14 OTTOBRE 2015 L’autonomismo federale di Luigi Sturzo, dirigente dell’ANCI di Andrea Piraino Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Università degli Studi di Palermo L’autonomismo federale di Luigi Sturzo, dirigente dell’ANCI* di Andrea Piraino Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Università degli Studi di Palermo Sommario: 1. La nuova prospettiva politico-istituzionale dell’ autonomismo federale e l’ingresso di Sturzo in ANCI. 2. Il realismo politico–amministrativo di Sturzo carta vincente della nuova ANCI contro il massimalismo e lo statalismo. 3. Il Consiglio direttivo dell’ANCI come “gruppo di lavoro” teso alla riorganizzazione dell’amministrazione periferica nazionale. 4. L’acquisizione da parte dell’ANCI di una sensibilità meridionalistica improntata all’autonomia responsabile ed al riscatto della subalternità sociale e politica del Mezzogiorno. 5. Il ruolo decisivo di Sturzo per il rilancio dell’Associazione dei Comuni e l’adozione della linea di collaborazione e cooperazione dell’ANCI con lo Stato. 6. La secessione dall’ANCI dei Comuni a guida socialista e l’azione di Sturzo per una ricomposizione dell’unità istituzionale dell’Associazione. 7. Il XIV Congresso dell’ANCI dall’idea della rifondazione dell’Associazione alla debàcle della linea politica proposta da Sturzo per una riforma tributaria dei Comuni “a coordinamento” statale. 8. La rottura nel Consiglio direttivo dell’ANCI sul ddl Soleri ed il protagonismo politico del nuovo presidente, Teofilo Rossi, in favore di una apertura al Fascismo. 9. La decadenza dalla vice-presidenza dell’ANCI chiude il ciclo della narrazione autonomistica e federale di Sturzo e consegna l’Associazione dei Comuni al centralismo statalistico del Fascismo. 1. La nuova prospettiva politico-istituzionale dell’ autonomismo federale e l’ingresso di Sturzo in ANCI. Come ha scritto il cronista del Convegno celebrativo del cinquantesimo anniversario della morte di Luigi Sturzo di fronte ai tanti patrocini che l’evento poteva vantare, alla singolare compresenza di istituzioni civili e religiose partecipanti e, soprattutto, alla molteplicità di personalità laiche e confessionali che erano presenti : “don Luigi Sturzo, del resto, era don Luigi Sturzo “ 1. Saggio destinato al volume celebrativo del centenario dell’elezione di Luigi Sturzo a Vice-presidente dell’ANCI di prossima pubblicazione a cura del Centro Documentazione e Studi dei Comuni Italiani (ANCI-IFEL).. 1 GIUSEPPE ANASTASIO, Attuali ed attuabili: così gli ideali di don Sturzo in La Sicilia del 29 settembre 2009. * 2 federalismi.it |n. 19/2015 Dunque, nessuna celebrazione poteva e può essere mai veramente all’altezza del pensiero e dell’azione di quest’uomo che per tutta la sua vita fu uno straordinario protagonista della storia d’Italia sia sotto il profilo ecclesiale che sociale e politico. Ma è soprattutto sotto quest’ultimo aspetto che la storia di Sturzo lascia stupefatti per la capacità anticipatoria del suo pensiero e la efficacia ‘rivoluzionaria’ della sua azione. Basti considerare che ancora oggi si fa molta fatica, primo, a comprendere e, poi, a declinare che l’autonomismo non è la ricerca e la celebrazione dell’autorefenzialità delle singole istituzioni ma la condizione di base per la realizzazione di un rapporto interistituzionale collaborativo, cooperativo, federale. Luigi Sturzo, invece, questa prospettiva l’aveva ben chiara e la perseguì fin dalla sua famosa relazione in ordine al Programma municipale letto al I Convegno dei consiglieri cattolici siciliani tenuto a Caltanissetta nel novembre del 1902 2 nella quale la rivendicazione del rafforzamento dell’autonomia e quindi della riforma legislativa dei Comuni era avanzata “entro una precisa concezione teorica relativa al rapporto intercorrente fra lo Stato e gli altri organismi naturali della società” 3. In altre parole, all’interno di una visione nella quale i Comuni, con la loro autonomia, non avrebbero dovuto sostituirsi allo Stato – come poteva suggerire un richiamo retorico all’antica condizione della tradizione medievale – ma costruirlo dal basso attraverso l’esercizio dei propri diritti nel rispetto, comunque, di un giusto equilibrio tra sfera comunale e sfera statale. Sotto altro aspetto anch’esso anticipatorio, ciò costituiva poi la risposta alternativa non solo alla concezione panstatale che aveva plasmato fin dall’inizio del Risorgimento, come un dogma assoluto, l’organizzazione dello Stato liberale ma anche alla sfida della prospettiva libertaria dell’autogoverno dei Comuni che il Partito Socialista Italiano (PSI) perseguiva d’accordo con i Radicali ed i Repubblicani che, subito dopo l’unificazione nazionale, si erano posti alla testa di quello che alla fine dell’ottocento sarebbe diventato il Movimento Municipalista Italiano. Per Sturzo, insomma, la lotta per i Comuni non poteva iscriversi all’interno dello slogan “conquistiamo i Comuni” dei primi socialisti rivoluzionari che, sulla scia di Andrea Costa e Giovanni Rossi, teorizzavano un Comune privo di qualsiasi riferimento ai suoi compiti ed alla sua natura Il programma municipale fu stampato in opuscolo per decisione del Convegno stesso e Sturzo vi antepose come introduzione un appello “ai Consiglieri Cattolici Siciliani”. V. Programma municipale. Deliberazioni e voti del I Convegno di Consiglieri Cattolici Siciliani, tenuto a Caltanissetta lì 5,6,7 novembre 1902, Tip. A. Giustiniani, Caltagirone, 1903. 3 LUIGI STURZO, “La Croce di Costantino”. Primi scritti politici e pagine inedite sull’Azione Cattolica e sulle Autonomie locali, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1958, 274. Sul punto, v. la voce Autonomie di UGO DE SIERVO in Lessico Sturziano a cura di ANTONIO PARISI e MASSIMO CAPPELLANO, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2013, 61. 2 3 federalismi.it |n. 19/2015 amministrativa 4 . E né meno delle tematiche elitarie che fino ad allora erano state agitate ed avevano caratterizzato il Movimento Cattolico. Per il prete di Caltagirone, invece, il pensiero autonomista ed il Movimento delle Autonomie dovevano occuparsi dei problemi concreti della gente, concepiti come diritti inviolabili funzionali agli interessi municipali. Così come avevano cominciato a fare i socialisti riformisti che con Claudio Treves ormai sostenevano la nuova funzione modernizzatrice del Comune non più prolungamento della politica governativa ma artefice autonomo del progresso civile ed economico del territorio e,che, soprattutto, con i Radicali ed i Repubblicani avevano dato vita il 17 ottobre 1901, nel I Congresso celebrato a Parma, all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), abbandonando l’idea dei loro compagni massimalisti di costituire la Lega dei Comuni quale organismo di “resistenza collettiva” ed imboccando la via della mediazione politica tra centro e periferia 5. Ed è infatti proprio quest’ultima la vera prospettiva politico-istituzionale nuova che Luigi Sturzo porta al proscenio della storia del Paese con il suo ingresso nell’agone politico nazionale, fino ad Cfr. ERNESTO RAGIONIERI, Accentramento ed Autonomie nella Storia dell’Italia unita in ID, Politica e Amministrazione nella storia dell’Italia unita, Ed. Riuniti, Roma, 1979, 205 ss.. In particolare, sul pensiero municipalista di ANDREA Costa, cfr. ETTORE ROTELLI, L’autonomia comunale nel pensiero e nell’azione di A. Costa in ALDO BERSELLI (a cura di), A. Costa nella storia del socialismo italiano, Il Mulino, Bologna, 1982, 109 ss.. 5 Com’è noto, dopo una prima iniziativa assunta (il 21 febbraio 1900) dal consigliere socialista di Parma, Ferdinando Laghi, che propose la costituzione di una Lega dei Comuni per contrastare l’invadenza sempre più accentratrice dello Stato e la successiva delibera (del 7 marzo 1900) del Consiglio comunale di Milano adottata su proposta dei consiglieri repubblicani, Bartolo Federici e Placido Marensi, perché la Giunta si adoperasse al fine di costituire un’Associazione di Comuni, il sindaco radicale di Milano, Giuseppe Mussi, inviò una lettera ai sindaci dei Comuni italiani con la quale comunicava loro l’intenzione di costituire un Movimento per affermare l’autonomia comunale aldilà delle diverse posizioni politiche ricoperte. Successivamente, il 23 giugno 1900, si tenne a Firenze una riunione di sindaci dove, però, la diffidenza tra moderati ed estremisti paralizzò ogni decisione. Finalmente il Comitato promotore, che nel frattempo si era costituito a Milano, dette incarico al sindaco di Parma, Giovanni Mariotti, di convocare nella sua città per il giorno 17 ottobre 1901 il I Congresso dei Comuni italiani. All’assise aderirono 1044 Comuni mentre la partecipazione diretta fu di 674 Comuni. Alla fine dei lavori furono eletti: presidente, il radicale Mussi; vice-presidenti, il radicale Mariotti ed il repubblicano Martino (sindaco di Messina); segretario, il socialista Caldara. Per la ricostruzione delle vicende fondative dell’ANCI, v. GABRIELE DE ROSA, La nascita dell’Associazione dei Comuni, Cinque lune, Roma, 1962 ed ID., L’ANCI nella lotta per le Autonomie locali in ROBERTO RUFFILLI e MARIA SERENA PIRETTI (a cura di), Per la storia dell’ANCI, Stampa StilGraf, Roma, 1986, 13 ss. ; ROBERTO RUFFILLI, Alle origini dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani in ROBERTO RUFFILLI e MARIA SERENA PIRETTI (a cura di), Per la storia dell’ANCI, cit. , 23 ss. ; MARIA SERENA PIRETTI (a cura di), La fondazione dell’ANCI. Rassegna di documenti in ROBERTO RUFFILLI e MARIA SERENA PIRETTI (a cura di), Per la storia dell’ANCI, cit., 37 ss. ; OSCAR GASPARI, L’Italia dei Municipi, Donzelli Editore, Roma, 1998, 41 ss.; ID., Cento anni di storia dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani: 1901-2001, Società Tipografica Romana, Pomezia (Roma), 2001; UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2004, 28 ss.. 4 4 federalismi.it |n. 19/2015 allora dimidiato tra i sostenitori della linea di accentramento statale sostenuta dalle forze governative guidate dalla Destra storica e dai Partiti liberali moderati ed i fautori dei Partiti estremisti che in funzione antiborghese perseguivano il trasferimento della macchina statale nelle mani del proletariato e, come “aspetto specifico di una concezione ‘integrale’ del socialismo”, l’affermazione dell’autogoverno locale 6. Per Sturzo, come cennato, invece, l’obbiettivo da perseguire è il riconoscimento dell’autonomia dei Comuni e la realizzazione del decentramento dello Stato nell’ambito dell’ordinamento nazionale e secondo un criterio di armonizzazione dei reciproci interessi. In ciò riprendendo un vecchio insegnamento del suo ideale maestro, Gioacchino Ventura, che proponeva il decentramento non tanto come strumento tecnico di carattere politicoamministrativo per realizzare un ordinamento (italiano) di tipo federale o confederale ma quale declinazione del principio di sussidiarietà applicato ante litteram 7. Come ha scritto al tal proposito Eugenio Guccione, Ventura e Sturzo insistevano “sulla convenienza che Società e Stato garantissero la specifica attività dei gruppi e degli enti minori e intermedi, ne regolassero il rispettivo funzionamento per assicurare, nell’armonia generale dei mezzi e dei fini, la realizzazione del bene comune e prestassero loro ogni aiuto e protezione per metterli in grado di operare in condizioni di autosufficienza” 8. Anzi, per Ventura è nell’ordine naturale delle cose la “conciliazione tra il Potere supremo e il potere delle minori e inferiori comunità”, il “rispetto per tutte le associazioni e tutti i poteri subalterni del paese”, il “riconoscimento della libertà e dell’autonomia della famiglia, del Comune, di altri enti e società maggiori o minori”9. Sturzo parte da qui, da questa certezza. Dalla convinzione che è “tempo ormai di comprendere come gli organismi inferiori dello Stato – Regione, Provincia, Comune – non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono aver vita propria, che corrisponda ai bisogni dell’ambiente, che sviluppi iniziative popolari, di impulso alla produzione ed al commercio locale”. Che, in altri termini, siano enti autonomi, centri di autogoverno. Con potere proprio. Ma MAURIZIO DEGLI INNOCCENTI, Il Comune nel socialismo italiano dalla fine dell’800 al primo dopoguerra in ID. (a cura di), Le sinistre ed il governo locale in Europa dalla fine dell’800 alla seconda guerra mondiale, Nistri Lischi, Pisa, 1984, 12. 7 Per una diretta base di conoscenza del pensiero del filosofo palermitano, v. GIOACCHINO VENTURA, Il potere pubblico. Le leggi naturali dell’ordine sociale (1859), nell’edizione a cura di EUGENIO GUCCIONE, Ila Palma, Palermo, 1988. 8 EUGENIO GUCCIONE, Dal federalismo mancato al regionalismo tradito, Giappichelli, Torino, 1998, 10 ss.. Di EUGENIO GUCCIONE v. anche Municipalismo e federalismo in Luigi Sturzo, Società Editrice Internazionale, Torino, 1994. Sul punto v. pure FRANCESCO MALGERI, Il meridionalismo di Luigi Sturzo in LUIGI STURZO – ANTONIO GRAMSCI, Il mezzogiorno e l’Italia (a cura di GIAMPAOLO D’ANDREA e FRANCESCO GIASI ), Edizioni Studium, Roma, 2013, in particolare 38. 9 GIOACCHINO VENTURA, Il potere pubblico, cit. , 221 e ss.. 6 5 federalismi.it |n. 19/2015 non divergente dallo Stato. Bensì convergente. Insomma, che siano dotati di autonomia federalista in grado di tenere unite le varie parti del territorio all’interno di un ordinamento comunitario che li colleghi finanziariamente ed economicamente e soprattutto assicuri loro una legislazione omogenea 10. Queste sono le linee fondamentali del binario su cui Sturzo si lancia, prima, per entrare e, poi, per guidare l’Associazione dei Comuni Italiani nella lotta divenuta indifferibile contro lo Stato. Egli si presenta come il partigiano delle rivendicazioni autonomistiche ma nell’attenta ricerca del giusto equilibrio tra competenze comunali e statali. Afferma la necessità che ai Comuni si riconosca l’autonomia ma la collega alla responsabilità. Considera il Comune “con estremo riguardo, in quanto ente più concreto tra quelli pubblici in ragione dello stringente legame che qui unisce il popolo all’autorità legittima” 11 . Valuta che si tratti di un patrimonio che non deve essere perduto riducendo il Comune a mero “organo amministrativo”. 