1989-2014: 25 ANNI DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE olidarietà RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXV, N. 03 MAGGIO - GIUGNO 2014, € 6,00 internazionale I U TO R A R PE A PI CO POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, NE/PD Cosa costa un mondiale di calcio Giappone: tra segreti e militarismo Renato Sacco: parroco e nonviolento STOP TTIP: Iniziativa “Dichiariamo illegale la povertà” 3/5 Dove la terra brucia ANNO XXV, n. 03 maggio-giugno 2014, € 6,00 Sommario Solidarietà internazionale www.solidarietainternazionale.it Rivista bimestrale di Solidarietà e Cooperazione CIPSI C.F. 97041440153 07 DOVE LA TERRA BRUCIA Campania Direzione, Amministrazione e Segreteria di Redazione: Via Colossi, 53 - 00146 Roma T 06.54.14.894 F 06.59.60.05.33 E [email protected] ABBONAMENTI: individuale € 30; sostenitore € 50; estero € 100. Info Abbonamenti: [email protected] Conto Corrente Postale: n. 11133204, intestato al CIPSI. Direttore Responsabile: Guido Barbera Direttore: Eugenio Melandri Vice Direttore: Nicola Perrone Il Comitato Scientifico è composto da: Prof. Guido Barbera, Prof.ssa Paola Berbeglia, Prof. Paolo Carbone, Prof. Paolo Cendon, Prof. Pier Virgilio Dastoli, Prof.ssa Maria Amata Garito, Prof. Eugenio Melandri, Prof. Nicola Perrone, Prof.ssa Anita Ramasastry. I contributi originali di carattere scientifico proposti per la pubblicazione in Solidarietà Internazionale sono sottoposti a procedura di revisione per la valutazione di merito - peer review - a cura del Comitato Scientifico della Rivista. Gruppo di lavoro redazionale: Francesca Giovannetti (segreteria di redazione, promozione e abbonamenti), Patrizia Caiffa, Giancarla Codrignani, Monica Di Sisto, Andrea Fogar, Andrea Folloni, Rosario Lembo, Luca Manes, Remo Marcone, Roberto Musacchio, Eleonora Pochi, Niccolò Rinaldi, Patrizia Sentinelli, Francesca Tacchia, Stefano Trasatti, Graziano Zoni. Collaboratori: Vinicio Albanesi, Antonietta Buonomo, Cristiano Colombi, Gianni Caligaris, Khalid Chaoukim, Carlos Ciade Castellanos, Paola Colonello, Fulvia Difonte, Laura Giallombardo, Mirta Da Pra Pocchiesa, Giuseppe Florio, Tonio Dell’Olio, Giulio Marcon, Serena Marcone, Ranzie Mensah, Antonio Nanni, Michele Sorice, Michele Zanzucchi. Progetto grafico originale: Sezione Aurea Impaginazione e grafica: Andrea Folloni Foto: CIPSI LA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO 01 Il coraggio della pace 02 Gianni Caligaris 04 Carlos Ciade Castellanos, Giancarla Codrignani, Ranzie Mensah, Roberto Musacchio. 06 Khalid Chaouki 28 Guido Barbera I U TO R #glialtrisiamonoi 27 Vademecum per gli immigrati di R. Marcone Rete amici: Di tutti i colori, S. Maria di Occhiobello (Rovigo), tel. 340.0589269, Emmaus Italia Firenze, tel. 055.6503458, Fondazione Brownsea, Milano, tel. 02 58.314760, Gruppo Amici Ultimi del Mondo, Paternò (CT), tel. 095.858772 La Colomba, Modena, tel. 389.1756593 - 327.2261499, Nats per, Treviso, tel. 0422.305008, La Piroga, San Lazzaro di Savena, tel. 051.466171, S.A.L., Roma, tel. 06.87248124, Terre Madri, Ciampino (RM), tel. 06.79350066, Tonalestate tel. 0522.580042, Reggio E. A 29 Banning Poverty 2018 3/5 a cura di N. Perrone. Stop TTIP! di J. Hilary, Perdere o lasciare di M. Di Sisto, L’attacco ai beni comuni e ai servizi pubblici di M. Bersani, Un trattato segreto di F. Gallinella, O la borsa o la vita! di R. Lembo, Ferruccio dalla strada di G. Zoni. R Stampa: 12/06/2014 presso la tipografia Arte Stampa snc - F.lli Corradin Editori, via Adige, 605 - 35040 Urbana (PD). 40 Parroco e nonviolento intervista a Renato Sacco di N. Perrone 43 Michele Zanzucchi 44 a cura di A. Fogar PE A Poste Italiane Spa - Spedizione In Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (Conv. In L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 1, NE/PD. PI Gli articoli possono essere riprodotti citando la fonte; riflettono le opinioni degli autori e non rappresentano necessariamente il punto di vista dell’editore. 97041440153 CO Cronaca di una morte annunciata. Intervista a L. Iavarone a cura di A. Buonuomo Coltivare la resistenza di L. Iavarone Il pacco alla camorra di C. Corona 17 #internazionale 17 Il clima delle contraddizioni di L. Manes 18 Cosa costa un mondiale di calcio di P. Caiffa 19 Tra segreti e militarismo di K. Yoshimi 22 Inquietanti confronti di N. Rinaldi 25 Buon ultima l’Italia di S. Burbo Organismi associati: AINRAM, Associazione Internaz. “Noi Ragazzi del Mondo” tel. 06.71289053, A.I.S. Seguimi, Associazione di Iniziative Sociali, Roma, tel. 06.6277806, Amistrada, Rete di Amicizia con le Ragazze e i Ragazzi di Strada Onlus, Roma, tel. 06.55285543, A.M.U., Rocca di Papa (Roma), tel. 06.94792170, CE.SVI.TE.M., Mirano (VE), tel. 041.5700843 CE.V.I., Udine, tel. 0432.548886, Chiama il Senegal, Imola (BO), tel. 0542.22880, Chiama l’Africa, Roma, tel. 06.5414894, CREA, Palestrina (RM ), tel./fax 06.9586002, D.P.U., Campobasso, tel. 0874.698571, FUNIMA International, Sant’Elpidio a Mare (AP), tel. 0734.858840 GMA, Montagnana (PD), tel. 0429.800830, Emergenza Sorrisi (ADERENTE), Roma, 06.84242799, IMAGINE (ADERENTE), Roma tel. 06.43411358, ISI, Reggio Emilia, tel. 0522.408795, La Locomotiva (ADERENTE), Formigine (MO), tel. 059.574820, N.A.D.I.A., Verona, tel. 045.995388 S.O.S. Missionario, S. Benedetto del Tronto (AP), tel. 0735.585037, U.P.D., Cittadella (PD), tel. 049.9400748, cel. 338.4981981 VISES, Roma, tel. 06.44070272 Voglio Vivere, Biella, tel. 015.352777. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 347 dell’08/06/1988. Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa n. 11977 del 28/02/2001. IVA assolta dall’editore art. 74 comma 1 lett. c DPR 633/72. 1. 2. 3. 5x1000 al Cipsi Firma nel riquadro dedicato alle Organizzazioni Non Lucrative (Onlus) e riporta, sotto la firma, il codice fiscale del Cipsi: 97041440153. Ci aiuterai a eliminare la miseria e la fame, assicurare l’istruzione ai bambini e alle bambine, formare personale locale, combattere le malattie, ridurre la mortalità infantile, portare acqua a chi non ce l’ha, garantire il diritto alla vita nei paesi impoveriti. SENZA FIRMA Il coraggio della pace L e notizie che arrivano parlano di 500.000 persone in fuga da Mossul, in Iraq. Scappano dall’offensiva lanciata da quelli che sono definiti “ribelli jihadisti”, che hanno preso la città (la seconda del paese) e si apprestano a dilagare verso altri luoghi da conquistare. Prima fra tutte la città di Samarra, ritenuta sacra dalla tradizione. nelle ragioni della forza e non nella forza della ragione. Debole è chi non riconosce che solo nel dialogo, nella misericordia, nella nonviolenza e nel perdono si trova la capacità di superare gli ostacoli e di trovare le falle che possono definitivamente far cadere i muri di divisione. CO PI A PE R A U TO R I Non è costruendo un muro che divida gli israeliani dai palestinesi che si raggiungono sicurezza e pace. Quel muro davanti al quale, con il linguaggio dei gesti che l’ha contraddistinto nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, papa Francesco ha voluto sostare. Ed è nato forse in questo contesto quell’invito rivoluzionario rivolto da Un paese, l’Iraq, che, secondo Francesco a Symon Peres e ad Abu Mazen, ad accettare quanto ci era stato raccontato ai tempi della presidenza la sua ospitalità per pregare insieme per la pace. Bush, oppresso da un dittatore che possedeva armi di Un gesto finalmente rivoluzionario. Qualcuno – pochi sterminio di massa (mai trovate perché inesistenti) sarebbe stato finalmente introdotto alla democrazia, naturalmente – ha subito eccepito che la pace non si fa con le preghiere, attraverso un’azione militare, cioè una guerra. Iniziata ma facendo valere i rapporti di forza. Ma oltre sessant’anni nel marzo 2003, la guerra si è conclusa formalmente nel di conflitto e di crisi stanno lì a dimostrare il fallimento della pace costruita con i muscoli. Francesco ha voluto dicembre 2011, lasciando sul campo solo macerie. andare oltre: la pace si costruisce guardando anche oltre. I costi umani di quest’avventura sono stati enormi. La Inserendo nelle trattative anche ciò che può apparire coalizione anti Saddam ha contato almeno 5.000 vittime impossibile. Assumendo altre dimensioni che non siano e circa 50.000 feriti. Si tratta sempre di cifre calcolate in soltanto quelle della razionalità fredda e della forza. Ben difetto. Mentre da una relazione dello stesso Presidente sapendo che, al di là della fede in Dio, la vita ha ben altre Bush si evince che solo nei primi tempi del confitto ci dimensioni che non siano quelle della fredda razionalità sarebbero state almeno 30.000 vittime irachene. Senza o degli equilibri di forza: il sentimento, l’intuizione, l’acontare le cifre spese, che superano i mille miliardi di more. Sapendo che nulla deve essere nascosto, nulla si dollari. E tutto questo per “portare la democrazia”. Quella deve dimenticare delle ingiustizie ricevute, ma anche che democrazia dalla quale in questi giorni fuggono oltre non ci si può fermare soltanto alla vendetta: “Occhio per occhio e dente per dente rendono, alla fine, sdentati e cie500.000 persone dopo l’attacco di Mossul. chi”. Riconoscendo legittimità politica anche al perdono. Detta in altre parole, la grande guerra fatta per portare Nei giardini Vaticani l’8 giugno si è celebrato un evento la democrazia ha destabilizzato completamente il paese. Favorito odi razziali, rafforzato gli integralismi, messo davvero rivoluzionario. Capace di mettere in moto enerin moto un meccanismo di odi e di vendette dalle quali gie fin qui assopite. In nome di quelle ragazze e di quei ragazzi che vogliono uscire da 60 anni di una guerra che pare quasi impossibile uscire. non ha risolto, bensì complicato i problemi. Siamo di fronte alla contraddizione denunciata da Scrive Garaudy: “Gesù non può non essere Dio, perché sempre da tutti quelli che credono di avere un minimo di razionalità. Quella razionalità profetica che faceva nella sua vita ha sempre e solo fatto scelte dettate dalla esclamare a Pio XII, all’alba della seconda guerra mon- fantasia e dalla genialità. È Dio perché non lo trovi mai diale: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con là dove ti aspetteresti che fosse”. Francesco lo segue e si è fatto trovare a fare l’artigiano di pace nei giardini vala guerra”. ticani, pregando il Dio di Abramo di Gesù di Nazareth e Francesco è andato oltre. Non solo ha richiamato al del Profeta Maometto perché ci doni la pace. valore della pace, ma ha voluto richiamare a quanto sia Se quel giorno del 2003 Bush, invece che fare la guerra indispensabile il coraggio per costruire la pace. Perché ci vuole più coraggio a fare la pace che a fare la guerra. fosse andato a pregare, magari invitando a pregare con Deboli sono coloro che hanno bisogno delle armi per far lui anche Saddam Hussein, oggi forse non scapperebbero valere le proprie vere o pseudo ragioni. Debole è chi crede in 500.000 da Mossul. Solidarietà internazionale 03/2014 1 GIORNI E NOTTI La saga di Antonio Gutierrez (1980/2003) Gianni Caligaris ([email protected]) Antonio Gutierrez nacque a San Salvador nel 1980. Senza famiglia, fino all’età di otto anni fu un bambino di strada. Poi incrociò il percorso di una comunità che ospitava ragazzini come lui e ne fu accolto. Chi lo conobbe lo ricorda come un bambino socievole, creativo, molto bravo nel disegno. Ma ogni tanto spariva, tornava un “menino de rua” poiché, come rivelò a un educatore che era andato a ripescarlo per le strade, cercava sua sorella, che aveva sì e no conosciuto, ma della cui esistenza era certo. Diventato grandicello, se ne andò definitivamente, poiché da voci raccolte nel barrio aveva saputo che sua sorella viveva a nord, negli Estados Unidos. Passò fortunosamente il confine, come migliaia di altri migranti clandestini, in quell’incessante flusso tribolato che dall’America latina porta al sogno (o all’incubo) degli Usa. Trova, alla fine, sua sorella, che nel frattempo ha dato alla luce un bambino. Tutti clandestini, comunque. Del seguito ci sono poche testimonianze; quel che è certo è che a ventidue anni si arruola nei marines. Il premio, alla fine della ferma, sarebbe stato la cittadinanza americana, il sogno di ogni migrante. Era così che i due Bush, soprattutto lo junior, si procuravano la carne da cannone. Dopo la conquista di Baghdad, quando cominciarono le azioni di guerriglia, gli attentati, gli agguati, consultavo un sito che riportava, mese per mese, l’elenco dei caduti americani. Mi stupivo dell’alto numero di cognomi “latinos”, mentre ai tempi del Vietnam erano più frequenti gli afroamericani. Poi ho capito. Antonio Gutierrez morì in Iraq nel 2003. Gli americani hanno tuttavia un certo senso dell’equità, anche se spesso esercitato post factum. Sulla lapide di Antonio c’è scritto “cittadino americano ad honorem” e quella cittadinanza, tanto agognata e guadagnata a prezzo della vita, si è trasmessa ai suoi unici eredi. Così sua sorella e suo nipote sono ora cittadini americani. E che Dio li aiuti, affinché il sacrificio di Antonio non sia stato inutile, una mera pratica burocratica, ma una vera sorgente di opportunità. E qui finisce la saga di Antonio Gutierrez, nato in mezzo a una guerra e morto in un’altra, a migliaia di chilometri, perché voleva essere un uomo libero. Intorno al vitello d’oro CO PI A PE R A U TO R I Qualche mese fa è stata divulgata l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. È un documento articolato, che tocca vari argomenti, ma a me interessa, in questa sede, il capitolo dedicato alla finanza. Il Pontefice non usa le mezze misure. Le ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria “hanno creato un mondo dove i guadagni di pochi crescono esponenzialmente e quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere della minoranza felice”. E questa economia dell’iniquità “uccide”. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole” (trickle down theory, ndr), che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Chi pensa che il mercato si regoli da solo creando equità (“opinione mai provata dai fatti”) esprime “una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico”. Così Papa Bergoglio liquida in un colpo solo Adam Smith e la Thatcher, nonché la loro brutta copia, Reagan. Dei tre, salvo comunque Smith, che almeno era un pensatore e che è stato ampiamente strumentalizzato, mentre gli altri due sono stati solo servi duri ma sciocchi del vero potere. “L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es. 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano a uno solo dei suoi bisogni: il consumo. (…) Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. S’instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole”. Ovviamente ho dovuto tagliare, ma cercatelo: è stimolante. Il testo di Papa Francesco mi ha fatto subito tornare alla mente il libro del card. Reinhard Marx, Arcivescovo di Monaco, “Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato” (Rizzoli, 2009). C’è molta sintonia fra il pensiero di questo cattolico renano e l’esortazione di Papa Francesco, anche se quest’ultimo viene “dall’altra parte del mondo”. Forse non è un caso se il Papa l’ha chiamato nel ristretto gruppo di porporati ai quali affidare la revisione della Curia. 2 Solidarietà internazionale 03/2014 GIORNI E NOTTI La freccia di Guglielmo Tell Per salvare qualche migliaio di posti di lavoro la Svizzera ammorbidisce la propria legge sull’esportazione di materiale bellico, suscitando l’ira degli anti-militaristi e l’indignazione di Amnesty International. La decisione, voluta dal Governo, è stata ratificata dal Parlamento federale, sia pure di misura, poiché i voti a favore sono stati 94 e quelli contrari 93. “Le disposizioni attualmente in vigore - ha detto l’esponente dell’Unione Democratica di Centro - hanno portato a una sensibile diminuzione dei contratti, per le industrie del settore, con il rischio che 10 mila dipendenti debbano essere lasciati a casa. Dal nostro voto non dipende sicuramente la pace del mondo, ma indubbiamente la serenità di numerose persone, in Svizzera”. E, a questo riguardo, va detto che uno degli aspetti più controversi della revisione legislativa risiede nella possibilità, data ai fabbricanti di armi, di esportare anche verso paesi sospettati di violazione dei diritti umani quali, ad esempio, Egitto, Pakistan, Afghanistan e Arabia Saudita. “È vergognoso - ha tuonato Amnesty International - che la Svizzera dia priorità agli interessi economici, mettendo in pericolo la sua reputazione e il suo ruolo di pioniere, in materia di diritti umani”. Una preoccupazione condivisa da uno degli astri nascenti della destra, la deputata Natalie Rickli, che ha votato contro gli ordini di scuderia del suo partito, esprimendo le medesime perplessità degli anti-militaristi. Ma la lobby dei fabbricanti di armi, alla fine, è riuscita a far passare la tesi secondo cui la legge restrittiva, in vigore fino a ieri, comportava “una diminuzione delle ordinazioni, per l’industria degli armamenti, con conseguente riduzione delle sue capacità”. Addio Lugano bella, la freccia di Tell è in svendita. CO U TO R A R PE PI A Poco tempo fa un parlamentare italiano garantì, all’esordio di un suo intervento in aula, che sarebbe stato “circoinciso”. Al che il vice presidente di turno dell’assemblea lo corresse un po’ perfidamente, ma la pezza fu peggio del buco, poiché affermò che si diceva “coinciso”. Un vocabolario presente in aula si contorse e dopo non seppe spiegare se per il dolore o per il riso. Ma perché stupirsi? La conduttrice di un noto programma ha recentemente detto che il Messico è nell’America del Sud, forse scambiando il Rio Bravo per il Canale di Panama. In un’altra rubrica di attualità, anch’essa di grande ascolto, uno dei conduttori commentando la ricetta di una cuoca ha esclamato “che raffineria!”, come se lo sponsor fosse l’Eni. Passando ai giornali on line, ricordo quando una proposta ultimativa fu definita un “outout”, ricordando l’antico “chi è fuori è fuori” delle giocate a nascondino. Il Campidoglio di Washington, sede del Congresso, da Capitol è diventato “Capital Hill”, forse perché negli Usa tutto deve a che fare col capitale. E infine l’Umberto, l’unico che nomino perché ormai fa parte del passato, che ai tempi delle discussioni sul conflitto d’interessi, assicurò che Silvio avrebbe risolto il problema creando un “blind trust”, un fondo blindato, disse. Peccato che blind significhi cieco. Ma in fondo, perché prendersela. Solo un povero innamorato delle parole come me può intristirsi quando sono strapazzati questi “fragili ponti di fortuna gettati sul vuoto”, come le chiamava Italo Calvino. Quindi chiudo proprio con Calvino, dalle sue lezioni americane: “... mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto”. I Fragili ponti di fortuna Solidarietà internazionale 03/2014 Pensierino della sera Epitaffio politico di Berlusconi (per il resto gli auguro lunga vita): “Cercò di insegnare a tutti gli italiani a diffidare di lui. Non riuscì neanche in questo”. • 3 PUNTI DI VISTA Catene e colore L a banana, un frutto che cresce in Africa e nei paesi con un clima tropicale, è diventata il simbolo globale contro il razzismo. Se Dani Alves fosse uno straniero bianco, gli avrebbero lanciato una banana? Io credo di no. Il colore di Alves lo rende troppo diverso. Sì. Siamo tutti uguali, è bella la diversità, ma non dobbiamo essere troppo diversi. Oppure possiamo essere diversi, ma non si deve vedere troppo la propria diversità, altrimenti disturba. Disturba chi? Disturba che cosa? Secondo la mia esperienza di vita, mi pare che non dobbiamo disturbare troppo le coscienze. Anche se la scienza afferma che esiste una sola razza umana, i messaggi che riceviamo dalla nostra educazione, dai cliché pubblicitari e multi-mediali, e dalla mentalità collettiva non stimolano il coraggio di pensare o di essere diversi. Prima dell’arrivo dell’uomo bianco sulle coste del continente africano nel XV secolo, l’uomo nero non sapeva di essere nero. Poi, dopo il primo contatto, ha visto che il colore bianco è sinonimo di benessere materiale, intelligenza, progresso, persino di salvezza spirituale. Bianco è meglio! Così appena hanno avuto la possibilità, alcune donne nere hanno iniziato a utilizzare delle creme per schiarire la propria pelle. Bianchi non possiamo diventare, ma un po’ meno neri va meglio. Anche alcuni uomini neri preferiscono la donna con la pelle più chiara: allora la donna per piacere all’uomo si schiarisce la pelle, affrontando i pericoli per la salute della pelle utilizzando dei prodotti che sono in realtà veleni. Un mio caro amico, Francis Bebey, artista, musicista, scrittore del Camerun, deceduto nel 2001, mi disse che le vere catene di noi neri sono le catene che sono rimaste nella nostra mente, e quelle catene saranno più difficili da rompere. Per oltre 400 anni ci è stato inculcato che il colore ebano è simbolo dell’inferiorità. Che cosa fare? Mangio la banana! In effetti, propongo di mangiare la banana accettando quello che siamo, come fonte di ricchezza nella diversità sul nostro bellissimo pianeta, apprezzando nello stesso modo la diversità altrui. Mangiamo la banana immaginando che un giorno, nel forse non troppo lontano futuro, non esisterà più il concetto di “tu sei di qua, io sono di là”, perché saremo talmente mescolati e ibridi che nessuna pentola potrà dire che la padella è nera o bianca o rossa o gialla o di altri colori. Durante un mio intervento, in un progetto interculturale, in una scuola d’infanzia in Val d’Aosta, un bambino mi ha chiesto perché ero nera. Ho rivolto la domanda a tutto il gruppo di bambini. “Bambini, perché Ranzie è nera?”. Una bambina di tre anni, che mi teneva la mano, pronta per eseguire una danza africana, senza esitazione ha risposto: “Perché hai mangiato troppo cioccolato!”. Io mangio cioccolato, voi mangiate anche la banana, che va bene lo stesso. ([email protected]) • Ranzie Mensah U TO R I Messico: il treno della morte L CO PI A PE Carlos Ciade Castellanos R A o chiamano “la Bestia” o “treno della morte”, corre dal sud al nord del Messico, trasporta merci nei suoi vagoni, e sul suo tetto centinaia di migranti senza documenti. Ha guadagnato questo nome a causa delle stragi di uomini e di donne che perdono la vita, o gli arti, sotto le sue ruote di acciaio. È il mezzo di trasporto di migranti centroamericani che cercano di aggirare sia gli agenti dell’immigrazione, che li trattano come criminali, sia la criminalità organizzata, che li minaccia continuamente. Il dramma che vivono è estraneo alle autorità, che hanno intensificato la sorveglianza al confine con il Guatemala con frequenti posti di blocco, come dimostrano le continue deportazioni che appaiono ogni settimana sui media. Ai confini del Guatemala e del Salvador ci sono cartelli che avvertono dei pericoli di salire sul “treno della morte”. Ma né i manifesti né la Dichiarazione di Comayagua – in cui il governo del Messico propone il rispetto dei diritti umani dei migranti e l’installazione di quattro consolati per accoglierli - sono la soluzione. Perché “la bestia” non passa per i consolati, e nemmeno blocca le estorsioni e le persecuzioni che avvengono in qualsiasi momento sui binari. Invece, sono le iniziative della società civile - come il gruppo di aiuto umanitario “Las patronas”, formato da casalinghe che condividono il cibo per chi viaggia sul “treno della morte” - che ora lavorano per risolvere questa crisi umanitaria, dando voce e visibilità alle persone. José Luis Hernández, un migrante honduregno che ha incontrato il presidente del Messico, gli ha detto: “È veramente impossibile che mi ricresca la mano che è stata tagliata dal treno della morte. Ma vedere e parlare con un altro essere umano, che è come noi, perché è così impossibile?”