di met. 1,50 ed altezza 2,30. 7° Il palco scenico avrà una grandezza alla bocca d’opera proporzionata al diametro della platea, e sarà lungo met. 15 circa; conterrà otto camerini per uso degli attori, superiormente ai quali sarà un pianerottolo per girare intorno al meccanismo, il quale sarà costrutto secondo gli usi, e corrispondente al Teatro, da abile macchinista. 8° Vi sarà un sipario a tende, ed un num. di scene, e quinte non minore di 7, cioè una reggia – una veduta di mare – una piazza – camera rustica – prigione – giardino – bottega da caffè. 8° Il sipario e le scene con quinte, in un coi dipinti tutti del plafone e parapetti, ed altro, saranno eseguiti dal Pittore Scenografo Piattini coadiuvato dai Pittori Cerreti, e Roggeri Torinesi. 9° Il tetto sarà costrutto circolare siccome quello del Paganini a Genova, e coperto di Zinco laminato. 10° Il lampadario avrà 40 fiamme, e corrispondente al teatro. 12° Si praticherà sotto il 1° ordine di palchi, e da un lato un corridoio per avere accesso alle sedie chiuse, ed all’orchestra. 13° Si formerà da un lato del Fabbricato una comoda scala per l’ingresso al loggione. 14° Si formeranno pure lateralmente due porte d’uscita per le persone de’ palchi, perché non si confondano con quelle della platea. 15° Ne’ peristili si praticheranno gli opportuni camerini per la distribuzione de’ biglietti, per l’impresa ed altro. 16° Il teatro sarà sufficientemente indorato, e nelle regole, forme, e quantità che verranno indicate dal profilo trasversale della platea, da distinto doratore Torinese, di cui verrà declinato il nome. Il progetto verrà presentato entro un mese dalla deliberazione, al Consiglio Comunale d’Acqui previa disamina, ed approvazione dell’Accademia delle Belle Arti, o di quale altro corpo speciale cui si credesse di sottoporlo. L’edificio sarà innalzato nel locale tra il Capel Verde, ed i Carabinieri Reali, come è indicato dal qui annesso tipo. R.Br. I proponenti avevano già aperto il 15 gennaio una sottoscrizione per l’acquisto dei palchi, ottenendo 50 firme fra le quali figuravano 20 proprietari di palco dell’attuale teatro. Ma due inconvenienti, secondo Olivieri e Ferraria dimostravano la necessità della formazione di un nuovo teatro: che 30 cittadini si trovavano sprovvisti di palco, e che 20 palchettisti riconoscevano il Dagna inservibile. In relazione a questi ultimi, che avevano firmato per un palco nel nuovo teatro, l’Impresa si obbligava ad acquistarne i palchi del Dagna, per una somma corrispondente a metà del prezzo del primitivo acquisto. Essi chiedono al Consiglio di coronare quest’opera, deliberando di accettare la proprietà di parte del nuovo edificio; di acconsentire che il teatro da erigersi prenda il nome di Teatro Municipale; di cedere gratuitamente l’uso del teatro per qualunque spettacolo; di assegnare una congrua dote perché possano aver luogo nell’anno due corsi di rappresentazioni, uno di opera con ballo, l’altro di commedia; di concedere all’Impresa stessa per il primo triennio l’affitto del teatro, corrispondendo la dote da stabilirsi32. Successivamente il geometra Olivieri, come richiesto dal Consiglio, presenta un progetto regolare munito di Capitolato compilato dall’architetto torinese Marchini, e chiede di accogliere le seguenti domande: fissare in modo obbligatorio e definitivo la dote del teatro; corrispondere al ricorrente la somma dell’area che avanzerà davanti al teatro; lasciare al ricorrente la possibilità di omettere le decorazioni interne ed esterne, in quanto molto costose, oppure corrispondergli lire 12.000 per l’eseguimento delle stesse, pagabili in sei rate annue; approvare il Capitolato con le modificazioni e aggiunte fatte di comune accordo; determinare il modo e l’ammontare della garanzia che il ricorrente deve presentare, contenendola possibilmente entro le 40.000 lire; permettere l’abbattimento delle piante per scoprire la facciata; permettere che i palchi invenduti siano fissati due nel 1° ordine, due nel 2° e cinque nel 3°, con la facoltà di lasciarli invenduti in qualunque ordine, purché nove restino inalienati33. Alla fine del mese di giugno però l’Olivieri si viene a trovare sprovvisto di cauzione, in quanto la persona su cui aveva fatto affidamento non tiene fede alla parola data; essendo in trattative con un’altra persona, egli chiede al Consiglio di prendere una deliberazione sul progetto, ripromettendosi di presentare una cauzione entro 15 giorni34. Nella seduta del 25 giugno la Commissione ritiene degno di lode il progetto dell’ingegner Marchini e propone alcune modifiche e precisazioni: vorrebbe la curva della sala più allargata dalla parte del proscenio, affinché sia meglio aperta la prospettiva del palcoscenico alle logge contigue; propone che lo spettacolo d’opera si svolga durante la 72 32 Ibidem, Proposta di Ferraria e Olivieri al Consiglio del 10 febbraio 1857. 33 Ibidem, Proposta del geometra Giuseppe Olivieri, senza data. 34 Ibidem, Lettera del geometra Giuseppe Olivieri del 24 giugno 1857 stagione dei Bagni, e la commedia nel Carnevale; accetta di pagare 2000 lire di dote, 1500 per l’opera e 500 per la commedia; ritiene preferibile eseguire i lavori di ornato insieme a quelli di costruzione; accetta il numero dei palchi che dovranno rimanere invenduti, con la condizione che quelli invenduti del 2° ordine siano quelli laterali a quello di mezzo, piuttosto angusto, di modo che, in caso di visita della Famiglia Reale, essendo movibili gli stipiti laterali al palco centrale, possano i tre palchi diventare uno solo; vorrebbe che l’impiego di calce e pietra sia limitato alle fondamenta, che il legno dei travetti sia di rovere anziché di castagno, per la sua maggior solidità, e quello del palcoscenico, dei palchi e del soffitto della platea di larice invece che di pioppo; propone di lasciar libero uno spazio davanti alla facciata per la costruzione di un porticato. Infine delibera di concedere 15 giorni al ricorrente per dotarsi della cauzione, sospendendo nel frattempo ogni deliberazione35. Il 28 luglio 1857 il geometra Olivieri costituisce una società con l’avv. Giovanni Fiore, presentando una nuova cauzione36. La vicenda pare finalmente giungere ad una positiva conclusione. Ma nella seduta del 18 agosto 1858, la Commissione, incaricata di provvedere alle indagini per riconoscere la legale sufficienza dei beni offerti dall’avv. Fiore a garanzia del Municipio e degli azionisti del teatro, rifiuta la cauzione: il prezzo attribuito al suo fondo è ritenuto esagerato, inoltre esistono a carico dell’avvocato varie ipoteche generali37. Sfuma così per Acqui unica nel suo circondario - la possibilità di avere un teatro decoroso, mentre città come Novi, Tortona e Voghera, che non hanno “né un’ingente produzione vinifera, né uno Stabilimento Termale (…), posseggono magnifici teatri che nulla lasciano a desiderare né per vastità, né per bellezza artistica”38. IL DAGNA DAL 1875 AL SUO ABBANDONO Nel marzo del 1876, in seguito alla circolare ministeriale del 18 maggio 1875, il Sottoprefetto propone una visita al teatro, dovendosi dare nei giorni di sabato 1 e domenica 2 aprile due rappresentazioni della compagnia Negromantica Bosco39. In seguito alla visita dell’ingegnere del circondario Pastorino, nel mese d’aprile 1876 il teatro viene dichiarato chiuso40. 35 Ibidem. 36 Ibidem, Relazione della Commissione per l’erezione di un nuovo Teatro del 18 agosto 1858. 37 Ibidem. 38 Ibidem, Reiezione della proposta di acquisto del Teatro Casa Dagna, seduta del Consiglio Comunale del 12 novembre 1856. 39 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 31 marzo 1876. 40 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto del 2 marzo 1878. 73 IL TEATRO E LA CITTÀ IL PALCO DI GIOVANNI FURNO Nell’agosto del 1877 il cav. Giovanni Furno acquista per 800 lire il palco n. 2 al primo ordine, accanto a quello di proscenio di proprietà del conte Costantino Talice di Passerano [Atto di compravendita del 7 agosto 1877 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 5 settembre 1877 al vol. n. 51, partic. 139]. Di questo mecenate acquese, che sostenne gli studi tanto dello scultore acquese Luigi Bistolfi, quanto del musicista Giovanni Tarditi, Giacinto Lavezzari, nel suo Sunto delle deliberazioni consiliari (Acqui 1886) fornisce il seguente ritratto (cfr. p. 321), che sembra restituire con realismo i contorni della figura. “Rapito ai vivi che non è guari”, il commendator Furno diviene il campione dell’ibridismo umano. “Di poca levatura, gretto, inesorabile verso i debitori, spese costantemente del suo a beneficio altrui. Le annue sovvenzioni al nostro asilo infantile di cui fu anche presidente, l’erezione della fontana sull’attuale mercato bovino e le molte elargizioni private, nonché il cospicuo legato al nostro Ospedale fanno fede a questa affermazione, tuttochè l’ingratitudine così frequente dei beneficati, tenti ad attenuare il merito della carità del defunto”. Sarà per questo, allora, che a lui – personaggio senz’altro centrale della vita ottocentesca - Acqui ha intitolato non una via o un corso, ma il vicolo (e piuttosto angusto) dinanzi al Cinema Cristallo, che pone in comunicazione Via Battisti con Via Mariscotti. La penna del Lavezzari lascia sempre il segno… R.Br. e G.Sa. Il 9 giugno 1877 viene presentata al Consiglio una convenzione tra i palchettisti ed i proprietari, per eseguire opere di restauro e provvedere il teatro degli arredi necessari. L’accordo prevede che le spese siano sostenute metà dai palchettisti e metà dalla famiglia Dagna, e comprende diverse condizioni: nel mese di giugno e luglio d’ogni anno il teatro sarà lasciato gratuitamente a disposizione della Direzione teatrale per rappresentazioni drammatiche, opere in musica, trattenimenti musicali, accademie ed altri divertimenti pubblici, ad esclusione degli spettacoli acrobatici ed altri che possano danneggiare la proprietà; la stessa facoltà viene concessa per la stagione invernale, dal 1° novembre al Natale, e per il periodo di Carnevale, purché in luglio venga comunicato per iscritto ai proprietari, i quali si riservano il diritto di disporre liberamente del teatro per balli in maschera a tarda sera, senza nuocere alle rappresentazioni; il Comune potrà disporne in occasione di pubbliche solennità, ad esempio distribuzione di premi, balli o riunioni di beneficenza, anche promossi da privati che lo richiedano al Comune o alla Direzione Teatrale; in corrispettivo di queste concessioni il Comune pagherà ai proprietari la somma di lire 400, metà in luglio e metà in dicembre, e lire 400 alla Direzione Teatrale come dote del teatro; i palchettisti si obbligano a pagare l’assicurazione contro gli incendi; sarà lecito ai proprietari vendere i palchi di dote, a condizione di concorrere alle spese di restauro attribuite ai singoli palchettisti, escluso il palco di mezzo del 2° ordine, proprietà del Comune, con l’obbligo di concorrere alle spese come palchettista. La Decorazioni del foyer del Teatro Dagna. Convenzione avrà la durata di quindici anni a partire dal giorno in cui i lavori di restauro saranno terminati e, in caso di costruzione di un nuovo edificio teatrale, l’accordo si considererà annullato a partire dall’anno successivo alla sua erezione41. Il 1° novembre iniziano i lavori di ristrutturazione del Dagna, che terminano nel giugno dell’anno successivo. Le relazioni dell’ingegner Pastorino del 29 marzo e del 25 giugno 1878 ci informano della consistenza dei lavori eseguiti: totale ricostruzione del coperto, del soffitto sovrastante la platea e di quello che, sospeso sopra le grosse travature del coperto stesso, tiene riparato il palcoscenico dalle correnti d’aria; opere relative al riadattamento e alla decorazione di palcoscenico, platea, palchi e corridoi; apparecchi di illuminazione, riscaldamento ed aerazione. Il teatro ora presenta tutte le garanzie di sicurezza e stabilità richieste dall’uso cui è destinato e riapre con Il barbiere di Siviglia di Rossini42. Nell’aprile 1881, gli incendi scoppiati ai teatri di Modena e Nizza Marittima inducono la Prefettura a disporre alcuni provvedimenti: visita agli apparecchi per l’illuminazione ed eventuali riparazioni; istituzione di un servizio per l’istantanea estinzione del fuoco durante le rappresentazioni; costruzione di porte varie e larghe, e collocazione delle chiavi in un luogo di facile reperibilità sotto la custodia di un apposito inserviente43. Il 16 aprile il Sindaco scrive alla Prefettura mostrandosi ugualmente preoccupato per i fatti accaduti a Modena, Nizza e Montpellier, ma osserva che non è facile in un piccolo paese dove possono mancare i mezzi d’azione, adottare provvedimenti efficaci contro gli incendi; egli pone l’accento sulle difficoltà ad attuare le disposizioni relative alle porte dei teatri, “di fronte agli inconvenienti di una costruzione che male risponde a somiglianti esigenze”. Egli osserverà le prime prescrizioni, ma sarà costretto a chiudere un occhio per quanto riguarda l’accesso ai due teatri della città44. Un falso allarme d’incendio, diffusosi tra gli spettatori del Dagna il giorno 8 dicembre, durante una rappresentazione di Gasparoni45, induce a prendere più seriamente in considerazione un intervento relativo alle porte d’accesso. Il Sottoprefetto, in una lettera del 29 dicembre, lamenta che il Dagna possiede solo un’angusta uscita per gli spettatori della platea, del 1° ordine di palchi e per il personale del palcoscenico, e due per il 2° ed il 3° ordine; uscite che danno su di un’unica 41 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Teatro Dagna Sabina Basi Fondamentali. 42 Ibidem. 43 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco dell’8 aprile 1881. 44 Ibidem, la risposta del Sindaco si trova a margine della Lettera del Sottoprefetto dell’8 aprile 1881. 45 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 29 dicembre 1881. 75 lunga e stretta scala, nella quale, in caso di disastro, verrebbero ad incontrarsi tutti gli spettatori, nonché i frequentatori del Circolo posto sopra il teatro, rischiando di rimanere schiacciati per la foga di guadagnare la porta che dà sulla via. La vetustà del legno dell’edificio, inoltre, agevolerebbe di molto il propagarsi delle fiamme e, mancando di sfiatatoi, potrebbe indurre la morte per asfissia46. L’8 gennaio 1882 il Sindaco, ricordando che il teatro è stato da pochi anni oggetto di restauri, propone la visita di un perito scelto dai proprietari, per verificare la possibilità di aprire una o più scale d’accesso47. Nel dicembre dello stesso anno si dispone una seconda visita48, ma nessun lavoro viene eseguito e il teatro rimane comunque aperto fino al 1887. Foglio volante per il ballo di beneficenza del 29 gennaio 1887. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. Nella pagina successiva in alto: Diploma rilasciato dall’Accademia Filarmonica d’Acqui a Girolamo Penengo. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. in basso: Ricevuta di pagamento del 26 febbraio 1860 con sottoscizione dei musici Penengo padre e figlio, Tessitore padre, Francesco Tessitore, Depetris Giuseppe, Baretti Giuseppe, Crosio Paolo, Morena [sic] Giusio Giovanni. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. Nel carnevale 1887 il Dagna, aperto ai soliti veglioni, subisce alcune modifiche: il palco della musica viene innalzato al secondo ordine e sotto una piccola loggia per la direzione dell’orchestra diretta dal maestro Penengo49. 76 46 Ibidem. 47 Ibidem, la lettera del Sindaco si trova a margine della lettera del Sottoprefetto del 29 dicembre 1881. 48 Ibidem, lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 10 dicembre 1882. 49 “La Bollente” del 25 gennaio 1887, n. 1. GLI ARTISTI GIROLAMO PENENGO (O “DI UNA CITTÀ ORFANA DI MUSICA”) Anche se citato di rado nel presente lavoro Girolamo Penengo, violinista, fu uno dei protagonisti della vita teatrale acquese. Figlio di quel Giovanni citato nello Statuto dell’Accademia Filarmonica Letteraria della Città d’Acqui, edito da Pola, 1844) fu attivo ad Acqui come camerista, ma anche in orchestra e come interprete solistico (cfr. “La Gazzetta d’Acqui” 10 novembre 1885: “Quando il M° Penengo suona la sua stupenda polonese sul suo violino incantato, nessuno è più in teatro, ma rapito in cielo”). Fu di 23 anni il servizio che Girolamo, ininterrottamente, prestò presso la Scuola di Musica Municipale, assumendo anche la direzione della banda . Nel gennaio 1890, però, il Nostro decise di cercar fortuna a Roma; e Italus [Carlo Chiaborelli], in una sua corrispondenza del 1892 (“La Gazzetta d’Acqui” 26/27 marzo), lo segnala come eccellente suonatore al Teatro Quirino. La partenza di Penengo coincide con un momento difficile per “la musica” acquese: senza maestro, difficile far funzionare orchestra, banda, cori e tutto il resto. Fu allora che il Municipio di Acqui Terme corse ai ripari diramamdo dalle colonne de “La Gazzetta del Popolo” del 24 marzo 1890 un bando di assunzione (poi vinto da Tullo Battioni) che susciterà tante critiche. Lo stipendio annuo di 1200 lire (6500 euro di oggi) fa dire a molti che il concorso andrà deserto. E, “per giunta, per riordinare di senno la scuola di musica e avere una buona orchestra e banda cittadina che corrispondano all’importanza del paese e ai bisogni del nuovo Teatro [è il “Garibaldi”, erigendo], è assolutamente indispensabile chiamare due maestri, uno per gli strumenti a corda e l’altro da fiato”. La storia è ....lunga e non si può qui ricordar tutta. Basti dire che, su “La Bollente” del 17 marzo 1891, parlando della questione, si ricordan tutti i maestri della scuola: Giovanni Penengo (papà di Gerolamo, come lui violinista, di cui è un Diploma rilasciato nel 1834); [Alessandro] Bottero, [lo svizzero, del cantone di S. Gallo, Giovanni] Zelvigher, Tessitore [Felice, maestro dell’Accademia, citato con Giovanni Penengo nello Statuto della Banda del 1844]”. Manca solo il Franceschini, che sappiamo essere stato costretto alla partenza, sul finire degli anni Sessanta del XIX secolo, “disgustato da attriti e incompatibilità con i filarmonici”. Tra questi, i migliori (indicati solo col cognome) son stati i Dogliotti, Fossa, Raviola, Traversa, Scovazzi, Tessitore figlio, Benzi, Crosio. Una menzione giunge infine per “la discreta scuola di canto” e per il glorioso Dagna in cui un tempo, “agivano compagnie drammatiche e di canto di indiscutibile valore”. G.Sa. Cfr. anche La musica ad Acqui ai tempi di Giuseppe Saracco, in ”Corale Città di Acqui Terme”, anno XVI, n.1, aprile 2001. Nei mesi successivi però il teatro, che doveva aprirsi con uno spettacolo d’opera nel mese di giugno, rimane chiuso non rispettando le misure di sicurezza richiamate in vigore dopo la catastrofe di Parigi; i palchettisti insistono perché il Municipio e la Commissione vedano se si può adattarlo alle nuove norme50. Dalla relazione dell’ingegnere del Genio Civile Pareto del 17 gennaio 1888, seguita ad una sua visita, risultano essere necessari riadattamenti radicali, lavori ed opere murarie51. Il 21 gennaio il Sottoprefetto, dietro richiesta d’apertura del teatro per un ballo di beneficenza, decide di lasciare ai proprietari la facoltà di aprire una seconda porta di soccorso con scala e apposizione di ballatoio dal lato di mezzanotte, verso piazza San Francesco, oppure sul fondo del palcoscenico, verso il cortile. Si propone una seconda visita52, ma rifiutando i proprietari di prendere alcun provvedimento, il 23 aprile il Prefetto dispone la chiusura del Dagna fino a quando non ne vengano migliorate le condizioni53. Alla fine dell’anno l’impresario Franchiolo, dopo accordi presi con la proprietaria54, fa eseguire dei lavori e dispone l’apertura del teatro per una festa da ballo55. In seguito alle relazioni dell’ingegnere del Genio Civile Pareto e dell’aiutante del Genio Civile Demartini, il 9 febbraio 1889 il Prefetto Saltelli revoca il provvedimento di chiusura del teatro e ne permette l’apertura per sole feste da ballo, durante le quali sarà tenuta pronta una pompa idraulica, con relativo serbatoio d’acqua56. Nel dicembre 1889 il cronista de “La Bollente” comunica i tentativi dei signori Scati e Tirelli per riaprirlo a pubblici spettacoli, consistenti nell’apertura di trattative per stipulare un accordo con le proprietarie sorelle Chiabrera e a preparazione di un progetto di adattamento alle moderne esigenze della sicurezza, prevedendo l’emissione di azioni di lire 10 a fondo perduto per sopperire in parte alle spese da sostenere57. Ma ancora nel 1891 il Dagna risulta aperto per le sole veglie danzanti; riaprirà agli spettacoli solo nell’ottobre del 1893, dopo la demolizione del Politeama Benazzo, fornito di lampade a gas, aperture di sicurezza e con un solo 78 50 “La Bollente” del 15 novembre 1887, n. 43. 51 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Decreto di chiusura del teatro Dagna del 23 aprile 1888. 52 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 22 febbraio 1888. 53 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 25 aprile 1888 con allegato Decreto. 54 In realtà alcune lettere degli avvocati delle proprietarie sorelle Chiabrera lamentano che il consenso all’esecuzione dei lavori era subordinato alla definizione dei rapporti tra i proprietari ed i palchettisti, attraverso una regolare convenzione da far sottoscrivere agli interessati, condizione che il Franchiolo non aveva rispettato (ibidem). 55 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 26 dicembre 1888. 56 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 12 febbraio 1889 con allegato Decreto. 57 “La Bollente” del 17 dicembre 1889, n. 51. Invito del Circolo Operaio, al Sindaco e alla Giunta, a prendere parte alla commemorazione di Giuseppe Mazzini in programma il 14 maggio 1894 al Teatro Dagna, con oratore l’avv. Francesco Bisio. ASCAT, Sez. II, ordine trasforSerie XXI, faldone 24. palco nel 3° mato in loggione58. Dal gennaio 1895 il teatro Dagna non compare più nelle cronache dei periodici. Un’ultima “fotografia” del teatro viene fornita dalla relazione del Perito Civico Chiave, in seguito ad una sua visita indotta dal pericolo di rovina dell’edificio: “Non le dirò della sfavorevole impressione fattami Domanda della SOMS, [per] la vista di diversi tratti datata 16 febbraio 1892, di pavimenti e solai demoliti, per l’allestimento di un ballo di serramenti schiantati e al Teatro Dagna. asportati, di muricci divisori ASCAT, Sez. II, abbattuti, delle pareti scroSerie XXI, faldone 24. state per rimuovere le tubazioni del gas, ed ogni cosa messa a soqquadro ed offesa, perché giudico non di spettanza dell’Autorità C.le occuparsi del ripristino e riordinamento del teatro. Sottoporrò all’attenzione di V. S. soltanto ciò che sia attinente alla sicurezza ed incolumità dei cittadini, che sottostante il teatro vi è un esercizio pubblico, e che l’edificio stesso prospetta sopra una piazza. La platea del teatro è ingombra di legnami, calcinacci e cannicciati, e tale ammasso di materiali proviene dalla parziale rovina del soffitto. Infatti questo ha un largo squarcio nel centro della sala, e presenta innumerevoli screpolature. Esaminatane la sua struttura, vidi che si compone di tante centine in legno, alle quali vennero fermati i cannicci per fare l’intonaco. Le centine poggiano su ritti in legno che sorreggono pure le impalcature e tramezze delle loggie. I persistenti stillicidi e la vetustà forse della costruzione rese le centine fracide ed inflesse, talché più non sopportano il gran peso del soffitto, e sono fatalmente condannate ad una imminente rovina. Non sarebbe però questo il peggiore dei mali, che altre conseguenze ben più pregiudizievoli possono derivarne, quando con le centine fossero travolti nella caduta pure i ritti anzidetti alle centine stesse collegati. In allora le loggie non avrebbero più sostegni e sprofonderebbero. A tale rovina certamente non reggerebbero i volti coprenti il piano terreno, sicché vi sia possibilità che le macerie facciano delle vittime in quel luogo abitato. Necessita quindi provvedere d’urgenza al puntellamento del soffitto pericolante e pensare poi a ricostruirlo. Nel contempo si dovrebbe riforzare le incanallature del tetto, 58 “La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 settembre 1883, n. 39 e del 30 settembre-1° ottobre 1889, n. 40. 79 il quale appunto per l’insufficiente armatura e concatenamento, presenta notevoli depressioni, e già ha determinate delle fenditure nei muri”59. L’ATTIVITÀ TEATRALE Progetto di trasformazione del Teatro Dagna, 1915. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. L’inaugurazione del teatro avviene il 30 maggio 1835 con il melodramma Chiara di Rosenberg60 e con il ballo in musica Il paggio di Leicester. La documentazione relativa alle compagnie che recitarono al Teatro Dagna appare estremamente frammentaria per gli anni precedenti al 1879, in quanto la Biblioteca Civica di Acqui Terme non dispone per quegli anni di copie dei periodici acquesi. La fonte principale è costituita dalle lettere inviate dai capocomici alla Direzione del teatro o al Sindaco, delle quali però spesso non possediamo la risposta. La prima lettera risale al 15 giugno 1847 ed è scritta da Napoleone Tassani61 al Sindaco della città. Il Tassani, che si era già in precedenza recato ad Acqui, avendo saputo che il capocomico Pezzana non avrebbe rispettato l’impegno preso col teatro per la prossima fiera, si era offerto di sostituirlo. L’impresario Cornaglia però pretendeva di scritturare la compagnia solo quando essa fosse giunta in città; avendo il Tassani rifiutato, il Cornaglia si era rivolto all’agenzia Adami e Rivera alla ricerca di un’altra compagnia, e gli era stata proposta la compagnia Notis, che era poi la stessa del Tassani, essendo i due soci. Il sig. Adami aveva richiesto un’anticipazione e, prevedendo un rifiuto dell’impresario, Tassani manifestava al Sindaco la necessità di una lettera “delli Sig.ri amatori del teatro 80 59 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, lettera del Perito Civico Chiave del 19 ottobre 1904. 60 Il libretto dell’opera, conservato presso l’Archivio Chiabrera, riporta in terza pagina la scritta “la primavera 1835”. 61 Napoleone Tassani era figlio dell’attore e capocomico Lorenzo Tassani, e marito di Elena Germoglia, figlia del caratterista Giuseppe Petrucci (L. RASI, I comici italiani: biografia, bibliografia e iconologia, Firenze 1897-1905, vol. II, pp. 569-571). che dichiarasse esser pronto all’arrivo il contante per pagare il viaggio, bene inteso che questo denaro dovrebbe dalla Compagnia rilasciarsi sull’introiti a chi lo sovvenisse”62. Il 19 dicembre 1849 la compagnia di Tassani è presente in Acqui per dare una produzione a beneficio dei poveri63. Le recite di beneficenza erano piuttosto diffuse all’epoca, e lo stesso Gustavo Modena il 10 maggio 1850 reciterà a beneficio dell’emigrazione italiana: nel Regno Sabaudo Modena trascorrerà gli ultimi anni della sua vita, bandito dagli altri Stati d’Italia64. 62 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 63 Ibidem. 64 Su Gustavo Modena cfr. Enciclopedia dello spettacolo, Roma, 1954, ad vocem, vol. VII, pp. 671-675; L. RASI, op. cit., vol. III, pp. 132-141; G. B. MARTINA, Cenni biografici su Gustavo Modena, Venezia 1870; L. BONAZZI, Gustavo Modena e l’arte sua, seconda edizione, Città di Castello 1884; V. ANDREI, Gli attori italiani da Gustavo Modena a Ermete Zacconi, Firenze 1899; E. BOUTET, Nel centenario della nascita di Gustavo Modena, Conferenza alla scuola di recitazione, Regia Accademia di Santa Cecilia, 13 gennaio 1903, Roma 1903; G. CASENTINO, Modena Lombardi e Vestri a Bologna, Bologna 1901, pp. 5-68; E. L. FRANCESCHI, Studi teorico-pratici sull’arte di recitare e di declamare nelle sue corrispondenze con l’oratoria, colla drammatica e colla musica, Milano 1857, pp. 229-253; T. GRANDI, Gustavo Modena attore e patriota (1803-1861), Pisa 1968; N. GIGANTE, Gustavo Modena, Taranto 1903; G. LIVIO, La scena italiana. Materiali per una storia dello spettacolo dell’Otto e Novecento, Milano 1989, pp. 29-50; E. MAINA, Gustavo Modena nella scena dell’ottocento, tesi di laurea, Università degli studi di Torino, Facoltà di Magistero, a.a. 1982-83, relatore prof. Roberto Alonge; A. MANGINI, Gustavo Modena. Ricordi di vita artistica, politica e letteraria con lettera inedita a F. D. Guerrazzi, Livorno 1912; N. MANGINI, Gustavo Modena e il teatro italiano del primo Ottocento, s.n.t., estratto da Atti dell’Assemblea del 27 giugno 1965 della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, pp. 11-47; N. MANGINI, Drammaturgia e spettacolo tra Settecento e Ottocento. Studi e ricerche, Padova 1979, pp. 75-98; C. MELDOLESI, Profilo di Gustavo Modena. Teatro e rivoluzione democratica, Roma 1971; L. PULLÉ, Penna e spada. Memorie patrie di armi, lettere e di teatri, Milano 1899; M. RAZZA, Tra quinte e poltrone, Roma 1984, pp. 27-67; Sulla sua concezione del teatro cfr. V. MONACO, La repubblica del teatro. (Momenti italiani. 1796-1860), Firenze 1968, pp. 97-149. Sulle sue interpretazioni shakespeariane cfr. H. GATTI, Shakespeare nei teatri milanesi dell’Ottocento, Bari 1968, pp. 37-51. Si ricordano infine gli epistolari: G. MODENA, Lettere inedite, s.n.t.; G. MODENA, Epistolario di Gustavo Modena (1827-1861), a cura di T. Grandi, Roma 1955; G. MODENA, Politica e arte. Epistolario e biografia (1833-1861), Roma 1888; T. GRANDI, Scritti e discorsi di Gustavo Modena (1831-1860), Roma 1957. Omaggio poetico a Gustavo Modena. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. 81 La presenza dell’attore doveva aver impressionato il pubblico acquese, tanto che Emilio Manara65, “interprete del comun voto”66, aveva composto un’ode in suo onore. L’artista veneziano giunto in città fu festeggiato con le parole: “L’è venu el re dei Sciarlatan!”67. Invito a stampa al trattenimento proposto il 15 giugno 1854, presso il Teatro Dagna, dall’Accademia Filarmonica e dalle damigelle Marietta e Antonietta Erba di Casale. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. 82 Il 16 giugno 1855 l’appaltatore teatrale Mascalchini si accorda con la Commissione Municipale, incaricata di proporre il modo di festeggiare la festa di S. Guido, per portare in città una compagnia d’artisti di canto per rappresentarvi, ai primi di luglio, un’opera seria e una buffa, Il Marin Faliero e I falsi monetari, oltre ad un terzetto ballabile. La Commissione assicura al Mascalchini tutte le spese di teatro, illuminazione, orchestra ed inservienti per il corso di venti rappresentazioni d’abbonamento e due serate, e l’impresario darà una serata obbligatoria a beneficio di un’Opera di Carità. La Commissione si riserva inoltre il diritto di rifiutare gli artisti che non saranno graditi al pubblico68. Con una lettera del 30 giugno l’impresario scrive al Sindaco “acciò voglia degnarsi nell’occasione della straordinaria Festa e Fiera di S. Guido, a non permettere spettacoli o serali trattenimenti di sorta alcuna, a chi interverrà in detta occasione, potendo i detti trattenimenti aver luogo nel giorno, e cessare un’ora prima che abbia luogo lo spettacolo d’Opera e Ballo al Teatro”69. Il 18 novembre 1855 “La Bollente” pubblica un articolo in cui critica la recitazione degli attori della compagnia che in quei giorni si esibiva al teatro Dagna; nel numero successivo, un certo Gherardo Forattini risponde all’articolo con un sonetto, in cui invita a scernere “il gran da loglio”70. 65 Emilio Manara risulta essere uno dei palchettisti del teatro Dagna (vedi al box “Gli Acquesi e i palchi” di p. 69). 66 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 67 G. MODENA, Epistolario, a cura di T. Grandi, Roma 1955, lettera del 1° febbraio ’57, p. 262. 68 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 69 Ibidem. 70 “La Bollente” del 26 novembre 1855, collezione privata, Acqui. IL TEATRO E LA CITTÀ Il 10 maggio 1856 il capocomico Eugenio Linari Bellini chiede il Teatro Dagna per la stagione estiva, per rappresentarvi un’opera seria e una buffa, ossia Il trovatore, Chi dura vince o altre71. Il 6 giugno 1856 gli appaltatori teatrali Giuseppe Amery e Giuseppe Griffanti chiedono la disponibilità del teatro per il mese di luglio e agosto per darvi tre spartiti in musica, Chi dura vince, Norma, Beatrice di Tenda, con tre balletti composti dal Griffanti. In risposta ad una lettera del Sindaco, accettano l’offerta di dare tre opere in musica con un terzetto ballabile (tra cui forse I due Foscari), “più una Mima che sosterrà la parte del Parricida”, e presentano l’elenco degli attori72.Veniamo a sapere da una lettera dell’Intendente del 23 luglio 1856 che l’impresario Rivarola, ritenendo l’impresa in perdita, non aveva pagato gli stipendi agli artisti, e questi, impegnati nell’opera I due Foscari, si rifiutavano di cantare. Dai conti degli introiti forniti dal Cornaglia, risultava in realtà che gli introiti superavano le spese, e non avendo il Rivarola portato a compimento la prima metà dell’abbonamento, non gli spettavano le 500 lire del regalo offerte dal Comune. L’Intendente manifesta al Sindaco il parere del maestro Bottero di licenziare il Rivarola, “sia come impresario sia come artista”, tanto più che “nell’Opera li due foscari, questo non è punto necessario, e la sua presenza non cagionerebbe che una spesa parassita”73. 71 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 72 Ibidem. 73 Ibidem. Sonetto pubblicato su “La Bollente” del 26 novembre 1855, composto da Gherardo Forattini in risposta ad un articolo critico nei confronti della recitazione degli attori, apparso nel numero precedente del giornale. SONETTO DEL 1855 Sta ben, Bollente, critica e martella, E dalla nuca spela infino all’osso L’attor che ignavo parti, e lo flagella, Sia castagno di pel, sia nero, o rosso. Ma giustizia ti mova, e scerni in quella Il gran da loglio, e non tagliar di grosso; Pecca chi miete, e poi con man ribella, Di tutto un fascio getta giù in un fosso. Lupa, diranti, che notturna, ostello Umile assali, e sitibonda e trista Il capro sbrani e l’innocente agnello. Oh guai se addentro ne l’umana lista Scrutiam! l’un l’altro cortesia sgabello Sieda a indulgenza, e non veduta vista. R.Br. 83 IL TEATRO E LA CITTÀ Lord Spleen [...] si è riempite le orecchie del vocione di Alessandro Bottero, che rimbomba come un cannone in chiave di basso e lo ha regalato di una tabacchiera d’argento... GIOVANNI FALDELLA, Figurine, 1875 IL BASSO ALESSANDRO BOTTERO, UN ACQUESE DI SUCCESSO Quanti mestieri per i musicisti dell’Ottocento! Tanto per i grandi (come il Nostro, che poi trionfò come basso buffo al S. Carlos de Lisbona, all’ Opera di Vienna, a Barcellona, al Covent Garden di Londra, a Parigi (dove al Théâtre Italien, il 9 novembre 1865 Bottero portò il Don Bucefalo di Cagnoni), quanto per i piccoli nomi (si vedano le biografie – tra qualche pagina - di Battioni, Vigoni, Boverio, Corrado). Alessandro Bottero, girovago e musicista da strada (a 16 anni scappò di casa: fu in Francia e in Svizzera), organista, maestro di banda, poi celebre cantante (1831-1899) genovese di nascita, non ancora famoso, operò nella nostra città e nei dintorni “vicini e lontani” (maestro di banda a Casale e Canelli, organista a Terzo e nella città dello spumante, basso “liturgico” nel duomo di S. Guido, dove “voce potente e simpatica” cantò il Tantum Ergo nelle feste patronali). Sempre da noi, negli anni Cinquanta, ricoprì il ruolo del Don Basilio rossiniano (uno dei suoi cavalli di battaglia), nel Barbiere, al Teatro Dagna della Via Nuova (per notizia e per la precedente cfr. “La Gazzetta d’Acqui” del 29/39 novembre 1930, la firma è quella di Italus, Carlo Chiaborelli) assumendo, contemporaneamente, (cfr. “La Bollente” del 1° aprile 1890) la direzione della Scuola di Musica Municipale della Banda (oltre al violino e al canto, aveva studiato, pur non regolarmente, sia il contrabbasso, sia il pianoforte, con risultati lusinghieri), continuando ad alternarsi all’organo all’occorrenza . In conclusione, fu nella nostra città che egli “visse alcuni anni della sua giovinezza e rivelò la sua non comune disposizione per il canto” (“La Gazzetta d’Acqui” del 6/7 febbraio 1892). Artefice delle sue iniziali fortune sembra sia stato il M° Giacomo Panizza (Castellazzo Bormida, 1° maggio 1804 o 27 marzo 1803 Milano, 1° maggio 1860), all’epoca maestro al cembalo e direttore d’orchestra alla Scala (ma anche compositore di opere e balli, inni, cantate e di una serenata per Maria Malibran). Già nel 1859 Bottero debuttò alla Scala con la Matilde di Shabran di Rossini (di cui cantò anche la Cenerentola). Vent’anni dopo l’acquese Franco Riccabone, collaboratore da Milano (con la moglie Maria Swender) della “Gazzetta d’Acqui, ne segue assiduamente le tracce. Il 18 gennaio 1879 sul giornale cittadino la cronaca delle recite milanesi al Teatro Carcano sul corso di Porta Romana: “Il nostro concittadino Alessandro Bottero, quantunque gli anni vadino [sic] strappandogli i peli, è pur sempre un grande artista…il valente nostro Bottero riscuote immensi applausi e nell’opera Papà Martins [La gerla di Papà Martins, di Umberto Cagnoni]”; una settimana più tardi le cronache riprese dalla “Lombardia” dicono di un Bottero “come sempre inarrivabile” nel Don Bucefalo [sempre di Cagnoni: il protagonista è un maestro di canto] “e nella prova dell’opera, al terzo atto, gli fu fatto replicare l’assolo di violino in mezzo a fragorosi ed entusiastici applausi”. Da noi Bottero poi tornò per un concerto in favore degli inondati della Bormida, recensito sulla “Giovane Acqui” del 22 luglio 1879. Gli ascoltatori oltre a riconoscergli un timbro bello, una voce potente e intonata, un registro assai esteso, erano estasiati dalla sua straordinaria presenza scenica, contrassegnata da gesti misurati ma assai espressivi. E ciò sino all’ultimo: si fece, infatti, accompagnare al cimitero sulle note de La bella gigogin (“La Bollente” 11-12 febbraio 1892). G.Sa. Per tutte le notizie non tratte direttamente dalle fonti locali rimandiamo alla voce Alessandro Bottero del “Dizionario Biografico degli Italiani” (curata da C. Gabanizza) e alla voce Bottero del DEUMM (Utet), primo volume dell’appendice, che segnala anche il basso comico Osvaldo Bottero (Casale 1849-Firenze 1892), figlio del precedente. Altra sintesi in Alessandro Bottero una storia romantica, in “Corale Città di Acqui Terme”, n. 2, 2004. Il 2 novembre 1857 giunge in Acqui Gustavo Modena, preceduto dalla sua compagnia: intendono fare l’esperimento scenico di un manoscritto di David Chiassone dal titolo provvisorio Autore di cuori. Sarà messo in scena con il titolo Cuor di marinaro domenica 8, preceduto il sabato dal Saulle74 e seguito, nell’ultima sera di martedì da Maometto75. Il 4 maggio 1867 il tenore Giulio Guerrieri chiede al Sindaco la disponibilità del teatro a partire dal 16 o 17 maggio per dare, in società con altri artisti, 16 recite, scegliendo come prima opera Poliuto, e come seconda Lucia76. Il 6 luglio è il tenore Tobia G. Camaccini, che con alcuni colleghi, una prima donna soprano, un tenore, un basso, un basso buffo e un maestro di piano intendono recarsi in Acqui per dare alcune accademie77. Il 18 febbraio 1868 Gaetano Bruni, avendo rinnovato la sua compagnia, che ora presenta come prima attrice Carolina Caracciolo Aiudi, e come direttore il marito della stessa, Amilcare Aiudi, intende presentare un corso di 24 o 30 recite durante la Quaresima78. 74 Il Modena era stato chiamato nel gennaio dello stesso anno dal comune di Asti a mettere in scena il Saul di Alfieri, con la compagnia Bonazzi, che vi recitava per tutto il Carnevale, e con esito molto fortunato (G. VENTIMIGLIA, op. cit., pp. 153154). 75 G. MODENA, op. cit., p. 282. 76 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 77 Ibidem. 78 Ibidem. GLI ARTISTI AMILCARE AJUDI “Fu brillante, ma non brillò mai di luce propria. Imitava il Giardini, altro brillante (…). Passò nel 1856 nella Compagnia Stacchini e nel ’57-’58 in quella Trivelli”. La moglie Carolina Caracciolo Ajudi cominciò ad acquistare fama nel ruolo di prima donna e prima amorosa nella società formata nel 1851 da Carolina Internati; passò poi in diverse compagnie, fra cui, nel ’53, in quella condotta e diretta da An- tonio Feoli, diventando capocomica dopo il matrimonio; nel 1856 entrò prima attrice nella compagnia di Antonio Stacchini, nel ’57-’58 nella Compagnia Ligure, nel ’66 con Colomberti e Casilini, con Cesare Vitaliani e infine con Tommaso Salvini. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 12-13 e 587-589. Manifesto della serata patriottica allestita al Teatro Dagna l’8 aprile 1866. La sottoscrizione è dell’Assessore delegato Giovanni Furno. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. GLI ARTISTI GIOVANNI TOSELLI Nato a Cuneo nel 1819, Giovanni Toselli, dopo aver cercato invano una scrittura nel teatro lirico essendo dotato di una buona voce baritonale, era passato alla prosa in una misera compagnia. Dopo la scrittura come generico nella compagnia di Napoleone Tassani e in quella di Gustavo Modena, più come contabile che come attore, aveva formato una propria compagnia, dedicandosi completamente al teatro dialettale dopo il suo successo nella parte recitata in dialetto in Ascanio alla torre di Niel. Toselli aveva conosciuto a Nizza il famoso Meynadier, che gli cedette il Teatro D’Angennes a Torino; in quel periodo la compagnia rappresentò tanti lavori e capolavori, dominando incontrastata fino alla fine del 1869. Tra gli attori di quel tempo ricordiamo Giovan Battista Penna, Giacinta Pezzana, Antonio Cavalli, la caratterista Teresa Rosano, la caratterista Marianna Moro Lin, Angelo Moro Lin e il figlio Checco, Luigi e Isabella Vado, Francesco Ferrero, Luigia Fantini e le figlie Amalia e Camilla, Giovanni Baussé, Carolina Tessero madre di Adelaide, le sorelle Anna e Caterina Reynaud, ed i più grandi allievi di Giovanni Toselli: Tancredi Milone, Pietro Vaser, Enrico Gemelli e la moglie Paolina, Teodoro Cuniberti e la figlia Gemma. Nel 1869 iniziò la crisi che portò allo scioglimento della compagnia, crisi dovuta al fatto che qualche attore aveva abbandonato Toselli per fargli concorrenza. Nel 1880 Toselli fu chiamato da un Comitato per dar vita alla compagnia “La Torinese”, con esito lusinghiero ma di breve durata; tornò così a recitare con le figlie Clara e Carlotta, nelle compagnie di Alessandro Marchetti e Artale Pedretti, fino a quando nel 1885, a Piacenza, fu colpito da paralisi durante le prove di Le miserie del signor Travetti di Bersezio. R.Br. Cfr. anche D. SEREN GAY, Storia del teatro dialettale piemontese, Torino 1971, pp. 18-31. Con lettera del 28 dicembre 1868 Lechi Coriolano, direttore della Compagnia dei Fanciulli Bresciani, che doveva passare per Acqui nel compiere il suo giro, chiese l’uso del teatro per un trattenimento serale, disposto ad accettare il teatro per una sola sera se esso fosse già occupato da qualche Impresa d’Opera o Compagnia Drammatica, ed offrendo “un Carato dall’incasso netto delle spese”79. L’8 luglio 1869 giunge al Teatro Dagna la compagnia del Cavalier Toselli80. Il 13 luglio 1869 è la compagnia dell’attrice Clementina Morino-Tamberlani a chiedere il teatro “onde dare un corso di Rappresentazioni Drammatiche – Tragiche e Comiche – Novità assoluta nel repertorio, molti componimenti di esclusiva proprietà e Privativa dell’impresa – Un buon nucleo di Attrici e Attori, Vestiario analogo e di lusso – Molta Proprietà di mise en scène”81. Richiesta di utilizzo del Teatro Dagna da parte della compagnia dell’attrice Clementina Morino-Tamberlani. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. 79 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 80 Ibidem, lettera di A. Moro Lin, amministratore della compagnia Toselli, dell’8 giugno 1869. 81 Ibidem. Nei mesi di novembre e dicembre 1871 il teatro è occupato dalla compagnia Cottin A. e Soci82. Nel maggio 1873 si trova in città la Drammatica Compagnia Sociale condotta da Francesco Galletti e diretta da Federico Branchi, i quali con lettera del 1° maggio si rivolgono al Prefetto perché inviti il signor Cornaglia a ridurre le elevate spese serali richieste, nonché i suoi diritti di sesto sugli introiti, aggravi considerati “incompatibili per un Teatro dove non può accorrere la plebe, e dove i maggiori proventi sono a favore del sullodato Signor Cornaglia, ed a danno emergente delle drammatiche Compagnie che nella credenza di vivere, accettano ciecamente codesta specie di contratti”. Chiedono inoltre di indurre il Comune ad elargire una certa somma per permettere alla compagnia di terminare il corso delle recite83. La mancanza di denaro delle compagnie di prosa sarà un problema che le accompagnerà per tutto l’Ottocento: le elevate spese serali richieste dagli impresari e i bassi introiti inducevano spesso gli attori ad abbandonare le piazze o a chiedere un sussidio straordinario al Comune per portare a termine gli impegni presi. Il 31 luglio 1873 Coriolano Lechi chiede il teatro per andare in scena martedì 8 con l’opera Crispino e la comare84. Nel novembre dello stesso anno il pubblico assiste alle recite della compagnia Ferrante e Bocci85, mentre dal luglio al novembre 1874 è la compagnia di Nicola Giannuzzi ad occupare il teatro Dagna86. Carteggio relativo al Teatro Dagna riguardante una richiesta di sopralluogo da parte di un ingegnere del Genio governativo. La lettera, datata 16 giugno 1878, è listata a lutto per la morte di Vittorio Emanuele II. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. Nella stagione del Carnevale 1878-1879 si trova in Acqui l’ottima Compagnia di Vincenzo M. Diligenti, con la prima attrice Italia Diligenti, per un corso di almeno 20 rappresentazioni. Il repertorio è buono: tra le opere rappresentate Le due dame di Paolo Ferrari, Dora di Sardou, Messalina di Cossa, Le miserie del Sig. Travetti del Bersezio, Le baruffe chiozzotte di Goldoni, Speroni d’oro e Il falconiere di Pietro Ardena di Leopoldo Marenco. Dopo le prime recite, con le quali la compagnia ottiene un buon successo, la situazione peggiora, anche perché il pubblico si lamenta per le troppe repliche. Scrive il cronista de “La 82 “L’Arte drammatica”, Anno I, 6 novembre 1871, n. 1 e 1° dicembre 1871, n. 5. 83 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 84 Ibidem. 85 “L’Arte drammatica”, Anno III, 1° novembre 1873, n. 1. 86 Ibidem, Anno III, numeri dal 27 giugno 1874, n. 34 al 31 ottobre 1874, n. 52. 87 Giovane Acqui”: “Il nostro pubblico non è di quelli che vadano in teatro per sentir discutere questa o quella tesi sociale, desso non va colà per fare un corso di filosofia, di morale, di politica o che so io. Noi provincialoni andiamo a teatro per passare qualche ora allegra (…)”87. Lo stabile del Teatro Dagna, oggi. 88 Nella seconda metà del mese di gennaio il teatro viene affittato dalla compagnia Regoli, in cui si nota come unico artista di rilievo il veronese Luigi Velli88. L’esordio avviene con l’opera Cause ed effetti del Ferrari e questa volta si assicura che le repliche saranno evitate e che le commedie di genere comico “terranno i primi posti nel repertorio, interrotti da qualche vaudeville”89. Il pubblico continua però ad essere restio ad accorrere a teatro, tanto che, su iniziativa privata, si organizza una sottoscrizione per aumentare alla compagnia l’insufficiente sussidio municipale90. Si legge ne “La Gazzetta”: “La Compagnia Regoli ha dato delle produzioni che seppero appagare tutti i gusti, e che mostrarono la valentia dei singoli artisti, non che il dovizioso corredo onde va fornita. Se qualche sera i palchi son radi come i galantuomi, la colpa è tutta del Carnevale”91. Il pubblico acquese preferiva infatti svagarsi con i numerosi balli che in questa stagione si organizzavano al Casino, al Circolo e allo stesso teatro Dagna. Tra le altre opere la compagnia aveva rappresentato: I Forchambault di Augier, I Danicheff di Dumas figlio; I Borghesi di Pont-Arcy di Sardou “che faceva tanto chiasso a Parigi l’anno scorso”, bene accolta dal pubblico nonostante la lunghezza (“La Giovane Acqui” del 22 febbraio 1879, n. 8), Amori d’un Brigante del concittadino Depetris, ed Il Trovatore, bozzetto medioevale scritto da Caro Core di Nizza Monferrato, “copia 87 “La Giovane Acqui” del 1° gennaio 1879, n. 1. 88 Il Rasi riporta ciò che di lui si scriveva nel 1821 nelle Varietà teatrali di Venezia: “i suoi naturali talenti, la sua coltura, e la prontezza del suo spirito, giunti che sieno a farsi conoscere dal pubblico, miserabilmente coprono lo svantaggio in lui di una voce monotona e non insinuante, e di uno sceneggio sovente, se naturale, troppo confidenziale, se nobile, troppo ricercato.” (L. RASI, op. cit., vol. II, p. 626). 89 “La Giovane Acqui” del 21 gennaio 1879, n. 4. 90 “La Giovane Acqui” del 4 febbraio 1879, n. 6. 91 “La Gazzetta d’Acqui” del 15 febbraio 1879, n. 7. fotografica della Partita a scacchi con reminiscenze del Trionfo d’amore” (“La Gazzetta d’Acqui” del 1° marzo 1879, n. 9). Nell’aprile dello stesso anno il teatro viene affittato dalla compagnia del Cavalier Toselli. Se le prime rappresentazioni della compagnia, di cui si stima soprattutto “l’affiatamento e l’equilibrio nell’abilità degli attori”92, attirano un pubblico numeroso93, già nei primi numeri del mese di maggio il cronista della “Giovane Acqui” critica “l’apatia dei concittadini”94 a causa della quale il teatro è quasi seralmente spopolato, apatia che conferma “le cattive prevenzioni”95 del Toselli sul teatro acquese: “Non si può sperare di avere un’altra compagnia composta di ottimi elementi come i Beltramo, i Cappello, il Salvaia, il Governato, Castelli, Campana, Sabola ecc.”96. Nell’estate 1879 il teatro Dagna accoglie per lo più spettacoli di dilettanti: le 200 lire offerte dal Comune sono insufficienti per dare uno spettacolo d’opera e nessun impresario vuole assumersi grossi rischi. Nel mese d’ottobre è la compagnia Caldini ad occupare il Dagna: dopo le prime rappresentazioni, l’insofferenza del pubblico nei confronti di un repertorio piuttosto vecchio spinge il capocomico Caldini a scritturare nuovi artisti, tra cui la prima donna giovane Adele Zanze e il primo attor giovane Enrico Ponthonier, e ad offrire alcune novità per Acqui come I Fourchambault di Augier e Signor Alfonso di Dumas figlio. Nonostante l’impegno della compagnia gli eleganti “inquilini”, e soprattutto “inquiline”, dei palchi continuano ad ignorare gli svaghi teatrali, come fa notare un acquese in una lettera al Direttore del giornale.97 Dopo alcuni giorni di pausa la compagnia si ripresenta con il nome di Compagnia Sociale: il pubblico pare gradire solo le farse, proverbi ed idillii98, e dopo la sgradita interpretazione dell’Oreste, per diverse sere gli attori sono costretti a rimanere fermi e restituire i biglietti ai pochissimi accorsi. Nel luglio 1881 giunge in città la Compagnia Romana Musicale Bellini, composta da giovani tra gli 8 e i 18 anni, per dare alcune recite durante i giorni della fiera: tra le opere da rappresentare Pipelè, Crispino e la comare, L’elisir d’amore, I falsi monetari, I due ciabattini99. 92 “La Giovane Acqui” del 15 aprile 1879, n. 16. 93 Scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 19 aprile 1879, n. 16: “(…) la sala del Dagna è sempre stipata e, più d’una volta, verificassi il caso, fenomenale pel nostro bollettinario, di dover respingere gli accorrenti per difetto di spazio”. 94 “La Giovane Acqui” dell’11 maggio 1879, n. 20. 95 “La Giovane Acqui” del 15 aprile 1879, n. 16. 96 “La Giovane Acqui” dell’11 maggio 1879, n. 20. 97 “La Gazzetta d’Acqui” del 16 novembre 1879, n. 54. 98 Apprezzate le scene idilliache di Celeste del Marenco. 99 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, lettere del Direttore Giuseppe Conti del 1° giugno e del 19 giugno 1881. 