ditorialeeditoriale editorialeeditoriale editorialeeditoria
Da che mondo è mondo, compito del teatro,
come di tutte le arti, è ricreare la gente
BERTOLDT BRECHT, Nuove riflessioni sul teatro
Iter
in
Con questo secondo numero, ITER presenta un
nuovo, complementare percorso del proprio progetto
editoriale.
di Giulio Sardi Dopo la pubblicazione
miscellanea uscita nel mese
di aprile - e ringraziamo i
tantissimi lettori che ci hanno dato fiducia
acquistandola in edicola e sottoscrivendo
l’abbonamento - le pagine della rivista vengono ora ad accogliere un argomento
monografico dedicato a due secoli di storia teatrale ad Acqui.
palcoscenico
Dunque, un ITER più simile ad un libro, la
cui consistenza è superiore alle 200 pagine (come si potrà apprezzare non ci sono
stati, però, incrementi nel prezzo di copertina), ma che - anche in questa nuova
forma - persegue il progetto già enunciato
nel precedente numero. Quello di conciliare la serietà dei contributi con una
esposizione di piacevole lettura, con un
taglio il più possibile leggero, in cui il contributo iconografico possa assumere pari
importanza rispetto alle fonti e alle elaborazioni del ricercatore.
È quanto abbiamo provato a realizzare
insieme a Roberta Bragagnolo, cui si deve
gran parte del lavoro che presentiamo ai
lettori. Il suo testo, nato in ambito scientifico, è stato arricchito da ulteriori approfondimenti atti a rendere ancora più evi-
Ricerche fonti e immagini per un territorio
Trimestrale
Anno I, numero 2, luglio 2005
Direttore Giulio Sardi
Redazione Angelo Arata, Valentina Pistarino,
Elisa Pizzala, Carlo Prosperi, Vittorio Rapetti,
Angelo Siri
Segreteria di redazione Valentina Pistarino
e Silvia Pastore
Hanno inoltre collaborato Giorgio Botto,
Riccardo Brondolo, Gian Enrico Bezzato
Progetto Grafico Paolo Stocchi
Fotografie L’apparato iconografico, quando
non prodotto dall’autrice, attinge a Biblioteca
Civica e Archivio Comunale di Acqui Terme,
Archivio Franco Castelli, Archivio Mario
Cavanna,Archivio Chiabrera, Archivio Luigi
Vigorelli, Archivio Storico Mario Barisone conservato presso lo Studio Fotografico Tronville,
Archivio Piero Zucca, Studio O&M Ingegneria
S.r.l., Graziella Barberis, Floriana Tomba, Archivio
Visma di Vesime, e agli archivi EIG e Iter
Un ringraziamento per la collaborazione nelle
ricerche a: Biblioteca Civica e Archivio Comunale
di Acqui Terme, Archivio Vescovile d’Acqui, Civico
Museo Biblioteca dell’Attore di Genova; e a
Lionello Archetti Maestri, Franco Castelli, Cesare
Chiabrera, Marco Dolermo, Carlo Ferraro, Elena
Gallesio Piuma di Prasco, Gian Battista Garbarino,
Ando Gilardi, Eufemia Marchis, Pierluigi Muschiato,
Beppe Navello, Carlo Prosperi, Gian Luigi Rapetti
Bovio della Torre, Blythe Alice Raviola, Paolo
Repetto, Floriana Tomba, Giuseppe Vigorelli
Edito da Editrice Impressioni Grafiche
Stampa Tipolitografia Impressioni Grafiche
società cooperativa sociale, Acqui Terme (AL)
Redazione via Carlo Marx 10- 15011 Acqui
Terme (AL) Tel. 0144 313350 fax 0144313892
e-mail: [email protected] • www.eigeditrice.it
© EIG 2005
ISSN 1825-6422
Registrazione n. 97 del Tribunale di Acqui Terme
rilasciata in data 27 gennaio 2005
In copertina:
L’attice acquese Nina Ivaldi (Collezione privata)
dente il legame tra il teatro e la città.
Su questa stretta connessione le pagine aprono numerose finestre che ora
evidenziano il contesto storico, ora
offrono testi curiosi, ora illustrano i
personaggi (per ricreare la gente, come
scrive Bertoldt Brecht) che la ricerca
ha via via incontrato.
Il corredo iconografico, per gran parte
inedito, si incarica poi di accompagnare questo affascinante viaggio tra
scene e rappresentazioni.
La scommessa, ambiziosa, era quella di
trasformare un testo di interesse specialistico in un libro per tutti. Ai lettori il giudizio se questa impresa - non
semplice - abbia conseguito gli esiti
che avevamo immaginato.
Arrivederci al prossimo numero.
Il presente numero sviluppa i contenuti
della tesi di laurea Teatro e vita teatrale
nella città di Acqui Terme, relatore prof.
Dario Borzacchini, discussa dalla dott.ssa
Roberta Bragagnolo presso l’Università
degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e
Filosofia - DAMS, nell’anno accademico
2002-03.
Dei box di questo numero sono autori
Roberta Bragagnolo (R.Br.),
Carlo Prosperi (C.Pr.),
Giulio Sardi (G.Sa.).
Questo numero di ITER “continua” sul sito
internet della rivista, su cui è possibile consultare e “scaricare” gratuitamente la cronologia degli spettacoli acquesi e vari indici.
L’indirizzo cui accedere è
www.eigeditrice.it
La fotografia di copertina del primo
numero di ITER (aprile 2005) è stata
scattata da Bruno Buffa nel luglio 1968.
CONTENUTI
INTRODUZIONE
Le fonti
Tre secoli di scene
DAI LUMI ALLA CADUTA DELL’IMPERO
Il Teatro del Seminario e il Teatro Blesi
Una proposta: un teatro in casa Scassi
Il Teatro Borreani dalla sua istituzione...
... al problema dell’assegnazione dei palchi
Le opere
Attori e musicisti
I balli e il gioco della bassetta
Il pubblico
Alcune proposte di riforma del teatro alla fine del Settecento
La stagione di Carnevale del 1803
Il teatro in Acqui a inizio Ottocento
Appendice documentaria
DALLA RESTAURAZIONE ALLA FINE DEL SECOLO
Il Teatro Dagna. La genesi
Il Dagna sino al 1856
Progetti per un nuovo teatro
Il Dagna dal 1875 al suo abbandono
L’attività teatrale
Il Politeama Benazzo. La genesi
L’attività teatrale
Il Teatrino del Seminario minore
Il Teatrino d’oltre Bormida (Teatrino Vecchie Terme)
Il Teatro della Società Operaia
I café-chantant
Appendice documentaria
5
6
9
12
13
16
19
22
23
26
27
29
31
44
58
66
70
73
80
102
105
136
136
150
153
155
DALLA BELLE ÉPOQUE
ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
ACQUI TEATRALE
Il Politeama Garibaldi. La genesi
L’attività teatrale
Il Kursaal
Il cinema e il problema del teatro ad Acqui
163
181
212
218
RECENSIONI
225
APPUNTI
238
DI VIAGGIO
INDICE DEGLI APPROFONDIMENTI
LA STORIA
Acqui dal Settecento alla fine dell’età napoleonica 9
La riforma dei teatri
29
Acqui dal 1815 al 1880
57
Acqui Terme dal 1880 al 1941
164
GLI ARTISTI
Angela Dotti
Domenico Biorci
Girolamo Penengo
Amilcare Ajudi
Giovanni Toselli
La compagnia Piemontese di Tancredi Milone
Un concerto di Elena Lamiraux
Luigi Buccellati
La compagnia Cuneo e Villa
La compagnia Romagnoli e Brunetti
Emilio Zago
Laura Zanon Paladini
La compagnia Palamidessi
La compagnia Zacconi-Casilini
Irma Gramatica Cottin
Luigi Duse
La compagnia Gaetano Benini
Cesare Pasquali
Pier Camillo Tovagliari
La compagnia Vitaliani
Carlo Duse
La compagnia del cavalier Cola
La compagnia Pietriboni
Guglielmo Privato
La compagnia De Farro
Gaetano Sbodio
Augusto Mugnaini
Francesco Artale
Enrichetta Camuncoli
Isolina Piamonti
Ida Carloni Talli
Luigi Ferrati
Edoardo Ferravilla
Enrico Dominici
Leopoldo Vestri
12
65
77
85
86
93
98
100
110
114
116
117
118
119
120
121
124
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129
130
131
132
133
141
145
145
146
148
151
181
181
183
184
188
Dora Baldanello
Giovanni Pezzinga
Italia Vitaliani
Andrea Maggi
Virginia Reiter
Giacinta Pezzana
Raffaello Mariani
Annibale Ninchi
Iole Piano
Gemma Caimmi
Ruggero Ruggeri
Lyda Borelli
Gualtiero Tumiati
Un’attrice acquese: Nina Ivaldi
194
195
196
196
196
197
198
201
202
203
205
206
208
210
IL TEATRO E LA CITTÀ
1785: ballare e suonare erano una cosa seria
La bosinata
Poesie del 1803
Gli acquesi e i palchi
Il progetto del 1857
Il palco di Giovanni Furno
Sonetto del 1855
Il basso Alessandro Bottero
Voci acquesi per i cori dell’opera
Enrico Gabbio
Felice Boverio e Giuseppe Corrado
5 dicembre 1855: una sera al Teatro Dagna
Flaminio Toso: fiori, giornali e scene
Francesco Depetris, il teatro in testa
Pietro Torrielli, il Merlo della Bollente
Non solo banda: Giovanni Tarditi
Maggiorino Ferraris
Luigi Garelli, pennelli e colori per il teatro
Tullo Battioni e Luigi Montecucchi
Luigi Bovano: paste dolci e versi ...salaci
Il marchese Vittorio Scati
Il M° Vigoni e la sua Ginevra
Franco Ghione, il mestro che diresse la Callas
Un concerto al Garibaldi del M° Angelo Bisotti
Franco Ghione sul podio del Garibaldi
25
45
49
69
71
74
83
84
90
92
94
95
103
105
109
111
112
135
139
152
167
182
204
209
220
INTRODUZIONE
LE FONTI
Plan de la ville d’Acqui,
disegno a china
acquerellato
di fine secolo XVIII,
IGM,
cartella archivio 19,
n° d’ordine 19.
Non esiste alcuna pubblicazione sul teatro di Acqui, se si esclude il
testo di Laura Palmucci Quaglino sugli edifici teatrali ottocenteschi
dell’alessandrino1. Da questa assenza ha avuto inizio questa ricerca,
basata prevalentemente sul materiale fornito dagli Archivi di Stato di
Torino e Savona, dagli Archivi Comunale e Vescovile di Acqui, dagli
Archivi privati Gallesio-Piuma e Cesare Chiabrera. Altri dati sono stati
tratti dai periodici locali conservati, a partire dall’anno 1879, nella
Biblioteca Civica di Acqui. In mancanza di recensioni teatrali, ci si è
dovuti accontentare delle lettere (di cui non si è conservata risposta
presso l’Archivio Comunale) inviate dai capocomici al Sindaco.
Qualche aiuto lo ha potuto dare, per gli anni dal 1871 al 1879, la rivista teatrale “L’Arte Drammatica”, consultata presso il Civico Museo
Biblioteca dell’Attore di Genova.
L’arco cronologico preso in esame è compreso tra l’inizio del XVIII
secolo e il 1940 circa; l’attenzione si è rivolta principalmente agli spettacoli di prosa, lirica, operette e varietà, agli artisti che li hanno messi
1 L. PALMUCCI QUAGLINO, Itinerario attraverso i teatri ottocenteschi dell’alessandrino: Casale, Acqui, Tortona, Novi, Valenza, S. Salvatore, Alessandria 1985.
5
in scena, all’accoglienza da parte del
pubblico e al giudizio
dei cronisti locali, e
secondariamente
agli edifici per lo
spettacolo e alle vicende che li hanno
caratterizzati. Dallo
studio sono stati
esclusi gli spettacoli
di marionette, il circo, gli spettacoli di
prestigio, ai quali si è
fatto solo qualche
cenno.
In alto Via Nuova, con a
destra lo stabile del
Teatro Dagna.
In basso Palazzo Papis,
alla cui destra si trova la
galleria che conduce al
Cinema Teatro Garibaldi.
TRE SECOLI DI SCENE
6
Le prime notizie di un’attività teatrale nella città di Acqui Terme risalgono al Settecento. In quest’epoca gli spettacoli si svolgevano in luoghi che potremmo definire impropri: il Seminario (le notizie sono
estremamente lacunose), una stanza senza logge e con un piccolo scenario nel palazzo di Luca Probo Blesi (dal 1755 circa) e un locale
altrettanto angusto, con diciotto logge ed una loggia continuata al di
sopra, aperto nel 1777 nella casa di Orazio Borreani. Se il teatro Blesi
nasce per permettere l’ultimazione della vicina chiesa della Madonna
della Neve attraverso i proventi delle recite, l’impresa del Borreani
sorge per volontà di una Società dei Cavalieri unicamente per offrire
un divertimento “sospirato” da molte persone.
Allo stato attuale degli studi, sono poche le informazioni a nostra
conoscenza sull’attività di questi primi teatri. Per quanto riguarda il
teatro Borreani, molti titoli di opere buffe rappresentate alla fine del
Settecento, desunti dalle lettere del Prefetto Decanis e dal manoscritto contenente i conti delle entrate e delle uscite, corrispondono ai
nomi di opere di compositori di scuola napoletana, come Cimarosa e
Paisiello; l’opera napoletana è, del resto, quella che compare prevalentemente nei cartelloni della totalità dei teatri italiani contemporanei.
Contribuivano al bilancio del teatro, oltre ai ricavi derivanti dagli
ingressi, dal fitto dei palchi e dalla vendita dei libretti, le entrate del
gioco della bassetta che si svolgeva nel ridotto: nel 1785 però gli introiti non avevano superato le spese, con le conseguenti lamentele dei virtuosi che non erano stati pagati.
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento è molto frequente
la sistemazione di sale teatrali all’interno di conventi abbandonati o già
destinati dal governo di antico regime ad altri usi. Dal 1807, quando un
decreto imperiale accorda alla città di Acqui il convento di S.
Francesco2 per costruirvi i bagni civili, si elaborano diversi progetti,
mai realizzati, che prevedono la costruzione nel convento di un edificio comprensivo di sale per riunioni e di un teatro. Nel 1813, accanto
ad una sala privata ordinariamente aperta durante la stagione dei
bagni, esisteva un locale adibito a teatro nel vecchio oratorio di
Sant’Antonio. In questo periodo, per sopravvivere nelle piccole città di
provincia, le compagnie dovevano essere poco numerose, e nonostante questo, spesso non facevano fortuna e partivano lasciando migliaia
di franchi di debito.
Nel 1834 Luigi Dagna concede a Stefano Cornaglia e Leon Vita
Ottolenghi un locale di sua proprietà per la costruzione di un nuovo
teatro, moderno e adeguato alla città, necessario per garantire un passatempo ai numerosi forestieri che si recavano allo Stabilimento
Balneario. Il teatro Dagna alterna per quasi tutto l’Ottocento spettacoli di prosa e lirici, nonché balli e veglioni all’inizio di ogni anno, e
spettacoli di vario genere. A partire dal 1880 dovrà subire la concorrenza del Politeama Benazzo, “disgraziato ambiente teatrale” situato
accanto all’Albergo Nuove Terme e, dal 1892, del Teatrino Vecchie
Terme, situato in zona Bagni.
Tra le tante compagnie di prosa di mediocre livello che si presentano
al pubblico acquese, si individuano nomi importanti: Gustavo Modena,
Ermete Zacconi, Antonio Brunorini, Angelo e Lina Diligenti, Luigi e
Mirra Buccellati, Emilio Zago. Gli spettacoli lirici rivelano una prevalenza delle opere di Donizetti e Verdi; la mancanza di una dote da parte
del Comune e le condizioni non ideali degli edifici teatrali, rendono difficile la realizzazione di spettacoli di alto livello: quando questo avviene, si deve esclusivamente all’impegno dell’impresario Luigi Ivaldi.
2 Cfr. J.C. LESNE, Notice historique et statistique sur la ville d’Acqui, ristampa anastatica dell’edizione 1807 Victor Alauzet, Acqui Terme 2004, p. 132 “il governo ha
concesso un ex convento chiamato di San Francesco dove si farà arrivare senza
difficoltà l’acqua dell’abbondante fonte cittadina [...]. Vi sarà nei pressi dei bagni
una sala per gli spettacoli che attualmente gli Acquesi non hanno”.
7
La crisi che investe il teatro italiano alla fine dell’Ottocento si avverte
in forma acuta anche nella città di Acqui. Dalle pagine dei periodici
locali i cronisti criticano l’apatia del pubblico acquese: “In Acqui quando non ci sono spettacoli oppure sono meschini tutti si lagnano, e
quando ve n’ha di buoni allora non si va a teatro”3. Si critica anche il
gusto degli spettatori: Il pubblico acquese “non ama e non applaude
che il ridicolo. I lavori dove campeggia la morale lo lasciano freddo e
impassibile”4; essendo “composto in gran parte di operai e ragazzi”,
“che cosa volete che ne sappia il nostro pubblico di tempeste dell’anima, di sacrifici, di eroismi e di tutte le altre diavolerie di cui sono
capaci i cervelli degli autori. Il nostro pubblico ha troppo buon senso
per arrivare a queste false sublimità (…)”5. I palchi restano spesso
vuoti, anche durante gli spettacoli d’opera lirica: i loro proprietari, inoltre, pur non essendo abbonati, non lasciavano le chiavi a disposizione
di conoscenti o dell’impresa, come avveniva normalmente negli altri
teatri, e questo penalizzava gli incassi, aumentando i problemi del teatro.
Negli ultimi anni dell’Ottocento Acqui è un fiorire di sale per spettacoli. Nel 1896 un piccolo palcoscenico viene inserito nel locale della
Società Operaia, e tra il 1894 e il 1899 sorgono numerosi caffè-concerto: l’Aida, il caffè dell’Albergo Italia, il caffè Vittorio Emanuele e il
caffè Vecchie Terme (in cui viene trasformato il teatrino d’oltre
Bomida). Nell’aprile del 1899 viene inaugurato il Politeama Garibaldi.
Con il nuovo secolo la situazione del teatro migliora lievemente: nonostante il passaggio di artisti di prosa di rilievo (ricordiamo Ida Carloni
Talli, Ferravilla, Dora Baldanello, Italia Vitaliani, Virginia Reiter, Annibale
Ninchi, Jole Piano, Ruggero Ruggeri, Gualtiero Tumiati, Irma
Grammatica, Giulio Tempesti), è soprattutto per le operette e gli spettacoli di varietà che il pubblico accorre numeroso.
Nel 1923 viene inaugurato il teatro Kursaal, sorto in soli cento giorni.
Già da alcuni anni nei periodici locali si dibatte il problema del teatro:
con l’avvento del cinematografo, che offre un trattenimento a prezzi
più bassi, il pubblico frequenta sempre meno gli spettacoli teatrali e lo
stesso teatro Garibaldi viene presto dotato di cabina di proiezione. Le
rappresentazioni d’opera diventano sempre più rare, anche per la
mancanza di un’orchestra di sufficienti dimensioni. Il Kursaal diventa
cinema nel 1935; il Garibaldi sopravvive, alternando brevi tournè di
compagnie di prosa e di varietà a proiezioni cinematografiche.
8
3 “La Bollente” del 21 giugno 1887, n. 22.
4 “La Bollente” del 24 novembre 1891, n. 47.
5 “La Bollente” del 21 ottobre 1890, n. 43.
DAI LUMI
ALLA CADUTA
DELL’IMPERO
Battaglia di Millesimo.
Litografia di De Villain,
da un disegno F. Grenier.
IL TEATRO DEL SEMINARIO
E IL TEATRO BLESI
Il primo documento testimoniante l’esistenza
di un teatro nella città di Acqui è una lettera
informativa del Prefetto d’Acqui Poesio inviata alla Segreteria di Stato per gli Affari Interni
e datata 25 ottobre 1755. Il Prefetto racconta
come Luca Probo Blesi1, già da più anni direttore della cappella della Madonna della Neve,
decida di intraprendere la costruzione di una
nuova e più ampia chiesa, “per maggior decoro di un tal santuario”; essendo il santuario
quasi senza reddito, Luca Probo Blesi viene
autorizzato dal vescovo Rovero e dal successore Marucchi a valersi del teatro del
Seminario affinché col prodotto delle recite
potesse portare a termine la costruzione dell’edificio2.
1
2
Luca Probo Blesi, avvocato (?-1786), fu vice-Prefetto
di Acqui e Provincia dal 1752 al 1755 e vice-Giudice
della Città e Provincia nel 1752.
ARCHIVIO DI STATO DI TORINO (d’ora in poi AST), Corte,
Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 7.
LA STORIA
ACQUI DAL
SETTECENTO
ALLA FINE DELL’ETÀ
NAPOLEONICA
Nel 1714 il Monferrato viene annesso allo Stato sabaudo, promotore ad Acqui
di importanti opere pubbliche come le terme militari;
nel 1731 l’istituzione del
ghetto raccoglie la numerosa ed antica comunità ebraica attorno alla piazza del
mercato dove sgorga la
fonte della Bollente.
Nell’aprile del 1796 Napoleone entra in Italia e, battute ripetutamente le truppe piemontesi ed austriache in Piemonte (vittorie di
Montenotte, Millesimo, Dego e Mondovì), Vittorio
continua nella pagina seguente
segue dalla pagina precedente
Amedeo III è costretto a firmare l’armistizio di Cherasco: esso stabilisce che le
terre alla sinistra della Stura e del
Tanaro rimangano sotto il dominio sabaudo, mentre quelle sulla destra (in cui è
compresa la città di Acqui) sarebbero state
temporaneamente occupate dai francesi.
Napoleone entra nella città di Acqui il 30
aprile, rimanendovi alcuni giorni, requisendo generi di prima necessità e impossessandosi di ventimila lire in oro e argento dell’Ospedale di carità, prima di partire
alla volta di Tortona. Il passaggio dei soldati della repubblica dura circa sei mesi e
risulta assai gravoso per la città a causa
delle frequenti contribuzioni di guerra cui
deve sottostare. Nel 1799, mentre Napoleone si trova in Egitto, l’Inghilterra, la
Russia e l’Austria si coalizzano contro la
Francia e danno inizio ad una campagna
militare: le truppe austro-russe si impadroniscono in breve tempo dell’Italia centro-settentrionale restaurandovi gli antichi governi. Durante i movimenti delle
truppe, Acqui viene più volte attraversata
dagli eserciti francesi, austriaci e russi, e
più volte saccheggiata.
Nel 1800, vincendo a Marengo contro gli
austriaci, Bonaparte riconquista il controllo del territorio italiano. Il Piemonte, dall’aprile 1801 divisione militare della Francia, viene formalmente annesso alla Repubblica l’11 settembre 1802: Acqui torna
a far parte della repubblica francese, compresa prima nel dipartimento del Tanaro, e
nel 1805 in quello di Montenotte. Il dipartimento di Montenotte comprendeva i circondari di Savona e Porto Maurizio, paesi
dell’ex repubblica di Genova, ma con Ceva
ed Acqui si allargava anche in una vasta
zona del Piemonte: “In tal modo il governo
francese aveva inteso conferire compattezza amministrativa a terre tra le quali, da
secoli, si erano instaurati fitti rapporti economici, a dispetto dell’azione dei rispettivi
governi – la repubblica di Genova e il
regno di Sardegna – che avevano piuttosto
mirato a scoraggiarli: Genova cercando di
monopolizzare i commerci col Piemonte a
danno di Savona, Torino puntando a deviare i traffici dagli scali liguri per indirizzarli sul porto di Nizza-Villafranca”; questa
realtà economica, con una buona amministrazione, avrebbe potuto svilupparsi
ancora di più.
Sotto la dominazione francese Acqui, capoluogo del circondario, mantiene il suo
territorio, conserva il Tribunale e l’ufficio
di Sottoprefettura e nonostante le numerose soppressioni di chiese avvenute in
Piemonte, non solo si lascia sussistere il
vescovado, ma si estende la diocesi e molti
beni vengono aggregati alla chiesa cattedrale. La città attira in modo particolare
l’attenzione delle autorità francesi per la
sua posizione geografica e per le sue acque
termali. I Francesi “individuano nella città
monferrina un importante nodo stradale e
commerciale, sul quale non per nulla
imperniano la viabilità del dipartimento”;
è in questi anni che si costruisce la strada
che mette in contatto Alessandria e
Savona. Grande importanza viene attribuita alle Terme: al “vecchio stabilimento,
già utilizzato dai Savoia per curare i loro
soldati, e potenzialmente tanto più utile in
uno Stato militare come quello napoleonico”, e alle “nuove terme che si progetta di
costruire in città, una sorta di polo turistico-sanitario di concezione estremamente
moderna”.
Nel 1813 l’Austria, la Russia, la Prussia e
l’Inghilterra si coalizzano nuovamente
contro Napoleone: dopo la sua sconfitta e
l’abdicazione, il congresso di Vienna riporta sul trono del Piemonte Vittorio Emanuele I, che cancella ogni traccia delle riforme napoleoniche. L’editto del 21 maggio
1814 stabilisce l’osservanza delle regie
costituzioni del 1770 e delle altre provvidenze emanate fino all’epoca del 23 giugno
1800. Gli ebrei, che avevano ottenuto la
parificazione civile sotto il dominio francese, perdono i propri diritti e ritornano tra
le mura del ghetto, anche se le Costituzioni
del 1° marzo 1816, risentendo dello spirito
dei nuovi tempi, risultano più liberali del
previsto.
R.Br.
Cfr. anche G. ASSERETO, Il dipartimento di
Montenotte: amministrazione, economia e
statistica, in G. CHABROL DE VOLVIC,
Statistica delle Provincie di Savona, di
Oneglia, di Acqui e di parte della provincia
di Mondovì, che formavano il dipartimento
di Montenotte, a cura di G. Assereto,
Savona 1994, vol. I.
Purtroppo non è stata trovata alcuna documentazione che ci aiuti a
sapere qualcosa di più sull’attività teatrale del Seminario; sappiamo
solo che, quando verso il 1755 questo edificio viene demolito, per
poter continuare nella sua impresa l’avv. Blesi decide di costruire un
teatrino nel suo palazzo3, essendogli ciò già stato suggerito da diverse
persone fin dal 17414: in questo locale, piuttosto “angusto, senz’alcuna
loggia, e con ristretto senario”5, si fecero diverse recite, “con gradimento universale di tutta la città, e senza il menomo sconcerto”6.
I proventi delle recite, sottratte le spese da sostenere attorno all’edificio teatrale, costituivano quindi un sussidio da applicarsi alla fabbrica
della chiesa della Madonna della Neve. Da una scrittura del 18 dicembre 1759 si evince che il prodotto delle recite era assai inferiore alla
somma impiegata dal sig. Blesi nella realizzazione del teatro; gli amministratori della chiesa, timorosi di una sua richiesta di rimborso, ottengono dallo stesso una dichiarazione di non pretendere il denaro speso
e di mai in futuro molestarli per tal fatto, e a loro volta rinunciano a
pretendere nell’avvenire alcun utile ricavato dalle recite, da quel
momento interamente a disposizione del sig. Blesi7.
Le motivazioni che spingono gli amministratori della Chiesa a por fine
all’accordo con l’avvocato non sono solo economiche: il Vescovo Capra
riteneva non troppo congrua la promozione del culto della Beata
Vergine col lucro del teatro.
Ancora ben vivi nella memoria del Vescovo dovevano essere i disordini causati nell’agosto dello stesso anno dalla “Colombina” Angela Dotti,
membro della compagnia recitante al teatro Blesi. Il sig. Bernardino
Pullani, della città di Roma, viene arrestato nella notte tra il 21 e il 22,
mentre vaga per la città maledicendo a gran voce la commediante
Angela Dotti; successivamente interrogato dalle autorità, il Pullani
dichiara che l’arresto non è avvenuto per colpa della signora Dotti,
donna d’onore, ma a causa della sua gelosia e passione verso la stessa,
nonché per istigazione di terze persone8.
Con lettera del 25 agosto il sig. Blesi invia al Vescovo, per conto della
commediante, la smentita del Pullani, informandolo che i colleghi della
stessa sono pronti a fare ampia dichiarazione in suo favore9.
Nonostante la smentita, il Vescovo interviene facendo allontanare la
compagnia che già da tempo si trovava in città e con una lettera data3
4
5
6
7
8
9
Ibidem.
ARCHIVIO VESCOVILE DI ACQUI (d’ora in poi AVA), Madonnina B. Vergine della Neve
(Madonnina o Mad. del Monte), fald. 50, cart. 1, fasc. 12, Atto del 18 dicembre 1759.
AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 23
dicembre 1777.
Ibidem, m. 2, n. 7, Lettera del Prefetto Poesio del 25 ottobre 1755.
AVA, Madonnina B. Vergine della Neve (Madonnina o Mad. del Monte), fald. 50,
cart. 1, fasc. 12, Atto del 18 dicembre 1759.
AVA, Atti dei Vescovi, Vescovo Capra, fald. 15, cart. 1, fasc. 2, Relazione del Notaio
Porta del 29 agosto 1759.
Ibidem.
11
GLI ARTISTI
ANGELA DOTTI
Della bolognese
Angela Dotti scrive
Francesco Bartoli:
“Toltasi a’ domestici
affari della propria
famiglia, con un buon
capitale d’avvenenza
incominciò a prodursi
sulle Scene. Io, giovinetto, la vidi nel
Teatro Marsigli della
sua Patria dar incominciamento a’ suoi
Comici esercizi.
Furono i suoi progressi maggiori de’ suoi
deboli principj, ed
acquistando pratica, e
spirito, unitamente a
Giovanni Simoni, recitò da prima Donna, e
fu in Italia, e fuori
onorata d’encomj.
Oggi, avendo trascorsa la sua florida giovinezza, s’impiega in
parti che siano adatte
agli anni suoi più
gravi, e con una pari
fortuna si va mantenendo in concetto, e
riputazione”.
R.Br.
Cfr. anche F. BARTOLI,
Notizie Istoriche de’
comici italiani, Padova
1978 (ristampa dell’edizione di Padova
1781-82), vol. I, p. 199.
ta 31 agosto giustifica il suo operato considerando l’allontanamento della compagnia l’atto più discreto possibile, essendogli anche giunte all’orecchio dicerie sugli incontri tra Pullani e la commediante nella stanza dell’attrice e sui loro poco
castigati discorsi. Il vescovo biasima l’uomo; è sorprendente come “(…) uno de’ rispettabili Signori
di codesta Città, il quale potrebbe coi singolari
beni, che Iddio li ha dato rendersi ancora più
distinto, e preggevole siasi lasciato indurre a
mostrare publicamente attacco ad una Donna da
Teatro a segno pure, di soffrire, che fino pubblicamente fossero dai Attori forse a lui benché innominatamente dirizzati, ma per certo da una gran
parte dei spettatori informati della corrispondenza, a lui applicati que’ caratteri, e quei intrighi, che
sogliono rappresentarsi sú le scene” 10.
UNA PROPOSTA:
UN TEATRO IN CASA
SCASSI
L’oggetto principale della lettera del Prefetto del
25 ottobre 1755 era l’espressione del suo parere intorno alla volontà del marchese Scati11 di
formare un nuovo teatro, pigionando una parte
della casa del sig. Scassi. Il marchese, col pretesto
che in una delle sere precedenti in casa Blesi, né
lui né la sua signora fossero stati trattati con sufficiente riguardo, messosi a capo d’alcuni negozianti confratelli della Crociata di Sant’Antonio
di cui era Priore, aveva progettato di edificare un
edificio teatrale per procurare un’entrata alla
Confraternita. Secondo il marchese il nuovo teatro avrebbe sicuramente meglio incontrato il
gusto del pubblico, in quanto più vasto di quello
già esistente e perché situato nel centro della
città, quindi più facilmente raggiungibile dell’altro
confinato in un’estremità della stessa. Tuttavia
nessuna disposizione era ancora stata data per
10 Ibidem, Lettera del Vescovo Capra del 31 agosto 1759.
11 Stefano Francesco Scati, marchese (28 dicembre 17141773). Nella guerra 1742-48 ebbe il grado di capitano;
vi combattè a capo della compagnia delle milizie di
Acqui.
l’esecuzione di un simile progetto: il marchese, trovandosi senza denaro per anticipare le spese, avrebbe voluto mantenere il solo titolo di
Protettore dell’opera, mentre i confratelli erano dubbiosi sul fatto di
ottenere un rimborso, una volta avanzata la somma necessaria.
Il Prefetto Poesio si mostrò contrario a quest’iniziativa, innanzi tutto
perché avrebbe portato all’interruzione dell’edificazione della nuova
chiesa in cui il sig. Blesi aveva investito una considerevole somma, della
quale non sarebbe stato indennizzato; inoltre la città di Acqui, essendo piccola, non aveva bisogno di un teatro più grande.
Ma i problemi che preoccupano di più il Prefetto riguardano l’ordine
pubblico. Le casate principali della città erano da più anni disunite, nonostante gli sforzi del Governatore di riunirle, ed al solo progetto di un
nuovo teatro alcune famiglie neutrali si erano schierate chi per il sig.
Blesi, chi per il sig. Scati, accendendo tra i due partiti un gran fuoco: la
realizzazione del teatro avrebbe potuto accrescere i contrasti e creare disordini anche tra il pubblico schierato da una parte o dall’altra.
Fatto ancora più grave i fautori del nuovo teatro, per farlo meglio fruttare, erano intenzionati a servirsene per balli pubblici nel periodo di
Carnevale e per ridotto di giochi, e questo avrebbe portato ad un
incremento dei vizi e del libertinaggio12. La mancanza d’ulteriori documenti al riguardo induce a pensare che il progetto sia stato abbandonato.
IL TEATRO BORREANI
DALLA SUA ISTITUZIONE…
Nel 1777 la città di Acqui si trovava senza teatro pur “rimanendo da
tutto il popolo per un onesto divertimento di tutti gli ordini di persone sospirato, che se ne apra uno”13.
In una lettera datata 16 dicembre 1777 il prefetto Decanis informa che
i signori conte Roberti di Castelvero14, conte Piuma di Prasco15, e baro-
12 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n.7, Lettera del Prefetto Poesio del 25 ottobre 1755.
13 Ibidem, m. 2, n. 23, Supplica dei Sig.i conte Francesco Roberti di Castelvero, conte
Giovanni Francesco Piuma di Prasco e barone Ermenegildo Accusani di Retorto.
14 Francesco Spirito Roberti di Castelvero, conte (1755-1819): stimato“dai più intelligenti Maestri di Cappella” per i suoi componimenti musicali, “suonava con delicatezza specialmente il Violoncello”, G. BIORCI, Antichità e prerogative d’Acqui
Staziella, Tortona 1818-1820 (Acqui Terme 2001), Appendice, p. 104.
15 Giovanni Francesco Piuma di Prasco, conte (14 settembre 1746-10 novembre
1835), fu Sindaco di Prasco nel 1811.
13
ne Accusani di Retorto, membri di una Società di Cavalieri16, senza pensare alle conseguenze, si sono accordati con alcuni commedianti d’opere buffe, perché vengano a recitare nella città di Acqui dall’Epifania e
per tutto il Carnevale successivo e, non essendoci in città un teatro,
hanno deciso con il sig. Borreani di costruirne uno utilizzando una
parte della sua casa, situata nel Borgo di S. Pietro (nell’attuale piazza
Addolorata). Da circa un mese e mezzo, infatti, si eseguono dei lavori
“da Mastro da Muro” nella casa del sig. Orazio Borreani: dopo aver
chiuso quattro o cinque archi di una galleria e distrutto un muro esistente tra essa e la stanza attigua, erano state costruite una volta al di
sopra e diciotto logge piuttosto piccole, oltre quella del Governo, con
sostegno di travi nei muri laterali17.
Per allargate il sito era stata acquistata una casa attigua del canonico
e del nipote Cravino per 600 lire e nuovi interventi erano stati svolti
a causa del crollo della volta del teatro18. Successivamente era stata
edificata al di sopra delle logge “una loggia continuata [il nostro loggione], che circonda tutta la platea capace di duecento e più persone,
le quali”, precisa il Prefetto, “per il gran peso ponno in anno od in un
altro anno facilmente precipitare, essendo dette Loggie in pocca veduta de Comici rappresentanti ed alcune affatto prive di vista”. All’interno del teatro era stata aperta una bottega di vini, acqua, cibi freddi e
caldi, ed un ridotto per il gioco della bassetta19.
La spesa totale impiegata ammontava a lire 2000, compreso l’acquisto
della casa20; a sostenere le spese era stato lo stesso sig. Borreani chiedendo un prestito a “questi Ebrei” al sei per cento, con l’idea di restituirlo un po’ per volta entro pochi anni, approfittando dello stesso
interesse pagatogli dagli associati, oltre il fitto annuo del locale del teatro di lire 9021. Sempre Decanis rivela che all’impresa si erano in seguito associati l’avvocato Talice e Carlo Domenico Torre22.
Il Prefetto definisce il teatro “troppo misero per una città per la poca
sua estensione tanto in longo che in largo, irregolare nelle loggie troppo anguste, e ben ristretto il passaggio al didietro delle medemme
[medesime]”23.
14
16 Alla fine del Settecento è molto diffusa la nascita di teatri su iniziativa di una
Società di Cavalieri: ciò avviene a Novi, Tortona, Alessandria e Casale (L.
PALMUCCI QUAGLINO, op. cit., p. 2). Per quanto riguarda il teatro di Casale, esiste un
documento del 20 luglio 1740 “in cui alcuni Nobili decidono di costruire un Teatro
a Casale impegnandosi sulla parola d’onore di veri cavalieri a osservare quanto
stabilito” (G. SERRAFERO, La nobile Società dei Cavalieri ed il Teatro di Casale.
Storia e documenti, Casale Monferrato 1991, p. 13).
17 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n.7, Lettera del Prefetto Decanis del 20
dicembre 1777.
18 Ibidem.
19 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
20 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777.
21 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777.
22 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777.
23 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
È per ovviare a quest’ultimo inconveniente che il 6 aprile del 1778 gli
associati inviano una supplica al Consiglio della città in cui chiedono
l’autorizzazione a costruire “una soffitta però coperta e chiusa da
apporsi al di fuori della muraglia che riguarda l’Abbazia di S. Pietro”
per rendere più comodo l’accesso al palco e al didietro delle logge,
“qual soffitta verrà formata in altezza e longhezza sì come resta designata nel qui annesso tipo fatto dal Capo mastro Domenico Battaglia
(…) di modo che resterà decorosa, ed anche d’abelimento alla detta
casa della città”. Il Consiglio accorda il permesso con ordinato del 6
aprile, a condizione però che la
“(…) soffitta o bajetta si faccia nel modo più civile (…) che
sarà possibile affinché non renda deforme veruna, anzi
possa esser piuttosto d’abellimento, ma fu rappresentato,
da durare però detta (…) pel solo spazio d’anni nove prossimi, spirati li quali saranno tenuti li sig.ri Soci e chi per
essi far demolire detta soffitta o bajetta, riservando in
caso contrario alla città la facoltà di lei medesima demolire a spese di detti sig.ri Soci”24.
6 aprile 1778.
Disegno del capomastro Domenico
Battaglia allegato alla supplica
conservata presso l’Archivio
Storico Comunale di Acqui Terme.
24 La supplica con annesso disegno e ordinato è conservata nell’Archivio Storico
Comunale di Acqui Terme (d’ora in poi ASCAT), Sez. I, Suppliche, ed è pubblicata
in C. FERRARO, Prasco e il suo castello. Memorie storiche, cronache e documenti inediti, Alessandria 1996, pp. 70 e 73.
15
…AL PROBLEMA
DELL’ASSEGNAZIONE DEI PALCHI
Negli Stati Sardi del XVIII secolo l’apertura, la costruzione, la ricostruzione o la
modificazione di un teatro erano sottoposte
all’autorizzazione governativa in forma di regia
patente o decreto reale: l’accettazione della
domanda determinava l’emanazione di norme specifiche per quel teatro, norme che, essendo legate a
particolari circostanze, avevano validità temporaneamente limitata25.
Il Prefetto Decanis scrive nella lettera del 16 dicembre 1777: “sebbene io mi sia spiegato con alcuni di questa città, che una tale intrapresa sarebbesi dovuta presentare a codesta Segreteria, per avere la Regia
Approvazione, ed stabilimenti, che si sarebbero dati, per evitare ogni
disordine, non se ne fece caso”26. Nell’Archivio di Stato di Torino è
conservata tuttavia una supplica inviata a S.M. con cui i conti Francesco
Roberti di Castelvero, Francesco Piuma di Prasco e il barone Ermenegildo Accusani di Retorto, chiedono l’assenso all’apertura di un teatro
a privativa loro fin dal Carnevale imminente, e per il tempo concesso,
per “far in esso le pubbliche adunanze di divertimento”27. La supplica
non riporta nel testo alcuna indicazione di tempo: è visibile però la
data 11 gennaio ’77 posta sulla terza pagina del documento.
Con una lettera del 17 dicembre 1777 la Segreteria degli Interni chiede
al Prefetto Decanis di raccogliere informazioni in relazione alla richiesta
di un gruppo di nobili di costruire un teatro nella città di Acqui28: è probabile si tratti di un’ulteriore supplica inviata dagli associati.
I disordini di cui scrive il Prefetto nella lettera del 16 dicembre riguardavano l’assegnazione delle logge e lo coinvolgevano direttamente:
domenica 7 dicembre il conte Roberti e il barone Accusani si erano
recati a casa del Prefetto per offrirgli una loggia ed eventualmente un
biglietto perpetuo, essendo la costruzione delle logge appena terminata; questi aveva accettato volentieri sia il palco che il biglietto e deciso di lasciare la chiave a loro disposizione, nelle sere in cui non desiderasse assistere alle commedie. Il Decanis era rimasto dunque sorpreso quando aveva saputo che nell’estrazione a sorte dei destinatari
delle logge compiuta domenica 14, il suo nome non era stato incluso,
e se n’era lamentato con il sig. Piuma.
16
25 A. F. DUBOIN, Raccolta per ordine di materia delle leggi, editti, manifesti, ecc. pubblicati dal principio dell’anno 1681 sino agli 8 dicembre 1798 sotto il felicissimo dominio della real casa di Savoia in continuazione ed a compimento di quella del senatore
Borelli, Tomo XIII, vol. XV, Lib. VII, Tit. XXII, Capo I, Torino 1846, p. 853.
26 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23.
27 Ibidem.
28 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777.
In un successivo incontro con i signori Roberti ed Accusani, quest’ultimo
all’inizio aveva sostenuto che il Decanis “aveva determinato di prendere
il Biglietto perpetuo, e non la loggia”, poi di fronte all’osservazione che
ciò non avrebbe avuto senso poiché, senza loggia, sarebbe stato sufficiente pagare il biglietto d’entrata per rimanere in platea, si erano scusati, ma essendo tutte le quattro logge già assegnate, avevano accettato di
riflettere su una proposta del Prefetto: convincere uno dei destinatari
estratti a cedergli la loggia, con la promessa di mettere a disposizione del
concessore la chiave perché se ne servisse secondo i suoi desideri.
Qualche giorno dopo, con grande sorpresa, il Decanis era venuto a sapere che gli associati erano partiti con il capitale, e avevano assegnato al
dottor Bolzoni una delle logge riservate alla società29. Lo stesso inconveniente era capitato al sig. Ferdinando Talice e al negoziante Giovanni
Maria Perrone, mentre non erano stati cercati né il sig. Sindaco Dagna
Sabina né l’avv. Castagna, entrambi imbussolati ed estratti30.
L’impudenza degli associati aveva generato in seguito altri contrasti con
i destinatari delle logge: la seconda metà del mese di dicembre il notaio
Sardi, causidico collegiato della città e Procuratore di casa Roberti, si
era recato dai proprietari delle logge, per far loro firmare alcuni capitoli, tra i quali quello di pagare tre spettacoli l’anno a lire 12 l’uno.
Nel marzo del 1778 il conte Piuma si reca nella capitale per sollecitare la supplica di tener aperto il teatro31.
Nonostante i problemi insorti, gli associati non si perdono d’animo: in
una lettera datata 7 aprile 1778, scrive il Prefetto:
“Nella settimana scaduta sette di questi sig.ri, ai quali fu
assegnata la rispettiva loggia, feccero restituire la chiave
di essa a mottivo, che li detti sig.ri Associati li feccero presentare una scrittura continente diverse condizioni, alle
quali li volevano obligati. Una tal restituzione imbarazzò
non poco li stessi sig.ri Associati e si menneggiarono [?]
presso questo sig. Governatore, cui anche ne parlò detto
sig. Intendente, perché procurasse, come infatti trattò la
riaccettazione di dette chiavi, senza condizioni prettese
con detta scrittura”32.
Dalla lettera inviata da Francesco Roberti al conte Piuma, e datata 28
marzo 1778, si evince che i sette signori di cui parla il Prefetto erano
il conte Lupi, il conte Benevello, il conte Asinari, i signori Porta, Seghini,
Thea e l’avv. Paolo Chiabrera: questi, “dopo aver tenuto un congresso
in Casa Benevello”, avevano deciso di restituire le chiavi, “in seguito ad
una scrittura (…) fatta di consenso del signor Governatore; come di
fatto (…) le portò il Prato tutte unite assieme”. Il conte Roberti,
29
30
31
32
Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 16 dicembre 1777.
Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 20 dicembre 1777.
Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
Ibidem.
17
“avendo presentito che questi signori vogliono [far] decidere alla
Segreteria di Stato”, acclude alla lettera la suddetta scrittura, affinché
il conte Piuma “se venisse a presentire qualche doglianza possa fare le
nostre difese”, e invita il conte a parlare con l’avv. Bertolotti, circa l’approvazione all’apertura del teatro, esprimendo così il suo parere:
“(…) veramente la vedo molto difficile stantechè la Società
non è durevole, ma il tentare per sentire in che sentimento sono non può essere di danno veruno, e se sarà necessario ch’io scrivi al signor cav.re di Piozzo affinchè ne parli
a sua C: il signor Conte Perrone, lei non ha che farmelo
sapere ch’io immediatamente le scriverò”33.
Tutte le controversie nate intorno all’assegnazione delle logge inducono
il Decanis ad essere contrario all’autorizzazione a tenere aperto il teatro; egli così si esprime, senza remore, nella lettera del 24 marzo 1778:
“Io sarei perciò in sentimento che per non accordarla ed
anzi aver motivo di proibirla, le chiamasse V.E. conto di
quanto è seguito, ed il tipo di detto teatro, senza mai lasciarsi intendere, che da me provengono le accennate notizie,
perché il furore degli interessati anderebbe all’ultimo
segno, e non si lascierebbe segno per abbattere la verità,
essendo qui facile d’incutere gli uni, e gli altri, perché non le
palesino, e di trovar notaj che si piegano a riccevere attestazioni men vere, od a contribuirvi ed anco a far risultare
che sieno giurate, senza che siasi dagli attestati prestato
giuramento, e con ciò meno animarli a deporre”34.
Egli si schiera dalla parte delle “persone sensate” che ritengono “non convenir dett’impresa
a questa picciola Città e Provincia piena di
miserie”35.
L’autorizzazione all’apertura del teatro
fu comunque concessa agli associati, per
la durata di nove anni: nel dicembre del
1785 il teatro è preso in affitto dal “Sarto
Agostino Gardini, Barbiere Giuseppe
Baccalaro, e Neofito Lorenzo Corsi tutti di
questa Città, di bassa estrazione, quasi nullatenenti, di niun credito, e di poco buon concetto”, senza chiedere l’autorizzazione regia,
necessaria in quanto la locazione degli associati
18
33 Archivio Gallesio-Piuma, Lettera pubblicata in C. FERRARO, op. cit., pp. 70-71.
34 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23.
35 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777.
cessava “col novennio che scade con tutto il corrente mese”. I nuovi
affittuari si erano recati a Milano a scritturare dei virtuosi per dare
alcune opere buffe nel periodo di Carnevale, e si erano presentati dal
Governatore Buri per ottenere il suo assenso. Il Governatore però
aveva espresso un parere negativo, temendo che, data la miseria del
paese, essi non sarebbero riusciti a coprire le spese, come era avvenuto l’anno precedente, e a causa dei disordini e furti causati dal gioco
che si svolgeva nel ridotto del teatro36.
Una lettera del barone Accusani di Retorto e del conte Roberti di
Castelvero precisa meglio la situazione. L’affitto del teatro di 250 zecchini da parte dei nuovi impresari aveva durata annuale, e gli spettacoli
da rappresentare erano destinati in particolare al divertimento degli
ufficiali del nuovo Reggimento Provinciale della città. Credendo che
Orazio Borreani avesse ottenuto il regio placet e l’assenso del Governatore per la continuazione del teatro, gli impresari si erano recati a Milano ed altrove, a scritturare diversi virtuosi. Ora, con il rifiuto
del Governatore di aprire il teatro, e dovendo pagare i virtuosi, alcuni
dei quali erano già in città, si erano rivolti ai signori Accusani e Roberti,
perché mettessero loro in scena gli spettacoli che sarebbero iniziati il
26 dicembre; a loro volta, Accusani e Roberti chiesero l’autorizzazione al Governatore37, del quale tuttavia non conosciamo la risposta.
LE OPERE
La nostra conoscenza degli spettacoli rappresentati al teatro Borreani,
allo stato attuale delle ricerche, presenta molte lacune. Questi spettacoli comprendevano drammi giocosi (opere buffe), tragedie, commedie
e intermezzi in musica con balli; le rappresentazioni duravano “per l’ordinario” cinque ore, terminando un’ora prima della mezzanotte, quando
iniziavano i balli in maschera che si protraevano sino al mattino38.
Nel libro giornale manoscritto contenente i conti delle entrate e delle
uscite inerenti al teatro per gli anni 1777-177839, è possibile individuare i nomi di alcune opere rappresentate o da rappresentare: La
Mirandolina, La frascatana, Alcina, Il principe di Lagonero, l’intermezzo Il
convitato di pietra40.
36 AST, Corte, Lettere particolari, L., m. 5, Lettera del Governatore Lanzavecchia del
25 novembre 1786.
37 Ibidem, Lettera del barone Accusani e conte Roberti del 5 dicembre 1786.
38 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
39 Il manoscritto reca sul frontespizio 1780-C 215- Sig.r Grasso, C.te Piuma, C.
Roberti ed Accusani, Archivio Gallesio-Piuma, ed è in parte pubblicato in C.
FERRARO, op. cit., pp. 72 e 74.
40 La Mirandolina è il titolo di un dramma giocoso di P. Guglielmi, La frascatana di
G. Paisiello, mentre un dramma giocoso dal titolo Il Principe di Lagonero è stato
composto da P. Anfossi e da Paisiello.
19
In una lettera del 24 marzo 1778 il Decanis riferisce che nella stagione del passato Carnevale sono state rappresentate quattro opere
buffe: di queste, soltanto la prima, intitolata La sposa fedele (dramma giocoso in musica stampato a Torino e rappresentato nel teatro del
Principe di Carignano nell’autunno del 1768, con musica di P. Guglielmi)
era stata presentata al Prefetto, nonostante egli avesse richiesto di
poterle esaminare tutte e di inviarne una copia al vescovo.
Gli intermezzi eseguiti tra i tre atti di questi drammi, erano stati giudicati dal Decanis troppo liberi e osceni; ecco la sua descrizione di uno
di essi:
“(…) si avanzarono in una volta a far chiamar
dall’Arlichino al Dottore, se un Fratello, un Cugino poteva
sposar una Sorella, una Cugina, e sulla risposta del
Dottore, di non esser permesso tal matrimonio, e nuova
dimanda, se mal vi fosse se alcuna di dette Parenti fosse
stata conosciuta, fu da esso risposto, che sarebbe un incesto (…)”.
In un altro intermezzo,
“(…) fatta premura dall’Arlichino al Brighella, di procurarli una somma di quaranta Filippi, abbia questo mosso
un Ebreo a donarla ad un Cristiano, mediante cui si sarebbe questo reso Ebreo, e senza lasciarsi detto Brighella
intendere da detto Arlichino d’un tal suo maneggio, lo ha
presentato al detto Ebreo, e quindi il Rabino ed altri Ebrei,
son divenuti all’atto prossimo di circoncidere detto
Arlichino” 41.
Una lettera del conte Roberti, datata 21 aprile 1778 e inviata al conte
Piuma, che in quel tempo risiedeva a Torino, mostra il vivo impegno del
conte Roberti e della contessa Pellinetta, moglie del Piuma, nella ricerca degli abiti per l’opera Il principe di Lagonero:
“La sig.ra Contessa sua ha scritto a Genova per avere dal
Puttini li abiti del Opera del Principe di Lagonero42, o sia la
Contadina in Corte, e questo birbante ha avuto l’ardire di
dimandare per fitto lire trecento di Piemonte, mentre in
Alessandria il Barone comperava tutti li abiti dell’Avaro43
con lire centodieci: ora vede V. S. Ill.ma conviene che anch’el-
20
41 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 24
marzo 1778.
42 Quest’opera era stata rappresentata nel teatro Sant’Agostino di Genova nel
Carnevale del 1778, con musica di P. Anfossi (C. SARTORI, I libretti italiani a
stampa dalle origini al 1800. Catalogo analitico con 16 indici, Cuneo 1990, vol.
IV, p. 466).
43 Questo dramma giocoso era stato rappresentato nel Nuovo Teatro di Alessandria in
occasione della fiera d’aprile 1777, con musica di P. Anfossi (ibidem, vol. I, p. 373).
la s’adoperi per il teatro e cerchi li abiti che vedrà dalla qui
acchiusa nota fatta dal signor Blasi. Io credo che V. S. possa
far capo dal signor Ignazio Celognat impresaro del Teatro
Carignano, oppure dal signor Conte di Diano, direttore dei
vestiari del Teatro Regio. Credo che quest’opera sii stata
fatta in Torino; oppure puol guardare di trovarne di quelli
che si possano contare facendoli acomodare dal sartore del
teatro a norma della lista, e si ricordi che la Prima Donna
ed il primo Buffo mezzo Carattere sono grandi come lei.
Spero caro signor Conte ch’Ella riuscirà poter compiere con
gli abiti una così sontuosa opera”.
Non mancano nella lettera spiritose allusioni all’atteggiamento abituale del barone Accusani nei confronti delle attrici: “farò ogni mio studio
affinché il Barone non sij di nuovo in Amore verso la Prima Donna”44.
Anche nel conte Piuma era viva la passione per l’opera; questo emerge chiaramente in una lettera inviata da
Genova il 7 marzo 1813, in cui il conte esprime al Sottoprefetto Filli il suo giudizio su
un’opera di Mayer:
“Nous avons en ici ce Carneval le
célèbre Mayer qui ha composé tout
exprès pour ce theatre une pièce
nouvelle intitulée La rosa rossa e la
rosa bianca. La musique en est vraiment superbe; on pretend que ce
soit le chef d’œuvre de ce maitre, et
je crois que le plus bel éloge qu’on
en puisse faire c’est qu’elle a fait
fanatisme quoiqu’on l’ait donnée
après la Lodoviska”45.
Nel Carnevale 1786 si rappresentano i drammi giocosi L’italiana
in Londra, Il convito, Le gelosie villane46; nella primavera dello stesso anno
tragedie, commedie e intermezzi con balli vengono recitati da una
“Nobile Società di Cavalieri e dilettanti”, e nell’estate ed autunno dalla
“Compagnia Comica Italiana” diretta da Vincenzo Galuppi.
Della stagione del Carnevale 1787 si conoscono Il falegname di
Domenico Cimarosa, La vendemmia di Giuseppe Gazzaniga e I fratelli
Pappamosca di Felice Alessandri, mentre nell’estate dello stesso anno
44 Archivio Gallesio-Piuma, Lettera pubblicata in C. FERRARO, op. cit., pp. 71-72.
45 Archivio di Stato di Savona (d’ora in poi ASS), Dipartimento di Montenotte (d’ora
in poi D.M.), 50, fasc. 2.
46 L’italiana in Londra e Il convito sono i titoli di due opere di D. Cimarosa, mentre
con il titolo Le gelosie villane troviamo due opere di G. Sarti e P. Anfossi.
Foglio volante
dello stampatore
acquese
Gian Francesco
Arcasio, edito
in occasione
della nascita e
del battesimo
di Napoleone II
l’11 giugno 1811.
AVA, documento
in corso
di catalogazione.
21
si mettono in scena Il Solimano secondo47, “musica nuova d’un Cavaliere
dilettante in Musica”, e Gli amici in cimento, “musica nuova d’un altro
Cavaliere dilettante in Musica”48.
Un interessante manoscritto del 180349, contenente alcune poesie
composte in occasione del Carnevale, ci permette di conoscere i nomi
di altre opere rappresentate da dilettanti, in quanto compaiono nel
testo di un sonetto: La Nina, L’Epée, La vedova, La scozese, I franchi,
Clementina50.
È possibile ipotizzare l’esistenza di rapporti con le piazze di
Genova, Torino e della più vicina Alessandria, che
appartenevano ad un circuito più ampio: il
conte Piuma aveva infatti abitato per un certo
periodo a Torino, stabilendo contatti con l’impresario del Teatro Carignano e con il direttore dei vestiari del Teatro Regio; Genova
era inoltre la città natale della contessa
Pellinetta, moglie del conte Piuma (rapporti
in ogni caso sporadici, in quanto l’attività del
teatro Borreani non era regolare, ma probabilmente legata al Santo patrono o alla
fiera, come spesso avveniva nelle zone agricole).
ATTORI E MUSICISTI
Sul palcoscenico del teatro Borreani si esibivano nobili dilettanti e
attori professionisti.
Dal libro delle entrate e delle uscite del 1777-1778 è possibile individuare i nomi di alcuni artisti. Mandini e Blasi avevano partecipato probabilmente alla rappresentazione de Il Principe di Lagonero; ritroviamo
infatti il basso buffo Stefano Mandini di Bologna e Serafino Blasi
(Blasio) di Roma ne Il Principe di Lagonero dato nel teatro S. Agostino
di Genova nel 1778 con musica di P. Anfossi, il primo nella parte di
22
47 Una rappresentazione del dramma giocoso Solimano Secondo, ossia Le tre sultane,
avviene nel Nuovo Teatro della Nobile Associazione di Vercelli nel Carnevale dell’anno 1788, con musica di Dalindo Stinfalico Accademico Filarmonico di Bologna,
ossia il conte Luigi Cotti di Brusasco, (C. SARTORI, op. cit, vol. V, p. 247).
48 I titoli delle opere rappresentate nelle stagioni 1786 e 1787 sono desunti da un dattiloscritto conservato presso la Biblioteca Civica di Acqui Terme (d’ora in poi BCAT,
cartella Teatro in Acqui, in corso di catalogazione), e fornito dal dott. Armando
Fabio Ivaldi; non si conosce la fonte.
49 Manoscritto recante il titolo Poesie in occasione che nel Carnevale dell’anno XI:
Rep. 1803 nel Teatro in Acqui – si rapresentò da varj Dilettanti diverse Commedie
oltre La Nina Dramma Giocoso in Musica, Collezione privata.
50 Per queste opere si veda alla p. 29.
Rinaldo51, il secondo come Berto52. La seconda donna Pallavicini
potrebbe essere quella Marianna Pallavicini che risulta cantante al
Teatro Regio di Torino nelle stagioni 1783-178453, 1784-178554, 1786178755; la prima ballerina Torzelli può corrispondere a Colomba
Torzelli (Torselli), figurante straniera sempre al Teatro Regio nella stagione 1771-177256, seconda ballerina grottesca nel 1772-177357 e
prima ballerina grottesca nel 1780-178158.
Pontiggia, Trentanove e la seconda buffa Scotti possono essere identificati rispettivamente con il buffo Gaetano Pontiggia (Pontigia,
Poltiglia)59, il buffo Luigi Trentanove60, la buffa Teresa Scotti61.
Si pagano inoltre onorari, per la partecipazione a diverse recite, a
Pietro Urbani, Giuseppe Grandotti, al suggeritore Gerolamo Gatti, al
primo ballerino Barratti, al secondo ballerino Corsi, alla prima buffa
Gioanelli, alla terza buffa Barlucchi, alla seconda ballerina Fortuni, alla
Benvenuta.
Tra i musicisti compaiono i nomi di Marenco, Torchio (contrabbasso),
Nicola Ferraris, Castagnole, Giuseppe Zoccola (violoncello), Tirone,
Pesce, i fratelli Salsilli; si cita inoltre l’orchestra di casa Blesi, la banda
di Saluzzo e di Nizza.
I BALLI E IL GIOCO DELLA BASSETTA*
*Antico gioco d’azzardo di origine veneziana, simile al faraone e particolarmente diffuso nel Settecento. Era così chiamato perché a ciascun giocatore veniva distribuito un mazzetto di carte “basse” (dall’uno al cinque).
Le autorità giudicavano con diffidenza l’attività del teatro Borreani. Il
Decanis riferisce che l’intenzione degli associati di servirsi di commedianti che avevano recitato nel teatro di Alessandria, per dare alcuni
spettacoli il 2 giugno 1778, giorno della Fiera di San Guido, aveva infastidito il Vescovo62; nel dicembre dell’anno precedente il Vescovo aveva
inoltre ricevuto parole di disprezzo per aver proibito ad un chierico
organista del Duomo di suonare il violino nel teatro63.
51 C. SARTORI, op. cit., Indice II, p. 391.
52 Ibidem, p. 95.
53 M. TH. BOUQUET, Il teatro di corte dalle origini al 1788, in A. BASSO (a cura di),
Storia del Teatro Regio di Torino, vol. I, Torino 1976, p. 409.
54 Ibidem, p. 416.
55 Ibidem, p. 423.
56 Ibidem, p. 355.
57 Ibidem, p. 357.
58 Ibidem, p. 392.
59 C. SARTORI, op. cit., Indice II, p. 530.
60 Ibidem, p. 652.
61 Ibidem, p. 604.
62 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 2, n. 23, Lettera del Prefetto Decanis del 24
marzo 1778.
63 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 16 dicembre 1777.
23
Il Prefetto ricorda i disordini provocati anni prima da una “Colombina”
recitante al teatro Blesi e non manca di riferire la cattiva impressione
generata dal “vedersi girar per Città una Donna di Compagnia de presenti Commedianti vestita in abito da uomo”64.
Le rappresentazioni spesso generavano contrasti anche tra gli spettatori: “Dal principio di dette recite fin qui si son sempre sparsi scritti
perlopiù ingiuriosi, ed ultimamente contro li due partiti, che hanno
favorito chi la prima, e chi la seconda delle Donne recitanti”65.
Diversi disordini erano poi generati dai balli e dal gioco della bassetta: il 20 dicembre 1777 il Decanis riferisce il malcontento di parte del
popolo e della città riguardo l’apertura del teatro, “perché si diceva
che fra le recite del Carnevale si sarebbero in d.o Teatro fatti diversi
balli con giuoco di bassetta, la quale metteva e mette molti in apprensione per le ordinarie perdite che ne succedono”66. Nel marzo del
1778 scrive:
“Detti Balli han portato alcuni sconcerti, massime
doppo che al solito Cartello esposto al Pubblico si
scrisse, che le Signore avrebbero potuto riccusare il
Ballarino in Maschera. Queste Maschere per la maggior parte erano persone vili, e si è esatto dalle
medemme soldi dieci per l’entrata, senza che potessero ballare. Si è in dette notti tenuto il Giuoco della
Bassetta, in cui gli Sign.ri Associati entravano per la
metà della Banca essendo l’altra metà per il
Banchiere, e per due o tre altri suoi Compagni.
Palazzo Roberti,
in piazza Addolorata,
in una immagine
di inizio Novecento.
24
64 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 23 dicembre 1777.
65 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
66 Ibidem.
Si dice che la Banca abbia guadagnato lire cinque
milla perdute da diversi che han giuocato, che certamente non sono in stato di soffrire tali perdite e gli
detti Sig.ri Associati, oltre il guadagno della metà di
tal Somma, hanno riscosso sul fondo del guadagno
avanti di dividerlo un zechino per ogni Banca, anche
quando se ne sono fatte due o tre nella stessa notte,
67
e lire una per ogni giuoco, o sia ammasso di carte” .
Molti balli si svolgevano nelle dimore private dei nobili della città: ci è pervenuto il testo di una bosinata, componimento satirico scritto per divertimento della nobiltà di Acqui Terme in occasione del Carnevale 1791,
67 Ibidem, Lettera del Prefetto Decanis del 24 marzo 1778.
IL TEATRO E LA CITTÀ
1785: BALLARE E SUONARE ERANO UNA COSA SERIA
Le severe prescrizione dell’Ancien régime
emesse da don Giuseppe Odoardo conte di
Lanzavecchia di Buri, maggiore generale
della Armata di Sua Maestà, governatore
della Città d’Acqui e Provincia dell’Alto
Monferrato.
Per le contrade di questa città non si potrà
fare senza la nostra licenza alcuna serenata
con quantità d’instrumenti atta ad eccitare il
concorso del popolo, sotto pena di giorni 8 di
crottone [galera, da crota] tanto ai suonatori
tanto che farà [e]seguire la medesima, colla
quale pena incorreranno coloro che si faranno
licito di andare in maschera tanto per le contrade della città che ne’ teatri e case di giorno
e di notte senza la nostra licenza, in iscritto
che loro verrà spedita dal segretario nostro
infrascritto [Fulcheri].
Non si potranno pure far balli né pubblici né
privati, né tampoco sotto pretesto di conversazione tanto in questa città e finaggio che nelle
terre di questa provincia senza la detta nostra
licenza rispetto alla [Curia e all’usus Feudorum?] e senza la licenza de’ rispettivi vassallo e Giurisdicente secondo la consuetudine
che per tale riguardo possa esservi rispetto a
caduna delle dette terre, sotto pena del padrone della Casa, in cui si ballerà, ed ai suonatori di scudi tre caduno, salvo che si trattasse di
una privata ricreazione al sono di qualche
stromento fra persone della stessa famiglia, e
qualche loro vicino.
E ne’ luoghi, e nelle terre, dove si troverà un
distaccamento comandato da qualche Uffiziale Militare, dovranno tanto i vassalli che i
giusdicenti al caso che da esso si accordi, o si
neghi la licenza di ballare, rendere inteso il
suddetto Uffiziale Comandante dell’accordata
o negata permissione.
Quelli che sopra detti balli porranno mano
alla spada, o altre armi in qualche contesa o
appiglio, o che tenteranno d’impedire o rompere il medesimo ballo, o che useranno violenza
o altri mali termini per entrare, o farsi favorire nel ballare, sovra di essi contro l’arbitrio
chi ne spende il proprio denaro o delle donne
del ballo, incorreranno la pena di giorni 15 di
crottone, ed anche quella di essere rimessi alla
giustizia per l’opportuno procedimento e maggior castigo nel caso che vi fosse intervenuta
qualche ferita o la delazione proibita di qualche arma.
G.Sa.
recante il titolo Congresso eseguito in casa Roberti tra la più scielta [sic]
Nobiltà coll’intervento dell’Ill.mo Sign.r Governatore per formare una società
danzante. 179168 (vedi Appendice documentaria p.44): tra i personaggi
che compaiono nel documento vi è Francesco Spirito Roberti di
Castelvero, proprietario della casa in cui si immagina avvenga il congresso, e membro della Società di Cavalieri gerente del teatro Borreani.
IL PUBBLICO
Il pubblico del teatro Borreani non era costituito solo da nobili acquesi, ma anche da persone meno abbienti e da numerosi ebrei che abitavano l’affollato borgo Pisterna.
Il Prefetto Buzano, in una lettera datata 1° gennaio 1782, riferendosi al
Regio Ordine del 23 dicembre 1778 con cui si permetteva di assistere agli spettacoli agli ebrei che non ne avessero fatto abuso, afferma di
aver “osservato una grande affluenza d’Ebrei, che giornalmente chiedono tale permesso, e vi sono fin di quelli, che ebbero a chiedermi di
dargli una volta per sempre la licenza d’andare a tutte le recite”. Tutto
ciò creava degli inconvenienti: anzitutto “un notabile impiego di tempo
per sentir le dimande di tutti questi Ebrei”; inoltre, cosa più grave,
“(…) quando a molti si conceda in un sol giorno la
licenza, possono agevolmente confondersi con essi
quegli altri, che non hanno licenza, per portarsi
ancor essi al teatro. E molto più in questo tempo
pare necessario usar molta riserva per esser seguiti
in queste scorse notti diversi gravi furti, ben sapendovi quanto vi dia a temere che gli Ebrei vi prestino
mano, massime con la ricettazione delle cose furtive,
essendo questo ghetto popolatissimo, e molti di loro
affatto miserabili, e pezzenti, così che non sembra da
fidarsi a lasciarli uscire di notte”.
Scrive il Prefetto, che essendosi aperto due giorni prima il teatro, e
avendo egli negato ad alcuni richiedenti la licenza, “non solamente
fecero meraviglia, ma intendo eziandio abbino preteso portarne qualche reclamo”. Egli propone di dare ogni sera il permesso ad un discreto numero di ebrei “di quelli, che non danno luogo a sospettare di
loro”, e di “far esiggere nella Segreteria un qualche tenue emolumento, stante la non breve occupazione, che si arreca a chi deve notar in
registro le licenze per eseguir il prescritto di d.a lettera” 69.
26
68 Manoscritto tratto da un fondo d’archivio privato della famiglia Brezzi di
Montecastello (il can. Paolo Brezzi, morto nel 1860 circa, era segretario del Vescovo
di Acqui Carlo Giuseppe Maria Sappa de’ Milanesi, alessandrino, 1788-1834) e
pubblicato in F. CASTELLI, I peccati in piazza. Bosinate carnevalesche in Piemonte,
Alessandria 1999, pp. 189-190.
69 AST, Corte, Sez. I, Materie Ecclesiastiche, Cat. 37, Ebrei, mazzo 2 da inventariare.
ALCUNE PROPOSTE DI RIFORMA DEL TEATRO
ALLA FINE DEL SETTECENTO
Tra il ’97 e il ’99 Napoleone trasforma i vecchi Stati italiani in
Repubbliche, con costituzioni simili a quella francese del 1795: le
più importanti sono la Repubblica Cisalpina, comprendente la
Lombardia e l’Emilia e che nel 1802 diventa Repubblica Italiana,
la Repubblica Romana, corrispondente allo Stato della Chiesa, e
la Repubblica Partenopea, fondata nel 1799 e comprendente i territori del Regno di Napoli. Tra la fine del ’96 e il corso del ’97
Milano era diventata il maggior centro del patriottismo giacobino
italiano: nella città lombarda erano infatti affluiti esuli provenienti da tutte le regioni, che avevano avviato dibattiti e discussioni sulla possibilità di una nuova sistemazione politica della
penisola. Anche il teatro diventa oggetto di discussioni; i primi
tentativi di riforma del teatro italiano appaiono nel periodo giacobino: in Francia la legge del 13-19 febbraio 1791 sugli spettacoli, abolendo ogni disposizione precedente, aveva proclamato l’assoluta libertà per ogni genere di attività teatrale, e il movimento
giacobino italiano fonda su questo provvedimento le proprie idee
ed azioni. Si combattono le vecchie convenzioni teatrali e si affida
al teatro la funzione di assemblea educatrice del popolo.
Si indicono concorsi pubblici per progetti relativi all’organizzazione dei teatri nazionali con premi in denaro. Il 4 novembre
1797 vengono pubblicati nel giornale “Termometro politico della
Lombardia” due regolamenti, il Decreto per il teatro del governo
provvisorio bresciano e il Piano disciplinare per il teatro del
governo provvisorio, coi quali si tenta di uniformare la legislazione teatrale nella Repubblica Cisalpina e si dettano norme
riguardanti il repertorio:
“(…) si vietano i drammi in musica considerati corruttori dei costumi, si proibiscono gli addobbi troppo
lussuosi nei palchi, si afferma che il teatro è una
scuola di pubblica istruzione, si proibiscono le rappresentazioni in maschera, si introduce il concetto di
“prezzo politico” per l’ingresso nei teatri, posti sotto
la direzione di una commissione
composta di tre
70
membri eletti dal governo” .
Un’altra proposta, pubblicata nel “Termometro” il 26 luglio
1796, è quella costituita dalle Norme per un teatro nazionale
proposte dal cittadino Francesco Saverio Salfi.
70 L. TREZZINI, Società e legislazione, in Storia del teatro moderno e contemporaneo,
diretta da R. Alonge, G. Davico Bonino, Torino 2000, vol. II, p. 1026.
27
In essa
“(…) si indica nei drammi francesi post-rivoluzione
l’esempio da seguire per la rifondazione della drammaturgia nazionale; si auspica la costituzione di una
compagnia nazionale di attori, buoni patrioti, “onesti
ed abili”, modello di virtù per tutti i cittadini (…); si
considerano gli attori un organo della pubblica istruzione; si richiede la costituzione di un fondo, a garanzia delle municipalità, per il mantenimento dei teatri, protetti e amministrati dalle medesime, togliendoli così agli impresari; negli interventi si dà la priorità al teatro di “declamazione”,
e poi a quello di
71
musica e di danza” .
71 G. AZZARONI, Del teatro e dintorni. Una storia della legislazione e delle strutture teatrali in Italia nell’ottocento, Roma 1981, pp. 204-205.
Nel giornale
del 29 ottobre 1808
(collezione privata)
si menziona
il viaggio compiuto
da Alessandria
a Savona
- via Acqui da S.A. il Principe Borghese,
Governatore Generale.
28
LA STORIA
LA RIFORMA DEI TEATRI
Il 1° luglio 1798 il Gran Consiglio della Repubblica cisalpina approva la proposta della
commissione sui teatri, riguardante il problema della riforma del teatro, proposta che
diventa legge per tutto il territorio della
Repubblica. Riportiamo di seguito alcune
delle principali affermazioni: “Tre soli mesi
all’anno si rappresenteranno opere in musica
così dette serie o buffe (…); negli altri nove
mesi si reciteranno tragedie e commedie patriottiche”; “Le tragedie che si recitano ispireranno odio al governo dei tiranni, coraggio e
fierezza repubblicana, commiserazione per
l’innocenza oppressa”; “La commedia smaschererà l’orgoglio brutale dell’aristocrazia,
l’impostura dell’ipocrita superstizione, l’ambizione ridicola del ricco, le cabale dell’intrigante, l’avarizia del provvisioniere, la venalità di un magistrato, l’infamia del falso patriota. Essa avrà una plenipotenza universale di
censura sul costume del tempo”; “Fra un atto
e l’altro si canteranno arie patriottiche, o
almeno se ne suonerà la musica”; “Ne’ capiluoghi di dipartimento si formano delle compagnie nazionali. I maestri di eloquenza delle
scuole centrali istruiscono nella declamazione teatrale quei giovani dell’uno e dell’altro
sesso, che avendo buone disposizioni, vogliono ascriversi nelle compagnie medesime”; “Il
potere esecutivo è incaricato di assicurare in
ogni capoluogo di dipartimento e in ogni altro
almeno contenente tra le sue mura ottomila
abitanti, un teatro di proprietà nazionale”;
“Questi teatri vengono amministrati diretta-
mente a conto della nazione dalle amministrazioni locali, secondo le norme che saranno prescritte”; “Ogni anno le amministrazioni
dipartimentali sono tenute a pubblicare a
parte colla stampa lo stato attivo e passivo
dell’azienda dei teatri, le spese tanto ordinarie quanto straordinarie occorse e l’introito
delle somme ricevute”; “In tutti i teatri dichiarati di proprietà nazionale si distruggeranno tutte le divisioni tra palchetto e palchetti, e se ne forma una loggia sola aperta a
tutto il popolo”; “Il potere esecutivo dà le
norme opportune alle amministrazioni locali,
onde l’ingresso per le recite sia fissato al
minimo prezzo possibile per più facile concorso de’ cittadini”; “Ogni sera di decade ed ogni
sera di festa nazionale il teatro sarà dato al
popolo gratuitamente. Le amministrazioni
distribuiranno per tali sere biglietti preferendo quei cittadini che, a cagione del loro stato,
negli altri giorni frequentano meno il teatro”.
Gli avvenimenti politici impedirono l’attuazione di questo piano di riforma.
Nei vari progetti di legge, che propongono la
moralizzazione del teatro, Arlecchino e le
maschere della commedia dell’arte vengono
presentati come i nemici più pericolosi: gli
editti del 18 gennaio 1801 e dell’8 gennaio
1802 ne vietano l’utilizzo.
R.Br.
Cfr. anche G. AZZARONI, op. cit., pp.195 e 207209.
LA STAGIONE DI CARNEVALE DEL 1803
a cura di G.Sa.
“Bello al veder in sull’Acquesi scene, andar fastoso oggi desio d’onore, chi esprime al vivo un de l’Epèe, chi ardore dimostra nella Nina…”
Da un sonetto di Vincenzo Radicati, scritto per il Carnevale 1803 (per
il cui testo completo rimandiamo alla p. 53), possiamo trarre indizi di
un cartellone di inizio Ottocento, in cui son citati poeticamente i titoli degli allestimenti - c’è la Vedova, la Scoseze, i Franchi, la Clementina indicati in modo criptico. Con tutte le cautele del caso proponiamo di
scioglierle come segue.
29
Interno di
teatro di fine
Settecento.
Iniziamo da l’Epée. Dovrebbe trattarsi de
L’Abbé de l’Epée, comédie historique, en cinq
actes et en prose, par J[ean] N[icolas] Bouilly
[1763-1842], membro della société philotechnique, che il frontespizio del libretto
(chez André, imprimeur-libraire, rue de la
harpe, nº. 477 [Parigi] ) dice rappresentato
per la prima volta il 23 frimaio dell’anno VIII,
ovvero il 14 dicembre 1800. Non inganni il
luogo di rappresentazione (Palazzo di Giustizia) e professione principale dell’autore
(avvocato): il Nostro scrisse per molti compositori del tempo, fra cui Auber, Dalayrac,
Méhul, Morlacchi, Cherubini, “inventando” la
storia di quella Léonore (musicato da Gaveaux
nel 1798), da cui Sonnleithner trasse il libretto per il Fidelio di Beethoven.
Da notare poi la “deriva italiana” che si attuerà per merito di Giuseppe Mosca (17721839), che con la collaborazione del librettista Luigi Ricciuti porterà sulle scene l’opera
in italiano, a Napoli nel 1826.
Quanto alla Nina, si tratta dell’opera di Paisiello, che “La Gazzetta di
Firenze” (1 giugno 1822) non esita a giudicare - con Sisara di
Guglielmi, Orazi e Matrimonio Segreto di Cimarosa - “capo d’opera in
tutti i luoghi e in tutti i tempi”.
La celebrità ci induce alla sintesi. Passiamo così alla Vedova. Potrebbe
trattarsi della Teresa Vedova di Vittorio Trento (1761 - 1833), libretto di
Giulio Artusi, che sappiamo essere andata in scena a Venezia nel 1801
(Teatro Venier in S. Benedetto nella stagione di carnovale, di cui fa fede
il libretto stampato in Venezia dal Casali) e a Torino nell’autunno del
1802. Non solo. Nel 1803 la Teresa vedova, farsa per musica tratta fedelmente dalla commedia di questo titolo dall’abate Giulio Artusi veneziano
venne a stampata a Milano da Pirola, e ciò può essere inteso come
indizio di una certa fortuna.