. In effetti, può essere difficile, perché si tratta di un lavoro costante, cominciando da se stessi, ma è urgente e necessario recuperare la dignità umana che “il treno della morte” ci ha strappato. (carlosciade@ gmail.com) • 4 Solidarietà internazionale 03/2014 PUNTI DI VISTA Etty Hillesum L a madre iraniana - presente per diritto islamico all’impiccagione dell’uomo che le aveva ucciso un figlio - che, in preda a pianto improvviso, ha tolto il cappio al condannato, mi ha ricondotto a pensare senza apparente coerenza logica a Etty Hillesum. Etty avrebbe oggi cent’anni, anche se la giovane ebrea non praticante, che scelse di stare con il popolo perseguitato e di seguirlo nel destino di morte, era arrivata a un livello di approfondimento di sé e della vita come se avesse vissuto secoli interi. Ad Auschwitz sapeva tutto del piano nazista di sterminio, ma si negò l’odio: “Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. È una malattia dell’anima”. Forse è proprio la possibilità di guarire dal desiderio di vendetta che - in situazioni diverse, ma ugualmente estreme - collega la madre islamica colta dall’onda inattesa del perdono all’ebrea olandese che soffre la persecuzione, ma non si ammala di odio. Dice: “Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile”. La radicalità del suo pensiero è - come i sopravissuti che la conobbero dicevano di lei - luminosa: “Una pace futura potrà esser veramente tale solo.... se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo”. E nella fede era riuscita a superare qualunque pensiero teologico proprio nel luogo dove si negava Dio o non se ne capiva più il senso: “Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio”. Anche la mamma iraniana ha aiutato dio, anche quello maleonorato dall’etica della vendetta. ([email protected]) • Giancarla Codrignani TTIP? No grazie! Il U TO R I TTIP - Transatlantic Trade Investiment Partneship è una vera e propria minaccia per tutti noi. Si tratta di un accordo tra Ue e Usa in materia di commerci e investimenti. Si propone di abbattere non muri ma regole, diritti, tutele. Cioè l’accordo che si sta negoziando ha come materia in discussione la rimozione di elementi giuridici, di norme, regolamenti che possano nuocere alla “libertà” di fare commerci e investimenti tra Ue e Usa. O, meglio, tra le loro multinazionali, che sempre più si vuole che dettino legge, sostituendosi ai Parlamenti e ai cittadini. E siccome è bene che i Parlamenti e, soprattutto, i cittadini, non diano troppo fastidio e non pensino di mettersi in mezzo magari a protestare, i negoziati sono, per decisione formale, segreti. Cioè non si deve sapere di che cosa si stia parlando, perché il “segreto è l’anima del commercio”. Naturalmente i Parlamenti (quello europeo) hanno dato via libera ai negoziati stessi. I negoziatori, al massimo, danno delle informative. Ma poiché c’è comunque una forza della democrazia dal basso, ecco che gli elementi cardine dell’ipotesi di Trattato vengono allo scoperto. E si sa, dunque, che su tutta una serie di questioni fondamentali per la nostra vita, dall’acqua, all’agricoltura, alla cultura, alla scuola, alla sanità e a molto altro si potrebbe aprire la strada a una sostanziale delegiferazione rispetto agli elementi cardine di tutela, di diritti, di presenza pubblica. Perché considerati ostativi delle esigenze del commercio e degli investimenti. Con più il fatto che a giudicare su ciò che sia ostativo sarebbe l’attuale tribunale del WTO, cioè dell’Organizzazione Mondiale del Commercio cui, qui la novità, potrebbero ricorrere non più solo gli Stati ma direttamente le imprese. Dunque imprese e commercio si fanno legge al posto delle leggi conquistate in anni di democrazia. Né si può dire che l’Europa, questa Europa, “subisca” la volontà Usa. In realtà la Ue è partner attivo del negoziato. E ha già ampiamente sperimentato in casa propria una tale dimensione per cui alle leggi si sostituisce la “libertà” d’affari, come nella famigerata direttiva Bolkenstein. Ora è possibile, e anzi probabile, che torni in campo un movimento contro questo trattato sciagurato. In tutta Europa sorgono comitati NOTTIP, ed anche negli Usa c’è fermento. In Italia il comitato si è insediato in questi giorni. Ne fanno parte molte associazioni e realtà che sono espressione della critica alla globalizzazione e che stanno preparando documentazione e mobilitazione. Hanno un proprio sito http://stop-ttip-italia.net/ dove si può trovare ciò che serve a sapere e a impegnarsi. ([email protected]) • CO PI A PE R A Roberto Musacchio Solidarietà internazionale 03/2014 5 MARE NOSTRUM Un giorno in Sicilia L o scorso 4 maggio ho trascorso un’intera giornata in Sicilia, dedicandola a una serie di visite nei centri di accoglienza della Regione. Tra i molti ho deciso di visitare quelli che fanno parte della prima linea, per verificare il lavoro e la qualità dell’accoglienza offerta a profughi e migranti. Devo dire che, nonostante i numeri importanti e, in alcuni casi, allarmanti, la gestione di queste persone, tutti adulti, è funzionante, merito anche all’operazione Mare Nostrum che in questi mesi ha consentito di salvare, direttamente in mare, molti disperati che, in fuga da guerre o regimi, intraprendono l’avventura del viaggio in mare. Le strutture siciliane di prima accoglienza, in particolare quella di Pozzallo che ho visitato, si fanno carico di ricevere il maggior numero di migranti tratti in salvo, e poi subito smistati e dislocati in altre strutture, sparse su tutto il territorio nazionale. È fondamentale però una condivisione della responsabilità e del carico dell’emergenza con i sindaci di tutti i Comuni d’Italia, perché quella che viviamo non è solo un’emergenza siciliana, ma italiana, e ancor di più europea. Il mio giro tra i centri di accoglienza mi ha portato poi ad Augusta, un piccolo paese in Provincia di Siracusa, città che ha dato i natali allo showman Fiorello e a Roy Paci. Augusta è un paese particolare, il Comune è stato sciolto per mafia ed è commissariato dallo scorso marzo 2013. Qui ad Augusta, in una scuola dismessa, l’Istituto “Giuseppe Verdi”, giacciono ‘parcheggiati’ quasi duecento ragazzi, tutti minorenni, provenienti per lo più dal Mali, dal Gambia, dalla Nigeria, dall’Eritrea e dall’Egitto. Giovanissimi, poco più che bambini, si sono divisi nelle classi stipate di brandine, i gruppetti che hanno formato rispettano i paesi di provenienza, “così non litigano”, ci spiega l’impiegato comunale – uno solo – preposto a sorvegliare la situazione. Quello che colpisce, appena entrati nella scuola, è l’odore penetrante di muffa, sporco e sudore che aleggia nei corridoi, nonostante le finestre completamente spalancate. Le condizioni igieniche nelle quali vivono questi ragazzi sono preoccupanti e indecenti, non sono previste visite mediche e, ci dice Mamadou, sedicenne proveniente dal Senegal, una volta che è venuto un medico volontario “non parlava né inglese né francese e non ho potuto spiegargli il mio dolore al fianco!”. Eh sì, perché in questa delicatissima Babele di lingue e culture non c’è un mediatore culturale, manca qualcuno che conosca l’inglese, che sappia parlare francese e arabo, le tre lingue nelle quali questi ragazzi si esprimono. Ci viene incontro un gruppetto di egiziani, tra loro uno, più coraggioso, si fa avanti: “Quando usciamo da qui?” mi chiede Samir, 15 anni e due occhi verdi che cercano risposte. “Io voglio andare a scuola, come gli altri, qui non facciamo niente tutto il giorno!”. Si confida con me in arabo, ed è un fiume in piena, mi racconta del viaggio spaventoso affrontato per arrivare fin qui, e della speranza di un futuro migliore, delle lacrime di sua mamma e dell’opportunità che gli era stata concessa di rifarsi una vita in Europa. Ora, qui ad Augusta, deve fare i conti con la frustrazione di non sapere cosa sarà di lui, e le ore vuote che ogni giorno lo attendono tra le pareti della scuola Verdi. Visitiamo tutto l’istituto, siamo una piccola delegazione, ci sono anche un paio di giornalisti della stampa estera che filmano e fotografano stando ben attenti a non inquadrare i volti dei minorenni. Ci affacciamo nei bagni fatiscenti, sono bagni di una scuola, inadatti a fare una doccia, con i pavimenti sudici e allagati, mentre saliamo le scale ci accorgiamo che il secondo piano della scuola è ancora peggio, “lì ci sono gli eritrei”, ci spiega l’impiegato comunale, i ragazzi sono talmente tanti che sono anche nel corridoio con le loro brandine e coperte maleodoranti. Alcuni stanno male, si lamentano, avvolti nelle pesante coperta marrone, ci chiedono di incontrare un medico. Questa visita è stata un colpo al cuore, la situazione nella quale vivono questi ragazzi è vergognosa e non è degna di un Paese civile. Dopo quanto ho visto con i miei occhi, e documentato con foto e filmati, mi rivolgerò a chi di competenza al Ministero degli Interni e al Ministero del Lavoro, per trovare immediatamente una sistemazione decorosa a questi giovanissimi profughi. Il mio appello vuole però giungere anche alle ong e a tutte quelle associazioni e onlus che si occupano di diritti e infanzia, affinché si adoperino per inviare personale qualificato e alleviare una situazione di cui il governo deve assolutamente farsi carico. ([email protected]) • CO PI A PE R A U TO R I Khalid Chaouki 6 Giovanissimi, poco più che bambini, si sono divisi nelle classi stipate di brandine. Solidarietà internazionale 03/2014 LA COPERTINA LA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO, FOTOGRAFO FREELANCE CHE LAVORA DA MOLTI ANNI SULLA TERRA DEI FUOCHI. CAMPANIA Dove la terra brucia PE R A U TO R I La storia dello sversamento illegale nelle campagne di rifiuti industriali, anche tossici e nucleari, da parte della camorra e del clan dei Casalesi. I fumi dei roghi diffondono nell’atmosfera e nelle terre circostanti sostanze tossiche. Responsabili di un alto tasso di tumori che hanno colpito soprattutto giovani donne, al seno e alla tiroide, e bambini. E la nuova legge è una presa in giro. CO PI A 1.Cronaca di una morte annunciata 2. Coltivare la resistenza 3. Il pacco alla camorra Solidarietà internazionale 03/2014 7 LA COPERTINA PI CO 8 pur sempre una risposta, è un passo avanti, ma solo nella direzione di dire: “Il problema esiste”. Almeno è stato introdotto il reato di combustione di rifiuti depositati in aree non destinate a discarica; ci sono i conferimenti di poteri speciali al prefetto di Napoli e mappatura delle aree agricole inquinate, e l’uso dell’esercito per il sequestro e la bonifica di terreni sequestrati alle ecomafie. È stato diffuso a marzo c.a. il primo report governativo sulla terra dei fuochi. Sono stati individuati 51 siti pericolosi, per un totale di 64 ettari di terreno agricolo. Su un’area di 1.076 chilometri oggetto di mappatura, le aree ritenute sospette sono il 2 per cento, per un totale di 21,5 chilometri quadrati, di cui 9,2 Km quadrati destinati all’agricoltura. Dati rassicuranti, ma non propriamente veritieri. I pensi della legge approvata ❝Cosa ❝ recentemente dal governo Letta? È una presa in giro. I roghi continuano. A dirlo sono i cittadini, con testimonianze dirette, anche attraverso i social network e sul blog gestito da Angelo Ferrillo (www.laterradeifuochi.it). Cittadini che verificano sulla loro pelle l’aumento di neoplasie, malattie respiratorie, patologie tiroidee, mentre gran parte del mondo sanitario nega la correlazione tra malattie oncologiche e rifiuti. Eppure gli ultimi dati sono chiari. Durante i primi mesi del 2014, l’équipe di epidemiologia dell’Istituto dei Tumori Pascale di Napoli ha elaborato i dati Istat relativi ai trienni 2000-2002 e 2006-2008. Emerge che in alcuni Comuni del casertano e del napoletano l’incidenza delle patologie oncologiche, soprattutto al colon e al polmone, è più alta rispetto ad altri comuni della Campania, presentando eccedenze che in alcuni casi arrivano al 53 per cento. La legge è assolutamente un palliativo e, come sempre, in un’ottica di gestione emergenziale, di straordinarietà. È stata una risposta molto timida. È A ❝C’è ❝ una Terra dei Fuochi e una Terra dei Veleni? La terra dei veleni è quella degli sversamenti di rifiuti relativi soprattutto ad aziende del Nord Italia. Terra dei fuochi è un fenomeno più campano, di aziende che lavorano in nero scarpe, abbigliamento, e che quindi smaltiscono a nero. Gli scarti vengono affidati alla criminalità che li porta nelle campagne e gli da fuoco. Però sono due facce della stessa medaglia. Terra dei fuochi e dei veleni vanno di pari passo. Adesso la terra dei fuochi può essersi, a vista, ridimensionata, ma soltanto perché hanno cambiato strategia, perché stanno smaltendo altrove, perché stanno bruciando di notte, perché li stanno mettendo da qualche altra parte senza dargli fuoco, ma le aziende a nero continuano ad esistere. Non si è andati a fondo nel problema. Si è voluto colpire l’esecutore ma non il mandante con la legge. Allora ecco che arrestano tanti Rom - perché poi alla fine l’esecutore del rogo è un Rom, o un extracomunitario o un indigente senza lavoro pagati 20 euro per bruciare gli scarti. Ma bisogna puntare alla criminalità che gli ha commissionato il lavoro e all’azienda che gli ha dato la materia prima. U TO R Lucio Iavarone è portavoce del Coordinamento Comitato Fuochi (CCF), nato nel luglio 2012 nel territorio denominato “Terra dei Fuochi”, compreso tra Napoli e Caserta. Il CCF conta 68 associazioni e comitati, e il suo obiettivo è quello di contrastare la devastazione ambientale e sociale, denunciando la mancanza di risposte da parte delle istituzioni. Il CCF ha messo in atto iniziative importanti. La denuncia-querela, firmata da 32mila persone e presentata nel 2012, contro tutte le istituzioni colpevoli del disastro ambientale in atto. Un atto simbolico che ha portato al rinvio a giudizio di molti amministratori per violazione degli articoli 452 e 328 del Codice Penale: delitti colposi contro la salute pubblica, rifiuto di atti d’ufficio e altri reati connessi. Il DenounceDay (D-Day), per segnalare discariche abusive e altre forme di illegalità. E le tante marce sul territorio nazionale, convegni, dibattiti, che hanno fatto diventare, in poco tempo, il CCF un punto di riferimento e un interlocutore credibile per le istituzioni. Abbiamo incontrato Lucio Iavarone nella sede di Legambiente, sezione di Afragola, uno spazio aperto alle associazioni, simbolo di riappropriazione di spazi urbani da parte dei cittadini. Sul piccolo terrazzo, ammucchiati in un angolo, pneumatici usati. Diventeranno vasi per i fiori e saranno i bambini a trasformarli, all’interno di un progetto sul riciclaggio creativo. A intervista a Lucio Iavarone a cura di Antonietta Buonomo R CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA PE 1. La terra dei Veleni è quella degli sversamenti di rifiuti relativi ad aziende del Nord Italia. La terra dei Fuochi è un fenomeno di aziende che lavorano in nero, e quindi smaltiscono a nero. Gli scarti vengono affidati alla criminalità che li porta nelle campagne e gli da fuoco. ❝È ❝ pericoloso ‘solo’ il 2 per cento dell’area? È un’altra presa in giro. Li abbiamo smascherati subito, nel loro tentativo di voler lanciare un messaggio falsamente rassicurante. Innanzitutto hanno incrociato dati che erano anche di 10 anni fa, quindi non aggiornati. Hanno semplicemente preso alcuni dati, messi insieme con delle mappe, dati dell’ARPAC (L’Agenzia Regionale Protezione Ambientale Campania), dell’AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), e di vari enti di 57 Comuni. Hanno detto: “Guardate i 21 siti che possiamo considerare contaminati o a rischio contaminazione, sono il 2 per cento”, e parlavano di terreni agricoli. Noi abbiamo preso i 57 Comuni, ne abbiamo visto l’estensione territoriale complessiva, poi quella invece delle sole aree agricole non urbanizzate, e i numeri non tornavano. Cioè, quel 2 per cento era in rapporto all’area totale, comprese le costruzioni, comprese le aree urSolidarietà internazionale 03/2014 LA COPERTINA banizzate. Se invece consideravano, come doveva essere, solo le aree non urbanizzate, la percentuale sarebbe salita al 6 per cento. Il 6 per cento comincia a essere un dato, significa ben 9 chilometri quadrati di terreno avvelenato, ed è tantissimo. Sappiamo con certezza che in quel decreto almeno una cosa buona c’era: il dover mettere insieme tutti i dati che avevano i vari enti. E non è stato fatto, non hanno fatto nulla. Il Corpo Forestale dello Stato, che a oggi è l’unico che si sta impegnando grazie al generale Sergio Costa, ci ha lanciato un messaggio allarmante. Loro hanno lo strumento dell’aerofotogrammetria dall’alto che, con le foto fatte in maniera particolare, riescono a capire se sotto, in base alla diversa colorazione, c’è qualcosa che abbia una temperatura diversa rispetto a quella normale del terreno. Però il Corpo Forestale dello Stato ha delle ortofoto che risalgono al 2008 o 2009. Ci sono altri enti come AGEA, poi c’è la stessa ARPAC, c’è l’Università di Napoli, che hanno delle ortofoto più recenti, anche del 2012, e il generale Costa ha dato la disponibilità per incrociare i dati. Non l’hanno fatto e non lo vogliono fare, e lo dice un generale del Corpo Forestale dello Stato. Noi promuoveremo una conferenza stampa a breve, chiameremo il Ministro. Noi pretendiamo che questa cosa sia fatta per avere almeno uno strumento che è a costo zero, perché il Corpo Forestale dello Stato ha ingegneri e personale a disposizione che questi dati li possono trattare, li possono verificare e analizzare, quindi si può fare. C’è una non volontà che può essere ascrivibile all’incompetenza, al non avere la volontà di agire, al non avere una visione di che cosa possa essere fatto che sia efficace. ❝È ❝ una non volontà da parte degli enti? Il problema serio è che tanti di questi enti, l’AGEA, l’ARPAC, purtroppo sono carrozzoni politici, sono stati creati e ci sono dentro persone che non hanno un briciolo di competenza. E noi l’abbiamo visto qui. Il Comune di Casoria pretese, pagando 30mila euro, che fosse l’ARPAC, quindi un ente regionale, a fare la caratterizzazione della discarica Cantariello. In quella discarica che fumava – e, se vai a fare un buco, fuma ancora perché ci sono fenomeni di combustione al di sotto, chissà di che cosa – ha realizzato una caratterizzazione che dice che lì c’è soltanto un codice CER 191212, rifiuti non pericolosi. E il Comune di Casoria ha fatto una gara sulla base di quella caratterizzazione, cui hanno partecipato ditte che, nel momento in cui dovevano istituire il cantiere per fare la bonifica, si sono ritirate una dopo l’altra, perché hanno visto il piano di fattibilità tecnica, hanno visto che cosa c’era, semplicemente sono andati a guardare il video che noi avevamo messo su You Tube in cui la terra fumava anche in passato. Adesso non fuma perché c’è una cappa: è stato messo sopra del terreno, è stato messo in sicurezza per quel che poteva. E hanno detto di non ritrovarsi nel bando cui avevamo partecipato. E stiamo parlando di una caratterizzazione costata 30mila euro fatta dall’ARPAC che, per chissà quali interessi politici, o per totale e CO PI A PE R A U TO R I MANIFESTAZIONE SULLA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO Solidarietà internazionale 03/2014 9 LA COPERTINA assoluta incompetenza, oggi affermano in una relazione ufficiale una cosa che non è rispondente alla realtà. ❝Cosa ❝ si può fare adesso? Purtroppo tutta questa storia è una grande insalata dove la politica, la sanità, l’imprenditoria, la criminalità organizzata sono tutte insieme. Il condimento qual è stato? L’indifferenza, il lasciar correre. Adesso dobbiamo sottrarre condimento a quell’insalata e dobbiamo cominciare a sottrarre anche ingredienti. Per fare questo ci vuole tempo, una cittadinanza sempre più attiva, sempre più partecipe. Uno dei punti principali su cui si fonda l’essenza della rete su un territorio molto ampio - perché è un territorio ampissimo, quello di Napoli, provincia a nord di Napoli, Caserta, provincia a sud di Caserta - è l’essere usciti definitivamente dalla logica Nimby (Not In My Backyard), cioè “non nel mio giardino”. Noi siamo in contatto con le altre regioni, dove si sta spostando buona parte della Terra dei Fuochi. Lo sappiamo già: in Puglia, nelle Marche, in Basilicata, in Abruzzo, e stiamo cercando di allertare le popolazioni, altrimenti si continua a spostare il problema. Stanno continuando a smaltire tranquillamente a nostra insaputa. L’esercito dove sta? Hanno solo mutato strategia. I rifiuti ci stanno perché le aziende continuano ad esistere, le aziende campane che lavorano in nero negli scantinati continuano ad esistere. ❝E ❝ i danni alla salute? È coinvolto il mondo della sanità? Il mondo della sanità è molto interrelato con la questione terra dei fuochi, è un altro grande problema d’indifferenza politica. I primari negli ospedali pubblici sono indicati dai politici - e il boss della criminalità dei casalesi Schiavone ha detto che lui stesso faceva gli esami all’università di Medicina, ha fatto diventare dottori quelli lì, che magari oggi sono primari degli ospedali pubblici. Finché il mondo va in questo modo, non ne usciremo. Bisogna spazzare via un intero sistema politico clientelare, malavitoso, che ormai è totalmente radicato, ma che non ci scoraggia. Dobbiamo estirpare la malerba. E ci riusciamo, ce la possiamo fare. Libera lo sta facendo con la grande opera che sta mettendo in campo insieme alle tante associazioni che si battono contro il sistema criminale, che è ciò che sto raccontando. Ormai il sistema criminale non è più quello di chi va lì, spara, la coppola, la lupara, no. Il sistema criminale è tutto qui, la commistione tra l’imprenditoria, la politica, la malasanità, la mala gestione degli enti partecipati pubblici. È questa la nuova camorra, la nuova mafia, e ancora non si vuole ammettere che ci sia stata questa mutazione. Gli omicidi sono soltanto la CO PI A PE R A U TO R I LA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO bassa criminalità. Oggi un omicidio avviene soltanto quando c’è da contendersi un territorio, una piazza di spaccio. Invece la vera mafia è quella che oggi è insediata nei palazzi, nel Parlamento, nelle Regioni, negli enti, è quella che ormai ha tappato la possibilità di un normale sviluppo della vita sociale dei cittadini. È tutto un sistema che va scalfito e distrutto con una rivoluzione culturale che deve partire dalle scuole, che deve partire proprio dal cambiare il modo di vedere. È una visione di ampio raggio che sta partendo con i progetti che stanno nelle scuole. Lo diceva Don Peppino Diana: “La camorra si combatte nelle scuole”, ed è nelle scuole che si stanno facendo questi percorsi, e solo se quei bambini, domani, la penseranno in maniera diversa rispetto ai loro genitori, la potremo sconfiggere. È un lavoro lungo, però lo si deve fare. La terra dei fuochi è un sunto di tutto questo. Nella sanità, tranne pochi, come Antonio Marfella, Antonio Giordano, Montella, Comella, Luigi Costanzo, c’è una cupola - dalla Regione fino al semplice medico - che è pienamente implicata nel discorso terra dei fuochi. Perché non ci saremmo dovuti arrivare. Quando negli anni si cominciavano a vedere strani picchi in determinate zone, se qualche medico avesse denunciato e non fosse, invece, rimasto chiuso nella sua stanza nel pensare come curare quella persona, non ci saremmo arrivati. 10 Solidarietà internazionale 03/2014 LA COPERTINA CO Solidarietà internazionale 03/2014 raccolta tutte le associazioni, i comitati della zona. Da lì partì l’idea di creare il Coordinamento Comitati Fuochi, oggi siamo 68. Lui ha dato impulso a questa rivoluzione che è stata al tempo stesso una rivoluzione mediatica, sociale, politica. È importante far capire alla gente la distinzione che esiste tra le tecniche e le pratiche di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, rispetto ai rifiuti industriali, tossici o pericolosi. Sono due cose ben diverse, che però devono camminare di pari passo. L’obiettivo delle istituzioni, sino a oggi, è stato quello di confonderle, far passare l’una per l’altra. Noi sappiamo che sui rifiuti urbani si può fare rifiuti zero, sappiamo che si può fare a meno di discariche e di inceneritori. Sui rifiuti speciali è necessario che le aziende cambino, e che non se ne producano più. La nuova legge è una presa in giro. I ❝Qual ❝ è la vostra posizione sugli inceneritori? Se pensiamo banalmente a quante persone lavorano in un ipotetico inceneritore che distrugge materie, rispetto a quante troverebbero lavoro in un’impiantistica eco sostenibile di recupero e di totale riciclo della materia, siamo in rapporto di 1 a 10. È lì che dobbiamo pensare di creare lavoro. È l’unico modo per far sopravvivere questo pianeta. Se tendiamo solo alla distruzione di materiale, al depauperamento di risorse, a un paradigma economico di sviluppo che è fondato soltanto sul ‘produciamo di più per consumare di più per dare più lavoro’, gli scarti dove li mettiamo? Per ora sono qui nella terra dei fuochi. E ci stanno distruggendo un territorio. E di terre dei fuochi, noi lo stiamo dicendo, ce ne sono tantissime in Italia, all’estero. Se ci riusciamo, noi vogliamo convocare una conferenza mondiale che parta dal basso delle terre dei fuochi di tutto il mondo e vogliamo farlo qui, nel luogo simbolo di rinascita che è la Reggia di Carditello di San Tammaro. C’è in progetto di farlo diventare un polo della socialità dal basso, un emblema della riappropriazione dei beni comuni. Dobbiamo pretendere di riprenderci quegli spazi, poter vivere finalmente in piena condivisione, riappropriarci della nostra terra, dei beni comuni. I Regi Lagni, ad esempio, erano – lo U TO R A PI ❝E ❝ dall’Africa si è passati in Campania. Da quel momento lì si fermarono le navi, ma non si fermarono i rifiuti che rimasero in Campania. Laddove esistono i vuoti consentiti dallo Stato, la criminalità organizzata si va a insediare e dà le risposte. Dà l’offerta alle aziende per poter smaltire i propri rifiuti a basso costo, anziché sull’economia sociale? ❝Puntate ❝ Assolutamente sì. O comincia questo tipo di rivoluzione dal basso, andando a contaminare i vari livelli delle istituzioni, della politica, dell’imprenditoria, oppure non ne usciamo. Economia sociale vuol dire anche “rete”, cosa che il Coordinamento realizza pienamente. Oggi se si fa qualcosa a Giugliano andiamo tutti lì, se si fa a Chiaiano andiamo tutti lì. Ci sono una forza, una nuova consapevolezza fondamentale dell’importanza della rete. La rete - ma non solo rete Internet - significa riuscire a mettere in comune e socializzare le esperienze, le iniziative, le lotte. Due anni fa successe che non i medici, non il mondo sanitario, che vedeva l’impennata dei tumori, alzò la voce e cominciò a levare un grido, ma lo fece un prete, don Maurizio Patriciello, che celebrava troppi funerali, soprattutto di bambini, e chiamò a R ❝Come ❝ può cambiare lo smaltimento dei rifiuti pericolosi? Premetto che fino a due anni fa addirittura il governo ci veniva a dire che il problema non esisteva. Oggi, almeno, quello non lo possono più dire perché la terminologia “Terra dei fuochi” sta in una legge dello Stato, quindi almeno hanno ammesso il problema. Ben lungi dall’avere la volontà di risolverlo. Perché bisognerebbe, una volta connotato il problema concernente lo smaltimento illecito dei rifiuti, puntare sulle aziende, avere una possibilità di smaltimento eco sostenibile degli scarti delle aziende, creare nuovi piani aziendali. Probabilmente ci vorranno cinquant’anni per realizzarlo in Italia, nel nostro paese, ma anche in Europa, perché questo è un problema europeo. La terra dei fuochi era la discarica e la soluzione per le aziende. Prima in Africa. L’omicidio di Ilaria Alpi risale a quel periodo lì. Lei stava indagando proprio sullo smaltimento dei rifiuti pericolosi che partivano con le navi dalla Campania e arrivavano in Africa per essere smaltiti, e lei fu uccisa per questo. E su questo c’è ancora un grosso segreto di Stato. sono le vostre proposte ❝Quali ❝ concrete? Bisogna cominciare dalle direttive europee, leggi nazionali, nuovi piani industriali, che facciano quella che noi chiamiamo la ‘nuova rivoluzione industriale’, che deve partire dalla consapevolezza delle aziende. Per gli scarti nocivi bisogna trovare una soluzione: o avere una possibilità di smaltimento legale con impiantistica eco sostenibile che non sia a sua volta nociva, oppure quel prodotto va cambiato. Qui è la rivoluzione, va cambiato puntando su materie prime che diano scarti totalmente recuperabili, riciclabili, e non invece scarti che per essere smaltiti costano dieci volte di più. Una rivoluzione industriale, all’origine, ed è quello che noi oggi stiamo lanciando proprio come nuova idea di sviluppo, nuovo paradigma economico di sviluppo. PE ❝E ❝ poi c’è l’imprenditoria e la politica. Assolutamente sì. Non è possibile che un imprenditore