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AREE PROTETTE
Strategie
per la comunicazione
ambientale dei Parchi
Comunicare l’ambiente, tenendosi a distanza dalle tendenze
documentaristiche televisive di tipo disneyano e da quelle
scientifiche dal linguaggio iperspecialistico, è tutt’altro che
semplice. Considerando che nel nostro Paese si assiste quasi
ad un analfabetismo di ritorno che interessa una bella fetta
di italiani, il quadro in cui cimentarsi è ancora più complesso.
Il direttore del Parco dei Castelli Romani ci illustra un metodo
semplice nei concetti, ma che ha bisogno di un grosso lavoro di
base per raggiungere dei traguardi apprezzabili. Gli oltre 10.000
visitatori che partecipano alle escursioni organizzate dal Parco
rappresentano un patrimonio di influenza e di diffusione della
conoscenza, che va molto al di là del pur interessante indotto
economico prodotto dalle stesse visite. Del resto la comunicazione,
in un quadro ormai piuttosto sfilacciato dal punto di vista delle
gerarchie amministrative, rappresenta uno dei pochi punti di
forza sul quale un Parco può puntare, uno strumento che, se
opportunamente utilizzato, crea partecipazione, consapevolezza
e consenso: la materia prima per dare legittimità amministrativa
a qualsiasi soggetto pubblico, ma in particolare ai Parchi, spesso
additati come portatori di vincoli e limitazioni, che invece – bisogna
spiegare – sono i forzieri da cui attingere ricchezze irriproducibili
e per questo di ancora maggior valore.
Comunicare, in un flusso narrativo nel quale ciascuno possa
riconoscersi e identificarsi, riscoprire le storie, le leggende, i miti,
per coinvolgere i cittadini del luogo e renderli consapevoli che non
sono solo semplici abitanti, ma componenti di una comunità con
un patrimonio denso e articolato, questo è l’obiettivo.
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| di Roberto Sinibaldi
Direttore del Parco dei Castelli Romani
“Il gatto miagola”
Recentemente il linguista Tullio De Mauro ha pubblicato una nuova edizione del suo
libro “La cultura degli italiani. Cultura o incultura?”, da cui risulta che il 70 per cento
degli italiani è pressoché analfabeta (o analfabeta di ritorno): fatica a comprendere
testi, non legge niente, nemmeno i giornali. Di converso il trenta per cento degli
italiani legge un quotidiano e almeno un libro in un anno. Solo un trenta per cento
ha dimestichezza sufficiente con la lingua e l’aritmetica di base. Solo un trenta
per cento ha qualche confidenza con Internet. Solo un trenta per cento capisce
almeno sommariamente le comunicazioni allegate alle bollette che gli arrivano a
casa. L’estratto conto della banca o i bugiardini dei medicinali per tutti gli altri sono
praticamente indecifrabili.
L’esempio che ci propone De Mauro è la frase Il gatto miagola perché vuole il latte: il
5% degli italiani non capisce Il gatto miagola; il 33% capisce solo Il gatto miagola; un
altro 33% capisce tutta la frase, ma non con altre eventuali subordinate; il restante
29% capisce frasi anche più complesse. Si tratta grosso modo dello stesso 30% di
prima. Gli stessi sconfortanti dati ci sono confermati dall’Associazione italiana Editori
(AIE): per quanto riguarda i libri siamo il terz’ultimo Paese europeo per titoli pubblicati
ogni mille abitanti (Portogallo e Grecia dopo di noi); il 45% di giovani e giovanissimi
risultano non lettori e solo meno del 10% degli italiani si possono definire lettori
“abituali”. Più in dettaglio secondo i più recenti dati dell’AIE, i lettori sono circa
19 milioni (il 38% dei nostri connazionali), l’indagine divide questi lettori in cinque
categorie:
• lettori fortissimi (oltre 20 libri/anno) 0,4%;
• lettori forti (11-20 libri/anno) 1,1%;
• lettori medi (6-11 libri/anno) 6,5%;
• lettori deboli (3-5 libri/anno) 15,2%;
• lettori occasionali (1-2 libri/anno) 14,8%.
Gli altri (ovvero più del 60% degli italiani) non legge neppure un libro all’anno. Come
ulteriore conferma l’Istat ci informa che più del 12% delle famiglie italiane non
possiede neanche un libro in casa e questa percentuale è in aumento.
