I Sensi di Romagna
Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A.
numero 14.
settembre 2006
Periodico edito da
CERDOMUS Ceramiche S.p.A.
48014 Castelbolognese (RA) ITALY
via Emilia Ponente, 1000
www.cerdomus.com
Direttore responsabile
Luca Biancini
Progetto
Carlo Zauli
Luca Biancini
Grafica e impaginazione
Jan Guerrini/Cambiamenti
per Divisione immagine Cerdomus
Coordinamento editoriale
Alessandro Antonelli
Redazione
Giuliano Bettoli
Stefano Borghesi
Franco De Pisis
Italo Graziani
Vanna Graziani
Giuseppe Masetti
Manlio Rastoni
Tatiana Tomasetta
Serena Togni
Carlo Zauli
Foto
Archivio Cerdomus
Archivio Giuliano Bettoli
Archivio Stefano Borghesi
Archivio Italo Graziani
Archivio Monia Lippi
Archivio Giovanna Madonia
Archivio Manlio Rastoni
Jan Guerrini
si ringraziano
_ Biblioteca Manfrediana di Faenza
_ Casa del Teatro, Faenza
_ Pro Loco di Dovadola
_ Comune di Bagnacavallo, Fondo Leo Longanesi
_ le immagini di Cattelan a Forlì sono tratte dal volume fotografico
“Gli anni del Diavolo 1985-1991” di Patrizia Giambi
si ringrazia per la preziosa collaborazione
Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus
Traduzioni
Traduco, Lugo
Stampa
FAENZA Industrie Grafiche
©CERDOMUS Ceramiche SpA
tutti i diritti riservati
Autorizzazione del Tribunale di Ravenna
nr. 1173 del 19.12.2001
I
n ossequio alla natura intrinsecamente romantica dell’autunno, questo numero di
ee
indossa la sua veste più ispirata e ripercorre i sentieri calcati da Lord Byron nel corso delle
sue passioni e vicissitudini romagnole, visita le commoventi rovine dei piccoli cimiteri
abbandonati, annidati entro scenari sognanti, e si ferma ad ascoltare le antiche fiabe popolari che tutti i vecchi romagnoli hanno udito e narrato almeno una volta. Si spinge poi a
descrivere certi angoli dove l’acqua dona benessere agli uomini e gli aforismi fioriscono nei
giardini. Luoghi che punteggiano i lembi di una provincia apparentemente isolata, ma bizzarramente protagonista di avvenimenti della storia maestra. Una terra che ha visto nascere
nazioni, ha dato i natali a tanti artisti geniali, e molti altri li ha a lungo ospitati, forse stregandoli anche con le lusinghe del suo vino e delle sue specialità più preziose.
La Redazione di
ee
Autumn is the most romantic season, and this issue of ee dedicates an article to that most Romantic of poets,
Lord Byron, and his adventures and intrigues on Romagnol soil. We also visit the region’s abandoned cemeteries,
silent ruins among the stillness of nature, and stop to examine the local folk tale tradition. Then on to the spas of
Bagno and a garden whose strangest plants are aphorisms. All hidden attractions of an ostensibly isolated region
which has made its own often bizarre contributions to world history – including the birth of a nation. Romagna
has given many artists to the world, and has been home to many others – we like to think it enchanted them with
its excellent wines and Dovadola truffles.
The editorial staff of ee
Editoriale
01
a r i a
t e r r a
a c q u a
f u o c o
Digradanti e assolate montagne, vestite di boschi rigogliosi, disseminate di borghi
squisitamente integri e di acque termali benefiche.
U
no di quei borghi è Bagno di Romagna, immerso nell’Appennino Tosco-Romagnolo dove la natura si impone rigogliosa. Le sue
peculiarità storiche e la presenza delle fonti termali ne fanno un luogo tra i più suggestivi della Romagna, facilmente raggiungi-
bile grazie alla superstrada E45. Lo straordinario paesaggio che sovrasta Bagno, ai piedi dell’Appennino Tosco-Romagnolo, e il largo
letto del fiume che lo attraversa, piacevolmente rumoroso, sono la prima cosa che balza agli occhi, mentre ci si ritrova avvolti da una
natura che sortisce, già di per sé, un efficace effetto anti-stress. Elementi come questo hanno reso Bagno meta eletta del cosiddetto
“turismo del benessere”. L’elemento che ne caratterizza la storia è la sorgente di acqua calda che sgorga tutto l’anno alla temperatura
di 45 °C. Cadendo nella zona del monte Còmero, la pioggia penetra nel sottosuolo fino a 1.400 metri e poi risale in superficie impiegando 650 anni, durante i quali si riscalda per effetto geotermico e si carica dei minerali che trae dagli strati rocciosi. Gli abitanti sono
soliti dire che oggi ci si bagna con l’acqua che piovve ai tempi di Giotto, le acque utilizzate nei tre famosi stabilimenti termali sono di
due tipi: bicarbonato alcaline e sulfuree. Considerato di origine divina e oggetto di culto salutare, Balneum divenne rinomato nell’ambito del “wellness” già nel 266 a.C. quando i romani vi costruirono il primo imponente complesso termale e la strada per unire
Ravenna a Roma. Nelle guide duecentesche Bagno è indicato come tappa obbligatoria per i romei, ove pellegrini, poveri e frati avevano accesso gratuito; giudei, marrani ed infedeli pagavano invece doppia tariffa. Nel XV secolo, sono personaggi illustri come
Benvenuto Cellini e i De’ Medici a dar lustro alle terme, mentre i veri signori di queste terre, dal XI al XV secolo, furono i Fiorentini.
Le testimonianze storiche rappresentano un’ulteriore ricchezza per il paese: ne è un fulgido esempio Palazzo dei Capitani, esternamente
ricoperto dagli stemmi dei Capitani di Firenze che, come tessere di un mosaico, narrano gli avvicendamenti politici del territorio (anticamente un Capitanato). Alzando gli occhi, si scorgono, poi, i faggi e gli abeti che abitano maestosamente la Foresta della Lama, altro
fiore all’occhiello di Bagno di Romagna, inserita nel parco nazionale di Campigna, del Falterone e delle Foreste Casentinesi, un ambienfoto d’archivio
te boschivo lussureggiante e ancora primitivo che nulla conosce delle ordinate geometrie. Qui la Romagna incontra la Toscana anche
a tavola. Bagno è meta di ogni buon palato. Paolo Teverini, ad esempio, tra i migliori ristoranti d’Italia, sposa la succulenta gastronomia romagnola con quella più sobria della tradizione toscana, il tutto rigorosamente in onore dei prodotti del territorio.
Tat i a n a Tom a s e t t a
Bagno di Romagna
La pazienza è ciò che nell'uomo più assomiglia al procedimento che la natura usa nelle sue creazioni. Honoré de Balzac
scrigno d’acque termali
foto d’archivio
Sunswept hillsides clad in exuberant greenery, scattered with delightfully well-preserved villages... and hot springs.
One of these villages is Bagno di Romagna, nestled in the verdant scenery of the Tuscan Apennines. The village’s unusual history, and the presence of the hot springs
which draw so many visitors, make Bagno one of the most charming places in Romagna – and thanks to the E45 superhighway it’s also remarkably easy to get to. The
extraordinary landscape of the Tuscan Apennines which looms above Bagno and the broad-bedded river which gurgles agreeably down its hillside are the first things
to strike the senses; it’s a natural setting which has a soothing effect in its own right. It’s qualities like these which have made Bagno a favourite destination for
what’s now known as wellbeing tourism. But Bagno is best known for its hot springs, which gurgle water at a temperature of 45 °C all year round. The rain which falls
in the vicinity of mount Còmero penetrates the earth to a depth of 1400 metres; as it rises to the surface, its temperature rises due to a geothermic effect while it
also absorbs minerals as it rises through the different strata of rock. It takes 650 years for the water to reach the surface, and the inhabitants of Bagno are fond of
saying that today’s bathwater was Giotto’s rainwater. There are three spas in Bagno, and two kinds of water rise from their springs: alkaline and sulphuric
bicarbonates. Known as Balneum to the Romans, who considered the springs to be of divine origin – with the result that a health cult grew up around them – Bagno
was a renowned wellness centre as early as 266 BC, when the Romans built the first impressive spa complex and a road linking Ravenna to Rome. 13th-century
travellers’ guides list Bagno as an obligatory stop for wayfarers: pilgrims, paupers and friars were given free accommodation, but Jews, converts and infidels had to
pay double tariff. In the 15th century, illustrious figures such as Benvenuto Cellini and the De Medici brought added lustre to the spa, this during the period (11th15th centuries) when Bagno was under Florentine domination. Historic sights add further to the village’s prestige: one dazzling example is Palazzo dei Capitani with
its arms of the governors of Florence, which, like so many cubes in a mosaic, narrate the political events which shaped the region, formerly a Capitanato. Above the
village rise the majestic beech and spruce trees of the forest of Lama, another source of pride for Bagno di Romagna and part of the national park of Campigna,
Monte Falterona and Foreste Casentinesi. It’s lush, leafy and chaotic in its geometry like only nature can be. Bagno is a village where Romagna meets Tuscany in
another way too – food. Here you’ll find the best of both traditions. At Paolo Teverini, for instance, one of the best restaurants in Italy, succulent Romagnol cooking is
exquisitely combined with the more sober Tuscan tradition – though regardless of where the inspiration lies, it’s always done using strictly local produce.
