Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 www.riflessionline.it Iscrizione presso il Tribunale di Padova n. 2187 del 17/08/2009 Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 0 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 INDICE IL MERAVIGLIOSO MONDO DI SIDDHARTHA Luigi la Gloria pag. 2 LA MOLECOLA DELLA VITA Anna Valerio pag. 12 SANGUE MISTO Umberto Simone pag. 16 LE IMMAGINI DELLA FANTASIA 32 pag. 19 NEL SEGNO DI CARLO SCARPA pag. 22 CORCOS. I SOGNI DELLA BELLE ÉPOQUE pag. 24 ROBERTO FLOREANI: LA CITTÀ IDEALE pag. 27 PIER PAOLO MITTICA. ASHES/CENERI pag. 29 Direttore Responsabile Luigi la Gloria [email protected] Vice Direttore Anna Valerio [email protected] Grafica e Impaginazione Claudio Gori [email protected] Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 1 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 IL MERA VIGLIOSO MONDO DI SIDDHA RTHA Luigi la Gloria Quando la sapienza Indiana fluisce verso occidente a partire dal XVIII secolo produce un lento ma fondamentale mutamento nel pensiero europeo. Pur tuttavia è soltanto alla fine del XVIIII secolo che il buddhismo giunge alla nostra attenzione grazie alla monumentale opera di traduzione del Canone pāli da parte di Karl Eugen Neumann 1865-1915. Prima di allora la conoscenza dei libri sacri del buddhismo era riservata ai pochi estimatori del sanscrito, del pāli e delle lingue asiatiche. Ma la mirabile opera di Neumann ci ha consentito di immergerci in quell’immenso mare di conoscenza che è il BuddhaDarma. Schopenhauer diceva.. che il sublime è quella sorta di estremo della bellezza, in cui immediatamente si avverte la negazione del temporaneo e l’affermazione dell’eterno e che costituisce l’essenza della bellezza. Certamente è questa l’impressione che si prova leggendo e meditando i discorsi di Gotama Buddha. Il luogo dove è collocata la colonna con la grande iscrizione di Ashoka, III secolo a.C., contenente la lapidaria affermazione: qui nacque il Buddha Sakyamuni, si trova nel cuore di uno dei più grandiosi e solenni paesaggi della terra, assai adatto ad essere stata la culla di colui che insieme pochi altri uomini ha illuminato le coscienze dell’intera umanità. A settentrione si staglia maestosa la più grande catena montuosa della terra: l’Himalaya le cui cime nevose, il Devalagiri,il Gaurisankar, il Kangchenjunga,l’Annapurna si ergono giganteschi tra gli ottomila e i novemila metri, ai piedi dei quali, tra i colli boscosi del Nepal, si trova il luogo di nascita del Buddha. A sud scorre parallelamente per altri duemila kilometri il sacro Gange che, con un ritmo immenso, scorre a versare la sua enorme massa di materiale di disgregazione dell’Himalaya nel gorgo profondo del Mare del Bengala. E nel Gange si versano dall’Himalaya gli altri sacri affluenti e poco lontano scorrono i cinque fiumi vedici, che confluiscono nell’Indo e con esso portano l’acqua delle gelide vette al caldo Oceano indiano, scosso dal grande respiro del monsone. E fruendo del principio buddhista dell’interdipendenza: il monsone porta per la valle del Gange il vapore dell’acqua esalato dal caldo oceano il quale precipita poi con diluvi di piogge e neve sull’Himalaya e nel sottostante Terai nepalese e qui fa germogliare la rigogliosa vita vegetale e animale della giungla indiana e sulle sparse rovine delle antiche città dove nacque e morì Gotama Buddha. Questo paesaggio del Terai che Kurt Boek, l’intrepido viaggiatore tedesco che negli anni venti del novecento, fu tra i primi a visitare l’Himalaya, definisce di strabiliante bellezza, che Kipling descrive con parole di straordinaria poesia, sono rimasti come soli baluardi e solenni testimoni della vita e della civiltà dalla quale sorse lo splendido fiore del Buddha. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 2 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Egli stesso descrive la sua terra e la sua famiglia di origine; nel Grande Libro, Sattanipāto. In esso si racconta come Gotama in cammino alla volta della città di Rājagaham, ora Rajgir capitale del Bihar, dopo avervi elemosinato cibo, uscì dalla città, ritirandosi sul monte Corno Grigio. Il re Bimbisāra che regnò in quella regione tra il 537 e 485 a.C. vide dal suo palazzo passare un asceta mendicante e, colpito dal suo aspetto e dal suo andare regale, inviò sulle sue tracce alcuni messi che tornarono annunziandogli:- Il mendicante, o gran re, s’è ora fermato al Corno Grigio e riposa come una tigre reale, come un leone innanzi la sua caverna.- Il re fece subito preparare il carro e parti veloce alla volta della montagna. Quando fu dinnanzi all’asceta si fermò e inchinatosi con riverenza disse:- Così giovane, forte e fresco, nel primo fiore della virilità, di nobile aspetto, di bella figura, tu sembri di nascita un guerriero che risplendere davanti all’esercito, seguito dalle schiere di elefanti. Io ti donerò tesori se mi sarai amico. Dimmi a quale gente appartieni.- Gotama gli indirizza uno sguardo pacato e colmo di dolcezza:- Mio re, nel settentrione, al confinante con il Kosala, vi è una terra che si estende ai piedi dell’Himalaya, essa è forte e ricca. Nacqui nel regno degli Sakaya, e Sakya è il nome della mia famiglia. Il re Suddhodāna, che regna in Kāpilavatthu, è mio padre e mia madre era la regina Māhamaya. Ero principe ereditario ma, scegliendo di diventare un monaco per cercare la Via, sono ormai tre anni che ho lasciato genitori moglie e figlio. Nel corso dei secoli intorno alla nascita di Siddhartha, i vari popoli hanno intessuto un velo di leggenda, infatti si narra che la madre lo partorì in piedi appoggiata ad un tronco d’albero di salā, come la madre di Apollo come si legge nell’inno omerico tradotto da Goethe. Così come Apollo, Siddhartha saltò immediatamente al suolo e dopo aver fatto sette passi e aver guardato in tutte le direzioni disse che avrebbe vissuto l’ultima vita e di non riessere più. La nascita, prosegue la leggenda, come prima la concezione e come poi i grandi avvenimenti spirituali della sua vita, fino alla morte e all’estinzione, fu accompagnata da un incommensurabile splendore, che offuscò non solo i mondi di luce ma anche quelli oscuri dove non c’è sole ne luna, con un fremito che pervase di luce l’universo. Quando la lieta novella si sparse tra cielo e terra, scese dalle falde dell’Himalaya il vecchio vate Asito il quale prese in braccio il bambino, che splendeva come oro puro nel crogiuolo, e pianse pensando che essendo troppo vecchio, non avrebbe avuto il privilegio di vedere il momento in cui il bambino, diventato uomo, avrebbe, con la sua dottrina, aperto la Via che interrompe il sāmsara, per salvarsi dalla morte e dalla vita. Sugli anni trascorsi da Gotama nel grandioso paesaggio del Nepal himalayano, prima di darsi alla vita ascetica e le circostanze che lo portarono a quella scelta sono contenute nel Majjhimanihāyo, poche righe, semplici, marmoree sulle quali nel corso dei secoli si è sviluppata tutta la ricca architettura della leggenda romantica di Buddha, che dall’India è poi passata nel Tibet, in Cina, nel Giappone per poi diffondersi nei due emisferi della terra. Molti tratti di questa leggenda sono pieni di poesia e di Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 3 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 pensiero. Così come quello in cui si descrive il principe Siddhartha il futuro Buddha, valente in tutte le arti del nobile guerriero, abile come nessun altro nel tiro con l’arco, in una gara, come l’antico eroe indiano Arjuna e il greco Odisseo, vinse su tutti gli avversari, conquistandosi il diritto a sposare la bellissima Yaśodharā. Dal matrimonio nacque Rāhula che fu salutato con gioia in tutto il regno. La notizia della nascita del figlio gli giunse mentre, sulla sponda del fiume, ascoltava la cugina cantare .- Beato il padre, beata la madre… La parola beato gli chiamò subito alla mente la beatitudine dell’asceta che rinunzia al mondo. Per il giovane principe quella parola fu una rivelazione e grato alla cugina le regalò una collana di perle. Tempo dopo accade qualcosa a causa della quale decise di abbandonare il mondo e dedicarsi all’ascesi. Narra la leggenda che Siddhartha, tenuto dal padre fuori dal mondo reale, tra delizie, giochi e i piaceri che un giovane principe può godere, uscendo un giorno a passeggio sul carro con il suo auriga, incontrò, spettacolo mai visto prima, un vecchio canuto, curvato e appassito. Colpito da quella apparizione chiese all’auriga cosa avesse fatto quell’uomo per essere ridotto in quelle condizioni. Il giovane rispose che era la vecchiezza a causare il decadimento del corpo e aggiunse con tono grave che tutti, nel tempo in prossimità della morte, sarebbero caduti preda di quella sofferenza. In una seconda passeggiata incontrò un infermo che gli presentò un’altra faccia del dolore della vita. In una terza uscita si imbatterono in un funerale che diede luogo ad un dialogo simile a quello tra Amleto ed Orazio al cimitero:- Questo, altezza, è un morto e, come si dice, egli non sarà più visto dalla madre o dal padre e da tutti gli altri suoi parenti ed amici ed anch’egli non vedrà più sua madre o suo padre e gli altri parenti.- - Come.