La vicinanza geografica, confermata dai contatti che gli acquesi ebbero
con il mondo subalpino, e poi anche la cronologia suggerisce se non
un percorso, almeno una suggestione, che sembra valere anche per
l’Ariodante o Ginevra di Scozia, libretto di Gaetano Rossi e musica di
Giuseppe Mosca, andata in scena il 27 gennaio 1802 a Torino.Tratto dal
Furioso (canti IV, V e VI), il soggetto già celebre dal Cinque (tragedie in
prosa e commedia dell’arte) al Settecento per merito di Vivaldi e poi
di Pollarolo (1718), Sarro (1720) ed Haendel (1735), venne ulteriormente promosso da un lavoro drammatico di Giovanni Pindemonte. Il
poeta lo rappresentò con vivo successo nel 1795 al Teatro di San Gio-
30
vanni Grisostomo in Venezia, dal quale venne tratto il libretto dell’opera Ginevra di Scozia di Simone Mayr (1801). Questa inaugurò il teatro di Trieste e assicurò un’ampia risonanza al nome dell’operista, il
quale divenne - sino al folgorante avvento di Rossini - il compositore
teatrale più acclamato d’Italia. Da notare poi che quest’opera anticipa,
curiosamente, un’altra Ginevra che quasi novant’anni dopo calcherà il
teatro acquese. Sarà quella la Ginevra di Giuseppe Vigoni (di lui si parla
anche nel box di approfondimento di p. 182) su testo della marchesa
Teresa Venuti di Roma, pronta ad attingere alle pagine di Lord Alfred
Tennyson che pone nella fabula Artù, Lancillotto, Tristano, il Sire ed
Eliana d’Astolat.
Il libretto conservato però non è acquese, ma fu impresso già nel 1891
a Città di Castello, come si evince dagli esemplari conservati presso la
Fondazione Cini di Venezia.
Quanto ai Franchi, l’ipotesi (e nulla più) è che il titolo possa alludere
alla Comédie lyrique Les Paladins (1760) di Jean-Philippe Rameau, mentre con la Clementina, Vincenzo Radicati poteva riferirsi alla Clementina
e Dorvigni ossia La forza delle passioni, esito dell’ispirazione del marchese bolognese Francesco Albergati Capacelli (1728 - 1804), scrittore, politico e commediografo italiano.
Quali conclusioni si possono tirare una volta identificate le opere?
Certo nessuna riflessione si può proporre circa le qualità degli allestimenti, poiché nulla sappiamo degli artisti coinvolti e delle musiche: il
repertorio scelto, però, testimonia un gusto assai aggiornato, che attinge tanto ai più celebri compositori transalpini, quanto ad un “canone”
che tre teatri guida del settentrione d’italia - come quelli di Venezia,
Milano e Torino - stanno fissando, e al quale risulta naturale adeguarsi.
Acqui, dunque, piccola piazza, ma aggiornata e “alla moda”. Il segno
forse anche di una vocazione “internazionale” che certo Napoleone e
la sua amministrazione, se avessero potuto, avrebbero incentivato.
Non a caso, per i francesi il teatro era una priorità...
IL TEATRO IN ACQUI A INIZIO OTTOCENTO
Il Piemonte viene annesso alla Francia nel settembre del 1802 e successivamente suddiviso in Dipartimenti, secondo l’organizzazione già
esistente nell’impero francese. La struttura del Dipartimento francese
è imperniata sul Prefetto, figura direttamente in contatto col Ministero
dell’Interno, assistito da un segretario generale di prefettura nominato dal Governo. Il Dipartimento è suddiviso in circondari, ciascuno con
a capo un sottoprefetto di nomina governativa, strettamente dipendente dal Prefetto ed affiancato da un consiglio di circondario che
riproduce in piccolo le caratteristiche del Consiglio generale.
31
In ogni comune c’è un Sindaco, nominato dall’Imperatore nei grandi
centri e dal Prefetto in quelli piccoli, con uno o più vice sindaci, affiancati da un Consiglio municipale anch’esso con funzioni consultive. I
Comuni sono raggruppati in cantoni, ossia circoscrizioni giudiziarie
(ogni cantone è sede di un giudice di pace) ed elettorali; il Sindaco del
capoluogo di cantone è spesso chiamato a coordinare l’attività amministrativa della propria zona, per esempio a proposito della raccolta
d’informazioni statistiche72.
La città di Acqui, dapprima appartenente al Dipartimento del Tanaro,
soppresso il 23 settembre 1805, entra a far parte del Dipartimento di
Montenotte, nato con il Decreto del 6 giugno 1805, e diventa capoluogo di cantone73.
Il primo ad essere nominato alla Prefettura del Dipartimento è
Nardon nel luglio 1805, il quale s’insedia nella città di Savona, capoluogo del Dipartimento, nel mese di settembre. Dopo pochi mesi però
Nardon viene trasferito alla sede di Parma con decreto imperiale del
28 gennaio 1806 e sostituito dal giovane conte di Chabrol74.
Le informazioni sulla situazione teatrale acquese di quel periodo derivano dalla documentazione relativa a due indagini promosse dal governo di Parigi, la prima nel 1806 e la seconda nel 1813.
Il Decreto imperiale dell’8 giugno 1806 sugli spettacoli contiene alcune
disposizioni particolari sui teatri dei dipartimenti: nelle grandi città
dell’Impero i teatri sono ridotti a due, nelle altre città non può sussisterne che uno, mentre per tutti è necessaria l’autorizzazione del
Prefetto; le compagnie ambulanti possono sussistere solo con l’autorizzazione del Ministro dell’Interno e della polizia; il Ministro dell’Interno
avrebbe designato i circondari destinati alle compagnie ambulanti, preavvisandone i Prefetti; in ogni capoluogo di Dipartimento solo il teatro
principale ha il diritto di dare balli in maschera75.
Per l’esecuzione di queste disposizioni il Ministro dell’Interno aveva
bisogno di precise indicazioni sulla situazione teatrale nei Dipartimenti.
Con una circolare del 28 luglio 1806 il Ministro dell’Interno Champagny
chiede ai Prefetti alcune informazioni: qual’è la situazione degli spettacoli
nel Dipartimento; quali città, per popolazione e risorse particolari, sono
in grado di mantenere una o due compagnie di commedianti; se le compagnie d’ambulanti possono mantenersi senza inconvenienti, e quali circondari conviene loro designare76.
32
72 G. ASSERETO, Il dipartimento di Montenotte: amministrazione, economia e statistica, in G.CHABROL DE VOLVIC, Statistica delle Provincie di Savona, di Oneglia, di
Acqui e di parte della provincia di Mondovì, che formavano il dipartimento di
Montenotte, a cura di G. Assereto, Savona 1994, vol. I, p. 73, nota 25.
73 Ibidem, pp. 64-66.
74 Ibidem, pp. 71-74.
75 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, Traitè de la Législation et de la Jurisprudence des
théatres, Paris 1855, vol. II, p. 431.
76 ASS, D.M., 50, cart. 2.
Il Sottoprefetto di Acqui Giuseppe Filli risponde, con una lettera datata 9 agosto:
“Monsieur,
Dans mon arrondissement il n’y a que la seule ville
d’Acqui, où des comédiens pourraient se maintenir pendant une partie de l’année, c’est-a-dire au Carnaval et
au printems; mais cette ville n’a aucune salle de Spectacle et nul moyen pour s’en procurer une. Je vous observerai aussi, que lors même qu’il y eût à Acqui une salle
de spectacle, des Comédiens ambulans n’y feraient pas
une grande ressource, e il faudrait que la troupe
fût bien
77
peu nombreuse, pour pouvoir s’y soutenir” .
[Signore,
nel mio distretto non c’è che la sola città d’Acqui, dove dei
commedianti potrebbero mantenersi durante una parte dell’anno, vale a dire nella stagione di carnevale e in primavera;
ma questa città non ha alcuna sala di spettacolo e nessun
mezzo per procurarsene una.
Io vi farei poi osservare che anche se ci fosse ad Acqui una
sala per spettacoli, non costituirebbero una grande risorsa e
bisognerebbe che la compagnia fosse poco numerosa per potersi sostentare.]
77 Ibidem.
Ordine napoleonico di cantare
il Te Deum per la vittoria di
Austerlitz.
L’immagine è riprodotta nel
volume Visone. Vita quotidiana
nei secoli, Alessandria 1994.
33
Un documento trovato nell’Archivio di Stato di Savona dispone in
forma di modello le informazioni richieste dal Ministro nella suddetta
circolare: le città che possono fornire mantenimento ad una compagnia di commedianti risultano essere Savona, Acqui, Ceva, Porto
Maurizio, solo durante il Carnevale e la primavera e purché la compagnia sia ben poco numerosa, e Pietra; quanto alla seconda domanda, si
risponde che le compagnie ambulanti potrebbero mantenersi solo se
il loro numero non eccedesse le dieci persone, per le quali esisterebbero delle case particolari da affittare; quanto alle aree da designare
loro, saranno i circondari dei rispettivi Dipartimenti; infine si scrive
che la situazione attuale degli spettacoli per Pietra è buona, mentre
per le altre città del dipartimento “est dangereuse étant la plus pitoyable: il faudrait inculquer les principes de civisme et de morale consacrés dans la cité pièce du Père de famille78” [è pericolosa e la più pietosa: bisognerebbe inculcare i principi di civismo e morale consacrati
nell’opera del Padre di famiglia]; si aggiunge inoltre che la commedia e
la tragedia sono da preferire all’opera79.
Con l’Ordinanza del 25 aprile 1807, redatta dal Ministro dell’Interno
in esecuzione del più generale Decreto dell’8 giugno 1806, si dividono
i teatri di Parigi in grandi teatri e teatri secondari, e si stabiliscono i
repertori dei teatri dipartimentali.
Nel Titolo II si afferma che le compagnie permanenti o ambulanti possono recitare opere del repertorio sia dei grandi teatri, sia dei teatri
secondari. Nelle città con due teatri, il principale gode specialmente
del diritto di rappresentare le opere del repertorio dei grandi teatri,
e con l’autorizzazione del Prefetto quelle del repertorio dei secondari; il secondo teatro gode specialmente del diritto di rappresentare
opere dei teatri secondari, e solo in alcuni casi può scegliere le opere
del repertorio dei grandi.
Nel Titolo III si designano le circoscrizioni destinate alle compagnie di
commedianti ambulanti. Le città impossibilitate ad offrire spettacoli
durante l’intero corso dell’anno sono classificate in modo da formare
25 circondari: ad ogni circondario è assegnato un impresario di spettacoli, il quale non può ingaggiare compagnie di un altro circondario,
senza l’autorizzazione del Ministro dell’Interno e del Ministro della
polizia generale. Gli impresari presentati per questo o quel circondario devono, prima del 1° agosto del 1807 e dell’anno successivo, comunicare il numero degli attori della compagnia, l’epoca e la durata del
soggiorno nella città della circoscrizione assegnata. La durata dell’autorizzazione è di tre anni al massimo; le condizioni alle quali sottostanno le concessioni sono comunicate ai Prefetti e dagli stessi ne
viene sorvegliata l’esecuzione; l’inosservanza delle condizioni provoca
la revoca dell’autorizzazione e, in alcuni casi, il pagamento di un’indenni-
34
78 Si riferisce all’opera di D. Diderot del 1758.
79 ASS, D.M., 50, cart. 2.
tà alla cassa dei poveri. Il Ministro della polizia generale, una volta ottenuta una copia dell’autorizzazione dal Ministro dell’Interno, concede
all’impresario, in caso di mancanza d’inconvenienti, una particolare
approvazione. Nelle città in grado di offrire spettacoli tutto l’anno, e in
quelle con due teatri, l’autorizzazione a stabilirvi una compagnia è accordata dal Prefetto, e rilasciata nel corso del 1807 80. Il sistema degli “arrondissements théatraux” verrà esteso ai teatri italiani solo nel 1813.
Con una circolare del 1° luglio 1808 il Ministro dell’Interno Cretet,
informato che alcuni impresari di spettacoli detti “di curiosità”, quali
danze della corda, acrobazie, esercizi d’equitazione, si permettono di
far recitare pantomime e altre opere drammatiche, invita i Prefetti a
dare i più pronti ordini per impedire che continui tutto ciò, ossia che
tali impresari mettano in scena opere che appartengono all’arte drammatica81.
80 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, op. cit., vol. II, pp. 436-438.
81 ASS, D.M., 50, cart. 2.
Lettera del 10 ottobre 1810
del capocomico Biaggio Visconti.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
35
Il 10 ottobre 1810 il capocomico Biaggio Visconti scrive una lettera al
Sindaco di Acqui per avere informazioni sul teatro della città, non
sapendo quale ne sia il direttore82. Non siamo in possesso della risposta del Sindaco, utile per capire di che teatro si tratti; occorre però
osservare che nel catasto napoleonico, datato 1810, l’edificio Borreani
non viene più indicato come teatro83.
Nella circolare del 1° marzo 1812 il Ministro dell’Interno Montalivet
informa il Prefetto dell’impossibilità di eseguire il piano d’organizzazione generale dei teatri per la stagione teatrale successiva, e della
conseguente proroga della normativa vigente fino alla fine del medesimo anno: saranno quindi riconosciuti come Direttori privilegiati gli
imprenditori già muniti di brevetto84.
Nel dicembre dello stesso anno, essendo giunti al momento del rinnovo dei privilegi per le direzioni dei circondari dei teatri, il Ministro
richiede informazioni sulle diverse compagnie e sul modo in cui il servizio è svolto. In particolare chiede: come svolge i suoi impegni il direttore della compagnia che serve la città; il numero degli attori della
compagnia e il nome degli attori principali; in quale tempo la compagnia servirà ciascuna delle città del Dipartimento e per quanto vi
resterà; quale sala di spettacolo occuperà; quali di queste sale appartengono al Comune e quali ai privati; il prezzo d’affitto delle sale e
attraverso quale persona è pagato. La scelta del repertorio è un argomento molto importante: i Direttori dovranno sottoporre all’autorità
il repertorio intero e i Prefetti dovranno inviarlo al Ministro, indicando quali piece sono recitate nelle loro città e l’accoglienza che ricevono. I Direttori non potranno aggiungere alcun pezzo senza l’assenso
del Ministro, oppure, in caso d’urgenza, del Prefetto, che dovrà in ogni
caso comunicare il fatto. Il Ministro chiede di avere risposta alle precedenti domande entro la fine di gennaio85.
Il contenuto della risposta del 24 dicembre del Prefetto di Montenotte
è desumibile dalla lettera inviata dal Ministro al Prefetto il 9 gennaio
1813: non esisteva una compagnia regolare d’attori per il Dipartimento di Montenotte, ma solo commedianti isolati che, in qualche
periodo dell’anno, si adunavano in qualche città per darvi alcune rappresentazioni.
Montalivet descrive una situazione teatrale non buona: quella delle
imprese delle grandi città è disprezzabile, mentre la direzione delle
compagnie delle città secondarie è in uno stato di disordine. Per regolarizzare il servizio teatrale il Ministro comunica la sua volontà di
estendere ai Dipartimenti al di là delle Alpi il sistema adottato nei
Dipartimenti dell’Ancien Régime. I Dipartimenti di Genova, di Montenotte e degli Appennini vengono riuniti nel circondario dei teatri n. 46:
36
82
83
84
85
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
BCAT, Cartella Catasto napoleonico, in corso di catalogazione.
ASS, D.M., 50, cart. 2.
Ibidem, Circolare del 2 dicembre 1812.
esso sarà suscettibile di avere compagnie stazionarie per le città che
potranno mantenere spettacoli durante tutto l’anno, e compagnie
ambulanti per quei Comuni che potranno offrire spettacoli solo
durante una stagione; i Direttori delle compagnie saranno nominati su
presentazione dei Prefetti.
Per aiutare i Prefetti nell’organizzazione viene designato un commissario a loro disposizione: è Jean Giraud, autore drammatico, conosciuto nel Dipartimento di Montenotte, il cui compito sarà quello di sorvegliare i Direttori, i repertori, le rappresentazioni, far pagare i diritti
per i poveri e per gli autori, comunicare con i Prefetti ed eseguirne le
istruzioni, rendere conto ogni tre mesi della posizione delle imprese86.
86 Ibidem.
1809. Invito a cantare
il Te Deum per
ulteriori vittorie
napoleoniche.
L’immagine è riprodotta
nel volume
Visone. Vita quotidiana
nei secoli, Alessandria 1994.
37
Nella lettera del 22 maggio 1813 Montalivet fornisce le istruzioni relative alle condizioni da imporre ai direttori e i privilegi da accordare,
oltre a misure particolari per tenersi al corrente sulla situazione delle
imprese. Tutti i direttori devono, all’inizio di ciascun anno teatrale, sottomettere la lista degli attori al prefetto del Dipartimento dove si trova
la città principale del circondario servito, affinché egli la rimetta al
Ministro con le proprie osservazioni; lo stesso procedimento è previsto per il repertorio generale della compagnia; i direttori delle compagnie ambulanti devono inviare ai Prefetti, tutti gli anni, il loro itinerario;
i Direttori non possono avere subappalti; se hanno due compagnie,
devono avere per ciascuna di esse un regista a loro conto, e comunicarne il nome al Prefetto. I direttori delle compagnie stazionarie e
ambulanti godono dei privilegi dei balli mascherati e hanno diritto a
percepire un quinto sull’introito lordo degli spettacoli di curiosità,
danze della corda, cavallerizzi, fisici, ed altri esercizi del medesimo genere, dopo il prelevamento dei diritti per i poveri87. Si stabilisce inoltre
che i Prefetti rendano conto, ogni tre mesi, della condotta dei direttori delle compagnie stazionarie e ambulanti, e sottopongano al Ministro
dell’Interno lo stato degli introiti e delle spese delle compagnie88.
Il regolamento del 19 agosto 1814 e 13 maggio 1815 ripete e amplia
le norme cui sono sottoposte le Province. Ogni circondario in cui è
suddiviso l’Impero comprende uno o più Dipartimenti, a seconda del
numero delle città in grado di offrire spettacoli; esso può avere due
tipi di direttori: direttori di compagnie permanenti per le città con
spettacoli permanenti, designati dai Prefetti e nominati dal Ministro
dell’Interno, con autorizzazione accordata per uno, due, tre o più anni;
direttori di compagnie ambulanti per servire i comuni che non possono avere spettacoli ogni anno, scelti dal Ministro sulla base delle note
del Prefetto, con autorizzazione valevole per non più di tre anni.
I Direttori, dopo aver dato prova della possibilità di sostenere un’impresa teatrale (in alcuni casi avendo anche pagato una cauzione in
immobili), ottenuto il brevetto, devono recarsi dal Ministro della
Polizia generale per ricevere gli ordini. Importante era prendere tutte
le misure perché tutti i Comuni divenissero proprietari di sale teatrali, e disporre che nelle città prive di sale pubbliche o private, ma
suscettibili di offrire spettacoli, se ne costruisse almeno una89.
Uno stato delle città del Dipartimento di Montenotte suscettibili d’avere un corso di rappresentazioni in alcune stagioni dell’anno, spedito
al Prefetto di Genova il 25 agosto 1813, c’informa che la città di Acqui
38
87 In Francia esisteva fin dal XVI secolo un’imposta speciale sull’esercizio dei teatri
e degli spettacoli; essa rappresentava un rimborso per i poveri per i danni arrecati dal teatro, che, allontanando il popolo dal servizio divino, riduceva la consistenza delle elemosine; l’imposta, prorogata per diversi anni, divenne definitiva con il
Decreto del 9 dicembre 1809 (G. AZZARONI, op. cit., p. 25).
88 ASS, D.M., 50, cart. 2.
89 M. A. LACAN, M. C. PAULMIER, op. cit., vol. II, pp. 445-449.
avrebbe potuto dare un numero di 30 rappresentazioni durante la stagione dei bagni. La commedia è il genere preferito dagli abitanti, e si
osserva che le città di Acqui, Finale e Porto Maurizio amano ugualmente l’opera in musica e la commedia, ma che il primo genere di
spettacolo è troppo costoso perché una compagnia di musicisti “puisse y trouver son compte” [possa ottenere buoni guadagni]; le città, del
resto, non possono fornirsi “de joueurs d’instrumens pour faire marcher le spectacle” [di strumentisti per ben condurre lo spettacolo], di
conseguenza la commedia “est le seul [genre] qui peut leur convenir”
[è la sola forma di rappresentazione adatta]. Durante la stagione dei
bagni in Acqui e a Carnevale nelle altre città, “une troupe peu nombreuse pourra y trouver des ressources suffisantes dans le concours
du public qui aime à s’amuser dans ces Saisons de préference à toutes
autres”90 [una compagnia poco numerosa potrebbe trovare risorse
sufficenti in rapporto al più numeroso pubblico che ama divertirsi più
in queste stagioni rispetto ad altre].
Bains civils d’Acqui.
Progetto di
trasformazione del
convento di
San Francesco
in bagni termali
e teatro per
la città (1813).
BCAT, Disegni,
in corso di
catalogazione.
90 ASS, D.M., 50, cart. 2.
39
Il 26 agosto 1813 il Sottoprefetto di Acqui Filli descrive al Prefetto di
Montenotte la situazione della città, fornendo le informazioni richieste
con lettera del 24 dello stesso mese. Nelle Città di Acqui e di Nizza
Monferrato esistono sale per spettacoli, le quali però appartengono a
privati, e non posseggono del teatro che il nome: quella di Nizza è
pressoché sempre chiusa, ed è impossibile che una compagnia appena
mediocre vi trovi un beneficio sufficiente per mantenersi; quella di
Acqui resta ordinariamente aperta durante la stagione dei bagni. Il
Sottoprefetto riporta alcune informazioni contraddittorie rispetto alle
affermazioni che compaiono nel documento precedentemente citato:
il genere di spettacolo che sembra piacere di più è l’opera buffa, “c’est
aussi le moins dispendieux, à cause que le nombre d’auteurs nécessaire est bien plus petit que pour la comédie [lirique], tandis qu’ici l’orchestre ne coûte rien, étant toute composée d’Amateurs (et ces
Amateurs ne voudraient peut-être pas jouer à la comédie)”[e anche la
meno dispendiosa, poiché il numero di attori necessario è ben inferiore a quello del melodramma e, inoltre, qui l’orchestra non costa
nulla, essendo tutta composta da dilettanti (e questi dilettanti non vorrebbero, non saprebbero suonare nel melodramma)]; malgrado questo “les Entrepreneurs de ces spectacles ne font point fortune ; le dernier est parti en laissant ici quatre à cinq cent francs de dettes” [gli
impresari di questi spettacoli non fanno fortuna; l’ultima è partita
lasciando quattro o cinquecento franchi di debito].
Filli spera in un miglioramento della situazione per le compagnie con
la costruzione dei nuovi Bagni Civili91. Un decreto imperiale del 23
maggio 1806 aveva infatti disposto la consegna dei “bagni di Acqui”
all’Amministrazione della guerra; nel successivo mese di luglio Chabrol
si era recato nella città e si era accordato col Generale del genio
Chasseloup per lasciare una parte delle terme a disposizione dei civili, ma nel contempo si era preoccupato di far progettare un nuovo stabilimento, fortemente reclamato dalla città. Il nuovo edificio doveva
sorgere nel centro della città, più precisamente nell’ex convento di San
Francesco: Chabrol aveva già fatto redigere un progetto, calcolato i
costi, e chiedeva al governo un finanziamento per iniziare i lavori.
Il 28 marzo 1807 un decreto imperiale aveva accordato alla città il
convento di S. Francesco per costruirvi i bagni civili. Si stese un nuovo
progetto, che prevedeva la riunione nell’edificio di appartamenti, sale
per riunioni e un teatro. Il Consiglio municipale, benché ritenesse
eccessivo per le magre finanze acquesi il preventivo di spesa di
125.000 franchi, considerando la bellezza e l’utilità dell’edificio, aveva
aperto un prestito civico di 100.000 franchi, e invitato gli abitanti a
concorrere alla costruzione con forniture gratuite di materiali e di
manodopera; aveva inoltre suggerito a Chabrol di cercare un imprenditore disposto ad assumersi il carico dei lavori in cambio di una con-
40
91 Ibidem.
cessione a lungo termine dello stabilimento termale.
Due progetti inviati a Parigi, l’uno dell’ingegnere dei Ponti
e Strade Coïc, l’altro dell’architetto torinese Monsignore,
furono bocciati dal Conseil des bâtiments civils, ma seguiti
da progetti di modifica che si trascinarono per lungo
tempo. Nonostante l’offerta di due impresari, Pier
Giorgio Vanni e Pietro Antonio Gastaldi di Netro, di
eseguire i lavori in cambio di uno sfruttamento
per 16-18 anni, e le sollecitazioni del Consiglio
generale del Dipartimento a prendere una decisione in proposito, sul finire del 1810 nulla ancora si era mosso. Solo alla fine del 1811 il Conseil
des Bâtiments civils decise di approvare un terzo
progetto dell’architetto parigino Guillot, ma trascorse un altro anno prima che fosse emanato, l’11
agosto 1812, il bando per l’appalto dei lavori. Il preventivo
di spesa ammontava a franchi 151.195,21, ma dall’appalto era
stato escluso il progetto relativo al teatro, per il quale si prevedeva una
spesa aggiuntiva di 111.000 franchi circa.
La gara fu vinta, con un ribasso del 2,5 %, dal suddetto Gastaldi e dal
suo socio Giuseppe Colombino, due dei più importanti impresari di
opere pubbliche di quegli anni, i quali però poco dopo chiedevano un
ulteriore finanziamento di 28.876,55 franchi. La caduta del regime bloccò i lavori, lasciando aperta una lunga controversia tra il governo francese e l’architetto Guillot, che avrebbe sollecitato ancora a lungo il
pagamento del proprio onorario92.
Senza un edificio teatrale adeguato, sfumata la prospettiva di una maggior
affluenza di forestieri prevista con i nuovi bagni civili, era inutile sognare
di avere una compagnia di dodici o quindici commedianti, quando già una
compagnia d’opera buffa con sei o sette attori faticava a trarre guadagni.
Da una lettera del Commissario Giraud del 28 agosto 1813, inviata al
conte Brignole, Prefetto di Montenotte, pare che ad essere incaricato
della direzione del servizio teatrale del Dipartimento dovesse essere
un certo sig. Ferro93; qualche mese dopo il Ministro dell’Interno comunica al conte Brignole la nomina del sig. Bianchi a direttore dei teatri
del 46° circondario, con autorizzazione valida dal 1° dicembre 1815
fino al 30 novembre 1816. Il Ministro si sofferma a chiarire l’obiettivo
del sistema adottato per i teatri, con parole che rendono bene l’idea
della situazione delle compagnie nel primo Ottocento: il sistema tende
a mettere le imprese teatrali più alle dipendenze dell’autorità di quanto lo siano state fino a quel momento e a distruggere le cattive piccole compagnie che trasportano di borgo in città la loro miseria e il
loro cattivo gusto. Egli avrebbe piacere che la compagnia francese passasse qualche tempo a Savona, e invita il Prefetto a rivolgersi alla
92 G. CHABROL DE VOLVIC, op. cit., vol. I, pp. 306-307, nota 116.
93 ASS, D.M., 50, cart. 2.
41
Direttrice94: si riferisce alla compagnia di madamoiselle Raucourt, che
aveva recitato in Italia tra il 1807 e il 1813.
Tra le varie misure che il Commissario Giraud aveva proposto per
migliorare il sistema, vi era quella di assicurare agli autori il pagamento
dei diritti per le loro opere rappresentate: l’esecuzione di queste misure aveva creato qualche problema, tanto che nella circolare del 12 ottobre 1812 il Ministro aveva riferito dei reclami ricevuti dagli autori sul
rifiuto di molti impresari di pagar loro i diritti, e aveva invitato i Prefetti
a far rispettare gli articoli dei decreti del 1791, 1793 e del 180695.
Per assicurare l’incasso dei diritti d’autore l’avvocato Filippo Talucchi di
Torino aveva proposto di stabilire nella sua città un’Agenzia Drammatica su imitazione di quelle di Parigi, proposta approvata dal Prefetto
del Dipartimento del Po con ordinanza del 20 agosto 1813 e gradita al
Ministro dell’Interno. Con lettera del 15 settembre 1813 l’avvocato
Talucchi invia esemplari del piano al Prefetto di Montenotte, per farlo
conoscere agli amministrati tramite pubblicazione sul giornale96.
Nella sua lettera del 26 agosto 1813 il Filli affermava che Acqui disponeva di una sola sala di spettacoli privata: un documento trovato
nell’Archivio di Stato di Torino, contenuto nel fascicolo Provvedimenti
per far rientrare gli ebrei nel ghetto e datato 20 ottobre 183097, ci rivela
l’esistenza di una sala adibita a questo scopo, dopo il 1812, nella Chiesa
di Sant’Antonio. Dopo la soppressione della Chiesa da parte del
governo napoleonico, la confraternita di Sant’Antonio era stata infatti
trasferita dalla Curia Capitolare nella vicina chiesa di S. Paolo: il vecchio oratorio di Sant’Antonio era stato concesso al Comune, come da
Convocato della Confraternita del 1° giugno 1812, in seguito alle sollecitazioni del Viceprefetto Filli, con l’idea di costruirvi un’ala ad uso di
mercato (il denaro ricavato era stato impiegato per restaurare la chiesa di S. Paolo, degradata dopo essere stata per lungo tempo adibita al
servizio militare). Ma il locale non era mai stato ridotto ad ala pubblica per uso di mercato, piuttosto era stato adibito “ad altro uso indegno, cioè ad uso di prigione per li ladri di campagna, e per le donne di
cattiva vita”98; oltre a questo aveva anche “servito ad ogni uso profano, cioè per Magazeno, Teatro, Saltimbanchi, ed ora per falegname,
sempre stata affittata da questa Civica Amministrazione col prodotto
di lire cento annue”99.
Nonostante le disposizioni francesi tese a migliorare la situazione teatrale italiana, le compagnie continuano a fare pessimi affari: se il 20 apri94
95
96
97
42
Ibidem, Lettera del Ministro dell’Interno del 7 ottobre 1813.
Ibidem.
Ibidem.
AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. 37, mazzo 7 da inventariare, Lettera del
Regio Comandante della Città e Provincia d’Acqui.
98 AVA, Confraternita di Sant’Antonio, fald. 36, cart. 2, fasc. 3, Convocato della
Confraternita di Sant’Antonio, s. d..
99 AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. 37, mazzo 7 da inventariare, Lettera del
Regio Comandante della Città e Provincia d’Acqui del 20 ottobre 1830.
le 1814 il Direttore dei teatri Bianchi scrive al Prefetto di Savona, invitandolo a sottrarre la compagnia che agisce nel suo teatro alla critica e
difficile situazione in cui si trova, e a porre un freno al rischio cui va
incontro100, ad Acqui il capocomico Luigi Salsilli, poiché la sua compagnia
“da circa otto giorni non ha potuto aprire il Teatro per mancanza di
Concorrenti, e perciò impossibilitata colle sue fatiche a procacciarsi il
troppo necessario sostentamento, e senza la sensibilità d’un’umano
Regista, che benché ristretto di forze ci ha somministrato il modo di
prolungare l’esistenza non sarebbe più fra gli esseri”, prega il Sindaco di
“rimarginare la grave ferita che la sud.a ha immeritatamente ricevuto
con il farmaco salutare di vostra generosità”101. Purtroppo non siamo in
grado di dire a quale teatro il Salsilli si riferisca.
100 ASS, D.M., 50, cart. 2.
101 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Lettera al Sindaco del 24 aprile 1814.
La supplica del capocomico Luigi Salsilli.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Lettera al Sindaco del 24 aprile 1814.
43
APPENDICE
Carnevale 1791.
Bosinata
composta per
divertimento
della nobiltà
di Acqui,
tratta
dall’archivio
privato
della famiglia
Brezzi di
Montecastello.
44
DOCUMENTARIA
IL TEATRO E LA CITTÀ
LA BOSINATA
La satira dialettale (del volgo ma anche dei
signori), proprio nel Basso Piemonte e - più
specificamente - nel Monferrato ha espresso
un ricco corpus di testimonianze orali e
scritte (la più antica, acquese, è del 1791)
che attestano, inequivocabilmente, la vivacità del fenomeno.
Bosin in dialetto milanese vale contadino,
uomo rozzo di campagna. Lombarda infatti
è l’origine di questa forma d’espressione
popolaresca, che già nel XVI secolo viene
adottata dai ceti colti.
Ai carrettieri dell’Alessandrino è forse da
ascrivere l’importazione di questi modi
espressivi cui le classi subalterne riservarono, principalmente, il tempo del carnevale.
Ma come si evince chiaramente, qui i modi
furono presto adottati dai ceti colti.
La bosinata consiste nella confessione pubblica dei “peccati” di una comunità, che rovescia l’esistente sollecitando la sperimentazione impunita di situazioni “diverse”.
Il giorno del martedì grasso (o nell’ultima
domenica del carnevale) su un carro (o un
balcone, o su un palco appositamente
costruito) si inscena una rappresentazione
che vede protagonisti alcuni tipi fissi (Vegg,
Fio, Fija – anziano, giovane e ragazza; altri
se ne possono aggiungere) che mettono alla
berlina i protagonisti del paese, anche con
aspre critiche e salacità (riservate in particolar modo alle fanciulle in cerca di marito).
Un anno, idealmente, si viene a chiudere e
la bosinata (corrispettivo del testamento)
assolve i compiti tanto di rito di espulsione
collettiva del male, quanto di rito propiziatorio della fertilità (per questo si allude alla
tematica sessuale e matrimoniale).
G.Sa.
Cfr. anche FRANCO CASTELLI, I peccati in
piazza. Bosinate Carnevalesche in Piemonte,
Alessandria 1999.
Bosinata composta per divertimento della nobiltà di Acqui Terme in
occasione del Carnevale 1791.
Congresso seguito in casa Roberti tra la più scielta Nobiltà coll’intervento
dell’Ill.mo Sig.r Governatore per formare una società danzante. 1791.
IL GOVERNATORE1
Dunq lor Signori alan dispost
D’unis tutti a fè balé
Tut va bin: venta osservé
S’a staran tutti al propost
Per mi i dag mia parola
Vada sing, vada des schin
Purch’as daga d’bei festin
I tem nen la parpajola
Ch’as procuro un bel salon
Con n’orchestra ben cunpia:
Caffè, ed acque da de via
1 Cavalier Malabaila.
2 Cavalier Cristoforo Ghilini.
E una grand luminazion
L’INTENDENTE2
A dis ben Sor Governator
Ch’as procuro Orchestra e Sala
Un sit grand, ch’a l’abbia d’ala
Ch’ai sia post pr’’l Borsuè, e ’l Sior.
Mi saria d’sentiment
D’fè buté su un Botteghin
Come a s’usa dcò a Turin
S’ pur lor autr a son content
45
IL CONTE ROBERTI3
Radicati s’ voi à veule
Impresten voster salon
As farà una bella union
Gnune scuse! Voi a peule
Per l’Orchestra ai è poc mal
I ai pensà, ch’a Cremolin
Ai è ancora doi bon violin
Ch’as peul fesne capital
E una grand luminazion
CONTE RADICATI4
S’ai è nen auter c’lolì
Ch’a mancheisa a fè balé
Fin da des vad fè rangiè
Tut a posta per sossì
Venta vedde s’i associati
A saran tutti content
Ch’a dio pur so sentiment
Ch’a comensa chiel Conte Scati
CONTE SCATI MARENCO5
Già, Già, Già
IL CAVAGLIERE SCATI6
Mi diria sua sala è bela
E a proposit per balè
Ma trop ciair venta pensè
Ai andrà pr’illuminela
N’autra ai nè difficoltà
As propon Caffè, e rinfresch
O fot sì chi stommo fresch
46
Ant sossì sommo pa obbligà
CAVAGLIERE PIUMA7
Costa è n’autra, mi sai pà
Dove diavol l’abio la testa
Caffè, ed acque su una festa
Tut lolì sicur ai va
Già il lo ved, e il lo giurria
Che sossì dev prest finì
Un veul no, e l’auter veul si
Fin da des mi m la faria
IL COMMISSARIO8
Ou noster Piuma ou dis d’incant
In son manc rason da dì
Oui dev esse tit compì
Se dnò mi mna vag, e ai piant
An vrità anò mai sentì
Der rason chsi strambalaie
Si n’an nent d’né anter braie
L’è superfl chi veno a dì!
CONTE LUPi9
O fin lè ou so sentiment
L’è ben gist, ch’il diggo ticc
A chi r pias bagnà, a chi sicc
Com si sia poi me am content
Coui sia da beive manc ma erbsogna
Per bagné ar sgnore ‘r Bocchin
Che aiò dicc ai fazz n’anchin
E amna vad an Cassarogna.
3 Francesco Spirito Roberti di Castelvero, conte (1755-1819).
4 Vincenzo Melchiorre Radicati di Passerano, conte (1752-1822).
5 Alessandro Scati-Marenco, conte (1742-1817), nel 1784 era consigliere del Comune
di Acqui; morì celibe e con lui si estinse il ramo degli Scati-Marenco.
6 Guido Ignazio Scati, dei marchesi Scati, detto il Cavalier Scati (1751-1835), cadetto nel Reggimento dei Fucilieri, fu sindaco di Acqui. Nel 1800 fu tra i municipalisti d’Acqui eletto dal governo francese sedente a Torino.
7 Paolo Piuma dei conti di Prasco, cavaliere (1747-1794), ufficiale del Reggimento di
Acqui, morì in combattimento.
8 Commissario non meglio identificato.
9 Giuseppe Maria Lupi di Moirano, conte (1715-1792) riformatore delle scuole acquesi.
L’AVVOCAT FISCAL10
Mi i’ai fa me conclusion
Ma da lo chi peuso capì
Tut sossì l’andrà finì
In un zero bel, e bon
Pr’autr as sa, ch’ent un congress
Tutti a son nen d’un parer
I’ai sentì ch’è nen pi d’ier
N’auter dcò cl a dit l’istess.
IL PREFETTO11
I Congress son fait espress
Per di tutti sua opinion
E ‘l motiv dle bele union
Son nen autr ch’i congress
D’ sentiment anche son mi
Ch’as dev dè d’ festin grandios
Per tutt lo, ch’as sio sprendios
As dev nen guardè a lolì
L’AVVOCAT CHIABRERA12 in stil sublime
Ma al sentir di lor Signori
Vuolsi fare una Cuccagna
Sentirem che dirà Dagna
Dirà forse: Amico onori
Se si può: direm così
Una sala ritrovare
Non si grand’a illuminare
Un flambé durrà tre dì
Soldi quattro a ognuna pinta
Porterò vin bono, e nero
Da dar ber a tutto il Clero
Si guadagna ancor la tinta
IL CONTE SCATI
Già, Già, Già
MONSÙ DAGNA13
Caspitina l’Amico caro
Cazziga! Ci fan onori
E in presenza a sti Signori
Dirò: non temo il denaro.
Voglio dire il vero: Amico
Anche a me rincresce un po’
Ma un rimedio troverò
E sentite che vel dico
In persona me n’andrò
Sulla piazza del mercato
Col mio servo o serva a lato
E più poco prenderò
D’ova sol mezza dozzina
Di butirro mezza libra,
E che il cuoco s’equilibra
Voglio ancor sulla farina
E così discorriam quà
Dei Tartuffi, e Pescaria
Che dir posso in vita mia
Quasi mai aver mangià.
E se in tal maniera fo
Verrà il fin del Carnevale
Ch’osservando sul totale
Un guadagno troverò
L’AVVOCATO TORRE14
Com si sia ch’as accordo
Me am dispon chmi voro lor
E così ou dev fe er ver sgnor
S’a vol c’tutti ansem concordo.
10 Angelo Vincenzo Bovio della Torre, avvocato fiscale e vice intendente, già avvocato fiscale di Tortona (Rivalta Bormida 1741- Molare 1820).
11 Avvocato Tomaso Inverardi, già Prefetto di Susa.
12 Avvocato Paolo Chiabrera (1734-1807). Consigliere di Prefettura ad Asti sotto il
governo napoleonico (1802); accoltellato nel 1800 unitamente all’avv. Lingeri e al
cav. Scati perché favorevoli ai Francesi.
13 Stefano Ferdinando Dagna (1740-1796), sposò Costanza Perrone.
14 Carlo Domenico Maria Torre, avvocato (1737-ante 1813), sposò nel 1764 Anna
Maria Teresa Chiavazza.
47
TRADUZIONE
GOVERNATORE. Dunque lor Signori hanno
disposto / d’unirsi tutti a far ballare. / Va
tutto bene: bisogna solo vedere / se staranno tutti alla proposta. / Per me, do la
mia parola: / vadano pure 5 o 6 scudi, / pur
che si dia un bel festino, / io non temo la
parpagliola (?). / Si procurino un bel salone / con un’orchestra valida: / caffè, acque
da offrire / e una grande illuminazione.
INTENDENTE. Dice bene, signor Governatore, / si procurino orchestra e sala: /
un ambiente grande, / che abbia spazio
sufficiente per il borghese e il nobile. / Io
sarei dell’avviso / di allestire un botteghino / come s’usa ora a Torino, / se pure
loro sono d’accordo.
CONTE ROBERTI. Radicati, se volete, / prestateci il vostro salone, / si farà una bella
unione. / Nessuna scusa! Voi potete, / per
l’orchestra poco male, / ho pensato che a
Cremolino / ci sono ancora due violini /
di cui si può fare capitale.
CONTE RADICATI. Se non c’è altro / che
quello che manca a far ballare, / fin da ora
vado a combinare / tutto apposta per
questo. / Bisogna vedere se gli associati /
saranno tutti contenti. / Dicano pure il
loro pensiero. / Cominci lei, Conte Scati.
CONTE SCATI MARENCO. Già, già, già.
CAVALIER SCATI. Io direi che la sua sala è
bella / e adatta per il ballo, / ma temo che
troppi lumi / ci vogliano per illuminarla. /
Poi c’è un’altra difficoltà: / si propongono
caffè e rinfreschi? / Allora sì che stiamo
freschi! / Mica siamo obbligati…
CAVALIER PIUMA. Questa è un’altra, io non
so / dove diavolo abbiano la testa: / caffè
e rinfreschi in una festa / ci vanno di sicuro! / Già lo vedo, potrei giurarlo, / che
48
questo finirà presto: / uno non vuole, l’altro vuole, / io la farei fin da ora.
IL COMMISSARIO. Il nostro Piuma dice d’incanto. / Non sono ragioni da dire: / ci
deve essere tutto a puntino, / se no me
ne vado e li pianto. / In verità non ho mai
sentito / ragioni così strampalate: / se non
hanno quattrini nelle tasche, / è inutile
che vengano a dire!
CONTE LUPI. Il suo sentimento / è ben giusto, lo dicano pure tutti, / a chi piace
bagnato, a chi asciutto, / comunque sia, io
m’accontento. / Occorre ci sia da bere /
per bagnare il bocchino alle signore, / alle
quali faccio un inchino / e me ne vado in
Cassarogna.
L’AVVOCATO FISCALE. Io ho tratto la mia
conclusione, / ma da quel che posso capire, / tutto ciò finirà / in uno zero bell’e
buono. / Peraltro si sa che in un congresso / non tutti sono dello stesso parere; /
ho sentito che è non più di ieri, / un altro
che ha detto lo stesso.
IL PREFETTO. I congressi sono fatti apposta
/ per dire tutti la propria opinione / e il
motivo delle belle unioni / altro non sono
che i congressi. / Anch’io sono del parere
/ che si debba fare un festino grandioso, /
per cui se sarà dispendioso / non ci si
deve badare.
L’AVVOCATO CHIABRERA in stil sublime. (3
strofe in italiano)
CONTE SCATI. Già, già, già.
MONSIEUR DAGNA. (6 strofe in italiano)
AVVOCATO TORRE. Comunque si accordino, / io mi dispongo come vogliono loro,
/ e così deve fare il vero signore, / se
vuole che tutti insieme concordino.
POESIE DEL 1803
Poesie d’occasione, come già dichiara l’intestazione manoscritta e distribuita con epigrafica eleganza su nove righe racchiuse in
una cornice ornamentale a ghirlande o
festoni vegetali: poesie a loro volta incorniciate – tranne l’ultima, chiaramente aggiunta in seguito e dettata da tutt’altra occasione – in riquadri colorati e tutte vergate dalla
stessa mano, in una grafia allo stesso tempo
rapida e chiara, di facile decifrazione. Se
unica è la grafia del manoscritto fascicoletto,
diversi sono però i verseggiatori.
Si comincia con un sonetto di Giulia Thea
Piuma che si congratula con la damigella
Cristina Roberti, che nel carnevale del 1803
ha, con altri attori dilettanti, calcato le scene
teatrali acquesi con notevole successo.
Cristina ha recitato e cantato, calandosi con
straordinaria versatilità in ruoli ora leggeri
ora patetici, suscitando l’ammirazione di
tutti, in particolare dell’amica che gioisce del
suo successo. Ma a Cristina sono dedicate
altre due poesie: la prima è una canzone (più
propriamente una canzonetta) di V. Radicati
in quartine di settenari alternativamente
sdruccioli e piani, con i versi piani che di
norma rimano tra loro; la seconda è un
sonetto di G. B. Bruni. Il Radicati insiste sul
fatto che Cristina è figlia d’arte: dai genitori
ella ha appreso, ad un tempo, i segreti di
Talia (musa della commedia) e di Melpomene (musa della tragedia e della lirica).
Assistito da Apollo, dio dei carmi, il poeta,
imitando Dedalo, ardisce spiccare il volo
verso le ardue pendici dell’Elicona, il monte
della Beozia sacro alle muse, e qui con sua
grande sorpresa vede assisa accanto ad
Euterpe, musa della musica, la bella
Cristina: vivente dimostrazione che la sensibilità artistica non è preclusa alle donne,
come pure vorrebbe un vieto pregiudizio. Lo
stesso mito di Dafne va quindi rivisto e corretto: la ninfa inseguita da Apollo e trasmutata in lauro, anziché apprestare serti per
incoronare poeti come Omero, Teocrito e
Pindaro, ne destina uno a Cristina. Al punto
che di fronte all’applauso generale del pubblico anche il poeta chiede alla sua ispirazione di innalzare al cielo (“all’etra”) inni di
lode e, tra gli applausi stessi delle Grazie e
degli Dei, di cingere, coi suoi canti, la fronte
di Cristina della meritata corona. Il Bruni si
esibisce invece in un galante omaggio: quando Cristina interpreta la parte di Amalia,
nel Misantropo, commuove tutti in modo
IL TEATRO E LA CITTÀ
meraviglioso. E se la sua arte fosse all’altezza del compito, il poeta vorrebbe equiparare
la bravura dell’attrice a quella delle tre
Grazie.
Segue un sonetto di V. Radicati dedicato Agli
Amatori, e Dilettanti, in cui l’autore passa
compiaciuto in rassegna le opere rappresentate sulle scene acquesi da attori non professionisti ma tutt’altro che privi di maestria. Guido De Alessandri, in un altro sonetto, si sofferma invece sulla commedia di
cui sono protagonisti Amalia e Meneau, sottolineandone i risvolti patetici. Nei due ultimi sonetti lo stesso poeta elogia i Filarmonici prima e la Nina pazza per amore poi:
Acqui (anzi, Caristo) nei suoi versi diventa
Tebe, le cui mitiche mura furono costruite da
Anfione, il cantore al cui suono le pietre si
muovevano da sole. Allo stesso modo, assecondando i voleri del regista, gli attori
acquesi si muovono in modo naturale sulla
scena, come se a guidarli fosse lo stesso
Apollo, che sul monte Pindo, in Tessaglia,
dirige il coro delle muse con tanta perizia da
indurre i Numi a fare quanto egli desidera.
Di Nina il poeta ammira la poliedricità, la
capacità di cangiare idee e sentimenti che
l’assimila alla luna (“Cintia”) e all’arcobaleno (“Iri”); con la sua leggiadra volubilità
Nina, più di ogni altro personaggio, ha il
potere di conquistare i cuori altrui, eppure
anch’essa, all’apparenza così padrona di sé e
di quanti entrano nella sua orbita, ad un
certo punto impazzisce per amore, cui nulla
e nessuno resiste.
Chiude la silloge una anonima canzonetta
dedicata A Nice guarita da una Rosipola, in
quartine di quinari alternativamente sdruccioli e piani, con i piani che rimano tra loro.
Il poeta invita le “aurette amabili”, forse le
brezze primaverili, a muovere le ali (“vanni”) incontro a Nice per festeggiarne la guarigione in compagnia delle Naiadi, ninfe
delle fonti (nel nostro caso la Bormida), dei
Fauni e delle Driadi (divinità boscherecce).
Con la riacquistata salute Nice torna a rifiorire e tutti coloro che hanno trepidato per lei
(cioè, secondo la moda arcadica dei travestimenti, ninfe e pastori) ora esultano. Anche il
poeta esulta, innalzando al cielo (“etera”)
inni di gioia per Nice, di cui apprezza soprattutto il cuore e l’animo. A chiusura del fascicoletto, un altro disegno ornamentale.
C.Pr.
SONETTO
Pieno del Nome suo, onde fra noi
Van fastose le scene, e il patrio suolo,
Ovunque io mova, ognor de’ plausi suoi,
O saggia, Illustre Amica incontro il volo.
S’ella parla [odo pur] a detti suoi
Ubbidienti son letizia e duolo:
Se spiega al canto il labbro, oh! allora poi
Sciolto non lascia un guardo un pensier solo.
Ineffabile intanto é il mio contento
E adorna quasi de’ tuoi chiari vanti
Me stessa, o Cara riconosco a stento.
Ne lusinghiero é il mio linguaggio, o audace
Commune ogni lor ben han alme amanti,
e sincera amistà sempre è verace.
50
ALLA MEDESSIMA [sic]
CANZONE
A te gentil amabile
Di cari Genitori
A te ragiono, o figlia
Di ben concetti ardori.
Ma chi é costei, che fulgida
Porta aurata chioma?
Ah! di Roberti é figlia
Cristina Ella si noma.
A te che sin dal nascere
D’ambrosia fatta l’onda,
l’alba spontó piú lucida
Di Bormia in su la sponda;
Era sugli anni teneri,
E vide infin d’allora,
che la virtú d’Apolline
Splende al bel sesso ancora.
A te cui madre d’emula
Virtude ornò la brama,
per cui Talia festevole
Oggi suo onor ti chiama.
E vide che tirannica
Fu la sentenza, e l’uso
Di condannar le femmine
Sol alla rocca, e al fuso.
A te, che onore, e merito
Giá sei di Melpomene
Per cui gloriose vantansi
Fra noi le Acquesi scene.
A lei serví di stimolo
Ad opre eccelse, e nuove
Il Genitore celebre 1
Senza cercarlo altrove.
M’ascolta intanto; un fervido
Estro a tentar mi sprona
Le forse innacessibili
Pendici d’Elicona.
Serví di terso specchio
La Genitrice anch’Essa
Onde virtude, e merito
N’ebbe la figlia stessa.
Nuovo favor d’Apolline
Il mio pensier sublima,
Emulator di Dedalo,
Giá son del colle in cima.
Quando la bella Dafnide
Presso il paterno fiume
Qual capriolo, o Dajno
Fuggía l’amor del Nume.
Ma qual vegg’io? qual vergine
Carca di belle idee
Seder lá su quel tripode
Fra le sorelle Ascree?
Non si converse in lauro
Sol per ornar la fronte
D’Omero, di Teocrito,
Del vecchio Anacreonte.
D’acuta luce enfatica
La fronte sua sfavilla,
Accanto Euterpe giubila,
Se canta, oppur se trilla.
Anzi la Greca Vergine
Nell’immortal palestra
Tolse gli allori a Pindaro
Quai al tuo merto appresta.
1 S’allude al padre celebre dilettante di Musica.
2 Si allude alla madre.
2
51
Ma chi è costei, che fulgida
Orna d’aurata chioma
Teresa 3 è la sua figlia,
Cristina Ella si noma.
Tu pur festevol cantici
In sul adorna cetra
Di sagro olivo, ed edera
Ergi mia Musa all’etra.
Già i teatrali Genj,
bello al veder, giuliva
Corrona a Lei ne formano
Fra plausi, e fra gli evviva.
E qui dove le Grazie
E i faretrati Numi
A gara tutti applaudano
Le forme, ed i costumi.
E mentre tutti accorano
I Genj ancora umani
Appaluso ne fa il popolo
Col battere le mani.
Tu ad Essa d’Apollineo
Serto circonda il crine,
vedrai plaudire al merito
le Ninfe Monferrine.
di V. Radicati
ALLA MEDESSIMA [sic]
SONETTO
Quando con grazia, e leggiadria si muove
D’Amalia il labbro in palesar gl’accenti
Nel Misantropo, allor con tai concenti
Fa meraviglie non piu viste altrove.
Con tal vaghezza i cuori altrui commove
Onde Meneau rapito a tai portenti
Ebro di gioja esulta, e fra viventi
Chi vi sará che non v’ammiri, e approve?
A tal vostra virtude, oggi ben dessi
Gloria maggior, ma cosa mai poss’io
Degno di Voi, del vostro nome chiaro?
Spiegarmi almeno in degno stil sapessi,
che con le piume dell’ingegno mio
v’innalzerei delle tre Grazie al paro.
Di G. B. Bruni
52
3 Teresa è la madre di Cristina
AGLI AMATORI, E DILETTANTI
SONETTO
Bello al veder in sull’Acquesi scene
Andar fastoso oggi desio d’onore,
chi esprime al vivo un de l’Epée, chi ardore
dimostra nella Nina, e chi le pene.
Nella Vedova poi, quanto mai bene
Ciascun declama, onde ne sente il cuore
Effetto ora di pianto, ed or d’amore,
Or di letizia van le menti piene.
Chi accoppia vezzi, maestria, ed arte
Nella Scoseze in un co’ Franchi ancora,
Chi in Clementina i cuor divide, e parte.
Pregi son questi, onde natura infiora
Vostre bell’alme, Acquesi, e in ogni parte
Benigno Ciel vostre virtudi onora.
Di V. Radicati
N. B. La linea denota varie commedie rapresentate [sic].
SULL’AMAGLIA [sic]
SONETTO
Tal era Amaglia [sic], allorche in lei l’impero
Prese ragion sopra ’l capriccio errante,
e nell’immagin del suo primo amante
risorto entro a suo cuor fissó il pensiero.
E tal era Meneau quando il mistero
Dell’odio aperse al fido amico innante
E in lor diffetto dal capo alle piante
Invan desia trovar censor severo.
Dolce é mirar sorger dall’onde il Conte,
e la Contessa qual propizia stella
splender d’umile penitente a fronte.
Spettacol nuovo a lagrimar ne appella
Mentre Eco a Carlo fan la valle e il monte,
fa plauso Era ai sospir d’Amalia bella.
Di Guido De Alessandri
53
DEL MEDESSIMO [sic] A FILARMONICI
SONETTO
Tebe é questa novella, e questi Orfeo
Anzi Anfion, che al suon dell’aurea lira
Molce il cuor de’ mortali, e a se le tira
A dolce vita in grembo al suol Acheo.
Tal delle Muse in Pindo il Corifeo
Gl’Jddi, le Dive a suo talento aggira
Nina sì ben per lui piange, e delira
Che Baron non invidia oggi al Tarpeo.
Filli per te Caristo alza la testa
Dal cener suo a rimirar suoi figli
Intorno a Nina sua lieti a far festa.
Norma da cenni tuoi, da tuoi consigli
Prende il vago Drappel che ha per te desta
L’ammirazione in Febo a cui somigli.
DAL MEDESSIMO [sic] A NINA
SONETTO
Non cangia Cintia tante volte aspetto,
Né l’Iri mai vestì tanti colori:
Non ha tant’erbe il prato, e l’orto fiori
Quante Voi forme, o Nina, e idee nel petto.
Onde ognun, maraviglia have, e diletto
Di mirar l’arte, onde legate i cuori
Sia savia Nina, o sia di senno fuori
Nissuno have occhio o cuor per altro oggetto.
Chi porta al cielo Amalia, e chi Idelgarde
Si strugge Dorvignì per Clementina,
Lindor preggia sol Nina, onde tutt’arde.
Duolsi il suol, che v’accolse in sen bambina.
Che Lindor vostro tanto a giunger tarde,
Or che ogni stella al suo favor s’inchina.
54
[A NIC]E GUARITA DA UNA ROSIPOLA
CANZONE
Aurette amabili
Che sussurrate
Piu liete, e floride
Or vi destate.
Beltade, e spirito
Prende vigore
Non è più languido
Un sì bel fiore.
Dall’odoriffere
Spiagge secrete
A Nice i rapidi
Vanni volgete.
Quando la misera
Egra languia
Quanti al cuor palpiti
Ognun sentia.
Voi belle Naiadi
Di Borma in riva
Meco festevoli
Fate gl’evviva.
Or fatta libera
Dall’atro male
Il cuor ne giubila
D’ogni mortale.
Voi Fauni, e Driadi
Ancor v’unite
Carole a tessere
Le più gradite.
Già ne tripudiano
Ninfe, e Pastori
Per Essa ch’ardono
Di casti amori.
Dalla Rosipola
La Ninfa amata
Grazie all’Altissimo
Fu risanata.
Inni di giubilo
Tu n’ergi intanto
Mia Musa all’etera
E chiudi il canto.
Sgombra dal barbaro
Che l’affligea
Dolore acerrimo
Oggi ricrea.
E s’altri ammirano
Vaga bellezza
Tu il cuore, e l’animo
In Nice apprezza.
55
DALLA
RESTAURAZIONE
ALLA FINE DEL
SECOLO
Progetto per
l’allestimento di un
insieme strumentale
da impiegarsi
in Acqui nel 1828.
Documento
dell’Archivio Storico
Comunale,
Sez. II, Serie XXI,
faldone 24.
ACQUI DAL 1815 AL 1880
Durante il periodo napoleonico Acqui
fu capoluogo di circondario (con sede di
tribunale e sottoprefettura) compreso
fino al 1804 nel dipartimento del Tanaro e quindi in quello di Montenotte. Dei
grandiosi progetti elaborati dal governo francese - bagni nei locali dell’ex
convento di San Francesco, regolamento edilizio, ampliamento delle vie del
centro, risanamento del ghetto - solo
quest’ultimo fu poi effettivamente realizzato da Giuseppe Saracco, che, negli
anni della sua amministrazione, diede
pure il via ad una radicale ristrutturazione urbanistica della città, con il
riscatto degli stabilimenti termali
dallo Stato, la costruzione dell’edicola
della Bollente, della sinagoga, del
palazzo del tribunale, del macello pubblico, del mercato coperto, dello stabilimento Nuove Terme, dell’asilo infantile, del lavatoio pubblico, dell’ospedale
civile, dell’edificio delle scuole elementari e con la sistemazione di piazza
Vittorio Emanuele e di piazza Foro
Boario. Mentre gli anni di Saracco
saranno anni di notevole progresso,
l’intero decennio che seguì alla
Restaurazione fu segnato dalla miseria e dalla fame. I lupi che infestavano
l’agro acquese si spinsero, a più riprese, fino alle porte della città, resa
peraltro meno sicura dall’abbattimento delle mura imposto dagli Austriaci.
Un’epidemia di morbo petecchiale contribuì ad aggravare la situazione.
Falliti i moti del 1821, transitò per
Acqui il conte Santorre di Santarosa,
avviato verso l’esilio greco. A cominciare dagli anni trenta, però, Acqui, sede
di un piccolo tribunale di prefettura e
capoluogo di provincia, con un comando militare e un ufficio d’intendenza di
seconda classe, diventò un vivace centro alberghiero. L’interessamento del
re Carlo Felice prima e di Carlo
Alberto poi portò a un ampliamentoammodernamento degli edifici termali
all’insegna della funzionalità, con
un’opportuna diversificazione tra
terme militari, civili e per i poveri. A
coronare l’opera giunse nel 1847 la
LA STORIA
costruzione del ponte sulla Bormida.
Nel 1854 soggiornò in Acqui, per un
breve periodo di cura, anche Giuseppe
Garibaldi, raccogliendo fervide adesioni ai suoi generosi progetti patriottici.
Ma l’evento più significativo per lo sviluppo economico-turistico della città fu
senz’altro l’inaugurazione del tronco
ferroviario Acqui-Alessandria (24 maggio 1858), cui seguirono nel tempo altre tratte ferrate patrocinate da Saracco: Acqui-Genova, Acqui-Savona, Acqui-Asti. Ne trasse beneficio e incremento pure la viabilità ordinaria (Acqui-Sassello, Acqui-Cortemilia). Nel
1859, dopo la battaglia di Magenta, in
cui brillò per l’ennesima volta il valore
del futuro generale Emanuele Chiabrera, Acqui ospitò numerosi prigionieri austriaci e ungheresi: di questi ultimi gl’irredentisti Kossuth, Klapka e
Thürr costituirono un’intera legione.
Nel 1859 sorse la Società Operaia di
Mutuo Soccorso (SOMS). Nel 1860, per
iniziativa di Urbano Rattazzi, la provincia di Acqui venne abolita e aggregata a quella di Alessandria.
Nondimeno, grazie all’intraprendenza
di Saracco e al vivace dibattito che si
accese intorno a lui, la città seppe trovare le energie per un ulteriore sviluppo, il quale lungi dall’ arrestarsi all’economia e in particolare alla trasformazione edilizia del centro urbano, si
estese all’ambito socio-culturale, in un
inedito fervore di nuove iniziative editoriali, assistenziali, scolastiche. Tanto
che, in conclusione, si può veramente
dire che gli anni di Saracco furono per
la città termale una sorta di piccolo,
irripetibile “Rinascimento”.
C.Pr.
Cfr. anche G. LAVEZZARI, Sunto delle
deliberazioni del Consiglio Municipale
d’Acqui dal 1848 al 1885 e cenni intorno agli uomini che vi presero parte,
Acqui 1886; IDEM, Storia d’Acqui,
Acqui 1888 (rist. anast., Bologna
1985); E. COLLA, Aquae Statiellae.
Acqui Terme nella Storia, Genova
1978.
57
La prima notizia dopo la Restaurazione è rintracciabile nel 1830, anno
in cui è presente in Acqui il capocomico Antonio Bellini: nella sua lettera, inviata ad Asti, il capocomico assicura di avere “una Buona anzi
buonissima Prima Donna Giovine, ed un buon Meneghino uno dei
migliori in tutto il mestiere Comico, una nuova scelta di buone rappresentazioni ben corredate da studio, decorazioni e analoghi ricchi
vestiari”, ma anche in questo caso non si precisa il nome del teatro di
Acqui in cui la compagnia avrebbe recitato1.
IL TEATRO DAGNA
LA GENESI
Da molto tempo si sentiva l’esigenza nella città di Acqui “di costruire
un teatro sul nuovo gusto moderno, poiché il preesistente non ne
aveva né la forma né il comodo, consistendo esso in una sala impro-
L’edificio del
Teatro Dagna oggi.
58
1 Archivio Storico Comunale di Asti (d’ora in poi ASCA), Guardaroba P, cart. 57, fasc.
4, lettera del 5 giugno 1830, citata in G. VENTIMILIA, La vita teatrale in Asti
nell’Ottocento, tesi di laurea, Università degli studi di Torino, Facoltà di Lettere e
Filosofia, relatore prof. Guido Davico Bonino, a.a. 1997-98, pp. 144-145.
pria”2. La necessità d’erezione di un edificio
appropriato veniva a
scontrarsi con le ristrettezze economiche pubbliche e private, e con
quello spirito di rivalità
che fin dal Seicento
caratterizzava le famiglie
della città. L’opera era
resa ancor più urgente
“(…) per la circostanza particolare in cui si trova questa città, che favorita
dalla meravigliosa quantità delle sue acque termali, tirando a se un numeroso concorso di forestieri, ognuno riconosceva il bisogno di offrire a
questi durante il tempo
del loro soggiorno nello
Stabilimento Balneario
un passatempo, che
valesse a scemare le
pene d’un’incomoda cura termale”3.
Particolare dello
Statuto dell’Accademia
Filarmonica
della Città d’Acqui, 1843,
in cui si legge
la data della
primigenia fondazione
il 23 maggio 1834.
Collezione privata
Cesare Chiabrera.
Nel 1834 Luigi Dagna concede, con atto del 28 aprile, un
locale di sua proprietà a fianco della sua abitazione e
situato sull’angolo della
Contrada Nuova e della
Piazza della Rocca (oggi
corso Italia e piazza San
Pagina iniziale dello Statuto
dell’Accademia Filarmonica della Città d’Acqui, 1843.
Collezione privata Cesare Chiabrera.
2 AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, n. 107, Relazione dell’Intendente della Provincia
di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per gli Affari
Interni con lettera del 28 gennaio 1837.
3 Ibidem.
59
Francesco), ai signori Stefano Cornaglia, di
professione falegname, e Leon Vita Ottolenghi, i quali si obbligano a costruirvi
Le immagini di questa pagina e delle successive sono
tratte dal libretto della Chiara di Rosenberg.
Collezione privata Cesare Chiabrera.
“(…) un nuovo teatro a
norma del piano, che il
detto sig. Dagna avrebbe
loro somministrato, con tre
ordini di palchi, non meno
di 15 per caduno, con facoltà ad essi imprenditori di
godere esso teatro per anni
22, e di alienare anche in
perpetuo i palchi, meno 12,
di cui 10, cioè 3 al primo
ordine, 3 al secondo e 4 al
terzo, dovevano rimanere
per dote al teatro, uno ad
uso dei ss. Sindaci della
città per anni 30 soltanto,
ed un altro in proprietà
perpetua al sig. Dagna concessionario del locale, ed
anche gli imprenditori si
obbligavano a garantire l’edificio dal fuoco, assicurandolo a loro spese presso la
Società
Reale degli incen4
di” .
Oltretutto, proprio dal 23 maggio
1834 è attiva ad Acqui l’Accademia
Filarmonica che, non è un caso,
nello statuto del 1843 porta, nell’elenco degli associati, come primo
nome quello di Luigi Dagna.
Quest’atto comprendeva una convenzione tra i due imprenditori,
con cui il sig. Cornaglia rendeva il
Sig. Ottolenghi partecipe dell’impresa.
60
4 Ibidem.
Nel Consiglio comunale del 4 aprile
1834, qualche giorno prima della stipulazione di quest’atto, “forse perché già
verbalmente intesa col sig. Dagna la cessione anzidetta”5, Stefano Cornaglia
presenta alla Civica Amministrazione un
ricorso in cui chiede “il di lei assenso
per tale di lui impresa, e, questa assecondando, non permettere che altro
edifizio di simil natura venga erretto in
questa città per il corso almeno di anni
quaranta”, offrendo a ciascuno degli
otto Consiglieri della Città un palco al
primo ordine “mediante corrispondente capitale”.
I Congregati accoglievano in generale la
proposta del Cornaglia, osservando
“che trovandosi la città impegnata in
forti spese, che non gli permetterebbero incontrare quelle d’un Teatro, niente
osta, che, per quanto le spetta, dii la sua
fede al Ricorrente di non costrurne essa
un altro per un limitato corso d’anni
trenta”, ed aggiungevano:
“(…) d’altronde, se la
città si spoglia, anche a
tempo, della facoltà di
edificare un Teatro, egli è
anche giusto, e conveniente che essa abbia in
corrispettivo di tale concessione un palco gratis
in luogo distinto per
restare a disposizione dei
Sig.ri Sindaci pro tempore, pendente il corso di
anni trenta, e purchè ne
rapporti il Cornaglia dal
proprietario del fabbricato il dovuto assenso, e
ratifica, da farne fede
all’Amministrazione”.
5 Ibidem.
61
Per quanto riguardava l’offerta
di otto palchi, il loro prezzo
sarebbe stato fissato tramite
perizia6.
I primi problemi da risolvere
derivavano dalla necessità di
occupare quattro tavole di sito
pubblico per costruire la scala di
accesso al teatro e permettere il
rettilineamento della sua facciata
col fronte degli altri edifici che
davano sulla Contrada Nuova7: il
progetto avrebbe dovuto essere
subordinato al piano d’abbellimento della città, il quale però,
inviato al Congresso Permanente con lettera del 12 giugno
1828, non era ancora stato
approvato in quanto ritenuto
difettoso8.
Siamo in possesso di una bosinata dalla quale si evince che
una parte delle famiglie decurionali della città non condivideva
l’idea di occupare una parte
della Contrada Nuova in funzione del Teatro9. In un’altra bosinata (si veda per il testo e la traduzione alle pp. 155 e seguenti),
composta quando i lavori di
costruzione della facciata erano
al termine, un altro cittadino
esprime un giudizio negativo
62
6 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
7 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m.
3, n. 97, supplica di Luigi Dagna
Sabina del 24 gennaio 1835.
8 Ibidem, Lettera alla Regia Segreteria
di Stato per gli Affari Interni del 16
giugno 1834.
9 Il documento è tratto da un fondo
d’archivio privato della famiglia
Brezzi di Montecastello.
sulle numerose questioni sollevate intorno al fronte dell’edificio10. Nonostante le polemiche, infatti, il 3 aprile 1835 si stipulava nell’Ufficio dell’Intendenza l’atto di cessione del terreno di
proprietà pubblica, avendo il sig. Luigi Dagna
accettato di fare al fabbricato qualunque variazione venisse ordinata in occasione dell’approvazione del piano di abbellimento della città,
concedendo, in corrispettivo, la proprietà perpetua d’un palco in luogo distinto alla città, e
diritto di prelazione nell’acquisto dei palchi
prima ai membri del Civico Consiglio, e dopo
questi alle antiche famiglie decurionali11.
Nella seduta del 9 aprile 1835 il Sindaco però
delibera “doversi lasciare la facoltà a d.ti
Impresari di alienare i palchi (...) primieramente ai cittadini, mediante un loro avviso al
Pubblico, e quindi, spirati quindici giorni dalla
pubblicazione d’esso avviso, a chi più loro
aggrada”12. Gli impresari, non ritenendosi
comunque sciolti dalle obbligazioni contratte,
invitarono per iscritto i Consiglieri e i capi
delle più antiche famiglie acquesi all’acquisto
dei palchi alle condizioni e al prezzo da loro fissato. Avendo gli uni e gli altri rifiutato, considerando le
condizioni arbitrarie e violati i propri diritti,
“(…) rimasero senza palco le persone le più notabili della città, quando che persone di classe assai
inferiore ne ottennero uno ed anche di più, acquistandone ancora altri in nome di persone a dichiararsi, che sono in oggi occupati dagli Ebrei, così che
specialmente nei primi due ordini di palchi si vedono
cristiani ed Ebrei confusi assieme, quale amalgama è
veramente disdicevole sotto ogni rapporto, ed altri
palchi poi furono occupati da individui estranei alla
città”13.
10
11
12
13
Ibidem.
ASCAT, Sezione II, Serie XXI, fald. 24.
Ibidem.
AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, n. 107, Relazione dell’Intendente della Provincia
di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per gli Affari
Interni con lettera del 28 gennaio 1837.
Nell’anno della
nascita del Teatro
Dagna, Acqui piange
la scomparsa del
Vescovo Carlo
Giuseppe Sappa.
L’evento non manca
di sollecitare la
produzione poetica
di molti dilettanti
che si cimentano
nell’esercizio del
ricordo in versi.
Nell’immagine il
frontespizio di un
opuscolo conservato presso la bibioteca dell’Archivio
Vescovile di Acqui.
63
Decorazioni
del foyer
del Teatro Dagna.
Inoltre gli impresari, diffondendo false voci
sul ridotto numero di palchi rimasti disponibili, avevano indotto diverse persone
ad accorrere all’Ufficio dell’avv. Saracco a
sottoscriverne l’acquisto senza badare alle
condizioni di vendita.
Il teatro venne inaugurato il 30 maggio
1835 con spettacolo d’opera e ballo in
musica, e riaperto nell’inverno e nell’estate del 1836.
L’edificio presentava una facciata neoclassica e un basso porticato; il
piano terra era occupato da alcune botteghe e
dal Caffè del Teatro14.
Essendo molto elevato il fitto serale cui gli
attori erano sottoposti, a causa dell’avidità
degli impresari, gli abbonati e i palchettisti
si videro costretti a sottostare ad un’elargizione alla compagnia, per permetterne
la continuazione delle rappresentazioni.
Ma la mancata richiesta dell’autorizzazione sovrana, lamentata dall’Intendente della Provincia, non tarda a
creare dei problemi: il modo in cui era avvenuta la vendita dei palchi aveva infatti creato diversi
malumori tra i destinatari dei palchi. Figurava tra questi ultimi
“(…) un Francesco di Andrea Provenzale il quale
eccitato dalli Cornaglia ed Ottolenghi a ridurre in
pubblico istromento la fatta promessa d’acquisto del
palco al 3° ordine n. 15, vi si rifiutò allegando non
esservi nelle obbligazioni dei venditori un sufficiente corrispettivo del convenuto prezzo, e segnatamente perché non si scorgessero questi obbligati a procurare annualmente l’apertura del teatro”.
Cessione a favore
del sig. Luigi Dagna
di quattro tavole di
sito pubblico per
l’edificazione della
facciata del Teatro.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
Andrea Provenzale si era rivolto al Regio Trono a nome di altri proprietari di palchi, supplicando dei provvedimenti straordinari, “sì per la
decisione delle narrate differenze, che per quelle insorte o da insorgere” e chiese la costituzione di una particolare delegazione composta dal Comandante, dal Prefetto e dall’Intendente, a cui conferire l’autorità “per decidere ogni quistione, fissare la vera interpretazione per
l’assegnazione dei palchi, imporre un regolamento e l’obbligo a detti
64
14 Laura Palmucci Quaglino propone l’ipotesi che il progetto del Teatro Dagna si
debba all’ingegnere Reyneri, il quale, tra il 1825 e il 1836, aveva curato il primo
progetto per il ponte in muratura sulla Bormida (L. PALMUCCI QUAGLINO, op. cit.,
p. 20).
GLI ARTISTI
DOMENICO
BIORCI
impresarii di un annuo spettacolo in opera in musica come nel primo anno dell’apertura del Teatro”15.
Con Regio Biglietto del 23 settembre 1837 S. M.
avoca a sé e al Consiglio “la cognizione di ogni controversia insorta o che possa insorgere” tra Andrea
Provenzale, il cavaliere Lupi di Moirano, Luigi
Vivalda, l’avv. Paolo Gardini, l’avv. Stefano Braggio16,
il causidico Giuseppe Cuore, “proprietarii de’ palchi
nel nuovo teatro d’Acqui, ed altri di quei cittadini, e
li Stefano Cornaglia ed Ebreo Leon Vita Ottolenghi
costruttori questi ed impresarij di detto Teatro”,
affidando ad una speciale Delegazione composta dal
Prefetto, Intendente della città di Acqui e dall’avvocato fiscale di quel Tribunale, di stendere un progetto di regolamento per la Direzione del teatro
secondo le norme indicate dalla Regia Segreteria17.
Bisogna però aspettare l’anno 1851 perché venga
istituita una Direzione del teatro. In seguito al ricorso del Sindaco, il Ministero dell’Interno invia un
Dispaccio alla Regia Intendenza d’Acqui, in data 24
febbraio, con cui istituisce una Direzione “incaricata di soppravedere in via conciliativa e di concerto
coll’impresario del Teatro stesso al buon andamento degli spettacoli”. La Direzione risulta composta
di sette membri: cav. Michele Gionferri, avv Gio.
Batta Accusani, cav. Federico Bruni, m.se Luigi Vivalda, medico Ernesto Gionferri, Gabriele Chiabrera,
Domenico Biorci18. Il 28 febbraio vengono eletti, per
mezzo di votazione segreta, l’avvocato Michele
Gionferri a Presidente della Direzione e il medico
Ernesto Gionferri a Segretario19. In seguito al Dispaccio ministeriale del 24 febbraio Domenico Biorci
aveva redatto un Regolamento del teatro d’Acqui,
spedito poi a Torino20, del quale si sono perse le
tracce.
Nato nel 1795 dal secondo matrimonio di Guido
Biorci, l’illustre autore
delle Antichità e prerogative d’Acqui Staziella,
con Antonia Maria Lingeri, figlia del quondam
causidico Lorenzo, nel
1838 Domenico, col consenso del padre, che, rimasto vedovo per la seconda volta, si era nel
frattempo sposato (4 luglio 1825) con Antonia
Maria Cavalli di Carmagnola, si trasferì a
Milano. Qui, “della nuova matrigna la temuta /
uggia sfuggendo” e munito di “superiori patenti”, attese per vari anni
all’insegnamento - pubblico e privato - delle
umane lettere e al giornalismo. Collaborò, con
articoli e recensioni di
vario genere al “Ricoglitore” di Milano, all’“Annotatore” di Torino, al
“Poligrafo” di Verona,
ma soprattutto alla
“Gazzetta Milanese”, e
coltivò intensamente gli
studi letterari, pubblicando saggi (Trattato
continua nella
pagina seguente
15 AST, Corte, Paesi per A e B, m. 3, f. 110, Lettera del Cancelliere alla Segreteria di
Stato per gli Interni del 12 agosto 1837.
16 Il 31 dicembre 1836 l’avv. Stefano Braggio aveva acquistato il palco n. 16 al secondo ordine, mentre il palco n. 14, stesso ordine, era stato acquistato dal capitano
Giuseppe Gallo (Archivio Storico di Alessandria, Notarile di Acqui, Notaio
Saracco, vol. 2365).
17 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
18 Ibidem, copia del Dispaccio ministeriale inviata al Sindaco dall’Intendente con
lettera del 27 febbraio 1851.
19 Ibidem, Verbale di costituzione della Direzione del Teatro d’Acqui.
20 D. BIORCI, I miei trent’anni. Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e politiche,
Torino 1859, p. 12.
65
segue dalla pagina precedente
completo di poetica, Rusconi, Milano 1832) e
poesie (I fasti di Milano, Visai, Milano 1828;
un poemetto in 85 ottave dedicato a La
Galleria de’ Cristoforis; I più bei quadri di
pittura e scultura esposti in Brera; Rusconi,
Milano; una Visione per le esequie del conte
Giberto Borromeo, Tipografia dei Classici,
Milano 1837; etc.) che incontrarono il gradimento di autorevoli intellettuali, ma non
evitarono, a volte, le forbici della censura.
Nel 1835 uscì a Milano l’opera più ambiziosa del Biorci, un poema epico in otto canti,
dedicato allo zar Nicola I di Russia e intitolato la Pace di Adrianopoli, ossia la Grecia
liberata. Fra clangor di buccine e qualche
patetico inserto, come l’episodio di Filleno e
Alcmena, mescolando realtà e finzione, vi si
esalta la lotta della Grecia per “l’emancipazione dal turchesco giogo”. Nel 1843
Domenico fu proclamato socio onorario
dell’Accademia filarmonica e letteraria di
Acqui. In occasione del funerale di Carlo
Alberto compose una cantata “messa quindi
in musica dal valente organista e compositore Giuseppe notaio Baccalario”. Sull’acquese “La Bollente”, di cui negli anni cinquanta divenne assiduo collaboratore, comparvero alcune iscrizioni funebri commissionategli dal sindaco della città, nonché articoli e carmi di vario argomento. Ad Acqui
conobbe Jules Michelet, cui dedicò un’Épître
in versi. Partecipò anche alla vita politica
cittadina e fu, tra l’altro, inserito nella commissione intesa a promuovere la costruzione
del tronco ferroviario Acqui-Alessandria.
Quando, il 24 maggio 1858, ad inaugurare la
tratta venne ad Acqui il re Vittorio Emanuele II, Domenico compose un Canto che,
oltre a celebrare il sovrano, compendiava “la
storia della ferrovia, i suoi primordii e contrasti ed il suo compimento felice”. Lottò in
difesa dei fratelli della Dottrina Cristiana
contro Giuseppe Saracco, “l’avvocatel dall’uovo appena uscito”, che spingeva per la
laicizzazione dell’istruzione, ma, su questo
terreno, Domenico si attirò gli strali satirici
del professor R. Sacchi, che pubblicò, a puntate settimanali, una Biorceide in versi. Nel
1859 a Torino per i tipi degli Eredi Botta
diede alla stampa I miei trent’anni.
Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e
politiche colla riproduzione dell’episodio
Elleno ed Alcmena relativo alle ultime guerre dell’indipendenza greca: un’opera autobiografica che, un po’ ingenerosamente il
Lavezzari, nella sua Storia di Acqui, definì
“sorta di manicaretto di nessun valore”.
Peraltro lo stesso Lavezzari scrisse di lui che
“non fu cattivo poeta”, seppur borioso e permaloso. Era, in ogni caso, un verseggiatore
di facile vena, come dimostrano ad abundantiam altre sue occasionali composizioni,
tutte caratterizzate da uno stile alto, enfatico, classicheggiante. Ad Acqui morì, celibe,
nel 1872.