2. Il realismo politico–amministrativo di Sturzo carta vincente della nuova ANCI contro il massimalismo e lo statalismo. Per tutto questo, dopo l’impegno diretto nell’amministrazione comunale di Caltagirone e molto prima di scommettersi nell’organizzazione del Partito Popolare Italiano (PPI), Sturzo invita, proprio al Convegno di Caltanissetta, i consiglieri comunali siciliani ad impegnarsi direttamente nell’ANCI ed a fare aderire anche i loro colleghi con l’obbiettivo, che per il sacerdote calatino è già un fine strategico, di affermare “le nostre idealità in nome del partito democratico cristiano e di concorrere alla rivendicazione di diritti così importanti e vitali per la vita municipale”. Nonostante l’Associazione fosse stata promossa e fosse diretta da persone aderenti a “partiti estremi” è doveroso – affermava Sturzo12 – parteciparvi e sostenerla “perché l’ideale che essa prosiegue è il nostro ideale, prima che da essi, sostenuto da noi, che abbiamo sul riguardo criteri più esatti, mire più obiettive e disinteressate, principi solidi, una gloriosa tradizione storica e, per quanto platoniche in pratica, affermazioni non di ieri dei diritti dei Comuni contro la invadenza dello Stato”. LUIGI STURZO, Nord e Sud. Decentramento e Federalismo in Il Sole del Mezzogiorno, 31 marzo – 1 aprile 1901 ora in ID., La Regione nella Nazione (1949), Zanichelli, Bologna, 1974, 318 ss.. 11 Luigi Sturzo, Consiglieri, assessori, sindaci in Il Popolo, 25 giugno 1948 ora in ID., La Regione nella Nazione, cit., 388 ss.. 12 IL CROCIATO (pseudomino di L. Sturzo), Autonomie comunali in La Croce di Costantino, 8 giugno 1902, pag. 1. 10 6 federalismi.it |n. 19/2015 L’adesione dei Comuni all’ANCI e la crescita di quest’ultima non furono però poco ostacolati. Innanzi tutto, dall’azione di numerosi prefetti che pretestuosamente bocciavano la spesa dei Comuni per il pagamento della quota d’iscrizione all’Associazione e, poi, dall’indirizzo di una parte (quella socialista) della stessa dirigenza dell’ANCI che, per un verso, portava avanti una linea politica di contrapposizione frontale allo Stato così alimentando la scarsa fiducia che già molte amministrazioni cattoliche e moderate nutrivano nei confronti dell’Associazione dei Comuni e, per un altro verso, tendeva – nella speranza di preservarne una presunta purezza – a mantenere lontane le altre componenti politiche e segnatamente quella cattolica. Ne fu un esempio emblematico, di quest’ultima linea, lo scontro provocato al II Congresso di Messina (1902) dal senatore socialista e pro-sindaco di Catania, Giuseppe De Felice Giuffrida, che durante il suo intervento sulle municipalizzazioni interruppe Sturzo gridando: “ecco l’uomo di Palagonia”, intendendo con senso di scherno additarlo all’Assemblea per la sua responsabilità di non essere riuscito a chiudere la trattativa a favore dei contadini che si erano a lui affidati per l’affitto dei fondi rustici dell’ex Stato di Palagonia. Sturzo, come riportano le cronache del tempo 13 , nel trambusto generale che si determinò al riecheggiare dell’accusa del De Felice, balzò su una sedia ed in piedi si rivolse all’Assemblea per spiegare come erano andati i fatti e così smentire il parlamentare socialista. Il suo discorso fu così puntuale ed al tempo stesso così appassionato che gli applausi scrosciarono calorosi al punto tale da costringere l’incauto pro-sindaco di Catania a cercare di recuperare quella che si era rivelata una infelice invettiva, dichiarandosi addirittura disponibile a votare l’odg che Sturzo aveva annunciato sulle municipalizzazioni se il prete di Caltagirone avesse consentito di includere anche le terre di proprietà comunale e delle Opere pie. Naturalmente, quest’esito alla fine conciliante dello scontro assembleare tra i due amministratori siciliani non significò il superamento da parte di De Felice e della sua componente politica del settarismo che li caratterizzava e che impediva loro di cogliere le innovative soluzioni che Sturzo portava avanti come, ad esempio, la proposta di cooperazione che, seppure a Palagonia era fallita per l’intervento ostativo della mala politica, avrebbe costituito lo strumento per risolvere “nell’avvenire molti dei problemi riguardanti i rapporti tra capitale e lavoro”14. Fece chiaramente intendere, però, che la linea sturziana non era per nulla velleitaria e soprattutto che poteva riscuotere il consenso oltre che della gente anche degli amministratori locali. Consenso che, però, V. La Gazzetta di Messina del 10-11 novembre 1902. LUIGI STURZO, Strascichi del Convegno dei Sindaci in La Gazzetta di Messina, 14–15 novembre 1902 ora in ID., La Regione nella Nazione, cit., 342. Sull’idea di cooperazione in Sturzo v. quanto scrive EUGENIO GUCCIONE in Luigi Sturzo nella collana Il pensiero dei Padri costituenti de Il Sole 24 ore, Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD), 2013, 20 ss.. 13 14 7 federalismi.it |n. 19/2015 non fu sufficiente a Sturzo per entrare negli organi direttivi dell’ANCI né meno a seguito del III Congresso celebratosi a Roma dal 22 al 24 novembre 1903 e che vide la linea moderata ancora soccombente anche se su alcuni punti specifici socialisti e democristiani avevano fatto registrare una certa convergenza. Convergenza che era stata possibile perché Sturzo aveva ancorato la sua lotta municipalista non alla proclamazione astratta “dei mali che ci rovinano” o “del tocca sana costituito dal Movimento cattolico” ma alla concretezza dei problemi che investono la società e le sue istituzioni a cominciare da quelle comunali. E qui viene alla ribalta un altro fondamentale aspetto caratterizzante l’azione politica di Sturzo: il suo realismo amministrativo che lo avrebbe portato ad opporsi allo statalismo su un terreno affatto nuovo e ‘vincente’. Il problema diventava però, allora, l’assunzione di questa prospettiva e la sua trasformazione in indirizzo strategico da parte dell’ANCI. Sturzo vi lavorava già dal Congresso di Messina ma la svolta avviene con il IV Congresso di Napoli nel 1904. Qui per la prima volta, la linea di privilegiare sempre e comunque lo scontro con lo Stato viene messa in discussione e, sempre per la prima volta, si pone il problema di dare all’Associazione una rappresentanza non di parte ma costituita da tutti i partiti politici: “perché tutti i partiti sono nelle amministrazioni comunali d’Italia” 15 . Per Sturzo era indubbio che i socialisti si fossero impegnati molto a favore delle autonomie locali ma ciò non era sufficiente a fargli accettare la loro posizione. Che pur tuttavia restava sempre quella di aderenti a “partiti estremi” e quindi incompatibile con la tattica che avrebbe dovuto seguire l’ANCI e che non poteva essere quella di assumere un colore politico rivoluzionario e di dichiarare guerra allo Stato unitario. Sulla base di questa contrapposizione, in seno al Congresso, si andò alla costituzione di due blocchi rispettivamente formati dai socialisti e dai repubblicani, il primo, e dai democratici, dai radicali e dai liberali, il secondo, che si misurarono, per un verso, nel sostegno a due diversi odg presentati con riguardo alla famosa gestione della eliminazione delle spese statali dai bilanci dei Comuni e, per un altro verso, nella votazione di due liste contrapposte per l’elezione del nuovo Consiglio direttivo dell’Associazione. In entrambe le circostanze ebbe la meglio la coalizione formata dai radicali, dai liberali e dai democratici cristiani e così Sturzo, assieme a Giuseppe Micheli, in rappresentanza di quest’ultimi, poté entrare nel Consiglio direttivo dell’Associazione restandovi LUIGI STURZO, Sulla partecipazione al IV Congresso dell’Associazione dei Comuni Italiani in La Croce di Costantino, 4 dicembre 1904. 15 8 federalismi.it |n. 19/2015 ininterrottamente fino al 1915 come semplice ma autorevolissimo consigliere e poi, da allora fino al 1923, anche come vicepresidente16. Come ha scritto Umberto Chiaramonte 17 , entrato nel gruppo dirigente dell’ANCI, Sturzo sprigionò una energia organizzativa, tecnica e culturale impressionante, dimostrando conoscenze e competenze giuridiche che pochi altri avevano in campo amministrativo. Ma ciò non poté cambiare subito la linea dell’ANCI anche se, a partire dal Congresso straordinario di Firenze (2527 marzo 1905), dove si confermarono gli schieramenti di Napoli, fu chiaro che l’Associazione dei Comuni non sarebbe stata più quella dei fondatori perché da oggi – scriveva il prete di Caltagirone – “si può credere sul serio a una rinascenza della vita del Comune se si continua nel lavoro, nella propaganda, nella concordia: se i Comuni mantengono fermi i propositi manifestati; se i molti consigli comunali ancora estranei all’Associazione vi aderiscono e si interessano di tutto il programma delle autonomie locali”18. E quindi, pure se alcuni Comuni amministrati dai “partiti dell’Estrema” ritirarono l’adesione all’ANCI, la rappresentanza dei partiti all’interno dell’Associazione si allargò a “tutte le gradazioni della vita e del pensiero italiano, dall’estrema destra all’estrema sinistra, unanime nella forza di un grande diritto che si risvegliava nella coscienza pubblica, il diritto dei Comuni (corsivo nostro)”19. Ma non era quistione di occupazione di spazi politici l’allargamento a tutti i partiti della guida dell’ANCI. Era per Sturzo, innanzi tutto, una quistione culturale di democrazia e di partecipazione popolare pluralista. Che proprio per questo aveva bisogno di uno strumento di esternazione capace di dare voce alle posizioni di tutti. Questo strumento non poteva che essere la “Rivista municipale”, organo dell’Associazione dei Comuni, che però era diretta da un socialista intransigente, Giovanni Lerda, e risultava sbilanciata a favore della linea dell’Estrema 20. Al V Congresso di Torino, allora, i suoi contenuti e la sua stessa esistenza vennero messi in discussione da una precisa relazione del cattolico Giuseppe Micheli, che aveva una certa esperienza pubblicistica e condivideva la critica di Sturzo alla rivista, e soprattutto venne proposta Per una ricostruzione della vicenda del IV Congresso dell’ANCI e di tutta l’esperienza di Sturzo nell’Anci, v. il puntualissimo testo di UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., al quale faremo costante riferimento. Altrettanto importanti sono, per la conoscenza di questi eventi, gli studi di OSCAR GASPARI, La storia dell’Anci in Anci Rivista, 1996 nn. 4-5-6 e 10, rispettivamente pagg. 47, 49, 41 e 75; ID., I primi anni di Sturzo nell’Associazione dei Comuni Italiani (1902-1905) in Sociologia, 1997 n. 2, 143; ID., L’talia dei Municipi, cit., 119 ss.. 17 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 73 ss.. 18 LUIGI STURZO, Il IV Congresso dei Comuni Italiani a Napoli ora in La Regione nella Nazione, cit., 171. 19 LUIGI STURZO, Il Congresso dei Comuni a Firenze in La Croce di Costantino, 2 aprile 1905 ora in La Regione nella Nazione, cit., 193. 20 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 88. 16 9 federalismi.it |n. 19/2015 la ripresa delle pubblicazioni della “Autonomia comunale” (che era stata la vecchia testata dell’organo dell’Associazione) con il sottotitolo di “Rivista mensile dell’Associazione dei Comuni”, il cui primo numero della nuova serie uscì a luglio 1906 21 . Come scrisse la nuova Direzione della rivista (formata dal direttore Emilio Caldara e dal condirettore Giuseppe Micheli), essa ambiva ad “essere l’eco cosciente di tutti i pensieri, le aspirazioni, i ricordi, le lotte, i trionfi ed i dolori dei Comini italiani”, ambiva “a risvegliare e organizzare il sentimento comunale, a formare nel paese la coscienza e l’ambiente che favoriscono i processi della vita municipale”22. Insomma, ambiva a promuovere quella svolta che aveva in testa Sturzo e che, per altro verso, doveva riguardare, come cennato, l’ancoraggio dell’azione dell’ANCI (ma anche dei singoli Comuni) ai problemi reali della società. 3. Il Consiglio direttivo dell’ANCI come “gruppo di lavoro” teso alla riorganizzazione dell’amministrazione periferica nazionale. Già queste prime ‘mosse’ da quando era assurto al vertice dell’ANCI dimostrano chiaramente che Luigi Sturzo non avrebbe usato l’Associazione per coltivare la propria immagine e tanto meno per incrementare il suo potere di amministratore di un Comune e (in quel periodo) di una Provincia di periferia.23 Troppa era la considerazione che, giustamente, egli aveva di sé per non lasciarsi guidare dall’unico obbiettivo che in quella fase veramente lo interessava: la sostanziale riorganizzazione dell’ANCI per renderla funzionale al metodo pragmatico e scrupoloso al quale egli annetteva la quasi taumaturgica capacità di rinnovare le istituzioni amministrative (in particolare) locali. Se a ciò si aggiunge poi che il suo essere alieno da schemi teorici viziati di astrattezza derivava dalla convinzione “che nella storia è presente un dinamismo del quale è possibile scorgere le intrinseche leggi del suo progresso” 24 , allora si capisce subito perché a seguito dell’approvazione della legge n. 116 del 24 marzo 1907, che prevedeva – come da sempre chiedevano i Comuni – lo sgravio delle spese di competenza statale dai loro bilanci, Sturzo si lasciò prendere da una sorte di euforia ed assieme a tutta la dirigenza considerò l’evento come la prova provata che un’azione voluta e sostenuta da tutte le componenti era in grado di dare all’Associazione una notevole forza contrattuale ed, al tempo stesso, come il segnale che la prima UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 89. DIREZIONE, Ripresa in Autonomia comunale, nuova serie, a. I, aprile 1906. 