- Rispose il principe.Anche io sarò soggetto alla morte e non sarò più rivisto dai miei parenti ed anch’io non rivedrò più il re mio padre e la regina e tutti i congiunti?. – Anche tu Altezza e tutti noi siamo soggetti alla morte. Da allora non trovò più alcuna gioia e non ebbe più pace, se non quando scoprì la Via per mettere fine alla vecchiezza e alla morte, al dolore del mondo, alla nascita da cui deriva la vita ed il dolore. Diventò così un pellegrino alla ricerca del vero bene, investigando per l’incomparabile sentiero della pace si unì ai due più famosi asceti e valenti maestri brāhmani del tempo. Lo guidarono per un cammino spirituale che conduceva alla sfera della non esistenza poi a quella della non coscienza. Ma egli, dopo aver fatto proprio quel massimo sapere, si avvide che nessuna delle due sapienze portava al distacco, al dissolvimento, al risveglio e come egli steso dice:- Mi rimisi in cammino cercando il vero bene , investigando per l’incomparabile sentiero di pace, passai per la terra di Magadhā, di luogo in luogo giunsi nelle vicinanze del borgo di Uruvelā. La io vidi un delizioso pezzo di terra: un sereno fondo boschivo, un limpido fiume corrente e tutt’intorno prati e campi. Ciò basta all’ascesi. Mi sedetti allora laggiù. Proprio in quel luogo che Gotama iniziò con straordinario zelo tutti gli esercizi ascetici che gli eremiti e penitenti Yoga di quel tempo praticavano. Cominciò cosi la sua esperienza di mortificazioni, penitenze, digiuni prolungati fino quasi a morire. Attratti dal suo immenso fervore si erano raccolti intorno a lui cinque discepoli i quali credevano di aver trovato finalmente il maestro, che aver conquistato con tali sforzi la verità, li avrebbe resi partecipi secondo l’uso brahmanico. Ma Gotama un giorno, essendo rimasto, dopo un estremo digiuno, quasi morto per terra, si accorse che nemmeno quella era la via:- Allora mi venne il pensiero: quel che mai asceti o sacerdoti hanno provato nel passato o proveranno in futuro o provano nel presente, di sensazioni amare, dolorose, cocenti: questo è il massimo, più oltre non si può andare. Eppure con questa amara ascesi di dolore io non raggiungo la sopraterrena, santa dovizia della chiarezza del sapere! Vi è forse un’altra via per il risveglio. Allora mi venne un pensiero. Una volta, durante il lavoro nei campi presso mio padre, sedendo sotto la fresca ombra di un albero di melarosa, assai lontano da desideri, da cose non salutari, immerso in una beata serenità, raggiunsi il grado della prima contemplazione. Sorse allora in me la coscienza che quella era la via per il risveglio. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 4 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Giunto a questa consapevolezza decide di abbandonare l’ascesi esteriore, corporale e dedicarsi interamente agli esercizi spirituali. I cinque discepoli credendolo crollato lo abbandonarono. Ma Siddhartha non perde mai di vista il suo scopo persistendo così, fermo, instancabile nella meditazione che lo porta ad ascendere di grado in grado le quattro successive sante contemplazioni; scorge chiara l’unità dell’esistenza universale attraverso le miriadi di forme e dei fenomeni moltiplicatisi nel tempo e nello spazio; percepisce la legge ferrea della morale a cui sono sottoposte tutte le manifestazioni della vita e del mondo. Giunge così, in fine, alla concezione dell’origine e della fine del mondo, dall’origine e della fine della sofferenza che al mondo è fatalmente, inestricabilmente, ineluttabilmente congiunta. [Siddhartha analizzando il contenuto della via di mezzo, giunge alla formulazione delle Quattro Nobili Verità: sofferenza, l'origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, la via che porta alla cessazione della sofferenza e dell'Ottuplice Sentiero, ovvero la base del comportamento etico come causa imprescindibile per il conseguimento del Risveglio,. La prima verità è quella del dolore: l'unione con quel che non si ama è dolore, la separazione da quel che si ama è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore. Vivere vuol dire soffrire. Nel corso della vita si sopportano sofferenze fisiche come il dolore, la malattia, vecchiaia, e infine la morte. Si patisce tristezza, paure, frustrazioni, amare delusioni. E benché ci siano vari stadi di sofferenza e allo stesso tempi gioie ed esperienze positive, la vita, nella sua totalità resta imperfetta ed incompleta, perché il mondo è subordinato all’impermanenza. Questo significa che non si è mai in grado di mantenere permanentemente quello che si possiede o si ama perché, insieme alla vita, tutto giorno finirà. L’origine della sofferenza è l’attaccamento alle cose transitorie e l’ignoranza della stessa. Le cose transitorie non sono solo gli oggetti fisici che ci circondano, ma anche idee, e in un certo senso, tutti gli oggetti della nostra percezione. L’ignoranza è la mancanza di comprensione di come la nostra mente è fissata alle cose impermanenti. Le ragioni della sofferenza sono il desiderio, la passione, l’ardore, la ricerca della ricchezza. Poiché gli oggetti del nostri desideri sono transitori, la loro perdita è inevitabile, e così insorge la sofferenza. Oltre agli oggetti di attaccamento anche l’idea di un sé è un inganno. L’ego è solo una entità immaginata, e noi siamo solo una parte del incessante divenire dell’universo Questa sarebbe poi stata ampiamente discussa e analizzata dal Buddha nel corso di tutta la sua predicazione, fino a trovare la sua formalizzazione nella paṭicca samuppāda, in cui ogni causa ha un effetto in una spirale apparentemente invincibile. La cessazione della sofferenza può essere raggiunta attraverso nirodha. Nirodha è il disfacimento della brama sensuale e l’attaccamento concettuale. La terza nobile verità esprime l’idea che la fine della sofferenza può essere ottenuta mediante il conseguimento del distacco. Questo significa che la sofferenza può essere superata semplicemente rimuovendo la causa della sofferenza. Il raggiungimento ed il perfezionamento del distacco è un processo composto da molti livelli che in ultima analisi è lo stato di Nirvana. Esso significa libertà da tutte le preoccupazioni, le paure, o qualsiasi forma di idea concettuale, ma rimane incomprensibile per chi non l’ha raggiunto. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 5 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 C’è un percorso per la fine della sofferenza, un percorso graduale, che viene descritto più dettagliatamente nell’Ottuplice Sentiero. Esso è la via di mezzo tra i due estremi di un eccesso di auto indulgenza, l’edonismo, e auto-mortificazione, l’ascetismo, che conduce alla fine del ciclo delle rinascite. Questi sono gli otto punti: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retta meditazione, retto raccoglimento.] Dunque, riassumendo, la prima verità consiste nel capire la natura reale della vita. La seconda nella comprensione precisa dell’origine della sofferenza. La terza nel comprendere che esiste un modo per estirpare il desiderio. La quarta nel percorrere il sentiero che porta alla comprensione totale che è il Nirvana Così ai piedi di un albero di pippāla raccolse il suo formidabile potere di concentrazione nell’esame del corpo. Vide così che ogni cellula è come una goccia d’acqua immersa nel fiume infinito della nascita, esistenza e morte, senza riuscire a trovare nel corpo una sola cosa che rimanga immutata o da cui sia lecito dire che costituisca un sé separato. Mescolato al fiume del corpo scorre il fiume delle sensazioni in cui ogni goccia è una sensazione. E anche queste gocce si accavallano in un processo di nascita e di morte. Investigò poi il fiume della percezione, che scorre intrecciato al fiume del corpo e delle sensazioni. Le gocce del fiume delle percezioni si inframischiano influenzandosi luna con l’altra in un identico processo di nascita esistenza e morte. Gli uomini sono preda della sofferenza a causa delle percezioni distorte, essi credono permanete ciò che è impermalente, dotato di un sé ciò che è privo di un sé, soggetto a nascita e morte ciò che non soffre di nascita né morte e dividono ciò che non si può dividere. Scrutò quindi, gli stati mentali che causano sofferenza: ira, odio, arroganza, gelosia, avidità e ignoranza e la consapevolezza divampò in lui come un sole radiante. Un giorno Siddhartha seduto sotto lo stesso albero osservò una foglia ondeggiare verso di lui come se volesse attirare la sua attenzione. Osservandola in profondità vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle: perché senza sole, senza luce e calore, quella foglia non sarebbe esistita. Anche le nuvole vide nella foglia, perché senza nuvole non c’è pioggia e senza la pioggia, quella foglia non poteva esistere. E vide poi la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel preciso momento, l’universo intero si manifestava nella foglia; quella realtà era un miracolo stupefacente. Gotama comprese che la foglia e il suo corpo erano la stessa cosa. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indipendentemente dal resto dell’universo. Comprese così che la chiave della liberazione si trovava nei principi dell’interdipendenza e del non sé. Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermalenti, non potrebbero trasformarsi in pioggia. Senza una natura impermalente un bambino non potrebbe diventare adulto. Quindi, pensò, accettare la vita significava accettare l’impermanenza e l’assenza si un sé. Giunse così alla conclusione che non c’è ne nascita ne morte, ne creazione ne distruzione, ne grande ne piccolo, ne puro ne impuro, solo false distinzioni create dall’intelletto. Dunque nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera del ciclo della sofferenza. Gli occhi della sua mente Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 6 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 videro i mondi che nascono e che muoiono, che vengono creati e distrutti. Vedeva l’infinita linea dell’umanità passare attraverso nascite e morti incalcolabili. Vide che le nascite e le morti non sono che apparenze, così come milioni di onde si alzano senza sosta dalla superficie del mare e vi sprofondano, mentre l’oceano è aldilà di nascita e morte. Se le onde potessero comprendere di essere anch’esse acqua, trascenderebbero la vita e la morte e raggiungerebbero la pace interiore superando tutte le paure. Dopo che Gotama ebbe conquistato il suo nuove sapere sorse in lui il dubbio se fosse meglio tenerlo per se o parteciparlo con altri e dopo una matura riflessione egli, per carità e pietà, decide di condividere con il mondo le verità così eroicamente conquistate. Decise così di far partecipi i primi maestri poi i cinque discepoli che lo avevano abbandonato e che ora soggiornavano presso Varanasi nel bosco della Pietra del Vate. In quel luogo Gotama tenne il celebre discorso di Varanasi, in cui insegnò come bisognava tenersi lontano tanto dalla via dei piaceri e del mondo, quanto da quella della dell’ascesi grossolana della mortificazione, entrambe estreme, entrambe dannose e seguire la via di mezzo, solo essa porta all’annientamento del dolore. Intorno a questo primo nucleo crebbe, poco a poco, la schiera dei discepoli e dei seguaci, che gradatamente si estese in tutto in popolo, abbracciando guerrieri, sacerdoti, borghesi, artigiani e contadini. Celebri tra essi sono i nomi di alcuni discepoli: Sāriputta , colui che eguaglia il maestro, Ânando, il conoscitore della parola della dottrina, Kassapa, l’eremita del bosco, Moggallāna, l’oratore della dottrina. Da Varanasi, la città sacra dell’India Gotama cominciò l’insegnamento che durò quasi mezzo secolo ed ebbe un’eco profonda e