C.Pr.
Cfr. anche D. BIORCI, I miei trent’anni.
Rimembranze letterarie, artistiche, storiche e
politiche colla riproduzione dell’episodio
Elleno ed Alcmena relativo alle ultime guerre dell’indipendenza greca, Torino 1859; G.
LAVEZZARI, Sunto delle deliberazioni del
Consiglio Municipale d’Acqui dal 1848 al
1885 e cenni intorno agli uomini che vi presero parte, Acqui 1886; IDEM, Storia d’Acqui,
Acqui 1888 (rist. anast., Bologna 1985); C.
PROSPERI-G.L. RAPETTI BOVIO DELLA TORRE,
Rivalta Bormida: vita e vicende di una villanova dalle origini alla fine del secolo
XVIII, Acqui Terme 2004, pp. 573-595.
IL DAGNA FINO AL 1856
Nella sua relazione del 27 gennaio 1837 l’Intentente della Provincia di
Acqui scrive che “il teatro doveasi costruire dagli imprenditori con
tre Ordini di Palchi, con 10 Palchi almeno caduno, invece fu da essi
edificato più assai ampio in totale di Palchi 56”21; esso poteva conte-
66
21 AST, Corte, Paesi per A e B, Acqui, m. 3, f. 107, relazione dell’Intendente della
Provincia di Acqui del 27 gennaio 1837 e inviata al Primo Segretario di Stato per
gli Affari Interni con lettera del 28 gennaio 1837.
nere 45022, 50023 spettatori.
Trascorsi poco più di dieci anni, il teatro
Dagna manifesta già i primi segni di
declino, sia nella struttura che nell’attività. In una lettera del 29 marzo 1847
l’Intendente Pavese informa il Sindaco
che il plafone del teatro minaccia rovina24; da qualche tempo inoltre non
hanno più luogo nell’anno due corsi di
rappresentazioni “degne del Pubblico”,
e ci si lamenta per “l’esistenza materiale di un povero Teatro senza attori, e se
attori vi hanno, costretti il più delle
volte a languire d’inedia” 25.
Diverse informazioni sullo stato dell’edificio possono essere desunte dalla
documentazione relativa alla proposta
d’acquisto del Teatro-Casa Dagna. Nella seduta del 3 giugno 1852 il
Consiglio Comunale deliberava infatti di voler acquistare l’edificio e ne
affidava all’ingegner Pera la stima del
prezzo d’acquisto. Nella sua relazione, datata 20 settembre 1854, il
Pera afferma avere il teatro 50 palchi, di cui 41 venduti, affermazione
che
contrasta
con
quella
dell’Intendente della Provincia di
Acqui riportata precedentemente.
L’edificio teatrale viene nella relazione dell’ingegnere così descritto:
1849.
Manifesto
relativo ad
un’iniziativa
patriottica
al Teatro Dagna.
ASCAT, Sez. II,
Serie XX,
faldone 23.
“ (…) trovasi costrutto colla
maggior economia possibile
a detrimento della sua stabilità e della sua durata, e
mostrasi in uno stato di
abbandono per quanto è
della manutenzione. Il tetto principalmente è in ista-
Documento della pratica
Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24.
22 Tale dato è desunto da un elenco dei teatri italiani attivi fra gli anni 1868-1890,
dovuto ad un’inchiesta ministeriale, contenuto in E. ROSMINI, Legislazione e giurisprudenza dei teatri, Milano 1872, vol. II, pp. 580-597, e pubblicato in F.
VARALLO (a cura di), Teatri storici. Luoghi dello spettacolo in Piemonte dalla corte
settecentesca al decoro della città moderna, Torino 1998, p. 198.
23 D. DE ALESSANDRI, Acqui, le sue Terme e i suoi dintorni, Acqui 1888, p. 46.
24 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
25 Ibidem, Erezione di nuovo teatro, Relazione del consigliere Biorci del 16 febbraio
1857.
67
to di decadenza, e tutte le costruzioni interne in
legname sono prossime al termine della loro durata.
Ogni altra parte poi non conta bensì che venti anni di
vita, ma non presenta un aspetto di lunga durata futura; e considerevoli opere di radicale riparazione soltanto possono rimediare alla passata manutenzione”.
Erano necessari inoltre interventi alla scala per renderla più comoda.
L’ingegnere osserva che, acquistando il teatro, la
città non avrebbe un edificio adeguato
all’importanza che andrebbe ad assumere
con la costruzione della ferrovia e l’ampliamento dei suoi Stabilimenti
Balneari; eseguite queste opere
si sentirà il bisogno di un Teatro
migliore:
Divanetto
parte
dell’arredamento
del Teatro Dagna.
Collezione
privata.
“Quindi anche le scale
ora progettate saranno
troppo ristrette, la decorazione interna dovrà
essere tutta rinnovata ed
arricchita. E non convenendo fare
spesa d’importanza attorno ad uno scheletro debole,
anche l’ossatura generale dei Palchi dovrà essere in
molte sue parti riformata. E dopo tante spese ancora
non si avrà mai un teatro sufficientemente commodo
e bello perché il Palco Scenico non sarà abbastanza
ampio, il movimento delle vetture incaglierà quello
delle Persone all’entrata ed uscita dal Teatro, mancheranno Magazzini, non vi
sarà una Sala per la dipintura
delle Scene, non si avrà una
sufficiente dote di palchi, e si
avranno insomma mille altre
imperfezioni inevitabili che
suggeriranno la costruzione di
un nuovo Teatro in terreno del
tutto libero (…)”26.
La lettura della documentazione, che
comprende una seconda perizia del
185527, ci permette una ricostruzione
degli interni. All’entrata una scala di
68
26 Ibidem, Reiezione della proposta d’acquisto del Teatro-Casa Dagna.
27 Ibidem, Perizia pelli ristauri al Teatro.
Documento
della pratica
Reiezione della
proposta d’acquisto
del Teatro
Casa Dagna.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
IL TEATRO E LA CITTÀ
GLI ACQUESI
E I PALCHI
pietra d’Acqui, lunga un metro e cinquanta e con
ringhiera in ferro, conduceva al piano superiore e
terminava su di un pianerottolo. Qui, da una porta
sormontata da un piccolo architrave in legno, si
accedeva al teatro e, attraverso un altro ingresso,
alla platea. Il pavimento era composto da pianelle
grandi quadrate; un plafone costruito con gesso e
canne, centinato a foggia di volta e colorato, sormontava la platea e il palcoscenico di pioppo;
sopra quest’ultimo, il soffitto era costruito con
rigoni sostenuti da travi, e possedeva ballatoi con
ringhiera, sempre di pioppo. Attraverso alcune piccole porte sul palcoscenico e sotto di esso, si
accedeva ai camerini; un grande lampadario a
catena con cristalli illuminava la platea. Attraverso
i due tronchi di scala sulla sinistra, si giungeva ai
diversi ordini di piani; lungo gli stretti corridoi dei
tre ordini, sormontati da un plafone simile a quello del palcoscenico e di tutti i palchi, erano disposte le latrine e alcuni camerini. Attraverso piccole
porte di pioppo munite di toppa con chiave si
accedeva ai palchi; quelli superiori disponevano
anche di cortine di seta blu con fiocchi, trattenute alle estremità da guarnizioni d’ottone; separati
da piantoni di legno forte dello spessore di dieci
centimetri, i palchetti erano sostenuti da pilastrini
di rovere dorati e sagomati, terminanti con una
mensola; le lesene dei due palchi di proscenio presentavano invece un piedistallo di pioppo dorato
e terminavano con un capitello. Il parapetto di
pioppo, alto un metro, terminava con un piano
d’appoggio munito di cuscino imbottito;
sotto il parapetto del primo
ordine compariva un assito
sagomato e colorato dell’altezza di un metro. La perizia
del 1855 era seguita ad una
ricognizione dell’edificio eseguita il 20 aprile da una commissione incaricata dal Comune e
dalla Società dei palchettisti, composta dai consiglieri Napoleone
Viotti, Giuseppe Felli e Giuseppe
Ferraris per la città, e dal vicesindaco
e deputato Saracco, Guido Cavalleri,
Giuseppe Accusani, David Leon
Debenedetti per i palchettisti.
Tra i nomi dei palchettisti
compaiono Gabriele Chiabrera, Donato Ottolenghi, Maurizio Ottolenghi, avv. Saracco,
Mathayia Levi, Dagna Sabina,
cav. Guido Cavalleri, Salvador
David Ottolenghi, Francesco
Tarchetti, avv. Giuseppe Castelli, Stefano Cornaglia, Carlo Giuseppe Gatti, Federico
Bruni, Domenico Biffinnando,
Giuseppe Battaglia, David Leon Debenedetti, Jona Ottolenghi, Bonajut Ottolenghi, Giuseppe Lupi, Felice Seghini,
Guido Seghini, Ezechia Ottolenghi, Giuseppe Benevolo,
Pietro Giuso, Pietro Dogliotti,
Isacco Ottolenghi, avv. Giuseppe Fiore, Leon V. Ottolenghi,
Giovanni Borreani, Emilio
Manara, avv. Gio Batta Accusani, Gio Batta Caligaris.
R.Br.
Relazione di visita del locale del Teatro
per riconoscere i restauri,
documento della pratica Reiezione della
proposta d’acquisto del Teatro Casa Dagna.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24.
La perizia prevedeva la costruzione di un quarto ordine per uso di loggione con l’alzamento delle mura principali, la distruzione dell’antico
minacciante tetto e del fessurato plafone, la costruzione di una nuova
scala a destra per accedere al loggione, e a sfogo del teatro sino al
piano della platea, nonché per l’accesso agli ordini di destra, per evitare agli accorrenti di fare lunghi giri, oltre a restauri e civilizzamenti del
corpo del teatro28.
Nella seduta del 12 novembre 1856, dopo molte discussioni e sentiti
pareri di diversi ingegneri, il Consiglio proclama reietto l’acquisto dell’edificio29. Le condizioni del teatro, considerato inadeguato sia nella
costruzione che nella forma, prendono il sopravvento sul timore di
rimanere per anni senza un edificio teatrale adeguato.
PROGETTI PER UN NUOVO TEATRO
Dopo soli otto giorni dalla deliberazione, i geometri Carlo Ferraria e
Giuseppe Olivieri presentano al Consiglio una proposta per l’edificazione di un nuovo teatro più ampio, e di più solida costruzione in muratura: chiedono alla città lo sborso di lire 46.000, più lire 10.000 per un loggione, la concessione gratuita dell’area, e di lasciare agli stessi la proprietà del maggior numero di palchi, nonché la quota sborsata dai palchetti28 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Reiezione della proposta d’acquisto del TeatroCasa Dagna.
29 Ibidem.
Reiezione della proposta
d’acquisto del Teatro Casa Dagna.
Frontespizio della pratica 2.
Erezione di nuovo Teatro.
Frontespizio della pratica 3.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI,
faldone 24.
sti dell’attuale teatro per avere un corrispondente palco nel nuovo30.
Considerate svantaggiose le condizioni del contratto, il Consiglio nella
seduta dell’11 dicembre 1856 nomina una commissione per trattare
migliori condizioni coi proponenti31.
30 Ibidem, Erezione di nuovo teatro, Proposta del 20 novembre 1856.
31 Ibidem.
IL TEATRO E LA CITTÀ
IL PROGETTO DEL 1857
Il 10 febbraio 1857 Ferraria e Olivieri
presentano al Consiglio il seguente progetto:
1° L’intero edificio Teatrale sarà composto
di Teatro, e d’un fabbricato inerente, il
quale conterrà un locale per Caffè, altro
per Trattoria al pian terreno, con passaggio per mezzo di atrii alla platea. Al piano
superiore conterrà una gran sala con casino latitante.
2° Il vestibolo delle scale sarà sufficientemente grande, e le scale di non minore
grandezza di metri 1,50.
3° I corridoi de’ palchi met. 1,30 siccome
quelli del Teatro Municipale d’Alessandria.
4° La platea avrà la forma di quella del
Carlo Felice di Genova, ed un diametro
non minore di metri 14 con una conveniente pendenza, e conterrà un numero di sedie
chiuse non minore di 20.
5° Gli ordini de’ palchi saranno in num. di
tre oltre il loggione, e ciascun ordine ne
conterrà 27; però il primo ordine solo 26
per dar luogo alla porta d’ingresso che non
sarà di grandezza minore di met. 1,80.
6° Ciascun palco avrà la grandezza di met.
1,50 tali essendo quelli del Regio a Torino;
una lungh. di met. 1,50 ed altezza 2,30.
7° Il palco scenico avrà una grandezza alla
bocca d’opera proporzionata al diametro
della platea, e sarà lungo met. 15 circa; conterrà otto camerini per uso degli attori, superiormente ai quali sarà un pianerottolo
per girare intorno al meccanismo, il quale
sarà costrutto secondo gli usi, e corrispondente al Teatro, da abile macchinista.
8° Vi sarà un sipario a tende, ed un num.
di scene, e quinte non minore di 7, cioè una
reggia – una veduta di mare – una piazza
– camera rustica – prigione – giardino –
bottega da caffè.
8° Il sipario e le scene con quinte, in un coi
dipinti tutti del plafone e parapetti, ed
altro, saranno eseguiti dal Pittore
Scenografo Piattini coadiuvato dai Pittori
Cerreti, e Roggeri Torinesi.
9° Il tetto sarà costrutto circolare siccome
quello del Paganini a Genova, e coperto di
Zinco laminato.
10° Il lampadario avrà 40 fiamme, e corrispondente al teatro.
12° Si praticherà sotto il 1° ordine di palchi, e da un lato un corridoio per avere accesso alle sedie chiuse, ed all’orchestra.
13° Si formerà da un lato del Fabbricato
una comoda scala per l’ingresso al loggione.
14° Si formeranno pure lateralmente due
porte d’uscita per le persone de’ palchi,
perché non si confondano con quelle della
platea.
15° Ne’ peristili si praticheranno gli opportuni camerini per la distribuzione de’
biglietti, per l’impresa ed altro.
16° Il teatro sarà sufficientemente indorato, e nelle regole, forme, e quantità che verranno indicate dal profilo trasversale della
platea, da distinto doratore Torinese, di cui
verrà declinato il nome.
Il progetto verrà presentato entro un mese
dalla deliberazione, al Consiglio Comunale
d’Acqui previa disamina, ed approvazione
dell’Accademia delle Belle Arti, o di quale
altro corpo speciale cui si credesse di sottoporlo. L’edificio sarà innalzato nel locale
tra il Capel Verde, ed i Carabinieri Reali,
come è indicato dal qui annesso tipo.
R.Br.
I proponenti avevano già aperto il 15 gennaio una sottoscrizione per
l’acquisto dei palchi, ottenendo 50 firme fra le quali figuravano 20 proprietari di palco dell’attuale teatro. Ma due inconvenienti, secondo
Olivieri e Ferraria dimostravano la necessità della formazione di un
nuovo teatro: che 30 cittadini si trovavano sprovvisti di palco, e che 20
palchettisti riconoscevano il Dagna inservibile. In relazione a questi
ultimi, che avevano firmato per un palco nel nuovo teatro, l’Impresa si
obbligava ad acquistarne i palchi del Dagna, per una somma corrispondente a metà del prezzo del primitivo acquisto. Essi chiedono al
Consiglio di coronare quest’opera, deliberando di accettare la proprietà di parte del nuovo edificio; di acconsentire che il teatro da erigersi prenda il nome di Teatro Municipale; di cedere gratuitamente
l’uso del teatro per qualunque spettacolo; di assegnare una congrua
dote perché possano aver luogo nell’anno due corsi di rappresentazioni, uno di opera con ballo, l’altro di commedia; di concedere
all’Impresa stessa per il primo triennio l’affitto del teatro, corrispondendo la dote da stabilirsi32.
Successivamente il geometra Olivieri, come richiesto dal Consiglio,
presenta un progetto regolare munito di Capitolato compilato dall’architetto torinese Marchini, e chiede di accogliere le seguenti domande: fissare in modo obbligatorio e definitivo la dote del teatro; corrispondere al ricorrente la somma dell’area che avanzerà davanti al teatro; lasciare al ricorrente la possibilità di omettere le decorazioni
interne ed esterne, in quanto molto costose, oppure corrispondergli
lire 12.000 per l’eseguimento delle stesse, pagabili in sei rate annue;
approvare il Capitolato con le modificazioni e aggiunte fatte di comune accordo; determinare il modo e l’ammontare della garanzia che il
ricorrente deve presentare, contenendola possibilmente entro le
40.000 lire; permettere l’abbattimento delle piante per scoprire la facciata; permettere che i palchi invenduti siano fissati due nel 1° ordine,
due nel 2° e cinque nel 3°, con la facoltà di lasciarli invenduti in qualunque ordine, purché nove restino inalienati33.
Alla fine del mese di giugno però l’Olivieri si viene a trovare sprovvisto di cauzione, in quanto la persona su cui aveva fatto affidamento
non tiene fede alla parola data; essendo in trattative con un’altra persona, egli chiede al Consiglio di prendere una deliberazione sul progetto, ripromettendosi di presentare una cauzione entro 15 giorni34.
Nella seduta del 25 giugno la Commissione ritiene degno di lode il
progetto dell’ingegner Marchini e propone alcune modifiche e precisazioni: vorrebbe la curva della sala più allargata dalla parte del proscenio, affinché sia meglio aperta la prospettiva del palcoscenico alle
logge contigue; propone che lo spettacolo d’opera si svolga durante la
72
32 Ibidem, Proposta di Ferraria e Olivieri al Consiglio del 10 febbraio 1857.
33 Ibidem, Proposta del geometra Giuseppe Olivieri, senza data.
34 Ibidem, Lettera del geometra Giuseppe Olivieri del 24 giugno 1857
stagione dei Bagni, e la commedia nel Carnevale; accetta di pagare
2000 lire di dote, 1500 per l’opera e 500 per la commedia; ritiene preferibile eseguire i lavori di ornato insieme a quelli di costruzione;
accetta il numero dei palchi che dovranno rimanere invenduti, con la
condizione che quelli invenduti del 2° ordine siano quelli laterali a
quello di mezzo, piuttosto angusto, di modo che, in caso di visita della
Famiglia Reale, essendo movibili gli stipiti laterali al palco centrale, possano i tre palchi diventare uno solo; vorrebbe che l’impiego di calce e
pietra sia limitato alle fondamenta, che il legno dei travetti sia di rovere anziché di castagno, per la sua maggior solidità, e quello del palcoscenico, dei palchi e del soffitto della platea di larice invece che di
pioppo; propone di lasciar libero uno spazio davanti alla facciata per la
costruzione di un porticato. Infine delibera di concedere 15 giorni al
ricorrente per dotarsi della cauzione, sospendendo nel frattempo ogni
deliberazione35.
Il 28 luglio 1857 il geometra Olivieri costituisce una società con l’avv.
Giovanni Fiore, presentando una nuova cauzione36. La vicenda pare
finalmente giungere ad una positiva conclusione. Ma nella seduta del
18 agosto 1858, la Commissione, incaricata di provvedere alle indagini per riconoscere la legale sufficienza dei beni offerti dall’avv. Fiore a
garanzia del Municipio e degli azionisti del teatro, rifiuta la cauzione: il
prezzo attribuito al suo fondo è ritenuto esagerato, inoltre esistono a
carico dell’avvocato varie ipoteche generali37. Sfuma così per Acqui unica nel suo circondario - la possibilità di avere un teatro decoroso,
mentre città come Novi, Tortona e Voghera, che non hanno “né un’ingente produzione vinifera, né uno Stabilimento Termale (…), posseggono magnifici teatri che nulla lasciano a desiderare né per vastità, né
per bellezza artistica”38.
IL DAGNA DAL 1875 AL SUO ABBANDONO
Nel marzo del 1876, in seguito alla circolare ministeriale del 18 maggio 1875, il Sottoprefetto propone una visita al teatro, dovendosi dare
nei giorni di sabato 1 e domenica 2 aprile due rappresentazioni della
compagnia Negromantica Bosco39. In seguito alla visita dell’ingegnere
del circondario Pastorino, nel mese d’aprile 1876 il teatro viene dichiarato chiuso40.
35 Ibidem.
36 Ibidem, Relazione della Commissione per l’erezione di un nuovo Teatro del 18
agosto 1858.
37 Ibidem.
38 Ibidem, Reiezione della proposta di acquisto del Teatro Casa Dagna, seduta del
Consiglio Comunale del 12 novembre 1856.
39 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 31 marzo 1876.
40 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto del 2 marzo 1878.
73
IL TEATRO E LA CITTÀ
IL PALCO DI
GIOVANNI FURNO
Nell’agosto del 1877 il cav.
Giovanni Furno acquista per 800
lire il palco n. 2 al primo ordine,
accanto a quello di proscenio di
proprietà del conte Costantino
Talice di Passerano [Atto di compravendita del 7 agosto 1877 trascritto presso la Conservatoria
dei Registri Immobiliari (ora
Agenzia del Territorio – Servizio
Pubblicità Immobiliare – Ufficio
provinciale del Territorio di
Alessandria – Sezione staccata
di Acqui Terme) il 5 settembre
1877 al vol. n. 51, partic. 139].
Di questo mecenate acquese, che
sostenne gli studi tanto dello
scultore acquese Luigi Bistolfi,
quanto del musicista Giovanni
Tarditi, Giacinto Lavezzari, nel
suo Sunto delle deliberazioni
consiliari (Acqui 1886) fornisce il
seguente ritratto (cfr. p. 321), che
sembra restituire con realismo i
contorni della figura. “Rapito ai
vivi che non è guari”, il commendator Furno diviene il campione
dell’ibridismo umano. “Di poca
levatura, gretto, inesorabile
verso i debitori, spese costantemente del suo a beneficio altrui.
Le annue sovvenzioni al nostro
asilo infantile di cui fu anche
presidente, l’erezione della fontana sull’attuale mercato bovino e
le molte elargizioni private, nonché il cospicuo legato al nostro
Ospedale fanno fede a questa
affermazione, tuttochè l’ingratitudine così frequente dei beneficati, tenti ad attenuare il merito
della carità del defunto”.
Sarà per questo, allora, che a lui
– personaggio senz’altro centrale
della vita ottocentesca - Acqui ha
intitolato non una via o un corso,
ma il vicolo (e piuttosto angusto)
dinanzi al Cinema Cristallo, che
pone in comunicazione Via Battisti con Via Mariscotti. La penna del Lavezzari lascia sempre il
segno…
R.Br. e G.Sa.
Il 9 giugno 1877 viene presentata al Consiglio
una convenzione tra i palchettisti ed i proprietari, per eseguire opere di restauro e provvedere il teatro degli arredi necessari.
L’accordo prevede che le spese siano sostenute
metà dai palchettisti e metà dalla famiglia Dagna,
e comprende diverse condizioni: nel mese di
giugno e luglio d’ogni anno il teatro sarà lasciato gratuitamente a disposizione della Direzione
teatrale per rappresentazioni drammatiche,
opere in musica, trattenimenti musicali, accademie ed altri divertimenti pubblici, ad esclusione
degli spettacoli acrobatici ed altri che possano
danneggiare la proprietà; la stessa facoltà viene
concessa per la stagione invernale, dal 1°
novembre al Natale, e per il periodo di
Carnevale, purché in luglio venga comunicato
per iscritto ai proprietari, i quali si riservano il
diritto di disporre liberamente del teatro per
balli in maschera a tarda sera, senza nuocere alle
rappresentazioni; il Comune potrà disporne in
occasione di pubbliche solennità, ad esempio
distribuzione di premi, balli o riunioni di beneficenza, anche promossi da privati che lo richiedano al Comune o alla Direzione Teatrale; in
corrispettivo di queste concessioni il Comune
pagherà ai proprietari la somma di lire 400,
metà in luglio e metà in dicembre, e lire 400 alla
Direzione Teatrale come dote del teatro; i palchettisti si obbligano a pagare l’assicurazione
contro gli incendi; sarà lecito ai proprietari vendere i palchi di dote, a condizione di concorrere alle spese di restauro attribuite ai singoli palchettisti, escluso il palco di mezzo del 2° ordine, proprietà del Comune, con l’obbligo di concorrere alle spese come palchettista. La
Decorazioni
del foyer
del Teatro Dagna.
Convenzione avrà la durata di quindici anni a partire dal giorno in cui
i lavori di restauro saranno terminati e, in caso di costruzione di un
nuovo edificio teatrale, l’accordo si considererà annullato a partire
dall’anno successivo alla sua erezione41.
Il 1° novembre iniziano i lavori di ristrutturazione del Dagna, che terminano nel giugno dell’anno successivo. Le relazioni dell’ingegner
Pastorino del 29 marzo e del 25 giugno 1878 ci informano della consistenza dei lavori eseguiti: totale ricostruzione del coperto, del soffitto sovrastante la platea e di quello che, sospeso sopra le grosse travature del coperto stesso, tiene riparato il palcoscenico dalle correnti d’aria; opere relative al riadattamento e alla decorazione di palcoscenico, platea, palchi e corridoi; apparecchi di illuminazione, riscaldamento ed aerazione. Il teatro ora presenta tutte le garanzie di sicurezza e stabilità richieste dall’uso cui è destinato e riapre con Il barbiere di Siviglia di Rossini42.
Nell’aprile 1881, gli incendi scoppiati ai teatri di Modena e Nizza
Marittima inducono la Prefettura a disporre alcuni provvedimenti: visita agli apparecchi per l’illuminazione ed eventuali riparazioni; istituzione di un servizio per l’istantanea estinzione del fuoco durante le rappresentazioni; costruzione di porte varie e larghe, e collocazione delle
chiavi in un luogo di facile reperibilità sotto la custodia di un apposito
inserviente43.
Il 16 aprile il Sindaco scrive alla Prefettura mostrandosi ugualmente
preoccupato per i fatti accaduti a Modena, Nizza e Montpellier, ma
osserva che non è facile in un piccolo paese dove possono mancare i
mezzi d’azione, adottare provvedimenti efficaci contro gli incendi; egli
pone l’accento sulle difficoltà ad attuare le disposizioni relative alle
porte dei teatri, “di fronte agli inconvenienti di una costruzione che
male risponde a somiglianti esigenze”. Egli osserverà le prime prescrizioni, ma sarà costretto a chiudere un occhio per quanto riguarda l’accesso ai due teatri della città44.
Un falso allarme d’incendio, diffusosi tra gli spettatori del Dagna il giorno 8 dicembre, durante una rappresentazione di Gasparoni45, induce a
prendere più seriamente in considerazione un intervento relativo alle
porte d’accesso. Il Sottoprefetto, in una lettera del 29 dicembre,
lamenta che il Dagna possiede solo un’angusta uscita per gli spettatori della platea, del 1° ordine di palchi e per il personale del palcoscenico, e due per il 2° ed il 3° ordine; uscite che danno su di un’unica
41 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Teatro Dagna Sabina Basi Fondamentali.
42 Ibidem.
43 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco dell’8 aprile 1881.
44 Ibidem, la risposta del Sindaco si trova a margine della Lettera del Sottoprefetto
dell’8 aprile 1881.
45 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 29 dicembre 1881.
75
lunga e stretta scala, nella quale, in caso di disastro, verrebbero ad
incontrarsi tutti gli spettatori, nonché i frequentatori del Circolo
posto sopra il teatro, rischiando di rimanere schiacciati per la foga di
guadagnare la porta che dà sulla via. La vetustà del legno dell’edificio,
inoltre, agevolerebbe di molto il propagarsi delle fiamme e, mancando
di sfiatatoi, potrebbe indurre la morte per asfissia46.
L’8 gennaio 1882 il Sindaco, ricordando che il teatro è stato da pochi anni
oggetto di restauri, propone la visita di un perito scelto dai proprietari,
per verificare la possibilità di aprire una o più scale d’accesso47. Nel
dicembre dello stesso anno si dispone una seconda visita48, ma nessun
lavoro viene eseguito e il teatro rimane comunque aperto fino al 1887.
Foglio volante per il
ballo di beneficenza
del 29 gennaio 1887.
ASCAT, Sez. II, Serie
XX, faldone 23.
Nella pagina successiva
in alto:
Diploma rilasciato
dall’Accademia
Filarmonica d’Acqui a
Girolamo Penengo.
ASCAT, Sez. II, Serie XX,
faldone 23.
in basso:
Ricevuta di pagamento del
26 febbraio 1860 con
sottoscizione dei musici
Penengo padre e figlio,
Tessitore padre,
Francesco Tessitore,
Depetris Giuseppe,
Baretti Giuseppe,
Crosio Paolo,
Morena [sic]
Giusio Giovanni.
ASCAT, Sez. II,
Serie XX, faldone 23.
Nel carnevale 1887 il Dagna, aperto ai soliti veglioni, subisce alcune
modifiche: il palco della musica viene innalzato al secondo ordine e
sotto una piccola loggia per la direzione dell’orchestra diretta dal maestro Penengo49.
76
46 Ibidem.
47 Ibidem, la lettera del Sindaco si trova a margine della lettera del Sottoprefetto
del 29 dicembre 1881.
48 Ibidem, lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 10 dicembre 1882.
49 “La Bollente” del 25 gennaio 1887, n. 1.
GLI ARTISTI
GIROLAMO PENENGO
(O “DI UNA CITTÀ ORFANA DI MUSICA”)
Anche se citato di rado nel presente lavoro
Girolamo Penengo, violinista, fu uno dei
protagonisti della vita teatrale acquese.
Figlio di quel Giovanni citato nello Statuto
dell’Accademia Filarmonica Letteraria
della Città d’Acqui, edito da Pola, 1844) fu
attivo ad Acqui come camerista, ma anche
in orchestra e come interprete solistico (cfr.
“La Gazzetta d’Acqui” 10 novembre 1885:
“Quando il M° Penengo suona la sua stupenda polonese sul suo violino incantato,
nessuno è più in teatro, ma rapito in
cielo”).
Fu di 23 anni il servizio che Girolamo,
ininterrottamente, prestò presso la Scuola
di Musica Municipale, assumendo anche la
direzione della banda .
Nel gennaio 1890, però, il Nostro decise di
cercar fortuna a Roma; e Italus [Carlo
Chiaborelli], in una sua corrispondenza
del 1892 (“La Gazzetta d’Acqui” 26/27
marzo), lo segnala come eccellente suonatore al Teatro Quirino.
La partenza di Penengo coincide con un
momento difficile per “la musica” acquese:
senza maestro, difficile far funzionare orchestra, banda, cori e tutto il resto. Fu allora che il Municipio di Acqui Terme corse ai
ripari diramamdo dalle colonne de “La
Gazzetta del Popolo” del 24 marzo 1890 un
bando di assunzione (poi vinto da Tullo
Battioni) che susciterà tante critiche. Lo
stipendio annuo di 1200 lire (6500 euro di
oggi) fa dire a molti che il concorso andrà
deserto. E, “per giunta, per riordinare di
senno la scuola di musica e avere una
buona orchestra e banda cittadina che
corrispondano all’importanza del paese e
ai bisogni del nuovo Teatro [è il “Garibaldi”, erigendo], è assolutamente indispensabile chiamare due maestri, uno per
gli strumenti a corda e l’altro da fiato”.
La storia è ....lunga e non si può qui ricordar tutta. Basti dire che, su “La Bollente”
del 17 marzo 1891, parlando della questione, si ricordan tutti i maestri della
scuola: Giovanni Penengo (papà di Gerolamo, come lui violinista, di cui è un
Diploma rilasciato nel 1834); [Alessandro]
Bottero, [lo svizzero, del cantone di S.
Gallo, Giovanni] Zelvigher, Tessitore [Felice, maestro dell’Accademia, citato con
Giovanni Penengo nello Statuto della
Banda del 1844]”. Manca solo il Franceschini, che sappiamo essere stato costretto alla partenza, sul finire degli anni
Sessanta del XIX secolo, “disgustato da
attriti e incompatibilità con i filarmonici”.
Tra questi, i migliori (indicati solo col cognome) son stati i Dogliotti, Fossa, Raviola,
Traversa, Scovazzi, Tessitore figlio, Benzi,
Crosio. Una menzione giunge infine per
“la discreta scuola di canto” e per il glorioso
Dagna in cui un tempo, “agivano compagnie drammatiche e di canto di indiscutibile valore”.
G.Sa.
Cfr. anche La
musica ad
Acqui ai
tempi di
Giuseppe
Saracco, in
”Corale Città
di Acqui
Terme”, anno
XVI, n.1,
aprile 2001.
Nei mesi successivi però il teatro, che doveva aprirsi con uno spettacolo d’opera nel mese di giugno, rimane chiuso non rispettando le
misure di sicurezza richiamate in vigore dopo la catastrofe di Parigi; i
palchettisti insistono perché il Municipio e la Commissione vedano se
si può adattarlo alle nuove norme50.
Dalla relazione dell’ingegnere del Genio Civile Pareto del 17 gennaio
1888, seguita ad una sua visita, risultano essere necessari riadattamenti radicali, lavori ed opere murarie51. Il 21 gennaio il Sottoprefetto, dietro richiesta d’apertura del teatro per un ballo di beneficenza, decide
di lasciare ai proprietari la facoltà di aprire una seconda porta di soccorso con scala e apposizione di ballatoio dal lato di mezzanotte, verso
piazza San Francesco, oppure sul fondo del palcoscenico, verso il cortile. Si propone una seconda visita52, ma rifiutando i proprietari di prendere alcun provvedimento, il 23 aprile il Prefetto dispone la chiusura del
Dagna fino a quando non ne vengano migliorate le condizioni53.
Alla fine dell’anno l’impresario Franchiolo, dopo accordi presi con la
proprietaria54, fa eseguire dei lavori e dispone l’apertura del teatro per
una festa da ballo55. In seguito alle relazioni dell’ingegnere del Genio
Civile Pareto e dell’aiutante del Genio Civile Demartini, il 9 febbraio
1889 il Prefetto Saltelli revoca il provvedimento di chiusura del teatro
e ne permette l’apertura per sole feste da ballo, durante le quali sarà
tenuta pronta una pompa idraulica, con relativo serbatoio d’acqua56.
Nel dicembre 1889 il cronista de “La Bollente” comunica i tentativi dei
signori Scati e Tirelli per riaprirlo a pubblici spettacoli, consistenti nell’apertura di trattative per stipulare un accordo con le proprietarie sorelle
Chiabrera e a preparazione di un progetto di adattamento alle moderne
esigenze della sicurezza, prevedendo l’emissione di azioni di lire 10 a
fondo perduto per sopperire in parte alle spese da sostenere57. Ma ancora nel 1891 il Dagna risulta aperto per le sole veglie danzanti; riaprirà agli
spettacoli solo nell’ottobre del 1893, dopo la demolizione del Politeama
Benazzo, fornito di lampade a gas, aperture di sicurezza e con un solo
78
50 “La Bollente” del 15 novembre 1887, n. 43.
51 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, Decreto di chiusura del teatro Dagna del 23
aprile 1888.
52 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 22 febbraio 1888.
53 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 25 aprile 1888 con allegato
Decreto.
54 In realtà alcune lettere degli avvocati delle proprietarie sorelle Chiabrera lamentano che il consenso all’esecuzione dei lavori era subordinato alla definizione dei
rapporti tra i proprietari ed i palchettisti, attraverso una regolare convenzione da
far sottoscrivere agli interessati, condizione che il Franchiolo non aveva rispettato (ibidem).
55 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 26 dicembre 1888.
56 Ibidem, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco del 12 febbraio 1889 con allegato
Decreto.
57 “La Bollente” del 17 dicembre 1889, n. 51.
Invito del Circolo Operaio, al Sindaco e alla Giunta, a
prendere parte alla commemorazione di Giuseppe
Mazzini in programma il 14 maggio 1894 al Teatro
Dagna, con oratore l’avv. Francesco Bisio.
ASCAT, Sez. II,
ordine trasforSerie XXI, faldone 24.
palco nel 3°
mato in loggione58.
Dal gennaio 1895 il teatro
Dagna non compare più
nelle cronache dei periodici. Un’ultima “fotografia”
del teatro viene fornita dalla relazione del Perito Civico Chiave, in seguito ad
una sua visita indotta dal
pericolo di rovina dell’edificio:
“Non le dirò della sfavorevole impressione fattami
Domanda della SOMS,
[per] la vista di diversi tratti
datata 16 febbraio 1892,
di pavimenti e solai demoliti,
per l’allestimento
di un ballo
di serramenti schiantati e
al Teatro Dagna.
asportati, di muricci divisori
ASCAT, Sez. II,
abbattuti, delle pareti scroSerie XXI, faldone 24.
state per rimuovere le tubazioni del gas, ed ogni cosa messa a soqquadro ed offesa, perché giudico
non di spettanza dell’Autorità C.le occuparsi del ripristino e riordinamento del teatro. Sottoporrò all’attenzione di V. S. soltanto ciò che sia
attinente alla sicurezza ed incolumità dei cittadini, che sottostante il teatro vi è un esercizio pubblico, e che l’edificio stesso prospetta sopra una
piazza. La platea del teatro è ingombra di legnami, calcinacci e cannicciati, e tale ammasso di materiali proviene dalla parziale rovina del soffitto. Infatti questo ha un largo squarcio nel centro della sala, e presenta innumerevoli screpolature. Esaminatane la sua struttura, vidi che si
compone di tante centine in legno, alle quali vennero fermati i cannicci
per fare l’intonaco. Le centine poggiano su ritti in legno che sorreggono
pure le impalcature e tramezze delle loggie. I persistenti stillicidi e la
vetustà forse della costruzione rese le centine fracide ed inflesse, talché
più non sopportano il gran peso del soffitto, e sono fatalmente condannate ad una imminente rovina. Non sarebbe però questo il peggiore dei
mali, che altre conseguenze ben più pregiudizievoli possono derivarne,
quando con le centine fossero travolti nella caduta pure i ritti anzidetti
alle centine stesse collegati. In allora le loggie non avrebbero più sostegni e sprofonderebbero. A tale rovina certamente non reggerebbero i
volti coprenti il piano terreno, sicché vi sia possibilità che le macerie facciano delle vittime in quel luogo abitato. Necessita quindi provvedere
d’urgenza al puntellamento del soffitto pericolante e pensare poi a ricostruirlo. Nel contempo si dovrebbe riforzare le incanallature del tetto,
58 “La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 settembre 1883, n. 39 e del 30 settembre-1° ottobre 1889, n. 40.
79
il quale appunto per l’insufficiente armatura e concatenamento, presenta notevoli depressioni, e già ha determinate delle fenditure nei muri”59.
L’ATTIVITÀ TEATRALE
Progetto di trasformazione
del Teatro Dagna, 1915.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI, faldone 24.
L’inaugurazione del teatro avviene il 30 maggio 1835 con il melodramma Chiara di Rosenberg60 e con il ballo in musica Il paggio di Leicester.
La documentazione relativa alle compagnie che recitarono al Teatro
Dagna appare estremamente frammentaria per gli anni precedenti al
1879, in quanto la Biblioteca Civica di Acqui Terme non dispone per quegli anni di copie dei periodici acquesi. La fonte principale è costituita
dalle lettere inviate dai capocomici alla Direzione del teatro o al
Sindaco, delle quali però spesso non possediamo la risposta.
La prima lettera risale al 15 giugno 1847 ed è scritta da Napoleone
Tassani61 al Sindaco della città. Il Tassani, che si era già in precedenza recato ad Acqui, avendo saputo che il capocomico Pezzana non avrebbe
rispettato l’impegno preso col teatro per la prossima fiera, si era offerto
di sostituirlo. L’impresario Cornaglia però pretendeva di scritturare la
compagnia solo quando essa fosse giunta in città; avendo il Tassani rifiutato, il Cornaglia si era rivolto all’agenzia Adami e Rivera alla ricerca di
un’altra compagnia, e gli era stata proposta la compagnia Notis, che era
poi la stessa del Tassani, essendo i due soci. Il sig. Adami aveva richiesto
un’anticipazione e, prevedendo un rifiuto dell’impresario, Tassani manifestava al Sindaco la necessità di una lettera “delli Sig.ri amatori del teatro
80
59 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, lettera del Perito Civico Chiave del 19 ottobre
1904.
60 Il libretto dell’opera, conservato presso l’Archivio Chiabrera, riporta in terza pagina la scritta “la primavera 1835”.
61 Napoleone Tassani era figlio dell’attore e capocomico Lorenzo Tassani, e marito di
Elena Germoglia, figlia del caratterista Giuseppe Petrucci (L. RASI, I comici italiani: biografia, bibliografia e iconologia, Firenze 1897-1905, vol. II, pp. 569-571).
che dichiarasse esser pronto all’arrivo il contante per pagare il
viaggio, bene inteso che questo
denaro dovrebbe dalla Compagnia rilasciarsi sull’introiti a chi lo
sovvenisse”62. Il 19 dicembre 1849
la compagnia di Tassani è presente in Acqui per dare una produzione a beneficio dei poveri63.
Le recite di beneficenza erano
piuttosto diffuse all’epoca, e lo
stesso Gustavo Modena il 10
maggio 1850 reciterà a beneficio
dell’emigrazione italiana: nel
Regno Sabaudo Modena trascorrerà gli ultimi anni della sua vita, bandito dagli altri Stati d’Italia64.
62 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
63 Ibidem.
64 Su Gustavo Modena cfr. Enciclopedia dello spettacolo, Roma, 1954, ad vocem, vol.
VII, pp. 671-675; L. RASI, op. cit., vol. III, pp. 132-141; G. B. MARTINA, Cenni biografici su Gustavo Modena, Venezia 1870; L. BONAZZI, Gustavo Modena e l’arte sua,
seconda edizione, Città di Castello 1884; V. ANDREI, Gli attori italiani da Gustavo
Modena a Ermete Zacconi, Firenze 1899; E. BOUTET, Nel centenario della nascita
di Gustavo Modena, Conferenza alla scuola di recitazione, Regia Accademia di
Santa Cecilia, 13 gennaio 1903, Roma 1903; G. CASENTINO, Modena Lombardi e
Vestri a Bologna, Bologna 1901, pp. 5-68; E. L. FRANCESCHI, Studi teorico-pratici
sull’arte di recitare e di declamare nelle sue corrispondenze con l’oratoria, colla
drammatica e colla musica, Milano 1857, pp. 229-253; T. GRANDI, Gustavo Modena
attore e patriota (1803-1861), Pisa 1968; N. GIGANTE, Gustavo Modena, Taranto
1903; G. LIVIO, La scena italiana. Materiali per una storia dello spettacolo dell’Otto
e Novecento, Milano 1989, pp. 29-50; E. MAINA, Gustavo Modena nella scena dell’ottocento, tesi di laurea, Università degli studi di Torino, Facoltà di Magistero,
a.a. 1982-83, relatore prof. Roberto Alonge; A. MANGINI, Gustavo Modena. Ricordi
di vita artistica, politica e letteraria con lettera inedita a F. D. Guerrazzi, Livorno
1912; N. MANGINI, Gustavo Modena e il teatro italiano del primo Ottocento, s.n.t.,
estratto da Atti dell’Assemblea del 27 giugno 1965 della Deputazione di Storia
Patria per le Venezie, pp. 11-47; N. MANGINI, Drammaturgia e spettacolo tra
Settecento e Ottocento. Studi e ricerche, Padova 1979, pp. 75-98; C. MELDOLESI,
Profilo di Gustavo Modena. Teatro e rivoluzione democratica, Roma 1971; L.
PULLÉ, Penna e spada. Memorie patrie di armi, lettere e di teatri, Milano 1899; M.
RAZZA, Tra quinte e poltrone, Roma 1984, pp. 27-67; Sulla sua concezione del teatro cfr. V. MONACO, La repubblica del teatro. (Momenti italiani. 1796-1860), Firenze
1968, pp. 97-149. Sulle sue interpretazioni shakespeariane cfr. H. GATTI,
Shakespeare nei teatri milanesi dell’Ottocento, Bari 1968, pp. 37-51. Si ricordano
infine gli epistolari: G. MODENA, Lettere inedite, s.n.t.; G. MODENA, Epistolario di
Gustavo Modena (1827-1861), a cura di T. Grandi, Roma 1955; G. MODENA, Politica
e arte. Epistolario e biografia (1833-1861), Roma 1888; T. GRANDI, Scritti e discorsi di Gustavo Modena (1831-1860), Roma 1957.
Omaggio poetico
a Gustavo Modena.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
81
La presenza dell’attore doveva
aver impressionato il pubblico
acquese, tanto che Emilio
Manara65, “interprete del comun
voto”66, aveva composto un’ode in
suo onore. L’artista veneziano
giunto in città fu festeggiato con le
parole: “L’è venu el re dei
Sciarlatan!”67.
Invito a stampa
al trattenimento
proposto il
15 giugno 1854,
presso il
Teatro Dagna,
dall’Accademia
Filarmonica e
dalle damigelle
Marietta e Antonietta
Erba di Casale.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
82
Il 16 giugno 1855 l’appaltatore
teatrale Mascalchini si accorda
con la Commissione Municipale,
incaricata di proporre il modo di
festeggiare la festa di S. Guido, per
portare in città una compagnia
d’artisti di canto per rappresentarvi, ai primi di luglio, un’opera
seria e una buffa, Il Marin Faliero e
I falsi monetari, oltre ad un terzetto ballabile. La Commissione assicura al Mascalchini tutte le spese
di teatro, illuminazione, orchestra
ed inservienti per il corso di venti
rappresentazioni d’abbonamento e due serate, e l’impresario darà una
serata obbligatoria a beneficio di un’Opera di Carità. La Commissione
si riserva inoltre il diritto di rifiutare gli artisti che non saranno graditi al pubblico68. Con una lettera del 30 giugno l’impresario scrive al
Sindaco “acciò voglia degnarsi nell’occasione della straordinaria Festa
e Fiera di S. Guido, a non permettere spettacoli o serali trattenimenti
di sorta alcuna, a chi interverrà in detta occasione, potendo i detti
trattenimenti aver luogo nel giorno, e cessare un’ora prima che abbia
luogo lo spettacolo d’Opera e Ballo al Teatro”69.
Il 18 novembre 1855 “La Bollente” pubblica un articolo in cui critica
la recitazione degli attori della compagnia che in quei giorni si esibiva
al teatro Dagna; nel numero successivo, un certo Gherardo Forattini
risponde all’articolo con un sonetto, in cui invita a scernere “il gran da
loglio”70.
65 Emilio Manara risulta essere uno dei palchettisti del teatro Dagna (vedi al box
“Gli Acquesi e i palchi” di p. 69).
66 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
67 G. MODENA, Epistolario, a cura di T. Grandi, Roma 1955, lettera del 1° febbraio
’57, p. 262.
68 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
69 Ibidem.
70 “La Bollente” del 26 novembre 1855, collezione privata, Acqui.
IL TEATRO E LA CITTÀ
Il 10 maggio 1856 il capocomico
Eugenio Linari Bellini chiede il Teatro
Dagna per la stagione estiva, per rappresentarvi un’opera seria e una
buffa, ossia Il trovatore, Chi dura vince o
altre71. Il 6 giugno 1856 gli appaltatori
teatrali Giuseppe Amery e Giuseppe
Griffanti chiedono la disponibilità del
teatro per il mese di luglio e agosto
per darvi tre spartiti in musica, Chi
dura vince, Norma, Beatrice di Tenda,
con tre balletti composti dal Griffanti. In risposta ad una lettera del
Sindaco, accettano l’offerta di dare
tre opere in musica con un terzetto
ballabile (tra cui forse I due Foscari),
“più una Mima che sosterrà la parte
del Parricida”, e presentano l’elenco
degli attori72.Veniamo a sapere da una
lettera dell’Intendente del 23 luglio
1856 che l’impresario Rivarola, ritenendo l’impresa in perdita, non aveva
pagato gli stipendi agli artisti, e questi,
impegnati nell’opera I due Foscari, si
rifiutavano di cantare. Dai conti degli
introiti forniti dal Cornaglia, risultava
in realtà che gli introiti superavano le
spese, e non avendo il Rivarola portato a compimento la prima metà dell’abbonamento, non gli spettavano le
500 lire del regalo offerte dal
Comune. L’Intendente manifesta al
Sindaco il parere del maestro
Bottero di licenziare il Rivarola, “sia
come impresario sia come artista”,
tanto più che “nell’Opera li due
foscari, questo non è punto necessario, e la sua presenza non cagionerebbe che una spesa parassita”73.
71 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
72 Ibidem.
73 Ibidem.
Sonetto pubblicato su “La Bollente” del
26 novembre 1855, composto da Gherardo Forattini in risposta ad un articolo critico nei confronti della recitazione
degli attori, apparso nel numero precedente del giornale.
SONETTO DEL 1855
Sta ben, Bollente, critica e martella,
E dalla nuca spela infino all’osso
L’attor che ignavo parti, e lo flagella,
Sia castagno di pel, sia nero, o rosso.
Ma giustizia ti mova, e scerni in quella
Il gran da loglio, e non tagliar di grosso;
Pecca chi miete, e poi con man ribella,
Di tutto un fascio getta giù in un fosso.
Lupa, diranti, che notturna, ostello
Umile assali, e sitibonda e trista
Il capro sbrani e l’innocente agnello.
Oh guai se addentro ne l’umana lista
Scrutiam! l’un l’altro cortesia sgabello
Sieda a indulgenza, e non veduta vista.
R.Br.
83
IL TEATRO E LA CITTÀ
Lord Spleen [...] si è riempite
le orecchie del vocione di
Alessandro Bottero,
che rimbomba come un cannone in
chiave di basso
e lo ha regalato
di una tabacchiera d’argento...
GIOVANNI FALDELLA, Figurine, 1875
IL BASSO ALESSANDRO BOTTERO,
UN ACQUESE DI SUCCESSO
Quanti mestieri per i musicisti dell’Ottocento! Tanto per i grandi (come il Nostro, che
poi trionfò come basso buffo al S. Carlos de
Lisbona, all’ Opera di Vienna, a Barcellona, al
Covent Garden di Londra, a Parigi (dove al
Théâtre Italien, il 9 novembre 1865 Bottero
portò il Don Bucefalo di Cagnoni), quanto per
i piccoli nomi (si vedano le biografie – tra
qualche pagina - di Battioni, Vigoni, Boverio,
Corrado).
Alessandro Bottero, girovago e musicista da
strada (a 16 anni scappò di casa: fu in Francia
e in Svizzera), organista, maestro di banda,
poi celebre cantante (1831-1899) genovese di
nascita, non ancora famoso, operò nella
nostra città e nei dintorni “vicini e lontani”
(maestro di banda a Casale e Canelli, organista a Terzo e nella città dello spumante, basso
“liturgico” nel duomo di S. Guido, dove “voce
potente e simpatica” cantò il Tantum Ergo
nelle feste patronali).
Sempre da noi, negli anni Cinquanta, ricoprì
il ruolo del Don Basilio rossiniano (uno dei
suoi cavalli di battaglia), nel Barbiere, al
Teatro Dagna della Via Nuova (per notizia e
per la precedente cfr. “La Gazzetta d’Acqui”
del 29/39 novembre 1930, la firma è quella di
Italus, Carlo Chiaborelli) assumendo, contemporaneamente, (cfr. “La Bollente” del 1°
aprile 1890) la direzione della Scuola di Musica Municipale della Banda (oltre al violino e
al canto, aveva studiato, pur non regolarmente, sia il contrabbasso, sia il pianoforte, con
risultati lusinghieri), continuando ad alternarsi all’organo all’occorrenza .
In conclusione, fu nella nostra città che egli
“visse alcuni anni della sua giovinezza e rivelò la sua non comune disposizione per il canto”
(“La Gazzetta d’Acqui” del 6/7 febbraio 1892).
Artefice delle sue iniziali fortune sembra sia
stato il M° Giacomo Panizza (Castellazzo
Bormida, 1° maggio 1804 o 27 marzo 1803 Milano, 1° maggio 1860), all’epoca maestro al
cembalo e direttore d’orchestra alla Scala (ma
anche compositore di opere e balli, inni, cantate e di una serenata per Maria Malibran).
Già nel 1859 Bottero debuttò alla Scala con la
Matilde di Shabran di Rossini (di cui cantò
anche la Cenerentola).
Vent’anni dopo l’acquese Franco Riccabone,
collaboratore da Milano (con la moglie Maria
Swender) della “Gazzetta d’Acqui, ne segue
assiduamente le tracce.
Il 18 gennaio 1879 sul giornale cittadino la
cronaca delle recite milanesi al Teatro
Carcano sul corso di Porta Romana: “Il nostro
concittadino Alessandro Bottero, quantunque
gli anni vadino [sic] strappandogli i peli, è pur
sempre un grande artista…il valente nostro
Bottero riscuote immensi applausi e nell’opera Papà Martins [La gerla di Papà Martins, di
Umberto Cagnoni]”; una settimana più tardi
le cronache riprese dalla “Lombardia” dicono
di un Bottero “come sempre inarrivabile” nel
Don Bucefalo [sempre di Cagnoni: il protagonista è un maestro di canto] “e nella prova
dell’opera, al terzo atto, gli fu fatto replicare
l’assolo di violino in mezzo a fragorosi ed
entusiastici applausi”.
Da noi Bottero poi tornò per un concerto in
favore degli inondati della Bormida, recensito
sulla “Giovane Acqui” del 22 luglio 1879.
Gli ascoltatori oltre a riconoscergli un timbro
bello, una voce potente e intonata, un registro
assai esteso, erano estasiati dalla sua straordinaria presenza scenica, contrassegnata da
gesti misurati ma assai espressivi. E ciò sino
all’ultimo: si fece, infatti, accompagnare al
cimitero sulle note de La bella gigogin (“La
Bollente” 11-12 febbraio 1892).
G.Sa.
Per tutte le notizie non tratte direttamente
dalle fonti locali rimandiamo alla voce
Alessandro Bottero del “Dizionario Biografico
degli Italiani” (curata da C. Gabanizza) e alla
voce Bottero del DEUMM (Utet), primo volume dell’appendice, che segnala anche il basso
comico Osvaldo Bottero (Casale 1849-Firenze
1892), figlio del precedente. Altra sintesi in
Alessandro Bottero una storia romantica, in
“Corale Città di Acqui Terme”, n. 2, 2004.
Il 2 novembre 1857 giunge in Acqui Gustavo
Modena, preceduto dalla sua compagnia: intendono fare l’esperimento scenico di un manoscritto
di David Chiassone dal titolo provvisorio Autore
di cuori. Sarà messo in scena con il titolo Cuor di
marinaro domenica 8, preceduto il sabato dal
Saulle74 e seguito, nell’ultima sera di martedì da
Maometto75.
Il 4 maggio 1867 il tenore Giulio Guerrieri chiede al Sindaco la disponibilità del teatro a partire
dal 16 o 17 maggio per dare, in società con altri
artisti, 16 recite, scegliendo come prima opera
Poliuto, e come seconda Lucia76. Il 6 luglio è il
tenore Tobia G. Camaccini, che con alcuni colleghi, una prima donna soprano, un tenore, un basso, un basso buffo e
un maestro di piano intendono recarsi in Acqui per dare alcune accademie77.
Il 18 febbraio 1868 Gaetano Bruni, avendo rinnovato la sua compagnia,
che ora presenta come prima attrice Carolina Caracciolo Aiudi, e
come direttore il marito della stessa, Amilcare Aiudi, intende presentare un corso di 24 o 30 recite durante la Quaresima78.
74 Il Modena era stato chiamato nel gennaio dello stesso anno dal comune di Asti a
mettere in scena il Saul di Alfieri, con la compagnia Bonazzi, che vi recitava per
tutto il Carnevale, e con esito molto fortunato (G. VENTIMIGLIA, op. cit., pp. 153154).
75 G. MODENA, op. cit., p. 282.
76 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
77 Ibidem.
78 Ibidem.
GLI ARTISTI
AMILCARE AJUDI
“Fu brillante, ma non brillò mai di
luce propria. Imitava il Giardini,
altro brillante (…). Passò nel 1856
nella Compagnia Stacchini e nel
’57-’58 in quella Trivelli”. La moglie
Carolina Caracciolo Ajudi cominciò
ad acquistare fama nel ruolo di
prima donna e prima amorosa
nella società formata nel 1851 da
Carolina Internati; passò poi in
diverse compagnie, fra cui, nel ’53,
in quella condotta e diretta da An-
tonio Feoli, diventando capocomica
dopo il matrimonio; nel 1856 entrò
prima attrice nella compagnia di
Antonio Stacchini, nel ’57-’58 nella
Compagnia Ligure, nel ’66 con Colomberti e Casilini, con Cesare Vitaliani e infine con Tommaso Salvini.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I,
pp. 12-13 e 587-589.
Manifesto della
serata patriottica
allestita al
Teatro Dagna
l’8 aprile 1866.
La sottoscrizione
è dell’Assessore
delegato
Giovanni Furno.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
GLI ARTISTI
GIOVANNI TOSELLI
Nato a Cuneo nel 1819, Giovanni
Toselli, dopo aver cercato invano una
scrittura nel teatro lirico essendo dotato di una buona voce baritonale, era
passato alla prosa in una misera compagnia. Dopo la scrittura come generico
nella compagnia di Napoleone Tassani
e in quella di Gustavo Modena, più
come contabile che come attore, aveva
formato una propria compagnia, dedicandosi completamente al teatro dialettale dopo il suo successo nella parte
recitata in dialetto in Ascanio alla torre
di Niel. Toselli aveva conosciuto a Nizza
il famoso Meynadier, che gli cedette il
Teatro D’Angennes a Torino; in quel
periodo la compagnia rappresentò tanti
lavori e capolavori, dominando incontrastata fino alla fine del 1869. Tra gli
attori di quel tempo ricordiamo Giovan
Battista Penna, Giacinta Pezzana, Antonio Cavalli, la caratterista Teresa Rosano, la caratterista Marianna Moro
Lin, Angelo Moro Lin e il figlio Checco,
Luigi e Isabella Vado, Francesco Ferrero, Luigia Fantini e le figlie Amalia e
Camilla, Giovanni Baussé, Carolina
Tessero madre di Adelaide, le sorelle
Anna e Caterina Reynaud, ed i più
grandi allievi di Giovanni Toselli: Tancredi Milone, Pietro Vaser, Enrico
Gemelli e la moglie Paolina, Teodoro
Cuniberti e la figlia Gemma. Nel 1869
iniziò la crisi che portò allo scioglimento della compagnia, crisi dovuta al fatto
che qualche attore aveva abbandonato
Toselli per fargli concorrenza. Nel 1880
Toselli fu chiamato da un Comitato per
dar vita alla compagnia “La Torinese”,
con esito lusinghiero ma di breve durata; tornò così a recitare con le figlie
Clara e Carlotta, nelle compagnie di
Alessandro Marchetti e Artale Pedretti,
fino a quando nel 1885, a Piacenza, fu
colpito da paralisi durante le prove di
Le miserie del signor Travetti di
Bersezio.
R.Br.
Cfr. anche D. SEREN GAY, Storia del teatro dialettale piemontese, Torino 1971,
pp. 18-31.
Con lettera del 28 dicembre 1868
Lechi Coriolano, direttore della Compagnia dei Fanciulli Bresciani, che doveva passare per Acqui nel compiere il
suo giro, chiese l’uso del teatro per un
trattenimento serale, disposto ad accettare il teatro per una sola sera se
esso fosse già occupato da qualche Impresa d’Opera o Compagnia Drammatica, ed offrendo “un Carato dall’incasso netto delle spese”79.
L’8 luglio 1869 giunge al Teatro Dagna
la compagnia del Cavalier Toselli80.
Il 13 luglio 1869 è la compagnia dell’attrice Clementina Morino-Tamberlani a
chiedere il teatro “onde dare un corso
di Rappresentazioni Drammatiche –
Tragiche e Comiche – Novità assoluta
nel repertorio, molti componimenti di
esclusiva proprietà e Privativa dell’impresa – Un
buon nucleo
di Attrici e
Attori,
Vestiario
analogo e di
lusso –
Molta
Proprietà di
mise en
scène”81.
Richiesta di utilizzo
del Teatro Dagna
da parte della
compagnia
dell’attrice
Clementina
Morino-Tamberlani.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
79 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
80 Ibidem, lettera di A. Moro Lin, amministratore della compagnia Toselli, dell’8 giugno
1869.
81 Ibidem.
Nei mesi di novembre e dicembre 1871 il
teatro è occupato dalla compagnia Cottin
A. e Soci82. Nel maggio 1873 si trova in città
la Drammatica Compagnia Sociale condotta da Francesco Galletti e diretta da
Federico Branchi, i quali con lettera del 1°
maggio si rivolgono al Prefetto perché inviti il signor Cornaglia a ridurre le elevate
spese serali richieste, nonché i suoi diritti di
sesto sugli introiti, aggravi considerati
“incompatibili per un Teatro dove non può
accorrere la plebe, e dove i maggiori proventi sono a favore del sullodato Signor
Cornaglia, ed a danno emergente delle
drammatiche Compagnie che nella credenza di vivere, accettano ciecamente codesta
specie di contratti”. Chiedono inoltre di
indurre il Comune ad elargire una certa
somma per permettere alla compagnia di
terminare il corso delle recite83. La mancanza di denaro delle compagnie di prosa sarà un problema che le accompagnerà per tutto
l’Ottocento: le elevate spese serali richieste dagli impresari e i bassi
introiti inducevano spesso gli attori ad abbandonare le piazze o a chiedere un sussidio straordinario al Comune per portare a termine gli
impegni presi.
Il 31 luglio 1873 Coriolano Lechi chiede il teatro per andare in scena
martedì 8 con l’opera Crispino e la comare84. Nel novembre dello stesso anno il pubblico assiste alle recite della compagnia Ferrante e
Bocci85, mentre dal luglio al novembre 1874 è la compagnia di Nicola
Giannuzzi ad occupare il teatro Dagna86.
Carteggio relativo
al Teatro Dagna
riguardante una
richiesta di
sopralluogo da parte
di un ingegnere del
Genio governativo.
La lettera, datata
16 giugno 1878,
è listata a lutto
per la morte di
Vittorio Emanuele II.
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
Nella stagione del Carnevale 1878-1879 si trova in Acqui l’ottima
Compagnia di Vincenzo M. Diligenti, con la prima attrice Italia Diligenti,
per un corso di almeno 20 rappresentazioni. Il repertorio è buono: tra
le opere rappresentate Le due dame di Paolo Ferrari, Dora di Sardou,
Messalina di Cossa, Le miserie del Sig. Travetti del Bersezio, Le baruffe
chiozzotte di Goldoni, Speroni d’oro e Il falconiere di Pietro Ardena di
Leopoldo Marenco. Dopo le prime recite, con le quali la compagnia
ottiene un buon successo, la situazione peggiora, anche perché il pubblico si lamenta per le troppe repliche. Scrive il cronista de “La
82 “L’Arte drammatica”, Anno I, 6 novembre 1871, n. 1 e 1° dicembre 1871, n. 5.
83 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
84 Ibidem.
85 “L’Arte drammatica”, Anno III, 1° novembre 1873, n. 1.
86 Ibidem, Anno III, numeri dal 27 giugno 1874, n. 34 al 31 ottobre 1874, n. 52.
87
Giovane Acqui”: “Il nostro pubblico non
è di quelli che vadano in teatro per sentir discutere questa o quella tesi sociale,
desso non va colà per fare un corso di
filosofia, di morale, di politica o che so
io. Noi provincialoni andiamo a teatro
per passare qualche ora allegra (…)”87.
Lo stabile del
Teatro Dagna,
oggi.
88
Nella seconda metà del mese di gennaio
il teatro viene affittato dalla compagnia
Regoli, in cui si nota come unico artista
di rilievo il veronese Luigi Velli88.
L’esordio avviene con l’opera Cause ed
effetti del Ferrari e questa volta si assicura che le repliche saranno evitate e
che le commedie di genere comico “terranno i primi posti nel repertorio, interrotti da qualche vaudeville”89. Il pubblico
continua però ad essere restio ad accorrere a teatro, tanto che, su iniziativa privata, si organizza una sottoscrizione per
aumentare alla compagnia l’insufficiente
sussidio municipale90. Si legge ne “La
Gazzetta”: “La Compagnia Regoli ha dato delle produzioni che seppero appagare tutti i gusti, e che mostrarono la valentia dei singoli artisti, non che il dovizioso corredo onde va fornita. Se qualche sera i palchi son radi come i galantuomi, la colpa è tutta del Carnevale”91. Il pubblico acquese preferiva infatti svagarsi con i numerosi balli che in questa stagione si organizzavano al Casino, al Circolo e allo stesso teatro
Dagna.
Tra le altre opere la compagnia aveva rappresentato: I Forchambault di
Augier, I Danicheff di Dumas figlio; I Borghesi di Pont-Arcy di Sardou “che
faceva tanto chiasso a Parigi l’anno scorso”, bene accolta dal pubblico
nonostante la lunghezza (“La Giovane Acqui” del 22 febbraio 1879, n.
8), Amori d’un Brigante del concittadino Depetris, ed Il Trovatore, bozzetto medioevale scritto da Caro Core di Nizza Monferrato, “copia
87 “La Giovane Acqui” del 1° gennaio 1879, n. 1.
88 Il Rasi riporta ciò che di lui si scriveva nel 1821 nelle Varietà teatrali di Venezia:
“i suoi naturali talenti, la sua coltura, e la prontezza del suo spirito, giunti che
sieno a farsi conoscere dal pubblico, miserabilmente coprono lo svantaggio in lui
di una voce monotona e non insinuante, e di uno sceneggio sovente, se naturale,
troppo confidenziale, se nobile, troppo ricercato.” (L. RASI, op. cit., vol. II, p. 626).
89 “La Giovane Acqui” del 21 gennaio 1879, n. 4.
90 “La Giovane Acqui” del 4 febbraio 1879, n. 6.
91 “La Gazzetta d’Acqui” del 15 febbraio 1879, n. 7.
fotografica della Partita a scacchi con reminiscenze del Trionfo d’amore”
(“La Gazzetta d’Acqui” del 1° marzo 1879, n. 9).
Nell’aprile dello stesso anno il teatro viene affittato dalla compagnia
del Cavalier Toselli. Se le prime rappresentazioni della compagnia, di
cui si stima soprattutto “l’affiatamento e l’equilibrio nell’abilità degli
attori”92, attirano un pubblico numeroso93, già nei primi numeri del
mese di maggio il cronista della “Giovane Acqui” critica “l’apatia dei
concittadini”94 a causa della quale il teatro è quasi seralmente spopolato, apatia che conferma “le cattive prevenzioni”95 del Toselli sul teatro acquese: “Non si può sperare di avere un’altra compagnia composta di ottimi elementi come i Beltramo, i Cappello, il Salvaia, il
Governato, Castelli, Campana, Sabola ecc.”96.
Nell’estate 1879 il teatro Dagna accoglie per lo più spettacoli di dilettanti: le 200 lire offerte dal Comune sono insufficienti per dare uno
spettacolo d’opera e nessun impresario vuole assumersi grossi rischi.
Nel mese d’ottobre è la compagnia Caldini ad occupare il Dagna: dopo
le prime rappresentazioni, l’insofferenza del pubblico nei confronti di
un repertorio piuttosto vecchio spinge il capocomico Caldini a scritturare nuovi artisti, tra cui la prima donna giovane Adele Zanze e il
primo attor giovane Enrico Ponthonier, e ad offrire alcune novità per
Acqui come I Fourchambault di Augier e Signor Alfonso di Dumas figlio.
Nonostante l’impegno della compagnia gli eleganti “inquilini”, e soprattutto “inquiline”, dei palchi continuano ad ignorare gli svaghi teatrali,
come fa notare un acquese in una lettera al Direttore del giornale.97
Dopo alcuni giorni di pausa la compagnia si ripresenta con il nome di
Compagnia Sociale: il pubblico pare gradire solo le farse, proverbi ed
idillii98, e dopo la sgradita interpretazione dell’Oreste, per diverse sere
gli attori sono costretti a rimanere fermi e restituire i biglietti ai
pochissimi accorsi.
Nel luglio 1881 giunge in città la Compagnia Romana Musicale Bellini,
composta da giovani tra gli 8 e i 18 anni, per dare alcune recite durante i giorni della fiera: tra le opere da rappresentare Pipelè, Crispino e la
comare, L’elisir d’amore, I falsi monetari, I due ciabattini99.
92 “La Giovane Acqui” del 15 aprile 1879, n. 16.
93 Scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 19 aprile 1879, n. 16: “(…) la sala
del Dagna è sempre stipata e, più d’una volta, verificassi il caso, fenomenale pel
nostro bollettinario, di dover respingere gli accorrenti per difetto di spazio”.
94 “La Giovane Acqui” dell’11 maggio 1879, n. 20.
95 “La Giovane Acqui” del 15 aprile 1879, n. 16.
96 “La Giovane Acqui” dell’11 maggio 1879, n. 20.
97 “La Gazzetta d’Acqui” del 16 novembre 1879, n. 54.
98 Apprezzate le scene idilliache di Celeste del Marenco.
99 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24, lettere del Direttore Giuseppe Conti del 1° giugno e del 19 giugno 1881.
89
IL TEATRO E LA CITTÀ
VOCI ACQUESI PER I CORI DELL’OPERA
“Come faremo adunque noi ad avere uno
spettacolo di musica senza avere né orchestra completa né coristi, cose che tutte bisogna far venire di fuori con molta maggiore
spesa”: così si chiede “La Giovane Acqui”
dell’11 maggio 1879. Le preoccupazioni dell’articolista sono per le crescenti spese degli
allestimenti e, poiché il Municipio è “sparegno”, se le cose non vanno più che bene vi è
grandissimo pericolo che [il teatro Dagna,
riaperto nel 1878] abbia a restar chiuso.
Una osservazione non casuale, poiché dallo
stesso settimanale (3 giugno) sappiamo che
il M° Boverio “da poco tempo ha aperto in
Acqui una scuola dove senza compenso alcuno (e senza sussidi pubblici alcuni) istruisce
nel canto corale una brigatella di giovani e
volonterosi operai acquesi”. La testimonianza è importante in quanto conferma la prassi degli impresari di cercare “in loco” le
masse corali: da qui in avanti, però, essi “non
dovranno porsi le mani tra i capelli per una
mezza dozzina di coristi i quali non hanno
che la voce e sono privi affatto di qualsiasi
rudimento musicale, onde necessita un
tempo non breve ed una discreta fatica nel
far loro imparare quelle brevi parti che
dovranno poi sostenere in teatro.
Da “La Gazzetta d’Acqui” del 8-10 maggio
1882 sappiamo invece delle positive prove
dei cori della Lucia, al Dagna, ben eseguiti
grazie alla pazienza del maestro Corrado,
che si guadagna elogi anche nell’estate (“La
Gazzetta d’Acqui” 22 - 23 luglio), quando si
dice addirittura che “i cori han fatto meraviglie”.
La consacrazione a dicembre (“La Gazzetta
d’Acqui” 12-13) : “mentre il nostro cronista
teatrale parlerà dei principali artisti che calcano le scene del nostro Dagna [ci si riferisce
ad Elvira Cummings] , noi non vogliamo
dimenticare i coristi che specie in queste
ultime sere di rappresentazioni [sono andati in scena Trovatore e Poliuto] meritano
ogni lode. Sono tutti giovani operai della
città nei quali due anni or sono l’ottimo maestro Boverio mise in corpo un po’ del sacro
fuoco dell’arte. Ora abbiamo un piccol corpo
di coristi in cause dei quali gli impresari non
saranno più obbligati a ricorre al di fuori.
Un bravo adunque di cuore, oltreche all’egregio M° Corrado che li ha istruiti, a questi
volenterosi giovani ai quali facciamo l’augurio che la frequenza di spettacoli d’opera li
sproni a perfezionarsi sempre più nella
melodiosa arte del canto”.
Nel gennaio 1882 l’impresario Ivaldi, desideroso di assicurarsi una
buona compagnia “per innalzare le sorti del teatro” che “da due anni
si può dire sta chiuso”, firma un contratto con la Compagnia Borisi per
la stagione di Carnevale e Quaresima, e chiede al Comune di contribuire con un regalo opportuno100. La sera del 25 febbraio la
Compagnia Borisi, dopo essersi assunta per scrittura l’obbligo di rappresentare le opere indicate, inizia il corso delle rappresentazioni con
Le due dame di Paolo Ferrari e Cetego di Vittorio Salmini. Della
Compagnia facevano parte artisti di rilievo come Amalia Borisi, di famiglia patrizia veneziana, attrice di molti pregi per le parti di madre e
caratterista in dialetto veneto, che aveva sostituito la famosa attrice
90
100 Ibidem, Lettera di Luigi Ivaldi del 7 gennaio 1882.
G.Sa.
dialettale Marianna Moro Lin dopo la sua morte; il marito conte Carlo
Borisi, istriano, attore di pregio per le parti italiane e dialettali, che
aveva fatto parte con la moglie della compagnia di Gustavo Cappella e
poi della Colomberti e Casilini, prima di formarne una propria101;
Vincenzo Andreani e Adelaide Andreani Brignone. Il pubblico, all’inizio
diviso, apprezza l’affiatamento e la diligenza degli attori e accorre più
numeroso del solito a teatro. Il cronista della “Gazzetta” loda gli attori, soprattutto il sig. Borisi “che appartiene alla scuola di coloro che
non declamano ma recitano con naturalezza”102, e la Andreani
Brignone, specie ne La signora dalle camelie di Dumas figlio, suo cavallo di battaglia; egli giudica abbastanza positivamente il repertorio della
compagnia, anche se non manca di suggerire alcuni titoli per accontentare maggiormente il pubblico. Tra le novità rappresentate:
Mastr’Antonio di Leopoldo Marenco, La sposa di Menecle e Il cantico dei
cantici di Felice Cavallotti, Divorziamo di Sardou, Donna o angelo? della
Sormani.
La stagione estiva inizia a metà giugno con la Lucia di Lammermoor, proseguendo con Il barbiere di Siviglia e Lucrezia Borgia: la compagnia, composta dalla prima donna Eva Cummings e dal tenore Bianchini, dopo le
iniziali incertezze acquista sempre maggiori consensi. Il teatro è spesso gremito, e se a volte il pubblico non è numeroso, ciò dipende dalla
molteplicità degli spettacoli offerti in quella stagione dalla città: concerti e balli allo Stabilimento Termale, spettacoli equestri al Politeama
Benazzo, fuochi artificiali e altri divertimenti popolari nelle piazze in
occasione della fiera di San Guido. Scrive il cronista della “Gazzetta”:
“si può affermare che lo spettacolo d’opera appena finito resterà
memorabile nei fasti teatrali acquesi”103. Dalla metà di settembre il teatro è affittato dalla Compagnia Piemontese Vaser e Ferrero, la quale
presenta buoni elementi e un repertorio abbastanza scelto. Tra le
opere rappresentate: ’L Bibi di Mario Leoni, ’L cotel di Pietracqua e il
capolavoro del Bersezio Le Miserie ’d Mônssù Travet. A metà novembre
riprende lo spettacolo d’opera con Il trovatore e Poliuto: le rappresentazioni ottengono un buon successo, nonostante la scarsità di suonatori, e il pubblico applaude gli esecutori, in particolare la “prima
donna” Eva Cummings e il mezzo soprano Carolina Moses.
Se si esclude lo spettacolo di una compagnia di giovani acrobati e qualche recita della compagnia Benincasa nel mese di febbraio, nei primi
mesi del 1883 il teatro rimane pressoché chiuso e riapre solo a metà
giugno con un nuovo spettacolo d’opera.
101 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 491-494.
102 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 marzo 1882, n. 25.
103 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1882, n. 61.
91
IL TEATRO E LA CITTÀ
ENRICO GABBIO
Febbraio 1883, tempo di carnevale. Al
Teatro Dagna si erige un padiglione
per il ballo. Enrico Gabbio (unitamente al concittadino Bordo) “fa miracoli”
approntando le scenografie e dipingendo “i puttini e tutte le figurine che
gaiamente si mostrano tra le pieghe
d’un drappo e tra nembi di fiori” destinati a sfolgorare “tra mille becchi di
gaz” e vari zampilli d’acqua.
Nel numero del 6/7 febbraio, la “Gazzetta” non rinuncia a “presagire nel
nostro concittadino un ottima riuscita
nell’arte divina della pittura quando
troverà qualche mecenate che gli
aprisse con i cordoni della borsa
anche la via della gloria”. Il Gabbio
mostra, infatti, impegno non comune,
spigliatezza nel disegno, brio nel colorito, gusto nell’invenzione e nella
composizione”.
Un’altra opera ha poi per soggetto “il
nostro bravo brillante sig. Ricci [si
tratta di una delle prime parti della
Compagnia Benincasa, che recita al
Politeama Benazzo], e verrà esposto
in occasione della sua beneficiata”
[ovvero, la serata d’onore].
“La testa è maestralmente [sic] lavorata, e sotto il travestimento, nella
caricatura, escono egualmente distinti espressivi e somigliantissimi i tratti dell’artista brillante”.
Il Nostro non solo realizzò le scenografie per l’operina La Bujenta del
Tarditi, “un minuscolo vaudeville” che
andò in scena nel settembre 1883 al
Politeama Benazzo (cfr. “La Gazzetta
d’Acqui” dell’11/12 e poi del 29/30 settembre; lo portò in scena la compagnia La Piemontese, con gli attori
Gemelli, Vaser e Leonetti), ma si produsse anche in uno schizzo ad acquerello in cui “fece entrare le macchiette
degli attori”.
G.Sa.
Disegni e acquerelli di Enrico Gabbio.
Collezione privata.
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA PIEMONTESE DI
La prima della Linda di Chamounix
ha un esito soddisfacente, e la
buona impressione generata
dagli artisti, la prima donna Elthon, il baritono Bugatto, il contralto Bodrilla, il basso Spreafico,
il tenore Bianchini e il basso comico Ferrario, cresce col procedere delle recite. Il cronista de
“La Gazzetta d’Acqui” lamenta
però che parecchi palchi restano
vuoti e ne critica i proprietari:
negli altri teatri, infatti, questi
sono abbonati, e se non lo sono,
lasciano le chiavi a disposizione
di conoscenti o dell’impresa, perché possano essere affittati; egli
ringrazia l’impresario Terzi per
aver offerto uno spettacolo
buono “quale non ci ricordiamo
di aver veduto e sentito nella
nostra città”104. Anche l’esecuzione di Maria di Rohan è giudicata
buona, seguita da una Traviata
rappresentata in un teatro gremito. A fine novembre il teatro
viene occupato dalla compagnia
di prosa Lancillotti e Mazzuccato
la quale, dopo alcune recite
davanti ad un pubblico esiguo, si
vede costretta a trasferirsi al
Politeama e a ridurre i prezzi
d’ingresso. Nel marzo del 1884 il
teatro apre i suoi battenti ospitando la Compagnia Lirica
Romana diretta dal maestro
Conti, la quale esordisce con
L’elisir d’amore; la compagnia,
accolta piuttosto favorevolmente
da un pubblico mai troppo
numeroso, continua per tutto il
mese di marzo il corso delle rappresentazioni con Crispino e la
comare, I falsi monetari e Pipelet.
104 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20
giugno 1883, n. 48.
TANCREDI MILONE
La compagnia “La Piemontese”, i cui attori
portarono in scena nel 1883 l’operetta di Tarditi, nel 1888 facendo tappa nella nostra città,
stamparono anche un giornale umoristico dal
titolo “’L Fontanin”, per i tipi Dina.
Si trattò di un numero unico - il titolo (e conferme vengono dalla prima pagina) allude in modo
esplicito alla sorgente dell’Acqua Marcia - che
venne distribuito gratuitamente (“a costa singh
ddi a pielo a tuta Italia; all’Estero ai na eul
sess”) per accompagnare la permanenza in città
della Compagnia, che recitava al Politeama.
Tancredi Milone fu attore, capocomico e commediografo. Nacque a Venaria Reale, secondo
alcuni nel 1831, secondo altri nel 1839. Cresciuto alla scuola di Giovanni Toselli, figura
centrale del teatro dialettale dell’Ottocento piemontese, nella suo compagnia fu insuperabile
interprete delle Miserie ‘d Mônssù Travet di V.
Bersezio.