23 Sull’esperienza di Sturzo alla Provincia, v. il documentatissimo volume di UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo consigliere provinciale di Catania, Sciascia Editore, Caltanissetta – Roma, 2007. 24 MAURO BUSCEMI, Luigi Sturzo: dal programma municipale al partito popolare in EUGENIO GUCCIONE(a cura di), Luigi Sturzo e la democrazia nella prospettiva del terzo millennio, Atti del Seminario internazionale svoltosi ad Erice dal 7 all’11 ottobre 2000, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2004, vol. I, 229. 21 22 10 federalismi.it |n. 19/2015 fase della storia dell’ANCI, quella improntata al puro e semplice rivendicazionismo delle Leghe operaie di resistenza, si era definitivamente conchiusa. In questo contesto fu posto subito come ulteriore obbiettivo della Associazione la istituzione del Consiglio Superiore dei Comuni, organismo già da tempo rivendicato per sottrarre i Comuni all’arbitrio statale e rafforzarne l’autonomia senza creare però una situazione di “conflitto con l’esecutivo in quanto non avrebbe avuto poteri legislativi o esecutivi e non sarebbe stata un’autorità superiore allo stato, ma un organo di mediazione e di consultazione prima di legiferare sulla vita locale”25. Dalla discussione che in proposito si sviluppò nel VI Congresso di Bologna (maggio 1907) sembrava però che il consenso all’iniziativa non fosse poi così convinto ed allora Sturzo, preoccupato per il fatto che ancora tutti gli aspetti non fossero stati studiati e approfonditi a dovere, propose che si istituisse un’apposita commissione per redigere “un vero e proprio progetto da discutere” nel successivo congresso e poi presentarlo al Parlamento. L’intento, naturalmente, non era per nulla dilatorio ma rispondeva al pragmatico approccio sturziano per il quale, non essendo in grado il Parlamento di esaminare e valutare approfonditamente le riforme dell’ordinamento locale, sarebbe dovuta essere la stessa ANCI (il suo Consiglio direttivo) ad approntare il disegno di riforma e più in generale un vero e proprio Centro Studi per preparare i progetti di legge da fare presentare poi ai parlamentari amici delle Autonomie. Era in sostanza un’ulteriore prova del realismo dell’impostazione sturziana che fin dal suo primo ingresso nell’Anci aveva immaginato il Consiglio direttivo dell’Associazione non come una specie di comitato d’affari, formato da un coacervo di rappresentanti politici di diversa estrazione partitica, ma come un gruppo di amministratori locali che lavorano “sempre con spirito costruttivo e con professionalità alla rielaborazione organizzativa dell’amministrazione periferica nazionale”26. Ed è proprio in questa prospettiva che viene ritenuta fondamentale l’istituzione del c.d. Museo Comunale, una sorta di vero e proprio archivio di raccolta, inventario e conservazione di materiali normativi, studi e ricerche riguardanti l’amministrazione municipale e ritenuti indispensabili al fine del lavoro di preparazione ed elaborazione delle riforme proposte dall’Anci. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 103. Sul Consiglio Superiore dei Comuni e, soprattutto, per il suo collegamento con l’odierna Conferenza Stato-Città-Autonomie locali, v. OSCAR GASPARI, L’Italia dei Municipi, cit., 235 ss. ed anche, in particolare, Per una storia della Conferenza Stato-Città: dai progetti alla realtà odierna in VINCENZO ANTONELLI (a cura di), Città, Province, Regioni, Stato, Donzelli editore, Roma, 2009, 151 ss.. 26 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 110. 25 11 federalismi.it |n. 19/2015 Riforme che come dimostrerà il VII Congresso di Venezia (1908) si sarebbero sempre più diversificate investendo punti centrali dell’ordinamento locale come la Figura giuridica ed i poteri del Commissario prefettizio, il tema della Rinnovazione dei Consigli Comunali, la Municipalizzazione dei Servizi Pubblici, l’Insegnamento elementare, la Classificazione dei Comuni (anche come pregiudiziale ad una riforma tributaria). Quest’ultimo problema era un passaggio molto importante per regolare al meglio l’autonomia e il funzionamento delle amministrazioni locali che, come era evidente in una visione moderna, non potevano più essere considerate in maniera omologa senza distinguere se appartenessero a piccoli o grandi Comuni, a Comuni rurali o industriali, a Comuni del Nord o del Sud27. Sturzo dopo averlo trattato al Congresso di Venezia, viene incaricato di riprendere l’argomento nel corso dei lavori dell’VIII Congresso di Genova (1909). Ne affronta il tema, dopo avere ricordato che reiterati tentativi nel Parlamento nazionale non avevano portato ad alcun risultato, in termini definitivi, rifacendosi -come punto di partenza- al progetto di legge che era stato presentato da Antonio Starabba, marchese di Rudinì, (già sindaco di Palermo) nel 1897 e che egli apprezzava per la possibilità che esso garantiva ad un Comune di passare con decreto regio da una classe ad un’altra. Naturalmente in presenza di precisi requisiti 28 . E su questa scia, approfondendo la sua analisi, (il pro-sindaco di Caltagirone) definisce una griglia formata dai seguenti sette criteri di classificazione: 1) popolazione; 2) diversa tipologia tra Comune urbano e Comune rurale; 3) tipologia di Città storiche e quindi “ centri di vita nazionale”; 4) qualità dei capoluoghi delle circoscrizioni politiche come elemento di flessibilità per ottenere il passaggio ad una classe superiore; 5) percentuale dell’elettorato rispetto ad un limite prefissato; 6) competenza del Governo a promuovere un Comune da una classe all’altra, soprattutto quando si fossero accertati “ l’incremento e la potenzialità ad una vita più libera e più evoluta”; 7) inclusione dei consorzi intercomunali nella classe corrispondente alla popolazione dei Comuni consorziati29. Dal combinato disposto di questi sopra elencati principi informatori Sturzo concludeva poi per una divisione dei Comuni in quattro classi di enti, ognuna delle quali collegata con “una portata amministrativa rispondente alle graduali rivendicazioni delle libertà ed autonomie comunali” fino ad aspirare “alla più larga indipendenza amministrativa, nella quale [sarebbe rimasto] solo il E ciò, soprattutto, in considerazione del problema finanziario che il prete di Caltagirone, dopo l’esilio, in una sua corrispondenza con Annibale Gilardoni, definiva “la questione più importatnte”. V. sul punto e, in generale, sull’intero carteggio fra i due popolari OSCAR GASPARI, L’avvocato delle autonomie, Donzelli editore, Roma, 2008, in particolare, 57 ss.. 28 Per la relazione di LUIGI STURZO, v. La Croce di Costantino, del 15 giugno 1909 ora in ID., La Regione nella Nazione, cit., 205. 29 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 128. 27 12 federalismi.it |n. 19/2015 controllo contabile degli organi governativi”30. In altri termini, formulava una classificazione in base alla quale si sarebbero dovuti attribuire una maggiore quantità di funzioni e servizi in corrispondenza del più libero ed autonomo funzionamento dei Comuni e quindi diversamente per ogni singola classe di Comuni. Era la lungimirante (ma vana, perché ancora oggi dopo più di un secolo ne continuiamo a discutere) conclusione che l’odg presentato all’VIII Congresso dell’Anci ed approvato all’unanimità sanciva, dando mandato al Consiglio direttivo di redigere un apposito progetto di legge da presentare al Parlamento31. 4. L’acquisizione da parte dell’ANCI di una sensibilità meridionalistica improntata all’autonomia responsabile ed al riscatto della subalternità sociale e politica del Mezzogiorno. Ma l’influenza dell’azione di Sturzo sull’indirizzo strategico dell’Associazione dei Comuni non si manifestava solo in questa direzione di fare dell’ANCI un supporto operativo delle iniziative di riforma delle istituzioni locali che via via venivano iscritte nell’agenda politica del Paese. Seppure in un lasso di tempo relativamente breve, il prete di Caltagirone era riuscito a fare acquisire all’ANCI una capacità rappresentativa che ormai la proiettava fra le istituzioni più autorevoli della Nazione. Profilo, quest’ultimo, che si manifestò particolarmente in occasione del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 quando l’Associazione non si limitò a far giungere alle Comunità colpite dal sisma ed ai Comuni rasi al suolo dell’area dello Stretto la sua solidale vicinanza e tutti gli aiuti finanziari e materiali possibili ma si prodigò ‘personalmente’ sul campo con il condirettore della rivista l’Autonomia Comunale, onorevole Giuseppe Micheli, e con un Comitato di volontari direttamente guidato da Sturzo per aiutare le popolazioni colpite. Non solo. Ma ciò che emerse maggiormente in questa drammatica vicenda fu la capacità di difendere gli interessi di Messina e dei Comuni viciniori danneggiati nella difficile fase della ricostruzione32. Circostanza che, sotto l’incalzare del prete di Caltagirone, fece addirittura acquisire all’Anci una sensibilità meridionalistica che non tardò a manifestarsi esplicitamente al IX Congresso di Palermo LUIGI STURZO, La classificazione dei Comuni (anche come pregiudiziale ad una riforma tributaria) in La Croce di Costantino, ult. cit.. 31 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 128. 32 Emblematico a tal proposito quanto scrive JACOPO BOCCHIALINI, La giovinezza di Giuseppe Micheli in GIUSEPPE MICHELI, Rievocazioni de “La Giovane Montagna” nell’annuale della sua morte, Parma, 1949: Micheli impedì “con disperata fermezza l’attuazione del dissennato proposito burocratico-militaresco di spianare la città seppellendo vivi e morti sotto la calce, e organizzò aiuti e soccorsi, servizi e uffici, anagrafe e stato civile, lavoro e stampa… Quaranta giorni di sacrificio generoso e di geniale attività creatrice” (che avrebbero portato -per riconoscenza- alla creazione di un quartiere chiamato “Michelopoli”). 30 13 federalismi.it |n. 19/2015 (1910) sia nelle relazioni di Bonomi, Greppi e Orefici, rispettivamente, su “L’esame delle proposte ministeriali per la riforma tributaria ed il consolidamento delle spese comunali per l’istruzione primaria”, su “ I consorzi scolastici provinciali” e su “ Il miglioramento delle condizioni dei funzionari comunali”, sia, soprattutto, in quelle di Sturzo e Niccolini su “Il problema della viabilità comunale specialmente del Mezzogiorno” e su “Il regime delle strade vicinali”33. Nella sua relazione Sturzo fu molto esplicito e diretto. Collegò il ritardo nella modernizzazione e nello sviluppo del Sud all’inadeguatezza delle infrastrutture stradali ma, a differenza di molti meridionalisti che qui si fermavano assumendo un atteggiamento rivendicazionista di interventi e risorse speciali per colmare il deficit con il Nord, risalì alle cause che egli riteneva vere e che individuava nella circostanza che l’unificazione forzata del Paese aveva favorito un centralismo burocratico e amministrativo che aveva finito per rendere sempre più soffocante il peso del potere centrale. Peso che presto si era trasformato in vero e proprio macigno che aveva “impedito al Mezzogiorno non solo un armonico sviluppo economico, ma anche una crescita civile e politica che favorisse l’emergere delle migliori energie locali”34. Dunque, per Sturzo, con grande chiarezza, il riscatto del Mezzogiorno non poteva dipendere esclusivamente da una riforma economica. Bisognava agire anche sul piano politico-istituzionale. Ed infatti, anche ad uno studioso serio come Francesco Saverio Nitti -al quale pure il prete calatino doveva molto non foss’altro per averlo indirettamente fatto entrare “di botto tra i meridionalisti”35- che si proponeva di rimediare allo squilibrio agendo prevalentemente sulla leva UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 135. FRANCESCO MALGERI, Il meridionalismo di Luigi Sturzo, cit., 37. Com’è noto, la visione più organica e completa della “ questione meridionale” insieme alla sua strategia per “Il risorgimento meridionale” Luigi Sturzo la illustrò nel famoso discorso del 18 gennaio 1923 pronunciato a Napoli in occasione del IV anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano. V.ne il testo con il titolo Il Mezzogiorno e la politica italiana in LUIGI STURZO – ANTONIO GRAMSCI, Il Mezzogiorno e l’Italia (a cura di GIAMPAOLO D’ANDREA e FRANCESCO GIASI), cit. 77 ss.. Tra le altre opere di LUIGI STURZO sul tema, da ricordare: Nord e Sud. Decentramento e federalismo, cit.; (IL CROCIATO), La questione del Mezzogiorno in La Croce di Costantino, 22 dicembre 1901 ora in ID., La battaglia meridionalista (a cura di GABRIELE DE ROSA) , Laterza, Roma-Bari, 1979; Mezzogiorno e classe dirigente con Introduzione di GABRIELE DE ROSA, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 1986. Sul meridionalismo di Luigi Sturzo, v. inoltre ALBERTO DI GIOVANNI S. J., Sturzo ed il Mezzogiorno tra pubblico e privato in AAVV., Luigi Sturzo tra Società e Stato (atti del VI Corso della Cattedra Sturzo di Caltagirone), Idonea Giovanni litografo, Catania, 1988, 61 ss.. 35 Come è noto, LUIGI STURZO aveva recensito sul quotidiano di Palermo “Il Sole del Mezzogiorno” (31 marzo – 1 aprile, 1901) l’importante saggio di FRANCESCO SAVERIO NITTI, Nord e Sud: prime linee di una inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato in Italia, Roux e Viarengo, Torino, 1900 con il quale il professore di Diritto finanziario dell’Università di Napoli dava una base scientifica, fornendo una documentazione solida, alla protesta del Mezzogiorno contro la politica economica e finanziaria dello Stato unitario italiano. Come ha sottolineato GIAMPAOLO D’ANDREA Introduzione (a 33 34 14 federalismi.it |n. 19/2015 tributaria, sui