Per quanto riguarda i giornali un’indagine datata 2006 registrò che in Italia si
vendevano 98 copie di quotidiani ogni 1.000 abitanti. I dati di quello stesso anno
relativi alla Francia (160 copie), alla Germania (313), alla Gran Bretagna (332 copie),
già imbarazzanti, culminano con un inconfrontabile 644 copie di quotidiani vendute
ogni 1.000 giapponesi!
A chi ci rivolgiamo?
La sciabolata di dati appena tratteggiata lascia pochi dubbi: da una parte
possiamo “fare comunicazione” in modo canonico per meno di un terzo dei nostri
concittadini, dall’altra bisogna trovare modi e contenuti adatti per gli altri due terzi.
Coloro che sono portati, per cultura e sensibilità personale, sui temi ambientali
potranno essere considerati interlocutori privilegiati, persone pronte a partecipare,
a fare massa critica, ad avanzare proposte, a richiedere informazioni, servizi,
AREE PROTETTE
Una informazione consapevole
e partecipativa per la tutela
dell’ambiente delle Aree protette
14
Strategie per la comunicazione ambientale dei Parchi
AREE PROTETTE
attenzioni specifiche sempre più raffinate. Per la parte complementare a questo
profilo, e che purtroppo – anche per quanto riguarda i temi ambientali – sono la
maggioranza, è necessario elaborare un linguaggio appropriato, scevro da tentazioni
intellettualistiche o specialistiche, amichevole nell’approccio, rigoroso nei contenuti,
piano nel linguaggio. Detto così la formula pare applicabile con pochi problemi,
invece i problemi ci sono, eccome. Bisogna tornare ai tempi del maestro Manzi, di
“Non è mai troppo tardi” e ricominciare ad alfabetizzare la fetta più grande dei nostri
concittadini. Se non lo facciamo, quel trenta per cento che riesce ad interpretare
il foglietto illustrativo di un elettrodomestico (o che legge più di un paio di libri
all’anno) rischia l’esilio culturale in patria, e le strategie politiche del nostro Paese
continueranno tendenzialmente ad essere tarate soprattutto sulle aspirazioni degli
altri due terzi (è più facile, più veloce e più redditizio in termini di consenso).
Per non cadere in questa trappola è necessario avere una scuola che funzioni (e
qui tralascio i parametri che ci relegano, anche questi, tranne rare eccezioni, negli
ultimi posti del mondo occidentale) e una politica culturale generalizzata che si
basi su strategie di lungo periodo, su cui investire in tutti i sensi, compreso quello
economico. Invece, in un mondo dove la ricchezza coincide sempre più con il
sapere, dal 2005 l’Italia è scesa al terzultimo posto per livello d’istruzione fra i trenta
Paesi più industrializzati. Schematizzando un po’ si può sostenere che la cultura
rappresenti un aumento delle opportunità, non solo per il benessere in termini
materiali, ma anche sociali, personali, psicologici… Saltando qualche passaggio si
può sostenere che la cultura è un elemento per ridurre la quantità di beni materiali
di cui riteniamo di aver bisogno, inoltre la cultura migliora la qualità di produzione
di beni e servizi che utilizziamo. In ultima analisi la cultura può sostenere l’assioma
“sobrietà e bellezza”: proprio quello che serve per salvare il paesaggio e l’ambiente.
È chiaro che non possiamo partire dagli assiomi, questi servono però a capire dove
vogliamo arrivare. Per mirare ad una informazione che sia conoscenza, che sia
quindi consapevolezza, che sia quindi partecipazione e infine difesa e tutela, bisogna
Fig. 1
Attività di educazione
ambientale con i ragazzi
delle scuole.
(Foto di Enrico Pizzicannella).
GAZZETTA ambiente n.3• 2010
“Per saper scrivere bisogna aver letto, e per saper leggere
bisogna saper vivere” (Guy Debord)
Il motto di Debord si può ampliare benissimo alla comunicazione, in particolare a
quella del settore ambientale, dove contano assai le esperienze sul campo, le cose
viste, sentite, toccate, vissute. È certo che un montanaro o un pescatore sapranno
del loro ambiente almeno quanto o di più di qualsiasi studioso, magari sapranno
anche comunicarlo meglio. In sostanza le cose vanno vissute e saper vivere
significa mettere passione in quello che si fa, la tensione emotiva si sente, o ce l’hai
o è difficile inventarsela. Da questa constatazione segue che abbiamo bisogno di
gente appassionata (ma anche competente, determinata, paziente), per tutto, ma
in particolare se vogliamo comunicare l’ambiente. Un proverbio africano dice: “Se
volete andare in fretta, andate da soli; se volete andare lontano, andate insieme”.