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BAGNO DI ROMAGNA_ A JEWEL BOX OF WELLBEING
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I Sensi di Romagna
Territorio
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La morte, il nostro limite della vita, viene al mondo con noi. Ma il suo “essere naturale”
certo non la sminuisce, non ne riduce l’importanza ed il mistero. E dal passato ci arrivano
echi della grande ed indiscutibile valenza che veniva attribuita ai riti che la celebravano.
P
ensando alla trasmissione orale delle usanze legate appunto a questi riti, riaffiora alla mente il ricordo di lunghi “viaggi” al cimitero con mio padre, in occasione della morte di congiunti o vicini, e della sua consolidata abitudine di raccontare del defunto, con
dettagliati riferimenti ad avi e discendenti. Tutto ciò presupponeva l’esatta conoscenza di moltissime famiglie e di complessi legami di
parentela; le circostanze richiedevano anche un uso accorto del linguaggio, piccole attenzioni, come quella di far sempre precedere al
nome proprio del morto, l’attributo: “è puvrètt” (il povero). E ancora adesso che mio padre ha novantatré anni, quando gli dico di una
persona scomparsa, aiutato da mia madre, riesce a ricordare i minimi particolari, a ricostruire una vita: se la persona era sposata, il
luogo dove abitavano o dove avevano abitato, qual era la famiglia di appartenenza del coniuge, ovviamente con il relativo soprannome dialettale. Questa capacità dei nostri vecchi faceva sì che si creasse una tessitura di conoscenza della comunità, con radici così profonde da immaginare di essere parte di una solidale e unica famiglia, legata da una lingua, il dialetto.
Con tale premessa non voglio idealizzare il passato, ma descrivere antiche usanze che, nonostante avessero una ben fondata ragion
d’essere: l’armonia con l’ambiente umano e naturale, sono scomparse con grande rapidità, lasciando solo ruderi in alcune località quasi
dimenticate. Oggi, di fronte al progredire stupefacente e inarrestabile della tecnologia a disposizione dell’uomo, non per nostalgia, ma
per la necessità di mantenere viva un’identità e una memoria, si dovrebbero elaborare i rapporti con più attenzione ai segni di millenni di vita che sono stati prima di noi.
I ta l o e Va n n a Gra z i a ni
I camposanti perduti
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I Sensi di Romagna
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Pier Paolo Pasolini
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La morte non è
nel non poter
comunicare,
ma nel non
poter essere
più compresi.
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luoghi di rumori leggeri
Territorio
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LOST GRAVEYARDS_ WHERE SILENCE REIGNS
Death, that thing that puts an end to our lives, comes into the world with us. But the fact that it’s “natural” in no way diminishes the mystery and the gravity
which have always been associated with it. And the past reverberates with echoes of the tremendous significance attributed to the rites connected with death.
Thinking of how the customs associated with these rites are passed orally from one generation to another, I always remember those long “journeys” to the cemetery
with my father on the occasion of the death of a relative or neighbour, and my father’s incorrigible habit of telling the story of the dead person’s life, complete with
details of ancestors and descendants. All this required accurate knowledge of countless different families and complex family ties; and it also required a special use of
language, little details such as always prefixing the name of the departed with è puvrètt – “the poor man”. Even now that my father is 93, when I mention to him that
someone has died he manages, with the help of my mother, to recall the tiniest details, to reconstruct a life story: whether they were married, where they lived and
where they lived before that, the husband’s or wife’s family name – complete with the dialect sobriquet, naturally. This ability to recall ends up weaving a whole fabric
of recollection of the community, the threads so tightly interwoven that they ended up becoming a single, united fabric connected by the common dialect.
My intention here is not to idealize the past, but just to describe customs which, despite having every good reason to exist – such as harmony with the human and
natural environment – seem to have vanished overnight, leaving behind only ruins in a few almost forgotten places. Today more than ever, with technology
progressing at an astonishing rate, it’s our duty to preserve the traces of the past, respect the memory of the millennia of lives that have gone before us – not for
nostalgia’s sake, but for the sake of preserving an identity.
Some of these traces can be found in the church cemeteries of small villages which were not affected by the Napoleonic laws, which required cemeteries to be
located outside of towns. Many graveyards were simply wiped off the map; others, thanks to the unlikely alliance of creeping time and the stealthy encroachment of
vegetation, survive in a surprisingly harmonious fusion of ruins and nature. The few which remain intact still preserve their sacred atmosphere, that instantlyrecognizable stillness so characteristic of silent, tranquil places.
People of a more sensitive disposition often choose these small corners of hallowed ground as their place of eternal rest, and in doing so they give them new life and
new history. One such person was Giuseppe Dossetti, one of the fathers of the Italian constitution, who is buried in the cemetery of the Monte Sole regional park in
Marzabotto; then, a little closer to our own day, there was Alteo Dolcini, a paladin of Romagnol culture in all its aspects – its wine, its pottery, its games and music –
who chose the village of Pergola near Faenza. Another place imbued with an exceptional fascination and whose past deserves a future is Rontana, near Brisighella. The
old parish church and adjacent cemetery survive as testimony to the beauty of the relationship between man and nature, created by people with the humility required
to understand and articulate, with astuteness and vision, the need for equilibrium between the two. As architecture, the whole complex reveals careful planning in the
orientation of the buildings, the importance accorded to open spaces, the layout of the plants which are its essential corollaries. This last aspect is more than anything
the manifestation of a broad and layered culture which alloys the specific symbolic value of the trees, shrubs, flowers which populate the graveyard with an
unmistakable agronomic talent – the result is beauty and harmony. It’s often noted that where there’s human life, there’s plant life; and plants have always been
natural travelling companions on our final journey and our final destination, eternal sleep. May the devotion and respect for the magic of that parallel respiration
regain its place in our hearts.
I cimiteri delle parrocchie in piccoli borghi sono antiche tracce non toccate dalle leggi napoleoniche, che fecero uscire i luoghi sacri
delle sepolture dalle città. Molti camposanti sono stati del tutto cancellati; altri, grazie alla sorprendente alleanza che unisce il lavoro
del tempo e il paziente avanzare della vegetazione spontanea, creano un’inaspettata armonia di ruderi accolti dalla natura. Ma i pochi
rimasti intatti conservano ancora l’aria sacra e il senso di pace, caratteristici dei luoghi dolci e silenziosi, individuati con accuratezza
dalle genti.
Vi sono persone dotate di profonda sensibilità che scelgono questi piccoli recinti consacrati per il loro riposo eterno, ed in qualche
modo ridanno loro vita e storia. Ne è un esempio don Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione, sepolto nel cimitero del parco
regionale di Monte Sole a Marzabotto; più vicino a noi ricordo Alteo Dolcini, paladino della cultura romagnola in tutte le sue forme
- vini, ceramiche, giochi, musiche - che ha scelto Pergola, frazione di Faenza. Un altro luogo dotato di un certo fascino, che merita di
avere un “posto nel futuro”, è il territorio di Rontana, nei pressi di Brisighella. L’antica pieve e il vicino cimitero sono la testimonianza di un geniale rapporto uomo-natura, creato da persone pervase dall’umiltà di comprendere ed interpretare quella necessità di equilibrio, con accorta e lungimirante visione. Tutto il complesso architettonico rivela un attento studio e scelte precise: l’orientamento
degli edifici, l’importanza degli spazi aperti, la disposizione delle piante che ne sono indispensabile corollario. Quest’ultimo aspetto,
soprattutto, è il risultato di quella cultura ampia e stratificata che lega la simbologia specifica di tutti gli alberi, cespugli, fiori, ubicati nei luoghi sacri ad una spiccata conoscenza agronomica, che crea bellezza e armonia. La vita degli uomini è legata indissolubilmente
alla vita delle piante, recita un detto; da sempre, infatti, le piante sono state scelte come naturali “compagne” nell’ultimo viaggio e poi
nel sonno eterno. Possa la devozione ed il rispetto per questo respiro parallelo riprendere posto nel cuore.
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I Sensi di Romagna
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La morte non sarà più morte.
E tu, morte, morrai.