non si ponesse un interrogativo, nel momento in cui sapeva che per smaltire una tonnellata di quella tipologia di rifiuto nell’impianto in regola gli sarebbe costato 100, e arriva uno che gli dice: “Te lo faccio per 10”. “Ok, allora ho 90 di utile”. Se lo doveva porre l’interrogativo. Le bolle erano assolutamente falsificate. Allora, tu, imprenditore, sei colluso. Poi, il mondo della politica. Il cerchio si chiude e tutto diventa, condito insieme, la terra dei fuochi. mandarli in impianti costosissimi di smaltimento in Germania, Francia, nel resto d’Europa, perché in Italia non c’erano e continuano a non esserci. Tutto ha concorso nel creare un sistema strutturato: un tavolino a ‘tre gambe’ ‘imprenditoria – criminalità – politica’. Farlo cadere significa amputare almeno una delle tre gambe, e probabilmente quella che si riesce ad amputare più facilmente è quella della politica, l’unica su cui oggi noi cittadini abbiamo la possibilità di poter incidere col nostro voto. Non bisogna più puntare sulla politica che ha favorito questo sistema negli ultimi trent’anni. E lottare contro questo sistema. A La prevenzione primaria non esisteva nel loro vocabolario. Si pensava alla prevenzione secondaria e alla cura che, in molti casi, era l’unico modo per portare soldi a quei primari, chiusi in quelle stanze, che fanno le visite anche in nero. 11 LA COPERTINA ❝Avete ❝ anche proposto un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Sì. C’è un gruppo di avvocati volontari - Valentina Centonze, Armando Corsini e Ambrogio Vallo – che stanno agendo grazie al grande aiuto che ci sta dando un avvocato di Strasburgo, Antonella Mascia, che per prima ha individuato l’assoluta possibilità di poter vedere riconosciuto il ricorso dalla Corte Europea. Al momento (fine aprile 2014, ndr) partiranno i 2. primi 50 ricorsi, per la maggior parte di mamme di bambini vittime. Il presupposto chiave è la violazione del diritto riconosciuto dalla Carta Europea all’informazione violato dalla segretazione degli atti per 17 anni, atti che sono stati desegretati soltanto a fine ottobre 2013. E da lì poi scaturiscono una serie di altri diritti violati, come il diritto alla salute. Ci sono dei margini per poter vedere riconosciuta una sentenza storica che non darà soldi a nessuno, ma obbligherà il governo nazionale a prendere delle misure. Cominceremo a scardinare un altro versante importante, quello dei risarcimenti danni alle vittime, benché non sia ancora riconosciuto il nesso di causalità. Da qui deve nascere un progetto di vero risanamento, di riqualificazione, di sviluppo, che deve consentire alle COLTIVARE LA RESISTENZA ❝La ❝ cultura del bene comune è esattamente l’opposto della mentalità criminale. Assolutamente sì. Però se si lavora su una mentalità anticamorra, alla fine è tutto riconducibile a quello. La tutela del bene comune, oggi, è il primo punto su cui lavorare. Bene comune significa ambiente, significa spazio a disposizione e in condivisione per la socialità, per condividere e vivere insieme nel pieno rispetto degli altri. E questa è la sfida. E oggi il volontariato dal basso di questo tipo è l’ultimo baluardo di democrazia, è la vera politica di questo paese. È cambiata la sensibilità della gente, perché quella che è iniziata è una rivoluzione delle coscienze. (buonomo.antonietta@ gmail.com) • CO PI A PE R A U TO R Ci sono grandi responsabilità della Regione Campania perché ancora non si vede un marchio di qualità, non c’è nulla che garantisca e tuteli i consumatori, e che porti ad una tracciabilità del prodotto. La legge 152/2006 è totalmente inadeguata. L’unico modo è quello di fare la mappatura completa, con le analisi certificate di falda, terreno, prodotto. Terreno per terreno, dare un marchio di qualità, una certificazione di qualità e la certezza di una tracciabilità del prodotto per la tutela del consumatore. Oggi tutto questo non c’è, non si vede nessun impegno nel farlo. Con gli agricoltori ci parliamo, ci dialoghiamo, stiamo tentando anche a fatica di metter su dei meccanismi che possano essere di consumo a chilometro zero. Già stanno nascendo tanti gruppi solidali di acquisto dove si può conoscere il prodotto che si sta acquistando, è certificato, garantito, perché sono state fatte delle analisi e sai che è un prodotto affidabile. Quindi si crea anche un rapporto di fiducia tra l’agricoltore il cliente. Il chilometro zero è anche quello un nuovo modo di vedere l’economia sociale. Ci sono delle realtà che stanno facendo, da questo punto di vista, dei percorsi straordinari, come la Nuova Cooperazione Organizzata (NCO) che ha prodotti certificati, e anche tutte le associazioni che gestiscono le famose terre di Don Peppe Diana e su cui, oltre a produrre prodotti certificati, creano una vera e propria economia sociale dando lavoro ai disagiati. Peppe Pagano, Giuliano Ciano, sono persone straordinarie. Hanno avuto una visione che stanno portando avanti, e vedono veramente lontano con il loro modo di agire. L’esempio più bello, oltre a quello di NCO, è quello di una società che commercializzava prodotti ortofrutticoli e che, tra i vari prodotti, ogni tanto commercializzava Kalashnikov, facevano traffico d’armi. E quella è stata affidata in corso di confisca ad Agenda 21 per Carditello e Regi Lagni. E in quelle mura che trasudavano criminalità, oggi vengono fatte riunioni per garantire il massimo recupero sociale. Questa è la cosa più bella che possa esistere, il fatto che su un terreno confiscato possano essere fatte attività del genere. Questo significa veramente recuperarlo in un’ottica di piena riqualificazione. Noi ce lo immaginiamo non solo sui beni confiscati, ma anche sui beni bonificati, ad esempio, delle zone che saranno bonificate, recuperate, e che possono essere date ad associazioni, possono essere date per attività sociali. Le realtà impegnate non sono solo Coordinamento Comitati Fuochi, ci sono tante realtà e reti che si sono costituite. C’è Rete Commons che fa la lotta principalmente su Chiaiano. C’è la Rete dei Cittadini Campani per un Piano Alternativo di Rifiuti; Rete Campana Salute e Ambiente, il Coordinamento Regionale Rifiuti della Campania. Esistono tante realtà e l’importante è che aumentino sempre di più. (Lucio Iavarone) • future generazioni di essere ottimista nel poter creare qui il proprio habitat naturale, anche perché questa era e rimane la terra felix, era e rimane la terra della Magna Grecia che era una delle più floride da tutti i punti di vista del Mediterraneo. Perché l’idiozia, l’assurdità e l’irrazionalità dell’uomo sembra averla avviata verso il completo declino. E da questa consapevolezza oggi dobbiamo rinascere. Ed ecco i piccoli segnali di rinascita che dicevo prima, il riottenimento di spazi, di beni comuni. Quindi, anche un cambio di cultura, di mentalità della gente che non deve più rimanere rintanata nella propria proprietà privata, nella propria casa, all’interno delle mura di casa propria. Ma piuttosto badare alla salvaguardia del bene di tutti. I sono ancora - l’opera di ingegneria più mastodontica e spettacolare realizzata nel 1600 ed è diventata la discarica in cui ancora oggi aziende sversano rifiuti, liquidi pericolosissimi, soltanto esclusivamente per un profitto, e gli si è dato agio e possibilità di farlo, con una politica colpevole. 12 3. IL PACCO ALLA CAMORRA Ciro Corona Un pezzo di storia di Ciro Corona, portavoce del gruppo Resistenza Anticamorra, che a Scampia è simbolo di lotta all’illegalità, di presidio sano, e che gestisce il Fondo Rustico Amato Lamberti, sequestrato proprio ai clan. Ciro è la faccia bella di Scampia. Ce ne sono tanti come lui nel quartiere diventato simbolo del degrado e che invece, nell’ultimo decennio soprattutto, ha dimostrato di avere tanto altro, ricchezza umana inclusa, per cominciare. Tante persone pulite e sane, che lavorano per il territorio. Solidarietà internazionale 03/2014 LA COPERTINA LA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO A R PE PI CO Solidarietà internazionale 03/2014 I discarica, e quindi insieme ai disordini è arrivato l’esercito, che dormiva nell’agriturismo di fronte al bene confiscato. E mentre lì c’era l’esercito che picchiava i manifestanti, i Simeoli hanno scavato un pozzo di 270 metri sotto terra, e continuavano a lavorare sul bene confiscato. Perché nonostante la confisca di tredici anni prima, loro hanno continuato a lavorare su quel bene. Cominciamo ad aprire quei cancelli, ci prendiamo il bene confiscato, e la prima cosa che possiamo fare è quella di portarci a lavorare i figli dei camorristi che stavano con noi: il ragazzino che tornava a scuola doveva anche cominciare a lavorare, e così facciamo la prima raccolta delle pesche con i figli dei camorristi. Le pesche sono U TO R attivo, che continua a operare a Marano. Un clan che faceva parte della cupola di Cosa Nostra siciliana. Sono i cugini dei corleonesi trapiantati in provincia di Napoli. È un clan ancora attivo: un camorrista ha messo su un’azienda di costruzioni, un’azienda edile e quindi, oltre a ricostruire la biblioteca comunale di Parma, hanno 5000 dipendenti in Germania e stanno riqualificando, ricostruendo, il quartiere Scampia. Gli avevamo tolto l’orticello di casa, mentre gli davano gli altri appalti. Però perché dimenticarsi quel bene confiscato? Non solo perché quel clan è ancora attivo, ma perché su quel bene, secondo le indagini prima della confisca, erano affidati all’attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. E si racconta che, secondo le indagini, su quel bene confiscato, ha fatto un pezzo di latitanza Totò Riina, c’è stato anche Brusca. Lì fino a dieci anni fa, in una parte del boschetto, ci scioglievano persone nell’acido, da buoni mafiosi. Perciò un po’ per paura, un po’ per volontà, quel bene confiscato se lo sono dimenticati. E allora lì nasceva la sfida, perché non si può lasciare un bene confiscato così. Chiaiano nel 2008 è diventato quartiere militarizzato perché il governo Berlusconi ci ha regalato la A A bito nel quartiere della camorra più conosciuto in tutta Europa. Ci sarà un bene confiscato a Scampia? Ce n’era uno solo, ed era un bene agricolo, nel quartiere accanto a Scampia, a Chiaiano. Avevo fatto il tirocinio presso la cooperativa “Al di là dei sogni”, dove in quei beni confiscati parlavano d’inserimento lavorativo di classi svantaggiate. E io dico: più svantaggiate di Giggino, il ragazzo che ho io, dei nostri ragazzi senza una famiglia, senza un passato, senza un futuro. Più svantaggiati di loro non c’è nessuno. Cominciamo a lavorare anche noi sui beni confiscati, inserendo i ragazzi, i figli di camorristi. Vado al commissariato di Scampia, vado alla municipalità, presento la domanda per il bene confiscato e lì mi dicono: “Ma perché abbiamo i beni confiscati?”. C’è un bene confiscato e nessuno sapeva dov’era. Facendo un percorso insieme alla polizia di Scampia, arriviamo su questo bene confiscato di 14 ettari di vigneto e pescheto, un bosco, un piccolo paradiso terrestre. Poi capiamo perché avevano dimenticato questo bene confiscato. Nessuno sapeva perché. Perché quel terreno appartiene al clan dei Simeoli, che è un clan ancora Avevano scavato le tombe, con tanto di croci. Quella volta mi si è fermato veramente il cuore. 13 LA COPERTINA PE R A Però con cinquecento persone abbiamo dovuto litigare con l’agriturismo di fronte perché si è bloccato il quartiere, nessuno è andato a mangiare là. La soddisfazione più grande è stata quella che dopo due giorni è sceso il signor Barbato, consigliere provinciale, che possiede la villa che divide il bene confiscato, un ex monastero che è diventato casa sua, e ci fa i complimenti. Però ci dice: “Complimenti, perché finalmente dopo tredici anni su questi territori è ritornata un po’ di festa, è ritornata un po’ di gioia”. Da quel giorno, quando siamo tornati, il vicinato non ci salutava nemmeno, si girava dall’altro lato. Da quel giorno c’è stato chi ha cominciato a portarci le ciliegie, chi i fagioli, i piselli, insomma siamo diventati parte integrante di quel territorio. Semplicemente aprendo i cancelli e restituendoli al territorio, noi non abbiamo fatto niente. Questo ha effetti collaterali, ovviamente, perché tu non solo stai utilizzando un bene confisca- CO PI A diventate le prime marmellate che sono andate nell’iniziativa “facciamo un pacco alla camorra” del 2013. L’idea che il figlio del camorrista andasse a lavorare sul bene confiscato, e addirittura facesse il pacco alla camorra, il pacco gliel’abbiamo fatto al di là di tutto alla camorra, è una cosa che ci faceva impazzire. Ma non potevamo limitarci solo a questo, perché il bene confiscato va restituito soprattutto al territorio, e quindi dovevamo aprire quei cancelli e rendere il bene confiscato accessibile a tutti. Allora abbiamo cominciato non solo ad aprire i cancelli, ma abbiamo cominciato anche a inventarci diverse manifestazioni. E la prima di queste è stata la prima pasquetta napoletana sul bene confiscato alla camorra. Ci aspettavamo che un po’ di amici venissero a festeggiare insieme con noi, invece ci siamo ritrovati cinquecento persone; si è bloccata Chiaiano, è finito il vino, è finita la carne, è finito tutto quel giorno. U TO R I LA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO 14 to, con un clan che mentre facevamo la raccolta ci guardava dalle case che stanno a meno di un chilometro da là, ma soprattutto lo stai restituendo al territorio. Un giorno, mentre stiamo là dentro, entra una macchina e viene a farci visita il nipote dei boss. Noi stavamo negli uffici, si avvicina questa macchina, in mezzo al bene confiscato, esco da là dentro e dico: “Cercavi qualcuno?”. Si affaccia questo giovane dalla macchina e dice: “No, questa è la terra di mio zio Angelo”. Rispondo: “Ma Angelo chi?”. “Angelo Simeoli”. Il cuore si ferma per dieci secondi e dico: “Guarda, forse non lo sai che è stata confiscata?”. E lui: “Certo, lo so, l’hanno data a voi, ho visto che state potando” perché stavamo facendo la potatura “e questa è roba nostra, poi ce la veniamo a prendere”, mise in moto e se ne andò. Io feci in tempo a prendere il numero di targa, lo portai alla polizia, la polizia lo mandò a chiamare e poi, fortuna nostra sforSolidarietà internazionale 03/2014 A PE R A Quella volta si è fermato veramente il cuore: ma dopo trenta secondi, la risposta più naturale a quell’intimidazione, è stata quella di farci fotografare di spalle mentre utilizzavamo quelle fosse come orinatoi. Abbiamo simulato che li utilizzavamo come cessi, e poi abbiamo cominciato a tappezzare il quartiere con queste foto, su Internet. Quando fai queste cose, la stampa subito è pronta a schierarsi con te. E quindi abbiamo esorcizzato così le tombe che ci avevano scavato. Il festival dell’agricoltura sociale, al di là delle tombe, l’abbiamo fatto lo stesso, con le tombe la sopra che andavi a visitare, come gli scavi di Pompei. Il festival si è fatto, c’erano trenta espositori da ogni parte d’Italia, gente che arrivava, che ha dormito là in tenda, settecento persone. È stato bellissimo, abbiamo piantato un albero che ci hanno regalato loro, l’ha piantato il sindaco di Napoli. Dopo non abbiamo avuto più pro- CO PI tuna sua, il caso ha voluto che dopo nemmeno dieci giorni questa persona si schiantasse contro un palo con la moto, morto. Un giorno conosciamo Giuliano Ciano, della cooperativa sociale NCO, e ci propone di fare sul bene confiscato il Festival Nazionale dell’Agricoltura Sociale. Senza sapere nemmeno che cos’è l’agricoltura sociale, si facciamolo! Una cosa bellissima. Prepariamo tutto, facciamo la conferenza stampa insieme al sindaco di Napoli. Dopo due giorni dalla conferenza, mentre stavamo lavorando, ci viene a chiamare un amico che stava sul vigneto e dice: “Ma che sono quelle cose sul vigneto? Ci stanno tutte quelle cose tolte”. Andiamo a vedere, io oltrepasso la catena del vigneto e vedo dei segni a terra fatti con del terreno aggiunto sopra. Faccio fatica a capire che cos’è, sembra una croce, alzo gli occhi e vedo da lontano due grandi fosse scavate. Ci avviciniamo: ci avevano scavato le tombe, con tanto di croci. U TO R I LA COPERTINA Solidarietà internazionale 03/2014 blemi, fino a quando a settembre, dopo la raccolta delle pesche, sono venuti con una fiamma ossidrica e hanno tagliato tre cancelli, due pali conficcati a terra, e si sono portati via un trattore da 40.000 euro e una cisterna di mille litri. Sono venuti con un paio di camion a portarsi via tutto in pieno giorno. Fino ad adesso erano venuti sempre di notte. Hanno scavato per portarsi via gli alberi, hanno rubato una cinquantina di alberi. So che avevano fatto tutto di notte, ma questa volta di giorno. Noi però stiamo ancora là. Non solo perché siamo pazzi, perché siamo una banda di pazzi e ci sosteniamo a vicenda, ma perché veramente pensiamo che il bene confiscato, soprattutto in quei territori, non solo è il volano di sviluppo di quei territori, ma sono un luogo dove si intrecciano storie. Noi sul bene confiscato l’anno scorso abbiamo ospitato trecento ragazzi che venivano da ogni parte d’Italia, sono venuti a fare i campi 15 LA COPERTINA CO PI A PE R A DON MAURIZIO PATRICIELLO, PRETE IN PRIMA FILA NELLA TERRA DEI FUOCHI. © MAURO PAGNANO 16 una promessa fatta a uno dei ragazzi della prima comunità. È un ragazzo di Scampia, arrivò con la comunità, i ragazzi scelgono di andare a lavorare sul bene confiscato. Io quando lo vidi là gli chiesi: “Ma che ci fai tu qua? Io conosco la tua famiglia, so che è legata a certi ambienti. Io non voglio avere problemi con la tua famiglia, che sono problemi legati alla camorra, ma soprattutto non voglio far avere a te problemi con la tua famiglia”. E lui mi dice: “Ciro, ma la camorra ha ammazzato mio padre, la camorra ha portato via mio fratello perché me l’ha ammazzato, la camorra ha portato via il passato, io non voglio che si prenda anche il futuro”. Questo ragazzo deve scontare gli ultimi mesi di carcere domiciliare, dopodiché diventerà socio lavoratore della nostra cooperativa. L’impegno che abbiamo è cercare di fare in modo che il bene confiscato diventi l’alternativa per chi non ha avuto la possibilità di cambiare vita nel suo percorso, perché si è trovato in contesti come i nostri. Questa cosa la devo dire per forza. I miei zii sono camorristi, i miei cugini gestiscono piazze di spaccio di droga, io sono cresciuto insieme ai miei cugini, e mi ricordo che loro andavano nei negozi a prendere gli orologi, i gioielli. Oggi prendono macchine e motorini senza pagare nulla. Io quando tornavo a casa con 100 euro che mi regalavano i miei zii, mio padre me li strappava in faccia quei 100 euro. La differenza è questa: io ho avuto una famiglia alle spalle che c’è stata, mi ha detto quanto era importante la scuola, mi ha fatto studiare. Senza giustificare. I miei cugini, se mio zio faceva il boss, non potevano non fare i camorristi nella vita. Se tuo padre fa il camorrista e tuo zio fa il camorrista, tuo fratello fa il camorrista, fai anche tu il camorrista da grande. E allora se io ho avuto la possibilità di un’alternativa nella vita, se il bene confiscato può essere un’alternativa per i ragazzi, una possibilità di riscatto della propria vita o almeno la possibilità di scegliere che cosa fare da grande, e non deve essere sempre la camorra a scegliere in certi contesti, io penso che quel bene confiscato abbia ragione d’esistere e non basteranno croci, non basteranno fosse scavate, non basteranno nipoti dei boss e minacce del genere per farci andare via da là sopra. (estratto dall’intervento al seminario ad Aversa del progetto europeo Challenging the Crisis) ([email protected]) • I Quindi le persone perbene cominciano a sporcarsi le mani su un terreno di bene confiscato, dove fino a dieci anni fa si scioglievano le persone nell’acido. E oggi si fanno le marmellate, se sospirava Totò Riina oggi sospirano i campi di Libera. Un cambiamento radicale in quei territori. Oggi quel posto è protetto dai chiaianesi, oggi la gente di Chiaiano che viene a cucinare per i ragazzi dei campi estivi, vengono a farci la festa popolare della Tammorra, e noi abbiamo questa parte qui che è gestita addirittura dal quartiere. Il comitato del quartiere che oggi viene a proteggere quel bene confiscato, e lo sente proprio. Noi, al di là di tutte queste belle cose, siamo legati da una promessa. Una promessa fatta a un ragazzo che è arrivato lì con la prima comunità. Io sono cresciuto con un tossicodipendente, il soprannome era Tittella, non lo so perché ma lo chiamavano così. Io sono cresciuto con l’immagine di questo tossicodipendente, e ho un ricordo di lui accasciato a terra, sotto le scale di casa mia, sempre tutto drogato e tutto “fatto”. Dopo trentacinque anni di carcere questo tossicodipendente me lo ritrovo sul bene confiscato, e oggi lavora insieme con noi lì, deve scontare gli ultimi due anni di carcere, e ha detto: “Io non mi sono cresciuto i miei figli, oggi i miei figli mi hanno dato dei nipoti, dammi la possibilità di veder crescere almeno i miei nipoti”. Oggi Tittella lavora insieme con noi sul bene confiscato alla camorra, abbiamo aperto anche ai maggiorenni, ma quello che ci tiene legati lì sopra è U TO R estivi con noi da Bolzano, da Rimini, da Firenze. Vengono lì, dormono con noi, stanno con noi una settimana, sveglia alle sei di mattina, rinunciano per una settimana alle loro vacanze per spenderle sul bene confiscato e lavorare insieme con noi. E la cosa bella qual è? Che noi su questo bene confiscato abbiamo un protocollo col dipartimento di giustizia minorile, per cui vengono i ragazzi delle comunità penali, i ragazzi che stanno scontando pene alternative al carcere. Vengono a lavorare ogni giorno con noi sul bene confiscato, insieme con noi fanno tutto: il vino, le marmellate… Il ragazzo, quando sente che stanno arrivando le ragazze da Bolzano, inizia a farsi problemi: “Ma io non so parlare manco l’italiano, come faccio, mi vergogno, non voglio lavorare”. La ragazza che arriva da Bolzano dice: “Io vicino al carcerato, quando mai, ho paura”. Poi a fine settimana si sono fidanzati e sono nate delle storie d’amore. Questa è la cosa più bella, che poi quando se ne vanno, i ragazzi delle comunità non ci chiedono se hanno arrestato a Giggino o a Tonino, ma ci chiedono come sta quella ragazza di Bolzano. Quindi la fusione di modelli diversi, anche per i nostri ragazzi, che stanno sempre a parlare di piazze di spaccio, finalmente si parla d’altro su quel bene confiscato. E l’idea che su quel bene confiscato si unisca un po’ l’Italia, a Chiaiano terra di camorra, a Scampia, oggi si lavora sui beni confiscati, e si riunisce lì una parte d’Italia cominciando a sporcarsi le mani. Solidarietà internazionale 03/2014 #internazionale GIRO DI RADAR BANCA MONDIALE E COMBUSTIBILI FOSSILI Il clima delle contraddizioni Luca Manes La Banca mondiale predica bene e razzola male. Continua a concedere fondi per combustibili fossili. E le Banche europee non sono da meno. Il fallimento dei crediti di carbonio. L’opposizione di chi ha vissuto questa tragedia in prima persona. A R PE PI CO Solidarietà internazionale 03/2014 I Finance Unit della Banca Mondiale, e promossa con i finanziamenti di diversi governi tra cui Regno Unito e Svezia, assieme alla Climate Cent Foundation registrata in Svizzera. Obiettivo del fondo sarebbe di facilitare la realizzazione di progetti di carbon credit finalizzati alla “riduzione delle emissioni” e accesso all’energia su piccola scala nei paesi più poveri. Poco importa se proprio i mercati dei crediti di carbonio si siano rivelati un altro fallimento eclatante, sia dal punto di vista della lotta ai cambiamenti climatici che da quello finanziario. Il 2013 doveva essere l’anno in cui il prezzo del carbonio “avrebbe definito il mercato”, guidando gli investimenti verso settori più “puliti” e contribuendo nei paesi del Sud del mondo a migliorare le condizioni di vita tramite il meccanismo di sviluppo pulito (il ben noto e altrettanto criticato CDM – Clean Development Mechanism). Niente di più lontano dalla realtà: invece del prezzo prospettato dai fautori del mercato (30 euro a tonnellata), a dicembre 2012 i permessi di emissione europei stavano a 5,89 euro a tonnellata, mentre gli “offset” (ossia i crediti di carbonio legati a progetti nelle economie emergenti, quelli cosiddetti CDM) si vendevano a 0,31 euro a tonnellata. ([email protected]) • U TO R E LE BANCHE EUROPEE? Sebbene la media annuale si sia all’incirca dimezzata (da 4,7 miliardi nel 2009 a 2,3 nel 2013), va sottolineato che con un miliardo di dollari nel 2013 è stato raggiunto il record assoluto per progetti per l’esplorazione di nuovi giacimenti di gas o petrolio. Come dire, la via da battere è sempre quella, a fronte di riserve in esaurimento in vari angoli del pianeta, bisogna trovarne altre, costi quel che costi. D’altronde anche le altre banche multilaterali di sviluppo, comprese le “nostre” Banca europea per gli investimenti e Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, concordano in pieno sulla bontà di questo modus operandi: se si somma il denaro destinato ai fossil fuels da parte di queste istituzioni, si arriva a una cifra esorbitante, 4,5 miliardi di dollari. Durante i tradizionali incontri di primavera di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, tenutisi a Washington presso le sedi delle due istituzioni di Bretton Woods pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto dell’IPCC nella metropoli berlinese, invece di prodigarsi per rivedere le politiche di finanziamento ai combustibili fossili si è pensato più a lanciare la Carbon Initiative for Development (Ci-Dev). Ovvero un’iniziativa finanziaria di 75 milioni di dollari ospitata dalla Carbon A I l nuovo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), presentato lo scorso aprile a Berlino, è quanto mai allarmante e indica in maniera chiara e netta, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che va dato un drastico taglio alle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera: almeno il 40 per cento entro il 2050. Per fare ciò, e quindi evitare un catastrofico incremento della temperatura di oltre due gradi, un primo e indispensabile passo sarebbe costituito dal diminuire l’impiego dei combustibili fossili. Eppure ci sono istituzioni multilaterali, come la Banca mondiale, che sono ben poco propense a rivedere la sua tendenza attuale nel concedere finanziamenti per progetti estrattivi. E invece tanto potrebbe fare per limitare gli effetti del surriscaldamento globale, I dati parlano chiaro: dal 2008 i banchieri di Washington hanno concesso fondi per ben 21 miliardi di dollari per i combustibili fossili. Tanti, troppi. Per rimanere sulla Banca mondiale, fa uno strano effetto ripensare a un suo rapporto del 2012, in cui documentava in maniera attenta ed esauriente i terribili, quasi apocalittici effetti dell’aumento delle temperature globali intorno ai quattro gradi. Il presidente Jim Yong Kim si era affrettato ad affermare che bisognava assolutamente limitare l’incremento delle temperature sotto i due gradi. 