Università degli Studi di Verona Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva Direttore: Prof. Gabriele Romano L’IMPORTANTE È PARTECIPARE UN PROGETTO DI CONTRASTO ALLE DISUGUAGLIANZE NELL’ACCESSO AGLI SCREENING ONCOLOGICI FEMMINILI A.A. 2010-2011 Dott.ssa Mara Baldissera III° anno SOMMARIO LE DISUGUAGLIANZE IN SALUTE ............................................................................ 3 DISUGUAGLIANZE NELL’ACCESSO AGLI SCREENING ONCOLOGICI ................. 4 DISUGUAGLIANZE NELL’ACCESSO AGLI SCREENING PER TUMORE CERVICALE/MAMMARIO: DATI NAZIONALI ........................................................................................................... 7 DISUGUAGLIANZE NELL’ACCESSO AGLI SCREENING PER TUMORE CERVICALE/MAMMARIO: DATI INTERNAZIONALI ................................................................................................ 11 STRATEGIE DI PROMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE AGLI SCREENING ONCOLOGICI FEMMINILI E IMPATTO SULLE DISUGUAGLIANZE ............................................................. 13 UN PROGETTO LOCALE DI CONTRASTO ALLE DISUGUAGLIANZE NELL’ACCESSO AGLI SCREENING ONCOLOGICI FEMMINILI ............................ 18 PREMESSE ............................................................................................................... 18 CONTESTO DEMOGRAFICO ........................................................................................ 18 PROGRAMMI DI SCREENING ONCOLOGICI ATTIVI NELL’ULSS 20 .................................... 21 RAZIONALE E OBIETTIVI ............................................................................................. 22 ENTI COINVOLTI ........................................................................................................ 25 AZIONI PREVISTE ...................................................................................................... 26 RISULTATI ATTESI ..................................................................................................... 27 PIANO DI VALUTAZIONE DEL PROGETTO ...................................................................... 28 POSSIBILI CRITICITÀ .................................................................................................. 31 STATO DI AVANZAMENTO DEL PROGETTO .................................................................... 31 BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 33 2 Le disuguaglianze in salute Le disuguaglianze in salute, non solo tra Paesi diversi ma anche all’interno della stessa nazione, sono una delle principali sfide per la sanità pubblica. I dati disponibili dimostrano che le persone con basso livello di istruzione, occupazione e/o reddito tendono a manifestare sistematicamente tassi di morbosità e mortalità più elevati rispetto al resto della popolazione. C’è un legame diretto fra reddito e salute, chiamato gradiente sociale, presente non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli più ricchi. Negli ultimi anni diversi organismi internazionali, in primo luogo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno rivolto un’attenzione crescente ai determinanti sociali della salute (WHO, “Closing the Gap in a Generation: Health Equity through Action on the Social Determinants of Health”, 2008). Ci sono grandi potenzialità di miglioramento del livello di salute generale della popolazione, concentrando l’azione sulle condizioni di salute delle fasce “deboli” della società. Ciò richiede dei cambiamenti non soltanto nel sistema sanitario, ma in molti settori, dall’istruzione, alla sicurezza sociale, al lavoro, alla progettazione urbanistica, ecc. Oltre che agendo direttamente sui determinanti sociali (distribuzione del reddito, istruzione), lo svantaggio di salute dei gruppi di basso status socio-economico può essere ridotto anche grazie ad interventi mirati ai determinanti intermedi di salute (stili di vita, comportamenti di salute, accesso ai servizi di prevenzione e assistenza). Al di là dell’imperativo etico, l’impulso a ridurre l’impatto delle disuguaglianze sociali può trarre forza anche da considerazioni di tipo economico. Infatti le disparità inducono spese sanitarie elevate e riducono la produttività economica, diminuendo il livello di partecipazione al lavoro. L’Unione Europea nel 2007 ha stimato l’impatto di salute, in termini di decessi (più di 700 mila all’anno) e di numero di anni di vita persi (11,4 milioni), attribuibile alle disuguaglianze sanitarie negli Stati membri, e i potenziali vantaggi economici derivanti da interventi di riduzione delle disparità. L’ammontare dei costi totali dovuti alle disuguaglianze in salute, ricavato dalla combinazione dei dati relativi a mortalità e morbosità, è stato calcolato all’incirca pari a 980 miliardi di euro, ovvero al 9,4% del PIL dell’Unione Europea (con riferimento al 2004 - 25 Stati membri). In pratica, le perdite di salute legate alle disuguaglianze socio-economiche rappresentano il 15% dei costi dei sistemi di sicurezza sociale e il 20% dei costi dei sistemi di assistenza sanitaria dell’Unione Europea nel suo complesso (Mackenbach et al., 2007). 3 La raccomandazione che le politiche di prevenzione e promozione della salute siano orientate a superare il divario di equità è ripresa in numerosi documenti di indirizzo internazionali e nazionali, tra cui: 5° Conferenza Globale dell’OMS, “Promozione della Salute: superando il divario di equità”, Città del Messico, 2000; 6° Conferenza Globale sulla Promozione della Salute dell’OMS, “Bangkok Charter for Health Promotion in a Globalized World”, 2005; comunicazione della Commissione Europea del 20.10.2009, “Solidarietà in materia di salute: riduzione delle disuguaglianze sanitarie nell’UE”; 5° Conferenza Interministeriale "Ambiente e Salute", “Parma Declaration and Commitment to Act”, 2010; Risoluzione del Parlamento Europeo dell’08.03.2011; Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 e Bozza del Piano Sanitario Nazionale 2011-2013. Disuguaglianze nell’accesso agli screening oncologici Gli screening oncologici sono un intervento preventivo di provata efficacia nel ridurre la mortalità dovuta a cancro mammario, della cervice uterina e del colon retto. Per questo motivo, da circa 15 anni istituzioni nazionali e internazionali promuovono l’attivazione di programmi di screening organizzati per la prevenzione di questi tumori; in tal senso si è mosso il Consiglio dell’Unione Europea, che nel 2003 ne ha raccomandato l’adozione agli Stati membri. In Italia, nel 1996 sono state pubblicate le Linee Guida della Commissione Oncologica Nazionale sugli Screening Oncologici e i Piani Sanitari Nazionali successivi hanno dato indicazioni per la realizzazione da parte delle Regioni e delle Aziende Sanitarie di programmi organizzati. Gli screening citologico, mammografico e colorettale dal 2001 sono compresi fra i Livelli Essenziali di Assistenza. Le leggi 138/2004 e 286/2006 hanno dato ulteriore impulso alla diffusione degli screening a livello nazionale, prevedendo finanziamenti per il sostegno alle infrastrutture regionali. La Regione Veneto nel 1996 ha emanato le “Linee Guida Regionali sugli Screening Oncologici” e deliberato l’attivazione degli screening a livello delle Aziende ULSS e nel 1997 ha approvato e finanziato i primi programmi. L’efficacia e l’impatto degli interventi di prevenzione, così come dell’assistenza sanitaria in generale, sono tuttavia condizionati da una serie di fattori (status socio4 economico, livello di istruzione, cittadinanza, health literacy), che influenzano le possibilità di accesso e l’effettiva capacità di fruizione dei servizi sanitari da parte di diversi sottogruppi di popolazione. Per quanto riguarda i programmi di screening, in generale si registrano tassi di adesione inferiori in categorie svantaggiate (persone con basso livello di istruzione e/o difficoltà economiche, minoranze etniche, immigrati) (PASSI, 2007-2009; Moser et al., 2009; Shi et al., 2011; Weller et al., 2009; Wilf-Miron et al., 2011; Azerkan et al., 2012) che d’altra parte possono presentare livelli di rischio più elevati rispetto alla popolazione generale, in particolare per alcuni tipi di tumore (ad es. per il cancro della cervice uterina, v. tabella I e figura 1.) (Crocetti et al., 2010; Kamangar et al., 2006). Place of birth Rate Lower CI Upper CI Count Population Italy 9.5 7.9 11.4 122 1,246,710 Extended European Union 22.4 6.6 54.8 5 23,940 Central & Eastern Europe 38.3 18.2 72.2 11 32,755 Central & South America and the Caribbean 60.5 18.0 139.9 6 18,670 Africa 17.4 2.0 65.5 2 