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John Donne
Territorio
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S t e f a n o B o rg h e s i
La meravigliosa foresta di pini che
circonda Ravenna fu lo sfondo di un
La Romagna di Lord Byron
amore romantico, sul quale non era
destino che cadesse l’oblio.
p a s s i o n i a m o ro s e e p o l i t i c h e
T
eresa dei conti Gamba conobbe il famoso poeta
inglese Giorgio Byron nel salotto veneziano di
Maria Benzon. Era l’aprile 1819. A Venezia la
diciottenne Teresa seguiva il marito, l’ultracinquantenne conte Alessandro Guiccioli di Ravenna, in un
viaggio d’affari. Lord Byron fu immediatamente
preso da un’ardente passione contraccambiata dalla
contessa ravennate, che del poeta inglese fu compagna fedele fino alla morte.
Il 10 giugno del 1819 Byron arrivò a Ravenna in
gran pompa. Si stabilì dapprima in un albergo vicino alla tomba di Dante con la figlia Allegra, natagli in Inghilterra da una relazione con Clare
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Clermont. Fece poi amicizia con il conte Guiccioli
in occasione di feste mondane e non incontrò difficoltà a farsi accogliere nel suo palazzo. Il conte,
d’altra parte, non disdegnava il denaro per farsi
tacitare. Teresa, conquistata dal fascino dell’amante, non tenne nascosti i suoi sentimenti, tanto più
che riuscì ad ottenere dal Papa la separazione dal
marito detestato e subìto per l’usanza dei matrimoni combinati.
Affinità intellettuali e spirituali indussero i due
con la contessa, Byron fece l’esperienza del carat-
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nobili giovani a legarsi per sempre. Nella relazione
tere “infinito” dell’amore romantico, fusione di
anima e corpo, di sentimento e di spiritualità, di
passione e genialità.
Sweet hour of twilight! In the solitude
Of the pine forest, and his silent shore
Wich bounds Ravenna’s immemorial woods,
Rooted where once the Adrian wave flowe’d o’er
To where the last cesarean fortress stood,
Evergreen forest; wich Boccaccio’s love
And Dryden’s lay made hounted ground to me,
How have I loved the twilight hour and thee!
Le cicale assordanti abitatrici dei pini
Che fanno delle loro vite estive un canto incessante
Erano gli unici echi, tranne il mio e
Quello del mio destriero.
E i rintocchi delle campane del vespro sembravano scorrere lungo i rami.
Rivivevano allora nella mia fantasia lo
spettro di guido degli Anastagi, i suoi mastini,
il loro inseguimento e la folla che imparò
da questo esempio a non fuggire da un sincero amante (...)
The shrill cicalas, people of the pine,
Making their summer lives one ceaseless song,
Where the sole echoes, save my steed’s and mine,
And vesper bells that rose the boughs along:
The spectre huntsman of Onesti line,
His hell-dogs and their chase, and the fair throng,
Which learned from this example not to fly
From a true lover (...)
Teresa incarnava il nuovo ideale di donna, che si
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Dolce ora del crepuscolo nella solitudine
Della foresta di pini fino alla silente spiaggia
Che cinge Ravenna; bosco antichissimo
Radicato dove un tempo l’onda di Adriano vi
scorreva sopra là, fin dove si ergeva l’ultima fortezza cesarea.
Foresta sempre verde che mi faceva ricordare il folklore
Del Boccaccio e le ballate di Dryden.
Quanto ho amato te e questa ora del crepuscolo!
emancipa dal paradigma del matrimonio tradizionale, diventa l’amante che ama con la pienezza del
proprio essere. Colta e piena di charme, esercitò
una forte influenza sulla stessa attività letteraria
dell’amico. A lei si ispirano molte opere che Byron
scrisse a Ravenna, da “Marin Faliero” a “Don Juan”
senza ignorare “La profezia di Dante”, che fu molto
apprezzata dai ravennati. Teresa contribuì ad alimentare nel poeta l’amore per le tradizioni della
sua città, delle quali sono parte le memorie di Dante
Alighieri esule da Firenze. Fu lei stessa, inoltre, a
G. Byron (da “Don Juan”)
10
I Sensi di Romagna
Storia
11
coinvolgere Byron nella causa del risorgimento italia-
BYRON’S ROMAGNA_ BETWEEN PASSION AND INTRIGUE
12
I Sensi di Romagna
no e nell’attività cospirativa delle società segrete di
Romagna legate alla Carboneria e impegnate nella
lotta per la libertà contro il dispotismo della Santa
Alleanza. I Gamba di Ravenna erano ferventi liberali.
Teresa mise suo fratello Pietro in contatto con Byron,
il quale si affiliò alla setta segreta denominata
“Cacciatori americani”, perché dall’America prendeva
il modello di un libero ordinamento da dare all’Italia.
Nella pineta di Ravenna, Byron si recava a cavallo, per
insegnare ai cospiratori a tirare con la pistola. Egli
stesso forniva armi, munizioni, denaro, stampati e
rifugio nella sua casa, strettamente sorvegliata dalla
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polizia, con un limite imposto dall’appartenenza del
poeta alla Camera dei Lords, che gli permetteva di
godere della protezione britannica.
I moti del 1821 in Romagna fallirono. Delle dure
repressioni che seguirono fecero le spese anche i
Gamba, che si videro confiscati i beni e furono
costretti a lasciare Ravenna. Teresa raggiunse i famigliari a Pisa e Byron si unì a lei nell’esilio. La piccola
Allegra fu affidata all’educantato retto a Bagnacavallo
dalle suore di S. Giovanni Battista. Il padre non poté
più rivederla, perché poco dopo fu strappata inaspet-
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tatamente alla vita, all’età di cinque anni.
Byron, intanto, conquistato dal mito romantico della
Grecia e della sua civiltà, abbracciò la causa dell’indipendenza di quel paese dalla dominazione turca. Il 23
luglio 1823 si imbarcò a Livorno per la Grecia con il
fratello di Teresa. Si portò a Missolungi al seguito di
una spedizione destinata a dar man forte ai greci. A
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Missolungi si spense all’età di trentasei anni, colpito
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The marvellous pine forest that encloses Ravenna was the backdrop to
a love affair which continues to exert fascination long after its
protagonists’ deaths.
Countess Teresa Guiccioli first met the poet Byron in the Venetian salon of
Maria Benzon. It was April 1819. Teresa, then aged 18, was in Venice with
her husband, the fifty-something count Alessandro Guiccioli of Ravenna,
who was in the city on business. Byron immediately conceived an ardent
passion for the young countess; she felt the same way about Byron, the
two became lovers and remained together until the poet’s death.
Byron arrived in Ravenna in great pomp on 10 June 1819. He and his
daughter Allegra, born in England from his liaison with Clare Clermont, at
first took up residence in a hotel near Dante’s tomb. Byron then struck up
a friendship with Guiccioli at a society gathering, and was soon being
received in the count’s palace. The count, for his part, was willing to keep
quiet about the affair – for a price. By now Teresa was at her lover’s mercy
and made no attempt to hide her feelings; she managed to receive the
pope’s blessing for the separation from her detested husband, to whom
she had been married by arrangement, as the custom was back then.
The two young aristocrats had intellectual and spiritual affinities which
still bind them even today. In his relationship with the countess, Byron
seemed to experience the full infinity of Romantic love, a fusion of body
and soul, spirit and sentiment, passion and brilliance.
Teresa was the walking ideal of a new kind of woman, one who breaks
free from the bonds of traditional matrimony to become a lover who loves
with every grain of her being. As cultured as she was charming, she
exerted considerable influence on her lover’s literary development. She
was the inspiration for much of Byron’s literary output during his sojourn
in Ravenna, including Marino Faliero, Don Juan, and The Prophecy of
Dante, a poem which was especially warmly received by the city’s
inhabitants. Teresa also cultivated in Byron a love for the traditions of her
city, including the memoirs of Dante Alighieri, in exile from Florence. And
it was also Teresa who first got Byron involved in the cause of the Italian
Risorgimento and the activities of the secret societies of Romagna, with
their links to the Carbonari and their commitment to the struggle for
freedom from the despotism of the Holy Alliance. Teresa belonged to one
of Ravenna’s most fervently liberal families and put her brother Pietro in
contact with Byron, who then became a member of the secret society
known as the “American Hunters”, for it was from America that the society
took its model for a free Italy. Byron would ride through the pine forests
of Ravenna to rendezvous with the conspirators and train them in the use
of firearms. He even provided them, from his own pocket, with arms,
ordinance, money, leaflets and refuge in his house, which was under close
police surveillance – although Byron’s status a member of the House of
Lords afforded him a good deal of immunity and protection.