Noi dobbiamo andare lontano e in fretta. Quindi andiamo insieme a tutti quelli che
mostrano una certa sensibilità e per gli altri cerchiamo di evidenziare quali sono
le convenienze, anche economiche, delle scelte ambientali. Così avremo con noi
rapidamente (e prima che sia troppo tardi in termini ambientali) molte persone.
Obliterare il titolo di viaggio o timbrare il biglietto?
Ecco, direi che vogliamo farci capire e “timbrare il biglietto”. Pagare il pedaggio per
un viaggio che potrebbe portarci lontano o ricondurci al punto di partenza, dipende
da come è impostato.
La comunicazione è un’attività molto conservatrice, tende a confermare e consolidare
i punti di forza di alcuni prodotti e servizi, rielaborando molto poco e quando è proprio
necessario. La comunicazione è per il 10% strategia, il resto è logistica e affinamento
metodologico, insomma mestiere. Le strategie per la comunicazione ambientale
appaiono basate su alcuni temi ricorrenti di tutela e conservazione che promanano
un’idea di immobilismo, quasi sempre percepita come deteriore.
Per il mestiere esistono tutta una serie di indicazioni, alcune anche molto raffinate,
che migliorano sicuramente il risultato. Risultati che hanno anche una loro
misurabilità. Per la comunicazione scritta esiste per esempio un indice di leggibilità,
che per essere migliorato, suggerisce di:
• distinguere le informazioni principali da quelle secondarie;
• scrivere periodi brevi di 20-30 parole;
• evitare gli incisi;
• scrivere articoli di 200-250 parole;
• preferire parole di uso comune;
• usare frasi coordinate piuttosto che subordinate;
• preferire l’ordine soggetto-verbo-complemento nella costruzione della frase;
• usare verbi di modo finito evitando infiniti, participi e gerundi;
• preferire la forma attiva alla forma passiva;
• evitare le forme impersonali;
• usare, quando è possibile, l’indicativo al posto del congiuntivo.
Esiste inoltre tutta una serie di manuali, libri, siti, che possono essere di aiuto per
scrivere. Cito il celeberrimo “Come si fa una tesi di laurea” di Umberto Eco, che per
quanto sia un titolo piuttosto attempato, precedente l’informatizzazione di massa e
mirato alla scrittura di tesi di laurea, andrebbe compulsato da chiunque si arrischi sullo
sdrucciolevole campo dell’italiano scritto. Forme di scrittura, scorrevolezza, ortografia,
AREE PROTETTE
cominciare, con umiltà e determinazione, a elaborare un alfabeto riconosciuto da
tutti. Educare alla conoscenza e essere pronti a ricevere esperienze e altri punti di
vista, anche lontani dai nostri.
La comunicazione è un’attività difficile, quella ambientale lo è in particolare.
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Strategie per la comunicazione ambientale dei Parchi
AREE PROTETTE
lessico, grammatica, sintassi, punteggiatura, dando per scontato che questi siano
i capisaldi – nessuno escluso – per farsi capire quando si scrive, possiamo dare
un’occhiata ai contenuti e ai tic della comunicazione ambientale. Per esempio molto
spesso è assiomatica: “Vieni al Parco per passeggiate tra storia e natura”.
È consigliabile, al contrario, che ci sia sempre qualcosa che faccia pensare, riflettere,
incuriosire, immaginare, scoprire, imparare, non in modo pedante, anche con un gioco.