89 IL TEATRO E LA CITTÀ VOCI ACQUESI PER I CORI DELL’OPERA “Come faremo adunque noi ad avere uno spettacolo di musica senza avere né orchestra completa né coristi, cose che tutte bisogna far venire di fuori con molta maggiore spesa”: così si chiede “La Giovane Acqui” dell’11 maggio 1879. Le preoccupazioni dell’articolista sono per le crescenti spese degli allestimenti e, poiché il Municipio è “sparegno”, se le cose non vanno più che bene vi è grandissimo pericolo che [il teatro Dagna, riaperto nel 1878] abbia a restar chiuso. Una osservazione non casuale, poiché dallo stesso settimanale (3 giugno) sappiamo che il M° Boverio “da poco tempo ha aperto in Acqui una scuola dove senza compenso alcuno (e senza sussidi pubblici alcuni) istruisce nel canto corale una brigatella di giovani e volonterosi operai acquesi”. La testimonianza è importante in quanto conferma la prassi degli impresari di cercare “in loco” le masse corali: da qui in avanti, però, essi “non dovranno porsi le mani tra i capelli per una mezza dozzina di coristi i quali non hanno che la voce e sono privi affatto di qualsiasi rudimento musicale, onde necessita un tempo non breve ed una discreta fatica nel far loro imparare quelle brevi parti che dovranno poi sostenere in teatro. Da “La Gazzetta d’Acqui” del 8-10 maggio 1882 sappiamo invece delle positive prove dei cori della Lucia, al Dagna, ben eseguiti grazie alla pazienza del maestro Corrado, che si guadagna elogi anche nell’estate (“La Gazzetta d’Acqui” 22 - 23 luglio), quando si dice addirittura che “i cori han fatto meraviglie”. La consacrazione a dicembre (“La Gazzetta d’Acqui” 12-13) : “mentre il nostro cronista teatrale parlerà dei principali artisti che calcano le scene del nostro Dagna [ci si riferisce ad Elvira Cummings] , noi non vogliamo dimenticare i coristi che specie in queste ultime sere di rappresentazioni [sono andati in scena Trovatore e Poliuto] meritano ogni lode. Sono tutti giovani operai della città nei quali due anni or sono l’ottimo maestro Boverio mise in corpo un po’ del sacro fuoco dell’arte. Ora abbiamo un piccol corpo di coristi in cause dei quali gli impresari non saranno più obbligati a ricorre al di fuori. Un bravo adunque di cuore, oltreche all’egregio M° Corrado che li ha istruiti, a questi volenterosi giovani ai quali facciamo l’augurio che la frequenza di spettacoli d’opera li sproni a perfezionarsi sempre più nella melodiosa arte del canto”. Nel gennaio 1882 l’impresario Ivaldi, desideroso di assicurarsi una buona compagnia “per innalzare le sorti del teatro” che “da due anni si può dire sta chiuso”, firma un contratto con la Compagnia Borisi per la stagione di Carnevale e Quaresima, e chiede al Comune di contribuire con un regalo opportuno100. La sera del 25 febbraio la Compagnia Borisi, dopo essersi assunta per scrittura l’obbligo di rappresentare le opere indicate, inizia il corso delle rappresentazioni con Le due dame di Paolo Ferrari e Cetego di Vittorio Salmini. Della Compagnia facevano parte artisti di rilievo come Amalia Borisi, di famiglia patrizia veneziana, attrice di molti pregi per le parti di madre e caratterista in dialetto veneto, che aveva sostituito la famosa attrice 90 100 Ibidem, Lettera di Luigi Ivaldi del 7 gennaio 1882. G.Sa. dialettale Marianna Moro Lin dopo la sua morte; il marito conte Carlo Borisi, istriano, attore di pregio per le parti italiane e dialettali, che aveva fatto parte con la moglie della compagnia di Gustavo Cappella e poi della Colomberti e Casilini, prima di formarne una propria101; Vincenzo Andreani e Adelaide Andreani Brignone. Il pubblico, all’inizio diviso, apprezza l’affiatamento e la diligenza degli attori e accorre più numeroso del solito a teatro. Il cronista della “Gazzetta” loda gli attori, soprattutto il sig. Borisi “che appartiene alla scuola di coloro che non declamano ma recitano con naturalezza”102, e la Andreani Brignone, specie ne La signora dalle camelie di Dumas figlio, suo cavallo di battaglia; egli giudica abbastanza positivamente il repertorio della compagnia, anche se non manca di suggerire alcuni titoli per accontentare maggiormente il pubblico. Tra le novità rappresentate: Mastr’Antonio di Leopoldo Marenco, La sposa di Menecle e Il cantico dei cantici di Felice Cavallotti, Divorziamo di Sardou, Donna o angelo? della Sormani. La stagione estiva inizia a metà giugno con la Lucia di Lammermoor, proseguendo con Il barbiere di Siviglia e Lucrezia Borgia: la compagnia, composta dalla prima donna Eva Cummings e dal tenore Bianchini, dopo le iniziali incertezze acquista sempre maggiori consensi. Il teatro è spesso gremito, e se a volte il pubblico non è numeroso, ciò dipende dalla molteplicità degli spettacoli offerti in quella stagione dalla città: concerti e balli allo Stabilimento Termale, spettacoli equestri al Politeama Benazzo, fuochi artificiali e altri divertimenti popolari nelle piazze in occasione della fiera di San Guido. Scrive il cronista della “Gazzetta”: “si può affermare che lo spettacolo d’opera appena finito resterà memorabile nei fasti teatrali acquesi”103. Dalla metà di settembre il teatro è affittato dalla Compagnia Piemontese Vaser e Ferrero, la quale presenta buoni elementi e un repertorio abbastanza scelto. Tra le opere rappresentate: ’L Bibi di Mario Leoni, ’L cotel di Pietracqua e il capolavoro del Bersezio Le Miserie ’d Mônssù Travet. A metà novembre riprende lo spettacolo d’opera con Il trovatore e Poliuto: le rappresentazioni ottengono un buon successo, nonostante la scarsità di suonatori, e il pubblico applaude gli esecutori, in particolare la “prima donna” Eva Cummings e il mezzo soprano Carolina Moses. Se si esclude lo spettacolo di una compagnia di giovani acrobati e qualche recita della compagnia Benincasa nel mese di febbraio, nei primi mesi del 1883 il teatro rimane pressoché chiuso e riapre solo a metà giugno con un nuovo spettacolo d’opera. 101 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 491-494. 102 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 marzo 1882, n. 25. 103 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1882, n. 61. 91 IL TEATRO E LA CITTÀ ENRICO GABBIO Febbraio 1883, tempo di carnevale. Al Teatro Dagna si erige un padiglione per il ballo. Enrico Gabbio (unitamente al concittadino Bordo) “fa miracoli” approntando le scenografie e dipingendo “i puttini e tutte le figurine che gaiamente si mostrano tra le pieghe d’un drappo e tra nembi di fiori” destinati a sfolgorare “tra mille becchi di gaz” e vari zampilli d’acqua. Nel numero del 6/7 febbraio, la “Gazzetta” non rinuncia a “presagire nel nostro concittadino un ottima riuscita nell’arte divina della pittura quando troverà qualche mecenate che gli aprisse con i cordoni della borsa anche la via della gloria”. Il Gabbio mostra, infatti, impegno non comune, spigliatezza nel disegno, brio nel colorito, gusto nell’invenzione e nella composizione”. Un’altra opera ha poi per soggetto “il nostro bravo brillante sig. Ricci [si tratta di una delle prime parti della Compagnia Benincasa, che recita al Politeama Benazzo], e verrà esposto in occasione della sua beneficiata” [ovvero, la serata d’onore]. “La testa è maestralmente [sic] lavorata, e sotto il travestimento, nella caricatura, escono egualmente distinti espressivi e somigliantissimi i tratti dell’artista brillante”. Il Nostro non solo realizzò le scenografie per l’operina La Bujenta del Tarditi, “un minuscolo vaudeville” che andò in scena nel settembre 1883 al Politeama Benazzo (cfr. “La Gazzetta d’Acqui” dell’11/12 e poi del 29/30 settembre; lo portò in scena la compagnia La Piemontese, con gli attori Gemelli, Vaser e Leonetti), ma si produsse anche in uno schizzo ad acquerello in cui “fece entrare le macchiette degli attori”. G.Sa. Disegni e acquerelli di Enrico Gabbio. Collezione privata. GLI ARTISTI LA COMPAGNIA PIEMONTESE DI La prima della Linda di Chamounix ha un esito soddisfacente, e la buona impressione generata dagli artisti, la prima donna Elthon, il baritono Bugatto, il contralto Bodrilla, il basso Spreafico, il tenore Bianchini e il basso comico Ferrario, cresce col procedere delle recite. Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” lamenta però che parecchi palchi restano vuoti e ne critica i proprietari: negli altri teatri, infatti, questi sono abbonati, e se non lo sono, lasciano le chiavi a disposizione di conoscenti o dell’impresa, perché possano essere affittati; egli ringrazia l’impresario Terzi per aver offerto uno spettacolo buono “quale non ci ricordiamo di aver veduto e sentito nella nostra città”104. Anche l’esecuzione di Maria di Rohan è giudicata buona, seguita da una Traviata rappresentata in un teatro gremito. A fine novembre il teatro viene occupato dalla compagnia di prosa Lancillotti e Mazzuccato la quale, dopo alcune recite davanti ad un pubblico esiguo, si vede costretta a trasferirsi al Politeama e a ridurre i prezzi d’ingresso. Nel marzo del 1884 il teatro apre i suoi battenti ospitando la Compagnia Lirica Romana diretta dal maestro Conti, la quale esordisce con L’elisir d’amore; la compagnia, accolta piuttosto favorevolmente da un pubblico mai troppo numeroso, continua per tutto il mese di marzo il corso delle rappresentazioni con Crispino e la comare, I falsi monetari e Pipelet. 104 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 giugno 1883, n. 48. TANCREDI MILONE La compagnia “La Piemontese”, i cui attori portarono in scena nel 1883 l’operetta di Tarditi, nel 1888 facendo tappa nella nostra città, stamparono anche un giornale umoristico dal titolo “’L Fontanin”, per i tipi Dina. Si trattò di un numero unico - il titolo (e conferme vengono dalla prima pagina) allude in modo esplicito alla sorgente dell’Acqua Marcia - che venne distribuito gratuitamente (“a costa singh ddi a pielo a tuta Italia; all’Estero ai na eul sess”) per accompagnare la permanenza in città della Compagnia, che recitava al Politeama. Tancredi Milone fu attore, capocomico e commediografo. Nacque a Venaria Reale, secondo alcuni nel 1831, secondo altri nel 1839. Cresciuto alla scuola di Giovanni Toselli, figura centrale del teatro dialettale dell’Ottocento piemontese, nella suo compagnia fu insuperabile interprete delle Miserie ‘d Mônssù Travet di V. Bersezio. Successivamente fondò con Enrico Gemelli e altri “La Compagnia Subalpina”, i cui cavali di battaglia furono le commedie Son neir, son ross, son bianch (strepitoso successo a Genova nel 1871 al Teatro Nazionale), Luisa d’Ast e Lj mal nutrì, di Mario Leoni, inizialmente garzone di un negozio di stoffe (che infiammarono Torino nel biennio 1871 e ’72) Sempre col Toselli ed il Gemelli guidò la grande compagnia “La Torinese” formatasi nel 1880; poi, scioltasi questa, la rinnovò con E. Gemelli e P. Vaser. Morì a Torino il 21/10/1908. Per meriti artistici ottenne il Cavalierato della Corona d’Italia. Scrisse una interessante opera intitolata Memorie e documenti del teatro piemontese con la quale ci lasciò una preziosa testimonianza dei primordi del nostro teatro dialettale e puntualizzò le varie fasi della carriera artistica del suo maestro G. Toselli. Come commediografo, scrisse: Chi la fà la speta (1869), La festa an montagna (1870), Le nòsse an colina (1870), El pì bon ovrijè (1871), La partensa dij coscrit (1873), Tutj an gabia (1875), Un savi an mes ai mat (1875), L’amis ‘d ca (1878), Creada e padrona, vaudeville con musiche del maestro Termignon (1885). Ebbe una figlia, Giuseppina Milone, poi sposata Romagnoli, che vediamo impegnata ad Acqui tanto nel 1883 quanto nel 1888. G.Sa. Cfr. anche Ab aqua fontis igitur libera me domine in “Corale Città di Acqui Terme”, anno XIX, n.2 dicembre 2004. IL TEATRO E LA CITTÀ FELICE BOVERIO E GIUSEPPE CORRADO: DUE MAESTRI PER I CORI DEL TEATRO Felice Boverio fu non solo maestro di canto ma organista: a lui, “dotato di una capacità non comune nell’arte di Euterpe [la musa del flauto, cui son paragonate le canne dell’organo], si deve il collaudo nel 1879 dell’organo di S.Francesco. Un tipo originale a sentire la “Gazzetta d’Acqui” del 10 -11 aprile 1886, che, annunciando la pubblicazione di una sua polka e di una mazurka da parte degli editori torinesi “Giudici e Strada” di Torino, propone l’auspicio di un Boverio che vivesse “meno lontano dal mondo e desse fuori più sovente i suoi lavori che gli editori son lieti di stampare”. Felice Boverio e la figlia Carolina, mandolinista, sono ancora attivi ad Acqui a fine secolo: Felice continua ad impartire lezioni di piano, canto, armonia e “mette a disposizione il piano per chi non ce l’ha”. Entrambi vivono e lavorano presso la Casa del Marchese Scati in Piazza del Pallone, 4. Per Francesco Corrado (1833-1916), pure lui organista, direttore della Schola del Seminario, si può al pari del precedente prospettare un impiego nell’ambito della Società Operaia che ebbe sede per molti anni nei locali dell’Accademia Filarmonica, in Via Blesi, presso Palazzo Scati. Corrado fu definito da Giuseppe Perosi “un ottimo conoscitore della buona musica”, mentre il M° Lorenzo Parodi di Genova gli riconobbe “doti eccellenti di compositore serio, direttore e organista abile” (cfr. le note allegate ai CD Memorie di Canto e In voce et organo della collana Acqui Terme Città & Musica). Francesco Corrado lavorerà in teatro anche nel 1883: la “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 aprile riferisce del successo del coro del terzo atto di Sonnambula, fatto ripetere tra gli applausi. G.Sa Oltre ai book allegati alle registrazioni di cui sopra, cfr. anche Alle origini del giornalismo acquese, Le cronache delle penne musicali, in “L’Ancora”, del 1° giugno 2003. Nel mese di luglio il Dagna riapre con la Gemma di Vergy, ma dopo cinque sere di rappresentazioni il corso delle recite viene troncato: le 400 lire (per alcuni 500) offerte dal Municipio non sono infatti sufficienti per coprire le spese. Nel mese di novembre torna al Dagna lo spettacolo di prosa con la compagnia diretta da Giuseppe Galletti: il Galletti aveva esordito con Feoli e Aiudi, ed era stato con Domenicani e Stacchini, Coltellini, Ernesto Rossi ed altri, prima di diventare capocomico. Prima attrice della compagnia era la moglie Adele Galletti Bagnoli, attrice apprezzata specialmente nel repertorio di genere forte: nata a Bologna nel 1844, era stata scritturata come prima “amorosa” nel ’60 con Luigi Pezzana, in seguito con Elena Pieri Tiozzo, con Lorenzo Sterni e con Monti e Coltellini fino al ’70, anno in cui assunse il ruolo di prima donna assoluta nella compagnia di Carlo Lollio, ruolo che non lasciò più fino al suo ritiro dalle scene nel ’95105. Il concorso di pubblico è intermittente: il cronista della “Gazzetta”, dopo un primo giudizio positivo sull’affiatamento degli attori e sul 94 105 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 974-975. IL TEATRO E LA CITTÀ 5 DICEMBRE 1885: repertorio106, definisce “drammacci” le ultime opere scelte, tra cui Stagno delle suore Grigie, “mal riuscita raffazzonatura del romanzo di Arnauld”107, Il Fiacre n. 13, tratto dal romanzo omonimo di X. De Montépin e Il pugnale di mio padre108. UNA SERA AL TEATRO DAGNA Dopo le usuali veglie danzanti del periodo carnevalesco, il teatro Dagna nel febbraio del 1885 è occupato da un’imprecisata compagnia drammatica che annovera tra i suoi artisti l’attore tragico Vassalli; essa esordisce con Francesca da Rimini del Pellico, ma dopo sole due recite si vede costretta ad abbandonare la piazza visti i magri 106 Tra le opere rappresentate figurano Daniele Rochat, Odette e Fedora di Sardou, L’attrice cameriera del Ferrari, Il padrone delle Ferriere di Ohnet, Allori e lagrime e La buona moglie fa il buon marito di Castelvecchio, Maria Stuarda di Schiller (traduzione di Andrea Maffei), Il Casino di campagna, Cleopatra di Cossa, L’onore della famiglia di Battu e Desvignes e la farsa Atteone l’infanticida. 107 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 dicembre 1884, n. 96. Sull’opera si scrive ancora: “Stagno delle suore Grigie (…) è passata in mezzo alla noia del pubblico, il quale se non ha perso la pazienza all’andirivieno sconclusionato dei personaggi, alle incongruenze seminate a piene mani nel dramma, si fu per rispetto agli attori, i quali però, bisogna dirlo, perché è la verità, compresi essi stessi della vacuità di quel lavoro, recitarono un po’, come s’ha da dire? alla carlona”. 108 Questa produzione viene descritta dal cronista come “dramma di cui si desidererebbe fosse perduto lo stampo” (“La Gazzetta d’Acqui” del 20-21 dicembre 1884, n. 98). Locandina del concerto. Collezione privata. Foto Studio Tronville. Immaginiamo di tornare a quel grande centro termale alla moda che era Acqui nel 1885, immergiamoci in una serata d’altri tempi. Eccoci così nella Contrada Nuova (ovvero corso Italia), un poco infreddoliti dal leggero nevischio di dicembre. Acquistando con poche decine di centesimi il biglietto, possiamo entrare anche noi nel Teatro Dagna, inaugurato il 30 maggio 1835, il quale regge da oltre mezzo secolo le glorie artistiche della città. Certo, palchi e platea iniziano a denunciare qualche segno di vecchiaia (e infatti nel 1899 il centro mondano si sposterà verso la zona termale, con l’apertura del “Politeama Garibaldi”), ma il richiamo esercitato dallo spettacolo fa passare in second’ordine tendaggi un poco scoloriti e imbottiture segnate. Oltrepassiamo il piccolo foyer - dove non si fa altro che parlare di continua nella pagina seguente segue dalla pagina precedente Massaua, da tre giorni proclamata italiana per sistemarci in platea. Lo spettacolo sta per cominciare. Le lacune presenti nella locandina - rinvenuta nei lavori di restauro (era il 1892) dello stabile che ospitava il Teatro potrebbero trarre facilmente in inganno. Una delusione per i “verdiani”: è Tutti in Maschera di Carlo Pedrotti (1817-1893) l’opera buffa in scena al Teatro Dagna. Si tratta di una partitura ai tempi non meno famosa del Ballo e tale da essere onorata dai successi di Parigi e Vienna. Particolare favore, poi, doveva avere in Piemonte, visto che il Pedrotti aveva ricoperto l’incarico di maestro concertatore e di direttore d’orchestra presso il Teatro Regio di Torino per quasi quindici anni (dal 1868 al 1885). Ulteriori notizie riguardo lo spettacolo vanno attinte dalla stampa periodica locale e in particolare da alcuni numeri de “La Gazzetta d’Acqui”. Tutti in maschera (il cui libretto era tratto da L’Impresario di Smirne di Goldoni) era allestita dall’impresa Ivaldi. Il debutto ad Acqui era avvenuto nel novembre 1885 (dopo la conclusione delle repliche de La figlia del reggimento). “L’opera del Pedrotti procede di bene in meglio, tutti fanno a dovere la loro parte. Il sig. Villani (Antonio, il basso buffo) è un Don Gregorio inarrivabile, pare che la parte sia stata scritta proprio per lui: il sig. Milanesi (Stefano, baritono) è un Abdalà che sta egregiamente in scena: ha bella voce, gesto naturale, una bell’accentazione...” (“La Gazzetta d’Acqui” del 28/29 novembre). Tra i più applauditi artisti della compagnia anche il tenore Cesare De Rossi, cui furono offerte, in una successiva serata, addirittura due corone d’alloro (“La Gazzetta d’Acqui” del 5/6 dicembre). Lo stesso numero del periodico dà notizia del “primo gran concerto” della mandolinista Giovannina Corti. Le uniche notizie che possiamo riferire su colei che si esibisce secondo costume, negli “intermedi dell’opera” (cioè tra un atto e l’altro, durante i cambi della scena) sono desumibili dal manifesto e riferiscono di una attività internazionale. Dalle righe del giornale anche un bonario rimprovero: “Facciamo augurio di un bell’incasso all’impresa, a cui raccomandiamo un po’ più di luce in teatro, ove si nuota (se è lecita la parola) in una semi oscurità”. Su “La Gazzetta d’Acqui” dell’8/9 dicembre la recensione del concerto: “Sabato sera (il 5 dicembre) negli intermezzi dell’opera Tutti in maschera la giovane mandolinista signorina Corti sonò alcuni pezzi. La egregia artista, che si conquistò al suo primo apparire in pubblico le simpatie del pubblico che la salutò con un applauso di incoraggiamento non ismentì la fama che tra di noi la precedeva. Essa sonò con sentimento artistico veramente ammirevole, con passione, con grazia indescrivibile, una melodia di Schubert, una barcarola, e la romanza dallo “Spirto gentil” della Favorita. Vivi applausi scoppiarono ad ogni pezzo e della romanza della Favorita si volle insistentemente la replica. Il pubblico fu lietissimo di apprezzare, come si meritava la giovane e valente artista, e nuovi applausi e chiamate le tributò domenica sera, in cui eseguì egregiamente alcuni altri pezzi”. Quali? Non è difficile identificarli, visto che si tratta di alcune pagine veramente celebri. Ecco, finalmente, il programma. II brano che compare al numero 2 risponde al nome della Leggenda Valacca, con una pagina che contribuì a consolidare la fama di Gaetano Braga (1829-1907), violoncellista e operista (suo un poco fortunato Ruy Blas, destinato a soccombere dinnanzi a quello più noto di Franchetti) e poi, a Parigi, famoso maestro di canto. Al numero 3, invece, una romanza dal grandopéra francese: L’ebrea, testi di Eugène Scribe, musiche di FromenthaI Halèvy (17991869) rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1835. Non crediamo di andar troppo lontani dalla realtà azzardando il titolo del brano proposto al Dagna: la romanza Rachel, quand du Seigneur, la cui celebrità trova ulteriori e significativi riscontri in una citazione nella Recherche di Proust. Identificato il refuso tipografico che confonde l’errato terzo atto con il secondo (numero 4), troviamo da ultimo la romanza donizettiana della Favorita (già citata in precedenza) proposta con la collaborazione, al pianoforte, di Alfonso Bettinelli, maestro concertatore e direttore dei musici. Per questi l’ultima nota, non completamente positiva de “La Gazzetta d’Acqui” del 15 dicembre: “Non fu opportuno né conveniente ridurre la microscopica orchestra al lumicino. Così com’è attualmente (per quanto siano volenterosi i suonatori e attento il bravo direttore) gli effetti della musica vanno perduti e ne scapita, fuor di dubbio, l’intero spettacolo”. Anche allora le economie regnavamo sovrane. G.Sa. guadagni. Il teatro riapre a novembre grazie all’impresario Terzi, con l’opera in musica La figlia del reggimento, con Maria Variglia come prima donna e il tenore Cesare De Rossi. Fin dalle prime sere l’esecuzione risulta buona, anche se con qualche incertezza, e nel corso delle recite gli artisti conquistano sempre di più il pubblico. Le rappresentazioni proseguono con un discreto successo per tutto il mese di dicembre e gennaio, quando lo spettacolo si sposta al Politeama. Piacciono Tutti in maschera e L’elisir d’amore, con Ermenegilda Colpo e il tenore Cesare De Rossi, nonostante i danni agli effetti della musica generati dalla riduzione dell’orchestra. L’esecuzione de La sonnambula, di Crispino e la comare con la prima donna Stecchi, e de La favorita con Giovannina Angioletti, una volta eliminate le iniziali incertezze, è giudicata nel complesso soddisfacente. Nel luglio del 1886 si apre con il Faust un nuovo burrascoso corso di recite. La prima donna soprano Rosolina Vaghi scioglie infatti il contratto con l’impresa Baratti e Della Porta per violazione del contratto; lo spettacolo prosegue con Emilia (Emma) Parodi ed il lodato baritono Achille Parodi, ma la scelta della produzione viene criticata dal cronista in quanto troppo complessa per una compagnia secondaria e per un teatro con un’orchestra così misera. Gli artisti e l’orchestra, costituiti in società in seguito al ritiro degli impresari Baratti e Della Porta, proseguono il corso delle rappresentazioni; prima con il debutto del soprano Paolina Fracchia e del contralto Rose De La Croix, poi con il nuovo baritono Filippo Fontana e il nuovo basso Valentino Tiberini, si mette in scena Il trovatore, con grande successo di pubblico. Dopo alcune recite della compagnia marionettistica Testa nel mese di novembre, il teatro rimane chiuso per diversi anni, non rispettando le norme di sicurezza. Dopo alcuni interventi all’edificio, il vecchio Dagna riapre il 7 ottobre 1893 con la compagnia Testa-Milone per un breve corso di recite. Dopo la compagnia eccentrica M. Al. Mark, giunge nel novembre la compagnia diretta da Adolfo Colonnello e cav. Angelo Diligenti, che debutta con Le due dame del Ferrari. Figlio di comici, Angelo Diligenti era nato ad Albenga nel 1835: dopo aver fatto parte della compagnia del padre fino alla sua morte, era passato come amoroso in quella di Luigi Robotti e Gaetano Vestri, nel 1859 come primo attor giovane nella compagnia di Cesare Dondini senior sotto il Salvini, sposandone la nota attrice Anna Perdetti. Con la Compagnia Romana fondata insieme a Gian Paolo Calloud, Amilcare Bellotti e Cesare Vitaliani ottenne numerosi successi all’estero; tornato in Italia, aveva recitato come primo attore sotto la Pezzana e poi Salvini, e dopo un anno come Richiesta di pagamento della Ditta Ghione Giuseppe per affitto di pianoforti locati nel 1892 presso la Scuola di Musica e il Teatro Dagna. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. 97 GLI ARTISTI UN CONCERTO DI ELENA LAMIRAUX, VIRTUOSA DEL VIOLINO ALLA SALA DELLE VECCHIE TERME Tra i tanti musicisti ospiti tra fine Ottocento e inizio Novecento, richiamati dalle ricche stagioni musicali che le Terme organizzavano per i balneanti, la figura di Elena Lamiraux si distingue per una motivazione... iconografica. Unica eccezione tra tanti nomi, si conquistò la ribalta anche attraverso un’immagine che “La Bollente” riprodusse (cosa assai rara) a beneficio dei lettori. Quanto alle doti (cfr. “La Bollente” del 26 luglio 1887), l’artista va ammirata – dice il giornale – per lo “spiccatissimo ingegno ch’ella applica con ardore alla coltura d’ogni arte bella, poiché distintissima è pure nel disegno e nella pittura. Ed alla maestria somma ch’ella possiede come suonatrice di violino s’aggiunge la dolce melodia di una voce incantevole colla quale dà vita e colore alle romanze e alle berceuse ch’ella stessa compone. Il pubblico acquese e la numerosa colonia balneante daranno venerdì il loro giudizio su questa giovanissima e celebre artista che colle sorelle Ferni e colla Teresina Tua fu giustamente annoverata fra le grandi violiniste italiane. E infatti le cronologie degli spettacoli parmensi indicano il duo, formato dalla madre Bianca (piano) e dalla figlia Elena (violino) protagonista il 7 e il 10 aprile 1886. Pezzi forti sembrano essere il Ziegeunerweisen [è l’op. 20, Arie zingaresche tuttora in repertorio] di Pablo de Sarasate, e il Mosè (su una corda sola) di Paganini. E proprio questi brani sono eseguiti ad Acqui (si veda “La Gazzetta d’Acqui” del 23/24 luglio e 6/7 agosto 1887) in due concerti che vedono come protagonisti anche il “distinto dilettante torinese“ (un balneante) sig. Malvano, che accompagna al piano la fanciulla in una melodiosa romanza dal titolo Vorrei sognarti, e i non meglio precisati sig. Raimondi (flautista interprete di una fantasia sull’opera Marco Visconti) e cav. Bertuzzi (ancora al violino). G.Sa. attore e direttore della compagnia condotta da Onorato Olivieri, divenne capocomico ed in seguito direttore di varie formazioni.109. Prima attrice della compagnia era Lina Diligenti: nata a Torino nel 1863, figlia di Angelo Diligenti e Anna Pedretti, aveva cominciato a recitare con il padre in parti di notevole importanza grazie anche ad un precoce sviluppo fisico, che le consentì di sostituire la prima attrice di Tommaso Salvini, Amalia Checchi Bozzo; continuò a tenere il ruolo di prima donna nelle compagnie del padre accanto alla Pezzana e poi sola, passando poi come prima attrice in quella di Piero Cossa, prima di assumere in proprio il capocomicato dopo la morte del padre; recitò ancora qualche anno in alcune compagnie di rilievo, terminando la carriera in complessi di modestissimo ordine110. Oltre ad Angelo e Lina Diligenti, il pubblico poteva ammirare Adolfo Colonnello, egregio artista agli inizi nelle parti di primo attor giovane ed in seguito di primo attore, figlio del comico Ajace di famiglia aristocratica napoletana111, e diversi buoni elementi anche nelle seconde parti. Gli acquesi accorrono numerosi ad applaudire questa affiatata compagnia che presenta proprietà di 109 P. D. GIOVANELLI, La società teatrale in Italia fra Ottocento e Novecento, Roma 1984, vol. III, pp. 1347-1348. 110 Ibidem, pp. 1348-1349. 111 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 687688. scena, ricchezza e fedeltà nei vestiari. La stampa (cfr. “La Bollente” del 910 novembre 1893, n. 44) elogia gli artisti, in particolare Lina Diligenti Marquez, “artista nell’anima”, la quale “crea più che non rappresenti le parti a lei affidate ed incontra ogni sera l’applauso unanime degli spettatori”, il cav. Diligenti e Adolfo Colonnello: “Degli artisti è superfluo parlare del Cav. Diligenti a cui la lunga e fortunosa carriera hanno procurato elogi migliori e di maggior peso che non sia il mio. Che dirò di Adolfo Colonnello? Egli si è troppo bene accaparrate le simpatie del pubblico perché gli faccia difetto l’orgoglio di artista coscienzioso nel vero senso dell’espressione”. La compagnia non manca di presentare produzioni moderne quali L’Onore di Sudermann, Spettri di Ibsen112, e I Disonesti del Rovetta. Il cronista della “Gazzetta” descrive l’opera di Ibsen come un lavoro potente, straordinario e geniale, e quella del Rovetta un’opera potentissima, dalla teatralità efficacissima. Ecco come viceversa il cronista della “Bollente” (“La Bollente” del 9-10 novembre 1893, n. 44) giudica l’arte nordica: “Quella delle produzioni che piacque meno fu, senza dubbio, L’Onore di Sudermann e si capisce. Noi, Italiani, l’arte non l’intendiamo così; amiamo che la forma ci accarezzi l’intelletto, mentre la sostanza lo fa lavorare; davanti all’artificiale e poco verosimile arricciamo il naso, perché amiamo il vero in tutta la sua logica; l’arte nordica, invece, l’arte di Sudermann e più di lui quella di Ibsen, non bada molto alla forma; non importa per loro che il dialogo riesca duro ed aspre le situazioni, purchè risalti il pensiero dell’autore, essi non differenziano tanto sottilmente il simile dal verosimile. Niuna meraviglia quindi se sovente lo spettatore si trova a disagio in quell’ambiente di corruzione spontanea ed incurabile ove lo trascina l’autore; non si giunge da noi a comprendere quell’abiezione incosciente della miseria servile e mal si scusano quei vergognosi guadagni. Sudermann in questo lavoro fu più filosofo e fisiologo di quel che non sia stato drammaturgo”. A fine novembre è la compagnia d’operette Fioravanti, con nuovi elementi, ad occupare il teatro; il pubblico annoiato dalle solite produzioni 112 L’opera di Ibsen viene considerata come “il frutto di lunghi elaborati studi sulle nuove teorie dell’atavismo, dell’ereditarietà” (“La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 novembre 1893, n. 47). 99 GLI ARTISTI LUIGI BUCCELLATI Milanese, per potersi dedicare alla recitazione era scappato di casa; dopo aver fatto parte della compagnia Brunorini, era entrato come primo attor giovane in quelle di Lazzeri, Tessero e Bestini, Luigi Monti, e si era sposato con l’attrice Mirra Rossi; quest’ultima, figlia dell’attore e conduttore di compagnie secondarie Eugenio Rossi, aveva iniziato con Angelo Moro Lin come seconda amorosa al fianco di Amalia Borisi, diventando dopo il matrimonio ora prima attrice giovane, ora prima attrice assoluta, traendo grandi insegnamenti dalle valorose maestre Anna Perdetti ed Adelaide Tessero, ed intepretando con successo, in Italia e all’estero, le più forti opere del teatro moderno. Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. I, pp. 528-529. Foglio volante senza data ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. come Befana, Duchino di Lecocq e Le campane di Corneville di Planquette, disturbato dal freddo, diserta il teatro e la compagnia riparte dopo appena una decina di giorni. Nel gennaio 1894 Ivaldi ottiene un concorso di lire 400 dal Comune e di lire 600 dai palchettisti per offrire due opere in musica. Le produzioni messe in scena nel mese di febbraio sono La favorita e Un ballo in maschera, quest’ultima non molto gradita dal pubblico. Molto applaudita è Ada Zorzi e in generale lo spettacolo è ritenuto soddisfacente, considerate le condizioni finanziarie. In marzo debutta la compagnia Buccellati con Casa paterna di Sudermann. Il pubblico alle prime rappresentazioni è scarso, essenzialmente per due motivi: non è stato aperto subito un abbonamento ma solo alla terza sera; troppo poco tempo è passato dall’ultimo spettacolo d’opera. La compagnia è buona e oltre alle produzioni moderne italiane come Frine di Castelvecchio e Innamorata di Marco Praga, mette in scena le ultime novità di Ibsen e Sudermann. Fine di Sodoma del Sudermann viene definito “un drammaccio da arena” dal cronista della “Bollente”, il quale non si lascia sfuggire l’occasione per rimarcare il suo giudizio sull’arte nordica: “Checché se ne dica però noi preferiamo sempre i nostri drammi italiani dove le situazioni più facili sono anche più naturali”113; e ancora su La potenza delle tenebre di Tolstoj:“(…) è un genere che non ci va, questi lavori il pubblico non li vuole perché gli sembrano poco naturali, tanta corru113 “La Bollente” del 29-30 marzo 1894, n. 13. zione in Italia non si comprende”114. Egli apprezza al contrario il ritorno della compagnia allo spettacolo di famiglia con Gli inquilini del signor Blondeau, Un viaggio per cercar moglie di L. Muratori, Dal nord al sud di Piccioli e la farsa musicale Ulisse e Cleopatra. Dopo alcuni mesi di chiusura, nei mesi d’ottobre e novembre viene scritturata la compagnia Brunorini: anche Antonio Brunorini, come molti altri attori, era fuggito di casa per poter seguire l’arte drammatica, in questo caso con la compagnia Rosaspina Bonivento. Acquisito presto il ruolo di brillante assoluto, aveva preso parte alle compagnie di Michele Ferrante, Alessandro Monti, Angelo Diligenti, Luigi Monti ed altre, diventando poi direttore 115. Altro attore di rilievo era Pietro Barsi: egregio caratterista nato a Firenze nel 1828, alternava l’arte drammatica all’arte orafa; fu dal ’67 al ’71 con Luigi Pezzana, dal ’71 al ’72 con Francesco Sterni per passare nel ’73 con Giuseppe Pietriboni con cui rimase fino al Carnevale del ’94116. Il corso delle rappresentazioni raggiunge il culmine con le recite de Il ratto delle Sabine di F. e P. von Schönthan (replicato) e de Il Carnevale di Torino, dove il Brunorini si dimostra impareggiabile. Così il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 ottobre 1894, n. 40 descrive l’attore: “(…) nelle sue mosse, nelle sue ingegnose trovate, nelle cadenze della voce è un artista comico di prim’ordine”; pur considerata troppo giovane come primadonna, il cronista elogia anche l’attrice Bice Piccinini117, soprattutto nella sua serata d’onore con Guerra in tempo di pace di F. von Schöntan e G. von Moser. Col procedere delle rappresentazioni il pubblico diminuisce, per tornare a riempire il teatro con I nostri intimi di Sardou e Testolina sventata di T. Barrière ed E. Gondinet (replicata), una delle solite “commedie francesi artificiose e inverosimili”118 che però divertono. La messa in scena dell’opera Gesù Cristo del sacerdote Don Selvaggio di Favara provoca lo sdegno del giornalista de “La Bollente” del 29-30 novembre 1894, n. 48: “Noi non siamo mai stati stinchi di Santo, e neppure oggi ci vogliamo atteggiare tonsurati predicatori della santa religione di Cristo, ma tuttavia siamo anche noi dell’opinione di quell’insigne ingegno che scriveva: se non vi fosse una religione converrebbe crearla. È per questo che ci armiamo di giusto sdegno quando la religione la si prostituisce (mi si passi la frase) indegnamente come Sabato e Domenica al Teatro Dagna. Per 114 “La Bollente” del 3-4 maggio 1894, n. 18. 115 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 527. 116 Ibidem, vol. I, pp. 278-280. 117 Di lei scrive il cronista de “La Bollente”: “(…) sa ritrarre i personaggi goldoniani con grazia e vivacità squisita, con vero sentimento d’arte” (“La Bollente” del 18-19 ottobre 1894, n. 42). 118 “La Gazzetta d’Acqui” del 24-25 novembre 1894, n. 47. 101 la Compagnia Brunorini forse era un provvedimento finanziario (…) per il pubblico è stata una vera mistificazione. E la colpa ricade tutta quanta sull’autorità che simile rappresentazione ha permesso”. Il cronista si mostra preoccupato “per le conseguenze che simili rappresentazioni possono avere sulle masse meno colte dove la religione è ancora l’ultimo conforto ai mali della vita presente”. Dopo un breve corso di recite della compagnia Salici e Conti nel gennaio del 1895, il Dagna rimane chiuso e non verrà in seguito più riaperto se non per alcune veglie danzanti nel 1897, addobbato e ripulito, quando “da vari anni era soggiorno gradevole ai sorci”119. IL POLITEAMA BENAZZO Comunicazione della Sottoprefettura a Ferdinando Caravati e Guido Benazzo in merito ad un reclamo relativo alla mancata apertura del Politeama (19 agosto 1883). ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. LA GENESI Pochissime sono le informazioni sull’erezione e i primi anni d’attività del Politeama Benazzo, in quanto non sono disponibili copie dei periodici locali relativi agli anni 1880 e 1881. Una lettera inviata al Sindaco dal Sottoprefetto di Acqui datata 22 settembre 1880, c’informa che Toso Flaminio, proprietario del Politeama, aveva fatto istanza a quell’ufficio per aprirlo con uno spettacolo il giorno 2 ottobre120. L’edificio, situato accanto all’Albergo Nuove Terme, nell’attuale via XX Settembre, presentava interni in legno costituiti da una sola galleria121 con un palco per le personalità importanti122, platea “con panche non soffici”123, un “ristretto passaggio alle sedie chiuse”124, ed un palcoscenico di ridotte dimensio- 119 “La Bollente” del 25-26 febbraio 1897, n. 8. 120 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. 121 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 aprile 1883, n. 26. 122 Si legge nella “Gazzetta d’Acqui” del 28-29 aprile 1888, n. 18, che il Sottoprefetto Castellani, non potendo assistere ad un trattenimento drammatico-musicale che doveva svolgersi al Politeama Benazzo, aveva messo la chiave del palco a disposizione della Società filarmonica. 123 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 marzo 1883, n. 26. 124 “La Bollente” del 13-14 ottobre 1892, n. 41. IL TEATRO E LA CITTÀ FLAMINIO TOSO: FIORI, GIORNALI E SCENE La storia del Teatro ad Acqui si intreccia più volte con quella di Flaminio Toso, proprietario del Politeama Benazzo, eretto accanto a Palazzo Toso. Ma anche la nascita del “Garibaldi” viene più volte ad incrociarsi con questo personaggio. Un imprenditore e facoltoso possidente (proprietario anche dell’Albergo Reale del Moro) cui si deve un determinato impegno nel giornalismo. Direttore del periodico “Il diavolo verde” (pochi numeri nel 1872), rilevò “La Gazzetta d’Acqui” dal Lavezzari nell’estate 1879, fondando l’anno successivo il quindicinale “La Gazzetta del Contadino”, giornale popolare di agricoltura pratica, su cui si firmerà con le pseudonimo di Yole. Le disponibilità economiche non sembrano proprio mancare a “giovanissimo nostro concittadino” (così il Lavezzari) che tornato dalla Terra Santa, sempre nel 1879 licenzierà un volume – reportage Un mese a Gerusalemme e dintorni, edito da Dina, destinato ad appagare la brama di esotismo degli acquesi. Membro della Società del Casino, luogo di buone letture in cui sono disponibili le più diverse testate (si va da “Il Pasquino” a “Nuova Antologia”, giornali specialistici italiani come “Il diritto” e “La finanza”, e stranieri come “La republique française”), Toso, appassionato di floricultura, fu autore di saggi specialistici (cfr. nel 1884 il Manuale, edito da Paravia; tre anni più tardi la monografia Fiori in vaso, premiata con medaglia d’argento all’Esposizione Generale Orticola di Firenze, Maggio 1887). Così lo ricorda “Il Giornale d’Acqui” (numero del 10-11 gennaio 1931) in occasione della morte, avvenuta a Torino: “Faceto, di larga coltura [sic], si dedicò con brillante intelligenza allo studio dei problemi cittadini che trattò su “La Gazzetta d’Acqui” da lui fondata e diretta per molti anni. Esplicò anche una nobile passione per la coltura dei fiori, intraprendendo lun- ghi viaggi in Oriente e tesoreggiando i suoi studi e ricerche in una preziosa enciclopedia Il giardinaggio che ebbe il consenso lusinghiero e l’onore di continue citazioni dalle più spiccate competenze del Regno di Flora. Spirito aristocratico, indipendente, seppe coltivare larghe profonde amicizie. Anche la sua salma fu trasportata nella quiete del nostro camposanto”. Il necrologio, anonimo, si chiude con la poetica immagine degli acquesi che portano alla sua tomba i fiori più delicati, “dall’estinto prediletti”. Fiori e teatro: una doppia passione che anche il sig. Turbacco, ultimo gerente del Teatro Garibaldi, coltivò con assiduità. G.Sa. Cfr. anche Alle origini del giornalismo acquese. Le cronache delle penne musicali, in “L’Ancora”, 23 maggio 2005. Trafiletto tratto da ”ll Corriere d’Acqui” del 20-21 marzo 1886; Emeroteca della BCAT. ni125. L’edificio offriva “poca eleganza architettonica e ben misere comodità”126 e veniva spesso definito con termini poco gentili: “squallida stamberga”127, “negazione del gusto e del decoro” e “antro di Trofonio”128, “disgraziato ambiente teatrale che qui si ha ancora il coraggio di qualificare Politeama”129, “trabacca in muratura”130. Dal punto di vista dell’euritmia veniva così descritto: “non solo non rende nulla perché completamente muto, ma (…) anzi pregiudica l’effetto della voce, impossibilitando all’artista le morzature, le sfumature di fraseggio, dal momento che chi canta si sente come circondato da un vuoto sul palco (…)131. Ne “La Bollente” del 26-27 gennaio 1893, n. 4 si legge: “Non è l’ambiente della città di provincia, ma essenzialmente l’ambiente del cosiddetto Politeama che interdice le buone rappresentazioni ed il concorso di pubblico. Se talora qualche artista di discreta nomea ha potuto calcare quelle men che modestissime scene, ciò è avvenuto dopo inenarrabili proteste per quell’inatteso ricettacolo dell’arte, e se nei rigori invernali non ci abbiamo rimesso le cuoia, vuol dire che la nostra salute è esuberante, e le fresche correnti che deliziano al Politeama sono vinte dalla robustezza della nostra costituzione fisica”. Nel gennaio 1882 il proprietario decide di far costruire in mattoni il pavimento, per permettere le veglie danzanti che normalmente si svolgevano al Dagna132; nel luglio del 1883, dopo la visita di un ingegnere, si costruiscono una nuova uscita dalla galleria ed una nuova scala a due rampe133. Nonostante questi interventi il Politeama non presentava le maggiori garanzie di sicurezza: quando nel settembre del 1889, durante una rappresentazione, aveva preso fuoco la carta che ricopriva la spalla sinistra del proscenio, il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” aveva criticato il fatto che le porte di galleria e platea si aprivano dall’interno, che quelle di sicurezza erano chiuse, e che le panche della galleria che stavano di fronte al proscenio ostacolavano la circolazione134. Il teatro verrà demolito nel luglio del 1893. 104 125 “La 126 “La 127 “La 128 “La 129 “La 130 “La 131 “La 132 “La 133 “La 134 “La Gazzetta d’Acqui” del 15-16 agosto 1885, n. 62. Gazzetta d’Acqui” del 9-10 febbraio 1889, n. 6. Bollente” del 12 agosto 1890, n. 33. Gazzetta d’Acqui” del 24-25 marzo 1892, n. 12. Gazzetta d’Acqui” del 2-3 marzo 1889, n. 9. Bollente” del 26-27 gennaio 1893, n. 4. Bollente” del 23-24 giugno 1892, n. 25. Gazzetta d’Acqui” del 2-3 gennaio 1882, n. 1. Gazzetta d’Acqui” del 24-25 luglio 1883, n. 58. Gazzetta d’Acqui” del 28-29 settembre 1889, n. 39. IL TEATRO E LA CITTÀ L’ATTIVITÀ TEATRALE Nell’aprile del 1882 il Benazzo apre con la compagnia Faleni che esordisce con la Fernanda di Sardou. Fin dalle prime sere il pubblico diserta il teatro, accorrendo abbastanza numeroso solo per Alberto Pregalli del Ferrari, novità per Acqui. Per attirare spettatori la compagnia mette in scena I miserabili di Hugo, ma senza successo: “Si è disposti a scusare la compagnia per la scelta”, si legge ne “La Gazzetta d’Acqui”, “visto che nemmeno con Ridicolo la gente va a teatro”135. Si tenta allora la carta della produzione di un autore acquese, ed infatti, con Terzetto a tre voci scordate del Depetris, il teatro torna a riempirsi, per vuotarsi però nuovamente qualche sera successiva, tanto che la compagnia deve sospendere le rappresentazioni per l’esiguo numero di spettatori136; durante la rappresentazione del dramma Stiffelius di Souvestre e Anicet-Bourgeois, scrive il cronista, il primo attore “Avitabile fece la sua confidenza in cui con garbo lanciava una stoccatina all’indifferenza del pubblico”137. Il pubblico torna a frequentare il teatro in maggio con gli spettacoli d’opera I due Foscari ed Ernani: la compagnia, dopo le incertezze della prima, acquista il favore del pubblico, ma in 135 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 aprile 1882, n. 31. 136 La serata della prima attrice con Gli animali parlanti di B. Prado attira però un pubblico numeroso. 137 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 maggio 1882, n. 34. FRANCESCO DEPETRIS, IL TEATRO IN TESTA Francesco Depetris. Autografo dello scherzo buffo in 3 atti Compare Antonio. BCAT, Fondo Tarditi. “La vita o la si vive o la si scrive”, diceva Pirandello. Un motto che si può attagliare perfettamente alla sterminata produzione del forse più assiduo frequentatore del teatro di fine Ottocento: Francesco Depetris. Uno scrittore torrenziale: commedie, monologhi, epicedi, poesie d’occasione, addii, testi lacrimosi e prose brillanti, reportage giornalistici dalla fiera cittadina e pezzi alla Verne: in questa varietà spazia questa penna “teatrale e poetica” acquese di fine Ottocento. Nella sua volatile produzione, in gran parte dispersa, il palcoscenico è sempre presente. Dal catalogo provvisorio estraiamo “un coro a 12 voci senza musica che è una rivista pepata” per la Compagnia Diligenti che sta terminando le recite in città, e poi due pezzi che hanno titolo Disperazioni di un poeta e Gli amori di un brigante (tutti nel gennaio 1879); segue un altro Addio, questa volta “recitato col massimo impegno dalle ultime reliquie della compagnia Regoli” (marzo stesso anno). Indicato come famigerato autore dell’ Abracadabra (un libello antiebraico da cui l’autore prese pubblicamente le distanze), il Nostro percorse anche le strade della poesia patriottica con i versi martelliani in onore di Garibaldi continua nella pagina seguente segue dalla pagina precedente (recitati nel giorno onomastico, il 19 marzo 1882, dalla sig.ra Brignone prima attrice della compagnia Carlo Borisi: siamo al Teatro Dagna, dopo il III atto dell’Amleto) e poi con l’inno L’Italia a Garibaldi, poi messo in musica da Arturo Cabib “con accompagnamento d’orchestra e cori interni” e interpretato “con slancio commendevole”, dalla soprano Ersilia Arcarani. Fu autore di scherzi comici come il Terzetto a tre voci scordate (aprile 1882, Politema Benazzo) e di romanze musicate da Tarditi (e cantate, sempre al politeama Benazzo, dal tenore Doerfles, vero e proprio beniamino delle recite de I due Foscari). La commedia Il suffragio universale, il libretto di Compare Antonio che Tarditi cominciò a musicare, poi versi “in mortem” ma anche “gravissime freddure, giuochi di parole e altri consimili bricconate contro parecchi poveri diavoli che ebbero a sopportarne gravi conseguenze, alcuni dei quali andarono in pericolo di vita”: questo dice di lui un numero speciale de “La Gazzetta d’Acqui” (luglio 1886) che immagina la città del futuro, quella di cento anni dopo. In quelle colonne si dice che nel “primo e più importante stabilimento d’Europa, città di 127 mila abitanti (esattamente dieci volte la popolazione acquese del 1886) il teatro del futuro, il grandioso Politeama Acquese, tiene tremila persone”. Sogni che non si sono avverati per noi. E neppure per il Nostro. Che morì prematuramente il 28 luglio 1888, a soli 48 anni. Veterinario e maestro elementare, giornalista e autore dal bell’ingegno e dallo spirito arguto, non si può far altro che salutarlo con il titolo de il più grande, tenace e appassionato drammaturgo brillante cittadino. G.Sa. Francesco Depetris. Autografo dello scherzo buffo in 3 atti Compare Antonio. Fine amen!: dicitura conclusiva del manoscritto. BCAT, Fondo Tarditi. giugno, a causa dei dissensi tra il proprietario e l’impresa, il corso delle recite viene interrotto. Nel mese d’agosto, dopo una compagnia di cavallerizzi, è la compagnia di prosa e canto diretta da Ferdinando Caravati ad occupare il teatro. Accompagnati dalla buona reputazione conquistata ad Asti nei giorni precedenti, gli artisti, davanti ad un pubblico sempre numeroso, divertono e vengono applauditi, offrendo al pubblico un repertorio con alcune novità, come i vaudeville La cena infernale e I saltador, e le solite commedie come La Class di Asen del Ferravilla, eseguita in un teatro gremito: “Benché le produzioni, ad onor del vero, lasciassero a desiderare, tuttavia gli attori furono salutati spesse volte da caldi applausi”138. Dopo alcune recite della compagnia piemontese Ferrero e Vaser, trasferitasi dal “Dagna”, l’anno 1882 termina con lo spettacolo di marionette del signor Massara. Nel febbraio del 1883 il “Benazzo” riapre i suoi battenti con la compagnia Benincasa: essa propone oltre ai soliti autori italiani come Ferrari, francesi come Dumas figlio con Demi monde e La moglie di Claudio e Sardou con Andreina, 138 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 settembre 1882, n. 69. anche una produzione dell’acquese Depetris dal titolo Il suffragio universale139. A fine marzo il teatro offre al pubblico uno spettacolo d’opera non esaltante con il Don Pasquale; il tenore Luccatelli e la prima donna Rizzato vengono successivamente scritturati appositamente per La sonnambula, spettacolo giudicato nel complesso soddisfacente. Dopo poche recite della compagnia di prosa e canto Corsini, il pubblico premia il ritorno della compagnia Caravati riempiendo il teatro e applaudendo durante le recite delle produzioni milanesi. La compagnia è composta da alcuni elementi nuovi, tra i quali si nota il Cavalli. A metà luglio però, l’autorità di Pubblica Sicurezza pone il divieto alle recite della compagnia. Il motivo di questa decisione sembra essere il timore del Sottoprefetto che le compagnie facciano cattivi affari, essendo aperti due teatri contemporaneamente, tanto che già prima che gli attori giungessero sulla piazza l’impresario del Politeama era stato diffidato dallo scritturare alcuna compagnia. Da Alessandria si promette di inviare una commissione per verificare se le condizioni del teatro sono buone, ma nel frattempo gli attori sono costretti a rimanere fermi. Scrive il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui”: non si capisce perché “l’autorità abbia d’uopo di mandare una volta l’anno a visitare il Politeama con continue spese pel proprietario, mentre ciò non succede mai per il Dagna, che rasenta in caso d’incendio dei pericoli molto più gravi”140. Dopo alcuni interventi all’edificio, finalmente a fine mese la Sottoprefettura concede il permesso di riaprire il teatro; la compagnia riprendere le recite con il concorso di un pubblico abbastanza numeroso. Dopo alcune recite di dilettanti, l’impresario scrittura la compagnia drammatica Piemontese del Comitato Torinese, composta dai noti artisti Vaser, Milone, Gemelli e dalla Reynaud. Il pubblico, sempre abbastanza numeroso, applaude le migliori produzioni del teatro piemontese, come Le fômne brute di Mario Leoni, Bastian côntrari del Bersezio, La festa an môntagna del Milone, e alcune novità promesse come I paisan e la leva del Pietracqua, I fastidi d’un grand’om dell’avv. Baretti, Lun ’d mel e Le marghere ’d Cavoret di L. D. Beccari. 139 Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” scrive al riguardo che il pubblico era comprensibilmente più numeroso del solito ad assistere all’opera del concittadino, ma purtroppo gli attori non sapevano la parte. 140 “La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 luglio 1883, n. 55. 107 Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 settembre 1883, n. 71, ne rimane favorevolmente colpito e scrive: “Questo si chiama mantenere le promesse, e noi in tanta abitudine delle compagnie drammatiche, di essere larghe di promesse, sui cartelloni, e poi corte nell’attendere alla prova dei fatti, ci sentiamo il dovere di dire un bravo alla compagnia piemontese, la quale anche per questa ragione ha saputo cattivarsi e conserva tutto il favore della popolazione acquese”. Tra le altre opere rappresentate compare il vaudeville La Buienta, “libretto senza capo né coda”, composto dall’attore Carlo Marchisio per i testi, e musicato dal M° acquese Giovanni Tarditi, su tipi e situazioni acquesi (“La Gazzetta d’Acqui del 29-30 settembre 1883, n. 77). In alto a sinistra Foglio volante del libretto de La Buienta. BCAT, Fondo Tarditi. In basso a sinistra frontespizio della partitura di Giovanni Tarditi “rappresentata per la prima volta la sera del 26 settembre 1883”. BCAT, Fondo Tarditi. Sulla destra, pagina della partitura. 108 IL TEATRO E LA CITTÀ PIETRO TORRIELLI, IL MERLO DELLA BOLLENTE “Tu non trrremasti giammai / per distrugger l’infame Nazion [l’Austria] / e giammai non mutasti bandiera.../ che la terra ti sia lingera”. Quattro versi con cui Bartolomeo Gatti (ufficiale postale, giornalista, poeta del vernacolo e d’occasione: feste, banchetti e sepolture armano la sua penna), su “La Bollente” del 29 novembre 1887 ricorda Pietro Torrielli detto “il merlo scaccianuvole”, da poco sepolto more pauperum, “così noto in città per l’innocente mania di ritenersi capace di scacciare via le nubi apportatrici di grandine o di pioggia dirotta e importuna coi potenti soffi che uscivano dal suo ampio torace”. Una delle più celebri macchiette della città dell’Ottocento, combattente della II guerra d’indipendenza, e reduce della battaglia S. Martino. Una lingera? Certo nell’accezione più simpatica del termine. “Benchè parlasse continuamente di distruggere quella nazione infame, e gratificasse non si sa chi, né perché, dei titoli di balossaia an certa manera, e volesse sopprimere coloro che la merlettavano nei caffè e nelle osterie, era in fondo un bonaccione incapace di far male ad una mosca, ed era di una pazienza a tutta prova nel sopportare gli scherzi dei monelli, i quali però avevano finito col farsene un amico, e si divertivano a fargli emettere i suoi soffi, ed a gridare: oh rondinella amabile, ma non trrremasti mai!”