The 1821 uprisings in Romagna failed. The brutal repression which
followed did not spare the Gamba family – their assets were confiscated
and they were forced to leave Ravenna. Teresa and her family regrouped in
Pisa. Byron joined them in their exile, having enrolled little Allegra in the
convent school of S. Giovanni Battista in Bagnacavallo. He would never
see his daughter again, for she died shortly afterwards, aged only 5.
Meanwhile, Byron found a new cause: impassioned by the Romantic myth
of Greece and her civilization, he embraced the cause of Greek
independence from Turkish domination. In Livorno on 23 July 1823 he and
Teresa’s brother boarded a ship bound for Greece. Byron headed to
Mesolongion to join a pro-independence expeditionary force, but was
struck down by an incurable fever and died at the age of thirty-six. Byron
has been depicted as the typical Romantic hero, ailing on his deathbed
with a laurel crown, the titles of his main works, an Arcadian landscape in
the background. The hero is sublimated in death; Brookes’ “Spirit of Byron”
is the sublimation of the poet’s myth, his profile just visible among the
clouds and the universal harmony.
Teresa Guiccioli, “Byron’s Beatrice”, lived much longer. She died in Florence
on 25 March 1873, aged 74. Among the last words Byron ever said to her
were: “Not the sea nor anything else can ever separate us”.
da febbri incurabili. Tipicamente romantica la rappresentazione di Byron sul letto di morte con l’alloro, i
titoli delle principali opere, uno squarcio di Grecia,
paradiso di serenità: nella morte l’eroe giganteggia.
“Lo spirito di Byron” di Brookes è la sublimazione del
poeta, il cui profilo si intravede tra le nuvole, nell’universale armonia.
Teresa sopravvisse più a lungo. Si spense a Firenze,
all’età di 74 anni, il 25 marzo del 1873. Qualcuno ha
voluto chiamarla la “Beatrice di Byron”. Tra le ultime
parole che il poeta le aveva sussurrato: “Né il mare né
altro ci potranno mai separare”.
Storia
13
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I
l vulcanico dottor Alteo Dolcini ne parlò poi in un vivace opuscolo: La Svizzera è nata in Romagna. I fatti si svolgono nel 1240,
un anno qualsiasi del lungo e travagliato periodo della lotta tra Papato e Impero per le investiture. I comuni italiani, se ghibellini
parteggiano per l’imperatore, se guelfi per il Papa. Nel dicembre del 1239, a Bologna si riuniscono i podestà di Milano, Brescia,
Piacenza, Alessandria, Faenza e, naturalmente, Bologna. Tutte città guelfe.
Decidono di strappare Ferrara ai ghibellini per cederla al marchese Azzo d’Este, guelfo. L’imperatore Federico II, che si trova in Italia
centrale, venutone a conoscenza, per rivalsa muove con il suo poderoso esercito alla conquista di Bologna, espugnando le città minori che trova lungo la sua strada. Ravenna cede subito. Poi, precisamente il 26 agosto del 1240, Federico II inizia l’assedio di Faenza.
L’impresa si fa più dura del previsto: i faentini si difendono accanitamente. L’inverno incalza e l’Imperatore si accinge a svernare
costruendo un formidabile accampamento tutto intorno alla città. Eppure Faenza continua a resistere e Federico II stenta, ormai, a raccogliere denari sufficienti per pagare i suoi soldati. Non trovando più metalli disponibili, si rivolge alla vicina Forlì, città ghibellina, e
fa perfino coniare monete di cuoio.
Un buon nerbo dell’esercito di Federico II è formato da mercenari provenienti dai cantoni di Uri, Scwytz e Unterwalden (che costitui-
Giuliano Bettoli
ranno poi il nucleo della futura Svizzera). Orbene, proprio in quei giorni, una delegazione di quei “futuri svizzeri” chiede udienza
La Svizzera è nata a Faenza
all’Imperatore e gli propone di restare a combattere fedelmente al suo fianco, nonostante le difficoltà che egli incontra a pagarli, in
cambio della promessa di nominarli liberi sudditi dell’Impero (anziché continuare ad essere servi dei Conti di Asburgo e di altri signo-
f a v o r i t a a n c h e d a l l a f i e re z z a d e i f a e n t i n i
rotti che li considerano alla stregua di schiavi).
Lo scopo dei “futuri svizzeri” è chiaro: una volta sudditi dell’Imperatore, essi possiederanno, finalmente, una dignità ed un principio
dicembre”. Con quel documento vergato in latino, l’Imperatore Federico II si rivolge a “tutti gli uomini nella valle di
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di libertà. Ecco dunque la “Lettera di Faenza”, che reca, in calce: “data durante l’assedio di Faenza, l’anno del Signore 1240, il mese di
Svitto”, dichiara di voler venire loro incontro e accetta che essi si rifugino sotto le ali dell’Impero “quali uomini liberi”
che soltanto all’Impero devono rispondere.
Mezzo secolo dopo, nell’agosto del 1291, avverrà la firma del patto solenne e perpetuo tra Uri, Scwytz e Unterwalden:
la Confederazione Elvetica comincerà a vivere di fatto. La sua prima cellula si era tuttavia formata allora, nel dicembre
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del 1240, sotto le mura di Faenza.
Fu Ermanno Cola, poeta
dialettale e commediografo,
il primo faentino che,
nella Biblioteca Cantonale
di Lugano, si trovò per caso a
leggere la “Lettera di Faenza”.
Non credeva ai suoi occhi:
quel documento, stilato
sotto le mura della città
primo atto d’indipendenza
della Confederazione Elvetica.
14
I Sensi di Romagna
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manfreda nel 1240, era il
Chi
fa
la
storia
non
ha
tempo
per
scriverla.
Lothar
von
Metternich
SWITZERLAND WAS MADE IN FAENZA_ A STORY THE CITY IS PROUD OF
Ermanno Cola, a Faenza-born dialect poet and playwright, found himself reading the Lettera di Faenza in Lugano’s Biblioteca Cantonale one day
when he discovered something he could hardly believe: the document, drawn up in Faenza in 1240, constituted the first declaration of
independence of the Helvetic Confederation.
The story was later taken up by mercurial author Alteo Dolcini in a lively monograph, La Svizzera è nata in Romagna. The events date back to 1240, which was just
another year in the long and laboured investiture disputes between Papacy and Empire. Among the Italian communes, the Ghibellines took the side of the Emperor,
the Guelphs the side of the Papacy. It was against this backdrop that in Bologna in December 1239 the chief magistrates of Milan, Brescia, Piacenza, Alessandria,
Faenza and, naturally, Bologna, convened. All were Guelph towns.
The magistrates decided at this meeting to wrench Ferrara from the Ghibellines and give it to the marquis Azzo d’Este, a Guelph. The Emperor Frederick II, who was in
central Italy at the time, found out about the scheme and as a reprisal moved with his powerful army to the conquest of Bologna, overcoming the smaller towns he
met on his way. Ravenna surrendered immediately. Then, on 26 August 1240, Frederick II began his siege of Faenza. It was a harder undertaking than at first expected,
for the city held out doggedly. Winter was approaching and the Emperor made ready to dig in for the season, constructing a formidable encampment all around the
city. Yet Faenza continued to hold out and Frederick was by now running short of funds to pay his troops. Supplies of metal were not to be had, and Frederick was
forced to turn for help to the nearby Ghibelline city of Forlì, where he went so far as to strike coinage out of leather.
A sizable part of Frederick’s army was formed of mercenaries from the cantons of Uri, Schwyz and Unterwalden, which would later constitute the nucleus of the
future Switzerland. Now, it so happened that at this point in our account a delegation of these “future Swiss” requested an audience with the Emperor; they would
remain fighting faithfully at his side, they said, notwithstanding the difficulties Frederick was encountering in paying them, in return for his promise to make them
free subjects of the Empire (instead, that is, of remaining serfs of the counts of Hapsburg and myriad other barons who considered them as little more than slaves).
The intention of these proto-Swiss supplicants was clear: as subjects of the Emperor, they would finally be free in principle and in status.
The outcome of the negotiations was the Letter of Faenza, which proclaims at its foot “made during the siege of Faenza, this year of our Lord 1240, in the month of
December”. In this document, drawn up in Latin, Frederick II addressed “all men in the valley of Svitto” and declared his willingness to meet them halfway, accepting
their demands to be free men under the Empire, and accountable only to the Empire.
Half a century later, in August 1291, the solemn pact between Uri, Schwyz and Unterwalden was signed: and the Helvetic Confederation became a living reality.
Its genesis, however, lay back in December 1240, in the shadow of the walls of Faenza.
Storia
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foto d’archivio
Manlio Rastoni
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Storie di “folari”
le fiabe dialettali
Pare ovvio associare l’idea della fiaba ad un pubblico esclusivamente infantile, eppure, fino
a mezzo secolo fa, nella Romagna rurale le fiabe avevano un pubblico ben più eterogeneo e
molti ispirati interpreti.