trasferimenti e sugli investimenti pubblici, Sturzo opponeva senza tentennamenti la strada dell’autonomia responsabile e del riscatto dalla subalternità sociale e politica36. “Lasciate che noi del meridione -aveva scritto Sturzo già nel 1901 su La Croce di Costantino del 22 dicembre37possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere le responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali” e le sproporzioni via via si abbatteranno seguendo una strada “senza ingiustizie e senza odi e rancori”. Come, in qualche modo, era cominciato ad accadere grazie alla sua azione proprio in seno all’Associazione dei Comuni che di lì a poco, nei Congressi di Roma ed Ancona, avrebbe fatto registrare ulteriori passi avanti nell’elaborazione di una significativa politica meridionalistica ispirata a questo indirizzo. A Roma, nell’ambito del X Congresso (1911) celebrato in coincidenza con i festeggiamenti per il 50° anniversario dell’Unità d’Italia, l’evento che rappresentò eloquentemente il punto fu la manifestazione particolarmente rilevante degli amministratori pugliesi nel corso della quale i sindaci concordarono un’azione comune sul credito in favore degli agricoltori del Mezzogiorno ed approvarono un odg per sensibilizzare il Governo in ordine al progetto del consigliere del direttivo (dell’Anci), Aldemiro Campodonico, di istituire una “ Banca Modello”38. Mentre ad Ancona, in occasione dell’XI Congresso (1912), la circostanza rivelatrice fu ancora una volta la relazione di Sturzo su I regolamenti di politica rurale39 che il pro-sindaco di Caltagirone svolse restringendo volutamente l’analisi alla difesa della proprietà agraria del Mezzogiorno e sostenendo – a seguito di un ragionamento che sottolineava la circostanza che la Legge comunale e provinciale del 1865 mentre attribuiva ai Comuni la facoltà di regolamentare la polizia rurale non prevedeva alcun rimedio per difendersi dai danneggiamenti, dai furti e dal pascolo abusivo in quanto materia ricadente sotto il codice penale – che bisognava invece coinvolgere proprio i Comuni nella prevenzione di questi reati che riguardavano soprattutto la piccola proprietà terriera 40 . Soluzione – questa individuata da Sturzo di attribuire al ruolo autonomo dei Comuni la difesa dal pascolo abusivo introducendo sanzioni amministrative da comminare ai trasgressori a prescindere dalle querele di parte che non venivano presentate per LUIGI STURZO, Il Mezzogiorno e la politica italiana) in LUIGI STURZO – ANTONIO GRAMSCI Il Mezzogiorno e l’Italia, cit., 64, sulla base di queste indicazioni nittiane, Sturzo individua l’accentramento dello Stato e l’uniformità tributaria e finanziaria tra le principali cause della questione del nord e del sud Italia e propone come rimedio “un sobrio decentramento regionale amministrativo e finanziario ed una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l’unità del regime”. 36 V. GIAMPAOLO D’ANDREA, Introduzione, cit., 66. 37 IL CROCIATO, La questione del Mezzogiorno in La Croce di Costantino, 22 dicembre 1901. 38 Cfr., senza Autore, I sindaci meridionali in Avanti del 6 giugno 1911. 39 V.la in Rivista dei Comuni, delle Provicie e delle Opere Pie, 1913, n. 1, 15 gennaio, 17 ss.. 40 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 159. 15 federalismi.it |n. 19/2015 timore di vendette – che avrebbe costituito non solo la positiva risposta al problema della tutela della piccola proprietà agraria ma anche un passo significativo in direzione della riforma dello Stato che era il vero problema da risolvere per risollevare il Mezzogiorno. Ed in questo ormai l’Anci cominciava a seguirlo con grande convinzione, tenuto conto che in fondo si trattava poi di lottare per più ampie autonomie locali: la “ragione sociale” per cui l’Associazione dei Comuni era nata. 5. Il ruolo decisivo di Sturzo per il rilancio dell’Associazione dei Comuni e l’adozione della linea di collaborazione e cooperazione dell’ANCI con lo Stato. Dunque, la leadership di Sturzo in seno all’Anci si rafforzava sempre di più, cominciando ad assumere connotati dalla valenza sempre più immediatamente politica. Ne fu un lampante esempio la relazione che Sturzo fu chiamato a svolgere nel corso dei lavori del XII Congresso di Milano (1913) sulla legge n° 487 in materia di istruzione primaria approvata qualche tempo prima (4 giugno 1911). Con essa, com’è noto, la scuola elementare passava dalla gestione dei Comuni a quella dello Stato che la esercitava tramite i Consigli Scolastici Provinciali (CSP). Sturzo, riguardo questo modello, era profondamente critico oltre che per ragioni di fondo (“le funzioni educative morali e sociali sono compito fondamentale dei Comuni”) anche perché l’avocazione della scuola primaria allo Stato aveva suscitato nei Comuni, soprattutto, grandi – che nell’istruzione primaria avevano investito politicamente molto – una forte reazione di protesta. Ciò nonostante la sua analisi mostrò un equilibrio ammirevole evitando di esprimere qualsiasi giudizio critico perché non se ne era ancora potuta valutare la reale applicazione in tutto il Paese. Il ragionamento fu un capolavoro di tecnica giuridica dalla quale emerse la sua grande capacità di scandagliare gli istituti normativi sapendone cogliere le implicazioni sul piano politico ed amministrativo. Al punto tale che l’odg presentato al Congresso e che impegnava il Consiglio direttivo a fare pervenire al Ministro41 un memoriale con tutti i rilievi critici e le note propositive discussi durante i lavori congressuali affinché se ne tenesse conto nell’applicazione della legge e nella definizione dei regolamenti 42 fu approvato con ampia maggioranza, suscitando financo il riconoscimento (“relazione … barcamenata bene”) del giornale dei socialisti l’Avanti che, peraltro, non mancava di fare emergere il suo settarismo anticlericale sottolineando come essa (la relazione) fosse stata Era noto che il ministro LUIGI CREDARO non volesse in materia un accentramento di funzioni molto pronunciato perché occorreva “non sforzare le radici vitali che legavano la scuola alla vita comunale”. V. DINA BERTONI JOVINE, Storia della scuola popolare in Italia, Einaudi, Torino, 1954 dove è riportato il brano del Ministro pubblicato in La cultura popolare, 1911, p.6. 42 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 170. 41 16 federalismi.it |n. 19/2015 tenuta da un prete “e solleva(va) per questo una vivace discussione che entra(va) profondamente nel campo politico”43. In ogni caso, comunque, il nuovo Consiglio direttivo, eletto dal Congresso e riunitosi nel pomeriggio della stessa giornata di chiusura, incaricò di predisporre il documento sull’istruzione primaria da presentare al Ministro proprio Sturzo (coadiuvato da Caldara, confermato direttore dell’ Autonomia comunale) sancendone così la riconosciuta rappresentatività di tutte le anime politiche dell’ANCI. Ma non fu certo in questo passaggio che il ruolo politico di Sturzo dentro l’ANCI si svelò in tutta la sua capacità espansiva. Incomparabilmente più incisivo e penetrante si rivelò nel delicatissimo biennio che avrebbe portato al XIII Congresso celebrato a Roma il 28 febbraio 1915. In questo periodo, non certo lungo ma ricco di accadimenti rilevanti, diversi furono gli eventi che avrebbero avuto ricadute nelle vicende dell’ANCI e non certo soltanto per determinarne lo slittamento delle Assise dal 1914 all’anno successivo. Innanzitutto, vi fu il cambiamento dello scenario politico con le prime elezioni (ottobre 1913) svolte secondo il voto a suffragio universale maschile (benché limitato a chi avesse compiuto 30 anni e, sotto questa soglia, a chi fino ai 21 avesse frequentato un corso di istruzione obbligatorio o prestato servizio nell’esercito, nella marina o negli altri corpi armati) e condizionate dal famoso “Patto Gentiloni” (dal conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana) stipulato tra quest’ultimo e Giovanni Giolitti, capo del Governo e leader dei liberali. L’accordo, che segnò l’ingresso ufficiale del cattolici nella vita politica italiana dopo il non expedit di Papa Pio IX (1868), consisteva nell’impegno delle organizzazioni cattoliche a votare quei candidati liberali che si fossero pronunciati a favore di un ‘pacchetto’ di sette punti considerati irrinunciabili dall’UECI e nel riconoscimento da parte dei liberali di un congruo numero di seggi da destinare ai cattolici-liberali. Al di là del merito di questi aspetti (che, comunque, avrebbero portato ad un grande successo elettorale dello statista piemontese ed all’ingresso di un ventina di cattolici–liberali in Parlamento), esso realizzava però un ritorno al clerico–moderatismo che era la negazione del duro lavoro svolto da molti cattolici per svariati anni nella società civile e nelle istituzioni amministrative. Cosa che rese subito ostili Luigi Sturzo e tutti quei cattolici tra cui Romolo Murri che criticavano aspramente la fusione tra componenti cattoliche e componente risorgimentale del Paese, anelavano alla costituzione di un partito autonomo di cattolici e, soprattutto, auspicavano un’evoluzione del sistema verso posizioni democratiche che ritenevano più vicine ai principi ed ai valori religiosi. 43 Cfr. il paragrafo del resoconto Sulla Legge Daneo – Credaro in Avanti, 8 aprile 1913. 17 federalismi.it |n. 19/2015 Successivamente, un altro avvenimento che influenzerà la vita dell’Associazione dei Comuni fu il XIV Congresso del Partito Socialista Italiano tenutosi ad Ancona nell’aprile 1914 e conclusosi con la conferma della vittoria dei massimalisti rivoluzionari da sempre in aperto antagonismo con le posizioni collaborative e cooperative della maggioranza dell’ANCI. Maggioranza riformista dell’ANCI che, però, nelle successive elezioni amministrative del giugno dello stesso anno -che per la prima volta rinnovavano integralmente i consigli comunali per la durata di 4 anni- vedrà eletti due suoi uomini di punta: i socialisti riformisti Caldara e Zanardi, sindaci di Milano e Bologna, e numerosi altri moderati, comunque alternativi ai rappresentanti del blocco delle Sinistre, amministratori di importanti centri, a cominciare da Roma dove fu eletto sindaco Prospero Colonna di Paliano. Ma l’evento che scosse in profondità i Comuni italiani, naturalmente, fu lo scoppio, il 28 luglio 1914, della prima guerra mondiale. Pur non coinvolgendo immediatamente il Paese (la partecipazione dell’Italia sarebbe cominciata il 24 maggio 1915) la guerra ebbe una profonda incidenza nello sviluppo della vita della Nazione e determinò importanti cambiamenti sia sul terreno sociale che anche nell’ambito politico polarizzando, con riguardo a quest’ultimo aspetto, tutto il dibattito nel dilemma “neutralismo – interventismo”. Dopo l’iniziale favore per la prima posizione, come è noto44, le adesioni si spostarono progressivamente sul versante interventista facendo registrare anche clamorose conversioni come quelle di molti socialisti (per tutti si considerino Cesare Battisti e Benito Mussolini) e dei liberali di Salandra e Sonnino che abbandonarono le iniziali opzioni neutraliste per schierarsi, sotto l’incalzare della piazza fomentata dalla propaganda dei media, a favore della guerra. Come è facile capire, in questo contesto, la vita dell’ANCI entrò in una delicata fase di fibrillazione che vedeva in discussione non solo l’aspetto organizzativo ma anche quello politico a cominciare dal problema della mancata celebrazione nel 1914 del Congresso e, dopo non pochi tentennamenti, della trasformazione del Consiglio direttivo in “Commissione provvisoria per la gestione ordinaria”45, fino alla convocazione per il 28 febbraio 1915, a Roma anzicchè a Napoli, del XIII Congresso. Si trattò, come cennato, di un periodo in cui la figura del prete di Caltagirone emerse definitivamente e si stagliò in tutto il suo spessore di protagonista di una serie di battaglie che V., per tutti, PIERO MELOGRANI, Storia politica della grande guerra 1915–1918, A. Mondadori, Milano, 2001 (1996); ANTONIO GIBELLI, La grande guerra degli italiani, Bur, Milano 2007 (1998); MARIO ISNENGHI – GIORGIO ROCHATT, La grande guerra, Il Mulino, Bologna, 2014. 45 Nella riunione del Consiglio direttivo del 27 settembre 1914, qualcuno addirittura si spinse a parlare di una fase di “quasi liquidazione dell’ANCI”. V. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 180. 44 18 federalismi.it |n. 19/2015 avrebbero segnato profondamente l’ANCI prima fra tutte quella per rilanciare l’Associazione che secondo Sturzo “si trascinava (comunque) anemicamente”. Per il pro-sindaco di Caltagirone sarebbe stato quindi necessario “tenere dietro da vicino alla vita parlamentare, creando anche un ufficio aggiunto alla segreteria in Roma”. Se l’ANCI aveva scelto la linea della collaborazione parlamentare – era la tesi di Sturzo – bisognava istituzionalizzare con i parlamentari un rapporto continuativo al fine di sensibilizzarli, supportarli e tallonarli perché agissero con sempre maggiore vigore. Sul punto furono d’accordo in molti ed in particolare Dario Franco, consigliere di Livorno, che con Sturzo avrebbe costituito un vero e proprio tandem affiatato ed incisivo46. Un altro passaggio importante si registrò dopo le elezioni amministrative che avevano determinato una vera e propria crisi nella rappresentanza dell’Associazione a motivo della mancata presentazione o rielezione e, financo, elezione (Caldara divenuto sindaco di Milano) di molti dei suoi componenti. Di fronte a questa situazione Filippo Meda aveva proposto un Congresso per il rinnovo delle cariche ma il presidente Greppi aveva subito fatto rilevare che un Congresso durante il periodo bellico poneva oggettive difficoltà organizzative. Sturzo allora sostenne che la cosa più praticabile sarebbe stata quella di far rimanere il Consiglio in carica “come un comitato di salute pubblica” e suggerì di restate tutti al proprio posto ivi compresi quelli non rieletti 47 . Alla fine del lungo e appassionato dibattito Meda presentò un odg che prendeva atto dell’impossibilità di svolgere il Congresso e deliberava “di costituirsi (il Consiglio direttivo) in commissione provvisoria per la gestione ordinaria”, così come aveva suggerito Sturzo, che per altro poteva anche compiacersi della decisione di costituire la segreteria amministrativa dell’ANCI a Roma in via de’ Barbieri 6, dove egli stesso avrebbe (durante il periodo bellico) fatto riferimento nei quindici giorni al mese che aveva deciso di trascorrere a Roma: gli altri quindici volendoli passare a Caltagirone48. Ma il fatto politico più rilevante che sarebbe capitato di lì a poco a Sturzo fu l’incarico (ricevuto insieme all’amico Franco) di organizzare il XIII Congresso dell’Associazione che si sarebbe celebrato il 28 febbraio 1915 “per dare un segnale di normalità”49. Sturzo si rese subito conto che il Congresso non sarebbe stato di facile gestione per la situazione che si era venuta a creare a seguito del ribaltamento della maggioranza all’interno del PSI e della Per la ricostruzione di queste vicende, v. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 176 ss.. UMBERTO CHIARAMONTE Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 179 ss.. 48 GRABRIELE DE ROSA, Sturzo mi disse, Morcellania, Brescia 1982, 129. 49 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 181. Sul XIII Congresso dell’ANCI, v. EMANUELE GREPPI, XIII Congresso dell’Associazione dei Comuni Italiani in Autonomia comunale, 1915, n. 1, 31 gennaio. 46 47 19 federalismi.it |n. 19/2015 prevalenza delle istanze dei massimalisti–intransigenti che mettevano in pericolo la collaborazione con Caldara ed i riformisti. Da uomo pragmatico ma soprattutto esperto di istituzioni qual era, il pro-sindaco di Caltagirone però sapeva bene che in politica non si può andare troppo per il sottile quando si devono affrontare gli avversari ed in questo caso i massimalisti–rivoluzionari si ponevano senz’altro come antagonisti della sua linea politica 50 . Allora senza esitazione alcuna decise che cattolici e moderati avrebbero dovuto giocare una partita vincente impegnandosi per impedire che i socialisti potessero capovolgere la maggioranza moderata all’interno dell’Associazione. Per questo sviluppò un’azione in tre mosse: 1) si fece dare dal segretario Verratti la lista dei Comuni aderenti, soprattutto in Sicilia e nel Mezzogiorno, con la loro posizione in ordine al pagamento delle quote di iscrizione e personalmente si adoperò, scrivendo a molti sindaci, per sollecitarli a mettersi in regola, facendo recuperare un numero non indifferente di quote; 2) si mise in contatto con l’ex sindaco di Asti Giuseppe Bocca, al quale chiese con molto calore in nome della vecchia amicizia e della reciproca stima di impegnarsi, soprattutto nel Piemontese, per fargli arrivare quante più deleghe possibili; 3) si rivolse ai vertici dell’ Azione Cattolica Italiana della cui Giunta faceva parte per sollecitarli ad inviare una circolare a tutti gli amministratori cattolici affinché potessero essere resi edotti dell’importanza del Congresso e si adoperassero per fare partecipare, se da loro rappresentato, il proprio Comune all’Assise dell’ANCI 51 . Non appagato di ciò, allorché il Congresso fu aperto a Roma da Filippo Meda e si furono consumati tutti gli interventi introduttivi di rito, Luigi Sturzo prese la parola e svolse la relazione principale su L’opera dell’Associazione dei Comuni per la disoccupazione e l’approvvigionamento del grano. La sua analisi riscosse grande successo52. Ma soprattutto scolpì in maniera indelebile la linea politica dell’ANCI che dichiarava di non lasciare al Governo nazionale tutto il peso della responsabilità del disagio e si coinvolgeva in un ruolo di collaborazione e responsabilità che nell’interpretazione che l’Associazione ne aveva dato, in particolare dall’avvento tra i suoi dirigenti di Sturzo, corrispondeva alla migliore declinazione dell’autonomia comunale. Insomma, in un crescendo che non lasciava molto spazio alla componente che si opponeva alla linea del dialogo Comuni–Stato, Per una rapida ma precisa descrizione della situazione politica all’interno della rappresentanza del PSI nell’ANCI tra l’ala riformista ed i gruppi massimalisti e rivoluzionari, v. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 193 e ss.. 51 L’ACI, soprattutto laziale, intervenne con tale vigore nel sollecitare i propri amministratori a partecipare al Congresso da suscitare la reazione dei socialisti che nei loro giornali denunciarono la preoccupazione di perdere l’Associazione avendo ritenuto che “non fosse un avvenimento di sufficiente importanza per interessare il nostro Partito”. V. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 185. 52 Venne “vivamente” applaudita, scrisse il Messaggero dell’1 marzo 1915. 50 20 federalismi.it |n. 19/2015 Sturzo si preparava al meglio per lo scontro che di lì a poco si sarebbe verificato per il rinnovo del Consiglio direttivo dell’Associazione. Per la ricomposizione di quest’ultimo furono presentate due liste di dieci componenti ciascuna. I socialisti puntavano alla conquista della maggioranza ma la tela tessuta da Sturzo dette i suoi frutti con un responso netto a favore del pro-sindaco di Caltagirone e della lista dei cattolici e dei liberali che registrò l’elezione di tutti e dieci i suoi candidati tra cui il senatore Piero Lucca, che sarebbe stato eletto Presidente, e Luigi Sturzo e Dario Franco, che sarebbero stati eletti invece vice-presidenti. La vittoria di Sturzo non poteva essere più ampia ma lo divenne ancora di più quando con il riconoscimento di cinque posti e la vicepresidenza di Caldara alla minoranza socialista fu chiaro che la linea dell’ANCI, di ricercare sempre una collaborazione che superasse gli steccati partitici, veniva mantenuta ferma 53. Il che rappresentava la vera consacrazione del prete calatino alla guida effettiva dell’ANCI anche se il suo ruolo formale era e sarebbe rimasto soltanto quello di vice-presidente. 6. La secessione dall’ANCI dei Comuni a guida socialista e l’azione di Sturzo per una ricomposizione dell’unità istituzionale dell’Associazione. Ma proprio questa vittoria del prete di Caltagirone associata alla ‘magnanimità’ della maggioranza nel volere partecipi al governo dell’ANCI anche i socialisti riformisti che da sempre avevano condiviso la vita dell’Associazione e dopo le recenti elezione amministravano numerose ed importanti città del Centro–Nord spinse ancora di più – se ve ne fosse stato bisogno – la dirigenza massimalista del Partito socialista a reagire contro la linea politica dell’ANCI ed, addirittura, contro i propri stessi compagni che reggevano importanti municipi. Inizialmente, imitando quanto avevano fatto i cattolici, vennero organizzati una serie di convegni sostanzialmente per elevare il livello di preparazione tecnica degli amministratori. Successivamente, la direzione del PSI maturò il convincimento di chiamare a Bologna tutti gli amministratori comunali socialisti per andare alla riscossa di quel riformismo che, anche per una personalità come Claudio Treves, era l’unico che non si sarebbe trastullato con le riforme amministrative ed avrebbe fatto chiarezza in ordine al tormentato ed anomalo rapporto che in Per una ricostruzione, v. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 190. Naturalmente, questa linea della apartiticità della vita municipale non era prospettata solo da Sturzo. Bisogna non dimenticare mai il socialismo municipalista, ad esempio, di IVANOE BONOMI che, con riferimento all’essenza dell’ANCI, sottolineava in Il congresso dei comuni italiani a Firenze in Critica sociale, 1905, n. 7, 1-15 aprile, 100, il suo essere organizzazione apolitica. Sul punto, cfr. OSCAR GASPARI, L’italia dei Municipi, cit., 229 ss.. 53 21 federalismi.it |n. 19/2015 Italia si era instaurato tra Comuni e Stato: proclamando che “il Comune non è lo Stato. E’ anzi l’antistato. E il nemico su cui lo Stato esercita una aeterna auctoritas. Ecco come la ribellione del Comune è già nella concezione che lo Stato ha del Comune”54. Su queste basi, il 16 gennaio 1916 a Bologna al liceo musicale Rossini, con la partecipazione di tutta la Direzione nazionale del Partito, di molti deputati, di numerosi rappresentati delle organizzazioni del lavoro e di centinaia di sindaci e consiglieri comunali si apri, con una relazione del segretario nazionale Costantino Lazzari, il “Congresso Nazionale degli Amministratori Socialisti”55. Al di là della relazione politica del segretario, gli altri autorevolissimi interventi – affidati a Caldara, Graziadei, Zanardi, Matteotti, Dugoni, etc. – riguardarono tutti tematiche ampiamente trattate ed approfondite nei Congressi dell’ANCI al netto, naturalmente, del taglio politico pendente in via esclusiva dalla parte dei bisogni della classe operaia e della critica alle “guerre capitaliste della borghesia” come venivano giudicate la guerra di Libia e la guerra mondiale appena scoppiata. Ciò che caratterizzò però il Congresso, facendolo passare alla storia politica del Paese, fu la proposta di alcuni convegnisti (Lolli, Riboldi, Frati, Altobelli, Dugoni, Serrati) di fare “staccare i Comuni socialisti dall’Associazione Nazionale dei Comuni per costruire una Federazione Nazionale Socialista”56, il cui comitato direttivo sarebbe stato nominato dalla direzione del Partito. Cosa che da quest’ultimo fu fatta a partire dal 20 gennaio, data nella quale il PSI recepì l’odg del Congresso ed i consiglieri dell’ANCI furono invitati a dare le dimissioni ed aderire alla Lega in via di costituzione. Si sanciva così la rottura di una storia di collaborazione che era nata con la stessa fondazione dell’ANCI e per molti socialisti avrebbe avuto ancora valide ragioni per continuare. Come, per esempio, mostrava il commento di Turati che nella rivista Critica Sociale 57 lamentava che il convegno avesse trasformato il “ sano materialismo economico” in ideologia e lasciato “nei veli di un certo prudente agnosticismo l’assolutezza del concetto dell’autonomia politica del comune”. In altri termini, che avesse riproposto l’idea di un’autonomia assoluta, negatrice dello Stato, nel contesto di un ordinamento organizzato per gerarchie. E qualche settimana dopo ribadiva il giudizio di Giovanni Zibordi che affermò senza mezzi termini –sempre nel periodico Critica Sociale58– che a Bologna si era celebrato un Congresso politico in quanto il vero tema dibattuto Cfr. CLAUDIO TREVES, Stato e Comune (Per il Convegno amministrativo di Bologna) in Critica sociale, 1916, n. 2, 16–31 gennaio, 17–19. 55 V. Il Congresso nazionale degli amministratori socialisti. La seduta inaugurale in Avanti, 17 gennaio 1916. 56 Cfr.la (la proposta) in Avanti, 18 gennaio 1916. 57 FILIPPO TURATI, Noi. Dopo il Convegno di Bologna in Critica Sociale, 1916, n.3, 1-15 febbraio. 58 GIOVANNI ZIBORDI, Comuni e Stato in Critica Sociale, 1916, n.6, 16-31 marzo. 54 22 federalismi.it |n. 19/2015 non aveva riguardato “il Comune oppresso contro lo Stato” ma il “Comune socialista contro lo Stato che fa la guerra” e si era ripetuta una tesi non nuova e profondamente contraddittoria che consisteva nell’auspicare la estinzione dello Stato nel momento in cui le popolazioni ne invocavano l’intervento per la soddisfazione dei loro bisogni. Insomma, concludeva Zibordi, era arrivato il tempo che i socialisti si ponessero la domanda se saranno sempre contro lo Stato “per migliorarlo, per cambiarlo o per sostituirsi ad esso? ”. Da parte di Sturzo e della maggioranza uscita dal Congresso di Roma la risposta all’iniziativa dei socialisti fu invero quanto mai tempestiva e chiara. Innanzitutto, nel denunciare il tentativo dei massimalisti di svalutare l’azione dell’ANCI e, poi, nel richiedere al Governo per sé e solo per sé il ruolo di rappresentante dei Comuni. Così il 21 febbraio a Milano, presente anche la minoranza socialista, si riunì il Consiglio direttivo dell’Associazione e dopo un’ampia discussione sulla motivazione politica del ritiro dall’ANCI fu approvato un odg in cui si ribadiva che “l’Associazione deve continuare a svolgere il proprio programma sulla base del proprio statuto, facendo appello, come per il passato, alla adesione di tutti i comuni e affidamento sulla collaborazione di tutti gli uomini che ne abbiano temporaneamente il governo; convinta di compiere in tal modo opera utile alla rivendicazione ed alla protezione del diritto comunale nell’interesse di tutti i partiti”59. La votazione dell’odg anche da parte dei consiglieri socialisti fece però infuriare il giornale del Partito socialista che non ebbe remora alcuna a biasimarne il comportamento: “Ci pare … che questi compagni avrebbero meglio provveduto, e con maggiore coerenza, se si fossero astenuti dal voto in una deliberazione che, con la loro adesione, ha tutta l’aria di un pronunciamento contro un deliberato del Partito”60. In ogni caso, la Direzione del PSI tirò per la sua strada ed a marzo inviò la circolare con la quale ricordava a tutti i Comuni “l’obbligo che essi avevano di uscire dall’Associazione dei Comuni e di aderire immediatamente alla Lega” ed indicava la rosa dei candidati al Consiglio direttivo che i sindaci, sulla base del deliberato del Congresso, avrebbero dovuto eleggere attraverso il loro voto di preferenza. Nel documento, però, mancava qualsiasi accenno al programma politico; mentre si faceva riferimento –in verità, generico– al criterio della lotta di classe contro lo Stato. Comunque sia, a questa circolare seguirono gli atti di dimissione dall’ANCI, prima, di Caldara e degli altri consiglieri di minoranza e, poi, dei Comuni a guida socialista. L’intero odg è riportato sotto il titolo L’associazionismo dei Comuni e il Congresso socialista di Bologna in Avanti del 22 febbraio 1916. 