14,770 Asia 4.9 0.6 26.9 2 31,895 Tabella I. Cancro invasivo della cervice uterina: tassi standardizzati di incidenza, intervalli di confidenza al 95%, numero di casi e popolazione, in rapporto al luogo di nascita delle donne. Registro Tumori Toscana, 2000-2004 (Crocetti et al. 2010) Un’associazione tra la sopravvivenza dopo diagnosi di cancro e indici di status socioeconomico è stata osservata per molti tumori, in diversi contesti clinici e geografici. Lo svantaggio in termini di sopravvivenza dopo diagnosi di tumore per le fasce di popolazione “deboli” è stato quantificato in un rischio relativo di morte entro 5 anni dalla diagnosi pari a circa 1,3-1,5 nei sottogruppi più deprivati rispetto ai gruppi più abbienti. Parte di questa associazione è certamente spiegata dalle differenze tra gruppi socioeconomici nello stadio della malattia alla diagnosi e nell’accesso ad un trattamento ottimale. Non è ancora chiaramente definito il ruolo del ritardo diagnostico (che può essere dovuto ad un ritardo del paziente nel cercare assistenza, e/o ad un ritardo del sistema sanitario nel perfezionamento della diagnosi) nella genesi della diversa 5 stadiazione tumorale alla diagnosi. Caratteristiche del paziente, come lo status nutrizionale, la co-morbidità, i fattori psico-sociali e i comportamenti legati alla salute possono condizionare l’esito della malattia (Woods et al., 2006). In ogni caso, i programmi di screening oncologici, se condotti con la periodicità consigliata, hanno il potenziale di ridurre significativamente lo svantaggio legato alle differenze socioeconomiche, minimizzando l’elemento di “ritardo diagnostico” nella popolazione aderente ed avviando i pazienti ad un percorso diagnostico-terapeutico appropriato. Diventa quindi determinante, perché un programma di screening sia efficace, raggiungere un’ampia estensione (proporzione della popolazione target che viene raggiunta dall’invito allo screening), e un’elevata adesione (proporzione di soggetti invitati che accetta di eseguire il test). Comunemente, l’adesione è ritenuta il fattore più importante nel determinare il successo di un programma di screening (Weller et al., 2009). Nei prossimi paragrafi si farà riferimento in particolare alla partecipazione delle donne immigrate agli screening cervicale e mammografico, su cui si concentra il progetto avviato dall’ULSS 20 per le motivazioni descritte più avanti. Figura 1. Incidenza e mortalità per cancro della cervice uterina (Northern and Yorkshire Cancer Registry and Information Service, 1990-2005). 6 Disuguaglianze nell’accesso agli screening per tumore cervicale/mammario: dati nazionali Il sistema di sorveglianza nazionale PASSI, tramite interviste telefoniche a residenti di 18-69 anni estratti casualmente dagli elenchi delle anagrafi sanitarie, indaga in modo continuato, tra gli altri aspetti (stato di salute, abitudini di vita, sicurezza stradale e domestica), anche l’offerta e l’utilizzo dei programmi di prevenzione, tra cui gli screening oncologici. In un’ottica di monitoraggio delle disuguaglianze in salute, l’analisi dei dati relativi alle interviste (6.609) raccolte dalle regioni partecipanti al sistema PASSI nel Nord Italia (dove si registra una più ampia presenza di immigrati) nel periodo tra aprile 2007 e marzo 2008, ha permesso di verificare l’accesso differenziale allo screening della cervice uterina da parte della popolazione straniera: Tabella II. Percentuale di donne che hanno dichiarato di aver effettuato il Pap-test negli ultimi 3 anni a scopi preventivi, per le variabili socio-demografiche (n. 6609) – Studio Passi 2007-08. il 65,6% delle donne straniere, contro l’83,9% delle italiane, ha dichiarato di aver fatto un Pap test a scopo preventivo negli ultimi 3 anni (v. tabella II). Le donne straniere ricevono meno informazioni da parte della ASL e degli operatori sanitari per la promozione dello screening: il 18,7% delle immigrate non ha mai ricevuto alcuna 7 indicazione in merito (lettera di invito, consiglio del medico o campagna informativa), rispetto al 4,7% delle italiane. In particolare, solo il 40,3% delle donne straniere ha ricevuto il consiglio del medico contro il 63,5% delle italiane; il 56,3% contro il 73,9% ha ricevuto la lettera di invito della ASL e il 45,0% contro il 71,4% ricorda di aver visto una campagna informativa. All’analisi multivariata, i determinanti sociali (livello di istruzione, cittadinanza e difficoltà economiche) risultano essere fortemente associati con l’esecuzione di un Pap test secondo le linee guida, con la cittadinanza al secondo posto per forza di associazione, preceduta dalla presenza o meno dell’intervento di promozione e seguita dalle difficoltà economiche (Minardi et al., 2011) Il Rapporto nazionale PASSI 2007-2009 “Disuguaglianze sociali e salute” prende in esame i determinanti sociali (livello di istruzione e difficoltà economiche percepite) associati all’aver eseguito o meno un test di screening nei tempi raccomandati. All’analisi multivariata, sia il livello di istruzione sia le condizioni economiche sono associati all’esecuzione del pap test e della mammografia (con una maggior probabilità di essersi sottoposti all’esame per le persone di livello socioeconomico più alto), mentre per lo screening del cancro del colon retto l’associazione resta significativa per le condizioni economiche, sia nei maschi sia nelle femmine, ma non per il livello di istruzione. I differenziali per livello socio-economico si attenuano o addirittura scompaiono, sia per lo screening cervicale sia per quello mammografico, considerando i soggetti che hanno eseguito il test all’interno di un programma organizzato rispetto a quelli che l’hanno effettuato al di fuori del programma (la gratuità o meno dell’esame è stata utilizzata come proxy per la valutazione di questo aspetto). I dati raccolti dal sistema di sorveglianza PASSI nel 2010 (su 6942 questionari) evidenziano come significativi, fra i fattori predittivi individuali di adesione alla mammografia in donne fra i 50 e i 69 anni, il titolo di studio (64% di copertura nelle donne con nessun titolo di studio o licenza elementare vs. 78% nelle donne laureate), le difficoltà economiche (56% di copertura nelle donne che riferiscono “molte” difficoltà economiche vs. 79% in chi non ne riferisce alcuna), e la cittadinanza (58% di copertura nelle straniere vs. 70% nelle italiane). 8 Figura 2. Fattori predittivi individuali di adesione alla mammografia nelle donne 50-69enni (n. 6942) – studio Passi 2010. Come già visto nel caso dello screening cervicale, le straniere ricevono con minor frequenza, rispetto alle italiane, la raccomandazione da parte di operatori sanitari di sottoporsi al test: solo il 52% (rispetto al 63% delle italiane) ha ricevuto la lettera di invito da parte dell’ASL, il 44% (contro il 67%) il consiglio da parte del medico, il 47% (contro il 72%) ricorda di aver visto una campagna informativa. E’ molto interessante inoltre osservare che le strategie di promozione dello screening sono in grado di aumentare la compliance nelle donne straniere più che nelle italiane: tra le straniere infatti, analizzando i sottogruppi di chi non ha ricevuto la lettera di invito dall’ASL contro chi l’ha ricevuta, si passa dal 30% all’85% di esecuzione della mammografia nei tempi raccomandati; tra le italiane la copertura di base è più alta (51%) tra le donne che non hanno ricevuto l’invito, e passa all’81% tra quelle che l’hanno ricevuto. Osservazioni molto simili sulla maggior efficacia della lettera di invito e del consiglio del medico si possono fare per le donne con molte difficoltà economiche e con livello di istruzione più basso: il delta fra chi ha e chi non ha ricevuto l’invito è +33% nelle donne con molte difficoltà economiche riferite, +20% nelle donne con nessuna difficoltà; +29% nelle donne con nessuna istruzione o livello elementare, +13% nelle donne laureate. Mettendo a confronto le varie regioni a seconda della 9 presenza o meno di programmi di screening organizzati e funzionanti (usando come proxy il ricevimento della lettera di invito da parte di almeno metà del campione intervistato), si riscontra una quota di esecuzione della mammografia con la periodicità consigliata dell’80% nelle regioni con i programmi più consolidati rispetto al 54% nelle regioni dove i programmi funzionano meno bene. Inoltre, nelle regioni con i programmi meglio organizzati si attenuano le differenze nell’accesso allo screening tra basso ed alto livello di istruzione (-4% vs. -12%) e tra presenza o assenza di difficoltà economiche (-9% vs -17%). Le