I
l principale momento deputato alla narrazione delle fiabe era costituito dai “trebbi” (veglie), che potevano aver luogo dall’autunno inoltrato fino alla fine di febbraio, nelle case o nelle stalle. Durante queste veglie ci si scambiavano pettegolezzi e notizie, si
parlava dei raccolti e del bestiame e si giocava a carte. I più giovani si davano ai corteggiamenti, mentre i bambini apprendevano, giocando, la cultura ed i valori della comunità, spesso tramandati oralmente da generazioni sotto forma di proverbi, indovinelli e storielle, o celati nella trama delle fiabe. Le serate più attese erano infatti quelle che vedevano come protagonista il “folaro” (e’ fuler): narratore di fiabe specializzato che veniva riconosciuto come particolarmente abile e custode di un ricco repertorio. Quando i “folari” narravano, le donne interrompevano la filatura, i bambini non fiatavano, e, talvolta, commenti e lacrime manifestavano il completo coinvolgimento degli ascoltatori. La bravura del narratore si esprimeva non solo nella ricchezza della trama, ma nel modo stesso di raccontare, un’arte antica in cui il tono della voce, le pause, la marcata gestualità giocavano ruoli determinanti. Quelle dei “folari” erano
spesso novelle comiche o complesse fiabe di magia in cui cavalieri, animali parlanti ed elementi magici si mescolavano a componenti rurali tratte della vita di tutti i giorni. Un protagonista con cui gli ascoltatori potevano facilmente identificarsi, ad esempio un contadino povero ma furbo, diveniva il paladino di quei valori semplici e positivi che avrebbero invariabilmente prevalso sul male e sulla
durezza del vivere quotidiano. Non è difficile individuare in questi racconti le funzioni di Propp (elementi ricorrenti in ogni fiaba esistente), ad esempio nell’agnizione finale, spesso rappresentata da mirabolanti immagini di abbondanza, fortuna e felicità, eppure, l’amalgamarsi degli elementi favolistici comuni con la schietta allegoria contadina romagnola conferisce ad ognuno di questi racconti
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tradizionali il dono dell’unicità.
Già nell’Ottocento i compilatori di fiabe orali avevano l’impressione di trovarsi di fronte alle ultime testimonianze esistenti, ciò nondimeno ancora oggi è possibile raccoglierne. Queste fiabe spesso contengono vocaboli ed espressioni non più abitualmente usate neanche dagli ultimi narratori che le hanno tramandate fino ai tempi nostri. Osservando come il dialetto si è trasformato ed impoverito
negli ultimi decenni, si possono dunque considerare come una sorta di scialuppa entro cui la lingua dialettale si è protetta dalle erosioni e dall’italianizzazione. Rappresentano pertanto un importante documento linguistico, ed anche per questo motivo, ora che i bambini hanno a disposizione formule d’intrattenimento ben più sofisticate, l’antico repertorio di fiabe ha paradossalmente rivolto il suo
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fascino anche ad un pubblico di seriosi studiosi.
Una cultura limitata tende all'orpello,
mentre una cultura sofisticata tende alla semplicità.
Christian Mestole Bove
STORIES OF THE FOLARI_ FOLK TALES IN DIALECT
Think of folk tales and you usually think of children. But as recently as 50 years ago in rural Romagna folk tales had a much wider audience – and many gifted
storytellers to relate them. By tradition, the appointed forum for storytelling took the form of the rural trebbi or vigils which would take place any time from late
autumn to the end of February, in a house or a barn. These vigils were an opportunity to exchange news and gossip, compare notes on harvests and livestock, and play
cards. The younger members of the community devoted their energy to courtship, while the children, as they played, imbibed the culture and values of the
community, customs which were often transmitted orally from one generation to another in the form of proverbs, riddles and tall stories – or woven into the fabric of
folk tales. And the most eagerly-awaited evenings were those when the folari – storytellers renowned for their ability to tell tales and for the wealth their repertory –
came to visit. When the folari told their stories, the women left off their spinning and the children stopped their prattle; only the occasional exclamation manifesting
the total rapture of the audience could be heard. The prowess of the storytellers lay not only in their ability to weave a rich plot, but also in the actual way the story
was told, an art in which tone of voice, the measure of pauses and gestures played central roles. The stories told by the folari would be comic anecdotes or fairy tales
full of knights on horseback, talking animals and hocus-pocus mixed up with rural ingredients taken from everyday life. A protagonist the audience could easily
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I Sensi di Romagna
identify with, such as a poor but wily farmer, would become the paladin of simple and positive values which always prevailed over evil and the asperities of peasant
life. It isn’t difficult to identify Propp’s functions in these tales (elements and motifs which recur in every extant tale), such as the final recognition motif, often
represented by marvellous images of abundance, fortune and happiness, yet the fusion of common folk tale elements with the most authentic features from the oral
tradition of the Romagnol peasantry makes each tale unique.
Although the 19th-century compilers of tales from the oral tradition remarked that the storytellers they encountered seemed to be the last survivors of a dying breed,
it’s still possible today to find people who know a tale or two. And these tales often contain words and expressions which are no longer in common use, not even in
the common speech of the storytellers which have transmitted them to the present times. If we consider how impoverished the Romagnol dialect has become in
recent decades, these folk tales can be seen as a kind of linguistic lifeboat in which dialect can find cover from erosion and the onslaught of standard Italian. They
have therefore come to represent an important linguistic corpus – and now that children have far more sophisticated forms of entertainment at their disposal, the old
repertory of folk tales has, paradoxically, begun to attract the attention of serious scholarship.
Passioni
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Che all’Italia siano legati i nomi di alcuni dei più famosi circhi al mondo è cosa risaputa.
Meno noto è il fatto che al di là della sua origine sinta, il capostipite della più illustre
delle famiglie circensi italiane fosse un romagnolo.
I
l nome degli Orfei appare, infatti, nell'ambito delle compagnie teatrali itineranti, eredi della commedia dell'arte, già intorno al 1820,
data a cui si fa risalire per diffusa convinzione tra gli storici del circo la nascita di Paolo Orfei e, parallelamente, la fondazione del-
l’insigne dinastia circense. La storia, si tinge di leggenda e narra che Paolo, sacerdote di Massalombarda, convintosi che la vocazione
alla vita religiosa non era in lui particolarmente ferrea, preferì, dopo una parentesi concertistica, seguire la più emancipata via del saltimbanco. Sposò Pasqua Massari, imparentata con la nobile famiglia dei Massari di Ferrara, dalla quale ebbe un figlio, Ferdinando, che
fin da ragazzo si rivelò come prodigioso suonatore di tromba. Oltre all’indiscusso talento musicale (fece persino conoscenza con
Giuseppe Verdi in virtù della sua tromba), egli dovette ereditare dal padre anche l’istinto del girovago, poiché, divenuto promettente
allievo del famoso Antonelli, maestro della banda cittadina bolognese, piantò tutto per avviare un modestissimo circo, fondando, di
fatto, il primo vero e proprio Circo Orfei. Fu dunque Ferdinando, spesso confuso come capostipite della famiglia, il primo circense della
dinastia, che operò nel momento storico in cui, ereditando tecnicamente vari aspetti dalle compagnie comiche girovaghe e fondendo
in sé molteplici discipline proprie dello spettacolo itinerante, nacque il circo così come lo conosciamo. In quasi due secoli di storia, il
Circo Orfei, o meglio i circhi, giacché molti dei successori di Paolo e Ferdinando hanno a loro volta fondato compagnie in proprio,
spostandosi in tutta Europa e in ogni parte del mondo hanno fatto conoscere ovunque il nome di questa dinastia circense. Alla fine
degli anni ’70, con la crisi generalizzata di questa tipologia di spettacolo, paradossalmente gli Orfei toccarono l’apice della popolarità
con la partecipazione di molti degli artisti di famiglia e dei loro animali feroci in qualità di attori nei film della serie italiana dedicata a Maciste, che ebbe per loro un ritorno di immagine ed economico fondamentale. Da allora, la presenza sul grande e piccolo schermo degli Orfei è stata quasi costante, anche in virtù della bellezza che da sempre ha contraddistinto le donne della famiglia, come testimonia il successo di Liana, Miranda, detta Moira, ed Ambra.
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o r i g i n i ro m a g n o l e d e l l a c e l e b re f a m i g l i a c i rc e n s e
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La dinastia Orfei
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F ra n c o D e P i s i s
Oscar Wilde
Per mettere alla
prova la realtà
dobbiamo vederla
sulla fune del circo.
Quando le verità
diventano acrobate,
allora le possiamo
giudicare.