Successivamente fondò con Enrico Gemelli e
altri “La Compagnia Subalpina”, i cui cavali di
battaglia furono le commedie Son neir, son
ross, son bianch (strepitoso successo a Genova
nel 1871 al Teatro Nazionale), Luisa d’Ast e Lj
mal nutrì, di Mario Leoni, inizialmente garzone di un negozio di stoffe (che infiammarono
Torino nel biennio 1871 e ’72)
Sempre col Toselli ed il Gemelli guidò la grande compagnia “La Torinese” formatasi nel 1880;
poi, scioltasi questa, la rinnovò con E. Gemelli
e P. Vaser. Morì a Torino il 21/10/1908.
Per meriti artistici ottenne il Cavalierato della
Corona d’Italia. Scrisse una interessante opera
intitolata Memorie e documenti del teatro piemontese con la quale ci lasciò una preziosa
testimonianza dei primordi del nostro teatro
dialettale e puntualizzò le varie fasi della carriera artistica del suo maestro G. Toselli.
Come commediografo, scrisse: Chi la fà la
speta (1869), La festa an montagna (1870), Le
nòsse an colina (1870), El pì bon ovrijè (1871),
La partensa dij coscrit (1873), Tutj an gabia
(1875), Un savi an mes ai mat (1875), L’amis ‘d
ca (1878), Creada e padrona, vaudeville con
musiche del maestro Termignon (1885).
Ebbe una figlia, Giuseppina Milone, poi sposata Romagnoli, che vediamo impegnata ad
Acqui tanto nel 1883 quanto nel 1888.
G.Sa.
Cfr. anche Ab aqua fontis igitur libera me
domine in “Corale Città di Acqui Terme”, anno
XIX, n.2 dicembre 2004.
IL TEATRO E LA CITTÀ
FELICE BOVERIO E GIUSEPPE CORRADO:
DUE MAESTRI PER I CORI DEL TEATRO
Felice Boverio fu non solo maestro di canto
ma organista: a lui, “dotato di una capacità
non comune nell’arte di Euterpe [la musa
del flauto, cui son paragonate le canne dell’organo], si deve il collaudo nel 1879 dell’organo di S.Francesco.
Un tipo originale a sentire la “Gazzetta
d’Acqui” del 10 -11 aprile 1886, che, annunciando la pubblicazione di una sua polka e
di una mazurka da parte degli editori torinesi “Giudici e Strada” di Torino, propone
l’auspicio di un Boverio che vivesse “meno
lontano dal mondo e desse fuori più sovente
i suoi lavori che gli editori son lieti di stampare”.
Felice Boverio e la figlia Carolina, mandolinista, sono ancora attivi ad Acqui a fine
secolo: Felice continua ad impartire lezioni
di piano, canto, armonia e “mette a disposizione il piano per chi non ce l’ha”. Entrambi
vivono e lavorano presso la Casa del
Marchese Scati in Piazza del Pallone, 4.
Per Francesco Corrado (1833-1916), pure
lui organista, direttore della Schola del
Seminario, si può al pari del precedente
prospettare un impiego nell’ambito della
Società Operaia che ebbe sede per molti
anni nei locali dell’Accademia Filarmonica,
in Via Blesi, presso Palazzo Scati.
Corrado fu definito da Giuseppe Perosi “un
ottimo conoscitore della buona musica”,
mentre il M° Lorenzo Parodi di Genova gli
riconobbe “doti eccellenti di compositore
serio, direttore e organista abile” (cfr. le note
allegate ai CD Memorie di Canto e In voce
et organo della collana Acqui Terme Città &
Musica).
Francesco Corrado lavorerà in teatro anche
nel 1883: la “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11
aprile riferisce del successo del coro del
terzo atto di Sonnambula, fatto ripetere tra
gli applausi.
G.Sa
Oltre ai book allegati alle registrazioni di cui
sopra, cfr. anche Alle origini del giornalismo
acquese, Le cronache delle penne musicali, in
“L’Ancora”, del 1° giugno 2003.
Nel mese di luglio il Dagna riapre con la Gemma di Vergy, ma dopo cinque sere di rappresentazioni il corso delle recite viene troncato: le 400
lire (per alcuni 500) offerte dal Municipio non sono infatti sufficienti
per coprire le spese.
Nel mese di novembre torna al Dagna lo spettacolo di prosa con la
compagnia diretta da Giuseppe Galletti: il Galletti aveva esordito con
Feoli e Aiudi, ed era stato con Domenicani e Stacchini, Coltellini,
Ernesto Rossi ed altri, prima di diventare capocomico. Prima attrice
della compagnia era la moglie Adele Galletti Bagnoli, attrice apprezzata specialmente nel repertorio di genere forte: nata a Bologna nel
1844, era stata scritturata come prima “amorosa” nel ’60 con Luigi
Pezzana, in seguito con Elena Pieri Tiozzo, con Lorenzo Sterni e con
Monti e Coltellini fino al ’70, anno in cui assunse il ruolo di prima
donna assoluta nella compagnia di Carlo Lollio, ruolo che non lasciò
più fino al suo ritiro dalle scene nel ’95105.
Il concorso di pubblico è intermittente: il cronista della “Gazzetta”,
dopo un primo giudizio positivo sull’affiatamento degli attori e sul
94
105 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 974-975.
IL TEATRO E LA CITTÀ
5 DICEMBRE 1885:
repertorio106, definisce “drammacci” le ultime opere scelte, tra cui
Stagno delle suore Grigie, “mal
riuscita raffazzonatura del romanzo di Arnauld”107, Il Fiacre n. 13,
tratto dal romanzo omonimo di
X. De Montépin e Il pugnale di mio
padre108.
UNA SERA AL
TEATRO DAGNA
Dopo le usuali veglie danzanti del
periodo carnevalesco, il teatro
Dagna nel febbraio del 1885 è occupato da un’imprecisata compagnia drammatica che annovera tra
i suoi artisti l’attore tragico Vassalli; essa esordisce con Francesca
da Rimini del Pellico, ma dopo sole
due recite si vede costretta ad
abbandonare la piazza visti i magri
106 Tra le opere rappresentate figurano
Daniele Rochat, Odette e Fedora di
Sardou, L’attrice cameriera del
Ferrari, Il padrone delle Ferriere di
Ohnet, Allori e lagrime e La buona
moglie fa il buon marito di Castelvecchio, Maria Stuarda di Schiller
(traduzione di Andrea Maffei), Il
Casino di campagna, Cleopatra di
Cossa, L’onore della famiglia di
Battu e Desvignes e la farsa Atteone
l’infanticida.
107 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13
dicembre 1884, n. 96. Sull’opera si
scrive ancora: “Stagno delle suore
Grigie (…) è passata in mezzo alla
noia del pubblico, il quale se non ha
perso la pazienza all’andirivieno
sconclusionato dei personaggi, alle
incongruenze seminate a piene
mani nel dramma, si fu per rispetto
agli attori, i quali però, bisogna
dirlo, perché è la verità, compresi
essi stessi della vacuità di quel lavoro, recitarono un po’, come s’ha da
dire? alla carlona”.
108 Questa produzione viene descritta
dal cronista come “dramma di cui si
desidererebbe fosse perduto lo stampo” (“La Gazzetta d’Acqui” del 20-21
dicembre 1884, n. 98).
Locandina del concerto.
Collezione privata.
Foto Studio Tronville.
Immaginiamo di tornare a quel grande
centro termale alla moda che era Acqui
nel 1885, immergiamoci in una serata
d’altri tempi. Eccoci così nella Contrada
Nuova (ovvero corso Italia), un poco
infreddoliti dal leggero nevischio di dicembre.
Acquistando con poche decine di centesimi
il biglietto, possiamo entrare anche noi nel
Teatro Dagna, inaugurato il 30 maggio
1835, il quale regge da oltre mezzo secolo
le glorie artistiche della città.
Certo, palchi e platea iniziano a denunciare qualche segno di vecchiaia (e infatti nel
1899 il centro mondano si sposterà verso la
zona termale, con l’apertura del “Politeama Garibaldi”), ma il richiamo esercitato dallo spettacolo fa passare in second’ordine tendaggi un poco scoloriti e imbottiture segnate. Oltrepassiamo il piccolo
foyer - dove non si fa altro che parlare di
continua nella pagina seguente
segue dalla pagina precedente
Massaua, da tre giorni proclamata italiana per sistemarci in platea. Lo spettacolo sta per
cominciare. Le lacune presenti nella locandina - rinvenuta nei lavori di restauro (era il
1892) dello stabile che ospitava il Teatro
potrebbero trarre facilmente in inganno.
Una delusione per i “verdiani”: è Tutti in
Maschera di Carlo Pedrotti (1817-1893) l’opera buffa in scena al Teatro Dagna. Si tratta di
una partitura ai tempi non meno famosa del
Ballo e tale da essere onorata dai successi di
Parigi e Vienna. Particolare favore, poi, doveva avere in Piemonte, visto che il Pedrotti
aveva ricoperto l’incarico di maestro concertatore e di direttore d’orchestra presso il
Teatro Regio di Torino per quasi quindici
anni (dal 1868 al 1885).
Ulteriori notizie riguardo lo spettacolo vanno
attinte dalla stampa periodica locale e in particolare da alcuni numeri de “La Gazzetta
d’Acqui”. Tutti in maschera (il cui libretto era
tratto da L’Impresario di Smirne di Goldoni)
era allestita dall’impresa Ivaldi. Il debutto ad
Acqui era avvenuto nel novembre 1885 (dopo
la conclusione delle repliche de La figlia del
reggimento).
“L’opera del Pedrotti procede di bene in
meglio, tutti fanno a dovere la loro parte. Il
sig. Villani (Antonio, il basso buffo) è un Don
Gregorio inarrivabile, pare che la parte sia
stata scritta proprio per lui: il sig. Milanesi
(Stefano, baritono) è un Abdalà che sta egregiamente in scena: ha bella voce, gesto naturale, una bell’accentazione...” (“La Gazzetta
d’Acqui” del 28/29 novembre).
Tra i più applauditi artisti della compagnia
anche il tenore Cesare De Rossi, cui furono
offerte, in una successiva serata, addirittura
due corone d’alloro (“La Gazzetta d’Acqui” del
5/6 dicembre).
Lo stesso numero del periodico dà notizia del
“primo gran concerto” della mandolinista
Giovannina Corti. Le uniche notizie che possiamo riferire su colei che si esibisce secondo
costume, negli “intermedi dell’opera” (cioè tra
un atto e l’altro, durante i cambi della scena)
sono desumibili dal manifesto e riferiscono di
una attività internazionale.
Dalle righe del giornale anche un bonario
rimprovero: “Facciamo augurio di un bell’incasso all’impresa, a cui raccomandiamo un
po’ più di luce in teatro, ove si nuota (se è lecita la parola) in una semi oscurità”. Su “La
Gazzetta d’Acqui” dell’8/9 dicembre la recensione del concerto: “Sabato sera (il 5 dicembre) negli intermezzi dell’opera Tutti in
maschera la giovane mandolinista signorina
Corti sonò alcuni pezzi.
La egregia artista, che si conquistò al suo
primo apparire in pubblico le simpatie del
pubblico che la salutò con un applauso di
incoraggiamento non ismentì la fama che tra
di noi la precedeva. Essa sonò con sentimento artistico veramente ammirevole, con passione, con grazia indescrivibile, una melodia
di Schubert, una barcarola, e la romanza
dallo “Spirto gentil” della Favorita. Vivi
applausi scoppiarono ad ogni pezzo e della
romanza della Favorita si volle insistentemente la replica. Il pubblico fu lietissimo di
apprezzare, come si meritava la giovane e
valente artista, e nuovi applausi e chiamate
le tributò domenica sera, in cui eseguì egregiamente alcuni altri pezzi”.
Quali? Non è difficile identificarli, visto che si
tratta di alcune pagine veramente celebri.
Ecco, finalmente, il programma.
II brano che compare al numero 2 risponde al
nome della Leggenda Valacca, con una pagina che contribuì a consolidare la fama di
Gaetano Braga (1829-1907), violoncellista e
operista (suo un poco fortunato Ruy Blas,
destinato a soccombere dinnanzi a quello più
noto di Franchetti) e poi, a Parigi, famoso
maestro di canto.
Al numero 3, invece, una romanza dal grandopéra francese: L’ebrea, testi di Eugène
Scribe, musiche di FromenthaI Halèvy (17991869) rappresentata per la prima volta a
Parigi nel 1835. Non crediamo di andar troppo lontani dalla realtà azzardando il titolo del
brano proposto al Dagna: la romanza Rachel,
quand du Seigneur, la cui celebrità trova
ulteriori e significativi riscontri in una citazione nella Recherche di Proust.
Identificato il refuso tipografico che confonde
l’errato terzo atto con il secondo (numero 4),
troviamo da ultimo la romanza donizettiana
della Favorita (già citata in precedenza) proposta con la collaborazione, al pianoforte, di
Alfonso Bettinelli, maestro concertatore e
direttore dei musici.
Per questi l’ultima nota, non completamente
positiva de “La Gazzetta d’Acqui” del 15
dicembre: “Non fu opportuno né conveniente
ridurre la microscopica orchestra al lumicino.
Così com’è attualmente (per quanto siano
volenterosi i suonatori e attento il bravo
direttore) gli effetti della musica vanno perduti e ne scapita, fuor di dubbio, l’intero spettacolo”.
Anche allora le economie regnavamo sovrane.
G.Sa.
guadagni. Il teatro riapre a novembre grazie all’impresario Terzi, con
l’opera in musica La figlia del reggimento, con Maria Variglia come prima
donna e il tenore Cesare De Rossi. Fin dalle prime sere l’esecuzione
risulta buona, anche se con qualche incertezza, e nel corso delle recite gli artisti conquistano sempre di più il pubblico. Le rappresentazioni proseguono con un discreto successo per tutto il mese di dicembre e gennaio, quando lo spettacolo si sposta al Politeama. Piacciono
Tutti in maschera e L’elisir d’amore, con Ermenegilda Colpo e il tenore
Cesare De Rossi, nonostante i danni agli effetti della musica generati
dalla riduzione dell’orchestra. L’esecuzione de La sonnambula, di
Crispino e la comare con la prima donna Stecchi, e de La favorita con
Giovannina Angioletti, una volta eliminate le iniziali incertezze, è giudicata nel complesso soddisfacente.
Nel luglio del 1886 si apre con il Faust un nuovo burrascoso corso di
recite. La prima donna soprano Rosolina Vaghi scioglie infatti il contratto con l’impresa Baratti e Della Porta per violazione del contratto; lo spettacolo prosegue con Emilia (Emma) Parodi ed il lodato baritono Achille Parodi, ma la scelta della produzione viene criticata dal
cronista in quanto troppo complessa per una compagnia secondaria e
per un teatro con un’orchestra così misera. Gli artisti e l’orchestra,
costituiti in società in seguito al ritiro degli impresari Baratti e Della
Porta, proseguono il corso delle rappresentazioni; prima con il debutto del soprano Paolina Fracchia e del contralto Rose De La Croix, poi
con il nuovo baritono Filippo Fontana e il nuovo basso Valentino
Tiberini, si mette in scena Il trovatore, con grande successo di pubblico. Dopo alcune recite della compagnia marionettistica Testa nel mese
di novembre, il teatro rimane chiuso per diversi anni, non rispettando
le norme di sicurezza. Dopo alcuni interventi all’edificio, il vecchio
Dagna riapre il 7 ottobre 1893 con la compagnia Testa-Milone per un
breve corso di recite. Dopo la compagnia eccentrica M. Al. Mark, giunge nel novembre la compagnia diretta da Adolfo Colonnello e cav.
Angelo Diligenti, che debutta con Le due dame del Ferrari. Figlio di
comici, Angelo Diligenti era nato ad Albenga nel 1835: dopo aver fatto
parte della compagnia del padre fino alla
sua morte, era passato come amoroso in
quella di Luigi Robotti e Gaetano Vestri,
nel 1859 come primo attor giovane
nella compagnia di Cesare Dondini
senior sotto il Salvini, sposandone la
nota attrice Anna Perdetti. Con la
Compagnia Romana fondata insieme a Gian Paolo Calloud, Amilcare
Bellotti e Cesare Vitaliani ottenne
numerosi successi all’estero; tornato in Italia, aveva recitato come
primo attore sotto la Pezzana e
poi Salvini, e dopo un anno come
Richiesta di
pagamento
della Ditta
Ghione Giuseppe
per affitto di
pianoforti
locati nel
1892 presso la
Scuola di Musica
e il Teatro Dagna.
ASCAT, Sez. II,
Serie XX,
faldone 23.
97
GLI ARTISTI
UN CONCERTO
DI ELENA LAMIRAUX,
VIRTUOSA DEL VIOLINO
ALLA SALA
DELLE VECCHIE TERME
Tra i tanti musicisti ospiti tra fine
Ottocento e inizio Novecento,
richiamati dalle ricche stagioni
musicali che le Terme organizzavano per i balneanti, la figura
di Elena Lamiraux si distingue per una motivazione...
iconografica. Unica eccezione
tra tanti nomi, si conquistò la
ribalta anche attraverso
un’immagine che “La Bollente”
riprodusse (cosa assai rara) a beneficio dei
lettori.
Quanto alle doti (cfr. “La Bollente” del 26
luglio 1887), l’artista va ammirata – dice il
giornale – per lo “spiccatissimo ingegno ch’ella applica con ardore alla coltura d’ogni arte
bella, poiché distintissima è pure nel disegno
e nella pittura. Ed alla maestria somma ch’ella possiede come suonatrice di violino s’aggiunge la dolce melodia di una voce incantevole colla quale dà vita e colore alle romanze
e alle berceuse ch’ella stessa compone. Il pubblico acquese e la numerosa colonia balneante daranno venerdì il loro giudizio su questa
giovanissima e celebre artista che colle sorelle Ferni e colla Teresina Tua fu giustamente
annoverata fra le grandi violiniste italiane.
E infatti le cronologie degli spettacoli parmensi indicano il duo, formato dalla madre
Bianca (piano) e dalla figlia Elena (violino)
protagonista il 7 e il 10 aprile 1886. Pezzi forti
sembrano essere il Ziegeunerweisen [è l’op.
20, Arie zingaresche tuttora in repertorio] di
Pablo de Sarasate, e il Mosè (su una corda
sola) di Paganini. E proprio questi brani sono
eseguiti ad Acqui (si veda “La Gazzetta
d’Acqui” del 23/24 luglio e 6/7 agosto 1887) in
due concerti che vedono come protagonisti
anche il “distinto dilettante torinese“ (un balneante) sig. Malvano, che accompagna al
piano la fanciulla in una melodiosa romanza
dal titolo Vorrei sognarti, e i non meglio precisati sig. Raimondi (flautista interprete di
una fantasia sull’opera Marco Visconti) e cav.
Bertuzzi (ancora al violino).
G.Sa.
attore e direttore della compagnia condotta da Onorato Olivieri, divenne capocomico ed in
seguito direttore di varie formazioni.109. Prima attrice della
compagnia era Lina Diligenti:
nata a Torino nel 1863, figlia di
Angelo Diligenti e Anna Pedretti, aveva cominciato a recitare
con il padre in parti di notevole
importanza grazie anche ad un
precoce sviluppo fisico, che le
consentì di sostituire la prima
attrice di Tommaso Salvini,
Amalia Checchi Bozzo; continuò a tenere il ruolo di prima
donna nelle compagnie del
padre accanto alla Pezzana e poi
sola, passando poi come prima
attrice in quella di Piero Cossa,
prima di assumere in proprio il
capocomicato dopo la morte
del padre; recitò ancora qualche
anno in alcune compagnie di
rilievo, terminando la carriera in
complessi di modestissimo ordine110. Oltre ad Angelo e Lina
Diligenti, il pubblico poteva ammirare Adolfo Colonnello, egregio artista agli inizi nelle parti di
primo attor giovane ed in seguito di primo attore, figlio del
comico Ajace di famiglia aristocratica napoletana111, e diversi
buoni elementi anche nelle
seconde parti. Gli acquesi
accorrono numerosi ad applaudire questa affiatata compagnia che presenta proprietà di
109 P. D. GIOVANELLI, La società teatrale in Italia fra Ottocento e
Novecento, Roma 1984, vol. III,
pp. 1347-1348.
110 Ibidem, pp. 1348-1349.
111 L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 687688.
scena, ricchezza e fedeltà nei vestiari. La stampa (cfr. “La Bollente” del 910 novembre 1893, n. 44) elogia gli artisti, in particolare Lina Diligenti
Marquez, “artista nell’anima”, la quale “crea più che non rappresenti le
parti a lei affidate ed incontra ogni sera l’applauso unanime degli spettatori”, il cav. Diligenti e Adolfo Colonnello:
“Degli artisti è superfluo parlare del Cav. Diligenti a
cui la lunga e fortunosa carriera hanno procurato
elogi migliori e di maggior peso che non sia il mio.
Che dirò di Adolfo Colonnello? Egli si è troppo bene
accaparrate le simpatie del pubblico perché gli faccia difetto l’orgoglio di artista coscienzioso nel vero
senso dell’espressione”.
La compagnia non manca di presentare produzioni moderne quali
L’Onore di Sudermann, Spettri di Ibsen112, e I Disonesti del Rovetta. Il cronista della “Gazzetta” descrive l’opera di Ibsen come un lavoro potente, straordinario e geniale, e quella del Rovetta un’opera potentissima,
dalla teatralità efficacissima. Ecco come viceversa il cronista della
“Bollente” (“La Bollente” del 9-10 novembre 1893, n. 44) giudica l’arte nordica:
“Quella delle produzioni che piacque meno fu, senza
dubbio, L’Onore di Sudermann e si capisce. Noi,
Italiani, l’arte non l’intendiamo così; amiamo che la
forma ci accarezzi l’intelletto, mentre la sostanza lo
fa lavorare; davanti all’artificiale e poco verosimile
arricciamo il naso, perché amiamo il vero in tutta la
sua logica; l’arte nordica, invece, l’arte di Sudermann e più di lui quella di Ibsen, non bada molto
alla forma; non importa per loro che il dialogo riesca
duro ed aspre le situazioni, purchè risalti il pensiero
dell’autore, essi non differenziano tanto sottilmente
il simile dal verosimile. Niuna meraviglia quindi se
sovente lo spettatore si trova a disagio in quell’ambiente di corruzione spontanea ed incurabile ove lo
trascina l’autore; non si giunge da noi a comprendere quell’abiezione incosciente della miseria servile e
mal si scusano quei vergognosi guadagni. Sudermann in questo lavoro fu più filosofo e fisiologo di
quel che non sia stato drammaturgo”.
A fine novembre è la compagnia d’operette Fioravanti, con nuovi elementi, ad occupare il teatro; il pubblico annoiato dalle solite produzioni
112 L’opera di Ibsen viene considerata come “il frutto di lunghi elaborati studi sulle
nuove teorie dell’atavismo, dell’ereditarietà” (“La Gazzetta d’Acqui” del 18-19
novembre 1893, n. 47).
99
GLI ARTISTI
LUIGI BUCCELLATI
Milanese, per potersi dedicare alla
recitazione era scappato di casa; dopo
aver fatto parte della compagnia
Brunorini, era entrato come primo
attor giovane in quelle di Lazzeri,
Tessero e Bestini, Luigi Monti, e si era
sposato con l’attrice Mirra Rossi; quest’ultima, figlia dell’attore e conduttore di compagnie secondarie Eugenio
Rossi, aveva iniziato con Angelo Moro
Lin come seconda amorosa al fianco
di Amalia Borisi, diventando dopo il
matrimonio ora prima attrice giovane, ora prima attrice assoluta, traendo grandi insegnamenti dalle valorose maestre Anna Perdetti ed Adelaide
Tessero, ed intepretando con successo,
in Italia e all’estero, le più forti opere
del teatro moderno.
Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. I, pp.
528-529.
Foglio volante senza data
ASCAT, Sez. II, Serie XXI, faldone 24.
come Befana, Duchino di Lecocq e Le
campane di Corneville di Planquette,
disturbato dal freddo, diserta il teatro
e la compagnia riparte dopo appena
una decina di giorni.
Nel gennaio 1894 Ivaldi ottiene un
concorso di lire 400 dal Comune e
di lire 600 dai palchettisti per offrire
due opere in musica. Le produzioni
messe in scena nel mese di febbraio
sono La favorita e Un ballo in maschera, quest’ultima non molto gradita
dal pubblico. Molto applaudita è Ada
Zorzi e in generale lo spettacolo è
ritenuto soddisfacente, considerate
le condizioni finanziarie.
In marzo debutta la compagnia Buccellati con Casa paterna di Sudermann.
Il pubblico alle prime rappresentazioni è scarso, essenzialmente per due
motivi: non è stato aperto subito un
abbonamento ma solo alla terza sera;
troppo poco tempo è passato dall’ultimo spettacolo d’opera. La compagnia è buona e oltre alle produzioni
moderne italiane come Frine di
Castelvecchio e Innamorata di Marco
Praga, mette in scena le ultime novità
di Ibsen e Sudermann. Fine di Sodoma
del Sudermann viene definito “un
drammaccio da arena” dal cronista
della “Bollente”, il quale non si lascia
sfuggire l’occasione per rimarcare il
suo giudizio sull’arte nordica:
“Checché se ne dica però noi preferiamo sempre i nostri drammi italiani
dove le situazioni più facili sono
anche più naturali”113; e ancora su La
potenza delle tenebre di Tolstoj:“(…) è
un genere che non ci va, questi lavori
il pubblico non li vuole perché gli
sembrano poco naturali, tanta corru113 “La Bollente” del 29-30 marzo 1894, n.
13.
zione in Italia non si comprende”114. Egli apprezza al contrario il ritorno
della compagnia allo spettacolo di famiglia con Gli inquilini del signor
Blondeau, Un viaggio per cercar moglie di L. Muratori, Dal nord al sud di
Piccioli e la farsa musicale Ulisse e Cleopatra.
Dopo alcuni mesi di chiusura, nei mesi d’ottobre e novembre viene
scritturata la compagnia Brunorini: anche Antonio Brunorini, come
molti altri attori, era fuggito di casa per poter seguire l’arte drammatica, in questo caso con la compagnia Rosaspina Bonivento. Acquisito
presto il ruolo di brillante assoluto, aveva preso parte alle compagnie
di Michele Ferrante, Alessandro Monti, Angelo Diligenti, Luigi Monti ed
altre, diventando poi direttore 115.
Altro attore di rilievo era Pietro Barsi: egregio caratterista nato a
Firenze nel 1828, alternava l’arte drammatica all’arte orafa; fu dal ’67
al ’71 con Luigi Pezzana, dal ’71 al ’72 con Francesco Sterni per passare
nel ’73 con Giuseppe Pietriboni con cui rimase fino al Carnevale del ’94116.
Il corso delle rappresentazioni raggiunge il culmine con le recite de Il
ratto delle Sabine di F. e P. von Schönthan (replicato) e de Il Carnevale di
Torino, dove il Brunorini si dimostra impareggiabile. Così il cronista de
“La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 ottobre 1894, n. 40 descrive l’attore:
“(…) nelle sue mosse, nelle sue ingegnose trovate, nelle cadenze della
voce è un artista comico di prim’ordine”; pur considerata troppo giovane come primadonna, il cronista elogia anche l’attrice Bice
Piccinini117, soprattutto nella sua serata d’onore con Guerra in tempo di
pace di F. von Schöntan e G. von Moser. Col procedere delle rappresentazioni il pubblico diminuisce, per tornare a riempire il teatro con
I nostri intimi di Sardou e Testolina sventata di T. Barrière ed E. Gondinet
(replicata), una delle solite “commedie francesi artificiose e inverosimili”118 che però divertono. La messa in scena dell’opera Gesù Cristo del
sacerdote Don Selvaggio di Favara provoca lo sdegno del giornalista
de “La Bollente” del 29-30 novembre 1894, n. 48:
“Noi non siamo mai stati stinchi di Santo, e neppure
oggi ci vogliamo atteggiare tonsurati predicatori della
santa religione di Cristo, ma tuttavia siamo anche noi
dell’opinione di quell’insigne ingegno che scriveva: se
non vi fosse una religione converrebbe crearla. È per
questo che ci armiamo di giusto sdegno quando la religione la si prostituisce (mi si passi la frase) indegnamente come Sabato e Domenica al Teatro Dagna. Per
114 “La Bollente” del 3-4 maggio 1894, n. 18.
115 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 527.
116 Ibidem, vol. I, pp. 278-280.
117 Di lei scrive il cronista de “La Bollente”: “(…) sa ritrarre i personaggi goldoniani con grazia e vivacità squisita, con vero sentimento d’arte” (“La Bollente” del
18-19 ottobre 1894, n. 42).
118 “La Gazzetta d’Acqui” del 24-25 novembre 1894, n. 47.
101
la Compagnia Brunorini forse era un provvedimento
finanziario (…) per il pubblico è stata una vera mistificazione. E la colpa ricade tutta quanta sull’autorità
che simile rappresentazione ha permesso”.
Il cronista si mostra preoccupato “per le conseguenze che simili rappresentazioni possono avere sulle masse meno colte dove la religione
è ancora l’ultimo conforto ai mali della vita presente”.
Dopo un breve corso di recite della compagnia Salici e Conti nel gennaio del 1895, il Dagna rimane chiuso e non verrà in seguito più riaperto se non per alcune veglie danzanti nel 1897, addobbato e ripulito,
quando “da vari anni era soggiorno gradevole ai sorci”119.
IL POLITEAMA BENAZZO
Comunicazione
della
Sottoprefettura a
Ferdinando
Caravati e Guido
Benazzo in merito
ad un reclamo
relativo alla
mancata apertura
del Politeama
(19 agosto 1883).
ASCAT, Sez. II,
Serie XXI,
faldone 24.
LA GENESI
Pochissime sono le informazioni sull’erezione e i primi anni d’attività
del Politeama Benazzo, in quanto non sono disponibili copie dei periodici locali relativi agli anni 1880 e 1881. Una lettera inviata al Sindaco
dal Sottoprefetto di Acqui datata 22 settembre 1880, c’informa che
Toso Flaminio, proprietario del Politeama, aveva fatto istanza a quell’ufficio per aprirlo con uno spettacolo il giorno 2 ottobre120.
L’edificio, situato accanto all’Albergo Nuove Terme, nell’attuale via XX
Settembre, presentava interni in legno
costituiti da una sola galleria121 con un
palco per le personalità importanti122,
platea “con panche non soffici”123, un
“ristretto passaggio alle sedie chiuse”124,
ed un palcoscenico di ridotte dimensio-
119 “La Bollente” del 25-26 febbraio 1897, n. 8.
120 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
121 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 aprile 1883,
n. 26.
122 Si legge nella “Gazzetta d’Acqui” del 28-29
aprile 1888, n. 18, che il Sottoprefetto
Castellani, non potendo assistere ad un
trattenimento drammatico-musicale che
doveva svolgersi al Politeama Benazzo,
aveva messo la chiave del palco a disposizione della Società filarmonica.
123 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 marzo 1883,
n. 26.
124 “La Bollente” del 13-14 ottobre 1892, n. 41.
IL TEATRO E LA CITTÀ
FLAMINIO TOSO:
FIORI, GIORNALI E SCENE
La storia del Teatro ad Acqui si intreccia
più volte con quella di Flaminio Toso, proprietario del Politeama Benazzo, eretto
accanto a Palazzo Toso. Ma anche la nascita del “Garibaldi” viene più volte ad incrociarsi con questo personaggio.
Un imprenditore e facoltoso possidente
(proprietario anche dell’Albergo Reale del
Moro) cui si deve un determinato impegno
nel giornalismo. Direttore del periodico “Il
diavolo verde” (pochi numeri nel 1872),
rilevò “La Gazzetta d’Acqui” dal Lavezzari
nell’estate 1879, fondando l’anno successivo il quindicinale “La Gazzetta del Contadino”, giornale popolare di agricoltura
pratica, su cui si firmerà con le pseudonimo
di Yole.
Le disponibilità economiche non sembrano
proprio mancare a “giovanissimo nostro
concittadino” (così il Lavezzari) che tornato
dalla Terra Santa, sempre nel 1879 licenzierà un volume – reportage Un mese a
Gerusalemme e dintorni, edito da Dina,
destinato ad appagare la brama di esotismo degli acquesi.
Membro della Società del Casino, luogo di
buone letture in cui sono disponibili le più
diverse testate (si va da “Il Pasquino” a
“Nuova Antologia”, giornali specialistici
italiani come “Il diritto” e “La finanza”, e
stranieri come “La republique française”),
Toso, appassionato di floricultura, fu autore di saggi specialistici (cfr. nel 1884 il
Manuale, edito da Paravia; tre anni più
tardi la monografia Fiori in vaso, premiata
con medaglia d’argento all’Esposizione
Generale Orticola di Firenze, Maggio
1887).
Così lo ricorda “Il Giornale d’Acqui” (numero del 10-11 gennaio 1931) in occasione
della morte, avvenuta a Torino:
“Faceto, di larga coltura [sic], si dedicò con
brillante intelligenza allo studio dei problemi cittadini che trattò su “La Gazzetta
d’Acqui” da lui fondata e diretta per molti
anni. Esplicò anche una nobile passione
per la coltura dei fiori, intraprendendo lun-
ghi viaggi in Oriente e tesoreggiando i suoi
studi e ricerche in una preziosa enciclopedia Il giardinaggio che ebbe il consenso
lusinghiero e l’onore di continue citazioni
dalle più spiccate competenze del Regno di
Flora.
Spirito aristocratico, indipendente, seppe
coltivare larghe profonde amicizie. Anche
la sua salma fu trasportata nella quiete del
nostro camposanto”. Il necrologio, anonimo, si chiude con la poetica immagine degli
acquesi che portano alla sua tomba i fiori
più delicati, “dall’estinto prediletti”. Fiori e
teatro: una doppia passione che anche il
sig. Turbacco, ultimo gerente del Teatro
Garibaldi, coltivò con assiduità.
G.Sa.
Cfr. anche Alle origini del giornalismo
acquese. Le cronache delle penne musicali,
in “L’Ancora”, 23 maggio 2005.
Trafiletto tratto da ”ll Corriere d’Acqui”
del 20-21 marzo 1886;
Emeroteca della BCAT.
ni125. L’edificio offriva “poca eleganza architettonica e ben misere
comodità”126 e veniva spesso definito con termini poco gentili: “squallida stamberga”127, “negazione del gusto e del decoro” e “antro di
Trofonio”128, “disgraziato ambiente teatrale che qui si ha ancora il
coraggio di qualificare Politeama”129, “trabacca in muratura”130. Dal
punto di vista dell’euritmia veniva così descritto: “non solo non rende
nulla perché completamente muto, ma (…) anzi pregiudica l’effetto
della voce, impossibilitando all’artista le morzature, le sfumature di fraseggio, dal momento che chi canta si sente come circondato da un
vuoto sul palco (…)131. Ne “La Bollente” del 26-27 gennaio 1893, n. 4
si legge:
“Non è l’ambiente della città di provincia, ma essenzialmente l’ambiente del cosiddetto Politeama che
interdice le buone rappresentazioni ed il concorso di
pubblico. Se talora qualche artista di discreta nomea
ha potuto calcare quelle men che modestissime
scene, ciò è avvenuto dopo inenarrabili proteste per
quell’inatteso ricettacolo dell’arte, e se nei rigori
invernali non ci abbiamo rimesso le cuoia, vuol dire
che la nostra salute è esuberante, e le fresche correnti che deliziano al Politeama sono vinte dalla
robustezza della nostra costituzione fisica”.
Nel gennaio 1882 il proprietario decide di far costruire in mattoni il
pavimento, per permettere le veglie danzanti che normalmente si svolgevano al Dagna132; nel luglio del 1883, dopo la visita di un ingegnere,
si costruiscono una nuova uscita dalla galleria ed una nuova scala a due
rampe133. Nonostante questi interventi il Politeama non presentava le
maggiori garanzie di sicurezza: quando nel settembre del 1889, durante una rappresentazione, aveva preso fuoco la carta che ricopriva la
spalla sinistra del proscenio, il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” aveva
criticato il fatto che le porte di galleria e platea si aprivano dall’interno, che quelle di sicurezza erano chiuse, e che le panche della galleria
che stavano di fronte al proscenio ostacolavano la circolazione134. Il
teatro verrà demolito nel luglio del 1893.
104
125 “La
126 “La
127 “La
128 “La
129 “La
130 “La
131 “La
132 “La
133 “La
134 “La
Gazzetta d’Acqui” del 15-16 agosto 1885, n. 62.
Gazzetta d’Acqui” del 9-10 febbraio 1889, n. 6.
Bollente” del 12 agosto 1890, n. 33.
Gazzetta d’Acqui” del 24-25 marzo 1892, n. 12.
Gazzetta d’Acqui” del 2-3 marzo 1889, n. 9.
Bollente” del 26-27 gennaio 1893, n. 4.
Bollente” del 23-24 giugno 1892, n. 25.
Gazzetta d’Acqui” del 2-3 gennaio 1882, n. 1.
Gazzetta d’Acqui” del 24-25 luglio 1883, n. 58.
Gazzetta d’Acqui” del 28-29 settembre 1889, n. 39.
IL TEATRO E LA CITTÀ
L’ATTIVITÀ
TEATRALE
Nell’aprile del 1882 il Benazzo apre
con la compagnia Faleni che esordisce con la Fernanda di Sardou. Fin
dalle prime sere il pubblico diserta il
teatro, accorrendo abbastanza numeroso solo per Alberto Pregalli del
Ferrari, novità per Acqui. Per attirare spettatori la compagnia mette in
scena I miserabili di Hugo, ma senza
successo: “Si è disposti a scusare la
compagnia per la scelta”, si legge ne
“La Gazzetta d’Acqui”, “visto che
nemmeno con Ridicolo la gente va a
teatro”135. Si tenta allora la carta
della produzione di un autore
acquese, ed infatti, con Terzetto a tre
voci scordate del Depetris, il teatro
torna a riempirsi, per vuotarsi però
nuovamente qualche sera successiva, tanto che la compagnia deve
sospendere le rappresentazioni per
l’esiguo numero di spettatori136;
durante la rappresentazione del
dramma Stiffelius di Souvestre e
Anicet-Bourgeois, scrive il cronista,
il primo attore “Avitabile fece la sua
confidenza in cui con garbo lanciava
una stoccatina all’indifferenza del
pubblico”137.
Il pubblico torna a frequentare il teatro in maggio con gli spettacoli d’opera I due Foscari ed Ernani: la compagnia, dopo le incertezze della prima,
acquista il favore del pubblico, ma in
135 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 aprile
1882, n. 31.
136 La serata della prima attrice con Gli
animali parlanti di B. Prado attira
però un pubblico numeroso.
137 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 maggio
1882, n. 34.
FRANCESCO
DEPETRIS,
IL TEATRO IN TESTA
Francesco Depetris.
Autografo dello scherzo buffo in 3 atti Compare Antonio.
BCAT, Fondo Tarditi.
“La vita o la si vive o la si scrive”, diceva Pirandello. Un motto che si può attagliare perfettamente alla sterminata
produzione del forse più assiduo frequentatore del teatro di fine Ottocento:
Francesco Depetris. Uno scrittore torrenziale: commedie, monologhi, epicedi,
poesie d’occasione, addii, testi lacrimosi
e prose brillanti, reportage giornalistici
dalla fiera cittadina e pezzi alla Verne:
in questa varietà spazia questa penna
“teatrale e poetica” acquese di fine
Ottocento.
Nella sua volatile produzione, in gran
parte dispersa, il palcoscenico è sempre presente. Dal catalogo provvisorio
estraiamo “un coro a 12 voci senza
musica che è una rivista pepata” per
la Compagnia Diligenti che sta terminando le recite in città, e poi due pezzi
che hanno titolo Disperazioni di un
poeta e Gli amori di un brigante (tutti
nel gennaio 1879); segue un altro
Addio, questa volta “recitato col massimo impegno dalle ultime reliquie
della compagnia Regoli” (marzo stesso
anno).
Indicato come famigerato autore dell’
Abracadabra (un libello antiebraico
da cui l’autore prese pubblicamente le
distanze), il Nostro percorse anche le
strade della poesia patriottica con i
versi martelliani in onore di Garibaldi
continua nella pagina seguente
segue dalla pagina precedente
(recitati nel giorno onomastico, il 19
marzo 1882, dalla sig.ra Brignone prima
attrice della compagnia Carlo Borisi:
siamo al Teatro Dagna, dopo il III atto
dell’Amleto) e poi con l’inno L’Italia a
Garibaldi, poi messo in musica da Arturo
Cabib “con accompagnamento d’orchestra e cori interni” e interpretato “con
slancio commendevole”, dalla soprano
Ersilia Arcarani.
Fu autore di scherzi comici come il
Terzetto a tre voci scordate (aprile 1882,
Politema Benazzo) e di romanze musicate da Tarditi (e cantate, sempre al politeama Benazzo, dal tenore Doerfles, vero
e proprio beniamino delle recite de I due
Foscari).
La commedia Il suffragio universale, il
libretto di Compare Antonio che Tarditi
cominciò a musicare, poi versi “in mortem” ma anche “gravissime freddure,
giuochi di parole e altri consimili bricconate contro parecchi poveri diavoli che
ebbero a sopportarne gravi conseguenze,
alcuni dei quali andarono in pericolo di
vita”: questo dice di lui un numero speciale de “La Gazzetta d’Acqui” (luglio
1886) che immagina la città del futuro,
quella di cento anni dopo.
In quelle colonne si dice che nel “primo e
più importante stabilimento d’Europa,
città di 127 mila abitanti (esattamente
dieci volte la popolazione acquese del
1886) il teatro del futuro, il grandioso Politeama Acquese, tiene tremila persone”.
Sogni che non si sono avverati per noi. E
neppure per il Nostro. Che morì prematuramente il 28 luglio 1888, a soli 48
anni. Veterinario e maestro elementare,
giornalista e autore dal bell’ingegno e
dallo spirito arguto, non si può far altro
che salutarlo con il titolo de il più grande,
tenace e appassionato drammaturgo brillante cittadino.
G.Sa.
Francesco Depetris.
Autografo dello scherzo buffo in 3 atti Compare Antonio.
Fine amen!: dicitura conclusiva del manoscritto.
BCAT, Fondo Tarditi.
giugno, a causa dei dissensi tra il
proprietario e l’impresa, il corso
delle recite viene interrotto.
Nel mese d’agosto, dopo una
compagnia di cavallerizzi, è la
compagnia di prosa e canto diretta da Ferdinando Caravati ad occupare il teatro. Accompagnati
dalla buona reputazione conquistata ad Asti nei giorni precedenti, gli artisti, davanti ad un pubblico sempre numeroso, divertono
e vengono applauditi, offrendo al
pubblico un repertorio con alcune novità, come i vaudeville La
cena infernale e I saltador, e le solite commedie come La Class di
Asen del Ferravilla, eseguita in un
teatro gremito: “Benché le produzioni, ad onor del vero, lasciassero a desiderare, tuttavia gli
attori furono salutati spesse volte
da caldi applausi”138. Dopo alcune
recite della compagnia piemontese Ferrero e Vaser, trasferitasi dal
“Dagna”, l’anno 1882 termina
con lo spettacolo di marionette
del signor Massara.
Nel febbraio del 1883 il “Benazzo”
riapre i suoi battenti con la compagnia Benincasa: essa propone
oltre ai soliti autori italiani come
Ferrari, francesi come Dumas
figlio con Demi monde e La moglie
di Claudio e Sardou con Andreina,
138 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 settembre 1882, n. 69.
anche una produzione dell’acquese Depetris dal titolo Il suffragio universale139. A fine marzo il teatro offre al pubblico uno spettacolo d’opera non esaltante con il Don Pasquale; il tenore Luccatelli e la prima
donna Rizzato vengono successivamente scritturati appositamente
per La sonnambula, spettacolo giudicato nel complesso soddisfacente.
Dopo poche recite della compagnia di prosa e canto Corsini, il pubblico premia il ritorno della compagnia Caravati riempiendo il teatro
e applaudendo durante le recite delle produzioni milanesi.
La compagnia è composta da alcuni elementi nuovi, tra i quali si nota
il Cavalli. A metà luglio però, l’autorità di Pubblica Sicurezza pone il
divieto alle recite della compagnia. Il motivo di questa decisione sembra essere il timore del Sottoprefetto che le compagnie facciano cattivi affari, essendo aperti due teatri contemporaneamente, tanto che
già prima che gli attori giungessero sulla piazza l’impresario del
Politeama era stato diffidato dallo scritturare alcuna compagnia. Da
Alessandria si promette di inviare una commissione per verificare se
le condizioni del teatro sono buone, ma nel frattempo gli attori sono
costretti a rimanere fermi. Scrive il giornalista de “La Gazzetta
d’Acqui”: non si capisce perché “l’autorità abbia d’uopo di mandare
una volta l’anno a visitare il Politeama con continue spese pel proprietario, mentre ciò non succede mai per il Dagna, che rasenta in
caso d’incendio dei pericoli molto più gravi”140. Dopo alcuni interventi all’edificio, finalmente a fine mese la Sottoprefettura concede il permesso di riaprire il teatro; la compagnia riprendere le recite con il
concorso di un pubblico abbastanza numeroso.
Dopo alcune recite di dilettanti, l’impresario scrittura la compagnia
drammatica Piemontese del Comitato Torinese, composta dai noti
artisti Vaser, Milone, Gemelli e dalla Reynaud. Il pubblico, sempre abbastanza numeroso, applaude le migliori produzioni del teatro piemontese, come Le fômne brute di Mario Leoni, Bastian côntrari del Bersezio,
La festa an môntagna del Milone, e alcune novità promesse come I paisan e la leva del Pietracqua, I fastidi d’un grand’om dell’avv. Baretti, Lun
’d mel e Le marghere ’d Cavoret di L. D. Beccari.
139 Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” scrive al riguardo che il pubblico era comprensibilmente più numeroso del solito ad assistere all’opera del concittadino,
ma purtroppo gli attori non sapevano la parte.
140 “La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 luglio 1883, n. 55.
107
Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 settembre 1883, n. 71, ne
rimane favorevolmente colpito e scrive:
“Questo si chiama mantenere le promesse, e noi in
tanta abitudine delle compagnie drammatiche, di
essere larghe di promesse, sui cartelloni, e poi corte
nell’attendere alla prova dei fatti, ci sentiamo il
dovere di dire un bravo alla compagnia piemontese,
la quale anche per questa ragione ha saputo cattivarsi e conserva tutto il favore della popolazione
acquese”.
Tra le altre opere rappresentate compare il vaudeville La Buienta,
“libretto senza capo né coda”, composto dall’attore Carlo Marchisio
per i testi, e musicato dal M° acquese Giovanni Tarditi, su tipi e situazioni acquesi (“La Gazzetta d’Acqui del 29-30 settembre 1883, n. 77).
In alto a sinistra
Foglio volante del libretto de La Buienta.
BCAT, Fondo Tarditi.
In basso a sinistra frontespizio della partitura di
Giovanni Tarditi “rappresentata per la prima volta
la sera del 26 settembre 1883”.
BCAT, Fondo Tarditi.
Sulla destra, pagina della partitura.
108
IL TEATRO E LA CITTÀ
PIETRO TORRIELLI,
IL MERLO DELLA BOLLENTE
“Tu non trrremasti giammai / per
distrugger l’infame Nazion [l’Austria] /
e giammai non mutasti bandiera.../ che
la terra ti sia lingera”.
Quattro versi con cui Bartolomeo Gatti
(ufficiale postale, giornalista, poeta del
vernacolo e d’occasione: feste, banchetti
e sepolture armano la sua penna), su
“La Bollente” del 29 novembre 1887
ricorda Pietro Torrielli detto “il merlo
scaccianuvole”, da poco sepolto more
pauperum, “così noto in città per l’innocente mania di ritenersi capace di scacciare via le nubi apportatrici di grandine o di pioggia dirotta e importuna coi
potenti soffi che uscivano dal suo ampio
torace”. Una delle più celebri macchiette della città dell’Ottocento, combattente della II guerra d’indipendenza, e
reduce della battaglia S. Martino.
Una lingera? Certo nell’accezione più
simpatica del termine. “Benchè parlasse
continuamente di distruggere quella
nazione infame, e gratificasse non si sa
chi, né perché, dei titoli di balossaia an
certa manera, e volesse sopprimere
coloro che la merlettavano nei caffè e
nelle osterie, era in fondo un bonaccione
incapace di far male ad una mosca, ed
era di una pazienza a tutta prova nel
sopportare gli scherzi dei monelli, i
quali però avevano finito col farsene un
amico, e si divertivano a fargli emettere
i suoi soffi, ed a gridare: oh rondinella
amabile, ma non trrremasti mai!”.
La fama era toccata però al Merlo quattro anni prima.
Era finito addirittura nell’opera La
Buienta, mista di prosa e di canto, che
Giovanni Tarditi aveva musicato con la
collaborazione del torinese Carlo
Marchisio.
E il pittore (un altro acquese di belle
speranze) Enrico Gabbio, curatore di
scene e costumi, in più aveva rappresentato in un acquerello (“La Gazzetta
d’Acqui”, 29/30 settembre 1883) non
solo la famosa Buienta, e “con bizzarria
di concetto” a questo classico monumento aveva aggruppati e Merlo lo scaccianuvole che fa sorridere alla luna, e una
folla che fa ressa alle porte del
Politeama [Benazzo] per avere i primi
posti”.
Dell’operetta in un atto è stato possibile
rintracciare, al momento, nel Fondo
Tarditi, solo un frammento del libretto,
edito dallo Scovazzi nel 1883 (e arrivato
via telegrafo da Torino). E il giornale
dice che Carlo Marchisio “ha studiato
qui sulla faccia…del luogo tipi, situazioni, terme, fanghi, bagni e bagnanti, e su
ciò ha scritto la sua bizzarria, che tra
parentesi ci dicono originalissima”.
“La Gazzetta d’Acqui” (29/30 settembre)
sa anche essere critica quando occorre.
Così la recensione mette a nudo le tante
ombre. Vediamole. Si tratta, infatti, “di
un minuscolo vaudeville che si è voluto
fregiare del titolo un po’ troppo pretenzioso d’operetta”. “Il libretto è senza
capo né coda”; “anche nel canto ci
saremmo aspettati qualcosa di più”. Vi
sono anche aspetti apprezzabili: ad
esempio la Sinfonia e la Marcia al fine
(“che, però, centra come il diavolo nel
suscipiat”), e la recitazione degli attori
Gemelli, Vaser e Leonetti (“sotto le spoglie di Merlo”) “che furono tre macchiette indovinate, e che fecero trottare il
ventre anche ai malati d’itterizia”.
G.Sa.
Cfr. anche Storia di Pietro Torrielli, il
Merlo scaccianuvole, in ”Corale Città di
Acqui Terme”, anno XIX, n.2, dicembre
2004).
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA
CUNEO E VILLA
Componevano la compagnia Achille Leigheb, fratello del più famoso
Claudio, artista mediocre
ed in seguito insegnante di
recitazione a Bologna; il
caratterista Oreste Calabresi, nato a Macerata il 7
maggio 1857 e trasferitosi
a Roma con la famiglia,
aveva esordito come primo
attore e amoroso con lo
stenterello Mori a Pitignano, passando poi con
Regoli e Cappelli prima di
entrare nella Cuneo e
Villa. Avrebbe in seguito
recitato nella compagnia
Serafini a fianco di
Ernesto Rossi e Tommaso
Salvini, e dal ‘97 con
Claudio Leigheb e Virginia
Reiter.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. II, p. 21 e vol. I, pp.
540-541.
110
Tutti gli artisti sono apprezzati, in particolare il
Gemelli, “un vero artista, abilissimo in tutte le parti,
siano desse serie, siano comiche” e dotato di “una
naturalezza nel modo di recitare non comune”, ed
il Vaser, che tutti conoscono e “apprezzano come si
merita”141. La compagnia fa discreti guadagni, tanto
da aprire un nuovo abbonamento a otto recite.
Dopo alcune recite della compagnia genovese
Felice Cavallotti, nel mese di dicembre la compagnia Lancillotti e Mazzuccato si trasferisce dal
“Dagna” al “Benazzo” per mancanza di pubblico.
Qui continua le sue recite, a prezzi ribassati, senza
però migliorare le condizioni della “cassetta”.
Allo spettacolo di marionette del mese di marzo
segue il 14 maggio 1884 il debutto della compagnia
Cuneo e Villa con l’Odette di Sardou. Numerose
sono le novità presentate: Fedora e Serafina la devota di Sardou, Tempesta in un bicchier d’acqua di E.
Godinet, I Rantzau di Erckmann e Chatrian, La
donna pallida di Castelvecchio, Dall’ombra al sole di
Libero Pilotto, L’articolo 189 di Carlo Foschini, Tutti
all’Esposizione di Torino di Ruggiero Rindi, Acquazzoni
in montagna di G. Giacosa, Chi semina e chi raccoglie
di A. Franzini, Sara Felton di S.Interdonato, Maria
Antonietta di P. Giacometti, Marat di Ulisse Barbieri;
quest’ultima produzione, recitata alla presenza dell’autore, sebbene ottenga successo di pubblico,
viene criticata dal cronista de “La Gazzetta
d’Acqui” in quanto composta da scene troppo indipendenti e nocive al buon andamento dell’azione, e
perché le figure del dramma paiono troppo sacrificate a quella di Marat; tra le produzioni non mancano le farse per divertire gli spettatori. La serata
del 24 giugno viene dedicata ad una recita di beneficenza a favore della famiglia Landini, della quale
faceva parte il celebre Stenterello. In generale gli
attori ottengono un buon successo: sono affiatati e
recitano con molta cura142.
141 Ibidem.
142 Solo tre recite ottengono un esito non troppo fortunato: Giorgio Gandi di L.
Marenco, opera troppo conosciuta, “l’immorale” Tutti all’Esposizione di Torino,
La donna pallida di Castelvecchio.
IL TEATRO E LA CITTÀ
NON SOLO BANDA: GIOVANNI TARDITI
Giovanni Tarditi (Acqui, 10 marzo 1857 –
Roma, 16 settembre
1935) è con il direttore d’orchestra Franco
Ghione e con il basso
Bottero, una delle personalità di maggior
spicco della nostra città musicale negli ultimi due secoli.
Direttore di banda,
per un trentennio alla
testa dei musici del 1°
Reg.
Granatieri,
tenne concerti in tutto
il mondo. Una nota
manoscritta vergata
BCAT, Fondo Tarditi.
dal maestro in data
18 novembre 1930,
recentemente ritrovata nel Fondo Tarditi
della Biblioteca Civica di Acqui Terme, ci
consente di osservare la sua produzione da
un punto di vista assai originale: quello
dello stesso autore, che ovviamente è il
miglior conoscitore delle opere sue.
Attraverso una visuale soggettiva, emerge
una valutazione critica che il personaggio,
ultrasettantenne, rivolge a quanto elaborato in mezzo secolo di attività.
Indirizzati ad un certo sig. Montana, dal
quale potrebbero venire nuove commissioni (Tarditi raccomanda di specificare chiaramente l’organico - per banda, orchestra,
piccola orchestra, piano e canto; vuole
sapere quante parti compongono gli insiemi), questi fogli costituiscono un ritratto
inedito, che proprio attraverso la autorappresentazione che il personaggio dà di sé
stesso, fornisce indicazioni su mentalità e
gusto del tempo.
Non è un caso che, per prima cosa, Tarditi
pensi a mostrare “le 18 decorazioni, fra le
quali tre commende compresa quella della
Corona d’Italia”, i dieci titoli accademici, le
23 nomine ed incarichi onorifici.
Quanto alla produzione, cita 240 composizioni musicali di vario genere così ripartite: 22 composizioni caratteristiche, 27 romanze e canzoni, 26 inni patriottici, 32
marce, 24 valzer, 47 mazurke, 45 polke, 8
marce funebri, 14 operette.
Di esse il compositore segnala le seguenti:
Vento di libeccio, Nidi di rondine, Montecarlo, Nell’isola degli antropofagi, Madama danza, Il molino di papà Bergh, Amore
in bicicletta, Guerrin Meschino “e altre di
minor conto” (tale dunque è La Bollente).
Inventore di congegni musicali adottati
dal Ministero della Guerra, Tarditi si dice
autore della Musica del Grande Torneo
Storico per le nozze d’Argento di Umberto
e Margherita di Savoia (1893), dell’Epopea
del Risorgimento Italiano (che riprende 24
canti nazionali) composta per incarico del
Comitato per le onoranze centenarie di
Garibaldi (1807-1907).
Il fondo Tarditi è stato riordinato nel 2004
a cura del Dott. Paolo Brosio (Istituto
Piemontese per le Fonti Musicali, Torino) e
si è recentemente arricchito attraverso
una nuova donazione dell’erede Pier Paolo
Piccinato, che comprende opere anche
della pittrice Lucia Tarditi, figlia del musicista.
La discografia Giovanni Tarditi si è arricchita da pochi mesi con l’incisione in CD
del “poema per banda” La battaglia di S.
Martino (1898, poi più volte rimaneggiata)
promossa dal Corpo Bandistico Acquese
diretto da Alessandro Pistone (Acqui Terme Città e Musica /DeVega).
G.Sa.
Cfr. anche E. PESCE, Giovanni Tarditi, nel
book allegato al Cd sopra menzionato (in
cui è contenuto anche il contributo San
Martino, Storia e mito di una battaglia,
opera di chi scrive); Giovanni Tarditi, un
autoritratto in “Corale Città di Acqui
Terme”, anno XIX, n.2, dicembre 2004.
IL TEATRO E LA CITTÀ
MAGGIORINO FERRARIS
È indubbio che la contemporanea presenza
di Giuseppe Saracco abbia sottratto attenzione a questo suo contemporaneo, un liberale acquese salito sulla ribalta politica
con incarichi di prestigio: ministro delle
Poste nel III governo Crispi (1893), ma
anche titolare del dicastero degli Approvvigionamenti e consumi - sia pure per
cinque giorni, - nel 1919 col Gabinetto
Orlando, e poi ancora nel 1922, ministro
delle Terre Liberate su nomina di Facta.
Deputato per 33 anni e poi senatore, il
Nostro fu soprattutto un giornalista e un
esperto di economia. Frequentati i corsi di
Stanley Jevons in Inghilterra, perfezionatosi a Berlino con Wagner e Held, formatosi con viaggi di studio in Olanda, Boemia e
Moravia, iniziò giovanissimo collaborazioni
con le testate europee più prestigiose, dall’
“Economist” di Londra al “Financial Times”
al “Magdeburger Zeitung”, non disdegnando il “Corriere della Sera” e la “Gazzetta del
Popolo” nostrani. Entrato trentenne in
Parlamento (non appena raggiunto il limite legale, nel 1886), fu uno dei protagonisti
della vita politica italiana.
Tra le tante battaglie quelle contro la
burocrazia, contro la crescita
Frontespizio de
L’Agraria Ferraris
di Giovanni Tarditi,
valzer per pianoforte
(Milano 1900).
BCAT, Fondo Tarditi
incontrollata
delle spese militari (con Saracco), per il
rin novamento
della scuola (a
vantaggio dell’istruzione tecnica) e dell’agricoltura (si veda
anche la composizione che gli
Archivio fotografico Mario Barisone
dedicò Giovanni
presso Studio Tronville.
Tarditi) che qui
riproduciamo.
Ricorrenti i suoi interventi, relativi a questi
temi, sulle pagine della “Nuova Antologia”,
rivista di Lettere, Scienze ed Arti erede de
l’“Antologia” del Gabinetto Viesseux, che
chiusa nel 1833 dalla censura Granducale
era rinata nel 1866 (è l’anno della terza
guerra di Indipendenza) nella città del
giglio. Trasferita (1878) a Roma la sede centrale, in questa Maggiorino Ferraris entrò
prima come segretario di redazione (biennio 1881-82) e quindi come direttore-proprietario dal primo luglio
1897. Solo nel 1926, dopo
trent’anni,
Maggiorino
Ferraris lasciò la direzione
della prestigiosa rivista.
Morirà tre anni più tardi.
G.Sa.
Oltre alla voce del
“Dizionario Biografico
degli Italiani”, cfr. Alle
origini del giornalismo
acquese. Le cronache
delle penne musicali,
in “L’Ancora”, 11 maggio 2003 e Belle époque: quando Acqui era
“alla moda” in “Corale Città di Acqui
Terme”, anno XIV,
n.1, giugno 1999.
Nomina di Tullo Battioni a Maestro
della Banda cittadina.
Di quest’ultima è presidente onorario
l’onorevole Maggiorino Ferraris,
come riporta la carta intestata
del documento.
ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23.
Dopo poche recite della compagnia d’operette Musy e Sainati143, ai
primi d’agosto va in scena la Compagnia Piemontese “La Torino”. Essa
è formata da discretissimi attori, soprattutto nelle parti brillanti “che
sono quelle che attirano di più il pubblico, il quale, e non ha torto, va in
teatro più volentieri per ridere che per piagnucolare”144; ottimi sono
poi i cantanti e buono il repertorio di operette e vaudeville “che la compagnia intende mettere in scena a sole 48 ore di distanza l’una dall’altra”145. La compagnia fa discreti affari e decide di rimanere sino alla fine
del mese: ottima decisione, secondo il cronista, in quanto “volere o non
la piazza d’Acqui, nella stagione estiva, va fra le buone; il pubblico, se
trattasi di compagnie che sappiano dilettarlo, corre volentieri a teatro”146. Le classiche produzioni del teatro piemontese, quali La partenssa d’j côscrit di Milone, ’L rimedi per le done147, Lena del Rociamlôn di
Garelli, La miseria e ’L ritorn an patria del Pietracqua, non dispiacciono,
ma alcune di esse, scrive il cronista, “hanno ormai fatto il loro tempo:
gli spettatori le sanno, si può dire, a memoria, e quindi non si sentono
attratti verso il teatro, dalla maggiore delle attrattive, quella delle novità”; egli si riferisce in particolar modo a El milanes in mar di Cletto
Arrighi: “le compagnie piemontesi si piccano di rappresentarlo, ma francamente, farebbero assai meglio a toglierlo dal loro repertorio”148. La
compagnia “La Torino” prolunga la sua permanenza, perdendo alcuni
attori e acquistandone di nuovi, quali la Fantini, Virginia Bonmartini, la
Cisello, apre un nuovo corso di recite aggiungendo un terzetto danzante e continua a fare discreti affari.
A metà ottobre giunge per dare solo cinque recite la compagnia
Romagnoli e Brunetti con la prima attrice Amalia Romagnoli, figlia dell’attore Carlo.
Il debutto avviene con Il padrone delle ferriere di Ohnet in un teatro
gremito, ed il successo continua con Il povero Piero del Cavallotti e
Lantenac dell’Interdonato, mentre non piace quel “drammaccio da
arena, malamente abborracciato”149 intitolato Mietta, costringendo il
capocomico a modificare il programma del giorno successivo. Chiude
la stagione la compagnia marionettistica Colli, che attira un pubblico
numeroso mettendo in scena Il viaggio della Vega, spettacolo basato sul
viaggio attorno alla costa settentrionale della Siberia del navigatore
Giacomo Bove150, con scenografie rappresentanti il monumento della
Bollente.
143 Successo dell’opera La nuova pianella del Ghezzi, replicata ben quattro volte.
144 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1884, n. 62.
145 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 agosto 1884, n. 62.
146 “La Gazzetta d’Acqui” del 12.13 agosto 1884, n. 64.
147 Si tratta probabilmente di Un rimedi per guarì le done di L. Siccardi.
148 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 agosto 1884, n. 66.
149 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 ottobre 1884, n. 82.
150 Giacomo Bove era originario del vicino paese di Maranzana.
113
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA
ROMAGNOLI E
BRUNETTI
Oltre ad Amalia Romagnoli facevano parte della
compagnia altri noti attori:
Mirra Buccellati, di cui si è
già parlato; Luigi Roncoroni: avviato dal padre
alla carriera militare, era
fuggito per entrare in una
compagnia di infimo ordine, per poi passare con
Toselli e poi con Bellotti
Bon; Lorenzo Calamai,
mediocre attore, ma in
seguito capocomico di qualche pregio; Pietro Vestri,
fratello dell’attore Gaetano, nato a Padova il 12 agosto 1827, dopo aver frequentato il Collegio militare e terminato il biennio
obbligatorio, s’era unito
alla madre e alla sorella
Anna a Parma, per recitare
nel teatro ducale; era passato poi in diverse compagnie, tra le quali quella
lombarda di Alamanno Morelli e la Compagnia Robotti; Annetta Vestri (si
tratta probabilmente di
quella Annetta, artista di
non pochi pregi, sorella di
Pietro Vestri e moglie di
Amilcare Antinori).
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. II, pp. 407-408; vol. I,
pp. 541-542, vol. II, p. 660,
vol. I, p. 168.
114
La stagione estiva del 1885 si apre con la compagnia diretta dall’artista Antonio Bozzo. Figlio
dell’attore Michele Bozzo, Antonio, dopo aver
vagato di compagnia in compagnia recitando
parti di nessun conto, dal ’67 cominciò ad esser
considerato tra i migliori interpreti dell’opera I
mariti nella parte del Duchino Alfredo, e recitò
successivamente sempre in buone compagnie151; prima donna della compagnia era la
moglie Laura Tessero Bozzo, sorella della celebre Adelaide. L’opera d’esordio è Dionisa di
Dumas figlio, una novità per molti teatri, che
ottiene un buon successo; gli attori fanno
buona impressione per l’affiatamento, il buon
metodo di recitazione, la cura dei particolari e
lo studio dell’insieme. Il resto delle produzioni
scelte appartengono agli autori del teatro borghese italiano, come Castelnuovo, Muratori,
Barbieri152, Mariani153, a drammaturghi in cui è
evidente l’influenza francese, come Ferrari e
Giacometti, ed alcuni francesi.
Interrotta dagli spettacoli d’opera Caporal
Fracassa e Il maestro Favilla, con il soprano
Mariquita Bozzetti, il contralto Rosina Salvioni,
il tenore Leandro Gozzi ed il basso Gio Batta
Foroni, bene accolti dal pubblico, la prosa torna
ad attirare un pubblico numeroso in luglio con
la Compagnia Sociale Piemontese “La Torinese”. È ancora una volta una serie di produzioni classiche ad essere offerta al pubblico, e
poche novità come ’L Carlvè d’un merlo bianch154,
Doe disgrassie a fan na fortuna di Stanislao
Carlevaris, La festa del travai di Pietracqua: ma il
pubblico è entusiasta della bravura di Milone,
Vaser e Gemelli, “una triade d’artisti codesta
151 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 500.
152 Del Barbieri si rappresentò Carmen, tratto dal
romanzo omonimo di Merimée, e Marat, in cui l’autore rappresentò il protagonista.
153 Del Mariani si esegue la novità Tentazioni, davanti
ad un pubblico scarso, ma recitato in modo ammirevole.
154 Definito dal cronista della “Gazzetta d’Acqui” “il
non plus ultra delle stupidaggini” (“La Gazzetta
d’Acqui” del 21-22 luglio 1885, n. 55).
che non ha forse l’eguale”155. Il pubblico, all’inizio scarso, aumenta e
riempie il teatro per la beneficiata del Gemelli e del Vaser. Il cronista
della “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 luglio 1885, n. 54, esprime un
giudizio critico sulla scelta un po’ infelice delle produzioni per la serata del Vaser, (l’unica produzione a salvarsi è Mago Sabino, specialità del
Vaser) e aggiunge:
“Per quanto ora sia diventata di moda che nelle beneficiate dei brillanti si rappresentino due o tre cosette, tuttavia non può e non deve passarsi sotto silenzio che è una moda a cui non bisogna troppo sacrificare, e che la si perdona allora soltanto che le cosette facenti parte del programma siano veramente graziose (…)”.
Nelle ultime sere gli attori della compagnia prendono parte con alcuni dilettanti ad una recita di beneficenza a favore della sottoscrizione
per una lapide in memoria di Garibaldi; si chiude così il corso di rappresentazioni di una compagnia che “il pubblico non dimenticherà sì
presto”156.
All’inizio del mese d’agosto il Politeama si apre per due sere alla
Compagnia Siciliana di Giuseppe Rizzotto: impiegato governativo
destinato all’avvocatura, ma appassionato filodrammatico, Rizzotto,
dopo i moti siciliani del ’48 entrò a far parte a 22 anni di una compagnia di infimo ordine, passando poi in quella di Robotti; dopo aver visitato l’America con la Pezzana, girò tutta Italia ammirato “come attore,
come autore e come uomo”157. Il lavoro rappresentato, la trilogia I
mafiosi, definito “un vero e completo quadro di costumi”158, pur presentando qualche scena staccata e mancanza d’intreccio, viene apprezzato per la nota di verità e naturalezza.
La compagnia Zago e Borisi comincia un corso di rappresentazioni il
10 agosto con Zente refada del Gallina, e fin da questa prima sera l’impressione data al pubblico è buonissima: ben diretta, composta da
attori valentissimi, piace la scelta dell’opera d’esordio che mette in
risalto le qualità complessive della compagnia.
155
156
157
158
“La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 luglio 1885, n. 52.
“La Gazzetta d’Acqui” dell’1-2 agosto 1885, n. 58.
L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 383-384.
“La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 agosto 1885, n. 61.
115
GLI ARTISTI
Era nato a Venezia nel 1852, dimostrando
fin da giovane attitudini teatrali; dopo aver
recitato in diverse piccole compagnie, nel
’76 entrò come generico nella Compagnia
Veneziana di Angelo Moro-Lin, rimanendovi fino all’83, anno in cui si sciolse per la
morte dell’attrice Marianna Moro-Lin.
Dopo aver formato, in associazione col
Borisi, questa compagnia con la prima donna Laura Zanon Paladini, la Fabbri Gallina
e la Foscari, si unì alla compagnia BeniniSambo, per poi formare una nuova società
con Guglielmo Privato e diventare capocomico solo. Scrive il Rasi: “(…) pochi artisti
hanno come lui (lo Zago) il privilegio di
riempire la scena. Io lo metterei subito,
nella scena dialettale, accanto a Ferravilla
e alla Zanon: due artisti che per la loro vita
vissuta, assorbono dal loro primo apparirvi
i sensi tutti dello spettatore”.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II, pp. 716721.
Il repertorio presentato ad Acqui è naturalmente composto dalle
opere del Gallina, quali Una famegia in rovina, Il moroso de la nona, Le
baruffe in famegia, Mia fia, Oci del cuor, e di Goldoni, come Chiassetti e
passetti del Carnoval di Venezia, Le baruffe chiozzotte, I quattro rusteghi, Il
bugiardo, recitato quest’ultimo con le maschere Arlecchino, Brighella e
Pantalone in costume tradizionale159. Il successo è grande, gli attori
recitano con grande impegno e affiatamento, la loro esecuzione è sempre perfetta, e per questo, anche quando i lavori presentati non sono
dei migliori, come nel caso della farsa A Maria Orba o di Le Stregonerie
di Testoni, il pubblico rimane soddisfatto: “raramente”, scrive il cronista, “sui teatri acquesi, ci è occorso di sentir recitare compagnie che
nel loro complesso potessero competere con questo”160. Il giornalista
de “La Gazzetta d’Acqui” elogia soprattutto la Zanon Paladini, con la
quale “l’illusione di trovarsi non ad una commedia, ma nella vita reale
è completa”161, ed Emilio Zago, “la qui qualità precipua consiste nel
saper immedesimarsi nel personaggio che rappresenta, nel non essere
più l’attore Zago, ma il Signor tal dei tali nella commedia in cui recita”162; scrive ancora dello Zago:
“(…) delle parti a lui affidate fa una vera creazione,
studia a fondo il carattere del personaggio che deve
rappresentare, e lo rende con una precisione, con una
verità sorprendenti. A lui bastano una mossa, un
116
159 L’opera è ben rappresentata anche se la compagnia avrebbe potuto evitare,
secondo il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui”, “le scurrilità di Arlecchino” (“La
Gazzetta d’Acqui” dell’1-2 settembre 1885, n. 67).
160 “La Gazzetta d’Acqui” del 15-16 agosto 1885, n. 62.
161 “La Gazzetta d’Acqui” del 29-30 agosto 1885, n. 66.
162 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 agosto 1885, n. 64.
GLI ARTISTI
gesto, un muovere degli occhi
vivacissimi, un’intonazione
speciale della voce, per istrappare gli applausi del pubblico,
il quale ammira la naturalezza con cui recita, e che lo rende nel suo genere inimitabile
come egli non è imitatore di
alcun altro attore”.
È quanto si legge su “La Gazzetta d’Acqui”
del 29-30 agosto 1885, n. 66.
Visto il successo, la compagnia apre un
secondo abbonamento, e nell’ultima sera un
pubblico numeroso giunge a teatro a salutare
gli attori, i quali manifestano il desiderio di
tornare presto.
Dopo un tale entusiasmo generato dalla
compagnia Zago e Borisi, il pubblico è restio
a tornare a teatro: ne fa le spese la compagnia
diretta da Luigi Mauri e condotta da Guglielmo Pasta, che riesce a rialzare le proprie
sorti solo con I misteri di Parigi, tratto dal
romanzo di E. Sue e ridotto dagli acquesi
Ivaldi e Benzi. Anche l’anno 1885 si chiude
con uno spettacolo di marionette, questa
volta offerto dalla compagnia Guerci.
Nel mese di marzo del 1886 il teatro apre i
suoi battenti ad alcuni spettacoli con giochi di
prestigio, seguiti, grazie al solito Ivaldi, dallo
spettacolo d’opera. La favorita, dapprima eseguita al Teatro Dagna, dove non aveva riscosso gran successo, con un nuovo tenore e un
nuovo baritono è ritenuto un buono spettacolo. Non soddisfa invece il Ruy Blas, ritenuto
non adatto ai mezzi disponibili, quali un’orchesta poco numerosa ed un palcoscenico di
ridotte dimensioni. Dopo alcune recite dei
fratelli Lambertini, bambini prodigio che entusiasmano gli spettatori, della compagnia
Merone e Casiraghi e della compagnia diretta
da Lelia Seghezza, l’impresario Ivaldi organizza
un nuovo spettacolo d’opera, scritturando la
celebre D. E. Rossi Traner, che da poco aveva
Trafiletto da “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 aprile 1885.
BCAT, Sezione locale, emeroteca.
LAURA (LAURETANA)
ZANON PALADINI.
Nata a Venezia il 9 agosto
1845, figlia d’arte, aveva esordito giovanissima col fratello
Vincenzo Zanon, per passare
poi come amorosa in compagnie secondarie prima di entrare nella Celeste Paladini-Michele Ferrante come prima
attrice giovane; dopo il successo
ottenuto nel ruolo di servetta
con Angelo Moro Lin, entrò
come servetta assoluta con
Giuseppe Peracchi, e di nuovo
con Moro-Lin, passando poi in
diverse compagnie veneziane,
tra le quali nel 1884-1887 la
Emilio Zago-Carlo Borisi,
prima di abbandonare le scene
nel 1917.
R. Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI op.
cit., vol. III, pp. 1546-1547.
117
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA
PALAMIDESSI
Nato a Pisa nel 1840
circa, Giuseppe Palamidessi datosi agli studi
legali e del teatro, divenne
presto avvocato e filodrammatico; dedicatosi
completamente al teatro
prese parte a diverse compagnie, tra cui quella
dell’Emanuel e di Pasquali, raggiungendo una certa celebrità colla farsa Il
Casino di campagna, da
lui raffazzonata, per poi
diventare conduttore di
compagnie. Altri artisti di
rilievo erano Arturo Garzes e Vittorio Bissi. Il Garzes aveva incominciato
nella compagnia del padre Luigi, rimanendovi
fino al ’78, quando era
stato scritturato come
secondo brillante, insieme
alla moglie, con Luigi
Bellotti Bon; nell’82 era
con Ciotti, Aliprandi e
Fagioli, nell’83 con Ciotti
e Serafini, nell’84 con
Adelaide Tessero; fu anche autore di molti lavori
“che ebber tutti, più o
meno, lietissimo successo”. Vittorio Bissi, attore e
suggeritore, era nato ad
Adria il 29 luglio 1859, ed
era discendente da una
delle famiglie comiche
ottocentesche fra le più
numerose.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. II, pp. 209-210; vol. I,
pp. 992-993.
P. D. GIOVINELLI, op. cit.,
vol. III, p. 1309.
cantato al teatro di Nizza Marittima, dopo la Patti.
Grazie alla partecipazione della grande cantante, la
Lucia di Lammermoor e il Il barbiere di Siviglia163 ottengono un buon successo di pubblico; l’impresario Terzi
riesce a mettere in scena altri due buoni spettacoli
con il Don Pasquale e Le educande di Sorrento, nonostante la partenza di molti cantanti e la necessità di
reclutarne rapidamente altri forestieri.
Ad agosto torna la compagnia “La Torinese” e come
l’anno precedente, pur presentando poche novità164,
attira un pubblico numeroso165, seguita dalla compagnia Palamidessi, anch’essa molto apprezzata e giudicata tra le migliori avute in Acqui.
Tra le produzioni scelte, oltre alcune opere di
Ferrari, Sardou e Dumas, e l’opera del Garzes Stella,
vi erano alcune novità: La dottoressa di Ferrier e
Bocage, accolta freddamente, L’impor tuno e l’astratto
di F.A. Bon, e La figlia di Jefte del Cavallotti, molto
apprezzata166.
Nella stagione invernale viene scritturata la compagnia d’operette diretta da Pietro Papale: bene accolte Le campane di Corneville e Rip Rap di Planquette,
La figlia di Madama Angot di Lecocq, mentre non
piacciono La bella Ester di F. Palmieri, La nuova befana del Canti167, e l’esecuzione di Giorno e notte di
163 Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” critica la messa in scena
del Barbiere: “(…) ci sia lecito esprimere la nostra disapprovazione perché del Barbiere si volesse fare come una pantomima” (“La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 luglio 1886, n. 50).
164 Le novità consistevano ne I mal nutrì di Leoni, ed I portiè.
165 Sulla beneficiata del Vaser scrive il cronista: “il programma
del Vaser mercoledì per la sua serata, fu quasi il solito di
tutti gli anni, ma divertì”; mentre si dispiace per l’inclusione nel programma del Gemelli del solito Un milanes in mar
(“La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 agosto 1886, n. 66).
166 Non piace invece l’opera La bella Angiolina, un “drammaccio (…) che fece ridere come una farsa, senza colpa per gli
attori” (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 settembre 1886, n.
74.)
167 De La bella Ester scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”
del 19-20 ottobre 1886, n. 81: “non si può immaginare cosa
più insulsa e più vuota di senso e di spirito dell’argomento
e dell’azione di questa operetta”, la musica poi “manca d’ispirazione ed è volgaroccia parecchio”. De La nuova befana
si legge invece “il male è che la musica è diluita in molta
prosa più o meno a soggetto, o qualche volta più o meno spiritosa” (“La Gazzetta d’Acqui” del 9-10 ottobre 1886, n. 78).
GLI ARTISTI
Lecocq. L’anno si chiude con alcune recite della
compagnia Bagnoli e Dondini168.
Nei mesi di aprile e maggio 1887 occupa il teatro
la compagnia Solari e Bonelli. Le prime recite
sono ben accolte, soprattutto Le marghere ’d
Cavouret del Beccari, ma le ultime produzioni non
soddisfano: infelice è giudicata la scelta di Pietro
Micca del cav. Raimondo Barberis per la serata
del Benelli, eseguita in modo imperfetto: “certi
drammoni da marionette e certi vaudeville senza
capo né coda avrebbero dovuto essere abbandonati. Tanto più quanto la compagnia recita con
affiatamento e diligenza ed ha artisti valenti”169. Il
mese di maggio termina con qualche recita della
compagnia Merone e Fontana, criticata per la
mancanza d’affiatamento, anche se non
mancano le lodi al Merone.
A giugno giunge l’ottima compagnia Ermete Zacconi-Casilini.