lontana attraverso il tempo e lo spazio. Dal gigantesco bastione dell’Himalaya, fino alla pendici dei Vindhyā, dalla città di Varanasi fino all’oceano indiano, durante quarantacinque anni egli percorse il lungo e in largo tutta la bassa valle del Gange, diffondendo la sua dottrina con i suoi mirabili discorsi. In quei quarantacinque anni di pellegrinaggio ed insegnamento, sui monti e nei dintorni delle città e dei villaggi, tra genti straniere o tra i suoi concittadini di Kāpilavattha, la figura di Gotama Buddha appare sempre alta e serena, senza turbamenti ne ombre, dal giorno del risveglio a quello dell’estinzione, egli và, con solenne e sublime monotonia per il camino del sole porgendo il suo sorriso pietoso alla miseria e al dolore della vita. Approfondimento Nell’universo buddhista non c’è un dio creatore. Gli dei sono sottoposti al destino e al samsara*, come gli uomini. Il Buddha, in quanto perfettamente illuminato, è superiore agli dei, ma neppure lui può essere paragonato al Dio creatore delle religioni monoteistiche. È difficile anche parlare di un rapporto personale fra il fedele buddhista e il Buddha, paragonabile al rapporto con Dio nelle religioni monoteistiche. La devozione al Buddha passa spesso attraverso i più accessibili bodhisattva, coloro che sono sulla via dell’illuminazione, anche se l’etimologia del Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 7 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 termine è controversa. I bodhisattva, che appaiono originariamente in testi sulle precedenti incarnazioni di Gautama Buddha, sono personaggi che hanno fatto voto di rimanere nell’universo per liberare tutte le creature dalla sofferenza, e che sono sulla strada per diventare futuri Buddha. In diverse scuole mahayana** sono previste cerimonie in cui si fa voto di diventare bodhisattva e di iniziare il lunghissimo cammino che, dopo miliardi di anni, potrà portare a diventare un Buddha. I grandi bodhisattva svolgono anche una funzione di protettori delle persone umane, e alcuni sono particolarmente venerati, come Maitreya, che diventerà il prossimo Buddha, e Avalokitesvara, in versione femminile, anche se il genere resta in qualche modo ambiguo, in Cina come Guanyin e in Giappone come Kannon, in Tibet, Cenresig, prende forma umana attraverso la successione dei Dalai Lama che ne sono la manifestazione. Alcuni sostengono che il vero principio supremo nel buddhismo sia il dharma ***, il secondo dei tre gioielli insieme allo stesso Buddha e al sangha, o comunità dei credenti. Tuttavia il dharma è anche l’Ente impersonale che regola l’universo piuttosto che il soggetto che sta al centro delle religioni monoteistiche. Sulle fonti del dharma, naturalmente, le scuole si dividono: il buddhismo theravada**** accetta come autorevoli solo i testi più antichi, mentre le scuole mahayana si sono trovate all’origine a dover difendere la loro legittimità spiegando come fosse possibile che testi ritenuti fondamentali emergessero soltanto molti secoli dopo la scomparsa del Buddha. Di qui le leggende secondo cui testi in realtà antichi sarebbero stati miracolosamente scoperti in uno stupa*****, o nelle profondità della Terra dove i primi discepoli li avrebbero sepolti in attesa che i tempi fossero maturi perché venissero alla luce. Al di là delle leggende, l’emergere di testi in un’epoca molto successiva a quella della vita di Gautama Buddha è giustificato dal fatto che il buddhismo dà rilievo alla tradizione e alla trasmissione orale. Questo non significa che le scritture non siano oggetto di grande venerazione. In alcune scuole mahayana la recitazione di versi delle scritture, o la venerazione dei supporti fisici che le contengono, è considerata efficace di per sé, quasi a prescindere dal loro contenuto informativo e dottrinale. Il terzo gioiello è il sangha, parola che originariamente designava la comunità monastica maschile e femminile, ma che si è estesa fino a indicare il popolo dei credenti o praticanti nel suo insieme. L’atto fondante con cui un uomo o una donna entrano a fare parte della comunità è il cosiddetto prendere rifugio, che in alcune tradizioni presuppone una precisa cerimonia alla presenza di un lama o di un monaco. Si tratta, in effetti, di un impegno preso personalmente nei confronti dei Tre Gioielli, il Buddha, il dharma e il sangha che è esplicitato di fronte alla comunità dei praticanti. I voti sono importanti nella vita del buddhista in genere, e aiutano ad acquisire meriti tramite buone azioni compiute con piena consapevolezza. Il sistema di voti è formalizzato per i monaci, sia itineranti, sia che vivono in monasteri. La vita monastica assume una grande varietà di forme nel mondo buddhista, e, attraverso numerose traversie storiche, rimane ancora oggi al centro di molte comunità. O, almeno, questo è vero per il monachesimo maschile, mentre quello femminile si è ridotto fino quasi a sparire, e mantiene un’importanza centrale quasi solo nel buddhismo cinese. Tra i voti dei laici, particolare importanza assumono nel mondo mahayana quelli che avviano a diventare bodhisattva, e che si configurano come iniziazioni. A questi, particolarmente nelle scuole vajrayana, si affiancano iniziazioni di tipo tantrico. Alcune di queste, praticate generalmente in modo simbolico, implicano l’unione rituale con una persona dell’altro sesso, e un’ampia discussione si è sviluppata, particolarmente in Tibet, se queste pratiche debbano essere aperte ai monaci, in linea di principio votati al celibato. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 8 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Il buddhismo include regole etiche, riassunte nel trinomio retta parola, retta azione e retta condotta di vita. Nella pratica l’etica buddhista, qualunque sia la tradizione di appartenenza, si fonda sui cosiddetti cinque precetti , panca sila, accompagnati da cinque atti propositivi, panca dharma, : non uccidere esseri viventi e proteggere la vita in tutte le sua forme; non rubare e prendere solo ciò che si è onestamente guadagnato; non dire menzogne ma utilizzare la parola in modo misurato e sincero; non commettere atti sessuali illeciti, sostenere la fedeltà nei rapporti, non assumere sostanze intossicanti, droghe, alcol e medicine usate in modo non accorto e lasciare la mente sgombra e attenta. Il buddhismo non ha propriamente espressioni di culto della divinità, nel senso giudeo-cristiano del termine, ma piuttosto sessioni di meditazione in cui i partecipanti, silenziosi, sono guidati nella pratica da maestri, spesso monaci. Queste sessioni hanno un valore tanto spirituale, di ricerca del divino insito in se stessi e nella propria coscienza, quanto psicologico, di conseguimento della calma e della serenità. Non mancano, naturalmente, riunioni per l’insegnamento della dottrina e cerimonie, particolarmente nel mondo mahayana, caratterizzate dall’offerta simbolica di fiori e incenso, con canti e preghiere, iniziazioni che prevedono l’entrata dell’adepto in una determinata pratica. Mancano cerimonie assimilabili ai sacramenti cristiani, a eccezione, da un certo punto di vista, delle ordinazioni di monaci e delle iniziazioni in cui un maestro abilita un discepolo a ricevere gli insegnamenti più avanzati. Una curiosità: negli anni sessanta molte coppie che aderivano ai vari movimenti new age si sposavano con un presunto rito buddhista, in realtà, non esiste propriamente un matrimonio buddhista, cioè un’unione matrimoniale tra un uomo e una donna con valore religioso. Per il praticante buddhista, il matrimonio è un impegno reciproco di amore, rispetto e attenzione amorevole ai bisogni dell’altro fondato esclusivamente sull’etica. * Sāmsara: Ciclo della vita, l'oceano dell'esistenza. Rappresentato anche come una ruota. ** Mahayana: la scuola Mahayana, che sostituì la lingua Pali con il Sanscrito, costituisce lo sviluppo del Buddismo in senso filosofico, mistico e gnostico. Essa riconosce un gran numero di divinità, fra le quali annovera lo stesso Buddha. Anzi, Siddartha Gotama non sarebbe che uno dei Buddha: ne esisterebbero altre centinaia, sovrani del paradiso, del futuro, del mondo ecc. Concezione, questa, che permetterà al Buddismo di assimilare facilmente altre religioni. Oltre ai Buddha vi sono i santi, cioè coloro che, pur avendo acquistato il diritto d'immergersi nel Nirvana, hanno deciso di restare ancora un po' di tempo sulla terra per salvare gli uomini. I mahayanisti, a differenza degli hinayanisti, credono anche negli spiriti maligni e in altri esseri soprannaturali, nonché nella differenza tra paradiso e inferno, e negano l'esistenza dei dharma come entità a se stanti. Nel paradiso si trovano le anime dei giusti, anche laici, che devono incarnarsi ancora una volta sulla terra prima di raggiungere il Nirvana. Questa corrente, che praticamente non ha nulla del Buddismo originario, che, nonostante tutto, era rimasto un movimento elitario, si è diffusa tra il II e il X sec. nell'Asia centrale, nel Tibet, in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, Mongolia e Nepal. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 9 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 *** Dharma: indica gli insegnamenti del Buddha. La pratica di tali insegnamenti ovvero, la via verso l'Illuminazione, rappresenta il Buddhismo stesso. **** Theravada: buddhismo theravada, la scuola degli anziani, è una delle prime scuole nate dall'insegnamento di Gotama Sakyamuni, il Buddha storico. Di natura prettamente monastica e ascetica, fa riferimento al cosiddetto Canone Pāli quale testo dottrinale fondamentale. Il nome dello stesso canone si riferisce all'antica lingua indiana pāli, strettamente imparentata al sanscrito, ritenuta una delle lingue in cui il Buddha Sakyamuni espresse il suo insegnamento orale. Il buddhismo theravada è anche conosciuto con il nome di hinayana, o "piccolo veicolo", ma tale denominazione oggi è desueta e criticata dagli studiosi. Il buddhismo theravada è oggi la forma di buddhismo prevalente nello Sri Lanka, Birmania, Thailandia, Laos e Cambogia. La parola thera in pāli significa vecchio, autorevole. La parola sanscrita sthavira vuol dire la stessa cosa. Per questa ragione gli adepti venivano anche chiamati sthaviravadi. Indica la dottrina dei monaci anziani e venerandi, quelli che più s'avvicinano al Buddha, che più di tutti rifuggono da ogni innovazione di tipo teorico. Erano, insomma, i più conservatori. Ancora oggi i theravadin asseriscono che la loro ideologia sia proprio quella enunciata dal Sublime e a più riprese si sono eretti come paladini contro ogni tipo di eresia. Il Kathavattu è l'opera che dovrebbe contenere l'insegnamento puro del maestro. Il maestro da loro ritenuto il più autorevole è Buddhaghosha, che fu un prolifico scrittore. Il buddhismo Theravada si rifà fondamentalmente ai testi in genere ritenuti più arcaici nella loro elaborazione, raccolti nel Canone Theravada compilato nella lingua pāli e detto pertanto anche "Canone Pali".Il pali è simile al più noto e aristocratico sanscrito, ma di levatura volgare rispetto a quest'ultimo. Il Canone Pali è tradizionalmente ritenuto contenere brani dell'originale predicazione del Buddha, sebbene siano innegabili elementi aggiunti in epoca tarda, manipolazioni e vari elementi fantastici e agiografici difficilmente databili ma con ogni probabilità successivi di secoli rispetto alla base degli insegnamenti originali. La predicazione del Buddha e le sue vicende terrene furono per secoli tramandate oralmente, di volta in volta convocate riunioni dei monaci in cosiddetti concili per determinarne la forma e il contenuto originale, depurandolo da quanto si riteneva introdotto successivamente, finché, circa nell'anno 80 a.C., furono per la prima volta messe per iscritto nella prima redazione del Canone nell'isola di Sri Lanka. Questa redazione originale è purtroppo andata persa, il Canone Pali ci è tuttavia giunto integro, a meno di successive edizioni e revisioni difficili da identificare, tramite le successive copie che ne furono fatte nei monasteri cingalesi ed esportazioni e traduzioni compiute in altri paesi dell'area. ***** Stupa: è un monumento buddhista, originario del subcontinente indiano, la cui funzione principale è quella di conservare reliquie Bibliografia: La letteratura sul buddhismo in lingua italiana è ormai molto vasta. Si potrà partire da HenriCharles Puech, Storia del Buddhismo, trad. it., Laterza, Bari-Roma 1984; Walpola Rahula, L’insegnamento del Buddha, Paramita, Roma 1994 utili opere introduttive sono quelle di Stephen Batchelor, Il risveglio dell’Occidente. L’incontro del Buddhismo con la Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 10 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 cultura europea, trad. it., Ubaldini, Roma 1995; Buddhismo senza fede, ( consigliato ) trad. it., Neri Pozza, Vicenza 1998. Sull’espansione nel mondo e in particolare in Occidente cfr. Mario Bergonzi, “Il Buddhismo in Occidente”, in H.-C. Puech (a cura di), op. cit., pp. 305-396; Martin Baumann, “Il Buddhismo in Occidente”, in Giovanni Filoramo (a cura di), Storia delle religioni. 4. Religioni dell’India e dell’Estremo Oriente, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 483-497; James William Coleman, The New Buddhism. The Western Transformation of an Ancient Tradition , Oxford University Press, New York 2001; Charles S. Prebish - Martin Baumann (a cura di), Westward Dharma. Buddhism Beyond Asia, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - Londra 2002; Linda Learman (a cura di), Buddhist Missionaries in the Era of Globalization, University of Hawaii Press, Honolulu 2005. Sull’Italia cfr. Costanzo Fiore - Maria Angela Falà, Ricerca sulla presenza buddhista in Italia, RES, Roma 1993; Giampiero Comolli, Buddisti d’Italia. Viaggio tra i nuovi movimenti spirituali, Theoria, Roma 1995. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 11 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 LA MOLECOLA DELLA VITA Anna Valerio Si narra che la sera del 28 febbraio 1953 nell’Eagle Pub di Cambridge Watson e Crick annunciassero agli amici di aver scoperto “il segreto della vita”. Il 25 aprile dello stesso anno il loro studio sulla struttura della molecola del DNA fu pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature in un articolo di meno di mille parole firmato James Watson e Francis Crick. Si dice anche che la successione dei nomi se la fossero giocata a testa e croce e questo era senz’altro nel loro stile! L’articolo esordisce in tono estremamente discreto e per nulla “accademico”: «E’ nostro desiderio suggerire una struttura per il sale dell'acido desossiribonucleico (DNA). Tale struttura ha caratteristiche particolari che presentano notevole interesse biologico» e prosegue, dopo la consueta breve visitazione della letteratura sull’argomento, direttamente con la proposta di una struttura radicalmente nuova che, se in parte risultava giustificata da evidenze scientifiche, in altra parte è frutto di una loro intuizione, solo successivamente dimostrata da altri. Ma procediamo con ordine. James Watson, zoologo di Chicago, passato nel 1946 dall’interesse per l’ornitologia a quello per la genetica, dagli Stati Uniti si trasferì in Europa negli anni ’50 dove ebbe contatti diretti con molti ricercatori tra i quali Maurice Wilkins il quale stava studiando il DNA con la tecnica della diffrazione a raggi X. Questa è una metodica che si basa su un principio fisico che consente di individuare la disposizione degli atomi nelle molecole grazie al principio di far passare, tra gli interstizi delle stesse, un fascio di raggi X che impressioneranno una lastra fotografica posta oltre la molecola da esaminare. Sulla lastra verrà evidenziata un’immagine dalla quale sarà possibile dedurre la struttura molecolare. Un po’ come una radiografia, ma eseguita ad una molecola! Negli anni ’50 questa tecnica nuova era molto utilizzata per esempio da Linus Pauling negli Stati Uniti che otterrà nel ’54 il Nobel per aver dimostrato, grazie ad essa, la struttura secondaria ad alfa-elica delle proteine ed ancora in Europa proprio nel laboratorio di Maurice Wilkins dove una sua collega stava studiando l’acido desossiribonucleico con questa tecnica. Watson era molto interessato ad apprenderla per poi utilizzarla nello studio della struttura del DNA; a questo scopo nell’ottobre del 1951 iniziò la sua collaborazione al Cavendish Laboratory, il Dipartimento di fisica dell'Università di Cambridge, dove ebbe modo di conoscere Francis Crick. Questi era un fisico delle particelle che aveva subito il fascino di una breve pubblicazione divulgativa Cos'è la vita? di Erwin Schrödinger, uno dei padri della fisica quantistica, nella quale l’autore cercava di descrivere gli eventi che avvengono all'interno degli organismi viventi in termini fisici e chimici. In particolare la sua idea era che eredità e riproduzione fossero legate alla presenza Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 12 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 nelle cellule di una struttura ordinata nella quale fossero depositate le informazioni genetiche: un cristallo quasi periodico, per dirlo con le sue parole. Crick, dopo aver letto il piccolo libro, abbandonò la fisica delle particelle per studiare chimica e biologia e dedicarsi a ricercare un modello per la struttura del DNA; a tal fine nel 1949 era entrato nel Cavendish Laboratory a Cambridge. Così, accomunati da uno stesso interesse, i due studiosi si incontrarono ed avviarono subito un’intensa collaborazione intellettuale che portò alla risoluzione della struttura del DNA in meno di un anno e mezzo. C’è da dire che Watson e Crick non furono i primi ad interessarsi al DNA. Già di questa grande macromolecola si avevano non poche informazioni, si sapeva che era formata da molecole di uno zucchero un po’ particolare, da gruppi fosfato e da strutture complesse chiuse ad anello, molto ricche di azoto, chiamate “basi azotate” che erano di quattro diversi tipi: adenina e guanina (chiamate purine) timina e citosina (pirimidine). Nel 1949 Erwin Chargaff, un biochimico austriaco che lavorava negli Stati Uniti, aveva dimostrato una caratteristica fondamentale per la comprensione della struttura della molecola di DNA e cioè che la composizione delle basi azotate presenti, pur variando moltissimo da specie a specie, presentava sempre una caratteristica fondamentale: la concentrazione totale di purine e quella di pirimidine era sempre uguale (50%). In quello stesso periodo la dott.ssa Rosalind Franklin, una vera fuoriclasse della ricerca che operava nel laboratorio del dott. Wilkins, dopo aver modificato i propri macchinari fino ad ottenere un fascio estremamente sottile di raggi X con il quale colpire campioni piccolissimi di DNA, era riuscita ad ottenere “le più belle foto del DNA” della letteratura. E nel 1951 queste foto furono rese pubbliche nel corso di un seminario dalla Franklin stessa che arrivò ad ipotizzare una forma elicoidale per il DNA, quasi come una scala a chiocciola. A questo seminario era presente Watson che non capì molto, per sua stessa ammissione, ma che fu conquistato dall’argomento. Dunque nel 1952 gli studiosi del DNA sapevano che si trattava di una molecola estremamente lunga ma non molto spessa, una sorta di cilindro, caratterizzata da una struttura ripetitiva. C’erano forti suggestioni per una struttura elicoidale ma probabilmente non si trattava di un solo filamento avvolto ad elica perché, secondo la Franklin, gli atomi della struttura erano troppo numerosi per far parte di in un solo filamento: i filamenti dovevano essere almeno due ed aggiungeva che probabilmente avessero direzioni opposte! Alcuni studiosi (Pauling in primis) pensavano fossero addirittura tre, analogamente a quanto era stato dimostrato per il collagene. In ogni caso i filamenti dovevano essere molto ben compenetrati tra loro dato che occupavano poco spazio. Ma in definitiva quanti erano e come erano disposti questi filamenti tra loro? Un altro tassello importante nel mosaico della ricostruzione della struttura del DNA lo aveva fornito qualche anno prima William Asbury dimostrando come il DNA generasse una diffrazione ai raggi X tale da indicare una struttura regolare che si ripeteva ogni 2.7 nanometri nella quale le basi azotate si disponevano impilate a 0.34 nanometri l'una dall'altra. Ed infine sempre la Franklin aveva dato un grosso contributo nella ricerca ipotizzando che nella molecola i gruppi fosfato e gli zuccheri fossero collocati esternamente alla struttura con funzione di supporto. Watson e Crick a questo punto avevano molti dati sui quali lavorare e decisero che si dovesse tentare di combinare tutte le informazioni disponibili in un modello del Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 13 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 tipo “fai da te”, che poteva essere una costruzione di fili di ferro e cartone come a suo tempo aveva fatto Pauling per individuare la struttura del collagene. Scrive Watson nelle sue memorie: «Era impossibile che mi togliessi dalla testa una possibile chiave risolutiva del segreto della vita. Mi pareva indubbiamente meglio immaginarmi famoso che invecchiare nella forma di un accademico represso che non ha mai rischiato un pensiero». Nonostante i dati in loro possesso fossero molti, Watson e Crick ebbero indubbiamente alcune intuizioni geniali che li portarono a risolvere il rompicapo prima degli altri. Decisero di partire dall’ipotesi che i filamenti dovessero essere due per molecola, che il complesso zucchero-fosfato fosse esterno al cilindro e che le basi azotate fossero all’interno e infine che la molecola avesse la forma di elica, come suggerito dalla Franklin. Ma intuirono che i due filamenti corressero in direzioni opposte e ipotizzarono che ognuno fosse il negativo dell'altro. In tal modo le basi azotate dei due filamenti si trovavano affrontate le une alle altre ed ogni timina si legava ad una adenina, ogni citosina si legava ad una guanina. Le coppie di basi potevano interagire tra loro per mezzo di legami a idrogeno. In questo modello avevano tra l’altro dato forma, in maniera ingegnosa e convincente, alla scoperta di Chargaff. Ben presto con i modelli in cartone riuscirono a visualizzare la possibilità di due legami idrogeno tra adenina e timina e di tre legami idrogeno tra guanina e citosina: tali legami, molto deboli singolarmente, potevano fornire il collante della struttura grazie alla loro elevata numerosità nella molecola finale. Ma c’era di più: proprio l’accoppiata Adenina-Timina e Guanina-Citosina consentiva alla molecola di avere una dimensione costante, infatti ogni coppia era formata da una pirimidina (molecola ad un anello) e da una purina (molecola formata da 2 anelli condensati). Due pirimidine avrebbero avuto una sezione molto più stretta di due purine, che sono grandi quasi il doppio. Così con filo di ferro, sagome di cartone e moltissima pazienza i due ricercatori, come Watson ci racconta nella sua autobiografia “La Doppia Elica”, costruirono modelli su modelli, sino a che tutte le informazioni disponibili non furono soddisfatte. E quando finalmente ebbero costruito la “doppia elica”, di 2 nm di diametro, con le basi appaiate distanziate di 0.34 nm, il passo dell’elica pari a 10 coppie di basi (3.4 nm), e le due eliche antiparallele (cioè che corrono in direzioni opposte mantenendo tra loro una distanza costante), capirono che “era troppo bella per non essere vera”. In tutto questo l’unica idea originale era la complementarietà tra due eliche antiparallele, ma l’insieme del modello costituiva una novità assoluta! Era il 7 marzo 1953 e la sorella di Watson trascorse il sabato dattilografando un manoscritto che fu spedito alla rivista Nature. Gli editori della rivista accettarono di pubblicare il lavoro sul modello di struttura del DNA congiuntamente a due altri brevi articoli sperimentali firmati rispettivamente da Wilkins e i suoi colleghi e dalla Franklin e il suo assistente. Non solo ma, senza avvisare nessuno, il redattore all’ultimo decise di invertire l’ordine prestabilito e di pubblicare per primo l’articolo sul modello. Il primo, il più importante, di cui gli altri erano conferma sperimentale, era firmato James Watson e Francis Crick. L’articolo a suo modo è un capolavoro della letteratura scientifica: una sola pagina con una sola figura: il disegno della doppia elica; ma è come dovrebbe essere un vero articolo scientifico: la scelta di ogni termine è perfetta, ogni parola è necessaria e sufficiente, non vi è nulla di ridondante. Infine, con una modestia che Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 14 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 rasenta l’esibizionismo, si conclude che “non è sfuggito” come la tipologia della struttura a doppia elica suggerisca in sé il meccanismo stesso di replicazione del DNA. La complementarità dei due filamenti risolveva infatti anche un altro aspetto cruciale del problema: quello di come il DNA potesse copiare sé stesso durante la riproduzione delle cellule, garantendo la trasmissione ereditaria dei caratteri. Tale meccanismo che noi ora chiamiamo “semiconservativo” fu dimostrato sperimentalmente da Meselson e Stahl successivamente nel 1958. Nel modello di Watson e Crick vi era un solo aspetto non sostenuto da prove sperimentali e cioè l’antiparallelismo delle due eliche, che fu poi dimostrato sperimentalmente da Arthur Kornberg (e collaboratori) nel 1961. Watson, Crick e Wilkins furono insigniti del Premio Nobel per la Medicina nel 1962. Rosalind Franklin era morta di leucemia già da alcuni anni. Oggi nessuno nega che Watson e Crick abbiano effettuato una scoperta geniale ma molti sottolineano come l’abbiano ottenuta senza fare neanche un esperimento, usando dati prodotti da altri ed assemblando le informazioni che comunque erano disponibili a molti degli studiosi del tempo. Alcuni si potranno chiedere perché la gloria perenne di questa scoperta sia da ascriversi soltanto a loro. Certo il loro fu un tocco di genio, la pennellata finale, la capacità di una visione distaccata e di insieme che solo due giovani menti libere da vincoli accademici e poco rispettosi delle gerarchie, un tantino sfrontati e disinvolti forse fino all’ostentazione seppero dare e con essa far fare un salto in avanti enorme all’umanità intera. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 15 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 SANGUE MISTO Umberto Simone Considero una grande fortuna il fatto di avere avuto un padre pugliese e una madre istriana. Che i miei genitori per mettermi al mondo non si siano limitati ad attraversare la piazzetta del borgo natio, ma abbiano, cercandosi, solcato l’intera penisola ha sempre avuto in me una risonanza vagamente mitologica. Per questo forse non mi ha mai nemmeno sfiorato il complesso del meticcio, dell’ibrido: anzi, al contrario, ho sempre provato l’orgoglio dell’esotico, del non etichettabile. Ė un dono avere radici flessuose e aeree come gomene, e non restie e serrate come ceppi: sentirsi collegati alle proprie origini da un cordone ombelicale non strozzante come un guinzaglio, ma lungo e sciolto quanto un filo d’aquilone. Certo, da bambino, gli amici scimmiottavano spesso il mio accento non del tutto indigeno; poi però avevo la più ampia rivincita quando quei puristi da quattro soldi sgranavano gli occhi e salivavano senza pudore davanti ai manicaretti di casa mia, dove vigeva la più appassionata Unità d’Italia gastronomica: dal timballo, che la mamma yankee aveva adottato per accontentare il papà terrone, alle sarde in tortiera secondo la ricetta triestina, dallo strudel (la madre di mia madre era trentina!) alle squisitezze natalizie baresi, forgiate nella pasta di mandorle o gocciolanti di vin cotto. Le variegate gioie del palato erano naturalmente solo la punta dell’iceberg, quella che sul momento colpiva maggiormente un animo infantile: ma in qualunque altro campo ero esposto ad influssi di provenienza diversa, a volte persino opposta, e sono cresciuto praticamente nella corrente d’aria, all’incrocio fra due modelli, due tradizioni, addirittura due linguaggi. Persino di dialetti infatti ne conosco due, benché in maniera diversa, e non poteva essere altrimenti, visto che in maniera diversa mi sono arrivati. I miei, quando avevo tre anni, da Monfalcone, dove sono nato, si sono trasferiti in Puglia e il dialetto settentrionale l’ho perciò imparato in famiglia, da mia madre e dalle mie sorelle maggiori: un dialetto di serra dunque, e che potevo ovviamente parlare solo in casa, e questo mi piaceva moltissimo, mi faceva sentire speciale, era una sorta di codice, un che di cifrato, di riservato a una ristretta cerchia di consanguinei, e felicemente misterioso e incomprensibile per tutti gli altri. Inutile dire quanto, con tale particolare esperienza alle spalle, io trovi stravagante la proposta, recentemente avanzata, di insegnare il dialetto a scuola. Forse generalizzo il mio vissuto personale, ma a mio parere il dialetto non in un’aula linda e asettica lo si impara, ma in una cucina piena di odori e di sfrigolii, nella Cucina per antonomasia, la prima della nostra infanzia, che, per quanto misera e angusta in realtà sia, col tempo diverrà nei nostri ricordi labirintica e favolosa come quella del castello di Fratta descritta dal Nievo. E quanto al cosiddetto corpo insegnante, me lo aspetto, come l’ho avuto io, tutto al femminile: un tiaso di madri nonne tate domestiche, un collegio di sacerdotesse che tramandino riti venerandi con altrettanto venerande cantilene e leggende e formule, e lo facciano non da una pomposa cattedra ma intorno alla tavola sulla quale si sgranano i piselli o si gioca a briscola e a tombola, e Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 16 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 non davanti a una fredda lavagna, ma a qualcosa il più somigliante possibile ad una stufa, o almeno il più differente possibile da un televisore. Per quanto riguarda il pugliese, invece, l’ho imparato più tardi e fuori di casa (e perciò un po’ meno bene) dai compagni di classe e di calcetto, non da mio padre: lui con noi usava prevalentemente l’italiano, un italiano che tuttavia di continuo debordava in una specie di lingua franca, come quella che si parlava anticamente sulle navi e nei mercati del Mediterraneo (dopo tutto, era per l’appunto un ufficiale di Marina) riecheggiante cioè, anche con una punta di parodia, i termini monfalconesi del resto della famiglia, e al bisogno insaporita qua e là da espressioni e proverbi in pugliese che tradotti avrebbero perso sia in cantabilità che in vis comica. Anche questo secondo dialetto ha comunque sin dall’inizio assunto in me risvolti circospetti, confidenziali, intimi, non tanto perché allora era vietatissimo, condannato alla clandestinità da maestri e professori, che additavano spietatamente al ludibrio universale gli ausiliari stravolti e i costrutti caserecci, quanto perché nella mia memoria è indissolubilmente collegato a vicende molto private e viscerali. Ė proprio in dialetto pugliese, per esempio, che il ragazzino del secondo piano mi ha rivelato una sera il segreto dei segreti, cioè in quale maniera nascessero i bambini: in dialetto pugliese