17 GIRO DI RADAR #internazionale BRASILE, I CATADORES D’ALLUMINIO Cosa costa un mondiale di calcio Patrizia Caiffa Sono girate in rete le foto della pulizia umana fatta in Brasile in vista dei mondiali. I poveri fanno scandalo. Qui la storia dei catadores d’alluminio. R A U TO R IL RISCHIO DI PROTESTE Secondo i movimenti sociali la tanto attesa Copa do mundo 2014, grande vetrina per rendere famoso il Brasile in tutto il pianeta, non servirà a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Per questo già lo scorso anno sono iniziate le proteste, che il governo teme di nuovo in concomitanza con l’evento. Molti pensano che l’opinione pubblica mondiale conoscerà solo il lato allegro e positivo del Brasile, mentre la povertà e i problemi sociali rimarranno nascosti. Quando invece servono investimenti maggiori nell’educazione, la salute, la sicurezza. Il governo di Dilma Roussef sta lavorando abbastanza bene, la classe media sta crescendo, ma gran parte dei poveri è ancora ai margini della società e svolge lavori informali come quello dei catadores, che lavoreranno giorno e notte per recuperare lattine, mentre i tifosi esulteranno negli stadi. Un ambiente di lavoro duro e sporco, quello dei catadores de lixo, popolato di poveri spesso drogati o alcolizzati, ai quali basta rimediare i 5 reais al giorno (meno di due euro) per procurarsi la dose quotidiana di crack. “Ho lavorato due mesi tra 150 catadores nella città di Vitoria da Conquista”, racconta Roberto Paulo Souza, coordinatore del progetto di economia solidale per l’organizzazione brasiliana Pangea, una delle più importanti nello Stato di A PI CO 18 Bahia per il recupero di alluminio e Pvc. “È stata un’esperienza molto dura e triste. Mi sentivo sempre sporco. Però dovevo conquistare la loro fiducia. Alla fine mi sono abituato anche ai cattivi odori, non li percepivo più”. Pangea, fondata a Salvador nel ‘96, collabora anche con ong italiane come Legambiente, ecc. Ha riunito nella rete CataBahia una decina di cooperative che danno lavoro a 300 catadores, e cercano di garantire loro il salario minimo di 700 reais (250 euro) al mese. Molti ex catadores, nel tempo, sono riusciti ad emanciparsi dalla povertà e diventare leader delle cooperative. Risale al 2001 il primo convegno nazionale, che ne ospitò 1700. Da allora la categoria non ha smesso di lottare per rivendicare i diritti a un salario dignitoso e al riconoscimento sociale. Invece di essere considerati lavoratori a tutti gli effetti sono percepiti dalla popolazione come mendicanti o straccioni. Purtroppo, invece, la maggior parte dei catadores che s’incontrano sulle spiagge di Rio o di Salvador lavorano per conto proprio e guadagnano molto poco: per 1 kg di lattine ricevono dagli intermediari privati da 1 a 3 reais, secondo l’offerta. A Carnevale, quando è facile trovare lattine, il prezzo si abbassa. “Le cooperative – precisa Souza – hanno presentato una proposta per vendere l’alluminio recuperato durante i Mondiali a un prezzo maggiore -. Ma i catadores individuali, spinti dall’urgenza di procurarsi denaro per droga e alcool, venderanno a un prezzo più basso”. I vantaggi della Copa – ma questo già si sa - non saranno per tutti. ([email protected]) • I te 18 tonnellate di lattine. In una sola cooperativa di catadores arrivano circa 45 tonnellate al mese. Per i Mondiali se ne prevedono molte e molte di più, in tutte le città brasiliane che ospiteranno le partite. PE S porchi e vestiti di stracci, sempre curvi con lo sguardo rivolto a terra o impegnati a rovistare tra la spazzatura per cercare lattine. Anziani, giovani, bambini. Molti sono meninos da rua che vivono in strada per cercare di sfuggire ad abusi e violenze familiari. Invece di andare a scuola, cercano, in questo modo, di contribuire alla sopravvivenza delle famiglie. La maggior parte sono afro-brasiliani, in un Paese dove il razzismo contro i neri esiste oscuramente, ma è sottaciuto. Sono i catadores da rua, gli spazzini più poveri e discriminati tra i poveri, il cui unico mestiere informale è raccogliere l’alluminio per rivenderlo, per pochi reais, alle imprese che riciclano materiali. In Brasile sono stimati dagli 800 mila ad 1 milione di catadores de lixo che recuperano, rovistando tra la spazzatura, alluminio, vetro, plastica, carta, circa il 10 e il 20% dei rifiuti solidi urbani. L’alluminio, in particolare, è considerato “l’oro del Brasile”: lo Stato che quest’anno sarà sotto gli occhi dei riflettori del mondo per ospitare i Mondiali di calcio è, infatti, il primo riciclatore al mondo di alluminio. È in grado di dare nuova vita al 99% dell’alluminio in circolo nel Paese. Anche grazie a leggi e politiche nazionali orientate al recupero di materiali riciclabili, giacché dal 1989 al 2000, mentre la popolazione brasiliana è cresciuta del 16%, i rifiuti solidi urbani sono aumentati del 56%. Nella sola città di Salvador da Bahia - con i suoi 5 milioni di abitanti, di cui il 95% afro - brasiliani - durante la settimana di Carnevale, quando la birra quasi gratis scorre a fiumi come la musica e l’allegria, sono state raccol- Solidarietà internazionale 03/2014 #internazionale GIRO DI RADAR GIAPPONE: MANOVRE SULLA COSTITUZIONE Tra segreti e militarismo Kaoru Yoshimi U TO R I Il Giappone attraversa un momento critico e involutivo. Il governo Abe, con il Segreto di Stato, calpesta la legge. Viola la Costituzione. Infrange la libertà di stampa. La resistenza dei cittadini in tutto il paese. Abe si sposta a destra, verso il militarismo. LA COPIA ORIGINALE DI COSTITUZIONE DEL GIAPPONE © HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG/WIKI/FILE:CONSTITUTION_OF_JAPAN_ORIGINAL_COPY.JPG?USELANG=IT PE R A umani fondamentali e il pacifismo. Molto spesso, questa legge viene vista come “legge per il mantenimento della pace” dell’era Heisei (dal 1989 e tutt’ora in corso). I funzionari di un dato governo designano i “segreti specifici” (tokuteihimitsu, 特定秘密)” nelle categorie come: la difesa; gli affari esteri; la prevenzione di attività considerate pericolose (ad esempio il controspionaggio) e la prevenzione del terrorismo. Se una persona “rivela” i segreti, sebbene non intenzionalmente, sarà sottoposta ai lavori forzati per un massimo di dieci anni. Poiché la designazione è lasciata all’arbitraria discrezione del settore amministrativo, e la gamma dei cosiddetti “segreti specifici” è ambigua, tutto ciò che è considerato svantag- CO PI A I l 26 novembre del 2013 il regime di Abe ha promosso la legge sul Segreto di Stato alla Camera Bassa e il 6 dicembre alla Camera Alta. In ultima istanza, il 15 dicembre il Partito Liberal Democratico (LDP, jiminto 自民党) insieme con un’altra “maggioranza al potere” ha calpestato il progetto di legge attraverso la Camera Alta. È successo nel bel mezzo della notte, alle 23.00. Durante il giorno, l’edificio della Dieta - organo legislativo del paese - è stato circondato da decine di migliaia di persone, che protestavano duramente contro la legge e chiedevano che fosse respinta. Questa legge, emanata nonostante l’opposizione di quasi l’80% della nazione, viola tre dei principi fondamentali della Costituzione: la sovranità popolare, il rispetto dei diritti Solidarietà internazionale 03/2014 gioso per il governo può diventare un segreto. Infatti, la comunicazione delle informazioni riguardanti l’accordo segreto tra il Giappone e gli Stati Uniti, la guerra in Iraq e la politica nucleare di TEPCO (la compagnia elettrica del paese che ha centrali nucleari), prima dell’incidente della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, a oggi non sono ancora avvenute. Il termine di designazione dovrebbe essere fino a cinque anni (rinnovabile) e non superiore ai 30 anni totali, fino all’approvazione dell’estensione da parte del governo. Anche in un caso come questo, il termine non può essere esteso a più di 60 anni totali, nell’esclusiva eccezione di quei casi riguardanti ad esempio informazioni sulla crittologia e fonti dei servizi segreti. 19 GIRO DI RADAR #internazionale UN POSTER DI PROTESTA CONTRO LA LEGGE SUL SEGRETO DI STATO PROMOSSA DAL PREMIER ABE. PE R A U TO R LA RESISTENZA DEI CITTADINI… Nonostante simili condizioni inumane della nostra società, tuttavia, la voce dei cittadini contro questa legge, come anche le proteste da parte di organizzazioni di ogni tipo, si sono diffuse ovunque in Giappone. Per esempio, Mitsuo Nakamura (84 anni), ex capo bibliotecario di Toyohashi (una piccola città situata nel sud-est della prefettura di Aichi), dà voce alla sua apprensione sulla situazione attuale del Giappone, simile a quella verificatasi alla fine degli anni Quaranta. Si tratta di un cittadino che ha contribuito all’adozione di una dichiarazione innovativa chiamata “Dichiarazione della libertà intellettuale delle biblioteche giapponesi”, imposta in Giappone a tutte le biblioteche nel 1954. Quando scoppiò la guerra di Corea nel 1950, Mitsuo Nakamura lavorava come bibliotecario. A quel tempo il Giappone era sotto la politica anticomunista, e lui aveva protestato in maniera molto forte contro la polizia. Avevano controllato gli abbona- PI CO 20 ti alle riviste di sinistra e chiesto ai bibliotecari la ricevuta di chiamata che registrava il nome e l’indirizzo dell’utente. Scrisse così un articolo e lo inviò al giornale dell’Associazione Biblioteche del Giappone, sostenendo che “un bibliotecario non deve abusare dell’autorità e non deve violare i diritti umani fondamentali”. Più tardi, questo avvenimento portò all’adozione della dichiarazione che definiva chiaramente l’obiezione all’ispezione. Qui era specificato il compito più importante della biblioteca: “Fornire alle persone dei dati e un’istituzione nella libertà riconosciuta come uno dei diritti umani fondamentali”. La libertà di raccogliere riferimenti con la loro relativa offerta e il segreto dell’utente era mantenuto. Un altro caso: il 25 marzo, Kenji Yamamoto, presidente della Wakayama University, durante la cerimonia di laurea ha criticato duramente questa legge davanti a tutti i laureati. Ha detto che essa inaridiva il desiderio dei giovani studenti alla ricerca della verità, criticandola aspramente: “Non posso ammetterlo perché mi è affidata la gestione dell’università”. È raro in Giappone che una persona importante di un’università rimproveri apertamente il governo in un’occasione pubblica come questa - chiaramente questa notizia non è stata riportata da nessuno tranne che dal giornale I debiti. Un’assoluta violazione della privacy della persona. In una situazione simile, dove tutte le informazioni sono strettamente riservate e i diritti di conoscere e parlare sono vietati, sembra che le persone perdano potere e diventino infine dei perfetti pupazzi di chi è al potere. A UNA VIOLAZIONE DELLA COSTITUZIONE Se categorie come l’organizzazione delle armi diventano segreti speciali, quell’informazione non sarà mai resa nota. Per esempio, se il Ministro della Difesa specifica una materia come “segreto speciale”, essa sarà comunicata in segreto, sebbene riguardi questioni come la distribuzione all’estero di Forze di autodifesa giapponesi (jieitai, 自衛隊), o collaborazioni con le Forze armate statunitensi, violando l’articolo 9 della Costituzione. Questa legge scuoterà le basi del pacifismo, dichiarato nel preambolo della Costituzione: “Noi, popolo giapponese [...] abbiamo deciso che non vogliamo mai più essere colpiti dagli orrori della guerra attraverso azioni del governo”. Inoltre, le persone non sono informate sulla funzione di un “segreto specifico”. Pertanto, il diritto civico di conoscere è nettamente limitato e infrange un diritto umano fondamentale come la copertura e la libertà di stampa, la libertà d’espressione e la libertà accademica. In più, a coloro che trattano informazioni segrete e temi controllati, è imposto un sistema d’attitudine relativo non solo alla persona stessa, ma anche a genitori, figli, moglie, anche amici e conoscenti. Sono controllati la storia clinica della persona, compresi anche il consumo di alcol e l’esistenza di Solidarietà internazionale 03/2014 #internazionale GIRO DI RADAR progressista “akahata 赤旗”. LA DOPPIA FACCIA DEL GOVERNO ABE Il 26 dicembre Abe ha visitato il discusso santuario di guerra Yasukuni (靖国神社), che onora 2 milioni e mezzo di soldati giapponesi che morirono in battaglia, inclusi quattordici criminali di guerra di primo grado, che sono stati processati dal Tribunale Militare Internazionale dopo la seconda guerra mondiale. La visita ha suscitato indignazione da parte della Cina e della Corea del Sud, che considerano il santuario, il simbolo del militarismo giapponese, e il suo rifiuto a compensare le atrocità commesse nella prima metà del XX secolo. La questione sulle “donne di conforto” è ancora oggi trascurata. Durante la visita Abe ha commentato: “Ho portato i miei rispetti ai caduti di guerra che hanno sacrificato le loro preziose vite per il Giappone, e ho pregato per le loro anime affinché restino in pace. Ho pregato anche per le altre anime di tutte quelle persone le cui vite sono state prese dalla guerra. Inoltre, ho promesso di rinunciare alla guerra e ho promosso la creazione di un organo di sostegno grazie al quale le vite delle persone non saranno travolte dalla miseria della guerra, nel pagarla”. Il fatto che il leader giapponese abbia fatto queste osservazioni è un’azione a doppia faccia. Abe ha chiamato nero il bianco, confondendo l’opinione pubblica. Da un lato, alcuni politici giapponesi hanno tenuto un discorso su democrazia, libertà e pace; dall’altro hanno promosso il militarismo, abbellendo l’aggressione straniera del Giappone e la storia della colonizzazione. Quello che succede è una bestemmia contro la democrazia, la libertà e la pace. Il regime di Abe non ha diritto e qualifiche per introdurre questa legge di segretezza. Noi come cittadini dobbiamo continuare a combattere contro quest’ingiustizia coscienziosamente. (Traduzione dall’inglese a cura di Fulvia Difonte) • CO PI A PE R A U TO R …E DEGLI AVVOCATI Anche l’Ordine degli Avvocati si è fatto sentire. Il 12 marzo è stato fondato a Tokyo il “Consiglio di Difesa della Legge sulla Protezione del Segreto di Stato (himitsuhogoho-taisaku-benngodan, 秘密保護法対策弁護団)”, che fa appello per l’abrogazione di questa legge. All’incirca 330 avvocati in tutto il Giappone hanno annunciato la loro partecipazione. È stato detto che un consiglio di difesa di circa 1000 persone sarà aggiunto in un prossimo futuro. Una delle persone dell’appello è una giovane avvocatessa, Akiko Yazaki, della società professionale legale “Nagoya Kita Law Office”. Ha solo due anni di esperienza come avvocato. Tuttavia è coraggiosamente diventata una dei promoter dell’ “Incontro di Aichi per opporsi alla legge sul Segreto di Stato” (istituito nell’aprile 2012). In quest’incontro ha fatto appello ai problemi e ai pericoli di queste leggi da Nagoya (città nel centro del Giappone), nella prefettura di Aichi, verso l’intero paese. Alla conferenza dell’Associazione culturale per la Pace Internazionale ONE WAY (corporazione no profit per la giustizia sociale e la costruzione di una società in cui le persone siano tutelate), l’avvocatessa ha detto di aver capito, dopo aver sentito i contenuti della legge, che funzionava con certezza come la legge militare. Ascoltando il lavoro coraggioso di questa giovane avvocatessa, ho capito che come cittadini abbiamo il dovere di continuare ad alzare la voce con fiducia. I La legge sul Segreto di Stato viola tre principi fondamentali della Costituzione: la sovranità popolare, il rispetto dei diritti umani fondamentali e il pacifismo. SHINJUKU, TOKYO, DI NOTTE. HTTP :/ / COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / WIKI / FILE: NIGHT_IN_SHINJUKU_3.JPG © WIKIMEDIA UTENTE: MARTIN FALBISONER Solidarietà internazionale 03/2014 21 GIRO DI RADAR #internazionale A VENTI ANNI DAL GENOCIDIO IN RUANDA Inquietanti confronti Niccolò Rinaldi PE R A U TO R I La storia dell’umanità è costellata, purtroppo, anche di genocidi. Ognuno con caratteristiche proprie ma anche con elementi comuni agli altri. Inquietante il confronto tra shoah e genocidio ruandese. E A KIGALI, RUANDA, IL LUOGO IN CUI 10 SOLDATI SONO STATI UCCISI NEL 1994. © WIKIMEDIA UTENTE: DYLAN WALTERS CO 22 Due lezioni parallele”, primo libro che esplora le differenze e le tante e agghiaccianti somiglianze tra i due genocidi. La Shoah non è stata né il primo né l’unico genocidio del XX secolo, ma la sua dimensione e la sua modalità non hanno precedenti e sono uniche ‒ la Shoah è una storia irripetibile. Il Ruanda non è stato il solo genocidio PI sattamente venti anni fa il Ruanda veniva travolto dal genocidio dei tutsi e degli hutu moderati. Cinquant’anni prima toccava nel cuore dell’Europa agli ebrei. I confronti sono un esercizio rischioso, e quindi sono grato alle edizioni Giuntina, massimo referente per la letteratura dell’Olocausto, di aver pubblicato “Shoah, Ruanda. del dopoguerra, ma più di ogni altro ha avvertito che, per dimensione e modalità, un altro olocausto di un intero popolo è stato possibile. Anche il Ruanda del 1994 è una storia irripetibile. Eppure il genocidio si è ripetuto. Eppure il genocidio non era così unico. Così ebrei e ruandesi si sono spesso riconosciuti reciprocamente, vittime di accanimenti che Solidarietà internazionale 03/2014 #internazionale GIRO DI RADAR INCREDULITÀ. Le notizie che trapelavano dalla Germania e dal Ruanda venivano tacciate di esagerazioni, e anche i liberatori di Auschwitz o delle colline ruandesi stentarono a credere ai propri occhi. È una delle leggi del genocidio: andare oltre l’immaginabile per far perdere di credibilità al crimine. È accaduto perfino nel 1994, nell’era dell’informazione globale immediata. CO PERCEZIONI. In Europa si considerano tutsi e hutu uguali, tutti neri. E in Ruanda percepiscono ariani ed ebrei uguali, tutti bianchi. Questione Solidarietà internazionale 03/2014 nia, prima con le forniture e poi col riciclo di tutto quanto veniva sottratto alle vittime. In Ruanda ne hanno approfittato i venditori di machete e di armi (anche industrie israeliane, tragico paradosso). Human Rights Watch denunciò almeno cinque consegne europee di armi da Goma in maggio e giugno del 1994, e del resto tra Habyarimana e un paese europeo pare fosse stato siglato un accordo per dodici milioni di dollari di armi. I PAGAMENTI. Dai deportati francesi coi vagoni piombati per Auschwitz, le SNCF, la società pubblica delle ferrovie, pretese il pagamento del biglietto andata e ritorno, per non rimetterci col rientro dei convogli vuoti. Nel novembre 1995 il governo egiziano pretese un milione di dollari per pagamenti arretrati delle armi utilizzate dall’esercito hutu. E Kigali pagò. BUROCRAZIA. In Europa, senza gli elenchi della pubblica amministrazione, i registri delle scuole, le liste delle stesse comunità ebraiche, e la solerte cooperazione di tanti colletti bianchi, non sarebbe mai stato possibile uccidere milioni di persone. Idem in Ruanda, dove il motore dello sterminio furono le prefetture, le scuole e le parrocchie. BUSINESS. Un genocidio è un buon affare. Industria del lager in Germa- INSISTENZA. Curioso, ma sia in Europa che in Africa, lo sterminio dei civili ebrei e tutsi è proseguito fino all’ultimo, sottraendo risorse militari al contrasto degli eserciti nemici. La ragion d’essere dell’estremismo antisemita o anti-tutsi andava affermata a dispetto di ogni altra priorità, più NOMI. Dopo il ‘45 non si sono più chiamati i neonati Adolfo, e neppure Benito. Dopo il 1994 in Ruanda alcuni bambini figli di madri stuprate sono stati battezzati con il nome Shumbusho, “il sostituto’’. Oppure con Umumamarungu, “colei che mi fa uscire dalla solitudine”. PI MINORANZE. Ebrei e tutsi, sempre “raccontati” da una parte come subumani e dall’altra come subdole minacce per la maggioranza alla loro paventata “superiorità”. L’odio viene giustificato con la ribellione verso lo “sfruttamento” da parte di queste minoranze. Ha funzionato sia in Germania che in Ruanda. MEDIA. Durante la Shoah e durante il Ruanda, pochi pubblicarono su quanto avveniva durante gli stermini. Nel primo caso se ne sapeva poco, nel secondo ci si adagiò sul messaggio della “guerra tribale”, dove sono tutti uguali. Nessun perseguitato venne salvato dalla mobilitazione dei media internazionali. Venti anni fa il Ruanda veniva travolto dal genocidio dei tutsi e degli hutu moderati. Cinquant’anni prima toccava nel cuore dell’Europa agli ebrei: due lezioni parallele. U TO R PROMISCUITÀ. Non ci troviamo tra due comunità divise e distanti, ma tra gruppi di cittadini dello stesso Paese, con il medesimo passaporto, gli uni dentro gli altri. Stesse strade, stesse scuole, stessi posti di lavoro, e famiglie miste. MODALITÀ. In Europa tecnologia e metodi sommari: camere a gas, forni, sperimentazioni, impiccagioni, morte per stenti, fucilazioni di massa, soffocamento nei vagoni piombati... In Ruanda: machete, e roghi di gruppi di persone chiusi in scuole o chiese. Quasi nessuna delle forme di omicidio di uno sterminio si ritrova nell’altro, ma un paese industriale e uno agricolo hanno proceduto con i propri mezzi più adatti. A NESSI. Il rovescio del punto precedente: al di là delle apparenze, in Germania come in Ruanda il genocidio non è un incidente di percorso della società, ma un suo prodotto. Un progetto coltivato per anni, spesso sottotraccia, mai un azzardo. I massacri degli ebrei e dei tutsi sono l’esito di una puntuale cronologia della discriminazione. RELIGIONE. Rispetto alla Germania, in Ruanda l’appartenenza alla stessa religione non ha garantito niente. Col “tutti cristiani” è caduta anche quella scusa. R ACCADE. Un genocidio può accadere proprio nel cuore dell’Europa o nel cuore dell’Africa ‒ questa la somigliante collocazione geografica di Germania e di Ruanda ‒ a dispetto di secoli di civiltà, di Goethe o dell’antica saggezza popolare. Il genocidio è capace di presentarsi là dove meno lo si aspetta, là dove si creda che i baluardi della cultura siano da tempo affermati, e pareggia i suoi conti con la storia sempre nello stesso modo maniacale: accumulando cadaveri. TUTTI INSIEME. La caccia agli ebrei fu un rafforzamento della coesione ideologica, con l’impegno dichiarato delle organizzazioni giovanili, del mondo accademico, eccetera. Così anche in Ruanda, dove il convolgimento di media, milizie, parte del clero, contribuirono a un genocidio come “community building”. PE IL LABIRINTO Entriamo allora nel labirinto, in forma sintetica, lanciando qua solo alcune pietre (tra le tante possibili) da raccogliere per comporre una ghirlanda di riflessioni più approfondite. di prospettive ottiche. Classificazioni indecifrabili quando sono viste a distanza, ma ribaltate e radicalizzate a casa propria. A con i primi hanno reso possibile l’inimmaginabile, e con i secondi hanno dimostrato che anche l’inimmaginabile è ripetibile. Ognuno di loro porta ieri un destino di vittima e oggi di testimone, e a volte si possono guardare come in uno specchio per due lezioni parallele – per due popoli, due continenti, due epoche, con l’assoluto della Shoah che pare trovare nel genocidio ruandese una sorta di sventurato figlio maggiore. 