. La fama era toccata però al Merlo quattro anni prima. Era finito addirittura nell’opera La Buienta, mista di prosa e di canto, che Giovanni Tarditi aveva musicato con la collaborazione del torinese Carlo Marchisio. E il pittore (un altro acquese di belle speranze) Enrico Gabbio, curatore di scene e costumi, in più aveva rappresentato in un acquerello (“La Gazzetta d’Acqui”, 29/30 settembre 1883) non solo la famosa Buienta, e “con bizzarria di concetto” a questo classico monumento aveva aggruppati e Merlo lo scaccianuvole che fa sorridere alla luna, e una folla che fa ressa alle porte del Politeama [Benazzo] per avere i primi posti”. Dell’operetta in un atto è stato possibile rintracciare, al momento, nel Fondo Tarditi, solo un frammento del libretto, edito dallo Scovazzi nel 1883 (e arrivato via telegrafo da Torino). E il giornale dice che Carlo Marchisio “ha studiato qui sulla faccia…del luogo tipi, situazioni, terme, fanghi, bagni e bagnanti, e su ciò ha scritto la sua bizzarria, che tra parentesi ci dicono originalissima”. “La Gazzetta d’Acqui” (29/30 settembre) sa anche essere critica quando occorre. Così la recensione mette a nudo le tante ombre. Vediamole. Si tratta, infatti, “di un minuscolo vaudeville che si è voluto fregiare del titolo un po’ troppo pretenzioso d’operetta”. “Il libretto è senza capo né coda”; “anche nel canto ci saremmo aspettati qualcosa di più”. Vi sono anche aspetti apprezzabili: ad esempio la Sinfonia e la Marcia al fine (“che, però, centra come il diavolo nel suscipiat”), e la recitazione degli attori Gemelli, Vaser e Leonetti (“sotto le spoglie di Merlo”) “che furono tre macchiette indovinate, e che fecero trottare il ventre anche ai malati d’itterizia”. G.Sa. Cfr. anche Storia di Pietro Torrielli, il Merlo scaccianuvole, in ”Corale Città di Acqui Terme”, anno XIX, n.2, dicembre 2004). GLI ARTISTI LA COMPAGNIA CUNEO E VILLA Componevano la compagnia Achille Leigheb, fratello del più famoso Claudio, artista mediocre ed in seguito insegnante di recitazione a Bologna; il caratterista Oreste Calabresi, nato a Macerata il 7 maggio 1857 e trasferitosi a Roma con la famiglia, aveva esordito come primo attore e amoroso con lo stenterello Mori a Pitignano, passando poi con Regoli e Cappelli prima di entrare nella Cuneo e Villa. Avrebbe in seguito recitato nella compagnia Serafini a fianco di Ernesto Rossi e Tommaso Salvini, e dal ‘97 con Claudio Leigheb e Virginia Reiter. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, p. 21 e vol. I, pp. 540-541. 110 Tutti gli artisti sono apprezzati, in particolare il Gemelli, “un vero artista, abilissimo in tutte le parti, siano desse serie, siano comiche” e dotato di “una naturalezza nel modo di recitare non comune”, ed il Vaser, che tutti conoscono e “apprezzano come si merita”141. La compagnia fa discreti guadagni, tanto da aprire un nuovo abbonamento a otto recite. Dopo alcune recite della compagnia genovese Felice Cavallotti, nel mese di dicembre la compagnia Lancillotti e Mazzuccato si trasferisce dal “Dagna” al “Benazzo” per mancanza di pubblico. Qui continua le sue recite, a prezzi ribassati, senza però migliorare le condizioni della “cassetta”. Allo spettacolo di marionette del mese di marzo segue il 14 maggio 1884 il debutto della compagnia Cuneo e Villa con l’Odette di Sardou. Numerose sono le novità presentate: Fedora e Serafina la devota di Sardou, Tempesta in un bicchier d’acqua di E. Godinet, I Rantzau di Erckmann e Chatrian, La donna pallida di Castelvecchio, Dall’ombra al sole di Libero Pilotto, L’articolo 189 di Carlo Foschini, Tutti all’Esposizione di Torino di Ruggiero Rindi, Acquazzoni in montagna di G. Giacosa, Chi semina e chi raccoglie di A. Franzini, Sara Felton di S.Interdonato, Maria Antonietta di P. Giacometti, Marat di Ulisse Barbieri; quest’ultima produzione, recitata alla presenza dell’autore, sebbene ottenga successo di pubblico, viene criticata dal cronista de “La Gazzetta d’Acqui” in quanto composta da scene troppo indipendenti e nocive al buon andamento dell’azione, e perché le figure del dramma paiono troppo sacrificate a quella di Marat; tra le produzioni non mancano le farse per divertire gli spettatori. La serata del 24 giugno viene dedicata ad una recita di beneficenza a favore della famiglia Landini, della quale faceva parte il celebre Stenterello. In generale gli attori ottengono un buon successo: sono affiatati e recitano con molta cura142. 141 Ibidem. 142 Solo tre recite ottengono un esito non troppo fortunato: Giorgio Gandi di L. Marenco, opera troppo conosciuta, “l’immorale” Tutti all’Esposizione di Torino, La donna pallida di Castelvecchio. IL TEATRO E LA CITTÀ NON SOLO BANDA: GIOVANNI TARDITI Giovanni Tarditi (Acqui, 10 marzo 1857 – Roma, 16 settembre 1935) è con il direttore d’orchestra Franco Ghione e con il basso Bottero, una delle personalità di maggior spicco della nostra città musicale negli ultimi due secoli. Direttore di banda, per un trentennio alla testa dei musici del 1° Reg. Granatieri, tenne concerti in tutto il mondo. Una nota manoscritta vergata BCAT, Fondo Tarditi. dal maestro in data 18 novembre 1930, recentemente ritrovata nel Fondo Tarditi della Biblioteca Civica di Acqui Terme, ci consente di osservare la sua produzione da un punto di vista assai originale: quello dello stesso autore, che ovviamente è il miglior conoscitore delle opere sue. Attraverso una visuale soggettiva, emerge una valutazione critica che il personaggio, ultrasettantenne, rivolge a quanto elaborato in mezzo secolo di attività. Indirizzati ad un certo sig. Montana, dal quale potrebbero venire nuove commissioni (Tarditi raccomanda di specificare chiaramente l’organico - per banda, orchestra, piccola orchestra, piano e canto; vuole sapere quante parti compongono gli insiemi), questi fogli costituiscono un ritratto inedito, che proprio attraverso la autorappresentazione che il personaggio dà di sé stesso, fornisce indicazioni su mentalità e gusto del tempo. Non è un caso che, per prima cosa, Tarditi pensi a mostrare “le 18 decorazioni, fra le quali tre commende compresa quella della Corona d’Italia”, i dieci titoli accademici, le 23 nomine ed incarichi onorifici. Quanto alla produzione, cita 240 composizioni musicali di vario genere così ripartite: 22 composizioni caratteristiche, 27 romanze e canzoni, 26 inni patriottici, 32 marce, 24 valzer, 47 mazurke, 45 polke, 8 marce funebri, 14 operette. Di esse il compositore segnala le seguenti: Vento di libeccio, Nidi di rondine, Montecarlo, Nell’isola degli antropofagi, Madama danza, Il molino di papà Bergh, Amore in bicicletta, Guerrin Meschino “e altre di minor conto” (tale dunque è La Bollente). Inventore di congegni musicali adottati dal Ministero della Guerra, Tarditi si dice autore della Musica del Grande Torneo Storico per le nozze d’Argento di Umberto e Margherita di Savoia (1893), dell’Epopea del Risorgimento Italiano (che riprende 24 canti nazionali) composta per incarico del Comitato per le onoranze centenarie di Garibaldi (1807-1907). Il fondo Tarditi è stato riordinato nel 2004 a cura del Dott. Paolo Brosio (Istituto Piemontese per le Fonti Musicali, Torino) e si è recentemente arricchito attraverso una nuova donazione dell’erede Pier Paolo Piccinato, che comprende opere anche della pittrice Lucia Tarditi, figlia del musicista. La discografia Giovanni Tarditi si è arricchita da pochi mesi con l’incisione in CD del “poema per banda” La battaglia di S. Martino (1898, poi più volte rimaneggiata) promossa dal Corpo Bandistico Acquese diretto da Alessandro Pistone (Acqui Terme Città e Musica /DeVega). G.Sa. Cfr. anche E. PESCE, Giovanni Tarditi, nel book allegato al Cd sopra menzionato (in cui è contenuto anche il contributo San Martino, Storia e mito di una battaglia, opera di chi scrive); Giovanni Tarditi, un autoritratto in “Corale Città di Acqui Terme”, anno XIX, n.2, dicembre 2004. IL TEATRO E LA CITTÀ MAGGIORINO FERRARIS È indubbio che la contemporanea presenza di Giuseppe Saracco abbia sottratto attenzione a questo suo contemporaneo, un liberale acquese salito sulla ribalta politica con incarichi di prestigio: ministro delle Poste nel III governo Crispi (1893), ma anche titolare del dicastero degli Approvvigionamenti e consumi - sia pure per cinque giorni, - nel 1919 col Gabinetto Orlando, e poi ancora nel 1922, ministro delle Terre Liberate su nomina di Facta. Deputato per 33 anni e poi senatore, il Nostro fu soprattutto un giornalista e un esperto di economia. Frequentati i corsi di Stanley Jevons in Inghilterra, perfezionatosi a Berlino con Wagner e Held, formatosi con viaggi di studio in Olanda, Boemia e Moravia, iniziò giovanissimo collaborazioni con le testate europee più prestigiose, dall’ “Economist” di Londra al “Financial Times” al “Magdeburger Zeitung”, non disdegnando il “Corriere della Sera” e la “Gazzetta del Popolo” nostrani. Entrato trentenne in Parlamento (non appena raggiunto il limite legale, nel 1886), fu uno dei protagonisti della vita politica italiana. Tra le tante battaglie quelle contro la burocrazia, contro la crescita Frontespizio de L’Agraria Ferraris di Giovanni Tarditi, valzer per pianoforte (Milano 1900). BCAT, Fondo Tarditi incontrollata delle spese militari (con Saracco), per il rin novamento della scuola (a vantaggio dell’istruzione tecnica) e dell’agricoltura (si veda anche la composizione che gli Archivio fotografico Mario Barisone dedicò Giovanni presso Studio Tronville. Tarditi) che qui riproduciamo. Ricorrenti i suoi interventi, relativi a questi temi, sulle pagine della “Nuova Antologia”, rivista di Lettere, Scienze ed Arti erede de l’“Antologia” del Gabinetto Viesseux, che chiusa nel 1833 dalla censura Granducale era rinata nel 1866 (è l’anno della terza guerra di Indipendenza) nella città del giglio. Trasferita (1878) a Roma la sede centrale, in questa Maggiorino Ferraris entrò prima come segretario di redazione (biennio 1881-82) e quindi come direttore-proprietario dal primo luglio 1897. Solo nel 1926, dopo trent’anni, Maggiorino Ferraris lasciò la direzione della prestigiosa rivista. Morirà tre anni più tardi. G.Sa. Oltre alla voce del “Dizionario Biografico degli Italiani”, cfr. Alle origini del giornalismo acquese. Le cronache delle penne musicali, in “L’Ancora”, 11 maggio 2003 e Belle époque: quando Acqui era “alla moda” in “Corale Città di Acqui Terme”, anno XIV, n.1, giugno 1999. Nomina di Tullo Battioni a Maestro della Banda cittadina. Di quest’ultima è presidente onorario l’onorevole Maggiorino Ferraris, come riporta la carta intestata del documento. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. Dopo poche recite della compagnia d’operette Musy e Sainati143, ai primi d’agosto va in scena la Compagnia Piemontese “La Torino”. Essa è formata da discretissimi attori, soprattutto nelle parti brillanti “che sono quelle che attirano di più il pubblico, il quale, e non ha torto, va in teatro più volentieri per ridere che per piagnucolare”144; ottimi sono poi i cantanti e buono il repertorio di operette e vaudeville “che la compagnia intende mettere in scena a sole 48 ore di distanza l’una dall’altra”145. La compagnia fa discreti affari e decide di rimanere sino alla fine del mese: ottima decisione, secondo il cronista, in quanto “volere o non la piazza d’Acqui, nella stagione estiva, va fra le buone; il pubblico, se trattasi di compagnie che sappiano dilettarlo, corre volentieri a teatro”146. Le classiche produzioni del teatro piemontese, quali La partenssa d’j côscrit di Milone, ’L rimedi per le done147, Lena del Rociamlôn di Garelli, La miseria e ’L ritorn an patria del Pietracqua, non dispiacciono, ma alcune di esse, scrive il cronista, “hanno ormai fatto il loro tempo: gli spettatori le sanno, si può dire, a memoria, e quindi non si sentono attratti verso il teatro, dalla maggiore delle attrattive, quella delle novità”; egli si riferisce in particolar modo a El milanes in mar di Cletto Arrighi: “le compagnie piemontesi si piccano di rappresentarlo, ma francamente, farebbero assai meglio a toglierlo dal loro repertorio”148. La compagnia “La Torino” prolunga la sua permanenza, perdendo alcuni attori e acquistandone di nuovi, quali la Fantini, Virginia Bonmartini, la Cisello, apre un nuovo corso di recite aggiungendo un terzetto danzante e continua a fare discreti affari. A metà ottobre giunge per dare solo cinque recite la compagnia Romagnoli e Brunetti con la prima attrice Amalia Romagnoli, figlia dell’attore Carlo. Il debutto avviene con Il padrone delle ferriere di Ohnet in un teatro gremito, ed il successo continua con Il povero Piero del Cavallotti e Lantenac dell’Interdonato, mentre non piace quel “drammaccio da arena, malamente abborracciato”149 intitolato Mietta, costringendo il capocomico a modificare il programma del giorno successivo. Chiude la stagione la compagnia marionettistica Colli, che attira un pubblico numeroso mettendo in scena Il viaggio della Vega, spettacolo basato sul viaggio attorno alla costa settentrionale della Siberia del navigatore Giacomo Bove150, con scenografie rappresentanti il monumento della Bollente. 143 Successo dell’opera La nuova pianella del Ghezzi, replicata ben quattro volte. 144 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1884, n. 62. 145 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1884, n. 62. 146 “La Gazzetta d’Acqui” del 12.13 agosto 1884, n. 64. 147 Si tratta probabilmente di Un rimedi per guarì le done di L. Siccardi. 148 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 agosto 1884, n. 66. 149 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 ottobre 1884, n. 82. 150 Giacomo Bove era originario del vicino paese di Maranzana. 113 GLI ARTISTI LA COMPAGNIA ROMAGNOLI E BRUNETTI Oltre ad Amalia Romagnoli facevano parte della compagnia altri noti attori: Mirra Buccellati, di cui si è già parlato; Luigi Roncoroni: avviato dal padre alla carriera militare, era fuggito per entrare in una compagnia di infimo ordine, per poi passare con Toselli e poi con Bellotti Bon; Lorenzo Calamai, mediocre attore, ma in seguito capocomico di qualche pregio; Pietro Vestri, fratello dell’attore Gaetano, nato a Padova il 12 agosto 1827, dopo aver frequentato il Collegio militare e terminato il biennio obbligatorio, s’era unito alla madre e alla sorella Anna a Parma, per recitare nel teatro ducale; era passato poi in diverse compagnie, tra le quali quella lombarda di Alamanno Morelli e la Compagnia Robotti; Annetta Vestri (si tratta probabilmente di quella Annetta, artista di non pochi pregi, sorella di Pietro Vestri e moglie di Amilcare Antinori). R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 407-408; vol. I, pp. 541-542, vol. II, p. 660, vol. I, p. 168. 114 La stagione estiva del 1885 si apre con la compagnia diretta dall’artista Antonio Bozzo. Figlio dell’attore Michele Bozzo, Antonio, dopo aver vagato di compagnia in compagnia recitando parti di nessun conto, dal ’67 cominciò ad esser considerato tra i migliori interpreti dell’opera I mariti nella parte del Duchino Alfredo, e recitò successivamente sempre in buone compagnie151; prima donna della compagnia era la moglie Laura Tessero Bozzo, sorella della celebre Adelaide. L’opera d’esordio è Dionisa di Dumas figlio, una novità per molti teatri, che ottiene un buon successo; gli attori fanno buona impressione per l’affiatamento, il buon metodo di recitazione, la cura dei particolari e lo studio dell’insieme. Il resto delle produzioni scelte appartengono agli autori del teatro borghese italiano, come Castelnuovo, Muratori, Barbieri152, Mariani153, a drammaturghi in cui è evidente l’influenza francese, come Ferrari e Giacometti, ed alcuni francesi. Interrotta dagli spettacoli d’opera Caporal Fracassa e Il maestro Favilla, con il soprano Mariquita Bozzetti, il contralto Rosina Salvioni, il tenore Leandro Gozzi ed il basso Gio Batta Foroni, bene accolti dal pubblico, la prosa torna ad attirare un pubblico numeroso in luglio con la Compagnia Sociale Piemontese “La Torinese”. È ancora una volta una serie di produzioni classiche ad essere offerta al pubblico, e poche novità come ’L Carlvè d’un merlo bianch154, Doe disgrassie a fan na fortuna di Stanislao Carlevaris, La festa del travai di Pietracqua: ma il pubblico è entusiasta della bravura di Milone, Vaser e Gemelli, “una triade d’artisti codesta 151 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 500. 152 Del Barbieri si rappresentò Carmen, tratto dal romanzo omonimo di Merimée, e Marat, in cui l’autore rappresentò il protagonista. 153 Del Mariani si esegue la novità Tentazioni, davanti ad un pubblico scarso, ma recitato in modo ammirevole. 154 Definito dal cronista della “Gazzetta d’Acqui” “il non plus ultra delle stupidaggini” (“La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 luglio 1885, n. 55). che non ha forse l’eguale”155. Il pubblico, all’inizio scarso, aumenta e riempie il teatro per la beneficiata del Gemelli e del Vaser. Il cronista della “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 luglio 1885, n. 54, esprime un giudizio critico sulla scelta un po’ infelice delle produzioni per la serata del Vaser, (l’unica produzione a salvarsi è Mago Sabino, specialità del Vaser) e aggiunge: “Per quanto ora sia diventata di moda che nelle beneficiate dei brillanti si rappresentino due o tre cosette, tuttavia non può e non deve passarsi sotto silenzio che è una moda a cui non bisogna troppo sacrificare, e che la si perdona allora soltanto che le cosette facenti parte del programma siano veramente graziose (…)”. Nelle ultime sere gli attori della compagnia prendono parte con alcuni dilettanti ad una recita di beneficenza a favore della sottoscrizione per una lapide in memoria di Garibaldi; si chiude così il corso di rappresentazioni di una compagnia che “il pubblico non dimenticherà sì presto”156. All’inizio del mese d’agosto il Politeama si apre per due sere alla Compagnia Siciliana di Giuseppe Rizzotto: impiegato governativo destinato all’avvocatura, ma appassionato filodrammatico, Rizzotto, dopo i moti siciliani del ’48 entrò a far parte a 22 anni di una compagnia di infimo ordine, passando poi in quella di Robotti; dopo aver visitato l’America con la Pezzana, girò tutta Italia ammirato “come attore, come autore e come uomo”157. Il lavoro rappresentato, la trilogia I mafiosi, definito “un vero e completo quadro di costumi”158, pur presentando qualche scena staccata e mancanza d’intreccio, viene apprezzato per la nota di verità e naturalezza. La compagnia Zago e Borisi comincia un corso di rappresentazioni il 10 agosto con Zente refada del Gallina, e fin da questa prima sera l’impressione data al pubblico è buonissima: ben diretta, composta da attori valentissimi, piace la scelta dell’opera d’esordio che mette in risalto le qualità complessive della compagnia. 155 156 157 158 “La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 luglio 1885, n. 52. “La Gazzetta d’Acqui” dell’1-2 agosto 1885, n. 58. L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 383-384. “La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 agosto 1885, n. 61. 115 GLI ARTISTI Era nato a Venezia nel 1852, dimostrando fin da giovane attitudini teatrali; dopo aver recitato in diverse piccole compagnie, nel ’76 entrò come generico nella Compagnia Veneziana di Angelo Moro-Lin, rimanendovi fino all’83, anno in cui si sciolse per la morte dell’attrice Marianna Moro-Lin. Dopo aver formato, in associazione col Borisi, questa compagnia con la prima donna Laura Zanon Paladini, la Fabbri Gallina e la Foscari, si unì alla compagnia BeniniSambo, per poi formare una nuova società con Guglielmo Privato e diventare capocomico solo. Scrive il Rasi: “(…) pochi artisti hanno come lui (lo Zago) il privilegio di riempire la scena. Io lo metterei subito, nella scena dialettale, accanto a Ferravilla e alla Zanon: due artisti che per la loro vita vissuta, assorbono dal loro primo apparirvi i sensi tutti dello spettatore”. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 716721. Il repertorio presentato ad Acqui è naturalmente composto dalle opere del Gallina, quali Una famegia in rovina, Il moroso de la nona, Le baruffe in famegia, Mia fia, Oci del cuor, e di Goldoni, come Chiassetti e passetti del Carnoval di Venezia, Le baruffe chiozzotte, I quattro rusteghi, Il bugiardo, recitato quest’ultimo con le maschere Arlecchino, Brighella e Pantalone in costume tradizionale159. Il successo è grande, gli attori recitano con grande impegno e affiatamento, la loro esecuzione è sempre perfetta, e per questo, anche quando i lavori presentati non sono dei migliori, come nel caso della farsa A Maria Orba o di Le Stregonerie di Testoni, il pubblico rimane soddisfatto: “raramente”, scrive il cronista, “sui teatri acquesi, ci è occorso di sentir recitare compagnie che nel loro complesso potessero competere con questo”160. Il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui” elogia soprattutto la Zanon Paladini, con la quale “l’illusione di trovarsi non ad una commedia, ma nella vita reale è completa”161, ed Emilio Zago, “la qui qualità precipua consiste nel saper immedesimarsi nel personaggio che rappresenta, nel non essere più l’attore Zago, ma il Signor tal dei tali nella commedia in cui recita”162; scrive ancora dello Zago: “(…) delle parti a lui affidate fa una vera creazione, studia a fondo il carattere del personaggio che deve rappresentare, e lo rende con una precisione, con una verità sorprendenti. A lui bastano una mossa, un 116 159 L’opera è ben rappresentata anche se la compagnia avrebbe potuto evitare, secondo il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui”, “le scurrilità di Arlecchino” (“La Gazzetta d’Acqui” dell’1-2 settembre 1885, n. 67). 160 “La Gazzetta d’Acqui” del 15-16 agosto 1885, n. 62. 161 “La Gazzetta d’Acqui” del 29-30 agosto 1885, n. 66. 162 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 agosto 1885, n. 64. GLI ARTISTI gesto, un muovere degli occhi vivacissimi, un’intonazione speciale della voce, per istrappare gli applausi del pubblico, il quale ammira la naturalezza con cui recita, e che lo rende nel suo genere inimitabile come egli non è imitatore di alcun altro attore”. È quanto si legge su “La Gazzetta d’Acqui” del 29-30 agosto 1885, n. 66. Visto il successo, la compagnia apre un secondo abbonamento, e nell’ultima sera un pubblico numeroso giunge a teatro a salutare gli attori, i quali manifestano il desiderio di tornare presto. Dopo un tale entusiasmo generato dalla compagnia Zago e Borisi, il pubblico è restio a tornare a teatro: ne fa le spese la compagnia diretta da Luigi Mauri e condotta da Guglielmo Pasta, che riesce a rialzare le proprie sorti solo con I misteri di Parigi, tratto dal romanzo di E. Sue e ridotto dagli acquesi Ivaldi e Benzi. Anche l’anno 1885 si chiude con uno spettacolo di marionette, questa volta offerto dalla compagnia Guerci. Nel mese di marzo del 1886 il teatro apre i suoi battenti ad alcuni spettacoli con giochi di prestigio, seguiti, grazie al solito Ivaldi, dallo spettacolo d’opera. La favorita, dapprima eseguita al Teatro Dagna, dove non aveva riscosso gran successo, con un nuovo tenore e un nuovo baritono è ritenuto un buono spettacolo. Non soddisfa invece il Ruy Blas, ritenuto non adatto ai mezzi disponibili, quali un’orchesta poco numerosa ed un palcoscenico di ridotte dimensioni. Dopo alcune recite dei fratelli Lambertini, bambini prodigio che entusiasmano gli spettatori, della compagnia Merone e Casiraghi e della compagnia diretta da Lelia Seghezza, l’impresario Ivaldi organizza un nuovo spettacolo d’opera, scritturando la celebre D. E. Rossi Traner, che da poco aveva Trafiletto da “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 aprile 1885. BCAT, Sezione locale, emeroteca. LAURA (LAURETANA) ZANON PALADINI. Nata a Venezia il 9 agosto 1845, figlia d’arte, aveva esordito giovanissima col fratello Vincenzo Zanon, per passare poi come amorosa in compagnie secondarie prima di entrare nella Celeste Paladini-Michele Ferrante come prima attrice giovane; dopo il successo ottenuto nel ruolo di servetta con Angelo Moro Lin, entrò come servetta assoluta con Giuseppe Peracchi, e di nuovo con Moro-Lin, passando poi in diverse compagnie veneziane, tra le quali nel 1884-1887 la Emilio Zago-Carlo Borisi, prima di abbandonare le scene nel 1917. R. Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI op. cit., vol. III, pp. 1546-1547. 117 GLI ARTISTI LA COMPAGNIA PALAMIDESSI Nato a Pisa nel 1840 circa, Giuseppe Palamidessi datosi agli studi legali e del teatro, divenne presto avvocato e filodrammatico; dedicatosi completamente al teatro prese parte a diverse compagnie, tra cui quella dell’Emanuel e di Pasquali, raggiungendo una certa celebrità colla farsa Il Casino di campagna, da lui raffazzonata, per poi diventare conduttore di compagnie. Altri artisti di rilievo erano Arturo Garzes e Vittorio Bissi. Il Garzes aveva incominciato nella compagnia del padre Luigi, rimanendovi fino al ’78, quando era stato scritturato come secondo brillante, insieme alla moglie, con Luigi Bellotti Bon; nell’82 era con Ciotti, Aliprandi e Fagioli, nell’83 con Ciotti e Serafini, nell’84 con Adelaide Tessero; fu anche autore di molti lavori “che ebber tutti, più o meno, lietissimo successo”. Vittorio Bissi, attore e suggeritore, era nato ad Adria il 29 luglio 1859, ed era discendente da una delle famiglie comiche ottocentesche fra le più numerose. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 209-210; vol. I, pp. 992-993. P. D. GIOVINELLI, op. cit., vol. III, p. 1309. cantato al teatro di Nizza Marittima, dopo la Patti. Grazie alla partecipazione della grande cantante, la Lucia di Lammermoor e il Il barbiere di Siviglia163 ottengono un buon successo di pubblico; l’impresario Terzi riesce a mettere in scena altri due buoni spettacoli con il Don Pasquale e Le educande di Sorrento, nonostante la partenza di molti cantanti e la necessità di reclutarne rapidamente altri forestieri. Ad agosto torna la compagnia “La Torinese” e come l’anno precedente, pur presentando poche novità164, attira un pubblico numeroso165, seguita dalla compagnia Palamidessi, anch’essa molto apprezzata e giudicata tra le migliori avute in Acqui. Tra le produzioni scelte, oltre alcune opere di Ferrari, Sardou e Dumas, e l’opera del Garzes Stella, vi erano alcune novità: La dottoressa di Ferrier e Bocage, accolta freddamente, L’impor tuno e l’astratto di F.A. Bon, e La figlia di Jefte del Cavallotti, molto apprezzata166. Nella stagione invernale viene scritturata la compagnia d’operette diretta da Pietro Papale: bene accolte Le campane di Corneville e Rip Rap di Planquette, La figlia di Madama Angot di Lecocq, mentre non piacciono La bella Ester di F. Palmieri, La nuova befana del Canti167, e l’esecuzione di Giorno e notte di 163 Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” critica la messa in scena del Barbiere: “(…) ci sia lecito esprimere la nostra disapprovazione perché del Barbiere si volesse fare come una pantomima” (“La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 luglio 1886, n. 50). 164 Le novità consistevano ne I mal nutrì di Leoni, ed I portiè. 165 Sulla beneficiata del Vaser scrive il cronista: “il programma del Vaser mercoledì per la sua serata, fu quasi il solito di tutti gli anni, ma divertì”; mentre si dispiace per l’inclusione nel programma del Gemelli del solito Un milanes in mar (“La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 agosto 1886, n. 66). 166 Non piace invece l’opera La bella Angiolina, un “drammaccio (…) che fece ridere come una farsa, senza colpa per gli attori” (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 settembre 1886, n. 74.) 167 De La bella Ester scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 ottobre 1886, n. 81: “non si può immaginare cosa più insulsa e più vuota di senso e di spirito dell’argomento e dell’azione di questa operetta”, la musica poi “manca d’ispirazione ed è volgaroccia parecchio”. De La nuova befana si legge invece “il male è che la musica è diluita in molta prosa più o meno a soggetto, o qualche volta più o meno spiritosa” (“La Gazzetta d’Acqui” del 9-10 ottobre 1886, n. 78). GLI ARTISTI Lecocq. L’anno si chiude con alcune recite della compagnia Bagnoli e Dondini168. Nei mesi di aprile e maggio 1887 occupa il teatro la compagnia Solari e Bonelli. Le prime recite sono ben accolte, soprattutto Le marghere ’d Cavouret del Beccari, ma le ultime produzioni non soddisfano: infelice è giudicata la scelta di Pietro Micca del cav. Raimondo Barberis per la serata del Benelli, eseguita in modo imperfetto: “certi drammoni da marionette e certi vaudeville senza capo né coda avrebbero dovuto essere abbandonati. Tanto più quanto la compagnia recita con affiatamento e diligenza ed ha artisti valenti”169. Il mese di maggio termina con qualche recita della compagnia Merone e Fontana, criticata per la mancanza d’affiatamento, anche se non mancano le lodi al Merone. A giugno giunge l’ottima compagnia Ermete Zacconi-Casilini. Nelle prime rappresentazioni, iniziate con Il padrone delle ferriere di Ohnet e Odette di Sardou, il pubblico è numeroso e il suo giudizio positivo, soprattutto sulla “giovaErmete Zacconi. ne Casilini”, che acquista subito “le simpatie del pubblico”170; nelle sere successive però il pubblico diminuisce, forse a causa dell’aumento dei prezzi, e proprio per la mancanza di spettatori, secondo il cronista, in “alcune sere non si riscontrò negli attori l’impegno di cui sono capaci”171. La compagnia aveva anche il merito di aver presentato molte novità del repertorio tedesco, come Pesci dorati di F. von Schönthan e G. Kadelburg, Guerra in tempo di pace di F. von Schönthan e G. von Moser e Il ratto delle Sabine di F. e P. von 168 Ettore Dondini era nato a Capua nel 1822; quando il fratello Cesare si fece capocomico, se ne distaccò per diventare anche lui capocomico e passare dalle parti di generico a quelle di brillante, poi di caratterista (L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 789-790). 169 “La Gazzetta d’Acqui” del 30 aprile-1° maggio 1887, n. 18. 170 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 giugno 1887, n. 23. 171 “La Bollente” del 14 giugno 1887, n. 21. Comprensibile è la mancanza di correttezza nell’esecuzione dell’opera Conciliazione del concittadino avv. Giuseppe Marenco. LA COMPAGNIA ZACCONI - CASILINI Zacconi, figlio d’arte, nato a Montecchio Emilia il 14 settembre 1857, fin da bambino aveva seguito i genitori nelle compagnie nelle quali recitavano; dopo aver recitato in parti di amoroso, brillante e generico, passò al ruolo di primo attore nella Antonio Papadopoli ed Enrico Dominici, e fu con Francesco Artale, con Battistoni, col fratello Romeo ed in diverse altre compagnie, tra cui quelle di Alessandro Salvini, Giovanni Emanuel ed Eugenio Casilini, prima di diventare capocomico in società e poi solo. Oltre a Zacconi componevano la compagnia: Celestina Paladini, attrice di grandissimo slancio nelle parti tragiche, già nel ’63 prima attrice generica nelle parti drammatiche e tragiche, conduttrice di una propria compagnia nel ’69-’70, ed in seguito madre nella compagnia formata dal marito Flavio Andò in società con Tina di Lorenzo; il brillante Achille Leigheb; Eugenio Casilini, buon amoroso e buonissimo generico primario, e la moglie Enrichetta Romagnoli, celebre servetta; Emilia Casilini. R.Br. Cfr. anche P.D.GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 15401542; vol. II, pp. 207-209. L.RASI, op. cit., vol. I, p. 605. GLI ARTISTI IRMA GRAMATICA COTTIN Nata a Fiume il 25 novembre 1868, Irma Gramatica aveva recitato dal 1876 al 1880-1881 nella compagnia di Luigi Monti presso la quale i genitori lavoravano; dopo aver recitato come amorosa entrò come prima attrice giovane nella compagnia I. Vitaliani, in quella di Emanuel e di A. Maggi; e nel 1896 col ruolo di prima attrice con Napoleone Mozzidolfi diretta da Alessandro Marchetti, ma solo nella formazione amministrata da Luigi Raspantini e diretta da Enrico Reinach “ebbe modo di rivelarsi attrice già matura e ricca di personalità”; nel 1900 entrò quale capocomica nella Talli-GramaticaCalabresi, una delle più prestigiose compagnie del Novecento, e dal 1910 cominciò ad dedicarsi saltuariamente dal teatro, formando spesso compagnie che scioglieva improvvisamente. Di lei scriveva Sabatino Lopez: “(...) la Gramatica adora la verità: ella è in teatro realista, naturalista. Realista nella ricerca, nello studio; realista alla ribalta, nel risultato. Le sue sono riproduzioni, realiste, a volte eccessive. Ogni suo sforzo tende a questo: ad esser più efficace, più vera …”. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1397-1399; L. RASI, op. cit., vol. I, p. 1038. Schönthan172, di quello francese come Gringoire di Th. de Banville (tradotto da Bartocci e Fontana), e italiano come La contessa Olga di G. Arrighi e Il Signor d’Albrêt di F. Garzes173. Si legge nella “Bollente”: “In Acqui quando non ci sono spettacoli oppure sono meschini tutti si lagnano, e quando ve n’ha di buoni allora non si va a teatro; è questa una questione di cui la soluzione non la saprei trovare”.174 Tra le recite di dilettanti, le teste di legno della compagnia Zane, il ritorno dei fratelli Lambertini e gli spettacoli di una compagnia equestre, il teatro si apre in questa fine d’anno ad una recita straordinaria della Compagnia Piemontese di passaggio, con un dramma popolare tratto da un fatto accaduto a Torino: La predilession an famija, ossia L’assassinio del Banchè Ribass e la farsa Le avventure ’d monsù Canela. Dopo la compagnia di marionette Ponti, nel marzo 1888 il teatro viene appaltato dalla compagnia Brunorini-Duse. Oltre al Brunorini, di cui si è già detto, il pubblico poteva ammirare la giovane Irma Gramatica Cottin. 172 Pesci dorati e Guerra in tempo di pace, giudicate troppo lunghe, non entusiasmano, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”; la stessa fine tocca a Il signor d’Albrêt in cui alcune situazioni paiono esagerate, a Il ratto delle Sabine, a La contessa Olga ed a Tresa; lascia freddo il pubblico Il pittore Ascani. Molto apprezzata la Casilini nella sua serata d’onore con Il mondo della noia di Pailleron. 173 Tutte queste novità giustificano l’aumento dei prezzi, determinato dall’elevato costo dei diritti d’autore. 174 “La Bollente” del 21 giugno 1887, n. 22. GLI ARTISTI LUIGI DUSE Altro nome di rilievo della compagnia Brunolini Duse era Luigi Duse, nato ad Asolo nel 1857, a quindici anni iniziò una lunga serie di scritture, come amoroso, poi generico primario, ultimo generico, primo attore e nuovamente generico; nel ’76 e ’77 era con Giacinta Pezzana, nel 1884 con Adelaide Tessero, nell’89 con Ernesto Rossi, girò l’America, la Russia, l’Egitto ed i più riposti angoli d’Italia prima di diventar capocomico; lo accompagnava la moglie Vittorina Delfini Duse, che scritturata nel 1883 come seconda amorosa con Ettore Dondini, nella compagnia del marito era passata dal ruolo di seconda donna a quello di prima attrice giovane e prima attrice. R.Br. Cfr. anche L.RASI, op.cit., vol. I, p. 808; vol. I, pp. 808-809 Il successo della compagnia è altalenante: piacciono Mater amabilis di Martelli, La serva amorosa di Goldoni, Il cenciaiuolo di Parigi di Felice Pyat, I nostri buoni villici di Sardou, entusiasma il Brunorini con Monsieur Graffigny, piace il Duse nell’Amleto (ma “mai come Rossi e Salvini”175), mentre le opere già più volte sentite attirano poco pubblico. Il giornalista della Gazzetta è critico sulla scelta delle produzioni “che a volte sono drammacci”176; in più le novità promesse177 non vengono messe in scena dalla compagnia, e il cronista della “Bollente” attribuisce la causa al pubblico “che non la pone in grado, col suo concorso, di sottostare alle occorrenti spese”178. Dopo solo 12 recite la compagnia parte per Carpi. A fine aprile va in scena la compagnia Vestri-De Farro, che debutta con Dionisia di Dumas figlio: questa scelta non soddisfa il pubblico, che rimane scarso nelle sere successive, per cambiare il suo giudizio con la buona esecuzione di Dora di Sardou, Marito in campagna di Bayard e Rouvier, Moglie di Claudio e Francillon di Dumas figlio, dove la seratante Cattaneo si dimostra anche ottima cantante. La compagnia mette in scena anche La Mandragola di Machiavelli, “secondo il movimento letterario che ha suscitato la resurrezione delle commedie del cinquecento in tutte le città d’Italia, risurrezione che ha riscosso il plauso di tutti gli intelligenti”179, ed alcune opere di autori acquesi: Gli amici del tresette del cav. Guido Baccalario, Parere ed essere di Guido 175 “La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 aprile 1888, n. 16. 176 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 aprile 1888, n. 15. 177 Le novità promesse comprendevano Il coccodrillo di Sardou, La contessa Sara di Ohnet, Testolina sventata di T. Barrière ed E. Gondinet, Il debole dei mariti e Il mio carattere di Antonio Brunorini, Giordano Bruno di Calestani, Tony il pagliaccio, Il delitto della notte di Natale, I misteri del chiostro, La serva amorosa di Goldoni. 178 “La Bollente” del 10 aprile 1888, n. 15. 179 “La Bollente” dell’8 maggio 1888, n. 19. 121 Baccalario e Giuseppe Marenco, Il marito, la moglie e … l’altro dell’avv. Angelo Monti, con l’unico merito di attirare un pubblico numeroso. Pagina finale del numero unico de “’L Fontanin”, giornale della compagnia Gemelli. BCAT, Sezione locale, emeroteca. 122 Con la compagnia Merone il pubblico acquese riascolta le commedie del repertorio milanese, con l’innesto di qualche novità. A luglio torna l’amata compagnia La Torinese, presentando fin dall’inizio alcune produzioni nuove: ’L settim sacrament di Cavallotti, Nona Lusia del Pietracqua, Il parpajon bleu dell’avv. Oreste Poggio, An nom dla legge di Mario Leoni. Le beneficiate del Gemelli180, Milone e Vaser attirano sempre un pubblico numeroso; la compagnia, scrive il cronista, “desta continuamente l’ammirazione del pubblico il quale, purché rappresentata da una sì eletta schiera di artisti, è disposto ad applaudire qualsiasi lavoro ed anche quelli che non si possono assolutamente ascrivere fra i migliori”; “Non possiamo dargli torto”, continua il giornalista, “e dimostrano intelligenza di capire come l’attore ha più merito quando sa sostenere una produzione che eseguita da altri sarebbe accolta male o cadrebbe completamente; ciò in generale e in particolare per ’L settim sacrament e I compagn d’reclusion”181. Si apre un nuovo abbonamento a dodici recite con altre novità, tra cui Le doe sorele, scritto dal Giraud espressamente per le seratanti Viola e Gemma Stella. A fine agosto giunge al Politeama la compagnia Fioravanti con Armi ed amori e La presa di S. Sebastiano di Suppé; le operette piacciono, ma ne “La Gazzetta d’Acqui” del 1-2 settembre 1888, n. 36. non si risparmiano critiche: 180 In questa occasione si elogiano gli scenari della fabbrica e soffitta dipinti dal Fontana (“La Bollente” del 17 luglio 1888, n. 29). 181 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 luglio 1888, n. 28. “Il sig. Facci, tenore, piacque più nel primo spartito che non nel secondo dove, forse per indisposizione, uscì molte volte di misura. In forma il tremendo quintetto! Tutti gli altri fecero del loro meglio e nell’assieme lo spettacolo potè passare nonostante parecchie mende inevitabili e per la ristrettezza del palcoscenico, e per la stanchezza degli artisti (alcuni dei quali non riposano mai) e per la deficienza dell’orchestra, la quale, tenuto calcolo delle pochissime prove, fece miracoli e l’ultima sera specialmente suonò benissimo”. Dopo le solite recite di dilettanti e le teste di legno, chiude l’anno la compagnia Davide Mazzanti182, che presenta, oltre ai soliti Sardou, Ohnet, Scribe183, produzioni di Ferrari e Castelvecchio, I mariti di Torelli, Il processo Prado di Francesco Guerra e Giordano Bruno di Calestani: quest’ultimo delude in quanto poco consono alla verità storica, facendo di Bruno “un uomo pieno di difetti e contraddizioni”184. Nel febbraio 1889 torna la compagnia Fioravanti e questa volta il teatro è pieno quasi tutte le sere, nonostante l’orchestra sia sempre deficiente. Gli ultimi giorni di marzo il teatro apre i battenti alla compagnia Raspantini: il Raspantini, napoletano “più amministratore della compagnia sociale”185 che attore, era accompagnato dalla moglie Augusta Bertini, sorella del più celebre Florido. Il pubblico è scarso, nonostante la stampa consideri la compagnia tra le primarie, e nonostante le novità promesse del teatro francese, tra cui Il coccodrillo di Sardou, peraltro non molto apprezzata dal giornalista de “La Bollente”; piace Frou-frou di Meilhac e Halevy, riprodotto dalla Bertini-Raspantini “in un modo talmente drammatico e vero, che può realmente prender posto tra le prime donne delle primarie compagnie italiane”186, e riempie il teatro l’opera del concittadino Caratti I conti dell’Acquesana. Il cronista de “La Bollente” del 9 aprile 1889, n.15, si lamenta dell’apatia del pubblico: “A chi guarda spassionatamente l’andazzo delle rappresentazioni delle compagnie che si succedono sulle scene di questo teatro, viene in mente una strana osservazione: abbiamo avuto nell’autunno scorso una compagnia di prosa, composta di elementi di cui 182 183 184 185 186 Ne faceva parte il già conosciuto De Farro. Di Scribe si mettono in scena due opere nuove per Acqui: Catena e Dita di fata. “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 novembre 1888, n. 46. L. RASI, op. cit., vol. I, p. 381. “La Bollente” del 16 aprile 1889, n. 16. 123 GLI ARTISTI LA COMPAGNIA GAETANO BENINI Faceva parte della compagnia Ferruccio Benini, che era stato ottimo primo amoroso e primo attor giovane: nato a Genova nel 1854, Ferruccio, dopo aver esordito in parti di bimbo nella compagnia di Monti e Preda, e di Cesare Dondini, aveva cominciato a recitare come brillante nel ’74 al Teatro Balilla di Genova nella compagnia del padre Gaetano, e sarebbe entrato, dopo la sua morte, nella compagnia di Giacinto Gallina; lo accompagnava la sorella Italia Benini Sambo che “come lui e con lui aveva iniziato a calcare le scene assieme ai genitori” e la cui vita artistica corrispose a “quella di Ferruccio col quale rimase sempre fino alla morte dell’attore (1916)”. R. Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 347-348. P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1301-1302. 124 tacere è bello, ed il teatro era sempre abbastanza frequentato. Seguì poi una compagnia di operette meno che discreta eppure la cassa seralmente si riempiva; viene finalmente una buona compagnia, che ci ammanisce buoni lavori e delle novità artistiche, e questa il pubblico la guarda con occhio indifferente, e lascia il teatro quasi vuoto. E vi par giustizia questa? O non ci sarebbe piuttosto da tirarci le orecchie quando ci lamentiamo che i battenti del Politeama restano chiusi?”. L’Arciduca Rodolfo del Bistolfi non viene messa in scena per il veto posto dall’autorità in seguito a considerazioni d’ordine internazionale, azione eccessiva, secondo il cronista, “per un dramma privo di allusioni politiche e che non è altro che un’esposizione più o meno fedele di un fatto caduto nel dominio pubblico e che fu oggetto di apprezzamenti d’ogni genere specie da parte della pubblica stampa”187. La compagnia non potendo andare in scena a causa della partenza di alcuni attori poi rimpiazzati, viene sostituita per alcune sere dalla compagnia La Subalpina di Ferrero. A maggio l’impresario Ivaldi ripropone lo spettacolo d’opera: al successo più che discreto dell’Ernani segue quello entusiastico de I due Foscari e quello del Rigoletto; sempre applauditi gli artisti: il soprano A. Tagliavia Cerne, il tenore B. Granelli (poi sostituito dal Clarà), il baritono A. Habel Rossi (successivamente sostituito, per indisposizione, dal Cecchini), il basso Spoto. Nel mese di luglio ad affittare il “Benazzo” è la compagnia di Gaetano Benini, diretta da A. Grisanti. 187 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1889, n.15. Il pubblico non è numeroso anche se gli attori mostrano una cura scrupolosa del vestiario e della scena, nonché sicurezza nella recitazione. La stampa critica la scelta di produzioni come Il campanaro di Londra di G. Bouchardy, Pace in guerra di S. Lopez e La nonna, quando il pubblico è accorso più volentieri per Esmeralda di Gallina, I quattro rusteghi e Il bugiardo di Goldoni; la compagnia pare infatti “meglio fatta per le produzioni briose a svolgimento piano, che non per quelle di forti passioni come sono quelle moderne piene di nervosismo”188. Non va meglio alla compagnia Fioravanti: fin dalle prime sere appare evidente l’effetto dell’insufficienza di prove, consistente in un disaccordo sgradevolissimo fra cantanti e professori, e nonostante alcuni miglioramenti, l’orchestra continua ad essere inadeguata. Perduto il tenore Favi, si è costretti a sostituirlo con una donna, Albertina Scolari, provocando uno scisma tra il pubblico: pur consentendo di dare due rappresentazioni del Boccaccio di Suppé, il pubblico è ormai scemato. In più l’orchestra diventa ogni giorno più fragile e alla beneficiata della Calligaris il maestro di pianoforte non si presenta, costringendo ad interrompere lo spettacolo dopo un breve tentativo di proseguire ugualmente. Con il nuovo tenore Fazzi le incertezze diminuiscono, ma alcune opere non vengono messe in scena a causa della partenza di diversi artisti: la Calligaris, il Favi e la signorina Argos si imbarcano per l’America con la compagnia Scalvini. A settembre la compagnia Giovanni Toselli diverte il pubblico con diverse produzioni di genere brillante e con i vaudeville, “in cui si mantiene sempre all’altezza della sua fama”189; buono l’affiatamento, la spigliatezza e sicurezza nella recitazione, cura nei particolari, ricco ed elegante l’apparato scenico. Con La class d’i’ aso e Un milanes in mar gli attori non sembrano però reggere il confronto con altre compagnie190. Fallite le trattative con la compagnia del cav. Cola, per qualche sera si presenta sul palcoscenico del Politeama la compagnia di Eugenio Torricelli. Ad ottobre a prendere in affitto il teatro è la compagnia Metastasio del cav. Pasquali. Della compagnia il cronista de “La Bollente” scrive: “l’elemento in genere che compone questa compagnia è buono, solo risente alquanto della vecchia maniera nel recitare, e se la signorina Melnati volesse correggersi un po’ dal vizio di declamare sarebbe una prima donna perfetta”191. La compagnia fa del suo meglio, ma il pubblico non rispon- 188 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 luglio 1889, n.28. 189 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 settembre 1889, n. 38. 190 Nel corso delle recite si scritturano le sorelle Reynaud, “le belle e famose artiste in dialetto, che concorsero, si può dire, col cavaliere Toselli alla creazione del teatro piemontese” (“La Bollente” del 1° ottobre 1889, n. 40). 191 “La Bollente” del 12-13 novembre 1889, n. 46. 125 de, ed è costretta a mettere in scena drammi ad effetto per farlo accorrere più volentieri. La rappresentazione de Il conte Fabio di Pratolungo dell’acquese Bistolfi non attira maggior pubblico: questo probabilmente irrita gli attori, tanto che una sera la Pasquali “(…) espresse all’indirizzo del pubblico segni e frasi punto benevoli. E come se ciò non bastasse, recitando la medesima La figlia di Jefte, nell’uscire di scena, voltandosi al pubblico, lanciò al medesimo l’epiteto di imbecille, ciò che costrinse molte signore a uscir di teatro. Il pubblico non uscì in manifestazioni violente solo in grazia della sua bontà e della buona educazione, ma che lo sappia la Pasquali che il suo gentile appellativo fu udito, e che se in quel momento c’era là un imbecille e una ineducata non era certo il pubblico del Politeama”192. Dopo qualche recita della Compagnia Sociale diretta da Tito Restali, l’ultimo decennio del secolo si apre con la compagnia Marazzi, che debutta con Adele di Del Testa. Gli artisti, almeno all’inizio, non riscuotono il favore degli spettatori, a giudicare almeno dal loro numero, tanto che si concede una serata ad ingresso gratuito; il teatro poi non è sufficientemente riscaldato. In alcune sere però il Politeama si riempie: con La passata dei corvi di Arrighi e Birraia di Vollo, con Il cantico dei cantici del Cavallotti e Signor Alfonso di Dumas figlio nella beneficiata di Giovanni Terenzi Biancardi, con Santarellina, anche se capita che gli attori non sappiano bene la parte. Molto apprezzata è la prima donna Marazzi: “(…) è veramente un’artista eccezionale, e ce ne dette una prova luminosa la prima sera, sulla Medea in Acqui, un “quid simile” del Casino di campagna. In essa la signora Marazzi spiegò una “vis comica” non comune, possesso di scena, sveltezza nei travestimenti”193. Nel mese d’aprile giunge per poche recite la compagnia Antonio Brunorini, composta da ottimi attori, quali Luigi Buccellati e la moglie 192 “La Bollente” del 17 dicembre 1889, n. 51. 193 “La Bollente” del 25 febbraio 1890, n. 9. GLI ARTISTI CESARE PASQUALI 126 Nato a Venezia il 26 agosto 1853, Cesare Pasquali, già in compagnia Francesco Gagliardi-Enrico Valli diretta da Gaetano Fortuzzi, era entrato a far parte, anche con funzioni amministrative, di quella di Giovanni Bissi; dopo essersi associato con la moglie Maria Corrieri, fu generico pri- mario nella compagnia di Teresa Boetti Valvassura-Antonio Zerri, e socio di Piero Rossi, in quella di Giuseppe Piemontese, prima di diventare capocomico. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1463-1464. GLI ARTISTI Mirra, il Brunorini, Annina Casilini, Laura Marini, e Pier Camillo Tovagliari. La compagnia attira un pubblico numeroso, anche se il repertorio non è nuovissimo e non è sempre “confacente all’indole speciale della maggioranza degli artisti”194. A maggio torna la compagnia Fioravanti, col solito repertorio, ma “migliorata con la prima donna Scolari, i due baritoni Gariano e Corisio, diverse seconde parti discrete e una massa corale numerosa e piena di buona volontà”195; l’orchestra purtroppo rimane un punto debole. Le compagnie successive si vengono a scontrare con l’inedia del pubblico acquese: nel solo mese di aprile si succedono ben quattro compagnie: prima la Brunorini, poi la Toselli, la Raspantini-Carro196 e la Caravati: solo quest’ultima riesce a soddisfare il pubblico, e per un mese e mezzo continua con successo lo svolgimento del repertorio milanese, dei vaudeville, degli scherzi comici e dei balli. PIER CAMILLO TOVAGLIARI Nato a Parma il 14 gennaio 1847, era entrato nel 1872 nella compagnia Papadopoli; poi era passato come generico con Ciotti e con Romagnoli; come caratterista con Drago, Calamai, Vitaliani, Pezzana, Novelli prima di passare due anni con Brunorini; era poi entrato in diverse altre compagnie, e socio con il Leigheb, trascorse il più gran momento della sua vita artistica. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 599-600. A metà agosto si stipula un contratto con la compagnia d’operette Bruno Bocci, che però delude: durante l’esecuzione de La nuova befana del Canti un attore dichiara addirittura di non sapere la parte, e il pubblico risponde con applausi. La situazione pare successivamente migliorare: il personale artistico viene aumentato, riveduto e corretto, si scritturano la Calligaris e Favi, già conosciuti e apprezzati dal pubblico, ma alcune indisposizioni, la deficienza delle coriste, ed alcune esecuzioni “scellerate” costringono la compagnia a partire tra i fischi e le risa di scherno. Durissimo è il giudizio del cronista teatrale de “La Gazzetta d’Acqui”: “Nessuna novità in fatto di spetta194 “La Gazzetta d’Acqui”del 26-27 aprile 1890, n. 17. Tra le opere rappresentate ricordiamo Guerra in tempo di pace di F. von Schönthan e G. von Moser, Cause ed effetti di Ferrari, Il ratto delle Sabine di F. e P. von Schönthan, DurandDurand di M. Ordonneau e A. Valabrègue, Mia moglie non ha chic di Busnach. 195 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 Maggio 1890, n. 19. 196 Questa compagnia abbandona la piazza dopo poche recite avendo “odorato il vento infido” (“La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 giugno 1890, n. 24). Faceva parte della compagnia Alessandro Marchetti, che sarebbe tornato ad Acqui come capocomico. Trafiletto da “La Bollente” del 21 ottobre 1890. BCAT, Sezione locale, emeroteca. 127 coli, scarso decoro scenico, pochissima cura dei particolari, e di quanto forma l’illusione della scena, poca sincerità nelle promesse, poca puntualità nel mantenerle”197; non più leggero quello de “La Bollente”: “(…) siamo stanchi egregi signori, siamo stanchi di tutto codesto arsenale di musichetta strillata e grattata diabolicamente; siamo stanchi di pantomima, di questo eterno guardaroba di maglie poco immacolate, di pennacchi svolazzanti, di corsetti da marionette, di spade che paion croci, di gambe magre, di sorrisi e buffonerie stereotipate con rara diligenza (…). Il genere di operetta ridotta ha fatto il suo tempo, ed è ora di mettere tutte queste cose nel ciarpame dei scenari vecchi di melodramma in disuso”198. A fine ottobre giunge la compagnia delle sorelle De Ogna, presentando produzioni drammatiche e brillanti. Il giornalista della “Gazzetta d’Acqui” apprezza l’esecuzione di La felicità coniugale, Il medico delle signore e della novità del Rovetta La trilogia di Dorina, e considera il complesso d’artisti affiatato ed intelligente, migliore nelle produzioni drammatiche che in quelle brillanti. Il cronista de “La Bollente” del 21 ottobre 1890, n. 43, non è, ancora una volta, soddisfatto: “La compagnia De Ogna ha un complesso d’artisti che può rispondere alle molteplici esigenze sceniche, un repertorio svariatissimo che potrebbe anche attirare i più restii, ma ha pure un torto: quello d’affrontare con serenità, meglio con disinvoltura le più difficili produzioni della scena, quelle che esigono una speciale tempra d’artista, quelle che devono tener desta l’attenzione del pubblico senza suscitare certe risate intempestive come s’è visto in queste sere. Tutte le compagnie hanno il loro bravo repertorio pieno zeppo di Dumas, di Sardou, ecc. Male. O l’artista si basa sull’eccezionale abilità dell’autore e allora è un errore perché il dramma presentato così riesce freddo, o si basa sulla propria bravura e allora l’errore è più grave. Il nostro pubblico, convien dirlo, è composto in gran parte di operai e ragazzi. Ora che cosa volete che ne sappia il nostro pubblico di tempeste dell’anima, di sacrifici, di eroismi e di tutte le altre diavolerie di cui sono capaci i cervelli degli autori. Il nostro pubblico ha troppo buon senso per 128 197 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 ottobre 1890, n. 40. 