e, come un Mefistofele formato ridotto, sussurrando nell’ombra. Ora pubblicamente adopero perlopiù l’italiano in punta di forchetta, ma quando (perché negarlo?) parlo da solo, fra me e me, come lo scemo del villaggio, entrambi i miei dialetti rivivono e si danno automaticamente il cambio, a seconda delle loro differenti origini e disposizioni. Quello del nord, materno, femmineo, pregno di liquide dolcezze come un’enorme tetta calda, affiora spontaneo se mi invade un empito inatteso e irrefrenabile di tenerezza; viceversa, un’improvvisa crisi di rabbia preme all’istante l’interruttore di quello pugliese, maschio, irto di suoni pungenti come un nido di vespe, e se un oggetto caro mi sfugge di mano e si fracassa sul pavimento, si può essere sicuri che lo maledirò con gli stessi epiteti coi quali, secoli fa, durante le partitelle improvvisate, apostrofavo un compagno di squadra reo d’avere mancato un goal facilissimo e tutte le sue ignare ed incolpevoli parenti prossime. Questo dualismo, che io sto qui svolgendo esclusivamente in chiave linguistica, ma che in realtà concerne molti altri punti della mia vita, non mi spiazza, non mi disorienta, non lo avverto come disagio o contrasto, ma come abbondanza, ricchezza, accrescimento. Sono felice di godermela sia con Eduardo che con i rusteghi di Goldoni. E non posso dimenticare quale spasso sia stato, durante il servizio militare, assistere al battibecco fra un commilitone di Vicenza e uno di Taranto, che continuavano a insultarsi elaboratamente ciascuno nel proprio idioma, interrompendosi solo per rinfacciarsi l’un l’altro, a intervalli regolari, con i tempi perfetti di una gag quasi studiata a tavolino: “ Ma chi ti capisce? Perché non parli tricolore?”: un vero e proprio dialogo fra sordi, del quale io ero forse l’unico dei presenti a possedere la pietra di Rosetta. Ben più di queste occasioni di divertimento, comunque, ritengo di aver guadagnato dalla mia origine bifida: credo di doverle una componente del mio carattere a volte temeraria ma più spesso fruttuosa, cioè una buona dose di disponibilità. Chi si è sviluppato nella corrente d’aria si sente soffocare se capita in una stanza ermeticamente sprangata, e per lui ogni spiffero è uno spiraglio, una tentazione, un invito alla libertà. Così, quando mi imbatto in altri ambienti, altri concetti, altri cibi, altri vocaboli, provo d’istinto più curiosità che diffidenza, più simpatia che timore: sono attratto Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 17 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 dal nuovo, e mai respinto dal diverso. E chi mi conosce bene mi prende in giro per il mio uso improprio, deformato del termine “strano”: infatti quando dico che una ragazza ha gli occhi strani non intendo con questo che sia strabica, ma al contrario le attribuisco un colore d’occhi speciale, oppure uno sguardo particolarmente languido o intrigante; e quando definisco strano un luogo, significa che lo trovo suggestivo, pieno di fascino e di atmosfera; insomma strano è per me sinonimo di singolare, di insolito, ma in senso sempre positivo, elogiativo, mai denigratorio: è un complimento! Inoltre quando mi reco all’estero mi sforzo sempre di imparare qualche frase nella lingua locale, tanto è forte la mia continua voglia di mischiarmi, di impicciarmi, di non costeggiare le barriere. Naturalmente, questa, se è, come spero, una qualità, si accompagna a un difetto almeno altrettanto grande: non avendo ancora trovato un guru che mi corregga, sono estremamente intollerante con gli intolleranti, ho in uggia gli schifiltosi, e di fronte ai più marchiani pregiudizi o ai più biechi manicheismi mi sento ribollire peggio di una marmitta, con tutta la mia parte di sud a stento trattenuta da tutta la mia parte di nord. Nella Spagna del Siglo de Oro, i letterati (e che letterati! Cervantes, Lope de Vega, Calderon, Gòngora, Quevedo…) erano continuamente costretti a difendersi dall’accusa di scarsa limpieza de sangre, come se ci fossero antenati “sbagliati” e l’evenienza di averne avuto uno potesse in qualche modo inquinare l’adamantina bellezza di un sonetto, o degradare la solenne grandezza di un auto sacramental, o addirittura fermare il vento che ormai soffierà per sempre in mezzo ai mulini della Mancha. Non mi sarebbe piaciuto vivere a quel tempo, né tanto meno mi piacerebbe essere uno dei tanti che ancora al giorno d’oggi usano simili criteri di giudizio. Al contrario, gradirei parecchio, in una futura reincarnazione, nascere dagli amori di un giovanotto lappone con una brunetta di Isfahàn, per barcamenarmi a sazietà fra aurore boreali e cupole smaltate d’azzurro, ora accarezzando il muso di una renna ora facendomi accarezzare io la pianta dei piedi da un tappeto fiorito come un prato, un giorno ascoltando raccontare del bisbisnonno sciamano che comandava agli spiriti e l’indomani leggendo nel testo originale qualche melodiosa quartina di Omar Khayyām. Ma chissà quante altre reincarnazioni ci vorranno, prima di non dover più avere a che fare con certa gente sempre asserragliata, sempre abbarbicata, e caparbiamente convinta che l’arte di coltivare il proprio giardino consista nel mummificarsi le radici, e non nello scapricciarsi con gli innesti. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 18 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 LE IMMAGINI DELLA FANTASIA 32 Sarmede (TV), Casa della Fantasia 26 ottobre 2014-18 gennaio 2015 Le immagini della fantasia, Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia di Sàrmede, alla trentaduesima edizione, assume la fisionomia di un vero e proprio festival sempre più internazionale, dedicato a quanto di meglio, di più stimolate, innovativo offre il settore dell’illustrazione per bambini a livello planetario. Il programma di quest’anno evidenzia una effervescenza tutta particolare affiancando alla mostra tradizionale che dà il titolo stesso alla manifestazione, ovvero a le immagini della fantasia, altri importantissimi appuntamenti di rilievo con grandi protagonisti del settore. Dal 26 ottobre al 18 gennaio Sàrmede si conferma come vero “Paese della Fiaba”, grazie ad un calendario fitto di laboratori creativi, incontri con autori, proiezioni, letture animate e tanti altri eventi. Nell’arco dell’intero anno corsi estivi di illustrazione riservati ad adulti che intendono specializzarsi nel settore, corsi condotti dai grandi illustratori e che, in questi anni, hanno formato, con successo, decine di nuovi talenti internazionalmente riconosciuti dell’illustrazione. Poi l’itineranza che porta le mostre di Sarmede in altre città italiane e del mondo. Ma cominciamo da Le immagini della fantasia, che, come avviene da 32 anni, propone il meglio del meglio dell’editoria internazionale per l’infanzia. La peculiarità di questo progetto è di offrire uno sguardo sul mondo del libro illustrato unico nel suo genere, per varietà degli approfondimenti e della qualità estetica e letteraria dei contenuti proposti. E’ una gioia per gli occhi poter osservare, dal vero anziché solo sulle pagine stampate, le tecniche, le finezze stilistiche, le invenzioni che i grandi illustratori mettono in atto a favore dei loro giovanissimi lettori. La Casa della fantasia, dove è allestita la Mostra, propone un focus su “Trenta libri dal mondo” per conoscere i protagonisti del Panorama internazionale - libri pluripremiati, scrittori e illustratori - a disposizione dei lettori, pubblicati in Italia e all’estero. Gli illustratori della 32° edizione: Jorge Gonzalez, Mariana Ruiz Johnson (ARGENTINA), Anton Van Hertbruggen (BELGIO), Yara Kono, Renato Moriconi (BRASILE), Cho Won hee, JooHee Yoon (COREA), Isabelle Arsenault, Delphine Chedru, Gaetan Doremus, Vanessa Hie, Magali Le Huche, Frederick Mansot (FRANCIA), Satoe Tone (GIAPPONE), Bhajju Shyam (INDIA), Nooshin Safakhoo (IRAN), Gianni De Conno, Marina Marcolin, Eva Montanari, Giulia Orecchia, Arianna Papini, Maurizio Quarello, Giovanna Ranaldi, Giulia Sagramola (ITALIA), Andre Letria (PORTOGALLO), Jesse Hodgson (REGNO UNITO), Emilio Urberuaga (SPAGNA), Erin E. Stead (STATI Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 19 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 UNITI), Piet Grobler (SUD AFRICA), Adrienne Barman (SVIZZERA). La mostra personale dedicata all’Ospite d’onore, quest’anno vede protagonista Giovanni Manna. “Il suo lavoro di illustrazione sembra essere soggetto ad un duplice destino. Da vent’anni, spaziando fra fiabe, grandi classici della letteratura, testi sacri, riscritture di miti e leggende, l’illustratore crea universi visivi che il lettore accoglie nella loro assoluta e purissima semplicità: pagine chiarissime e terse attraversate dall’acquerello di Manna, che vanno incontro a chi guarda, camminano verso lo spettatore, in quella che potremo definire come una costante ricerca di leggibilità e immediatezza. Esattamente nello stesso momento però le tavole di Manna vibrano di eco distanti, difficili da captare tutte e da comprendere. Sono illustrazioni lontane dal clamore e dalla velocità della civiltà – e dell’editoria – contemporanea; è un disegnare che presuppone e restituisce un senso del tempo (quello del farsi dell’immagine - ovvero quello tecnico - quello ‘interno’ della narrazione e quello ‘esterno’ della lettura) dilatato, dai confini molto fluidi e permeabili. Questa nozione di tempo porta con sé il senso dell’eredità del passato e di una molteplice schiera di ‘precedenti’ iconografici fra i quali Manna traccia costantemente legami, riannoda fili” racconta Ilaria Tontardini nel catalogo della 32° edizione. Un altro, fortunatissimo, filone delle proposte di Sarmede riguarda la scelta, anno dopo anno, di una area geografica, estesa o più limitata, nella quale si siano sviluppati nuclei autonomi di fiabe. La scelta quest’anno è caduta sulla Scozia, terra di castelli sulle scogliere, di misteri, di mostri e folletti. Il progetto è per molti versi particolare. Sia perché frutto della collaborazione con alcune prestigiose istituzioni culturali scozzesi, tra le quali lo HYPERLINK www.tracscotland.org/scottish-storytellingcentre Scottish Storytelling Centre, l’Edinburgh College of Art, un importante centro universitario, gli Edinburgh Printmakers, centro specializzato in tecniche di stampa, sia per la partecipazione della notissima e attivissima autrice scozzese Vivian French (pubblicati oltre 200 libri illustrati) e infine perché la collana editoriale