23 GIRO DI RADAR #internazionale importante della vittoria. RESISTENZA. Il ghetto di Varsavia lottò fino all’ultimo. E sulla collina di Bisesero circa 50.000 fuggiaschi tutsi resistettero per un mese alle varie ondate di attacchi dei genocidari. Come a Varsavia, a Bisesero le armi erano poche e di fortuna, i viveri scarsissimi, l’isolamento totale. Entrambe queste fortezze della volontà soccombettero, ma entrambe furono l’eccezione allo spadroneggiare della persecuzione. GIUSTI. Gli alberi di Yad Vashem raccontano la sola lezione bella di ogni genocidio: nella sua spaventosa notte, c’è sempre un anticonformista che si ribella al dominio del male e offrendo se stesso crea l’altra umanità, quella vera, la sola per la quale valga la pena vivere. Vi sono stati tanti Giusti in Europa, e a Yad Vashem se ne trovano anche per il Ruanda. RICONOSCIMENTO. Quarantasei paesi hanno ufficialmente riconosciuto l’Olocausto come parte della propria storia nazionale. Nessuno, ci risulta, lo ha fatto per il Ruanda. REVISIONISMO. Tanto per la Shoah che per il Ruanda, si potrebbero citare innumerevoli esempi di una letteratura ampiamente in circolazione, soprattutto in rete. È un’altra lezione del genocidio: all’assenza di limite della crudeltà corrisponde poi l’assenza di limite della spudoratezza. GIUSTIZIA. A Norimberga un processo complesso e collettivo, sotto i riflettori del mondo intero. Dopo clamorose confessioni e dinieghi, la conclusione è stata un buon numero di esecuzioni capitali. Poi, nei singoli paesi, molte amnistie e gli imperativi della logica della guerra fredda. Ad Arusha, un tribunale ONU dai tempi lunghi e norme comprensibilmente garantiste. E in Ruanda, l’incontro tra vittime e carnefici nei tribunali popolari gacaca, impensabile tra ebrei e nazi-fascisti nel dopoguerra. “MAI PIÙ”? Un genocidio è una lectio magistralis del suo tempo, e il post-genocidio è sempre il fon- damento di una nuova era. Niente è più come prima. L’Europa dopo la Shoah ha intrapreso una nuova era, mai conosciuta prima. Dopo il Trauma, l’imperativo del “Mai più”. Mai più? L’antisemitismo non è debole, è diverso e più subdolo, ma persiste, anzi è rinvigorito. E con esso il revisionismo. Il genocidio ruandese non ha rappresentato una cesura della storia africana. Non si è forgiata una nuova coscienza capace di superare alcuni conflitti che invece permangono, soprattutto nei vicini Congo e Sudan. Non è stato abbastanza? Ci vogliono sei milioni di vittime e uno solo non basta? Ma anche questo trauma è un crinale, nel Ruanda del 1994 l’intera storia coloniale, la fragilità e la frammentazione dell’Africa si sono date appuntamento per smascherare a loro modo il vero volto del mosaico africano: l’eredità dei bianchi, alcuni missionari, i partiti locali, le ambasciate, le Nazioni Unite, l’Europa, il potere in quello che è. Così il mostro è tornato, aggirandosi anche nell’indifferenza di troppi. Siamo tutti meno tranquilli, ma se conosciamo, siamo anche tutti più forti. ([email protected]) • CO PI A PE R A U TO R I SCUOLE. In Europa s’insegna la Shoah, anche se a volte quasi in sor- dina. Tuttavia non si insegna il genocidio ruandese. Che pure è più recente, ha visto all’opera anche potenze europee, e dimostra quanto attuale sia il pericolo che la storia si ripeta. AUSCHWITZ, UNA TORRE DI LEGNO IN INVERNO. © WIKIMEDIA UTENTE: JOCHEN ZIMMERMANN 24 Solidarietà internazionale 03/2014 #internazionale GIRO DI RADAR LOTTA CONTRO AIDS, TBC E MALARIA Buon ultima l’Italia Stefania Burbo Il governo, dopo tante mancate promesse, si è impegnato a versare 100 milioni di euro al Fondo Globale per la Lotta contro AIDS, Tubercolosi e Malaria. Sarà il punto di partenza di un rinnovato impegno o una nuova promessa mancata? U TO R LA LOTTA CONTRO LE PANDEMIE Il nostro Paese ha giocato un ruolo fondamentale per il lancio del Fondo Globale, avvenuto in occasione del summit G8 di Genova del 2001. Negli ultimi cinque anni, tuttavia, l’Italia non ha versato 260 milioni di euro promessi e non ha più assunto alcun impegno finanziario nei confronti di tale organismo. Considerando che i due terzi del contributo italiano alla lotta contro l’HIV/AIDS venivano erogati attraverso il Fondo Globale, i tagli avevano praticamente azzerato l’impegno profuso dall’Italia per contrastare la pandemia nei Paesi a risorse limitate. Segnali di cambiamento nell’atteggiamento delle istituzioni politiche verso la lotta contro le pandemie si sono registrati a partire dal Governo Monti e si sono concretizzati poi con la dichiarazione di impegno finanziario di dicembre nei confronti del Fondo Globale. I 100 milioni promessi potrebbero provenire dal Fondo di rotazione indicato al comma 249 della legge di stabilità 2014. Il Comitato Direzionale della DGCS MAE di marzo ha deliberato la concessione di 30 milioni di euro al GFATM per l’anno in corso. I demie e la salute globale. E anche che vi sia adesso un ruolo politico più attivo nella struttura di governo del Fondo, per monitorare e incidere sull’efficacia dell’azione, la trasparenza delle procedure finanziarie e il coinvolgimento della società civile nei processi decisionali. PE R A © OSSERVATORIO AIDS. CO PI A D opo anni di impegni disattesi e mancanza di investimenti, il nostro Paese ricomincia a finanziare la lotta contro le pandemie. L’Italia si è impegnata a versare 100 milioni di euro al Fondo Globale per la Lotta contro AIDS, Tubercolosi e Malaria (GFATM) nel triennio 20142016. L’annuncio del Vice Ministro per gli Affari Esteri Pistelli è arrivato lo scorso dicembre, alla conferenza di rifinanziamento del Fondo Globale svoltasi a Washington. Ci troviamo in una fase cruciale della lotta contro le pandemie. L’incremento degli investimenti, le recenti scoperte scientifiche, la riduzione dei costi e un migliore know-how hanno prodotto risultati. Le nuove infezioni da HIV fra gli adulti e gli adolescenti sono diminuite del 50% in 26 Paesi fra il 2001 e il 2012. Le pandemie, tuttavia, continuano a imporre un tributo devastante in termini di vite umane ed economici. UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite che si occupa di HIV/AIDS, informa che nel 2012 vi sono stati 1.6 milioni di decessi per cause correlate all’AIDS. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1.3 milioni di persone sono morte nello stesso anno per la TBC e 660 mila per la malaria. I successi ottenuti andranno perduti se non agiamo con determinazione, incrementando le risorse. Il costo della non azione potrebbe essere devastante. Ecco perché il contributo dell’Italia, pur rimanendo al di sotto delle aspettative e di gran lunga inferiore a quello di altri Paesi europei, va considerato come un risultato positivo. L’auspicio è che l’annuncio fatto a Washington rappresenti il punto di partenza di un rinnovato impegno dell’Italia nella lotta contro le panSolidarietà internazionale 03/2014 25 #internazionale *HIV /AIDS Accesso alla terapia antiretrovirale salvavita per 18 milioni di persone che vivono con l’HIV *TBC *MAL 6 milioni di decessi evitati ARIA 196.000 vite all’anno in più salvate rispetto ai livelli attuali CO PI A LA CONFERENZA DI RIFINANZIAMENTO DEL FONDO GLOBALE Il 2 e il 3 dicembre si è svolta a Washington la IV conferenza di rifinanziamento del Fondo Globale. In quell’occasione i donatori, pubblici e privati, sono stati invitati a dichiarare il proprio impegno finanziario nei confronti del Fondo per il triennio 2014-2016. Complessivamente, sono 26 (milioni di dollari US) 3/12/2013 —Arabia — Saudita 25.0 —Australia — 182.2 —Belgio — 51.6 —Canada — 612.3 —Cina — 15.0 —Comm. — Europea 502.9 —Corea — del Sud 12.0 —Danimarca — 90.2 —Francia — 1,467.8 —Germania815.4 — —Giappone — 800.0 —India — 13.5 —Irlanda — 40.8 —Italia — 135.9 —Kenya — 2.0 —Kuwait — 1.5 —Liechtenstein — 0.2 —Lussemburgo — 10.2 —Malawi — 0.5 —Nigeria — 30.0 —Norvegia — 277.4 —Paesi — Bassi251.4 —Regno — Unito1,636.9 —USA4,002.3 — —Svezia380.8 — —Thailandia — 4.5 d’Avorio (*) 6.4 —Costa — —Indonesia — (**) 4.7 —Indonesia — (**) 5.4 *Debt-to-Health, Germany **Debt-to-Health, Australia I Secondo studi condotti dal Fondo e dai suoi partner, la stima del fabbisogno finanziario globale per combattere le tre pandemie nei Paesi a basso e medio reddito nel periodo 2014-2016 è di 87 miliardi di dollari. Partendo dall’ipotesi che tutti investano di più rispetto al passato, la ripartizione di tale cifra potrebbe essere la seguente: 37 miliardi coperti dai Paesi a risorse limitate che realizzano programmi di lotta contro le pandemie, 15 miliardi forniti dal Fondo Globale e 24 miliardi da altri canali internazionali di finanziamento. Si garantirebbe così il reperimento di quasi il 90% delle risorse necessarie. Pur mancando 11 miliardi, potrebbe essere attivata un’efficace azione di contrasto alle pandemie. Stima impatto 87 mld dollari investiti nella lotta contro le pandemie nei Paesi a basso e medio reddito 2014-2016 PAESI DONATORI Impegno finanziario a favore del Fondo Globale 2014-2016 U TO R Grazie ai programmi sostenuti dal Fondo: - 6 milioni di persone colpite dall’HIV hanno accesso alla terapia antiretrovirale - 11 milioni di casi di TBC sono stati diagnosticati e curati - sono stati distribuiti 360 milioni di zanzariere impregnate di insetticida per la prevenzione della malaria. A I numeri del Fondo Globale stati impegnati 12 miliardi di dollari, tre in meno di quelli richiesti dal Fondo. Vi è stato però un incremento del 30% rispetto ai 9,2 miliardi di dollari annunciati in occasione della conferenza di rifinanziamento del 2010. E la cifra può aumentare. Gli Stati Uniti, infatti, aggiungeranno al contributo già dichiarato di 4 miliardi 1 dollaro per ogni 2 versati da altri donatori, fino a raggiungere 5 miliardi di dollari per i prossimi tre anni. Alcuni donatori, inoltre, dichiareranno nei prossimi mesi il proprio impegno finanziario. A febbraio, la cifra complessiva impegnata dai donatori è salita a 12.214 miliardi di dollari. Il risultato ottenuto a Washington è positivo, ma non va considerato come un traguardo raggiunto, bensì come il punto di partenza del processo di rifinanziamento del Fondo Globale. È necessario incrementare gli investimenti per trasformare AIDS, TBC e malaria da epidemie a elevata trasmissione in malattie endemiche a bassa diffusione, salvando così milioni di vite e risparmiando miliardi di euro. ([email protected]) • R La centralità del Fondo Globale per contrastare AIDS, TBC e malaria. Negli ultimi dieci anni il Fondo è divenuto il principale finanziatore multilaterale nel campo della salute globale. Il GFATM ha fondamentalmente modificato la capacità della comunità internazionale di combattere le pandemie. Nel 2002 la terapia antiretrovirale per la cura dell’HIV era praticamente inesistente nei Paesi a risorse limitate; mentre oggi è garantita a 9,7 milioni di persone, di cui più della metà grazie ai programmi sostenuti dal Fondo Globale. PE GIRO DI RADAR Fonte: GFATM, Needs Assessment, aprile 2013, http://www.theglobalfund.org/ documents/replenishment/2013/Repl enishment_2013NeedsAssessment_Report_en/. DONATORI SETTORE PRIVATO — & Melinda Gates: —Bill Promissory Note 300.0 Cash 200.0 —Chevron — 5.0 —BHP — Billiton 10.0 —Ecobank — 3.0 —RED40.0 — —Tahir — Foundation39.0 —Takeda — Pharmaceutical 3.0 —Vale — 3.0 ——United Methodist Church 19.9 —Altri — 5.0 —TOTALE — 12,006.9 Fo nte: GFATM , ht tp: //w w w. hereiamcampaign.org/wpc o n t e n t / u p l o a d s / 2 0 13 / 0 9 / Replenishment_2013Pledges_Report_en.pdf. Solidarietà internazionale 03/2014 #glialtrisiamonoi GIRO DI RADAR NUOVI CITTADINI NEI QUARTIERI ROMANI Vademecum per sopravvivere Remo Marcone Presentate a Roma due guide per i migranti. Numeri di telefono, sportelli, indirizzi, ambulatori, per vivere l’emergenza. A PE R CITTADINI DEL MONDO In un’altra zona di Roma, lungo il Raccordo anulare, alla Romanina, da vari anni c’è un’occupazione abitativa di centinaia di migranti provenienti dal Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan) dove opera l’onlus “Cittadini del mondo” con un ambulatorio, ma anche con uno sportello legale. Stefania collabora da qualche tempo con quest’associazione, che a sua volta è collegata alla rete formata da altre associazioni e onlus che si occupano di accoglienza agli stranieri. Per questi l’associazione ha stampato una “Guida sanitaria per pazienti stranieri - occupazioni e residenze virtuali PI CO Solidarietà internazionale 03/2014 I come accedere ai servizi sanitari”, con un contributo della Regione Lazio. Nella presentazione si spiegano le virgolette messe a stranieri spiegando che: “I rifugiati sono stranieri, in altre parole provengono da un altro Paese. Ma sono stranieri molto diversi dagli stranieri presenti nel nostro territorio per motivi di studio, lavoro e vacanza. I rifugiati politici non possono tornare nel loro paese di origine, dalle loro famiglie, né possono spostarsi all’interno dell’Europa. Sono migranti cosiddetti ‘forzati’, obbligati ad abbandonare la propria terra e i propri affetti. In Italia avrebbero diritto a una totale integrazione, al pari di un Cittadino italiano. Nonostante questa loro posizione molto chiara e trasparente risultano trasparenti e invisibili alla maggioranza della popolazione italiana”. La guida è scritta in modo semplice e chiaro e le informazioni in essa contenute sono frutto dell’esperienza di otto anni di lavoro sul campo dell’associazione tra le centinaia di persone incontrate con le proprie situazioni sociali e sanitarie. Per facilitare al massimo la comprensibilità e l’uso della guida e grazie alla collaborazione di alcuni traduttori, della guida esistono anche versioni nelle lingue parlate nel Corno d’Africa: arabo, amarico, tigrino e somalo. L’opuscolo è di facile consultazione e le informazioni sono corredate da foto che riproducono i documenti da richiedere: libretto sanitario, codice fiscale, tessera sanitaria, ricetta per farmaci. Ma si parla anche di medico di base, di pediatra di base, di vaccinazioni, visite mediche specialistiche, ticket, servizi di emergenza, consultorio familiare materno infantile, legge 194, contraccezione. ([email protected]) • U TO R fornire ai suoi studenti stranieri uno strumento più definito e completo d’informazione, una piccola guida, un vademecum con tutte le informazioni necessarie per affrontare e tentare di risolvere i loro problemi. Ha così scritto e stampato da sola (in attesa che qualche istituzione lo faccia) alcune copie del “ Vademecum per cittadini e cittadine migranti”, con info e indirizzi per servizi a Roma e nel Municipio VIII (ex XI) Ostiense, S.Paolo, Garbatella, Tormarancia. All’indice si trovano tutte le voci che possono interessare i migranti, con i relativi indirizzi, orari e numeri di telefono: accoglienza, mense, documenti, centri di orientamento al lavoro, scuola, cultura, salute, sportello legale sociale, numeri di emergenza e cosa portare sempre con sé - documento di riconoscimento, tessera sanitaria se hai il permesso di soggiorno, tessera sanitaria STP Straniero Temporaneamente Presente (se non hai il permesso), una scheda telefonica, un biglietto per i trasporti pubblici, il numero di telefono di un/ una amico/a italiano/a. A S tefania è insegnante elementare e da 14 anni insegna nei CTP, Centri territoriali permanenti, cioè scuole pubbliche di educazione e istruzione per adulti (lavoratori e non dai 16 anni in su). Le lezioni sono di solito di sera e offrono corsi di lingua italiana per diversi livelli: corsi di alfabetizzazione per la prima accoglienza, corsi d’italiano e di educazione civica di livello A1 – A2 – B1. Il corso di livello A2 d’italiano per stranieri dà la possibilità di avere un certificato di conoscenza della lingua italiana valido per il permesso di soggiorno. Negli ultimi anni in modo crescente i corsi sono frequentati soprattutto dai nuovi immigrati, e ora anche dai minori non accompagnati. Stefania racconta che il suo lavoro d’insegnamento è stato trasformato dall’incontro con questi nuovi studenti, anche perché le richieste di partecipazione ai suoi corsi sono continue, legate alle nuove ondate di arrivi. Molti iscritti conoscono solo poche parole della lingua italiana, ma soprattutto hanno bisogno d’informazioni urgenti legate alla loro precaria situazione di vita: documenti, salute, abitazione, lavoro, ecc. Così Stefania si è data da fare e si è messa in rete con varie realtà che si occupano d’immigrati a diversi livelli: assistenti sociali, mediatori culturali, centri di accoglienza, medici, centri di orientamento al lavoro, ecc. Questo suo nuovo modo di essere maestra le ha consentito di stabilire relazioni più profonde con i suoi alunni, che hanno trovato in lei un sicuro punto di riferimento; ma questo ha significato per lei anche un aumento d’impegni e di fatica aldilà dell’orario di lavoro. La conoscenza e l’incontro con l’esperienza di Selam Palace e dell’associazione Cittadini del mondo le hanno dato l’input per realizzare l’idea di 27 COORDINAMENTO DI INIZIATIVE POPOLARI DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE Costretti a rubare per mangiare A Milano un pensionato ottantenne è uscito dal supermercato con un sacchetto della spesa, eludendo il passaggio alle casse. Lo sfortunato anziano, però, è stato immediatamente raggiunto e bloccato dal direttore del supermercato, il quale ha subito chiamato le forze dell’ordine. All’interno del sacchetto gli agenti vi hanno trovato unicamente generi alimentari. Di fronte all’affermazione del pover’uomo: “Avevo bisogno di mangiare e non avevo i soldi per comprare del cibo”, il direttore, impietosito ha umanamente e comprensibilmente deciso di non procedere alla denuncia. È solo un esempio, uno dei tanti casi reali. Negli ultimi decenni siamo stati sopraffatti da una mercificazione della vita, che ci ha portati a un modello di sviluppo in cui è necessario avere sempre di più per far fronte alle necessità, e costi sempre maggiori per vivere. E così ci troviamo di fronte a casi di miseria e povertà in cui la dignità dell’essere umano lascia il posto al bisogno e alla necessità di sopravvivenza. A Casoria, hinterland partenopeo, lo scorso 25 marzo un uomo con pistola in pugno ha rubato quattro pizze, due margherite, una capricciosa e una quattro formaggi. Bottino: 19 euro. È accaduto a un professionista: all’uscita da una pizzeria gli si è avvicinato il ladro, volto scoperto e pistola, ha intimato di dargli le pizze. «Stasera mangeranno i miei figli», ha detto, poi dandosi alla fuga. O ancora in Calabria, dove una ragazza di 18 anni di Catanzaro è stata sorpresa mentre rubava, in un negozio di abbigliamento cinese, cinque maglioni per i fratelli che sentivano freddo. La ragazza ha raccontato ai carabinieri che la sua famiglia ha gravi problemi economici e non avevano soldi per i maglioni. Il pm di turno ha deciso di non farla arrestare limitando il procedimento a una denuncia per furto. Dalla Calabria, al nord del paese: Gallarate, nel milanese. Altra regione, altra triste vicenda di miseria. Location: un supermercato dove una madre straniera, disoccupata e senza soldi, ha tentato di rubare alcuni generi alimentari per un valore di 60 euro. La donna, dopo il colpo, è corsa all’esterno per non farsi prendere, ma uno dei vigilantes è riuscito a strapparle di mano la borsetta con la refurtiva. I carabinieri sono arrivati sul posto per arrestarla. Il Pm ha detto no: non si porta in cella una madre che ruba per fame. E si ruba anche per soli quattro euro! Angela è una donna 51enne disoccupata, l’azienda per cui lavorava ha dovuto tagliare il personale, e Angela si è trovata senza lavoro e soldi. Angela per sfamare i suoi due bambini non ha resistito, una volta entrata all’interno del supermercato, ha fatto il giro dei reparti, poi giunta a quello dei “freschi”, s’è ritrovata di fronte al formaggio. Non ha resistito e ne ha preso un pezzo. Ma Angela è stata notata. La donna è uscita dal market, nel frattempo sono stati avvertiti i carabinieri, che l’hanno fermata, recuperando anche il formaggio: valore € 4,78 centesimi, poi restituito al titolare del market. Portata alla Stazione dei carabinieri, Angela ha confessato le sue colpe: “È la prima volta, non sono una ladra ma sono senza lavoro e senza soldi, non abbiamo nemmeno un pezzo di pane da mettere sotto ai denti, oggi mi trovo qui a rubare un pezzo di formaggio per mangiare, mi vergogno molto”. Dovremmo tutti vergognarci per “l’inciviltà” che abbiamo costruito in questi decenni, dove per vivere ci troviamo sempre più spesso di fronte a scelte drammatiche: rubare, migrare, suicidarsi… La vita è il dono più prezioso per ogni essere umano. Di qualunque razza, religione, credo, nazionalità. Qualsiasi politica che non sia in grado di garantire i diritti fondamentali per tutti gli esseri umani: lavoro, salute, casa, educazione… in qualunque Paese del mondo, non è Politica, perché la vera politica deve lavorare per garantire i diritti e la convivenza per tutti e fra tutti gli esseri umani. Fintantoché ogni persona non avrà le risposte e le garanzie adeguate alla sua sopravvivenza e per il suo benessere, nessuno potrà fermarla e obbligarla a rimanere a casa sua. Continueremo a vivere le tragedie del mare, alimentare il grande “cimitero blu”, e le nostre frontiere saranno sempre più violate e calpestate da persone spinte ogni secondo a partire alla ricerca della sopravvivenza, dal modello di sviluppo che noi stessi occidentali abbiamo costruito. Per questo abbiamo bisogno di “Cooperazione”. Di cooperazione vera, non solo di “progetti”. Di cooperazione che sappia leggere le storie delle nostre miserie con quelle dei migranti e degli emarginati di tutto il mondo, per collocarle in un mondo che non ha abbattuto le barriere geografiche, ma ha urgente bisogno di una nuova politica al servizio di ogni essere umano e di tutti gli esseri umani, non della finanza, dell’economia, degli interessi di pochi o di parte. Il nostro domani dipende da tutti noi. Dalla nostra volontà di vivere insieme. Il domani, siete voi giovani di tutto il mondo. ([email protected]) • CO PI A PE R A U TO R I Guido Barbera Cooperare: unire le storie delle nostre miserie con quelle dei migranti e degli emarginati di tutto il mondo. 28 Solidarietà internazionale 03/2014 BANNING POVERTY 2018 3/5 A U TO R I STOP TTIP! R PE S CO PI iamo al terzo dossier dell’anno dedicato all’iniziativa “Dichiariamo illegale la povertà” (DIP) – Banning Poverty 2018. Lo dedichiamo – nello stile dell’iniziativa – a una delle cause dell’impoverimento, che intendiamo denunciare con forza. Si tratta del TTIP, il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un trattato di libero scambio e investimento, che l’Unione europea e gli Usa stanno in questo periodo negoziando in segreto. Secondo noi è qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale. È l’ennesimo attacco frontale che vede lobby economiche, imprese multinazionali, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza dopo anni di crisi economica e finanziaria, con le politiche di austerity. Un trattato che antepone la logica del profitto illimitato alla tutela dei diritti inalienabili. Sono in pericolo la sicurezza alimentare, l’acqua e la sanità pubblica, l’istruzione, i beni comuni, i diritti del lavoro, la democrazia… A a cura di Nicola Perrone Solidarietà internazionale 03/2014 Ci raccontano in modo approfondito il TTIP: John Hilary, Monica Di Sisto, Marco Bersani e l’on. Filippo Gallinella. Poi Rosario Lembo approfondisce il rapporto tra la cooperazione italiana – che sta aprendo alle imprese private – e il diritto all’acqua in pericolo, anche grazie al TTIP. E, come sempre, una storia positiva di uscita dalla povertà, da Emmaus. Ribellarsi al TTIP vuol dire assumersi la responsabilità di determinare un cambiamento che sia per tutti, e lottare contro la povertà. Anche per questo aderiamo alla Campagna Stop TTIP http://stop-ttip-italia.net/ ([email protected]) • 29 BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP! LA MINACCIA AI DIRITTI: DAL CIBO AL LAVORO Un elemento di preoccupazione è la sicurezza alimentare. L’eliminazione delle normative europee sulla sicurezza alimentare, comprese le restrizioni sugli organismi geneticamente modificati (OGM), sui pesticidi e sulla carne bovina trattata con ormoni e promotori della crescita, è uno degli obiettivi principali che i gruppi aziendali delle multinazionali si sono prefissati nelle trattative TTIP. Infatti, i produttori di generi alimentari statunitensi non devono attenersi agli stessi standard di salvaguardia ambientale, o di salute del bestiame, delle controparti europee. E aspirano da lungo tempo all’eliminazione dei controlli dell’Ue volti a limitare la vendita dei loro prodotti nei mercati europei. Fin dall’inizio, il governo statunitense ha dichiarato esplicitamente l’intenzione di avvalersi delle trattative TTIP per attaccare le normative dell’Ue che bloccano le A PI CO 30 I esportazioni di prodotti alimentari americani, in modo particolare le normative sulla sicurezza alimentare per la cui difesa i cittadini europei si sono battuti per decenni. Al centro della disputa c’è il ricorso da parte dell’Ue al “principio di precauzione”, che stabilisce gli standard di sicurezza alimentare. Secondo questo principio, è possibile ritirare un prodotto dal mercato se sussiste il rischio che possa costituire un pericolo per la salute delle persone, anche nel caso in cui non ci siano dati scientifici sufficienti sui quali basare una valutazione esauriente dello stesso rischio. Il governo americano non utilizza il principio di precauzione, e gli interessi degli imprenditori hanno prevalso nella definizione degli standard di sicurezza alimentare che sono quindi molto più bassi di quelli europei. Per esempio, circa il 70% di tutti gli alimenti trasformati venduti nei supermercati Usa, contengono attualmente ingredienti geneticamente modificati (GM). Per contro, a causa di una notevole resistenza popolare, praticamente nessun prodotto alimentare GM è venduto nei supermercati europei, e qualora un prodotto contenga elementi GM deve dichiararlo sull’etichetta. Per quanto riguarda la perdita di posti di lavoro, derivante di solito da accordi di libero scambio, la Commissione europea ha confermato la possibilità che il TTIP comporti per i lavoratori europei un ricollocamento “dilazionato nel tempo ed effettivo”, poiché le aziende saranno incoraggiate a procurarsi merci e servizi dagli Usa dove gli standard di lavoro sono più bassi e i diritti sindacali inesistenti. Si nutrono inoltre timori che il TTIP possa portare a un peggioramento delle condizioni lavorative, come ad esempio i contratti collettivi, considerati come “barriere” al libero scambio. Il TTIP non mira soltanto ad allentare i divieti normativi in materia di ambiente e sicurezza alimentare, U TO R nale a uno status equivalente a quelle di uno Stato nazionale. Minaccia così di indebolire i principi più elementari della democrazia, tanto nell’Unione europea che negli Stati Uniti. Il TTIP è visto, a giusto avviso, non come un negoziato tra due concorrenti commerciali, ma come un tentativo da parte di compagnie transnazionali di aprire e deregolamentare i mercati su ambedue le sponde dell’Atlantico. Tra i cittadini dell’Unione Europea e degli Usa sorgono, quindi, preoccupazioni sempre maggiori di fronte alle minacce costituite dal TTIP, mentre raggruppamenti della società civile stanno riunendo attualmente le proprie forze, assieme ad accademici, parlamentari e altri, per evitare che funzionari di governo pro-business decretino la fine degli standard sociali e ambientali fondamentali. Tutti incoraggiati a partecipare a questa resistenza, prendendo contatto con le campagne locali e avviandone anche di proprie. A L’ intenzione di dare il via ai negoziati TTIP era stata annunciata inizialmente dal presidente Barack Obama nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel febbraio 2013. Il primo ciclo di negoziati ha avuto luogo tra i funzionari della Commissione europea e degli Usa nel luglio dello stesso anno. L’obiettivo è di superare il più rapidamente possibile la fase delle discussioni, senza far trapelare dettagli in pubblico. Si spera, infatti, che le trattative possano essere portate a termine prima che i cittadini europei e americani scoprano le vere dimensioni delle minacce costituite dal TTIP. Lo scopo principale del TTIP è, come confermano i funzionari delle due parti, l’eliminazione di “barriere normative” che limitano i profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali, a est e a ovest dell’Atlantico. Tuttavia, queste barriere, rappresentano in realtà alcuni dei nostri standard sociali maggiormente apprezzati: le normative ambientali, i diritti dei lavoratori, le norme per la sicurezza alimentare (comprese le restrizioni sugli OGM), i regolamenti sull’uso di sostanze chimiche tossiche, le leggi sulla privacy digitale e anche le nuove norme a tutela delle operazioni bancarie, introdotte per prevenire una crisi finanziaria come quella del 2008. La posta in gioco, insomma, non potrebbe essere più alta. In aggiunta al programma di deregolamentazione, il TTIP mira a creare nuovi mercati con l’apertura dei servizi pubblici e dei contratti per appalti governativi alla concorrenza delle imprese transnazionali, minacciando così di provocare un’altra ondata di privatizzazioni in settori chiavi come la sanità, l’istruzione e l’alimentazione. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione è che il TTIP stia cercando di concedere agli investitori stranieri un nuovo diritto di citare in giudizio i governi sovrani, portandoli di fronte a tribunali arbitrali creati ad hoc, qualora le loro società subissero una perdita di profitti derivante da decisioni di politica pubblica. Questo meccanismo di “risoluzione delle controversie tra investitori e Stato” innalza, di fatto, il capitale transnazio- R John Hilary * Il TTIP è l’ennesimo attacco frontale che vede lobby economiche, imprese multinazionali, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza. PE STOP TTIP! Solidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP! BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP, MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO I NEGOZIATI A BRUXELLES. FONTE: HTTP://WWW.CNAPD.BE/STOP-TTIP-TAFTA-ACTION-A-BRUXELLES795.HTML I DODICI PRINCIPI DELL’ILLEGALITÀ DELLA POVERTÀ 1 Nessuno nasce povero, né sceglie di essere povero. 2 Poveri si diventa. La povertà è una costruzione sociale. 3 Non è solo – né principalmente – la società povera che “produce” povertà. 4 L’esclusione produce l’impoverimento. 5 In quanto strutturale, l’impoverimento è collettivo. 6 L’impoverimento è figlio di una società che non crede nei diritti alla vita e alla cittadinanza per tutti, né nella responsabilità politica collettiva per garantire tali diritti a tutti gli abitanti della Terra. 7 I processi d’impoverimento avvengono in società ingiuste. CO Solidarietà internazionale 03/2014 I 9 Il “pianeta degli impoveriti“ è diventato sempre più popoloso a seguito dell’erosione e della mercificazione dei beni comuni, perpetrata a partire dagli anni ’70. A PE R A U TO R della Comunità Europea e degli Usa, attraverso il tentativo di ampliare le vie d’accesso ai mercati e di programmare l’eliminazione di norme che limitano la realizzazione di profitti. Le osservazioni di alcuni commentatori, secondo le quali l’accordo potrebbe essere trasformato in una forza positiva, capace di elevare gli standard da una parte e dall’altra dell’Atlantico, dimostrano di non essere in grado di capirne l’essenza: ossia la sua origine, il suo contenuto e gli obiettivi di deregolamentazione. Per questa ragione l’appello della società civile, come reazione ai negoziati, è di bloccare il TTIP sostituendolo con un mandato commerciale alternativo che ponga i cittadini e il pianeta in primo piano rispetto al profitto aziendale. Tutte le forze progressiste d’Europa, degli Usa e di qualsiasi altra parte del mondo sono chiamate a unirsi a quest’appello per il cambiamento. • (estratto dallo studio di John Hilary per conto della Rosa Luxemburg Stiftung, Bruxelles, http://rosalux-europa.info/ userfiles/file/HILARY_IT_FINAL_WEB. pdf) * direttore War on Want e docente universitario a Nottingham PI o a minacciare i posti di lavoro, ma mira a garantire la liberalizzazione del mercato dei servizi, estendendo anche alle aziende private la possibilità di erogare servizi pubblici in molti settori importanti come la sanità, l’istruzione e l’acqua. In questo modo il referendum sull’acqua pubblica, vinto in Italia più di due anni fa, sarebbe invalidato e inesistente. Questo perché i servizi pubblici saranno consegnati a società con scopo di lucro. Questo è uno degli effetti più insidiosi degli accordi di libero scambio come il TTIP. Un’altra grande minaccia costituita dal TTIP sta nel fatto che esso cerchi di garantire alle società transnazionali il potere di citare in giudizio direttamente i singoli paesi, per perdite subite nelle loro giurisdizioni, in conseguenza a decisioni di politica pubblica. In pratica in questo modo sarebbe concesso alle imprese americane ed europee il potere di impugnare le decisioni democratiche prese da governi sovrani, e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni abbiano effetti negativi sui propri profitti. In definitiva il TTIP è un accordo concepito per portare benefici alle società transazionali e multinazionali 8 La lotta contro la povertà (l’impoverimento) è anzitutto la lotta contro la ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice (l’arricchimento). 10 Le politiche di riduzione e di eliminazione della povertà perseguite negli ultimi 40 anni sono fallite perché hanno combattuto i sintomi (misure curative) e non le cause (misure risolutive). 11 La povertà è oggi una delle forme più avanzate di schiavitù, perché basata su un “furto di umanità e di futuro”. 12 Per liberare la società dall’impoverimento bisogna mettere “fuorilegge” le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali collettive che generano ed alimentano i processi d’impoverimento. 31 BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP! Perdere o lasciare Oltre 60 - tra i movimenti, le piattaforme, i comitati, i sindacati, le ong e le organizzazioni sociali italiane Monica Di Sisto* - hanno deciso di mobilitarsi e di l presidente Obama l’ha definito “il premio per un’intera lanciare la campagna Stop TTIP Italia. generazione”. Un’occasione, per di più, da prendere o la- CO A R PI Il TTIP è qualcosa da perdere e lasciare: un attacco frontale che vede lobby economiche, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti. 32 I moda, la meccanica per trasporti, un po’ meno da cibi e bevande e da uno scarso +2% per prodotti petroliferi, prodotti per costruzioni, beni di consumo e agricoltura entro il 2027. L’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che le imprese italiane che esportano sono oltre 210mila, ma è la top ten che si porta a casa il 72% delle esportazioni nazionali. Secondo l’ICE, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell’Italia sono cresciute in volume del 2,3%, leggermente al di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul Pil ha sfiorato il 30% in virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto interno. L’Italia – spiega sempre l’ICE – è riuscita a rosicchiare spazi di mercato internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna né nuova occupazione. Anzi: l’ha fatto spostando all’estero processi o attività dove costavano meno il lavoro o le tecnologie. Per un guadagno esclusivamente nel profitto di pochi, subiremmo però ingenti danni. Sempre Prometeia ci dice, infatti, che nel caso più ottimistico soccomberebbero comunque il legname, la carta, poi la chimica farmaceutica e di consumo, la più penalizzata con 30 milioni di euro di perdite previste. Altri 10 milioni si perderebbero tra prodotti intermedi chimici, altri intermedi e agricoltura, e molte piccole e medie aziende potrebbero non sopravvivere allo choc. Oltre 60 tra i movimenti, le piattaforme, i comitati, i sindacati, le ong e le organizzazioni sociali italiane hanno deciso di mobilitarsi e di lanciare la campagna Stop TTIP Italia (www. stop-ttip-italia.net) per opporsi a un disegno politico che ha nella mercificazione dei diritti e nella tutela dei mercati il suo obiettivo principale. “Ci appelliamo a tutte le forze sociali, sindacali e politiche del nostro Paese – si legge nella piattaforma dell’iniziativa - perché convergano su una mobilitazione comune per fermare il negoziato TTIP, esattamente come è successo alla fine degli anni ’90 con l’Accordo Multilaterale sugli Investi- U TO R Una condizione che preoccupa tutti in Europa, fuori e dentro le istituzioni. Il più grande sindacato europeo, quello metalmeccanico tedesco, IG Metal, con i suoi due milioni e mezzo quasi d’iscritti, ha chiesto al suo Governo di fermare il negoziato che rischia di colpire duramente l’occupazione in Europa, senza vantaggio alcuno per i cittadini. In Inghilterra i laburisti e in Francia i Verdi e le parti più a sinistra dei socialisti fanno sentire il proprio malcontento per l’esclusione dei Governi nazionali, legata all’assoluta segretezza del negoziato, da decisioni che potrebbero portare, tra l’altro, all’azzeramento graduale degli standard di sicurezza e di qualità di beni comuni e diritti come l’acqua, il cibo e i contratti di lavoro, di servizi pubblici come sanità e istruzione e al loro completo affidamento alla competizione di mercato. Anche l’Italia, stando ai dati, non avrebbe granché da guadagnarci, almeno per la maggioranza dei suoi cittadini. Il ministero per lo Sviluppo economico, infatti, ha commissionato a Prometeia spa una prima valutazione d’impatto mirata all’Italia, che ha detto alcune cose ben diverse. I primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di tre anni dall’entrata in vigore dell’accordo, nella misura di un modesto 0,5% di Pil in uno scenario ottimistico entro 10 anni. L’accordo rischia di favorire soltanto un numero ristretto di soggetti, ovvero quelle imprese italiane che esportano, molto spesso esternalizzando parti dell’impresa fuori dal territorio italiano. Parliamo, nello scenario più favorevole, di 5,6 miliardi di euro e 30mila posti di lavoro grazie a un +5% dell’export per il sistema A sciare, senza possibilità di grandi mediazioni, e quindi imperdibile considerate le nostre condizioni economiche e sociali attuali. Il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti d’America, attualmente oggetto di negoziati volutamente segreti, è, però, qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale. È qualcosa da perdere e lasciare: un attacco frontale che vede lobby economiche, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza dopo anni di crisi economica e finanziaria, in un più ampio tentativo di disarticolare le conquiste di anni di lotte sociali con le politiche di austerity e di redistribuzione del reddito verso l’alto. Anche le valutazioni d’impatto condotte dalla stessa Commissione dimostrano che al massimo il TTIP porterebbe a una crescita dello 0,05% del PIL europeo, a fronte dell’ennesima ondata di liberalizzazioni ma, quello che è più grave, porterebbe a un azzeramento progressivo degli standard di qualità e di sicurezza dei nostri prodotti agricoli, alimentari, industriali, chimici, della sicurezza sul lavoro, e quindi delle regole e garanzie che democraticamente nazioni e territori hanno conquistato, che sono liquidati in queste trattative come semplici ostacoli al commercio di cui liberarsi. Per negoziare indisturbati e senza consentire repliche ai cittadini. Per di più, i testi legali in discussione sono sottoposti al segreto commerciale, e dunque non disponibili alla lettura nemmeno ai Parlamentari europei regolarmente eletti. PE I Solidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP! BANNING POVERTY 2018 menti, nel decennio scorso con la Direttiva Bolkestein, o più recentemente con il negoziato Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), che con la scusa della lotta alla ‘’pirateria’’ informatica e della salvaguardia del diritto d’autore avrebbe attentato al diritto alla privacy e al libero accesso alla rete dei cittadini”. La Campagna sta promuovendo da mesi appuntamenti di confronto, formazione e mobilitazione con il fine di informare circa gli effetti che avrebbe l’approvazione del trattato, e fare pressione affinché tale rischio sia scongiurato. Dobbiamo fare il meglio possibile e il più presto per lasciarci alle spalle questo ennesimo attacco ai nostri territori e diritti. Tutti gli eventi della campagna e gli aggiornamenti su www.stop-ttipitalia.net e sull’Osservatorio sul commercio internazionale a cura di Fairwacth www.tradegameblog.com • * Fairwatch L’attacco ai beni comuni e ai servizi pubblici ti all’egemonia internazionale, con il vecchio partner europeo intrappolato nella spirale delle politiche monetariste basate sull’austerità, lo stanco impero statunitense affila le unghie e adotta una nuova ambiziosa strategia per la riconquista di una nuova egemonia globale diffusa. Nasce da questa esigenza degli Usa l’enorme programma di smantellamento delle residue barriere -commerciali, giuridiche, politiche- al libero commercio e alla libertà d’investimento messo in campo in direzione dell’Europa, attraverso il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). L’obiettivo è la creazione della più grande area di libero scambio del pianeta, che comprenderà economie per circa il 60% del prodotto interno lordo mondiale, interamente governata dalle più potenti multinazionali economiche e finanziarie, agli interessi delle quali andranno sacrificati tutti i diritti sociali e del lavoro, i beni comuni e la stessa democrazia. Se per gli Usa il TTIP rappresenta la necessità di “legare” alla propria economia il massimo numero di aree geopolitiche e commerciali possibili, per l’Unione Europea si tratta della più evidente e definitiva dichiarazione di resa di un continente che, già da tempo, attraverso la scelta della via L’Europa rinuncia al proprio protagonismo sociale nel settore dei beni comuni e dei servizi pubblici. rigorista e monetarista in economia, ha deciso di rinunciare alla propria originalità - quella di uno stato sociale, frutto del compromesso fra capitale e lavoro del secondo dopoguerra - per consegnarsi alle leggi dell’impresa. È, infatti, nel settore dei beni comuni e dei servizi pubblici che, in maniera del tutto evidente, l’Europa rinuncia a ogni tentativo di esercitare un proprio protagonismo sociale, per giocare al totale ribasso la partita della competizione internazionale. UNA COMPLETA LIBERALIZZAZIONE Nei negoziati in corso fra Usa e Ue, per quanto riguarda il settore dei servizi pubblici, sono esclusi dalla trattativa Marco Bersani* CO PI A PE R A U TO R I L a crisi sovverte e modifica il quadro geopolitico internazionale, mutando i rapporti di forza e rimettendo in discussione egemonie storiche, sinora date per indiscutibili. Da una parte le nuove potenze emergenti del Sud del mondo - come il Brasile, l’India, il Sudafrica e il Messico - continuano a crescere e sviluppare il proprio mercato interno. Rivelandosi difficilmente controllabili attraverso gli strumenti vecchi dei Forum internazionali, come il G20, e, in alcuni casi, rafforzando la costruzione di nuove aree commerciali regionali sottratte all’influenza statunitense, come l’area Mercosur in America Latina. Dall’altra, sul versante pacifico, l’asse economico e geopolitico tra il gigante cinese e la Russia si va prepotentemente affermando come epicentro degli equilibri mediorientali e asiatici, in una graduale scalata al ruolo di leadership globale. USA: EGEMONIA GLOBALE Stretto nella morsa dei nuovi candidaSolidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP, MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO I NEGOZIATI A BRUXELLES. FONTE: HTTP://WWW.CNAPD.BE/STOP-TTIP-TAFTA-ACTION-A-BRUXELLES795.HTML 33 BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP! rappresenta anche una grande opportunità: ottenere il ritiro “senza se e senza ma” di quello che rappresenta un disegno esaustivo e totalizzante di un’Europa al servizio dei mercati, metterebbe automaticamente in campo l’opzione di un’altra Europa possibile, quella dei popoli, dei beni comuni, dei diritti e della democrazia. Fermare il TTIP significa di conseguenza riaffermare i diritti sociali, riconoscere i beni comuni come diritti umani universali e difendere i servizi pubblici che garantiscono la dignità delle persone e costituiscono il tessuto che permea la vita sociale delle stesse. ([email protected]) • * Attac Italia Un trattato segreto Filippo Gallinella* C PE R A U TO R I he conseguenze avrà per l’Europa, e quindi anche per l’Italia, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (meglio noto col brutto acronimo di TTIP), ossia l’accordo Usa-Ue per l’integrale liberalizzazione dei rispettivi mercati? Non possiamo ancora stabilirlo con certezza matematica, poiché i termini del Trattato sono ancora segreti. Sappiamo però che riguarderà i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi, il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, la sicurezza ambientale e alimentare, i farmaci, i diritti di proprietà intellettuale. In pratica tutti i settori della nostra società, tutti gli aspetti della nostra esistenza. E allora è facile pensare che qualcosa, per tutti, cambierà. Cambierà nella direzione di una globalizzazione ancor più spinta di quella attuale. Una globalizzazione senza regole che, a ben guardare, avrebbe come principale finalità quella di portare a compimento l’Executive Order di Obama, n°13534 dell’11 marzo 2010, con cui gli Usa si sono impegnati a migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla manifattura, l’agricoltura e i servizi. E quale obiettivo migliore del mercato europeo, costituito da circa 500 milioni di consumatori (perché per le multinazionali non siamo cittadini ma consumatori)? Il libero accesso al mercato non può voler dire mettere in discussione le tutele sociali che l’Europa ha conquistato negli anni, e che l’America neanche conosce. Pensare che un’azienda possa citare in giudizio uno Stato, e adire un tribunale terzo CO PI A solo quelli per cui non esista una possibilità di gestione privatistica. Siamo a una riedizione dell’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (Agcs), portato avanti per anni dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, con l’obiettivo della completa liberalizzazione di più di 160 settori legati ai servizi e con l’aggravante, prevista dal presente Trattato, della possibilità per le multinazionali di chiamare direttamente gli Stati e gli enti pubblici a giudizio presso un Tribunale speciale per violazione dello stesso, con possibilità di pesantissime sanzioni a carico dei cittadini. Per fare un esempio, se il Parlamento italiano approvasse la legge d’iniziativa popolare sull’acqua per dare finalmente realizzazione all’esito referendario del giugno 2011, a Trattato vigente potrebbe essere chiamato in causa da qualsiasi multinazionale fosse interessata alla gestione del servizio idrico, per ostacolo alla propria “vitalità commerciale” e alla conseguente possibilità di poter ricavare, in quel settore, profitti attuali o anche solo potenziali. Lo stesso varrebbe per ogni altro servizio pubblico, dalla scuola alla salute. Con l’approvazione del TTIP scomparirebbe lo stesso concetto di servizio pubblico universale e ogni servizio diventerebbe frutto di uno scambio privatistico fra l’erogatore e il “cliente”. Non ci sarebbe più alcun diritto universale ed esigibile all’acqua, alla scuola e alla salute, ma solo la possibilità basata sul censo di poterlo ottenere. Questo fatto rende il TTIP il primo tavolo intorno al quale si profila la costruzione a tavolino di un’area planetaria di libero scambio messa in campo da un’élite transnazionale che, superando i confini tradizionali fra Stato e privati, tra governi e imprese, si sottrae a ogni possibile controllo democratico. Si tratta, in tutta evidenza, del tentativo di realizzare l’utopia delle multinazionali, in altre parole la messa al loro completo servizio dell’intero pianeta; mentre, per le elite dell’Ue, rappresenterebbe anche la possibilità di superare in avanti, attraverso un “meta-trattato” strutturale, l’attuale difficoltà nell’imporre, Stato per Stato e governo per governo, le politiche di austerità e di smantellamento dello stato sociale, artificialmente indotte dalla crisi del debito pubblico. L’opposizione radicale al TTIP, oltre che un’inderogabile necessità per le vertenze e le conflittualità promosse da qualsiasi movimento sociale attivo, 34 TTIP, FLASHMOB A BRUXELLES IL 24 MAGGIO 2014. FOTO: PAUL REINHOLZ/CAMPACT HTTPS://WWW.FLICKR.COM/PHOTOS/CAMPACT/14260147355/ Solidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP! BANNING POVERTY 2018 il Consiglio, che già si è espresso e quindi sarà favorevole, a decidere. La stessa Commissione europea ha piu volte fatto capire che i termini del Trattato sono riservati. Se non avessimo portato all’attenzione del Parlamento italiano la questione del TTIP, ci saremmo probabilmente accorti a cose fatte. Senza più alcun – seppur piccolo – margine d’intervento. Il Movimento Cinque Stelle, con interrogazioni, interpellanze e in ultimo un question time al Ministro per lo Sviluppo Economico, ha chiesto prima al Governo Letta, e poi al Governo Renzi, che fosse coinvolto il Parlamento anche attraverso le Commissioni competenti, ma la risposta ricevuta si può sintetizzare così: silenzio e indifferenza. Come se le conseguenze del TTIP non riguardassero l’Italia e gli italiani. Anzi, in diretta Tv, il ministro Guidi (MISE) ha risposto: “L’accordo è segreto, ma possiamo stare tranquilli”. Sì, proprio tranquilli! IL DOMINIO DELLE MULTINAZIONALI Quest’accordo, come tutti i processi di globalizzazione cui abbiamo assistito in questi anni, accentuerà i processi di libero scambio, la concentrazione della potenza produttiva e la tecnologica nelle mani di pochi, calcando ancor più la differenza sia tra nazioni dentro l’Unione Europea, In diretta Tv il ministro Guidi (MISE) ha risposto: “L’accordo è segreto, ma possiamo stare tranquilli”. sia tra i cittadini. È chiaro che non ci possiamo fidare, perché una volta ratificato quest’accordo cederemo, di fatto, alle multinazionali la poca sovranità che ci è rimasta. Ma la domanda che ci dobbiamo porre è: per volontà di chi si sta chiudendo quest’accordo? Chi lo vuole davvero? Non certo i cittadini, che non si sono espressi in merito. E per questo, allora, dobbiamo opporci non solo a questo specifico Trattato e alle sue conseguenze, ma soprattutto a questo modo oscuro di fare politica: le decisioni importanti sono prese da pochi e per garantire gli interessi di pochi, ma a pagare gli errori saranno tanti, saranno tutti. I cittadini ignari, inconsapevoli e impotenti. Ma non ci arrendiamo e non ci fermeremo, e a breve chiederemo conto, attraverso i nostri europarlamentari, CO PI A PE R A U TO R I internazionale, significa proteggere l’investitore: ma chi protegge poi le comunità locali? Non si può risolvere una disputa senza che ciascuna parte possa presentare le proprie osservazioni e senza la possibilità di ricorrere a un organo di appello. Il TTIP è un’operazione gigantesca che va molto al di là della creazione di un’area di libero scambio, e il suo impatto è destinato a cambiare per sempre il commercio internazionale. Non siamo certo, per definizione, contro la liberalizzazione degli investimenti: sarebbe come dire non cogliere le opportunità. Ma il fatto è che, in questo caso, non possiamo dire di giocare tutti con le stesse regole, e quindi occorre dire no. Non dimentichiamo, poi, che gli americani vengono da anni di deregulation: come si concilierà questa cosa, che è anche una “forma mentis” oltre che un dato di fatto, con un mercato europeo iper-regolato? I Governi non sembrano essersi posti questa domanda. Gli incontri tra vertici Usa e Ue sono già stati quattro. Ma cosa si sia stabilito, almeno per noi comuni mortali, non è dato sapere. In Europa, la strada è già stata scelta - tenendo all’oscuro i cittadini, altro che Europa dei popoli! Il Consiglio europeo ha già approvato gli orientamenti utilizzati dalla Commissione per trattare in nome dell’Ue. Al termine del negoziato, pertanto, saranno il Parlamento Europeo e Solidarietà internazionale 03/2014 35 BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP! A PI CO 36 I di poveri esclusi dal mercato? Questo era il modello di cooperazione assistenziale, che era proposto e praticato 30 anni fa in Italia. Per contrastare quest’approccio, per combattere le cause strutturali e promuovere lo sviluppo integrale delle persone, fu approvata una legge di cooperazione, la 49/1987, che riconosceva il ruolo della società civile, dei volontari e dell’educazione alla cittadinanza, come attività di cooperazione internazionale. Ed è ancora utile, per la pacifica convivenza dei popoli, una cooperazione che garantisca l’accesso ad alcuni bisogni minimi, attraverso interventi umanitari temporanei, se poi le persone e le comunità saranno costrette a far ricorso al mercato e ai privati per aver accesso a pagamento ai diritti di base? Non è forse necessario inventare una nuova mission della cooperazione internazionale, finalizzata a contrastare lo smantellamento dei modelli di welfare, la difesa dei diritti umani universali per tutti al Nord come al Sud, capace di sostenere le comunità locali nel loro impegno ecologico a difesa delle risorse e i diritti del Pianeta, basata su principi di giustizia sociale, economia ambientale ed ecologica? U TO R D opo il fallimento degli obiettivi del Millennio, e mentre è in corso il processo che porterà nell’autunno del prossimo anno alla definizione dell’Agenda dello sviluppo sostenibile post-2015, la società civile e il mondo degli operatori dovrebbero interrogarsi su cosa significa oggi “cooperare per uno sviluppo sostenibile”, e soprattutto con quali “partner” l’associazionismo e le ong devono associarsi in questa loro mission. Per operare insieme, cioè per fare della cooperazione, è necessario prima definire gli obiettivi comuni, e poi identificare i partner da associare. Ci sono due concomitanze. In Italia è stato avviato l’iter legislativo che porterà, dopo circa 27 anni dall’entrata in vigore della legge n. 49, il Paese a dotarsi di una nuova legge di cooperazione. Legge che si caratterizza per la volontà di riconoscere le imprese private e i privati come attori della cooperazione, associandoli alle istituzioni decentrate dello Stato e soprattutto alle stesse ong. La secon- A Rosario Lembo* L’OMOLOGAZIONE AI PRIVATI Sono due sfide. Si assiste, con stupore, alla “rassegnazione” da parte del mondo delle ong all’omologazione ai “privati” e all’inerzia rispetto a impegni a difesa del diritto all’acqua. Com’è possibile, per le ong, accettare passivamente che la cooperazione diventi uno strumento al servizio del libero mercato e dei portatori d’interesse? Anziché essere uno strumento di solidarietà fra cittadini e comunità, a difesa dei diritti fondamentali della persona umana? Perché le ong non s’interrogano su quale debba essere l’identità della cooperazione