198 “La Bollente” del 23 settembre 1890, n. 39. arrivare a queste false sublimità e si contenta a batter le mani a qualche tirata morale, ridendosela di gusto alle più belle situazioni drammatiche credendo scherzo ciò che è agonia mortale. Il pubblico così detto intelligente, scarsissimo, rimane freddo di fronte ad una interpretazione che può essere il profilo di una buona esecuzione. Non basta avere delle buone qualità d’artista, richiamare alla memoria altre celebrità artistiche, aver tutta la buona volontà di trascinare il pubblico nella propria commozione e per un momento riuscire, bisogna essere più saldi, se no mutar registro e cercar di far ridere, ridere, ridere con le cose allegre che ammazzano tutte le discussioni artistiche”. L’impresario del teatro non manca di criticare il cronista de ‘La Bollente” per i suoi articoli. Sembra che in questa fine stagione solo le marionette e i cavallerizzi possano far fortuna, ma per le cinque recite straordinarie della compagnia Vitaliani il teatro si riempe: la compagnia mette in scena Le vergini di Praga, Suocera demonio di Horst, Chamillac di Feuillet, Le sorprese del matrimonio di Bernardi e Camere ammobiliate199. 199 L’opera del Praga piace al pubblico, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”, mentre il giornalista de “La Bollente” parla di un’accoglienza fredda da parte degli spettatori; Chamillac appare ad entrambi un’opera piena di inverosimiglianze; Suocera demonio, Le sorprese del matrimonio e Camere ammobiliate (si tratta probabilmente di Camere ammobiliate terzo piano di A. Testoni) risultano “un po’ pesanti in molti punti per lo sforzo penoso di far ridere” (“La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 novembre 1890, n. 45). GLI ARTISTI LA COMPAGNIA VITALIANI Faceva parte della compagnia Fausta Galanti Fantechi: dopo aver frequentato la Scuola di recitazione di Firenze, era entrata nel 1886 come prima attrice giovane nella compagnia Pietriboni, per passare poi come prima attrice giovane assoluta in quella di Serafini e, con lo stesso ruolo, in quella di Michele Mantechi, del quale divenne presto moglie; smesso nel ’90 il capocomicato, si scritturarono entrambi con Cesare Vitaliani, per rifare poi compagnia nel ’91, in cui Fausta assunse per la prima volta il ruolo di prima attrice assoluta. Altri attori erano Antonietta Lollio Strini, figlia dell’attore Carlo Lollio; il marito Giuseppe Strini: nato a Napoli il 21 dicembre 1846, era entrato nel ’64 nella compagnia stabile di Achille Maieroni al Teatro del Fondo, prima di passare secondo amoroso con Fanny Sadowski e primo attor giovane con Giacinta Pezzana; passato poi in diverse compagnie, dopo una tournée all’estero con Adelaide Ristori aveva formato una società, abbandonando il ruolo di primo attore per quello di generico primario. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 973- 129 974; vol. II, pp. 550-551. GLI ARTISTI CARLO DUSE Della compagnia Brunorini faceva parte Carlo Duse: nato a Gallarate (1866?), figlio d’arte, aveva esordito nella compagnia Angelo Diligenti-Antonio Zerri nel 1880-1881; dopo aver recitato in parti di brillante, mamo [ruolo comico del teatro ottocentesco, figura di un giovane ingenuo, melenso, facilmente beffato] e generico primario, entrò nel 1886 primo attor giovane nella compagnia di Antonio Brunorini accanto al fratello Luigi; passò poi in diverse compagnie, tra le quali quella di Ernesto Rossi e di Italia Vitaliani, prima di diventare capocomico. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1356-1357. 130 Anche la compagnia italo-americana di Ulisse Barbieri, reduce dall’America, riesce ad attirare un folto pubblico: il Barbieri mette in scena I drammi delle masserie brasiliane, sua opera sulla schiavitù, che entusiasma gli spettatori200; meno apprezzate dalla stampa le altre due opere Caprera e Prete d’Olavaria, Castro Rodriguez201. L’anno 1891 sembra essere fortunato; dopo poche recite della compagnia Valentini, con la compagnia Brunorini il pubblico torna a stipare il teatro: tutte le opere, da Il padrone delle ferriere di Ohnet a Le vergini di Praga, da Guerra in tempo di pace di F. von Schönthan e G. von Moser a Odette di Sardou, sono eseguite con affiatamento; il pubblico affolla il teatro soprattutto con La moglie ideale, novità del Praga, Goldoni e le sue sedici commedie nuove del Ferrari e Amleto202. Il giudizio del giornalista de “La Bollente” è ottimo su tutti gli artisti, in particolare su Carlo Duse, su Brunorini, “uno fra i migliori Brillanti dell’Arte”203, e su Laura Marini: “Ad alcuni abituati a sentire le nostre vecchie attrici, potrebbe forse sembrar strano il modo di recitazione della signora Marini, ma il pubblico intelligente non potrà fare a meno di applaudire alla sua nervosità e naturalezza, doti che sono la prerogativa della nostra più grande attrice moderna Eleonora Duse”204. A fine aprile debutta con Fernanda di Sardou la compagnia del cav. Cola, con un’interpretazione molto apprezzata dalla stampa: “Mai ci fu dato ad Acqui di assistere ad una così splendida interpretazione della Fernanda (…)205. 200 Si legge ne “La Bollente”: “Da lungo tempo il nostro teatro non era risuonato di tanto clamore. Da tempo la gente cittadina non era stata turbata da risveglio di nobile entusiasmo” (“La Bollente” dell’11 novembre 1890, n. 46). 201 Quest’opera viene definita “drammaccio che si deve togliere dal repertorio” (“La Gazzetta d’Acqui” del 15-16 novembre 1890, n. 46) 202 Ricordiamo le altre opere messe in scena: I Rantzau di Erckmann e Chatrian, Madri nemiche di C. Mendès, Jack lo sventratore di donne, I nostri buoni villici di Sardou, Lo stordito di Bayard. 203 “La Bollente” del 31 marzo 1891, n. 13. 204 “La Bollente” del 31 marzo 1891, n. 13. 205 “La Bollente” del 28 aprile 1891, n. 17. Il resto del repertorio è composto in prevalenza da opere del teatro francese. GLI ARTISTI LA COMPAGNIA DEL CAVALIER COLA La compagnia era composta da due attori noti: Carlo Cola e Maria Fernandez Barach. Il Cola, figlio di un suggeritore, aveva cominciato a recitare come brillante nelle compagnie che il padre formava in società, datosi poi al ruolo di primo attor giovane, era passato nella compagnia di Bellotti-Bon con Virginia Marini, prima di farsi “conduttore di compagnie di terz’ordine, recitandovi mediocremente le grandi parti di primo attore”; Maria Fernandez Barach, figlia del suggeritore Doimo Barach, nata a Zara, aveva esordito nel ’63 con Cesare Marchi nel Teatro della Stadera a Milano; passata al ruolo di amorosa e di prima donna assoluta, dopo alcuni anni di stenti, sbalzata di compagnia in compagnia, era entrata come prima donna assoluta in quella di Dondini, cominciando una vita nuova in compagnie di rilievo. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 672673; vol. I, pp. 264-265. Il giornalista de “La Bollente” apprezza i due attori e scrive: “raro è il caso di avere due attori come la prima attrice Barach e il Cola, coadiuvati dalla Sainati, e dal De Farro”206; il repertorio è costituito in prevalenza da opere francesi, alcune nuove per Acqui207: là dove manca l’affiatamento nelle parti minori, la Barach e il Cola riescono a risollevare le sorti delle recite con le loro ottime interpretazioni. La compagnia mette in scena Il profumo di Blum e Toché, previo avvertimento alle signorine di rimanere a casa: “Il sagace avvertimento, diretto a maggiormente riempire il teatro di sesso mascolino coll’attrattiva di udire e vedere quello che alle signorine era vietato, non sortì il suo pieno effetto, perché il pubblico accorse, non strabocchevolmente numeroso, commedia graziosa, piacevole e per nulla sguaiata”208. Nonostante l’aumento dei prezzi, il pubblico accorre a teatro per assistere alle recite straordinarie della compagnia del cav. Pietriboni, grazie alla quale può ascoltare Un bicchier d’acqua209 e Margherita di Valois di Scribe, L’onore di Sudermann. La rappresentazione di Un bicchier d’acqua ha un esito straordinario: “Tutti gli artisti hanno incontrato i favori del pubblico e dopo tanta tregua di buon gusto d’arte si può affermare che mai in Acqui ci fu tanto entusiasmo nel pubblico e tanta 206 “La Bollente” del 28 aprile 1891, n. 17. 207 Ricordiamo Tosca di Sardou, La straniera di Dumas, Processo Veauradieux di Delacour e Hennequin. 208 “La Bollente” del 12 maggio 1891, n. 19. 209 Sull’opera Un bicchier d’acqua si legge ne “La Bollente” del 9 giugno 1891, n. 23: “(…) richiede un complesso artistico straordinario, sia per numero che per abilità, ed è per questo che la compagnia Pietriboni è la sola che la rappresenti in Italia”. 131 compiacente buona volontà in un complesso di artisti intelligenti e compiacenti”210. Sui principali artisti scrive il cronista de “La Bollente” (31 giugno 1891, n. 27) In questa pagina e nella successiva le immagini da un foglio volante del 30 agosto 1891 stampato in occasione del saggio della scuola di musica di cui era maestro-direttore Tullo Battioni. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. “Il cav. Pietriboni è un primo attore che sa dare un potente soffio di vitalità e di omogeneità alla sua compagnia ed ha la rara intelligenza di saper presentare al pubblico un repertorio simpatico. La signora Pietriboni ha tutta la versatilità d’ingegno di una prima donna di valore. Il signor Vitti è un attore giovane senza esagerazioni e con fine intendimento d’artista. Brava la Lollio Strini, la Bonafini, il Barsi artista fino, bravissimo il brillante Passerini con la specialità delle canzonette”. 210 “La Bollente” del 23 giugno 1891, n. 24. GLI ARTISTI LA COMPAGNIA PIETRIBONI 132 La compagnia era effettivamente composta da artisti di livello: Giuseppe Pietriboni, nato a Venezia il 21 dicembre del 1846, aveva esordito come autore; in seguito, innamoratosi di un’attrice della Compagnia Boldrini-Peracchi, vi era entrato come secondo amoroso; diventato primo attor giovane, era passato in diverse compagnie prima di costituire società con Francesco Coltellini e quindi diventare capocomico solo. Silvia Pietriboni, moglie di Giuseppe, era nata a Firenze nel 1845: alunna della Scuola fiorentina di recitazione, aveva esordito nella Compagnia di Cesare Mazzola; fu con Luigi Domenicani, Papadopoli e Bergonzoni, nella Sadowski come seconda donna, prima di diventare prima attri- ce assoluta nella compagnia del marito; Giuseppe Strini e la moglie Antonietta Lollio Strini; Amalia Casilini: figlia dell’artista Eugenio Casilini e della celebre servetta Enrichetta Romagnoli, cominciò ad apparire sulle scene nelle parti di bimba; entrata come generica nella Compagnia Sadowski-Astolfi, fu poi scritturata da Antonio Colomberti e dallo zio Carlo Romagnoli, passando poi in diverse compagnie, tra cui quella di Alamanno Morelli quale seconda donna, e prima donna (di spalla) sotto Adelaide Tessero; Pietro Barsi. R.Br. Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. I, p. 605, vol. II, pp. 282-286. GLI ARTISTI L’Onore di Sudermann non viene compresa dal pubblico; scrive in proposito il giornalista de “La Bollente”: “(…) abbiamo notato che malgrado la tesi sostenuta dall’autore, tesi completamente errata perché appunto basata su paradossi, malgrado un certo qual sapore di pornografia l’uditorio verso la fine era veramente oppresso da tanta mole”211. Sfortunata è la compagnia Zago e Privato che, mantenendo gli stessi prezzi della precedente, recita in un teatro quasi deserto. Eppure gli artisti erano di un certo valore, come il celebre comico veneziano Emilio Zago, Amalia Borisi e Guglielmo Privato. GUGLIELMO PRIVATO Nato a Venezia il 27 settembre 1826, Privato aveva esordito come comico nel ’49 nella Compagnia di Giovanni Battista Zappetti; entrato nella grande arte nella compagnia lombarda di Alamanno Morelli, era poi passato in diverse compagnie: con BellottiBon, con Tommaso Salvini, con Giacinta Pezzana in società, con Morelli ed altre; morto il Vesti nella Compagnia Nazionale, e uscitone il Novelli, li sostituì prima di unirsi con lo Zago. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 311-312. Il teatro si ripopola con le operette della compagnia Scalvini e della compagnia Città di Napoli diretta da Stravolo, e con le commedie della Compagnia Piemontese G.Toselli. A metà novembre ritorna l’apatia e la compagnia diretta da Vittorio Antuzzi, pur presentando diverse novità, si trova in difficoltà: “Noi crediamo che gli artisti si siano persuasi di una grande verità: che il nostro pubblico non ama e non applaude che il ridicolo. I lavori dove campeggia la morale, lo lasciano freddo e impassibile”212. Dopo poche recite delle piccole celebrità sorelle Gardini, la compagnia Antuzzi è costretta a dare, nel gennaio 1892, una rappresentazione con la cooperazione di alcuni filodrammatici acquesi e di altre città, per riparare ai disastri del corso di rappresentazioni precedenti. “In Acqui, dove si accorre molto volentieri a beare lo sguardo nei polpacci delle virtuose esecutrici della Gran via e del Duchino, è giocoforza riconoscere che non solo alle buone produzioni date dalle buone compagnie si dà poco incoraggiamento, ma soventi si lascia magari che queste ci rimettano le spese” (“La Bollente” del 5 gennaio 1892, n. 1) 211 “La Bollente” del 24 giugno 1891, n. 26. 212 “La Bollente” del 24 novembre 1891, n. 47. 133 Grazie al solito impresario Ivaldi la stagione prosegue con la messa in scena de I puritani: pur con i consueti problemi del coro, lo spettacolo soddisfa; alla comparsa dei primi segni d’insuccesso Ivaldi rimedia scritturando Virginia Colombati, che entusiasma il numerosissimo pubblico giunto ad ascoltarla. La prosa ritorna a maggio con la compagnia Brunorini, che propone un repertorio vario di commedie brillanti e commedie di costume: il pubblico non si smentisce e dimostra di prediligere il genere leggero. Anche la stampa (“La Bollente” del 12-13 maggio 1892, n. 19, con la Satira si riferisce alla Satira e Parini del Ferrari) consiglia di offrire questo genere: Sottoscrizione tesa ad evitare l’abbattimento del Politeama Benazzo, datata luglio [sic] 1893. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. “Perché non si ascoltano i consigli del pubblico che ha trovato nella compagnia ottimi elementi per un genere di commedie brillanti, famigliari? Sono bravi quelli che oltre ad una spettacolosa teatralità per quanto riguarda il palcoscenico, richiedono uno studio accurato da parte degli artisti, che non possono andar fuori dal loro repertorio, senza trovarsi troppo bene quando poi si fa in fretta: l’Otello lo prova insieme colla Satira”. A fine giugno l’impresario Ivaldi riesce a mettere in piedi un nuovo lodato spettacolo d’opera: la Jone viene rappresentata da buoni artisti, con un’orchestra ben scelta e un coro affiatato; la messa in scena è quella che è, ma il microscopico palcoscenico del Politeama non permette di più213. Il teatro continua ad essere ben frequentato per tutta 134 213 A proposito della messa in scena si legge ne “La Bollente” del 30 giugno-1° luglio 1892, n. 26: “credo che non sia il caso di parlare della parte scenica: sta il fatto che l’azione non ha giovamento alcuno dalla scena come è lavorata. È vero che si è cambiato il Vesuvio, ma se n’è messo un altro, rappresentante l’ossatura di un monte visto a volo d’uccello e tanto distante da rendere l’idea d’un vulcano che i coristi, furbi e intelligenti che l’hanno capito, non possono persuadersi dell’eruzione, e non curano i lapilli e la lava, se ne vanno tranquillamente come a mercato! Che sia per assaporare maggiormente le ultime battute della Jone? Veda un po’ il signor Pellegrini di insegnare a quella gente il modo di scappare di scena senza rasentare il ridicolo del popolino!” Le scene usate, dipinte su carta, erano del Garelli (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1892, n. 26). la fine dell’anno, prima con le operette della compagnia Stravolo e con le pochades della compagnia Solari, poi con i soliti vaudeville della compagnia Viale e infine con la compagnia equestre Marasso e Depodi. L’ultima compagnia di prosa ad occupare il Politeama Benazzo, per tutto il mese di marzo del 1893, è la compagnia del cav. Monti, che esordisce con due pienoni con Il povero Piero di Cavallotti e Tristi amori di Giacosa; la compagnia prosegue, sempre con grande concorso di pubblico, presentando i classici italiani e francesi, e le ultime novità del teatro italiano214, e qualche produzione francese. Chiude con successo l’ultimo anno di vita del teatro La traviata, “spettacolo degno d’essere sentito più di una volta”215, con la Stecchi giunta a sostituire l’indisposta Ines Grandis. 214 La compagnia mette in scena anche il lavoro storico Friedmann Bach di Proto di Maddaloni, dedicato al cav. Monti, nuovo per la città. 215 “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 aprile 1893, n. 15. IL TEATRO E LA CITTÀ LUIGI GARELLI, PENNELLI E COLORI PER IL TEATRO Essere artisti, nell’Ottocento, in provincia, vuol dire essere ...eclettici. Occorre saper fare di tutto. Se sei musico devi suonare più strumenti, dirigere in strada, in chiesa e in teatro, scrivere polke ed inni, dar lezioni. Se sono le discipline pittoriche a darti da campare, si devon padroneggiare oli e tempere tanto per dipingere i quadri d’impegno, quanto per decorare le insegne delle botteghe, passando dai festoni del teatro alle miniature delle pergamene. Così è successo per il Gabbio, così per Luigi Garelli, la cui data di nascita dovrebbe cadere intorno alla metà del secolo. Egli si guadagnò una certa notorietà a Torino partecipando alla mostre della Promotrice, ma poi in città ricevette commissioni come decoratore e mobiliere (lavorando anche alle Nuove Terme e presso il Circolo “La Concordia). Di lui si ricordano un busto di Garibaldi in occasione della solenne commemorazione che si tenne l’11 giugno 1882 presso il Politeama Benazzo (“La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 giugno), l’olio 1352 (in cui ritrasse il vescovo Guido d’Incisa e Oddone dei Marchesi di Ponzone, che aveva occupato certi beni della Chiesa d’Acqui), la La battaglia di Governolo (18 luglio 1848), e poi una bella Veduta di Acqui a volo d’uccello, un quadro di Umberto I voluto dal Municipio, ma anche le tavole satiriche della “Rivista del Formighino”, (composta non solo da 16 pagine, ma anche da 18 tavole litografiche dell’autore) stampata dalla tipografia di Costantino Ferraris. Non mancano interventi in teatro. Sempre Carnevale 1894 (quello di Bovano, per intenderci): “Come già dicemmo il Dagna era completamente trasformato mercè degli sforzi del pittore Garelli e del giardiniere Torrielli; il primo adornando il teatro di artistici medaglioni, riflettenti le baldorie carnevalesche, il secondo decorando sala e palcoscenico di fiori e verzura”. Gli unici nei dalla musica: suona la banda (diretta da Pistarino) e non l’orchestra come molti avrebbero voluto. G.Sa. Cfr. anche Alle origini del giornalismo acquese. Ancora tra penne e pennelli, in “L’Ancora” del 13 luglio 2003. 135 IL TEATRINO DEL SEMINARIO MINORE Il complesso edilizio del Seminario minore, in origine sede del monastero delle monache di Santa Caterina, situato in piazza Duomo, venne eretto nell’ultimo quarto del XIV secolo. Nel 1855 il Vescovo Modesto Contratto decide di aprirvi un corso di scuole primarie e secondarie per i giovani aspiranti alla carriera ecclesiastica216: è in funzione di questa scuola che viene edificato un teatrino in un locale del Seminario minore; anche per lo stile architettonico il teatrino è riconducibile al XIX secolo. Attualmente il locale viene utilizzato come aula magna dell’Università e talvolta come sala conferenze. IL TEATRINO D’OLTRE BORMIDA (TEATRINO VECCHIE TERME) Nel giugno 1892 si intraprendono lavori per edificare un teatrino accanto allo Stabilimento Vecchie Terme, destinato ad offrire balli, operette e vaudeville nella stagione estiva217. Il teatrino descritto nei giorni dell’inaugurazione come “grande, elegante e arioso”218, viene inaugurato a luglio con l’opera Don Pasquale ed il balletto Vergy, composto dalla signorina Margottino Adelina. Cessate le rappresentazioni d’opera buffa, subentra nell’impresa il signor Ivaldi, scritturando la compagnia milanese Cavalli, e cercando di rimediare alle perdite avute dalla precedente impresa, per l’incapacità 136 216 AVA, Seminario, fald. 6, cart. 2, f. 1, Circolare del Vescovo Modesto Contratto del 12 settembre 1855. 217 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1892, n. 26. 218 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 luglio 1892, n. 27. Il cav. Giovanni Tarditi alle Vecchie Terme. BCAT, Fondo Tarditi. di adattare lo spettacolo alle esigenze del teatro e agli introiti. L’Ivaldi riesce probabilmente a fare buoni affari, e visto il successo dell’anno di prova, nel settembre del 1892 l’impresa delle Terme decide di introdurre opere fisse in ferro per rendere il teatro elegante e perfettamente riparato dalle intemperie219. Tuttavia, dalla definizione che ne dà un cronista qualche anno dopo, dobbiamo supporre che gli aggettivi con cui si descriveva il teatrino alla sua inaugurazione, non corrispondessero perfettamente alla realtà: dopo averlo definito “ambiente poco simpatico”, il giornalista (“La Gazzetta d’Acqui” del 30 giugno-1° luglio 1894, n. 26) afferma: “Quella baracca ha un nome pomposo di teatro ed ha qualcosa tra il bazar turco, la tenda militare, il serraglio (a scanso di equivoci) senza bestie, ed altre simili baracche da fiera. Eppure si va là dentro, si soffoca dal caldo, chi ha degli affari li dimentica, si ha l’illusione di essere al teatro e soprattutto si guarda il bel sesso. Magra sì, ma unica soddisfazione”. Nel giugno 1893 il teatrino si apre con la compagnia Fioravanti: il repertorio presentato non comprende grandi novità, ma il pubblico frequenta il teatro con discreta soddisfazione. Anche gli spettacoli della compagnia Merone, che viene scritturata nel mese di agosto, pur non avendo “molto sugo”220 piacciono agli spettatori: sono produzioni troppo conosciute per esercitare una grande attrattiva, ma gli attori sopperiscono a questo difetto con i loro meriti. Chiude la stagione la compagnia Milone-Testa che prosegue il corso delle sue rappresentazioni al teatro Dagna. 219 “La Bollente” del 29-30 settembre 1892, n. 39. 220 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 agosto 1893, n. 34. 137 Nel 1894 il teatrino s’inaugura con l’opera in musica. Grande è il successo per il Fra Diavolo221 e il Don Pasquale, minore per Il barbiere di Siviglia, rappresentati nelle prime edizioni da artisti provenienti dal Manzoni di Milano: i soprani Campagnoli e Mastrobuono, il tenore Mastrobuono, il baritono Cremona, i bassi comici Gianoli e Belviller. Non piace l’esecuzione de La sonnambula con artisti nuovi, sia per deficienza di prove sia per diversi contrattempi insorti, e quella de La serva padrona, per deficienza di violini ed archi. A fine stagione alcune complicazioni indipendenti dallo spettacolo provocano il succedersi delle imprese; il pubblico assiste anche al breve passaggio di diverse compagnie: prima la compagnia Merone, poi la compagnia Viale, e nuovamente la compagnia Merone. L’anno successivo, tra le poche recite delle compagnie Gattucci, Bonelli, e Dante Testa, vede presentarsi per la prima volta sul palcoscenico del teatrino la compagnia Udina con il grande Gustavo Salvini222. Il repertorio presentato è costituito prevalentemente da classici: Amleto, La bisbetica domata, Otello di Shakespeare, Kean di Dumas padre, San Paolo del Gazzoletti, Il falconiere di Pietro Ardena di L. Marenco (Petruzzo nella Bisbetica domata, Iago, Amleto e Kean sono ricordate come alcune tra le migliori interpretazioni di Gustavo Salvini223). Il teatro è quasi sempre pieno e il Salvini è insuperabile nell’Otello e nell’Amleto: “egli è degno figlio di suo padre del quale ci rammenta il metodo di recitare, la voce, la scena”224. La stagione 1896 si apre con la compagnia Merone: il cattivo tempo, l’assenza di alcuni artisti e la mancanza di novità provocano una scarsa affluenza di pubblico. A luglio giunge la compagnia Piacentini-Sequi che mette in scena con successo la novità L’albergo del libero scambio di Feydeau: la compagnia conquista le simpatie del pubblico, nonostante qualche eccesso di confidenza. Lo spettacolo d’opera torna alla fine di luglio: dopo molte incertezze, la messa in scena della Linda di Chamounix raggiunge un buon consenso di pubblico, grazie all’arrivo della Cisterna e del Francesconi; le sere successive vedono il succes- 138 221 Nelle ultime sere debutta nel Fra Diavolo la prima donna Emma Cisterna, “che riscosse applausi al Regio, e al San Carlo di Napoli” (“La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 luglio 1894, n. 29). 222 Su Gustavo Salvini cfr. AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., ad vocem, vol. VIII, pp. 1444-1445; L. RASI, op. cit., vol. III, pp. 498-500; E. BOUTET, Le cronache drammatiche, Roma 1899, vol. I, pp. 4-6; E. CORRADINI, Gustavo Salvini, s.i.t., G. COSTETTI, Il teatro italiano nel 1800, Rocca S. Casciano 1901; A. VINARDI, Gustavo Salvini, Torino 1904; M. FERRIGNI, Cronache teatrali (1930), Milano 1932. 223 AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., vol. VIII, p. 1444. 224 “La Bollente” del 12-13 settembre 1895, n. 37. IL TEATRO E LA CITTÀ MAESTRO & ALLIEVO TULLO BATTIONI E LUIGI MONTECUCCHI Come precocemente indica “La Bollente” del 17 marzo 1891, il M° Tullo Battioni (Parma 1837 –Parma 1914), “preceduto da lusinghiera reputazione, chiarissimo compositore di musica sacra e profana, direttore d’orchestra, suonatore di piano, di violino e contrabasso [della scuola di Carlo Montanari]”, manifestò subito una vera “specialità nel modo d’insegnare” ispirandosi “ai metodi dei conservatori più accreditati di Francia e Italia”. Proprio questo maestro, titolare della scuola municipale di musica a seguito del concorso del 1890, licenziò nel 1900 per i tipi di Righetti un opuscoletto dal titolo Un decennio di insegnamento musicale in Acqui. Tale pubblicazione, al momento irreperibile, ma ben riassunta da “La Gazzetta d’Acqui” (29/30dicembre 1900), raccoglieva “il nome di tutti gli allievi che furono da lui istruiti”. Non solo: di ciascuno il maestro, in poche righe, tracciò “il profitto e l’avvenire musicale”. Tra i discepoli DOC, son citati, il flautista Carlo Giuso, il violinisti Francesco Cornaglia e Franco Ghione (in seguito celebre direttore d’orchestra), il trombonista Ernesto Roggero, e il tenore Luigi Montecucchi. E quest’ultimo era, di certo, della lista il più famoso. E quando, nel 1897, il nostro tenore esordì a Cuneo, con il Faust di Gounod, “La Gazzetta d’Acqui” del 20/21 febbraio lesta ricordò che fu il Battioni, “dopo averlo sentito una sera cantare con i compagni, ad eccitarlo a studiare, lo diresse e lo aiutò moralmente e materialmente”. Nemo propheta in patria: il felice esordio, oltre a consolare i poveri genitori “ancora dubbiosi e trepidanti per la carriera scelta dal loro figlio”, viene – secondo il giornale “a confondere i malevoli e gli scettici” e costituisce per “il nostro e bravo e modesto Battioni …la migliore ricompensa alle fatiche durate tanti anni in mezzo ad attacchi di ogni sorta alla sua coscienza di artista e di galantuomo, sfidante gli scoraggiamenti del suo povero allievo, dei genitori e degli amici suoi ”. Di qui l’inizio di una lunga carriera: nel 1897 recite nel parmense (e a Parma il cantante aveva concluso i suoi studi) e ad Acqui, nel Teatrino delle Vecchie Terme (Lucia di Lammermoor e La favorita di Donizetti); nel 1898 a Reggio Emilia (Mignon di Thomas), Pola d’Istria (Traviata), Gorizia (Bohème e Forza del destino), Brescia (è Don Josè in Carmen); l’anno successivo canta a Bergamo (Teatro Sociale), al Politeama di Genova, al Teatro Costanzi di Roma (dove aveva esordito Cavalleria Rusticana di Mascagni), per Don Pasquale, al Teatro Rossini di Venezia. Ma nel 1899, soprattutto, il Montecucchi canta Faust al Garibaldi, duettando con la sig.na De Roma (Margherita) e con il basso Lucenti. E poi interpreta Fra diavolo. Dice la “La Gazzetta d’Acqui” (12/13 agosto): “Il Montecucchi è un …nostro figlio. L’ a f f e t t o … m a t e r n o potrà farci velo, ma a noi pare che meriti il plauso incondizionato degli intelligenti. La scuola è in lui ottima, la voce armoniosa e estessissima è come il novellino continua nella pagina seguente Il M° Tullo Battioni segue dalla pagina precedente Giacomo a suo padrone sommessa; ne dispone a suo talento passando dalle note centrali agli acuti con una sicurezza che fa di lui uno dei tenori più apprezzati (e l’orchestra, sotto l’intelligente direzione del Cav. Vigoni fa prodigi”). Ma il successo è consacrato da una tournée in Russia: al Teatro di Smolensk Montecucchi canta in Mignon, Gioconda, Puritani, Bohème, Rigoletto, Cavalleria, Fra Diavolo (“La Gazzetta d’Acqui” del 29-30 settembre); il giornale lo dice destinato a calcare i prosceni di Mosca; e la cosa, puntualmente, avviene. Montecucchi, uno zar “acquese” della musica. G.Sa. Cfr. anche, per gli anni non acquesi di Battioni (dal 1876 al 1885), UMBERTO BATTEGAZZORE Storia della musica di Tortona e del Tortonese, Tortona 2003; Gli esordi del tenore Luigi Montecucchi, in “Corale Città di Acqui Terme”, n. 1, 2003. so de Il barbiere di Siviglia con l’apprezzato tenore De Rossi, diversi pienoni per Crispino e la comare e la delusione per il Fra Diavolo. L’anno si chiude con poche recite della compagnia d’operette Papale225. Palazzo Papis, particolare. Si noti il manifesto della Linda di Chamounix. L’immagine è tratta dal libro di Piero Zucca Acqui da non dimenticare, Torino 2003. 140 Nel 1897, dopo il varietà della compagnia Fournier-Castagnetta e le recite della ZucchiViale226 nel teatrino modificato per eliminare piccoli inconvenienti, torna l’opera con la Lucia di Lamermoor e La favorita: se le prime rappresentazioni hanno un esito abbastanza soddisfacente, un grande successo viene raggiunto con la partecipazione di Sofia Aifos e del concittadino Montecucchi nella Lucia, e con il debutto di Giulietta Gorretta, reduce da Amsterdam, e del Montecucchi, nella Favorita. Con la compagnia Merone il teatro continua ad essere discretamente frequentato, nonostante la mancanza d’innovazione del teatro milanese proposto dalla compagnia. Novità vengono invece presentate dalla compagnia del cav. Monti, come Marcellina di Sardou ed Il fu Topinel di Bisson, oltre alle migliori opere del teatro italiano. Il cronista de “La Bollente” critica però l’interpretazione di alcuni attori: 225 Lo spettacolo offerto da questa compagnia è considerato deficiente e insoddisfacente per i “troppi strappi alla plastica e all’arte” (“La Bollente” del 17-18 settembre 1896, n. 38). 226 Le rappresentazioni comprendono una parodia della Cavalleria Rusticana non molto apprezzata dal pubblico. GLI ARTISTI “La scelta dei lavori è stata felicissima, non altrettanto si può dire dell’esecuzione che riuscì discreta per qualcuno, eccellente pel cav. Monti, per alcuni altri lasciò parecchio a desiderare. L’affiatamento non ci è sembrato soverchio e poco lo studio della parte, così che il dialogo riesce sovente stentato non ostante gli inauditi sforzi polmonari del suggeritore”227. Nel 1898 il teatrino si apre a metà giugno, con un ritardo causato dal maltempo e da imprevisti occorsi alla compagnia De Farro. Essa debutta con Divorziamo di Sardou, ed il successo è immediato: gli artisti formano “un tutto organico, scelto, concorde, corretto”228, senza incertezze o difetti, e propongono un repertorio scelto di drammi e commedie brillanti. Risulta insuperabile la Marussig in Divorziamo di Sardou, Niobe, Infedele di R. Bracco e nei Disonesti di Rovetta, ed il Brunorini, unitosi alla compagnia successivamente, ne Il ratto delle Sabine di F. e P. von Schönthan, messo in scena in un teatro affollato. Grande successo ottiene anche la compagnia d’operette Emilia Bertini: le attrici Botti Bello, Bertini e Verga guadagnano addirittura delle ovazioni nell’esecuzione del Boccaccio di Suppé, ne Le campane di Corneville di Planquette e ne I coscritti di C. Lombardo. Sul buffo Moro Mori, “un buffo intonato e franco”229, si scrive: “ (…) Moro Mori, l’antica conoscenza del nostro pubblico, si arrabatta in tutti i modi per trovare la nota comica sempre e ad 227 “La Bollente” del 30 settembre- 1° ottobre 1897, n. 39. La compagnia aveva tra l’altro realizzato una serata di beneficenza “per un attore disgraziato, MarazziDiligenti” (“La Bollente” del 5-6 agosto 1897, n. 31). 228 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1898, n. 26. 229 “La Bollente” del 18-19 agosto 1898, n. 33. Moro Mori aveva pubblicato in Acqui nel 1893 un libretto di versi dedicati alla Stecchetti, intitolato Margherite. LA COMPAGNIA DE FARRO Faceva parte della compagnia Giuseppe Gray: uscito dalla scuola di recitazione di Carolina Malfatti nell’86, era entrato nell’88 nella compagnia sociale di Cesare Vitaliani, passando poi nella compagnia Città di Torino, primo attor giovane in quella di Pietro Falconi, primo attore in quella di Teresa Boetti Valvassura e poi con ruolo assoluto nella G. Emanuel-C. Rossi; dopo il ritorno nella Boetti Valvassura e il passaggio nella Compagnia Nazionale diretta da Pietriboni, era entrato nella compagnia De Farro ed in seguito in diverse altre, dedicandosi anche al cinema. Altra componente era Laura Vestri: figlia d’arte, era entrata nella compagnia di Novelli per parti di giovane, per assumere poi quelle di madre; recitò in dialetto veneziano con Giacinto Gallina, ed in dialetto milanese, entrando in seguito nella compagnia GrammaticaTalli-Calabresi . R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 14001401. L. RASI, op. cit., vol. II, p. 659. Il parco delle Terme in un’immagine di primo Novecento. La fotografia è tratta dal volume di Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004. ogni costo. Minori sforzi, minori lungaggini, in certe scene frivole fatte sole pei ragazzi della platea, mi pare sarebbero profittevoli molto”230. Chiude la stagione la compagnia del cav. Toselli con le commedie del teatro piemontese ed alcune operette egregiamente interpretate: in scena anche l’attore settenne Romolino Malagoli. Nel luglio del 1899 il teatrino dei Bagni riapre dopo aver subito alcuni interventi, e dopo il crescente successo delle rappresentazioni del Barbiere di Siviglia e del Fra Diavolo, nonostante gli svariati spettacoli offerti dalla fiera, viene ridotto a caffè-concerto sotto la gestione del sig. Scati, esercente il Caffè Vecchie Terme. All’inizio del nuovo secolo il teatrino diventa oggetto di ulteriori lavori: si costruisce una “platea in muratura e col tetto”231 e si converte il “vecchio steccato in legno in solido muro coll’evidente intenzione di adibire nuovamente quel locale a pubblici spettacoli”232. Il cronista de “La “Bollente” si mostra critico nei confronti dell’impresa, considerando il pubblico che frequenta i nostri teatri “limitato assai ed insuf- 142 230 “La Bollente” del 25-26 agosto 1898, n. 34. 231 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 aprile 1900, n. 16. 232 “La Bollente” del 22-23 marzo 1900, n. 12. ficiente per mantenere due spettacoli anche se vi si aggiunge la colonia forestiera”; ed aggiunge: “Nell’estate si verificherà quindi il caso che gli spettacoli non riusciranno né da una parte né dall’altra; i poveri artisti lusingati dal falso miraggio della stazione balnearia si troveranno in condizioni dolorose tanto da ricorrere alla beneficenza privata, e mentre chi ha esposto un capitale ingente nell’interesse della città, ha pur diritto ad un po’ di protezione, la Giunta sorriderà bonariamente come di cosa che non la riguarda affatto. La Società che ha attualmente in concessione il nostro Stabilimento dovrebbe a modesto avviso nostro, convergere le sue mire a ben altro che non sia quella baracca di legno chiamata pomposamente teatro”.233 Nel giugno del 1900 debutta la compagnia di varietà diretta da Anselmo Ambrosano: le varie canzonettiste elettrizzano l’uditorio sovente scarso, ma sempre largo d’applausi. A metà luglio il varietà lascia il passo all’opera con Le educande di Sorrento, per tornare subito dopo con la compagnia diretta dal signor C. Filippa a divertire il pubblico con le canzonette napoletane. Nel 1901, dopo la buona riuscita della messa in scena di Lucrezia Borgia e del Barbiere di Siviglia, trasferite dal Garibaldi per poche sere, giunge la compagnia Solari, che esordisce con lusinghiero successo: ricco il repertorio composto dalle migliori produzioni del teatro piemontese, e dalle più applaudite zarzuele e vaudeville. Il successo di pubblico continua con la Compagnia Milanese Bice Rozen, seguita da uno spettacolo di prosa e canto. Nel 1902 la compagnia del cav. Starace, dopo uno splendido debutto al Garibaldi con I Granatieri del maestro Valente, chiude con discreta fortuna il corso delle sue recite al Caffè Vecchie Terme234; la stagione termina con poche recite della compagnia Gemelli. Nel 1903 il teatrino subisce nuovi interventi: “Il Direttore dello stabilimento, (…) vi fece erigere una elegante galleria che poggia su solide colonne, spaziosissima, che potrà contenere una grandissima quantità di persone. Ad essa si accede per una scaletta interna, comoda e disposta con sapienza geome233 Ibidem. 234 Si legge nella “Bollente” del 26-27 giugno 1902, n. 25: “Se la minuscola troupe procurerà di dare esecuzione relativamente complete, affiatate e scevre delle solite scurrilità migliorerà certo le proprie sorti”. 143 trica, così che non occupa che uno spazio assai limitato. La platea poi è stata coperta di uno strato bituminoso, un po’ rilevato verso il fondo: difesa contro l’umidità. Il Teatrino, ventilato dagli ariosi finestroni in alto, presenta un insieme piacevolmente artistico e simpatico”235. Nell’estate vi debutta la Compagnia Milanese del cav. Gaetano Sbodio, con la conosciuta e apprezzata Bice Rozen. Il pubblico gradisce le esilarantissime produzioni di questa compagnia milanese, considerata la migliore finora venuta in Acqui. Chiude la stagione la compagnia Mugnaini-Valentini con i suoi “drammi a forti tinte”236. Il teatrino riapre nel 1904 con la compagnia Valentini-Marchiò. Il repertorio è composto dai più apprezzati lavori del teatro moderno italiano, come Maternità di R. Bracco e La Duchessina di A. Testoni, e soprattutto francese, come Dora e le spie di Sardou, Amanti di Donnay, Gelosa di Bisson, Zazà di Simon e Bisson, Inconvenienti del divorzio di Pailleron. Il repertorio è vasto, ma il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” fa qualche appunto: “Il pubblico (…) si divertirebbe sempre se nella scelta Concerto alle Vecchie Terme, 1910. La fotografia è tratta dal volume di Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004. 144 235 “La Bollente” del 25-26 giugno 1903, n. 26. 236 Manca purtroppo “La Gazzetta d’Acqui” del 1903, mentre “La Bollente” non fornisce altre informazioni. GLI ARTISTI delle produzioni la direzione o l’impresa si decidesse a cambiare un pochino e non ripetere troppo spesse quelle pochade che per quanto belline finiscono collo stancare, massime gli abbonati e coloro che sono assidui al teatro”237. La compagnia riscuote in ogni modo un buon successo, fermandosi per quasi tre mesi. Tra gli attori molto apprezzati sono la C. Valentini Marchiò, “colonna portante”238 della compagnia, impareggiabile nella parte di Nelly Rozier nell’opera omonima di P. Bilhaud e M. Hennequin, il giovane Telemaco Ruggeri e la piccola Regina Menichelli di soli quattro anni. Della Pareti scrive il giornalista de “La Gazzetta”: “La sig.na Pareti lasciò ieri la sua abituale svogliatezza, la sua abituale recitazione a mulinello e disse abbastanza bene la sua parte, non facile del resto, della Lituana. Questa attrice che recitò accanto a delle celebrità autentiche, parve, fino all’altro ieri abbandonata dal così detto fuoco sacro, ora però, che pare le sia tornato, la preghiamo di conservarlo, tanto più che sappiamo aver essa la direzione artistica della compagnia: come potrà infondere negli attori quel calore necessario se essa per la prima recita … per ridere?”239. Chiude la stagione una compagnia di marionette. Nel 1905 giunge la compagnia Artale MusellaE. Rivalta, con Annetta Artale Musella e Francesco Artale. Il pubblico accorre numeroso, ed “il repertorio 237 “La Gazzetta d’Acqui” del 30-31 luglio 1904, n. 31. 238 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1904, n. 26. 239 “La Gazzetta d’Acqui” del 9-10 luglio 1904, n. 28. GAETANO SBODIO Nato a Milano nel 1844, dopo aver sostenuto la parte di amoroso in una compagnia di filodrammatici milanesi, aveva abbandonato il mestiere di orafo per entrare nel 1869 nella compagnia di Cletto Arrighi, dove era anche il Ferravilla; dopo aver formato diverse compagnie con il Ferravilla, si associò a Davide Carnaghi, continuando negli anni successivi ad allontanarsi e riavvicinarsi ai due capocomici. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVINELLI op. cit., vol. III, pp. 1508-9. GLI ARTISTI AUGUSTO MUGNAINI Nato a Lucca nel 1854, compare per la prima volta come primo attore nella compagnia condotta da Luigi Raspantini nel 1882-1883; entrato nella Francesco Ciotti-Giovanni Serafini-Sante Pietrotti insieme alla moglie Giuseppina, passò poi in diverse compagnie, con funzioni anche amministrative; diresse il Politeama “Ernesto Rossi” di San Remo per qualche mese, e nel 1909 il Teatro lirico di Milano, prima di dedicarsi al cinema. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVINELLI, op. cit., vol. III, pp. 1438-1439. GLI ARTISTI FRANCESCO ARTALE Dopo aver lasciato gli studi di legge nel 1866, Artale era entrato per le parti di generico nella compagnia Sterni; salito presto al grado di primo attore, era passato per le migliori compagnie del suo tempo, fino a diventare nel ’75 conduttore e direttore di una propria compagnia, della quale fu anche il primo attore fino al ‘91. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 226-227. è composto di assolute novità, se si esclude Teresa Raquin che è di fatica speciale della Pedretti che della sua parte seppe fare tale una creazione da ottenere il plauso di tutta la critica italiana”, tutte “eseguite veramente bene”240. In un teatro gremito, la Artale Musella incarna “in modo squisito”241 il personaggio di Lea nell’opera omonima, ottenendo applausi e fiori e straordinario è il successo che riscuote per l’interpretazione di Caterina la Maslova nell’opera Resurrezione di Tolstoj. Il Rivalta per la sua serata sceglie Il padrone delle ferriere di Ohnet e di lui scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”: il Rivalta “già diede agli acquesi prove non dubbie di essere un buon comico, peccato sia con questo repertorio un po’ sacrificato. Speriamo di risentirlo ancora sovente perché non ci pare che il pubblico prediliga assolutamente i lavori comici”242. Col succedersi delle recite, il pubblico può meglio apprezzarlo: “(…) dal fiuto molto fine, ha compreso il pubblico e i sui gusti, ed ha fatto la scelta dei lavori da eseguirsi in modo da accontentare tutti. Inappuntabilmente elegante ed efficace in Scellerata. Interpretazione squisita la conferenza La donna ed il monologo Parva Favilla. L’esecuzione di Casino di Campagna non fu discara all’uditorio, perché anche qui l’attore seppe trovare la giusta misura della comicità”243. Si scrive ancora su di lui: “Il sig. Rivalta è l’attore drammatico per eccellenza perché dalle sole posizioni veramente drammatiche viene preso ed Egli ad esse sa darsi intero, con tutta la violenza rude della verità”244. 146 240 “La 241 “La 242 “La 243 “La 244 “La Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 luglio 1905, n. 28. d’Acqui” del 12-13 agosto 1905, n. 33. d’Acqui” del 5-6 agosto 1905, n. 32. d’Acqui” del 19-20 agosto 1905, n. 34. d’Acqui” del 26-27 agosto 1905, n. 35. Il fontanino dell’acqua marcia ai primi del Novecento. La fotografia è tratta dal volume di Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004. Chiude la stagione la compagnia marionettistica Salice. Un articolo apparso su “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 luglio ci rivela che nonostante gli interventi di due anni prima, le condizioni dell’edificio non erano delle migliori: “L’intera cittadina conosce ormai come siano tenute le Vecchie Terme dalla sfruttatrice società che ne ha l’appalto. Tutto v’è trascurato, pur di fare un’economia degna dell’ultimo degli spilorci, anche a danno dell’estetica e fors’anco dell’igiene, con grave scandalo dei forestieri che vengono – per forza – a fare la nostra cura termale. (…) Sere sono, dunque, in un entre-acte tre signore della compagnia – delle quali una in stato interessante – si erano ritirate nel camerino di una delle medesime e stavano chiacchierando allegramente attendendo l’alzarsi del sipario, allorché tutto ad un tratto il pavimento – che è di legno e corroso dal tempo – sprofondò e con esso le povere signore. Figurarsi lo spavento di tutti ed in modo speciale del marito di quella povera signora che più delle altre aveva ragione di temere. Fortunatamente le tre attrici vennero estratte e con grande gioia di tutti si constatò che esse se l’erano 147 passata soltanto con un po’ di paura. Fu veramente un bel miracolo”245. Nel 1906 il teatrino si apre con la compagnia del cav. Mugnaini, che alterna opere serie e facete; il pubblico accorre abbastanza numeroso soprattutto per ammirare Enrichetta Camuncoli, che “si dimostra attrice intelligente in ogni ruolo: appassionata Clara nel Padrone delle Ferriere, alla fine ingenuità di Emma nella Figlia di Jefte ed alla veloce facondia e grazia squisita del Casino di Campagna”246, ed il cav. Mugnaini, chiamato alla ribalta nella sua serata con Il trionfo d’amore di Giacosa. Le produzioni sono nel complesso ben eseguite247, soprattutto La mandragola del Machiavelli e La locandiera di Goldoni, e la messa in scena è sempre accurata. La stagione si chiude con la solita compagnia di marionette. Il pubblico frequenta numeroso il teatrino anche nel 1907 grazie alla compagnia di Alberto Brizzi ed Enrico Corazza, “insuperabili qualunque parte sostengano: trascinano l’uditorio per tutta l’azione della commedia senza stancarlo mai, lo fanno passare dal riso intenso alle lacrime insensibilmente”248. Nella serata del Brizzi il teatrino è gremito: “(...) egli non conosce ruolo ed agisce dappertutto sostenendo qualunque commedia coll’arte di risorse tutte sue. Mercoledì lo avemmo brillante in Villa Silvia; monologhista e musico in Casa X; prestidigitatore e trasformista sotto l’abito del parigino 245 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 luglio 1905, n. 31. 246 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 luglio 1906, n. 29. 247 Non entusiasma la novità parigina Florette e Patapon di M. Hennequin e P. Veber, né per la produzione né per l’esecuzione. 248 “La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 luglio 1907, n. 27. GLI ARTISTI ENRICHETTA CAMUNCOLI Sugli abiti della Camuncoli si legge nella “Bollente” del 26 luglio 1906 n. 30: “(...) la E. Camuncoli nel Padrone delle Ferriere e nella Statua di carne fece sfoggio di toilettes degne della Reiter e della Di Lorenzo”; nel numero successivo: “(...) in Fedora la Camuncoli sfoggiò una toilette di chiffon verde mare e pagliette d’argento, ed un’al- tra a pagliette d’oro appena uscita dalla sartoria Olivieri di Venezia, due toilettes che sono una meraviglia come gusto e come accuratezza di esecuzione così da destare nel pubblico una vera ammirazione”; rosso scarlatto era invece l’abito indossato in Pillole d’Ercole di P. Bilhaud e M. Hennequin. R.Br. Antoine Babillard. Entusiasmò l’uditorio che applaudì sinceramente ogni numero”.249 Le lodi non mancano neppure al Corazza ed al Mezzetti: “Nella riproduzione dei vari tipi il Corazza usa sempre un’arte minuziosa e sincera senza trasmodare mai: cosa questa assai difficile se si pensa che l’attore del teatro dialettale è tentato spesso dall’effetto che degenera in volgarità. (…) D’ingegno pronto e versatile il Mezzetti ci presenta macchiette d’ogni età e condizione, sempre inappuntabili e gustose per verità e per quella verve di cui egli sa rivestirle”250. Dopo alcune recite della compagnia Città di Torino nell’estate del 1908, nel 1909 il teatrino si apre ad alcune apprezzate recite della Compagnia Comica Italiana diretta da Umberto Furian. Nel 1910 giunge la compagnia Corsari-Amilene con Zoe e Italia Amilene, applaudite nelle romanze e nei duetti. Questo è l’ultimo anno di vita del teatrino, che verrà demolito nell’aprile del 1911; gli spettacoli di varietà continueranno a svolgersi nel caffè e nel salone Vecchie Terme, quest’ultimo trasformato dall’impresario Ivaldi in teatrino per la stagione estiva del 1915; un altro teatrino improvvisato era situato nella galleria dell’Albergo Nazionale, dove si esibisce nel settembre 1894 la compagnia Merone, essendo chiusi tutti gli altri locali. 249 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 luglio 1907, n. 30. 250 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 agosto 1907, n. 31. 149 IL TEATRO DELLA SOCIETÀ OPERAIA Nel 1896 l’instancabile impresario Ivaldi ottiene dal Genio Civile l’autorizzazione ad inserire un palcoscenico nella sala della Società Operaia (palazzo Jona) per adattarla a teatro; nonostante gli interventi successivi, rimarrà un locale troppo angusto e con un palco meschino. Inaugura il locale la compagnia De Farro con Niobe, offrendo un vario repertorio composto dai drammi del teatro tedesco e francese e da commedie brillanti e di costume251. Il 1° dicembre, dopo nuovi piccoli interventi alla sala, inizia un corso di rappresentazioni la compagnia Bonelli: nonostante l’affiatamento degli attori, il pubblico è scarso, trattenuto dal maltempo, e giunge numeroso solo per la messa in scena di La valanga dell’avv. Angelo Monti. 251 Tra i drammi ricordiamo, oltre a Casa Paterna di Sudermann e Anime solitarie di Hauptmann, Due orfanelle di Cormon e Dennery; tra le commedie Il mondo della noia di Pailleron e La zia di Carlo di Brandon Thomas. Edificio SOMS, Archivio Storico della Società Operaia, Acqui. 150 Il 1897 si apre con la compagnia filodrammatica Giovanni ValentiniRighelli, composta da attori giovani tra cui l’alessandrino Guido Vincenzo Pugno. Gli spettatori, poco numerosi inizialmente, aumentano grazie alla maggior cura degli artisti nella messa in scena252 e alla presentazione di “belle produzioni”253, come Gli spazzacamini di Val d’Aosta di G. Sabbatini, Le nostre alleate di L. Moreau, Il padrone delle ferriere di Ohnet, La zia di Carlo di B. Thomas, Catterina II di Cuciniello Della Torre. L’anno successivo, dopo la compagnia eccentrica dei fratelli Cassnel e le marionette di Sebastiani, viene scritturata la compagnia del cav. Piemontese: il repertorio contiene “produzioni non nuove, ma gustate per il loro valore artistico, per il contenuto e per la lodevole esecuzione”254; piacciono la Venturini, “artista intelligente e corretta”255, brava specialmente in Donna romantica e La civetta di G. Antona Traversi, e felice dilettante di canto in Dora di Sardou e Santarellina, e il cav. Piemontese, “intelligente, spigliato, elegante”256, ammirato specie ne La bisbetica domata. A metà maggio il pubblico assiste alla straordinaria rappresentazione della compagnia diretta da Ernesto Olivieri: le opere piacciono, in particolare Partita a scacchi di Giacosa, replicata, a cui prende parte il filodrammatico acquese Luigi Bovano. 252 Tra le prime opere rappresentate vi è Niobe, sulla cui messa in scena scrive il cronista de “La Bollente”: “Con Niobe si ebbe la miglior serata della stagione. Con studio, perduta un po’ la tendenza alla declamazione, diventerà certo eccellente” (“La Bollente” del 18-19 febbraio 1897). 253 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 marzo 1897, n. 13 e del 10-11 aprile 1897, n. 15. 254 “La Gazzetta d’Acqui” del 16-17 aprile 1898, n. 16. 255 Ibidem. 256 Ibidem. GLI ARTISTI ISOLINA PIAMONTI Faceva parte della compagnia De Farro Isolina Piamonti: nata a Firenze nel 1841, aveva esordito come amorosa nella compagnia di Luigi Domeniconi, passando poi con Gaspare Pieri, prima attrice giovane con Cesare Dondini, con Tommaso Salvini, Achille Maieroni, per tornare con Achille Dondini come prima attrice assoluta; percorse i principali teatri italiani ed esteri al fianco dei più famosi artisti e sposò Alfredo Piamonti, attore generico e amministratore. R.Br. Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. II, p. 274 IL TEATRO E LA CITTÀ LUIGI BOVANO: PASTE DOLCI E VERSI ...SALACI Luigi Bovano è un pasticcere con il gusto della poesia. Titolare di una panetteria sita nel centro storico, in via Bollente, “casa del signor Dotto”, fu abituale inserzionista della “Gazzetta d’Acqui” di fine Ottocento. Si ritagliò notorietà non solo con “torroncini e panettoni, focacce alla casalinga e no, paste e pastine speciali per bambini vecchi e ammalati”, ma con un verso decisamente ruvido. Luigi Vigorelli lo dice “soggetto e oggetto di motti feroci e denigratori” ma talora “sentimentale, a volte anche puerile”, segnalandone tanto la vena “bellica”, quanto quella goliardica. Anche se talora si firmava “il buon Bovano” e cantava il “dolce suo pan”, non gli riuscì mai di castigare la propensione ad andare sopra le righe. Quando nel 1882 la morte di Garibaldi addolorò la città (“La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 giugno) se ne venne fuori con un testo discutibile che si chiude con un’epigrafe “Foss’anche oro colato, è roba mia / tanto basta; dev’esser porcheria”, che dimostra la coscienza di essere incompreso da gran parte della società dei letterati (che sono poi gli avvocati, giornalisti,scrittori, attori per diletto - i Ferraris, i Core, i Bistolfi, i Chiaborelli, i Cortina - che allestiscon la gazzetta). Non stupisce così che il poeta–pasticcere non trovi posto sul supplemento Numero Doppio Mensile Letterario DML che nel 1888 accompagna la “Gazzetta d’Acqui”. Il direttore Carlo Alberto Cortina è categorico: “Il vostro concetto bernesco non è fatto pel nostro giornale!” (3/4 marzo)”. Come non dargli torto visto che nella rubrica della posta (31marzo/1 aprile) compaiono due incipit -“Dal c.. d’ina galeina…” e “Quei bei pantoffolin che m’hai spedito…” - dalla matrice sicuramente troppo “prosaica”. A Bovano resta allora... il Carnevale. Carnevale 1893 al Dagna. “Teatro completamente trasformato in una elegantissima sala... i palchi - tranne due chiusi per recente lutto - gremiti di signore e signorine in ammiratissima tolette...nè si deve dimenticare l’impresa della luce elettrica [che giunge ad Acqui nel settembre 1893: i primi a beneficiarne gli edifici della Contrada Nuova] che seppe far miracoli illuminando a giorno il teatro”. C’è la mascherata ( si distinguono i giovani della scuola di scherma e ginnastica Martinelli) ma anche il “gran poeta Bovano. Questi, inspirato dalle Muse, fende la folla imperterrito, seguito ognora dalla sua dolcissima metà, la fedele e castissima Sinforosa, e ambedue, al colto e all’inclita, vendono a tenuissimo prezzo, a scopo di beneficenza, il prodotto del loro poetico ingegno, non risparmiando frizzi, epigrammi ad alcuno, la Camera compresa”. “L’intermittente”, numero del 18 febbraio 1898. BCAT, Sezione locale, emeroteca. Nel marzo 1899 il teatrino apre i battenti con la compagnia Tofarelli e Musso: il pubblico inizialmente scarso per la mancanza di reclame, comincia a giungere più numeroso con Sara Felton dell’Interdonato. A partire dal 1900 i periodici non annotano, per il teatrino della Società Operaia, intrattenimenti che non siano feste da ballo; solo nel 1905 registrano gli spettacoli della compagnia di marionette Salice e nel 1910 qualche recita delle Giovani Operaie. I CAFÉ-CHANTANT Direttore del giornale “L’intermittente” (di nome e di fatto...), collaborò anche con il Tarditi (che gli musicò Due canti della Leva 1875 e – sembra – altre composizioni), dando poi alle stampe nel 1912 e poi nel 1915 due raccolte di “canti marziali popolari in lingua e dialetto acquese, con altri pochi versi di argomento vario” – che hanno titolo Guerra Italo Turca e Guerra Italo Austriaca. G.Sa. Cfr. anche Garibaldi fu scolpito... una dedizione patria (2) pubblicato su “L’Ancora” numero 27 del 2002; Un ballo al teatro Dagna in “Corale Città di Acqui Terme”, n. 1, 1994; L. VIGORELLI, La poesia dialettale. Voi mi parlate... e Fine [due sonetti di Luigi Bovano] in “Corale Città di Acqui Terme”, IX, n. 2 1994. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento fioriscono nelle maggiori città italiane numerosi café-chantant: accanto a questi locali, dove risplendono artisti ed attrazioni nazionali ed internazionali, centinaia di altri se ne contano nelle città di provincia: “Non c’è capoluogo, o grosso centro o piccolo, che non abbia il suo Apollo, il suo Eden, il suo Kursaal, il suo Orfeo: si può dire anzi che i locali di provincia sono i preferiti dalla stragrande maggioranza degli artisti di café-chantant, delle artiste, soprattutto, per le possibilità di conoscenze e relazioni che offrono tanti ricchi centri provinciali della Penisola”257. 257 S. DE MATTEIS, M. LOMBARDI, M. SOMARÉ (a cura di), Follie del Varietà. Vicende, memorie, personaggi. 18901970, Milano 1980, p. 13. 153 L’origine del café-chantant è francese: qui, sulle pedane costruite all’aperto accanto ai tavolini dei caffè più lussuosi delle città, si esibivano comici, duettisti e cantanti scritturati dai proprietari dei locali. Quando questa moda raggiunse l’Italia, si costruirono locali appositi per questo tipo di spettacoli, per dare rappresentazioni in ogni periodo dell’anno. Il primo locale di questo tipo in Italia fu il Salone Margherita di Napoli inaugurato il 15 novembre 1890 sotto la Galleria Toledo258; “Il modesto genere di spettacolo, cominciò a lievitare allorquando sulle pedane dei caffè, al chiuso, o all’aperto, a “romanziere” inguainate in lunghissimi abiti a strascico (nivei, a preferenza, e orlati di merletti), a tenori e baritoni (il basso era escluso), in perenne attesa di contratti per i grandi teatri d’opera, si sostituirono prosperose figliole del popolo del tutto sprovviste di beni vocali ma ricche di sorrisi affascinanti, di turgidi seni e di abbondanti natiche”259. Il programma dei caffè-concerto era piuttosto monotono: s’iniziava con alcune suonatine dell’orchestra, stratagemma dell’impresario per risparmiare qualche soldo; seguivano le canzonettiste, ed il numero dei lottatori o dei ginnasti: trapezisti, sbarristi, eccentrici cascatori, ciclisti, contorsionisti, antipodisti, con esercizi che provenivano dal circo equestre; poi la “cantante di voce”, detta anche romanziera perché cantava romanze; dopo un giocoliere, un prestigiatore ed una ballerina, veniva il comico, a volte sostituito dal “fine dicitore” che raccontava in versi e a tempo di musica alcuni casi compassionevoli; infine arrivava la diva, “una bella creatura non più giovanissima, che non si peritava a mostrar le gambe, che rimbeccava con sfrontatezza tutti gli spettatori in vena di far gli spiritosi, che lanciava gli ultimi successi della canzone e pretendeva ostinatamente che il pubblico ripetesse in coro il ritornello”260. Queste erano le attrazioni alle quali il pubblico poteva assistere nei caffè-concerto, mercè un aumento sulla consumazione. Numerosi sono i caffè-concerto che nascono in Acqui alla fine dell’Ottocento: nel 1894 si apre l’Aida, accanto alle Nuove Terme, e un caffè-concerto nel giardino dell’Albergo d’Italia, nella zona Bagni; nel 1895 Pietro Ferraro apre il caffè Vittorio Emanuele, nel Palazzo Toso, al quale si aggiunge successivamente una sala a uso café-chantant con all’estremità un piccolo palcoscenico; infine nel 1899 anche il teatrino Vecchie Terme viene ridotto a caffè-concerto. Oltre allo spettacolo di varietà questi locali ospitavano occasionalmente spettacoli di prosa. 154 258 F. CAPPA, P. GELLI (a cura di), Dizionario dello spettacolo del ’900, Milano 1998, voce “varietà”, p. 1118. 259 S. DE MATTEIS, M. LOMBARDI, M. SOMARÉ (a cura di), op. cit., p. 20-21. 260 Ibidem, pp. 53-57. APPENDICE DOCUMENTARIA Bosinata nella quale l’autore disapprova la proposta, avanzata da Luigi Dagna, di occupare una parte della Contrada Nuova per permettere il rettilineamento della facciata del Teatro Dagna col fronte degli altri edifici della via. SUPPLICA ALL’AUTORITÀ SUPERIOR OSSIA DIFFESA DI PAPOT. ODE “E l’han spedì sul camp na comission, La qual second la norma ch’a j’han dji Doveis portesse subit da Platon, Pregandlo ch’a l’aveis un pò agiutaje”. Calvo Nost Sgnor eccelentissim, E Padron nost colendissim, Ecco sì ch’a Voi davanti As presenta d’ supplicanti, Implorand vostra giustizia Per reprime la nequizia. Noi i souma dle Famje Dla Sità Decurionai: Le nost arme a van unje Con le teste d’ pito e d’ gai Souma gent, ch’ant ’l cupiss I’ouma d’ roba ch’a stupiss: Souma ver teste da pruca, Iv’ contoma nen na cuca Rispettos, subordinà A la vostra autorità, Souma anfen nen tabalore, Com l’è public e notore. E perciò j’avouma drit Ch’an rispèto e grandi e pcit, Che trovandne andand a spas An saluto con j’euj bas: Ch’an ubdisso prontament Esternand nost sentiment; E che tutt peù ’n sostanza L’abbio nen con noi d’ baldanza, Ma ch’an dago pr da bon Semper preuve d’ sommession. Pur, cos veule? Certi taj L’han sercà d’ butene ’n piassa, Disend ch’l’ero d’ vecia rassa, Ostrogoti, antisociaj. Guardè ’n pò che impertinenze, Che bestemie, che insolenze? E per tan ch’ sje informà Bin affait d’ tutt lon ch’è stà, Permettrè liberament D’ contè ’l fatt minutament. L’è quaich meis ch’as è trattasse D’ fè si in Acqui ’n nov palasse, Ch’a contnejsa ’n nov Teater Pi spazios pì pulidin, Perché ’l vej d’ Bacajasin L’era bon mac pì pr’i sguater. Pense ’npò s’ lolì a l’era Nen un piat d’ bona cera Da offrisse a noi Magnati, Ai Frostè, ai Impiegati? Perciò vnend d’ dè nost giudise, Nost parer su st’edifise, I’ ouma sempre combinà, Salvo ant la località, E spiegand nost intenzion Souma stait brav Decurion. 155 Bin content ch’ass abelieisa La Sità pr’ogni rapport: Bin content quand ass tratteisa D’ migliorè la nostra sort: Ma però senza ocupè I sit public, e le strà, Ma però senza serchè D’ porte dan a la Sità. Così a pensa ’n ver Patrise, E tutt om ch’a l’ha giudise, Così a penso, così a smia A j’amant d’ Filantropia, così a veul precisament Nost decor, nost giurament. 156 Ma frattant ch’ noi rasonavo D’aitri ai n’era ch’a poussavo Per fè contra, e fè d’ barbis Tant a noi, com al pajs. Lì s’ trattava d’ pie ’n toch d’ piassa, D’ porten via na bona fassa, Restringend la strà dla Roca: I la veule pì baroca? Li s’ trattava d’ portè via Tutt la vista dla fontana: Peurlo dèsse la parja, I la veule pì bagiana? Li s’ trattava d’esse priv D’ na part d’aria d’ meza neuit, E perdend el color viv Acquistè coul di pom cheuit. Li s’ trattava d’ danegiè I mercà di fen, dle cane, E ’l comerse ch’ n’han portane Brav paisan, bravi frostè. Con coul porte li s’ trattava D’ rende ’n sit insidios, Sbergnachè, e rompe j’ òs A qualunque ch’a passava, E mandelo al Creator A rusiè là di pom d’or. Li s’ trattava d’ novità Sull’entrada dla Sità, Che da temp immemorial Sempr a l’era stait ugual. Li s’ trattava d’ fè da tone Fasand mac da testimone; Li s’ trattava d’ lasse fè Sul pretest d’ rettilinee; Li s’ trattava…ma cos mai Rimontè su tanti guai? Se tutt sôn per nost malheur, Ah, disendlo ’n manca ’l cheur!, L’è present, pa pì futur, Iv lo diouma per sicur? Son unisse, son parlasse, El partì s’è rinforsasse, L’han trattane da mincion, L’han batsane per d’ cojon, E malgrè tutt nost fracàs Souma stait con tanto d’ nàs. D’ nost proteste son burlasse, L’han batsàje per grimasse, L’han butane ant un sestin, Com si fusso d’ buratin. L’han sercà d’ mandane a scola, N’han mostrà la musarola, E j’è fina chi l’ha osà D’ sovvertì i nost drit d’ Sità. Dop lolì d’impertinenze A l’han dine an desinenze A l’han fait d’ businade, A l’han dine mill balade, Com si fusso dla plebaja, Ciavatin, o fieui d’ gheusaja, Quand nost sang l’è sempre stait Pì pulid, pì bianc del lait. I lassouma adès ch’immagine Con tutta sta faragine, Se ’l servel a dev nen esse Tutt aceis per lamentesse, Per ciamè da Voi giustizia Ond reprime la nequizia. L’è bin vera che nost Sgnor L’ha cmandane d’ perdonè, Ma noi souma pa Dottor Per podei interpretè Un precèt ch’ha nen lassà El nost càs bin precisà. Perciò adès Eccelentissim, E Padron nost colendissim Prima d’ tutt noi i ciamouma Formalment testimoniai D’le proteste ch’ rinnovouma D’ nen piè part a tanti guai, Ond a sappio nost talent I passà, futur, present. Peui ciamouma d’ provvidense Com ricedo le emergense Com sarà vost bon avìs Contra tuti i nost nemìs. Si ’l giudise l’è sommare, A riced pa gnun scartare, Perciò pronte inibizion, Publichè d’ confiscazion, Fè ’n sostanza d’ rimediè A tutt lôn che Voi credrè, Che na vostra provvidenza A varrà pì ch’ na sentenza. Coust l’è ’l vot ch’iv’inalzouma, L’è la grazia ch’i ciamouma Da zelanti Patriot, Da bravissimi Papòt. TRADUZIONE SUPPLICA ALL’AUTORITÀ SUPERIORE OSSIA DIFESA DEI PAPÒT* ODE “Hanno spedito sul campo una commissione, / la quale secondo la norma che le hanno detto / dovrebbe portarsi subito da Platone / pregandolo di aiutarla un po’ ”. Calvo Nostro Signore eccellentissimo, / e nostro Padrone colendissimo, / ecco che davanti a Voi / si presentano dei supplicanti, / implorando la vostra giustizia / per reprimere la nequizia. Noi siamo alcune delle famiglie / decurionali della città (d’Acqui): / le nostre armi vanno associate / alle teste dei tacchini e dei galli. / Siamo gente che sull’occipite / abbiamo della roba che stupisce: / siamo vere teste da parrucca, / non vi raccontiamo una frottola, / rispettosi, subordinati / alla vostra autorità, /non siamo quindi dei * sempliciotti, / com’è risaputo. E perciò abbiamo diritto / che ci rispettino grandi e piccini, / che incontrandoli quando si passeggia / ci salutino con gli occhi bassi; / che ci ubbidiscano prontamente / come esterniamo il nostro sentimento; / e che tutti poi in sostanza / non si comportino con noi con tracotanza, / ma che ci diano sul serio / sempre prove di sottomissione. / Pure, cosa volete? Certi furbastri / hanno cercato di buttarci in piazza, / dicendo che eravamo dei reazionari, / barbari, antisociali. / Guarda un po’ che impertinenze, / che bestemmie, che insolenze? / E per tanto è necessario / che Voi siate informati completamente / di tutto quello che è successo, / e ci permettiate liberamente / di raccontare il fatto nei dettagli. Papòt: “nel giuoco delle minchiate [carte da gioco fiorentine in uso dal sec. XV. Anche il gioco stesso]. Uno fra i tarocchi, segnato col numero cinque, che rappresenta il Papa” (V. di Sant’Albino, Gran Dizionario Piemontese-Italiano, Torino 1962, ristampa anastatica). Qui con il probabile significato di “notabili”, naturalmente solleciti del pubblico bene. 157 158 È qualche mese che si parla / di fare in Acqui un nuovo palazzo, / che contenga un nuovo Teatro / più spazioso e più pulito, / perché il vecchio di Bacajasin / ormai era buono solo per gli sguatteri. / Pensate un po’ che quello / non era certo uno spazio / adatto a noi Magnati, / ai Forestieri, ai Funzionari dello Stato. / Perciò arrivando ad esprimere il nostro giudizio, / il nostro parere su questo edificio, / ci siamo sempre trovati d’accordo, / salvo per la scelta del sito; / e motivando le nostre intenzioni / siamo stati bravi Decurioni. Ben contenti che si abbellisca / la Città sotto ogni aspetto: / ben contenti quando si trattasse / di migliorare la nostra sorte: / ma però senza occupare / i siti pubblici, e le strade, / ma però senza cercare / di recar danno alla Città. / Così pensa un vero Patrizio, / e tutte le persone assennate, / così pensano, così sembra / agli amanti della buona amministrazione, / così esige precisamente / il nostro decoro, la nostra etica. Ma mentre si discuteva / ce n’erano altri che spingevano / per fare dispetto / tanto a noi come alla città. / Lì si trattava di prendere un pezzo di piazza, / di portarne via una buona fascia, / restringendo la strada della Rocca: / la volete più bizzarra? / Lì si trattava di portare via / tutta la vista della fontana: / si può ribadire il concetto: / la volete più sciocca? / Lì si trattava di essere privi / di una parte d’aria di mezzanotte, / perdendo il colore vivo / per acquistare quello della mela cotta. / Lì si trattava di danneggiare / i mercati del fieno, delle canne, / e il commercio che ci hanno portato / buoni cittadini, buoni forestieri. / Con quel portico si arrivava / a rendere quel posto insidioso, / ad ammaccare e rompere le ossa / a chiunque passasse, / e mandarlo al Creatore / a rosicchiare lì delle mele d’oro. / Lì si trattava di introdurre una novità / all’entrata della Città, / che da tempo immemorabile / era sempre stata uguale. / Lì si trattava di fare da babbei / facendo solo da testimoni; / lì si trattava di lasciar correre / con il pretesto di rettilineare; / lì si trattava…ma perché mai / rinvangare tanti guai? / Se tutti sono per la nostra sfortuna, / ah, dicendolo mi manca il cuore!, / ormai è fatta, / ve lo diamo per certo? Si sono congregati, hanno discusso, / il partito si è rinforzato, / ci hanno trattato da minchioni, / ci hanno definiti coglioni, / e malgrado tutto il nostro gran rumore / siamo rimasti con un palmo di naso. / Delle nostre proteste si sono burlati, / le hanno definite uppie, / le hanno buttate in un cestino, / come se fossero burattini. / Hanno cercato di mandarci a scuola, / ci hanno mostrato la museruola, / e c’è stato perfino chi ha osato / di sovvertire i nostri diritti sulla Città. / Dopo queste impertinenze / ce le hanno dette in rima, / ci hanno fatto mille prese in giro, / come se fossimo della plebaglia, / ciabattini, o figli di pezzenti, / quando il nostro sangue è sempre stato / più puro, più bianco del latte. Vi lasciamo adesso immaginare / con tutta questa confusione, / se il cervello non deve essere / tutto in fiamme per lamentarsi, / per richiedervi un atto di giustizia / per reprimere la nequizia. / È ben vero che nostro Signore / ha comandato di perdonare, / ma noi non siamo dei sapienti / per poter interpretare / un precetto che non ha lasciato / il nostro caso ben codificato. / Perciò adesso Eccellentissimo, / e nostro Padrone colendissimo / prima di tutto noi chiediamo / formalmente testimoniali / delle proteste che rinnoviamo / di non prendere parte a tante iatture, / onde le nostre volontà siano note / a passati, futuri, presenti. Poi chiediamo di provvedere / come richiedono le emergenze, / secondo il vostro giusto parere, / contro tutti i nostri nemici. Se il giudizio è sommario, / non richiede alcun codice, / perciò preparate divieti, / procedete a confische, / fate in sostanza di rimediare / a tutto quello che Voi crederete, / perché una vostra provvidenza / varrà più di una sentenza. Questo è l’auspicio che vi innalziamo, / è la grazia che chiediamo / da zelanti Patrioti, / da bravissimi Papòt. Bosinata nella quale l’autore condanna le polemiche sollevate in merito all’erezione dei portici della facciata del Teatro Dagna. LA FACIADA D’OU TEATER D’AICQ CANT LIBER Me s’a tas om ven la plìa Framment antic. Finalment son terminà Tante lande, e tant’arlje, Tant question, tante fandonie Finalment j son finje. An so nenta s’ouss tenrejva Ant i limit ch’ m’a fass me, L’era an pess ch’a st’ora ou j’ejva Staffilà da cap a pè. L’è mai temp ch’a vougha a ausesse La faciada d’ou Teater… Cosa j’ele?…Porlo desse Ch’ou la stourba caichdin d’ater? Am protest, ch’an savrò mai Ou nom d’ couj ch’ son tant contrare, Ma a so ben che pr’icc travaj Ou j’è sta sinquanta gare. Ele nent ancor bastanza Tant scandol pr’el pajs ? Finna quand j’avran baldanza J’opponent, ed i nemis? Ant el borg i mi contavo E Boscoso, e ou sour Francion, E frattant chi passigiavo Iss scaudavo per da bon. “Me s’a tas om ven la plia”, Av l’ho dicc an bon monfrin, E s’ou peis fè na sortja Da ’n doua ch l’è cert quaichadin, Arrivà po ant la pisterna A la sejra andand a cà, Taffa l’è compa Tamberna Om fermava per la stra. 159 E poi senza tanç preambol, Senza tante osservazion Ou finiva d’ dì ch’ son d’ scandol An Sità caich Decurion. Permettim liberament, Con in anim titt pachà, Illustrissimi opponent, D’ contè ’l vost bestialità. A me om smjava d’impossibo Ch’ouss podeissa questionè Pr in pcitt sit d’ poche taule Pr an po d’ post da fabbrichè. Dop che’l corp d’ sittadinanza, Congrega giudicialment, Coi soi vot per maggioranza L’ha decis concordement ; Fin ch’ouss fissa ancor trattasse Dop che ou sour ViceIntendent D’ fe ’n toch d’ ghèt, o quaich sit lubric, Trop dlicà, e prudentissim, I’ero giuste tant grimasse L’ha manda, pr’alvess da drent Per difende i dritt del public. I papè all’Eccelentissim; 160 Fin ch’ouss fissa questionasse Pr’ou disegn, ou per l’autêssa, Pr’el colone pe aute, o basse, O pr el porte con pe ampiêssa, E dop ch’Ist sapientement, Senti j’un, e j’atr eccetera, L’ha fa lò poi finalment Al proget in forma vetera; A j’avreiva dicc: bravissimi, Or comprendo che i papot D’la Staziella, illustrissimi, I son veri patriot. A me om smja ch’ou sarejva Sta da firb, e prudenzial Tranquillesse in forma debita, E scansess quaich servizial. Ma trattandse d’la faciada Coi so porte d’in Teater, D’ina blêssa d’la contrada… Oh vergogna!…me an digh ater. Ma sor nò: ant la manera Che na bestia inferocja, Anche fandje bona cera, Maggiorment l’ass anrabja; Stabilì na nova fabbrica I val nenta la so scala? Ele nent an us la pratica Che i Teatro j’abbio l’ala? Così lor per fas et nefas I serchrejvo d’impedì Ina cosa arcibellissima, In travaj ch’l’è tost finì. Coul toch d’ porte el nenta veira Ch’ l’arparrà tanç da la piova?… Ià ou rend vous poi pr la seira, Pr’aspettè la linna nova, A so ben che tra i Potent Ou j’è semper caich arlja, Ma perbacco an souma mia Pe ’n t’ou secol d’ou sinqsent ? Ele nenta in comodin Pr icc fanciott, e pr iss matette? Pr aspettè Peder, Gioannin, Pr tant ater pcitt cosette ? L’ostrogoti l’è mai temp Chi bitejso an po pe d’ sal E nent fe d’ persiste semp Ant couj us antisocial. Ma lassanda poi da banda Titt ist bell’ commodità, E via semper seguitanda Ou discors ch’a j ho chmensà; Ticc i trop in son nent san, Tene ben soquè a memoria, Ne quid nimis, l’è ’n Pagan Ch’ou l’ha scricc ant la so storia. E me adess per nent fe voughe Ch’a smentja sta sentenza, E pr alvem dant el pericol Coum scappeis n’impertinenza, Ecco a bèt ant in canton E la piuma, e ’l caramà, Ma se mai…sarò bon A piel torna alaviarà. TRADUZIONE LA FACCIATA DEL TEATRO D’ACQUI CANTO LIBERO Io se taccio mi viene la plica*. Frammento antico. Finalmente sono terminati / tanti pretesti, e tanti capricci, / tante questioni, tante fandonie / finalmente sono finite. È ormai tempo che si veda alzarsi / la facciata del Teatro… / Cosa c’è?… Può darsi / che dia fastidio a qualcun altro? Non sono ancora sufficienti / tanti scandali per la città? / Fino a quando avranno ardimento / gli oppositori, ed i nemici? Io se taccio mi viene la plica? / Ve l’ho detto in buon dialetto monferrino, / e se qualcuno potesse fare una sortita / da dove se ne sta rintanato, / non so se si terrebbe nei limiti / come faccio io: / è da un pezzo che mi avrebbe / staffilato da capo a piedi. * Io protesto, che non saprò mai / il nome di coloro che sono tanto contrari, / ma so bene che per questo lavoro / si sono fatte cinquanta gare. Così nel bel Borgo mi raccontavano / Boscoso e il signor Francion, / e mentre passeggiavano / si scaldavano sul serio. Arrivati poi alla Pisterna / la sera andando a casa, / eccoti che compare Tamberna / mi fermava per la strada. Poi senza tanti preamboli, / senza tante osservazioni, / finiva di dire che sono di scandalo / nella città alcuni Decurioni. A me pareva impossibile / che si potesse questionare / per un piccolo sito di poche tavole, / per una piccola area da fabbricare. Finché si fosse trattato di fare / un pezzo di ghetto, o qualche sito La “plia” o “plica” è un genere di malattia attestato nella Vita del Beato Ladislao e altrove: prese ad essere osservata alla fine del XVI secolo. In vernacolo tedesco si diceva “gozdziac”: è una malattia che dai capelli si propaga alle vene, ai nervi, ai muscoli, alla carne e alle ossa, provocando dolorosi tormenti in tutte le membra, vomito e convulsioni. Cfr. DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Graz 1954, VI, p. 372, ad vocem. “Aspetto arruffato e opaco dei capelli dovuto a scarsa pulizia, a presenza di parassiti e ad alterazioni cutanee di varia natura, già creduto manifestazione di una malattia (per lo più nell’espressione di Plica polonica, per essere stato osservato soprattutto in Polonia”: Grande Dizionario della Letteratura italiana, XIII, Torino 1986, p.670. 161 indecente, / erano giuste tante storie / per difendere i diritti dei cittadini. Finché si fosse questionato / per il disegno, o per l’altezza, / per le colonne più alte, o basse, / o per i portici di maggior ampiezza. / avrei detto: bravissimi, / ora comprendo che i “papòt” / della città [d’Acqui], illustrissimi, / sono veri patrioti. Ma trattandosi della facciata, / con i suoi portici, di un Teatro, / della bellezza della contrada…/ Oh vergogna!…io non dico altro. Stabilito un nuovo edificio, / non ci vuole la sua scala? / E non è in uso la pratica / che i teatri abbiano l’ala? Non è vero che quel pezzo di portici / riparerà dalla pioggia?… / Ve lo raccomando per la sera, / per aspettare la luna nuova, / e non è proprio comodo / per questi ragazzi e per quelle fanciulle? / per aspettare Pietro, Giovannino / e per tante altre piccole cosette? Ma lasciando da parte / tutte queste comodità, / e continuando / il discorso che ho cominciato; / permettetemi liberamente, / con animo pacato, / illustrissimi oppositori, / di raccontare le vostre bestialità. Dopo che il corpo della cittadinanza, / congregato secondo la legge, / con i suoi voti di maggioranza / ha concordemente deciso; / dopo che il signor Vice-Inten- 162 dente, / troppo delicato, e prudentissimo, / ha mandato, per levarsi il fastidio, / i fogli all’Intendente; / e dopo che questi sapientemente, / sentiti gli uni e gli altri eccetera, / ha fatto finalmente / il progetto definitivo; / a me sembra che sarebbe / stato meglio, e prudente / calmarsi come si deve / e risparmiarsi qualche serviziale. Ma lorsignori no: nello stesso modo / che una bestia inferocita, / anche facendole buona cera, / si arrabbia sempre di più; / così loro a ragione o a torto / cercavano d’impedire / un cosa arcibellissima, / un lavoro che è appena finito. So che tra i potenti / c’è sempre qualche capriccio, / ma perbacco non siamo mica più / nel Cinquecento? È ormai tempo che i barbari / mettano un po’ di sale in zucca, / e non continuino / con i loro comportamenti antisociali. Tutti gli eccessi non sono sani, / tenetelo bene a mente, / ne quid nimis [senza esagerare], é un pagano / che lo ha scritto nella storia. E adesso per non far vedere / che dimentico questa sentenza, / e per togliermi dal pericolo / che mi scappi una impertinenza, / ecco metto da parte / la piuma e il calamaio, / ma se mai…sarò pronto / a riprenderli presto. ACQUI TEATRALE BELLE ÉPOQUE DALLA ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE IL POLITEAMA GARIBALDI LA GENESI Lettera, datata 22 febbraio 1860, di Giovanni Borreani, presidente della SOMS al Sindaco di Acqui per la sottoscrizione in favore di Giuseppe Garibaldi. ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24. Il documento costituisce un’ulteriore prova dello stretto legame tra il Generale dei Mille e la città. Opportuno ricordare che Garibaldi aveva soggiornato ad Acqui nel 1854, presso l’Albergo del Pozzo, in piazza Vittorio, come riportato da una targa, del 1885, opera dello scultore genovese Canessa, oggi rimossa e conservata presso i magazzini del Museo Archeologico. Nell’ultimo ventennio del secolo la città di Acqui realizza una serie di opere di grande rilevanza al fine di meglio accontentare le esigenze dei turisti, molti dei quali giungono per le cure termali, e di rendere più decorosa e vivace l’esistenza dei cittadini: la costruzione delle linee ferroviarie per Asti e Genova, che vanno ad aggiungersi a quelle per Alessandria e Savona, l’edificazione della nuova sede del Presidio Militare, del Palazzo delle Scuole Elementari, la realizzazione di migliorie dell’arredo urbano. Palazzo Papis, dinnanzi al Teatro Garibaldi. LA STORIA ACQUI TERME DAL 1880 AL 1941 L’inaugurazione (l’11 maggio 1879) del tempietto della Bollente commissionato da Saracco all’architetto torinese G. Cerutti si può idealmente assumere a emblema Belle Époque acquese, di un periodo cioè che vide, fra l’altro, sorgere la biblioteca circolante, una Scuola di arti e mestieri (sovvenzionata dalla munificenza di Jona Ottoleghi, quasi a sottolineare l’avvenuta integrazione della comunità israelitica, per secoli vessata ed emarginata, nel contesto cittadino), nonché i progetti relativi alla caserma militare, alla piazza d’armi, al poligono di tiro… Tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta si consumò l’epopea dell’esploratore Giacomo Bove, di cui gli Acquesi seguirono con orgoglio e con trepidazione le imprese sui giornali di casa. Al 1890 risale l’edicola in stile neoclassico del Fontanino, in zona Bagni, mentre al secolo successivo si devono i primi insediamenti industriali di un certo respiro: la MIVA (industria vetraria), la Società Anonima Fulgor (per la produzione e la distribuzione di energia elettrica) e Lama Italia, la futura Kaimano (fabbrica di coltelli e rasoi). A cavallo dei due secoli si ebbe un’epidemia di vaiolo che lasciò incresciosi strascichi. Nel 1910, con la costituzione della Società Cittadina per l’esercizio delle Terme, comincerà il periodo d’oro del turismo termale acquese, destinato a rinnovarsi negli anni trenta, quando alla creazione di un apposito Centro Studi terrà dietro l’istituzione di una pregiata clinica fangoterapica e il Kursaal Teatro acquisterà rinomanza internazionale, grazie anche all’i- naugurazione della più grande piscina termale d’Europa. Nel mezzo, la parentesi cruenta della prima guerra mondiale: nel 1915 Cesare Battisti tiene in città un fervido discorso interventista. Del 1928 è l’acquedotto municipale; del 1930 l’asilo infantile intitolato ai fratelli Moiso; del 1934 la casa di riposo intestata ad Arturo Ottolenghi, alla quale contribuirono l’architetto Marcello Piacentini, lo scultore Arturo Martini ed altri insigni artisti. Al Piacentini si devono inoltre la splendida villa e il mausoleo Ottolenghi, in località Monterosso, pur essi illustrati da pregevoli opere d’arte. Tra liberty e stile littorio si va pian piano esaurendo, con altri episodici esemplari architettonici, la spinta propulsiva di una stagione ricca di intraprendenza pubblica e privata. Così, tra mostre varie, raduni automobilistici, feste vendemmiali e memorabili sfilate carnevalesche, nel quieto torpore di una vita provinciale ravvivata da macchiette e da poeti in vernacolo, non più depressa dalla crisi economica, suggestionata o galvanizzata dalle parole d’ordine del regime fascista, anche Acqui si avvia, sul finire degli anni quaranta, al drammatico risveglio della guerra, con la diaspora degli ebrei, i funesti raids aerei, il riaffacciarsi della paura e della fame. E così un’epoca a suo modo fascinosa tramonta per sempre. C.Pr. Cfr. anche E. COLLA, Aquae Statiellae. Acqui Terme nella Storia, Genova 1978; M. BURATTI - A. SANQUILICO, Alla scoperta di Acqui Terme. Guida turistica, Genova 2003. In questo contesto s’inserisce la pressante esigenza, fortemente espressa anche dalla stampa, di dotare la città di un nuovo teatro. In una riunione del 25 luglio 1887 la Società degli Esercenti e Commercianti decide di farsi promotrice dell’erezione di un Politeama per i forestieri, “invitando i corpi morali, le associazioni, e cittadini ad intervenire ad apposita adunanza (...), onde escogitare i mezzi per tradurre in effetto colla maggiore sollecitudine possibile il nobile e patriottico disegno”1. La stampa (cfr. “La Bollente” del 9 agosto 1887, n. 29) segue con attenzione il procedere dell’iniziativa, consapevole dell’importanza di tale impresa: “La utilità in Acqui di un teatro comodo, spazioso, elegante, che risponda alle esigenze ed alle aspirazioni della città è vivamente e da ognuno sentita. Acqui a cui dischiudesi un così brillante avvenire, non deve rimanere inerte di fronte alle nuove vie di prosperità e di ricchezze che stanno per aprirlesi dinnanzi. Stazione balnearia di primo ordine fin ora nulla o ben poco si è fatto per rendere anche agli ospiti numerosi meno sgradevole il soggiorno della nostra città. I due Teatri sono inesorabilmente condannati da un complesso di circostanze l’uno ad essere demolito, l’altro a starsene muto. La nostra città deve avere un Teatro degno di lei che all’eleganza unisca la comodità e l’accessibilità per tutte le borse. L’idea della Società degli Esercenti della quale si era già l’anno passato occupato con amore il solerte amico nostro Zanoletti deve trovare eco simpatica nella cittadinanza”. Con una lettera apparsa sulla “La Gazzetta d’Acqui” del settembre 1887 Flaminio Toso, proprietario del Politeama in demolizione, rassicura i cittadini in cerca di azionisti per la costruzione del nuovo teatro, affermando di aver abbandonato la sua proposta ariguardo, dopo averne esaminato le convenienze e i “grattacapi”: l’anno precedente infatti, il Toso, trattando con la Commissione in relazione al fabbricato che doveva erigere in Piazza delle Nuove Terme, aveva chiesto come compenso la cessione di un terreno per l’edificazione di un nuovo Politeama, “escogitando un piano che forse avrebbe permesso di effettuare il progetto senza grandi sacrifici (…) e senza ricorrere ad azioni, risolvendo così forse il problema che senza dubbio presenta molte maggiori difficoltà palesi ed impreviste di quanto a molti di coloro che non hanno pratica di cose di teatro può sembrare”2. E non aveva torto, 1 “La Bollente” del 26 luglio 1887, n. 27. 2 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 settembre 1887, n. 34. 165 Progetto Zanoletti del 1887. se pensiamo che ci vorranno ancora 14 anni per giungere all’inaugurazione di un nuovo teatro. Il 9 novembre 1887 si riunisce il Consiglio Comunale per discutere la domanda del sig. Zanoletti di costruire un teatro: il 30 settembre del 1886 quest’ultimo, sapendo che nel piano d’ingrandimento della città il Municipio teneva a disposizione alcune aree per fabbricati, aveva espresso, in una lettera al Sindaco, il desiderio di intraprendere la costruzione di un teatro nella strada che da Via Nuova conduceva alla futura piazza del mercato delle bovine, l’attuale piazza Ariston; domandava inoltre la concessione “in prossimità della proprietà del sig. Toso Flaminio, per tutta la lunghezza della medesima, metri venticinque (in larghezza) di terreno per la costruzione di un fabbricato, coll’obbligo (…) di relativi portici ad uso pubblico, solidamente pavimentati”, promettendo di rilevare in pari tempo la casa esistente a prezzo d’estimo quale compenso del terreno ceduto3. Il progetto era così strutturato: - Concessione gratuita di circa 3000 metri di terreno indicato nella planimetria del sig. geom. Ceresa Corrado; - Formazione della strada a servizio di detto terreno; - Concorso di lire 20000 come premio da pagarsi al costruttore del teatro; - Obbligo del Comune di far eseguire nel tempo da stabilirsi i portici che congiungerebbero quelli delle Nuove Terme e quelli del teatro in costruzione4; Il Consiglio nomina una Commissione, composta dai consiglieri Barone Emilio Accusani, avv. Gustavo Bistolfi Carozzi, Giovanni Borreani, ing. Guido Pastorino, Marchese Vittorio Scati, con l’incarico di studiare la questione sotto l’aspetto dell’edilizia, dell’impegno del Comune e del tempo per il compimento dell’opera5. 166 3 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald.24. 4 “La Bollente” del 15 novembre 1887, n. 43. 5 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 novembre 1887, n. 46. IL TEATRO E LA CITTÀ IL MARCHESE VITTORIO SCATI “Passiamo sotto il cavalcavia, e subito ci si presenta un colossale edificio in costruzione, o per dire più esattamente, che alfine si va terminando: il Politeama Garibaldi. Diogene mi sussurra in un orecchio che non vuole rattristarmi la lieta passeggiata colla narrazione dolorosa delle vicende di questo teatro; ma ormai, come a Dio e ai proprietari sigg. Papis piacque, possiamo dire che Acqui e il viale dei Bagni sono arricchiti di un nuovo e magnifico teatro, che onora ad un tempo l’edilizia cittadina”. Anno Domini 1905. La guida ( in forma epistolare) Acqui Terme e dintorni (edita per i tipi di Righetti) di Angelo Marengo non nega una genesi difficile, scandita da varie commissioni comunali impegnate per “pensare” il nuovo Teatro che sarà il Garibaldi. Scorrendo i nomi, si nota un filo rosso costituito dalla presenza del Marchese Vittorio Scati (1887, 1892 e 1897), cultore delle memorie (dalle lapidi all’archivio), primo presidente della Società di Storia, Arte e Archeologia per la Provincia di Alessandria, fondatore della Rivista della Società (1891), e ispettore dei monumenti pel circondario di Acqui, primo collaboratore di quella Bibliografia Storica degli Stati della Monarchia di Savoia, che il Barone Antonio Manno, suo carissimo amico, stava organizzando - tra il 1884 e il 1886 - per Acqui e per tutte le altre località del regno. Nato ad Acqui nel 1844, personaggio di spicco della vita pubblica acquese di fine secolo, per la scarsa ambizione politica (sebbene per trent’anni abbia ricoperto il seggio di Consigliere comunale), e la compresenza di Giuseppe Saracco e Maggiorino Ferraris, lo Scati sembra assumere una posizione più appartata, forse quella stessa che gli consentì di coltivare con assiduità gli amati studi. Rampollo di una nobile famiglia, istruito dalla Regia Accademia Militare di Torino, prese parte alle operazioni della III Guerra di Indipendenza. Condusse studi militari (sulle pagine de “L’Esercito Illustrato” pubblicò un saggio sulla battaglia di S. Martino, quella stessa riscoperta ed incisa su CD dal Corpo Bandistico Acquese) e poi si congedò nel 1871, ritirandosi nei possedimenti del Quartino (da sempre eletta a residenza estiva: qui nella piana di Melazzo furono ospiti anche Carlo Alberto, Silvio Pellico, Cavour e Vittorio Emanuele II). Quì realizzò un’azienda agricola modello citata ad esempio anche da “La Nuova Antologia”. Ad Acqui nel 1876 propose la costruzione dello Stabilimento delle Nuove Terme per opera di una società da lui presieduta; nel 1880 pubblicò su “Il Corriere di Torino” le sue osservazioni sulle Esposizioni di Belle Arti, nel 1892, tramite un opuscolo anonimo, propose di intitolare la nuova caserma a Vittorio Amedeo II: come si poteva non coinvolgerlo nella questione più tormentosa per gli acquesi? G.Sa. Cfr. anche Figure acquesi da riscoprire. Il Marchese Vittorio Scati, cultore delle memorie acquesi in “Corale Città di Acqui Terme”, XVI n. 2, 2001. “La Bollente” del febbraio 1888 lamenta che la relazione dei commissari “da parecchi mesi riposa dimenticata negli scaffali comunali”6, e richiama l’attenzione del Comune sulla necessità di osservare rigidamente le norme antincendio nella progettazione dell’edificio, questione scottante dopo gli incendi dei teatri di Parigi, Nizza e Vienna. Nel 1888 la Commissione nominata respinge la proposta Zanoletti in quanto non offre alcun corrispettivo al Comune, prevede una spesa gravissima e l’occupazione da parte del teatro di un solo terzo dell’area7. 6 “La Bollente” del 28 febbraio 1888, n. 9. 7 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 novembre 1893, n. 48. 167 Cessione di terreno al sig. Zanoletti per costruzione di teatro. Documento di accompagnamento della pratica del 31 marzo 1896. ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23. Nella seduta del 28 settembre 1889 il Sindaco comunica la deliberazione della Commissione di fissare un premio a fondo perduto da pagarsi a chi si assumerà la costruzione del teatro, variabile a seconda che il costruttore possa o meno venderne i palchi; l’Ingegner Tronconi avrebbe preparato un progetto adatto alla città come base per le trattative8. Nel Consiglio del 15 febbraio 1890 viene nominata una nuova Commissione, composta da Francesco Zanoletti, Sgorlo, Lupi e dal Barone Accusani per studiare la scelta della località del teatro e della struttura a palchi, a galleria o a sistema misto, le spese per la sua erezione, e decidere l’eventuale intervento del Comune e la sua proporzione9. Nel giugno dello stesso anno la Commissione presenta le sue conclusioni, riprese da “La Bollente” del 17 giugno 1890, n. 25. “Nel concorso da aprirsi, offerta a fondo perduto di 1/5 dell’importo della spesa del teatro, che dovrà contenersi tra le 100 e le 110 mila lire, concessione gratuita dell’area nel punto in cui intercede fra la casa fratelli Orsi e la strada al Foro Boario. Il teatro avrà una fila di palchi con facoltà al concessionario di alienarne 2/3, obbligo al medesimo di ammannire uno spettacolo nella stagione estiva, e di lasciare al Comune l’uso gratuito del teatro nelle circostanze di solennità. Il Comune concorrerà nella spesa per la costruzione dei porticati e pavimentazione, ed il teatro dopo 60 anni passerà in sua proprietà”. “La Bollente” pubblica nel numero del 5 agosto 1890, n. 32 il seguente avviso di concorso per la costruzione del teatro, firmato dal Sindaco Saracco il 28 luglio, non mancando di suggerire che l’esiguo concorso nella spesa a capitale perduto ed il passaggio di proprietà al Comune dopo 60 anni avrebbe reso tutto più difficile: 168 8 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 ottobre 1889, n. 40. 9 “La Bollente” del 19 febbraio 1890, n. 8. “L’edificio verrà costrutto a rischio e spesa del Concessionario su terreno di proprietà comunale, con porticato. Il teatro si comporrà di una platea con posti distinti, di un ordine di palchi, e di una galleria con palchi laterali, e dovrà essere fornito di tutto il necessario, cioè mobilio, scenario, meccanismi, ed altro che si pratica negli edifici congeneri. Il teatro dovrebbe contenere da 1000 a 1200 spettatori e la spesa complessiva si calcola fra le 90 e le 110 mila lire. Il Comune si impegna di consegnare il progetto definitivo di massima del teatro e del porticato costruendo. La concessione avrà la durata di anni 60 a cominciare dal giorno in cui il teatro verrà aperto al pubblico, trascorsi i quali l’edificio, ogni cosa compresa, passerà in proprietà del Comune. Una terza parte dei palchi dovrà sempre rimanere a disposizione del Concessionario, come dote del teatro. Il Comune concorre nella spesa in ragione di 20 centesime parti, a capitale perduto, e si assume l’obbligo della pavimentazione del porticato. Tutti gli oneri di qualunque natura, saranno sopportati dal Concessionario o da chi per esso. Prima della stipulazione si addiverrà ad ulteriori accordi sovra altri punti di minore importanza, specialmente circa gli obblighi che il Concessionario si dovrà assumere perché il teatro sia aperto a pubblici spettacoli in talune stagioni del l’anno, e lasciato a disposizione del Sezione del Teatro Garibaldi. Elaborazione grafica realizzata dallo Studio O&M Ingegneria S.r.l. Acqui, che si ringrazia per la collaborazione prestata. 169 Comune in determinate contingenze. Il concorso rimane aperto sino al 30 settembre venturo. Il Comune prenderà in considerazione e si riserva di deliberare sovra le domande che gli venissero presentate nello stesso periodo di tempo per ottenere la concessione a condizioni diverse, le quali però non tendano ad accrescere il concorso pecuniario offerto dal Comune”. Come previsto da “La Bollente”, nessuno si presenta entro la scadenza fissata. Nella seduta del Consiglio del 28 maggio 1892 il Sindaco presenta una nuova proposta del sig. Ivaldi, con relativo disegno redatto dal geometra F. Depetris: il progetto prevedeva una spesa di lire 60.000 circa, il concorso del Comune per lire 20.000 a fondo perduto, oltre la cessione dell’area. Il Sindaco obietta la mancanza della garanzia cauzionale promessa, necessaria per avvalorare la serietà dell’impresa; si nomina quindi una nuova Commissione composta dall’Ingegner Sgorlo, marchese Scati, avvocato Caratti, Carlo Morelli (in sostituzione del rifiutante Zanoletti) per indagare sul nuovo progetto e rivolgersi ad uno specialista10. Nel frattempo si elaborano altre ipotesi, una delle quali consiste nell’intervenire sul Dagna per dotarlo delle opere necessarie a renderlo più rispondente ai desideri della cittadinanza. Nel gennaio 1893 la Società Esercenti e Commercianti si fa promotrice di un nuovo progetto preparato dal Depetris, preventivando una spesa di lire 70.000 e comprendendo l’erezione di un annesso locale ad uso caffè11; la Società si raduna per discutere della proposta, consistente nella costruzione di un teatro capace di 1000 spettatori, con posti di platea, sedie chiuse, di galleria e con 31 palchi, di cui 6 di proscenio, sul terreno che fronteggia il Corso Bagni, col concorso del Comune d’Acqui in lire 30.000 e cessione del terreno sunnominato, e mediante la somma di lire 40.000 da ricavarsi coll’emissione di n. 500 azioni del valore caduna di lire 80. Il pagamento delle azioni era previsto in quattro rate: una rata di 3/10 alla costituzione della Società, una rata di 2/10 a metà lavoro, una rata di 3/10 a lavoro ultimato, l’ultima rata di 2/10 a lavoro collaudato. Le azioni sarebbero state rimborsate sul reddito del teatro al prezzo di lire 100 caduna, e quelle da rimborsarsi annualmente, in numero stabilito dal Consiglio d’Amministrazione e proporzionale all’entità del reddito ricavato, sarebbero state estratte. Di questo Consiglio avrebbero fatto parte per diritto gli azionisti con 10 o più azioni, e per nomina gli azionisti eletti dall’assemblea12. 170 10 “La Bollente” del 2-3 giugno 1892, n. 22. 11 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 gennaio 1893, n. 5. 12 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 febbraio 1893, n. 6. Le sottoscrizioni raggiungono quota 518 azioni: il cronista della “Gazzetta d’Acqui” sottolinea come il “presidente della società si prese poi lo incarico di recarsi a domicilio dai principali cittadini, e raccolse ancora molte altre firme”13. Il 28 febbraio il Consiglio si riunisce ed elegge una nuova Commissione composta da Francesco Zanoletti, ingegner Paolo Sgorlo, avv. Francesco Fiorini, cav. Gustavo Bistolfi Carozzi, Giovanni Borreani14. Nell’Assemblea dei sottoscrittori del 9 aprile si approva lo statuto della Società Anonima Cooperativa “Politeama Garibaldi”15, con oggetto di assumere la costruzione e l’esercizio di un Teatro, si comunica la lista del Consiglio d’Amministrazione16, e successivamente si eleggono Presidente, Segretario e Cassiere17. Il progetto Depetris viene sottoposto all’esame dell’ingegner Achille Sfrondini di Roma, che aveva realizzato il restauro del teatro di Biella: l’ingegnere loda il progetto ma suggerisce alcune modifiche; ritiene inoltre la somma di lire 80 mila insufficiente per un simile progetto18. Alla fine l’ingegnere realizza un suo progetto19, preventivando la spesa di un teatro con sottopalchi, palchi, galleria e loggione, locale d’ingresso, caffè e salone concerti al primo piano, in lire 130.000, superiore di ben lire 60.000 rispetto all’originario progetto Depetris20. 13 “La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 febbraio 1893, n. 7. 14 “La Bollente” del 2-3 marzo 1893, n. 9. 15 In relazione alla scelta del nome della Società si legge ne “La Bollente” del 13-14 luglio 1893, n. 27: “Corre voce che alcuni sottoscrittori, pochissimi mancomale, intendano di rifiutare oggi il loro concorso, prendendo pretesto dal titolo “Politeama Garibaldi” proposto ed accettato nell’Assemblea Generale degli Azionisti, nel quale, ridicolo a dirsi, si vorrebbe trovare […] una affermazione di principii democratici, contraddicente ai sentimenti reazionarii di alcuni sottoscrittori. Sgombrino ogni timore costoro dal loro animo; chè i proponenti non si sono sognati mai di dare un colore politico alla costruzione di un teatro, e tanto meno di fare atto di ostilità alla monarchia leale e democratica che ci governa. Venne scelto questo nome perché appunto suona in armonia perfetta di alto patriottismo, di onestà, di valore, con quello del Gran Re al quale, per unanime deliberazione degli eletti dal suffragio del popolo, venne tributato un doveroso e riconoscente ricordo nella nostra città col monumento innalzato sulla piazza Nuove Terme”. 16 “La Bollente” del 13-14 aprile 1893, n. 15. 17 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 maggio 1893, n. 20. 18 “La Bollente” del 31 agosto-1° settembre 1893, n. 34. 19 In una lettera inviata al Sindaco e datata 12 settembre 1893, Achille Sfrondini, avendo quasi ultimato il progetto, chiede “quale sistema di illuminazione si vuole applicare, cioè se a gas o a luce elettrica, in questo ultimo caso sarebbe utile conoscere se l’impianto è lontano o meno, se il motore è alimentato da forza d’acqua, gas o vapore perché possa regolarmi a riguardo alla sicurezza dell’edificio” (ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24). 20 “La Bollente” del 26-27 ottobre 1893, n. 42. 171 A novembre la Commissione presenta la sua relazione: il Consiglio approva il progetto Sfrondini, salvo modifiche e stabilisce di “(…) incaricare il signor Architetto Sfrondini dei progetti e dei conti definitivi ed impegno a cottimo, ed assume impegno di farlo costruire stando per un terzo nella spesa, con che però la Società Cooperativa, od altri, od anche un individuo solo (versati i due terzi della spesa che risulterà dai preventivi o forfait, nel modo che verrà indicato all’atto di contratto) si assuma l’obbligo di esercizio, manutenzione, pagamento imposte, abbonamento contro gli incendi, e si assoggetti ad apposito regolamento di Direzione Teatrale per anni 29, ritirando in compenso i proventi ed affitti tutti. Facoltativo al Comune, a detta scadenza di 29 anni, a partire dal giorno dell’inaugurazione o apertura del teatro, o rinunciare la proprietà, o, restituendo la somma di 2/3 versata dal concessionario o Concessionarii (meno la parte che potesse occorrere al perfetto stato di manutenzione) riscattare il teatro. I palchi tutti saranno inalienabili e rimarranno dote del Teatro stesso. Un palco sarà riservato per l’architetto Sfrondini ed il palco centrale, con l’arma di Città sovrastante, non potrà essere occupato che in occasione di spettacoli di gala dalla Rappresentanza Municipale o da Ospiti Illustri. Il teatro dovrà essere messo a disposizione del Comune per feste speciali”. 172 La maggioranza della Commissione propone alcune modifiche: considera non indispensabile il loggione, e preferisce al Salone Concerti, locali ad uso Società di ricreazione e lettura ed un piano superiore ad uso inservienti e custodi21. Nella seduta del 23 novembre il Consiglio d’Amministrazione della Società Garibaldi delibera di accettare la proposta della Commissione per ciò che riflette la proporzione del concorso del Municipio in un terzo, sulla base del progetto Sfrondini, sperando in una riduzione dell’importo della spesa attraverso opportune modifiche del progetto stesso. Respinte le domande della Società Esercenti e Commercianti e della Commissione, si sospende ogni decisione in attesa di un definitivo progetto.22 Nel 1894 Francesco Zanoletti presenta una nuova proposta, ed uno schema di convenzione viene discusso nella seduta del 29 novembre. Il Comune concede al sig. Zanoletti l’appezzamento di terreno in prossimità della ferrovia di Savona con fronte verso corso Bagni già proprietà della Comunità Israelitica, più altro terreno del Comune ed eventualmente, quando cioè il comune ne riconosca la convenienza, una striscia longitudinale a determinarsi alla attigua strada comunale di circonvallazione. Il signor Zanoletti, per parte sua, come riferisce “La Gazzetta d’Acqui” del 1-2 dicembre 1894, n. 48, “(…) si assume l’obbligo della costruzione sopra l’area ceduta di un Teatro Politeama con una dimensione minima in larghezza di metri 22 muri compresi. La sala destinata agli spettacoli sarà composta di platea, anfiteatro, sottopalchi, una prima galleria con palchi laterali e loggione sovrastante. L’edificio verrà costrutto in muratura e ferro, escluso il legname in quanto non sia necessario; avrà un proporzionale atrio d’ingresso e dovrà poter servire a pubblici spettacoli di cavalli, ovvero rappresentazioni di prosa e di musica, così in estate come in inverno. Il signor Sezione del Teatro Garibaldi. Elaborazione grafica realizzata dallo Studio O&M Ingegneria S.r.l. Acqui. 21 “La Bollente” del 2-3 novembre 1893, n. 43. 22 “La Bollente” del 23-24 novembre 1893, n. 46. 173 Zanoletti si obbliga di intraprendere i lavori e di condurli a termine colla dovuta sollecitudine. Esso non potrà in nessun tempo mutare la destinazione dell’edificio che dovrà ora e sempre servire al medesimo scopo per cui viene costrutto fuorché nel caso che il comune lo prosciogliesse da tale obbligo con regolare deliberazione. Viene fatta facoltà al signor Zanoletti d’innalzare l’edificio del Politeama a distanza non mai inferiore di metri 16 dalla strada provinciale (Corso Cavour) onde avere sufficienza di terreno per le future costruzioni. Tostochè il comune abbia fatto allestire un piano di ampliamento di quella località, vale a dire, dal porticato delle Nuove Terme sino al bastione della ferrovia che porti con sé l’obbligo della costruzione dei portici, il signor Zanoletti si obbliga di occupare parte di detto terreno con la costruzione di un porticato che dovrà essere costruito secondo le norme che verranno segnate dal Comune ossia in corrispondenza delle norme generali che saranno stabilite per l’intiera linea dei portici costruendi”23. Il consigliere Bonziglia, sottolineando il dovere del Comune di assicurare che la nuova opera risponda agli interessi cittadini, riporta le lamentele di una sessantina di abitanti ed esercenti nei paraggi della piazza della Rocca che qualche tempo prima avevano presentato una petizione al Sindaco, chiedendo che per il nuovo teatro si destinasse un’area nella parte settentrionale della città, e più precisamente un appezzamento di terreno adiacente alla casa Menotti, di proprietà del Comune: essi sostenevano che dalla loro località il commercio andava migrando per suo naturale impulso portandosi verso la parte opposta della città, con l’ulteriore danno alla piazza S. Francesco provocato dallo spostamento del mercato della verdura nell’orto S. Pietro; non ottenendo in compenso il mercato dei calzolai, la costruzione di un Teatro in un’altra località, dopo la chiusura del Dagna, avrebbe provocato l’ultimo tracollo a quella larva di commercio che ancora rimaneva24. La paura di veder fallire anche questa domanda, ponendo Zanoletti il terreno di Corso Bagni come condizione sine qua non all’erezione del Teatro, induce a non prendere in considerazione queste lamentele. 174 23 L’atto di compravendita del terreno verrà stipulato nel 1896 [Atto di compravendita del 16 aprile 1896 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale del territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 18 aprile 1896 al volume 131, n. 241]. Lo schema della Convenzione è conservato anche in ASCAT, Sez. III, Categ. X, Classe XII, fald. 584. 