conclusioni degli autori di PASSI sono che la presenza di un programma di screening organizzato e funzionante contribuisce a ridurre le disuguaglianze in termini di accesso alla prevenzione nelle fasce di popolazione target più svantaggiate (Minardi, 2011). Da una indagine condotta in Italia nell’ambito del Programma Integrato in Oncologia (P.I.O.), finanziato dal Ministero della Salute nel 2007, risulta che solo alcune regioni o ASL effettuano analisi sulla partecipazione degli stranieri agli screening oncologici. Prendendo in considerazione le regioni che hanno prodotto questi dati in maniera sistematica (Emilia Romagna e Piemonte), si osserva una differenza di adesione -a favore delle donne italiane rispetto alle straniere- in Piemonte dell’8% per lo screening citologico e del 14% per lo screening mammografico, in Emilia Romagna del 13% per il citologico e del 17% per lo screening del cancro colorettale (dati preliminari 2009). Per il Piemonte vengono forniti ulteriori dati relativi al 2010, da cui si evince che la differenza di partecipazione allo screening citologico tra straniere e italiane è più accentuata nelle classi di età più avanzate (-4% nelle donne di 25-34 anni; -15% nelle donne di 55-64 anni); in relazione all’area geografica di provenienza, sono le asiatiche a presentare i tassi di adesione più bassi (il 29,2% accetta l’invito contro il 46,6% delle italiane). Per il periodo 2007-2010 sono stati anche valutati il tasso di invii alla colposcopia (a seguito di pap-test positivo), leggermente superiore per le straniere rispetto alle italiane (2,2% nelle straniere con tessera STP – Straniero Temporaneamente Presente; 1.9% nelle straniere residenti; 1,4% nelle italiane) e il tasso di adesione alla colposcopia, che è decisamente più elevato nelle straniere STP (80%), rispetto sia alle straniere residenti (54,8%), sia alle italiane (59,2%). Questi dati sembrano quindi indicare che, quando il programma di screening viene offerto in via sperimentale anche alle donne straniere irregolari o clandestine con tessera STP (che non vengono di norma invitate in quanto non residenti), si ottiene un buon livello di compliance al percorso diagnostico proposto. 10 Infine, il tasso di identificazione di lesioni pre-neoplastiche e neoplastiche (con istologia CIN 2 o più grave) è risultato doppio nelle donne straniere rispetto alle italiane (2,84/1000 contro 1,32/1000) (Giordano, 2011). Disuguaglianze nell’accesso agli screening per tumore cervicale/mammario: dati internazionali Molte conferme sul differente utilizzo dei servizi preventivi da parte di diversi sottogruppi di popolazione arrivano dalla letteratura internazionale. Uno studio inglese basato su una survey trasversale multiscopo (survey Omnibus condotta nel 2005-2007 dall’Office for National Statistics) ha analizzato le caratteristiche socio-demografiche associate all’accesso allo screening mammografico e cervicale tra 3185 donne di età compresa tra i 40 e i 74 anni. Per lo screening cervicale, l’origine etnica è risultata il fattore predittivo più importante: le donne inglesi bianche avevano una probabilità doppia di aver eseguito un pap test rispetto alle donne di altre etnie (OR 2.20, IC 95% 1.41-3.42). L’adesione allo screening cervicale è risultata inoltre maggiore nelle donne con livello di istruzione più elevato. Per lo screening mammografico invece non si sono rilevate differenze per quanto riguarda l’etnia o l’educazione, mentre hanno assunto maggior peso indicatori di benessere economico, come il possedere una o più auto o una casa di proprietà (Moser et al., 2009). Uno studio danese sui dati relativi ai primi otto round di invito del programma di screening mammografico condotto a Copenhagen (1991-2008) ha invece evidenziato una differente adesione allo screening anche in relazione al paese di nascita, con un odds ratio di mancata partecipazione allo screening superiore all’unità sia per le donne originarie di altri paesi occidentali (adjusted OR: 1.14 [95% CI, 1.06–1.21]) sia per le donne nate in paesi non occidentali (adjusted OR: 1.19 [95% CI, 1.11–1.27]) (Kristiansen et al., 2012). Azerkan e coll. (2012), basandosi sui dati dei registri nazionali svedesi, hanno calcolato il livello medio di partecipazione allo screening cervicale (sia organizzato, sia opportunistico) nel periodo fra il 1993 e il 2005 nelle donne svedesi e nelle immigrate (età: 23-60 anni), stratificato per area di nascita ed età di immigrazione, stimando il conseguente rischio di cancro cervicale invasivo. Il grado di 11 partecipazione è del 62% nelle donne svedesi e del 49% nelle immigrate; livelli più bassi si sono registrati nelle donne immigrate ad un’età più avanzata. Il rischio di cancro della cervice uterina è risultato cinque volte maggiore nelle donne non aderenti allo screening rispetto alle aderenti, sia tra le svedesi, sia tra le immigrate. Numerosi studi effettuati nel Nord America ribadiscono la maggior difficoltà di accesso agli screening oncologici da parte dei cittadini privi di assicurazione sanitaria e delle minoranze etniche (Afroamericani, Latini, nativi, immigrati recenti) (Shi et al., 2011, Miranda et al., 2011). Uno studio canadese di coorte population-based, analizzando i dati di 2,9 milioni di donne residenti nei centri urbani dell’Ontario, ha determinato la proporzione di donne sottoposte a screening per il cancro della cervice uterina nel periodo 2006-2008, confrontando i dati relativi alle donne immigrate (secondo l’area geografica di provenienza) con quelli delle donne nate in Canada. I tassi di screening più bassi si sono riscontrati tra le donne originarie del Sud Asia, con un effetto più consistente per le donne di età più avanzata e di recente immigrazione (adjusted rate ratio vs. donne nate in Canada o immigrate prima del 1985: 0,67 [IC 95% 0,65-0,69] per le donne di età compresa tra i 50 e i 66 anni; 0,81 [IC 95% 0,80-0,82] per le donne tra i 18 e i 49 anni). Le donne del Sud Asia più anziane, residenti nei quartieri col reddito medio più basso e senza cure primarie hanno ricevuto uno screening appropriato solo nel 21.9% dei casi, contro il 79% delle donne nate in Canada, residenti nei quartieri più ricchi e coperte da assistenza primaria (Lofters et al., 2010). Oltre all’adesione, altre fasi del percorso di screening possono essere caratterizzate da disparità socio-economiche: ad esempio, l’estensione, l’appropriatezza e la tempestività della diagnosi, l’erogazione della terapia e del follow-up secondo le linee guida. Su questi aspetti tuttavia la letteratura è molto più scarsa. Riguardo alla tempestività della diagnosi, uno studio di coorte retrospettivo, condotto su 1538 donne esaminate per sospetto cancro al seno dal 1998 al 2010 in sei ospedali del Columbia District (USA), mostra come i tempi necessari al completamento dell’iter diagnostico (dal sospetto di tumore al raggiungimento della diagnosi definitiva) siano significativamente più lunghi per le donne nere e ispaniche rispetto alle bianche, anche per le pazienti provviste di copertura sanitaria privata (Hoffman et al., 2011). 12 Strategie di promozione della partecipazione agli screening oncologici femminili e impatto sulle disuguaglianze Consolidate evidenze scientifiche sottolineano l’efficacia delle strategie di reclutamento attivo, come quelle messe in atto dai programmi di screening organizzati, nell’aumentare i tassi di partecipazione allo screening cervicale e mammografico nella popolazione generale. Secondo la revisione Cochrane di Bonfill Cosp et al. (2009), l’invio per posta della lettera di invito (OR 1.66, 95% CI 1.43-1.92), di materiale educativo (OR 2.81, 95% CI 1.96-4.02), le telefonate (OR 1.94, 95% CI 1.70-2.23), e alcune azioni combinate (come la lettera di invito più la telefonata e attività di formazione più promemoria diretti alle donne [OR 2.46, 95% CI 1.72-3.50]) sono tutti validi nell’aumentare l’adesione allo screening mammografico di comunità, a differenza di altri interventi come le visite domiciliari e le lettere di invito ad esami multipli unite a materiale educativo, che non si sono dimostrate utili. La recente revisione Cochrane di Everett et al. (2011) sull’efficacia degli interventi rivolti alle donne per migliorare l’adesione allo screening cervicale giunge a conclusioni simili: le evidenze più forti riguardano l’utilizzo delle lettere di invito e, in minor misura, del materiale educativo. A conferma di questi risultati, numerosi lavori indicano che i programmi di screening organizzati, in cui sono utilizzate le strategie di reclutamento attivo