Per scrivere un testo è ovviamente molto importante sapere con la massima
precisione possibile a chi andrà. Un comunicato stampa, per esempio, ha le
sue regole e le sue piccole tattiche. In una battuta si può dire che è meglio se è
confezionato pronto per essere pubblicato, con tanto di titolo, occhiello, catenaccio,
data, dichiarazione dell’opinion leader, chiusura, foto, didascalia e ovviamente con
tutti i riferimenti di chi l’ha emesso. Ma non basta, al di là del comunicato stesso,
per quanto ben fatto, è molto importante curare il rapporto con chi lo riceve, che è
sempre meglio che sia personale, quando possibile. Una particolare idiosincrasia del
sottoscritto riguarda tutta l’aura dei desideri che spesso permea molti comunicati:
così si tende a presentare un evento; un avvio; un primo passo; una prima pietra;
un monitoraggio; un’analisi; uno studio, ponendo inevitabilmente sempre i verbi al
futuro per tutto quello che segue. Credo sia preferibile la certezza dei fatti, con la
descrizione di quanto realizzato o avvenuto; con conferme di un percorso, di un
processo, coniugando i verbi all’indicativo. Nelle descrizioni è sempre utile essere
chiari, corretti, discreti e “normali”, senza superlativi e punti esclamativi. Ma se il
tema si presta, anche evocativi, seduttivi e, se si riesce, anche sobriamente poetici.
Qualche speziatura sintattica non guasta, in un giusto equilibrio tra contenuti e forma
ci si può concedere qualche lusso lessicale e perfino lo sperpero di qualche idea.
Marketing territoriale
Fig. 2
"Parcomobile" per diffondere
informazioni al pubblico
sull'attività del Parco.
(Foto di Marco Scataglini).
“Vendiamo” un prodotto, anche se il territorio non può essere venduto. La
comunicazione in questo senso rischia di diventare una degenerazione commerciale.
In realtà il marketing è uno strumento (non il fine). È meglio non forzare troppo
l’idea di prodotto e consumo, è antitetico rispetto all’ambiente. Slow food è un buon
esempio di marketing che non logora il prodotto che offre. Anzi ne basa le qualità
sulla produzione ridotta, di nicchia, sulla rarità, sulla difficoltà di approvvigionamento,
sulla stagionalità, sulla localizzazione geografica, insomma tutti requisiti opposti
all’idea della globalizzazione commerciale delle merci. Infatti qui non parliamo più di
merci, ma di un’idea, uno stile di vita.
GAZZETTA ambiente n.3• 2010
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AREE PROTETTE
Tradotti in termini ambientali gli stessi temi faticano ad essere affermati. Di Parchi
si parla abbastanza, soprattutto in televisione. Da una piccola indagine empirica
in alcune scuole del Lazio è scaturito che l’animale più noto ai ragazzi delle scuole
elementari è lo gnu. Questo è proprio il risultato dei documentari televisivi, nei
quali i Parchi sono quelli africani. Molti conoscono il Parco nazionale del Serengeti
in Tanzania, meno quelli che stanno dietro casa. In Italia non c’è mai stata una
“pubblicità progresso” per i nostri Parchi e tolto qualche raro programma televisivo
dove si presentano anche le Aree protette italiane, anche in questo ambito siamo
succubi di un certo esotismo. In molti casi l’ambiente, in particolare la descrizione
della fauna, è comunicata con una deformazione antropomorfa disneyana che
sottrae rigore scientifico alle descrizioni, anche se asseconda l’esegesi etologica dei
telespettatori più distratti.
Più in generale i Parchi sono comunicati con un linguaggio che deriva dalla
loro origine politica, che notoriamente è quella della sinistra. Un archetipo di
conservazione e tutela che seppure da non denegare, va sottratto all’equazione
immobilismo e cristallizzazione. Insomma, secondo i must della nostra società,
incombe un velo di vecchio ciarpame su tutto quello che sa un po’ di stantio e
sorpassato. Questi sono concetti che vanno invece declinati al positivo: i Parchi sono
serbatoi di ricchezza e non concentrati di limiti; giacimenti di culture ed esperienze
diverse, non retaggi di pratiche desuete e antieconomiche. Al contrario sono il luogo
della sperimentazione dello sviluppo sostenibile, o per meglio dire di un progresso
ecologico che metta al centro, come vero asse portante ambientale, i vincoli
esistenti. Sì proprio i vincoli: è solo grazie ad essi che potrò avere servizi e prodotti
migliori in un territorio tutelato, con garanzie di qualità più difficilmente individuabili in
un’area non protetta. Questo ha un significato anche economico ed è compito della
comunicazione ambientale illustrare bene questi passaggi.