24 “La Gazzetta d’Acqui” del 24-25 novembre 1894, n. 47. I lavori di costruzione incominciano nell’estate del 1895 e in un primo tempo procedono alacremente, tanto che si pensa di aprirlo nel luglio dello stesso anno. In questo mese è terminato il grande soffitto a volta della platea, e ne “La Gazzetta d’Acqui” del 26-27 ottobre, n. 43, si legge: “L’ingresso ha luogo per due comode scale che riescono nella parte superiore dell’ampia gradinata girante tutto attorno alla platea, e per un andito inclinato che dà direttamente in questa. Il vano del teatro contiene due gallerie di sfondo, e cinque ordini di palchi laterali leggermente sporgenti all’infuori che vanno a finire alla boccascena. Il cielo è a volta in solida muratura senza nessuna parte il legname (come d’altronde in tutto il teatro, allontanandosi così ogni pericolo d’incendio). Molte parti dell’edificio sono ancora a formarsi, come ad es. il palcoscenico (…). Il Teatro avrà annessi un caffè ed un ristorante separati, camere di alloggio e sale che si potranno adibire, volendolo, a luogo di convegno, a club, ecc. ecc.”. Palazzo Papis in un’immagine di primo Novecento. Collezione privata. 175 A questo punto Zanoletti interrompe i lavori e non si legge più nulla sulla stampa fino all’ottobre del 1897, quando il Consiglio nomina una Commissione composta da Accusani, Braggio, Guglieri, Ottolenghi Moise e Scati per studiare le proposte fatte, definire, se possibile, per la sollecita costruzione del teatro, e proporre un modo di agire25. La Commissione si raduna per conferire con Zanoletti, il quale accetta di portare a termine i lavori in cambio della concessione da parte del Comune del breve appezzamento di terreno di proprietà dei fratelli Orsi, necessario per costruire la facciata del teatro26. Nella seduta di gennaio si decide di mandare un diffidamento e di eleggere un arbitro27; la questione prende così la via giudiziaria: “si tratta di delimitare esattamente fin dove si estenda la proprietà Orsi e quella comunale, onde regolare esattamente la quantità di terreno che deve essere libero attorno al nuovo edificio”28. A settembre il Consiglio decide di eleggere tre arbitri, uno nominato dal Comune, uno da Zanoletti ed un terzo dal Presidente del Tribunale29. Nessuna notizia fino al gennaio 1899, quando si legge su “La Gazzetta d’Acqui”: “Corre voce che si apra il Garibaldi, operai vi lavorano alacremente per ridurlo allo scopo. Veramente con nostro limitato intelletto non possiamo troppo capacitarci col modo in cui si riuscirà a ridurre quel fabbricato all’uso cui era destinato”30. Nella seduta del 31 gennaio il Comune nomina come suo arbitro l’avv. Mariani di Alessandria ed invita Zanoletti a scegliere il suo, inutilmente. In caso di mancato accordo, si decide di procedere alla citazione31. A marzo i lavori proseguono: il teatro “si presenta già bene: sarà ampio, ma non troppo, giusto le esigenze della nostra cittadina; sarà decoroso.Vennero eliminati i palchi, per ora inutili all’impresa: il palcoscenico assai ampliato sarà molto adatto a rappresentazioni di balli”32. Il Garibaldi viene inaugurato sabato 1° aprile 1899 con Fedora di Sardou, messa in scena dalla compagnia Ferrati. Il teatro si presenta ridotto, per affrettarne l’apertura, a più ristrette proporzioni dall’impresario Confienza. “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 marzo 1899, n. 15 così si esprime: 176 25 “La 26 “La 27 “La 28 “La 29 “La 30 “La 31 “La 32 “La Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta Gazzetta d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del 9-10 ottobre 1897, n. 41. 6-7 novembre 1897, n. 45. 22-23 gennaio 1898, n. 4. 16-17 aprile 1898, n. 16. 24-25 settembre 1898, n. 39. 21-22 gennaio 1899, n. 4. 4-5 febbraio 1899, n. 6. 18-19 marzo 1899, n. 12. “L’impressione destata nel pubblico accorso fu abbastanza buona e per quanto tutto sappia di provvisorio, specialmente l’ingresso, l’ambiente è tale da far rimanere sufficientemente contenti di avere un locale conveniente, ove si possa passar bene le serate ricreandosi lo spirito coll’udire buoni lavori drammatici a cui non si era più da un po’ di tempo avvezzi”. “La Bollente”, frontespizio del numero del 30-31 marzo 1899 che annuncia l’inaugurazione del Politeama Garibaldi. BCAT, Sezione locale, emeroteca Il 18 maggio 1899 l’ing. Vincenzo Adorni visita l’edificio, per verificare se il teatro sia stato costruito con la dimensione di metri 22, muri compresi, ed in muratura e ferro, escluso il legname se non in quanto necessario; con un atrio proporzionale all’ingresso, platea, anfiteatro, sottopalchi, galleria, quaranta palchi laterali, loggione sovrastante, numerose scale, uscite, camerini per gli artisti; che serva a pubblici spettacoli di cavalli, e rappresentazioni di prosa e di musica sia in estate sia in inverno. Sull’area ceduta a Zanoletti risulta effettivamente costruito un edificio in muratura e ferro, di dimensione massima in larghezza di metri 29,50 e la minima di metri 13,20, per pubblici spettacoli di cavalli e rappresentazioni di prosa e musica; si era ultimato il tetto (in zinco) e si erano costruiti i muri laterali e di tramezzo, le gallerie, i palchi, sottopalchi, la volta ricoprente la sala, le scale, le porte, l’ossatura generale della bocca d’opera, compresa la decorazione verso le scale, i camerini, il palcoscenico, il palco forato soprastante per la manovra delle scene. L’edificio però non era stato ultimato: mancavano infatti le imposte e vetrate dell’ingresso centrale della prima galleria e del loggione, l’ultimazione del soffitto del loggione, la decorazione dei parapetti, delle pareti e dei palchi, l’ultimazione dei pavimenti dei medesimi e dei corridoi che vi danno accesso, ed il pavimento dei corridoi d’accesso alle sedie chiuse; la coloritura della volta ricoprente la sala e la messa in opera degli apparecchi di riscaldamento; ancora da ultimare era l’atrio d’ingresso, coperto con un tetto provvisorio. Per 177 poter aprire il teatro a pubblici spettacoli palchi e sottopalchi erano stati coperti con due grandi tele, si era costruita una bocca d’opera provvisoria con tele dipinte, portando la stessa due metri avanti verso la platea, e tirata una tenda sotto la volta per non lasciar vedere la nuda superficie33. Alla fine di luglio, in occasione dell’arrivo della Compagnia del Ferravilla, si aprono 16 dei 32 palchi prima ricoperti dal vebrio bianco34. Nel mese d’ottobre scoppia un incendio nel teatro: i danni sono limitati “al telone che copriva la volta, perché non ancora dipinta, ed alle tele che coprivano i due laterali del proscenio, non ancora ultimati”35. La disputa tra il Comune e Zanoletti in relazione all’edificazione del teatro e dei portici si trascinerà per diversi anni, continuando a generare contrasti anche con i nuovi proprietari dell’edificio: il 19 gennaio 1904 Alda Carrara, vedova Zanoletti, vende infatti l’edificio del Politeama ad Alfredo, Gerolamo e Aquilino Papis36. Nel marzo del 1902 si eseguono alcuni lavori al palcoscenico: “Il palcoscenico ridotto alle sue vere misure è in linea armonica con tutto il resto e fa l’ambiente più grandioso e più simpatico”37. Subirà nuovi interventi nel marzo del 1904; in quell’anno si incarica il perito Ipotesi di progetto di Teatro in Acqui. La foto é tratta dal volume di civico Ghione di visitare il teatro per Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004. verificare se, in caso di incendio, la sala possa essere facilmente sfollata; scrive il perito, in una lettera al Sottoprefetto del 23 agosto 1904: “Riscontrai che in seguito alle modificazioni apportate, vi rimangono tuttavia numero cinque aperture d’uscita, ubicate tanto sui lati dell’edificio che dietro il palcoscenico, come prescrive la Legge. Quindi la sala può essere prontamente sfollata nel caso d’incendio”38. 33 34 35 36 178 ASCAT, Sez. III, Categ. X, Classe XII, fald. 584, Sentenza del 4 luglio 1899. “La Bollente” del 29-30 luglio 1899, n. 26. “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 ottobre 1899, n. 43. Atto di compravendita del 19 gennaio 1904 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 20 gennaio 1902 al vol. 170, n. 342. 37 “La Bollente” del 20-21 marzo 1902, n. 12. 38 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24. Ulteriori restauri interesseranno il teatro dal luglio 1905 fino ai primi di marzo 1906. I commenti positivi espressi sull’edificio in occasione della sua inaugurazione cambiano di segno nel giro di vent’anni; ecco la descrizione del Politeama da parte del giornalista Franco Cazzulini, apparsa su “La Gazzetta d’Acqui” del 17-18 settembre 1921: “L’attuale Politeama Garibaldi, nato, come si sa, da una mente equilibrata, rappresenta un aborto architettonico, ma di tale natura che urta stridentemente, col più elementare principio di costruzione teatrale. Il palcoscenico ha una bocca d’opera vastissima e uno sfondo stretto, corto e mal disposto. Nessuno dei palchi ha il raggio di visione convergente al punto ideale chiamato centro del palcoscenico, di guisa che la loro costruzione, anziché per isbieco e mirante al palcoscenico, è fatta a mo’ di un perfetto rettangolo o quadrato col punto di mira alla sala del teatro. Le gallerie ed il loggione, anziché essere capienti e spaziose, sono il contrario, e per di più ingombre da pilastri mastodontici che tolgono i tre quarti dello spazio di visione. Esteticamente poi è un orrore, e per tale fatto è guardato con pena dai molteplici forestieri che ospita la nostra città e criticato spietatamente dai competenti in materia”. Nell’aprile del 1924 il teatro viene venduto dai Papis ad Annibale, Carlo e Teresa Cornaglia39; il 7 agosto 1938 Giovanni Ivaldi acquista un terzo della proprietà40, e nel marzo del 1940 l’edificio viene acquistato dalla Società Anonima Cinematografica Acqui41. Nel 1941 si eseguono diversi lavori di trasformazione dell’interno del teatro. 39 Atto di compravendita del 3 aprile 1924 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 17 giugno 1924 al vol. 339, n. 1647. 40 Atto di compravendita del 7 agosto 1938 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 9 agosto 1938 al vol. 592, n. 1821. 41 Atto di cessione del 21 marzo 1940 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 17 aprile 1940 al vol. 612, n. 881. 179 Due immagini fotografiche attribuite al Teatro Garibaldi dopo la ristrutturazione del 1941. BCAT, Cartella Teatro in Acqui, in corso di catalogazione. 180 Il palcoscenico viene allungato di m 4, risultando un piano di m11 in profondità per m 10 in larghezza, con altezza dal piano alla soffitta di m 12; il piano terra viene abbassato di un metro in modo da poter svolgere sotto il palco tutti i servizi inerenti gli spettacoli teatrali ed in modo da poter disporre di ampi depositi; si costruiscono 14 camerini completamente nuovi più due camerini per le masse; al palcoscenico si installa un impianto di illuminazione con accorgimenti modernissimi e munito di un nuovo e moderno apparecchio di regolazione per gli effetti luce; l’accesso al palcoscenico è reso indipendente dal lato strada per il personale artistico e i bagagli. Il nuovo pavimento della platea viene abbassato di cm 50, come nel corridoio di accesso; chiuso l’accesso alla platea, esso avverrà attraverso quattro porte laterali (due per lato); con l’avanzamento di due metri della gradinata si abolisce l’alzata centrale e la gradinata viene dotata di sedie in sostituzione delle panche; le poltrone vengono sostituite da quelle in velluto e imbottite costruite dalla Ditta specializzata Gianninone di Milano. L’accesso ai palchi, sistemati in tre ordini, imbottiti e convenientemente arredati, avviene attraverso nuove scale di marmo, poste in fondo ai corridoi di accesso alla platea; vengono trasformate anche le scale di accesso alla gradinata e alle gallerie per intonarle a tutto l’insieme; si sposta la cabina di proiezione e si riattivano il loggione e la cupola, rivestita di uno speciale intonaco a base di sughero per garantire una perfetta riproduzione sonora. Si dota il teatro di un moderno complesso di latrine per il piano platea, la gradinata e le due gallerie, di un impianto razionale e moderno di illuminazione, di un impianto di sicurezza e di un impianto di riscaldamento ad aria calda. Chiuso l’ingresso esterno e ricoperto in vetro-cemento, l’ingresso interno viene rimodernato e trasformato42. 42 “Il Giornale d’Acqui” del 22 marzo 1941, n. 12. GLI ARTISTI L’ATTIVITÀ TEATRALE La compagnia Ferrati, che inaugura il Politeama Garibaldi il 1° aprile 1899, incontra il favore del pubblico: “contiene buoni elementi tra cui primeggia la prima attrice signora Carloni Talli che ha confermata la fama che l’aveva preceduta tra noi, di artista fine, intelligente, studiosa”43. Buona risulta l’esecuzione di Anima, della signora Rosselli, “in specie per parte della signora Carloni Talli che seppe avere sempre nel volto, nella voce, in ogni minima espressione sua, l’impronta dei sentimenti di dolore e di amore che l’agitavano, da commuovere il pubblico che affollato ieri sera l’ha spessissimo applaudita”44. Il cronista invita l’attrice a far sentire Niobe, La trilogia di Dorina di Rovetta, La parigina di Becque, “nelle quali, ci consta, che essa dà prova di un metodo originale e pieno di passione e di una intuizione ammirabile”45, invito che viene accolto: se la messa in scena della Niobe appare meritevole di maggior impegno, gustata è La trilogia di Dorina e festeggiatissima la Carloni Talli ne La parigina. Ricco il repertorio presentato: da La moglie bella di De Belly a Dopo di Augusto Novelli, da Amleto a Chateaudun Chartres, poi Il suicidio di Ferrari, Odette di Sardou, Adriana Lecouvreur di Scribe e Legouvé, Zampa legata di Feydeau, La locandiera di Goldoni, Viaggio di Berluron di M. Ordonneau, La scuola del marito di G. Antona Traversi, Chempignol di Feydeau e Desvailliéres, Bebè di Hennequin e de Najac. Dopo qualche serata di giochi di prestigio con il signor Frizzo, va in scena la Ginevra, opera lirica composta e diretta dall’acquese cav. Vigoni, con libretto scritto dalla marchesa Venuti di Roma: il soggetto dell’opera è “un po’ vecchiotto” e “la soverchia drammaticità”46 nociva all’effetto, ma nel complesso lo stile è giudicato buono. 43 “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 aprile 1899, n. 15. 44 Ibidem. 45 Ibidem. 46 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 maggio 1899, n. 20. IDA CARLONI TALLI Era nata a Roma nel 1869; dopo aver recitato nella Filodrammatica Romana diretta da Alessandro Meschini, era entrata in arte nel 1887 come prima attrice giovane nella compagnia di Giuseppe Pietriboni, passando poi in quella di Bellotti Bon, capocomica col marito Virgilio Talli e Ettore Paladini, ed in diverse altre compagnie, tra le quali quella diretta da Luigi Ferrati come prima attrice; nel 1904-1906 si unì in società con P. C. Tovagliari e Giovanni Pezzinga, poi solo con il Tovagliari, prima di diventare insegnante di recitazione alla Scuola Eleonora Duse presso l’Accademia di S. Cecilia. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, p. 1328. GLI ARTISTI LUIGI FERRATI Era nato a Figline Valdarno nel 1855; dopo aver recitato in compagnie di dilettanti, cominciò a sostenere parti primarie in quella diretta da Cesare Vitaliani; fu all’estero con la troupe Pietro Falconi e Soci diretta da Florido Bertini, e dopo aver diretto, fra l’altro, la Compagnia Sociale con la “prima attrice” Ida Carloni Talli, passò con Novelli, poi in società con Angelo Solari, nella “Dora Baldanello” ed infine nuovamente con Novelli. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1365-1367. IL TEATRO E LA CITTÀ IL M° VIGONI E LA SUA GINEVRA Il M° Cav. Vigoni, l’autore della Ginevra, artista eclettico, organista, insegnante, operista, come molti subì il felice richiamo della città termale, che vivacizzò non solo con la musica...ma anche con una accesa querelle che lo portò allo scontro con un altro Maestro attivo in città - il parmense Tullo Battioni – cui contese la direzione della banda cittadina. La vicenda si può leggere in una memoria pubblicata dal Vigoni su “La Bollente” 27-28 giugno 1901 (oppure nella ricostruzione pubblicata ne “L’Ancora” dei nn. del 29 aprile, 6, 13 e 20 maggio 2001, a cura dello scrivente). Ma chi era Vigoni? Allievo del cremonese Ponchielli, fu dapprima capo musica a Verona, (31° fanteria dal 28 maggio 1882); congedatosi, divenne titolare della banda di Cassine (dal marzo 1884: “A quell’epoca, lo dico con orgoglio, considerata fra le migliori del circondario, Acqui non esclusa”) e, ad Acqui, Vigoni si esibì nella stagione dei concerti alle Terme. Dopo un lungo girovagare per l’Italia, ora alla testa dei musici, ora all’organo - Sestri Levante (1885), Arco del Tirolo (1886), Chiaramonte Gufi, Siracusa (1887); Cortona (direttore dell’istituto musicale), Siracusa (1892), Parma (direzione d’orchestra per quattro recite di Traviata tra dicembre 1892 e gennaio 1893, presso il Teatro Reinach), Fucecchio e Castelfranco di Sotto (1894), - dal 1899 il maestro aveva residenza in Acqui [come da lui affermato su “La Bollente“ in data 14-15 marzo 1901], e la primavera del 1899 è anche l’anno della rappresentazione al Garibaldi della Ginevra. Conclusa la sfortunata esperienza acquese (che lo condusse anche ad Alice Belcolle come organista), nel 1901 assunse l’incarico della rinomata “banda di Stradella”. 182 La Ginevra, che andò in scena anche a Firenze, Cortona, Fucecchio, San Miniato al Tedesco, Pontedera, Zara e Pola, non è la sola opera del Cav. Vigoni, di cui dobbiamo annoverare anche un’Annita (Verona, Novara, Cuneo) e un’Iride (Chiavari, Cortona, Novara). Insignito, nel 1885, con medaglia d’oro, dalla Società del Quartetto del Conservatorio di Milano, membro laureato del British Atheneum dal 1894, è lo stesso musicista a ricordare che il Preludio di Ginevra venne “aggradito anche recentemente da S.A.R. il Conte di Torino e dall’ill.mo Comm. Ricordi, noto editore musicale”. Tra i segni musicali lasciati nella nostra città, oltre all’attività come insegnante di pianoforte – e qui Vigoni evoca i progressi “delle sue gentili quanto promettenti allieve” - vengono ricordati i concerti che lo videro protagonista: ebbero vasta eco quello del 18 agosto 1900, in cui, la “Nuova Banda degli Esercenti” prese parte alla messa da Requiem per Re Umberto, e quello del 12 gennaio 1901. Una serata speciale, benefica (prezzi: lire 2 per le poltroncine; 1,50 per il palchettone; una lira per un posto di galleria; gradinata 60 centesimi; loggione 30 - come si deduce da “La Gazzetta” del 19/20 gennaio) in cui Vigoni presentò il Preludio della sua Ginevra “eseguita e interpretata magistralmente” dalla Banda Cittadina. G.Sa. Cfr. anche Tullo Battioni, Fradiesis e il Cav. Vigoni, una disfida musicale ad inizio secolo, “L’Ancora” 29 aprile, 6, 13, 20 maggio 2001. GLI ARTISTI La difettosa esecuzione e la messa in scena manchevole di alcuni particolari ne provocano la cattiva accoglienza da parte del pubblico: “D’altra parte il libretto non è certo dei più felici, né i versi dei più armoniosi: gli stessi artisti sono soventi impacciati perché la parola non torna spontanea”47 Anche la messa in scena de La forza del destino presenta alcuni inconvenienti, tra i quali l’indisposizione del basso Spangher e le solite ridotte dimensioni dell’orchestra; nelle sere successive cresce la fortuna artistica delle rappresentazioni ma non quella finanziaria, perché il pubblico continua ad essere scarso soprattutto nei posti numerati. Con la scrittura di Amalia De Roma e del Montecucchi per il Faust lo spettacolo raggiunge un certo successo: di quest’ultimo artista concittadino si dice che “molto più sarebbe apprezzato se all’ambiente del Politeama si potesse dare maggior sonorità di quella che ora possiede togliendo la tela che serve di volta”48. Nel mese di luglio il pubblico accorre al Garibaldi per ascoltare le già conosciute produzioni del teatro milanese con la compagnia del Ferravilla. A metà mese giunge la compagnia Catalani del cav. Dominici con la prima attrice Giuseppina Catalani, che esordisce con Realtà di Rovetta. L’avvento della fiera, con le sue attrazioni, danneggia gli spettacoli teatrali, che proseguono con visibile incertezza. Si cerca di rendere più vario lo spettacolo e alla compagnia si aggiunge un corpo di ballo. In agosto torna l’opera con il Rigoletto che, dopo le incertezze delle prime messe in scena, raggiunge un buon successo, soprattutto nella serata trionfale di Tina De Spada, e grazie al bravo baritono Giovacchini; si prosegue con l’esecuzione del Fra Diavolo, accu- 47 Ibidem. 48 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 giugno 1899, n. 24. EDOARDO FERRAVILLA Nato a Milano il 18 ottobre 1846 dal Marchese Filippo Villani e da Giulia Ferravilla, artista di canto portoghese “è, per originalità, il più grande degli artisti italiani del nostro tempo”. Dopo esser stato contabile, era entrato come brillante nella Società filodrammatica di Gustavo Modena, ed in seguito come amoroso nella Compagnia milanese stabile di Cletto Arrighi. Sostituito un attore nella parte di Gervesin nel Barchett de Buffalora, “egli si trovò già a tale altezza, che parve quasi impossibile toccarne altra maggiore in quel genere”; egli creò una serie di macchiette (Massinelli, El sur Pedrin, il Sindaco Finocchi, il Tecoppa, Gigione, El sur Pancrazi, El Maester Pastizza, El sur Pànera, El sur Pistagna ed altri) che tipizzavano certi caratteri e vizi, ciascuno con un proprio costume e una propria truccatura, divenute immortali. Dopo aver formato società con Sbodio e con Giraud, era stato scritturato assieme a tutta la compagnia dal Capitani, per poi tornare solo. R.Br. Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 868-873. GLI ARTISTI ENRICO DOMINICI Nato a Trapani nel 1847, aveva esordito nel 1864 ne I Mafiosi di la Vicaria di Giuseppe Rizzotto; dopo anni di peripezie, era entrato nel 1862 primo attore nella compagnia di Federico Boldrini, passando poi in diverse altre, dirigendo e formando suoi organici; direttore e attore nella compagnia di Giuseppina Catalani dal 1896 al 1901, passò poi come caratterista in quella di Zacconi, associandosi nel 1905 a Vera Mayer ed Alfredo Sainati, e dirigendo nel 1911-1912 la compagnia Desy Ferrero prima di ritirarsi dalle scene nel 1912. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1352-1353. rata nel complesso, e con il trionfo delle serate di Margherita Almansi e del Montecucchi ne Il barbiere di Siviglia. Tra gli spettacolari balli della compagnia marionettistica Croce e gli esercizi del “noto divinizzatore del pensiero” Pickmann, il teatro si apre per tre sere alla compagnia di Ugo Perfetti e Iole Cantini: un pubblico scelto e numeroso assiste a Histoire d’un Pierrot, nonostante l’insufficienza di luce, calore e le ridotte dimensioni dell’orchestra. L’anno si chiude con una buonissima Favorita con Rita Casini, il tenore Ernesto Pettinati, il baritono G. Mattioni e il basso G. Perini. Nel nuovo secolo il Garibaldi apre i battenti con la compagnia d’operette Città di Catania diretta dall’artista Salvatore Papale, che debutta con Il marchese del Grillo, opera nuovissima per Acqui di D. Mascetti. Le cose però non vanno troppo bene secondo il cronista de “La Gazzetta”, che il 20-21 gennaio 1900 così scrive: “Il sig. Papale volle in pochi giorni formare una compagnia d’operette, ma non riuscì che ad avvicinare artisti che, se individualmente rappresentano un discreto valore, presi nell’insieme non vanno. Manca quell’affiatamento fra le varie parti perché uno spettacolo possa reggersi. Il Papale è artista di merito eccezionale ma occorre modificare le prime parti, in modo che l’omogeneità si mantenga, e aumentare il numero delle coriste”. A fine febbraio si assiste ad un Trovatore finalmente di ottimo livello che attira un pubblico numerosissimo: sempre da “La Gazzetta d’Acqui” del 24-25 febbraio 1900 n. 8, leggiamo Palazzo Papis. Particolare dei portici. Sulla destra la via d’accesso al Teatro Garibaldi di cui si intravede il fianco. Collezione privata. 184 “Fin dalle ore 19 di ogni sera il pubblico rumoreggiante attendeva la apertura del teatro per irrompervi e conquistare un posticino qualsiasi. Ciò è confortante assai, perché dimostra che gli acquesi, quando si tratta di spettacoli eccezionali, scuotono l’apatia ormai temuta cronica, ed accorrono volentieri non badando al prezzo d’entrata sia questo esagerato, sia questo in modeste proporzioni. Di questo risultato va data lode agli interpreti e all’Ivaldi”. Applauditissimo è il Cecchi e numerose sono le chiamate alla ribalta; Margherita Herrera e la Soriani ricevono doni e fiori. Con le prime rappresentazioni della compagnia dei Fratelli Marchetti gli spettatori tornano a disertare il teatro, probabilmente per la scelta di produzioni troppo serie e tragiche e la mancanza di novità: fanno eccezione le beneficiate della Venturini con Santarellina e di Tebaldo D’Arcano con la commediola Roba d’altri. Neppure l’avvento della compagnia del cav. Gemelli scuote l’apatia degli acquesi: solo la sua serata con la messa in scena di Dal Ciabot al Ministero attira un discreto pubblico. È nuovamente lo spettacolo d’opera a risollevare le sorti della stagione con un Ernani ed un Trovatore di primo livello: lo spettacolo è omogeneo, con due grandi prime donne, la Stefanini e Maria Cappellaro, orchestra e cori finalmente all’altezza grazie al maestro Ricci, e la partecipazione del concittadino baritono Giovanni Novelli. Nel mese di luglio gli spettacoli proseguono con la compagnia d’operette condotta da Raffaele Cianchi e diretta da Gaetano Tani: i giornali giudicano buona la scelta delle produzioni, in particolare piace Flik Flok di A. Petito, “dove la musica è piena di vita e la prosa scoppiettante di umorismo di buona lega e anche di una certa dose di patriottismo a base di cappelli piumati e bandiere sventolanti al suono della fanfara dei bersaglieri”49; anche dal lato della messa in scena, accurata ed elegantissima, la compagnia è giudicata la migliore che si sia avuta in Acqui, ma il pubblico non risponde degnamente agli sforzi dell’impresa. La situazione penosa della cassetta pare non mutare con la compagnia milanese Bice Rozen. Dopo alcune recite però, il teatro torna ad affollarsi, il pubblico si diverte prodigando applausi di fronte alle spigliate amabili esibizioni di tutta la compagnia: “Le commedie più esilaranti sono sempre seguite da vaudeville od intercalate da canzonette uso caffè 49 “La Bollente” del 12-13 luglio 1900, n. 28. 185 concerto, escluse quelle pornografiche, in modo che gli spettatori ne escano entusiasti. Lo provano le continue richieste di bis, che raramente vengono concessi allo scopo di non protrarre lo spettacolo oltre le 23, ed a tale uopo molto bene ha fatto l’impresa facendo cominciare più presto lo spettacolo, e ad ora fissa”50. La Poupeé, appositamente ridotta per il teatro milanese, viene replicata per ben tre volte. Nel mese d’ottobre torna l’opera con una buonissima Norma, eseguita da artisti provenienti dal teatro Costanzi di Roma, tra cui Elisa Ferrari; piace anche l’esecuzione del bozzetto In riva al mare del maestro Giuseppe Lanaro, nonostante le difficoltà incontrate dall’orchestra. Con la compagnia drammatica E.Cecchi gli acquesi assistono alla prima rappresentazione dell’opera Come le foglie del Giacosa, replicata per ben tre volte, sulla quale il cronista de “La Bollente” così si esprime: “(…) i personaggi e le anime magnificamente coloriti e descritti, meno quelli che naturalmente non hanno colore, come la insipida pittrice e l’esteta ignobile. Alcune scene di un’altezza drammatica insuperabile, il dialogo quale solo Giacosa o Traversi o Bracco sanno scrivere”51; il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui” critica però l’interpretazione del personaggio del pittore: “Certe pagliacciate si possono tollerare in una farsa, ma non in un lavoro del Giacosa. Sarebbe bene che l’intelligente direttore, artista scrupoloso, reprimesse un tale sconcio, che troppo stona col modo veramente irreprensibile col quale tutti disimpegnarono la loro parte”52. Il giudizio sulle rappresentazioni è ampiamente positivo, e molto apprezzato è il Cecchi per il metodo di recitazione e per l’irreprensibilità della scena in Dopo di Novelli e nella Morte civile di Giacometti. Terminate le recite, si annuncia il ritorno della compagnia in estate nel Teatrino Vecchie Terme; il cronista de “La Gazzetta d’Acqui del 17-18 novembre 1900, n. 46, scrive in proposito che certamente non mancheranno gli affari, se “(…) Cecchi vorrà lasciare nel dimenticatoio le produzioni di domenica. Le due orfanelle, Suor Teresa, La sepolta viva e simili non vanno più. Lo spettatore vuol essere sollevato e divertito e non terrorizzato. Perché la compagnia Cecchi non si attiene al repertorio moderno? Ha pure visto che un pubblico intellettuale, affollato e pagante, ha assistito per quattro sere consecutive alla commedia Come le foglie!”. 186 50 “La Bollente” del 9-10 agosto 1900, n. 32. 51 “La Bollente” del 15-16 novembre 1900, n. 46. 52 “La Gazzetta d’Acqui” del 17-18 novembre 1900, n. 46. Le rappresentazioni proseguono con la messa in scena de La favorita: se in un primo momento lo spettacolo non convince totalmente i critici, per le incertezze dei debuttanti Luigi Vacchieri e Giuseppe Orcese, nelle recite successive è giudicato buono sotto tutti gli aspetti, grazie al notevole progresso dei debuttanti ed alla bravura di Sante Canale, Sergio Ivanoff e della prima donna Soriani. Un vero trionfo è la messa in scena della Carmen, che supera ogni aspettativa, con la prima donna Amparo Obiol, reduce dai successi ottenuti in Francia e al Liceo Barcellona, ed un’ottima orchestra arricchita con elementi forestieri e musicanti del locale Reggimento. L’anno si chiude con un breve corso di recite della compagnia condotta da Antonio P. Musella, con Maria Gorrieri Pasquali, moglie dell’attore Cesare Pasquali, Francesco Artale e Anna Pedretti, che debutta felicemente con Il padrone delle ferriere di Ohnet. Dopo la compagnia eccentrica Frizzo-Fregoli, le marionette di Carlo Sebastiani ed una recita della compagnia Vestri, nell’aprile 1901 il teatro apre i battenti con la compagnia Benincasa-Rivalta che si esibisce davanti ad un pubblico largo di concorso e di applausi. Il giornalista dea “La Gazzetta d’Acqui” apprezza la scelta di testi come I pezzenti del mare di Cavallotti, Come le foglie di Giacosa, Diritto di vivere e Una donna di R. Bracco, condividendo l’abbandono degli scherzi musicali quali Un buffo a spasso, non adatti ad un artista “intellettualmente superiore”53 come il Vestri. 53 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1901, n. 15. Il Gran Caffè Dora sotto i portici di Palazzo Papis. Fotografia inizio Novecento. Immagine tratta dal volume fotografico di Piero Zucca Acqui da non dimenticare, Torino 2003. 187 GLI ARTISTI A metà maggio torna l’opera con la messa in scena de Il barbiere di Siviglia: dopo l’esito negativo delle prime rappresentazioni, a causa, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”, Nato a Brescia nel 1832, dopo dell’eccessiva audacia della prima donna che traaver recitato in piccole parti volse anche gli altri artisti, si presenta una nuova di paggio, amorino, di ragazzo, edizione dell’opera riveduta e corretta con era stato scritturato da Elvira Scrivano. La messa in scena della Lucrezia Giovanni Chiarini nella sua Borgia, con un quasi completo cambio d’artisti, compagnia di pantomimi; pasrisulta fin dalle prime recite degna di approvasato poi con il fratello Gaetano prima come amoroso, poi zione incondizionata, come dimostra la stessa mamo e secondo brillante, cittadinanza che per sei sere affolla il teatro: entrò come primo brillante meravigliosa Elisabetta Redi, mentre si fanno assoluto nella compagnia di onore i concittadini Pelizzari e Bonziglia. A metà Zamarini e Carlo Romagnoli, giugno l’Impresa Ivaldi sposta per poche sere ed in diverse altre, recitando l’opera al Teatrino Vecchie Terme: in entrambi i anche in America con la comteatri il pubblico continua ad accorrere numepagnia di Ernesto Rossi. R.Br. roso ed entusiasta. Dopo una breve serie di rappresentazioni dall’eCfr. anche L. RASI, op. cit., vol. sito positivo della compagnia piemontese Solari II, pp. 663-664. e della milanese Bice Rozen, i cronisti riportano l’insuccesso clamoroso ed assordante della Norma, criticando la protagonista Cotko Lidia, non bene accolta dal pubblico; la cantante russa, infastidita dalle parole del cronista della Bollente, lo offese pubblicamente ed, in seguito ad una querela per ingiurie, alla cantante venne inflitta dal Pretore una multa di lire 600. Dopo alcune messe in scena della Lucia di Lammermoor con la Colombati, eseguita in modo ammirevole, la stagione lirica continua fino al 6 novembre caratterizzata da un continuo cambio di artisti: nella Norma prima la Ferrari, poi Bice Lucchini, e dopo il Balzelli una serie di bassi di scarso valore; ne Il trovatore il pubblico aveva fatto la conoscenza di quattro Eleonore, tra le quali la Follen e la Lucchini, due Azucene, due Manrici, due conti di Luna ed innumerevoli Ferrando; incomprensibili secondo il giornalista de “La Bollente”, le sostituzioni della Sormani con la Ponzoni, del tenore Davi con il Bertini, del baritono Belloni con Giuseppe Giani. L’anno si chiude con poche recite della troupe Marchetti54, della compagnia di Varietà Italo-Americana e di quella diretta da Guglielmo Emanuel Gatti, nipote di Giovanni Emanuel, di fronte ad un pubblico un po’ stanco e quindi non numeroso. LEOPOLDO VESTRI 188 54 “La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 novembre 1901, n. 47 annuncia la serata della prima attrice A. M. Venturini nella parte di Amleto, ruolo che avevano interpretato anche la Bernhard e la Pezzana; nel 1907 vi si cimenterà Lina Diligenti, allieva della Pezzana, al Garibaldi. Nel numero successivo de “La Gazzetta” si legge: “il pubblico è scarso quando si danno produzioni di buona lega, e riempie il teatro per drammacci come Giuseppe Musolino che fece per tre sere, tre pienone”. Nelle cronache teatrali dei primi mesi del 1902 troviamo la solita sollecitazione al pubblico a frequentare l’unico passatempo esistente in città: quando é il turno dell’opera Saffo, prima con la brava Maria Barasa, e poi con la compagnia Gemelli, il pubblico brilla per la sua assenza, per risvegliarsi solo con le operette della compagnia del cav. Starace. L’elemento artistico, che va completandosi col procedere dei giorni, è buono, la scena sfarzosa e il vestire elegante ed appropriato; in più sul palco regnano serietà e correttezza, “caso raro per non dire unico”, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”, “in una compagnia d’operette”55. Nella scelta del repertorio nessuna novità: I granatieri, Madama Angot, Boccaccio, Le campane di Corneville, La befana, Mascotte, Santarellina. Fin dal mese di marzo l’impresario Ivaldi, non ricevendo alcun aiuto dal Comune, cerca di realizzare una stagione d’opera invitando il pubblico a sottoscrivere 200 azioni da lire 20 l’una, convertibili a richiesta dell’azionista, in abbonamento, biglietti e affitto palco; pur non avendo raggiunto le 200 azioni, l’Ivaldi riesce ad offrire al pubblico una stagione lirica trionfale. Si inizia il 28 giugno col successo della prima della Manon, ed il favore del pubblico continua col proseguire delle recite: da Cavalleria rusticana a Pagliacci, considerata quest’ultima, per i pregi del melodramma e il valore degli esecutori, un importante avvenimento artistico per la città; da La bohème alla Linda di Chamounix con un’insuperabile Virginia Colombati, a La traviata nelle sue diverse edizioni. Tre mesi d’opera, uno spettacolo completo e serio realizzato dall’Ivaldi con le sue sole forze, spingono i giornali a porre l’accento sul dovere del Comune di fissare una dote. Dopo gli spettacoli di marionette di Zane e quattro pienone con la troupe di varietà del prof. Bellini, giunge la compagnia Benvenuti, con la prima attrice Maria Gallo Benvenuti, “buona allieva di Adelaide Tessero”56, e Achille Maieroni. Nelle prime sere un pubblico numeroso assiste a tre repliche de I figli di nessuno di Rindi e Salvani; nel corso delle recite però diminuisce, a causa anche del maltempo, e la compagnia cerca di attirarlo mettendo in scena alcuni lavori di autori acquesi: La disfatta dell’avv. Bisio, modificata dalla censura, risulta mutila e non sufficientemente sviluppata, oltre che imperfetta nell’esecuzione, forse per la troppa fretta nell’andare in scena; piace Colpe altrui di Francesco Gabellio, “che rivela una felice predisposizione drammatica dell’autore”57. 55 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 maggio 1902, n. 19. 56 “La Bollente” del 13-14 novembre 1902, n. 45. 57 “La Bollente” del 4-5 dicembre 1902, n. 48. 189 Nel marzo 1903 il teatro apre i battenti con la compagnia MugnainiValentini, “costituitasi all’inizio della Quaresima nella nostra città”58. Essa dà subito prova di ammirevole affiatamento e di accuratezza anche nei minimi particolari, con un repertorio che scuote “la tradizionale letargia monferrina”59: piacciono Romanticismo di Rovetta e Sperduti nel buio di R. Bracco, diverte Dame de chez Maxim’s di Feydeau mentre alcuni riscontrano ne I fuochi di S. Giovanni di Sudermann una certa “pesantezza germanica”60. Dopo una breve stagione lirica con La contessa d’Amalfi, interpretata da un’applaudita Adalgisa Grossi, e La favorita, gli acquesi affollano il teatro per assistere alle operette della Compagnia Città di Milano: l’affiatamento eccezionale, una messa in scena accurata ed elegante, l’abilità del soprano Jone Mary, seralmente acclamata, e le esilaranti macchiette di Cappelli e Grassi, sempre originali nelle loro riproduzioni, riscuotono le generali approvazioni. Il successo di pubblico si ripete con la compagnia napoletana Variale-Nunziata-Cozzolino, trasferitasi dal Teatrino Vecchie Terme, dopo alcune recite della compagnia Mugnaini-Valentini e della compagnia Raspantini: il cronista della Bollente elogia della compagnia napoletana l’eleganza e l’affiatamento, l’alternanza di lavori seri e vaudeville, non sa però emettere un giudizio sui singoli artisti poiché si trova di fronte “ad un genere affatto nuovo”61. Nel 1904 dopo alcune buone recite della compagnia Gray e Sequi, che debutta felicemente con Romanticismo di Rovetta, giunge la troupe Cuniberti che presenta un repertorio estesissimo, comprendente le commedie del concorso drammatico-dialettale promosso dall’on. Tommaso Villa: l’affiatamento degli attori fa sì che le commedie interessino l’uditorio anche quando sono appena di valore mediocre, ma sono soprattutto i vecchi lavori del Bersezio e di altri grandi a scuotere, più che le produzioni moderne prive di “trama scenica”62. Oltre a Teodoro Cuniberti, nato a Savigliano nel 1842, allievo del Toselli e autore di diverse commedie con lo pseudonimo di Giulio Serbiani, componevano la compagnia anche i conosciuti Dante Testa, Giovanni e Federico Bonelli, e la Gemelli. Nel mese di maggio il pubblico assiste ad alcune sfortunate messe in scena de La favorita e Il trovatore. La prima edizione de La favorita viene stroncata da una parte della critica, nonostante la bravura di Tina Alasia; scrive il cronista de “La Bollente”: “non bisogna però inveire contro i caduti, ma piuttosto noi sentiamo di dover biasimare severamente chi per mire non sempre confessabili, solletica ed applaude a 190 58 “La Bollente” del 5-6 marzo 1903, n. 10. 59 “La Bollente” del 12-13 marzo 1903, n. 11. 60 Ibidem. 61 “La Bollente” del 5-6 novembre 1903, n. 45. 62 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 maggio 1904, n. 19. velleità artistiche con un evidente reato previsto dal codice penale: il reato di eccitamento e di aiuto alla corruzione”63; le edizioni successive sono più fortunate anche se non impeccabili. Non maggior fortuna ha Il trovatore, alla cui première il numeroso pubblico “fu clemente, limitandosi a ridere senza fischiare”64, e caratterizzato nelle sue diverse edizioni da un continuo avvicendarsi di tenori. Dopo alcune recite della compagnia Valentini-Marchiò e gli esercizi di autosuggestione del prof. Bellini, l’impresario Ivaldi, in attesa di allestire la Mignon, decide di iniziare la stagione con una piccola serie di recite de Il barbiere di Siviglia: il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” considera l’esecuzione meno che mediocre, nonostante il valore dei singoli artisti, causa l’andata in scena troppo precipitosa e la mancanza di affiatamento, mentre è giudicata lodevolissima dal giornalista de “La Bollente”. Un trionfo fin dalla prima è la Mignon di Thomas, con una straordinaria Lina Sanfelice, alla quale l’acquese Gabellio dedica una canzone e di cui si scrive: “Lina Sanfelice ha cantato l’Italia, l’ha descritta nei suoi colori più vivi, colla sua arte impareggiabile, colla sua voce sgorgante dal suo petto come acqua scintillante da viva fonte”65. Chiude l’anno il Circo Equestre Russo e la troupe di varietà “Nino”. Nell’aprile del 1905 il Garibaldi apre i battenti con il grande successo della compagnia d’operette Ugo Checchi, con il già conosciuto Franco Cappelli. A giugno lo spettacolo di varietà del sig. Giuntini lascia il passo a I puritani, eseguito davanti ad un pubblico sempre numeroso. Lo spettacolo, abbandonato dall’impresario Minciotti e dalla cantante Cappellaro, continua grazie all’impegno dell’Ivaldi e degli artisti, i quali riescono pur senza prove a mettere in scena un soddisfacente Barbiere di Siviglia. Dopo alcuni mesi di chiusura forzata per restauri, il teatro riapre nel 1906 con la Linda di Chamounix, spettacolo che delude per la mancanza di affiatamento dovuta all’allestimento frettoloso. Fallita l’andata in scena con il Don Pasquale e con L’elisir d’amore, l’impresario Ivaldi riesce ad allestire un’ottima Sonnambula, grazie a Pepita Sanz, la quale riesce dà al personaggio di Amina un risalto così fine e accurato da commuovere il pubblico, ringraziata con applausi, fiori e regali. 63 “La Bollente” del 2 giugno 1904, n. 22. 64 “La Bollente” del 9 giugno 1904, n. 23. 65 “La Bollente” del 3 novembre 1904, n. 44. Accesso ai palchi. Foto scattata nel giugno 2005. Archivio ITER. 191 Ad aprile viene scritturata la compagnia del cav. Mugnaini. Rinnovata completamente nel personale artistico, in un primo momento viene criticata dai giornali che riscontrano incertezza di scena e d’interpretazione; nel corso delle recite l’incertezza lascia il posto ad una sicurezza scenica ed interpretativa encomiabili, per quanto non manchino critiche alla scelta di troppe produzioni francesi. Il teatro si affolla per Romanzo di un’operaia povera, composta dall’operaio genovese Cesare De Paoli, e molto apprezzata è l’esecuzione e la scelta dei costumi ne La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, messo in scena dal Mugnaini nonostante le notevoli spese e difficoltà. Dopo alcune buone messe in scena di Un ballo in maschera e Rigoletto, con artisti di valore quali il soprano M. Liddel, la A. Yelson, il baritono Barbacani, il Coltellazzi ed una recita della compagnia Mugnaini trasferitasi dal Teatrino Vecchie Terme, gli acquesi affollano il teatro per assistere agli spettacoli della compagnia Marion-Guerci, ed in particolare per il Ballo Excelsior. Preceduta da una serata a favore dei poveri, eseguita da dilettanti acquesi, l’opera torna nel mese di novembre con due rappresentazioni de La favorita, allestita un po’ frettolosamente, e con un soddisfacente Faust, ben interpretato da Ada Manieri, alle prime armi, e dagli esordienti baritono Alberto Ghislotti e “prima donna” Irma Vinante. Terminata la stagione lirica, il teatro viene affittato dalla compagnia La Comicissima diretta da A. Brizzi ed E. Corazza, accolta con grande entusiasmo e lodata per affiatamento, cura dei particolari, gusto e serietà negli scenari, eleganza nel vestito e recitazione sicura e naturalissima. Di Brizzi scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 1516 dicembre 1906, n. 50: “(…) comico per eccellenza, da un gesto, uno sguardo sa trarre gli effetti ch’egli vuole. Il riso ch’egli suscita non è la sola contrazione fisiologica del volto ma vien su dall’animo piacevolmente scosso. (…) Tra i migliori artisti dialettali. Da E. Corazza non si potrebbe desiderare di meglio: fedelissimo interprete dei caratteri, egli li presenta al pubblico chiari e vigorosi. In Checo merli el galo tase e Conte Ambrogio Campodarsego el mario libertin provocò ad ogni istante risate ed applausi”. Si legge ancora sul Brizzi (“La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 dicembre 1906, n. 51). 192 “alle quattro rappresentazioni annunciate, ne seguirono altre con ottimo successo. Spettacoli seri e comicissimi nei quali il sig. Brizzi ci fece ammirare l’insigne vastità dell’arte sua. Goldoni a Parigi trovò in lui un interprete insuperabile. Solo coll’espressione del viso, magistralmente truccato, riuscì a farci passare a traverso tutti gli affanni, tutti i disagi del grande commediografo durante l’ultimo tristissimo episodio della sua vita. La scena della morte provocò un vero entusiasmo d’applausi: il bravo attore dovette presentarsi tre volte alla ribalta. Nelle commedie facete come L’on. Campodarsegno, I Pellegrini de Marostega etc. non eccelle meno per sobrietà e naturalezza d’interpretazione”. Nel 1907, dopo una compagnia lirico-drammatica composta da bambini prodigio e la compagnia di marionette Enrico Salici, il Garibaldi si apre alla compagnia Mugnaini. La prima attrice Lina Diligenti è ammirata come Adelasia, Fedora, Angizia, Zazà, Gigliola, Odette e nel ruolo di Amleto; apprezzato anche il cav. Mugnaini, specialmente in Papà Eccellenza di Gerolamo Rovetta, in cui “ci ha fatto proprio vivere della sua parte”66, e la Da Caprile in Più che l’amore di D’Annunzio, Odette e Fernanda di Sardou67. A fine maggio il pubblico assiste alle rappresentazioni della compagnia d’operette Di Gennaro, accolta con grande entusiasmo. Geisha viene data per ben tre sere di seguito in un teatro sempre gremito: “Sulle Il foyer del Teatro Garibaldi. Immagine tratta dal volume fotografico di Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui Terme 2004 66 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1907, n. 15. 67 La compagnia mette in scena L’albergo dei poveri di Maksim Gor’kij, poco apprezzato sia dal pubblico, sia dalla critica. 193 GLI ARTISTI DORA BALDANELLO Figlia di Antonio Prosdocimi, suggeritore della Compagnia Reale Sarda, era nata a Pisa il 21 giugno 1877, e aveva recitato col padre fin dall’età di cinque anni, prima di entrare nella compagnia ZagoPrivato e nel ruolo di seconda amorosa con Enrico Dominici; dopo un breve periodo nella Achille TelliniAngelo De Farro, era passata come prima attrice giovane nella compagnia veneziana “San Marco” diretta da Enrico Corazza, poi nuovamente nella Zago-Privato; dopo aver formato insieme al marito Giuseppe Baldanello alcune compagnie, tra le quali la compagnia comica “Goldoniana”, aveva continuato a recitare ad intermittenza, prima di abbandonare definitivamente le scene. R.Br. nostre scene sono anni che non vediamo un decoro di costumi e di scenari pari a questo: ogni cosa è sempre curata, intonati i cori, ben combinate le evoluzioni saltellanti delle Geisha [sic]”68; ammirata è soprattutto la sig.na O. Visconti, per la quale ogni sera ci sono ovazioni. Buono è anche l’esito degli spettacoli d’opera: successo delle messe in scena de La traviata, con Ebe Sansone Ravina ed il tenore spagnolo Paolo Pipin, della Lucia di Lammermoor con Adelina Motta chiamata a sostituire temporaneamente l’indisposta Laura Van Kuran con entusiastico consenso di pubblico; e successo indiscutibile anche per Ernani. Scrive il cronista della “Bollente”: “Dobbiamo dire subito che quando le imprese sono assunte direttamente dall’Ivaldi gli spettacoli sono assai più decorosi e più curati che non quando il teatro è ceduto ad imprese forestiere”69. Dopo quattro lodate rappresentazioni della compagnia Brunorini, giunge al Garibaldi per cinque sere la compagnia di Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1481-1483. Dora Baldanello; nella sua serata d’onore si mette in scena Dall’ombra al sole di Pilotto, davanti ad un “pubblico attentissimo a quella Lisa che appariva non nella finzione della scena ma nella vita reale, che sapeva commuovere e far sorridere con sì bella semplicità di mezzi”70. Di lei si scrive ancora: “(…) Dora Baldanello affronta con pari sicurezza di vittoria l’impeto del dramma moderno a cui sa dare tutta la vigoria d’un’interpretazione sempre efficace e corretta”71. Oltre a Dora Baldanello, componevano la compagnia Amalia Borisi, Armando Borisi, attore e cantante, (figlio di Amalia72), e Giovanni Pezzinga. 194 68 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 maggio 1907, n. 20. 69 “La Bollente” del 24 ottobre 1907, n. 43. 70 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 maggio 1908, n. 18. 71 Ibidem. 72 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 494. GLI ARTISTI A giugno incontra il favore del pubblico la GIOVANNI compagnia Flores-Charetty, diretta da A. PEZZINGA Melidoni: ottimi e affiatati gli attori, soprattutto Alfredo Melidoni, “artista che possieNato a San Piero Patti il 15 maggio de la facoltà di far assumere al suo viso 1873, aveva esordito nella compamille espressioni diverse e che dopo quel gnia Antonio Pezzinga-Amilcare po’ po’ di parte sostenuta in ogni produAjudi ed era poi entrato nella Ercole Mazzoni-Giorgio Bonafini, zione, ci offre una serie di canzonette, nella Giovanni Valentini e Franco diventando macchietta di prim’ordine”73. Romano, con Antonio Brunorini e Il pubblico continua a frequentare numecon Carlo Rosaspina; era passato roso il teatro anche con la compagnia successivamente quale “amoroso” e Città di Torino, che presenta le solite ope“primo attor giovane” con Novelli, e rette ma eseguite in modo ammirevole, e in diverse altre compagnie, tra le con la compagnia lillipuziana Città di quali quella di Dora Baldanello nel 1908-1909, anche come capocomico Roma, che desta nel pubblico dapprima e direttore, dedicandosi in seguito stupore, poi simpatia ed infine ammirazioal cinema e dirigendo per pochi ne. Su “La Gazzetta d’Acqui” viene pubblimesi nel 1931 il Politeama Naziocato un articolo assai critico nei confronnale di Firenze. ti di questo genere di spettacoli: in esso si R.Br. osserva essere gli effetti del teatro lillipuCfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., ziano disastrosi sui piccoli attori. “I poveri vol. III, pp. 1469-1470. ragazzi divenuti grandicelli, devono per forza maggiore abbandonare le scene, perché non possono disporre più delle loro facoltà foniche e, qualche volta mentali. Diventano, come vedete, degli invalidi, degli spostati, senza arte, né studi, senza una dote che possa procacciar loro un po’ di pane”. Si osserva poi che questo tipo di spettacoli costituisce una profanazione dell’arte, “(…) perchè l’opera, per adattarsi alle forze debolissime dei bambini, deve subire necessariamente in alcuni punti delle amputazioni e in altri deve essere abbassata magari di qualche tono”; questi bambini prodigio “possono eccitare la curiosità, non dare allo spirito veri godimenti artistici”74. A settembre giunge per alcune recite la compagnia Vitaliani, in attesa di imbarcarsi a Genova per l’America del Sud. Italia Vitaliani attrice trionfa in tutte le parti, in particolare nei drammi Casa paterna di Sudermann ed Hedda Gabler di Ibsen, con interpretazioni “sincere e profonde”75, ma tutti gli attori sono giudicati di talento76. 73 “La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 giugno 1908, n. 23. 74 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 agosto 1908, n. 34. 75 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 ottobre 1908, n. 40. 76 Tra le opere rappresentate figurano Suor Teresa di L. Camoletti, La madre di Rusinol, La moglie bella di Debelly, Tosca di Sardou, La signora dalle camelie e La principessa Giorgio di Dumas figlio. 195 GLI ARTISTI ITALIA VITALIANI Nata a Torino il 20 agosto 1866, discendente da una delle più note e numerose famiglie comiche dell’Otto-Novecento, aveva esordito nella compagnia diretta da Luciano Cuniberti; passata dal ruolo di seconda amorosa a quello di prima attrice giovane nella Luigi Bellotti Bon condotta da G.B. Marini e diretta dallo zio Cesare Vitaliani, entrò in Compagnia Nazionale per assumere poi il ruolo assoluto nella “Città di Torino” diretta da Cesare Rossi accanto alla cugina Eleonora Duse; entrata nella compagnia di Pasta e nella G. B. Mariani accanto a Virginia Marini, nel 1892 assunse il capocomicato, recandosi spesso all’estero; successe nel 1919 al Rasi nell’insegnamento di recitazione presso la scuola drammatica di Firenze, e nel 1924-1926 a Virginia Marini nella direzione dell’Accademia di S. Cecilia di Roma, girando fra il 1911 e il 1926 cinque film. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1535-1537. A Novembre occupa il teatro la compagnia Zannini-Maggi-Nobile, esordendo con La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, ed offrendo un bel numero d’opere serie ed allegre interpretate con sentimento d’arte. Chiude l’anno la compagnia Galli, bene accolta dal pubblico acquese. Nel corso del 1909 si sussegue tutta una serie di compagnie che rimangono per pochi giorni: la Compagnia Drammatica Italiana ZanniniGreco, la Corazza-Zago diretta da Alberto Brizzi, la Lambertini, la Guido Giovannucci, la Giulietta De Riso, la Nina Sanzi diretta da Carlo Rosaspina, la compagnia d’operette E. De Beaumon, la Andrea Maggi di proprietà del Teglio, la Compagnia Dialettale Napoletana diretta da Achille Pansini, la Compagnia Lillipuziana del comm. Ernesto Guerra. Nei primi di giugno giunge per quattro sere la compagnia di Virginia Reiter. GLI ARTISTI GLI ARTISTI ANDREA MAGGI VIRGINIA REITER Andrea Maggi, nato a Torino il 29 aprile 1849, dopo aver frequentato la scuola drammatica di Carolina Malfatti, era entrato come amoroso nella compagnia del Teatro Fiorentini di Napoli di Adamo Alberti; era passato poi come primo attor giovane e in seguito come primo attore nella Bellotti Bon n. 3 diretta da Cesare Rossi, e quindi per tornare nella compagnia Città di Torino, nella Bellotti Bon, assumendone il capocomicato dopo la morte di quest’ultimo, ed in diverse altre; lasciato il capocomicato, si scritturò negli anni successivi quale direttore e primo attore di varie formazioni. R.Br. Nata a Modena il 17 gennaio 1868, aveva debuttato nel 1877 con la filodrammatica modenese Cuore ed arte, passando poi nella compagnia di G. Emanuel con il ruolo di prima attrice giovane ed in seguito di prima attrice, affermandosi rapidamente anche all’estero come una delle migliori attrici del teatro italiano; era passata poi nella Talli-Reinach, nella Andò-Leigheb, socia di F. Pasta ed in seguito capocomica sola; dopo un anno di riposo (1906-1907), riprese a recitare ma non più regolarmente R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1418-1419. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, p. 1485. La compagnia debutta con Madame Sans-Gêne di Sardou, per ritornare a settembre con La dama dalle camelie di Dumas figlio e Casa paterna di Sudermann, seguita da tre recite di Gustavo Salvini con La morte civile di Giacometti, Ippolito di Euripide e La bisbetica domata di Shakespeare. Sulla Reiter scrive il cronista de “La Bollente” del 17 giugno 1909, n. 24: “E fu davvero una visione dolcissima quella che nelle quattro sere scorse Virginia Reiter largì con commozione di riconoscenza al foltissimo pubblico acquese affascinato e plaudente. O Duchessa di Danzica – Sans-gêne vivissima – robusta e schietta fede d’amore; o Francillon sofferente – vittoriosa lotta d’amore; o Adriana morente – artistico sogno d’amore; o Cesarina appassionata – perfida chimera d’amore – per l’Arte, per la grande Arte, per la inimitabile Arte di Virginia Reiter, avete dei mille cuori fatto un cuor solo ed avete in questo immane segno di vita infuse, impresse, scolpite novissime ignote, insospettate sensazioni, ora violente ed or tenuissime; carezze ignorate sino a ieri, soavissime come quelle di donna innamorata; lusinghe folli come aspirazioni; aneliti indistruttibili come il sentimento. Ogni anima si compiacque di essere avvolta, sconvolta, travolta da tremiti di passione, da inni di gioia, da brividi di tortura: passione, gioia e tortura senza nome e senza fine”. Nel mese di agosto il pubblico acquese può assistere a poche recite della compagnia Nina Sanzi diretta da Carlo Rosaspina, con la grande attrice Giacinta Pezzana. GLI ARTISTI GIACINTA PEZZANA Nata a Torino il 28 gennaio 1841, diede le prime prove delle proprie capacità interpretative come prima attrice nella compagnia di Cesare Dondini senior accanto ad Ernesto Rossi; sposato il drammaturgo Luigi Gualtieri nel 1863, entrò nel 1865 in compagnia di Luigi Bellotti Bon e nella compagnia del Teatro dei Fiorentini di Adamo Alberti, prima di assumere il capocomicato con Luigi Monti e Guglielmo Privato, affrontando il repertorio classico che portò anche all’estero; fu in seguito in diverse compagnie, recitando in Italia e all’estero, in Russia, ed in Sudamerica dove si recò nel 1910 per una tournée con Carlo Rosaspina e Nina Sanzi; nel 1911 diresse una scuola di recitazione a Montevideo e nel 1914 interpretò il suo unico film, Teresa Raquin. R.Br. Cfr. anche P. D.GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 14681469. La compagnia debutta con Il Re di De Flers e Caillavet, e mette in scena quella Teresa Raquin di Zola con la quale si era finito per identificare la Pezzana. Nel 1910 il Garibaldi si apre per un breve ma apprezzato corso di recite alla Compagnia Piemontese Solari, che torna anche a fine marzo con straordinario successo: il pubblico, all’inizio scarso per il maltempo, giunge numeroso per Il vedovo allegro, e continua successivamente a seguire entusiasta la compagnia nelle messe in scena di Le spônde del Po, I paisan e la leva del Pietracqua, ’L birichin ’d Turin di Garelli. La stampa (“La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 aprile 1910, n. 17) loda il brillante Arduino: GLI ARTISTI RAFFAELLO (RAFFAELE) MARIANI Nato a Roma nel 1872, dopo aver esordito col ruolo di generico primario nella compagnia di Giuseppe Gray, era passato in quella di Enrico Gallarini, poi nella Alfredo De Sanctis, nella Reiter, nella Talli e Soci e con Nina Sanzi; dopo aver formato una società con Nina Vaschetti, Ottone Merkel e Livio Ravanelli, diretta dallo stesso Mariani con Fausta Galanti Fantechi, con la quale continuò nel 1910-1911 dopo l’uscita della Vaschetti e del Ravanelli, diresse dall’aprile al settembre 1911 la cattedra di recitazione all’Accademia dei Filodrammatici di Firenze e si dedicò al cinema. R.Br . “Il senso della misura è una delle doti principali dell’attore Arduino: gli effettacci così facili ad ottenere sono da lui banditi completamente poiché egli pensa che la risata non debba essere soltanto nel volto ma nell’animo che ne ha compreso lo spirito e ne gode. Il personaggio rappresentato dall’Arduino noi lo vediamo nella vita quotidiana e non vi badiamo gran che: l’attore invece lo prende, lo trasforma col suo inesauribile humor, gli mette, in una parola, nuovo sangue e nuovo brio. Come si compie il miracolo? È il segreto della sua arte, arte vera e sana che, purtroppo pochi sanno seguire od imitare”. Nell’ultima sera Romolo Solari saluta il pubblico con “il grido di: Evviva Acqui! (…) entusiasta dell’accoglienza fatta e grato per la oltremodo gentile ospitalità che in Acqui aveva ricevuta”77. Alla Solari segue per poche recite la compagnia Raffaele Mariani. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1421-1423. 198 77 “La Bollente” del 28 aprile 1910, n. 17. A qualche piccolo difetto d’affiatamento, “inevitabile nella Compagnia di prima formazione”, si rimedia con una cura minuziosa, “e le commedie che seguirono Odette furono signorilmente trattate”78; piace Fausta Galanti specialmente in Quieto vivere di Testoni e Zazà di P. F. Berton e C. Simon, “magnifica interpretazione”79, di Mariani nell’Otello; la compagnia mette in scena anche Il Cardinale Lambertini di A. Testoni, “una delle più belle commedie del teatro italiano contemporaneo”80. Nel mese di marzo il pubblico assiste ad una recita straordinaria della Compagnia Stabile di Roma con La cena delle beffe di Sem Benelli. Così si esprime “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 marzo 1910, n. 11: “Non c’è bisogno di dire l’importanza dell’avvenimento. La Cena delle Beffe ha trionfato in Italia, trionfa ora in Francia colla traduzione di Richepin e coll’interpretazione di Sarah Berhard [sic] che sostiene la parte di Giannetto. (…) Anche la Spagna avrà la traduzione di questo dramma: La Cena de las Burlas trionferà presto a Madrid al teatro della Princesa colla nota attrice Maria Guerriero”. L’opera conquista il pubblico (“La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 marzo 1910, n. 12): “(…) ha conquistato di botto il nostro pubblico e di scena in scena, con una febbre continua d’interesse, l’ha portato alla catastrofe tanto più spaventosa quanto meno prevista. Mai abbiamo sentito slancio d’applausi levarsi così compatto ed unanime, mai abbiamo visto un’opera drammatica nostra così potente, così completa e rivestita d’una forma così perfetta”. Anche l’interpretazione degli attori, nello stesso giornale, viene così lodata: “Gli attori della Stabile ci hanno dato una rappresentazione degnissima. A Giulio Tempesti va certo la maggior lode; alla parte Giannetto ha posto tutta la cura e tutto lo studio di artista intelligente riuscendo in un’interpretazione impeccabile: ogni sfumatura di questa duplice anima, ogni rapido passaggio dall’odio 78 “La Gazzetta d’Acqui” del 26-27 febbraio 1910, n. 9. 79 Ibidem. 80 Ibidem. 199 alla preghiera, dalla viltà alla gioia folle del pericolo, egli ha messo in luce con coloriture sapienti di dizione e con giochi di fisionomia efficacissimi. Fu sempre guidato da sentimenti d’arte ed ottenne effetti mirabili con semplicità di mezzi: entusiasmò il pubblico che lo ha salutato molto spesso, e a volte con danno dell’azione, con vere ovazioni. E parte di queste toccarono pure al giovanissimo attore Ninchi in parecchie scene ch’egli sostenne sempre con bell’impeto drammatico. Non meno ammirata ed applaudita la sig.a Laderchi nella breve parte di Ginevra”. Dopo la ripresa della compagnia Solari, il pubblico assiste alle recite della compagnia Vitaliani che mette in scena Maria Stuarda, Fedra di Umberto Bozzini, Suprema forza di Harslamb e Lecr, La locandiera di Goldoni e Diplomazia di P. Spegazzini. A fine giugno debutta la compagnia Giovannucci con le operette del vecchio repertorio. Il pubblico, “contrariamente alle sue abitudini”81, interviene ogni sera numeroso; criticata è l’esecuzione di Giorno e notte di Lecocq, pericolante per insufficienza di preparazione, e la messa in scena de Il barbiere di Siviglia: “Il Barbiere di Siviglia non è né una zarzuela qualsiasi, né un vecchio rattrappito, cadente, (…) io sono convinto che tutti gli esecutori dell’unica recita di Barbiere, (…) abbiano fatto il loro meglio, tuttavia, se tra il pubblico non vi era qualcuno che tale concetto avesse già del Barbiere nessuno avrà potuto formarselo”82. A novembre giunge l’affiatata Compagnia Comica Rodolfi-Nipoti-Spano con le novità Il bosco sacro e L’asino di Buridano di De Flers e Caillavet, Reginetta di Saba di E. Moschini, seguita dalla compagnia Bissi, con la prima attrice Ebe Porro Guasti, senza dimenticare le serate di varietà tra spettacolo e spettacolo. Alla fine di novembre torna la Compagnia Stabile di Roma, per ottenere la quale si apre una sottoscrizione tra i cittadini: pubblico numeroso e successo enorme per La cena delle Beffe e L’amore dei tre Re di Sem Benelli. Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 dicembre 1910, n. 49 loda le opere del Benelli: “Chi vuol comprendere l’arte del Benelli deve scostarsi alquanto dalle solite vie. Essa è fatta soprattutto di semplicità: la Cena delle Beffe ne fu uno degli esempi più mirabili; ora l’Amore dei Tre Re, pur mutando del tutto gli intendimenti e l’intreccio, mantiene tuttavia questo pregio caratteristico. In quest’ultimo poema troviamo grandiosa la tela, poche le persone, ma ognuna compresa di forti e ben 200 81 “La Bollente” del 29 settembre 1910, n. 39. 82 Ibidem. delineate passioni: nel conflitto di esse nascerà la tragedia. (…) Il Benelli ha rinnovato un tempo che le didascalie del poema non ci dicono con certezza, ma che sentiamo nostro, che tutto ci accende di ricordi aspri e dolcissimi per questa nostra Patria “tutta fresca, tutta verde, tutta d’oro” preda materiale del vincitore, vittoriosa a sua volta col suo fascino irresistibile. Su questo sfondo larghissimo di storia, l’autore ha posta l’azione dell’Amore dei Tre Re. (…) Sono scene or tetre d’una drammaticità travolgente, or tutte splendide d’una poesia che ci avvince nella dolcezza della sua musica e delle sue imagini. Pochi lavori hanno tanta freschezza, tanta originalità” L’esecuzione della compagnia – continua il giornale è giudicata eccellente: “Archibaldo fu il Ninchi, un giovane intelligente che ha saputo dare al vecchio cieco un’espressione di gesto e di voce sempre chiara ed efficace. Anche il Becci meritò lodi nella parte di Avito. La signorina Piano superò a meraviglia ogni difficoltà: la figura di Fiora fu resa con risalto di colore senza alcuna ricerca d’effetto. Essa fu sempre applaudita e calorosamente. Giulio Tempesti fu l’attore più sobrio e più intimamente legato alla sua parte. Abituati a vederlo sotto l’amaro ghigno di Giannetto, noi ci siamo domandato come avrebbe egli potuto spianare il suo viso e la sua anima a quella serenità quasi mistica di Manfredo. Ma il Tempesti è riuscito mirabilmente a rinnovarsi nel viso, nel gesto, nella voce, nell’anima. Sfumature, rapidi passaggi alla gioia, all’amore, alla bontà, hanno avuto nell’attore uno studio paziente e minuto. Egli ha svelato il personaggio GLI ARTISTI ANNIBALE NINCHI Era nato a Bologna il 20 novembre 1887; dopo aver frequentato i corsi di Luigi Rasi presso la scuola di recitazione di Firenze, era entrato nella compagnia Saltarelli diretta da Ermete Zacconi; passò poi nella E. Gramatica-R. Ruggeri, nella Gina Romani, come primo attor giovane nella “Compagnia Grandi Spettacoli storici e popolari” della Suvini Zerbini diretta da Maggi, con Flavio Andò prima di entrare nella Stabile Romana n. 2, divenendone primo attore dal 1911 al 1914, ed in diverse altre formazioni, diventando anche capocomico e dedicandosi al cinema. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1445-1446. GLI ARTISTI di Manfredo così come il Poeta l’aveva pensato: una figura complessa, mista di elementi barbarici e di quella cristiana pietà che sorpassa e vince ogni altro sentimento. La dizione fu sempre nitida, vibrante, priva di eccessi declamatori anche quando l’impeto lirico ne offriva il pericolo; all’applauso di sortita il pubblico aggiunse altri ed altri ad ogni scena. E tra queste segniamo, come vero trionfo per l’attore, quella del second’atto ch’è l’addio a Fiora”. JOLE PIANO La prima attrice era entrata nella compagnia di Dina Galli diretta da Andrea Beltramo nel 1904-1905; era passata poi nella Andò-Paoli-Gandusio, nella Stabile Romana, nella Stabile del Teatro Manzoni di Milano diretta da Marco Praga col ruolo di prima attrice giovane, con Ermete Novelli, per terminare la sua carriera con Irma Gramatica prima nella Stabile del Manzoni, poi nella compagnia di Luca Cortese diretta da Alfredo Testoni e nella troupe che la Gramatica formò per terminare l’anno comico 1917-1918. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. Nella prima metà del 1911 giungono cit., vol. III, pp. 1470-1471. al Garibaldi diverse compagnie dialettali, la Piemontese Felix-ArduinoZan, la Veneta Brizzi-Corazza, la Compagnia Dialettale Milanese con Carlo Rota, la compagnia di Ferruccio Benini ed Edoardo Ferravilla, ma la mancanza di varianti nei repertori provoca la scarsità di spettatori. Sul teatro piemontese scrive il cronista de “La Bollente” del 30 marzo 1911, n. 13: “Il decadente teatro piemontese, decadente per varie ragioni, prima delle quali che non tutti coloro che avrebbero il dovere di sostenerlo fanno l’arte per l’arte, sentirà in breve i benefici effetti della formazione di questa compagnia, creata dalla ferrea volontà di pochi con intendimenti seriamente artistici, animati dalla passione vera per le scene piemontesi che ebbero già splendidi bagliori. Se i vecchi attori – non tutti vecchi per età – hanno abbandonato il campo per correre dietro alla speculazione, quali ad altre occupazioni, meno nobili ma più proficue, una nuova schiera di giovani volenterosi e studiosi accorrerà certo ad ingrossare la falange dei coraggiosi che seppero restare al loro posto nonostante il cambiare delle … stagioni e dei tempi. Vi è ancora, anzi vi è di nuovo un vasto repertorio di vecchie e ottime commedie da sfruttare, e se i comici piemontesi dimostreranno veramente della buona volontà, altri gio- 202 GLI ARTISTI GEMMA CAIMMI Nata a Milano il 6 febbraio 1880, esordì nell’estate del 1897 in compagnia Paladini-Zampieri; dopo aver sostituito la Iggius nella compagnia Nazionale diretta da Giuseppe Pietriboni, si scritturò, per l’anno comico 1899-1900, nella nuova compagnia di Armando Rossi diretta da Luigi Monti, poi con Novelli e nella Leigheb-Tovagliari, prima di affrontare il capocomicato, in società ed in proprio, recandosi spesso all’estero. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1322-1323. vani autori accorreranno in breve ad aumentare il non esiguo teatro contemporaneo”. Nel mese di giugno trionfa la compagnia di Gemma Caimmi con Amore senza stima e Le due dame di P. Ferrari, Frutto acerbo di R. Bracco, Il mondo della noia di Pailleron, Una moglie onesta di G.Antona Traversi, I figli di Caino di C. Bonaspetti, Romanticismo di G. Rovetta. Alla compagnia di Gemma Caimmi segue una sola ottima messa in scena de Il matrimonio segreto di Cimarosa, con Germana Grazioli e Tina Farelli. “La Bollente” del 13 luglio 1911, n. 28, pubblica un articolo in cui si critica la malattia del pubblico acquese, l’assenteismo: “Leggendo a caso una rivista d’arte ho appreso che i varii teatri di Firenze hanno quest’anno tutti fallito. (…) Davvero che Firenze è invasa dalla malattia degli Acquesi, perché da qualche mese anche ad Acqui, al Politeama Garibaldi, unico teatro della città, gli spettacoli si susseguono ottimi – sia detto senza tema di smentita – ed il pubblico ha lasciato sempre desiderare la sua presenza: soltanto il nome del grande Cimarosa ebbe il potere di riempire – per una sera – il teatro; ma poi a nulla valse lo sceltissimo repertorio, magistralmente recitato dalla Gemma Caimmi, a nulla, o quasi, il nome e l’arte di Ferravilla, e meno ancora la presenza del Comm. Benini colla sua affiatatissima compagnia: il teatro restò pressoché sempre vuoto, con certo pochissima soddisfazione dell’ottimo sig. Ivaldi, l’impresario coraggioso e solerte, che ebbe ed ha un coraggio rasentante l’eroismo, di dare agli acquesi degli spettacoli veramente buoni, non badando a spese, non badando a sacrifici. (…) Se i teatri fiorentini falliscono fu soltanto perché ne furono aperti 6, 7 ed anche 8 contemporaneamente; ma Acqui, di teatri ne ha uno solo e quest’anno rimase chiuso anche più del solito; tanto che mi accade sovente di sentir esclamare 203 IL TEATRO E LA CITTÀ FRANCO GHIONE, IL MAESTRO CHE DIRESSE LA CALLAS Francesco Giovanni Ghione (Acqui 1886Roma 1964) compì i primi studi musicali nella sua città, presso le scuola comunale del Maestro Tullo Battioni, quindi presso il Regio Conservatorio di Parma. Diplomatosi in violino e composizione, entrò a far parte come strumentista dell’orchestra del Teatro della città ducale, quindi in quella dell’Augusteo a Roma, all’epoca diretta da Bernardo Molinari. Fu attivo sul podio a cominciare dal 1913; ma in questa prima fase della sua carriera forti restarono i legami con la città natale. Una serata di beneficenza al “Garibaldi” (ricordata da “La Bollente” del 2 febbraio 1911), coinvolse anche il “neo laureato in lettere” Angelo Tomba, “che ha tanta passione pel teatro [quella sera si recitò Il braccialetto di Traversi] e che tiene al suo attivo eminenti doti di attore consumato, elegante efficacissimo in ogni parte che interpreti”. Con lui i due fratelli Ghione. Il nostro Franco – legato ad Angelo Tomba da una fortissima amicizia con la collaborazione del Maestro Graziosi (direttoAngelo Tomba re della Banda) e in costume di F. Cornaglia di scena. propose un pagiCollezione na cameristica privata Floriana Tomba. un trio - di Mendelssohn; quindi accompagnò al piano l’esibizione di Luigi, “tenorino” tredicenne, interprete della romanza “Spirto gentil” dalla Favorita di Donizetti . La famiglia Ghione (Franco si era sposato nel 1921 con Maria Nice Spasciani, figlia del direttore della Vetreria ) mantenne la residenza all’ombra della Bollente sino al giugno 1932. Ma neppure dopo si dimenticò della propria terra, alla quale aveva dedicato le musiche della piccola suite per orchestra da camera Suol d’Aleramo (1923), ma anche pagine per canto e pianoforte che attingono alla lingua dialettale: si veda l’arietta monferrina Dop la vendigna (Dopo la vendemmia). Memorabile fu poi il concerto che tenne in Acqui il 22 marzo 1931 al Teatro Garibaldi Quanto alla carriera artistica del Nostro, ricordiamo il suo impegno come celebrato direttore nei teatri più prestigiosi del mondo. Dopo gli esordi al Regio di Torino e Alla Scala (dove si alternò con Toscanini), le opere dirette al Teatro Colòn di Buenos Aires, al Municipale di Rio, a Detroit, Franco Ghione toccò l’apogeo della sua carriera nel 1958 al Teatro San Carlos di Lisbona, dove presentò il 27 marzo 1958 quella Traviata che, registrata dal vivo, costituisce una delle più belle incisioni di tutti i tempi dell’opera (è ancora parte del catalogo EMI, casa che l’ha riversata, quindici anni fa, su supporto digitale) annoverando Maria Callas e Alfredo Kraus. Tra gli allievi di Franco Ghione - che dedicò gli ultimi anni di vita all’insegnamento della direzione d’orchestra - anche il Maestro Riccardo Muti. Il maestro Franco Ghione con Maria Callas. Collezione privata Floriana Tomba. – nelle serate noiose e lunghe durante le quali dopo la passeggiatina del dopo pranzo non si sapeva più cosa fare: - Ma perdio? Mai un po’ di teatro! Ma il nostro impresario cosa fa? Dunque? Sarebbe lecito chiedere al sig. Pubblico d’Acqui cosa vuole? Musicaaa!!!! Va bene, ma la musica costa oggi un occhio”. Dopo alcune recite della compagnia d’operette L’Italianissima diretta da Felice Paccot, che presenta la novità del maestro Caballero Le cinque parti del mondo, una folla immensa assiste alle tre sole recite della Compagnia Stabile di Roma n. 2 con La cena delle beffe, La maschera di Bruto e Mantellaccio di Sem Benelli: l’esecuzione è eccellente e si lodano tutti gli artisti, in particolare il Tempesti, il Ninchi e Jole Piano. A luglio il pubblico assiste a poche recite della Compagnia Ruggero Ruggeri che presenta diverse novità: L’avventuriero di A. Capus83, L’amico delle donne di Dumas figlio nella serata di Ruggero Ruggeri, Le marionette di P. Wolf e Il Marchese di Priola di H. Lavedan. Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” loda il Ruggeri e Lyda Borelli: “Ruggero Ruggeri ci ha fatto gustare una recitazione semplice, elegante ed efficacissima; Lyda Borelli ha avuto accenti caldi di passione e di sentimento ed una mimica incantevole”84. 83 Sull’opera di Capus leggiamo ne “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 agosto 1911, n. 32: “Il lavoro è piaciuto e fu applaudito da noi come, credo, lo sia stato in altri teatri. In verità A. Capus ha maneggiato la materia da par suo: pur non riuscendo a mascherare del tutto gli artefici, la commedia è condotta con abilità: il dialogo è sempre fine, brioso e, quando occorre, fortemente drammatico, i contrasti sapientemente disposti e misurati. L’autore ha mirato certo all’effetto ed al successo e li ha ottenuti senza volgarità”. 84 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 agosto 1911, n. 32. GLI ARTISTI RUGGERO RUGGERI Era nato a Fano il 14 novembre 1871; dopo aver assunto il ruolo di amoroso nella compagnia Francesco Gervasi Benincasa, era passato nella “Città di Firenze” di Michele Mantechi diretta da Ferdinando Nipoti, primo attor giovane nella compagnia Adelaide Tessero e Pier Giacinto Giozza, ed in diverse altre, accanto ai suoi primi veri maestri, prima di darsi al capocomicato socio di Emma Gramatica, solo con la prima attrice Lyda Borelli, e dal 1909 al 1919 associato all’impresario Giuseppe Paradossi; dopo aver formato con Alda Borelli e Virgilio Talli la compagnia Nazionale, passò in altre compagnie ottenendo grandi successi in America, e lavorando anche nel cinema. R Br. Cfr. anche P. D. GIOVAop. cit., vol. III, pp. 1497-1500. NELLI, GLI ARTISTI LYDA BORELLI Sorella dell’attrice Alda, era nata a La Spezia il 22 marzo 1887; dopo aver esordito nel 1897-1898 nella compagnia Pia Marchi Maggi e Soci diretta da Giuseppe Bracci accanto alla sorella, si era scritturata nel 1902 nella ReiterPasta, poi nella Talli-GramaticaCalabresi, col ruolo di seconda donna e poi di prima attrice giovane; dopo esser entrata nella compagnia di Ruggero Ruggeri dal 1909 al 1912, si associò a Piperno e Gandusio a capo di una formazione diretta da F. Andò, e fece parte della “Fert” di Eugenio Raoul Brizzi diretta da Novelli, formando nel 1916-1917 la Borelli-Piperno e girando alcuni film. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1313-1315. A settembre, dopo due recite della Compagnia Operettistica Cooperativa n. 1 ed un po’ di varietà, giunge la Compagnia Stabile del Teatro Rossini per dare ad Acqui La bela Gigogin, scritto da Mario Leoni per Gemma Cuniberti e rappresentato con successo per la prima volta a Torino nel gennaio dello stesso anno. Gli acquesi non apprezzano la produzione del Leoni, considerata dalla stampa troppo frammentaria, e disertano la seconda rappresentazione. Nel mese di novembre al solito varietà segue la compagnia Navarri-Niccolini: il pubblico si commuove per La statua di carne di Cicconi, affolla il teatro per Il conte di Montecristo di Dumas padre, e lo diserta per il dramma di Legouvé Fualdès e per Il Cardinale di Parker: su quest’ultima produzione scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 novembre 1911, n. 46: “(…) forse la scelta non fu delle più felici: si tratta invero di un’opera ben poco nota e non destinata a grande successo perché, sebbene non manchino situazioni fortemente drammatiche, abbondano ingenuità strane e irregolarità inesplicabili di condotta che appesantiscono gravemente l’azione. Il Clement mise a dura prova la sua attitudine artistica nel ruolo del Cardinale de’ Medici, la Valori dovette sfoggiare tutte le sue doti di prima attrice giovane per infondere un po’ di vita alla scialba figura di Berta Chigi”. Il reporter, citando alcune critiche a lavori del genere di Fualdès “in cui il pubblico è costretto ad assistere all’assassinio, previa spogliazione, di un povero galantuomo”, riporta le solite osservazioni sui gusti del pubblico acquese (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 novembre 1911, n. 47): “Bisogna riconoscere che il nostro pubblico ha un’originale cultura teatrale: capricciosa ed irregolare. Oltremodo difficile è il problema di ammannirgli spettacoli di suo gradimento; non lavori gravi, interminabili, troppo veristi; non gaie commedie snelle, vibranti di spirito e di attualità; non riproduzione di ferocia, né delicatezza di esecuzione; non angoscia e non giocondità. Che dunque? Il teatro italiano, per fortuna nostra e dell’arte, non si riduce al roseo amore delicato di Fiora infelice ed alla rossa vendetta aguzzina di Giannetto implacabile; ed il glorificato valore della nobile falange dei nostri attori non si deve riassumere nel pavido cachinno di Tempesti e nella dolce morte della Piano. Ma pare che il nostro pubblico non la pensi così; ed a nostro conforto non rimane che il diritto … di ridere perché, secondo il felice insegnamento di un fine umorista, vi sono anche diverse maniere di … piangere”. L’anno si chiude con una serata patriottica data dalla Compagnia Piemontese Felix-Arduino-Zan con Da Adua a Bengasi, episodio della guerra italo-turca, scritto espressamente per la compagnia dal rag. Cleto Bessone di Ovada, e con il lavoro comico La breccia di Porta Pia di C. Gasea. Nel gennaio del 1912 Acqui assiste, “tra le prime della penisola”86, alla rappresentazione della Rosmunda di Sem Benelli, inscenata dagli attori della Premiére di Milano Irma Gramatica, Gualtiero Tumiati e Giulio Tempesti. Un lungo articolo ne “La Gazzetta d’Acqui” del 20-21 gennaio, n. 3, elogia la grande attrice, “che ha dedicato tutto il poderoso ingegno alla severità della vocazione artistica, alla interpretazione di potenti lavori drammatici, alla speranza di comunicar alla folla i più cupi dolori che si possano abbattere, con bieca furia, sull’anima femminile”, abbandonando così la strada delle “felici protagoniste sgambettanti nelle troppo … facili e troppo fortunate commediole francesi”. 86 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 gennaio 1912, n. 4. 207 GLI ARTISTI GUALTIERO TUMIATI Nato a Ferrara l’8 maggio 1876, aveva frequentato le lezioni di recitazione di Luigi Rasi al Collegio delle Querce di Firenze; laureatosi in legge e dedicatosi alla professione forense, l’abbandonò definitivamente per entrare nella Compagnia Stabile del Teatro Argentina di Roma nel 1905; ritenuto dal Boutet inetto a calcare le scene, entrò come ultimo “generico” nella compagnia di Alfredo De Sanctis, poi nella “Grandi Spettacoli” diretta da A. Maggi, dove il Tumiati si rivelò; dopo esser entrato nella Maggi-Bagni-TumiatiMazzanti-Teglio, e nuovamente nella Compagnia stabile del Teatro Argentina, divenne capocomico di diverse compagnie. R.Br. Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp. 1527-1529. L’opera del Benelli viene giudicata col massimo favore, “per il prezioso valore dei singoli interpreti e per il mirabile affiatamento della intera compagnia benelliana”87. Oltre ad Irma Gramatica e Giulio Tempesti, componeva la compagnia Gualtiero Tumiati. Alla compagnia di Benelli segue la Compagnia Napoletana Melidoni, “che per quanto poco napoletana e per niente italiana” ha “il potere di richiamare in teatro moltissimo pubblico”.88 Dopo alcune fortunate recite delle compagnie Lauri-Ronzi, Vitti e Bonaccioni, una gran folla assiste a due rappresentazioni della compagnia GemelliCasaleggio con Borgheide, rivista satirico-umoristica ideata da Corvetto e De Maria: “nutritissimi applausi artistici e patriottici”89 e innumerevoli repliche dell’entraînant Inno a Tripoli. Nel mese di giugno il pubblico può assistere ad uno spettacolo d’opera lirica con la Norma: dopo un inizio con qualche inconveniente, lo spettacolo migliora e raccoglie il consenso di pubblico e critica, grazie anche al valore di Franca Impallinati, di Dorina Tomas e di Mario Pelizzari. Segue la compagnia “La Sociale”, che diverte il pubblico con le novità operettistiche La vedova allegra, Eva e Il conte di Lussemburgo di F. Lehár, andato in scena frettolosamente per un ritardo nell’arrivo dei costumi, Le manovre d’autunno di E. Kálmán, La bella Risette di L. Fall, replicata infinite volte al Politeama Genovese. A fine luglio gli acquesi assistono ad “un Don Pasquale di lusso”90, con una Luisa Cortesi impareggiabile, e ad un buon Barbiere di Siviglia. A metà agosto giunge la compagnia d’operette Vannutelli: “Grande era l’aspettativa; lodevole fu la cura posta nel mantenere ogni promessa; confortante è stato l’esito perché il pubblico non ha defezionato, e sebbene non siasi sbracciato in applausi, ha dimostrato di saper ammirare senza rumori”91; applaudita l’esecuzione delle opere Il milionario accattone e La vedova allegra di F. Lehár, Amor di 208 87 “La 88 “La 89 “La 90 “La 91 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 febbraio 1912, n. 5. Bollente” del 25 aprile 1912, n. 17. Gazzetta d’Acqui” del 1-2 giugno 1912, n. 22. Gazzetta d’Acqui” del 27-28 luglio 1912, n. 30. Gazzetta d’Acqui” del 17-18 agosto 1912, n. 33. IL TEATRO E LA CITTÀ UN CONCERTO AL GARIBALDI DEL M° ANGELO BISOTTI, Il “Garibaldi” fu teatro ma, ovviamente anche sala da concerto: vi si esibirono solisti dei più svariati strumenti, la banda , i cori, i complessi di camera, le orchestre. Dovendo scegliere, abbiamo selezionato i concerti “più acquesi”. E tale fu quello recensito da“La Bollente”, sul numero del 13 gennaio 1913, che vide protagonista al Politeama Garibaldi, Angelo Bisotti, il successore del Battioni. Nato a Monticelli d’Ongina nel 1877, compiuta la propria formazione come allievo interno della Regia Scuola di musica di Parma (studi con Lodovico Mantovani), fu primo violino al Teatro Ponchielli di Cremona suonando successivamente in Brasile, Argentina, Spagna, Portogallo, Inghilterra; tornato in Italia diresse a San Remo (1909), città in cui tornò negli anni Trenta e in cui si spense nel 1956. Nel dicembre 1912 vinse il concorso per direttore e insegnante della Scuola municipale di musica di Acqui, dove rifondò la sezione corale. Sciolta la banda all’inizio della guerra del 1915, allestì e diresse la fanfara dell’orfanotrofio. Riordinò l’orchestra della città, che diresse in molti concerti, facendosi anche udire come solista e compositore. Ma facciamoci guidare dalla stampa del tempo: “Venuto da poco tempo a reggere il governo della Municipale scuola di Musica, lo si vide sedere modestamente al nostro teatro e suonare al cenno del direttore d’orchestra: era cosa naturale che pochi o nessuno sapessero chi egli fosse, né qual valore egli avesse ma, a ciò pregato, salì sulla scena ed obbligò la cittadinanza, non con lo sventolio dei titoli accademici, ma col suo strumento, a riconoscerlo quale egli è: un concertista”. E il recensore, che ascolta il Mosè, ad una sola corda di Paganini, narra di un “impeccabile, perfetto esecutore...la passionalità, la sicurezza dell’arcata non venne mai meno...”. Qualche mese dopo un altro concerto – pro Colonia Alpina e Marina - organizzata dal Direttore dell’Officina Vetraria, sig. Spasciani, suocero di Franco Ghione. Salgono alla ribalta anche Maria Spasciani (nelle vesti di soprano leggero e In questa pagina due immagini tratte dal cartoncino di invito al concerto di beneficenza tenutosi al di pianista) Teatro Garibaldi il 9 marzo 1920. e la signorina Eugenia Montecucchi, sorella del tenore). Bisotti dirige un “sestetto acquese” nella fantasia del Rigoletto (“esecuzione inappuntabile” riferisce il recensore Tulipano: sarà mica Flaminio Toso?), poi si esibisce come solista. “Il teatro si raccoglie nel più assoluto silenzio…Il pubblico conosce ormai il suo esecutore e ammutolisce allorchè il Virtuoso si accinge a lanciare col suo violino [in programma Duetto per violino, del Ferrari, e Danza Ungherese, accompagnamento pianistico affidato al M° Gemignani] l’onda maliarda che accarezza e conquide”. E proprio ad una successiva edizione del concerto benefico si riferisce la cartolina che riproduciamo, del 1920, che con il violoncellista Giovanni Ghione (fratello di Franco) coinvolge il pianista Giovanni Ivaldi, fratello dell’impresario Luigi. G.Sa. Cfr. anche Il violinista Angelo Bisotti, maestro della scuola municipale acquese, direttore di coro e di banda (a volte nella tempesta) in “Corale Città di Acqui Terme”, XVIII n. 2, 2003. GLI ARTISTI UN’ATTRICE ACQUESE: NINA IVALDI Nel 1914 giunge al Garibaldi la compagnia del cav. Marchetti, con la “prima attrice” Nina Ivaldi. F. Giuseppina (Nina) Lucrezia Ivaldi era nata ad Acqui Terme l’11 novembre 1894, ed era figlia dell’impresario Luigi Ivaldi. Già apprezzata dal pubblico acquese come dilettante, nel 1911 viene affidata dal padre, coll’appoggio del cav. Ricardi, alla primaria compagnia drammatica Butera92, prima di passare nella compagnia O. Calabresi per il triennio 1912-1913-191493. Nel marzo del 1914 è a Varese “prima attrice” a vicenda con l’altra attrice Egloga Calindri, nella compagnia del cav. Marchetti, applaudita ed ammirata nella parte di Mistress Clarkon ne La straniera di Dumas figlio. Il cronista de “La Bollente” del 16 aprile 1914, n. 16, riporta un breve articolo apparso sul giornale “Il cacciatore delle Alpi” di Varese: “Della signorina Nina Ivaldi si può dire, con piena sicurezza, ch’è diventata il beniamino del pubblico. Le sue doti sono universalmente apprezzate e lodate. Personificazione irreprensibile dei soggetti, sicurezza dei movimenti, maestria di scena, limpida dizione, sono attributi che in lei possiamo ammirare ogni sera, e che la condurranno presto a clamorosi successi”. Nel maggio del 1914 la compagnia, di passaggio per recarsi all’Alfieri di Asti, giunge ad Acqui, debuttando con La straniera, seguita da L’amore veglia di G. de Caillavet e R. de Flers, Il viluppo di Lopez, Bufere sempre di Lopez nella serata della Ivaldi e Addio giovinezza, scritto per la Ivaldi da Oxilia e Camasio, nella serata della Calindri. Su Nina Ivaldi scrive il cronista de “La Bollente” del 28 maggio 1914, n. 22: “(…) non avremmo mai osato credere che essa avrebbe corso tanto. La buona, la cara, la gentile bambina – perché tale era due anni addietro – non prese sul serio le lodi immeritate e studiò sul serio e recitò con passione, e progredì di giorno in giorno recando lo stupore tra gli stessi suoi maestri: ed oggi la piccola Nina è diventata la signorina Ivaldi Attrice, ma ottima, ma coscienziosa, ma castigata, ma fine attrice, dicitrice chiara dalle intonazioni squisite resele meno difficili dalla bella, armoniosa voce ch’essa possiede. Se tutto ciò può sembrare iperbolico a quanti non hanno udito la Ivaldi recitare, a convincerli del nostro asserto chiuderemo con una dichiarazione che non teme smentita: nella storia del teatro di prosa non si verificò mai che una dilettante la quale non abbia recitato che una sola volta – a soli 18 anni – la Ivaldi deve compiere ancora il suo diciannovesimo94- dopo soli due anni d’arte, sia riuscita a recitare parti della importanza di Mistress Clakerson in La Straniera e tanto meno di quella Maddalena in Viluppo, e tutto ciò sotto una direzione rigida, intransigente come quella del Cav. Marchetti”. 92 “La Gazzetta d’Acqui” del 11-12 marzo 1911, n. 10. 93 “La Bollente” del 5 gennaio 1911, n. 1. 94 In realtà li aveva già compiuti nel novembre 1913. Ne “La Gazzetta d’Acqui del 30-31 marzo 1914, n. 22, si legge: “Diciamo subito che quella giovinetta, non ancora ventenne, ci ha sorpresi: l’avevamo sentita qualche anno fa come dilettante, ne avevamo formulati i più lieti pronostici, ma ora in sì poco tempo l’essersi affermata come una vera artista, ci ha riempito l’animo di meraviglia. Intelligente, piena di grazia, con una mimica tutto fascino, col gesto signorilmente studiato, coll’atteggiamento naturale questa giovinetta dimostra di sentire realmente la parte che rappresenta, dimostra di possedere elette qualità che le permettono di poter salire su in alto nel mondo teatrale, rendendosi degna di salutarla ben presto, una ètoile del nucleo artistico che onora l’arte italiana”. Nell’agosto dello stesso anno la Ivaldi è “prima attrice” della compagnia De Sanctis accanto a Silvio Rizzi95, che sposerà l’anno successivo: la compagnia debutta con Facciamo divorzio di Sardou, e mette in scena, oltre a Il pagliaccio, del diciannovenne Riccardo Spasciani, lavori di D’Annunzio, di Sem Benelli, e dei concittadini Alessandro Cassone e Giuseppe Marenco. Nel dicembre del 1915 è ad Acqui con la compagnia Bertea-Ivaldi-Rizzi per una sola recita de La piccola cioccolataia di P. Gavault. Dopo due recite di beneficenza date nel 1917, con Mario e Maria di Sebastiano Lopez e Scampolo di Niccodemi, insieme ai filodrammatici acquesi, nel settembre del 1919 l’artista viene applaudita dal pubblico del Garibaldi nella parte di Dorina in Addio giovinezza, ne La piccola cioccolataia e La via del Paradiso: “Più la sentiamo, più ci appare d’una forma artisticamente completa. La commedia moderna, il così detto teatro amaro, paradossale, alla Chiarelli, alla Adami, alla Nicodemi, alla Pirandello, alla Fraccaroli, ha in lei l’interprete più chiara, più sicura, più naturale, così, per dote congenita, per virtù normale; è facile profezia il suo splendido avvenire artistico”96. Il giornalista de “Il Risveglio cittadino” dà notizia “del ruolo primario che Le è destinato presso la novissima Compagnia d’arte Stabile di Milano, che il geniale Mateldi, con grandiosi intendimenti artistici, ha testè formato, sotto gli auspici di una Società di Capitalisti milanesi”97. Nina Ivaldi, “già attrice di ruolo primario con Emma Gramatica, Virginia Reiter, Virgilio Talli, Giuseppe Sichel”98, torna al Garibaldi nel 1921 con la compagnia Rocca99-Cocco-Ivaldi, compagnia “che riassume la miglior parte della gioventù italiana militante sul palcoscenico”100. La troviamo in Acqui per l’ultima volta nel 1923 con la compagnia Rocca-Ivaldi, compagnia formata per un rapido giro in tutta Italia col dramma L’Indemoniata di K. Schönherr. Il cronista de “Il Giornale d’Acqui” elogia l’attrice: “Dell’Indemoniata, la nostra concittadina Franca Ivaldi ha fatto una vera creazione, suscitando entusiasmo tra i più scelti pubblici dell’Italia alta e meridionale, ove la Compagnia agì finora. (…) A due sole prime attrici ha affidato la sua Indemoniata, K. Schoenkerr [sic]: Emma Gramatica e Franca Ivaldi”101. R.Br. 95 Silvio Rizzi era nato a Varese il 21 marzo 1884. 96 “Il Risveglio cittadino” del 13 settembre 1919, n. 37. 97 “Il Risveglio cittadino” del 6 settembre 1919, n. 36. 98 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 ottobre 1921, n. 43. 99 Nina Ivaldi sposerà in seconde nozze Alessandro Rocca. 100 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 ottobre 1921, n. 43. 101 “Il Giornale d’Acqui” del 29-30 settembre 1923, n. 19. principi di C. Lombardo, La reginetta delle rose di R. Leoncavallo. A fine agosto un grande numero di spettatori accoglie la Compagnia Napoletana Bonnito-Franco, divertito per “la spigliatezza del vernacolo” e “la bella dizione degli attori”102. L’anno si chiude con alcuni spettacoli della compagnia marionettistica Bottino e D’Oria, con una buona messa in scena della Lucia di Lammermoor e con il varietà della troupe Nelson le Follet. A partire dal 1912 le cronache teatrali dei periodici si fanno sempre più scarse e brevi. IL KURSAAL Il Kursaal all’inizio del secolo. Collezione privata. 212 Con un teatro come il Garibaldi, considerato inadeguato, esteticamente osceno e situato in una località infelice per la vicinanza della strada ferrata, è naturale che nella cittadinanza acquese nasca il desiderio di dotare la città di un nuovo edificio teatrale, che corrisponda all’importanza e alla dignità di questa stazione termale. In una lettera pubblicata su “La Gazzetta”, il giornalista Franco Cazzulini propone due possibili aree di erezione: “In via principale l’area sopra cui oggi sorgono gli antiestetici caseggiati e muri di cinta dell’Economato Civico, che fanno angolo con via Nizza e piazza Umberto I. (…) In via subordinata, l’area occupata dal palazzo dei fratelli Beccaro, e che ha la sua fronte principale verso il Corso Dante e i lati verso Corso Cavour e via Cesare Battisti”103. Nel numero successivo troviamo 102 “La Bollente” del 28 agosto 1912, n. 35. 103 “La Gazzetta d’Acqui” dell’10-11 settembre 1921, n. 37. un’altra proposta di un concittadino, che suggerisce di costruire il teatro, attraverso una sottoscrizione a base di azioni, nell’area “prospiciente il palazzo, cosiddetto Valbusa e cioè nella casa dell’ing. Caratti, con ingresso dal lato dell’asilo”104. Oltre il teatro, nella prospettiva di lavori di miglioramento degli stabilimenti termali, era evidente la necessità di avere una casa da gioco, che avrebbe garantito maggiori clienti e un notevole afflusso di denaro, come avveniva in altri importanti centri termali. A partire dal 1912 sono diverse le offerte ed i tentativi di edificare un casinò municipale, nessuno andato a buon fine. Il 31 maggio del 1919 viene accettato e ufficializzato il progetto Fezzardi105: il Teatro Casino Municipale si inaugura il 28 giugno, nella sede provvisoria dell’ex Albergo Valentino, con un riuscitissimo Barbiere di Siviglia, seguito dal Don Pasquale; in seguito viene trasferito nei locali dell’albergo Nazionale, “ad una distanza sufficiente dagli stabilimenti in modo che le serate e i divertimenti non potessero disturbare la clientela venuta ad Acqui per riposare e curarsi”106. È proprio su quest’area, dopo l’abbattimento dell’albergo, che sorge in soli 100 giorni il nuovo teatro estivo Kursaal, su proposta del proprietario Severino Rancati di Milano e progettato dall’architetto Italo Travecchia. Questa la descrizione dell’edificio ne “Il Giornale d’Acqui” del 14-15 luglio 1923, n. 28: “(…) oltre alla pregevole architettura della facciata, in finta pietra di Breno, mette in rilievo, nell’interno, una graziosa serie di artistiche decorazioni in stucco in stile orientale di squisita fattura. Ne furono menti creatrici e direttive i giovani artisti Ugo Orelli e Franco Cerutti, formanti quella ditta Milanese, che fu pure assuntrice ed esecutrice dei superbi lavori del Regio Stabilimento Berberi in Salsomaggiore, che accesero a ben 60 milioni di lire. Ma se l’edificio è già imponente per la ricchezza delle sue artistiche decorazioni, l’arredamento è propriamente d’un lusso sibaritico, di guisa che il Kursaal, che si erge maestoso nella conca verde delle nostre Terme, sarà, senza dubbio, il più grazioso e signorilmente elegante ritrovo della città”. 104 “La Gazzetta d’Acqui” del 17-18 settembre 1921 n. 38. 105 R. CARTOSIO, Le Terme di Acqui dalla fine dell’Ottocento alla II Guerra Mondiale, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Gian Carlo Jocteau, a.a. 1998-99, pp. 101-104. 106 Ibidem, p. 104. 213 La sala interna del Kursaal. Fotografia tratta dal volume di Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004. 214 La direzione è affidata dapprima a Luigi Ivaldi, “impresario teatrale di indiscussa competenza”107, dal 1924 all’impresa del cavalier Papi e Oronte, al signor Giuseppe Tavano di Milano a partire dal 1926, dal 1931 al cav. Ciarlone, gerente a Torino il Bar Caffè Ambrosio. Il teatro viene inaugurato il 9 luglio 1923108 dalla compagnia di riviste Rota-Donati, seguita a pochi giorni da quella di operette Lombardo n. 1. Nel frattempo continuano i lavori di abbellimento del locale, dotato di uno sfarzoso impianto elettrico di oltre mille lampadine eseguito dalla Ditta Regis Primo di Milano. Gli spettacoli di varietà si susseguono e mutano seralmente, davanti ad un pubblico sempre numeroso, e terminano all’inizio di settembre con la serata della Titina, reduce da Parigi. Nel luglio del 1925 debutta la compagnia di Achille Maieroni: il teatro si affolla per assistere a Il Cardinale di Parker, Il ratto delle Sabine di F. e P. von Schöntan, alla novità Maestro Landi di G. Forzano e F. Paolieri, Enrico IV di Pirandello, La morte civile di Giacometti nella serata di Maieroni, Cirano di Bergerac di Rostand ed Otello. A fine agosto, nonostante l’indisposizione di Tilda Teldi, le insistenze del signor Papi e del suo collaboratore Tassini inducono la diva a venire ad Acqui: il successo è grande e raggiunge il culmine nella serata della Teldi con La fiammata di Henry Kistemaeckers. Nel 1926, dopo alcune recite della compagnia Tina Paternò-Remo Lotti, torna Maieroni debuttando con Parodi e C. di S. Lopez, replicata, e riconfermando con Il Cardinale di Parker “le sue ottime qualità di interprete perfetto, finissimo dicitore, le cui virtuosità acquistano rilievo da una felicissima euritmia di toni vocali e di presenza fisica, rari attributi in chi calza il coturno”109. Se il pubblico diserta il teatro con 107 “Il Giornale d’Acqui” del 14-15 luglio 1923, n. 28. 108 Negli anni successivi gli spettacoli, costituiti da rappresentazioni teatrali, varietà, serate danzanti e concerti, inizieranno generalmente verso la fine di giugno. 109 “Il Giornale d’Acqui” del 3-4 luglio 1926, n. 27. la compagnia degli Arcimboldi, torna ad affollarlo con la compagnia di Riviste Rota, riviste che “sono quanto di più felice si possa attendere”110, seguita dalla compagnia di spettacoli artistici di fantasia Mario Molasso. A fine agosto torna, dopo anni, il comm. Casaleggio “con il brioso programma di vita paesana piemontese”111: la compagnia, “un tutto armonico più unico che raro, del genere dialettale”112, diverte “con la precisione nell’interpretazione dell’anima piemontese, specialmente torinese”113. Chiudono la stagione poche recite di Giulio Tempesti e della sua compagnia. Nel 1927 il Kursaal si apre con la Compagnia Drammatica del grand’uff. Gustavo Salvini che debutta con Papà Lebounard di J. Aicard; seguono poche recite di diverse compagnie: la Compagnia Italiana di Riviste diretta da Ernesto Corsaro, la Gnocco Ermelli, la compagnia Veneta diretta da Cesco Baseggio, la Compagnia Veneziana del cav. uff. C. Micheluzzi, apprezzata per lo studio preciso del dialogo e del recitativo, e per “un accurato sceneggiamento in armonia con l’eleganza di toilettes dei singoli artisti”114, ed infine la compagnia Amedeo Amedei. Negli anni 1928 e 1929 il Kursaal rimane chiuso, probabilmente per le perdite di gestione delle imprese precedenti, e riaprirà nel 1930 dopo l’acquisto da parte del Comune, entrando a far parte del programma di rilancio delle Terme gestito dalla Società Anonima Terme di Acqui di Ambrogio Michetti115. Dopo l’inaugurazione con Il barbiere di Siviglia, un folto pubblico assiste alla rappresentazione del Carro di Tespi con La figlia di Iorio di D’Annunzio, eseguita nel piazzale antistante il teatro. Grande entusiasmo suscitano le recite della “Compagnia di Riviste Club dei 20”, e le rappresentazioni della compagnia Aurora diretta da Gino Bossi, ammirata per l’eleganza nei costumi e per le sceneggiatu- 110 “Il Giornale d’Acqui” del 7-8 agosto 1926, n. 32. 111 “Il Giornale d’Acqui” del 21-22 agosto 1926, n. 34. 112 “Il Giornale d’Acqui” del 28-29 agosto 1926, n. 35. 113 Ibidem. 114 “Il Giornale d’Acqui” del 13-14 agosto 1927, n. 33. 115 R. CARTOSIO, op. cit., p. 107, nota 115. Esterno del Kursaal all’inizio del secolo. Collezione privata. 215 re. La stagione termina, grazie all’intervento di Luigi Ivaldi, con un ottimo Don Pasquale con artisti di cartello: il soprano Paola Guerra, il baritono della Scala cav. Gaetano Modellato, il basso comico Amilcare Peretti ed il tenore Armando Gianotti. Nel 1931, dopo una recita di dilettanti, il pubblico assiste alla messa in scena di Re Burlone di Rovetta, eseguito nel piazzale dal Carro di Tespi, e ad una sola rappresentazione della Compagnia Italiana Teatro Nostro con Le liane di G. Rocca; in seguito i periodici non registrano spettacoli116 fino al 1935, quando il 6 di giugno viene inaugurato il Cinema Kursaal, con impresa e direzione tecnica affidata al maestro Giovanni Ivaldi, figlio dell’impresario Luigi. Nella stagione estiva del 1936 giunge al Kursaal la Compagnia Comica diretta da Riccardo Tassani. La compagnia esordisce con Qui sotto c’è qualcosa di Arnold: se nel primo atto dell’opera il complesso degli artisti lascia perplesso il cronista de “Il Giornale d’Acqui” “sulle doti artistiche che si richiedono nell’interpretazione di lavori cosiddetti di spirito, a situazioni di doppio significato, quali sono generalmente le commedie francesi”117, negli atti successivi suscita una migliore impressione; una favorevole accoglienza ottengono le messe in scena di Il paradiso sotto chiave di Hennequin e Notti a Hollywood di Luciani. Seguono poche recite della compagnia Melnati e della compagnia di Commedie Musicali Germana Paolieri diretta dal cav. Gino Bianchi. Nel maggio 1937 l’Amministrazione delle Terme inizia alcuni lavori al teatro (“Il Giornale d’Acqui” del 19 giugno 1937, n. 25): La jazz band di Giovanni Ivaldi, figlio dell’impresario Luigi e fratello dell’attrice Nina. Collezione privata. 216 “I lavori, che hanno tenuto occupato decine di muratori, pittori, elettricisti per circa due mesi, in una intensa attività, sotto la sagace direzione dell’Ing. Quattrocchi, sono consistiti in opere di consolidamento e di trasformazione. I primi per assicurare la statica del fabbricato seriamente minata da palese 116 “Il Giornale d’Acqui” registra solo due concerti dati a fine settembre 1934. 117 “Il Giornale d’Acqui” del 25 luglio 1936, n. 30. schiacciamento delle murature e per ottenere la completa utilizzazione del salone al 1° piano, il cui solaio a pavimento non presentava alcuna garanzia di resistenza. I secondi per conferire alla sala al pian terreno un più spiccato carattere di ritrovo estivo sia diurno che serale. Opportunamente stabilizzate le strutture portanti di muri e solai, si è voluto una più intima comunicazione tra le due sale al pian terreno, demolendo il muro divisorio e sostituendolo con piastrelle di cemento armato così da creare quasi un unico salone di m 17 x 20. Le trasformazioni hanno anche interessato il muro di prospetto, in cui sono stati ricavati quattro grandi accessi muniti di vetrine a quattro ante. La decorazione del nuovo salone è stata resa più sobria di quanto non fosse prima e quindi più rispondente alla concezione moderna. Motivi decorativi originali sono affidati agli impianti di illuminazione completamente rinnovati ed ai tendaggi che rappresentano quanto di più moderno può riscontrarsi nei migliori locali. Anche il palcoscenico ha subito non lievi modificazioni, nel senso che venne allungato ed ampliato per ottenere una maggiore capacità per i vari spettacoli che si succederanno durante la stagione.(…) E come abbiamo annunciato, l’elegante ambiente sarà allietato dalle melodie della rinomata orchestra Prof. Filippini, e dalla robusta voce del celebre tenore Masseglia, che, ogni sera, ci farà gustare in armonia con i più scelti e moderni ballabili, i più delicati motivi lirici, per rendere sempre più attraenti e gioconde le serate”. Il teatro viene inaugurato con il famoso trio Sorelle Lescano. Nel mese di agosto si tengono al Kursaal delle audizioni liriche per scegliere i cantanti per le sei opere da eseguire al Municipale di Alessandria, audizioni terminate con un grande concerto alla presenza di S.A.R. Duca di Bergamo; lo stesso avviene l’anno successivo, insieme ai soliti spettacoli di varietà. Negli anni successivi le proiezioni cinematografiche prendono il sopravvento: il Kursaal118 continuerà a funzionare come cinema fino alla fine degli anni Cinquanta, e verrà demolito negli anni ’70. 118 Dal 1941 compare nei periodici con il nome Teatro Diana. 