Nelle prime rappresentazioni,
iniziate con Il padrone delle ferriere di Ohnet e Odette di
Sardou, il pubblico è numeroso e il suo giudizio positivo, soprattutto sulla “giovaErmete Zacconi.
ne Casilini”, che acquista subito “le simpatie del pubblico”170; nelle sere successive però il pubblico diminuisce, forse a causa dell’aumento dei prezzi, e proprio per la mancanza di
spettatori, secondo il cronista, in “alcune sere non
si riscontrò negli attori l’impegno di cui sono capaci”171. La compagnia aveva anche il merito di aver
presentato molte novità del repertorio tedesco,
come Pesci dorati di F. von Schönthan e G. Kadelburg, Guerra in tempo di pace di F. von Schönthan e
G. von Moser e Il ratto delle Sabine di F. e P. von
168 Ettore Dondini era nato a Capua nel 1822; quando il fratello Cesare si fece capocomico, se ne distaccò per diventare anche lui capocomico e passare dalle parti di generico a quelle di brillante, poi di caratterista (L. RASI, op. cit.,
vol. I, pp. 789-790).
169 “La Gazzetta d’Acqui” del 30 aprile-1° maggio 1887, n. 18.
170 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 giugno 1887, n. 23.
171 “La Bollente” del 14 giugno 1887, n. 21. Comprensibile è
la mancanza di correttezza nell’esecuzione dell’opera
Conciliazione del concittadino avv. Giuseppe Marenco.
LA COMPAGNIA
ZACCONI - CASILINI
Zacconi, figlio d’arte, nato
a Montecchio Emilia il 14
settembre 1857, fin da
bambino aveva seguito i
genitori nelle compagnie
nelle quali recitavano; dopo aver recitato in parti di
amoroso, brillante e generico, passò al ruolo di
primo attore nella Antonio
Papadopoli ed Enrico
Dominici, e fu con Francesco Artale, con Battistoni, col fratello Romeo ed in
diverse altre compagnie,
tra cui quelle di Alessandro Salvini, Giovanni
Emanuel ed Eugenio
Casilini, prima di diventare capocomico in società
e poi solo. Oltre a Zacconi
componevano la compagnia: Celestina Paladini,
attrice di grandissimo
slancio nelle parti tragiche, già nel ’63 prima
attrice generica nelle parti
drammatiche e tragiche,
conduttrice di una propria
compagnia nel ’69-’70, ed
in seguito madre nella
compagnia formata dal
marito Flavio Andò in
società con Tina di Lorenzo; il brillante Achille
Leigheb; Eugenio Casilini,
buon amoroso e buonissimo generico primario, e la
moglie Enrichetta Romagnoli, celebre servetta;
Emilia Casilini.
R.Br.
Cfr. anche P.D.GIOVANELLI,
op. cit., vol. III, pp. 15401542; vol. II, pp. 207-209.
L.RASI, op. cit., vol. I, p. 605.
GLI ARTISTI
IRMA GRAMATICA
COTTIN
Nata a Fiume il 25
novembre 1868, Irma Gramatica aveva
recitato dal 1876 al
1880-1881 nella compagnia di Luigi Monti presso la quale i
genitori lavoravano;
dopo aver recitato
come amorosa entrò
come prima attrice
giovane nella compagnia I. Vitaliani, in
quella di Emanuel e
di A. Maggi; e nel 1896
col ruolo di prima attrice con Napoleone Mozzidolfi diretta
da Alessandro Marchetti, ma solo
nella formazione amministrata da
Luigi Raspantini e diretta da
Enrico Reinach “ebbe modo di rivelarsi attrice già matura e ricca di
personalità”; nel 1900 entrò quale
capocomica nella Talli-GramaticaCalabresi, una delle più prestigiose
compagnie del Novecento, e dal
1910 cominciò ad dedicarsi saltuariamente dal teatro, formando spesso compagnie che scioglieva improvvisamente. Di lei scriveva
Sabatino Lopez: “(...) la Gramatica
adora la verità: ella è in teatro realista, naturalista. Realista nella
ricerca, nello studio; realista alla
ribalta, nel risultato. Le sue sono
riproduzioni, realiste, a volte eccessive. Ogni suo sforzo tende a questo:
ad esser più efficace, più vera …”.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit.,
vol. III, pp. 1397-1399;
L. RASI, op. cit., vol. I, p. 1038.
Schönthan172, di quello francese come
Gringoire di Th. de Banville (tradotto
da Bartocci e Fontana), e italiano come La contessa Olga di G. Arrighi e Il
Signor d’Albrêt di F. Garzes173. Si legge
nella “Bollente”: “In Acqui quando
non ci sono spettacoli oppure sono
meschini tutti si lagnano, e quando ve
n’ha di buoni allora non si va a teatro;
è questa una questione di cui la soluzione non la saprei trovare”.174
Tra le recite di dilettanti, le teste di
legno della compagnia Zane, il ritorno dei fratelli Lambertini e gli spettacoli di una compagnia equestre, il
teatro si apre in questa fine d’anno
ad una recita straordinaria della
Compagnia Piemontese di passaggio, con un dramma popolare
tratto da un fatto accaduto a Torino:
La predilession an famija, ossia
L’assassinio del Banchè Ribass e la
farsa Le avventure ’d monsù Canela.
Dopo la compagnia di marionette
Ponti, nel marzo 1888 il teatro
viene appaltato dalla compagnia
Brunorini-Duse. Oltre al Brunorini,
di cui si è già detto, il pubblico poteva ammirare la giovane Irma
Gramatica Cottin.
172 Pesci dorati e Guerra in tempo di pace,
giudicate troppo lunghe, non entusiasmano, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”; la stessa fine tocca a Il
signor d’Albrêt in cui alcune situazioni
paiono esagerate, a Il ratto delle Sabine, a La contessa Olga ed a Tresa;
lascia freddo il pubblico Il pittore Ascani. Molto apprezzata la Casilini nella
sua serata d’onore con Il mondo della
noia di Pailleron.
173 Tutte queste novità giustificano l’aumento dei prezzi, determinato dall’elevato costo dei diritti d’autore.
174 “La Bollente” del 21 giugno 1887, n. 22.
GLI ARTISTI
LUIGI DUSE
Altro nome di rilievo della compagnia
Brunolini Duse era Luigi Duse, nato ad
Asolo nel 1857, a quindici anni iniziò una
lunga serie di scritture, come amoroso, poi
generico primario, ultimo generico, primo
attore e nuovamente generico; nel ’76 e ’77
era con Giacinta Pezzana, nel 1884 con
Adelaide Tessero, nell’89 con Ernesto
Rossi, girò l’America, la Russia, l’Egitto ed
i più riposti angoli d’Italia prima di diventar capocomico; lo accompagnava la
moglie Vittorina Delfini Duse, che scritturata nel 1883 come seconda amorosa con
Ettore Dondini, nella compagnia del marito era passata dal ruolo di seconda donna
a quello di prima attrice giovane e prima
attrice.
R.Br.
Cfr. anche L.RASI, op.cit., vol. I, p. 808; vol.
I, pp. 808-809
Il successo della compagnia è altalenante: piacciono Mater amabilis di
Martelli, La serva amorosa di Goldoni, Il cenciaiuolo di Parigi di Felice
Pyat, I nostri buoni villici di Sardou, entusiasma il Brunorini con Monsieur
Graffigny, piace il Duse nell’Amleto (ma “mai come Rossi e Salvini”175),
mentre le opere già più volte sentite attirano poco pubblico. Il giornalista della Gazzetta è critico sulla scelta delle produzioni “che a volte
sono drammacci”176; in più le novità promesse177 non vengono messe
in scena dalla compagnia, e il cronista della “Bollente” attribuisce la
causa al pubblico “che non la pone in grado, col suo concorso, di sottostare alle occorrenti spese”178. Dopo solo 12 recite la compagnia
parte per Carpi.
A fine aprile va in scena la compagnia Vestri-De Farro, che debutta con
Dionisia di Dumas figlio: questa scelta non soddisfa il pubblico, che
rimane scarso nelle sere successive, per cambiare il suo giudizio con
la buona esecuzione di Dora di Sardou, Marito in campagna di Bayard
e Rouvier, Moglie di Claudio e Francillon di Dumas figlio, dove la seratante Cattaneo si dimostra anche ottima cantante. La compagnia
mette in scena anche La Mandragola di Machiavelli, “secondo il movimento letterario che ha suscitato la resurrezione delle commedie del
cinquecento in tutte le città d’Italia, risurrezione che ha riscosso il
plauso di tutti gli intelligenti”179, ed alcune opere di autori acquesi: Gli
amici del tresette del cav. Guido Baccalario, Parere ed essere di Guido
175 “La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 aprile 1888, n. 16.
176 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 aprile 1888, n. 15.
177 Le novità promesse comprendevano Il coccodrillo di Sardou, La contessa Sara
di Ohnet, Testolina sventata di T. Barrière ed E. Gondinet, Il debole dei mariti e
Il mio carattere di Antonio Brunorini, Giordano Bruno di Calestani, Tony il
pagliaccio, Il delitto della notte di Natale, I misteri del chiostro, La serva amorosa di Goldoni.
178 “La Bollente” del 10 aprile 1888, n. 15.
179 “La Bollente” dell’8 maggio 1888, n. 19.
121
Baccalario e Giuseppe Marenco, Il marito, la moglie e … l’altro dell’avv.
Angelo Monti, con l’unico merito di attirare un pubblico numeroso.
Pagina finale
del numero unico
de “’L Fontanin”,
giornale della
compagnia
Gemelli.
BCAT,
Sezione locale,
emeroteca.
122
Con la compagnia Merone il pubblico acquese riascolta le commedie
del repertorio milanese, con l’innesto di qualche novità. A luglio torna
l’amata compagnia La Torinese, presentando fin dall’inizio alcune produzioni nuove: ’L settim sacrament di Cavallotti, Nona Lusia del
Pietracqua, Il parpajon bleu dell’avv. Oreste Poggio, An nom dla legge di
Mario Leoni. Le beneficiate del Gemelli180, Milone e Vaser attirano sempre un pubblico numeroso; la compagnia, scrive il cronista, “desta continuamente l’ammirazione
del pubblico il quale, purché rappresentata da una sì
eletta schiera di artisti, è disposto ad applaudire qualsiasi lavoro ed anche quelli
che non si possono assolutamente ascrivere fra i
migliori”; “Non possiamo
dargli torto”, continua il
giornalista, “e dimostrano
intelligenza di capire come
l’attore ha più merito quando sa sostenere una produzione che eseguita da altri
sarebbe accolta male o
cadrebbe completamente;
ciò in generale e in particolare per ’L settim sacrament
e I compagn d’reclusion”181. Si
apre un nuovo abbonamento a dodici recite con altre
novità, tra cui Le doe sorele,
scritto dal Giraud espressamente per le seratanti
Viola e Gemma Stella.
A fine agosto giunge al
Politeama la compagnia Fioravanti con Armi ed amori e La presa di S.
Sebastiano di Suppé; le operette piacciono, ma ne “La Gazzetta
d’Acqui” del 1-2 settembre 1888, n. 36. non si risparmiano critiche:
180 In questa occasione si elogiano gli scenari della fabbrica e soffitta dipinti dal
Fontana (“La Bollente” del 17 luglio 1888, n. 29).
181 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 luglio 1888, n. 28.
“Il sig. Facci, tenore, piacque più nel primo spartito
che non nel secondo dove, forse per indisposizione,
uscì molte volte di misura. In forma il tremendo
quintetto! Tutti gli altri fecero del loro meglio e nell’assieme lo spettacolo potè passare nonostante
parecchie mende inevitabili e per la ristrettezza del
palcoscenico, e per la stanchezza degli artisti (alcuni
dei quali non riposano mai) e per la deficienza dell’orchestra, la quale, tenuto calcolo delle pochissime
prove, fece miracoli e l’ultima sera specialmente
suonò benissimo”.
Dopo le solite recite di dilettanti e le teste di legno, chiude l’anno la
compagnia Davide Mazzanti182, che presenta, oltre ai soliti Sardou,
Ohnet, Scribe183, produzioni di Ferrari e Castelvecchio, I mariti di
Torelli, Il processo Prado di Francesco Guerra e Giordano Bruno di
Calestani: quest’ultimo delude in quanto poco consono alla verità storica, facendo di Bruno “un uomo pieno di difetti e contraddizioni”184.
Nel febbraio 1889 torna la compagnia Fioravanti e questa volta il teatro è pieno quasi tutte le sere, nonostante l’orchestra sia sempre deficiente. Gli ultimi giorni di marzo il teatro apre i battenti alla compagnia Raspantini: il Raspantini, napoletano “più amministratore della
compagnia sociale”185 che attore, era accompagnato dalla moglie
Augusta Bertini, sorella del più celebre Florido. Il pubblico è scarso,
nonostante la stampa consideri la compagnia tra le primarie, e nonostante le novità promesse del teatro francese, tra cui Il coccodrillo di
Sardou, peraltro non molto apprezzata dal giornalista de “La Bollente”;
piace Frou-frou di Meilhac e Halevy, riprodotto dalla Bertini-Raspantini
“in un modo talmente drammatico e vero, che può realmente prender
posto tra le prime donne delle primarie compagnie italiane”186, e riempie il teatro l’opera del concittadino Caratti I conti dell’Acquesana. Il
cronista de “La Bollente” del 9 aprile 1889, n.15, si lamenta dell’apatia
del pubblico:
“A chi guarda spassionatamente l’andazzo delle rappresentazioni delle compagnie che si succedono sulle
scene di questo teatro, viene in mente una strana
osservazione: abbiamo avuto nell’autunno scorso
una compagnia di prosa, composta di elementi di cui
182
183
184
185
186
Ne faceva parte il già conosciuto De Farro.
Di Scribe si mettono in scena due opere nuove per Acqui: Catena e Dita di fata.
“La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 novembre 1888, n. 46.
L. RASI, op. cit., vol. I, p. 381.
“La Bollente” del 16 aprile 1889, n. 16.
123
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA
GAETANO BENINI
Faceva parte della compagnia Ferruccio Benini, che
era stato ottimo primo amoroso e primo attor giovane:
nato a Genova nel 1854,
Ferruccio, dopo aver esordito
in parti di bimbo nella compagnia di Monti e Preda, e di
Cesare Dondini, aveva cominciato a recitare come brillante nel ’74 al Teatro Balilla
di Genova nella compagnia
del padre Gaetano, e sarebbe
entrato, dopo la sua morte,
nella compagnia di Giacinto
Gallina; lo accompagnava la
sorella Italia Benini Sambo
che “come lui e con lui aveva
iniziato a calcare le scene
assieme ai genitori” e la cui
vita artistica corrispose a
“quella di Ferruccio col quale
rimase sempre fino alla
morte dell’attore (1916)”.
R. Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. I, pp. 347-348.
P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol.
III, pp. 1301-1302.
124
tacere è bello, ed il teatro era
sempre abbastanza frequentato. Seguì poi una compagnia di
operette meno che discreta
eppure la cassa seralmente si
riempiva; viene finalmente
una buona compagnia, che ci
ammanisce buoni lavori e
delle novità artistiche, e questa il pubblico la guarda con
occhio indifferente, e lascia il
teatro quasi vuoto. E vi par
giustizia questa? O non ci
sarebbe piuttosto da tirarci le
orecchie quando ci lamentiamo che i battenti del Politeama restano chiusi?”.
L’Arciduca Rodolfo del Bistolfi non viene messa
in scena per il veto posto dall’autorità in
seguito a considerazioni d’ordine internazionale, azione eccessiva, secondo il cronista,
“per un dramma privo di allusioni politiche e
che non è altro che un’esposizione più o
meno fedele di un fatto caduto nel dominio
pubblico e che fu oggetto di apprezzamenti
d’ogni genere specie da parte della pubblica
stampa”187. La compagnia non potendo andare
in scena a causa della partenza di alcuni attori
poi rimpiazzati, viene sostituita per alcune
sere dalla compagnia La Subalpina di Ferrero.
A maggio l’impresario Ivaldi ripropone lo
spettacolo d’opera: al successo più che discreto dell’Ernani segue quello entusiastico de
I due Foscari e quello del Rigoletto; sempre
applauditi gli artisti: il soprano A. Tagliavia
Cerne, il tenore B. Granelli (poi sostituito dal
Clarà), il baritono A. Habel Rossi (successivamente sostituito, per indisposizione, dal
Cecchini), il basso Spoto.
Nel mese di luglio ad affittare il “Benazzo” è la
compagnia di Gaetano Benini, diretta da A.
Grisanti.
187 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1889, n.15.
Il pubblico non è numeroso anche se gli attori mostrano una cura
scrupolosa del vestiario e della scena, nonché sicurezza nella recitazione. La stampa critica la scelta di produzioni come Il campanaro di
Londra di G. Bouchardy, Pace in guerra di S. Lopez e La nonna, quando il
pubblico è accorso più volentieri per Esmeralda di Gallina, I quattro
rusteghi e Il bugiardo di Goldoni; la compagnia pare infatti “meglio fatta
per le produzioni briose a svolgimento piano, che non per quelle di
forti passioni come sono quelle moderne piene di nervosismo”188.
Non va meglio alla compagnia Fioravanti: fin dalle prime sere appare
evidente l’effetto dell’insufficienza di prove, consistente in un disaccordo sgradevolissimo fra cantanti e professori, e nonostante alcuni
miglioramenti, l’orchestra continua ad essere inadeguata. Perduto il
tenore Favi, si è costretti a sostituirlo con una donna, Albertina
Scolari, provocando uno scisma tra il pubblico: pur consentendo di
dare due rappresentazioni del Boccaccio di Suppé, il pubblico è ormai
scemato. In più l’orchestra diventa ogni giorno più fragile e alla beneficiata della Calligaris il maestro di pianoforte non si presenta, costringendo ad interrompere lo spettacolo dopo un breve tentativo di proseguire ugualmente. Con il nuovo tenore Fazzi le incertezze diminuiscono, ma alcune opere non vengono messe in scena a causa della partenza di diversi artisti: la Calligaris, il Favi e la signorina Argos si imbarcano per l’America con la compagnia Scalvini.
A settembre la compagnia Giovanni Toselli diverte il pubblico con diverse produzioni di genere brillante e con i vaudeville, “in cui si mantiene
sempre all’altezza della sua fama”189; buono l’affiatamento, la spigliatezza e
sicurezza nella recitazione, cura nei particolari, ricco ed elegante l’apparato scenico. Con La class d’i’ aso e Un milanes in mar gli attori non sembrano però reggere il confronto con altre compagnie190.
Fallite le trattative con la compagnia del cav. Cola, per qualche sera si
presenta sul palcoscenico del Politeama la compagnia di Eugenio
Torricelli. Ad ottobre a prendere in affitto il teatro è la compagnia
Metastasio del cav. Pasquali.
Della compagnia il cronista de “La Bollente” scrive: “l’elemento in
genere che compone questa compagnia è buono, solo risente alquanto della vecchia maniera nel recitare, e se la signorina Melnati volesse
correggersi un po’ dal vizio di declamare sarebbe una prima donna
perfetta”191. La compagnia fa del suo meglio, ma il pubblico non rispon-
188 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 luglio 1889, n.28.
189 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 settembre 1889, n. 38.
190 Nel corso delle recite si scritturano le sorelle Reynaud, “le belle e famose artiste
in dialetto, che concorsero, si può dire, col cavaliere Toselli alla creazione del teatro piemontese” (“La Bollente” del 1° ottobre 1889, n. 40).
191 “La Bollente” del 12-13 novembre 1889, n. 46.
125
de, ed è costretta a mettere in scena drammi ad effetto per farlo
accorrere più volentieri. La rappresentazione de Il conte Fabio di
Pratolungo dell’acquese Bistolfi non attira maggior pubblico: questo
probabilmente irrita gli attori, tanto che una sera la Pasquali
“(…) espresse all’indirizzo del pubblico segni e frasi
punto benevoli. E come se ciò non bastasse, recitando la medesima La figlia di Jefte, nell’uscire di scena,
voltandosi al pubblico, lanciò al medesimo l’epiteto di
imbecille, ciò che costrinse molte signore a uscir di
teatro. Il pubblico non uscì in manifestazioni violente solo in grazia della sua bontà e della buona educazione, ma che lo sappia la Pasquali che il suo gentile appellativo fu udito, e che se in quel momento
c’era là un imbecille e una ineducata non era certo il
pubblico del Politeama”192.
Dopo qualche recita della Compagnia Sociale diretta da Tito Restali, l’ultimo decennio del secolo si apre con la compagnia Marazzi, che debutta
con Adele di Del Testa. Gli artisti, almeno all’inizio, non riscuotono il favore degli spettatori, a giudicare almeno dal loro numero, tanto che si concede una serata ad ingresso gratuito; il teatro poi non è sufficientemente riscaldato. In alcune sere però il Politeama si riempie: con La passata
dei corvi di Arrighi e Birraia di Vollo, con Il cantico dei cantici del Cavallotti
e Signor Alfonso di Dumas figlio nella beneficiata di Giovanni Terenzi
Biancardi, con Santarellina, anche se capita che gli attori non sappiano
bene la parte. Molto apprezzata è la prima donna Marazzi: “(…) è veramente un’artista eccezionale, e ce ne dette una prova luminosa la prima
sera, sulla Medea in Acqui, un “quid simile” del Casino di campagna. In essa
la signora Marazzi spiegò una “vis comica” non comune, possesso di scena,
sveltezza nei travestimenti”193.
Nel mese d’aprile giunge per poche recite la compagnia Antonio
Brunorini, composta da ottimi attori, quali Luigi Buccellati e la moglie
192 “La Bollente” del 17 dicembre 1889, n. 51.
193 “La Bollente” del 25 febbraio 1890, n. 9.
GLI ARTISTI
CESARE PASQUALI
126
Nato a Venezia il 26 agosto 1853, Cesare
Pasquali, già in compagnia Francesco
Gagliardi-Enrico Valli diretta da Gaetano
Fortuzzi, era entrato a far parte, anche con
funzioni amministrative, di quella di
Giovanni Bissi; dopo essersi associato con
la moglie Maria Corrieri, fu generico pri-
mario nella compagnia di Teresa Boetti
Valvassura-Antonio Zerri, e socio di Piero
Rossi, in quella di Giuseppe Piemontese,
prima di diventare capocomico.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III,
pp. 1463-1464.
GLI ARTISTI
Mirra, il Brunorini, Annina Casilini, Laura
Marini, e Pier Camillo Tovagliari.
La compagnia attira un pubblico numeroso,
anche se il repertorio non è nuovissimo e
non è sempre “confacente all’indole speciale della maggioranza degli artisti”194.
A maggio torna la compagnia Fioravanti, col
solito repertorio, ma “migliorata con la
prima donna Scolari, i due baritoni Gariano
e Corisio, diverse seconde parti discrete e
una massa corale numerosa e piena di
buona volontà”195; l’orchestra purtroppo
rimane un punto debole. Le compagnie successive si vengono a scontrare con l’inedia
del pubblico acquese: nel solo mese di aprile si succedono ben quattro compagnie:
prima la Brunorini, poi la Toselli, la Raspantini-Carro196 e la Caravati: solo quest’ultima riesce a soddisfare il pubblico, e per un
mese e mezzo continua con successo lo
svolgimento del repertorio milanese, dei
vaudeville, degli scherzi comici e dei balli.
PIER
CAMILLO
TOVAGLIARI
Nato a Parma il 14 gennaio 1847,
era entrato nel 1872 nella compagnia Papadopoli; poi era passato come generico con Ciotti e con
Romagnoli; come caratterista con
Drago, Calamai, Vitaliani, Pezzana, Novelli prima di passare
due anni con Brunorini; era poi
entrato in diverse altre compagnie, e socio con il Leigheb, trascorse il più gran momento della
sua vita artistica.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. II,
pp. 599-600.
A metà agosto si stipula un contratto con la
compagnia d’operette Bruno Bocci, che
però delude: durante l’esecuzione de La
nuova befana del Canti un attore dichiara
addirittura di non sapere la parte, e il pubblico risponde con applausi. La situazione
pare successivamente migliorare: il personale artistico viene aumentato, riveduto e corretto, si scritturano la Calligaris e Favi, già
conosciuti e apprezzati dal pubblico, ma
alcune indisposizioni, la deficienza delle coriste, ed alcune esecuzioni “scellerate”
costringono la compagnia a partire tra i
fischi e le risa di scherno. Durissimo è il giudizio del cronista teatrale de “La Gazzetta
d’Acqui”: “Nessuna novità in fatto di spetta194 “La Gazzetta d’Acqui”del 26-27 aprile 1890, n. 17. Tra le opere rappresentate
ricordiamo Guerra in tempo di pace di F. von Schönthan e G. von Moser, Cause
ed effetti di Ferrari, Il ratto delle Sabine di F. e P. von Schönthan, DurandDurand di M. Ordonneau e A. Valabrègue, Mia moglie non ha chic di Busnach.
195 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 Maggio 1890, n. 19.
196 Questa compagnia abbandona la piazza dopo poche recite avendo “odorato il vento
infido” (“La Gazzetta d’Acqui” del 14-15 giugno 1890, n. 24). Faceva parte della
compagnia Alessandro Marchetti, che sarebbe tornato ad Acqui come capocomico.
Trafiletto da
“La Bollente”
del 21
ottobre 1890.
BCAT,
Sezione locale,
emeroteca.
127
coli, scarso decoro scenico, pochissima cura dei particolari, e di quanto
forma l’illusione della scena, poca sincerità nelle promesse, poca puntualità nel mantenerle”197; non più leggero quello de “La Bollente”:
“(…) siamo stanchi egregi signori, siamo stanchi di
tutto codesto arsenale di musichetta strillata e grattata diabolicamente; siamo stanchi di pantomima, di
questo eterno guardaroba di maglie poco immacolate, di pennacchi svolazzanti, di corsetti da marionette, di spade che paion croci, di gambe magre, di sorrisi e buffonerie stereotipate con rara diligenza (…).
Il genere di operetta ridotta ha fatto il suo tempo, ed
è ora di mettere tutte queste cose nel ciarpame dei
scenari vecchi di melodramma in disuso”198.
A fine ottobre giunge la compagnia delle sorelle De Ogna, presentando produzioni drammatiche e brillanti. Il giornalista della “Gazzetta
d’Acqui” apprezza l’esecuzione di La felicità coniugale, Il medico delle
signore e della novità del Rovetta La trilogia di Dorina, e considera il
complesso d’artisti affiatato ed intelligente, migliore nelle produzioni
drammatiche che in quelle brillanti. Il cronista de “La Bollente” del 21
ottobre 1890, n. 43, non è, ancora una volta, soddisfatto:
“La compagnia De Ogna ha un complesso d’artisti
che può rispondere alle molteplici esigenze sceniche,
un repertorio svariatissimo che potrebbe anche attirare i più restii, ma ha pure un torto: quello d’affrontare con serenità, meglio con disinvoltura le più
difficili produzioni della scena, quelle che esigono
una speciale tempra d’artista, quelle che devono
tener desta l’attenzione del pubblico senza suscitare
certe risate intempestive come s’è visto in queste
sere. Tutte le compagnie hanno il loro bravo repertorio pieno zeppo di Dumas, di Sardou, ecc. Male. O
l’artista si basa sull’eccezionale abilità dell’autore e
allora è un errore perché il dramma presentato così
riesce freddo, o si basa sulla propria bravura e allora
l’errore è più grave. Il nostro pubblico, convien dirlo,
è composto in gran parte di operai e ragazzi. Ora che
cosa volete che ne sappia il nostro pubblico di tempeste dell’anima, di sacrifici, di eroismi e di tutte le
altre diavolerie di cui sono capaci i cervelli degli
autori. Il nostro pubblico ha troppo buon senso per
128
197 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 ottobre 1890, n. 40.
198 “La Bollente” del 23 settembre 1890, n. 39.
arrivare a queste false sublimità e si contenta a batter le mani a qualche tirata morale, ridendosela di
gusto alle più belle situazioni drammatiche credendo
scherzo ciò che è agonia mortale. Il pubblico così
detto intelligente, scarsissimo, rimane freddo di fronte ad una interpretazione che può essere il profilo di
una buona esecuzione. Non basta avere delle buone
qualità d’artista, richiamare alla memoria altre celebrità artistiche, aver tutta la buona volontà di trascinare il pubblico nella propria commozione e per
un momento riuscire, bisogna essere più saldi, se no
mutar registro e cercar di far ridere, ridere, ridere
con le cose allegre che ammazzano tutte le discussioni artistiche”.
L’impresario del teatro non manca di criticare il cronista de ‘La Bollente” per i suoi articoli.
Sembra che in questa fine stagione solo le marionette e i cavallerizzi
possano far fortuna, ma per le cinque recite straordinarie della compagnia Vitaliani il teatro si riempe: la compagnia mette in scena Le vergini di Praga, Suocera demonio di Horst, Chamillac di Feuillet, Le sorprese del matrimonio di Bernardi e Camere ammobiliate199.
199 L’opera del Praga piace al pubblico, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”,
mentre il giornalista de “La Bollente” parla di un’accoglienza fredda da parte
degli spettatori; Chamillac appare ad entrambi un’opera piena di inverosimiglianze; Suocera demonio, Le sorprese del matrimonio e Camere ammobiliate (si
tratta probabilmente di Camere ammobiliate terzo piano di A. Testoni) risultano “un po’ pesanti in molti punti per lo sforzo penoso di far ridere” (“La Gazzetta
d’Acqui” dell’8-9 novembre 1890, n. 45).
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA VITALIANI
Faceva parte della compagnia Fausta
Galanti Fantechi: dopo aver frequentato la
Scuola di recitazione di Firenze, era entrata nel 1886 come prima attrice giovane
nella compagnia Pietriboni, per passare
poi come prima attrice giovane assoluta in
quella di Serafini e, con lo stesso ruolo, in
quella di Michele Mantechi, del quale
divenne presto moglie; smesso nel ’90 il
capocomicato, si scritturarono entrambi
con Cesare Vitaliani, per rifare poi compagnia nel ’91, in cui Fausta assunse per la
prima volta il ruolo di prima attrice assoluta. Altri attori erano Antonietta Lollio
Strini, figlia dell’attore Carlo Lollio; il
marito Giuseppe Strini: nato a Napoli il 21
dicembre 1846, era entrato nel ’64 nella
compagnia stabile di Achille Maieroni al
Teatro del Fondo, prima di passare secondo amoroso con Fanny Sadowski e primo
attor giovane con Giacinta Pezzana; passato poi in diverse compagnie, dopo una
tournée all’estero con Adelaide Ristori
aveva formato una società, abbandonando
il ruolo di primo attore per quello di generico primario.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 973- 129
974; vol. II, pp. 550-551.
GLI ARTISTI
CARLO
DUSE
Della compagnia
Brunorini faceva
parte Carlo Duse:
nato a Gallarate
(1866?), figlio d’arte,
aveva esordito nella
compagnia Angelo
Diligenti-Antonio
Zerri nel 1880-1881;
dopo aver recitato in
parti di brillante,
mamo [ruolo comico
del teatro ottocentesco, figura di un giovane ingenuo, melenso, facilmente beffato]
e generico primario,
entrò nel 1886 primo
attor giovane nella
compagnia di Antonio
Brunorini accanto al
fratello Luigi; passò
poi in diverse compagnie, tra le quali quella di Ernesto Rossi e
di Italia Vitaliani,
prima di diventare
capocomico.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III,
pp. 1356-1357.
130
Anche la compagnia italo-americana di Ulisse
Barbieri, reduce dall’America, riesce ad attirare un
folto pubblico: il Barbieri mette in scena I drammi
delle masserie brasiliane, sua opera sulla schiavitù, che
entusiasma gli spettatori200; meno apprezzate dalla
stampa le altre due opere Caprera e Prete d’Olavaria,
Castro Rodriguez201.
L’anno 1891 sembra essere fortunato; dopo poche
recite della compagnia Valentini, con la compagnia
Brunorini il pubblico torna a stipare il teatro: tutte le
opere, da Il padrone delle ferriere di Ohnet a Le vergini di Praga, da Guerra in tempo di pace di F. von
Schönthan e G. von Moser a Odette di Sardou, sono
eseguite con affiatamento; il pubblico affolla il teatro
soprattutto con La moglie ideale, novità del Praga,
Goldoni e le sue sedici commedie nuove del Ferrari e
Amleto202.
Il giudizio del giornalista de “La Bollente” è ottimo su
tutti gli artisti, in particolare su Carlo Duse, su
Brunorini, “uno fra i migliori Brillanti dell’Arte”203, e
su Laura Marini: “Ad alcuni abituati a sentire le
nostre vecchie attrici, potrebbe forse sembrar strano il modo di recitazione della signora Marini, ma il
pubblico intelligente non potrà fare a meno di
applaudire alla sua nervosità e naturalezza, doti che
sono la prerogativa della nostra più grande attrice
moderna Eleonora Duse”204.
A fine aprile debutta con Fernanda di Sardou la compagnia del cav. Cola, con un’interpretazione molto
apprezzata dalla stampa: “Mai ci fu dato ad Acqui di
assistere ad una così splendida interpretazione della
Fernanda (…)205.
200 Si legge ne “La Bollente”: “Da lungo tempo il nostro teatro non era risuonato di
tanto clamore. Da tempo la gente cittadina non era stata turbata da risveglio di
nobile entusiasmo” (“La Bollente” dell’11 novembre 1890, n. 46).
201 Quest’opera viene definita “drammaccio che si deve togliere dal repertorio” (“La
Gazzetta d’Acqui” del 15-16 novembre 1890, n. 46)
202 Ricordiamo le altre opere messe in scena: I Rantzau di Erckmann e Chatrian,
Madri nemiche di C. Mendès, Jack lo sventratore di donne, I nostri buoni villici
di Sardou, Lo stordito di Bayard.
203 “La Bollente” del 31 marzo 1891, n. 13.
204 “La Bollente” del 31 marzo 1891, n. 13.
205 “La Bollente” del 28 aprile 1891, n. 17. Il resto del repertorio è composto in prevalenza da opere del teatro francese.
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA DEL CAVALIER COLA
La compagnia era composta da due attori
noti: Carlo Cola e Maria Fernandez
Barach. Il Cola, figlio di un suggeritore,
aveva cominciato a recitare come brillante
nelle compagnie che il padre formava in
società, datosi poi al ruolo di primo attor
giovane, era passato nella compagnia di
Bellotti-Bon con Virginia Marini, prima di
farsi “conduttore di compagnie di terz’ordine, recitandovi mediocremente le grandi
parti di primo attore”; Maria Fernandez
Barach, figlia del suggeritore Doimo
Barach, nata a Zara, aveva esordito nel ’63
con Cesare Marchi nel Teatro della
Stadera a Milano; passata al ruolo di amorosa e di prima donna assoluta, dopo alcuni anni di stenti, sbalzata di compagnia in
compagnia, era entrata come prima donna
assoluta in quella di Dondini, cominciando
una vita nuova in compagnie di rilievo.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I, pp. 672673; vol. I, pp. 264-265.
Il giornalista de “La Bollente” apprezza i due attori e scrive: “raro è il
caso di avere due attori come la prima attrice Barach e il Cola, coadiuvati dalla Sainati, e dal De Farro”206; il repertorio è costituito in prevalenza da opere francesi, alcune nuove per Acqui207: là dove manca l’affiatamento nelle parti minori, la Barach e il Cola riescono a risollevare le sorti delle recite con le loro ottime interpretazioni. La compagnia mette in scena Il profumo di Blum e Toché, previo avvertimento
alle signorine di rimanere a casa: “Il sagace avvertimento, diretto a
maggiormente riempire il teatro di sesso mascolino coll’attrattiva di
udire e vedere quello che alle signorine era vietato, non sortì il suo
pieno effetto, perché il pubblico accorse, non strabocchevolmente
numeroso, commedia graziosa, piacevole e per nulla sguaiata”208.
Nonostante l’aumento dei prezzi, il pubblico accorre a teatro per assistere alle recite straordinarie della compagnia del cav. Pietriboni, grazie alla quale può ascoltare Un bicchier d’acqua209 e Margherita di Valois
di Scribe, L’onore di Sudermann. La rappresentazione di Un bicchier d’acqua ha un esito straordinario: “Tutti gli artisti hanno incontrato i favori del pubblico e dopo tanta tregua di buon gusto d’arte si può affermare che mai in Acqui ci fu tanto entusiasmo nel pubblico e tanta
206 “La Bollente” del 28 aprile 1891, n. 17.
207 Ricordiamo Tosca di Sardou, La straniera di Dumas, Processo Veauradieux di
Delacour e Hennequin.
208 “La Bollente” del 12 maggio 1891, n. 19.
209 Sull’opera Un bicchier d’acqua si legge ne “La Bollente” del 9 giugno 1891, n. 23:
“(…) richiede un complesso artistico straordinario, sia per numero che per abilità, ed è per questo che la compagnia Pietriboni è la sola che la rappresenti in
Italia”.
131
compiacente buona volontà in un complesso di artisti
intelligenti e compiacenti”210. Sui principali artisti scrive
il cronista de “La Bollente” (31 giugno 1891, n. 27)
In questa pagina e nella successiva le immagini da
un foglio volante del 30 agosto 1891 stampato in
occasione del saggio della scuola di musica di cui
era maestro-direttore Tullo Battioni.
ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23.
“Il cav. Pietriboni è un primo
attore che sa dare un
potente soffio di vitalità e
di omogeneità alla sua
compagnia ed ha la rara
intelligenza di saper
presentare al pubblico
un repertorio simpatico. La signora Pietriboni ha tutta la versatilità d’ingegno di una prima
donna di valore. Il signor Vitti è un
attore giovane senza esagerazioni e
con fine intendimento d’artista.
Brava la Lollio Strini, la Bonafini, il
Barsi artista fino, bravissimo il brillante Passerini con la specialità
delle canzonette”.
210 “La Bollente” del 23 giugno 1891, n. 24.
GLI ARTISTI
LA COMPAGNIA PIETRIBONI
132
La compagnia era effettivamente composta da artisti di livello: Giuseppe
Pietriboni, nato a Venezia il 21 dicembre
del 1846, aveva esordito come autore; in
seguito, innamoratosi di un’attrice della
Compagnia Boldrini-Peracchi, vi era entrato come secondo amoroso; diventato
primo attor giovane, era passato in diverse compagnie prima di costituire società
con Francesco Coltellini e quindi diventare capocomico solo.
Silvia Pietriboni, moglie di Giuseppe, era
nata a Firenze nel 1845: alunna della
Scuola fiorentina di recitazione, aveva
esordito nella Compagnia di Cesare Mazzola; fu con Luigi Domenicani, Papadopoli
e Bergonzoni, nella Sadowski come seconda donna, prima di diventare prima attri-
ce assoluta nella compagnia del marito;
Giuseppe Strini e la moglie Antonietta
Lollio Strini; Amalia Casilini: figlia dell’artista Eugenio Casilini e della celebre
servetta Enrichetta Romagnoli, cominciò
ad apparire sulle scene nelle parti di
bimba; entrata come generica nella
Compagnia Sadowski-Astolfi, fu poi scritturata da Antonio Colomberti e dallo zio
Carlo Romagnoli, passando poi in diverse
compagnie, tra cui quella di Alamanno
Morelli quale seconda donna, e prima
donna (di spalla) sotto Adelaide Tessero;
Pietro Barsi.
R.Br.
Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. I, p. 605, vol.
II, pp. 282-286.
GLI ARTISTI
L’Onore di Sudermann non
viene compresa dal pubblico;
scrive in proposito il giornalista de “La Bollente”: “(…)
abbiamo notato che malgrado la tesi sostenuta dall’autore, tesi completamente errata perché appunto basata su
paradossi, malgrado un certo
qual sapore di pornografia
l’uditorio verso la fine era
veramente oppresso da
tanta mole”211.
Sfortunata è la compagnia
Zago e Privato che, mantenendo gli stessi
prezzi della precedente, recita in un teatro
quasi deserto. Eppure gli artisti erano di un
certo valore, come il celebre comico veneziano Emilio Zago, Amalia Borisi e Guglielmo
Privato.
GUGLIELMO
PRIVATO
Nato a Venezia il 27 settembre 1826, Privato aveva esordito come comico nel ’49 nella
Compagnia di Giovanni Battista Zappetti; entrato nella
grande arte nella compagnia
lombarda di Alamanno Morelli, era poi passato in diverse compagnie: con BellottiBon, con Tommaso Salvini,
con Giacinta Pezzana in
società, con Morelli ed altre;
morto il Vesti nella Compagnia Nazionale, e uscitone
il Novelli, li sostituì prima di
unirsi con lo Zago.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. II, pp. 311-312.
Il teatro si ripopola con le operette della compagnia Scalvini e della compagnia Città di
Napoli diretta da Stravolo, e con le commedie
della Compagnia Piemontese G.Toselli. A metà
novembre ritorna l’apatia e la compagnia diretta da Vittorio Antuzzi,
pur presentando diverse novità, si trova in difficoltà: “Noi crediamo
che gli artisti si siano persuasi di una grande verità: che il nostro pubblico non ama e non applaude che il ridicolo. I lavori dove campeggia
la morale, lo lasciano freddo e impassibile”212. Dopo poche recite delle
piccole celebrità sorelle Gardini, la compagnia Antuzzi è costretta a
dare, nel gennaio 1892, una rappresentazione con la cooperazione di
alcuni filodrammatici acquesi e di altre città, per riparare ai disastri del
corso di rappresentazioni precedenti.
“In Acqui, dove si accorre molto volentieri a beare lo
sguardo nei polpacci delle virtuose esecutrici della
Gran via e del Duchino, è giocoforza riconoscere che
non solo alle buone produzioni date dalle buone compagnie si dà poco incoraggiamento, ma soventi si
lascia magari che queste ci rimettano le spese” (“La
Bollente” del 5 gennaio 1892, n. 1)
211 “La Bollente” del 24 giugno 1891, n. 26.
212 “La Bollente” del 24 novembre 1891, n. 47.
133
Grazie al solito impresario Ivaldi la
stagione prosegue con la messa in
scena de I puritani: pur con i consueti
problemi del coro, lo spettacolo soddisfa; alla comparsa dei primi segni d’insuccesso Ivaldi rimedia scritturando
Virginia Colombati, che entusiasma il
numerosissimo pubblico giunto ad ascoltarla.
La prosa ritorna a maggio con la compagnia Brunorini, che propone un repertorio
vario di commedie brillanti e commedie di
costume: il pubblico non si smentisce e
dimostra di prediligere il genere leggero.
Anche la stampa (“La Bollente” del 12-13
maggio 1892, n. 19, con la Satira si riferisce alla
Satira e Parini del Ferrari) consiglia di offrire questo genere:
Sottoscrizione tesa
ad evitare l’abbattimento
del Politeama Benazzo,
datata luglio [sic] 1893.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI,
faldone 24.
“Perché non si ascoltano i consigli del pubblico che ha trovato nella compagnia ottimi elementi per un genere di commedie brillanti, famigliari?
Sono bravi quelli che oltre ad una spettacolosa teatralità per quanto riguarda il palcoscenico, richiedono uno studio accurato da parte degli artisti, che non
possono andar fuori dal loro repertorio, senza trovarsi troppo bene quando poi si fa in fretta: l’Otello lo
prova insieme colla Satira”.
A fine giugno l’impresario Ivaldi riesce a mettere in piedi un nuovo
lodato spettacolo d’opera: la Jone viene rappresentata da buoni artisti,
con un’orchestra ben scelta e un coro affiatato; la messa in scena è
quella che è, ma il microscopico palcoscenico del Politeama non permette di più213. Il teatro continua ad essere ben frequentato per tutta
134
213 A proposito della messa in scena si legge ne “La Bollente” del 30 giugno-1° luglio
1892, n. 26: “credo che non sia il caso di parlare della parte scenica: sta il fatto
che l’azione non ha giovamento alcuno dalla scena come è lavorata. È vero che
si è cambiato il Vesuvio, ma se n’è messo un altro, rappresentante l’ossatura di
un monte visto a volo d’uccello e tanto distante da rendere l’idea d’un vulcano
che i coristi, furbi e intelligenti che l’hanno capito, non possono persuadersi dell’eruzione, e non curano i lapilli e la lava, se ne vanno tranquillamente come a
mercato! Che sia per assaporare maggiormente le ultime battute della Jone?
Veda un po’ il signor Pellegrini di insegnare a quella gente il modo di scappare
di scena senza rasentare il ridicolo del popolino!” Le scene usate, dipinte su
carta, erano del Garelli (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1892, n. 26).
la fine dell’anno, prima con le operette della compagnia Stravolo e con
le pochades della compagnia Solari, poi con i soliti vaudeville della compagnia Viale e infine con la compagnia equestre Marasso e Depodi.
L’ultima compagnia di prosa ad occupare il Politeama Benazzo, per
tutto il mese di marzo del 1893, è la compagnia del cav. Monti, che
esordisce con due pienoni con Il povero Piero di Cavallotti e Tristi amori
di Giacosa; la compagnia prosegue, sempre con grande concorso di
pubblico, presentando i classici italiani e francesi, e le ultime novità del
teatro italiano214, e qualche produzione francese. Chiude con successo
l’ultimo anno di vita del teatro La traviata, “spettacolo degno d’essere
sentito più di una volta”215, con la Stecchi giunta a sostituire l’indisposta Ines Grandis.
214 La compagnia mette in scena anche il lavoro storico Friedmann Bach di Proto
di Maddaloni, dedicato al cav. Monti, nuovo per la città.
215 “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 aprile 1893, n. 15.
IL TEATRO E LA CITTÀ
LUIGI GARELLI, PENNELLI E COLORI PER IL TEATRO
Essere artisti, nell’Ottocento, in provincia,
vuol dire essere ...eclettici. Occorre saper
fare di tutto.
Se sei musico devi suonare più strumenti,
dirigere in strada, in chiesa e in teatro,
scrivere polke ed inni, dar lezioni.
Se sono le discipline pittoriche a darti da
campare, si devon padroneggiare oli e
tempere tanto per dipingere i quadri d’impegno, quanto per decorare le insegne
delle botteghe, passando dai festoni del
teatro alle miniature delle pergamene.
Così è successo per il Gabbio, così per
Luigi Garelli, la cui data di nascita
dovrebbe cadere intorno alla metà del
secolo. Egli si guadagnò una certa notorietà a Torino partecipando alla mostre della
Promotrice, ma poi in città ricevette commissioni come decoratore e mobiliere
(lavorando anche alle Nuove Terme e presso il Circolo “La Concordia).
Di lui si ricordano un busto di Garibaldi in
occasione della solenne commemorazione
che si tenne l’11 giugno 1882 presso il
Politeama Benazzo (“La Gazzetta d’Acqui”
del 13-14 giugno), l’olio 1352 (in cui ritrasse il vescovo Guido d’Incisa e Oddone dei
Marchesi di Ponzone, che aveva occupato
certi beni della Chiesa d’Acqui), la La battaglia di Governolo (18 luglio 1848), e poi
una bella Veduta di Acqui a volo d’uccello,
un quadro di Umberto I voluto dal
Municipio, ma anche le tavole satiriche
della “Rivista del Formighino”, (composta
non solo da 16 pagine, ma anche da 18
tavole litografiche dell’autore) stampata
dalla tipografia di Costantino Ferraris.
Non mancano interventi in teatro. Sempre
Carnevale 1894 (quello di Bovano, per intenderci): “Come già dicemmo il Dagna era
completamente trasformato mercè degli
sforzi del pittore Garelli e del giardiniere
Torrielli; il primo adornando il teatro di
artistici medaglioni, riflettenti le baldorie
carnevalesche, il secondo decorando sala e
palcoscenico di fiori e verzura”.
Gli unici nei dalla musica: suona la banda
(diretta da Pistarino) e non l’orchestra
come molti avrebbero voluto.
G.Sa.
Cfr. anche Alle origini del giornalismo
acquese. Ancora tra penne e pennelli, in
“L’Ancora” del 13 luglio 2003.
135
IL TEATRINO
DEL SEMINARIO MINORE
Il complesso edilizio del
Seminario minore, in origine sede del monastero
delle monache di Santa
Caterina, situato in piazza
Duomo, venne eretto
nell’ultimo quarto del
XIV secolo. Nel 1855 il
Vescovo Modesto Contratto decide di aprirvi un
corso di scuole primarie
e secondarie per i giovani
aspiranti alla carriera
ecclesiastica216: è in funzione di questa scuola
che viene edificato un
teatrino in un locale del
Seminario minore; anche per lo stile architettonico il teatrino è riconducibile al XIX secolo. Attualmente il locale viene utilizzato come aula
magna dell’Università e talvolta come sala conferenze.
IL TEATRINO
D’OLTRE BORMIDA
(TEATRINO VECCHIE TERME)
Nel giugno 1892 si intraprendono lavori per edificare un teatrino
accanto allo Stabilimento Vecchie Terme, destinato ad offrire balli, operette e vaudeville nella stagione estiva217. Il teatrino descritto nei giorni
dell’inaugurazione come “grande, elegante e arioso”218, viene inaugurato a luglio con l’opera Don Pasquale ed il balletto Vergy, composto dalla
signorina Margottino Adelina.
Cessate le rappresentazioni d’opera buffa, subentra nell’impresa il
signor Ivaldi, scritturando la compagnia milanese Cavalli, e cercando di
rimediare alle perdite avute dalla precedente impresa, per l’incapacità
136
216 AVA, Seminario, fald. 6, cart. 2, f. 1, Circolare del Vescovo Modesto Contratto del
12 settembre 1855.
217 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1892, n. 26.
218 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 luglio 1892, n. 27.
Il cav. Giovanni Tarditi
alle Vecchie Terme.
BCAT, Fondo Tarditi.
di adattare lo spettacolo alle esigenze del teatro e agli introiti. L’Ivaldi
riesce probabilmente a fare buoni affari, e visto il successo dell’anno di
prova, nel settembre del 1892 l’impresa delle Terme decide di introdurre opere fisse in ferro per rendere il teatro elegante e perfettamente riparato dalle intemperie219. Tuttavia, dalla definizione che ne dà
un cronista qualche anno dopo, dobbiamo supporre che gli aggettivi
con cui si descriveva il teatrino alla sua inaugurazione, non corrispondessero perfettamente alla realtà: dopo averlo definito “ambiente
poco simpatico”, il giornalista (“La Gazzetta d’Acqui” del 30 giugno-1°
luglio 1894, n. 26) afferma:
“Quella baracca ha un nome pomposo di teatro ed ha
qualcosa tra il bazar turco, la tenda militare, il serraglio (a scanso di equivoci) senza bestie, ed altre
simili baracche da fiera. Eppure si va là dentro, si
soffoca dal caldo, chi ha degli affari li dimentica, si
ha l’illusione di essere al teatro e soprattutto si guarda il bel sesso. Magra sì, ma unica soddisfazione”.
Nel giugno 1893 il teatrino si apre con la compagnia Fioravanti: il
repertorio presentato non comprende grandi novità, ma il pubblico
frequenta il teatro con discreta soddisfazione. Anche gli spettacoli
della compagnia Merone, che viene scritturata nel mese di agosto, pur
non avendo “molto sugo”220 piacciono agli spettatori: sono produzioni
troppo conosciute per esercitare una grande attrattiva, ma gli attori
sopperiscono a questo difetto con i loro meriti. Chiude la stagione la
compagnia Milone-Testa che prosegue il corso delle sue rappresentazioni al teatro Dagna.
219 “La Bollente” del 29-30 settembre 1892, n. 39.
220 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 agosto 1893, n. 34.
137
Nel 1894 il teatrino s’inaugura con l’opera in musica. Grande è il successo per il Fra Diavolo221 e il Don Pasquale, minore per Il barbiere di
Siviglia, rappresentati nelle prime edizioni da artisti provenienti dal
Manzoni di Milano: i soprani Campagnoli e Mastrobuono, il tenore
Mastrobuono, il baritono Cremona, i bassi comici Gianoli e Belviller.
Non piace l’esecuzione de La sonnambula con artisti nuovi, sia per deficienza di prove sia per diversi contrattempi insorti, e quella de La serva
padrona, per deficienza di violini ed archi.
A fine stagione alcune complicazioni indipendenti dallo spettacolo
provocano il succedersi delle imprese; il pubblico assiste anche al
breve passaggio di diverse compagnie: prima la compagnia Merone, poi
la compagnia Viale, e nuovamente la compagnia Merone. L’anno successivo, tra le poche recite delle compagnie Gattucci, Bonelli, e Dante
Testa, vede presentarsi per la prima volta sul palcoscenico del teatrino la compagnia Udina con il grande Gustavo Salvini222. Il repertorio
presentato è costituito prevalentemente da classici: Amleto, La bisbetica domata, Otello di Shakespeare, Kean di Dumas padre, San Paolo del
Gazzoletti, Il falconiere di Pietro Ardena di L. Marenco (Petruzzo nella
Bisbetica domata, Iago, Amleto e Kean sono ricordate come alcune tra
le migliori interpretazioni di Gustavo Salvini223). Il teatro è quasi sempre pieno e il Salvini è insuperabile nell’Otello e nell’Amleto: “egli è
degno figlio di suo padre del quale ci rammenta il metodo di recitare,
la voce, la scena”224.
La stagione 1896 si apre con la compagnia Merone: il cattivo tempo,
l’assenza di alcuni artisti e la mancanza di novità provocano una scarsa affluenza di pubblico. A luglio giunge la compagnia Piacentini-Sequi
che mette in scena con successo la novità L’albergo del libero scambio
di Feydeau: la compagnia conquista le simpatie del pubblico, nonostante qualche eccesso di confidenza. Lo spettacolo d’opera torna alla fine
di luglio: dopo molte incertezze, la messa in scena della Linda di
Chamounix raggiunge un buon consenso di pubblico, grazie all’arrivo
della Cisterna e del Francesconi; le sere successive vedono il succes-
138
221 Nelle ultime sere debutta nel Fra Diavolo la prima donna Emma Cisterna, “che
riscosse applausi al Regio, e al San Carlo di Napoli” (“La Gazzetta d’Acqui” del
21-22 luglio 1894, n. 29).
222 Su Gustavo Salvini cfr. AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., ad vocem,
vol. VIII, pp. 1444-1445; L. RASI, op. cit., vol. III, pp. 498-500; E. BOUTET, Le cronache drammatiche, Roma 1899, vol. I, pp. 4-6; E. CORRADINI, Gustavo Salvini,
s.i.t., G. COSTETTI, Il teatro italiano nel 1800, Rocca S. Casciano 1901; A. VINARDI,
Gustavo Salvini, Torino 1904; M. FERRIGNI, Cronache teatrali (1930), Milano
1932.
223 AA.VV., Enciclopedia dello spettacolo, op. cit., vol. VIII, p. 1444.
224 “La Bollente” del 12-13 settembre 1895, n. 37.
IL TEATRO E LA CITTÀ
MAESTRO & ALLIEVO
TULLO BATTIONI E
LUIGI MONTECUCCHI
Come precocemente indica “La Bollente”
del 17 marzo 1891, il M° Tullo Battioni
(Parma 1837 –Parma 1914), “preceduto da
lusinghiera reputazione, chiarissimo compositore di musica sacra e profana, direttore d’orchestra, suonatore di piano, di violino e contrabasso [della scuola di Carlo
Montanari]”, manifestò subito una vera
“specialità nel modo d’insegnare” ispirandosi “ai metodi dei conservatori più accreditati di Francia e Italia”.
Proprio questo maestro, titolare della
scuola municipale di musica a seguito del
concorso del 1890, licenziò nel 1900 per i
tipi di Righetti un opuscoletto dal titolo Un
decennio di insegnamento musicale in
Acqui. Tale pubblicazione, al momento irreperibile, ma ben riassunta da “La
Gazzetta d’Acqui” (29/30dicembre 1900),
raccoglieva “il nome di tutti gli allievi che
furono da lui istruiti”. Non solo: di ciascuno il maestro, in poche righe, tracciò “il
profitto e l’avvenire musicale”.
Tra i discepoli DOC, son citati, il flautista
Carlo Giuso, il violinisti Francesco Cornaglia e Franco Ghione (in seguito celebre direttore d’orchestra), il trombonista
Ernesto Roggero, e il tenore Luigi Montecucchi. E quest’ultimo era, di certo, della
lista il più famoso.
E quando, nel 1897, il nostro tenore esordì
a Cuneo, con il Faust di Gounod, “La
Gazzetta d’Acqui” del 20/21 febbraio lesta
ricordò che fu il Battioni, “dopo averlo sentito una sera cantare con i compagni, ad
eccitarlo a studiare, lo diresse e lo aiutò
moralmente e materialmente”.
Nemo propheta in patria: il felice esordio,
oltre a consolare i poveri genitori “ancora
dubbiosi e trepidanti per la carriera scelta
dal loro figlio”, viene – secondo il giornale “a confondere i malevoli e gli scettici” e
costituisce per “il nostro e bravo e modesto
Battioni …la migliore ricompensa alle
fatiche durate tanti anni in mezzo ad
attacchi di ogni sorta alla sua coscienza di
artista e di galantuomo, sfidante gli scoraggiamenti del suo povero allievo, dei
genitori e degli amici suoi ”.
Di qui l’inizio di una lunga carriera: nel
1897 recite nel parmense (e a Parma il
cantante aveva concluso i suoi studi) e ad
Acqui, nel Teatrino delle Vecchie Terme
(Lucia di Lammermoor e La favorita di
Donizetti); nel 1898 a Reggio Emilia
(Mignon di Thomas), Pola d’Istria (Traviata), Gorizia (Bohème e Forza del destino),
Brescia (è Don Josè in Carmen); l’anno
successivo canta a Bergamo (Teatro
Sociale), al Politeama di Genova, al Teatro
Costanzi di Roma (dove aveva esordito
Cavalleria Rusticana di Mascagni), per
Don Pasquale, al Teatro Rossini di
Venezia.
Ma nel 1899, soprattutto, il Montecucchi
canta Faust al Garibaldi, duettando con la
sig.na De Roma (Margherita) e con il basso
Lucenti. E poi interpreta Fra diavolo.
Dice la “La Gazzetta d’Acqui” (12/13 agosto): “Il Montecucchi è un …nostro figlio.
L’ a f f e t t o … m a t e r n o
potrà farci velo, ma a
noi pare che meriti
il plauso incondizionato degli
intelligenti.
La scuola è
in lui ottima, la voce
armoniosa
e estessissima
è
come
il
novellino
continua
nella pagina
seguente
Il M° Tullo Battioni
segue dalla pagina precedente
Giacomo a suo padrone sommessa; ne dispone a suo talento passando dalle note
centrali agli acuti con una sicurezza che fa
di lui uno dei tenori più apprezzati (e l’orchestra, sotto l’intelligente direzione del
Cav. Vigoni fa prodigi”).
Ma il successo è consacrato da una tournée
in Russia: al Teatro di Smolensk Montecucchi canta in Mignon, Gioconda, Puritani, Bohème, Rigoletto, Cavalleria, Fra
Diavolo (“La Gazzetta d’Acqui” del 29-30
settembre); il giornale lo dice destinato a
calcare i prosceni di Mosca; e la cosa, puntualmente, avviene.
Montecucchi, uno zar “acquese” della musica.
G.Sa.
Cfr. anche, per gli anni non acquesi di
Battioni (dal 1876 al 1885), UMBERTO BATTEGAZZORE Storia della musica di Tortona
e del Tortonese, Tortona 2003; Gli esordi
del tenore Luigi Montecucchi, in “Corale
Città di Acqui Terme”, n. 1, 2003.
so de Il barbiere di Siviglia con l’apprezzato
tenore De Rossi, diversi pienoni per Crispino e
la comare e la delusione per il Fra Diavolo.
L’anno si chiude con poche recite della compagnia d’operette Papale225.
Palazzo Papis, particolare.
Si noti il manifesto della Linda di Chamounix.
L’immagine è tratta dal libro di Piero Zucca
Acqui da non dimenticare, Torino 2003.
140
Nel 1897, dopo il varietà della compagnia
Fournier-Castagnetta e le recite della ZucchiViale226 nel teatrino modificato per eliminare
piccoli inconvenienti, torna l’opera con la Lucia
di Lamermoor e La favorita: se le prime rappresentazioni hanno un esito abbastanza soddisfacente, un grande successo viene raggiunto con
la partecipazione di Sofia Aifos e del concittadino Montecucchi nella Lucia, e con il debutto
di Giulietta Gorretta, reduce da Amsterdam, e
del Montecucchi, nella Favorita.
Con la compagnia Merone il teatro continua
ad essere discretamente frequentato, nonostante la mancanza d’innovazione del teatro
milanese proposto dalla compagnia. Novità
vengono invece presentate dalla compagnia del
cav. Monti, come Marcellina di Sardou ed Il fu
Topinel di Bisson, oltre alle migliori opere del
teatro italiano. Il cronista de “La Bollente” critica però l’interpretazione di alcuni attori:
225 Lo spettacolo offerto da questa compagnia è considerato deficiente e insoddisfacente per i “troppi strappi alla plastica e all’arte” (“La Bollente” del 17-18 settembre 1896, n. 38).
226 Le rappresentazioni comprendono una parodia della Cavalleria Rusticana non
molto apprezzata dal pubblico.
GLI ARTISTI
“La scelta dei lavori è stata felicissima, non altrettanto si può
dire dell’esecuzione che riuscì
discreta per qualcuno, eccellente
pel cav. Monti, per alcuni altri
lasciò parecchio a desiderare.
L’affiatamento non ci è sembrato
soverchio e poco lo studio della
parte, così che il dialogo riesce
sovente stentato non ostante gli
inauditi sforzi polmonari del
suggeritore”227.
Nel 1898 il teatrino si apre a metà giugno, con
un ritardo causato dal maltempo e da imprevisti occorsi alla compagnia De Farro.
Essa debutta con Divorziamo di Sardou, ed il
successo è immediato: gli artisti formano “un
tutto organico, scelto, concorde, corretto”228,
senza incertezze o difetti, e propongono un
repertorio scelto di drammi e commedie brillanti. Risulta insuperabile la Marussig in Divorziamo di Sardou, Niobe, Infedele di R. Bracco e
nei Disonesti di Rovetta, ed il Brunorini, unitosi
alla compagnia successivamente, ne Il ratto delle
Sabine di F. e P. von Schönthan, messo in scena
in un teatro affollato. Grande successo ottiene
anche la compagnia d’operette Emilia Bertini: le
attrici Botti Bello, Bertini e Verga guadagnano
addirittura delle ovazioni nell’esecuzione del
Boccaccio di Suppé, ne Le campane di Corneville di
Planquette e ne I coscritti di C. Lombardo. Sul
buffo Moro Mori, “un buffo intonato e franco”229, si scrive: “ (…) Moro Mori, l’antica conoscenza del nostro pubblico, si arrabatta in tutti
i modi per trovare la nota comica sempre e ad
227 “La Bollente” del 30 settembre- 1° ottobre 1897, n. 39.
La compagnia aveva tra l’altro realizzato una serata
di beneficenza “per un attore disgraziato, MarazziDiligenti” (“La Bollente” del 5-6 agosto 1897, n. 31).
228 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1898, n. 26.
229 “La Bollente” del 18-19 agosto 1898, n. 33. Moro Mori
aveva pubblicato in Acqui nel 1893 un libretto di versi
dedicati alla Stecchetti, intitolato Margherite.
LA
COMPAGNIA
DE FARRO
Faceva parte della compagnia Giuseppe Gray: uscito
dalla scuola di recitazione di
Carolina Malfatti nell’86, era
entrato nell’88 nella compagnia sociale di Cesare Vitaliani, passando poi nella
compagnia Città di Torino,
primo attor giovane in quella
di Pietro Falconi, primo attore in quella di Teresa Boetti
Valvassura e poi con ruolo
assoluto nella G. Emanuel-C.
Rossi; dopo il ritorno nella
Boetti Valvassura e il passaggio nella Compagnia
Nazionale diretta da Pietriboni, era entrato nella compagnia De Farro ed in seguito in diverse altre, dedicandosi anche al cinema.
Altra componente era Laura
Vestri: figlia d’arte, era entrata nella compagnia di Novelli per parti di giovane, per
assumere poi quelle di madre; recitò in dialetto veneziano con Giacinto Gallina,
ed in dialetto milanese,
entrando in seguito nella
compagnia
GrammaticaTalli-Calabresi .
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI,
op. cit., vol. III, pp. 14001401.
L. RASI, op. cit., vol. II, p. 659.
Il parco delle Terme
in un’immagine
di primo Novecento.
La fotografia
è tratta dal volume
di Piero Zucca
Chiriusitâ d’Âic,
Acqui 2004.
ogni costo. Minori sforzi, minori lungaggini, in certe scene frivole fatte
sole pei ragazzi della platea, mi pare sarebbero profittevoli molto”230.
Chiude la stagione la compagnia del cav. Toselli con le commedie del
teatro piemontese ed alcune operette egregiamente interpretate: in
scena anche l’attore settenne Romolino Malagoli.
Nel luglio del 1899 il teatrino dei Bagni riapre dopo aver subito alcuni interventi, e dopo il crescente successo delle rappresentazioni del
Barbiere di Siviglia e del Fra Diavolo, nonostante gli svariati spettacoli
offerti dalla fiera, viene ridotto a caffè-concerto sotto la gestione del
sig. Scati, esercente il Caffè Vecchie Terme.
All’inizio del nuovo secolo il teatrino diventa oggetto di ulteriori lavori: si costruisce una “platea in muratura e col tetto”231 e si converte il
“vecchio steccato in legno in solido muro coll’evidente intenzione di
adibire nuovamente quel locale a pubblici spettacoli”232. Il cronista de
“La “Bollente” si mostra critico nei confronti dell’impresa, considerando il pubblico che frequenta i nostri teatri “limitato assai ed insuf-
142
230 “La Bollente” del 25-26 agosto 1898, n. 34.
231 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 aprile 1900, n. 16.
232 “La Bollente” del 22-23 marzo 1900, n. 12.
ficiente per mantenere due spettacoli anche se vi si aggiunge la colonia forestiera”; ed aggiunge:
“Nell’estate si verificherà quindi il caso che gli spettacoli non riusciranno né da una parte né dall’altra; i
poveri artisti lusingati dal falso miraggio della stazione balnearia si troveranno in condizioni dolorose
tanto da ricorrere alla beneficenza privata, e mentre
chi ha esposto un capitale ingente nell’interesse della
città, ha pur diritto ad un po’ di protezione, la Giunta
sorriderà bonariamente come di cosa che non la
riguarda affatto. La Società che ha attualmente in
concessione il nostro Stabilimento dovrebbe a modesto avviso nostro, convergere le sue mire a ben altro
che non sia quella baracca di legno chiamata pomposamente teatro”.233
Nel giugno del 1900 debutta la compagnia di varietà diretta da
Anselmo Ambrosano: le varie canzonettiste elettrizzano l’uditorio
sovente scarso, ma sempre largo d’applausi. A metà luglio il varietà
lascia il passo all’opera con Le educande di Sorrento, per tornare subito
dopo con la compagnia diretta dal signor C. Filippa a divertire il pubblico con le canzonette napoletane.
Nel 1901, dopo la buona riuscita della messa in scena di Lucrezia Borgia
e del Barbiere di Siviglia, trasferite dal Garibaldi per poche sere, giunge
la compagnia Solari, che esordisce con lusinghiero successo: ricco il
repertorio composto dalle migliori produzioni del teatro piemontese,
e dalle più applaudite zarzuele e vaudeville. Il successo di pubblico continua con la Compagnia Milanese Bice Rozen, seguita da uno spettacolo di prosa e canto.
Nel 1902 la compagnia del cav. Starace, dopo uno splendido debutto
al Garibaldi con I Granatieri del maestro Valente, chiude con discreta
fortuna il corso delle sue recite al Caffè Vecchie Terme234; la stagione
termina con poche recite della compagnia Gemelli.
Nel 1903 il teatrino subisce nuovi interventi:
“Il Direttore dello stabilimento, (…) vi fece erigere
una elegante galleria che poggia su solide colonne,
spaziosissima, che potrà contenere una grandissima
quantità di persone. Ad essa si accede per una scaletta interna, comoda e disposta con sapienza geome233 Ibidem.
234 Si legge nella “Bollente” del 26-27 giugno 1902, n. 25: “Se la minuscola troupe
procurerà di dare esecuzione relativamente complete, affiatate e scevre delle
solite scurrilità migliorerà certo le proprie sorti”.
143
trica, così che non occupa che uno spazio assai limitato. La platea poi è stata coperta di uno strato bituminoso, un po’ rilevato verso il fondo: difesa contro
l’umidità. Il Teatrino, ventilato dagli ariosi finestroni
in alto, presenta un insieme piacevolmente artistico
e simpatico”235.
Nell’estate vi debutta la Compagnia Milanese del cav. Gaetano Sbodio,
con la conosciuta e apprezzata Bice Rozen.
Il pubblico gradisce le esilarantissime produzioni di questa compagnia
milanese, considerata la migliore finora venuta in Acqui.
Chiude la stagione la compagnia Mugnaini-Valentini con i suoi “drammi a forti tinte”236.
Il teatrino riapre nel 1904 con la compagnia Valentini-Marchiò. Il repertorio è composto dai più apprezzati lavori del teatro moderno italiano, come Maternità di R. Bracco e La Duchessina di A. Testoni, e soprattutto francese, come Dora e le spie di Sardou, Amanti di Donnay, Gelosa
di Bisson, Zazà di Simon e Bisson, Inconvenienti del divorzio di Pailleron.
Il repertorio è vasto, ma il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” fa qualche appunto: “Il pubblico (…) si divertirebbe sempre se nella scelta
Concerto alle
Vecchie Terme, 1910.
La fotografia
è tratta dal volume
di Piero Zucca
Chiriusitâ d’Âic,
Acqui 2004.
144
235 “La Bollente” del 25-26 giugno 1903, n. 26.
236 Manca purtroppo “La Gazzetta d’Acqui” del 1903, mentre “La Bollente” non fornisce altre informazioni.
GLI ARTISTI
delle produzioni la direzione o l’impresa si
decidesse a cambiare un pochino e non ripetere troppo spesse quelle pochade che per
quanto belline finiscono collo stancare, massime gli abbonati e coloro che sono assidui al
teatro”237. La compagnia riscuote in ogni modo
un buon successo, fermandosi per quasi tre
mesi. Tra gli attori molto apprezzati sono la C.
Valentini Marchiò, “colonna portante”238 della
compagnia, impareggiabile nella parte di Nelly
Rozier nell’opera omonima di P. Bilhaud e M.
Hennequin, il giovane Telemaco Ruggeri e la
piccola Regina Menichelli di soli quattro anni.
Della Pareti scrive il giornalista de “La
Gazzetta”:
“La sig.na Pareti lasciò ieri la
sua abituale svogliatezza, la
sua abituale recitazione a
mulinello e disse abbastanza
bene la sua parte, non facile del
resto, della Lituana. Questa
attrice che recitò accanto a
delle celebrità autentiche,
parve, fino all’altro ieri abbandonata dal così detto fuoco
sacro, ora però, che pare le sia
tornato, la preghiamo di conservarlo, tanto più che sappiamo aver essa la direzione artistica della compagnia: come
potrà infondere negli attori
quel calore necessario se essa
per la prima recita … per ridere?”239.
Chiude la stagione una compagnia di marionette.
Nel 1905 giunge la compagnia Artale MusellaE. Rivalta, con Annetta Artale Musella e
Francesco Artale.
Il pubblico accorre numeroso, ed “il repertorio
237 “La Gazzetta d’Acqui” del 30-31 luglio 1904, n. 31.
238 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 giugno 1904, n. 26.
239 “La Gazzetta d’Acqui” del 9-10 luglio 1904, n. 28.
GAETANO
SBODIO
Nato a Milano nel 1844, dopo
aver sostenuto la parte di
amoroso in una compagnia di
filodrammatici milanesi, aveva abbandonato il mestiere di orafo per entrare nel
1869 nella compagnia di
Cletto Arrighi, dove era anche il Ferravilla; dopo aver
formato diverse compagnie
con il Ferravilla, si associò a
Davide Carnaghi, continuando negli anni successivi ad
allontanarsi e riavvicinarsi
ai due capocomici.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVINELLI
op. cit., vol. III, pp. 1508-9.
GLI ARTISTI
AUGUSTO
MUGNAINI
Nato a Lucca nel 1854, compare per la prima volta come
primo attore nella compagnia condotta da Luigi
Raspantini nel 1882-1883;
entrato nella Francesco
Ciotti-Giovanni Serafini-Sante Pietrotti insieme alla
moglie Giuseppina, passò poi
in diverse compagnie, con
funzioni anche amministrative; diresse il Politeama
“Ernesto Rossi” di San Remo
per qualche mese, e nel 1909
il Teatro lirico di Milano,
prima di dedicarsi al cinema.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVINELLI,
op. cit., vol. III, pp. 1438-1439.
GLI ARTISTI
FRANCESCO
ARTALE
Dopo aver lasciato gli studi
di legge nel 1866, Artale era
entrato per le parti di generico nella compagnia Sterni;
salito presto al grado di primo attore, era passato per le
migliori compagnie del suo
tempo, fino a diventare nel
’75 conduttore e direttore di
una propria compagnia, della
quale fu anche il primo attore fino al ‘91.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit.,
vol. I, pp. 226-227.
è composto di assolute novità, se si esclude
Teresa Raquin che è di fatica speciale della
Pedretti che della sua parte seppe fare tale una
creazione da ottenere il plauso di tutta la critica
italiana”, tutte “eseguite veramente bene”240. In
un teatro gremito, la Artale Musella incarna “in
modo squisito”241 il personaggio di Lea nell’opera omonima, ottenendo applausi e fiori e straordinario è il successo che riscuote per l’interpretazione di Caterina la Maslova nell’opera
Resurrezione di Tolstoj. Il Rivalta per la sua serata
sceglie Il padrone delle ferriere di Ohnet e di lui
scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”: il
Rivalta “già diede agli acquesi prove non dubbie
di essere un buon comico, peccato sia con questo repertorio un po’ sacrificato. Speriamo di
risentirlo ancora sovente perché non ci pare che
il pubblico prediliga assolutamente i lavori comici”242. Col succedersi delle recite, il pubblico può
meglio apprezzarlo:
“(…) dal fiuto molto fine, ha compreso
il pubblico e i sui gusti, ed ha fatto la
scelta dei lavori da eseguirsi in modo da accontentare tutti. Inappuntabilmente elegante ed efficace in
Scellerata. Interpretazione squisita la conferenza La
donna ed il monologo Parva Favilla. L’esecuzione di
Casino di Campagna non fu discara all’uditorio, perché anche qui l’attore seppe trovare la giusta misura
della comicità”243.
Si scrive ancora su di lui:
“Il sig. Rivalta è l’attore drammatico per eccellenza
perché dalle sole posizioni veramente drammatiche
viene preso ed Egli ad esse sa darsi intero, con tutta
la violenza rude della verità”244.
146
240 “La
241 “La
242 “La
243 “La
244 “La
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
d’Acqui” dell’8-9 luglio 1905, n. 28.
d’Acqui” del 12-13 agosto 1905, n. 33.
d’Acqui” del 5-6 agosto 1905, n. 32.
d’Acqui” del 19-20 agosto 1905, n. 34.
d’Acqui” del 26-27 agosto 1905, n. 35.
Il fontanino
dell’acqua marcia ai
primi del Novecento.
La fotografia
è tratta dal volume
di Piero Zucca
Chiriusitâ d’Âic,
Acqui 2004.
Chiude la stagione la compagnia marionettistica Salice.
Un articolo apparso su “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 luglio ci rivela che nonostante gli interventi di due anni prima, le condizioni dell’edificio non erano delle migliori:
“L’intera cittadina conosce ormai come siano tenute
le Vecchie Terme dalla sfruttatrice società che ne ha
l’appalto. Tutto v’è trascurato, pur di fare un’economia degna dell’ultimo degli spilorci, anche a danno
dell’estetica e fors’anco dell’igiene, con grave scandalo dei forestieri che vengono – per forza – a fare la
nostra cura termale. (…) Sere sono, dunque, in un
entre-acte tre signore della compagnia – delle quali
una in stato interessante – si erano ritirate nel
camerino di una delle medesime e stavano chiacchierando allegramente attendendo l’alzarsi del
sipario, allorché tutto ad un tratto il pavimento – che
è di legno e corroso dal tempo – sprofondò e con esso
le povere signore. Figurarsi lo spavento di tutti ed in
modo speciale del marito di quella povera signora
che più delle altre aveva ragione di temere.
Fortunatamente le tre attrici vennero estratte e con
grande gioia di tutti si constatò che esse se l’erano
147
passata soltanto con un po’ di paura. Fu veramente
un bel miracolo”245.
Nel 1906 il teatrino si apre con la compagnia del cav. Mugnaini, che
alterna opere serie e facete; il pubblico accorre abbastanza numeroso
soprattutto per ammirare Enrichetta Camuncoli, che “si dimostra
attrice intelligente in ogni ruolo: appassionata Clara nel Padrone delle
Ferriere, alla fine ingenuità di Emma nella Figlia di Jefte ed alla veloce
facondia e grazia squisita del Casino di Campagna”246, ed il cav. Mugnaini,
chiamato alla ribalta nella sua serata con Il trionfo d’amore di Giacosa.
Le produzioni sono nel complesso ben eseguite247, soprattutto La mandragola del Machiavelli e La locandiera di Goldoni, e la messa in scena è
sempre accurata. La stagione si chiude con la solita compagnia di
marionette.
Il pubblico frequenta numeroso il teatrino anche nel 1907 grazie alla
compagnia di Alberto Brizzi ed Enrico Corazza, “insuperabili qualunque
parte sostengano: trascinano l’uditorio per tutta l’azione della commedia senza stancarlo mai, lo fanno passare dal riso intenso alle lacrime
insensibilmente”248. Nella serata del Brizzi il teatrino è gremito:
“(...) egli non conosce ruolo ed agisce dappertutto
sostenendo qualunque commedia coll’arte di risorse
tutte sue. Mercoledì lo avemmo brillante in Villa
Silvia; monologhista e musico in Casa X; prestidigitatore e trasformista sotto l’abito del parigino
245 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 luglio 1905, n. 31.
246 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22 luglio 1906, n. 29.
247 Non entusiasma la novità parigina Florette e Patapon di M. Hennequin e P.
Veber, né per la produzione né per l’esecuzione.
248 “La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 luglio 1907, n. 27.
GLI ARTISTI
ENRICHETTA CAMUNCOLI
Sugli abiti della Camuncoli si legge nella
“Bollente” del 26 luglio 1906 n. 30: “(...) la
E. Camuncoli nel Padrone delle Ferriere e
nella Statua di carne fece sfoggio di toilettes degne della Reiter e della Di Lorenzo”;
nel numero successivo: “(...) in Fedora la
Camuncoli sfoggiò una toilette di chiffon
verde mare e pagliette d’argento, ed un’al-
tra a pagliette d’oro appena uscita dalla
sartoria Olivieri di Venezia, due toilettes
che sono una meraviglia come gusto e
come accuratezza di esecuzione così da
destare nel pubblico una vera ammirazione”; rosso scarlatto era invece l’abito indossato in Pillole d’Ercole di P. Bilhaud e M.
Hennequin.
R.Br.
Antoine Babillard. Entusiasmò l’uditorio che applaudì sinceramente ogni numero”.249
Le lodi non mancano neppure al Corazza ed al Mezzetti:
“Nella riproduzione dei vari tipi il Corazza usa sempre un’arte minuziosa e sincera senza trasmodare
mai: cosa questa assai difficile se si pensa che l’attore del teatro dialettale è tentato spesso dall’effetto
che degenera in volgarità. (…) D’ingegno pronto e
versatile il Mezzetti ci presenta macchiette d’ogni
età e condizione, sempre inappuntabili e gustose per
verità e per quella verve di cui egli sa rivestirle”250.
Dopo alcune recite della compagnia Città di Torino nell’estate del
1908, nel 1909 il teatrino si apre ad alcune apprezzate recite della
Compagnia Comica Italiana diretta da Umberto Furian.