appena descritte, consentono una maggiore partecipazione della popolazione in generale e di conseguenza anche delle categorie svantaggiate, rispetto a modelli di screening opportunistico (ovvero condotto su iniziativa personale della donna). Ad esempio, Palencia et al. (2010), in uno studio trasversale condotto utilizzando i dati individuali del World Health Survey (2002) dell’OMS e i dati relativi all’implementazione dei programmi di screening in 22 Paesi europei, riscontrano che nei Paesi in cui esistono programmi di screening organizzati a livello nazionale con ampia estensione sul territorio, le disuguaglianze per livello di istruzione nell'accesso sono inferiori rispetto ai Paesi in cui la copertura dipende da politiche regionali, e ancor di più rispetto a Paesi in cui si pratica solo lo screening spontaneo. Tali disparità sono più accentuate per la mammografia, mentre per il pap test la copertura in generale è migliore, poiché si tratta di un esame spesso inserito tra le indagini di routine, indipendentemente dalla presenza sul territorio di un programma organizzato. A conclusioni analoghe giunge il rapporto PASSI sulle disuguaglianze (utilizzando i dati di sorveglianza 13 nazionali e confrontando le regioni con programmi di screening più o meno rodati e funzionanti), e un recente studio italiano, che mostra come il differenziale di sopravvivenza dopo diagnosi di tumore mammario tra donne di diverso status socioeconomico si sia ridotto, nell’area di Firenze, a seguito dell’introduzione del programma organizzato di screening mammografico (Puliti et al., 2012). Diverse strategie sono state sperimentate per incrementare l’adesione ai programmi di screening oncologici. Gli interventi proposti si sono variamente focalizzati su uno o più fra i tanti elementi interessati da un programma: la popolazione target (interventi indirizzati all’individuo, ad esempio inviti e solleciti a soggetti non aderenti tramite lettera o telefono; oppure indirizzati alla popolazione, come educazione sanitaria, campagne informative tramite mass-media); il test di screening (introduzione di nuovi test o nuove procedure più accettabili o più semplici; test autosomministrati); gli operatori sanitari (formazione, audit e feedback rivolti ai medici); l’organizzazione del servizio sanitario (rimozione barriere economiche e geografiche, ad esempio attraverso la diffusione dei provider o l’offerta dei test tramite struttura mobile, appuntamenti fissi o aperti) (Giorgi Rossi et al., 2012). Anche in Paesi dove esistono programmi di screening di popolazione, tuttavia, i tassi di adesione sono ancora inversamente correlati allo status socio-economico. Gli ostacoli alla partecipazione agli screening nei gruppi di basso livello socioeconomico possono dipendere da difficoltà economiche, problemi logistici/organizzativi (trasporti, orario dei servizi), limiti nella comprensione dei messaggi e nella comunicazione tra pazienti e operatori sanitari, scarsa informazione sui tumori e sugli screening, poca familiarità con la cultura della prevenzione, credenze e atteggiamenti personali legati alla cultura, alla religione, alle relazioni sociali e familiari (imbarazzo per la procedura di esame, timore dello stigma sociale, paura della malattia) (Spadea et al, 2010). Perchè siano efficaci e sostenibili nel tempo, gli interventi per aumentare l’adesione agli screening oncologici da parte di sottogruppi di popolazione svantaggiati devono quindi agire a più livelli ed essere socialmente e culturalmente appropriati. E’ importante ottenere a livello locale dettagliate informazioni socio-demografiche e sulla composizione etnica, in modo da poter formulare strategie di intervento mirate (Weller et al, 2009). Le attività di informazione e comunicazione, così come la tipologia organizzativa adottata, rivestono un’importanza centrale nel favorire l’equità nell'accesso e la 14 partecipazione informata allo screening da parte della popolazione bersaglio. Accade spesso che il materiale informativo prodotto per promuovere il programma di screening sia scritto in un linguaggio poco comprensibile alle fasce di popolazione meno scolarizzate o con minore health literacy, oltre che ovviamente agli stranieri non fluenti in italiano: cioè esattamente a quei gruppi di popolazione che presentano una minor adesione agli screening. La diversa capacità di comprensione delle informazioni va tenuta presente nel predisporre interventi mirati di comunicazione verso gli immigrati, le persone con scarse competenze alfabetiche o bassa health literacy. Al di là degli ostacoli comunicativi legati all’alfabetizzazione o alla lingua parlata, anche la percezione del rischio di tumore e dei rischi/benefici connessi allo screening, sulla quale si fonda la possibilità di effettuare una scelta informata, può essere molto differente nei vari sottogruppi di popolazione. E’ pertanto fondamentale sviluppare strumenti di comunicazione del rischio adeguati. Un unico messaggio uguale per tutti è raramente efficace nel colmare le disuguaglianze; anche un messaggio tradotto in una lingua diversa può non essere accettabile culturalmente o adatto ai bisogni individuali. Il progetto di ricerca inglese “Informed Choice for All: Communicating Risk Information about Breast and Cervical Cancer and Cancer Screening to Women from Minority Ethnic and Low Income Groups”, finanziato dal NHS Cancer Screening Program e condotto dal 2005 al 2008, ha sviluppato, tramite revisione della letteratura, focus groups e Q-methodology, un’analisi approfondita delle conoscenze e degli atteggiamenti nei confronti del rischio di tumore cervicale e mammario e dei relativi screening negli operatori sanitari e in persone appartenenti a diverse minoranze etniche. All’analisi fattoriale si sono delineati tre principali punti di vista: quello medico-ufficiale, quello moderatamente informato e pro-screening e quello disinformato, ansioso e fatalistico. A questa ultima categoria appartiene la maggior parte delle donne afro-caraibiche che hanno partecipato allo studio. Molte persone poi, pur essendo consapevoli del rischio di sviluppare un tumore nel corso della vita e dei generici vantaggi dello screening, hanno mostrato di avere una scarsa comprensione delle implicazioni legate ad un eventuale test positivo e dei concetti di “falso positivo” e “falso negativo”. Sulla base dei risultati ottenuti ed in linea con un approccio di ricerca partecipato, si è raggiunto un consenso con tutti gli attori e i membri delle comunità coinvolte per la messa a punto di uno strumento mirato di comunicazione del rischio, che è stato successivamente confrontato con il 15 tradizionale opuscolo informativo del NHS in un trial quasi-sperimentale, con riscontri positivi (Chiu LF, 2009). Diverse esperienze statunitensi mostrano come interventi basati sulle comunità, che tengano conto delle credenze, attitudini e comportamenti dei gruppi ai quali sono rivolti, possono rappresentare un approccio promettente per ridurre le disparità di accesso ai programmi di prevenzione in popolazioni ad alto rischio di cancro della cervice uterina, attraverso la promozione non solo dello screening ma anche della vaccinazione anti-HPV. Alcuni di questi interventi si sono basati sul coinvolgimento di comunità religiose, ad esempio della chiesa battista afro-americana in Sud-Carolina (Scarinci et al, 2010). La revisione di Spadea et al. (2010) valuta le prove di efficacia degli interventi per promuovere la partecipazione agli screening per i tumori della mammella e del collo dell'utero fra gruppi di popolazione di basso livello socioeconomico. Gli articoli sono stati classificati in base al tipo di intervento considerato: 1) implementazione di programmi di screening di popolazione organizzati; 2) differenti strategie per incrementare l’adesione all’interno di programmi organizzati; 3) interventi locali diretti a sottogruppi svantaggiati. Gli interventi locali sono stati ulteriormente suddivisi in: strategie dirette alla singola persona, nel contesto del sistema sanitario (“in-reach”); strategie dirette alla singola persona, nel contesto della comunità, utilizzando l’invio di informazioni per posta o counselling telefonico (“out-reach”); - interventi condotti da operatori sanitari non professionisti (“lay health workers”), opportunamente preparati ad agire sia a livello di comunità sia tramite sessioni di counselling individuale, spesso appartenenti all’etnia destinataria dell’intervento; - strategie combinate. L'analisi della letteratura pubblicata dal 1997 al 2006 suggerisce che gli