Per fare questo bisogna riconquistare le persone all’aria aperta, riconciliarle con il
mondo naturale, convincere parte delle mamme (contrastando imperanti pubblicità
televisive) che se un bambino tocca la terra non è tassativo disinfettargli subito le
mani, che farsi una camminata invece di arrivare in macchina al luogo del picnic può
Fig. 3
Visita guidata al Tuscolo.
(Foto di Giacomo Tortorici).
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Strategie per la comunicazione ambientale dei Parchi
AREE PROTETTE
essere una conquista mentale, oltre che fisica. Su questo versante c’è più di qualche
alleato, proprio perché non tutti vogliono arrivare in vetta con il fuoristrada con i vetri
oscurati. Educare ad apprezzare la natura significa riscoprire la bellezza dei luoghi e
gli snodi culturali che caratterizzano i territori, significa capire dove si abita, il perché
di alcune tradizioni, di alcune caratteristiche, insomma approfondire l’identità di un
posto. Tutto questo trasforma i turisti in sostenitori e difensori di luoghi e concetti,
di nuovo di un’idea, e in fin dei conti di uno stile di vita diverso dal prevalente. Meno
impattante, più consapevole e rispettoso. Perché, come avevamo detto all’inizio, è la
cultura che riduce le pretese degli uomini sulla natura.
La comunicazione ambientale può fare molto in questo senso: per esempio far
balenare l’ipotesi che oltre le spiagge estive (unico luogo seminaturale frequentato in
massa dagli italiani), esistono altri luoghi naturali da conoscere, come le Aree protette.
Di converso e parlando in generale, è vero che il turismo è il primo settore
commerciale del mondo per espansione (terzo per margini di profitti dietro il
petrolio e il traffico d’armi). È vero che in moltissimi casi il turismo è l’industria del
viaggio di piacere, nella quale le tradizioni si mutano in folklore improbabile, con
un’insopprimibile esigenza di rendere eterna la rovina, mummificandola: in questi casi
il turismo non è una risorsa, ma una forma avanzata di imperialismo basato sulle
disparità geo-economiche dei luoghi di provenienza e da visitare.
Al contrario nei Parchi facciamo perno sulla maggiore sostenibilità del turismo
ecologico, per il quale, se è quasi boom in Italia (vedi l’ultimo rapporto Ecotour: un
mercato da 10 miliardi annui per le Aree protette del nostro Paese), rimangono tagliate
fuori molte aree della penisola, per le quali un netto miglioramento dell’economia
locale potrebbe innestarsi sul miglioramento dei servizi ricettivi offerti, passando
attraverso una buona comunicazione ambientale e, ovviamente, una rigorosa politica
territoriale che privilegi salvaguardia e tutela. Un posto di lavoro in questi settori
costa almeno venti volte meno di uno nell’industria chimica (senza considerare i costi
economici dei devastanti impatti ambientali della seconda). Non si tratta di azzerare
l’industria e trasformare tutto in turismo, ma certo dove l’industria non è arrivata può
essere vantaggioso saltare questo passaggio e mettere a frutto i filoni auriferi delle
nostre risorse storico-ambientali, con servizi evoluti basati sulle varie forme della
comunicazione e dell’accoglienza: poche infrastrutture leggere (quaternario avanzato
inteso come servizi telematici evoluti) ad alta redditività. Tentativi in questo senso ne
sono stati fatti, certo, spendendo anche cifre ingenti. Troppi sono apparsi slegati e
quasi mai condotti dalla mano pubblica. Una delle prime leggi sui “giacimenti culturali”
del nostro Sud risale al lontano 1987, ma già quella non ebbe particolare fortuna.
Comunicare, informare, raccontare, narrare…
La comunicazione ambientale indubbiamente soffre di una sindrome drammatizzante
per la quale i media concedono spazio solo in caso di catastrofi, buco dell’ozono,
scioglimento dei ghiacci, caos climatico, tsunami e cose del genere. Talvolta il
linguaggio è pari al contenuto: frana killer, alluvione assassina, eruzione imprevista.