Nel 1910 giunge la compagnia Corsari-Amilene con Zoe e Italia
Amilene, applaudite nelle romanze e nei duetti. Questo è l’ultimo anno
di vita del teatrino, che verrà demolito nell’aprile del 1911; gli spettacoli di varietà continueranno a svolgersi nel caffè e nel salone Vecchie
Terme, quest’ultimo trasformato dall’impresario Ivaldi in teatrino per
la stagione estiva del 1915; un altro teatrino improvvisato era situato
nella galleria dell’Albergo Nazionale, dove si esibisce nel settembre
1894 la compagnia Merone, essendo chiusi tutti gli altri locali.
249 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 luglio 1907, n. 30.
250 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 agosto 1907, n. 31.
149
IL TEATRO
DELLA SOCIETÀ OPERAIA
Nel 1896 l’instancabile impresario Ivaldi ottiene dal Genio
Civile l’autorizzazione ad inserire un palcoscenico nella
sala della Società Operaia
(palazzo Jona) per adattarla a
teatro; nonostante gli interventi successivi, rimarrà un locale troppo angusto e con un
palco meschino. Inaugura il locale la compagnia De Farro
con Niobe, offrendo un vario
repertorio composto dai
drammi del teatro tedesco e
francese e da commedie brillanti e di costume251.
Il 1° dicembre, dopo nuovi
piccoli interventi alla sala, inizia un corso di rappresentazioni la compagnia Bonelli:
nonostante l’affiatamento degli attori, il pubblico è scarso,
trattenuto dal maltempo, e
giunge numeroso solo per la
messa in scena di La valanga
dell’avv. Angelo Monti.
251 Tra i drammi ricordiamo, oltre
a Casa Paterna di Sudermann e
Anime solitarie di Hauptmann,
Due orfanelle di Cormon e
Dennery; tra le commedie Il
mondo della noia di Pailleron e
La zia di Carlo di Brandon
Thomas.
Edificio SOMS, Archivio Storico della Società Operaia, Acqui.
150
Il 1897 si apre con la compagnia filodrammatica Giovanni ValentiniRighelli, composta da attori giovani tra cui l’alessandrino Guido
Vincenzo Pugno. Gli spettatori, poco numerosi inizialmente, aumentano grazie alla maggior cura degli artisti nella messa in scena252 e alla
presentazione di “belle produzioni”253, come Gli spazzacamini di Val
d’Aosta di G. Sabbatini, Le nostre alleate di L. Moreau, Il padrone delle ferriere di Ohnet, La zia di Carlo di B. Thomas, Catterina II di Cuciniello
Della Torre.
L’anno successivo, dopo la compagnia eccentrica dei fratelli Cassnel e
le marionette di Sebastiani, viene scritturata la compagnia del cav.
Piemontese: il repertorio contiene “produzioni non nuove, ma gustate
per il loro valore artistico, per il contenuto e per la lodevole esecuzione”254; piacciono la Venturini, “artista intelligente e corretta”255, brava
specialmente in Donna romantica e La civetta di G. Antona Traversi, e
felice dilettante di canto in Dora di Sardou e Santarellina, e il cav.
Piemontese, “intelligente, spigliato, elegante”256, ammirato specie ne La
bisbetica domata.
A metà maggio il pubblico assiste alla straordinaria rappresentazione
della compagnia diretta da Ernesto Olivieri: le opere piacciono, in particolare Partita a scacchi di Giacosa, replicata, a cui prende parte il filodrammatico acquese Luigi Bovano.
252 Tra le prime opere rappresentate vi è Niobe, sulla cui messa in scena scrive il
cronista de “La Bollente”: “Con Niobe si ebbe la miglior serata della stagione.
Con studio, perduta un po’ la tendenza alla declamazione, diventerà certo eccellente” (“La Bollente” del 18-19 febbraio 1897).
253 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 marzo 1897, n. 13 e del 10-11 aprile 1897, n. 15.
254 “La Gazzetta d’Acqui” del 16-17 aprile 1898, n. 16.
255 Ibidem.
256 Ibidem.
GLI ARTISTI
ISOLINA PIAMONTI
Faceva parte della compagnia De Farro
Isolina Piamonti: nata a Firenze nel 1841,
aveva esordito come amorosa nella compagnia di Luigi Domeniconi, passando poi con
Gaspare Pieri, prima attrice giovane con
Cesare Dondini, con Tommaso Salvini,
Achille Maieroni, per tornare con Achille
Dondini come prima attrice assoluta; percorse i principali teatri italiani ed esteri al
fianco dei più famosi artisti e sposò Alfredo
Piamonti, attore generico e amministratore.
R.Br.
Cfr. anche L.RASI, op. cit., vol. II, p. 274
IL TEATRO E LA CITTÀ
LUIGI BOVANO:
PASTE DOLCI E VERSI
...SALACI
Luigi Bovano è un pasticcere con il gusto
della poesia. Titolare di una panetteria sita
nel centro storico, in via Bollente, “casa del
signor Dotto”, fu abituale inserzionista
della “Gazzetta d’Acqui” di fine Ottocento.
Si ritagliò notorietà non solo con “torroncini e panettoni, focacce alla casalinga e no,
paste e pastine speciali per bambini vecchi
e ammalati”, ma con un verso decisamente
ruvido.
Luigi Vigorelli lo dice “soggetto e oggetto di
motti feroci e denigratori” ma talora “sentimentale, a volte anche puerile”, segnalandone tanto la vena “bellica”, quanto quella
goliardica.
Anche se talora si firmava “il buon Bovano”
e cantava il “dolce suo pan”, non gli riuscì
mai di castigare la propensione ad andare
sopra le righe. Quando nel 1882 la morte di
Garibaldi addolorò la città (“La Gazzetta
d’Acqui” del 13-14 giugno) se ne venne fuori
con un testo discutibile che si chiude con
un’epigrafe “Foss’anche oro colato, è roba
mia / tanto basta; dev’esser porcheria”, che
dimostra la coscienza di essere incompreso
da gran parte della società dei letterati (che
sono poi gli avvocati, giornalisti,scrittori,
attori per diletto - i Ferraris, i Core, i
Bistolfi, i Chiaborelli, i Cortina - che allestiscon la gazzetta).
Non stupisce così che il poeta–pasticcere
non trovi posto sul supplemento Numero
Doppio Mensile Letterario DML che nel
1888 accompagna la “Gazzetta d’Acqui”. Il
direttore Carlo Alberto Cortina è categorico: “Il vostro concetto bernesco non è fatto
pel nostro giornale!” (3/4 marzo)”. Come
non dargli torto visto che nella rubrica
della posta (31marzo/1 aprile) compaiono
due incipit -“Dal c.. d’ina galeina…” e “Quei
bei pantoffolin che m’hai spedito…” - dalla
matrice sicuramente troppo “prosaica”.
A Bovano resta allora... il Carnevale.
Carnevale 1893 al Dagna. “Teatro completamente trasformato in una elegantissima
sala... i palchi - tranne due chiusi per
recente lutto - gremiti di signore e signorine in ammiratissima tolette...nè si deve
dimenticare l’impresa della luce elettrica
[che giunge ad Acqui nel settembre 1893: i
primi a beneficiarne gli edifici della
Contrada Nuova] che seppe far miracoli
illuminando a giorno il teatro”.
C’è la mascherata ( si distinguono i giovani
della scuola di scherma e ginnastica
Martinelli) ma anche il “gran poeta
Bovano. Questi, inspirato dalle Muse, fende
la folla imperterrito, seguito ognora dalla
sua dolcissima metà, la
fedele e castissima Sinforosa, e ambedue, al
colto e all’inclita, vendono a tenuissimo
prezzo, a scopo di
beneficenza, il prodotto del loro poetico
ingegno, non risparmiando frizzi, epigrammi ad alcuno,
la Camera compresa”.
“L’intermittente”, numero del 18 febbraio 1898.
BCAT, Sezione locale, emeroteca.
Nel marzo 1899 il teatrino apre i
battenti con la compagnia Tofarelli e
Musso: il pubblico inizialmente scarso per la mancanza di reclame,
comincia a giungere più numeroso
con Sara Felton dell’Interdonato. A
partire dal 1900 i periodici non annotano, per il teatrino della Società
Operaia, intrattenimenti che non
siano feste da ballo; solo nel 1905
registrano gli spettacoli della compagnia di marionette Salice e nel
1910 qualche recita delle Giovani
Operaie.
I CAFÉ-CHANTANT
Direttore del giornale “L’intermittente” (di nome e di fatto...), collaborò anche con il Tarditi (che gli
musicò Due canti della Leva 1875 e
– sembra – altre composizioni),
dando poi alle stampe nel 1912 e
poi nel 1915 due raccolte di “canti
marziali popolari in lingua e dialetto acquese, con altri pochi versi
di argomento vario” – che hanno
titolo Guerra Italo Turca e Guerra
Italo Austriaca.
G.Sa.
Cfr. anche Garibaldi fu scolpito...
una dedizione patria (2) pubblicato
su “L’Ancora” numero 27 del 2002;
Un ballo al teatro Dagna in “Corale
Città di Acqui Terme”, n. 1, 1994;
L. VIGORELLI, La poesia dialettale.
Voi mi parlate... e Fine [due sonetti
di Luigi Bovano] in “Corale Città di
Acqui Terme”, IX, n. 2 1994.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio
del Novecento fioriscono nelle
maggiori città italiane numerosi
café-chantant: accanto a questi locali, dove risplendono artisti ed attrazioni nazionali ed internazionali,
centinaia di altri se ne contano nelle
città di provincia:
“Non c’è capoluogo, o
grosso centro o piccolo,
che non abbia il suo
Apollo, il suo Eden, il suo
Kursaal, il suo Orfeo: si
può dire anzi che i locali
di provincia sono i preferiti dalla stragrande
maggioranza degli artisti di café-chantant, delle artiste, soprattutto,
per le possibilità di conoscenze e relazioni che offrono tanti ricchi centri
provinciali della Penisola”257.
257 S. DE MATTEIS, M. LOMBARDI, M.
SOMARÉ (a cura di), Follie del Varietà.
Vicende, memorie, personaggi. 18901970, Milano 1980, p. 13.
153
L’origine del café-chantant è francese: qui, sulle pedane costruite all’aperto accanto ai tavolini dei caffè più lussuosi delle città, si esibivano
comici, duettisti e cantanti scritturati dai proprietari dei locali. Quando
questa moda raggiunse l’Italia, si costruirono locali appositi per questo
tipo di spettacoli, per dare rappresentazioni in ogni periodo dell’anno.
Il primo locale di questo tipo in Italia fu il Salone Margherita di Napoli
inaugurato il 15 novembre 1890 sotto la Galleria Toledo258;
“Il modesto genere di spettacolo, cominciò a lievitare
allorquando sulle pedane dei caffè, al chiuso, o all’aperto, a “romanziere” inguainate in lunghissimi abiti
a strascico (nivei, a preferenza, e orlati di merletti), a
tenori e baritoni (il basso era escluso), in perenne
attesa di contratti per i grandi teatri d’opera, si sostituirono prosperose figliole del popolo del tutto sprovviste di beni vocali ma ricche di sorrisi affascinanti,
di turgidi seni e di abbondanti natiche”259.
Il programma dei caffè-concerto era piuttosto monotono: s’iniziava
con alcune suonatine dell’orchestra, stratagemma dell’impresario per
risparmiare qualche soldo; seguivano le canzonettiste, ed il numero dei
lottatori o dei ginnasti: trapezisti, sbarristi, eccentrici cascatori, ciclisti,
contorsionisti, antipodisti, con esercizi che provenivano dal circo
equestre; poi la “cantante di voce”, detta anche romanziera perché
cantava romanze; dopo un giocoliere, un prestigiatore ed una ballerina, veniva il comico, a volte sostituito dal “fine dicitore” che raccontava in versi e a tempo di musica alcuni casi compassionevoli; infine
arrivava la diva, “una bella creatura non più giovanissima, che non si
peritava a mostrar le gambe, che rimbeccava con sfrontatezza tutti gli
spettatori in vena di far gli spiritosi, che lanciava gli ultimi successi della
canzone e pretendeva ostinatamente che il pubblico ripetesse in coro
il ritornello”260. Queste erano le attrazioni alle quali il pubblico poteva
assistere nei caffè-concerto, mercè un aumento sulla consumazione.
Numerosi sono i caffè-concerto che nascono in Acqui alla fine
dell’Ottocento: nel 1894 si apre l’Aida, accanto alle Nuove Terme, e un
caffè-concerto nel giardino dell’Albergo d’Italia, nella zona Bagni; nel
1895 Pietro Ferraro apre il caffè Vittorio Emanuele, nel Palazzo Toso,
al quale si aggiunge successivamente una sala a uso café-chantant con
all’estremità un piccolo palcoscenico; infine nel 1899 anche il teatrino
Vecchie Terme viene ridotto a caffè-concerto. Oltre allo spettacolo di
varietà questi locali ospitavano occasionalmente spettacoli di prosa.
154
258 F. CAPPA, P. GELLI (a cura di), Dizionario dello spettacolo del ’900, Milano 1998,
voce “varietà”, p. 1118.
259 S. DE MATTEIS, M. LOMBARDI, M. SOMARÉ (a cura di), op. cit., p. 20-21.
260 Ibidem, pp. 53-57.
APPENDICE
DOCUMENTARIA
Bosinata nella quale l’autore disapprova la proposta, avanzata da Luigi
Dagna, di occupare una parte della Contrada Nuova per permettere il
rettilineamento della facciata del Teatro Dagna col fronte degli altri edifici della via.
SUPPLICA ALL’AUTORITÀ SUPERIOR
OSSIA
DIFFESA DI PAPOT.
ODE
“E l’han spedì sul camp na comission,
La qual second la norma ch’a j’han dji
Doveis portesse subit da Platon,
Pregandlo ch’a l’aveis un pò agiutaje”.
Calvo
Nost Sgnor eccelentissim,
E Padron nost colendissim,
Ecco sì ch’a Voi davanti
As presenta d’ supplicanti,
Implorand vostra giustizia
Per reprime la nequizia.
Noi i souma dle Famje
Dla Sità Decurionai:
Le nost arme a van unje
Con le teste d’ pito e d’ gai
Souma gent, ch’ant ’l cupiss
I’ouma d’ roba ch’a stupiss:
Souma ver teste da pruca,
Iv’ contoma nen na cuca
Rispettos, subordinà
A la vostra autorità,
Souma anfen nen tabalore,
Com l’è public e notore.
E perciò j’avouma drit
Ch’an rispèto e grandi e pcit,
Che trovandne andand a spas
An saluto con j’euj bas:
Ch’an ubdisso prontament
Esternand nost sentiment;
E che tutt peù ’n sostanza
L’abbio nen con noi d’ baldanza,
Ma ch’an dago pr da bon
Semper preuve d’ sommession.
Pur, cos veule? Certi taj
L’han sercà d’ butene ’n piassa,
Disend ch’l’ero d’ vecia rassa,
Ostrogoti, antisociaj.
Guardè ’n pò che impertinenze,
Che bestemie, che insolenze?
E per tan ch’ sje informà
Bin affait d’ tutt lon ch’è stà,
Permettrè liberament
D’ contè ’l fatt minutament.
L’è quaich meis ch’as è trattasse
D’ fè si in Acqui ’n nov palasse,
Ch’a contnejsa ’n nov Teater
Pi spazios pì pulidin,
Perché ’l vej d’ Bacajasin
L’era bon mac pì pr’i sguater.
Pense ’npò s’ lolì a l’era
Nen un piat d’ bona cera
Da offrisse a noi Magnati,
Ai Frostè, ai Impiegati?
Perciò vnend d’ dè nost giudise,
Nost parer su st’edifise,
I’ ouma sempre combinà,
Salvo ant la località,
E spiegand nost intenzion
Souma stait brav Decurion.
155
Bin content ch’ass abelieisa
La Sità pr’ogni rapport:
Bin content quand ass tratteisa
D’ migliorè la nostra sort:
Ma però senza ocupè
I sit public, e le strà,
Ma però senza serchè
D’ porte dan a la Sità.
Così a pensa ’n ver Patrise,
E tutt om ch’a l’ha giudise,
Così a penso, così a smia
A j’amant d’ Filantropia,
così a veul precisament
Nost decor, nost giurament.
156
Ma frattant ch’ noi rasonavo
D’aitri ai n’era ch’a poussavo
Per fè contra, e fè d’ barbis
Tant a noi, com al pajs.
Lì s’ trattava d’ pie ’n toch d’ piassa,
D’ porten via na bona fassa,
Restringend la strà dla Roca:
I la veule pì baroca?
Li s’ trattava d’ portè via
Tutt la vista dla fontana:
Peurlo dèsse la parja,
I la veule pì bagiana?
Li s’ trattava d’esse priv
D’ na part d’aria d’ meza neuit,
E perdend el color viv
Acquistè coul di pom cheuit.
Li s’ trattava d’ danegiè
I mercà di fen, dle cane,
E ’l comerse ch’ n’han portane
Brav paisan, bravi frostè.
Con coul porte li s’ trattava
D’ rende ’n sit insidios,
Sbergnachè, e rompe j’ òs
A qualunque ch’a passava,
E mandelo al Creator
A rusiè là di pom d’or.
Li s’ trattava d’ novità
Sull’entrada dla Sità,
Che da temp immemorial
Sempr a l’era stait ugual.
Li s’ trattava d’ fè da tone
Fasand mac da testimone;
Li s’ trattava d’ lasse fè
Sul pretest d’ rettilinee;
Li s’ trattava…ma cos mai
Rimontè su tanti guai?
Se tutt sôn per nost malheur,
Ah, disendlo ’n manca ’l cheur!,
L’è present, pa pì futur,
Iv lo diouma per sicur?
Son unisse, son parlasse,
El partì s’è rinforsasse,
L’han trattane da mincion,
L’han batsane per d’ cojon,
E malgrè tutt nost fracàs
Souma stait con tanto d’ nàs.
D’ nost proteste son burlasse,
L’han batsàje per grimasse,
L’han butane ant un sestin,
Com si fusso d’ buratin.
L’han sercà d’ mandane a scola,
N’han mostrà la musarola,
E j’è fina chi l’ha osà
D’ sovvertì i nost drit d’ Sità.
Dop lolì d’impertinenze
A l’han dine an desinenze
A l’han fait d’ businade,
A l’han dine mill balade,
Com si fusso dla plebaja,
Ciavatin, o fieui d’ gheusaja,
Quand nost sang l’è sempre stait
Pì pulid, pì bianc del lait.
I lassouma adès ch’immagine
Con tutta sta faragine,
Se ’l servel a dev nen esse
Tutt aceis per lamentesse,
Per ciamè da Voi giustizia
Ond reprime la nequizia.
L’è bin vera che nost Sgnor
L’ha cmandane d’ perdonè,
Ma noi souma pa Dottor
Per podei interpretè
Un precèt ch’ha nen lassà
El nost càs bin precisà.
Perciò adès Eccelentissim,
E Padron nost colendissim
Prima d’ tutt noi i ciamouma
Formalment testimoniai
D’le proteste ch’ rinnovouma
D’ nen piè part a tanti guai,
Ond a sappio nost talent
I passà, futur, present.
Peui ciamouma d’ provvidense
Com ricedo le emergense
Com sarà vost bon avìs
Contra tuti i nost nemìs.
Si ’l giudise l’è sommare,
A riced pa gnun scartare,
Perciò pronte inibizion,
Publichè d’ confiscazion,
Fè ’n sostanza d’ rimediè
A tutt lôn che Voi credrè,
Che na vostra provvidenza
A varrà pì ch’ na sentenza.
Coust l’è ’l vot ch’iv’inalzouma,
L’è la grazia ch’i ciamouma
Da zelanti Patriot,
Da bravissimi Papòt.
TRADUZIONE
SUPPLICA ALL’AUTORITÀ SUPERIORE OSSIA DIFESA DEI PAPÒT*
ODE
“Hanno spedito sul campo una
commissione, / la quale secondo la
norma che le hanno detto / dovrebbe portarsi subito da Platone / pregandolo di aiutarla un po’ ”.
Calvo
Nostro Signore eccellentissimo, /
e nostro Padrone colendissimo, /
ecco che davanti a Voi / si presentano dei supplicanti, / implorando
la vostra giustizia / per reprimere
la nequizia.
Noi siamo alcune delle famiglie /
decurionali della città (d’Acqui): /
le nostre armi vanno associate /
alle teste dei tacchini e dei galli. /
Siamo gente che sull’occipite /
abbiamo della roba che stupisce: /
siamo vere teste da parrucca, /
non vi raccontiamo una frottola, /
rispettosi, subordinati / alla vostra
autorità, /non siamo quindi dei
*
sempliciotti, / com’è risaputo.
E perciò abbiamo diritto / che ci
rispettino grandi e piccini, / che
incontrandoli quando si passeggia
/ ci salutino con gli occhi bassi; /
che ci ubbidiscano prontamente /
come esterniamo il nostro sentimento; / e che tutti poi in sostanza / non si comportino con noi
con tracotanza, / ma che ci diano
sul serio / sempre prove di sottomissione. / Pure, cosa volete?
Certi furbastri / hanno cercato di
buttarci in piazza, / dicendo che
eravamo dei reazionari, / barbari,
antisociali. / Guarda un po’ che
impertinenze, / che bestemmie,
che insolenze? / E per tanto è
necessario / che Voi siate informati completamente / di tutto quello che è successo, / e ci permettiate liberamente / di raccontare
il fatto nei dettagli.
Papòt: “nel giuoco delle minchiate [carte da gioco fiorentine in uso dal sec. XV.
Anche il gioco stesso]. Uno fra i tarocchi, segnato col numero cinque, che rappresenta il Papa” (V. di Sant’Albino, Gran Dizionario Piemontese-Italiano,
Torino 1962, ristampa anastatica). Qui con il probabile significato di “notabili”,
naturalmente solleciti del pubblico bene.
157
158
È qualche mese che si parla / di
fare in Acqui un nuovo palazzo, /
che contenga un nuovo Teatro /
più spazioso e più pulito, / perché
il vecchio di Bacajasin / ormai era
buono solo per gli sguatteri. /
Pensate un po’ che quello / non
era certo uno spazio / adatto a
noi Magnati, / ai Forestieri, ai
Funzionari dello Stato. / Perciò
arrivando ad esprimere il nostro
giudizio, / il nostro parere su questo edificio, / ci siamo sempre trovati d’accordo, / salvo per la scelta del sito; / e motivando le
nostre intenzioni / siamo stati
bravi Decurioni.
Ben contenti che si abbellisca / la
Città sotto ogni aspetto: / ben
contenti quando si trattasse / di
migliorare la nostra sorte: / ma
però senza occupare / i siti pubblici, e le strade, / ma però senza cercare / di recar danno alla Città. /
Così pensa un vero Patrizio, / e
tutte le persone assennate, / così
pensano, così sembra / agli amanti
della buona amministrazione, /
così esige precisamente / il nostro
decoro, la nostra etica.
Ma mentre si discuteva / ce n’erano altri che spingevano / per fare
dispetto / tanto a noi come alla
città. / Lì si trattava di prendere
un pezzo di piazza, / di portarne
via una buona fascia, / restringendo la strada della Rocca: / la volete più bizzarra? / Lì si trattava di
portare via / tutta la vista della
fontana: / si può ribadire il concetto: / la volete più sciocca? / Lì
si trattava di essere privi / di una
parte d’aria di mezzanotte, / perdendo il colore vivo / per acquistare quello della mela cotta. / Lì
si trattava di danneggiare / i mercati del fieno, delle canne, / e il
commercio che ci hanno portato
/ buoni cittadini, buoni forestieri. /
Con quel portico si arrivava / a
rendere quel posto insidioso, / ad
ammaccare e rompere le ossa / a
chiunque passasse, / e mandarlo al
Creatore / a rosicchiare lì delle
mele d’oro. / Lì si trattava di
introdurre una novità / all’entrata
della Città, / che da tempo immemorabile / era sempre stata uguale. / Lì si trattava di fare da babbei
/ facendo solo da testimoni; / lì si
trattava di lasciar correre / con il
pretesto di rettilineare; / lì si trattava…ma perché mai / rinvangare
tanti guai? / Se tutti sono per la
nostra sfortuna, / ah, dicendolo mi
manca il cuore!, / ormai è fatta, /
ve lo diamo per certo?
Si sono congregati, hanno discusso, / il partito si è rinforzato, / ci
hanno trattato da minchioni, / ci
hanno definiti coglioni, / e malgrado tutto il nostro gran rumore /
siamo rimasti con un palmo di
naso. / Delle nostre proteste si
sono burlati, / le hanno definite
uppie, / le hanno buttate in un
cestino, / come se fossero burattini. / Hanno cercato di mandarci
a scuola, / ci hanno mostrato la
museruola, / e c’è stato perfino
chi ha osato / di sovvertire i
nostri diritti sulla Città. / Dopo
queste impertinenze / ce le hanno
dette in rima, / ci hanno fatto
mille prese in giro, / come se fossimo della plebaglia, / ciabattini, o
figli di pezzenti, / quando il nostro
sangue è sempre stato / più puro,
più bianco del latte.
Vi lasciamo adesso immaginare /
con tutta questa confusione, / se il
cervello non deve essere / tutto
in fiamme per lamentarsi, / per
richiedervi un atto di giustizia /
per reprimere la nequizia. / È ben
vero che nostro Signore / ha
comandato di perdonare, / ma noi
non siamo dei sapienti / per poter
interpretare / un precetto che
non ha lasciato / il nostro caso
ben codificato. / Perciò adesso
Eccellentissimo, / e nostro Padrone colendissimo / prima di tutto
noi chiediamo / formalmente
testimoniali / delle proteste che
rinnoviamo / di non prendere
parte a tante iatture, / onde le
nostre volontà siano note / a passati, futuri, presenti.
Poi chiediamo di provvedere /
come richiedono le emergenze, /
secondo il vostro giusto parere, /
contro tutti i nostri nemici.
Se il giudizio è sommario, / non
richiede alcun codice, / perciò
preparate divieti, / procedete a
confische, / fate in sostanza di
rimediare / a tutto quello che Voi
crederete, / perché una vostra
provvidenza / varrà più di una
sentenza.
Questo è l’auspicio che vi innalziamo, / è la grazia che chiediamo
/ da zelanti Patrioti, / da bravissimi
Papòt.
Bosinata nella quale l’autore condanna le polemiche sollevate in merito all’erezione dei portici della facciata del Teatro Dagna.
LA FACIADA D’OU TEATER D’AICQ
CANT LIBER
Me s’a tas om ven la plìa
Framment antic.
Finalment son terminà
Tante lande, e tant’arlje,
Tant question, tante fandonie
Finalment j son finje.
An so nenta s’ouss tenrejva
Ant i limit ch’ m’a fass me,
L’era an pess ch’a st’ora ou j’ejva
Staffilà da cap a pè.
L’è mai temp ch’a vougha a ausesse
La faciada d’ou Teater…
Cosa j’ele?…Porlo desse
Ch’ou la stourba caichdin d’ater?
Am protest, ch’an savrò mai
Ou nom d’ couj ch’ son tant contrare,
Ma a so ben che pr’icc travaj
Ou j’è sta sinquanta gare.
Ele nent ancor bastanza
Tant scandol pr’el pajs ?
Finna quand j’avran baldanza
J’opponent, ed i nemis?
Ant el borg i mi contavo
E Boscoso, e ou sour Francion,
E frattant chi passigiavo
Iss scaudavo per da bon.
“Me s’a tas om ven la plia”,
Av l’ho dicc an bon monfrin,
E s’ou peis fè na sortja
Da ’n doua ch l’è cert quaichadin,
Arrivà po ant la pisterna
A la sejra andand a cà,
Taffa l’è compa Tamberna
Om fermava per la stra.
159
E poi senza tanç preambol,
Senza tante osservazion
Ou finiva d’ dì ch’ son d’ scandol
An Sità caich Decurion.
Permettim liberament,
Con in anim titt pachà,
Illustrissimi opponent,
D’ contè ’l vost bestialità.
A me om smjava d’impossibo
Ch’ouss podeissa questionè
Pr in pcitt sit d’ poche taule
Pr an po d’ post da fabbrichè.
Dop che’l corp d’ sittadinanza,
Congrega giudicialment,
Coi soi vot per maggioranza
L’ha decis concordement ;
Fin ch’ouss fissa ancor trattasse
Dop che ou sour ViceIntendent
D’ fe ’n toch d’ ghèt, o quaich sit lubric,
Trop dlicà, e prudentissim,
I’ero giuste tant grimasse
L’ha manda, pr’alvess da drent
Per difende i dritt del public.
I papè all’Eccelentissim;
160
Fin ch’ouss fissa questionasse
Pr’ou disegn, ou per l’autêssa,
Pr’el colone pe aute, o basse,
O pr el porte con pe ampiêssa,
E dop ch’Ist sapientement,
Senti j’un, e j’atr eccetera,
L’ha fa lò poi finalment
Al proget in forma vetera;
A j’avreiva dicc: bravissimi,
Or comprendo che i papot
D’la Staziella, illustrissimi,
I son veri patriot.
A me om smja ch’ou sarejva
Sta da firb, e prudenzial
Tranquillesse in forma debita,
E scansess quaich servizial.
Ma trattandse d’la faciada
Coi so porte d’in Teater,
D’ina blêssa d’la contrada…
Oh vergogna!…me an digh ater.
Ma sor nò: ant la manera
Che na bestia inferocja,
Anche fandje bona cera,
Maggiorment l’ass anrabja;
Stabilì na nova fabbrica
I val nenta la so scala?
Ele nent an us la pratica
Che i Teatro j’abbio l’ala?
Così lor per fas et nefas
I serchrejvo d’impedì
Ina cosa arcibellissima,
In travaj ch’l’è tost finì.
Coul toch d’ porte el nenta veira
Ch’ l’arparrà tanç da la piova?…
Ià ou rend vous poi pr la seira,
Pr’aspettè la linna nova,
A so ben che tra i Potent
Ou j’è semper caich arlja,
Ma perbacco an souma mia
Pe ’n t’ou secol d’ou sinqsent ?
Ele nenta in comodin
Pr icc fanciott, e pr iss matette?
Pr aspettè Peder, Gioannin,
Pr tant ater pcitt cosette ?
L’ostrogoti l’è mai temp
Chi bitejso an po pe d’ sal
E nent fe d’ persiste semp
Ant couj us antisocial.
Ma lassanda poi da banda
Titt ist bell’ commodità,
E via semper seguitanda
Ou discors ch’a j ho chmensà;
Ticc i trop in son nent san,
Tene ben soquè a memoria,
Ne quid nimis, l’è ’n Pagan
Ch’ou l’ha scricc ant la so storia.
E me adess per nent fe voughe
Ch’a smentja sta sentenza,
E pr alvem dant el pericol
Coum scappeis n’impertinenza,
Ecco a bèt ant in canton
E la piuma, e ’l caramà,
Ma se mai…sarò bon
A piel torna alaviarà.
TRADUZIONE
LA FACCIATA DEL TEATRO D’ACQUI
CANTO LIBERO
Io se taccio mi viene la plica*.
Frammento antico.
Finalmente sono terminati / tanti
pretesti, e tanti capricci, / tante
questioni, tante fandonie / finalmente sono finite.
È ormai tempo che si veda alzarsi
/ la facciata del Teatro… / Cosa
c’è?… Può darsi / che dia fastidio
a qualcun altro?
Non sono ancora sufficienti /
tanti scandali per la città? / Fino a
quando avranno ardimento / gli
oppositori, ed i nemici?
Io se taccio mi viene la plica? / Ve
l’ho detto in buon dialetto monferrino, / e se qualcuno potesse
fare una sortita / da dove se ne
sta rintanato, / non so se si terrebbe nei limiti / come faccio io: /
è da un pezzo che mi avrebbe /
staffilato da capo a piedi.
*
Io protesto, che non saprò mai / il
nome di coloro che sono tanto
contrari, / ma so bene che per
questo lavoro / si sono fatte cinquanta gare.
Così nel bel Borgo mi raccontavano / Boscoso e il signor Francion, / e mentre passeggiavano / si
scaldavano sul serio.
Arrivati poi alla Pisterna / la sera
andando a casa, / eccoti che compare Tamberna / mi fermava per la
strada.
Poi senza tanti preamboli, / senza
tante osservazioni, / finiva di dire
che sono di scandalo / nella città
alcuni Decurioni.
A me pareva impossibile / che si
potesse questionare / per un piccolo sito di poche tavole, / per
una piccola area da fabbricare.
Finché si fosse trattato di fare /
un pezzo di ghetto, o qualche sito
La “plia” o “plica” è un genere di malattia attestato nella Vita del Beato Ladislao
e altrove: prese ad essere osservata alla fine del XVI secolo. In vernacolo tedesco si diceva “gozdziac”: è una malattia che dai capelli si propaga alle vene, ai
nervi, ai muscoli, alla carne e alle ossa, provocando dolorosi tormenti in tutte le
membra, vomito e convulsioni. Cfr. DU CANGE, Glossarium mediae et infimae
latinitatis, Graz 1954, VI, p. 372, ad vocem. “Aspetto arruffato e opaco dei capelli dovuto a scarsa pulizia, a presenza di parassiti e ad alterazioni cutanee di
varia natura, già creduto manifestazione di una malattia (per lo più nell’espressione di Plica polonica, per essere stato osservato soprattutto in Polonia”:
Grande Dizionario della Letteratura italiana, XIII, Torino 1986, p.670.
161
indecente, / erano giuste tante
storie / per difendere i diritti dei
cittadini.
Finché si fosse questionato / per il
disegno, o per l’altezza, / per le
colonne più alte, o basse, / o per i
portici di maggior ampiezza. /
avrei detto: bravissimi, / ora comprendo che i “papòt” / della città
[d’Acqui], illustrissimi, / sono veri
patrioti.
Ma trattandosi della facciata, / con
i suoi portici, di un Teatro, / della
bellezza della contrada…/ Oh
vergogna!…io non dico altro.
Stabilito un nuovo edificio, / non
ci vuole la sua scala? / E non è in
uso la pratica / che i teatri abbiano l’ala?
Non è vero che quel pezzo di
portici / riparerà dalla pioggia?…
/ Ve lo raccomando per la sera, /
per aspettare la luna nuova, / e
non è proprio comodo / per questi ragazzi e per quelle fanciulle? /
per aspettare Pietro, Giovannino /
e per tante altre piccole cosette?
Ma lasciando da parte / tutte queste comodità, / e continuando / il
discorso che ho cominciato; /
permettetemi liberamente, / con
animo pacato, / illustrissimi oppositori, / di raccontare le vostre
bestialità.
Dopo che il corpo della cittadinanza, / congregato secondo la
legge, / con i suoi voti di maggioranza / ha concordemente deciso;
/ dopo che il signor Vice-Inten-
162
dente, / troppo delicato, e prudentissimo, / ha mandato, per
levarsi il fastidio, / i fogli all’Intendente; / e dopo che questi
sapientemente, / sentiti gli uni e
gli altri eccetera, / ha fatto finalmente / il progetto definitivo; / a
me sembra che sarebbe / stato
meglio, e prudente / calmarsi
come si deve / e risparmiarsi
qualche serviziale.
Ma lorsignori no: nello stesso
modo / che una bestia inferocita,
/ anche facendole buona cera, / si
arrabbia sempre di più; / così loro
a ragione o a torto / cercavano
d’impedire / un cosa arcibellissima, / un lavoro che è appena finito.
So che tra i potenti / c’è sempre
qualche capriccio, / ma perbacco
non siamo mica più / nel
Cinquecento?
È ormai tempo che i barbari /
mettano un po’ di sale in zucca, /
e non continuino / con i loro
comportamenti antisociali.
Tutti gli eccessi non sono sani, /
tenetelo bene a mente, / ne quid
nimis [senza esagerare], é un
pagano / che lo ha scritto nella
storia.
E adesso per non far vedere / che
dimentico questa sentenza, / e
per togliermi dal pericolo / che
mi scappi una impertinenza, /
ecco metto da parte / la piuma e
il calamaio, / ma se mai…sarò
pronto / a riprenderli presto.
ACQUI
TEATRALE
BELLE ÉPOQUE
DALLA
ALLA VIGILIA
DELLA SECONDA
GUERRA MONDIALE
IL POLITEAMA GARIBALDI
LA GENESI
Lettera, datata 22 febbraio 1860,
di Giovanni Borreani,
presidente della SOMS
al Sindaco di Acqui per la
sottoscrizione in favore
di Giuseppe Garibaldi.
ASCAT, Sez. II, Serie XXI,
faldone 24.
Il documento costituisce
un’ulteriore prova
dello stretto legame tra
il Generale dei Mille e la città.
Opportuno ricordare che
Garibaldi aveva soggiornato
ad Acqui nel 1854,
presso l’Albergo del Pozzo,
in piazza Vittorio,
come riportato da una targa,
del 1885, opera dello scultore
genovese Canessa,
oggi rimossa e conservata
presso i magazzini del
Museo Archeologico.
Nell’ultimo ventennio del secolo la città di Acqui realizza una serie di
opere di grande rilevanza al fine di meglio accontentare le esigenze dei
turisti, molti dei quali giungono per le cure termali, e di rendere più
decorosa e vivace l’esistenza dei cittadini: la costruzione delle linee
ferroviarie per Asti e Genova, che vanno ad aggiungersi a quelle per
Alessandria e Savona, l’edificazione della nuova sede del Presidio
Militare, del Palazzo delle Scuole Elementari, la realizzazione di migliorie dell’arredo urbano.
Palazzo Papis,
dinnanzi al
Teatro Garibaldi.
LA STORIA
ACQUI TERME DAL 1880 AL 1941
L’inaugurazione (l’11 maggio 1879) del
tempietto della Bollente commissionato da
Saracco all’architetto torinese G. Cerutti si
può idealmente assumere a emblema Belle
Époque acquese, di un periodo cioè che vide,
fra l’altro, sorgere la biblioteca circolante,
una Scuola di arti e mestieri (sovvenzionata dalla munificenza di Jona Ottoleghi,
quasi a sottolineare l’avvenuta integrazione della comunità israelitica, per secoli vessata ed emarginata, nel contesto cittadino),
nonché i progetti relativi alla caserma militare, alla piazza d’armi, al poligono di
tiro… Tra la fine degli anni settanta e la
prima metà degli anni ottanta si consumò
l’epopea dell’esploratore Giacomo Bove, di
cui gli Acquesi seguirono con orgoglio e con
trepidazione le imprese sui giornali di casa.
Al 1890 risale l’edicola in stile neoclassico
del Fontanino, in zona Bagni, mentre al
secolo successivo si devono i primi insediamenti industriali di un certo respiro: la
MIVA (industria vetraria), la Società
Anonima Fulgor (per la produzione e la distribuzione di energia elettrica) e Lama
Italia, la futura Kaimano (fabbrica di coltelli e rasoi). A cavallo dei due secoli si ebbe
un’epidemia di vaiolo che lasciò incresciosi
strascichi. Nel 1910, con la costituzione
della Società Cittadina per l’esercizio delle
Terme, comincerà il periodo d’oro del turismo termale acquese, destinato a rinnovarsi negli anni trenta, quando alla creazione
di un apposito Centro Studi terrà dietro l’istituzione di una pregiata clinica fangoterapica e il Kursaal Teatro acquisterà rinomanza internazionale, grazie anche all’i-
naugurazione della più grande piscina termale d’Europa. Nel mezzo, la parentesi
cruenta della prima guerra mondiale: nel
1915 Cesare Battisti tiene in città un fervido discorso interventista. Del 1928 è l’acquedotto municipale; del 1930 l’asilo infantile intitolato ai fratelli Moiso; del 1934 la
casa di riposo intestata ad Arturo Ottolenghi, alla quale contribuirono l’architetto
Marcello Piacentini, lo scultore Arturo
Martini ed altri insigni artisti. Al Piacentini si devono inoltre la splendida villa e il
mausoleo Ottolenghi, in località Monterosso, pur essi illustrati da pregevoli opere
d’arte. Tra liberty e stile littorio si va pian
piano esaurendo, con altri episodici esemplari architettonici, la spinta propulsiva di
una stagione ricca di intraprendenza pubblica e privata. Così, tra mostre varie, raduni automobilistici, feste vendemmiali e
memorabili sfilate carnevalesche, nel quieto torpore di una vita provinciale ravvivata
da macchiette e da poeti in vernacolo, non
più depressa dalla crisi economica, suggestionata o galvanizzata dalle parole d’ordine del regime fascista, anche Acqui si avvia, sul finire degli anni quaranta, al drammatico risveglio della guerra, con la diaspora degli ebrei, i funesti raids aerei, il riaffacciarsi della paura e della fame. E così
un’epoca a suo modo fascinosa tramonta
per sempre.
C.Pr.
Cfr. anche E. COLLA, Aquae Statiellae.
Acqui Terme nella Storia, Genova 1978; M.
BURATTI - A. SANQUILICO, Alla scoperta di
Acqui Terme. Guida turistica, Genova 2003.
In questo contesto s’inserisce la pressante esigenza, fortemente
espressa anche dalla stampa, di dotare la città di un nuovo teatro.
In una riunione del 25 luglio 1887 la Società degli Esercenti e
Commercianti decide di farsi promotrice dell’erezione di un Politeama
per i forestieri, “invitando i corpi morali, le associazioni, e cittadini ad
intervenire ad apposita adunanza (...), onde escogitare i mezzi per tradurre in effetto colla maggiore sollecitudine possibile il nobile e
patriottico disegno”1. La stampa (cfr. “La Bollente” del 9 agosto 1887,
n. 29) segue con attenzione il procedere dell’iniziativa, consapevole
dell’importanza di tale impresa:
“La utilità in Acqui di un teatro comodo, spazioso,
elegante, che risponda alle esigenze ed alle aspirazioni della città è vivamente e da ognuno sentita.
Acqui a cui dischiudesi un così brillante avvenire,
non deve rimanere inerte di fronte alle nuove vie di
prosperità e di ricchezze che stanno per aprirlesi
dinnanzi. Stazione balnearia di primo ordine fin ora
nulla o ben poco si è fatto per rendere anche agli
ospiti numerosi meno sgradevole il soggiorno della
nostra città. I due Teatri sono inesorabilmente condannati da un complesso di circostanze l’uno ad
essere demolito, l’altro a starsene muto. La nostra
città deve avere un Teatro degno di lei che all’eleganza unisca la comodità e l’accessibilità per tutte le
borse. L’idea della Società degli Esercenti della quale
si era già l’anno passato occupato con amore il solerte amico nostro Zanoletti deve trovare eco simpatica
nella cittadinanza”.
Con una lettera apparsa sulla “La Gazzetta d’Acqui” del settembre
1887 Flaminio Toso, proprietario del Politeama in demolizione, rassicura i cittadini in cerca di azionisti per la costruzione del nuovo teatro, affermando di aver abbandonato la sua proposta ariguardo, dopo
averne esaminato le convenienze e i “grattacapi”: l’anno precedente
infatti, il Toso, trattando con la Commissione in relazione al fabbricato
che doveva erigere in Piazza delle Nuove Terme, aveva chiesto come
compenso la cessione di un terreno per l’edificazione di un nuovo
Politeama, “escogitando un piano che forse avrebbe permesso di effettuare il progetto senza grandi sacrifici (…) e senza ricorrere ad azioni, risolvendo così forse il problema che senza dubbio presenta molte
maggiori difficoltà palesi ed impreviste di quanto a molti di coloro che
non hanno pratica di cose di teatro può sembrare”2. E non aveva torto,
1 “La Bollente” del 26 luglio 1887, n. 27.
2 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 settembre 1887, n. 34.
165
Progetto Zanoletti del 1887.
se
pensiamo
che ci vorranno ancora 14
anni per giungere all’inaugurazione di
un nuovo teatro.
Il 9 novembre
1887 si riunisce il Consiglio Comunale per discutere
la
domanda del
sig. Zanoletti di
costruire un teatro: il 30 settembre del 1886 quest’ultimo, sapendo
che nel piano d’ingrandimento della città il Municipio teneva a disposizione alcune aree per fabbricati, aveva espresso, in una lettera al
Sindaco, il desiderio di intraprendere la costruzione di un teatro nella
strada che da Via Nuova conduceva alla futura piazza del mercato delle
bovine, l’attuale piazza Ariston; domandava inoltre la concessione “in
prossimità della proprietà del sig. Toso Flaminio, per tutta la lunghezza
della medesima, metri venticinque (in larghezza) di terreno per la
costruzione di un fabbricato, coll’obbligo (…) di relativi portici ad uso
pubblico, solidamente pavimentati”, promettendo di rilevare in pari
tempo la casa esistente a prezzo d’estimo quale compenso del terreno ceduto3. Il progetto era così strutturato:
- Concessione gratuita di circa 3000 metri di terreno indicato nella
planimetria del sig. geom. Ceresa Corrado;
- Formazione della strada a servizio di detto terreno;
- Concorso di lire 20000 come premio da pagarsi al costruttore del
teatro;
- Obbligo del Comune di far eseguire nel tempo da stabilirsi i portici che congiungerebbero quelli delle Nuove Terme e quelli del teatro in costruzione4;
Il Consiglio nomina una Commissione, composta dai consiglieri
Barone Emilio Accusani, avv. Gustavo Bistolfi Carozzi, Giovanni Borreani, ing. Guido Pastorino, Marchese Vittorio Scati, con l’incarico di
studiare la questione sotto l’aspetto dell’edilizia, dell’impegno del
Comune e del tempo per il compimento dell’opera5.
166
3 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald.24.
4 “La Bollente” del 15 novembre 1887, n. 43.
5 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 novembre 1887, n. 46.
IL TEATRO E LA CITTÀ
IL MARCHESE VITTORIO SCATI
“Passiamo sotto il cavalcavia, e subito ci si
presenta un colossale edificio in costruzione, o per dire più esattamente, che alfine si
va terminando: il Politeama Garibaldi.
Diogene mi sussurra in un orecchio che non
vuole rattristarmi la lieta passeggiata colla
narrazione dolorosa delle vicende di questo
teatro; ma ormai, come a Dio e ai proprietari sigg. Papis piacque, possiamo dire che
Acqui e il viale dei Bagni sono arricchiti di
un nuovo e magnifico teatro, che onora ad
un tempo l’edilizia cittadina”.
Anno Domini 1905. La guida ( in forma epistolare) Acqui Terme e dintorni (edita per i
tipi di Righetti) di Angelo Marengo non
nega una genesi difficile, scandita da varie
commissioni comunali impegnate per “pensare” il nuovo Teatro che sarà il Garibaldi.
Scorrendo i nomi, si nota un filo rosso costituito dalla presenza del Marchese Vittorio
Scati (1887, 1892 e 1897), cultore delle memorie (dalle lapidi all’archivio), primo presidente della Società di Storia, Arte e Archeologia per la Provincia di Alessandria, fondatore della Rivista della Società (1891), e
ispettore dei monumenti pel circondario di
Acqui, primo collaboratore di quella Bibliografia Storica degli Stati della Monarchia di
Savoia, che il Barone Antonio Manno, suo
carissimo amico, stava organizzando - tra il
1884 e il 1886 - per Acqui e per tutte le altre
località del regno.
Nato ad Acqui nel 1844, personaggio di spicco della vita pubblica acquese di fine secolo,
per la scarsa ambizione politica (sebbene
per trent’anni abbia ricoperto il seggio di
Consigliere comunale), e la compresenza di
Giuseppe Saracco e Maggiorino Ferraris, lo
Scati sembra assumere una posizione più
appartata, forse quella stessa che gli consentì di coltivare con assiduità gli amati
studi.
Rampollo di una nobile famiglia, istruito
dalla Regia Accademia Militare di Torino,
prese parte alle operazioni della III Guerra
di Indipendenza. Condusse studi militari
(sulle pagine de “L’Esercito Illustrato” pubblicò un saggio sulla battaglia di S. Martino,
quella stessa riscoperta ed incisa su CD dal
Corpo Bandistico Acquese) e poi si congedò
nel 1871, ritirandosi nei possedimenti del
Quartino (da sempre eletta a residenza estiva: qui nella piana di Melazzo furono ospiti
anche Carlo Alberto, Silvio Pellico, Cavour e
Vittorio Emanuele II). Quì realizzò un’azienda agricola modello citata ad esempio
anche da “La Nuova Antologia”.
Ad Acqui nel 1876 propose la costruzione
dello Stabilimento delle Nuove Terme per
opera di una società da lui presieduta; nel
1880 pubblicò su “Il Corriere di Torino” le
sue osservazioni sulle Esposizioni di Belle
Arti, nel 1892, tramite un opuscolo anonimo, propose di intitolare la nuova caserma
a Vittorio Amedeo II: come si poteva non
coinvolgerlo nella questione più tormentosa
per gli acquesi?
G.Sa.
Cfr. anche Figure acquesi da riscoprire. Il
Marchese Vittorio Scati, cultore delle memorie acquesi in “Corale Città di Acqui Terme”,
XVI n. 2, 2001.
“La Bollente” del febbraio 1888 lamenta che la relazione dei commissari
“da parecchi mesi riposa dimenticata negli scaffali comunali”6, e richiama
l’attenzione del Comune sulla necessità di osservare rigidamente le
norme antincendio nella progettazione dell’edificio, questione scottante
dopo gli incendi dei teatri di Parigi, Nizza e Vienna.
Nel 1888 la Commissione nominata respinge la proposta Zanoletti in
quanto non offre alcun corrispettivo al Comune, prevede una spesa gravissima e l’occupazione da parte del teatro di un solo terzo dell’area7.
6 “La Bollente” del 28 febbraio 1888, n. 9.
7 “La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 novembre 1893, n. 48.
167
Cessione di terreno al sig. Zanoletti per costruzione di teatro.
Documento di accompagnamento della pratica del 31 marzo 1896.
ASCAT, Sez. II, Serie XX, faldone 23.
Nella seduta del 28 settembre 1889 il
Sindaco comunica la deliberazione
della Commissione di fissare un premio a fondo perduto da pagarsi a chi
si assumerà la costruzione del teatro, variabile a seconda che il costruttore possa o meno venderne i
palchi; l’Ingegner Tronconi avrebbe
preparato un progetto adatto alla
città come base per le trattative8.
Nel Consiglio del 15 febbraio 1890
viene nominata una nuova Commissione, composta da Francesco
Zanoletti, Sgorlo, Lupi e dal Barone Accusani per studiare la scelta della località del teatro e della
struttura a palchi, a galleria o a
sistema misto, le spese per la sua
erezione, e decidere l’eventuale
intervento del Comune e la sua
proporzione9. Nel giugno dello stesso anno la
Commissione presenta le sue conclusioni, riprese da “La Bollente” del
17 giugno 1890, n. 25.
“Nel concorso da aprirsi, offerta a fondo perduto di
1/5 dell’importo della spesa del teatro, che dovrà contenersi tra le 100 e le 110 mila lire, concessione gratuita dell’area nel punto in cui intercede fra la casa
fratelli Orsi e la strada al Foro Boario. Il teatro avrà
una fila di palchi con facoltà al concessionario di
alienarne 2/3, obbligo al medesimo di ammannire
uno spettacolo nella stagione estiva, e di lasciare al
Comune l’uso gratuito del teatro nelle circostanze di
solennità. Il Comune concorrerà nella spesa per la
costruzione dei porticati e pavimentazione, ed il teatro dopo 60 anni passerà in sua proprietà”.
“La Bollente” pubblica nel numero del 5 agosto 1890, n. 32 il seguente avviso di concorso per la costruzione del teatro, firmato dal
Sindaco Saracco il 28 luglio, non mancando di suggerire che l’esiguo
concorso nella spesa a capitale perduto ed il passaggio di proprietà al
Comune dopo 60 anni avrebbe reso tutto più difficile:
168
8 “La Gazzetta d’Acqui” del 5-6 ottobre 1889, n. 40.
9 “La Bollente” del 19 febbraio 1890, n. 8.
“L’edificio verrà costrutto a rischio e spesa del
Concessionario su terreno di proprietà comunale,
con porticato. Il teatro si comporrà di una platea con
posti distinti, di un ordine di palchi, e di una galleria con palchi laterali, e dovrà essere fornito di tutto
il necessario, cioè mobilio, scenario, meccanismi, ed
altro che si pratica negli edifici congeneri. Il teatro
dovrebbe contenere da 1000 a 1200 spettatori e la
spesa complessiva si calcola fra le 90 e le 110 mila
lire. Il Comune si impegna di consegnare il progetto
definitivo di massima del teatro e del porticato
costruendo. La concessione avrà la durata di anni 60
a cominciare dal giorno in cui il teatro verrà aperto
al pubblico, trascorsi i quali l’edificio, ogni cosa compresa, passerà in proprietà del Comune. Una terza
parte dei palchi dovrà sempre rimanere a disposizione del Concessionario, come dote del teatro. Il Comune concorre nella spesa in ragione di 20 centesime parti, a capitale perduto, e si assume l’obbligo
della pavimentazione del porticato. Tutti gli oneri di
qualunque natura, saranno sopportati dal Concessionario o da chi per esso. Prima della stipulazione si
addiverrà ad ulteriori accordi sovra altri punti di
minore importanza, specialmente circa gli obblighi
che il Concessionario si dovrà assumere perché il
teatro sia aperto a
pubblici spettacoli in talune
stagioni
del l’anno,
e lasciato
a disposizione del
Sezione del Teatro Garibaldi.
Elaborazione grafica realizzata dallo Studio
O&M Ingegneria S.r.l. Acqui,
che si ringrazia per
la collaborazione prestata.
169
Comune in determinate contingenze. Il concorso
rimane aperto sino al 30 settembre venturo.
Il Comune prenderà in considerazione e si riserva di
deliberare sovra le domande che gli venissero presentate nello stesso periodo di tempo per ottenere la
concessione a condizioni diverse, le quali però non
tendano ad accrescere il concorso pecuniario offerto
dal Comune”.
Come previsto da “La Bollente”, nessuno si presenta entro la scadenza fissata.
Nella seduta del Consiglio del 28 maggio 1892 il Sindaco presenta una
nuova proposta del sig. Ivaldi, con relativo disegno redatto dal geometra F. Depetris: il progetto prevedeva una spesa di lire 60.000 circa, il
concorso del Comune per lire 20.000 a fondo perduto, oltre la cessione dell’area. Il Sindaco obietta la mancanza della garanzia cauzionale promessa, necessaria per avvalorare la serietà dell’impresa; si nomina quindi una nuova Commissione composta dall’Ingegner Sgorlo,
marchese Scati, avvocato Caratti, Carlo Morelli (in sostituzione del
rifiutante Zanoletti) per indagare sul nuovo progetto e rivolgersi ad
uno specialista10. Nel frattempo si elaborano altre ipotesi, una delle
quali consiste nell’intervenire sul Dagna per dotarlo delle opere
necessarie a renderlo più rispondente ai desideri della cittadinanza.
Nel gennaio 1893 la Società Esercenti e Commercianti si fa promotrice di un nuovo progetto preparato dal Depetris, preventivando una
spesa di lire 70.000 e comprendendo l’erezione di un annesso locale
ad uso caffè11; la Società si raduna per discutere della proposta, consistente nella costruzione di un teatro capace di 1000 spettatori, con
posti di platea, sedie chiuse, di galleria e con 31 palchi, di cui 6 di proscenio, sul terreno che fronteggia il Corso Bagni, col concorso del
Comune d’Acqui in lire 30.000 e cessione del terreno sunnominato, e
mediante la somma di lire 40.000 da ricavarsi coll’emissione di n. 500
azioni del valore caduna di lire 80. Il pagamento delle azioni era previsto in quattro rate: una rata di 3/10 alla costituzione della Società, una
rata di 2/10 a metà lavoro, una rata di 3/10 a lavoro ultimato, l’ultima
rata di 2/10 a lavoro collaudato. Le azioni sarebbero state rimborsate
sul reddito del teatro al prezzo di lire 100 caduna, e quelle da rimborsarsi annualmente, in numero stabilito dal Consiglio d’Amministrazione e proporzionale all’entità del reddito ricavato, sarebbero
state estratte. Di questo Consiglio avrebbero fatto parte per diritto gli
azionisti con 10 o più azioni, e per nomina gli azionisti eletti dall’assemblea12.
170
10 “La Bollente” del 2-3 giugno 1892, n. 22.
11 “La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 gennaio 1893, n. 5.
12 “La Gazzetta d’Acqui” del 4-5 febbraio 1893, n. 6.
Le sottoscrizioni raggiungono quota 518 azioni: il cronista della
“Gazzetta d’Acqui” sottolinea come il “presidente della società si
prese poi lo incarico di recarsi a domicilio dai principali cittadini, e raccolse ancora molte altre firme”13.
Il 28 febbraio il Consiglio si riunisce ed elegge una nuova Commissione composta da Francesco Zanoletti, ingegner Paolo Sgorlo, avv.
Francesco Fiorini, cav. Gustavo Bistolfi Carozzi, Giovanni Borreani14.
Nell’Assemblea dei sottoscrittori del 9 aprile si approva lo statuto
della Società Anonima Cooperativa “Politeama Garibaldi”15, con oggetto di assumere la costruzione e l’esercizio di un Teatro, si comunica la
lista del Consiglio d’Amministrazione16, e successivamente si eleggono
Presidente, Segretario e Cassiere17.
Il progetto Depetris viene sottoposto all’esame dell’ingegner Achille
Sfrondini di Roma, che aveva realizzato il restauro del teatro di Biella:
l’ingegnere loda il progetto ma suggerisce alcune modifiche; ritiene
inoltre la somma di lire 80 mila insufficiente per un simile progetto18.
Alla fine l’ingegnere realizza un suo progetto19, preventivando la spesa
di un teatro con sottopalchi, palchi, galleria e loggione, locale d’ingresso, caffè e salone concerti al primo piano, in lire 130.000, superiore di
ben lire 60.000 rispetto all’originario progetto Depetris20.
13 “La Gazzetta d’Acqui” dell’11-12 febbraio 1893, n. 7.
14 “La Bollente” del 2-3 marzo 1893, n. 9.
15 In relazione alla scelta del nome della Società si legge ne “La Bollente” del 13-14
luglio 1893, n. 27: “Corre voce che alcuni sottoscrittori, pochissimi mancomale,
intendano di rifiutare oggi il loro concorso, prendendo pretesto dal titolo
“Politeama Garibaldi” proposto ed accettato nell’Assemblea Generale degli
Azionisti, nel quale, ridicolo a dirsi, si vorrebbe trovare […] una affermazione di
principii democratici, contraddicente ai sentimenti reazionarii di alcuni sottoscrittori. Sgombrino ogni timore costoro dal loro animo; chè i proponenti non si
sono sognati mai di dare un colore politico alla costruzione di un teatro, e tanto
meno di fare atto di ostilità alla monarchia leale e democratica che ci governa.
Venne scelto questo nome perché appunto suona in armonia perfetta di alto
patriottismo, di onestà, di valore, con quello del Gran Re al quale, per unanime
deliberazione degli eletti dal suffragio del popolo, venne tributato un doveroso e
riconoscente ricordo nella nostra città col monumento innalzato sulla piazza
Nuove Terme”.
16 “La Bollente” del 13-14 aprile 1893, n. 15.
17 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 maggio 1893, n. 20.
18 “La Bollente” del 31 agosto-1° settembre 1893, n. 34.
19 In una lettera inviata al Sindaco e datata 12 settembre 1893, Achille Sfrondini,
avendo quasi ultimato il progetto, chiede “quale sistema di illuminazione si vuole
applicare, cioè se a gas o a luce elettrica, in questo ultimo caso sarebbe utile conoscere se l’impianto è lontano o meno, se il motore è alimentato da forza d’acqua,
gas o vapore perché possa regolarmi a riguardo alla sicurezza dell’edificio”
(ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24).
20 “La Bollente” del 26-27 ottobre 1893, n. 42.
171
A novembre la Commissione presenta la sua relazione: il Consiglio
approva il progetto Sfrondini, salvo modifiche e stabilisce di
“(…) incaricare il signor Architetto Sfrondini dei progetti e dei conti definitivi ed impegno a cottimo, ed
assume impegno di farlo costruire stando per un terzo
nella spesa, con che però la Società Cooperativa, od
altri, od anche un individuo solo (versati i due terzi
della spesa che risulterà dai preventivi o forfait, nel
modo che verrà indicato all’atto di contratto) si assuma l’obbligo di esercizio, manutenzione, pagamento
imposte, abbonamento contro gli incendi, e si assoggetti ad apposito regolamento di Direzione Teatrale
per anni 29, ritirando in compenso i proventi ed affitti tutti. Facoltativo al Comune, a detta scadenza di 29
anni, a partire dal giorno dell’inaugurazione o apertura del teatro, o rinunciare la proprietà, o, restituendo la somma di 2/3 versata dal concessionario o
Concessionarii (meno la parte che potesse occorrere al
perfetto stato di manutenzione) riscattare il teatro. I
palchi tutti saranno inalienabili e rimarranno dote
del Teatro stesso. Un palco sarà riservato per l’architetto Sfrondini ed il palco centrale, con l’arma di Città
sovrastante, non potrà essere occupato che in occasione di spettacoli di gala dalla Rappresentanza
Municipale o da Ospiti Illustri. Il teatro dovrà essere
messo a disposizione del Comune per feste speciali”.
172
La maggioranza della Commissione propone alcune modifiche: considera non indispensabile il loggione, e preferisce al Salone Concerti,
locali ad uso Società di ricreazione e lettura ed un piano superiore ad
uso inservienti e custodi21.
Nella seduta del 23 novembre il Consiglio d’Amministrazione della
Società Garibaldi delibera di accettare la proposta della Commissione
per ciò che riflette la proporzione del concorso del Municipio in un
terzo, sulla base del progetto Sfrondini, sperando in una riduzione dell’importo della spesa attraverso opportune modifiche del progetto
stesso. Respinte le domande della Società Esercenti e Commercianti e
della Commissione, si sospende ogni decisione in attesa di un definitivo progetto.22
Nel 1894 Francesco Zanoletti presenta una nuova proposta, ed uno
schema di convenzione viene discusso nella seduta del 29 novembre.
Il Comune concede al sig. Zanoletti l’appezzamento di terreno in prossimità della ferrovia di Savona con fronte verso corso Bagni già proprietà della Comunità Israelitica, più altro terreno del Comune ed
eventualmente, quando cioè il comune ne riconosca la convenienza,
una striscia longitudinale a determinarsi alla attigua strada comunale di
circonvallazione. Il signor Zanoletti, per parte sua, come riferisce “La
Gazzetta d’Acqui” del 1-2 dicembre 1894, n. 48,
“(…) si assume l’obbligo della costruzione sopra l’area
ceduta di un Teatro Politeama con una dimensione
minima in larghezza di metri 22 muri compresi. La
sala destinata agli spettacoli sarà composta di platea,
anfiteatro, sottopalchi, una prima galleria con palchi
laterali e loggione sovrastante. L’edificio verrà
costrutto in muratura e ferro, escluso il legname in
quanto non sia necessario; avrà un proporzionale
atrio d’ingresso e dovrà poter servire a pubblici spettacoli di cavalli, ovvero rappresentazioni di prosa e di
musica, così in estate come in inverno. Il signor
Sezione del Teatro Garibaldi.
Elaborazione grafica realizzata dallo Studio
O&M Ingegneria S.r.l. Acqui.
21 “La Bollente” del 2-3 novembre 1893, n. 43.
22 “La Bollente” del 23-24 novembre 1893, n. 46.
173
Zanoletti si obbliga di intraprendere i lavori e di condurli a termine colla dovuta sollecitudine. Esso non
potrà in nessun tempo mutare la destinazione dell’edificio che dovrà ora e sempre servire al medesimo
scopo per cui viene costrutto fuorché nel caso che il
comune lo prosciogliesse da tale obbligo con regolare
deliberazione. Viene fatta facoltà al signor Zanoletti
d’innalzare l’edificio del Politeama a distanza non mai
inferiore di metri 16 dalla strada provinciale (Corso
Cavour) onde avere sufficienza di terreno per le future costruzioni. Tostochè il comune abbia fatto allestire un piano di ampliamento di quella località, vale a
dire, dal porticato delle Nuove Terme sino al bastione
della ferrovia che porti con sé l’obbligo della costruzione dei portici, il signor Zanoletti si obbliga di occupare parte di detto terreno con la costruzione di un
porticato che dovrà essere costruito secondo le norme
che verranno segnate dal Comune ossia in corrispondenza delle norme generali che saranno stabilite per
l’intiera linea dei portici costruendi”23.
Il consigliere Bonziglia, sottolineando il dovere del Comune di assicurare che la nuova opera risponda agli interessi cittadini, riporta le
lamentele di una sessantina di abitanti ed esercenti nei paraggi della
piazza della Rocca che qualche tempo prima avevano presentato una
petizione al Sindaco, chiedendo che per il nuovo teatro si destinasse
un’area nella parte settentrionale della città, e più precisamente un
appezzamento di terreno adiacente alla casa Menotti, di proprietà del
Comune: essi sostenevano che dalla loro località il commercio andava
migrando per suo naturale impulso portandosi verso la parte opposta
della città, con l’ulteriore danno alla piazza S. Francesco provocato
dallo spostamento del mercato della verdura nell’orto S. Pietro; non
ottenendo in compenso il mercato dei calzolai, la costruzione di un
Teatro in un’altra località, dopo la chiusura del Dagna, avrebbe provocato l’ultimo tracollo a quella larva di commercio che ancora rimaneva24. La paura di veder fallire anche questa domanda, ponendo
Zanoletti il terreno di Corso Bagni come condizione sine qua non all’erezione del Teatro, induce a non prendere in considerazione queste
lamentele.
174
23 L’atto di compravendita del terreno verrà stipulato nel 1896 [Atto di compravendita del 16 aprile 1896 trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari
(ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare – Ufficio Provinciale
del territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 18 aprile 1896
al volume 131, n. 241]. Lo schema della Convenzione è conservato anche in
ASCAT, Sez. III, Categ. X, Classe XII, fald. 584.
24 “La Gazzetta d’Acqui” del 24-25 novembre 1894, n. 47.
I lavori di costruzione incominciano nell’estate del 1895 e in un primo
tempo procedono alacremente, tanto che si pensa di aprirlo nel luglio
dello stesso anno. In questo mese è terminato il grande soffitto a volta
della platea, e ne “La Gazzetta d’Acqui” del 26-27 ottobre, n. 43, si legge:
“L’ingresso ha luogo per due comode scale che riescono nella parte superiore dell’ampia gradinata girante tutto attorno alla platea, e per un andito inclinato
che dà direttamente in questa. Il vano del teatro contiene due gallerie di sfondo, e cinque ordini di palchi
laterali leggermente sporgenti all’infuori che vanno a
finire alla boccascena. Il cielo è a volta in solida
muratura senza nessuna parte il legname (come d’altronde in tutto il teatro, allontanandosi così ogni
pericolo d’incendio). Molte parti dell’edificio sono
ancora a formarsi, come ad es. il palcoscenico (…). Il
Teatro avrà annessi un caffè ed un ristorante separati, camere di alloggio e sale che si potranno adibire, volendolo, a luogo di convegno, a club, ecc. ecc.”.
Palazzo Papis
in un’immagine
di primo Novecento.
Collezione privata.
175
A questo punto Zanoletti interrompe i lavori e non si legge più nulla
sulla stampa fino all’ottobre del 1897, quando il Consiglio nomina una
Commissione composta da Accusani, Braggio, Guglieri, Ottolenghi
Moise e Scati per studiare le proposte fatte, definire, se possibile, per
la sollecita costruzione del teatro, e proporre un modo di agire25.
La Commissione si raduna per conferire con Zanoletti, il quale accetta di portare a termine i lavori in cambio della concessione da parte
del Comune del breve appezzamento di terreno di proprietà dei fratelli Orsi, necessario per costruire la facciata del teatro26. Nella seduta di gennaio si decide di mandare un diffidamento e di eleggere un
arbitro27; la questione prende così la via giudiziaria: “si tratta di delimitare esattamente fin dove si estenda la proprietà Orsi e quella comunale, onde regolare esattamente la quantità di terreno che deve essere libero attorno al nuovo edificio”28.
A settembre il Consiglio decide di eleggere tre arbitri, uno nominato
dal Comune, uno da Zanoletti ed un terzo dal Presidente del
Tribunale29. Nessuna notizia fino al gennaio 1899, quando si legge su
“La Gazzetta d’Acqui”: “Corre voce che si apra il Garibaldi, operai vi
lavorano alacremente per ridurlo allo scopo. Veramente con nostro
limitato intelletto non possiamo troppo capacitarci col modo in cui si
riuscirà a ridurre quel fabbricato all’uso cui era destinato”30.
Nella seduta del 31 gennaio il Comune nomina come suo arbitro l’avv.
Mariani di Alessandria ed invita Zanoletti a scegliere il suo, inutilmente. In caso di mancato accordo, si decide di procedere alla citazione31.
A marzo i lavori proseguono: il teatro “si presenta già bene: sarà
ampio, ma non troppo, giusto le esigenze della nostra cittadina; sarà
decoroso.Vennero eliminati i palchi, per ora inutili all’impresa: il palcoscenico assai ampliato sarà molto adatto a rappresentazioni di balli”32.
Il Garibaldi viene inaugurato sabato 1° aprile 1899 con Fedora di
Sardou, messa in scena dalla compagnia Ferrati. Il teatro si presenta
ridotto, per affrettarne l’apertura, a più ristrette proporzioni dall’impresario Confienza. “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 marzo 1899, n. 15
così si esprime:
176
25 “La
26 “La
27 “La
28 “La
29 “La
30 “La
31 “La
32 “La
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
Gazzetta
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
9-10 ottobre 1897, n. 41.
6-7 novembre 1897, n. 45.
22-23 gennaio 1898, n. 4.
16-17 aprile 1898, n. 16.
24-25 settembre 1898, n. 39.
21-22 gennaio 1899, n. 4.
4-5 febbraio 1899, n. 6.
18-19 marzo 1899, n. 12.
“L’impressione destata nel pubblico accorso fu abbastanza buona e per quanto tutto sappia di provvisorio, specialmente l’ingresso, l’ambiente è tale da far
rimanere sufficientemente contenti di avere un locale conveniente, ove si possa passar bene le serate
ricreandosi lo spirito coll’udire buoni lavori drammatici a cui non si era più da un po’ di tempo avvezzi”.
“La Bollente”,
frontespizio del numero
del 30-31 marzo 1899
che annuncia
l’inaugurazione del
Politeama Garibaldi.
BCAT, Sezione locale,
emeroteca
Il 18 maggio 1899
l’ing. Vincenzo Adorni visita l’edificio, per
verificare se il teatro
sia stato costruito
con la dimensione di
metri 22, muri compresi, ed in muratura
e ferro, escluso il
legname se non in
quanto necessario;
con un atrio proporzionale all’ingresso,
platea, anfiteatro,
sottopalchi, galleria,
quaranta palchi laterali, loggione sovrastante, numerose
scale, uscite, camerini per gli artisti; che
serva a pubblici spettacoli di cavalli, e rappresentazioni di prosa e di musica sia in estate sia
in inverno. Sull’area ceduta a Zanoletti risulta effettivamente costruito
un edificio in muratura e ferro, di dimensione massima in larghezza di
metri 29,50 e la minima di metri 13,20, per pubblici spettacoli di cavalli e rappresentazioni di prosa e musica; si era ultimato il tetto (in
zinco) e si erano costruiti i muri laterali e di tramezzo, le gallerie, i palchi, sottopalchi, la volta ricoprente la sala, le scale, le porte, l’ossatura
generale della bocca d’opera, compresa la decorazione verso le scale,
i camerini, il palcoscenico, il palco forato soprastante per la manovra
delle scene. L’edificio però non era stato ultimato: mancavano infatti le
imposte e vetrate dell’ingresso centrale della prima galleria e del loggione, l’ultimazione del soffitto del loggione, la decorazione dei parapetti, delle pareti e dei palchi, l’ultimazione dei pavimenti dei medesimi e dei corridoi che vi danno accesso, ed il pavimento dei corridoi
d’accesso alle sedie chiuse; la coloritura della volta ricoprente la sala
e la messa in opera degli apparecchi di riscaldamento; ancora da ultimare era l’atrio d’ingresso, coperto con un tetto provvisorio. Per
177
poter aprire il teatro a pubblici spettacoli palchi e sottopalchi erano
stati coperti con due grandi tele, si era costruita una bocca d’opera
provvisoria con tele dipinte, portando la stessa due metri avanti verso
la platea, e tirata una tenda sotto la volta per non lasciar vedere la
nuda superficie33.
Alla fine di luglio, in occasione dell’arrivo della Compagnia del Ferravilla,
si aprono 16 dei 32 palchi prima ricoperti dal vebrio bianco34.
Nel mese d’ottobre scoppia un incendio nel teatro: i danni sono limitati “al telone che copriva la volta, perché non ancora dipinta, ed alle
tele che coprivano i due laterali del proscenio, non ancora ultimati”35.
La disputa tra il Comune e Zanoletti in relazione all’edificazione del
teatro e dei portici si trascinerà per diversi anni, continuando a generare contrasti anche con i nuovi proprietari dell’edificio: il 19 gennaio
1904 Alda Carrara, vedova Zanoletti, vende infatti l’edificio del
Politeama ad Alfredo, Gerolamo e Aquilino Papis36.
Nel marzo del 1902 si eseguono alcuni lavori al palcoscenico: “Il palcoscenico ridotto alle sue vere misure è in
linea armonica con tutto il resto e fa l’ambiente più grandioso e più simpatico”37.
Subirà nuovi interventi nel marzo del
1904; in quell’anno si incarica il perito
Ipotesi di progetto di Teatro in Acqui.
La foto é tratta dal volume di
civico Ghione di visitare il teatro per
Piero Zucca Chiriusitâ d’Âic, Acqui 2004.
verificare se, in caso di incendio, la sala
possa essere facilmente sfollata; scrive il perito, in una lettera al
Sottoprefetto del 23 agosto
1904: “Riscontrai che in
seguito alle modificazioni
apportate, vi rimangono
tuttavia numero cinque
aperture d’uscita, ubicate
tanto sui lati dell’edificio
che dietro il palcoscenico,
come prescrive la Legge.
Quindi la sala può essere
prontamente sfollata nel
caso d’incendio”38.
33
34
35
36
178
ASCAT, Sez. III, Categ. X, Classe XII, fald. 584, Sentenza del 4 luglio 1899.
“La Bollente” del 29-30 luglio 1899, n. 26.
“La Gazzetta d’Acqui” del 28-29 ottobre 1899, n. 43.
Atto di compravendita del 19 gennaio 1904 trascritto presso la Conservatoria dei
Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità
Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 20 gennaio 1902 al vol. 170, n. 342.
37 “La Bollente” del 20-21 marzo 1902, n. 12.
38 ASCAT, Sez. II, Serie XXI, fald. 24.
Ulteriori restauri interesseranno il teatro dal luglio 1905 fino ai primi
di marzo 1906.
I commenti positivi espressi sull’edificio in occasione della sua inaugurazione cambiano di segno nel giro di vent’anni; ecco la descrizione del
Politeama da parte del giornalista Franco Cazzulini, apparsa su “La
Gazzetta d’Acqui” del 17-18 settembre 1921:
“L’attuale Politeama Garibaldi, nato, come si sa, da
una mente equilibrata, rappresenta un aborto architettonico, ma di tale natura che urta stridentemente, col più elementare principio di costruzione teatrale. Il palcoscenico ha una bocca d’opera vastissima e uno sfondo stretto, corto e mal disposto. Nessuno dei palchi ha il raggio di visione convergente al
punto ideale chiamato centro del palcoscenico, di
guisa che la loro costruzione, anziché per isbieco e
mirante al palcoscenico, è fatta a mo’ di un perfetto
rettangolo o quadrato col punto di mira alla sala del
teatro. Le gallerie ed il loggione, anziché essere capienti e spaziose, sono il contrario, e per di più
ingombre da pilastri mastodontici che tolgono i tre
quarti dello spazio di visione. Esteticamente poi è un
orrore, e per tale fatto è guardato con pena dai molteplici forestieri che ospita la nostra città e criticato
spietatamente dai competenti in materia”.
Nell’aprile del 1924 il teatro viene venduto dai Papis ad Annibale,
Carlo e Teresa Cornaglia39; il 7 agosto 1938 Giovanni Ivaldi acquista un
terzo della proprietà40, e nel marzo del 1940 l’edificio viene acquistato dalla Società Anonima Cinematografica Acqui41.
Nel 1941 si eseguono diversi lavori di trasformazione dell’interno del
teatro.
39 Atto di compravendita del 3 aprile 1924 trascritto presso la Conservatoria dei
Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità
Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 17 giugno 1924 al vol. 339, n. 1647.
40 Atto di compravendita del 7 agosto 1938 trascritto presso la Conservatoria dei
Registri Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità
Immobiliare – Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui Terme) il 9 agosto 1938 al vol. 592, n. 1821.
41 Atto di cessione del 21 marzo 1940 trascritto presso la Conservatoria dei Registri
Immobiliari (ora Agenzia del Territorio – Servizio Pubblicità Immobiliare –
Ufficio Provinciale del Territorio di Alessandria – Sezione staccata di Acqui
Terme) il 17 aprile 1940 al vol. 612, n. 881.
179
Due immagini
fotografiche
attribuite al
Teatro Garibaldi
dopo la
ristrutturazione
del 1941.
BCAT,
Cartella Teatro
in Acqui,
in corso
di catalogazione.
180
Il palcoscenico viene allungato di
m 4, risultando un piano di m11 in
profondità per m 10 in larghezza,
con altezza dal piano alla soffitta
di m 12; il piano terra viene
abbassato di un metro in modo
da poter svolgere sotto il palco
tutti i servizi inerenti gli spettacoli teatrali ed in modo da poter
disporre di ampi depositi; si costruiscono 14
camerini completamente nuovi più due camerini per le masse; al palcoscenico si installa un
impianto di illuminazione con accorgimenti
modernissimi e munito
di un nuovo e moderno
apparecchio di regolazione per gli effetti luce;
l’accesso al palcoscenico è reso indipendente
dal lato strada per il
personale artistico e i
bagagli. Il nuovo pavimento della platea viene abbassato di cm 50, come nel corridoio di accesso; chiuso l’accesso alla platea, esso avverrà attraverso quattro porte laterali (due per
lato); con l’avanzamento di due metri della gradinata si abolisce l’alzata
centrale e la gradinata viene dotata di sedie in sostituzione delle panche;
le poltrone vengono sostituite da quelle in velluto e imbottite costruite
dalla Ditta specializzata Gianninone di Milano. L’accesso ai palchi, sistemati in tre ordini, imbottiti e convenientemente arredati, avviene attraverso nuove scale di marmo, poste in fondo ai corridoi di accesso alla
platea; vengono trasformate anche le scale di accesso alla gradinata e alle
gallerie per intonarle a tutto l’insieme; si sposta la cabina di proiezione
e si riattivano il loggione e la cupola, rivestita di uno speciale intonaco a
base di sughero per garantire una perfetta riproduzione sonora. Si dota
il teatro di un moderno complesso di latrine per il piano platea, la gradinata e le due gallerie, di un impianto razionale e moderno di illuminazione, di un impianto di sicurezza e di un impianto di riscaldamento ad
aria calda. Chiuso l’ingresso esterno e ricoperto in vetro-cemento, l’ingresso interno viene rimodernato e trasformato42.
42 “Il Giornale d’Acqui” del 22 marzo 1941, n. 12.
GLI ARTISTI
L’ATTIVITÀ TEATRALE
La compagnia Ferrati, che inaugura il Politeama
Garibaldi il 1° aprile 1899, incontra il favore del
pubblico: “contiene buoni elementi tra cui primeggia la prima attrice signora Carloni Talli che
ha confermata la fama che l’aveva preceduta tra
noi, di artista fine, intelligente, studiosa”43.
Buona risulta l’esecuzione di Anima, della
signora Rosselli, “in specie per parte della
signora Carloni Talli che seppe avere sempre
nel volto, nella voce, in ogni minima espressione sua, l’impronta dei sentimenti di dolore e di
amore che l’agitavano, da commuovere il pubblico che affollato ieri sera l’ha spessissimo
applaudita”44. Il cronista invita l’attrice a far
sentire Niobe, La trilogia di Dorina di Rovetta,
La parigina di Becque, “nelle quali, ci consta,
che essa dà prova di un metodo originale e
pieno di passione e di una intuizione ammirabile”45, invito che viene accolto: se la messa in
scena della Niobe appare meritevole di maggior impegno, gustata è La trilogia di Dorina e
festeggiatissima la Carloni Talli ne La parigina.