internazionale, che i governi e la stessa Commissione europea dovrebbero mettere in atto nella nuova Agenda dello sviluppo sostenibile post-2015, e quindi avviare questo confronto con la società civile a partire dal Semestre Ue della Presidenza italiana? È ancora necessaria una cooperazione finalizzata alla raccolta fondi, fatta spesso da ong internazionali, che mostrano bambini e donne affamate, che sono parte di quei due miliardi R O la borsa o la vita! da concomitanza è la possibilità, a distanza di quattro anni dal riconoscimento da parte dell’Onu del diritto umano all’acqua e ai servizi igienico sanitari, che questo riconoscimento trovi formalizzazione fra gli obiettivi del prossimo millennio. PE direttamente al Parlamento Europeo. A Montecitorio invece è pronta una mozione, e non è detto che come cittadini ci rivolgeremo al Comitato europeo dei diritti sociali. Non ci stancheremo di essere parte attiva in questa battaglia per portare i cittadini a conoscenza degli accordi segreti cui saranno costretti a sottostare, ma soprattutto a scardinare il sistema affinché i cittadini possano finalmente partecipare alle decisioni e non soltanto subirle. Non saremo soli in questa battaglia, insieme a molti comitati, a iniziare dalla campagna STOP TTIP, e alle altre forze politiche che si sono finalmente rese conto della gravità di quest’accordo per il nostro Paese. Siamo pronti a unire le forze per bloccare questo ennesimo furto della sovranità di un popolo e della sua libertà. (gallinella_ [email protected]) • * Commissione Agricoltura, Camera dei Deputati, Movimento 5 Stelle COOPERAZIONE ED ACQUA BENE COMUNE Riflettiamo attraverso le sfide del La nuova legge di cooperazione si caratterizza per il riconoscimento delle imprese private come attori. Solidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP! BANNING POVERTY 2018 zionali, che subito dopo la Conferenza di Rio e il Forum dell’acqua di Marsiglia del 2012, si sono candidate ad affiancare gli Stati per garantire l’accesso all’acqua come diritto umano. A condizione che qualcuno si faccia carico di coprire il costo del quantitativo minimo. Oltre alle multinazionali, ci sono i paesi che hanno votato contro o si sono astenuti in sede Onu: Usa, Canada, Cina, Germania, che si sono già attivati per modificare i contenuti del diritto all’acqua, inseriti nella Bozza di Agenda degli obiettivi sostenibili post-2015. I primi tentativi sono avvenuti nel Gruppo di lavoro che si è svolto a New York, con la proposta di rendere difficile il ricorso alla “giustiziabilità del diritto” da parte dei cittadini. Sulla stessa lunghezza d’onda si muovono le Agenzie dell’Onu, che si limitano ad affermare che il diritto all’acqua è garantito attraverso il pagamento dei costi (diretti e indiretti), e che è sufficiente rendere i costi ragionevoli e abbordabili. Inoltre contestano la necessità di nuovi trattati o convenzioni, per garantire il raggiungimento degli obiettivi. Infine va registrato l’approccio del Consiglio economico e sociale che propone di ridurre il diritto all’obbligo di garantire l’accesso all’acqua solo alle categorie sociali vulnerabili. UNA NUOVA COOPERAZIONE PER IL DIRITTO ALL’ACQUA Che fare? È necessaria una forte mobilitazione per garantire che il riconoscimento del diritto all’acqua, sancito dalla risoluzione Onu, sia confermato e consolidato nell’Agenda degli obiettivi sostenibili post 2015. Ottanta associazioni e reti internazionali hanno denunciato il tentativo di modifica del diritto all’acqua. Il Contratto Mondiale ha sottoscritto quest’azione e, insieme a un gruppo di ong, ha sollecitato il Ministero degli esteri italiano e la Direzione generale della cooperazione a prendere posizione. Le ong e le associazioni ambientaliste devono farsi carico di monitorare il gruppo di lavoro intergovernativo, che porterà entro giugno 2105 alla definizione della nuova Agenda dello sviluppo post2015. È rilevante anche il ruolo che l’Italia può svolgere nel corso del Semestre europeo, proponendo alla Commissione una nuova politica di cooperazione, a difesa dei diritti umani e del diritto all’acqua, senza il coinvolgi- I UN’EUROPA POSSIBILE. DALLA CRISI ALLA COOPERAZIONE A PE R A U TO R di Bruno Amoroso e Jesper Jespersen, Castelvecchi 2014. Un appello ai partecipanti che dominano sul dibattito europeo a ravvedersi. Così viene introdotto il pamphlet scritto a quattro mani dagli economisti Bruno Amoroso e Jesper Jespersen. Un’Europa possibile propone una nuova Europa di cooperazione e solidarietà diversa dall’Europa di oggi che mette l’economia al primo e unico posto, polarizzando e destabilizzando la cooperazione. L’appello di un’Europa solidale si rivolge a tutta la comunità, presentata in due schieramenti: l’élite di Bruxelles e gli euroscettici. I primi sono rappresentati da tutti coloro che partecipano all’Europa, dalla Commissione ai ricercatori. Essi pensano che cooperazione significhi più Europa attraverso la centralizzazione del potere politico. I secondi sono stanchi di parlare di Europa e vogliono rafforzare le sovranità nazionali. I due autori si appellano ad entrambi gli schieramenti. Vogliono far capire agli “europeisti” che non è centralizzando il potere che si fa cooperazione, né tanto meno proponendo agli stati di pensare ognuno a sé stesso. Quello che propone questo pamphlet è un’Europa solidale in cui si agisca insieme, non pensando ognuno per sé. Così come si vuole far capire agli euroscettici che l’Europa è l’unico modo per uscire dalla crisi. Se la crisi che stiamo vivendo è paragonabile a quella degli anni Trenta, i due autori allertano che senza una reale cooperazione le conseguenze saranno molto più gravi. Il loro appello dunque si rivolge a tutti coloro che vogliono costruire un ponte per rimettere al centro la pace e la solidarietà in Europa, perché senza solidarietà, senza aiuto reciproco tra gli stati membri, l’Unione andrebbe al collasso e sarebbe una tragedia di tutti. (Fulvia Difonte) PI binomio “Cooperazione - Acqua diritto umano, bene comune”, affinché questa riflessione possa essere estesa a difesa di tutti gli altri diritti: il cibo, la salute, l’educazione… che dovrebbero essere alla base della solidarietà internazionale. Le sfide “alternative” a quelle proposte dalla cultura dominante a tutti i livelli sono due. La sfida sociale, cioè impegnarsi per la difesa dei diritti fondamentali dell’uomo, e in particolare la concretizzazione del diritto umano all’acqua per tutti. La sfida ambientale, cioè salvaguardare l’acqua come bene comune, introducendo il riconoscimento del diritto dell’acqua e la difesa dei beni comuni, cioè contrastando la mercificazione e monetarizzazione del ciclo naturale dell’acqua e di tutte le risorse naturali. C’è stato il riconoscimento del diritto umano all’acqua e ai servizi igienico sanitari, da parte prima dell’Onu (risoluzione 64/92) e poi del Consiglio dei Diritti Umani (15/9/2010). A queste approvazioni ha fatto seguito l’iniziativa di 19 Paesi. In America latina: Messico, Bolivia, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador; in Africa: Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Marocco, Niger, Uganda, Somalia, Tunisia, Zimbawe; in Europa: Olanda, Belgio; in Asia: Maldive; in Oceania: Figii. Questi paesi hanno costituzionalizzato il diritto all’acqua. Anche in questi casi l’accesso a una quantità minima di acqua potabile come diritto non è garantito, e la risoluzione Onu resta solo un’affermazione di principio, senza obblighi verso gli Stati nazionali. La successiva entrata in vigore, nel maggio del 2013, del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (PIDESC), ha costituito un avanzamento sul piano della “giustiziabilità” teorica e pratica del diritto all’acqua nei confronti degli Stati in caso di violazione. In parallelo, c’è stata la risoluzione adottata, nel novembre 2013, dalla 3° Commissione delle Nazioni Unite, che ha inserito fra gli impegni dell’Agenda degli obiettivi sostenibili post-2015 l’impegno per gli Stati ad “assicurare la realizzazione del diritto all’acqua e ai servizi igienico-sanitari come diritto dell’uomo”. CO CHI CONTRASTA? Purtroppo ci sono anche le azioni di contrasto da parte di chi si sente minacciato dalle conseguenze del riconoscimento del diritto all’acqua. Prime tra tutti le imprese multinaSolidarietà internazionale 03/2014 37 BANNING POVERTY 2018 STOP TTIP! E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE? La risoluzione Onu sul diritto all’acqua non può rimanere solo un’affermazione di principi, anche a livello di obiettivi post-2015, e deve trovare concretizzazione prima del 2030. Quest’obiettivo è attuabile sottoponendo all’approvazione - prima del Consiglio dei Diritti Umani e poi dell’Assemblea dell’Onu - di un trattato o protocollo internazionale, che definisca le modalità di concretizzazione diretta e vincolante del “diritto umano all’acqua e ai servizi igienico sanitari” da parte degli Stati, introducendo strumenti di giustiziabilità e sanzionabilità, attivabili nei confronti degli Stati in caso di violazione del diritto, ma anche di violazioni del diritto all’acqua come bene comune. Questa proposta è stata lanciata dal Comitato italiano per il Contratto Mondiale dell’acqua (www.contrattoacqua.it). Si tratta di redigere un protocollo integrativo del Patto sui diritti umani che, essendo un Trattato già sottoscritto, è uno strumento di diritto internazionale che obbliga gli Stati a quantificare il minimo di acqua potabile da garantire a tutti. Questa scelta costituisce una modalità per garantire la concretizzazione del diritto all’acqua. Associato al diritto al cibo, questa proposta può trovare in Expo 2015, se sarà accolta e sostenuta da alcuni Stati, a partire dal governo italiano, una sede di lancio o di adesione da parte di GLI ATTORI DELLA COOPERAZIONE La mobilitazione prioritaria è quella di impedire che i privati e le grandi imprese siano riconosciuti dagli Stati, in particolare dall’Italia attraverso la nuova legge di cooperazione. Ma anche a livello europeo. In forme come il partenariato pubblico-privato o la partecipazione a Fondi per garantire l’accesso all’acqua, al cibo, all’istruzione, ecc. Questo è l’approccio proposto dalla Commissione europea, che prospetta di affidare il governo delle risorse idriche, nei prossimi 15 anni, ai “portatori d’interesse” attraverso il Water Partnership. È rispetto a questi scenari che le ong, in particolare quelle italiane, sono chiamate a fare una scelta di campo: decidere se il diritto all’acqua e i diritti umani sono delegati al mercato, o restano una competenza del pubblico. Di conseguenza dovrebbero trovare il coraggio di contrastare il testo di legge in discussione al Senato, e denunciare la posizione dell’attuale governo italiano e delle forze politiche che sostengono questa proposta. ([email protected] ) • * Comitato italiano Contratto Mondiale dell’ Acqua U TO R mento degli operatori del privato. Le ong dovrebbero avere il coraggio di imporre all’Italia e all’Europa impegni precisi sulla concretizzazione del diritto all’acqua. Criticando le politiche di liberalizzazione verso i privati e il libero mercato, che la Commissione Europea si accinge a promuovere in Europa, attraverso l’Agenda dell’Ambiente e quella sui Servizi pubblici locali e a livello internazionale. Queste hanno gravi conseguenze sui paesi ACP, quelli più poveri, anche attraverso gli accordi con gli Usa per la liberalizzazione degli investimenti (TTIP) e i negoziati CETA con il Canada, che prevedono per i cittadini la liberalizzazione dei servizi di tipo sociale, come la salute, il cibo, il lavoro. C’è anche il riconoscimento per le imprese di rivalersi sugli Stati in caso d’impedimento alle concessioni di sfruttamento delle risorse. altri Stati o membri della comunità internazionale. La strada procedurale e i tempi per portare a compimento l’approvazione del Protocollo – in occasione dell’Expo - non sono facilmente prevedibili. Dipende, infatti, dal livello di consenso degli Stati, e dalle azioni di advocacy, che i Movimenti dell’acqua saranno capaci di esercitare sui rispettivi governi. I Critichiamo la Commissione europea che si accinge a promuovere gli accordi con gli Usa TTIP, che prevedono la liberalizzazione dei servizi di tipo sociale, come la salute, il cibo, il lavoro. A DICHIARIAMO ILLEGALE LA POVERTÀ - LE TRE CAMPAGNE C2 - DIAMO FORZA AD UN’ECONOMIA DEI BENI COMUNI AZIONI PRIORITARIE Via i rapinatori dal sistema della finanza (AP1) Chiudere le fabbriche della rendita e della speculazione (AP 2) Per un sistema del credito al servizio dei cittadini e dell’economia (AP 3) AZIONI PRIORITARIE No all’appropriazione privata del vivente (AP 4) Il lavoro non è merce, è un diritto (AP 5) Dissociare Il reddito dal lavoro (AP 6) Vogliamo un’Europa dei beni comuni (AP 7) CO PI A PE R C1 - METTIAMO FUORI LEGGE LA FINANZA PREDATRICE 38 C3 - COSTRUIAMO LE COMUNITÀ DEI CITTADINI AZIONI PRIORITARIE Per una cittadinanza attiva (AP8 ) Per una cittadinanza inclusiva (AP 9) Per una cittadinanza mondiale (AP 10) Solidarietà internazionale 03/2014 STOP TTIP! BANNING POVERTY 2018 STORIE DA EMMAUS: FERRUCCIO AGOSTINELLI Ferruccio dalla strada Graziano Zoni ❝Ma ❝ Ferruccio, prima mi hai detto di essere credente, e ti sei anche chiesto come fanno certe persone di Emmaus che si dichiarano “atee”, ma hanno la forza e la costanza di mettere la propria vita al servizio degli altri. Allora? Io credo in Dio, ma non sono, come si dice, praticante. Pur avendo fede, sento che la vita si consuma, vedo l’incoerenza di tanti cristiani, di tanti preti e cardinali, e soprattutto, vedo il male che sembra prendere il sopravvento nel mondo, sacrificando troppi innocenti! Dio resta solo fede. Non si trasforma in vita! Di fronte alla realtà, purtroppo ripetitiva, di genocidi, di guerre, di sterminio di migliaia, milioni d’innocenti, mi chiedo: ‘Dov’è Dio? Che fa?’. Ripeto: Dio, per me, resta solo fede! PE A PI CO Solidarietà internazionale 03/2014 I ❝E ❝ qui, Ferruccio ha cominciato tutto un suo ragionamento sulla situazione mondiale, sulle enormi, assurde ingiustizie, sull’immigrazione disperata, sulle tecnologie sofisticate, sull’ingiusta ripartizione della ricchezza e della miseria, sul Papa e sulla religiosità nel mondo, su internet e lo sviluppo tecnologico, sull’egocentrismo, l’accaparramento del mondo con guerre e rivoluzioni, sulla degenerata realtà del mondo, per finire con “fiorite” considerazioni su Grillo e Berlusconi. Un autentico fiume in piena che ho tribolato un po’ ad arginare! Finalmente: “Ferruccio calmati, per favore. Ritorna con i piedi per terra. I lettori conoscono le situazioni che tu hai ricordato. E quindi preferiscono leggere la tua testimonianza personale, le tue riflessioni su Emmaus, le tue attese future”. Ok, scusami. Mi capita spesso di lasciarmi andare così, a ruota libera, con la mente che viaggia a grande velocità nel mondo intero. Credo di averti già accennato alla mia famiglia sfasciata, mia mamma e mio babbo alcolisti. Sono andato a trovarlo poco R FERRUCCIO AGOSTINELLI. © EMMAUS tempo fa, mio babbo, ma ora ha anche il morbo di Alzheimer e sta molto male. Ho il mio padrino, ma anche lui sta invecchiando (74 anni) e non sta bene. Prima ti dicevo che i problemi restano, anche se a Emmaus non si sta male. Si lavora, ci si mantiene col proprio lavoro, hai qualche euro per il “fumo”, per l’alcool si cerca di farne a meno, però quando ho avuto problemi di salute, sono stato curato come si deve. Comunque, sinceramente, credo che vivere in comunità non è facile. Anche perché devi accettare o sopportare persone diverse, con età, studi e cultura, caratteri e problemi diversi. Emmaus è un po’ come la “legione straniera”. Si trova di tutto. Non scendo a specificare, perché tu conosci Emmaus meglio di me e da più tempo. U TO R lo scorso 21 aprile, ❝Ferruccio, ❝ festa di Pasquetta, tutta Emmaus Italia, comunitari e amici, era a Piadena per celebrare insieme i 20 anni del Gruppo Emmaus locale. Che impressione, ritrovarti in mezzo a tanti amici, di cui ne conoscevi diversi, dato il tuo girovagare nei ‘possedimenti’ Emmaus in Italia?. Sicuramente, fa sempre piacere rivedere vecchi e nuovi amici, con molti dei quali si è condiviso il cibo, il lavoro, il tempo libero, le discussioni, la vita insomma! Passano gli anni, sì! Ma i problemi restano. Non so, non riesco a non pensare alla mia vita sfasciata, con una famiglia di alcolisti, anch’io ho bevuto per 20 anni. Finalmente, ho capito che i problemi si risolvono col cervello, non con l’alcool! Certo, ci sono i valori, c’è la fede, c’è Dio. Io credo, ma ho la sensazione che la mia fede in Dio non risolva i miei problemi. E nemmeno Emmaus, che pur mi aiuta, anche negli aspetti più concreti e mi fa sentire utile, in qualche modo. Nel mio pellegrinare di comunità in comunità, ho incontrato, tra i responsabili, tanta gente speciale, veramente eccezionale. Uno più “speciale” dell’altro. Non faccio nomi; non vorrei creare “classifiche”. Ma vedi, Graziano, se non lo si è provato non si può capire: dalla “strada” è quasi impossibile “venirne fuori”. Personalmente, non ho mai pensato che Emmaus potesse risolvere i miei problemi. Emmaus non mi ha mai cercato. Sono io che ho cercato Emmaus, anche se, ripeto, sapevo che non poteva essere Emmaus a risolvere i miei problemi. E più si va avanti negli anni, più resta difficile risolvere i propri problemi esistenziali. La situazione del mondo attuale non ci aiuta. A ❝Ferruccio ❝ Agostinelli ha 54 anni, di cui undici vissuti a Emmaus, “visitando i possedimenti di famiglia”, com’era solito dire l’Abbé Pierre. Ferruccio, infatti, ha girato diverse Comunità Emmaus: Firenze, Padova, Arezzo, Quarrata, Ferrara… e poi, finalmente a Piadena. È qui che l’incontro, in una bella giornata di sole, quasi estivo. ❝“Caro ❝ Ferruccio, così, d’istinto, posso solo dirti che Dio ha dato a noi umani, suo popolo da Lui amato, la missione e il potere di “rifare il mondo, rovinato dal peccato”. Dio è nelle nostre mani. Dio è la nostra vita! Non solo la nostra Fede. Grazie Ferruccio”. (italia@ emmaus.it) • 39 A TU PER TU A TU PER TU: RENATO SACCO Parroco e nonviolento Nicola Perrone PE R A ❝E ❝ nella tua famiglia? Io sono nato in una famiglia di contadini molto povera, in una cascina. Avevamo le mucche, gli animali da cortile, i campi, per cui ho visto tanto lavoro e poco riposo nei miei nonni, nei miei genitori, in mio fratello. L’acqua in casa nostra è arrivata quando io avevo già diciassette anni. La lavatrice non c’era. L’automobile non l’avevamo. Siamo cresciuti così in un clima di serenità, di povertà, in un piccolo paese che si chiama Agrate Conturbia. Quindi un’infanzia fatta di vita molto semplice. CO PI A ❝Perché ❝ hai scelto di fare il prete? Io sono andato in seminario a undici anni, e non avevo ancora una coscienza di vocazione profonda. Poi, come dice Arturo Paoli: “Camminando si apre il cammino”. Ci sono stati incontri, persone che soprattutto in età più adulta hanno fatto sì che maturassi questa scelta: preti, laici, uomini e donne, conosciuti di persona o leggendo testimonianze. Ho scelto di giocarmi la vita in questo modo. Quando ero piccolo, il modello erano i miei genitori, persone comuni come tante altre che conoscevo. Poi il seminario, nonostante le difficoltà, mi ha permesso d’incontrare testimoni, anche semplici, delle varie parrocchie dove andavo. Anche preti della mia diocesi, che mi hanno fatto vedere la gioia di 40 piccolo, ma avvenivano cambiamenti in seminario. Alcuni studenti di teologia ospitavano barboni, ex carcerati. Esperienze anche molto ricche d’incontri, belle, sia da un punto di vista spirituale sia di creatività. Dopo il liceo ho studiato teologia, e fatto diverse esperienze in varie parrocchie. Sono diventato prete a 24 anni: la data dell’ordinazione ha coinciso con la giornata missionaria. Erano gli anni dei cambiamenti dopo il Concilio. Il vescovo Mons. Aldo Del Monte mi ha ordinato: è colui che aveva curato tutti i catechismi nuovi, e quindi sicuramente spingeva con questo vento nuovo del Concilio. ❝Dopo ❝ l’ordinazione hai rilanciato la campagna di obiezione alle spese militari. Appena ordinato sono stato prete a Varallo Sesia, per due anni, all’oratorio. Poi a Cesara, sempre in diocesi di Novara, e ad Arola. Nel frattempo il vescovo mi ha aggiunto altre parrocchie, ma da allora sono sempre rimasto qui. E da lì sono nate varie scelte – insieme a padre Angelo Cavagna, don Giorgio Pratesi e altri – come la campagna di obiezione alle spese militari. Prima facendo l’obiezione soltanto da un punto di vista amministrativo, fiscale, come molti facevano. Facendo la detrazione dalle tasse, ho ricevuto e subìto diverse volte il pignoramento. La cosa faceva notizia: perché doveva essere la polizia municipale a venire a verbalizzare; allora funzionava così. In genere si faceva una cosa simbolica. Si mettevano a disposizione dei libri, pari al valore doppio della somma che l’esattoria doveva riscuotere. Poi era affisso all’albo pretorio e veniva fissata un’asta. In seconda convocazione convocavamo gli amici, e s’individuava un acquirente significativo. Per esempio la biblioteca di una scuola, chi comprava questi libri dava la conferma U TO R un servizio, di un sogno, di un progetto di vita. Poi, crescendo, in seminario è venuto a parlare ad esempio don Ciotti, i nostri missionari in America latina con la dittatura, oppure anche i missionari in Africa. Inoltre io sono del Piemonte, non lontano da riferimenti come Adriana Zarri, Enzo Bianchi, e in modo ancora più forte Luigi Bettazzi, che è stato presidente di Pax Christi, una voce conosciuta e un testimone relativamente vicino a me. Tutte queste persone hanno segnato la mia crescita. Penso anche alla mia professoressa di latino e greco, Angela Frego, che mi ha fatto conoscere don Milani, il valore della coscienza, la disubbidienza, la legge per obbedire a una legge più grande, l’Antigone di Sofocle. Alcuni libri come: Lettere a una professoressa, Esperienze pastorali, L’obbedienza non è più una virtù. Hanno influito anche i testimoni incontrati dopo, soprattutto nel mondo della solidarietà, della pace, i martiri, Romero e tanti altri, sicuramente hanno confermato, segnato, spinto in questa direzione. I N onviolento, pacifista, antimilitarista. Sacerdote e parroco, 59 anni. Tenace e coerente, Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, è da sempre impegnato per portare la pace nel mondo, là dove c’è la guerra. Con marce, azioni di sensibilizzazione, testimonianze personali. Abita a Cesara vicino a Cameri, piccolo centro del novarese, dove sono stati costruiti i capannoni per l’assemblaggio e la manutenzione dei nuovi cacciabombardieri F35. La protesta pacifista contro l’aereo militare prosegue, e don Renato ne è un protagonista diretto. È stato tra i primi preti obiettori alle spese militari, subendo anche qualche pignoramento, e un processo penale, con assoluzione, il 4 giugno 1991, per aver invitato a disobbedire alle leggi dello Stato, invitando a non spendere soldi per le armi. Ha seguito per Pax Christi diverse situazioni di guerra, in particolare in Iraq, dove è stato molte volte, prima, durante e dopo la guerra, in Kosovo, in Bosnia, in Palestina e in Burundi. ❝Come ❝ è stato il periodo in seminario? Io ho iniziato il ginnasio negli anni ‘68-‘69, si respirava l’aria del movimento del Sessantotto. Io ero molto Solidarietà internazionale 03/2014 A TU PER TU CO Solidarietà internazionale 03/2014 I Io ero in Iraq, per esempio, contemporaneamente all’attentato di Nassiriya. A Baghdad abbiamo fatto una celebrazione per ricordare gli italiani uccisi, carabinieri e militari, e mi ha colpito molto quella celebrazione, perché è stata la messa più armata della mia vita, perché lì davanti alla porta della chiesa c’era un carro armato che sarà stato grande come la mia chiesa: nel mio immaginario era un mostro enorme. Ma quello che mi ha colpito è che io sono andato col vescovo ausiliare di Baghdad, con tutte le perquisizioni giuste, certamente, ma non è stato recitato neanche l’Eterno Riposo per le vittime irachene. È stata una celebrazione per le vittime italiane, e va bene, io e don Fabio Corazzina abbiamo detto ‘di fronte alla morte si prega, si fa silenzio’, abbiamo condiviso questa celebrazione. Mi sarei aspettato almeno una piccola preghiera per tutte le vittime di tutte le nazioni, di tutti, compresi gli iracheni. C’era presente il vescovo dell’Iraq, e a lui non è stata data neanche la parola. Poi quando abbiamo visto le immagini in tv da San Pietro, con il cardinal Ruini che celebrava in modo solenne, e diceva: “Noi non ci tireremo indietro, noi continueremo così”, abbiamo spento la televisione e siamo andati a giocare a pallone nel cortile con il nipote del vescovo che frequentava le scuole medie, un ragazzino di 12 anni, che era più interessato al pallone di calcio che gli avevo portato io dall’Italia che non a tante altre cose. ❝In ❝ Iraq hai visto da vicino i soldati Usa? Sì, ho fatto anche una foto, tutti i soldati americani avevano e hanno una pistola Beretta legata alla propria gamba. E uno di questi soldati, non per strada, perché era meglio non avvicinarsi troppo, mi ha fatto vedere che la sua pistola era davvero una Beretta. La conferma di quello che abbiamo sempre detto: con l’obiezione alle spese militari, vissuta sul campo, si vedeva che con le guerre c’è qualcuno che fa grossi affari. Il vederla nelle mani di un soldato americano, così come l’abbiamo vista poi nelle mani anche dei terroristi, ha il significato che chi vende le armi ha soprattutto interesse a venderle, non a farsi tante altre domande. E quindi queste esperienze mi rafforzano nel continuare il mio impegno anche di oggi all’Arena di Verona: la denuncia, lo schierarsi per il disarmo, perché ho vissuto di persona cosa provoca la guerra, cosa vuol dire avere la casa distrutta, scappare. Quando la guerra la vedi da vicino, ti U TO R R A ❝Poi ❝ sei approdato a Pax Christi. Dal ‘97 sono diventato consigliere nazionale di Pax Christi, e ho costituito, insieme con altri, un impegno per l’Iraq, in nome di Pax Christi, anche durante la guerra. Molte volte sono andato in quel paese, anche da solo, perché intuivo il bisogno di un segno. C’erano l’embargo e la guerra. Almeno la presenza per far dire a loro “non si sono dimenticati di noi”. E quindi siamo andati in Iraq anche con l’attuale presidente di Pax Christi, nel 2011. Forse proprio monsignor Giudici è stato il primo vescovo italiano della Conferenza episcopale a venire in Iraq. Credo sia stato vissuto come un bel segno. L’amicizia, anche con l’Iraq, continua. PI ❝Nel ❝ dicembre del 1992 hai partecipato alla marcia a Sarajevo, con don Tonino Bello. Sì, sull’autobus eravamo io, don Tonino Bello, Alberto Chiara di Famiglia Cristiana, Eugenio Melandri, un giornalista di Avvenire, don Albino Bizzotto e altri. In tutto eravamo 500 persone con dieci pullman. Don Tonino era già molto malato, faceva le chemioterapie, e sarebbe poi morto il mese di aprile successivo. Da lì ho appoggiato anche le iniziative con Beati i costruttori di pace, a Sarajevo, al punto che un prete anziano della mia zona, morto qualche anno fa, mi chiamava ‘don Sarajevo’. Quest’iniziativa poi è continuata con legami, con iniziative anche di solidarietà, coinvolgendo molto anche la parrocchia di Cesara. La marcia è stata un capitolo in sé, molto intensa. Per quello che voleva dire, perché avevamo una folle incoscienza, necessaria in quelle situazioni. Con un viaggio di andata sulla nave che invece di otto ore è durato ventitré. E poi sicuramente tutte le ❝C’è ❝ un episodio in particolare di quel viaggio che ti ha colpito? Sì, la voglia di vita manifestata anche attraverso piccoli segni. Ti racconto un particolare. Io non conosco la lingua bosniaca, e il mio gruppo era guidato da una signora locale che parlava anche il francese. Ci siamo scambiati un po’ d’impressioni. E le ho chiesto: “Ma come, siete da nove mesi sotto assedio – era una donna abbastanza giovane, elegante e truccata col rossetto, col fondotinta, in una città senza acqua, luce, telefono, il giorno prima erano cadute 3000 granate sulla città, colpivano da far paura - e lei è qui così elegante?”