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I Sensi di Romagna
Passioni
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THE ORFEI DYNASTY_ THE ROMAGNOL ORIGINS OF A FAMOUS CIRCUS FAMILY
It’s a well-known fact that some of the most famous names in the circus world are Italian. But what many people don’t know is that beyond their Sinte origins,
the founder of Italy’s most famous circus family of them all was from Romagna.
The Orfei name first appeared as a travelling theatre company – one of the troupes that succeeded the Commedia dell'Arte, as early as 1820, the year generally
accepted among circus historians as marked by the birth of Paolo Orfei and the creation of the illustrious circus dynasty of the same name. History is probably tinged
with legend, but the story goes that Paolo, a priest in Massalombarda, arrived at the conviction that he had no particular vocation for the religious life and decided,
after a spell as a concert performer, to follow a more emancipated career as an acrobat. He married Pasqua Massari, who was related to the aristocratic Massari family
of Ferrara, and had a son, Ferdinando, who at an early age revealed himself to be a gifted trumpet player. Besides his unquestionable musical talent (his trumpet
playing even earned him an acquaintance with Giuseppe Verdi), Ferdinando must have inherited from his father a penchant for wandering, for he later gave up a
promising career under the famous Antonelli, conductor of the Bologna city orchestra, to open a small circus – and in doing so founded the first proper Orfei Circus.
This means it was Ferdinando and not his father, with whom he has often been confused, who was the first circus performer in the family. All this happened at a
certain moment in history when, as heir to many of the features of the travelling theatre troupes of yore, and in its incorporation of many of the acts associated with
travelling shows, the circus as we now know it was born. In almost two centuries of history, Circo Orfei – or more accurately “the circus”, as many of the successors of
Paolo and Ferdinando Orfei went on to found circus troupes in their own names – travelled all over Europe and brought the name of this famous circus dynasty to the
four corners of the globe. By the late 1970s, the circus was in crisis all over the world – but, paradoxically, right at this time the Orfei family were reaching the peak
of their popularity with the participation of many family members and their animals in the hit film series Maciste. For their image as well as their bank accounts,
Maciste was a result. Since then the Orfei family have made constant TV and film appearances, not least owing to the beauty which has always distinguished the
women of the family, as witness the success of Liana, Miranda, (a.k.a. Moira) and Ambra.
The finest hour of the Orfei, however, came with their collaboration with Federico Fellini. Nandino Orfei appears in Fellini’s masterpiece Amarcord, but it was thanks to
the cooperation of Liana Orfei’s circus that the great director was able to make The Clowns, Fellini’s examination of the circus seen through the eyes of a boy who
watches a circus tent going up. Fellini pays homage in this film to the old clowns, the last representatives of a fast-disappearing world, their sad and wizened faces
the withered instruments of an art which in better days made spectators burst with laughter.
Today, the family retains its ties with the legacy of Fellini, and Nando Orfei, with his wife Anita and children Paride, Ambra and Gioia, has decided to keep the family
tradition alive by creating a show which is at once a return to the origins of the circus and a tribute to their friend, Federico Fellini: the Antico Circo Orfei.
The family’s dedication to the circus takes many different forms, such as the Piccolo Circo del Sole, a school of circus devised by Ambra Orfei and now with branches
in Italy, elsewhere in Europe and the United States. One clear demonstration of the global fame of the Orfei dynasty was a rather singular phenomenon which first
emerged in the 1980s. The “bogus Orfei” (or “orfeini” as they’re commonly known) are distant relatives of the family, or just people with the same name, or even
individuals who have changed their name in another country and then apply it to second-rate circus troupes who claim a pedigree which in reality they don’t possess.
The real Orfei are not only a success with the public but are held in high esteem in professional circles as a particularly honest family whose members have been
known to contract debts in their own name to pay their artists – even in the leaner periods of their centuries-long history.
Circus performers are itinerant by nature, and are proud to consider themselves as expatriates and of no fixed abode, as the entry in the birth certificate of Liana Orfei
so eloquently illustrates: “Born in San Giovanni in Persiceto (Bologna) in a caravan parked in a field.” Yet perhaps it’s fair to say that if we absolutely had to assign a
land of origin to the Orfei family, this land would certainly be Romagna – a place which contains, deep in the genetic heritage of its people, all those qualities which
have made artists, acrobats and itinerant performers of so many of them, and lovers of a good show of all of them.
Il momento più alto e poetico delle loro attività extracircensi è però, senza dubbio, scaturito dalla collaborazione con Federico Fellini.
Nandino Orfei compare infatti in Amarcord, capolavoro del maestro, ma soprattutto, fu grazie alla collaborazione con il circo di Liana
Orfei che il grande regista romagnolo poté realizzare il film Clowns, in cui Fellini indaga l’idea di Circo come mito dell’infanzia attraverso gli occhi di un bambino che osserva il montaggio di un tendone circense. Nel lungometraggio il regista rintraccia vecchi
pagliacci, verso cui Fellini, da appassionato spettatore, si sente debitore; i pochi sopravvissuti di un mondo quasi scomparso, e filma
i loro volti ormai invecchiati e tristi, ma capaci un tempo di suscitare risate a crepapelle.
Il legame emotivo con il maestro non si è tuttora interrotto, e oggi Nando Orfei, con i tre figli Paride, Ambra, Gioia, oltre alla moglie
Anita, nel continuare la tradizione di famiglia, ha deciso di ricreare uno spettacolo che rappresenti una ricerca delle proprie origini e
allo stesso tempo un omaggio all’amico Federico Fellini: l'Antico Circo Orfei.
La dedizione della famiglia alla causa circense seguita a svilupparsi in tutte le direzioni, come testimonia anche la scuola “il Piccolo
Circo del Sole" nata da un’idea di Ambra e sviluppata in Italia, Europa e Stati Uniti.
A lampante dimostrazione della loro consolidata fama mondiale, si può citare il deleterio fenomeno, sviluppatosi dopo gli anni ‘80,
dei “finti Orfei” (detti in gergo “orfeini”), parenti alla lontana, omonimi o addirittura persone che, una volta cambiato il cognome
all'estero, lo affittano a complessi circensi di bassa lega, che riescono così a millantare un credito che in realtà non hanno. Ma oltre
al successo di pubblico, gli Orfei sono famosi nell’ambiente professionale per essere una famiglia particolarmente onesta, che per
pagare i propri artisti ha puntualmente contratto debiti in prima persona, anche nei periodi più magri della loro secolare storia.
Nonostante la natura congenitamente girovaga dei circensi ed il loro considerarsi orgogliosamente senza patria e fissa dimora, come
dimostra eloquentemente il certificato ufficiale di nascita di Liana Orfei, che riporta testualmente: “Nata a San Giovanni in Persiceto
(Bologna) in un carrozzone posteggiato in un prato”, non è improprio affermare che se si volesse a tutti i costi attribuire agli Orfei
una patria d’origine, questa sarebbe senza dubbio la Romagna. Una terra che ha, radicate nel patrimonio genetico della sua etnia,
tutte quelle peculiarità che hanno trasformato tanti romagnoli in artisti, girovaghi e saltimbanchi, e tutti gli altri nel loro appassio-
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Tom Waits
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nato pubblico.
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Un consiglio ai
giovani per iniziare
il prossimo millennio?
Mollate tutto ed
unitevi ad un circo.
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I Sensi di Romagna
Passioni
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foto d’archivio
Sulle colline da sempre consacrate
all’Albana, trova la sua collocazione
una cantina che in pochi anni è stata
in grado di guadagnarsi la viva
considerazione degli appassionati,
Carlo Zauli
come degli esperti cultori del vino.
Giovanna Madonia
G
iovane, ma già strutturata, azienda d’impronta
moderna nata agli inizi degli anni ’90, Madonia
comprende circa 11 ettari che si estendono sulle pen-
s i g n o ra d e l S a n g i o v e s e
dici della splendida collina di Montemaggio, a
Bertinoro, nel cuore della Romagna. Qui, a partire dal
1992, dopo un attento studio clonale svolto in collaborazione con l’agronomo Remigio Bordini (l’uomo
dietro al progetto di Villa Papiano, vedi ee n° 13),
sono stati piantati i vigneti, al momento 8 ettari più
3 ancora non produttivi, ad un'altezza tra 200 e 300
metri s.l.m. Si tratta di impianti ad alta densità, circa
7000 piante per ettaro, con una resa per ceppo estremamente bassa, ed un’ideale esposizione a sud-ovest.
Oltre al clima invidiabile le vigne si giovano di un
terreno altamente vocato, intervallate come sono da
ulivi e da macchie di bosco, i cui profumi si fondofoto d’archivio
no con quelli che giungono dal mare. La dolcezza del
paesaggio pare riversarsi interamente nelle uve, che
l’enologo Attilio Pagli sottopone ad un processo di
vinificazione molto curato nell'antica cantina sotterranea della villa padronale. Una costruzione risalen-
Euripide
te al '700 che è stata opportunamente ristrutturata, e
dove le moderne tecnologie dell'acciaio si accompafoto d’archivio
foto d’archivio
Dove non è vino
non è amore e
null’altro diletto
havvi ai mortali.
gnano alle antiche tradizioni del legno.