Tralasciando gli ormai ovvi elementi di riflessione che rischiano di presentarsi come
stucchevoli e ripetitivi sui costi della prevenzione (e comunicazione) rispetto a quelli
dei disastri, qui vorrei tratteggiare alcune semplici evidenze per proporre l’ambiente
in termini positivi e attraenti. Innanzitutto è necessario superare il muro del suono di
sottofondo che la ridondanza comunicativa della nostra epoca produce; occorrono
parole semplici per raccontare un mondo sempre più complesso, senza banalizzarlo. La
spettacolarizzazione può essere anche utilizzata, ma in termini positivi e per esaltare temi
sempre un po’ negletti, come biodiversità, conservazione, sviluppi possibili. Un bosco ha
un intrinseco valore ecologico, quando lo vogliamo dire? I Parchi mantengono il futuro,
bisogna inventare slogan, parole d’ordine chiare e immediate; infondere consapevolezza,
conoscenza, educazione. I Parchi dovrebbero comunicare innanzitutto la cultura che li ha
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AREE PROTETTE
generati e che tra molte difficoltà ne sostiene il funzionamento. E se la cultura è tutela,
la tutela non sono (solo) i Parchi, ma, molto in prospettiva, la loro soppressione, perché
inutili in un territorio che dovrebbe essere tutto parimenti tutelato.
Per arrivare a questo bisogna informare, raccontare, narrare le storie affinché si
riuniscano nella storia del luogo; incuriosire, dipanare leggende, accarezzare miti,
ritornare all’orgoglio dell’appartenenza. L’obiettivo è ampliare il numero di coloro
che riescono a leggere la storia di un luogo dai colori di un bosco. Il correlato
automatico è la creazione di ricchezza ecologica, di consapevolezza ambientale, di
partecipazione alle scelte di politica territoriale.
Fig. 4
Barca didattica
sul Lago di Albano.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
I programmi del Parco dei Castelli Romani
Negli ultimi tre anni al Parco abbiamo messo a punto un sistema di visite guidate,
diversificate per le scuole e gli adulti (www.cose-mai-viste.it e www.terre-latine.it).
Siamo arrivati così a 500 proposte di visite l’anno cui partecipano circa 12.000
persone, con una ricaduta stimata di almeno 100.000 euro l’anno. Una buona base
che ci consente un’ambiziosa concretezza sia per ampliare ancora il ventaglio
dell’offerta, sia per lavorare sulla comunicazione ambientale. Il Parco, insieme
Fig. 5
Trekking someggiato
alla Collina degli asinelli.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
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Strategie per la comunicazione ambientale dei Parchi
AREE PROTETTE
all’Agenzia regionale Parchi, ha organizzato diversi corsi per fornire ai partecipanti,
in genere le potenziali guide delle visite guidate, tecniche di comunicazione, metodi
di interpretazione ambientale, oltre a tutta una informazione di base in termini di
minuta conoscenza territoriale. I giovani delle circa 40 Associazioni che collaborano
con il Parco per le visite guidate sono diventati così, oltre che preziosi collaboratori,
esportatori di conoscenze e sensibilità diffuse in termini ambientali. Persone che
sanno coniugare stile e sostanza, forma e contenuto, discrezione e autorevolezza.
A proposito di comunicazione, a volte stride il confronto con più paludati
rappresentanti pubblici, ai quali, se non hanno avuto la grazia di ricevere un minimo
carisma dialettico, non resta altro che dire ciò che pensano, il che significa anche,
purtroppo, che pensano ciò che dicono e lì spesso cominciano i guai. Anche se noi
tutti siamo avvezzi a guardare le cose con occhi addestrati al paradosso, gli assalti
di parole di persone che dicono moltissimo e non spiegano niente risultano logoranti.
Nel caso del Parco dei Castelli Romani circolavano bracciate di false informazioni, dalle
più classiche leggende del ripopolamento di vipere fino a pretesi espropri di pollai!
Terrorizzare le persone più semplici: dire l’incredibile, fare l’improbabile, come se la verità
non avesse alcuna relazione con la realtà. E – scartando l’inettitudine – non resta che la
malafede, per campagne antiparco nelle quali una sinistra svuotata di strumenti ideologici,
in parte rassegnata sulle necessità di uno sviluppo basato sul profitto, si contrappone
blandamente a una destra senza ideologia, ma conformata a quello stesso profitto.
Il Parco in tutto questo vive una forte asimmetria informativa, che tuttavia può essere
recuperata. Consapevolmente ingenui e ragionevolmente presuntuosi, non disposti
ad accettare come normale ciò che è solo abituale, stiamo proponendo sempre più il
Parco come un’agenzia valoriale che produce attività ad alto tasso di utilità ambientale.