interventi più efficaci nell’aumentare la partecipazione agli screening delle donne socio-economicamente svantaggiate sono quelli diretti ad eliminare o ridurre i costi del test (osservazione valida per il contesto statunitense, non per quello europeo dove nella maggior parte dei casi gli screening sono già offerti gratuitamente), a rimuovere le barriere logistiche/geografiche (facilitando gli appuntamenti e il trasporto), ad assicurare il coinvolgimento dei medici di base, e a sviluppare messaggi comunicativi su misura per le persone con maggiori difficoltà nell’accesso, in un’ottica di empowerment. Si è per esempio osservato che l’utilizzo di lettere di invito contenenti dettagliate spiegazioni mediche favorisce le donne di alto livello socio-economico ma scoraggia le donne appartenenti ai ceti più bassi; quindi 16 aggrava le disparità nell’adesione senza aumentare la copertura complessiva. Sono ancora pochi gli studi che valutano aspetti di sostenibilità, costo-efficacia e impatto nel lungo termine degli interventi più intensivi mirati a specifici sottogruppi svantaggiati. In Italia sono stati sperimentati diversi progetti di contrasto alle disuguaglianze nell’accesso agli screening, come raccomandato anche dal Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012, che prevede, fra le linee di intervento relative agli screening oncologici, l’estensione dei programmi di screening e la promozione del coinvolgimento dei soggetti fragili che non aderiscono ai programmi. Molti di questi progetti sono stati finanziati nel corso del 2007 dal Ministero della Salute nell’ambito del Programma Integrato in Oncologia (P.I.O.), con il coinvolgimento di diversi partners regionali (Regione Piemonte – CPO Centro di Prevenzione Oncologica in Piemonte, Torino; Regione Toscana – ISPO Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica di Firenze; Regione Lazio – Laziosanità – Agenzia di Sanità Pubblica; Regione Veneto – Istituto Oncologico Veneto IRCSS di Padova; Regione Umbria – Azienda Sanitaria Locale 2, Perugia; Regione Emilia-Romagna – Unità complessa senologia AUSL Bologna). La maggior parte dei progetti ha previsto la traduzione del materiale informativo e/o della lettera di invito in varie lingue; alcuni hanno promosso anche azioni più complesse, come la formazione degli operatori sanitari e di front-office, interventi di sensibilizzazione nelle comunità target tramite mediatori culturali o “educatori di comunità”appositamente formati, incontri con associazioni di migranti, spesso in collaborazione con gli enti locali e associazioni di volontariato. In alcuni casi l’intervento è stato rivolto anche alle donne straniere domiciliate o irregolari (con tessera STP), ad esempio istituendo un apposito centro di prelievo per l’effettuazione di pap-test gratuiti (in Piemonte) o proponendo il percorso di screening citologico a tutte le donne visitate presso gli ambulatori per STP o i consultori familiari (in Lazio); in Lazio il programma di screening cervicale è stato offerto anche alle detenute della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia. 17 Un progetto locale di contrasto alle disuguaglianze nell’accesso agli screening oncologici femminili Premesse La consapevolezza che le disuguaglianze sociali costituiscono, anche in Paesi dotati di un Servizio sanitario nazionale, un potente fattore di disparità sanitarie, e il riconoscimento che a volte, paradossalmente, gli interventi di prevenzione incrementano le disuguaglianze invece di ridurle, sono stati alla base della recente Delibera dell’ULSS 20 di Verona (5 aprile 2012) sul tema delle disuguaglianze in salute. Nel documento, a partire da una ricognizione complessiva delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze condotte dal Dipartimento di Prevenzione, si manifesta l’intenzione di istituire un coordinamento aziendale, nella prospettiva di allargare l’indagine a tutti gli altri settori di intervento dell’Azienda e di programmare un successivo piano organico di contrasto, in collaborazione con realtà istituzionali pubbliche, del privato sociale e del volontariato presenti nel territorio dell’ULSS 20. In questo contesto di forte interesse per il tema delle disuguaglianze in salute nasce il progetto volto a promuovere, nelle donne immigrate e in altre fasce di popolazione svantaggiate, la partecipazione agli screening oncologici femminili. Si è scelto di focalizzare l’attenzione sulle disuguaglianze legate alla condizione di immigrato (che spesso si sovrappone ad altri fattori di svantaggio, come il basso reddito o livello di istruzione), in ragione della crescente consistenza del fenomeno migratorio nel Veneto e della possibilità di identificare la popolazione target tramite i flussi informativi correnti. Contesto demografico Il Veneto è una delle regioni italiane a più forte presenza straniera: il 10,2% dei residenti è straniero, contro una media nazionale del 7,5% (fonte: ISTAT: La popolazione straniera residente in Italia - 1° gennaio 2011). In particolare, tra le province del Veneto, Verona è quella con il maggior numero di stranieri residenti in termini assoluti, situandosi ai primi posti anche in termini percentuali (circa 106.000, pari all’11,5% del totale dei residenti al 31/12/2010) (fonte: Osservatorio 18 Immigrazione Regione Veneto). Il fenomeno è ancora più evidente nel capoluogo di provincia: quasi il 14% dei residenti nel comune di Verona è di cittadinanza straniera (fonte: Comune di Verona). Circa la metà (49,4%) della popolazione straniera residente in provincia di Verona è costituita da donne. Riguardo alla distribuzione per età, gli stranieri si differenziano dagli italiani per una maggior concentrazione nelle classi di età più giovani: l’età media degli stranieri residenti in Veneto è di 30 anni contro i 43 anni degli italiani; solo l’1.6% degli stranieri ha più di 65 anni. Nel comune di Verona gli stranieri residenti nel 2010 risultavano pari a 36.666 unità; le dieci nazionalità più rappresentate sono: Romania (8056), Sri Lanka (6672), Moldova (3354), Marocco (1918), Nigeria (1831), Albania (1673), Cina (1457), Ghana (1362), Brasile (982), Tunisia (714). Considerando solo la popolazione femminile, la graduatoria si modifica leggermente: Romania (3985), Sri Lanka (2918), Moldova (2175), Nigeria (926), Marocco (864), Albania (765), Cina (751), Brasile (594), Ghana (582), Ucraina (388). Romania Sri Lanka Moldova Nigeria Marocco Albania Cina Brasile Ghana Ucraina 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 Figura 3. Le prime 10 nazionalità rappresentate nella popolazione femminile residente nel Comune di Verona (2010) (Fonte: Comune di Verona). 19 Ai numeri riportati sopra bisogna aggiungere una quota, che è stata stimata, per il Veneto, pari a circa il 10% degli stranieri residenti, di immigrati in possesso di un valido titolo di soggiorno ma non iscritti in anagrafe, e un altro 10% circa di extracomunitari irregolarmente presenti (fonte: Osservatorio Regionale Immigrazione. Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2011). Si ricorda infatti che, in base alla normativa attualmente in vigore, gli stranieri provenienti da Paesi non appartenenti alla comunità europea (extra-comunitari) devono richiedere un permesso di soggiorno per poter risiedere nel territorio italiano; qualora ne siano sprovvisti, vengono definiti “irregolari” se in precedenza avevano un permesso di soggiorno che non hanno rinnovato; “clandestini” se non hanno mai avuto un permesso di soggiorno. Gli stranieri provenienti da Paesi appartenenti alla Unione Europea (comunitari), a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 30 del 6 febbraio 2007, non sono più tenuti a richiedere alcun titolo di soggiorno presso le Questure, ma devono provvedere all’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente (o in casi specifici allo schedario della popolazione temporanea), purché in possesso dei requisiti che determinano il diritto di soggiorno per periodi superiori ai tre mesi. La definizione di immigrato non coincide con quella di straniero: generalmente si considera “immigrato” chi ha la cittadinanza di un Paese a Forte Pressione Migratoria, sia esso appartenente all’Unione Europea (UE) o extra-Unione Europea. Utilizzando questo criterio rimane esclusa quella quota di immigrati che ha acquisito la cittadinanza italiana (che tuttavia è molto ridotta), mentre vengono inclusi i bambini nati in Italia da genitori entrambi immigrati. Si considera il requisito “Paese di nascita all’estero” meno preciso nell’identificare gli immigrati, in quanto include molti cittadini italiani nati all’estero (essendo stata l’Italia, fino a poco tempo fa, un paese di emigrazione) ed esclude gli immigrati di seconda generazione, nati in Italia. (Osservatorio Epidemiologico sulle Disuguaglianze/Agenzia Regionale Sanitaria Marche, 2009). 