Oltre ai vini tipici della zona, quali Sangiovese ed
Albana, strutturati, moderni, fini, puliti e spesso
GIOVANNA MADONIA_ SIGNORA SANGIOVESE
In a region always consecrated to the Albana grape is an estate which in just a few years has won the respect of wine lovers and wine growers alike.
A young but well-established winery, Madonia was founded in the 1990s and occupies an estate covering 11 hectares of the scenic Montemaggio hills, in Bertinoro in
the heart of Romagna. The enterprise began in 1992 with an intensive clonal research program in collaboration with agronomist Remigio Bordini (the man behind the
Villa Papiano project – see ee issue 13). Next stage was the actual plantation of the vines, which presently cover 8 hectares, plus 3 hectares which are not yet in
production. Altitude ranges between 200 and 300 metres above sea level. The plantations are compact – around 7000 vines per hectare – with extremely low yield per
vine. Orientation is largely south-west.
Besides an enviable climate, the vines also enjoy the advantages of a soil which is exceptionally suited to their cultivation, and a site interspersed with olive groves
and coppices whose scents mingle with the zip of the sea air.
This serene and idyllic landscape seems to find a microcosm in the grapes, which oenologist Attilio Pagli subjects to an extremely refined fermentation process in the
underground cellars of the winery – a converted 18th-century villa in which modern inox technologies rub shoulders with traditional wooden vats.
The wines made from indigenous grapes such as Sangiovese and Albana are well structured, fresh and agreeable to the modern palate, elegant, clean and often
austere, and have been well received by critics as eminent as the Gambero Rosso’s Vini d’Italia, I Vini di Veronelli and the AIS guide. Another grape, Merlot, has also
obtained some very encouraging results.
The labels of the bottles are elegant and distinguished, and embellished by original sketches by Francesco Tullio Altan.
Giovanna Madonia is proud of her achievements and conscious of the wonderful location of her estate, and lovers of her wines can try them in the farm hotel and
restaurant next door to the winery.
austeri, che hanno ricevuto importanti riconoscimenti da autorità del calibro di “Vini d’Italia” del
Gambero Rosso, “I Vini di Veronelli” e la guida
dell’A.I.S, sono stati ottenuti risultati molto incoraggianti con il Merlot. Il vestito delle bottiglie si distingue, inoltre, per sobria e curata eleganza, impreziosita dai disegni originali delle etichette schizzati da
Francesco Tullio Altan.
Orgogliosa e consapevole della posizione incantevole della sua tenuta, Giovanna Madonia offre agli
estimatori dei suoi vini la possibilità di degustarli
nell'agriturismo con ristorante che sorge di fianco
all'azienda.
22
I Sensi di Romagna
STERPIGNO_ Forlì Merlot IGT - Annata 2003 – Uve: 100% Merlot
Pigiatura e diraspatura soffice. Fermentazione in vasche di acciaio a temperatura max
di 30 °C. Breve macerazione sulle bucce e trasferimento in barriques di rovere francese.
Maturazione per 12/15 mesi. Affinamento, dopo imbottigliamento senza filtrazione, di
almeno 10 mesi.
Rosso porpora intenso, con tonalità tendenti al rubino e al violaceo. Al naso stratificazione di frutto e fiore con riconoscimenti di lampone, ribes, spezie e con una leggera
tostatura inglobata nel frutto. La bocca è vellutata, con tannini ancora astringenti ma fini.
Forlì Merlot IGT - Vintage 2003 - Grapes: 100% Merlot
Destalked and soft-pressed. Fermented in inox vats at a maximum temperature of 30 °C.
After fermenting on the skins for a short period the wine is transferred to French oak
barriques. Matured for 12-15 months. The wine is bottled without filtering and aged for at
least 10 months.
Sterpigno is deep purplish-red in colour, with tones tending to ruby and violet. On the
nose it’s layered into fruit and flowers with notes of raspberry, redcurrant, and spices, with
a touch of warmth in the fruity notes. In the mouth it’s velvety with subtly astringent
tannins.
OMBROSO_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva - Annata 2003 Uve: 100% Sangiovese
Pigiatura e diraspatura soffice. Fermentazione in vasche di acciaio a temperatura max
di 30 °C. Macerazione sulle bucce per tre settimane. Trasferimento a dicembre-gennaio
in barriques di rovere francese e maturazione per 12/15 mesi. Affinamento di almeno
10 mesi in bottiglia.
Rosso rubino profondo, ventaglio olfattivo ricco e complesso con note di ciliegia, fragolina di bosco, viola, vaniglia, spezie, cacao, liquirizia, con il frutto in evoluzione. La
bocca accompagna una struttura ricca di sapidità, con tannini opulenti ma fini e ricchezza di estratti.
Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva - Vintage 2003 - Grapes: 100% Sangiovese
Destalked and soft-pressed. Fermented in inox vats at a maximum temperature of 30 °C.
The grapes are fermented on the skins for three weeks before the wine is transferred in
December/January to French oak barriques and aged for 12-15 months. It’s then bottleaged for at least 10 months.
Deep ruby red, complex and wide on the nose with notes of cherry, wild strawberry, violet,
vanilla, spices, cocoa, liquorice, and young fruit. In the mouth Ombroso is well-structured
and savoury, with rich yet restrained tannins.
CHIMERA_ Albana di Romagna DOCG Passito - Annata 2003 - Uve: 100% Albana
Spremitura soffice delle uve. Fermentazione e maturazione in barriques nuove di rovere francese per un tempo variabile di anno in anno, tra i 12 e i 24 mesi.
Imbottigliamento dopo microfiltrazione. Commercializzazione preceduta da un anno di
affinamento in bottiglia. Chimera viene prodotto solo nelle migliori annate.
Giallo dorato con riflessi ramati, quasi viscoso. Il naso è intenso e lungo con sentori di
miele, spezie, uvetta sultanina, albicocca sotto spirito e fiori di campo. Al palato si
avvertono zuccheri molto equilibrati, buona pastosità, lunga sapidità, un corpo sostenuto ma estremamente elegante. Interminabile la persistenza aromatica intensa. Le uve
vengono raccolte a novembre dopo sviluppo in pianta della muffa nobile.
Albana di Romagna DOCG Passito - Vintage 2003 - Grapes: 100% Albana
The grapes are soft-pressed. Fermentation and ageing is in new French oak barriques for
periods ranging between 12 and 24 months, depending on the year. Bottled after
microfiltration. Chimera is bottle-aged for one year before being put on sale. Only
produced in good vintage years.
Golden yellow, almost viscous, with copper highlights. Long and intense on the nose, with
notes of honey, spices, sultana, preserved apricot and wild flowers. On the palate, Chimera
is mellow and savoury with well-balanced sugars and a long but extremely elegant body.
Lingering, intense finish. The grapes are harvested in November after the introduction in
the vines of botrytis cinerea.
Enogastronomia
23
“La gran questione dei Bianchi e dei Neri che fece seguito a quella dei Guelfi e dei
Ghibellini, e che desolò per tanto tempo l’Italia, minaccia di riaccendersi a proposito dei
tartufi… Io mi schiero dalla parte dei bianchi e dico e sostengo che il tartufo nero è il
S e re n a To g n i
peggiore di tutti; gli altri non sono del mio avviso e sentenziano che il nero è più odoroso
I diamanti sotterranei
della Valle del Montone
e il bianco è di sapore più delicato: ma non riflettono che i neri perdono presto l’odore”.
Pellegrino Artusi
U
n aspetto povero caratterizza il fungo ipogeo più ricercato di Romagna: dalla sembianza di un tubero, dal colore incerto tra il giallognolo e il verdastro, dalla forma irregolare (a volte liscio e tondeggiante, altre nodoso e bitorzoluto, a seconda del tipo di terre-
no), il tuber magnatum pico, comunemente noto come tartufo bianco, è il re della valle del Montone.
il tartufo bianco di Dovadola
Questo frutto, che vive nascosto nel sottosuolo in simbiosi con radici di alberi, quali pioppi, tigli, querce, salici, è costituito in alta percentuale da acqua, fibre e sali minerali e si contraddistingue per il profumo aromatico e il singolare sapore che lo rende una prelibatezza unica per il palato, capace di conferire personalità anche al piatto più anonimo.