Le immagini della fantasia nata dalla collaborazione con la Franco Cosimo Panini raggiunge con Il Canto delle Scogliere, fiabe e leggende dalla Scozia il suo decimo volume su fiabe tradizionali scozzesi trascritte da Luigi Dal Cin e con l’art director di Monica Monachesi. Evento a se è l’omaggio a due grandi dell’illustrazione, Stepan Zavrel, fondatore della Mostra di Sarmede, e Emanuele Luzzati uniti da La Gazza Ladra. Il capolavoro dell’animazione italiana di Giulio Gianini e Emanuele Luzzati, nato nel 1964 su musica di Rossini, festeggia i suoi cinquant’anni e la Gazza Ladra danza nella Casa della fantasia dopo essere stata al Museo del Cinema di Torino. “Coadiuvati da un giovane Stepan Zavrel, per il quale questa esperienza fu un ricordo indelebile e fonte di ispirazione per i suoi lavori futuri, e con il quale Gianini e Luzzati strinsero una duratura amicizia,” racconta Carla Rezza Gianini, “realizzarono un’opera da funamboli, in cui seguiamo incantati le evoluzioni spettacolari di un piccolo uccello nero, attraverso il quale gli autori svelano il loro animo, affermando il valore della libertà e della giustizia. Gianini e Luzzati consideravano La Gazza Ladra la loro opera più riuscita: a guardarla e riguardarla non riuscivano a trovarle difetti. D’altro canto, come dargli torto? Basta assistere a una sola proiezione per rendersi conto di essere di fronte a un’opera d’arte totale, in un crescendo di gioia per gli occhi e per la mente.” In mostra i rodovetri della danza della Gazza Ladra restaurati dall’illustratrice Antonella Abbatiello. Sempre a Sàrmede sarà presentato Il ladro di colori, un capolavoro di Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 20 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Mafra Gagliardi e Stepan Zavrel del 1972 fino ad oggi edito solo in lingua giapponese fresco di stampa per Bohem Press Italia. Quest’anno per l’inaugurazione della mostra oltre ad alcune personalità della cultura di Edimburgo arriveranno a Sàrmede anche due piper scozzesi con le loro cornamuse, grazie alla collaborazione del Comune di Cappella Maggiore gemellato con la cittadina di Earlston. Per tutta la durata della mostra un ricco programma di incontri con illustratori e autori che presentano libri e parlano di come si racconta con le illustrazioni e con le parole; inoltre travolgenti letture animate per abbandonarsi all’ascolto di storie sempre nuove, e poi laboratori, musica, tour tra gli affreschi, corsi d’illustrazione specializzati e laboratori per adulti, nella Casa della fantasia. Con Antonella Abbatiello e Carla Rezza Gianini, Giacomo Bizzai, Ass. Maga Camaja, Luigi Dal Cin, Eleonora Cumer, Else - Edizioni Libri Serigrafici e altro, Marta Farina, Svjetlan Junakovic, , Marina Marcolin, Giovanni Manna, Octavia Monaco, Dino Maraga e Mary Dal Cin, Monica Monachesi, Eva Montanari Arianna Papini, Marco Paschetta, Giulia Sagramola, Marco Soma, Giovanna Ranaldi, Ilaria Tontardini, Marina Marcolin e Silvia Vecchini. Nella Casa della fantasia ogni venerdì appuntamento radiofonico con Radio Magica, la prima radio-biblioteca online, con le letture dal libro Il Canto delle Scogliere, fiabe dalla Scozia. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 21 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 NEL SE GNO DI CA RLO SCARPA quattro incontri di approfondimento sull’attualità della lezione del maestro Fondazione Querini Stampalia, Venezia 16 e 30 ottobre, 13 e 27 novembre 2014, ore 18 Gli spazi della Querini Stampalia ridisegnati da Carlo Scarpa sono stati fertili, fin dall’inizio, di contaminazioni luminose. Scarpa vi ha impresso un segno antico e moderno insieme, talmente carico di energia precorritrice, che la sua spinta propulsiva non si è esaurita. Come per gemmazione, ha generato tutt’intorno gli interventi architettonici di Valeriano Pastor e di Mario Botta. La Fondazione Querini Stampalia con la mostra “nel segno di Carlo Scarpa”, in corso fino al 23 novembre, ripercorre la lezione del maestro e ora propone un ciclo di quattro incontrisull’attualità di quell’esperienza creativa con gli architetti che ne sono stati partecipi e l’hanno fatta propria e con gli studenti della Scuola di dottorato dell’Università Iuav di Venezia, che con la sua eredità si misurano. 16 ottobre – ore 18 Valeriano Pastor e Maura Manzelle L’incontro indaga in chiave interrogativa le vie della progettualità, che Carlo Scarpa apre con la sua opera: forme, forma, formatività, estetica, etica e altro ancora. “Un giardino dei sentieri intrecciati", percorso e sofferto dal primo tra i collaboratori d'un tempo che ha ripreso il piccolo, straordinario intervento del Maestro alla Querini Stampalia. 30 ottobre – ore 18 Mario Botta e Mario Gemin Mario Botta e la Querini Stampalia. Un percorso progettuale nel territorio della memoria A vent’anni dalla pubblicazione dell’opuscolo “Un fiore per Le Corbusier”, dedicato alla casa unifamiliare di Stabio (Canton Ticino), Mario Botta suggella il suo lavoro ventennale all’interno di Palazzo Querini. Un progetto che è un omaggio alla Venezia prefigurata da Giuseppe Mazzariol proprio con Scarpa e Le Corbusier ed è occasione di confronto sul magistrale intervento di Carlo Scarpa per la Fondazione Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 22 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 e sulla complessità dell’operare all’interno della città storica. 13 novembre – ore 18 Renata Codello Antico e contemporaneo possono convivere a Venezia? E' la domanda che nel 2007 le pose Tadao Ando, prima di progettare la ristrutturazione degli spazi di Punta della Dogana. In quel contesto venne data concretezza a una seria riflessione che, da tempo, era presente nel dibattito più attento e innovativo sui temi della tutela della città antica e in particolare di Venezia. Il tema è di straordinaria importanza per l'architettura e dev’essere ancora molto approfondito, ma alcuni aspetti paiono oggi già messi a fuoco e le occasioni di studio e discussione possono portare a significativi passi avanti. 27 novembre – ore 18 Silvia Bertolone, Vito Ciringione, Lorenzo Mingardi, Alessandra Rampazzo Scuola di dottorato, Università Iuav di Venezia. Fra Storia e Progetto. Quale futuro per la professione? E’ duplice il confronto fra Carlo Scarpa e gli studenti dell’Università Iuav: con la memoria viva di Scarpa, docente all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, negli anni che hanno fatto dell’ateneo una ribalta internazionale di dibattito e sperimentazione, e con la sua opera, divenuta essa stessa argomento di studio e di ricerca. La Scuola di dottorato rivisita quel lavorio del maestro, fecondo di spunti fra esperienza professionale e insegnamento. Un'occasione per parlare, anche in chiave provocatoria, di sostenibilità e di committenza, tra i temi cardine del fare architettura oggi. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 23 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 CORCOS. I SO GNI DELLA BELLE ÉPOQUE 6 settembre - 14 dicembre 2014 Palazzo Zabarella Padova L’antologica più completa mai dedicata al pittore livornese presenterà oltre 100 dipinti, in grado di ripercorrere la sua vicenda artistica, attraverso i suoi più noti capolavori, e a numerose opere inedite. Dopo il successo della mostra dedicata a Giuseppe De Nittis, Fondazione Bano, in collaborazione con il Comune di Padova e la Regione Veneto, prosegue il suo progetto decennale sulla pittura dell’Ottocento italiano, con un’iniziativa che analizza l’universo creativo di uno dei protagonisti della cultura figurativa italiana fra Otto e Novecento. L’esposizione, curata da Ilaria Taddei, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, presenterà oltre 100 dipinti, in grado di ripercorrere la vicenda del pittore livornese, attraverso un considerevole nucleo di capolavori, affiancati a numerose opere inedite, provenienti dai maggiori musei e dalle più importanti collezioni pubbliche e private, che attesteranno la crescente fortuna critica dell’artista, documentata anche dalla frequente esibizione di suoi dipinti in recenti iniziative nazionali. La fama di Corcos era peraltro già notevole nella prima metà del secolo scorso. Ugo Ojetti, nel 1933, ebbe modo di scrivere: “Chi non conosce la pittura di Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 24 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 Vittorio Corcos? Attenta, levigata, meticolosa, ottimistica: donne e uomini come desiderano d’essere, non come sono”, e Cipriano Efisio Oppo, nel 1948, “Una pittura chiara, dolce, liscia, ben finita: la seta, seta, la paglia, paglia, il legno, legno, e le scarpine lucide di copale, lucide come le so fare soltanto io, diceva Corcos”. Il percorso ruoterà attorno al grande capolavoro Sogni, l’opera più celebre di Corcos, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Si tratta del ritratto, davvero particolare per l’epoca, di una ragazza moderna, Elena Vecchi. Grazie alla forza del gesto e dello sguardo, come alla suggestiva ambientazione, è diventato l’immagine più emblematica della cosiddetta Belle Époque di cui ben rappresenta l’atmosfera sospesa tra i sogni dorati e una sottile inquietudine. Esposto per la prima volta alla Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze 1896, il quadro aveva destato un “chiasso indiavolato” e provocato un acceso dibattito sul significato da attribuire a quell’intenso ritratto di giovane donna, ora definito “spiritualista” ora “realista”, ma infine universalmente ammirato per l’originalità della composizione e l’inquieto carattere della protagonista. A Palazzo Zabarella, i visitatori saranno accolti dall’unico Autoritratto realizzato nel 1913 per la serie dei ritratti di artisti della Galleria degli Uffizi di Firenze, a fianco del Ritratto della moglie, conservato al Museo Giovanni Fattori di Livorno. La prima sezione analizza i luoghi che hanno visto scorrere l’esistenza di Corcos, gli amici e le importanti personalità che ha frequentato, tra cui l’Imperatore Guglielmo II di Germania, Giosuè Carducci, Silvestro Lega e molti altri, dei quali ha tramandato l’immagine ai posteri. Di particolare rilievo sono i ritratti dell’editore milanese Emilio Treves (1907) della Collezione Franco Maria Ricci, e quello del critico Yorick (1889), ora al Museo Giovanni Fattori di Livorno. Un capitolo particolare sarà dedicato a Parigi, città in cui visse dal 1880 al 1886 e che lo vide uno dei