60 Cfr. L’associazionismo dei comuni ed il Congresso socialista di Bologna, cit.. 59 23 federalismi.it |n. 19/2015 Sturzo a seguito del concretizzarsi di questa situazione fu lapidario: “i socialisti sono … stati indotti a staccarsi unicamente per un criterio di parte”61, e, al tempo stesso, profetico: al di là del linguaggio esagerato che usano contro il “forcaiolismo statale” e la politica dei consumi i socialisti non sono capaci di concepire nulla di nuovo, poiché nella tradizione italiana la libertà e l’autonomia comunali si possono realizzare solo con la ricerca di un equilibrio tra Stato ed Enti locali. E maliziosamente, a tal proposito, don Luigi dichiarava che sarebbe stato curioso di sapere come le amministrazioni socialiste avrebbero potuto disattendere le leggi dello Stato e le decisioni degli organi tutori. Ma come imponeva la sua profonda formazione la vera risposta che Sturzo riteneva indispensabile che l’ANCI desse, nella contingenza data sia dalla crisi socialista che, soprattutto, dalla crisi economico-sociale determinata dalla guerra mondiale, era quella di intensificare il lavoro organizzativo per non perdere la considerazione del Governo, raggiunta in anni di duro confronto, e la fiducia nell’Associazione riposta da parte dei Comuni. A tal fine allora, durante il conflitto mondiale, bisognava incrementare i servizi per i Comuni senza avere paura di scadere in un pragmatismo ridotto a disbrigo di pratiche amministrative nei corridoi dei ministeri e nei meandri della burocrazia romana 62 . Non solo. Ma bisognava tenere desta l’attenzione degli amministratori locali coinvolgendoli direttamente in prima persona in iniziative e progetti di sana e corretta amministrazione. Modalità, quest’ultima, che alla fine si rivelerà ben più partecipativa e costruttiva degli stessi congressi annuali 63 . Naturalmente, grazie in modo particolare all’opera infaticabile svolta dai due vice-presidenti Sturzo e Franco in ordine alle quattro macroaree di problemi che l’Associazione aveva individuato come emergenze nel periodo bellico: 1) tributi locali; 2) disoccupazione; 3) approvvigionamento di viveri; 4) legislazione comunale. In questa fase, l’attivismo di Sturzo si giovò molto del lavoro svolto da alcune Associazioni provinciali di Comuni che si erano costituite in varie parti d’Italia per affrontare problemi locali ed anche per sopperire alle difficoltà di movimento e profittò particolarmente del secondo Congresso regionale dei Comuni siciliani svoltosi ad Agrigento il 6-7 gennaio 1917 per lanciare Cfr. L’Intervista con D. Luigi Sturzo, vice-pres. dell’Associazione: l’Associazione dei Comuni e la “Lega socialista” in La Croce di Costantino del 21 maggio 1916. 62 Cfr., in questo senso, UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 240-241. Famoso è, a tal proposito, il discorso che Filippo Turati pronunciò alla Camera dei Deputati il 26 giugno 1920 in occasione della discussione sul programma del V Governo Giolitti nel quale riferì di un suo amico che durante la guerra tutte le volte che era costretto ad andare in un Ministero lasciava, per prudenza, il portafoglio a casa per evitare di dovervelo riportare vuoto: FILIPPO TURATI, Rifare l’Italia C.Colombostabilimento tipografico C. dei D., Milano-Roma 1920. 63 Sebbene con maggiore prudenza, alla stessa conclusione arriva UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 241. 61 24 federalismi.it |n. 19/2015 una sorta di messaggio–manifesto dell’autonomia comunale ai socialisti, dove si precisava ancora una volta che l’autonomia non avrebbe potuto essere assoluta, “giacché i controlli e le responsabilità delle proprie decisioni non potevano essere né eliminate in uno Stato di diritto né decontestualizzate dal significato insito nell’idea di autonomia” 64 . In sostanza, Sturzo non si rassegnava alla rottura dell’unità istituzionale dell’ANCI e, pur non modificando di un et i suoi convincimenti operava nella speranza di una ricomposizione. Basti pensare ai convegni organizzati e svoltisi a Roma il 5 maggio 1917, il 23 marzo 1918 ed il 15 ottobre 1918 rispettivamente dei sindaci dei Comuni capoluoghi di Regione, il primo, e dei sindaci capoluoghi di Provincia, gli altri due, ed, in particolare, poi, a quello, sempre tenutosi a Roma il 14-15 maggio 1919 dei sindaci dei Comuni montani al quale aderirono, superando anche le resistenze più tenaci, amministratori di tutti i colori politici ivi compresi i socialisti. Con essi, come auspicava il prete di Caltagirone e come era apparso chiaro agli intervenuti, l’Associazione aveva inteso ribadire la sua natura di organismo nazionale che superava il localismo ed il settarismo e si proponeva ancora come un’istituzione comunitaria in grado di mantenere ferma la linea politica degli anni antecedenti lo scoppio della guerra mondiale. E ciò anche al cospetto di eventi che, per la loro importanza, erano destinati a creare, dopo quelli bellici, dei veri e propri sconvolgimenti politico–istituzionali. A cominciare dall’appello che lo stesso Sturzo il 18 gennaio 1919 lanciò “Ai liberi e forti” e sulla cui base nacque a Bologna nel giugno 1919 il Partito Popolare Italiano, forte dell’adesione in pochissimi mesi di circa sessantamila iscritti e dell’elezione a segretario generale dello stesso Luigi Sturzo. Per continuare con la fondazione da parte di Benito Mussolini a Milano, il 23 marzo 1919, dei Fasci italiani di combattimento che al Congresso romano del novembre 1921 si sarebbero trasformati nel Partito Nazionale Fascista. Fino ad arrivare alla riforma del sistema elettorale con le leggi 1985/1918 (Governo Orlando) e 1401/1919 (Governo Nitti) che estendevano il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto ventuno anni o avessero prestato servizio militare ed introducevano la ripartizione dei seggi con il sistema proporzionale (metodo D’Hondt) secondo quanto richiesto e sostenuto con impegno ed energia dai cattolici e dai socialisti per organizzare al meglio la rappresentanza nella nuova società di massa. Come era prevedibile, le successive elezioni nazionali del 16 novembre 1919, che avevano peraltro fatto registrare un appello dell’ANCI affinché i Comuni sostenessero i candidati maggiormente legati ai valori delle Autonomie, mutarono fisionomia politica al sistema 64 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 242. 25 federalismi.it |n. 19/2015 parlamentare italiano. Il risultato più eclatante fu la perdita della maggioranza dei voti da parte della galassia dei Partiti di democrazia liberale (47,2%). Mentre altrettanto rilevanti furono le vittorie del Partito socialista (32,3%) e del Partito popolare (20,5%) che assieme raggiunsero e superarono la maggioranza assoluta. Ma i fatti che ebbero in quel torno di tempo maggiore capacità di incidenza nella storia dell’ANCI furono due accadimenti, per così dire, di tipo personale riguardanti Sturzo e Piero Lucca, presidente dell’Associazione. Con riferimento al primo, a seguito della sua elezione a segretario generale del PPI e della vittoria di quest’ultimo alle ‘politiche’ che ne avevano proiettato il ruolo a secondo Partito del Paese, Sturzo, il 5 maggio 1920, improvvisamente comunica al PP di Caltagirone le sue dimissioni da pro-sindaco della cittadina. La ragione – com’è facile intuire – non è un sopravvenuto disinteresse per le questioni amministrative del suo amato Comune o più in generale degli Enti Locali ma al contrario un ulteriore atto di servizio per evitare che Caltagirone avesse a soffrire le sue assenze a causa dell’aumento esponenziale dei suoi molteplici impegni nazionali. E ciò è tanto vero che, dopo lo scioglimento del Consiglio, alle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920, Sturzo non rinuncia a candidarsi come consigliere e seppure ad uno degli ultimi posti, per preferenze, viene ancora una volta eletto 65 , confermando così il suo legame con Caltagirone ma soprattutto rilegittimando il suo ruolo di vice-presidente dell’ANCI che, per statuto dell’Associazione, avrebbe dovuto lasciare se avesse perso lo status di sindaco o consigliere. Ruolo di vice-presidente dell’ANCI, questo di Sturzo, che diventa sempre più centrale per l’Associazione dei Comuni a motivo (e qui è l’altro evento accennato) della crisi della Presidenza Lucca che, prima, nel 1920 alle elezioni amministrative di Vercelli non viene rieletto ma resta pur senza titolo legittimante comunque alla guida dell’ANCI, e, poi, il 31 agosto 1921, muore. 7. Il XIV Congresso dell’ANCI dall’idea della rifondazione dell’Associazione alla debàcle della linea politica proposta da Sturzo per una riforma tributaria dei Comuni “a coordinamento” statale. In questo contesto – con una Associazione acefala ed, in un certo senso, delegittimata da ben sei lunghi anni di sospensione congressuale, con uno stato dell’ordine pubblico messo a dura prova dal radicalismo e dalla violenza con cui si scontravano le compagini socialiste e quelle Le elezioni amministrative del 1920 a Caltagirone avvennero in un clima di disordini e brogli. La opposizione dei demo-sociali, capitanata da Francesco Carbone, nei confronti del PPI e del suo leader fu particolarmente violenta e scorretta. V. UMBERTO CHIARAMONTE, Il municipalismo di L. Sturzo pro-sindaco di Caltagirone (1899-1920), Morcellania, Brescia, 1992, 381 ss.. Dello stesso autore v. anche la voce Municipalismo in Lessico Sturziano (a cura di ANTONIO PARISI e MASSIMO CAPPELLANO), cit., 597. 65 26 federalismi.it |n. 19/2015 nazionaliste, con una situazione sociale turbolenta a causa dell’ondata di scioperi culminata nell’estate del 1920 con l’occupazione generalizzata di terreni agricoli, opifici, stabilimenti industriali e con gli esperimenti di autogestione e di creazione dei consigli di fabbrica sul modello sovietico (il famoso “biennio rosso”) ed, infine, con un quadro politico che si era ulteriormente complicato per la scissione, al XVII Congresso di Livorno ( gennaio 1921 ), del PSI e la costituzione della sua fascia di estrema sinistra in Partito Comunista d’Italia – Sturzo sempre strettamente collaborato dall’altro vice-presidente, Dario Franco, si spende con tutta la sua determinazione per la convocazione del XIV Congresso nazionale dell’Associazione che alla fine viene fissato per il 19 settembre 1921 a Parma. Si tratta, non solo per la data (a vent’anni da quello fondativo) e per il luogo (a Parma) ma principalmente per il messaggio che vuole lanciare contro il riemergere all’interno dell’ANCI di tendenze sempre più esplicitamente di parte che già nel 1916 avevano portato alla rottura della componente socialista, poi, uscita dall’Associazione per fondare la Lega dei Comuni, di una sorta di Congresso rifondativo dell’ANCI. Dal quale ci si augura possa essere rilanciata la linea di un’Organizzazione Istituzionale che opera per la tutela degli interessi comunali e non si fa condizionare dalle alterne vicende dei Partiti che pretenderebbero di fare dei Comuni delle proprie strutture funzionali. Ma soprattutto, in un frangente storico caratterizzato dagli egoismi istituzionali che inevitabilmente portano all’accentuarsi della contrapposizione Comuni-Stato, l’obbiettivo che in via mediata si attribuisce all’Assise di Parma è la riaffermazione dell’identità dell’ANCI quale Associazione alternativa al rivendicazionismo intransigente sullo stile delle Leghe operaie che le avrebbero (da sempre) voluto attribuire i Partiti della sinistra estrema ed all’incalzante centralismo autoritario che trovava il suo rilancio nelle scorribande che sempre più frequentemente i movimenti squadristici praticavano nel turbolento dopoguerra. Sturzo su questi temi aveva una sensibilità ineguagliabile, affinata se possibile ancora di più dall’esperienza di segretario nazionale del PPI. Basti considerare la magistrale relazione su Il decentramento amministrativo, le autonomie locali e la costituzione della Regione che, letta dalla tribuna del III Congresso Popolare di Venezia (20-23 ottobre 1921), può essere considerata il suo manifesto federale. Per il quale “i nostri Comuni erano ‘Stati’, le nostre glorie sono in ogni angolo d’Italia, le nostre zolle hanno tutte una storia pari in grandezza con la storia dei grandi Stati e dei grandi Imperi. Questo esercizio di virtù, di forza, di attività, di genio non può essere ridotto ad un unico 27 federalismi.it |n. 19/2015 centro assoluto” 66 . Sicché, come aveva scritto nel Programma del Partito Popolare Italiano, bisogna riconoscere la “ libertà e (l’) autonomia degli Enti pubblici locali” ossia le “ funzioni proprie del Comune, della Provincia e della Regione, in relazione alle tradizioni della Nazione e alla necessità di sviluppo della vita locale” 67 . Il che significava, in altre parole, in “una unità convergente, non divergente dallo Stato”68. Con questo background culturale e politico, naturalmente, fu gioco forza che la relazione principale del Congresso venisse affidata al sacerdote calatino, il quale, pur essendo il segretario nazionale del secondo Partito politico italiano, dava assoluta garanzia di imparzialità e di spirito di coesione e non perché fosse formalmente vice-presidente dell’ANCI ma perché da tanto tempo rappresentava l’anima comunitaria dell’Associazione. In più, si aggiunga a tutto ciò che il tema prescelto era quello de La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, che aveva costituito oggetto di trattazione già nel I Congresso e successivamente nell’VIII di Genova (relazione di Bonomi) e nel XII di Milano (relatore Caldara) senza che i Comuni fossero riusciti ad influenzare il Governo, ed allora si capisce bene perché era necessario che l’Associazione mettesse in campo tutto il prestigio di Sturzo per potere sperare “di contribuire al riordinamento e al risorgimento economico dei nostri Comuni”69. Sturzo introdusse la sua relazione ricordando, innanzitutto, che il tema della riforma dei tributi locali costituiva argomento del massimo interesse per i Comuni e che l’ANCI vi aveva riservato attenzione fin dal suo primo Congresso. Sottolineò poi, per evidenziare la permanente validità della politica delle ‘larghe intese’, che i principi e le linee direttive del progetto che avrebbe presentato risalivano all’impostazione che della materia aveva dato il socialista onorevole Caldara nell’Assise di Milano del 1913. Accennò anche che “il primo a dare un inizio pratico e razionale alla riforma dei tributi locali fu nel 1917 l’on. Meda, allora ministro delle Finanze,” e che il suo progetto servì poi da base ai provvedimenti del ministro Toscano70. Precisò altresì che il progetto LUIGI STURZO, Il decentramento amministrativo, le autonomie locali e la costituzione della regione in FRANCESCO MALGERI (a cura di), Gli atti dei Congressi del Partito popolare italiano, Morcellania, Brescia, 1969, 309. 