Ricco il repertorio presentato: da La moglie
bella di De Belly a Dopo di Augusto Novelli, da
Amleto a Chateaudun Chartres, poi Il suicidio di
Ferrari, Odette di Sardou, Adriana Lecouvreur di
Scribe e Legouvé, Zampa legata di Feydeau, La
locandiera di Goldoni, Viaggio di Berluron di M.
Ordonneau, La scuola del marito di G. Antona
Traversi, Chempignol di Feydeau e Desvailliéres, Bebè di Hennequin e de Najac.
Dopo qualche serata di giochi di prestigio con
il signor Frizzo, va in scena la Ginevra, opera
lirica composta e diretta dall’acquese cav.
Vigoni, con libretto scritto dalla marchesa
Venuti di Roma: il soggetto dell’opera è “un
po’ vecchiotto” e “la soverchia drammaticità”46 nociva all’effetto, ma nel complesso lo
stile è giudicato buono.
43 “La Gazzetta d’Acqui” dell’8-9 aprile 1899, n. 15.
44 Ibidem.
45 Ibidem.
46 “La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 maggio 1899, n. 20.
IDA CARLONI TALLI
Era nata a Roma nel 1869;
dopo aver recitato nella Filodrammatica Romana diretta
da Alessandro Meschini, era
entrata in arte nel 1887 come
prima attrice giovane nella
compagnia di Giuseppe Pietriboni, passando poi in quella
di Bellotti Bon, capocomica col
marito Virgilio Talli e Ettore
Paladini, ed in diverse altre
compagnie, tra le quali quella
diretta da Luigi Ferrati come
prima attrice; nel 1904-1906 si
unì in società con P. C. Tovagliari e Giovanni Pezzinga,
poi solo con il Tovagliari, prima
di diventare insegnante di recitazione alla Scuola Eleonora
Duse presso l’Accademia di S.
Cecilia.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op.
cit., vol. III, p. 1328.
GLI ARTISTI
LUIGI FERRATI
Era nato a Figline Valdarno nel
1855; dopo aver recitato in compagnie di dilettanti, cominciò a
sostenere parti primarie in
quella diretta da Cesare
Vitaliani; fu all’estero con la
troupe Pietro Falconi e Soci
diretta da Florido Bertini, e
dopo aver diretto, fra l’altro, la
Compagnia Sociale con la “prima attrice” Ida Carloni Talli,
passò con Novelli, poi in società
con Angelo Solari, nella “Dora
Baldanello” ed infine nuovamente con Novelli.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op.
cit., vol. III, pp. 1365-1367.
IL TEATRO E LA CITTÀ
IL M° VIGONI E LA SUA GINEVRA
Il M° Cav. Vigoni, l’autore della Ginevra,
artista eclettico, organista, insegnante,
operista, come molti subì il felice richiamo
della città termale, che vivacizzò non solo
con la musica...ma anche con una accesa
querelle che lo portò allo scontro con un
altro Maestro attivo in città - il parmense
Tullo Battioni – cui contese la direzione
della banda cittadina. La vicenda si può
leggere in una memoria pubblicata dal
Vigoni su “La Bollente” 27-28 giugno 1901
(oppure nella ricostruzione pubblicata ne
“L’Ancora” dei nn. del 29 aprile, 6, 13 e 20
maggio 2001, a cura dello scrivente).
Ma chi era Vigoni?
Allievo del cremonese Ponchielli, fu dapprima capo musica a Verona, (31° fanteria
dal 28 maggio 1882); congedatosi, divenne
titolare della banda di Cassine (dal marzo
1884: “A quell’epoca, lo dico con orgoglio,
considerata fra le migliori del circondario,
Acqui non esclusa”) e, ad Acqui, Vigoni si
esibì nella stagione dei concerti alle
Terme.
Dopo un lungo girovagare per l’Italia, ora
alla testa dei musici, ora all’organo - Sestri
Levante (1885), Arco del Tirolo (1886),
Chiaramonte Gufi, Siracusa (1887);
Cortona (direttore dell’istituto musicale),
Siracusa (1892), Parma (direzione d’orchestra per quattro recite di Traviata tra
dicembre 1892 e gennaio 1893, presso il
Teatro Reinach), Fucecchio e Castelfranco
di Sotto (1894), - dal 1899 il maestro aveva
residenza in Acqui [come da lui affermato
su “La Bollente“ in data 14-15 marzo
1901], e la primavera del 1899 è anche
l’anno della rappresentazione al Garibaldi
della Ginevra. Conclusa la sfortunata
esperienza acquese (che lo condusse anche
ad Alice Belcolle come organista), nel 1901
assunse l’incarico della rinomata “banda
di Stradella”.
182
La Ginevra, che andò in scena anche a
Firenze, Cortona, Fucecchio, San Miniato
al Tedesco, Pontedera, Zara e Pola, non è la
sola opera del Cav. Vigoni, di cui dobbiamo
annoverare anche un’Annita (Verona, Novara, Cuneo) e un’Iride (Chiavari,
Cortona, Novara).
Insignito, nel 1885, con medaglia d’oro,
dalla Società del Quartetto del Conservatorio di Milano, membro laureato del
British Atheneum dal 1894, è lo stesso
musicista a ricordare che il Preludio di
Ginevra venne “aggradito anche recentemente da S.A.R. il Conte di Torino e dall’ill.mo Comm. Ricordi, noto editore musicale”.
Tra i segni musicali lasciati nella nostra
città, oltre all’attività come insegnante di
pianoforte – e qui Vigoni evoca i progressi
“delle sue gentili quanto promettenti allieve” - vengono ricordati i concerti che lo
videro protagonista: ebbero vasta eco quello del 18 agosto 1900, in cui, la “Nuova
Banda degli Esercenti” prese parte alla
messa da Requiem per Re Umberto, e
quello del 12 gennaio 1901. Una serata
speciale, benefica (prezzi: lire 2 per le poltroncine; 1,50 per il palchettone; una lira
per un posto di galleria; gradinata 60 centesimi; loggione 30 - come si deduce da “La
Gazzetta” del 19/20 gennaio) in cui Vigoni
presentò il Preludio della sua Ginevra
“eseguita e interpretata magistralmente”
dalla Banda Cittadina.
G.Sa.
Cfr. anche Tullo Battioni, Fradiesis e il
Cav. Vigoni, una disfida musicale ad inizio
secolo, “L’Ancora” 29 aprile, 6, 13, 20 maggio 2001.
GLI ARTISTI
La difettosa esecuzione e la messa in scena
manchevole di alcuni particolari ne provocano la cattiva accoglienza da parte del pubblico: “D’altra parte il libretto non è certo dei
più felici, né i versi dei più armoniosi: gli stessi artisti sono soventi impacciati perché la
parola non torna spontanea”47 Anche la
messa in scena de La forza del destino presenta alcuni inconvenienti, tra i quali l’indisposizione del basso Spangher e le solite ridotte
dimensioni dell’orchestra; nelle sere successive cresce la fortuna artistica delle rappresentazioni ma non quella finanziaria, perché il
pubblico continua ad essere scarso soprattutto nei posti numerati. Con la scrittura di
Amalia De Roma e del Montecucchi per il
Faust lo spettacolo raggiunge un certo successo: di quest’ultimo artista concittadino si
dice che “molto più sarebbe apprezzato se
all’ambiente del Politeama si potesse dare
maggior sonorità di quella che ora possiede
togliendo la tela che serve di volta”48.
Nel mese di luglio il pubblico accorre al
Garibaldi per ascoltare le già conosciute produzioni del teatro milanese con la compagnia
del Ferravilla.
A metà mese giunge la compagnia Catalani
del cav. Dominici con la prima attrice Giuseppina Catalani, che esordisce con Realtà di
Rovetta.
L’avvento della fiera, con le sue attrazioni,
danneggia gli spettacoli teatrali, che proseguono con visibile incertezza. Si cerca di rendere più vario lo spettacolo e alla compagnia
si aggiunge un corpo di ballo.
In agosto torna l’opera con il Rigoletto che,
dopo le incertezze delle prime messe in
scena, raggiunge un buon successo, soprattutto nella serata trionfale di Tina De Spada, e
grazie al bravo baritono Giovacchini; si prosegue con l’esecuzione del Fra Diavolo, accu-
47 Ibidem.
48 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 giugno 1899, n. 24.
EDOARDO
FERRAVILLA
Nato a Milano il 18 ottobre
1846 dal Marchese Filippo
Villani e da Giulia Ferravilla,
artista di canto portoghese “è,
per originalità, il più grande
degli artisti italiani del nostro
tempo”. Dopo esser stato contabile, era entrato come brillante
nella Società filodrammatica di
Gustavo Modena, ed in seguito
come amoroso nella Compagnia
milanese stabile di Cletto Arrighi. Sostituito un attore nella
parte di Gervesin nel Barchett
de Buffalora, “egli si trovò già a
tale altezza, che parve quasi
impossibile toccarne altra maggiore in quel genere”; egli creò
una serie di macchiette (Massinelli, El sur Pedrin, il Sindaco
Finocchi, il Tecoppa, Gigione, El
sur Pancrazi, El Maester
Pastizza, El sur Pànera, El sur
Pistagna ed altri) che tipizzavano certi caratteri e vizi, ciascuno con un proprio costume e
una propria truccatura, divenute immortali. Dopo aver formato società con Sbodio e con
Giraud, era stato scritturato
assieme a tutta la compagnia
dal Capitani, per poi tornare
solo.
R.Br.
Cfr. anche L. RASI, op. cit., vol. I,
pp. 868-873.
GLI ARTISTI
ENRICO DOMINICI
Nato a Trapani nel 1847,
aveva esordito nel 1864 ne I
Mafiosi di la Vicaria di
Giuseppe Rizzotto; dopo anni
di peripezie, era entrato nel
1862 primo attore nella compagnia di Federico Boldrini,
passando poi in diverse altre,
dirigendo e formando suoi
organici; direttore e attore
nella compagnia di Giuseppina Catalani dal 1896 al
1901, passò poi come caratterista in quella di Zacconi,
associandosi nel 1905 a Vera
Mayer ed Alfredo Sainati, e
dirigendo nel 1911-1912 la
compagnia Desy Ferrero
prima di ritirarsi dalle scene
nel 1912.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI,
op. cit., vol. III, pp. 1352-1353.
rata nel complesso, e con il trionfo delle serate di Margherita Almansi e del Montecucchi ne
Il barbiere di Siviglia.
Tra gli spettacolari balli della compagnia marionettistica Croce e gli esercizi del “noto divinizzatore del pensiero” Pickmann, il teatro si apre
per tre sere alla compagnia di Ugo Perfetti e
Iole Cantini: un pubblico scelto e numeroso
assiste a Histoire d’un Pierrot, nonostante l’insufficienza di luce, calore e le ridotte dimensioni dell’orchestra. L’anno si chiude con una
buonissima Favorita con Rita Casini, il tenore
Ernesto Pettinati, il baritono G. Mattioni e il
basso G. Perini.
Nel nuovo secolo il Garibaldi apre i battenti
con la compagnia d’operette Città di Catania
diretta dall’artista Salvatore Papale, che debutta con Il marchese del Grillo, opera nuovissima
per Acqui di D. Mascetti. Le cose però non
vanno troppo bene secondo il cronista de “La
Gazzetta”, che il 20-21 gennaio 1900 così scrive:
“Il sig. Papale volle in pochi
giorni formare una compagnia
d’operette, ma non riuscì che
ad avvicinare artisti che, se
individualmente rappresentano un discreto valore, presi
nell’insieme non vanno. Manca
quell’affiatamento fra le varie
parti perché uno spettacolo
possa reggersi. Il Papale è artista di merito eccezionale ma
occorre modificare le prime
parti, in modo che l’omogeneità
si mantenga, e aumentare il
numero delle coriste”.
A fine febbraio si assiste ad un Trovatore finalmente di ottimo livello che attira un pubblico
numerosissimo: sempre da “La Gazzetta
d’Acqui” del 24-25 febbraio 1900 n. 8, leggiamo
Palazzo Papis.
Particolare dei portici. Sulla destra la via d’accesso al
Teatro Garibaldi di cui si intravede il fianco.
Collezione privata.
184
“Fin dalle ore 19 di ogni sera il pubblico rumoreggiante attendeva la apertura del teatro per irrompervi e conquistare un posticino qualsiasi. Ciò è confortante assai, perché dimostra che gli acquesi,
quando si tratta di spettacoli eccezionali, scuotono
l’apatia ormai temuta cronica, ed accorrono volentieri non badando al prezzo d’entrata sia questo esagerato, sia questo in modeste proporzioni. Di questo
risultato va data lode agli interpreti e all’Ivaldi”.
Applauditissimo è il Cecchi e numerose sono le chiamate alla ribalta;
Margherita Herrera e la Soriani ricevono doni e fiori.
Con le prime rappresentazioni della compagnia dei Fratelli Marchetti
gli spettatori tornano a disertare il teatro, probabilmente per la scelta
di produzioni troppo serie e tragiche e la mancanza di novità: fanno
eccezione le beneficiate della Venturini con Santarellina e di Tebaldo
D’Arcano con la commediola Roba d’altri. Neppure l’avvento della
compagnia del cav. Gemelli scuote l’apatia degli acquesi: solo la sua
serata con la messa in scena di Dal Ciabot al Ministero attira un discreto pubblico.
È nuovamente lo spettacolo d’opera a risollevare le sorti della stagione con un Ernani ed un Trovatore di primo livello: lo spettacolo è omogeneo, con due grandi prime donne, la Stefanini e Maria Cappellaro,
orchestra e cori finalmente all’altezza grazie al maestro Ricci, e la partecipazione del concittadino baritono Giovanni Novelli.
Nel mese di luglio gli spettacoli proseguono con la compagnia d’operette condotta da Raffaele Cianchi e diretta da Gaetano Tani: i giornali giudicano buona la scelta delle produzioni, in particolare piace Flik
Flok di A. Petito, “dove la musica è piena di vita e la prosa scoppiettante di umorismo di buona lega e anche di una certa dose di patriottismo a base di cappelli piumati e bandiere sventolanti al suono della
fanfara dei bersaglieri”49; anche dal lato della messa in scena, accurata
ed elegantissima, la compagnia è giudicata la migliore che si sia avuta
in Acqui, ma il pubblico non risponde degnamente agli sforzi dell’impresa.
La situazione penosa della cassetta pare non mutare con la compagnia
milanese Bice Rozen. Dopo alcune recite però, il teatro torna ad affollarsi, il pubblico si diverte prodigando applausi di fronte alle spigliate
amabili esibizioni di tutta la compagnia:
“Le commedie più esilaranti sono sempre seguite da
vaudeville od intercalate da canzonette uso caffè
49 “La Bollente” del 12-13 luglio 1900, n. 28.
185
concerto, escluse quelle pornografiche, in modo che
gli spettatori ne escano entusiasti. Lo provano le
continue richieste di bis, che raramente vengono
concessi allo scopo di non protrarre lo spettacolo
oltre le 23, ed a tale uopo molto bene ha fatto l’impresa facendo cominciare più presto lo spettacolo, e
ad ora fissa”50.
La Poupeé, appositamente ridotta per il teatro milanese, viene replicata per ben tre volte.
Nel mese d’ottobre torna l’opera con una buonissima Norma, eseguita
da artisti provenienti dal teatro Costanzi di Roma, tra cui Elisa Ferrari;
piace anche l’esecuzione del bozzetto In riva al mare del maestro
Giuseppe Lanaro, nonostante le difficoltà incontrate dall’orchestra.
Con la compagnia drammatica E.Cecchi gli acquesi assistono alla
prima rappresentazione dell’opera Come le foglie del Giacosa, replicata per ben tre volte, sulla quale il cronista de “La Bollente” così si
esprime: “(…) i personaggi e le anime magnificamente coloriti e
descritti, meno quelli che naturalmente non hanno colore, come la
insipida pittrice e l’esteta ignobile. Alcune scene di un’altezza drammatica insuperabile, il dialogo quale solo Giacosa o Traversi o Bracco
sanno scrivere”51; il giornalista de “La Gazzetta d’Acqui” critica però
l’interpretazione del personaggio del pittore: “Certe pagliacciate si
possono tollerare in una farsa, ma non in un lavoro del Giacosa.
Sarebbe bene che l’intelligente direttore, artista scrupoloso, reprimesse un tale sconcio, che troppo stona col modo veramente irreprensibile col quale tutti disimpegnarono la loro parte”52. Il giudizio
sulle rappresentazioni è ampiamente positivo, e molto apprezzato è
il Cecchi per il metodo di recitazione e per l’irreprensibilità della
scena in Dopo di Novelli e nella Morte civile di Giacometti. Terminate
le recite, si annuncia il ritorno della compagnia in estate nel Teatrino
Vecchie Terme; il cronista de “La Gazzetta d’Acqui del 17-18 novembre 1900, n. 46, scrive in proposito che certamente non mancheranno gli affari, se
“(…) Cecchi vorrà lasciare nel dimenticatoio le produzioni di domenica. Le due orfanelle, Suor Teresa, La
sepolta viva e simili non vanno più. Lo spettatore vuol
essere sollevato e divertito e non terrorizzato. Perché
la compagnia Cecchi non si attiene al repertorio
moderno? Ha pure visto che un pubblico intellettuale,
affollato e pagante, ha assistito per quattro sere consecutive alla commedia Come le foglie!”.
186
50 “La Bollente” del 9-10 agosto 1900, n. 32.
51 “La Bollente” del 15-16 novembre 1900, n. 46.
52 “La Gazzetta d’Acqui” del 17-18 novembre 1900, n. 46.
Le rappresentazioni proseguono con la messa in scena
de La favorita: se in un primo
momento lo spettacolo non
convince totalmente i critici,
per le incertezze dei debuttanti Luigi Vacchieri e Giuseppe Orcese, nelle recite successive è giudicato buono
sotto tutti gli aspetti, grazie al
notevole progresso dei debuttanti ed alla bravura di
Sante Canale, Sergio Ivanoff e
della prima donna Soriani. Un
vero trionfo è la messa in
scena della Carmen, che supera ogni aspettativa, con la
prima donna Amparo Obiol,
reduce dai successi ottenuti
in Francia e al Liceo Barcellona, ed un’ottima orchestra
arricchita con elementi forestieri e musicanti del locale
Reggimento. L’anno si chiude
con un breve corso di recite
della compagnia condotta da
Antonio P. Musella, con
Maria Gorrieri Pasquali, moglie dell’attore Cesare Pasquali, Francesco Artale e Anna Pedretti, che
debutta felicemente con Il padrone delle ferriere di Ohnet.
Dopo la compagnia eccentrica Frizzo-Fregoli, le marionette di Carlo
Sebastiani ed una recita della compagnia Vestri, nell’aprile 1901 il teatro apre i battenti con la compagnia Benincasa-Rivalta che si esibisce
davanti ad un pubblico largo di concorso e di applausi. Il giornalista dea
“La Gazzetta d’Acqui” apprezza la scelta di testi come I pezzenti del
mare di Cavallotti, Come le foglie di Giacosa, Diritto di vivere e Una donna
di R. Bracco, condividendo l’abbandono degli scherzi musicali quali Un
buffo a spasso, non adatti ad un artista “intellettualmente superiore”53
come il Vestri.
53 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1901, n. 15.
Il Gran Caffè Dora
sotto i portici di
Palazzo Papis.
Fotografia inizio
Novecento.
Immagine tratta
dal volume
fotografico di
Piero Zucca
Acqui da non
dimenticare,
Torino 2003.
187
GLI ARTISTI
A metà maggio torna l’opera con la messa in
scena de Il barbiere di Siviglia: dopo l’esito negativo delle prime rappresentazioni, a causa,
secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”,
Nato a Brescia nel 1832, dopo
dell’eccessiva audacia della prima donna che traaver recitato in piccole parti
volse anche gli altri artisti, si presenta una nuova
di paggio, amorino, di ragazzo,
edizione dell’opera riveduta e corretta con
era stato scritturato da
Elvira Scrivano. La messa in scena della Lucrezia
Giovanni Chiarini nella sua
Borgia, con un quasi completo cambio d’artisti,
compagnia di pantomimi; pasrisulta fin dalle prime recite degna di approvasato poi con il fratello Gaetano prima come amoroso, poi
zione incondizionata, come dimostra la stessa
mamo e secondo brillante,
cittadinanza che per sei sere affolla il teatro:
entrò come primo brillante
meravigliosa Elisabetta Redi, mentre si fanno
assoluto nella compagnia di
onore i concittadini Pelizzari e Bonziglia. A metà
Zamarini e Carlo Romagnoli,
giugno l’Impresa Ivaldi sposta per poche sere
ed in diverse altre, recitando
l’opera al Teatrino Vecchie Terme: in entrambi i
anche in America con la comteatri il pubblico continua ad accorrere numepagnia di Ernesto Rossi.
R.Br.
roso ed entusiasta.
Dopo una breve serie di rappresentazioni dall’eCfr. anche L. RASI, op. cit., vol.
sito positivo della compagnia piemontese Solari
II, pp. 663-664.
e della milanese Bice Rozen, i cronisti riportano
l’insuccesso clamoroso ed assordante della
Norma, criticando la protagonista Cotko Lidia,
non bene accolta dal pubblico; la cantante russa,
infastidita dalle parole del cronista della Bollente, lo offese pubblicamente ed, in seguito ad una querela per ingiurie, alla cantante venne
inflitta dal Pretore una multa di lire 600. Dopo alcune messe in scena
della Lucia di Lammermoor con la Colombati, eseguita in modo ammirevole, la stagione lirica continua fino al 6 novembre caratterizzata da
un continuo cambio di artisti: nella Norma prima la Ferrari, poi Bice
Lucchini, e dopo il Balzelli una serie di bassi di scarso valore; ne Il trovatore il pubblico aveva fatto la conoscenza di quattro Eleonore, tra le
quali la Follen e la Lucchini, due Azucene, due Manrici, due conti di
Luna ed innumerevoli Ferrando; incomprensibili secondo il giornalista
de “La Bollente”, le sostituzioni della Sormani con la Ponzoni, del tenore Davi con il Bertini, del baritono Belloni con Giuseppe Giani.
L’anno si chiude con poche recite della troupe Marchetti54, della compagnia di Varietà Italo-Americana e di quella diretta da Guglielmo
Emanuel Gatti, nipote di Giovanni Emanuel, di fronte ad un pubblico
un po’ stanco e quindi non numeroso.
LEOPOLDO
VESTRI
188
54 “La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 novembre 1901, n. 47 annuncia la serata della
prima attrice A. M. Venturini nella parte di Amleto, ruolo che avevano interpretato anche la Bernhard e la Pezzana; nel 1907 vi si cimenterà Lina Diligenti,
allieva della Pezzana, al Garibaldi. Nel numero successivo de “La Gazzetta” si
legge: “il pubblico è scarso quando si danno produzioni di buona lega, e riempie il
teatro per drammacci come Giuseppe Musolino che fece per tre sere, tre pienone”.
Nelle cronache teatrali dei primi mesi del 1902 troviamo la solita sollecitazione al pubblico a frequentare l’unico passatempo esistente in
città: quando é il turno dell’opera Saffo, prima con la brava Maria
Barasa, e poi con la compagnia Gemelli, il pubblico brilla per la sua
assenza, per risvegliarsi solo con le operette della compagnia del cav.
Starace. L’elemento artistico, che va completandosi col procedere dei
giorni, è buono, la scena sfarzosa e il vestire elegante ed appropriato;
in più sul palco regnano serietà e correttezza, “caso raro per non dire
unico”, secondo il cronista de “La Gazzetta d’Acqui”, “in una compagnia d’operette”55. Nella scelta del repertorio nessuna novità: I granatieri, Madama Angot, Boccaccio, Le campane di Corneville, La befana,
Mascotte, Santarellina.
Fin dal mese di marzo l’impresario Ivaldi, non ricevendo alcun aiuto dal
Comune, cerca di realizzare una stagione d’opera invitando il pubblico
a sottoscrivere 200 azioni da lire 20 l’una, convertibili a richiesta dell’azionista, in abbonamento, biglietti e affitto palco; pur non avendo
raggiunto le 200 azioni, l’Ivaldi riesce ad offrire al pubblico una stagione lirica trionfale. Si inizia il 28 giugno col successo della prima della
Manon, ed il favore del pubblico continua col proseguire delle recite:
da Cavalleria rusticana a Pagliacci, considerata quest’ultima, per i pregi
del melodramma e il valore degli esecutori, un importante avvenimento artistico per la città; da La bohème alla Linda di Chamounix con
un’insuperabile Virginia Colombati, a La traviata nelle sue diverse edizioni. Tre mesi d’opera, uno spettacolo completo e serio realizzato
dall’Ivaldi con le sue sole forze, spingono i giornali a porre l’accento
sul dovere del Comune di fissare una dote.
Dopo gli spettacoli di marionette di Zane e quattro pienone con la troupe di varietà del prof. Bellini, giunge la compagnia Benvenuti, con la prima
attrice Maria Gallo Benvenuti, “buona allieva di Adelaide Tessero”56, e
Achille Maieroni. Nelle prime sere un pubblico numeroso assiste a tre
repliche de I figli di nessuno di Rindi e Salvani; nel corso delle recite però
diminuisce, a causa anche del maltempo, e la compagnia cerca di attirarlo mettendo in scena alcuni lavori di autori acquesi: La disfatta dell’avv.
Bisio, modificata dalla censura, risulta mutila e non sufficientemente sviluppata, oltre che imperfetta nell’esecuzione, forse per la troppa fretta
nell’andare in scena; piace Colpe altrui di Francesco Gabellio, “che rivela
una felice predisposizione drammatica dell’autore”57.
55 “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 maggio 1902, n. 19.
56 “La Bollente” del 13-14 novembre 1902, n. 45.
57 “La Bollente” del 4-5 dicembre 1902, n. 48.
189
Nel marzo 1903 il teatro apre i battenti con la compagnia MugnainiValentini, “costituitasi all’inizio della Quaresima nella nostra città”58.
Essa dà subito prova di ammirevole affiatamento e di accuratezza
anche nei minimi particolari, con un repertorio che scuote “la tradizionale letargia monferrina”59: piacciono Romanticismo di Rovetta e
Sperduti nel buio di R. Bracco, diverte Dame de chez Maxim’s di Feydeau
mentre alcuni riscontrano ne I fuochi di S. Giovanni di Sudermann una
certa “pesantezza germanica”60.
Dopo una breve stagione lirica con La contessa d’Amalfi, interpretata da
un’applaudita Adalgisa Grossi, e La favorita, gli acquesi affollano il teatro per assistere alle operette della Compagnia Città di Milano: l’affiatamento eccezionale, una messa in scena accurata ed elegante, l’abilità del soprano Jone Mary, seralmente acclamata, e le esilaranti macchiette di Cappelli e Grassi, sempre originali nelle loro riproduzioni,
riscuotono le generali approvazioni. Il successo di pubblico si ripete
con la compagnia napoletana Variale-Nunziata-Cozzolino, trasferitasi
dal Teatrino Vecchie Terme, dopo alcune recite della compagnia
Mugnaini-Valentini e della compagnia Raspantini: il cronista della Bollente elogia della compagnia napoletana l’eleganza e l’affiatamento, l’alternanza di lavori seri e vaudeville, non sa però emettere un giudizio
sui singoli artisti poiché si trova di fronte “ad un genere affatto
nuovo”61.
Nel 1904 dopo alcune buone recite della compagnia Gray e Sequi, che
debutta felicemente con Romanticismo di Rovetta, giunge la troupe
Cuniberti che presenta un repertorio estesissimo, comprendente le
commedie del concorso drammatico-dialettale promosso dall’on.
Tommaso Villa: l’affiatamento degli attori fa sì che le commedie interessino l’uditorio anche quando sono appena di valore mediocre, ma
sono soprattutto i vecchi lavori del Bersezio e di altri grandi a scuotere, più che le produzioni moderne prive di “trama scenica”62. Oltre
a Teodoro Cuniberti, nato a Savigliano nel 1842, allievo del Toselli e
autore di diverse commedie con lo pseudonimo di Giulio Serbiani,
componevano la compagnia anche i conosciuti Dante Testa, Giovanni
e Federico Bonelli, e la Gemelli.
Nel mese di maggio il pubblico assiste ad alcune sfortunate messe in
scena de La favorita e Il trovatore. La prima edizione de La favorita viene
stroncata da una parte della critica, nonostante la bravura di Tina
Alasia; scrive il cronista de “La Bollente”: “non bisogna però inveire
contro i caduti, ma piuttosto noi sentiamo di dover biasimare severamente chi per mire non sempre confessabili, solletica ed applaude a
190
58 “La Bollente” del 5-6 marzo 1903, n. 10.
59 “La Bollente” del 12-13 marzo 1903, n. 11.
60 Ibidem.
61 “La Bollente” del 5-6 novembre 1903, n. 45.
62 “La Gazzetta d’Acqui” del 7-8 maggio 1904, n. 19.
velleità artistiche con un evidente reato
previsto dal codice penale: il reato di eccitamento e di aiuto alla corruzione”63; le
edizioni successive sono più fortunate
anche se non impeccabili. Non maggior
fortuna ha Il trovatore, alla cui première il
numeroso pubblico “fu clemente, limitandosi a ridere senza fischiare”64, e caratterizzato nelle sue diverse edizioni da un
continuo avvicendarsi di tenori.
Dopo alcune recite della compagnia Valentini-Marchiò e gli esercizi di autosuggestione del prof. Bellini, l’impresario Ivaldi, in
attesa di allestire la Mignon, decide di iniziare la stagione con una piccola serie di
recite de Il barbiere di Siviglia: il cronista de
“La Gazzetta d’Acqui” considera l’esecuzione meno che mediocre, nonostante il
valore dei singoli artisti, causa l’andata in
scena troppo precipitosa e la mancanza di affiatamento, mentre è giudicata lodevolissima dal giornalista de “La Bollente”. Un trionfo fin
dalla prima è la Mignon di Thomas, con una straordinaria Lina Sanfelice,
alla quale l’acquese Gabellio dedica una canzone e di cui si scrive: “Lina
Sanfelice ha cantato l’Italia, l’ha descritta nei suoi colori più vivi, colla
sua arte impareggiabile, colla sua voce sgorgante dal suo petto come
acqua scintillante da viva fonte”65. Chiude l’anno il Circo Equestre
Russo e la troupe di varietà “Nino”.
Nell’aprile del 1905 il Garibaldi apre i battenti con il grande successo
della compagnia d’operette Ugo Checchi, con il già conosciuto Franco
Cappelli. A giugno lo spettacolo di varietà del sig. Giuntini lascia il
passo a I puritani, eseguito davanti ad un pubblico sempre numeroso.
Lo spettacolo, abbandonato dall’impresario Minciotti e dalla cantante
Cappellaro, continua grazie all’impegno dell’Ivaldi e degli artisti, i quali
riescono pur senza prove a mettere in scena un soddisfacente Barbiere
di Siviglia.
Dopo alcuni mesi di chiusura forzata per restauri, il teatro riapre nel
1906 con la Linda di Chamounix, spettacolo che delude per la mancanza di affiatamento dovuta all’allestimento frettoloso. Fallita l’andata in
scena con il Don Pasquale e con L’elisir d’amore, l’impresario Ivaldi
riesce ad allestire un’ottima Sonnambula, grazie a Pepita Sanz, la quale
riesce dà al personaggio di Amina un risalto così fine e accurato da
commuovere il pubblico, ringraziata con applausi, fiori e regali.
63 “La Bollente” del 2 giugno 1904, n. 22.
64 “La Bollente” del 9 giugno 1904, n. 23.
65 “La Bollente” del 3 novembre 1904, n. 44.
Accesso ai palchi.
Foto scattata
nel giugno 2005.
Archivio ITER.
191
Ad aprile viene scritturata la compagnia del cav. Mugnaini. Rinnovata
completamente nel personale artistico, in un primo momento viene
criticata dai giornali che riscontrano incertezza di scena e d’interpretazione; nel corso delle recite l’incertezza lascia il posto ad una sicurezza scenica ed interpretativa encomiabili, per quanto non manchino
critiche alla scelta di troppe produzioni francesi. Il teatro si affolla per
Romanzo di un’operaia povera, composta dall’operaio genovese Cesare
De Paoli, e molto apprezzata è l’esecuzione e la scelta dei costumi ne
La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, messo in scena dal Mugnaini
nonostante le notevoli spese e difficoltà.
Dopo alcune buone messe in scena di Un ballo in maschera e Rigoletto, con
artisti di valore quali il soprano M. Liddel, la A. Yelson, il baritono
Barbacani, il Coltellazzi ed una recita della compagnia Mugnaini trasferitasi dal Teatrino Vecchie Terme, gli acquesi affollano il teatro per assistere agli spettacoli della compagnia Marion-Guerci, ed in particolare per il
Ballo Excelsior. Preceduta da una serata a favore dei poveri, eseguita da
dilettanti acquesi, l’opera torna nel mese di novembre con due rappresentazioni de La favorita, allestita un po’ frettolosamente, e con un soddisfacente Faust, ben interpretato da Ada Manieri, alle prime armi, e dagli
esordienti baritono Alberto Ghislotti e “prima donna” Irma Vinante.
Terminata la stagione lirica, il teatro viene affittato dalla compagnia La
Comicissima diretta da A. Brizzi ed E. Corazza, accolta con grande
entusiasmo e lodata per affiatamento, cura dei particolari, gusto e
serietà negli scenari, eleganza nel vestito e recitazione sicura e naturalissima. Di Brizzi scrive il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 1516 dicembre 1906, n. 50:
“(…) comico per eccellenza, da un gesto, uno sguardo
sa trarre gli effetti ch’egli vuole. Il riso ch’egli suscita non è la sola contrazione fisiologica del volto ma
vien su dall’animo piacevolmente scosso. (…) Tra i
migliori artisti dialettali. Da E. Corazza non si
potrebbe desiderare di meglio: fedelissimo interprete dei caratteri, egli li presenta al pubblico chiari e
vigorosi. In Checo merli el galo tase e Conte Ambrogio Campodarsego el mario libertin provocò ad
ogni istante risate ed applausi”.
Si legge ancora sul Brizzi (“La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 dicembre
1906, n. 51).
192
“alle quattro rappresentazioni annunciate, ne seguirono altre con ottimo successo. Spettacoli seri e
comicissimi nei quali il sig. Brizzi ci fece ammirare
l’insigne vastità dell’arte sua. Goldoni a Parigi trovò
in lui un interprete insuperabile. Solo coll’espressione del viso, magistralmente truccato, riuscì a farci
passare a traverso tutti gli affanni, tutti i disagi del
grande commediografo durante l’ultimo tristissimo
episodio della sua vita. La scena della morte provocò
un vero entusiasmo d’applausi: il bravo attore dovette presentarsi tre volte alla ribalta. Nelle commedie
facete come L’on. Campodarsegno, I Pellegrini de
Marostega etc. non eccelle meno per sobrietà e naturalezza d’interpretazione”.
Nel 1907, dopo una compagnia lirico-drammatica composta da bambini prodigio e la compagnia di marionette Enrico Salici, il Garibaldi si
apre alla compagnia Mugnaini. La prima attrice Lina Diligenti è ammirata come Adelasia, Fedora, Angizia, Zazà, Gigliola, Odette e nel ruolo
di Amleto; apprezzato anche il cav. Mugnaini, specialmente in Papà
Eccellenza di Gerolamo Rovetta, in cui “ci ha fatto proprio vivere della
sua parte”66, e la Da Caprile in Più che l’amore di D’Annunzio, Odette e
Fernanda di Sardou67.
A fine maggio il pubblico assiste alle rappresentazioni della compagnia
d’operette Di Gennaro, accolta con grande entusiasmo. Geisha viene
data per ben tre sere di seguito in un teatro sempre gremito: “Sulle
Il foyer del
Teatro Garibaldi.
Immagine tratta
dal volume fotografico
di Piero Zucca
Chiriusitâ d’Âic,
Acqui Terme 2004
66 “La Gazzetta d’Acqui” del 13-14 aprile 1907, n. 15.
67 La compagnia mette in scena L’albergo dei poveri di Maksim Gor’kij, poco apprezzato sia dal pubblico, sia dalla critica.
193
GLI ARTISTI
DORA
BALDANELLO
Figlia di Antonio Prosdocimi, suggeritore della Compagnia Reale
Sarda, era nata a Pisa il 21 giugno
1877, e aveva recitato col padre fin
dall’età di cinque anni, prima di
entrare nella compagnia ZagoPrivato e nel ruolo di seconda amorosa con Enrico Dominici; dopo un
breve periodo nella Achille TelliniAngelo De Farro, era passata come
prima attrice giovane nella compagnia veneziana “San Marco” diretta da Enrico Corazza, poi nuovamente nella Zago-Privato; dopo
aver formato insieme al marito
Giuseppe Baldanello alcune compagnie, tra le quali la compagnia
comica “Goldoniana”, aveva continuato a recitare ad intermittenza,
prima di abbandonare definitivamente le scene.
R.Br.
nostre scene sono anni che non vediamo
un decoro di costumi e di scenari pari a
questo: ogni cosa è sempre curata, intonati i cori, ben combinate le evoluzioni saltellanti delle Geisha [sic]”68; ammirata è
soprattutto la sig.na O. Visconti, per la
quale ogni sera ci sono ovazioni. Buono è
anche l’esito degli spettacoli d’opera: successo delle messe in scena de La traviata,
con Ebe Sansone Ravina ed il tenore spagnolo Paolo Pipin, della Lucia di Lammermoor con Adelina Motta chiamata a
sostituire temporaneamente l’indisposta
Laura Van Kuran con entusiastico consenso di pubblico; e successo indiscutibile
anche per Ernani. Scrive il cronista della
“Bollente”: “Dobbiamo dire subito che
quando le imprese sono assunte direttamente dall’Ivaldi gli spettacoli sono assai
più decorosi e più curati che non quando
il teatro è ceduto ad imprese forestiere”69.
Dopo quattro lodate rappresentazioni
della compagnia Brunorini, giunge al
Garibaldi per cinque sere la compagnia di
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit.,
vol. III, pp. 1481-1483.
Dora Baldanello; nella sua serata d’onore
si mette in scena Dall’ombra al sole di
Pilotto, davanti ad un “pubblico attentissimo a quella Lisa che appariva non nella
finzione della scena ma nella vita reale,
che sapeva commuovere e far sorridere
con sì bella semplicità di mezzi”70. Di lei si scrive ancora: “(…) Dora
Baldanello affronta con pari sicurezza di vittoria l’impeto del dramma
moderno a cui sa dare tutta la vigoria d’un’interpretazione sempre
efficace e corretta”71.
Oltre a Dora Baldanello, componevano la compagnia Amalia Borisi,
Armando Borisi, attore e cantante, (figlio di Amalia72), e Giovanni
Pezzinga.
194
68 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19 maggio 1907, n. 20.
69 “La Bollente” del 24 ottobre 1907, n. 43.
70 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3 maggio 1908, n. 18.
71 Ibidem.
72 L. RASI, op. cit., vol. I, p. 494.
GLI ARTISTI
A giugno incontra il favore del pubblico la
GIOVANNI
compagnia Flores-Charetty, diretta da A.
PEZZINGA
Melidoni: ottimi e affiatati gli attori, soprattutto Alfredo Melidoni, “artista che possieNato a San Piero Patti il 15 maggio
de la facoltà di far assumere al suo viso
1873, aveva esordito nella compamille espressioni diverse e che dopo quel
gnia Antonio Pezzinga-Amilcare
po’ po’ di parte sostenuta in ogni produAjudi ed era poi entrato nella
Ercole Mazzoni-Giorgio Bonafini,
zione, ci offre una serie di canzonette,
nella Giovanni Valentini e Franco
diventando macchietta di prim’ordine”73.
Romano, con Antonio Brunorini e
Il pubblico continua a frequentare numecon Carlo Rosaspina; era passato
roso il teatro anche con la compagnia
successivamente quale “amoroso” e
Città di Torino, che presenta le solite ope“primo attor giovane” con Novelli, e
rette ma eseguite in modo ammirevole, e
in diverse altre compagnie, tra le
con la compagnia lillipuziana Città di
quali quella di Dora Baldanello nel
1908-1909, anche come capocomico
Roma, che desta nel pubblico dapprima
e direttore, dedicandosi in seguito
stupore, poi simpatia ed infine ammirazioal cinema e dirigendo per pochi
ne. Su “La Gazzetta d’Acqui” viene pubblimesi nel 1931 il Politeama Naziocato un articolo assai critico nei confronnale di Firenze.
ti di questo genere di spettacoli: in esso si
R.Br.
osserva essere gli effetti del teatro lillipuCfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit.,
ziano disastrosi sui piccoli attori. “I poveri
vol. III, pp. 1469-1470.
ragazzi divenuti grandicelli, devono per
forza maggiore abbandonare le scene, perché non possono disporre più delle loro
facoltà foniche e, qualche volta mentali.
Diventano, come vedete, degli invalidi,
degli spostati, senza arte, né studi, senza
una dote che possa procacciar loro un po’
di pane”. Si osserva poi che questo tipo di
spettacoli costituisce una profanazione
dell’arte, “(…) perchè l’opera, per adattarsi alle forze debolissime dei
bambini, deve subire necessariamente in alcuni punti delle amputazioni e in altri deve essere abbassata magari di qualche tono”; questi bambini prodigio “possono eccitare la curiosità, non dare allo spirito veri
godimenti artistici”74.
A settembre giunge per alcune recite la compagnia Vitaliani, in attesa
di imbarcarsi a Genova per l’America del Sud.
Italia Vitaliani attrice trionfa in tutte le parti, in particolare nei drammi
Casa paterna di Sudermann ed Hedda Gabler di Ibsen, con interpretazioni “sincere e profonde”75, ma tutti gli attori sono giudicati di talento76.
73 “La Gazzetta d’Acqui” del 6-7 giugno 1908, n. 23.
74 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 agosto 1908, n. 34.
75 “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 ottobre 1908, n. 40.
76 Tra le opere rappresentate figurano Suor Teresa di L. Camoletti, La madre di
Rusinol, La moglie bella di Debelly, Tosca di Sardou, La signora dalle camelie e
La principessa Giorgio di Dumas figlio.
195
GLI ARTISTI
ITALIA VITALIANI
Nata a Torino il 20 agosto 1866, discendente da una delle più note e numerose
famiglie comiche dell’Otto-Novecento,
aveva esordito nella compagnia diretta
da Luciano Cuniberti; passata dal ruolo
di seconda amorosa a quello di prima
attrice giovane nella Luigi Bellotti Bon
condotta da G.B. Marini e diretta dallo
zio Cesare Vitaliani, entrò in Compagnia
Nazionale per assumere poi il ruolo assoluto nella “Città di Torino” diretta da
Cesare Rossi accanto alla cugina Eleonora Duse; entrata nella compagnia di
Pasta e nella G. B. Mariani accanto a
Virginia Marini, nel 1892 assunse il capocomicato, recandosi spesso all’estero; successe nel 1919 al Rasi nell’insegnamento
di recitazione presso la scuola drammatica di Firenze, e nel 1924-1926 a Virginia
Marini nella direzione dell’Accademia di
S. Cecilia di Roma, girando fra il 1911 e il
1926 cinque film.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol.
III, pp. 1535-1537.
A Novembre occupa il teatro la compagnia Zannini-Maggi-Nobile, esordendo con La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, ed offrendo un bel
numero d’opere serie ed allegre interpretate con sentimento d’arte.
Chiude l’anno la compagnia Galli, bene accolta dal pubblico acquese.
Nel corso del 1909 si sussegue tutta una serie di compagnie che rimangono per pochi giorni: la Compagnia Drammatica Italiana ZanniniGreco, la Corazza-Zago diretta da Alberto Brizzi, la Lambertini, la Guido
Giovannucci, la Giulietta De Riso, la Nina Sanzi diretta da Carlo
Rosaspina, la compagnia d’operette E. De Beaumon, la Andrea Maggi di
proprietà del Teglio, la Compagnia Dialettale Napoletana diretta da
Achille Pansini, la Compagnia Lillipuziana del comm. Ernesto Guerra.
Nei primi di giugno giunge per quattro sere la compagnia di Virginia Reiter.
GLI ARTISTI
GLI ARTISTI
ANDREA MAGGI
VIRGINIA REITER
Andrea Maggi, nato a Torino il 29 aprile
1849, dopo aver frequentato la scuola drammatica di Carolina Malfatti, era entrato
come amoroso nella compagnia del Teatro
Fiorentini di Napoli di Adamo Alberti; era
passato poi come primo attor giovane e in
seguito come primo attore nella Bellotti Bon
n. 3 diretta da Cesare Rossi, e quindi per
tornare nella compagnia Città di Torino,
nella Bellotti Bon, assumendone il capocomicato dopo la morte di quest’ultimo, ed in
diverse altre; lasciato il capocomicato, si
scritturò negli anni successivi quale direttore e primo attore di varie formazioni.
R.Br.
Nata a Modena il 17 gennaio 1868,
aveva debuttato nel 1877 con la filodrammatica modenese Cuore ed arte,
passando poi nella compagnia di G.
Emanuel con il ruolo di prima attrice
giovane ed in seguito di prima attrice,
affermandosi rapidamente anche all’estero come una delle migliori attrici del
teatro italiano; era passata poi nella
Talli-Reinach, nella Andò-Leigheb,
socia di F. Pasta ed in seguito capocomica sola; dopo un anno di riposo
(1906-1907), riprese a recitare ma non
più regolarmente
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III,
pp. 1418-1419.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol.
III, p. 1485.
La compagnia debutta con Madame Sans-Gêne di Sardou, per ritornare a settembre con La dama dalle camelie di Dumas figlio e Casa paterna di Sudermann, seguita da tre recite di Gustavo Salvini con La morte
civile di Giacometti, Ippolito di Euripide e La bisbetica domata di
Shakespeare. Sulla Reiter scrive il cronista de “La Bollente” del 17 giugno 1909, n. 24:
“E fu davvero una visione dolcissima quella che nelle
quattro sere scorse Virginia Reiter largì con commozione di riconoscenza al foltissimo pubblico acquese
affascinato e plaudente. O Duchessa di Danzica –
Sans-gêne vivissima – robusta e schietta fede d’amore; o Francillon sofferente – vittoriosa lotta d’amore; o
Adriana morente – artistico sogno d’amore; o Cesarina
appassionata – perfida chimera d’amore – per l’Arte,
per la grande Arte, per la inimitabile Arte di Virginia
Reiter, avete dei mille cuori fatto un cuor solo ed avete
in questo immane segno di vita infuse, impresse, scolpite novissime ignote, insospettate sensazioni, ora violente ed or tenuissime; carezze ignorate sino a ieri,
soavissime come quelle di donna innamorata; lusinghe folli come aspirazioni; aneliti indistruttibili come
il sentimento. Ogni anima si compiacque di essere
avvolta, sconvolta, travolta da tremiti di passione, da
inni di gioia, da brividi di tortura: passione, gioia e tortura senza nome e senza fine”.
Nel mese di agosto il pubblico acquese può assistere a poche recite
della compagnia Nina Sanzi diretta da Carlo Rosaspina, con la grande
attrice Giacinta Pezzana.
GLI ARTISTI
GIACINTA PEZZANA
Nata a Torino il 28 gennaio 1841, diede le
prime prove delle proprie capacità interpretative come prima attrice nella compagnia di Cesare Dondini senior accanto ad
Ernesto Rossi; sposato il drammaturgo
Luigi Gualtieri nel 1863, entrò nel 1865
in compagnia di Luigi Bellotti Bon e nella
compagnia del Teatro dei Fiorentini di
Adamo Alberti, prima di assumere il
capocomicato con Luigi Monti e Guglielmo Privato, affrontando il repertorio classico che portò anche all’estero; fu in seguito in diverse compagnie, recitando in
Italia e all’estero, in Russia, ed in
Sudamerica dove si recò nel 1910
per una tournée con Carlo Rosaspina e Nina Sanzi; nel 1911
diresse una scuola di recitazione a Montevideo e nel 1914
interpretò il suo unico film,
Teresa Raquin.
R.Br.
Cfr. anche P. D.GIOVANELLI,
op. cit., vol. III, pp. 14681469.
La compagnia debutta con Il Re di De Flers e Caillavet, e mette in
scena quella Teresa Raquin di Zola con la quale si era finito per identificare la Pezzana.
Nel 1910 il Garibaldi si apre per un breve ma apprezzato corso di recite alla Compagnia Piemontese Solari, che torna anche a fine marzo
con straordinario successo: il pubblico, all’inizio scarso per il maltempo, giunge numeroso per Il vedovo allegro, e continua successivamente
a seguire entusiasta la compagnia nelle messe in scena di Le spônde del
Po, I paisan e la leva del Pietracqua, ’L birichin ’d Turin di Garelli. La stampa (“La Gazzetta d’Acqui” del 23-24 aprile 1910, n. 17) loda il brillante Arduino:
GLI ARTISTI
RAFFAELLO
(RAFFAELE)
MARIANI
Nato a Roma nel 1872, dopo aver
esordito col ruolo di generico primario nella compagnia di Giuseppe
Gray, era passato in quella di
Enrico Gallarini, poi nella Alfredo
De Sanctis, nella Reiter, nella Talli
e Soci e con Nina Sanzi; dopo aver
formato una società con Nina
Vaschetti, Ottone Merkel e Livio
Ravanelli, diretta dallo stesso
Mariani con Fausta Galanti
Fantechi, con la quale continuò nel
1910-1911 dopo l’uscita della
Vaschetti e del Ravanelli, diresse
dall’aprile al settembre 1911 la cattedra di recitazione all’Accademia
dei Filodrammatici di Firenze e si
dedicò al cinema.
R.Br .
“Il senso della misura è una
delle doti principali dell’attore
Arduino: gli effettacci così facili
ad ottenere sono da lui banditi
completamente poiché egli pensa che la risata non debba essere soltanto nel volto ma nell’animo che ne ha compreso lo spirito e ne gode. Il personaggio
rappresentato dall’Arduino noi
lo vediamo nella vita quotidiana e non vi badiamo gran che:
l’attore invece lo prende, lo trasforma col suo inesauribile
humor, gli mette, in una parola,
nuovo sangue e nuovo brio.
Come si compie il miracolo? È il
segreto della sua arte, arte vera
e sana che, purtroppo pochi
sanno seguire od imitare”.
Nell’ultima sera Romolo Solari saluta il
pubblico con “il grido di: Evviva Acqui! (…)
entusiasta dell’accoglienza fatta e grato
per la oltremodo gentile ospitalità che in
Acqui aveva ricevuta”77.
Alla Solari segue per poche recite la
compagnia Raffaele Mariani.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit.,
vol. III, pp. 1421-1423.
198
77 “La Bollente” del 28 aprile 1910, n. 17.
A qualche piccolo difetto d’affiatamento, “inevitabile nella Compagnia
di prima formazione”, si rimedia con una cura minuziosa, “e le commedie che seguirono Odette furono signorilmente trattate”78; piace
Fausta Galanti specialmente in Quieto vivere di Testoni e Zazà di P. F.
Berton e C. Simon, “magnifica interpretazione”79, di Mariani nell’Otello;
la compagnia mette in scena anche Il Cardinale Lambertini di A. Testoni,
“una delle più belle commedie del teatro italiano contemporaneo”80.
Nel mese di marzo il pubblico assiste ad una recita straordinaria della
Compagnia Stabile di Roma con La cena delle beffe di Sem Benelli. Così
si esprime “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 marzo 1910, n. 11:
“Non c’è bisogno di dire l’importanza dell’avvenimento. La Cena delle Beffe ha trionfato in Italia,
trionfa ora in Francia colla traduzione di Richepin e
coll’interpretazione di Sarah Berhard [sic] che
sostiene la parte di Giannetto. (…) Anche la Spagna
avrà la traduzione di questo dramma: La Cena de
las Burlas trionferà presto a Madrid al teatro della
Princesa colla nota attrice Maria Guerriero”.
L’opera conquista il pubblico (“La Gazzetta d’Acqui” del 19-20 marzo
1910, n. 12):
“(…) ha conquistato di botto il nostro pubblico e di
scena in scena, con una febbre continua d’interesse,
l’ha portato alla catastrofe tanto più spaventosa
quanto meno prevista. Mai abbiamo sentito slancio
d’applausi levarsi così compatto ed unanime, mai
abbiamo visto un’opera drammatica nostra così
potente, così completa e rivestita d’una forma così
perfetta”.
Anche l’interpretazione degli attori, nello stesso giornale, viene così
lodata:
“Gli attori della Stabile ci hanno dato una rappresentazione degnissima. A Giulio Tempesti va certo la
maggior lode; alla parte Giannetto ha posto tutta la
cura e tutto lo studio di artista intelligente riuscendo
in un’interpretazione impeccabile: ogni sfumatura di
questa duplice anima, ogni rapido passaggio dall’odio
78 “La Gazzetta d’Acqui” del 26-27 febbraio 1910, n. 9.
79 Ibidem.
80 Ibidem.
199
alla preghiera, dalla viltà alla gioia folle del pericolo,
egli ha messo in luce con coloriture sapienti di dizione e con giochi di fisionomia efficacissimi. Fu sempre
guidato da sentimenti d’arte ed ottenne effetti mirabili con semplicità di mezzi: entusiasmò il pubblico
che lo ha salutato molto spesso, e a volte con danno
dell’azione, con vere ovazioni. E parte di queste toccarono pure al giovanissimo attore Ninchi in parecchie
scene ch’egli sostenne sempre con bell’impeto drammatico. Non meno ammirata ed applaudita la sig.a
Laderchi nella breve parte di Ginevra”.
Dopo la ripresa della compagnia Solari, il pubblico assiste alle recite
della compagnia Vitaliani che mette in scena Maria Stuarda, Fedra di
Umberto Bozzini, Suprema forza di Harslamb e Lecr, La locandiera di
Goldoni e Diplomazia di P. Spegazzini.
A fine giugno debutta la compagnia Giovannucci con le operette del
vecchio repertorio. Il pubblico, “contrariamente alle sue abitudini”81,
interviene ogni sera numeroso; criticata è l’esecuzione di Giorno e notte
di Lecocq, pericolante per insufficienza di preparazione, e la messa in
scena de Il barbiere di Siviglia: “Il Barbiere di Siviglia non è né una zarzuela qualsiasi, né un vecchio rattrappito, cadente, (…) io sono convinto
che tutti gli esecutori dell’unica recita di Barbiere, (…) abbiano fatto il
loro meglio, tuttavia, se tra il pubblico non vi era qualcuno che tale concetto avesse già del Barbiere nessuno avrà potuto formarselo”82.
A novembre giunge l’affiatata Compagnia Comica Rodolfi-Nipoti-Spano
con le novità Il bosco sacro e L’asino di Buridano di De Flers e Caillavet,
Reginetta di Saba di E. Moschini, seguita dalla compagnia Bissi, con la prima
attrice Ebe Porro Guasti, senza dimenticare le serate di varietà tra spettacolo e spettacolo.
Alla fine di novembre torna la Compagnia Stabile di Roma, per ottenere
la quale si apre una sottoscrizione tra i cittadini: pubblico numeroso e
successo enorme per La cena delle Beffe e L’amore dei tre Re di Sem
Benelli. Il cronista de “La Gazzetta d’Acqui” del 3-4 dicembre 1910, n. 49
loda le opere del Benelli:
“Chi vuol comprendere l’arte del Benelli deve scostarsi alquanto dalle solite vie. Essa è fatta soprattutto di semplicità: la Cena delle Beffe ne fu uno
degli esempi più mirabili; ora l’Amore dei Tre Re, pur
mutando del tutto gli intendimenti e l’intreccio,
mantiene tuttavia questo pregio caratteristico. In
quest’ultimo poema troviamo grandiosa la tela, poche le persone, ma ognuna compresa di forti e ben
200
81 “La Bollente” del 29 settembre 1910, n. 39.
82 Ibidem.
delineate passioni: nel conflitto di
esse nascerà la tragedia. (…) Il
Benelli ha rinnovato un tempo che le
didascalie del poema non ci dicono
con certezza, ma che sentiamo
nostro, che tutto ci accende di ricordi
aspri e dolcissimi per questa nostra
Patria “tutta fresca, tutta verde,
tutta d’oro” preda materiale del vincitore, vittoriosa a sua volta col suo
fascino irresistibile. Su questo sfondo larghissimo di storia, l’autore ha
posta l’azione dell’Amore dei Tre Re.
(…) Sono scene or tetre d’una drammaticità travolgente, or tutte splendide d’una poesia che ci avvince
nella dolcezza della sua musica e
delle sue imagini. Pochi lavori hanno
tanta freschezza, tanta originalità”
L’esecuzione della compagnia – continua il giornale è giudicata eccellente:
“Archibaldo fu il Ninchi, un giovane
intelligente che ha saputo dare al vecchio cieco un’espressione di gesto e di
voce sempre chiara ed efficace. Anche
il Becci meritò lodi nella parte di
Avito. La signorina Piano superò a
meraviglia ogni difficoltà: la figura di
Fiora fu resa con risalto di colore
senza alcuna ricerca d’effetto. Essa fu
sempre applaudita e calorosamente.
Giulio Tempesti fu l’attore più sobrio
e più intimamente legato alla sua
parte. Abituati a vederlo sotto l’amaro
ghigno di Giannetto, noi ci siamo
domandato come avrebbe egli potuto
spianare il suo viso e la sua anima a
quella serenità quasi mistica di
Manfredo. Ma il Tempesti è riuscito
mirabilmente a rinnovarsi nel viso,
nel gesto, nella voce, nell’anima.
Sfumature, rapidi passaggi alla gioia,
all’amore, alla bontà, hanno avuto
nell’attore uno studio paziente e
minuto. Egli ha svelato il personaggio
GLI ARTISTI
ANNIBALE
NINCHI
Era nato a Bologna il
20 novembre 1887;
dopo aver frequentato
i corsi di Luigi Rasi
presso la scuola di
recitazione di Firenze,
era entrato nella compagnia Saltarelli
diretta da Ermete
Zacconi; passò poi
nella E. Gramatica-R.
Ruggeri, nella Gina
Romani, come primo
attor giovane nella
“Compagnia Grandi
Spettacoli storici e
popolari” della Suvini
Zerbini diretta da
Maggi, con Flavio
Andò prima di entrare nella Stabile
Romana n. 2, divenendone primo attore
dal 1911 al 1914, ed
in diverse altre formazioni, diventando
anche capocomico e
dedicandosi al cinema.
R.Br.
Cfr. anche P. D.
GIOVANELLI, op. cit.,
vol. III, pp. 1445-1446.
GLI ARTISTI
di Manfredo così come il
Poeta l’aveva pensato: una
figura complessa, mista di
elementi barbarici e di quella cristiana pietà che sorpassa e vince ogni altro sentimento. La dizione fu sempre nitida, vibrante, priva
di eccessi declamatori
anche quando l’impeto lirico
ne offriva il pericolo; all’applauso di sortita il pubblico
aggiunse altri ed altri ad
ogni scena. E tra queste
segniamo, come vero trionfo
per l’attore, quella del
second’atto ch’è l’addio a
Fiora”.
JOLE PIANO
La prima attrice era entrata
nella compagnia di Dina Galli
diretta da Andrea Beltramo nel
1904-1905; era passata poi nella
Andò-Paoli-Gandusio,
nella
Stabile Romana, nella Stabile
del Teatro Manzoni di Milano
diretta da Marco Praga col ruolo
di prima attrice giovane, con
Ermete Novelli, per terminare la
sua carriera con Irma Gramatica
prima nella Stabile del Manzoni,
poi nella compagnia di Luca
Cortese diretta da Alfredo
Testoni e nella troupe che la
Gramatica formò per terminare
l’anno comico 1917-1918.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op.
Nella prima metà del 1911 giungono
cit., vol. III, pp. 1470-1471.
al Garibaldi diverse compagnie dialettali, la Piemontese Felix-ArduinoZan, la Veneta Brizzi-Corazza, la
Compagnia Dialettale Milanese con Carlo Rota, la compagnia di
Ferruccio Benini ed Edoardo Ferravilla, ma la mancanza di varianti nei
repertori provoca la scarsità di spettatori. Sul teatro piemontese scrive il cronista de “La Bollente” del 30 marzo 1911, n. 13:
“Il decadente teatro piemontese, decadente per varie
ragioni, prima delle quali che non tutti coloro che
avrebbero il dovere di sostenerlo fanno l’arte per
l’arte, sentirà in breve i benefici effetti della formazione di questa compagnia, creata dalla ferrea volontà di pochi con intendimenti seriamente artistici,
animati dalla passione vera per le scene piemontesi
che ebbero già splendidi bagliori. Se i vecchi attori –
non tutti vecchi per età – hanno abbandonato il
campo per correre dietro alla speculazione, quali ad
altre occupazioni, meno nobili ma più proficue, una
nuova schiera di giovani volenterosi e studiosi accorrerà certo ad ingrossare la falange dei coraggiosi che
seppero restare al loro posto nonostante il cambiare
delle … stagioni e dei tempi. Vi è ancora, anzi vi è di
nuovo un vasto repertorio di vecchie e ottime commedie da sfruttare, e se i comici piemontesi dimostreranno veramente della buona volontà, altri gio-
202
GLI ARTISTI
GEMMA CAIMMI
Nata a Milano il 6 febbraio 1880,
esordì nell’estate del 1897 in
compagnia Paladini-Zampieri;
dopo aver sostituito la Iggius
nella compagnia Nazionale
diretta da Giuseppe Pietriboni,
si scritturò, per l’anno comico
1899-1900, nella nuova compagnia di Armando Rossi diretta
da Luigi Monti, poi con Novelli e
nella Leigheb-Tovagliari, prima
di affrontare il capocomicato, in
società ed in proprio, recandosi
spesso all’estero.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op.
cit., vol. III, pp. 1322-1323.
vani autori accorreranno
in breve ad aumentare il
non esiguo teatro contemporaneo”.
Nel mese di giugno trionfa la compagnia di Gemma Caimmi con
Amore senza stima e Le due dame di
P. Ferrari, Frutto acerbo di R. Bracco,
Il mondo della noia di Pailleron, Una
moglie onesta di G.Antona Traversi,
I figli di Caino di C. Bonaspetti,
Romanticismo di G. Rovetta.
Alla compagnia di Gemma Caimmi
segue una sola ottima messa in scena de Il matrimonio segreto di
Cimarosa, con Germana Grazioli e
Tina Farelli.
“La Bollente” del 13 luglio 1911, n.
28, pubblica un articolo in cui si critica la malattia del pubblico acquese, l’assenteismo:
“Leggendo a caso una rivista d’arte ho appreso che i
varii teatri di Firenze hanno quest’anno tutti fallito.
(…) Davvero che Firenze è invasa dalla malattia degli
Acquesi, perché da qualche mese anche ad Acqui, al
Politeama Garibaldi, unico teatro della città, gli spettacoli si susseguono ottimi – sia detto senza tema di
smentita – ed il pubblico ha lasciato sempre desiderare la sua presenza: soltanto il nome del grande
Cimarosa ebbe il potere di riempire – per una sera – il
teatro; ma poi a nulla valse lo sceltissimo repertorio,
magistralmente recitato dalla Gemma Caimmi, a
nulla, o quasi, il nome e l’arte di Ferravilla, e meno
ancora la presenza del Comm. Benini colla sua affiatatissima compagnia: il teatro restò pressoché sempre
vuoto, con certo pochissima soddisfazione dell’ottimo
sig. Ivaldi, l’impresario coraggioso e solerte, che ebbe ed
ha un coraggio rasentante l’eroismo, di dare agli acquesi degli spettacoli veramente buoni, non badando a
spese, non badando a sacrifici. (…) Se i teatri fiorentini
falliscono fu soltanto perché ne furono aperti 6, 7 ed
anche 8 contemporaneamente; ma Acqui, di teatri ne
ha uno solo e quest’anno rimase chiuso anche più del
solito; tanto che mi accade sovente di sentir esclamare
203
IL TEATRO E LA CITTÀ
FRANCO GHIONE,
IL MAESTRO CHE DIRESSE LA
CALLAS
Francesco Giovanni Ghione (Acqui 1886Roma 1964) compì i primi studi musicali
nella sua città, presso le scuola comunale
del Maestro Tullo Battioni, quindi presso il
Regio Conservatorio di Parma. Diplomatosi
in violino e composizione, entrò a far parte
come strumentista dell’orchestra del Teatro
della città ducale, quindi in
quella
dell’Augusteo a Roma, all’epoca diretta da
Bernardo Molinari.
Fu attivo sul podio a cominciare dal 1913;
ma in questa prima fase della sua carriera
forti restarono i legami con la città natale.
Una serata di beneficenza al “Garibaldi”
(ricordata da “La Bollente” del 2 febbraio
1911), coinvolse anche il “neo laureato in
lettere” Angelo Tomba, “che ha tanta passione pel teatro [quella sera si recitò Il
braccialetto di Traversi] e che tiene al suo
attivo eminenti doti di attore consumato,
elegante efficacissimo in ogni parte che
interpreti”. Con
lui i due fratelli
Ghione.
Il nostro Franco –
legato ad Angelo
Tomba da una fortissima amicizia con la collaborazione del Maestro
Graziosi (direttoAngelo Tomba
re della Banda) e
in costume
di F. Cornaglia
di scena.
propose un pagiCollezione
na cameristica privata Floriana Tomba.
un trio - di Mendelssohn; quindi
accompagnò al piano l’esibizione di Luigi,
“tenorino” tredicenne, interprete della
romanza “Spirto gentil” dalla Favorita di
Donizetti .
La famiglia Ghione (Franco si era sposato
nel 1921 con Maria Nice Spasciani, figlia
del direttore della Vetreria ) mantenne la
residenza all’ombra della Bollente sino al
giugno 1932. Ma neppure dopo si dimenticò
della propria terra, alla quale aveva dedicato le musiche della piccola suite per orchestra da camera Suol d’Aleramo (1923), ma
anche pagine per canto e pianoforte che
attingono alla lingua dialettale: si veda l’arietta monferrina Dop la vendigna (Dopo la
vendemmia).
Memorabile fu poi il concerto che tenne in
Acqui il 22 marzo 1931 al Teatro Garibaldi
Quanto alla carriera artistica del Nostro,
ricordiamo il suo impegno come celebrato
direttore nei teatri più prestigiosi del
mondo.
Dopo gli esordi al Regio di Torino e Alla
Scala (dove si alternò con Toscanini), le
opere dirette al Teatro Colòn di Buenos
Aires, al Municipale di Rio, a Detroit, Franco Ghione toccò l’apogeo della sua carriera
nel 1958 al Teatro San Carlos di Lisbona,
dove presentò il 27 marzo 1958 quella
Traviata che, registrata dal vivo, costituisce
una delle più belle incisioni di tutti i tempi
dell’opera (è ancora parte del catalogo
EMI, casa che l’ha riversata, quindici anni
fa, su supporto digitale) annoverando
Maria Callas e Alfredo Kraus.
Tra gli allievi di Franco Ghione - che dedicò
gli ultimi anni di vita all’insegnamento
della direzione d’orchestra - anche il
Maestro Riccardo Muti.
Il maestro
Franco Ghione
con Maria Callas.
Collezione privata Floriana Tomba.
– nelle serate noiose e lunghe durante le quali dopo la
passeggiatina del dopo pranzo non si sapeva più cosa
fare: - Ma perdio? Mai un po’ di teatro! Ma il nostro
impresario cosa fa? Dunque? Sarebbe lecito chiedere al
sig. Pubblico d’Acqui cosa vuole? Musicaaa!!!! Va bene,
ma la musica costa oggi un occhio”.
Dopo alcune recite della compagnia d’operette L’Italianissima diretta
da Felice Paccot, che presenta la novità del maestro Caballero Le cinque parti del mondo, una folla immensa assiste alle tre sole recite della
Compagnia Stabile di Roma n. 2 con La cena delle beffe, La maschera di
Bruto e Mantellaccio di Sem Benelli: l’esecuzione è eccellente e si lodano tutti gli artisti, in particolare il Tempesti, il Ninchi e Jole Piano.
A luglio il pubblico assiste a poche recite della Compagnia Ruggero
Ruggeri che presenta diverse novità: L’avventuriero di A. Capus83, L’amico
delle donne di Dumas figlio nella serata di Ruggero Ruggeri, Le marionette di P. Wolf e Il Marchese di Priola di H. Lavedan. Il cronista de “La
Gazzetta d’Acqui” loda il Ruggeri e Lyda Borelli: “Ruggero Ruggeri ci
ha fatto gustare una recitazione semplice, elegante ed efficacissima;
Lyda Borelli ha avuto accenti caldi di passione e di sentimento ed una
mimica incantevole”84.
83 Sull’opera di Capus leggiamo ne “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 agosto 1911, n.
32: “Il lavoro è piaciuto e fu applaudito da noi come, credo, lo sia stato in altri teatri. In verità A. Capus ha maneggiato la materia da par suo: pur non riuscendo a
mascherare del tutto gli artefici, la commedia è condotta con abilità: il dialogo è
sempre fine, brioso e, quando occorre, fortemente drammatico, i contrasti sapientemente disposti e misurati. L’autore ha mirato certo all’effetto ed al successo e li
ha ottenuti senza volgarità”.
84 “La Gazzetta d’Acqui” del 12-13 agosto 1911, n. 32.
GLI ARTISTI
RUGGERO RUGGERI
Era nato a Fano il 14 novembre 1871; dopo
aver assunto il ruolo di amoroso nella compagnia Francesco Gervasi Benincasa, era
passato nella “Città di Firenze” di Michele
Mantechi diretta da Ferdinando Nipoti, primo attor giovane nella compagnia Adelaide
Tessero e Pier Giacinto Giozza, ed in diverse altre, accanto ai suoi primi veri maestri,
prima di darsi al capocomicato socio di
Emma Gramatica, solo con la prima attrice
Lyda Borelli, e dal 1909 al 1919 associato
all’impresario Giuseppe Paradossi; dopo
aver formato con Alda Borelli e Virgilio Talli
la compagnia Nazionale, passò in altre compagnie ottenendo grandi successi in
America, e lavorando
anche nel cinema.
R Br.
Cfr. anche P. D. GIOVAop. cit., vol. III,
pp. 1497-1500.
NELLI,
GLI ARTISTI
LYDA
BORELLI
Sorella dell’attrice Alda, era nata
a La Spezia il 22 marzo 1887;
dopo aver esordito nel 1897-1898
nella compagnia Pia Marchi
Maggi e Soci diretta da Giuseppe
Bracci accanto alla sorella, si era
scritturata nel 1902 nella ReiterPasta, poi nella Talli-GramaticaCalabresi, col ruolo di seconda
donna e poi di prima attrice giovane; dopo esser entrata nella
compagnia di Ruggero Ruggeri
dal 1909 al 1912, si associò a
Piperno e Gandusio a capo di una
formazione diretta da F. Andò, e
fece parte della “Fert” di Eugenio
Raoul Brizzi diretta da Novelli,
formando nel 1916-1917 la
Borelli-Piperno e girando alcuni
film.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op.
cit., vol. III, pp. 1313-1315.
A settembre, dopo due recite della
Compagnia Operettistica Cooperativa n.
1 ed un po’ di varietà, giunge la Compagnia Stabile del Teatro Rossini per dare
ad Acqui La bela Gigogin, scritto da Mario
Leoni per Gemma Cuniberti e rappresentato con successo per la prima volta
a Torino nel gennaio dello stesso anno.
Gli acquesi non apprezzano la produzione del Leoni, considerata dalla stampa
troppo frammentaria, e disertano la
seconda rappresentazione.
Nel mese di novembre al solito varietà
segue la compagnia Navarri-Niccolini: il
pubblico si commuove per La statua di
carne di Cicconi, affolla il teatro per Il
conte di Montecristo di Dumas padre, e lo
diserta per il dramma di Legouvé Fualdès
e per Il Cardinale di Parker: su quest’ultima produzione scrive il cronista de “La
Gazzetta d’Acqui” del 18-19 novembre
1911, n. 46:
“(…) forse la scelta non fu
delle più felici: si tratta
invero di un’opera ben
poco nota e non destinata
a grande successo perché,
sebbene non manchino
situazioni
fortemente
drammatiche, abbondano
ingenuità strane e irregolarità inesplicabili di condotta che appesantiscono
gravemente l’azione. Il
Clement mise a dura prova la sua attitudine artistica nel ruolo del Cardinale de’ Medici, la Valori
dovette sfoggiare tutte le
sue doti di prima attrice
giovane per infondere un
po’ di vita alla scialba
figura di Berta Chigi”.
Il reporter, citando alcune critiche a lavori del genere di Fualdès “in cui
il pubblico è costretto ad assistere all’assassinio, previa spogliazione, di
un povero galantuomo”, riporta le solite osservazioni sui gusti del pubblico acquese (“La Gazzetta d’Acqui” del 25-26 novembre 1911, n. 47):
“Bisogna riconoscere che il nostro pubblico ha un’originale cultura teatrale: capricciosa ed irregolare.
Oltremodo difficile è il problema di ammannirgli
spettacoli di suo gradimento; non lavori gravi, interminabili, troppo veristi; non gaie commedie snelle,
vibranti di spirito e di attualità; non riproduzione di
ferocia, né delicatezza di esecuzione; non angoscia e
non giocondità. Che dunque? Il teatro italiano, per
fortuna nostra e dell’arte, non si riduce al roseo
amore delicato di Fiora infelice ed alla rossa vendetta aguzzina di Giannetto implacabile; ed il glorificato valore della nobile falange dei nostri attori non si
deve riassumere nel pavido cachinno di Tempesti e
nella dolce morte della Piano. Ma pare che il nostro
pubblico non la pensi così; ed a nostro conforto non
rimane che il diritto … di ridere perché, secondo il
felice insegnamento di un fine umorista, vi sono
anche diverse maniere di … piangere”.
L’anno si chiude con una serata patriottica data dalla Compagnia
Piemontese Felix-Arduino-Zan con Da Adua a Bengasi, episodio della
guerra italo-turca, scritto espressamente per la compagnia dal rag.
Cleto Bessone di Ovada, e con il lavoro comico La breccia di Porta Pia
di C. Gasea.
Nel gennaio del 1912 Acqui assiste, “tra le prime della penisola”86, alla
rappresentazione della Rosmunda di Sem Benelli, inscenata dagli attori
della Premiére di Milano Irma Gramatica, Gualtiero Tumiati e Giulio
Tempesti. Un lungo articolo ne “La Gazzetta d’Acqui” del 20-21 gennaio, n. 3, elogia la grande attrice,
“che ha dedicato tutto il poderoso ingegno alla severità della vocazione artistica, alla interpretazione di
potenti lavori drammatici, alla speranza di comunicar alla folla i più cupi dolori che si possano abbattere, con bieca furia, sull’anima femminile”, abbandonando così la strada delle “felici protagoniste
sgambettanti nelle troppo … facili e troppo fortunate commediole francesi”.
86 “La Gazzetta d’Acqui” del 27-28 gennaio 1912, n. 4.
207
GLI ARTISTI
GUALTIERO
TUMIATI
Nato a Ferrara l’8 maggio 1876, aveva frequentato le lezioni di recitazione di Luigi Rasi al
Collegio delle Querce di
Firenze; laureatosi in
legge e dedicatosi alla
professione forense, l’abbandonò definitivamente per entrare nella
Compagnia Stabile del
Teatro Argentina di
Roma nel 1905; ritenuto
dal Boutet inetto a calcare le scene, entrò come
ultimo “generico” nella
compagnia di Alfredo De
Sanctis, poi nella
“Grandi Spettacoli”
diretta da A. Maggi,
dove il Tumiati si rivelò;
dopo esser entrato nella
Maggi-Bagni-TumiatiMazzanti-Teglio, e nuovamente nella
Compagnia stabile del
Teatro Argentina, divenne capocomico di diverse
compagnie.
R.Br.
Cfr. anche P. D. GIOVANELLI, op. cit., vol. III, pp.
1527-1529.
L’opera del Benelli viene giudicata col massimo favore,
“per il prezioso valore dei singoli interpreti e per il
mirabile affiatamento della intera compagnia benelliana”87. Oltre ad Irma Gramatica e Giulio Tempesti, componeva la compagnia Gualtiero Tumiati.
Alla compagnia di Benelli segue la Compagnia
Napoletana Melidoni, “che per quanto poco napoletana e per niente italiana” ha “il potere di richiamare in teatro moltissimo pubblico”.88
Dopo alcune fortunate recite delle compagnie
Lauri-Ronzi, Vitti e Bonaccioni, una gran folla assiste
a due rappresentazioni della compagnia GemelliCasaleggio con Borgheide, rivista satirico-umoristica
ideata da Corvetto e De Maria: “nutritissimi applausi artistici e patriottici”89 e innumerevoli repliche
dell’entraînant Inno a Tripoli.
Nel mese di giugno il pubblico può assistere ad uno
spettacolo d’opera lirica con la Norma: dopo un inizio con qualche inconveniente, lo spettacolo migliora e raccoglie il consenso di pubblico e critica, grazie anche al valore di Franca Impallinati, di Dorina
Tomas e di Mario Pelizzari. Segue la compagnia “La
Sociale”, che diverte il pubblico con le novità operettistiche La vedova allegra, Eva e Il conte di Lussemburgo di F. Lehár, andato in scena frettolosamente per un ritardo nell’arrivo dei costumi, Le manovre
d’autunno di E. Kálmán, La bella Risette di L. Fall, replicata infinite volte al Politeama Genovese. A fine
luglio gli acquesi assistono ad “un Don Pasquale di
lusso”90, con una Luisa Cortesi impareggiabile, e ad
un buon Barbiere di Siviglia.
A metà agosto giunge la compagnia d’operette
Vannutelli: “Grande era l’aspettativa; lodevole fu la cura posta nel mantenere ogni promessa; confortante è stato l’esito perché il pubblico
non ha defezionato, e sebbene non siasi sbracciato in applausi, ha
dimostrato di saper ammirare senza rumori”91; applaudita l’esecuzione
delle opere Il milionario accattone e La vedova allegra di F. Lehár, Amor di
208
87 “La
88 “La
89 “La
90 “La
91 “La
Gazzetta d’Acqui” del 3-4 febbraio 1912, n. 5.
Bollente” del 25 aprile 1912, n. 17.
Gazzetta d’Acqui” del 1-2 giugno 1912, n. 22.
Gazzetta d’Acqui” del 27-28 luglio 1912, n. 30.
Gazzetta d’Acqui” del 17-18 agosto 1912, n. 33.
IL TEATRO E LA CITTÀ
UN CONCERTO AL GARIBALDI
DEL M° ANGELO BISOTTI,
Il “Garibaldi” fu teatro ma, ovviamente
anche sala da concerto: vi si esibirono solisti
dei più svariati strumenti, la banda , i cori, i
complessi di camera, le orchestre.
Dovendo scegliere, abbiamo selezionato i
concerti “più acquesi”.
E tale fu quello recensito da“La Bollente”,
sul numero del 13 gennaio 1913, che vide
protagonista al Politeama Garibaldi, Angelo
Bisotti, il successore del Battioni.
Nato a Monticelli d’Ongina nel 1877, compiuta la propria formazione come allievo
interno della Regia Scuola di musica di
Parma (studi con Lodovico Mantovani), fu
primo violino al Teatro Ponchielli di Cremona suonando successivamente in Brasile, Argentina, Spagna, Portogallo, Inghilterra; tornato in Italia diresse a San Remo
(1909), città in cui tornò negli anni Trenta e
in cui si spense nel 1956.
Nel dicembre 1912 vinse il concorso per
direttore e insegnante della Scuola municipale di musica di Acqui, dove rifondò la sezione corale. Sciolta la banda all’inizio della
guerra del 1915, allestì e diresse la fanfara
dell’orfanotrofio. Riordinò l’orchestra della
città, che diresse in molti concerti, facendosi
anche udire come solista e compositore.