maggiori interpreti della cosiddetta pittura della vita moderna, assieme a Boldini e De Nittis. Straordinari a tal proposito sono alcune opere in mostra, come Ore tranquille (1885-1890 ca.) e Jeune femme se promenant au Bois de Boulogne, o come i ritratti en-plein air de La signora col cane e la Figlia di Jack La Bolina (1897). Le istitutrici ai Campi Elisi del 1892, uno dei vertici dell’artista livornese, che raffigura una scena ambientata in una dorata giornata d’autunno in uno dei luoghi più affascinanti di Parigi, testimonia quanto Corcos abbia mantenuto costanti Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 25 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 rapporti con la capitale francese, ma anche con l’Inghilterra, e come la sua pittura si evolva verso soluzioni sempre più raffinate in un continuo dialogo con la pittura europea. Una serie di dipinti, alcuni di grandi dimensione, confermano come, anche dopo il 1900, Corcos continui a elaborare la fortunata formula del ritratto mondano, qui rappresentato da autentici capolavori come Ritratto della Contessa Carolina Sommaruga Maraini del 1901, conservato alla Fondazione per l’Istituto Svizzero di Roma, o il Ritratto di Lina Cavalieri (1903), la ‘Venere in terra’, come la definì d’Annunzio. L’ultima sezione, La luce del mare, rivela come i suoi soggiorni a Castiglioncello, a partire dal 1910, sembrano riportarlo all’osservazione della realtà e alle gioie della pittura en plein air. Esemplari sono In lettura sul mare (1910 ca.) o La Coccolì (1915), il ritratto della nipotina sorpresa sulla spiaggia. Non mancherà, all’interno del percorso di Palazzo Zabarella, un confronto con artisti quali Giuseppe De Nittis, Léon Bonnat, Ettore Tito e altri, coi quali Corcos ha intrattenuto un rapporto di lavoro e di amicizia. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 26 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 ROBE RTO FLOREANI: LA CITTÀ IDEALE Verona, palazzo della Gran Guardia 23 novembre-31 gennaio Palazzo della Gran Guardia di Verona, dopo le mostre dedicate a Paolo Veronese, a Monet e il paesaggio e alla Collezione Panza di Biumo, ospita nel piano nobile Roberto Floreani (Venezia, 1956) con suo nuovo progetto titolato La Città ideale (dal 23 novembre 2014 al 31 gennaio 2015). L’invito che il Comune di Verona ha voluto rivolgere a Floreani costituisce un importante riconoscimento alla carriera ultratrentennale di un artista, a ragione considerato uno dei più maturi e convincenti della sua generazione. La mostra veronese viene dopo oltre sessanta personali tenute dall’artista in Italia e all’Estero, di cui sedici realizzate, negli ultimi vent’anni, in spazi pubblici e museali, tra le quali, oltre a quella al Padiglione Italia della Biennale di Venezia nel 2009 e la partecipazione alla Quadriennale di Roma nel 2005, quella alle “Stelline” di Milano nel ’99; ai Musei di Stato di San Marino nel 2001; al Museo Revoltella di Trieste nel 2003; in Germania, ad Aschaffenburg e Gelsenkirchen e alla Mestna Galerija di Lubiana nel 2007; al MaGa di Gallarate nel 2011; al Centro Internazionale di Palazzo Te nel 2013. L’imponente spazio espositivo accoglierrà un progetto di pittura appositamente realizzato da Floreani site specific, caratterizzato da una grande installazione composta da oltre sessanta opere su tela e integrato dalla novità della presenza di una decina di sculture, che saranno posizionate a semicerchio nel salone centrale. Completerà la mostra, nelle altre quattro sale, un'ampia antologica con altre trenta opere selezionate, anche di grande formato. Nel suo complesso quindi, con le oltre cento opere esposte, la mostra alla Gran Guardia è la più importante esposizione personale realizzata da Floreani fino ad oggi. Le tematiche della mostra riguarderanno l’evoluzione della presenza tematica del Concentrico, autentica “sigla” espressiva dell’artista, abbinato ad una nuova ricerca sul pattern geometrico e sulle tonalità cromatiche (con un importante inserimento del blu Klein), che evocano anche suggestioni legate all’Oriente delle arti marziali, praticate dall’artista da quasi cinquant’anni. Il progetto La Città ideale prende lo spunto dalla celeberrima opera rinascimentale conservata nel museo di Urbino e considerata l’immagine dell’utopia e della perfezione. In questa scelta, appare evidente l’intenzione da parte di Floreani di Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 27 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 ribadire la centralità della pittura nell’ambito del contemporaneo, la sua continuità storica, il superamento degli stili, l’importanza della tecnica, la rilevanza espressiva riferibile alla Bellezza, alla Misura e alla possibilità che l’opera d’arte possa contenere anche un messaggio di natura spirituale. Quest’ultimo aspetto in particolare, suscita, da anni, grande interesse da parte dell’artista che, attivo nell’ambito della ricerca astratta dal 1981, intende attualizzare le tematiche espresse dallo “Spirituale nell’Arte” di Kandinskj, già nel 1912, riprese poi dai Sublime Optics di Josef Albers, fino alla sacralità cromatica di Ettore Spalletti o alle astrazioni di Sean Scully, Peter Halley e Lawrence Carroll, riconducibili al medesimo ambito tematico. Completerà il progetto la pubblicazione di una monografia, arricchita da un’estesa antologia critica dedicata all’artista in questi ultimi anni. L’evento è patrocinato dalla Regione Veneto, dal Comune e dalla Provincia di Verona e realizzato in collaborazione con le associazioni culturali La Centrale e Quinta Parete. Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 28 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 PIE R PAOLO MITTICA. ASHE S/CENE RI Racconti di un fotoreporter. Pordenone Galleria Harry Bertoia 13 settembre 2014 -11 gennaio 2015 Mittica nelle sue immagini non fa sconti. Racconta quanto di assurdo e di terribile l’uomo fa contro se stesso. In luoghi che per molti sono sinonimo di disastri non casuali, di guerre, nuove schiavitù e di abbruttimento; e che per altri non sono altro che usuali condizioni di esistenza, o meglio di tragica sopravvivenza. Per questo la dura, emozionante mostra di 150 sue immagini che la pordenonese Galleria comunale Harry Bertoia propone da settembre 2014 al gennaio 2015, è di quelle che è necessario vedere. Non per osservare una altra faccia del mondo ma per essere coscienti che quello è esattamente il nostro mondo, perché quelle immagini raccontano ciò che anche a noi consente di godere uno status di privilegiati, anche in un momento storico che viviamo come difficile. La mostra si intitola Ashes / Ceneri. Un titolo che certo fa riferimento ai devastanti effetti sociali e/o ecologici causati dallo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente in varie parti del mondo. Ma, in positivo, indica l’urgenza di una svolta epocale e di una rinascita, proprio a partire dalla conoscenza di ciò che, anche negli ultimi decenni, è stato provocato da ciniche scelte politiche ed economiche. Pierpaolo Mittica è un fotografo particolarmente attento alle tematiche sociali e ambientali. Si è occupato soprattutto degli oppressi, degli ultimi e delle persone che non hanno diritto di parola nei luoghi più difficili del terzo mondo. E, negli ultimi anni, ha iniziato a indagare sui più gravi disastri ecologici che hanno afflitto l’umanità e distrutto l’ambiente. Per questa mostra, promossa ed organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Pordenone, Mittica ha scelto di documentare 10 ordinarie emergenze:Balcani: dalla Bosnia al Kosovo, 19971999, Incredibile India, 2002-2005; Chernobyl l’eredità nascosta 2002-2007; Vite riciclate, 2007-2008; Kawah Ijen – Inferno, 2009; Piccoli schiavi, 2010; Fukushima No-Go Zone, 2011-2012; Karabash, Russia, 2013; Mayak 57, Russia 2013; Magnitogorsk, Russia 2013. Dieci indagini che rappresentano altrettanti violenti squarci di realtà, notissime o quasi sconosciute, dove la sofferenza, l’abbruttimento, la violenza sono regolare, accettata quotidianità. Dieci storie di contasti emozionali, di mondi dove “l’altro mondo”, quello dei ricchi, fa comunque capolino in un cartellone pubblicitario, in un marchio che propaga lontani status symbol. Luoghi, o meglio “non luoghi”, fatti di violenze, dove il sorriso di un bimbo dal davanzale di un tugurio sembra comunque esprimere Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 29 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 speranza. O forse solo temporanea illusione. Mittica viene definito come “fotografo umanista”, dove l’aggettivo si presta a interpretazioni affatto diverse. E’ pordenonese (qui è nato nel 1971) e qui, al CRAF ha ricevuto la sua preparazione scolastica proseguita con docenti come Charles - Henri Favrod, Naomi Rosenblum e Walter Rosenblum, che egli considera il suo mentore. Ma egli è ormai cittadino del mondo. Le sue fotografie sono state esposte in Europa, negli Stati Uniti e nel 2011 alla Biennale di Venezia; pubblicate da quotidiani e riviste italiani e stranieri, tra cui l’Espresso, Alias del Manifesto, Vogue Italia, Repubblica, Panorama, il Sole 24 ore, Photomagazine, Daylight Magazine, Japan Days International, Asahi Shinbum, The Telegraph, The Guardian. La mostra Chernobyl l’eredità nascosta è stata scelta nel 2006 dal Chernobyl National Museum di Kiev in Ucraina come mostra ufficiale per il ventennale del disastro di Chernobyl. L’elenco dei riconoscimenti che gli sono stati assegnati è lunghissimo e di assoluto prestigio, alle sue opere sono state dedicate monografie edite da editori specializzati di diversi Paese, così come le sue immagini sono patrimonio di grandi musei e collezioni internazionali. Mittica si potrebbe correttamente definire come un fotografo “arrivato”. Ma, da grande reporter, egli è sempre in partenza. Per luoghi del pianeta in cui si consumino violenze, contro l’uomo o contro la Terra, che alla fin fine sono la medesima cosa. [email protected] Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 30 Riflessi On Line - Mensile di Approfondimenti Culturali Edizione nr. 62 del 20/10/2014 RIF LESSI ON LIN E Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 Direttore Responsabile Luigi la Gloria [email protected] Vice Direttore Anna Valerio [email protected] Grafica & Web Master Claudio Gori [email protected] www.riflessionline.it Iscrizione presso il Tribunale di Padova n.2187 del 17/08/2009 pag. 31