Il Parco dovrebbe offrire sempre più una precettistica morale che coincide con il diritto
naturale, basata su un substrato antropologico che è il “senso comune” sulla natura.
Non è ulteriormente tollerabile la logica che riduce tutto a merce, compresi il cielo
e la terra. Questi discorsi hanno una loro dimostrabilità che si può sviluppare con la
stessa coerenza di una teorema matematico, il problema è che bisogna utilizzare
lo stesso alfabeto, gli stessi codici cognitivi, essere disposti a recuperare la
memoria del passato, interrogarsi sul futuro, agire nel presente; abbandonare ogni
circolarità autoreferente, la mossa furba, la tolleranza, la regola fluttuante. È utile un
anticonformismo non esibizionistico, che trasformi il buon senso in senso corrente e
tralasci comportamenti erratici di chi giudica senza comprendere o peggio distrugge
senza conoscere, quasi sempre per interessi personali.
Fig. 6
Visita guidata alla Collina
degli asinelli.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
GAZZETTA ambiente n.3• 2010
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Al Parco dei Castelli Romani è stato organizzato un ufficio stampa che è
praticamente partito da zero tre anni fa. Nell’ultimo anno sono stati emessi circa 250
comunicati stampa, inviati alle principali testate locali e a qualcuna anche nazionale,
sia cartacee che telematiche. L’ufficio si occupa anche della rassegna stampa e
tiene sotto controllo i risultati di comunicati e relativi articoli, tramite uno specifico
data base. È possibile così avere degli indicatori di processo, ossia il ritorno sulla
stampa dei comunicati emessi, ma sono monitorati anche i risultati qualitativi degli
articoli conseguenti. È di tutta evidenza infatti che più che il numero degli articoli è
utile avere un ritorno di stampa positivo. I riscontri sono piuttosto incoraggianti, sia
numericamente, sia per i giudizi espressi sul Parco.
Ad un numero limitato di utenti istituzionali (circa mille) o che l’hanno richiesta, tramite
una mailing list, viene inviata una rassegna stampa settimanale. La stessa rassegna
stampa è comunque consultabile e scaricabile dal sito del Parco.
Nel contempo il Parco ha organizzato la sua presenza sul web. Attualmente sono
operativi quattro siti Internet con varie specializzazioni, il più importante dei quali
è www.parcocastelliromani.it. Tra le altre cose, come previsto dalla legge, l’Ente
dispone di un Albo pretorio on line, della Posta elettronica certificata (Pec) e sono
pubblicati tutti gli atti, le delibere, la modulistica, i Nulla Osta, le leggi, i regolamenti,
la cartografia del Piano di Assetto e tutti gli studi, le analisi, le ricerche, le foto, i
video, le informazioni, che caratterizzano il territorio del Parco. Gli accessi del mese
di aprile 2010 hanno superato i 30.000 visitatori.
Una caratteristica del sito del Parco è quella del copyleft, per cui tutti i documenti,
sono liberamente scaricabili. La ragione deriva dalla convinzione che “migliorare
l’ambiente” significhi anche far circolare liberamente le idee, le informazioni, le
esperienze e, se ce ne sono, qualche buona pratica. Così si può arrivare alla
generosa creazione di valore aggiunto sociale.
Si capovolge in questo modo il concetto di “diritto d’autore” – il copyright – per
trovarci, con un gioco di parole nel copyleft, che al contrario indica il “permesso
d’autore”. In pratica è il Parco stesso che incentiva la circolazione, lo scambio
e l’utilizzazione delle informazioni che ha prodotto, con l’unico vincolo che chi le
utilizzerà dovrà usarle esattamente negli stessi termini di come sono state proposte
dall’Ente Parco e sempre con l’indicazione della fonte.
Il documento che nasce con il marchio copyleft, può essere copiato e distribuito da
chiunque, ma sempre con l’obbligo della gratuità. Nessuno può brevettarlo, utilizzarlo
AREE PROTETTE
La pratica quotidiana
Fig. 7
Visita guidata all'emissario
del Lago di Nemi.
(Foto di Roberto Sinibaldi).
Fig. 8
Visita guidata all'emissario
del Lago di Nemi.
(Foto di Stefano Caredda).