Ma facciamoci guidare dalla stampa del
tempo: “Venuto da poco tempo a reggere il
governo della Municipale scuola di Musica,
lo si vide sedere modestamente al nostro
teatro e suonare al cenno del direttore d’orchestra: era cosa naturale che pochi o nessuno sapessero chi egli fosse, né qual valore
egli avesse ma, a ciò pregato, salì sulla scena
ed obbligò la cittadinanza, non con lo sventolio dei titoli accademici, ma col suo strumento, a riconoscerlo quale egli è: un
concertista”. E il recensore, che ascolta il
Mosè, ad una sola corda di Paganini,
narra di un “impeccabile, perfetto esecutore...la passionalità, la sicurezza dell’arcata non venne mai meno...”.
Qualche mese dopo un altro concerto –
pro Colonia Alpina e Marina - organizzata dal Direttore dell’Officina Vetraria,
sig. Spasciani, suocero di Franco Ghione.
Salgono alla ribalta anche Maria
Spasciani (nelle vesti di soprano leggero
e
In questa pagina due immagini tratte dal cartoncino
di invito al concerto di beneficenza tenutosi al
di pianista)
Teatro Garibaldi il 9 marzo 1920.
e
la
signorina
Eugenia Montecucchi, sorella
del tenore).
Bisotti dirige un “sestetto acquese” nella
fantasia del Rigoletto (“esecuzione inappuntabile” riferisce il recensore Tulipano: sarà
mica Flaminio Toso?), poi si esibisce come
solista.
“Il teatro si raccoglie nel più assoluto silenzio…Il pubblico conosce ormai il suo esecutore e ammutolisce allorchè il Virtuoso si
accinge a lanciare col suo violino [in programma Duetto per violino, del Ferrari, e
Danza Ungherese, accompagnamento pianistico affidato al M° Gemignani] l’onda
maliarda che accarezza e conquide”.
E proprio ad una successiva edizione del
concerto benefico si riferisce la cartolina che
riproduciamo, del 1920, che con il violoncellista Giovanni Ghione (fratello di Franco)
coinvolge il pianista Giovanni Ivaldi, fratello dell’impresario Luigi.
G.Sa.
Cfr. anche Il violinista Angelo Bisotti, maestro della scuola municipale acquese, direttore di coro e di banda (a volte nella tempesta)
in “Corale Città di Acqui Terme”, XVIII n. 2,
2003.
GLI ARTISTI
UN’ATTRICE ACQUESE:
NINA IVALDI
Nel 1914 giunge al Garibaldi la compagnia
del cav. Marchetti, con la “prima attrice”
Nina Ivaldi.
F. Giuseppina (Nina) Lucrezia Ivaldi era
nata ad Acqui Terme l’11 novembre 1894, ed
era figlia dell’impresario Luigi Ivaldi. Già
apprezzata dal pubblico acquese come dilettante, nel 1911 viene affidata dal padre, coll’appoggio del cav. Ricardi, alla primaria
compagnia drammatica Butera92, prima di
passare nella compagnia O. Calabresi per il
triennio 1912-1913-191493. Nel marzo del
1914 è a Varese “prima attrice” a vicenda
con l’altra attrice Egloga Calindri, nella
compagnia del cav. Marchetti, applaudita ed
ammirata nella parte di Mistress Clarkon
ne La straniera di Dumas figlio.
Il cronista de “La Bollente” del 16 aprile
1914, n. 16, riporta un breve articolo apparso sul giornale “Il cacciatore delle Alpi” di
Varese:
“Della signorina Nina Ivaldi si può dire, con
piena sicurezza, ch’è diventata il beniamino
del pubblico. Le sue doti sono universalmente apprezzate e lodate. Personificazione
irreprensibile dei soggetti, sicurezza dei
movimenti, maestria di scena, limpida
dizione, sono attributi che in lei
possiamo ammirare ogni
sera, e che la condurranno presto a clamorosi
successi”.
Nel maggio del
1914 la compagnia, di passaggio per recarsi
all’Alfieri di
Asti, giunge
ad Acqui, debuttando con
La straniera,
seguita da
L’amore veglia di G.
de Caillavet e R. de
Flers, Il viluppo di
Lopez, Bufere sempre
di Lopez nella serata
della Ivaldi e Addio
giovinezza, scritto per
la Ivaldi da Oxilia e
Camasio, nella serata
della Calindri. Su
Nina Ivaldi scrive il
cronista de “La Bollente” del 28 maggio
1914, n. 22:
“(…) non avremmo
mai osato credere che
essa avrebbe corso
tanto. La buona, la
cara, la gentile bambina – perché tale era
due anni addietro –
non prese sul serio le
lodi immeritate e studiò sul serio e recitò con passione, e progredì di giorno in giorno recando lo stupore tra
gli stessi suoi maestri: ed oggi la piccola
Nina è diventata la signorina Ivaldi Attrice,
ma ottima, ma coscienziosa, ma castigata,
ma fine attrice, dicitrice chiara dalle intonazioni squisite resele meno difficili dalla
bella, armoniosa voce ch’essa possiede. Se
tutto ciò può sembrare iperbolico a quanti
non hanno udito la Ivaldi recitare, a convincerli del nostro asserto chiuderemo con una
dichiarazione che non teme smentita: nella
storia del teatro di prosa non si verificò mai
che una dilettante la quale non abbia recitato che una sola volta – a soli 18 anni – la
Ivaldi deve compiere ancora il suo diciannovesimo94- dopo soli due anni d’arte, sia
riuscita a recitare parti della importanza di
Mistress Clakerson in La Straniera e tanto
meno di quella Maddalena in Viluppo, e
tutto ciò sotto una direzione rigida, intransigente come quella del Cav. Marchetti”.
92 “La Gazzetta d’Acqui” del 11-12 marzo 1911, n. 10.
93 “La Bollente” del 5 gennaio 1911, n. 1.
94 In realtà li aveva già compiuti nel novembre 1913.
Ne
“La
Gazzetta
d’Acqui del 30-31 marzo
1914, n. 22, si legge:
“Diciamo subito che
quella giovinetta, non
ancora ventenne, ci ha
sorpresi: l’avevamo sentita qualche anno fa
come dilettante, ne avevamo formulati i più
lieti pronostici, ma ora
in sì poco tempo l’essersi affermata come una
vera artista, ci ha riempito l’animo di meraviglia. Intelligente, piena
di grazia, con una mimica tutto fascino, col gesto signorilmente
studiato, coll’atteggiamento naturale questa giovinetta dimostra di sentire realmente la parte che rappresenta, dimostra
di possedere elette qualità che le permettono di poter salire su in alto nel mondo
teatrale, rendendosi degna di salutarla
ben presto, una ètoile del nucleo artistico
che onora l’arte italiana”.
Nell’agosto dello stesso anno la Ivaldi è
“prima attrice” della compagnia De
Sanctis accanto a Silvio Rizzi95, che sposerà l’anno successivo: la compagnia debutta
con Facciamo divorzio di Sardou, e mette
in scena, oltre a Il pagliaccio, del diciannovenne Riccardo Spasciani, lavori di
D’Annunzio, di Sem Benelli, e dei concittadini Alessandro Cassone e Giuseppe
Marenco.
Nel dicembre del 1915 è ad Acqui con la
compagnia Bertea-Ivaldi-Rizzi per una
sola recita de La piccola cioccolataia di P.
Gavault. Dopo due recite di beneficenza
date nel 1917, con Mario e Maria di
Sebastiano Lopez e Scampolo di Niccodemi, insieme ai filodrammatici acquesi,
nel settembre del 1919 l’artista viene
applaudita dal pubblico del
Garibaldi nella parte di
Dorina in Addio giovinezza,
ne La piccola cioccolataia e
La via del Paradiso: “Più la
sentiamo, più ci appare
d’una forma artisticamente
completa. La commedia
moderna, il così detto teatro amaro, paradossale, alla
Chiarelli, alla Adami, alla
Nicodemi, alla Pirandello,
alla Fraccaroli, ha in lei
l’interprete più chiara, più
sicura, più naturale, così,
per dote congenita, per
virtù normale; è facile profezia il suo splendido avvenire artistico”96. Il giornalista de “Il
Risveglio cittadino” dà notizia “del ruolo
primario che Le è destinato presso la
novissima Compagnia d’arte Stabile di
Milano, che il geniale Mateldi, con grandiosi intendimenti artistici, ha testè formato, sotto gli auspici di una Società di
Capitalisti milanesi”97.
Nina Ivaldi, “già attrice di ruolo primario
con Emma Gramatica, Virginia Reiter,
Virgilio Talli, Giuseppe Sichel”98, torna al
Garibaldi nel 1921 con la compagnia
Rocca99-Cocco-Ivaldi, compagnia “che riassume la miglior parte della gioventù italiana militante sul palcoscenico”100. La troviamo in Acqui per l’ultima volta nel 1923 con
la compagnia Rocca-Ivaldi, compagnia formata per un rapido giro in tutta Italia col
dramma L’Indemoniata di K. Schönherr. Il
cronista de “Il Giornale d’Acqui” elogia l’attrice: “Dell’Indemoniata, la nostra concittadina Franca Ivaldi ha fatto una vera
creazione, suscitando entusiasmo tra i più
scelti pubblici dell’Italia alta e meridionale, ove la Compagnia agì finora. (…) A due
sole prime attrici ha affidato la sua
Indemoniata, K. Schoenkerr [sic]: Emma
Gramatica e Franca Ivaldi”101.
R.Br.
95 Silvio Rizzi era nato a Varese il 21 marzo 1884.
96 “Il Risveglio cittadino” del 13 settembre 1919, n. 37.
97 “Il Risveglio cittadino” del 6 settembre 1919, n. 36.
98 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 ottobre 1921, n. 43.
99 Nina Ivaldi sposerà in seconde nozze Alessandro Rocca.
100 “La Gazzetta d’Acqui” del 22-23 ottobre 1921, n. 43.
101 “Il Giornale d’Acqui” del 29-30 settembre 1923, n. 19.
principi di C. Lombardo, La reginetta delle rose di R. Leoncavallo. A fine
agosto un grande numero di spettatori accoglie la Compagnia
Napoletana Bonnito-Franco, divertito per “la spigliatezza del vernacolo” e “la bella dizione degli attori”102. L’anno si chiude con alcuni spettacoli della compagnia marionettistica Bottino e D’Oria, con una
buona messa in scena della Lucia di Lammermoor e con il varietà della
troupe Nelson le Follet. A partire dal 1912 le cronache teatrali dei
periodici si fanno sempre più scarse e brevi.
IL KURSAAL
Il Kursaal
all’inizio del secolo.
Collezione privata.
212
Con un teatro come il Garibaldi, considerato inadeguato, esteticamente osceno e situato in una località infelice per la vicinanza della
strada ferrata, è naturale che nella cittadinanza acquese nasca il desiderio di dotare la città di un nuovo edificio teatrale, che corrisponda
all’importanza e alla dignità di questa stazione termale. In una lettera
pubblicata su “La Gazzetta”, il giornalista Franco Cazzulini propone
due possibili aree di erezione: “In via principale l’area sopra cui oggi
sorgono gli antiestetici caseggiati e muri di cinta dell’Economato
Civico, che fanno angolo con via Nizza e piazza Umberto I. (…) In via
subordinata, l’area occupata dal palazzo dei fratelli Beccaro, e che ha
la sua fronte principale verso il Corso Dante e i lati verso Corso
Cavour e via Cesare Battisti”103. Nel numero successivo troviamo
102 “La Bollente” del 28 agosto 1912, n. 35.
103 “La Gazzetta d’Acqui” dell’10-11 settembre 1921, n. 37.
un’altra proposta di un concittadino, che suggerisce di costruire il teatro, attraverso una sottoscrizione a base di azioni, nell’area “prospiciente il palazzo, cosiddetto Valbusa e cioè nella casa dell’ing. Caratti,
con ingresso dal lato dell’asilo”104.
Oltre il teatro, nella prospettiva di lavori di miglioramento degli stabilimenti termali, era evidente la necessità di avere una casa da gioco, che
avrebbe garantito maggiori clienti e un notevole afflusso di denaro, come
avveniva in altri importanti centri termali. A partire dal 1912 sono diverse le offerte ed i tentativi di edificare un casinò municipale, nessuno
andato a buon fine. Il 31 maggio del 1919 viene accettato e ufficializzato il progetto Fezzardi105: il Teatro Casino Municipale si inaugura il 28 giugno, nella sede provvisoria dell’ex Albergo Valentino, con un riuscitissimo Barbiere di Siviglia, seguito dal Don Pasquale; in seguito viene trasferito nei locali dell’albergo Nazionale, “ad una distanza sufficiente dagli stabilimenti in modo che le serate e i divertimenti non potessero disturbare la clientela venuta ad Acqui per riposare e curarsi”106. È proprio su
quest’area, dopo l’abbattimento dell’albergo, che sorge in soli 100 giorni il nuovo teatro estivo Kursaal, su proposta del proprietario Severino
Rancati di Milano e progettato dall’architetto Italo Travecchia. Questa la
descrizione dell’edificio ne “Il Giornale d’Acqui” del 14-15 luglio 1923,
n. 28:
“(…) oltre alla pregevole architettura della facciata,
in finta pietra di Breno, mette in rilievo, nell’interno,
una graziosa serie di artistiche decorazioni in stucco
in stile orientale di squisita fattura. Ne furono menti
creatrici e direttive i giovani artisti Ugo Orelli e
Franco Cerutti, formanti quella ditta Milanese, che
fu pure assuntrice ed esecutrice dei superbi lavori
del Regio Stabilimento Berberi in Salsomaggiore,
che accesero a ben 60 milioni di lire. Ma se l’edificio
è già imponente per la ricchezza delle sue artistiche
decorazioni, l’arredamento è propriamente d’un
lusso sibaritico, di guisa che il Kursaal, che si erge
maestoso nella conca verde delle nostre Terme, sarà,
senza dubbio, il più grazioso e signorilmente elegante ritrovo della città”.
104 “La Gazzetta d’Acqui” del 17-18 settembre 1921 n. 38.
105 R. CARTOSIO, Le Terme di Acqui dalla fine dell’Ottocento alla II Guerra Mondiale,
tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia,
relatore prof. Gian Carlo Jocteau, a.a. 1998-99, pp. 101-104.
106 Ibidem, p. 104.
213
La sala interna
del Kursaal.
Fotografia
tratta
dal volume
di Piero Zucca
Chiriusitâ d’Âic,
Acqui 2004.
214
La direzione è affidata dapprima a Luigi Ivaldi, “impresario teatrale di
indiscussa competenza”107, dal 1924 all’impresa del cavalier Papi e
Oronte, al signor Giuseppe Tavano di Milano a partire dal 1926, dal
1931 al cav. Ciarlone, gerente a Torino il Bar Caffè Ambrosio.
Il teatro viene inaugurato il 9 luglio 1923108 dalla compagnia di riviste
Rota-Donati, seguita a pochi giorni da quella di operette Lombardo n. 1.
Nel frattempo continuano i lavori di abbellimento del locale, dotato di
uno sfarzoso impianto elettrico di oltre mille lampadine eseguito dalla
Ditta Regis Primo di Milano. Gli spettacoli di varietà si susseguono e
mutano seralmente,
davanti ad un pubblico sempre numeroso, e terminano all’inizio di settembre
con la serata della
Titina, reduce da
Parigi.
Nel luglio del 1925
debutta la compagnia
di Achille Maieroni: il
teatro si affolla per
assistere a Il Cardinale di Parker, Il ratto
delle Sabine di F. e P.
von Schöntan, alla
novità Maestro Landi
di G. Forzano e F.
Paolieri, Enrico IV di Pirandello, La morte civile di Giacometti nella serata di Maieroni, Cirano di Bergerac di Rostand ed Otello. A fine agosto,
nonostante l’indisposizione di Tilda Teldi, le insistenze del signor Papi
e del suo collaboratore Tassini inducono la diva a venire ad Acqui: il
successo è grande e raggiunge il culmine nella serata della Teldi con La
fiammata di Henry Kistemaeckers.
Nel 1926, dopo alcune recite della compagnia Tina Paternò-Remo
Lotti, torna Maieroni debuttando con Parodi e C. di S. Lopez, replicata,
e riconfermando con Il Cardinale di Parker “le sue ottime qualità di
interprete perfetto, finissimo dicitore, le cui virtuosità acquistano rilievo da una felicissima euritmia di toni vocali e di presenza fisica, rari
attributi in chi calza il coturno”109. Se il pubblico diserta il teatro con
107 “Il Giornale d’Acqui” del 14-15 luglio 1923, n. 28.
108 Negli anni successivi gli spettacoli, costituiti da rappresentazioni teatrali, varietà, serate danzanti e concerti, inizieranno generalmente verso la fine di giugno.
109 “Il Giornale d’Acqui” del 3-4 luglio 1926, n. 27.
la compagnia degli Arcimboldi, torna ad
affollarlo con la compagnia di Riviste
Rota, riviste che “sono quanto di più
felice si possa attendere”110, seguita dalla compagnia di spettacoli artistici di
fantasia Mario Molasso. A fine agosto
torna, dopo anni, il comm. Casaleggio
“con il brioso programma di vita paesana piemontese”111: la compagnia, “un
tutto armonico più unico che raro, del
genere dialettale”112, diverte “con la
precisione nell’interpretazione dell’anima piemontese, specialmente torinese”113. Chiudono la stagione poche
recite di Giulio Tempesti e della sua
compagnia.
Nel 1927 il Kursaal si apre con la
Compagnia Drammatica del grand’uff.
Gustavo Salvini che debutta con Papà
Lebounard di J. Aicard; seguono poche
recite di diverse compagnie: la
Compagnia Italiana di Riviste diretta da
Ernesto Corsaro, la Gnocco Ermelli, la
compagnia Veneta diretta da Cesco
Baseggio, la Compagnia Veneziana del
cav. uff. C. Micheluzzi, apprezzata per lo
studio preciso del dialogo e del recitativo, e per “un accurato sceneggiamento in armonia con l’eleganza di
toilettes dei singoli artisti”114, ed infine la compagnia Amedeo Amedei.
Negli anni 1928 e 1929 il Kursaal rimane chiuso, probabilmente per le
perdite di gestione delle imprese precedenti, e riaprirà nel 1930 dopo
l’acquisto da parte del Comune, entrando a far parte del programma
di rilancio delle Terme gestito dalla Società Anonima Terme di Acqui di
Ambrogio Michetti115. Dopo l’inaugurazione con Il barbiere di Siviglia, un
folto pubblico assiste alla rappresentazione del Carro di Tespi con La
figlia di Iorio di D’Annunzio, eseguita nel piazzale antistante il teatro.
Grande entusiasmo suscitano le recite della “Compagnia di Riviste
Club dei 20”, e le rappresentazioni della compagnia Aurora diretta da
Gino Bossi, ammirata per l’eleganza nei costumi e per le sceneggiatu-
110 “Il Giornale d’Acqui” del 7-8 agosto 1926, n. 32.
111 “Il Giornale d’Acqui” del 21-22 agosto 1926, n. 34.
112 “Il Giornale d’Acqui” del 28-29 agosto 1926, n. 35.
113 Ibidem.
114 “Il Giornale d’Acqui” del 13-14 agosto 1927, n. 33.
115 R. CARTOSIO, op. cit., p. 107, nota 115.
Esterno
del Kursaal
all’inizio del secolo.
Collezione privata.
215
re. La stagione termina, grazie all’intervento di Luigi Ivaldi, con un ottimo Don Pasquale con artisti di cartello: il soprano Paola Guerra, il baritono della Scala cav. Gaetano Modellato, il basso comico Amilcare
Peretti ed il tenore Armando Gianotti.
Nel 1931, dopo una recita di dilettanti, il pubblico assiste alla messa in
scena di Re Burlone di Rovetta, eseguito nel piazzale dal Carro di Tespi,
e ad una sola rappresentazione della Compagnia Italiana Teatro
Nostro con Le liane di G. Rocca; in seguito i periodici non registrano
spettacoli116 fino al 1935, quando il 6 di giugno viene inaugurato il
Cinema Kursaal, con impresa e direzione tecnica affidata al maestro
Giovanni Ivaldi, figlio dell’impresario Luigi.
Nella stagione estiva del 1936 giunge al Kursaal la Compagnia Comica
diretta da Riccardo Tassani. La compagnia esordisce con Qui sotto c’è
qualcosa di Arnold: se nel primo atto dell’opera il complesso degli artisti lascia perplesso il cronista de “Il Giornale d’Acqui” “sulle doti artistiche che si richiedono nell’interpretazione di lavori cosiddetti di spirito, a situazioni di doppio significato, quali sono generalmente le commedie francesi”117, negli atti successivi suscita una migliore impressione; una favorevole accoglienza ottengono le messe in scena di Il paradiso sotto chiave di Hennequin e Notti a Hollywood di Luciani. Seguono
poche recite della compagnia Melnati e della compagnia di Commedie
Musicali Germana Paolieri diretta dal cav. Gino
Bianchi.
Nel maggio 1937 l’Amministrazione delle Terme
inizia alcuni lavori al teatro (“Il Giornale d’Acqui”
del 19 giugno 1937, n. 25):
La jazz band
di Giovanni Ivaldi,
figlio dell’impresario
Luigi e fratello
dell’attrice Nina.
Collezione privata.
216
“I lavori, che
hanno tenuto occupato decine di
muratori, pittori,
elettricisti per
circa due mesi,
in una intensa
attività, sotto la sagace direzione dell’Ing.
Quattrocchi, sono consistiti in opere di consolidamento e di trasformazione. I primi per assicurare la
statica del fabbricato seriamente minata da palese
116 “Il Giornale d’Acqui” registra solo due concerti dati a fine settembre 1934.
117 “Il Giornale d’Acqui” del 25 luglio 1936, n. 30.
schiacciamento delle murature e per ottenere la
completa utilizzazione del salone al 1° piano, il cui
solaio a pavimento non presentava alcuna garanzia
di resistenza. I secondi per conferire alla sala al pian
terreno un più spiccato carattere di ritrovo estivo sia
diurno che serale. Opportunamente stabilizzate le
strutture portanti di muri e solai, si è voluto una più
intima comunicazione tra le due sale al pian terreno,
demolendo il muro divisorio e sostituendolo con piastrelle di cemento armato così da creare quasi un
unico salone di m 17 x 20. Le trasformazioni hanno
anche interessato il muro di prospetto, in cui sono
stati ricavati quattro grandi accessi muniti di vetrine a quattro ante. La decorazione del nuovo salone è
stata resa più sobria di quanto non fosse prima e
quindi più rispondente alla concezione moderna.
Motivi decorativi originali sono affidati agli impianti di illuminazione completamente rinnovati ed ai
tendaggi che rappresentano quanto di più moderno
può riscontrarsi nei migliori locali. Anche il palcoscenico ha subito non lievi modificazioni, nel senso
che venne allungato ed ampliato per ottenere una
maggiore capacità per i vari spettacoli che si succederanno durante la stagione.(…) E come abbiamo
annunciato, l’elegante ambiente sarà allietato dalle
melodie della rinomata orchestra Prof. Filippini, e
dalla robusta voce del celebre tenore Masseglia, che,
ogni sera, ci farà gustare in armonia con i più scelti
e moderni ballabili, i più delicati motivi lirici, per
rendere sempre più attraenti e gioconde le serate”.
Il teatro viene inaugurato con il famoso trio Sorelle Lescano. Nel mese
di agosto si tengono al Kursaal delle audizioni liriche per scegliere i
cantanti per le sei opere da eseguire al Municipale di Alessandria, audizioni terminate con un grande concerto alla presenza di S.A.R. Duca
di Bergamo; lo stesso avviene l’anno successivo, insieme ai soliti spettacoli di varietà. Negli anni successivi le proiezioni cinematografiche
prendono il sopravvento: il Kursaal118 continuerà a funzionare come
cinema fino alla fine degli anni Cinquanta, e verrà demolito negli anni
’70.
118 Dal 1941 compare nei periodici con il nome Teatro Diana.
217
IL CINEMA E IL PROBLEMA
DEL TEATRO AD ACQUI
È nell’agosto del 1897 che gli acquesi possono assistere per la prima
volta alle proiezioni del cinematografo Lumière, nel teatrino d’oltre
Bormida119. Nel 1906 si inaugura un cinematografo al Caffè Nuove
Terme120; nel 1907 si installa al Garibaldi il Grande Cinematografo The
United121, e le proiezioni si alterneranno alle rappresentazioni, con le
prime che prenderanno il sopravvento sulle seconde; nel 1908 si registrano spettacoli cinematografici anche al Teatrino Vecchie Terme.
Il primo cinema moderno e stabile è quello del sig. Timossi, inaugurato nel gennaio del 1908 nella sua casa in via Cassini122. Il locale è piccolo, ed il numero dei frequentatori è così alto che nel 1914 il proprietario si vede costretto a modificarlo.
Da “La Gazzetta d’Acqui” del 10-11 ottobre 1914, n. 41:
“Un elegante ingresso si apre sulla via Cassini e immette in un vasto
atrio d’aspetto diviso in due sezioni da una elegante cancellata in ferro
sormontata da intelaiatura a vetri colorati; la sala delle proiezioni capace di settecento posti a sedere è ampia ed alta avente nello sfondo una
elegante tribuna dei posti distinti. La volta è decorata sfarzosamente a
stucchi con tinte delicate; nella parete destinata allo schermo si apre
un ampio quadro riccamente incorniciato in stoffa e sormontato da
stucchi di buona fattura. L’impressione che si riceve entrando è quella
che si ha mettendo il piede in un vero teatro, in cui non vi è particolare che non sia indovinato, che non abbia sapore di eleganza, che non
corrisponda ad una comodità per il pubblico. Alla galleria si accede per
due ampie e comode scale, e dal salone si esce per due ampie porte
che immettono in Via Dabormida indipendenti dalle entrate, di modo
che è assicurato uno sfollamento rapido
e pronto in qualunque caso.
Particolare notevole tutte le
opere di decorazione e di
arredamento sono eseguite
dallo stesso proprietario
sig. Timossi Enrico”.
218
119 “La Gazzetta d’Acqui” del 21-22
agosto 1897, n. 34.
120 “La Gazzetta d’Acqui” del 2-3
giugno 1906, n. 22.
121 “La Gazzetta d’Acqui” del 16-17
novembre 1907, n. 46.
122 “La Gazzetta d’Acqui” del 18-19
gennaio 1908, n. 3.
Il salone si prestava, oltre che per le proiezioni, anche per riunioni,
conferenze e per serate di varietà; viene trasformato in teatrino nel
1930, con la costruzione di un comodo ed elegantissimo palco e la
scelta degli spettacoli affidata a Luigi Ivaldi123: ad inaugurarlo è la compagnia Lina Patroni con le novità Baciatemi di M. Guison, Madonna
Oretta di Forzano e La figlia ballerina di Bach, seguita dalla troupe di
Fustelli e dalla compagnia diretta da Amilcare Rumor. Nel marzo del
1932 giunge la compagnia Rina Nardi-Cav. Pizzicati, nota col titolo
Gruppo di propaganda artististica, ottenendo un grande successo. Nel
1933 il Timossi diventa Cinema Battisti, elegantemente rimodernato
dall’architetto Aldo Morbelli124. Nel frattempo erano nati altri cinema:
il cinema Splendor (agosto 1910), il cinema Barisone in piazza Umberto I (1914), in cui si svolgono anche spettacoli di varietà, il cinema
Centrale in p.za della Bollente, inaugurato nel 1923 e decorato “in
puro stile Luigi XVI”125.
Con l’avvento dei cinematografi, il pubblico diserta sempre di più gli
spettacoli teatrali: una statistica sui divertimenti apparsa ne “Il
Giornale d’Acqui” del 1935 rivela che gli italiani preferiscono il cinema al teatro ed allo sport, e tra gli spettacoli teatrali prediligono l’operetta: “È una vergogna”, commenta il giornalista, aggiungendo che
“Acqui è sicuramente, prima tra le città cinematografiche, in punta di
coda di quelle teatrali e sportofile”126.
Dalla fine degli anni ’20 nei periodici locali si dibatte la questione del
problema del teatro in Acqui: “Lo stato di disagio in cui, pur troppo, si
è sempre trovato (il teatro Garibaldi), o per incuria dei proprietari o
delle passate Amministrazioni, deve ormai scomparire”. Nel 1928 il
Garibaldi era stato rimesso a nuovo, dotandolo delle migliori comodità a cominciare dai palchi, con un impianto elettrico a tre luci per gli
effetti scenici, installato dal personale del Carlo Felice di Genova e con
un nuovo velario in velluto cremisi: ma gli sforzi della nuova impresa
De Leidi, succeduta a quella di Luigi Ivaldi, non erano serviti a rialzarne le sorti. Una delle cause della crisi si individua nel prezzo troppo
alto degli spettacoli, “Il Giornale d’Acqui” del 25-26 agosto 1928 n. 35.
osserva:
L’ultima macchina
per proiezioni
del Cinema Teatro
Garibaldi.
123 “Il
124 “Il
125 “Il
126 “Il
“(…) come si possono pretendere buoni spettacoli ed a
miti prezzi, specialmente per le classi meno abbienti,
quando la cittadinanza si disinteressa del teatro, non
lo frequenta, preferendo la più umile rappresentazione cinematografica? Quando il teatro non gode di
Giornale
Giornale
Giornale
Giornale
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
d’Acqui” del
15-16 marzo 1930, n. 11.
3 novembre 1933, n. 44.
16-17 dicembre 1923, n. 45.
24 agosto 1935, n. 34.
219
IL TEATRO E LA CITTÀ
IL MEMORABILE CONCERTO DEL 22 MARZO 1931
FRANCO GHIONE SUL PODIO DEL GARIBALDI
II 22 marzo per Acqui fu una giornata doppiamente storica: al mattino fece visita al
clero e ai fedeli, una vera e propria folla
riunita nella Cattedrale, Padre Agostino
Gemelli, Rettore Magnifico dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in occasione della Giornata
Universitaria.
Ma, alla sera di
quella domenica,
l’attesa era tutta
per il concerto sinfonico che vide Franco
Ghione conduttore
dell’Orchestra del
Teatro Regio di
Torino. Eccone la recensione curata da
Francesco Cazzulini, su “L’Ancora” del
19 marzo 1931.
Il grande concerto
sinfonico in onore
del sommo maestro
Franco Ghione e di omaggio alla Città
d’Acqui
Lapide del Teatro Garibaldi a ricordo
del concerto del 22 marzo 1931.
Collezione privata Vigorelli.
“È alla signorile larghezza del mecenate
barone Paolo Mazzonis che la Città d’Acqui
deve essere grata e memore per l’avvenimento artistico di prim’ordine di domenica
scorsa al Politeama Garibaldi.
Mercé la generosità di tanto nobile e munifico signore, l’arte, che Dante diceva essere
figlia della natura e nipote di Dio, si è imposta all’uditorio che gremiva il nostro teatro
elevando l’anima degli spettatori alle eccelse
sfere dello spirito puro.
Infatti il magnifico corpo orchestrale del teatro Regio di Torino, sotto l’infallibile direzione del nostro insigne concittadino Maestro
Ghione, con la perfetta e divinamente ispirata sinfonia di Beethoven, ha pervaso di
fremiti di commozione e di bellezza l’animo
dell’uditorio che, estasiato, alla fine del pezzo dell’immortale genio di Bonn, ruppe in
una ovazione interminabile.
Ma il godimento intellettuale non era che a
metà; ed ecco che quattro gioielli del genio di
Rossini vengono eseguiti: La scala di seta,
fresca e gioconda pagina musicale che non
figura nel novero del repertorio comune, è la
prima sinfonia ad essere gustata; segue la
Cenerentola e L’italiana in Algeri, e chiude il
grande concerto sinfonico quella del
Guglielmo Tell.
Se le esecuzioni delle prime tre sono coronate da applausi nutriti, l’esecuzione della
poderosa sinfonia del Guglielmo Tell è addirittura subissata da applausi e da ovazioni,
ed in tale scoppio di irrefrenabile entusiasmo pare che in cuor suo l’uditorio dica, ecco
il maestro vero, ecco l’artista, ecco il grande.
E, francamente, il pubblico così pensando
non si sbagliava, poiché nel maestro Franco
Ghione vi è indubitabilmente la superiorità
umana, la nobiltà della specie, la genialità
dell’artista possente. Quando la sua prodigiosa bacchetta, nel suo movimento comunicativo segna il tempo e guida la numerosa
famiglia strumentale, è tutta in vibrazione
con il di lui animo, e in quel momento,
meglio assai della parola dice, e fa dire alla
compagnia melodiosa ed armonica tutta la
poesia sublime e la bellezza cui l’anima
aspira.
Il concerto di domenica scorsa è stato una
potenza e bellezza d’arte, un volo lirico nei
regni dello spirito dove tutto è splendore. In
ogni pezzo eseguito e diretto con maestria
infallibile era manifesto lo spirito grande e
la passione che animavano il Maestro
Ghione di far vibrare, fremere, cantare le
note, il pensiero e le immagini musicali di
Beethoven e di Rossini, ed ecco perché il concerto ha sortito il trionfo ed ha lasciato indelebile un ricordo entusiastico in ogni cuore
ed in ogni animo gentile.
Ed io, che scrivo, che fui suo compagno di
scuola municipale di musica di questa città,
diretta dal compianto maestro Battioni, e
che sono sempre stato, come sono ora ancora
suo amico affezionato ed ammiratore, vorrei
strappare oro al sole per fargli una corona
tutta bagliore d’oro e di luce, ma questo
aureo serto io non posso dargli, glielo darà
indubitabilmente, baciandolo in fronte, la
gloria luminosa verso la quale rapidamente
ascende.
alcun sussidio, sprovvisto come è di una orchestra
appena discreta e di un coro appena passabile, per
affrontare uno spettacolo appena appena decente?
Quando bisogna ricorrere altrove o pel pianista, o per
violini o violoncello, con l’aggravante, per ciò, di parecchie centinaia di lire di più al giorno di spesa?”.
Il problema della mancanza di una buona Scuola di Musica era stato
sollevato dai giornali da diversi anni, ma mai risolto per mancanza di
fondi. Ecco cosa riferisce “Il Giornale d’Acqui” del 12-13 dicembre
1925, n. 50:
“Il problema da affrontare (se veramente si vuol fare
opera seria) è il seguente: formazione di buone e
complete masse orchestrali e corali (…). L’assenza o
quasi di buone masse corali, turba la riuscita della
rappresentazione e lascia insoddisfatti anche quando le prime parti siano discrete. Ma gli elementi
orchestrali e corali non si improvvisano: occorre formarli e per formarli occorrono mezzi, mezzi e mezzi.
Quale il rimedio? L’interessamento di tutti i cittadini e della stessa Amministrazione Comunale. Non
invoco certo la costituzione di un Ente apposito come
per la Scala venne fatto a suo tempo, perché in Acqui
non sarebbe il caso. Ma certo sarebbe desiderabile
un più accentuato amore per il teatro dei migliori
cittadini e un contributo del Comune per la dotazione del teatro. Accanto all’Impresario poi dovrebbe il
Comune mettere una Commissione di tutela del
Teatro, formata di quattro o cinque competenti, che
approvino in precedenza gli spettacoli, ne stabiliscano le modalità, giudicandone l’opportunità. Con un
sistema comodo di abbonamenti, dovrebbe poi essere
assicurata al teatro quella frequenza, mancando la
quale, ogni sforzo sarebbe vano da parte di qualsiasi
impresario”.
Riferendosi ad un articolo apparso sul Popolo d’Italia dal titolo
“Rinnovare gli edifici teatrali”, il giornalista de “Il Giornale d’Acqui”
chiede nuovi interventi al Garibaldi per “renderlo un comodo ed elegante ritrovo”127. Lo stesso baritono acquese Giovanni Novelli scrive a
“Il Giornale d’Acqui” lamentandosi che da 30 mesi non si eseguirono
che due spettacoli d’opera: “In una città come Acqui, non s’è ancora
dato, ed i miei concittadini non hanno ancora potuto godere le melodie d’opere moderne, quali la Tosca, l’Andrea Chénier, la Manon di
127 “Il Giornale d’Acqui” del 1° luglio 1933, n. 26.
221
Puccini ecc.”128; egli insiste perché si stabilisca “una dote, per potere,
ogni anno, per la Fiera di S. Caterina, dare almeno sei recite di un’opera mai eseguita in Acqui”129. Ad alcuni cittadini, in definitiva, il cinema
non basta. Da “Il Giornale d’Acqui” del 14 settembre 1935, n. 37:
“C’è il cinematografo: sta bene. Ma francamente per
una città, come Acqui, stazione termale – che vorrebbe dire moderna nei gusti, nelle abitudini e nelle aspirazioni per nutrire anche qualche idealità … artistica
– il cinematografo è troppo poco. (…) E, facendo il confronto con altre città inferiori e di minor importanza
di Acqui, mi sentii troppo umiliato, constatando la trascuratezza, in cui Acqui, da qualche anno, ha lasciato
e lascia il teatro. (…) Ora, io vorrei che i miei concittadini fossero più amanti del teatro, per sentirne ed
apprezzarne la grande efficacia morale istruttiva: vorrei che sentissero tutta la nobiltà del sacrificio per
mantenere un teatro; sacrificio che si concreta nella
piccola somma, che ognuno può bilanciare, per accedere ai vari spettacoli, cooperando così alla nobile gara
di avere, se non tutte le sere, almeno per qualche stagione, un corso di rappresentazioni liriche o comiche.
Acqui ne guadagnerebbe di prestigio, e i suoi cittadini
darebbero la prova di non essere retrogradi o, peggio,
apatici ad ogni appello del bello e del buono, gli attributi che tanto distinguono e nobilitano l’animo
umano”.
Non sono sufficienti neppure gli spettacoli eseguiti alla “Piscina”: “molti
liguri, che ad Acqui convengono, (…) per il loro svago approfittano
della “Piscina” che, indubbiamente è una geniale bella attrattiva, ma che
non può, da sola, costituire l’attrezzatura mondana di una città che,
come la nostra, di anno in anno, va maggiormente affermandosi”130.
Si fanno proposte, al di là della dote del Comune, per la rinascita del
teatro. “Nella mia Treviso”, scrive un figlio di acquesi (“Il Giornale
d’Acqui” del 16 luglio 1936, n. 29), “cittadini facoltosi misero una
somma a fondo perduto, e così ogni anno, nella ricorrenza di S.
Martino, delle corse di cavalli, delle fiere, si danno rappresentazioni di
opere nel teatro detto appunto sociale. (…) Meglio ancora sarebbe, se
cittadini, giovani, amanti dell’arte, come già si fece (così mi si disse) e
222
128 “Il Giornale d’Acqui” del 17 novembre 1934 n. 46.
129 Ibidem.
130 “Il Giornale d’Acqui” del 28 agosto 1937, n. 35. In un articolo pubblicato ne “Il
Giornale d’Acqui” del 25 settembre 1937, n. 39, Roberto Alemanni scrive che la
Piscina non era più frequentata con la stessa affluenza notata all’epoca d’apertura.
molto bene con ottima riuscita, si mettessero d’accordo per recitare
essi stessi, specie nella stagione odierna, in cui forestieri onorano la
nostra città”.
Il giornalista Franco Cazzulini propone la costruzione di un nuovo teatro, da situarsi nella zona delle piazze Umberto I° e S. Francesco, e da
realizzarsi attraverso il mecenatismo, la forma sociale per azioni a
fondo perduto o la forma privata131. I giornali riferiscono delle iniziative assunte in diverse città per rilanciare il teatro, come l’Istituzione
dell’Accademia degli attori a Roma (“Il Giornale d’Acqui” del 20 giugno 1936, n. 25):
“Bragaglia dal canto suo incita i giovani col teatro sperimentale. A Siracusa si sono riprese le rappresentazioni, che attirano in Sicilia molte personalità estere.
In tutta Italia è un gran fermento per il nostro caro
vecchio ammollato che torna a ringiovanire, ed un
desiderio tra i giovani di riuscire a segnalarsi che ci fa
veramente onore. Orsù, dunque, cosa facciamo? Vorrà
la nostra Acqui dimostrarsi meno borghese
e avara? Lei che diede
pure il calcio per allontanare il teatro e sostituirlo col cinema, sarà
altrettanto svelta nel
richiamarlo sulle nostre scene?”.
Il Teatro Garibaldi
dopo la
ristrutturazione
del 1941.
Collezione privata.
Nella stessa vicina Ovada “fu
costruito un teatro per servire
come tale e fu chiamato ad
inaugurarlo nientemeno che
Zacconi con la Morte civile di
Giacometti e colà si ha intenzione di continuare sulla strada molto bene iniziata”132.
L’unico effetto della lunga discussione sul problema del teatro sarà l’esecuzione di lavori di trasformazione interna prima al Kursaal, nel 1937, poi al Garibaldi, nel 1941.
131 Cazzulini rivela di essere stato “interpellato in merito da qualche persona mandataria di chi sarebbe disposto a costruire, in questa città, un teatro per conto
proprio ed a proprie spese, sempre quando il Comune di Acqui si renda donatore dell’area occorrente” (“Il Giornale d’Acqui” del 14 agosto 1937, n. 33).
132 “Il Giornale d’Acqui” dell’11 luglio 1936, n. 28.
223
PROGETTO “ITINERARIO ARCHEOLOGICO”
NELLA PROVINCIA DI ALESSANDRIA
L’Assessorato alla Cultura ha dato avvio ad un progetto interdipartimentale in sinergia con l’Assessorato alla Tutela e Valorizzazione
Ambientale, alla Pianificazione Territoriale e con la collaborazione della
Regione Piemonte, della Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Piemonte e del Museo Antichità Egizie, l’ATL Alexala, i Comuni interessati e le istituzioni e aree archeologiche della Provincia di Alessandria.
Il progetto “Itinerario archeologico” è il primo tentativo di dare vita ad una rete
museale sul territorio alessandrino con il coordinamento della Provincia e con la collaborazione di diversi partner istituzionali e gli Enti locali.
Nell’ambito di questo progetto:
• la Provincia ha un ruolo di coordinamento istituzionale, amministrativo, di
immagine per una strategia di promozione organica e omogenea e realizzerà la pubblicazione di una guida breve
di carattere scientifico e specialistico in
collaborazione con la Soprintendenza
• la Soprintendenza assume il ruolo di
coordinamento tecnico-scientifico del
progetto
• l’ATL Alexala ha il ruolo di coordinamento promozionale di individuazione, insieme alla Provincia, della strategia di promozione e curerà la realizzazione e la diffusione del materiale
divulgativo, promozionale e turistico
• gli Enti locali coinvolti nel progetto
sono i Comuni di Acqui Terme,
Alessandria, Brignano Frascata, Casale
Monferrato, Gremiasco, Lu Monferrato, Ovada, Serravalle Scrivia, Tortona che si impegnano a condividere il
progetto e a dar vita ad un’azione unitaria e coordinata per creare un sistema
con requisiti adeguati e competitivi
• i musei e i siti archeologici coinvolti
nell’itinerario sono:
Siti archeologici urbani di Dertona e
Mostra sulla Collezione C. Di Negro
Carpani al Museo Civico Archeologico di Tortona
Area archeologica del Guardamonte di
Gremiasco e Polo Museale di Brignano
Frascata
Area archeologica di Libarna e area
museale di Villa Caffarena di Serravalle
Scrivia
Museo Paleontologico “G. Maini” di
Ovada
Acquedotto e piscina romana di Aquae
Statiellae e Museo Civico Archeologico di Acqui Terme
Cantiere archeologico dello scavo della
cattedrale di Piazza Libertà ad Alessandria, Antiquarium di Villa del Foro
e Percorsi Museali di Palazzo Cuttica
ad Alessandria
Sito archeologico Pieve di San Giovanni di Mediliano a Lu Monferrato
Sala archeologica del Museo Civico di
Casale Monferrato (mostre temporanee a rotazione)
Maria Rita Rossa
Assessore alla Cultura, Università e Attività Economiche
On. Renzo Penna
Assessore alla Tutela e Valorizzazione Ambientale
recensionirecensioni
FULVIO CERVINI E
DANIELE SANGUINETI
Han tutta l’aria di
Paradiso. Gruppi processionali di Anton Maria
Maragliano tra Genova e
Ovada, Allemandi & C.,
Torino 2005, pp.127,
euro 25.
Catalogo della mostra tenutasi ad Ovada, presso la Loggia di San Sebastiano dal 9 aprile al
26 giugno.
Dopo la pubblicazione, nel 2003, del catalogo della mostra Tra Belbo e Bormida.
Luoghi ed itinerari di un repertorio culturale (a
cura di Elena Ragusa e Angelo Torre) e, nel
2004, del volume Tra Romanico e Gotico,
impresso in occasione del millenario di San
Guido e coordinato da Carlo Prosperi e da
Sergio Arditi, il Basso Piemonte mette a
segno anche quest’anno un risultato editoriale
di fondamentale significato sulla strada che conduce ad una consapevole riscoperta dell’identità.
Le macchine “teatrali”
di Anton Maria Maragliano
La presenza sul territorio di tre gruppi lignei, scolpiti
da Anton Maria Maragliano (1664-1739) e dalla sua bottega, ha sollecitato Soprintendenza e Comune di Ovada
ad allestire dal 9 aprile al 26 giugno, presso la Loggia di San
Sebastiano, la mostra Han tutta l’aria di Paradiso. Cinque le
“macchine” processionali - L’apparizione di Gesù Cristo a
Santa Consolata della Parrocchiale di Parodi Ligure; La visione
di San Giovanni Evangelista a Patmos dell’Oratorio del Suffragio
di Ponzone; La Madonna del Rosario della Parrocchiale di
Voltaggio; Il martirio di San Giovanni Battista dell’omonimo oratorio ovadese e L’Annunciazione dell’Annunziata, sempre in riva
all’Orba, opere per le quali in tempi recenti sono state predisposte attente campagne di consolidamento e restauro riunite e offerte in un sol colpo d’occhio al visitatore. Cinque
capolavori dell’arte, della devozione, ma anche “del teatro
sacro”, che affonda a ben vedere le sue origini nei secoli del
medio evo e nella tradizione della Biblia pauperum. Quella
destinata alle persone non colte, agli analfabeti, a chi non
ha consuetudine con la scrittura ma cui si può proporre la semplificazione del messaggio dell’immagine.
225
recensionirecensionirecensionirecensioni
In fondo, in questi gruppi statuari che colgono sulla scena un
momento esemplare della storia sacra, c’è l’evoluzione delle finalità didattiche degli affreschi gotici e tardo gotici che narravano nei
quadri simultanei le storie della Passione o quelle della Vita dei
Santi, certe volte attingendo ai modelli non solo neo o vetero
testamentari, ma anche alle modalità di rappresentazione delle
compagnie drammatiche itineranti.
Cambiano i materiali, gli stili, si approda ad una visione tridimensionale, ma l’idea che sta alla base delle realizzazioni si può catalogare tranquillamente sotto la denominazione di “teatro sacro”.
Le conferme anche dalla terminologia che accompagna i gruppi
lignei: questi son chiamati “macchine”, e la denominazione conduce per via diretta a quei dispositivi scenotecnici che nel teatro classico dovevano far comparire la divinità nell’azione. E “macchina” –
per ricordare un esempio geograficamente vicino: quello di S.
Croce di Bosco Marengo – è anche l’imponente altare (in questo
caso vasariano, smembrato nel 1710, ma in cui era “finissima pittura del Giudizio Universale”) che con le Divinità può anche celebrare i suoi augusti rappresentanti sulla terra (nel caso specifico il
Pontefice San Pio V).
Dunque, anche le “macchine” del Maragliano, che “fan comparire il
Paradiso”, racchiudono nel legno le suggestioni di un movimento,
di una tensione dinamica che viene solo imprigionata nella scena,
che rimane e si amplifica, anzi, nella sua dimensione potenziale (ci
sono le torsioni del tronco, dei volti, i gesti colti nel farsi dell’azione, il vento che scompagina i drappeggi...), quasi che i personaggi
siano pronti ad animarsi ad un cenno liberatorio dell’intagliatore,
che ha scelto per loro queste posture.
“La possibilità di orchestrare vere e proprie regie, con personaggi
presentati nei loro rassicuranti contesti paradisiaci e con una realistica presenza conferita dalla tridimensionalità e dalla stesura policroma, fu attentamente valutata in tutti i suoi complessi aspetti. Egli
sfruttò al massimo ciò che il legno, relegato agli scalini più bassi della
gerarchia delle arti per lo scarso pregio, poteva offrire rispetto alla
pittura e alla scultura in marmo: la creazione, tramite le potenzialità
virtuosistiche in suo possesso, di una realtà non più illusoria, come
nelle pale o nei cieli affrescati, ma tangibile e parallela, quella che il
popolo cristiano applica, per un’antichissima tradizione di cultura iconica, all’idea di Paradiso popolato da santi e angeli” (Così Daniele
Sanguineti, nel suo contributo Il paradiso secondo Maragliano in cinque
macchine processionali, che apre l’elegante catalogo).
I modi della rappresentazione
E dunque, se la cassa processionale diventa palcoscenico, anche la
città diventa scenario, in cui i fedeli, riuniti lungo la via in attesa del
226
recensionirecensionirecensionirecensioni
passaggio o incolonnati dietro alla croce e ai membri della confraternita, assolvono funzione tanto di personaggi comprimari quanto di pubblico. Pubblico che come a teatro, si riempie gli occhi delle
immagini, delle plastiche pose e della tavolozza cromatica.
Il libro, con il già ricordato saggio di Sanguineti, porta due contributi di Fulvio Cervini dedicati, il primo, ad un primo censimento del
“teatro della scultura“ nell’Oltregiogo e, il secondo, alla storia della
tutela di un repertorio plastico a torto giudicato “minore” rispetto alle opere su tela.
Tra i meriti del catalogo quello di restituire a pieno, grazie alle fotografie di grande formato della ricca sezione a colori, gli incanti dei
“costumi”. E allora il lettore può davvero perdersi – valutando ora
gli insiemi, ora i particolari - nel ricostruire un catalogo decorativo che comprende motivi floreali i più svariati, ramages, l’esuberanza della policromia, i lembi ridondanti dei manti, le ricche dorature in foglia, una sorta di “trionfo” ulteriormente ingentilito da
gioielli e da broccati e sete.
Un teatro, muto di suoni ma eloquente nei gesti e nei colori, altamente spettacolare, cui - da sempre - la città mai fa mancare il suo
plauso.
GIULIO SARDI
227
recensionirecensionirecensionirecensioni
ALDO PASTORE,
Donne sul pentagramma. Conversazioni su
figure femminili della
lirica, Marco Sabatelli
Editore, Savona 1999, pp.
373.
Molti lettori probabilmente pensano che
questo sia un libro per specialisti e studiosi
di musica, e se per caso non rientrano in
queste due categorie, che non si tratti di
una lettura adatta a loro. Ma il sottotitolo
dell’opera ne segnala già la reale natura:
non un libro specialistico, un pesante saggio
per pochi “eletti”, ma una raccolta di “conversazioni”, una chiacchierata informale, ma
dai contenuti rigorosi, su più aspetti di un
unico tema: la donna, o meglio le donne, dell’opera lirica. Alcune delle protagoniste sono
già raffigurate sulla copertina: la Leonora del
Fidelio, Sheherazade, l’Arlesiana, Carmen, Bess,
Lulù, Turandot, le tre donne del Don Giovanni, la
Dama di Picche. Oltre a loro nel libro “sfilano” Lucia
di Lammermoor, Azucena del Trovatore di Verdi,
Mélisande, Lady Macbeth, Cenerentola, Elvira dei
Puritani di Bellini, e altre ancora.
Ognuno dei 18 capitoli è dedicato ad un aspetto dell’essere donna, che può essere rappresentato da una o più
d’una di queste figure femminili. Fa eccezione la “conversazione” sul Don Giovanni di Mozart, dove si incontrano personaggi assai diversi, ma accomunati dall’interesse che destano
o hanno destato nel protagonista dell’opera. Quello che più
interessa a Aldo Pastore, probabilmente per “deformazione”
professionale (ha esercitato la professione di medico per trent’anni), è la psicologia di queste eroine dell’opera, che a sua
volta offre notevoli spunti per comprendere la concezione del
mondo non solo di chi ha elaborato i personaggi, ma anche di
chi li ha applauditi, e quindi di un’intera società.
L’autore di questo libro mette sempre bene in evidenza il
percorso che ogni opera ha compiuto, dalle fonti dirette o
indirette (tragedie, commedie, romanzi, favole, ecc.), alle
contingenze della composizione e della messa in scena, ai
rifacimenti non necessariamente solo operistici. Ad
esempio, per il personaggio di Cenerentola, protago-
228
recensionirecensionirecensionirecensioni
nista dell’omonima opera di Rossini (librettista Ferretti) e del balletto Cinderella di Prokofiev, il confronto passa attraverso Perrault,
i fratelli Grimm, e persino il cartone animato della Walt Disney.
Delle opere meno note si racconta sempre la trama, seguita da
continui, appropriati confronti tra diverse storie e personaggi,
accomunati dall’aspetto dell’universo femminile esaminato di volta
in volta.
Ma, come si diceva, l’interesse di Aldo Pastore supera il momento
di analisi dei capolavori operistici: i personaggi hanno per lui anche
una vita propria, sono donne, diremmo, in carne ed ossa, proprio
in quanto sono entrate nell’immaginario collettivo e parlano oggi
anche a noi. Perciò Pastore le fa accomodare sul “lettino dell’analista” e ne mostra tutta la “ricchezza, la complessità, le contraddizioni” (secondo la bella definizione di Sergio Tortarolo, autore della
perspicace introduzione). Unico neo di questo stimolante lavoro è
la mancanza di una bibliografia finale, sicuramente dovuta al desiderio dell’autore di essere informale.
I disegni della copertina, che illustrano anche l’indice e che vanno
a formare una galleria di ritratti femminili a introduzione delle
“conversazioni” vere e proprie, sono del pittore, illustratore e
designer Gianni Venturino. La postfazione è di Giampiero Bof.
VALENTINA PISTARINO
L’INDICE DEI CAPITOLI
La psiche di Lucia e di Azucena nei libretti di S. Cammarano
Il mistero di Melisande
Lady Macbeth e il delirio del potere
L’enigma di Turandot
Cenerentola: la vendetta di un angelo
Alla ricerca dell’identità dell’Arlesienne
L’amara inquietudine di Bess
Leonora – Fidelio: l’anelito alla libertà
Sheherazade, ovvero l’arte della parola
La psicolabilità di Elvira nei Puritani di Bellini
Svanilda – Coppelia: la donna bambola
Isotta – Tristano: l’amore infinito
Dalila – Sansone: odio o amore?
Il dramma giocoso dell’esistenza nel Don Giovanni mozartiano
Il peccato originale di Manon
La Donna di Picche
L’incantesimo di Carmen
Lulù: tragedia epocale
229
recensionirecensionirecensionirecensioni
MARCO FRANCESCO DOLERMO,
La costruzione dell’odio.
Ebrei, contadini e diocesi di Acqui dall’istituzione del ghetto del 1731
alle violenze del 1799 e
del 1848, Silvio Zamorani
editore, Torino 2005, pp.202,
euro 21.
È finalmente in libreria il volume tanto atteso da chi, come lo scrivente, nutre amicizia
e stima per Marco Dolermo e ha potuto
seguire, almeno in parte, il lungo e travagliato parto di questa opera seria, documentata ed accattivante.
Cominciamo dal titolo. Da un colloquio
con l’Autore ho appreso che lo stesso è
scaturito da una accesa discussione con l’editore e il prefatore Luciano Allegra
dell’Università di Torino. Le soluzioni prospettate erano infatti altre due: Assalto al ghetto (scartata per una troppo facile assonanza con
il titolo di una nota pellicola western dedicata
all’episodio di Fort Apache della guerra tra
Messico e Stati Uniti) e Incubazione di un pogrom
(scartata, probabilmente, per un problema di anacronismo storiografico in quanto il termine russo
pogrom, che si traduce in italiano con “devastazione”,
assume il significato di “violenza ai danni di comunità
ebraiche” solo a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, in particolare dopo l’assassinio dello zar
Alessandro II del 1881).
La ricerca di Dolermo si occupa invece di episodi di intolleranza e di violenza che si concentrano in due periodi storici
anteriori: il “triennio giacobino” 1796-99 e il 1848 l’anno della
“primavera dei popoli”, dello Statuto Albertino, della parificazione giuridica concessa agli ebrei piemontesi.
Resta il fatto però che, in ambedue i momenti, il ghetto ebraico acquese venga assaltato e che, sia pure con modalità a
“bassa intensità” rispetto ai più conosciuti esempi russi o
polacchi (si veda in proposito l’Introduzione di Allegra), gli
acquesi e i contadini dei paesi vicini, mettano in atto qualcosa che si avvicina al “tipo ideale” di pogrom.
Il titolo prescelto rimanda all’edilizia, ovvero alla “costruzione” di fondamenta strutturali sulle quali si edificano
piani successivi coinvolgendo in questo modo nella
230
recensionirecensionirecensionirecensioni
narrazione storica i progettisti e coloro che si trovano a vivere nel
condominio edificato. I progettisti sono le autorità civili e religiose
protagoniste della grande storia, i condomini gli uomini, ebrei e
non, che ne vivono le conseguenze sulla loro vita quotidiana.
Le fondamenta consistono nella lunga storia del rapporto tra gli
ebrei e gli acquesi dalla fine del dominio dei Gonzaga iniziato nel
1533 (nel corso del quale l’originaria comunità ebraica acquese
godette di una relativa tranquillità ed integrazione), alla annessione della città al Regno sabaudo del 1714 (dopo la quale si cominciarono ad imporre provvedimenti restrittivi culminati con l’istituzione del ghetto nel 1731), dalla occupazione francese del “triennio giacobino” e dell’età napoleonica (nel corso della quale gli
ebrei acquesi, emancipati per la prima volta, furono varie volte colpiti anche perché accusati di “collaborazionismo” con l’invasore)
alla Restaurazione (quando la comunità ebraica raggiunse la ragguardevole percentuale del 12% sul totale dei residenti, superando
quindi una soglia critica di incidenza demografica) e infine alla concessione dello Statuto Albertino del 1848 (che invece di risultare
un momento felice di definitiva conquista della parità di diritti tra
ebrei e cristiani, fece da sfondo al momento di maggiore tensione
tra gli acquesi e gli abitanti del ghetto cittadino).
Una storia fatta di passaggi importanti, che segnano il lento imporsi del moderno stato di diritto sull’ancien regime anche nelle nostre
terre.
Questo processo è stato oggetto di numerose interpretazioni
generali: tra le più celebri senz’altro quelle di Weber e Marx i quali,
in maniera prospetticamente differente, collegano la nascita del
moderno stato di diritto con l’affermarsi dell’economia di scambio
e della razionalità capitalistica; senza dimenticare Sombart e
Braudel e il ruolo da questi ultimi assegnato alle minoranze (quella ebraica in particolare) nel fare da avanguardia nell’innesco di tale
dinamica.
Si può dire che Marco Dolermo raccoglie la lezione di questi grandi studiosi intersecando, nel suo lavoro, storia politica, storia economica e sociologia e applicando tali prospettive storiografiche alle
vicende di una comunità ebraica che, soprattutto a partire dall’istituzione del ghetto, diventa sempre più numerosa e attiva sul terreno commerciale e finanziario suscitando, contestualmente, le
preoccupazioni ideologico-religiose della curia, le insofferenze dei
cittadini e dei contadini colpiti economicamente, le reazioni “pendolari” delle diverse autorità civili succedutesi al governo, in qualche modo “costrette” ad applicare un mix di tolleranza e di repressione rispetto alle istanze di espansionismo civile ed economico
provenienti dal ghetto di Piazza Bollente.
Emblematica in questo senso è una vicenda riportata nel primo
capitolo della ricerca, sulla quale vale la pena di soffermarsi, in
231
recensionirecensionirecensionirecensioni
coerenza con l’impostazione monografica di questo numero di Iter
dedicato alla storia del teatro nella nostra città.
Nel marzo del 1750 il Vescovo di Acqui Maruchi denunciava alla
Segreteria di stato di Torino per gli Affari interni il tentativo di un
ebreo di aprire sull’esterno del ghetto un locale da caffè, enfatizzando con parole preoccupate “quanto sia perniciosa la troppa
famigliarità de’ cristiani cogl’ebrei”.
Quattro anni dopo lo stesso Maruchi, dinanzi al ripetersi di episodi di mescolanza tra ebrei e cattolici, rendeva pubblica la sua indignazione con una lettera pastorale nella quale ribadiva la proibizione contenuta nelle Costituzioni Pontificie per qualunque cattolico di “andare a Convitti in Casa d’Ebrei, il mangiare, e bevere con
essi sotto qualunque pretesto, e massime delle loro fogaccie, che
dicono pane azimo, tanto in casa, come di fuori, il far con essi famigliarità, conventicole, balli, giuochi ed altri divertimenti (…) e tutto
ciò sotto pena della Scommunica”.
La severità del Vescovo non trova in realtà un riscontro adeguato
da parte delle autorità civili; se quelle locali provano a darvi seguito con minacce di provvedimenti severi (una “sonora bastonata”ai
malcapitati), quelle della capitale preferiscono “troncare e sopire”
suggerendo comportamenti più flessibili e tolleranti. Tale linea di
condotta traspare nettamente nel 1782 quando, essendo stato
aperto da pochi anni il teatro Borreani in Borgo S. Pietro (in pratica il primo teatro cittadino moderno), il Prefetto di Acqui Burani
interpreta correttamente l’orientamento delle autorità torinesi e,
a fronte delle numerose richieste di ebrei di poter ottenere la concessione di assistere alle recite, pensa bene di concedere la licenza “soltanto ad un discreto numero di quelli che non danno luogo
a sospettar di loro, distribuendo così le sere or agli uni or agli altri,
ed escludendo quelli che appena han da vivere e de’ quali si può
sospettare, come pure alcuni che son di natura rissosi ed hanno
commesse risse e disordini (…) in questa città ed anche nella sinagoga”. D’altro canto risulta documentato che il Borreani, per
attuare il suo progetto, chiese un prestito proprio ad un esponente della comunità di Piazza Bollente.
L’atteggiamento “bilanciato” del Prefetto usato in questa circostanza è rivelatore di come la comunità ebraica acquese nella
seconda metà del XVIII secolo cominci a travalicare i confini fisici
del ghetto acquistando proprietà immobiliari all’esterno e a diversificare le attività economiche tradizionali ad essa deputate (rivendita di panni e usura) impegnandosi in settori manifatturieri di rilevante interesse economico per quel tempo, come la filatura della
seta, che costituiva per il territorio acquese il fiore all’occhiello
della assai poco sviluppata “preindustria” locale.
È da questo periodo che la competizione economica degli ebrei
acquesi rispetto alla comunità cittadina comincia a farsi intensa e
232
recensionirecensionirecensionirecensioni
foriera di insofferenza e rabbia anche e soprattutto a causa del
contemporaneo incremento delle proprietà ebraiche sulle terre
del contado, che i proprietari indebitati si vedono sottratte. Non a
caso ad incendiare la miccia delle violenze del 23 e del 24 aprile
1848 saranno personaggi coinvolti in questi forzosi passaggi di proprietà.
Lasciando alla curiosità dei lettori la scoperta dei tanti particolari
di queste pagine di “microstoria” vorrei segnalare l’impianto metodologico adottato dall’autore il quale utilizza uno schema esplicativo degli episodi cruciali narrati che distingue tre piani: i prerequisiti di medio-lungo periodo (il tradizionale antigiudaismo della cultura cristiana medioevale e moderna), i fattori precipitanti (le
modificazioni economiche ed amministrative che si verificano a
partire dal XVIII secolo e il consistente aumento demografico della
comunità ebraica), i detonatori (le contingenze legate ai comportamenti degli individui e dei gruppi sociali nelle situazioni specifiche).
Un’ultima considerazione di natura storiografica merita di essere
proposta. Il testo si inserisce infatti in un filone di ricerca sviluppatosi negli ultimi anni ad opera di storici (cito per tutti Michele
Sarfatti) interessati a rivedere il paradigma storiografico tradizionale secondo il quale l’antigiudaismo e l’antisemitismo sarebbero
stati fenomeni sostanzialmente marginali nella storia dell’Italia
moderna e contemporanea (si veda in proposito la stessa Hannah
Arendt) e proprio le strutture dei ghetti, incrementate in epoca
“post-tridentina”, avrebbero preservato le comunità ebraiche italiane dalle violenze di cui furono fatte oggetto in tante altre parti
del nostro continente.
Il libro di Dolermo consente di sollevare qualche ragionevole dubbio su tale consolidato giudizio.
GIORGIO BOTTO
233
recensionirecensionirecensionirecensioni
CARLO PROSPERI [a c. di],
Letteratura e Terme – Atti
del convegno tenuto ad Acqui T.
l’8 maggio 2004, Assessorato
alla Cultura del Comune di
Acqui T., Ovada, 2005, pp. 296,
s.i.p.
La pubblicazione degli atti di un convegno
risulta solitamente, e per varie ragioni,
impresa faticosa e snervante. Quella che -mi
si passi la similitudine militaresca- dovrebbe
apparire come una festosa e gratificante
rassegna di reggimenti davanti alla bandiera
(il soggetto appunto dell’incontro), una specie di trooping the colours in cui i variegati
interventi compaiono disposti in bella ed
organica successione intorno al motivo animatore, si presenta spesso come una rassegna
di truppe decimate di alcuni reparti: tanto che
può succedere che allo scorato curatore sovvenga la riflessione amara del duca di Wellington
all’indomani di Waterloo: “Dopo una battaglia perduta, la più grande angoscia è una battaglia vinta”.
Defezioni di relatori illustri; testi che tardano a pervenire; bozze che non si trovano più; risentimenti,
impuntature, pretese e riserve di copyright procurano
ansie e triboli sollevando nel curatore una specie di nausea per un lavoro ingrato che non remunera delle giornate perse e per un impegno che risulta tradito.
Non deve essere accaduto precisamente questo a Carlo
Prosperi, ma credo ci sia andato vicino: lui, che del convegno
su Letteratura e Terme era stato l’ideatore, il demiurgo e truppa in campo, e che oggi ci consegna questi Atti, nel lasso più che
accettabile di circa un anno. Ed è stato tutto merito suo se la
solidità dell’impianto generale non ha sofferto per le defezioni,
i disimpegni, le more e le elusioni che, in questi contesti, son
moneta corrente.
Gran tema quello della letteratura ispirata al topos termale;
tema ancora poco individuato e percorso dalla critica, che
s’è venuto a collocare e proporre in un ambiente che più
appropriato non avrebbe potuto darsi: in quelle Aquæ
Statiellæ, cioè, che l’acqua reclamano come pertinenza
antonomastica, visto che il suffisso “terme” qui non
necessita, ed è, infatti, apposizione tarda e -a ben
234
recensionirecensionirecensionirecensioni
vedere- inopportuna. Si partiva dunque con le migliori premesse; e
tuttavia il campo da percorrere, il materiale poetico e letterario
risultavano subito sterminati: alla dovizia entusiasmante dei riferimenti, dovette così affiancarsi la preoccupazione di non finire col
presentare una scelta antologica di citazioni che, come un bel
mazzo di fiori recisi, allieta lo sguardo, senza lasciar altro però,
appassendo in breve, che una dolce, vaga memoria.
Il rischio non è sfuggito al curatore: che, intanto, ha scelto per i vari
interventi un percorso diacronico che consentisse di cogliere e
seguire le peculiarità letterarie e i valori semantici assunti dalla
tematica delle terme e dei bagni (che son cosa diversa) nelle varie
epoche e nei vari paesi. Poi -ed è qui il pregio del disegno e del suo
compimento-, s’è voluto dare via via ai vari saggi -accanto e dopo
interventi didascalici e normativi- la dimensione di una proposta, il
raffinato, seducente spessore di un tessuto di ricerca da sviluppare ed arricchire: tanto che oggi, alla lettura di questi Atti, si ha davvero l’impressione di vivere e la presunzione di poter collaborare
ad un work in progress. Infine, a tener vivace la liaison con la città
ospite, e a dar ragione - senza burbanza - del sorger qui di tale e
tanto interesse, ecco i frequenti rimandi alle terme acquesi, e addirittura la proposta di due autentici gioiellini di poesia locale, l’uno
rutilante dei rimandi e della luce riflessa della grande stagione rinascimentale-barocca, vivo l’altro di una più modesta lepidezza ottocentesca.
Ma procediamo con ordine. I primi due saggi esaminano la cultura
termale individuandone i monumenti e seguendone i documenti
nel mondo latino. F. Pizzimenti con scrupolo filologico richiama
Agostino e Isidoro per sottolineare come la radice greca e sanscrita del vocabolo balneum lasci intravedere per il bagno già ai primordi un’estensione terapeutica ai mali oscuri, per le ansie dell’animo; ed è importante il richiamo al valore etimologico di thermæ,
indicanti propriamente il bagno caldo. Inoltre i reperti archeologici termali della romanità sono attentamente esaminati. F. Bertini si
sofferma poi con piacevole narrazione sulle testimonianze letterarie, indicando le terme come centro di aggregazione e di distinzione sociale: da Seneca a Petronio si nota come lo stabilimento
termale degradi dalla sua funzione primitiva in epoca repubblicana
di luogo in cui si celebrava la dottrina del mens sana in corpore sano
a quella, in età imperiale, di ritrovo degli sfaccendati in un ambiente equivoco, dove donne irreprensibili “entrano Penelopi ed escono
Elene”. Con il Cristianesimo si torna a ribadire la funzione propriamente igienica dei bagni, ma del bagno nel basso impero e nella
patristica troviamo solo brevi cenni..
Del resto, lo iato di cui si rammarica il Prosperi per l’età di mezzo
corrisponde in larga misura più che a defezioni di relatori ad un
235
recensionirecensionirecensionirecensioni
decadimento dell’istituzione termale nell’alto Medio Evo; spiace
invece che il mancato contributo di Surdich ci lasci col gusto inappagato del rimando ad un’epoca -la successiva- in cui le cure e il
diporto termali (il doppio registro su cui svaria il mito dei bagni)
dovevano essere tornati in auge, almeno per le classi più abbienti:
e basti pensare qui, tra Tre e Quattrocento, ai bagni senesi di
Petriuolo: con l’evocazione esemplare che ne fa Folgòre (“E di
novembre a Petriuolo al bagno/con trenta muli carchi de moneta...”), e
sulle proprietà dei quali si ironizza con la leggenda di Ghino e dell’abate di Cluny nella X giornata del Decameron, ripresa poi con
fresca vena popolaresca nel primo ’400 da San Bernardino.
E veniamo ai cieli tersi del Rinascimento. Nell’excursus che il
Barberi dedica al novelliere Sabadino degli Arienti l’approfondimento dei valori letterari, la dotta misura dell’ accademico si fondono con l’amabile riguardo al locus amœnus, e la novellistica delle
Porretane è tutta pervasa da un’aura non solo formale che richiama il Boccaccio e il Petrarca. Arriviamo così al ninfale acquese,
l’Idralea, ripescato in una rara copia della Reale di Torino da Pietro
Malfatto e affidata alle straordinarie doti interpretative di una giovane studiosa, Ilaria Gallinaro. L’autore, Orazio Navazzotti, casalese, contemporaneo (1565) e conterraneo dunque del grande Della
Valle, e con lui rara voce della musa epica piemontese, aveva cantato, ispirandosi certo all’Elogio della bellezza delle donne pratesi del
Fiorenzuola, le più belle donne casalesi; in questa favola boschereccia tutta pregna di rimandi illustri, Boccaccio e Tasso su tutti
(ma sarebbe anche interessante riprendere la profonda esegesi
semantica dei nomi e dei valori equorei fatta dal prof. Collu alla
presentazione del libro), si intrecciano allegoricamente amori, vita,
morte e rigenerazione delle fonti e dei fiumi tra Langhe e
Monferrato. Quegli stessi riferimenti illustri stanno alla base della
ricerca del Boggione sulle terme nella poesia barocca, con un convergere significativo sull’opera del Marino; mentre Rosa Necchi
prosegue il discorso con dovizia di riferimenti dal Metastasio al
Parini lungo l’Arcadia e l’età dei lumi, ma dedica un cenno appena
ai riscontri termali nella memorialistica di viaggio del Grand Tour,
un genere letterario meno illustre, ma ricchissimo di documenti: e
in cui, col metro delle terme come richiamo architettonico winckelmanniano che stinge nella poesia delle rovine, e valenza delle
stesse come rimedio scientifico che sfugge e si adombra via via nel
mistero della natura, è facile seguire il passaggio dal razionalismo
illuminista alla temperie romantica.
R. Imbach avrebbe dovuto relazionare sulla Filosofia alle terme da
Montaigne a Nietzsche: e questa è davvero una defezione che lascia
del rammarico: ma lo spazio temporale fra XIX e XX secolo (cui
l’ottava musa - invadente! - ci richiama con Marienbad e i Bagni
236
recensionirecensionirecensionirecensioni
Vignoni di Nostalghia) è ben coperto, sia pur per sommi capi, dai
contributi della Salvadè e della Merello. La prima ci offre una puntigliosa rassegna della non vasta produzione letteraria italiana sull’argomento; la seconda, focalizzando il grande tema francese delle
villes d’eaux sulle opere di Maupassant e Laforgue, ne sottolinea
l’approccio realistico e decadente al soggetto, cogliendo in questi
due autori l’alternarsi, secondo la sinusoide crociana, di ragione e
sentimento. Infine, la riscoperta del poemetto La Bojenta e del suo
autore, l’abate Lingeri, danno modo a G.L. Rapetti e allo stesso
Prosperi di concludere con garbo e piacevolmente a mezzo di una
gloriole locale.
Il volume si presenta in una veste grafica piuttosto dimessa e démodée: che pure a noi non spiace, attagliandosi con proprietà ad un
soggetto che sarebbe stato facile contrabbandare, tradendone l’aura temporale, con volgari patinature in quadricromia. Ed infatti
quelle poche che ci sono è bene dimenticarle.
RICCARDO BRONDOLO
237
appuntidiviaggioappuntidi
CAVATORE,
CASA FELICITA
Le fiabe a colori
di Francesco
Tabusso
È in pieno svolgimento a
Cavatore la mostra degli
acquerelli e delle incisioni
del pittore Francesco Tabusso (già allievo di Felice
Casorati), artista di chiara
fama in Italia, ospite delle
più prestigiose rassegne
internazionali (Bruxelles,
New York, Mosca, Alessandria d’Egitto...).
L’esposizione, curata da
Adriano Benzi e Gianfranco Schialvino, rimarrà
aperta tutti i giorni, tranne
il lunedì, sino all’11 settembre con orario: 10-12; 1619. Tutte le domeniche del
periodo della mostra si
terranno prove di stampa.
238
DALLA PRESENTAZIONE DI
GIANFRANCO SCHIALVINO
Tabusso è un pittore semplice, immediato, diretto. Di
gente, di vita, di sogni, di
fiaba. Per questo è amato,
merito raro per gli artisti, sia
dai critici, sia dalla gente, che
lo hanno eletto cantore della
semplicità, della quotidianità,
della natura, della bellezza.
In questa mostra riunite le
opere su carta, acqueforti,
xilografie e serigrafie che costituiscono gran parte del
suo corpus incisorio, esposti
insieme ai bozzetti e alla
successione delle prove di
stampa per documentarne
l’esegesi. Il tutto accompagnato da una folta rassegna
di disegni, acquerelli, guazzi,
inchiostri, tecniche miste,
scelti tra le montagne di fogli
che affollano il suo studio.
INFO:
www.vecchioantico.com;
e-mail:
[email protected];
tel. 0144 329854
VESIME,
CASA BRONDOLO
GASTALDI
Quelle plance
di tanti anni fa
Cartelloni e locandine di film in tempo di
guerra e dintorni
Quali film si proiettavano
in un piccolo paese della
Langa negli anni che precedono la seconda guerra
mondiale e i primi ’50? A
questa domanda risponde
la mostra in allestimento a
Vesime sino al 21 agosto,
promossa dall’Associazione culturale VISMA. Sono
23 i film, di cui si propongono i grandi manifesti
pubblicitari e le locandine,
corredati ciascuno da una
scheda esplicativa. Da Il
richiamo della foresta, con
C. Gable e L. Young, del
1935, un prototipo del
grande film d’avventura
americano, a L’incredibile
avventura di Mr. Holland del
1951, prodotto dell’eccel-
L’Alto Monferrato, terra collinare e
montana di frontiera tra il Piemonte
e la Liguria, è stato attraversato dalla storia e ne ha raccolto le testimonianze.
Al visitatore curioso ed attento offre tanti
prodotti tipici, dai vini più celebri
alle piccole specialità ancora da scoprire, un insieme di paesaggi diversi che
appassionano gli amanti della natura, un’altissima concentrazione di Castelli e altri edifici storici, un ambiente amichevole e sereno per una vacanza o un breve soggiorno,
tanti curiosi appuntamenti di cultura,
folklore, gastronomia, musica, rievocazione storica ed enologica.
L’Alto Monferrato comprende tre aree geografiche, ciascuna caratterizzata da ambienti,
economie e culture diversificate.
Ad ovest è l’area dell’Acquese, caratterizzata da numerosi vigneti di Moscato e
Brachetto e dalla tradizione del formaggio; le
radici storiche del termalismo, ancor oggi di
altissima qualità, sono visibili nel gran numero
di reperti storici di epoca romana.
Al centro è l’area Ovadese, caratterizzata da colline alte, da innumerevoli Castelli
medievali, dai vigneti del Dolcetto che danno
anche origine a straordinarie e profumatissime grappe e da castagneti nella zona adiacente alle montagne.
Ad est è l’area di Novi e Gavi, un
ambiente di colline assai dolci, rese uniche
dalla presenza del tipico artigianato dolciario e
dai vigneti del Gavi.
Un territorio così vario merita una
visita attenta e capillare. Quando si
percorre una strada in cresta di collina o di
montagna, il paesaggio cambia spesso e apre
nuove visioni; inoltre il reticolo di strade che
collega i tanti paesi del territorio può suggerire passeggiate non faticose e rilassanti; le
distanze tra i vari Castelli e i borghi storici
sono brevi e le passeggiate possono incentivare l’appetito a chi vuole conoscere i numerosi luoghi di ristoro dell’Alto Monferrato.
Il presidente
Lino Carlo Rava
Associazione Alto Monferrato: c/o municipio di Ovada - 15076 Ovada (AL) - Via S. Antonio, 3
per informazioni: tel. 0143.822.102 - fax 0143.835.036 • [email protected] - www.altomonferrato.it
appuntidiviaggioappuntidi
delle situazioni più appetitose o -oggi si direbbe- intriganti; maestria della sociologia prestata alla pubblicità,
richiami a terre, vite, situazioni da sogno o da incubo...
INFO. Orario apertura:
sabato e festivi, ore 10-12
e 17-19, oppure su appuntamento
tel. 0144.89079 – 89055
mail: [email protected]
lente artigianato britannico, con un quasi esordiente Alec Guiness. Una carrellata di titoli che si trasforma in viaggio della
memoria che permette di
cogliere “I sensi e i sentimenti, le atmosfere e le
immagini, le bizzarrie e le
ansie del tempo, di avvertire
le pieghe e gli squarci del
quotidiano [...]: tutto ritorna,
con l’incalzare ritmico di una
pergamena che si srotola e si
svela, se un compleanno, una
canzone o un’immagine ci
arpiona il magma dei ricordi.[...] Forse l’eternità che ci è
concessa si nutre di queste
fulminazioni e di questi indugi. E spesso, almeno per me,
- scrive Riccardo Brondolo
curatore dell’allestimento uno di quei talismani è la
locandina di un film.
Non il film, la sua trama, i
suoi personaggi, no; ma quel
riassunto fulmineo, quell’epitome che campeggiava per
giorni, per settimane sui cartelloni, sulle plance appoggiate ai muri; colori densi e tratti forti, lettere che sparavano
il titolo e gli attori con violenza o suasione indelebili. E
poi, le locandine: non un riassunto dei fatti, ma una scelta
e una proposta avvincente
a b b o n a r s i
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concorso scrivere
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