67 Cfr. Il programma del “Partito Popolare Italiano” illustrato dal dott. Alessandro Cantono, Libreria Editrice Internazionale, Torino, 1919, 24. Una ristampa sia del programma del PPI che di parte dell’Introduzione di ALESSANDRO CANTONO si può v. in Appendice al vol. di EUGENIO GUCCIONE, Cattolici e democrazia, Ila Palma, Palermo-Sao-Paulo, 1988, 75. 68 LUIGI STURZO, Il decentramento amministrativo, le autonomie locali e la costituzione della Regione, cit., 294. 69 LUIGI STURZO, La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, Tipografia Editrice Laziale A. Marchesi, Roma, 1922, 4. 70 LUIGI STURZO, La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, cit., 4. 66 28 federalismi.it |n. 19/2015 di riforma tributaria era il frutto del lavoro di una specifica Sottocommissione 71 istituita nell’ambito della Commissione reale per la riforma degli Enti locali nata dal decreto luogotenenziale n. 511 del 22 aprile 191872 e che nel luglio 1920 era stato presentato all’onorevole Giolitti, il cui ministro delle Finanze, Luigi Facta, lo aveva sottoposto nel marzo 1921 ad un nuovo Comitato, composto dal sottosegretario Bertone, dai direttori delle Finanze D’Aroma e Rossi e dallo stesso Sturzo, che lasciò “il testo quasi integro”73. Concluse questa indispensabile premessa introduttiva segnalando, infine, che l’attuale ministro delle Finanze, onorevole Marcello Soleri, aveva sottoposto ad una nuova Commissione governativa74 il progetto e che quest’ultima aveva apportato solo “qualche ritocco secondario e di forma”. Ricostruito così l’iter formativo del progetto di riforma della finanza locale, il prete di Caltagirone, come suo stile, senza fronzoli e giri di parole, venne al dunque della quistione politica sul tappeto. Che nell’essenza si può rappresentare dicendo che essa era costituita dal modo in cui il sistema tributario dei Comuni doveva essere costruito. Se in maniera “pienamente autonoma” oppure “debba avere il coordinamento col sistema tributario dello Stato”75. Erano queste le due linee in alternativa. Per Sturzo e per la Dirigenza dell’ANCI, evidentemente, non vi era incertezza alcuna. La scelta non poteva, anche per le evidenti implicazioni di carattere generale sul sistema politico-istituzionale, che essere in favore di un ordinamento tributario autonomo, pluralista ma a coordinamento statale. Così come del resto aveva all’unanimità –con l’assenso dei rappresentati dell’ANCI e dell’UPI, cioè– già indicato la Commissione governativa76. Chiaramente a Sturzo non sfuggiva che questa scelta storicamente “non corrispondeva in tutto all’indirizzo tenuto dall’Associazione dei Comuni, che nel Congresso di Genova (1909), su relazione dell’on. Ivanoe Bonomi reclamava una sollecita riforma che dia stabile assetto ai tributi locali, nettamente dividendo le entrate dei Comuni –le quali dovranno basarsi specialmente sopra Composta dal comm. PASQUALE D’AROMA, dal senatore LUIGI EINAUDI, dal professore ANNIBALE GILARDONI, dal comm. PIETRO RAGNISCO e dal professore D. LUIGI STURZO. 72 Della Commissione presieduta dal senatore RAFFAELE PERLA presidente del Consiglio di Stato, facevano parte fra gli altri i senatori PIERO LUCCA e VETTOR GIUSTI DEL GIARDINO, rispettivamente presidenti dell’ANCI e dell’UPI, i due vice-presidenti dell’ANCI LUIGI STURZO e DARIO FRANCO, il professore ANNIBALE GILARDONI, segretario dell’UPI, FRANCESCO ZANARDI, sindaco di Bologna ed alto esponente della Lega dei Comuni socialisti, il senatore LUIGI EINAUDI, il professore BENVENUTI GRIZIOTTI. 73 LUIGI STURZO, La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, cit., 4. 74 Della quale avevano fatto parte, oltre allo stesso STURZO, EINAUDI, RAGNISCO e GILARDONI. 75 Il corsivo dei termini “autonoma” e “coordinamento” è nostro. 76 “La Commissione ritiene che il sistema tributario degli Enti locali non debba essere pienamente autonomo, ma debba avere il suo coordinamento col sistema tributario dello Stato”. V. LUIGI STURZO, La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, cit., 5. 71 29 federalismi.it |n. 19/2015 le varie forme di imposte reali– da quelle dello Stato, al quale dovrà passarsi la tassazione personale sul reddito” 77 . E né meno mancava la conoscenza che all’interno del mondo degli amministratori locali per ragioni risalenti e cause attuali, vi fossero tendenze e spinte estreme verso un sistema di autonomia finanziaria assoluta. Ma, come egli stesso si era espresso, “le mutate condizioni generali dell’economia del paese dopo la guerra, le ragioni dell’erario dello Stato, che più direttamente influiscono sull’economia generale, e una più esatta valutazione del necessario equilibrio fra i sistemi tributari, porta(no) anche noi ad accettare la tesi del coordinamento, invece dell’assoluta autonomia”78. Non solo. Ma conducono a questa posizione anche il passaggio completo ai Comuni dei dazi di consumo e di varie tasse autonome comunali, operanti con carattere di vera integrazione tributaria, oltre che, come accennato, le esigenze di coesione sociale ed integrazione politico-istituzionale che di fronte al ribollire del Paese diventavano sempre più urgenti. Dove, nella relazione di Sturzo, invece, affioravano le incertezze era sull’effetto finanziario (“se e fino a qual punto… copra il fabbisogno dell’attività comunale e risponda alle cresciute esigenze della vita cittadina”) della riforma. E ciò perché “non si hanno né si possono avere elementi statistici di previsione, né punti di partenza sicuri; perché a parte che manchi una statistica generale della finanza locale, aggiornata al 1920, molti elementi della riforma sono nuovi o si basano su altri elementi della finanza statale che ancora non hanno avuta attuazione concreta”79. Detto questo ed auspicato, infine, che la data di applicazione della riforma non avesse a subire un ulteriore rinvio rispetto all’inizio fissato dalla revisione Soleri al 1 gennaio 1923, Sturzo illustra punto per punto il progetto e presenta, per l’approvazione dell’Assemblea, un odg finale con il quale quest’ultima: prende atto con soddisfazione che finalmente è pronto un progetto di legge per la presentazione alla Camera dei Deputati; rileva con grande enfasi che “i criteri fondamentali di tale progetto si basano sopra un equilibrio tributario coordinato tra Stato, Provincie e Comuni”; nota “che è un audace tentativo di riforma, oggi maturo nella pubblica opinione, perché gli Enti locali in genere e i Comuni in ispecie tentino… la conquista dell’equilibrio di bilancio e concorrano così al risanamento dell’economia nazionale”; auspica che siano finalmente assunte a carico dello Stato tutte le spese che i Comuni devono sopportare per servizi di natura statale, quale quelli militari, giudiziari, di pubblica sicurezza, elettorali, sia ordinari che LUIGI STURZO, op. ult. cit., 5. LUIGI STURZO, op. e loc. ult. cit.. 79 LUIGI STURZO, op. ult. cit., 6. Sul problema si veda quanto scrive PIERO GIARDA in La finanza comunale negli anni della relazione di Sturzo (testo dattiloscritto destinato al volume celebrativo del Centenario dell’elezioni di Sturzo alla Vice-presidenza dell’Anci). 77 78 30 federalismi.it |n. 19/2015 straordinari; delibera, infine, di impegnare “l’azione dell’Associazione e di tutti i Comuni per premere sul Governo e sul Parlamento affinché il progetto di riforma dei tributi locali, già pronto, sia discusso ed approvato con urgenza”80. Apertosi, subito dopo, come al solito, il dibattito, il prete di Caltagirone ebbe, però, un’inaspettata sorpresa. La prevalenza nelle argomentazioni degli intervenuti – come i sindaci di Roma, Ravenna, Ancona, Perugia, etc. – di considerazioni e valutazioni negative sia in ordine ai contenuti illustrati della riforma sia conseguentemente in ordine all’impegno richiesto all’Associazione ed ai sindaci per fare pressioni sul Governo e sul Parlamento perché l’adottassero al più presto. Sturzo capì subito l’antifona e con la Commissione ad hoc costituita dall’Assemblea si rese disponibile a rivedere l’odg ed a modificarlo nel senso di ridurre “i criteri fondamentali (per un) equilibrio tributario coordinato tra Stato, Provincie e Comuni” a una mera affermazione di principio ed inoltre di condizionare l’impegno dell’ANCI e dei sindaci a favore del progetto ai risultati di una specie di referendum che sarebbe stato indetto fra tutti i Comuni. Naturalmente, dopo la mediazione, l’odg fu approvato per acclamazione81 ma la vicenda restò inevitabilmente aperta intrecciandosi con la ‘storia’ più generale dell’ANCI e diventando la prima breccia della penetrazione fascista dentro le istituzioni democratiche dell’ANCI82. 8. La rottura nel Consiglio direttivo dell’ANCI sul ddl Soleri ed il protagonismo politico del nuovo presidente, Teofilo Rossi, in favore di una apertura al Fascismo. Intanto, il Congresso si concluse con l’elezione del Consiglio direttivo, composto non più da 15 ma da 20 membri di cui ben 8 (inclusi i presidenti onorari senatore Greppi e senatore Mariotti) parlamentari, e con la conferma del criterio di nominare presidente uno di questi ultimi. Cosa che fu adempiuta dal Consiglio direttivo, presieduto in mancanza di entrambi i presidenti onorari dal consigliere anziano Sturzo, nella seduta del 21 dicembre 1921, con l’elezione del senatore Teofilo Rossi, sindaco di Torino. Sturzo, con Franco e Buzzi, fu eletto ancora vice-presidente. Ma la sua V. l’odg presentato da LUIGI STURZO alla fine della relazione La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni, cit., 26 e ss.. 81 UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 265-266. 82 È questa, a mio modo di vedere, la ragione della “dimenticanza” da parte di Sturzo della ripubblicazione fra le sue due Opere che raccolgono i contributi ai Congressi dell’ANCI (La Regione nella Nazione, cit., e La Croce di Costantino. Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolica e sulle autonomie locali, cit.) della relazione letta al Congresso e dell’odg presentato a seguito della stessa. Una diversa ipotesi avanza in questo stesso volume OSCAR GASPARI, Congresso Anci Parma 1921: la relazione dimenticata da Sturzo e l’importanza del ruolo dell’ANCI nella formazione delle leggi, pag. 7-8 del testo dattiloscritto (destinato al citato volume celebrativo del Centenario dell’elezione di Sturzo alla Vice-presidenza dell’Anci). 80 31 federalismi.it |n. 19/2015 elezione non sanò certo il vulnus che si era determinato al Congresso di Parma con la sostanziale bocciatura della sua linea politica. Anzi, subito, al Consiglio direttivo del febbraio 1922, tenutosi a Roma, la frattura con una parte del Movimento Comunale si acuì perché il Consiglio direttivo sul progetto di riforma della finanza locale sottoposto, come voluto dall’odg approvato in Congresso, alla consultazione di oltre 2000 Comuni prendeva atto “con compiacimento delle numerose ed importanti osservazioni inviate dai Comuni all’Associazione” ed istituiva (nella successiva seduta del 13-14 maggio 1922) una Commissione mista con il Comitato dei Comuni capoluoghi di Provincia per vagliare le osservazioni dei Comuni alla riforma e, sulla loro base, presentare appositi emendamenti alla Camera. Circostanza, quest’ultima, che finì per legittimare un’autonoma iniziativa del Comitato dei Comuni capoluoghi di Provincia il quale si riunì separatamente e, “dopo ampia discussione”, rigettò in toto il disegno di legge Soleri in quanto “non provve(de) ai reali bisogni dei Comuni d’Italia e non (può) quindi essere accettato”83. Insomma, per Sturzo e per l’ANCI quello che doveva essere il Congresso rifondativo dell’Associazione con il suo rilancio della politica autonomistica e federalista si risolse in una vera e propria débacle. Intanto perché portò alla bocciatura della riforma della finanza locale –condivisa fino a qualche tempo prima da tutta l’Associazione– per mano, secondo quanto scritto dal ministro Claudio Soleri a Luigi Enaudi 84 , del Comitato dei Comuni capoluoghi di Provincia capitanati da Giacomo Matteotti. E poi perché quest’ultimo evento determinò una specie di reazione del versante politico opposto che portò al non accoglimento da parte dell’apposita Commissione parlamentare di una delle richieste simbolo portate avanti sin dai primi anni dell’Associazione e cioè il Consiglio Superiore dei Comuni: una struttura strategica per dare una prima forma di attuazione alla prospettiva comunitaria. Naturalmente, il prete di Caltagirone e la componente ancora maggioritaria fedele a Sturzo dell’ANCI non si spaventarono né si arresero di fronte agli incipienti marosi politici. Come nella loro natura di soggetti non ideologici ma pragmatici spostarono il timone dell’impegno in direzione dell’attività di assistenza ed accompagnamento dei Comuni e così, a partire dall’agosto del 1922, dettero vita ad un nuovo servizio di consulenza legale “completamente gratuito sui problemi riguardanti la legislazione civile e commerciale, l’amministrazione … finanziaria e tributaria, scolastica, agraria e forestale, relativa agli appalti, alle opere pubbliche e agli eventuali Per questa ricostruzione v., OSCAR GASPARI, Congresso Anci Parma 1921: la relazione dimenticata da Sturzo e l’importanza del ruolo dell’ANCI nella formazione delle leggi, cit., pag. 7. 