. Mi ha risposto: “Io a casa ho il rossetto, la cipria, se non la metto in un giorno come questo! Cinquecento persone arrivano da fuori città, sfidando le bombe, ci accompagnano per dire la loro vicinanza, e stanno con noi. Per noi questo è un giorno di grande festa! E, quindi, ho indossato ciò che ho di più bello per vivere la gioia, la festa”. A loro non era garantito di sopravvivere in mezzo alla guerra. Tra l’altro a Sarajevo ci siamo tornati ai primi di giugno con Pax Christi per il grande meeting internazionale per la pace, perché quest’anno ricorrono i 100 anni dall’assassinio dall’arciduca, che è stata la scintilla che ha fatto scattare la prima guerra mondiale. C’è questo legame che continua fino ad oggi, con il cardinale Puljic, con l’attuale vescovo ausiliare Monsignor Pero Sudar. PE ❝Poi ❝ sei stato anche processato. Sì, sono stato denunciato penalmente nel 1987, perché durante una conferenza avevo invitato a fare l’obiezione alle spese militari e a non spendere soldi per le armi. Il procuratore della repubblica di Verbania mi ha denunciato per istigazione a disobbedire alle leggi. Il reato era molto grave. Era un reato penale che prevedeva dai 6 mesi ai 5 anni di reclusione. Il 4 giugno 1991, nel tribunale di Verbania, io e altri miei due amici, Giuseppe e Piergiorgio, siamo stati processati. Era presente una grande folla con molti striscioni. Erano state spedite centinaia di migliaia di lettere al direttore del tribunale, da padre Alex Zanotelli e altri personaggi conosciuti. Siamo stati assolti. L’accusa era per il reato d’istigazione a disobbedire, quindi ero sul banco degli imputati. Abbiamo dichiarato in quella sede le stesse motivazioni che potrebbero essere valide ancora oggi, nel 2014, sulla guerra, sulla pace, sulle spese per gli armamenti. Purtroppo sono passati ventitrè anni e non è cambiato molto. Eravamo nel 1991. Prima Guerra del Golfo, c’era anche Don Tonino Bello, io ho avuto la fortuna di conoscerlo, quindi ancora più vicino a Pax Christi e ai suoi appelli. emozioni, la notte vissuta a Sarajevo, nei sacchi a pelo, in una palestra senza vetri. L’esperienza delle quattro realtà religiose: cattolica, ortodossa, musulmana ed ebraica, che abbiamo vissuto al mattino. Sicuramente sono cose che mi sono rimaste dentro, hanno lasciato il segno. A che non si voleva evadere le tasse, ma educare alla pace dicendo no alla guerra. Tutto questo con manifestazioni, tanta gente, striscioni, con l’imbarazzo del vigile urbano e dell’esattore, che ormai era sempre lo stesso. 41 A TU PER TU ❝Uno ❝ dei motivi del fronte favorevole agli F35 è la creazione di nuovi posti di lavoro: che ne pensi? È una bugia. Bastava non cominciare. Quante altre cose per dare lavoro alle persone si potevano fare? Sia a livello locale, sia a livello nazionale: pensiamo al nostro territorio dissestato dalle alluvioni, alle scuole da mettere in sicurezza… Quegli investimenti avrebbero creato molti posti di lavoro. Di fatto a Cameri ci lavoravano già un po’ di persone prima, perché c’è la manutenzione dei Tornado e degli Eurofighter: di fatto nessuno può dire che ha portato posti di lavoro, se non a livello io dico quasi ridicolo. E quindi non sono nuovi posti di lavoro. Quindi, dire oggi che per il territorio questo investimento crea posti di lavoro, credo che con ragionevolezza non lo dice proprio più nessuno, neanche gli amministratori di Cameri, che mi sembrano anche un po’ arrabbiati. E poi comunque sono dati ufficiali, non miei. Gli investimenti nel settore delle armi, secondo studi europei riconosciuti, creano maggior profitto, ma nel grafico la linea dell’occupazione è in netta discesa. Maggior profitto, meno occupazione. Questo è il settore militare. Perciò è proprio una grossa bugia dire che investendo nel settore delle armi si creano posti di lavoro. ([email protected]) • U TO R A PI CO 42 I ❝Quali ❝ sono i principali motivi del tuo dissenso sugli F35? Il primo è a un livello che ha accompagnato tutta la mia vita. Sostenuto anche dal Vangelo, dal magistero della chiesa che dice: “Gli armamenti e la spesa per gli armamenti costituiscono un crimine perché fanno morire di fame le persone, che potrebbero beneficiare di questi investimenti, e quindi sono un crimine, anche se non sono usati”. Questa è la valutazione più importante. Se poi devo discutere su questo disegno preciso, non sono da difesa, sono da attacco, non sono compatibili con la nostra Costituzione. Anche alcuni generali esprimono molte critiche: sono costosissimi, più di quello che si pensa, e verranno a costare ancora molto di più. Perciò oltre all’aspetto etico, morale, di valore, c’è proprio una scelta concreta. Noi andiamo a investire per i prossimi anni 14 miliardi, una cinquantina di miliardi per i prossimi decenni. Qualsiasi governo sia, da Renzi a Berlusconi, quel governo dovrà poi sopportare delle spese folli per un progetto che gli stessi militari, molti, ritengono impresentabile e con molti interrogativi. Quindi noi andiamo a investire capitali pazzeschi su una cosa che, per esempio, gli stessi marines americani ritengono poco affidabile. È indicativo che chi vuole fare la guerra davvero A ❝E ❝ veniamo all’attualità, la tua opposizione agli F35. Io abito vicino a Novara, a Cesara, anche se ufficialmente risulto in provincia di Verbania. Più vicino ancora c’è questo piccolo paese, Cameri, dove c’è un aeroporto già vecchio, esistente, al cui interno sono stati costruiti due capannoni per l’assemblaggio delle ali dei famosi F35. Noi sul territorio è dal mese di luglio del 2006 che abbiamo cercato di attrarre l’attenzione sugli F35. Nel 2006 era molto faticoso, io ho fatto parte della Commissione Diocesana Giustizia e Pace, e quindi abbiamo battuto il chiodo, con tutti contro. Eravamo proprio una voce nel deserto. Oggi possiamo dire che di strada se n’è fatta. Oggi parlare degli F35 è dire una cosa abbastanza conosciuta da tutti. Vuol dire che è stato un lavoro, poi diventato campagna nazionale. Però certo all’inizio avevamo contro tutti: industriali, sindacati, mass media. Tutti. Perché dicevano: è una grande opportunità, è un’occasione industriale, posti di lavoro. E noi con fatica a dire: “Non è così, proprio non possiamo dire che è così”. Mi ricordo che la sindachessa di Cameri, qualche anno fa, a un giornale, diceva: “Don Renato la smetta di parlare, prima il non li voglia, quindi forse converrebbe congelarli. Noi chiediamo di fermarsi, di ragionare sia su un modello di difesa, su cosa vuol dire rapporto con l’Europa, sia sull’aspetto bellico di investire su questo tipo di aereo. Le motivazioni per essere contro sono tantissime. Dal fatto che ci sono alcune cose che non funzionano, al fatto che sono predisposti per portare armi nucleari. Gli Usa hanno investito, proprio negli ultimi mesi, diversi milioni di dollari per adattare le testate nucleari presenti anche sul territorio italiano, a Ghedi e ad Aviano, per renderle compatibili poi con questi F35. Allora vuol dire che la vera motivazione di chi vuole gli F35, in realtà, di chi li difende, non è per una logica di strategia militare, ma per una logica economica e finanziaria. Il vero business degli F35 non è usarli, è farli! Sono gli appalti. Basta ricordare che la ditta produttrice si chiama Lockheed Martin, e chi non è giovanissimo si ricorda gli altri scandali legati proprio agli armamenti. Quindi il vero guadagno è il produrli. Se qualche militare dice ‘non funzionano’, lo zittiscono, ma il vero business è quello affaristico che c’è dietro. R Sarajevo e l’Iraq, dove sei ❝Oltre ❝ stato a testimoniare la pace? Nel ’98 sono stato in Kosovo, prima dei bombardamenti del ‘99. Noi eravamo andati proprio per dire: “In Kosovo dobbiamo salvare la nonviolenza”. Eravamo stati anche nel 2002 in Palestina, nella Seconda Intifada, quando c’è stata la basilica di Betlemme occupata per 50 giorni. Siamo andati con un piccolo gruppo, ed era impressionante vedere tutto quel deserto, il sepolcro, Betlemme, l’unico pullman era il nostro. Eravamo in tredici, tra questi c’erano anche monsignor Bettazzi, monsignor Bona e Monsignor Bregantini. Tre vescovi di serie B, come dice don Bettazzi, anche Bello don Tonino era anche lui di serie B, perché iniziava con la B. Eravamo andati nei campi profughi, abbiamo incontrato Arafat, un segno anche quello. Pax Christi segue ancora la campagna che ha lanciato “Ponti e non muri”. Sono stato anche in Africa, in Burundi, subito dopo gli avvenimenti del ’94, perché ci sono alcuni nostri missionari in quella terra. Mi sembrava giusto anche per loro, per non farli sentire dimenticati, dopo tutto quello che era successo tra Burundi e Ruanda. lavoro, poi l’etica”. Perché appunto si diceva qui con gli F35 avremo tanti posti di lavoro. Sono passati un po’ di anni, la stessa sindachessa deve ammettere che di persone disoccupate, nel suo Comune, forse ne avranno assunte due o tre di numero. Proprio in questi giorni leggevo che forse l’Inghilterra sta portando via all’Italia l’appalto per gli F35. Quindi non i pacifisti, ma la logica del business, che non guarda in faccia nessuno, rischia di mandare in fumo gli investimenti di chi ha creduto che questo fosse un treno da non perdere. Di fatto è un treno di morte, come il treno che porta ad Auschwitz, alla morte. Costano troppo: gli F35 sono quotati intorno ai 130 milioni di euro l’uno. Non si tratta di due soldi, ma vivere in questa terra vuol dire sentire un po’ il peso nazionale e internazionale della corsa agli armamenti. In teoria sono tutti per la pace, in teoria nessuno vuole la guerra. Quando poi si dà un nome e un cognome, Tornado, Eurofighter, F35, cominciano i se, i ma, i però, i posti di lavoro e tante scuse. Stiamo lavorando anche su questo. Certo la mia terra è famosa in questo periodo per gli F35. PE lascia ancor di più il segno. Solidarietà internazionale 03/2014 RACCONTI DI MINORANZE Michele Zanzucchi Candomblé o cristiani? E A U TO R I prete nero evangelizza la folla presente di fedeli afrobrasiliani, frammenti a turisti e passanti. Pone domande, esige risposte, spiega il senso di riti, delle musiche che verranno suonate, delle pitture esposte nella chiesa, del senso della santità, dell’amore di Gesù per i poveri e gli emarginati, dei fondamenti della fede cattolica romana. C’è una bella confusione. Alle sei la messa ha inizio. La festa comincia. Le musiche, ritmatissime da tamburi di varie forme e dimensioni, sono accompagnate con trasporto dai presenti, spesso e volentieri portati a muovere le mani, le braccia e tutto il corpo, in ondeggiamenti ed espressioni che sembrano più da balera che da chiesa, secondo i nostri parametri eurocentrici. E mi trovo a immaginare la reazione di un pur fedele devoto della Chiesa cattolica romana dedito al rito di Pio V. Da ridere e da piangere! Ma, che lo si voglia o meno, anche questa è la Chiesa di Roma, che associa tradizionalisti e candomblé. Cinque sono le processioni, partecipatissime, che scandiscono la celebrazione: quella dell’inizio, quella dell’offertorio, una terza per il Sanctus, una quarta per la distribuzione della Eucaristia e un’ultima per la distribuzione delle michette di pane benedette. Processioni che hanno un andamento assai danzante, mentre gli applausi a scena aperta si susseguono e s’inseguono. C’è trasporto, coinvolgente, al punto che anche un fedele compassato come il sottoscritto si ritrova a battere le mani e persino a danzare. La sorpresa più grande la conosco al momento della distribuzione dell’Eucaristia, perché ben poca gente si mette in fila, mentre tutti, nessuno escluso, al termine della celebrazione si avvicinano all’altare per ricevere dalle mani di un’anziana signora (che pare una sacerdotessa) il loro pane, che immediatamente sbocconcellano avviandosi all’uscita. Il fatto è che tanti dei presenti vivono ancora nella situazione sincretista di una fede tradizionale ancestrale che tuttora fatica ad assumere tutte le forme e la sostanza del culto cristiano. Ma tant’è, il fervore degli astanti è tale che non m’interrogo più sulla pertinenza teologica delle forme culturali di certo misticismo emotivo. Qui si prega. E mi presto ben volentieri all’aspersione finale, all’uscita dalla chiesa, impartita con un’ampia fronda di palma che è immersa in un bidone di acqua benedetta: ci ritroviamo tutti inzaccherati ma felici per la comunione vissuta a Nossa Senhora do Rosário dos pretos. ([email protected]) • CO PI A PE R ra posta appena fuori dalle mura della città di Salvador da Bahia, capitale del Brasile portoghese, costruita extra moenia dagli schiavi di origine africana – provenienti da una vasta zona che comprendeva Angola, Congo e altri territori limitrofi –, perché dentro la zona bianca per i non-liberi l’accesso era negato se non, appunto, a schiavi senza diritti né alcuna possibilità di partecipare ai culti nelle chiese d’oro, come quella di São Francisco, che si favoleggiava tutta d’oro e azzurra di azulejo provenienti dal Portogallo. Avevano le loro credenze e i loro riti, quegli africani, ma i frati francescani arrivati al seguito dei colonizzatori non ne volevano sapere di autorizzare, erano frutto del demonio e della perversione, del sottosviluppo e della superstizione. Dovevano invece partecipare al culto della sola vera religione, quella latina cattolica romana, e non potevano coltivare riti passati. Schiavi. Doppiamente esclusi. La costruzione della chiesa degli schiavi, Nostra Signora del rosario dei neri, fu un passo in avanti per gli africani, grazie anche all’azione di alcuni frati, italiani in particolare, che consigliarono agli schiavi di accettare la nuova fede cristiana, senza tuttavia rinunciare in toto alla loro fede tradizionale: i francescani spiegavano ai parrocchiani di pelle nera che Gesù Cristo, Maria, Sant’Antonio e San Pietro non erano altro che la verità di fede degli dèi che loro veneravano. Lo si capisce bene, il confine tra sincretismo e legittima integrazione è strettissimo, e forse impossibile da individuare. Fatto sta che il culto candomblé, quello degli schiavi, è sopravvissuto nei secoli celato nel rito di santa romana Chiesa, clandestino ma nemmeno troppo, se è vero che ancor oggi i fedeli di tale forma religiosa tradizionale sono in crescita in Brasile, a Salvador da Bahia in particolare. È uno dei tanti casi conosciuti di tradizioni religiose autoctone spezzate via alla fede dei colonizzatori, ma risorgenti in forme e tempi insospettabili: penso ai culti aymara, in Bolivia, o a quelli maya in Guatemala. Il cristianesimo, religione inclusiva per eccellenza, ha potuto più di altre religioni capire le esigenze e le ritualità delle religioni tradizionali, cercando di integrare senza eliminare la centralità di Gesù Cristo. Sì può discutere dei risultati. Ogni martedì sera, a Nossa Senhora do Rosário dos pretos, si celebra la “messa dei neri”, cioè quella della comunità candomblé locale. Un’ora prima della celebrazione, un Solidarietà internazionale 03/2014 43 le Segnalazioni FILM-DOCUMENTARIO IO STO CON LA SPOSA. E TU? Andrea Fogar FILM-DOCUMENTARIO THE SQUARE A CO PI A PE R Alcuni ragazzi parlano nell’oscurità, tutto l’Egitto è immerso in una lunga notte illuminata appena da una flebile candela che con la sua luce accompagna le parole di uno di essi, Ahmed, che comincia a raccontarci la Rivoluzione di Piazza Tahrir. Così comincia The Square, Inside the Revolution, il documentario della regista egiziana naturalizzata americana Jehane Noujaim, che ci racconta la storia dei primi tre anni della rivoluzione egiziana dalle prime proteste contro il regime di Mubarak del gennaio 2011 alla vittoria dei Fratelli Mussulmani, fino alla destituzione di Mohammed Morsi e al ritorno al potere dei militari con il golpe dell’estate del 2013. Protagonista assoluta della pellicola è piazza Tahrir, che diventa la moderna agorà dove il popolo egiziano alla ricerca della libertà e del cambiamento riesce a superare le sue differenze sociali e religiose. È qui che sentiamo le varie voci e le diverse anime della rivolta. Sempre in bilico fra documentario e fiction, fra inchiesta civile e diario dal basso, The Square sa farci sentire il respiro della piazza e dei suoi protagonisti. È capace di farci affannare nella ricerca di un rifugio dalle cariche della polizia, di emozionarci durante il funerale di uno dei martiri della rivoluzione. Anche se rimane un’opera fortemente partigiana, costruita in tempo reale e senza sceneggiatura, è un documentario da vedere, perché immortala e consegna alla storia le immagini della violenza della repressione dell’esercito egiziano. U TO R I BENVENUTI A PIAZZA TAHRIR. “Che poliziotto di frontiera oserebbe fermare un corteo nuziale per chiedere i documenti della sposa?”. Nasce da questa considerazione in un certo senso molto picaresca, “Io sto con la sposa”, un film, un documentario, un’azione politica di disobbedienza concreta alle leggi sull’immigrazione. Che tra l’altro fa rischiare ai tre autori, Antonio Augugliaro, videoartista, Gabriele Del Grande, giornalista italiano e autore del blog Fortress Europe e il poeta palestinese siriano Khaled Soliman Al Nassiry, fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Perché al di la del film, il progetto nasce proprio da una necessità molto umana e pratica, quella di aiutare cinque ragazzi siriani a raggiungere Stoccolma. Come in un film di Kusturiza i nostri eroi decidono di inscenare un corteo nuziale e attraversare così, con il salvacondotto della festa più di tremila chilometri. Comincia tutto un giorno di fine ottobre alla stazione di Milano Porta Garibaldi, lì due degli autori incontrano Abd, un ragazzo che come tanti è arrivato in Italia dal mare, che solo 20 giorni prima aveva visto morire al largo di Lampedusa 250 compagni di viaggio. Abd si accosta ai due e chiede del binario per la Svezia. Nasce così un film documentario, che è la storia vera di una messa in scena ma anche un’azione politica vera e propria. Un film di denuncia, che non sceglie le lacrime come veicolo politico, ma che fa della festa lo strumento di battaglia, di chi decide di disobbedire con il sorriso, scegliendo di indossare “il vestito buono”. “Perché” come raccontano gli stessi autori “nulla è più potente per esorcizzare la morte e la sofferenza, di un legame festoso”. Adesso che il viaggio è stato compiuto e che il film è stato girato tocca a noi però farlo approdare nelle sale. Il costo della produzione e della postproduzioine, stimato in 150 mila euro, è ricercato attraverso una campagna di crowdfunding che ha come obiettivo quello di raccogliere almeno la metà della cifra per finire il film in tempo per il Festival di Venezia a settembre e distribuirlo in autunno. 44 Solidarietà internazionale 03/2014 le Segnalazioni EVENTI 21 settembre 2014: GIOCA CON NOI PER LA PACE! Solidarietà internazionale 03/2014 I U TO R In ricordo di Dom Tomás Balduíno C R A on grande dolore e tristezza riceviamo la notizia della morte dell’amato e tenace lottatore Dom Tomás Balduíno. Dom Tomás è stato una di quelle persone che colpivano per la semplicità e la generosità, qualità legate in lui al coraggio, alla coerenza e alla determinazione nella lotta per le sue idee e impegni di vita. È stato sempre presente nelle lotte dei popoli indigeni, dei neri e dei contadini. La giovialità e il sorriso che illuminavano il suo volto riflettevano la grandezza del suo carattere e la coraggiosa militanza pastorale e politica, che esercitava in una delle regioni più violente del paese, attaccata prima dal latifondo e poi dall’agrobusiness. Nella lotta per la Riforma Agraria si è distinto come uno dei suoi più ardenti sostenitori. Non ha esitato a schierarsi sempre dalla parte del popolo, scontrandosi sia con i governi del regime militare che con tutti quelli che sono venuti dopo. È stato uno dei più robusti pilastri nella costruzione di una pastorale sociale, che ha avvicinato la Chiesa Cattolica a tutte le etnie e generi, vittime dell’irrazionalità del capitalismo di una società elitaria e piena di preconcetti. Sapeva che il popolo doveva essere protagonista della propria storia. Per questo non risparmiò sforzi perché la classe lavoratrice, i contadini, i popoli indigeni e i neri costruissero proprie organizzazioni e conducessero le proprie lotte in modo autonomo. Abbiamo perso la presenza fisica di Dom Tomás. Abbiamo però un’eredità che stimolerà noi e le generazioni future alla lotta e a un impegno di vita per la costruzione di una società giusta, solidale, democratica ed egualitaria, socialista! Movimento Sem Terra PE CO La storia del cotonificio Honegger di Albino, nella media Valle bergamasca, e la sua chiusura dopo 123 anni di attività, per raccontare il tramonto di un modello di lavoro e di società e il vuoto che ne segue. Questo il progetto di PANE A VITA, il film documentario del regista padovano Stefano Colizzi nato quasi per caso durante una ricerca frutto della collaborazione fra la Zalab (casa produttrice) e la Caritas Bergamasca. All’inizio il film doveva raccontare il fondo di sostegno ai lavoratori, ma si è trasformato presto anche in qualcosa di diverso, nel racconto di quello che è un cambiamento epocale: il cambiamento della concezione del lavoro stesso. Per più di un secolo essere assunti al cotonificio Honegger significava aver trovare appunto “il pane a vita”, cioè il lavoro fino alla pensione. Il che significava anche una sicurezza, che era quella data dalla consapevolezza di far parte di una comunità. Quando nel 2012 il lavoro finisce, tutto questo finisce, e allora finisce una cultura, un mondo. Della crisi economica vissuta dai lavoratori è proprio questa perdita di identità che viene raccontata nel documentario, perché, come afferma l’autore, sta avvenendo una vera e propria trasformazione che non stiamo affrontando con la dovuta lucidità. A C’ERA UNA VOLTA IL PANE A VITA PI FILM-DOCUMENTARIO Cos’è? Playing for Peace è un evento mondiale che si svolgerà il 21 settembre 2014 da Roma a Kabul, da Buenos Aires a Calcutta, da New York a Sidney, da Helsinki a Taipei, da Abidjan… alla tua città! Un giorno, un milione di bambini, un’unica comunità che da ogni angolo del pianeta,giocando insieme, chiedeun mondo di pace! È obiettivo di Playing for Peace creare nelle nostre città, negli ambienti in cui viviamo, comunità forti attraverso il gioco, coinvolgendo più persone possibili che altrimenti non avrebbero occasione di incontrarsi! Come puoi partecipare? Metterti in gioco con noi è semplice. Tutto ciò che devi fare è impegnarti ad organizzare un gioco con i bambini o i ragazzi della tua comunità, della tua scuola, del tua gruppo, della tua strada, della tua squadra, ecc – e coinvolgere altri gruppi della tua città per creare un’occasione d’incontro. Il gioco lo scegliete voi, l’importante è che vi divertiate! Può essere una gara sportiva, un gioco di società, un gioco a tappe o qualsiasi altra cosa la vostra fantasia vi suggerisca! L’idea migliore sarebbe quella di approfittare per entrare in contatto con persone con cui normalmente non siete abituati a giocare! Le attività possono essere dedicate a tutti i bambini e ragazzi fino ai 18 anni. Quali sono i prossimi passi? 1. Facci sapere che vuoi impegnarti a giocare con noi; 2. Dicci quanti bambini o ragazzi vorresti coinvolgere nel tuo gioco (un numero approssimativo andrà più che bene, ci serve per tener traccia di quando raggiungiamo il milione!); 3. Crea il tuo gruppo di lavoro ed inizia ad organizzare la tua giornata Playing for Peace! Non porre limiti alla fantasia! 4. Se vuoi essere citato sul nostro sito web, inviaci un paragrafo sull’iniziativa che stai organizzando. Inizia così: “Nome del tuo gruppo/scuola, ecc.” giocherà a “Nome della città, paese” e continua raccontandoci quello che vuoi! Cosa te ne pare? Non vediamo l’ora di averti a bordo! Per qualsiasi domanda, commento o suggerimento contattaci a questo indirizzo: [email protected] 45 al e In te rn az io n 20 14 ET À N I D IS O LI DA RI 19 89 AN 25 FATTI, STORIE E RACCONTI DAL MONDO. DAL 1989. R A U TO R I Solidarietà internazionale da venticinque anni ci permette di allargare i nostri orizzonti e scoprire il mondo, di leggere i fatti con gli occhi degli altri, di abbattere ogni muro di separazione, per costruire la convivialità delle differenze e per fare del mondo una sola famiglia. ABBONATI E SOSTIENI SOLIDARIETÀ Internazionale! A PE Solidarietà Internazionale CO PI ABBONATI subito al bimestrale Solidarietà Internazionale: ITALIA € 30,00 ESTERO € 80,00 SOSTENITORE € 50,00 Bonifico bancario: IBAN: IT 21 Z050 1803 2000 000 00116280 Banca Pop. 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