217 IL CINEMA E IL PROBLEMA DEL TEATRO AD ACQUI È nell’agosto del 1897 che gli acquesi possono assistere per la prima volta alle proiezioni del cinematografo Lumière, nel teatrino d’oltre Bormida119. Nel 1906 si inaugura un cinematografo al Caffè Nuove Terme120; nel 1907 si installa al Garibaldi il Grande Cinematografo The United121, e le proiezioni si alterneranno alle rappresentazioni, con le prime che prenderanno il sopravvento sulle seconde; nel 1908 si registrano spettacoli cinematografici anche al Teatrino Vecchie Terme. Il primo cinema moderno e stabile è quello del sig. Timossi, inaugurato nel gennaio del 1908 nella sua casa in via Cassini122. Il locale è piccolo, ed il numero dei frequentatori è così alto che nel 1914 il proprietario si vede costretto a modificarlo. Da “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 ottobre 1914, n. 41: “Un elegante ingresso si apre sulla via Cassini e immette in un vasto atrio d’aspetto diviso in due sezioni da una elegante cancellata in ferro sormontata da intelaiatura a vetri colorati; la sala delle proiezioni capace di settecento posti a sedere è ampia ed alta avente nello sfondo una elegante tribuna dei posti distinti. La volta è decorata sfarzosamente a stucchi con tinte delicate; nella parete destinata allo schermo si apre un ampio quadro riccamente incorniciato in stoffa e sormontato da stucchi di buona fattura. L’impressione che si riceve entrando è quella che si ha mettendo il piede in un vero teatro, in cui non vi è particolare che non sia indovinato, che non abbia sapore di eleganza, che non corrisponda ad una comodità per il pubblico. Alla galleria si accede per due ampie e comode scale, e dal salone si esce per due ampie porte che immettono in Via Dabormida indipendenti dalle entrate, di modo che è assicurato uno sfollamento rapido e pronto in qualunque caso. Particolare notevole tutte le opere di decorazione e di arredamento sono eseguite dallo stesso proprietario sig. Timossi Enrico”. 218 119 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 agosto 1897, n. 34. 120 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 giugno 1906, n. 22. 121 “La Gazzetta d’Acqui” del 16-17 novembre 1907, n. 46. 122 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 gennaio 1908, n. 3. Il salone si prestava, oltre che per le proiezioni, anche per riunioni, conferenze e per serate di varietà; viene trasformato in teatrino nel 1930, con la costruzione di un comodo ed elegantissimo palco e la scelta degli spettacoli affidata a Luigi Ivaldi123: ad inaugurarlo è la compagnia Lina Patroni con le novità Baciatemi di M. Guison, Madonna Oretta di Forzano e La figlia ballerina di Bach, seguita dalla troupe di Fustelli e dalla compagnia diretta da Amilcare Rumor. Nel marzo del 1932 giunge la compagnia Rina Nardi-Cav. Pizzicati, nota col titolo Gruppo di propaganda artististica, ottenendo un grande successo. Nel 1933 il Timossi diventa Cinema Battisti, elegantemente rimodernato dall’architetto Aldo Morbelli124. Nel frattempo erano nati altri cinema: il cinema Splendor (agosto 1910), il cinema Barisone in piazza Umberto I (1914), in cui si svolgono anche spettacoli di varietà, il cinema Centrale in p.za della Bollente, inaugurato nel 1923 e decorato “in puro stile Luigi XVI”125. Con l’avvento dei cinematografi, il pubblico diserta sempre di più gli spettacoli teatrali: una statistica sui divertimenti apparsa ne “Il Giornale d’Acqui” del 1935 rivela che gli italiani preferiscono il cinema al teatro ed allo sport, e tra gli spettacoli teatrali prediligono l’operetta: “È una vergogna”, commenta il giornalista, aggiungendo che “Acqui è sicuramente, prima tra le città cinematografiche, in punta di coda di quelle teatrali e sportofile”126. Dalla fine degli anni ’20 nei periodici locali si dibatte la questione del problema del teatro in Acqui: “Lo stato di disagio in cui, pur troppo, si è sempre trovato (il teatro Garibaldi), o per incuria dei proprietari o delle passate Amministrazioni, deve ormai scomparire”. Nel 1928 il Garibaldi era stato rimesso a nuovo, dotandolo delle migliori comodità a cominciare dai palchi, con un impianto elettrico a tre luci per gli effetti scenici, installato dal personale del Carlo Felice di Genova e con un nuovo velario in velluto cremisi: ma gli sforzi della nuova impresa De Leidi, succeduta a quella di Luigi Ivaldi, non erano serviti a rialzarne le sorti. Una delle cause della crisi si individua nel prezzo troppo alto degli spettacoli, “Il Giornale d’Acqui” del 25-26 agosto 1928 n. 35. osserva: L’ultima macchina per proiezioni del Cinema Teatro Garibaldi. 123 “Il 124 “Il 125 “Il 126 “Il “(…) come si possono pretendere buoni spettacoli ed a miti prezzi, specialmente per le classi meno abbienti, quando la cittadinanza si disinteressa del teatro, non lo frequenta, preferendo la più umile rappresentazione cinematografica? Quando il teatro non gode di Giornale Giornale Giornale Giornale d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del d’Acqui” del 15-16 marzo 1930, n. 11. 3 novembre 1933, n. 44. 16-17 dicembre 1923, n. 45. 24 agosto 1935, n. 34. 219 IL TEATRO E LA CITTÀ IL MEMORABILE CONCERTO DEL 22 MARZO 1931 FRANCO GHIONE SUL PODIO DEL GARIBALDI II 22 marzo per Acqui fu una giornata doppiamente storica: al mattino fece visita al clero e ai fedeli, una vera e propria folla riunita nella Cattedrale, Padre Agostino Gemelli, Rettore Magnifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in occasione della Giornata Universitaria. Ma, alla sera di quella domenica, l’attesa era tutta per il concerto sinfonico che vide Franco Ghione conduttore dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino. Eccone la recensione curata da Francesco Cazzulini, su “L’Ancora” del 19 marzo 1931. Il grande concerto sinfonico in onore del sommo maestro Franco Ghione e di omaggio alla Città d’Acqui Lapide del Teatro Garibaldi a ricordo del concerto del 22 marzo 1931. Collezione privata Vigorelli. “È alla signorile larghezza del mecenate barone Paolo Mazzonis che la Città d’Acqui deve essere grata e memore per l’avvenimento artistico di prim’ordine di domenica scorsa al Politeama Garibaldi. Mercé la generosità di tanto nobile e munifico signore, l’arte, che Dante diceva essere figlia della natura e nipote di Dio, si è imposta all’uditorio che gremiva il nostro teatro elevando l’anima degli spettatori alle eccelse sfere dello spirito puro. Infatti il magnifico corpo orchestrale del teatro Regio di Torino, sotto l’infallibile direzione del nostro insigne concittadino Maestro Ghione, con la perfetta e divinamente ispirata sinfonia di Beethoven, ha pervaso di fremiti di commozione e di bellezza l’animo dell’uditorio che, estasiato, alla fine del pezzo dell’immortale genio di Bonn, ruppe in una ovazione interminabile. Ma il godimento intellettuale non era che a metà; ed ecco che quattro gioielli del genio di Rossini vengono eseguiti: La scala di seta, fresca e gioconda pagina musicale che non figura nel novero del repertorio comune, è la prima sinfonia ad essere gustata; segue la Cenerentola e L’italiana in Algeri, e chiude il grande concerto sinfonico quella del Guglielmo Tell. Se le esecuzioni delle prime tre sono coronate da applausi nutriti, l’esecuzione della poderosa sinfonia del Guglielmo Tell è addirittura subissata da applausi e da ovazioni, ed in tale scoppio di irrefrenabile entusiasmo pare che in cuor suo l’uditorio dica, ecco il maestro vero, ecco l’artista, ecco il grande. E, francamente, il pubblico così pensando non si sbagliava, poiché nel maestro Franco Ghione vi è indubitabilmente la superiorità umana, la nobiltà della specie, la genialità dell’artista possente. Quando la sua prodigiosa bacchetta, nel suo movimento comunicativo segna il tempo e guida la numerosa famiglia strumentale, è tutta in vibrazione con il di lui animo, e in quel momento, meglio assai della parola dice, e fa dire alla compagnia melodiosa ed armonica tutta la poesia sublime e la bellezza cui l’anima aspira. Il concerto di domenica scorsa è stato una potenza e bellezza d’arte, un volo lirico nei regni dello spirito dove tutto è splendore. In ogni pezzo eseguito e diretto con maestria infallibile era manifesto lo spirito grande e la passione che animavano il Maestro Ghione di far vibrare, fremere, cantare le note, il pensiero e le immagini musicali di Beethoven e di Rossini, ed ecco perché il concerto ha sortito il trionfo ed ha lasciato indelebile un ricordo entusiastico in ogni cuore ed in ogni animo gentile. Ed io, che scrivo, che fui suo compagno di scuola municipale di musica di questa città, diretta dal compianto maestro Battioni, e che sono sempre stato, come sono ora ancora suo amico affezionato ed ammiratore, vorrei strappare oro al sole per fargli una corona tutta bagliore d’oro e di luce, ma questo aureo serto io non posso dargli, glielo darà indubitabilmente, baciandolo in fronte, la gloria luminosa verso la quale rapidamente ascende. alcun sussidio, sprovvisto come è di una orchestra appena discreta e di un coro appena passabile, per affrontare uno spettacolo appena appena decente? Quando bisogna ricorrere altrove o pel pianista, o per violini o violoncello, con l’aggravante, per ciò, di parecchie centinaia di lire di più al giorno di spesa?”. Il problema della mancanza di una buona Scuola di Musica era stato sollevato dai giornali da diversi anni, ma mai risolto per mancanza di fondi. Ecco cosa riferisce “Il Giornale d’Acqui” del 12-13 dicembre 1925, n. 50: “Il problema da affrontare (se veramente si vuol fare opera seria) è il seguente: formazione di buone e complete masse orchestrali e corali (…). L’assenza o quasi di buone masse corali, turba la riuscita della rappresentazione e lascia insoddisfatti anche quando le prime parti siano discrete. Ma gli elementi orchestrali e corali non si improvvisano: occorre formarli e per formarli occorrono mezzi, mezzi e mezzi. Quale il rimedio? L’interessamento di tutti i cittadini e della stessa Amministrazione Comunale. Non invoco certo la costituzione di un Ente apposito come per la Scala venne fatto a suo tempo, perché in Acqui non sarebbe il caso. Ma certo sarebbe desiderabile un più accentuato amore per il teatro dei migliori cittadini e un contributo del Comune per la dotazione del teatro. Accanto all’Impresario poi dovrebbe il Comune mettere una Commissione di tutela del Teatro, formata di quattro o cinque competenti, che approvino in precedenza gli spettacoli, ne stabiliscano le modalità, giudicandone l’opportunità. Con un sistema comodo di abbonamenti, dovrebbe poi essere assicurata al teatro quella frequenza, mancando la quale, ogni sforzo sarebbe vano da parte di qualsiasi impresario”. Riferendosi ad un articolo apparso sul Popolo d’Italia dal titolo “Rinnovare gli edifici teatrali”, il giornalista de “Il Giornale d’Acqui” chiede nuovi interventi al Garibaldi per “renderlo un comodo ed elegante ritrovo”127. Lo stesso baritono acquese Giovanni Novelli scrive a “Il Giornale d’Acqui” lamentandosi che da 30 mesi non si eseguirono che due spettacoli d’opera: “In una città come Acqui, non s’è ancora dato, ed i miei concittadini non hanno ancora potuto godere le melodie d’opere moderne, quali la Tosca, l’Andrea Chénier, la Manon di 127 “Il Giornale d’Acqui” del 1° luglio 1933, n. 26. 221 Puccini ecc.”128; egli insiste perché si stabilisca “una dote, per potere, ogni anno, per la Fiera di S. Caterina, dare almeno sei recite di un’opera mai eseguita in Acqui”129. Ad alcuni cittadini, in definitiva, il cinema non basta. Da “Il Giornale d’Acqui” del 14 settembre 1935, n. 37: “C’è il cinematografo: sta bene. Ma francamente per una città, come Acqui, stazione termale – che vorrebbe dire moderna nei gusti, nelle abitudini e nelle aspirazioni per nutrire anche qualche idealità … artistica – il cinematografo è troppo poco. (…) E, facendo il confronto con altre città inferiori e di minor importanza di Acqui, mi sentii troppo umiliato, constatando la trascuratezza, in cui Acqui, da qualche anno, ha lasciato e lascia il teatro. (…) Ora, io vorrei che i miei concittadini fossero più amanti del teatro, per sentirne ed apprezzarne la grande efficacia morale istruttiva: vorrei che sentissero tutta la nobiltà del sacrificio per mantenere un teatro; sacrificio che si concreta nella piccola somma, che ognuno può bilanciare, per accedere ai vari spettacoli, cooperando così alla nobile gara di avere, se non tutte le sere, almeno per qualche stagione, un corso di rappresentazioni liriche o comiche. Acqui ne guadagnerebbe di prestigio, e i suoi cittadini darebbero la prova di non essere retrogradi o, peggio, apatici ad ogni appello del bello e del buono, gli attributi che tanto distinguono e nobilitano l’animo umano”. Non sono sufficienti neppure gli spettacoli eseguiti alla “Piscina”: “molti liguri, che ad Acqui convengono, (…) per il loro svago approfittano della “Piscina” che, indubbiamente è una geniale bella attrattiva, ma che non può, da sola, costituire l’attrezzatura mondana di una città che, come la nostra, di anno in anno, va maggiormente affermandosi”130. Si fanno proposte, al di là della dote del Comune, per la rinascita del teatro. “Nella mia Treviso”, scrive un figlio di acquesi (“Il Giornale d’Acqui” del 16 luglio 1936, n. 29), “cittadini facoltosi misero una somma a fondo perduto, e così ogni anno, nella ricorrenza di S. Martino, delle corse di cavalli, delle fiere, si danno rappresentazioni di opere nel teatro detto appunto sociale. (…) Meglio ancora sarebbe, se cittadini, giovani, amanti dell’arte, come già si fece (così mi si disse) e 222 128 “Il Giornale d’Acqui” del 17 novembre 1934 n. 46. 129 Ibidem. 130 “Il Giornale d’Acqui” del 28 agosto 1937, n. 35. In un articolo pubblicato ne “Il Giornale d’Acqui” del 25 settembre 1937, n. 39, Roberto Alemanni scrive che la Piscina non era più frequentata con la stessa affluenza notata all’epoca d’apertura. molto bene con ottima riuscita, si mettessero d’accordo per recitare essi stessi, specie nella stagione odierna, in cui forestieri onorano la nostra città”. Il giornalista Franco Cazzulini propone la costruzione di un nuovo teatro, da situarsi nella zona delle piazze Umberto I° e S. Francesco, e da realizzarsi attraverso il mecenatismo, la forma sociale per azioni a fondo perduto o la forma privata131. I giornali riferiscono delle iniziative assunte in diverse città per rilanciare il teatro, come l’Istituzione dell’Accademia degli attori a Roma (“Il Giornale d’Acqui” del 20 giugno 1936, n. 25): “Bragaglia dal canto suo incita i giovani col teatro sperimentale. A Siracusa si sono riprese le rappresentazioni, che attirano in Sicilia molte personalità estere. In tutta Italia è un gran fermento per il nostro caro vecchio ammollato che torna a ringiovanire, ed un desiderio tra i giovani di riuscire a segnalarsi che ci fa veramente onore. Orsù, dunque, cosa facciamo? Vorrà la nostra Acqui dimostrarsi meno borghese e avara? Lei che diede pure il calcio per allontanare il teatro e sostituirlo col cinema, sarà altrettanto svelta nel richiamarlo sulle nostre scene?”. Il Teatro Garibaldi dopo la ristrutturazione del 1941. Collezione privata. Nella stessa vicina Ovada “fu costruito un teatro per servire come tale e fu chiamato ad inaugurarlo nientemeno che Zacconi con la Morte civile di Giacometti e colà si ha intenzione di continuare sulla strada molto bene iniziata”132. L’unico effetto della lunga discussione sul problema del teatro sarà l’esecuzione di lavori di trasformazione interna prima al Kursaal, nel 1937, poi al Garibaldi, nel 1941. 131 Cazzulini rivela di essere stato “interpellato in merito da qualche persona mandataria di chi sarebbe disposto a costruire, in questa città, un teatro per conto proprio ed a proprie spese, sempre quando il Comune di Acqui si renda donatore dell’area occorrente” (“Il Giornale d’Acqui” del 14 agosto 1937, n. 33). 132 “Il Giornale d’Acqui” dell’11 luglio 1936, n. 28. 223 PROGETTO “ITINERARIO ARCHEOLOGICO” NELLA PROVINCIA DI ALESSANDRIA L’Assessorato alla Cultura ha dato avvio ad un progetto interdipartimentale in sinergia con l’Assessorato alla Tutela e Valorizzazione Ambientale, alla Pianificazione Territoriale e con la collaborazione della Regione Piemonte, della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, l’ATL Alexala, i Comuni interessati e le istituzioni e aree archeologiche della Provincia di Alessandria. Il progetto “Itinerario archeologico” è il primo tentativo di dare vita ad una rete museale sul territorio alessandrino con il coordinamento della Provincia e con la collaborazione di diversi partner istituzionali e gli Enti locali. Nell’ambito di questo progetto: • la Provincia ha un ruolo di coordinamento istituzionale, amministrativo, di immagine per una strategia di promozione organica e omogenea e realizzerà la pubblicazione di una guida breve di carattere scientifico e specialistico in collaborazione con la Soprintendenza • la Soprintendenza assume il ruolo di coordinamento tecnico-scientifico del progetto • l’ATL Alexala ha il ruolo di coordinamento promozionale di individuazione, insieme alla Provincia, della strategia di promozione e curerà la realizzazione e la diffusione del materiale divulgativo, promozionale e turistico • gli Enti locali coinvolti nel progetto sono i Comuni di Acqui Terme, Alessandria, Brignano Frascata, Casale Monferrato, Gremiasco, Lu Monferrato, Ovada, Serravalle Scrivia, Tortona che si impegnano a condividere il progetto e a dar vita ad un’azione unitaria e coordinata per creare un sistema con requisiti adeguati e competitivi • i musei e i siti archeologici coinvolti nell’itinerario sono: Siti archeologici urbani di Dertona e Mostra sulla Collezione C. Di Negro Carpani al Museo Civico Archeologico di Tortona Area archeologica del Guardamonte di Gremiasco e Polo Museale di Brignano Frascata Area archeologica di Libarna e area museale di Villa Caffarena di Serravalle Scrivia Museo Paleontologico “G. Maini” di Ovada Acquedotto e piscina romana di Aquae Statiellae e Museo Civico Archeologico di Acqui Terme Cantiere archeologico dello scavo della cattedrale di Piazza Libertà ad Alessandria, Antiquarium di Villa del Foro e Percorsi Museali di Palazzo Cuttica ad Alessandria Sito archeologico Pieve di San Giovanni di Mediliano a Lu Monferrato Sala archeologica del Museo Civico di Casale Monferrato (mostre temporanee a rotazione) Maria Rita Rossa Assessore alla Cultura, Università e Attività Economiche On. Renzo Penna Assessore alla Tutela e Valorizzazione Ambientale recensionirecensioni FULVIO CERVINI E DANIELE SANGUINETI Han tutta l’aria di Paradiso. Gruppi processionali di Anton Maria Maragliano tra Genova e Ovada, Allemandi & C., Torino 2005, pp.127, euro 25. Catalogo della mostra tenutasi ad Ovada, presso la Loggia di San Sebastiano dal 9 aprile al 26 giugno. Dopo la pubblicazione, nel 2003, del catalogo della mostra Tra Belbo e Bormida. Luoghi ed itinerari di un repertorio culturale (a cura di Elena Ragusa e Angelo Torre) e, nel 2004, del volume Tra Romanico e Gotico, impresso in occasione del millenario di San Guido e coordinato da Carlo Prosperi e da Sergio Arditi, il Basso Piemonte mette a segno anche quest’anno un risultato editoriale di fondamentale significato sulla strada che conduce ad una consapevole riscoperta dell’identità. Le macchine “teatrali” di Anton Maria Maragliano La presenza sul territorio di tre gruppi lignei, scolpiti da Anton Maria Maragliano (1664-1739) e dalla sua bottega, ha sollecitato Soprintendenza e Comune di Ovada ad allestire dal 9 aprile al 26 giugno, presso la Loggia di San Sebastiano, la mostra Han tutta l’aria di Paradiso. Cinque le “macchine” processionali - L’apparizione di Gesù Cristo a Santa Consolata della Parrocchiale di Parodi Ligure; La visione di San Giovanni Evangelista a Patmos dell’Oratorio del Suffragio di Ponzone; La Madonna del Rosario della Parrocchiale di Voltaggio; Il martirio di San Giovanni Battista dell’omonimo oratorio ovadese e L’Annunciazione dell’Annunziata, sempre in riva all’Orba, opere per le quali in tempi recenti sono state predisposte attente campagne di consolidamento e restauro riunite e offerte in un sol colpo d’occhio al visitatore. Cinque capolavori dell’arte, della devozione, ma anche “del teatro sacro”, che affonda a ben vedere le sue origini nei secoli del medio evo e nella tradizione della Biblia pauperum. Quella destinata alle persone non colte, agli analfabeti, a chi non ha consuetudine con la scrittura ma cui si può proporre la semplificazione del messaggio dell’immagine. 225 recensionirecensionirecensionirecensioni In fondo, in questi gruppi statuari che colgono sulla scena un momento esemplare della storia sacra, c’è l’evoluzione delle finalità didattiche degli affreschi gotici e tardo gotici che narravano nei quadri simultanei le storie della Passione o quelle della Vita dei Santi, certe volte attingendo ai modelli non solo neo o vetero testamentari, ma anche alle modalità di rappresentazione delle compagnie drammatiche itineranti. Cambiano i materiali, gli stili, si approda ad una visione tridimensionale, ma l’idea che sta alla base delle realizzazioni si può catalogare tranquillamente sotto la denominazione di “teatro sacro”. Le conferme anche dalla terminologia che accompagna i gruppi lignei: questi son chiamati “macchine”, e la denominazione conduce per via diretta a quei dispositivi scenotecnici che nel teatro classico dovevano far comparire la divinità nell’azione. E “macchina” – per ricordare un esempio geograficamente vicino: quello di S. Croce di Bosco Marengo – è anche l’imponente altare (in questo caso vasariano, smembrato nel 1710, ma in cui era “finissima pittura del Giudizio Universale”) che con le Divinità può anche celebrare i suoi augusti rappresentanti sulla terra (nel caso specifico il Pontefice San Pio V). Dunque, anche le “macchine” del Maragliano, che “fan comparire il Paradiso”, racchiudono nel legno le suggestioni di un movimento, di una tensione dinamica che viene solo imprigionata nella scena, che rimane e si amplifica, anzi, nella sua dimensione potenziale (ci sono le torsioni del tronco, dei volti, i gesti colti nel farsi dell’azione, il vento che scompagina i drappeggi...), quasi che i personaggi siano pronti ad animarsi ad un cenno liberatorio dell’intagliatore, che ha scelto per loro queste posture. “La possibilità di orchestrare vere e proprie regie, con personaggi presentati nei loro rassicuranti contesti paradisiaci e con una realistica presenza conferita dalla tridimensionalità e dalla stesura policroma, fu attentamente valutata in tutti i suoi complessi aspetti. Egli sfruttò al massimo ciò che il legno, relegato agli scalini più bassi della gerarchia delle arti per lo scarso pregio, poteva offrire rispetto alla pittura e alla scultura in marmo: la creazione, tramite le potenzialità virtuosistiche in suo possesso, di una realtà non più illusoria, come nelle pale o nei cieli affrescati, ma tangibile e parallela, quella che il popolo cristiano applica, per un’antichissima tradizione di cultura iconica, all’idea di Paradiso popolato da santi e angeli” (Così Daniele Sanguineti, nel suo contributo Il paradiso secondo Maragliano in cinque macchine processionali, che apre l’elegante catalogo). I modi della rappresentazione E dunque, se la cassa processionale diventa palcoscenico, anche la città diventa scenario, in cui i fedeli, riuniti lungo la via in attesa del 226 recensionirecensionirecensionirecensioni passaggio o incolonnati dietro alla croce e ai membri della confraternita, assolvono funzione tanto di personaggi comprimari quanto di pubblico. Pubblico che come a teatro, si riempie gli occhi delle immagini, delle plastiche pose e della tavolozza cromatica. Il libro, con il già ricordato saggio di Sanguineti, porta due contributi di Fulvio Cervini dedicati, il primo, ad un primo censimento del “teatro della scultura“ nell’Oltregiogo e, il secondo, alla storia della tutela di un repertorio plastico a torto giudicato “minore” rispetto alle opere su tela. Tra i meriti del catalogo quello di restituire a pieno, grazie alle fotografie di grande formato della ricca sezione a colori, gli incanti dei “costumi”. E allora il lettore può davvero perdersi – valutando ora gli insiemi, ora i particolari - nel ricostruire un catalogo decorativo che comprende motivi floreali i più svariati, ramages, l’esuberanza della policromia, i lembi ridondanti dei manti, le ricche dorature in foglia, una sorta di “trionfo” ulteriormente ingentilito da gioielli e da broccati e sete. Un teatro, muto di suoni ma eloquente nei gesti e nei colori, altamente spettacolare, cui - da sempre - la città mai fa mancare il suo plauso. GIULIO SARDI 227 recensionirecensionirecensionirecensioni ALDO PASTORE, Donne sul pentagramma. Conversazioni su figure femminili della lirica, Marco Sabatelli Editore, Savona 1999, pp. 373. Molti lettori probabilmente pensano che questo sia un libro per specialisti e studiosi di musica, e se per caso non rientrano in queste due categorie, che non si tratti di una lettura adatta a loro. Ma il sottotitolo dell’opera ne segnala già la reale natura: non un libro specialistico, un pesante saggio per pochi “eletti”, ma una raccolta di “conversazioni”, una chiacchierata informale, ma dai contenuti rigorosi, su più aspetti di un unico tema: la donna, o meglio le donne, dell’opera lirica. Alcune delle protagoniste sono già raffigurate sulla copertina: la Leonora del Fidelio, Sheherazade, l’Arlesiana, Carmen, Bess, Lulù, Turandot, le tre donne del Don Giovanni, la Dama di Picche. Oltre a loro nel libro “sfilano” Lucia di Lammermoor, Azucena del Trovatore di Verdi, Mélisande, Lady Macbeth, Cenerentola, Elvira dei Puritani di Bellini, e altre ancora. Ognuno dei 18 capitoli è dedicato ad un aspetto dell’essere donna, che può essere rappresentato da una o più d’una di queste figure femminili. Fa eccezione la “conversazione” sul Don Giovanni di Mozart, dove si incontrano personaggi assai diversi, ma accomunati dall’interesse che destano o hanno destato nel protagonista dell’opera. Quello che più interessa a Aldo Pastore, probabilmente per “deformazione” professionale (ha esercitato la professione di medico per trent’anni), è la psicologia di queste eroine dell’opera, che a sua volta offre notevoli spunti per comprendere la concezione del mondo non solo di chi ha elaborato i personaggi, ma anche di chi li ha applauditi, e quindi di un’intera società. L’autore di questo libro mette sempre bene in evidenza il percorso che ogni opera ha compiuto, dalle fonti dirette o indirette (tragedie, commedie, romanzi, favole, ecc.), alle contingenze della composizione e della messa in scena, ai rifacimenti non necessariamente solo operistici. Ad esempio, per il personaggio di Cenerentola, protago- 228 recensionirecensionirecensionirecensioni nista dell’omonima opera di Rossini (librettista Ferretti) e del balletto Cinderella di Prokofiev, il confronto passa attraverso Perrault, i fratelli Grimm, e persino il cartone animato della Walt Disney. Delle opere meno note si racconta sempre la trama, seguita da continui, appropriati confronti tra diverse storie e personaggi, accomunati dall’aspetto dell’universo femminile esaminato di volta in volta. Ma, come si diceva, l’interesse di Aldo Pastore supera il momento di analisi dei capolavori operistici: i personaggi hanno per lui anche una vita propria, sono donne, diremmo, in carne ed ossa, proprio in quanto sono entrate nell’immaginario collettivo e parlano oggi anche a noi. Perciò Pastore le fa accomodare sul “lettino dell’analista” e ne mostra tutta la “ricchezza, la complessità, le contraddizioni” (secondo la bella definizione di Sergio Tortarolo, autore della perspicace introduzione). Unico neo di questo stimolante lavoro è la mancanza di una bibliografia finale, sicuramente dovuta al desiderio dell’autore di essere informale. I disegni della copertina, che illustrano anche l’indice e che vanno a formare una galleria di ritratti femminili a introduzione delle “conversazioni” vere e proprie, sono del pittore, illustratore e designer Gianni Venturino. La postfazione è di Giampiero Bof. VALENTINA PISTARINO L’INDICE DEI CAPITOLI La psiche di Lucia e di Azucena nei libretti di S. Cammarano Il mistero di Melisande Lady Macbeth e il delirio del potere L’enigma di Turandot Cenerentola: la vendetta di un angelo Alla ricerca dell’identità dell’Arlesienne L’amara inquietudine di Bess Leonora – Fidelio: l’anelito alla libertà Sheherazade, ovvero l’arte della parola La psicolabilità di Elvira nei Puritani di Bellini Svanilda – Coppelia: la donna bambola Isotta – Tristano: l’amore infinito Dalila – Sansone: odio o amore? Il dramma giocoso dell’esistenza nel Don Giovanni mozartiano Il peccato originale di Manon La Donna di Picche L’incantesimo di Carmen Lulù: tragedia epocale 229 recensionirecensionirecensionirecensioni MARCO FRANCESCO DOLERMO, La costruzione dell’odio. Ebrei, contadini e diocesi di Acqui dall’istituzione del ghetto del 1731 alle violenze del 1799 e del 1848, Silvio Zamorani editore, Torino 2005, pp.202, euro 21. È finalmente in libreria il volume tanto atteso da chi, come lo scrivente, nutre amicizia e stima per Marco Dolermo e ha potuto seguire, almeno in parte, il lungo e travagliato parto di questa opera seria, documentata ed accattivante. Cominciamo dal titolo. Da un colloquio con l’Autore ho appreso che lo stesso è scaturito da una accesa discussione con l’editore e il prefatore Luciano Allegra dell’Università di Torino. Le soluzioni prospettate erano infatti altre due: Assalto al ghetto (scartata per una troppo facile assonanza con il titolo di una nota pellicola western dedicata all’episodio di Fort Apache della guerra tra Messico e Stati Uniti) e Incubazione di un pogrom (scartata, probabilmente, per un problema di anacronismo storiografico in quanto il termine russo pogrom, che si traduce in italiano con “devastazione”, assume il significato di “violenza ai danni di comunità ebraiche” solo a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, in particolare dopo l’assassinio dello zar Alessandro II del 1881). La ricerca di Dolermo si occupa invece di episodi di intolleranza e di violenza che si concentrano in due periodi storici anteriori: il “triennio giacobino” 1796-99 e il 1848 l’anno della “primavera dei popoli”, dello Statuto Albertino, della parificazione giuridica concessa agli ebrei piemontesi. Resta il fatto però che, in ambedue i momenti, il ghetto ebraico acquese venga assaltato e che, sia pure con modalità a “bassa intensità” rispetto ai più conosciuti esempi russi o polacchi (si veda in proposito l’Introduzione di Allegra), gli acquesi e i contadini dei paesi vicini, mettano in atto qualcosa che si avvicina al “tipo ideale” di pogrom. Il titolo prescelto rimanda all’edilizia, ovvero alla “costruzione” di fondamenta strutturali sulle quali si edificano piani successivi coinvolgendo in questo modo nella 230 recensionirecensionirecensionirecensioni narrazione storica i progettisti e coloro che si trovano a vivere nel condominio edificato. I progettisti sono le autorità civili e religiose protagoniste della grande storia, i condomini gli uomini, ebrei e non, che ne vivono le conseguenze sulla loro vita quotidiana. Le fondamenta consistono nella lunga storia del rapporto tra gli ebrei e gli acquesi dalla fine del dominio dei Gonzaga iniziato nel 1533 (nel corso del quale l’originaria comunità ebraica acquese godette di una relativa tranquillità ed integrazione), alla annessione della città al Regno sabaudo del 1714 (dopo la quale si cominciarono ad imporre provvedimenti restrittivi culminati con l’istituzione del ghetto nel 1731), dalla occupazione francese del “triennio giacobino” e dell’età napoleonica (nel corso della quale gli ebrei acquesi, emancipati per la prima volta, furono varie volte colpiti anche perché accusati di “collaborazionismo” con l’invasore) alla Restaurazione (quando la comunità ebraica raggiunse la ragguardevole percentuale del 12% sul totale dei residenti, superando quindi una soglia critica di incidenza demografica) e infine alla concessione dello Statuto Albertino del 1848 (che invece di risultare un momento felice di definitiva conquista della parità di diritti tra ebrei e cristiani, fece da sfondo al momento di maggiore tensione tra gli acquesi e gli abitanti del ghetto cittadino). Una storia fatta di passaggi importanti, che segnano il lento imporsi del moderno stato di diritto sull’ancien regime anche nelle nostre terre. Questo processo è stato oggetto di numerose interpretazioni generali: tra le più celebri senz’altro quelle di Weber e Marx i quali, in maniera prospetticamente differente, collegano la nascita del moderno stato di diritto con l’affermarsi dell’economia di scambio e della razionalità capitalistica; senza dimenticare Sombart e Braudel e il ruolo da questi ultimi assegnato alle minoranze (quella ebraica in particolare) nel fare da avanguardia nell’innesco di tale dinamica. Si può dire che Marco Dolermo raccoglie la lezione di questi grandi studiosi intersecando, nel suo lavoro, storia politica, storia economica e sociologia e applicando tali prospettive storiografiche alle vicende di una comunità ebraica che, soprattutto a partire dall’istituzione del ghetto, diventa sempre più numerosa e attiva sul terreno commerciale e finanziario suscitando, contestualmente, le preoccupazioni ideologico-religiose della curia, le insofferenze dei cittadini e dei contadini colpiti economicamente, le reazioni “pendolari” delle diverse autorità civili succedutesi al governo, in qualche modo “costrette” ad applicare un mix di tolleranza e di repressione rispetto alle istanze di espansionismo civile ed economico provenienti dal ghetto di Piazza Bollente. Emblematica in questo senso è una vicenda riportata nel primo capitolo della ricerca, sulla quale vale la pena di soffermarsi, in 231 recensionirecensionirecensionirecensioni coerenza con l’impostazione monografica di questo numero di Iter dedicato alla storia del teatro nella nostra città. Nel marzo del 1750 il Vescovo di Acqui Maruchi denunciava alla Segreteria di stato di Torino per gli Affari interni il tentativo di un ebreo di aprire sull’esterno del ghetto un locale da caffè, enfatizzando con parole preoccupate “quanto sia perniciosa la troppa famigliarità de’ cristiani cogl’ebrei”. Quattro anni dopo lo stesso Maruchi, dinanzi al ripetersi di episodi di mescolanza tra ebrei e cattolici, rendeva pubblica la sua indignazione con una lettera pastorale nella quale ribadiva la proibizione contenuta nelle Costituzioni Pontificie per qualunque cattolico di “andare a Convitti in Casa d’Ebrei, il mangiare, e bevere con essi sotto qualunque pretesto, e massime delle loro fogaccie, che dicono pane azimo, tanto in casa, come di fuori, il far con essi famigliarità, conventicole, balli, giuochi ed altri divertimenti (…) e tutto ciò sotto pena della Scommunica”. La severità del Vescovo non trova in realtà un riscontro adeguato da parte delle autorità civili; se quelle locali provano a darvi seguito con minacce di provvedimenti severi (una “sonora bastonata”ai malcapitati), quelle della capitale preferiscono “troncare e sopire” suggerendo comportamenti più flessibili e tolleranti. Tale linea di condotta traspare nettamente nel 1782 quando, essendo stato aperto da pochi anni il teatro Borreani in Borgo S. Pietro (in pratica il primo teatro cittadino moderno), il Prefetto di Acqui Burani interpreta correttamente l’orientamento delle autorità torinesi e, a fronte delle numerose richieste di ebrei di poter ottenere la concessione di assistere alle recite, pensa bene di concedere la licenza “soltanto ad un discreto numero di quelli che non danno luogo a sospettar di loro, distribuendo così le sere or agli uni or agli altri, ed escludendo quelli che appena han da vivere e de’ quali si può sospettare, come pure alcuni che son di natura rissosi ed hanno commesse risse e disordini (…) in questa città ed anche nella sinagoga”. D’altro canto risulta documentato che il Borreani, per attuare il suo progetto, chiese un prestito proprio ad un esponente della comunità di Piazza Bollente. L’atteggiamento “bilanciato” del Prefetto usato in questa circostanza è rivelatore di come la comunità ebraica acquese nella seconda metà del XVIII secolo cominci a travalicare i confini fisici del ghetto acquistando proprietà immobiliari all’esterno e a diversificare le attività economiche tradizionali ad essa deputate (rivendita di panni e usura) impegnandosi in settori manifatturieri di rilevante interesse economico per quel tempo, come la filatura della seta, che costituiva per il territorio acquese il fiore all’occhiello della assai poco sviluppata “preindustria” locale. È da questo periodo che la competizione economica degli ebrei acquesi rispetto alla comunità cittadina comincia a farsi intensa e 232 recensionirecensionirecensionirecensioni foriera di insofferenza e rabbia anche e soprattutto a causa del contemporaneo incremento delle proprietà ebraiche sulle terre del contado, che i proprietari indebitati si vedono sottratte. Non a caso ad incendiare la miccia delle violenze del 23 e del 24 aprile 1848 saranno personaggi coinvolti in questi forzosi passaggi di proprietà. Lasciando alla curiosità dei lettori la scoperta dei tanti particolari di queste pagine di “microstoria” vorrei segnalare l’impianto metodologico adottato dall’autore il quale utilizza uno schema esplicativo degli episodi cruciali narrati che distingue tre piani: i prerequisiti di medio-lungo periodo (il tradizionale antigiudaismo della cultura cristiana medioevale e moderna), i fattori precipitanti (le modificazioni economiche ed amministrative che si verificano a partire dal XVIII secolo e il consistente aumento demografico della comunità ebraica), i detonatori (le contingenze legate ai comportamenti degli individui e dei gruppi sociali nelle situazioni specifiche). Un’ultima considerazione di natura storiografica merita di essere proposta. Il testo si inserisce infatti in un filone di ricerca sviluppatosi negli ultimi anni ad opera di storici (cito per tutti Michele Sarfatti) interessati a rivedere il paradigma storiografico tradizionale secondo il quale l’antigiudaismo e l’antisemitismo sarebbero stati fenomeni sostanzialmente marginali nella storia dell’Italia moderna e contemporanea (si veda in proposito la stessa Hannah Arendt) e proprio le strutture dei ghetti, incrementate in epoca “post-tridentina”, avrebbero preservato le comunità ebraiche italiane dalle violenze di cui furono fatte oggetto in tante altre parti del nostro continente. Il libro di Dolermo consente di sollevare qualche ragionevole dubbio su tale consolidato giudizio. GIORGIO BOTTO 233 recensionirecensionirecensionirecensioni CARLO PROSPERI [a c. di], Letteratura e Terme – Atti del convegno tenuto ad Acqui T. l’8 maggio 2004, Assessorato alla Cultura del Comune di Acqui T., Ovada, 2005, pp. 296, s.i.p. La pubblicazione degli atti di un convegno risulta solitamente, e per varie ragioni, impresa faticosa e snervante. Quella che -mi si passi la similitudine militaresca- dovrebbe apparire come una festosa e gratificante rassegna di reggimenti davanti alla bandiera (il soggetto appunto dell’incontro), una specie di trooping the colours in cui i variegati interventi compaiono disposti in bella ed organica successione intorno al motivo animatore, si presenta spesso come una rassegna di truppe decimate di alcuni reparti: tanto che può succedere che allo scorato curatore sovvenga la riflessione amara del duca di Wellington all’indomani di Waterloo: “Dopo una battaglia perduta, la più grande angoscia è una battaglia vinta”. Defezioni di relatori illustri; testi che tardano a pervenire; bozze che non si trovano più; risentimenti, impuntature, pretese e riserve di copyright procurano ansie e triboli sollevando nel curatore una specie di nausea per un lavoro ingrato che non remunera delle giornate perse e per un impegno che risulta tradito. Non deve essere accaduto precisamente questo a Carlo Prosperi, ma credo ci sia andato vicino: lui, che del convegno su Letteratura e Terme era stato l’ideatore, il demiurgo e truppa in campo, e che oggi ci consegna questi Atti, nel lasso più che accettabile di circa un anno. Ed è stato tutto merito suo se la solidità dell’impianto generale non ha sofferto per le defezioni, i disimpegni, le more e le elusioni che, in questi contesti, son moneta corrente. Gran tema quello della letteratura ispirata al topos termale; tema ancora poco individuato e percorso dalla critica, che s’è venuto a collocare e proporre in un ambiente che più appropriato non avrebbe potuto darsi: in quelle Aquæ Statiellæ, cioè, che l’acqua reclamano come pertinenza antonomastica, visto che il suffisso “terme” qui non necessita, ed è, infatti, apposizione tarda e -a ben 234 recensionirecensionirecensionirecensioni vedere- inopportuna. Si partiva dunque con le migliori premesse; e tuttavia il campo da percorrere, il materiale poetico e letterario risultavano subito sterminati: alla dovizia entusiasmante dei riferimenti, dovette così affiancarsi la preoccupazione di non finire col presentare una scelta antologica di citazioni che, come un bel mazzo di fiori recisi, allieta lo sguardo, senza lasciar altro però, appassendo in breve, che una dolce, vaga memoria. Il rischio non è sfuggito al curatore: che, intanto, ha scelto per i vari interventi un percorso diacronico che consentisse di cogliere e seguire le peculiarità letterarie e i valori semantici assunti dalla tematica delle terme e dei bagni (che son cosa diversa) nelle varie epoche e nei vari paesi. Poi -ed è qui il pregio del disegno e del suo compimento-, s’è voluto dare via via ai vari saggi -accanto e dopo interventi didascalici e normativi- la dimensione di una proposta, il raffinato, seducente spessore di un tessuto di ricerca da sviluppare ed arricchire: tanto che oggi, alla lettura di questi Atti, si ha davvero l’impressione di vivere e la presunzione di poter collaborare ad un work in progress. Infine, a tener vivace la liaison con la città ospite, e a dar ragione - senza burbanza - del sorger qui di tale e tanto interesse, ecco i frequenti rimandi alle terme acquesi, e addirittura la proposta di due autentici gioiellini di poesia locale, l’uno rutilante dei rimandi e della luce riflessa della grande stagione rinascimentale-barocca, vivo l’altro di una più modesta lepidezza ottocentesca. Ma procediamo con ordine. I primi due saggi esaminano la cultura termale individuandone i monumenti e seguendone i documenti nel mondo latino. F. Pizzimenti con scrupolo filologico richiama Agostino e Isidoro per sottolineare come la radice greca e sanscrita del vocabolo balneum lasci intravedere per il bagno già ai primordi un’estensione terapeutica ai mali oscuri, per le ansie dell’animo; ed è importante il richiamo al valore etimologico di thermæ, indicanti propriamente il bagno caldo. Inoltre i reperti archeologici termali della romanità sono attentamente esaminati. F. Bertini si sofferma poi con piacevole narrazione sulle testimonianze letterarie, indicando le terme come centro di aggregazione e di distinzione sociale: da Seneca a Petronio si nota come lo stabilimento termale degradi dalla sua funzione primitiva in epoca repubblicana di luogo in cui si celebrava la dottrina del mens sana in corpore sano a quella, in età imperiale, di ritrovo degli sfaccendati in un ambiente equivoco, dove donne irreprensibili “entrano Penelopi ed escono Elene”. Con il Cristianesimo si torna a ribadire la funzione propriamente igienica dei bagni, ma del bagno nel basso impero e nella patristica troviamo solo brevi cenni.. Del resto, lo iato di cui si rammarica il Prosperi per l’età di mezzo corrisponde in larga misura più che a defezioni di relatori ad un 235 recensionirecensionirecensionirecensioni decadimento dell’istituzione termale nell’alto Medio Evo; spiace invece che il mancato contributo di Surdich ci lasci col gusto inappagato del rimando ad un’epoca -la successiva- in cui le cure e il diporto termali (il doppio registro su cui svaria il mito dei bagni) dovevano essere tornati in auge, almeno per le classi più abbienti: e basti pensare qui, tra Tre e Quattrocento, ai bagni senesi di Petriuolo: con l’evocazione esemplare che ne fa Folgòre (“E di novembre a Petriuolo al bagno/con trenta muli carchi de moneta...”), e sulle proprietà dei quali si ironizza con la leggenda di Ghino e dell’abate di Cluny nella X giornata del Decameron, ripresa poi con fresca vena popolaresca nel primo ’400 da San Bernardino. E veniamo ai cieli tersi del Rinascimento. Nell’excursus che il Barberi dedica al novelliere Sabadino degli Arienti l’approfondimento dei valori letterari, la dotta misura dell’ accademico si fondono con l’amabile riguardo al locus amœnus, e la novellistica delle Porretane è tutta pervasa da un’aura non solo formale che richiama il Boccaccio e il Petrarca. Arriviamo così al ninfale acquese, l’Idralea, ripescato in una rara copia della Reale di Torino da Pietro Malfatto e affidata alle straordinarie doti interpretative di una giovane studiosa, Ilaria Gallinaro. L’autore, Orazio Navazzotti, casalese, contemporaneo (1565) e conterraneo dunque del grande Della Valle, e con lui rara voce della musa epica piemontese, aveva cantato, ispirandosi certo all’Elogio della bellezza delle donne pratesi del Fiorenzuola, le più belle donne casalesi; in questa favola boschereccia tutta pregna di rimandi illustri, Boccaccio e Tasso su tutti (ma sarebbe anche interessante riprendere la profonda esegesi semantica dei nomi e dei valori equorei fatta dal prof. Collu alla presentazione del libro), si intrecciano allegoricamente amori, vita, morte e rigenerazione delle fonti e dei fiumi tra Langhe e Monferrato. Quegli stessi riferimenti illustri stanno alla base della ricerca del Boggione sulle terme nella poesia barocca, con un convergere significativo sull’opera del Marino; mentre Rosa Necchi prosegue il discorso con dovizia di riferimenti dal Metastasio al Parini lungo l’Arcadia e l’età dei lumi, ma dedica un cenno appena ai riscontri termali nella memorialistica di viaggio del Grand Tour, un genere letterario meno illustre, ma ricchissimo di documenti: e in cui, col metro delle terme come richiamo architettonico winckelmanniano che stinge nella poesia delle rovine, e valenza delle stesse come rimedio scientifico che sfugge e si adombra via via nel mistero della natura, è facile seguire il passaggio dal razionalismo illuminista alla temperie romantica. R. Imbach avrebbe dovuto relazionare sulla Filosofia alle terme da Montaigne a Nietzsche: e questa è davvero una defezione che lascia del rammarico: ma lo spazio temporale fra XIX e XX secolo (cui l’ottava musa - invadente! - ci richiama con Marienbad e i Bagni 236 recensionirecensionirecensionirecensioni Vignoni di Nostalghia) è ben coperto, sia pur per sommi capi, dai contributi della Salvadè e della Merello. La prima ci offre una puntigliosa rassegna della non vasta produzione letteraria italiana sull’argomento; la seconda, focalizzando il grande tema francese delle villes d’eaux sulle opere di Maupassant e Laforgue, ne sottolinea l’approccio realistico e decadente al soggetto, cogliendo in questi due autori l’alternarsi, secondo la sinusoide crociana, di ragione e sentimento. Infine, la riscoperta del poemetto La Bojenta e del suo autore, l’abate Lingeri, danno modo a G.L. Rapetti e allo stesso Prosperi di concludere con garbo e piacevolmente a mezzo di una gloriole locale. Il volume si presenta in una veste grafica piuttosto dimessa e démodée: che pure a noi non spiace, attagliandosi con proprietà ad un soggetto che sarebbe stato facile contrabbandare, tradendone l’aura temporale, con volgari patinature in quadricromia. Ed infatti quelle poche che ci sono è bene dimenticarle. RICCARDO BRONDOLO 237 appuntidiviaggioappuntidi CAVATORE, CASA FELICITA Le fiabe a colori di Francesco Tabusso È in pieno svolgimento a Cavatore la mostra degli acquerelli e delle incisioni del pittore Francesco Tabusso (già allievo di Felice Casorati), artista di chiara fama in Italia, ospite delle più prestigiose rassegne internazionali (Bruxelles, New York, Mosca, Alessandria d’Egitto...). L’esposizione, curata da Adriano Benzi e Gianfranco Schialvino, rimarrà aperta tutti i giorni, tranne il lunedì, sino all’11 settembre con orario: 10-12; 1619. Tutte le domeniche del periodo della mostra si terranno prove di stampa. 238 DALLA PRESENTAZIONE DI GIANFRANCO SCHIALVINO Tabusso è un pittore semplice, immediato, diretto. Di gente, di vita, di sogni, di fiaba. Per questo è amato, merito raro per gli artisti, sia dai critici, sia dalla gente, che lo hanno eletto cantore della semplicità, della quotidianità, della natura, della bellezza. In questa mostra riunite le opere su carta, acqueforti, xilografie e serigrafie che costituiscono gran parte del suo corpus incisorio, esposti insieme ai bozzetti e alla successione delle prove di stampa per documentarne l’esegesi. Il tutto accompagnato da una folta rassegna di disegni, acquerelli, guazzi, inchiostri, tecniche miste, scelti tra le montagne di fogli che affollano il suo studio. INFO: www.vecchioantico.com; e-mail: [email protected]; tel. 0144 329854 VESIME, CASA BRONDOLO GASTALDI Quelle plance di tanti anni fa Cartelloni e locandine di film in tempo di guerra e dintorni Quali film si proiettavano in un piccolo paese della Langa negli anni che precedono la seconda guerra mondiale e i primi ’50? A questa domanda risponde la mostra in allestimento a Vesime sino al 21 agosto, promossa dall’Associazione culturale VISMA. Sono 23 i film, di cui si propongono i grandi manifesti pubblicitari e le locandine, corredati ciascuno da una scheda esplicativa. Da Il richiamo della foresta, con C. Gable e L. Young, del 1935, un prototipo del grande film d’avventura americano, a L’incredibile avventura di Mr. Holland del 1951, prodotto dell’eccel- L’Alto Monferrato, terra collinare e montana di frontiera tra il Piemonte e la Liguria, è stato attraversato dalla storia e ne ha raccolto le testimonianze. Al visitatore curioso ed attento offre tanti prodotti tipici, dai vini più celebri alle piccole specialità ancora da scoprire, un insieme di paesaggi diversi che appassionano gli amanti della natura, un’altissima concentrazione di Castelli e altri edifici storici, un ambiente amichevole e sereno per una vacanza o un breve soggiorno, tanti curiosi appuntamenti di cultura, folklore, gastronomia, musica, rievocazione storica ed enologica. L’Alto Monferrato comprende tre aree geografiche, ciascuna caratterizzata da ambienti, economie e culture diversificate. Ad ovest è l’area dell’Acquese, caratterizzata da numerosi vigneti di Moscato e Brachetto e dalla tradizione del formaggio; le radici storiche del termalismo, ancor oggi di altissima qualità, sono visibili nel gran numero di reperti storici di epoca romana. Al centro è l’area Ovadese, caratterizzata da colline alte, da innumerevoli Castelli medievali, dai vigneti del Dolcetto che danno anche origine a straordinarie e profumatissime grappe e da castagneti nella zona adiacente alle montagne. Ad est è l’area di Novi e Gavi, un ambiente di colline assai dolci, rese uniche dalla presenza del tipico artigianato dolciario e dai vigneti del Gavi. Un territorio così vario merita una visita attenta e capillare. Quando si percorre una strada in cresta di collina o di montagna, il paesaggio cambia spesso e apre nuove visioni; inoltre il reticolo di strade che collega i tanti paesi del territorio può suggerire passeggiate non faticose e rilassanti; le distanze tra i vari Castelli e i borghi storici sono brevi e le passeggiate possono incentivare l’appetito a chi vuole conoscere i numerosi luoghi di ristoro dell’Alto Monferrato. Il presidente Lino Carlo Rava Associazione Alto Monferrato: c/o municipio di Ovada - 15076 Ovada (AL) - Via S. Antonio, 3 per informazioni: tel. 0143.822.102 - fax 0143.835.036 • [email protected] - www.altomonferrato.it appuntidiviaggioappuntidi delle situazioni più appetitose o -oggi si direbbe- intriganti; maestria della sociologia prestata alla pubblicità, richiami a terre, vite, situazioni da sogno o da incubo... INFO. Orario apertura: sabato e festivi, ore 10-12 e 17-19, oppure su appuntamento tel. 0144.89079 – 89055 mail: [email protected] lente artigianato britannico, con un quasi esordiente Alec Guiness. Una carrellata di titoli che si trasforma in viaggio della memoria che permette di cogliere “I sensi e i sentimenti, le atmosfere e le immagini, le bizzarrie e le ansie del tempo, di avvertire le pieghe e gli squarci del quotidiano [...]: tutto ritorna, con l’incalzare ritmico di una pergamena che si srotola e si svela, se un compleanno, una canzone o un’immagine ci arpiona il magma dei ricordi.[...] Forse l’eternità che ci è concessa si nutre di queste fulminazioni e di questi indugi. E spesso, almeno per me, - scrive Riccardo Brondolo curatore dell’allestimento uno di quei talismani è la locandina di un film. Non il film, la sua trama, i suoi personaggi, no; ma quel riassunto fulmineo, quell’epitome che campeggiava per giorni, per settimane sui cartelloni, sulle plance appoggiate ai muri; colori densi e tratti forti, lettere che sparavano il titolo e gli attori con violenza o suasione indelebili. E poi, le locandine: non un riassunto dei fatti, ma una scelta e una proposta avvincente a b b o n a r s i Per segnalare appuntamenti, mostre, pubblicazioni, bandi di concorso scrivere all’indirizzo e-mail della rivista [email protected]. oppure rivolgersi direttamente alla redazione, nella sede dell’Editrice Impressioni Grafiche, Via Carlo Marx 10, Acqui T. (Al), tel.0144.313350, fax. 0144.313892. Il prossimo numero di ITER, in veste miscellanea, sarà in edicola in ottobre. a tramite versamento postale sul numero di c/c 19702141 intestato a IMPRESSIONI GRAFICHE, via Carlo Marx, 10 - 15011 Acqui Terme (AL) (nella causale specificare Abbonamento per 4 numeri a ITER) - L’abbonamento per 4 numeri è di € 30 - L’abbonamento sostenitore per 4 numeri è di € 50 Ogni abbonato riceverà in omaggio, col primo numero della rivista, il libro “6 novembre 1994 Voci nella pioggia” di Maurizio Neri, 100 interviste ad alessandrini nel decennale dell’alluvione Insieme alla ricevuta di avvenuto pagamento inviare il coupon presente all’interno della rivista al n° di fax 0144 313892 o per posta al seguente indirizzo: Impressioni Grafiche, via Carlo Marx 10 - 15011 Acqui Terme (AL) Per informazioni: Redazione di Iter • tel. 0144 313350 • fax 0144 313892 • e-mail: [email protected]