20 Programmi di screening oncologici attivi nell’ULSS 20 Il programma di screening oncologico organizzato dall’ULSS 20 offre gratuitamente ed attivamente (tramite lettera di invito) ai residenti nel proprio territorio: -‐ lo screening del cancro della cervice uterina, tramite Pap-test, alle donne di età compresa fra i 25 e i 64 anni, con periodicità triennale; -‐ lo screening del tumore del seno, tramite mammografia, alle donne di età compresa fra i 50 e i 69 anni, con periodicità biennale; -‐ lo screening del cancro del colon retto, tramite rettosigmoidoscopia offerta alle persone di 60 anni (sia maschi sia femmine) una volta nella vita, e tramite ricerca del sangue occulto fecale, offerta a quanti non aderiscono alla rettosigmoidoscopia e inoltre a tutti i 61-69enni (che non abbiano già eseguito l’esame rettosigmoidoscopico), con periodicità biennale. Fanno parte del programma di screening, quindi vengono offerte gratuitamente, tutte le prestazioni del percorso diagnostico-terapeutico che si rendessero eventualmente necessarie dopo il test di primo livello: indagini di approfondimento (come ad esempio colposcopia, agoaspirato o biopsia mammaria, colonscopia), trattamento, esami di follow-up. La popolazione target è costituita dalle persone residenti nel territorio dell’ULSS 20. Fino a pochi mesi fa le liste di invito dell’ULSS 20 comprendevano solo le persone con iscrizione al SSN a tempo indeterminato: criterio che, nel caso degli immigrati, restringe il numero alla minoranza che ha ottenuto un titolo o un diritto di soggiorno permanente. A partire da ottobre 2011, a seguito dell’attivazione dell’Anagrafe Unica Regionale (AUR), le liste di invito sono state estese a tutti i residenti, anche con iscrizione al SSN a termine, il che ha accresciuto considerevolmente la consistenza del popolazione straniera invitata agli screening. L’attuale flusso informativo relativo ai programmi di screening (dai programmi locali al Registro Tumori del Veneto e da qui all’Osservatorio Nazionale Screening, con la produzione di survey annuali sugli indicatori di performance degli screening) prevede l’invio di schede contenenti dati aggregati, ottenuti attraverso l’interrogazione dell’applicativo che ciascun programma aziendale utilizza (nel caso del Veneto il software di gestione degli screening è stato messo a disposizione dalla Regione). Al momento l’informazione relativa alla cittadinanza dei soggetti invitati a sottoporsi ai test di screening non è presente nelle schede. Pertanto gli indicatori di attività 21 prodotti abitualmente per la valutazione dei programmi non tengono in considerazione questo elemento. Anche nel caso del Veneto, l’applicativo in uso per gli screening non contiene informazioni sulla cittadinanza, ma solo sul Paese di nascita degli utenti. E’ in corso a livello nazionale, all’interno del progetto “Mattoni” del Ministero della Salute, un progetto di costruzione del Data Warehouse Nazionale degli screening, che prevede un tracciato record individuale standardizzato comprendente anche la cittadinanza (Osservatorio Epidemiologico sulle Disuguaglianze/Agenzia Regionale Sanitaria Marche, 2009). Razionale e obiettivi Considerate le disparità nell’accesso ai programmi di screening oncologici, ampiamente dimostrate non solo da studi internazionali, ma anche da survey italiane, e peraltro confermate da una preliminare analisi dei dati regionali del Veneto relativi al 2010 (Cogo, 2012), si è deciso di attivare un progetto di monitoraggio e di promozione della partecipazione agli screening da parte della popolazione immigrata e di altre fasce “deboli” di popolazione. Vista la particolare distribuzione per età dei residenti stranieri si è deciso, almeno nelle prime fasi del progetto, di concentrare l’azione sugli screening citologico e mammografico: in primo luogo lo screening citologico, che riguarda una fascia di età più ampia – fra i 25 e i 64 anni; secondariamente lo screening mammografico, che si rivolge alle donne fra i 50 e i 69 anni. Interventi specifici per lo screening colo-rettale sembrano meno impellenti, dal momento che la quota di popolazione straniera sopra i 60 anni (età in cui nell’ULSS 20 questo tipo di screening viene proposto) è ancora molto limitata. Questa scelta è motivata anche dalle evidenze in letteratura (Crocetti et al., 2010; Kamangar et al. 2006) di una maggiore incidenza del tumore della cervice uterina nelle donne originarie di alcune aree geografiche (Centro-Sud America e Europa dell’Est), da cui proviene una quota consistente delle donne straniere residenti nella provincia di Verona; un’analisi preliminare dei dati relativi al programma di screening cervicale condotto dall’ULSS 20 nel 2009-2010 sembra confermare un aumento del tesso di identificazione di lesioni precancerose della cervice uterina (cervical intraepithelial neoplasia-III - CIN3) nelle donne straniere rispetto alle donne italiane (v. tabella III). Infine, la scelta di un target di popolazione 22 più giovane permette di attivare sinergie con altri ambiti di prevenzione e di promozione della salute, ad esempio nel campo della salute riproduttiva, della tutela della maternità o della profilassi vaccinale (in particolare per HPV) (Scarinci et al., 2010). 2009 Donne screenate CIN3 diagnosticati 2010 Italiane Straniere Tot. Italiane Straniere Tot. 14224 1080 15304 13643 1376 15019 (92.9%) (7.1%) (100%) (90.8%) (9.2%) (100%) 25 9 34 23 9 32 (73.5%) (26.5%) (100%) (71.9%) (28.1%) (100%) Tasso di identificazione 1.76/1000 8.33/1000 2.22/1000 1.69/1000 6.54/1000 2.13/1000 CIN3 Tabella III. Casi di CIN3 diagnosticati all’interno del programma di screening citologico dell’ULSS 20 nel 2009 e 2010, nelle donne italiane e nelle straniere (criterio: Paese di nascita) L’obiettivo generale del progetto è promuovere l’equità nell’accesso agli screening oncologici, in particolare allo screening cervicale e mammografico, favorendo la partecipazione al programma da parte della popolazione immigrata residente, e offrendo inoltre gli screening a sottogruppi particolarmente vulnerabili, tramite interventi mirati a favore della popolazione carceraria, delle comunità Rom e, in base alle risorse disponibili, delle donne immigrate irregolari o clandestine o comunque non regolarmente iscritte al SSN (che non rientrano nella popolazione bersaglio dei programmi di screening in quanto non residenti). Gli obiettivi specifici sono: -‐ attivare un sistema di monitoraggio locale delle disuguaglianze nell’ambito dei programmi di screening oncologici, ad esempio attraverso la produzione sistematica degli indicatori già in uso per la valutazione di processo del programma (come adesione all’invito, tasso di approfondimento diagnostico, adesione al 2° livello diagnostico, tasso di identificazione, compliance al trattamento) stratificati per area geografica di provenienza; 23 -‐ migliorare gli strumenti di informazione e comunicazione rivolti all’utenza straniera; -‐ favorire un’aumentata consapevolezza sul tema generale della prevenzione e in particolare sulla prevenzione oncologica nelle comunità immigrate; -‐ facilitare l’accesso ai servizi preventivi da parte di sottogruppi di popolazione particolarmente fragili, come le comunità Rom, la popolazione carceraria, le donne immigrate irregolari o clandestine o comunque non regolarmente iscritte al SSN. Nei confronti di queste categorie, nello specifico, gli obiettivi sono: -‐ offrire lo screening citologico alle donne appartenenti alla comunità Rom di origine rumena (in passato ospitata presso il campo nomadi di Boscomantico, successivamente dispersa nel territorio), con cui -già dal 2010- esiste un’opportunità di contatto attraverso il “Programma di vaccinazione Bambini Rom”, attuato dall’ULSS 20 in convenzione con l’Associazione Medici per la Pace Onlus; come già avvenuto per il programma di vaccinazione infantile, l’intervento di salute prioritario può essere l’occasione per allargare il campo ad altri temi di salute contigui (salute riproduttiva, vaccinazione per HPV), con l’intento di favorire la “familiarizzazione” della comunità interessata con i servizi sanitari; -‐ garantire l’offerta degli screening oncologici alla popolazione detenuta nel carcere di Montorio (al momento lo screening mammografico viene già offerto presso il Centro di Prevenzione Senologica di Marzana, previi accordi tra la struttura penitenziaria e l’Ufficio Coordinamento Screening Oncologici dell’ULSS 20; lo screening citologico viene invece eseguito all’interno della struttura penitenziaria, con proprio personale e protocollo; lo screening colorettale non è stato ancora attivato, ma l’ULSS 20 ha espresso la propria disponibilità ad offrire la ricerca del sangue occulto fecale, con eventuale colonscopia di approfondimento presso l’U.O. di Gastroenterologia dell’ospedale di San Bonifacio); -‐ in base alle risorse disponibili, offrire lo screening citologico alle donne immigrate irregolari/clandestine o comunque non regolarmente iscritte al SSN (con tessera STP o ENI). 