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Strategie per la comunicazione ambientale dei Parchi
AREE PROTETTE
a sua volta come “prodotto originale” o impadronirsene a fini di profitto. I documenti
copyleft appartengono al dominio pubblico, possono essere diffusi, ma non per fini
commerciali. In un mondo in cui uno dei maggiori strumenti di potere è il sapere, un
Ente pubblico come il Parco dei Castelli Romani mette a disposizione tutte le proprie
informazioni e conoscenze.
Il Parco ha inoltre una propria casa editrice e un proprio giornale. Per la prima
sono usciti alcuni libri e guide che sono stati posti in vendita; il giornale invece è a
diffusione gratuita e composto in un agile formato di stampa.
Carte della sentieristica, guide turistiche, opuscoli di vari formati completano
i materiali informativi, alcuni dei quali sono posti in vendita con un prezzo di
copertina che consente il pareggio economico e quindi agevoli ristampe in caso di
esaurimento.
Un calendario di grande formato, con temi che annualmente cambiano, viene
stampato con l’ausilio di uno sponsor. Alcune edizioni, come quella sui tram dei
Castelli Romani, sono andate letteralmente a ruba.
Oltre a convegni, corsi, seminari, concorsi, i contatti diretti con il pubblico sono
tenuti tramite il centralino dell’Ente, il numero verde e un centralino esclusivamente
dedicato alle prenotazioni delle visite guidate. Una mailing list di circa settemila
contatti completa le ramificazioni. Una pagina su Facebook, con il più alto numero
di iscritti tra le Aree protette in Italia (oltre 1.300 iscritti), getta un ponte con chi ci
segue da casa. Il Parco inoltre è autore sia delle pagine di Wikipedia che di alcuni
video inseriti su Youtube.
Il sito istituzionale vanta delle presentazioni del Parco in 14 lingue, tutte traduzioni
realizzate gratuitamente da sostenitori dell’Area protetta sparsi per il mondo. Ci
sono inoltre videointerviste, l’esposizione dei gadget (alcuni a pagamento) che sono
comunque esposti fisicamente anche nel “parcomobile” un pulmino appositamente
attrezzato che gira dappertutto e che in maniera agile e veloce serve come vetrina di
esposizione del Parco. L’Ente è anche proprietario di una barca didattica da 24 posti,
utilizzata in visite guidate sul Lago di Albano, sempre piuttosto affollate.
I contenuti dell’attività di comunicazione, qui appena sunteggiati, sono presentati in
un rapporto annuale cartaceo, a distribuzione gratuita, che fornisce informazioni
sulle attività dell’Ente e rende verificabile da chiunque come sono stati spesi i soldi
dei contribuenti e con quali risultati.
La forte azione nell’ambito della comunicazione semplifica sicuramente la possibilità di
proporre il Parco come un soggetto trainante sul piano dell’immagine, soprattutto come
garante in campo ambientale. Ecco quindi la partecipazione di privati a vari progetti che
hanno apportato introiti nelle casse dell’Ente dell’ordine di molte decine di migliaia di
euro. Si sono colti così risultati interessanti, ma non quanto sarebbe stato possibile con
un’azione più sistematica affidata a figure specifiche da reperire nell’organico dell’Ente. Il
fund raising ha ancora potenzialità che potrebbero essere esplorate.
Una prospettiva di lavoro
Tutto questo è fatto con inventiva e leggerezza facendo tesoro delle esperienze
maturate. Probabilmente una comunicazione troppo analitica e razionale può
apparire pesante, forse anche fastidiosa, allora forse è meglio rimodulare la
prospettiva e accogliere anche il piano più emotivo, irrazionale, dell’animo umano.
Spostare l’accento sui concetti di amore per la natura, piuttosto che solo di rispetto;
di azione, piuttosto che di responsabilità; di cosa posso fare io, piuttosto che di che
cosa si può fare; di possibilità piuttosto che di limite. Forse è meglio chiarire che non
è il pianeta che deve essere salvato, ma le persone che ci stanno sopra. Messo così
il problema è affidato all’intuizione irrazionale piuttosto che alla esegesi cognitiva.
Sullo sfondo rimangono coloro che hanno obiettivi diversi o scarsa consapevolezza.
Il grimaldello per avvicinarci è quello di far coincidere i valori con gli interessi.
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aree protette - Parco Regionale Valle del Treja