84 Così ancora OSCAR GASPARI, op. e loc. ult. cit.. 83 32 federalismi.it |n. 19/2015 conflitti tra Comuni e dipendenti”85. Ciò però non provocò la sottovalutazione dell’occasione offerta dallo scioglimento della Lega dei Comuni, da parte del PSI nel novembre 1922, per rilanciare ancora una volta il ‘credo ortodosso’ dell’ANCI in ordine alla incompatibilità della partitocrazia con lo spirito di una Associazione istituzionale: “Soltanto un’organizzazione apolitica (può) far opera di efficace tutela degli interessi comunali di fronte alle alterne vicende dei partiti”; non è “possibile pretendere di fare dei Municipi vere e proprie dépendances degli organi di un partito politico, di qualunque natura esso (sia)”. In conclusione, “una Associazione fra i Comuni Italiani non si (può) concepire che sulla base di un programma ampio ed aperto a tutte le tendenze, a tutte le idealità; un programma che non (subordini) l’azione a determinate finalità politiche, ma (abbia) invece di mira i grandi interessi che si rannodano alla vita comunale”86. Ma nel frattempo Mussolini aveva già conquistato il Governo (31 ottobre 1922) e certo il suo sentire non andava in questa direzione. Al massimo si poteva sperare che egli credesse veramente a quanto aveva detto il 21 giugno 1921 in Parlamento87 aprendo uno spiraglio sul decentramento amministrativo ma “purchè non si (parlasse) di federalismo e di autonomismo (corsivo nostro), perché dal federalismo regionale si andrebbe a finire al federalismo provinciale”, disintegrando la Nazione. Quindi in una prospettiva completamente opposta a quella dei cattolici popolari ma anche dei socialisti e dei repubblicani, tutte forze politiche da sempre impegnate nelle Associazioni degli Enti locali. Per Sturzo la partita ora si faceva davvero difficile. Anche perché alle elezioni amministrative anticipate di Caltagirone del 24 settembre 1922 il sacerdote calatino con tutti i cattolici del PPI aveva deciso di non candidarsi per evitare che si verificassero gravi disordini e gli animi dei suoi concittadini potessero invelenirsi88. Il che, come detto, per lo Statuto dell’ANCI, implicava la decadenza da tutte le cariche rappresentative dell’Associazione, ivi compresa la vice-presidenza. Ma il prete popolare di Caltagirone non si dimise né fu dichiarato, per l’immediato, decaduto. Almeno inizialmente, come vedremo subito ora, continuò a partecipare a tutte le attività V. Costituzione dell’Ufficio di consulenza legale per i Comuni in Autonomia Comunale, agosto 1922, n.2. In questi termini l’articolo non firmato apparso con il titolo Il Comune ed i partiti politici in Autonomia Comunale, novembre 1922, n.5. 87 BENITO MUSSOLINI, Scritti politici (a cura di ENZO SANTARELLI), Feltrinelli, Milano, 1979, 202. 88 Come scrisse La Croce di Costantino del 23 settembre 1922: “ questa astensione (suona) protesta all’opera servile e pavida del Governo; desiderio doveroso di non acuire maggiormente i dissensi che minacciano di dividere ed invelenire sempre più gli animi dei cittadini; proposito virile di lasciare libera la via agli avversari che si atteggiano, con calcolate lamentele, a vittime”. Così riportata da UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 271. Sull’astenzione del PPI dalle elezioni amministrative di Caltagirone del 24 settembre 1924, v. anche MICHELE PENNISI, il PPI a Caltagirone e nel Calatino in Sociologia (Rivista di Scienze Sociali dell’Istituto L. Sturzo), 1987, nn. 1-2-3, 329. 85 86 33 federalismi.it |n. 19/2015 dell’Associazione. Come il Consiglio direttivo del 31 gennaio 1923 nel quale però dovette già subire il protagonismo del neopresidente, Teofilo Rossi, il quale, introducendo i lavori, su specifico e formale incarico di Benito Mussolini portò il saluto di quest’ultimo, lo definì “la speranza della nostra Nazione” 89 e, prendendo spunto dalla posizione tradizionale dell’ANCI, dichiarò enfaticamente e con un chiaro intento strumentale che “l’Associazione dei Comuni non era uno Stato nello Stato, né doveva porsi contro lo Stato o il Governo”. Infine, raccogliendo una specifica sollecitazione del PNF, sottolineò che, in attesa del XV Congresso che si sarebbe dovuto celebrare a Trento, sarebbe stato giusto dare un riconoscimento alle forze politiche che negli ultimi mesi si erano particolarmente distinte, facendole entrare nel Consiglio direttivo dell’Associazione e così portando quest’ultimo a 25 membri e aumentando contemporaneamente di un’altra unità i vice-presidenti (che da 3 sarebbero passati a 4). Un modo, come è facile capire, per spalancare le porte all’ingresso trionfale del Partito Nazionale Fascista negli organi direttivi dell’Associazione che tanto sprezzantemente aveva combattuto e della quale tuttora riteneva alcuni suoi dirigenti , come Luigi Sturzo, nemici giurati. 9. La decadenza dalla vice-presidenza dell’ANCI chiude il ciclo della narrazione autonomistica e federale di Sturzo e consegna l’Associazione dei Comuni al centralismo statalistico del Fascismo. Comunque sia, il sacerdote di Caltagirone fu chiamato ancora, il 22 febbraio 1923, a svolgere la relazione ufficiale al Convegno delle Città che avevano optato per l’autonomia della scuola primaria ed, addirittura, il 23 e 24 maggio, quando si svolse la nuova riunione del Consiglio direttivo, in assenza del Presidente ministro Rossi, a presiederne, in qualità di vice-presidente anziano, i lavori. Solo che la mancata designazione da parte del PNF e degli altri Partiti dei nuovi membri del Consiglio direttivo che avrebbero dovuto essere cooptati e soprattutto la scarsa partecipazione dei componenti del Consiglio indicarono in modo chiaro a Sturzo che la sua storia nell’ANCI e, forse, anche quella della stessa Associazione erano ormai arrivate al “canto del cigno”. Ed infatti alla riunione del successivo settembre, in un Consiglio direttivo che cooptava fra gli altri l’onorevole Roberto Farinacci -non si sa se presente il sacerdote calatino 90 - il presidente Teofilo Rossi annunciò che quanto prima si sarebbe proceduto alla sostituzione del Il resoconto completo della seduta si può vedere in Autonomia Comunale, gennaio 1923, n. 1. Il punto è sottolineato anche da UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 273. 90 Lo evidenzia UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 275. 89 34 federalismi.it |n. 19/2015 vice-presidente Sturzo e, naturalmente, di tutti gli altri che avevano perduto il titolo di legittimazione a ricoprire incarichi direttivi nell’ANCI.91 Se a ciò si aggiunge poi che il “sinistro prete”92 -a seguito della campagna denigratoria orchestrata direttamente da Benito Mussolini, ormai Capo del Governo, dopo che al IV Congresso di Torino (12 – 14 aprile 1923) del PPI Sturzo aveva fatto stabilire l’incompatibilità tra la concezione “popolare” dello Stato e quella “totalitaria” del fascismo- era stato costretto, su esplicita richiesta di Papa Pio XI93, a rassegnare il 10 luglio 1923 le dimissioni da segretario nazionale del Partito Popolare Italiano, si coglie subito, plasticamente, come con la proclamata decadenza dalla vicepresidenza dell’ANCI il ciclo della narrazione autonomistica e federale nonché popolare e democratica del prete calatino arrivi alla sua conchiusione. Mentre l’Associazione dei Comuni, priva della sua (di Sturzo) sapiente ed effettiva guida politica, viene consegnata inerme al centralismo statalistico del Fascismo grazie all’imbelle presidente Rossi che rivolgendosi in udienza a Mussolini gli assicurava “la piena ed incondizionata solidarietà” dell’Associazione con l’impegno dei Comuni “di dare tutta la loro opera disciplinata e devota per assicurare alla Patria un più grande avvenire in nome della ragione, della giustizia e del progresso”. E, non pago, aggiungeva che il Consiglio direttivo é “a completa disposizione del Capo del Governo fascista, per coadiuvarlo nell’opera di ricostruzione nazionale alla quale Egli si (era) accinto con tanto fervore”94. Naturalmente, il Capo del Governo apprezzò molto l’atto di sottomissione dell’Associazione e si sentì in dovere di contraccambiare tanta disponibilità dell’ANCI proclamando due impegni che però – era chiaro – non avrebbe mai rispettato. Il primo in ordine alla circostanza che “il tessuto nazionale non poteva essere rinnovato lavorando soltanto al centro”. Il secondo riguardo al fatto che non avrebbe mai pensato di mettere sotto tutela i Comuni né di togliere loro quella necessaria autonomia amministrativa di cui godevano. Come i successivi provvedimenti governativi dimostrarono, il Fascismo procedette invece alla riorganizzazione dell’Amministrazione locale (con la soppressione di circa 2000 Comuni, delle sottoprefetture, etc.), prima, senza consultare le Amministrazioni locali e, poi, operando un progressivo processo di accentramento. A ciò bisogna poi aggiungere che, non ancora soddisfatto, il regime mussoliniano chiamò nel 1924 l’ANCI a stipulare un patto d’intesa con la Confederazione nazionale degli Enti autarchici e Chiaramente il provvedimento non poteva riguardare il solo STURZO ma il fatto che dovesse applicarsi al sacerdote di Caltagirone ne favorì sicuramente l’adozione. 92 Così Mussolini appellava sprezzantemente STURZO del quale temeva l’acume politico. 93 ... trasmessa al Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri. Per una ricostruzione puntuale, cfr. GIOVANNI SALE S.J. , Le “dimissioni” di D. Sturzo da segretario del PPI in La Civiltà Cattolica, 2006, IV, 114 ss.. 94 V. la ricostruzione dell’incontro in UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 275-276. 91 35 federalismi.it |n. 19/2015 soprattutto ad aderire alla Mostra di attività municipali organizzata dal Comune di Vercelli per celebrare il nuovo modo spettacolare con il quale il Fascismo intendeva valorizzare il lavoro delle amministrazioni. Fino a quando nel 1926, dopo che per tutto il 1925 l’Associazione aveva continuato la sua attività ordinaria ma senza alcuna riunione di organi politici, l’ANCI non venne assorbita dalla Confederazione nazionale degli Enti autarchici che agiva sotto il diretto controllo del Ministero delle Corporazioni95. Si concludeva così – con Sturzo partito per l’esilio in Inghilterra e l’ANCI ‘ibernata’ nell’organizzazione degli Enti autarchici del Fascismo – quello che al di là dello sterile rivendicazionismo socialista si può considerare l’unico, almeno fino ad allora, vero tentativo di riforma dello Stato unitario accentrato nato dal moto risorgimentale. Tentativo di riforma che cercava di sostituire al tradizionale principio di sovranità – che nella declinazione ordinamentale interna allo Stato si traduceva in quello di gerarchia – il principio di autonomia che non doveva, però, essere interpretato come una condizione secondaria che connotava gli ambiti locali dell’ordinamento ma come un principio fondamentale che caratterizzava l’intero sistema statale. Non solo. Ma –e qui sta il tratto di maggiore ed originale novità– questa autonomia non doveva servire per trasformare i Comuni in enti separati e contrapposti allo Stato ma piuttosto doveva costituire la base per una organizzazione pubblica di istituzioni integrate. Insomma, un sistema improntato al moderno federalismo che era, ed è, il solo modo per dare “democraticità, partecipazione e consenso popolare ad uno Stato organizzato in maniera troppo unitaria e monolitica”96. Sturzo tutto questo lo aveva perseguito con una chiarezza di intenti assoluta, forte degli insegnamenti dei suoi ideali maestri Gioacchino Ventura, Vincenzo Gioberti ed Antonio Rosmini, fin dal suo primo misurarsi con i problemi dei Comuni. Giustamente quindi si meravigliò ed in un certo senso indispettì quando poi, rientrato in Italia dopo l’esilio, fu costretto a constatare la sottovalutazione che politici ed anche studiosi facevano del suo operato in ANCI. Avvertì in ciò ancora una volta la subdola ricerca di giustificazioni del vecchio strumentalismo che impugnava la bandiera dell’autonomia quando si trattava di combattere dall’opposizione il Per una chiara sintesi degli ultimi due anni di attività dell’ANCI, ancora ‘autonoma’, v. UMBERTO CHIARAMONTE, Luigi Sturzo nell’Anci, cit., 275 e ss.. 96 Per la tesi che fosse quello federalista il modello istituzionale perseguito da Sturzo, v. EUGENIO GUCCIONE, Dal federalismo mancato al regionalismo tradito, cit., 30-31, il quale scrive che “egli propugnò l’esigenza di un federalismo correttivo con lo scopo di dare dinamica organizzazione ad uno Stato ... che rimaneva accentrato, rigidamente burocratizzato, spesso oppressore delle libertà civili e politiche, demagogicamente assistenziale, più sensibile ad una politica di pronto soccorso che impegnato nella realizzazione del bene comune”. 95 36 federalismi.it |n. 19/2015 vecchio sistema di potere e se ne dimenticava quando diventava forza di governo esso stesso. Fu confortato però dal fatto che la Costituzione repubblicana con la sua opzione netta ed inequivocabile per il principio di sussidiarietà da allora in avanti avrebbe impedito questo vecchio giochetto e garantito l’istaurarsi di un ordinamento autenticamente autonomista e federale. Che, in senso più ampio, come lo stesso Sturzo aveva scritto in un articolo apparso sul quotidiano del Cantone Ticino “Popolo e Libertà” del 15 luglio 1937, altro non era che la “nostra” Democrazia Cristiana97. 97 V. LORENZO PLANZI, Luigi Sturzo ed il cantone Ticino, Armando Dadò Editore, 2011, 266 ss.. 37 federalismi.it |n. 19/2015