24 Enti coinvolti Questo progetto prevede il coinvolgimento, all’interno del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 (direttore: dr. Massimo Valsecchi), dell’Ufficio di Coordinamento degli Screening Oncologici (responsabile: dott.ssa Maria Cristina Chioffi), e del Servizio di Promozione ed Educazione alla Salute (responsabile: dott. Leonardo Speri). I dati relativi ai casi di CIN 3 in donne straniere diagnosticati all’interno del programma di screening nel 2009-2010 sono stati forniti dal dr. Paolo Cattani (responsabile del 2° livello diagnostico e del livello terapeutico dello screening citologico, mentre responsabile dell’intero programma di screening citologico è il dott. Romano Colombari). Si auspica inoltre la partecipazione delle altre U.O. impegnate nell’erogazione dei programmi di screening. L’Ufficio di Coordinamento degli Screening Oncologici è stato istituito presso il Dipartimento di Prevenzione (delibera n. 618 del 6/7/05) come riferimento unico per gli aspetti organizzativi e di informazione-promozione alla popolazione, per la raccolta di informazioni sugli utenti e sui risultati; si occupa del coordinamento organizzativo dello screening mammografico, citologico e del cancro colorettale (per la parte dello screening eseguita tramite ricerca del sangue occulto fecale; la parte effettuata con rettosigmoidoscopia è invece gestita, anche per gli aspetti organizzativi, dall’U.O. di Gastroenterologia dell’ospedale di San Bonifacio). Il Servizio di Promozione ed Educazione alla Salute coordina le iniziative di contrasto alle disuguaglianze in salute del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20, direttamente all’interno dei programmi e progetti regionali e locali previsti dal Piano Regionale della Prevenzione e dal programma Guadagnare Salute, o come supporto ad attività di altri servizi; ha pertanto maturato una specifica esperienza nell’ambito della comunicazione interculturale. Oltre ai servizi già citati dell’ULSS 20, verranno coinvolte nel progetto organizzazioni locali del terzo settore, come la Cooperativa Sociale Azalea, che già collabora con l’ULSS 20 per l’erogazione di interventi di Mediazione Linguistico-Culturale, e l’Associazione Medici per la Pace Onlus, con cui è al momento in atto una convenzione per il programma di vaccinazione della comunità Rom. 25 Azioni previste In accordo con gli obiettivi specifici delineati in precedenza, è stata programmata una serie di attività, che prevedono una fase esplorativa, di raccolta di informazioni sulle comunità target e sulle possibili strategie di intervento, e una fase operativa, di attuazione degli interventi prescelti: -‐ raccolta e analisi della letteratura scientifica attinente il tema dell’accesso agli screening oncologici femminili da parte di fasce di popolazione svantaggiate, in particolare donne immigrate, e delle strategie più adatte ad aumentare la copertura per pap-test e mammografia in questi gruppi; -‐ reperimento dei dati presenti nell’Anagrafe Unica Regionale, per una più precisa definizione della popolazione straniera in fascia di età target (25-64 anni per lo screening citologico; 50-69 anni per lo screening mammografico) residente nell’ULSS 20, con la composizione per classi di età e nazionalità; si tratta della popolazione che è già inclusa nelle liste di invito ai programmi di screening (che a partire da ottobre 2011 comprendono anche gli stranieri temporaneamente residenti, con tessera sanitaria a termine); -‐ raccolta, sempre dall’Anagrafe Unica Regionale, di informazioni analoghe (numerosità e composizione per classi di età e nazionalità) relativamente alle donne straniere con iscrizione regolare al SSN domiciliate nel territorio dell’ULSS 20, alle donne immigrate irregolari o clandestine in possesso di tessera STP (Straniero temporaneamente presente), e alle donne comunitarie in stato di indigenza, con tessera ENI (Europeo non iscritto); queste categorie attualmente non vengono invitate ai programmi di screening, in quanto non residenti; -‐ produzione e analisi di dati locali relativi all’accesso al programma di screening cervicale e mammografico da parte delle donne straniere, attraverso l’elaborazione, per le assistite dell’ULSS 20, dei principali indicatori di processo (in particolare l’adesione) stratificati per area geografica di provenienza, nella prospettiva di rendere sistematica la raccolta di queste informazioni; -‐ approfondimento dell’analisi relativa ai casi di CIN3 in donne straniere diagnosticati all’interno del programma di screening nel 2009-2010; -‐ ricognizione delle possibili occasioni di contatto e comunicazione con le comunità straniere presenti nel territorio veronese, sia direttamente, attraverso associazioni di immigrati, centri religiosi e altri punti di aggregazione, sia mediante la 26 collaborazione con realtà locali che abbiano già maturato esperienza nel campo dell’assistenza agli immigrati, quali enti locali, associazioni di volontariato e del privato sociale, attraverso cui mettere in moto azioni di coinvolgimento, sensibilizzazione e promozione della salute; -‐ richiesta di informazioni e collaborazione con servizi ed enti (Consultori familiari, Servizi per le Dipendenze, Centro Salute per Immigrati – CESAIM, Questura) che vengono a contatto con maggior frequenza con donne straniere irregolari o clandestine (o comunque non iscritte regolarmente al SSN), al fine di valutare in che misura e con che risultati gli screening oncologici vengano già proposti e come eventualmente sia possibile estendere l’offerta degli screening oncologici anche a queste categorie; -‐ predisposizione di strategie mirate di intervento, rivolte in modo particolare alle comunità immigrate con una presenza più consistente nel territorio dell’ULSS 20 e/o con tassi di adesione più bassi: traduzione del materiale informativo nelle lingue più diffuse (a cura della Cooperativa Sociale Azalea, responsabile del servizio di Mediazione Linguistico-Culturale per l’ULSS 20) e interventi di informazione e promozione della salute nelle comunità individuate; -‐ consolidamento della collaborazione con l’Associazione Medici per la Pace Onlus, già impegnata nel programma di vaccinazione nella comunità Rom, per estendere l’intervento con l’offerta dello screening citologico alle donne nomadi, in un’ottica di “accompagnamento” ai servizi distrettuali, come già avvenuto per le vaccinazioni; - reperimento dei dati sullo screening citologico effettuato all’interno del carcere di Montorio e rafforzamento della collaborazione già avviata per l’offerta degli screening oncologici alle persone detenute. Risultati attesi Dall’implementazione del progetto ci si attende i seguenti risultati: -‐ creazione di un sistema di monitoraggio locale delle disuguaglianze nell’ambito degli screening oncologici femminili; -‐ miglioramento dei tassi di adesione allo screening cervicale/mammografico da parte delle donne straniere residenti ed eventuale estensione del programma alle 27 donne straniere domiciliate nel territorio dell’ULSS 20 e residenti all’estero, con iscrizione regolare al SSN; -‐ possibilità di accesso agli screening oncologici femminili da parte delle donne Rom e, in base alle risorse disponibili, delle donne immigrate irregolari/clandestine o comunque non regolarmente iscritte al SSN; -‐ consolidamento dell’offerta di screening oncologici alla popolazione carceraria; -‐ aumento della “familiarità” con il servizio sanitario da parte di fasce deboli della popolazione, in particolare delle comunità Rom. Piano di valutazione del progetto Gli indicatori più adatti a verificare il raggiungimento degli obiettivi definiti in precedenza sono: -‐ n. donne straniere residenti invitate dal programma di screening cervicale/mammografico (% sul totale degli inviti); -‐ adesione al programma di screening cervicale/mammografico (più eventualmente altri indicatori di processo) tra le donne straniere residenti, stratificata per area geografica di provenienza. Per valutare l’effetto delle azioni intraprese, si propone di confrontare la situazione pre- con quella post-intervento. Considerato il recente considerevole incremento della popolazione bersaglio, con l’inclusione aggiuntiva, a partire da ottobre 2011, delle donne straniere temporaneamente residenti, che verosimilmente potrebbero presentare tassi di partecipazione diversi rispetto alla popolazione straniera con residenza a tempo indeterminato, è opportuno fare riferimento al 1° semestre 2012, cioè ad un periodo successivo a questo cambiamento, come baseline, replicando poi la rilevazione a distanza di circa un anno dall’implementazione degli interventi, per dare tempo agli effetti di consolidarsi; -‐ inclusione nelle liste di invito ai programmi di screening femminili delle donne straniere domiciliate nel territorio dell’ULSS 20 e residenti all’estero, con iscrizione regolare al SSN; -‐ compliance all’offerta di screening cervicale da parte delle donne Rom in fascia di età target; 28 -‐ compliance all’offerta di screening cervicale/mammografico da parte delle donne detenute nel carcere di Montorio in fascia di età target; -‐ Valutazione di fattibilità dell’offerta di screening cervicale alle donne immigrate con tessera STP/ENI; -‐ disponibilità di un sistema locale di monitoraggio delle disuguaglianze nell’ambito degli screening attraverso la produzione sistematica (annuale) degli indicatori di processo stratificati per area geografica di provenienza; -‐ disponibilità di informazioni scritte sui programmi di screening oncologici in diverse lingue, in forma culturalmente appropriata (opuscoli informativi, informazioni aggiunte alla lettera di invito); -‐ n. incontri di sensibilizzazione sui temi della prevenzione oncologica in comunità straniere. 29 Obiettivo generale Obiettivi specifici Azioni Valutazione 1 – Promuovere 1.1 - Attivare un sistema di 1.1.1 - Produzione e analisi dei -‐ Disponibilità degli l’accesso agli screening monitoraggio locale delle principali indicatori di processo indicatori di processo oncologici femminili da disuguaglianze nell’ambito degli screening stratificati per stratificati per area parte di fasce di dei programmi di screening area geografica di provenienza geografica di popolazione vulnerabili: oncologici provenienza - donne immigrate -‐ N. donne straniere - donne Rom residenti invitate dal - popolazione programma di screening carceraria cervicale/mammografico - donne immigrate (% su tot. inviti) irregolari con -‐ Adesione al programma tessera STP/ENI di screening cervicale/ (in base alle risorse mammografico tra le disponibili) donne straniere residenti, stratificata per area geografica di provenienza 1.2 - Migliorare gli strumenti di informazione e comunicazione rivolti all’utenza straniera 1.2.1 – Precisa definizione della -‐ popolazione straniera in fascia di età target residente nell’ULSS 20: composizione per classi di età e nazionalità (AUR) 1.2.2 - Produzione di materiale informativo appropriato e traduzione nelle lingue più diffuse 1.3 - Favorire un’aumentata consapevolezza sui temi della prevenzione oncologica nelle comunità immigrate 1.3.1 - Ricognizione delle possibili occasioni di contatto con comunità immigrate 1.3.2 - Interventi di promozione della salute nelle comunità individuate 1.4 - Facilitare l’accesso agli screening oncologici femminili e in generale ai servizi preventivi da parte di sottogruppi di popolazione particolarmente fragili (comunità Rom, popolazione carceraria, donne immigrate irregolari con tessera STP/ENI) 1.4.1 - Offerta dello screening -‐ cervicale alle donne nomadi attraverso Associazione Medici per la Pace Onlus (già impegnata nel programma di vaccinazione dei bambini Rom) -‐ 1.4.2 – Consolidamento dell’offerta degli screening oncologici alle donne detenute nel carcere di Montorio 1.4.3 - Raccolta informazioni demografiche su donne immigrate con tessera STP/ENI -‐ presenti nel territorio veronese (AUR) 1.4.4 - Avvio collaborazione con servizi ed enti in contatto con donne straniere irregolari (Consultori familiari, Servizi per le Dipendenze, Centro Salute per Immigrati – CESAIM, Questura) -‐ Disponibilità di materiale informativo sui programmi di screening oncologici in diverse lingue, in forma culturalmente appropriata N. incontri di sensibilizzazione in comunità straniere Compliance all’offerta di screening cervicale da parte delle donne Rom in fascia di età target Compliance all’offerta di screening cervicale/ mammografico da parte delle donne detenute nel carcere di Montorio in fascia di età target Valutazione di fattibilità dell’offerta di screening cervicale alle donne immigrate con tessera STP/ENI 30 Possibili criticità In primo luogo, è fondamentale tenere in considerazione l’impatto sui servizi che erogano le prestazioni del percorso di screening di un eventuale aumento del carico di lavoro, che si determinerebbe nel caso il progetto raggiungesse l’obiettivo di incrementare la partecipazione delle donne straniere. Un altro punto critico del progetto può riguardare il coinvolgimento degli operatori “di prima linea”, a contatto con le pazienti (operatori dei call center, ostetriche dei distretti, operatori del Centro di Prevenzione Senologica), che vanno preparati adeguatamente in vista del possibile (e auspicabile) aumento di richieste di informazioni da parte delle donne straniere, con la necessità di sviluppare modalità di comunicazione culturalmente adeguate ed efficaci. E’ inoltre importante, perché il progetto abbia successo, il coinvolgimento dei medici di medicina generale, che hanno la possibilità di rinforzare il messaggio di prevenzione con i propri assistiti (ovviamente, solo per le donne residenti, che godono dell’assistenza di base). Stato di avanzamento del progetto Quella fin qui delineata è una programmazione indicativa, che potrà essere modificata sulla base dei risultati della fase esplorativa attualmente in corso. Sono pertanto ancora in via di definizione alcuni elementi del progetto, come la valutazione delle risorse necessarie e il cronogramma. Al momento, è stata condotta la raccolta di materiale bibliografico sul tema delle disuguaglianze nell’accesso agli screening oncologici femminili e sulle evidenze relative all’efficacia degli interventi per aumentare la partecipazione agli screening da parte di fasce deboli della popolazione. Si stanno raccogliendo informazioni preliminari per una migliore comprensione del fenomeno migratorio, sia riguardo allo status amministrativo e alle possibili tipologie di iscrizione al SSN da parte degli stranieri, sia riguardo alla consistenza numerica e alla composizione per età e area geografica di provenienza della popolazione straniera presente nel territorio dell’ULSS 20. Oltre che per le donne residenti, si valuteranno anche i dati relativi alle donne immigrate non residenti, domiciliate, con tessera STP o ENI, per valutare la 31 fattibilità di un’eventuale estensione dell’offerta di screening citologico/mammografico anche a queste categorie. E’ in via di completamento l’analisi dei dati locali relativi alla partecipazione allo screening mammografico e citologico da parte delle donne straniere; come criterio di identificazione dello “straniero” si è utilizzato il paese di nascita e non la cittadinanza, dal momento che solo il primo dato è disponibile nel software regionale dedicato ai programmi di screening oncologici. Nel corso di un primo incontro con i responsabili della mediazione linguistica culturale si è selezionato il materiale informativo da tradurre, decidendo di produrre un nuovo opuscolo che promuova tutti e tre i programmi di screening e di aggiungere una frase di informazione generale, tradotta in diverse lingue, alla lettera di invito. 32 Bibliografia Azerkan F, Sparén P, Sandin S, Tillgren P, Faxelid E, Zendehdel K. Cervical screening participation and risk among Swedish-born and immigrant women in Sweden. Int J Cancer. 2012 Feb 15;130(4):937-47. Bonfill X, Marzo M, Pladevall M, Marti J, Emparanza JI. Strategies for increasing the participation of women in community breast cancer screening. Cochrane Database Syst. Rev. 2009 (1) CD002943. Chiu LF. Promoting informed choices on cancer screening in a diverse community. Guidance for service providers and health promoters. NHS Cancer Screening Programmes 2009 (Cancer Screening Series No 6). http://www.cancerscreening.nhs.uk Cogo C. 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