Dovadola celebra il suo gioiello più prezioso con una rinomata sagra, tappa irrinunciabile di fine ottobre per buongustai non solo
nostrani, che oltre a fruire di pantagruelici stand gastronomici, assistono alla competizione per il miglior cercatore di tartufo. Ma il
tartufaio premiato non è l’unico vincitore: l’esperienza dell’uomo nell’individuare le piante idonee necessita dell’alleanza di un cane
dal fiuto infallibile, addestrato a riconoscere l’intenso odore.
In Romagna il tartufo bianco della valle del Montone ha un rivale, quello nero della valle del Bidente, protagonista di un’altra affollata sagra, che si svolge a fine novembre a Cusercoli. La diatriba tra i sostenitori dell’uno e dell’altro non è una questione recente:
anche Pellegrino Artusi, guru della gastronomia italiana ottocentesca, vi prese parte e, paragonandola all’antica lotta tra guelfi e ghibellini, si schierò a favore dei bianchi, dichiarando quelli romagnoli particolarmente profumati.
Tuttavia, non sono solo le caratteristiche organolettiche a rendere questo fungo così bramato, ma anche il fascino che ne accompagna
la ricerca, una vera sfida per chi vi si accinge. Allo scopo di non favorire la concorrenza, il momento migliore si rivela la notte, in una
sorta di rito pagano che mette in simbiosi uomo e natura, creando una magica alchimia fra mondo umano, animale e vegetale, la cui
suggestione è accresciuta dalle tenebre.
Già gli antichi ritenevano questo prodotto della terra avvolto dal mistero, tanto da pensare che avesse origine dallo scaricarsi dei fulmini vicino alle piante. Di vero in questa credenza c’è che questi diamanti sotterranei crescono secondo l’arbitrio della natura, e, nonfoto d’archivio
ostante i numerosi studi, l’uomo non è riuscito a produrre questa varietà di tartufo in colture arboree. Per il momento è ancora il caso
fortuito a generarlo, ed è proprio questa sua capacità di sfuggire al controllo umano a renderlo così raro e ambito.
Pensare che non si sa il nome del primo maiale che scoprì un tartufo.
Edmond e Jules de Goncourt
24
I Sensi di Romagna
Romagna’s valle del Montone white truffle has a local rival, however: the black truffle of valle del
Bidente, which is the star of another fair, held every November in Cusercoli. This dispute between
Whites and Blacks is nothing new: even Pellegrino Artusi, the 19th-century guru of gastronomy,
took sides. He compared the dispute to the ancient struggles between Guelphs and Ghibellines, and
came down on the side of the whites; the Romagnol variety, he pronounced, was particularly tasty.
And yet it isn’t just the taste and texture which make this famous and much-coveted fungus so
famous, but the fun involved in finding it – which is quite a challenge for those brave enough to
undertake it. Not to favour the competition, the best time to hunt the truffles is at night –
traditionally a sort of pagan ritual which required symbiosis between man and nature, a magical
alchemy between the human, animal and vegetable worlds which the darkness only made more
suggestive.
The Ancients believed that truffles were created by thunderbolts and assigned mysterious powers
to them. This belief is rooted in the idea that these jewels of nature grow entirely by chance – and
indeed, despite extensive research, no-one has ever succeeded in conjuring up the white truffle of
Dovadola in artificial tree plantations. For the moment, it seems to grow haphazardly, and it’s
partly this quality, the ability to avoid cultivation, which makes it so coveted.
foto d’archivio
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“The great quarrel of White versus Black which took up where the Guelphs and Ghibellines left off and which
left Italy so devastated for so long may be about to break out again... because of truffles… For myself I align
with the whites, and I say and say again that the black truffle is the poorest of them all; others don’t think like
I do, and pronounce the black truffle as more pungent and the white as more delicately flavoured: but they
forget that the black ones lose their scent quickly” Pellegrino Artusi.
Romagna’s most coveted truffle is nothing special to look at. Its colour is hardly encouraging – somewhere
between yellowish and greenish – and its shape can vary from smooth and round to knobbly and warty,
depending on the soil, yet tuber magnatum pico, commonly known as the white truffle, is a diamond among
delicacies in the Montone valley. Tuber magnatum pico grows in a mucky symbiosis with the roots of trees such
as poplar, linden, oak and willow, and is mainly comprised of water, fibre and minerals. It has a distinctively
aromatic scent and a highly unusual flavour that make it a unique and delicious food capable of adding
personality to even the blandest of dishes. The village of Dovadola celebrates its most precious resource with a
famous festival which in late October every year is a mandatory appointment for gourmets from near and far,
who come not only to sample the indescribable abundance of the various stands but also to compete in “best
truffle” competitions. But the winning truffle is not the only victor: to find the right place man needs the
assistance of a dog with an impeccable sense of smell, capable of detecting the intense odour of the truffles.
foto d’archivio
foto d’archivio
HIDDEN TREASURE OF VALLE DEL MONTONE_ THE WHITE TRUFFLE OF DOVADOLA
Enogastronomia
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BEYOND SURFACE
AU DELA DE LA SURFACE
foto d’archivio
L’impegno della sua città natale è tuttora
volto a farlo conoscere e ricordare, lontano
dalle celebrazioni ufficiali.
L
eo Longanesi è stato un precursore del giornalismo moderno; scrittore, grafico, pittore, regista e soprattutto un illuminato editore che
inventò, nel 1937 con OMNIBUS, il rotocalco illustrato in Italia e fondò,
nel 1946, la casa editrice milanese che porta ancora il suo nome.
Dunque un grande comunicatore, dibattuto fra il mito liberale di
un’Italia dignitosa e contadina, come quella che aveva conosciuto nella
Giuseppe Masetti
sua giovinezza fra Lugo e Bologna, ed il fervore per una nuova cultu-
La saggezza e la frusta
ra di massa, incentrata sulla forza delle immagini, sui titoli ad effetto e
sul rigore tipografico.
I nonni e le vecchie zie della Romagna furono però sempre presenti in
u n g i a rd i n o a B a g n a c a v a l l o p e r r i c o rd a re L e o L o n g a n e s i
lui come i capisaldi della tradizione, del buon tempo antico e del saper
fare a mano. Mentre la passione per le arti figurative e la bella scrittura esercitarono su Longanesi la seduzione della grande città che lo vide
fra i principali animatori della vita culturale, prima a Roma poi a
Milano.
Questa eclettica e geniale personalità, cara come un santo patrono ai
Everything I don’t know,
I learned it at school.
Veterans are born, not made.
Tutto ciò che non so
giornalisti dai capelli imbiancati, viene ricordata tutt’ora dai suoi
l’ho imparato a scuola.
ammiratori, non tanto per le opere da lui effettivamente firmate, quanto per le sue storiche battute al vetriolo, che terrorizzavano anche gli
Veterani si nasce.
amici, sulla società politica e familiare del tempo. Le sue descrizioni in
The memories of the coming year
are weighing on me already.
One fool is a fool.
Two fools are two fools.
Ten thousand fools
are a force of history.
Art is a calling; but many who
answer were never called.
I ricordi dell’anno venturo
epigrammi, sarcastici ed amari, del pubblico e del privato, fanno parla-
già mi pesano.
re di un’Italia di Longanesi che ancora oggi incuriosisce e fa sorridere.
Uno stupido è uno stupido.
Fra le tante manifestazioni promosse per questo centenario, dal
Due stupidi sono due stupidi.
Ministero per i Beni Culturali alle Poste Italiane, Bagnacavallo lo ha
10 mila stupidi sono
ricordato con mostre e convegni, ristampe e pubbliche letture, ma
una forza storica.
soprattutto ha voluto lasciare un segno tangibile nella città che ne raf-
L’arte è un appello a cui molti
figurasse l’indole ironica e polemica per la quale lo hanno conosciuto
rispondono senza essere chiamati.
tutti gli amici, gli scrittori e gli artisti frequentati da Longanesi nella
sua intensa carriera.
Love is the expectation of
something that, when it arrives,
gives anguish.
L’amore è l’attesa di
Di dedicargli un monumento od una strada nemmeno a parlarne: inve-
qualcosa che quando arriva
ce tra i vecchi palazzi e la cerchia muraria della sua antica
annoia.
Bagnacavallo è nato qui, per lui, il Giardino degli Aforismi. Un percorDon’t trust women intellectuals.
They always end up sniffing out
the cretin who understands them.
Diffidate delle donne intellettuali,
so fatto di citazioni letterarie e di sapere tipografico che, tra piante offi-
finiranno per rintracciare sempre
cinali e tabelle informative, ripropone dieci delle frasi più acute del
il cretino che le capisce.
celebre giornalista. Sono affiancate da piccoli suoi disegni ed incise con
cura sullo schienale d’ottone delle panchine in ferro battuto, realizzate
proprio per questo anniversario. Con la buona stagione, in quel parco
si può conoscere il vero Longanesi, mentre il ristorante di fronte ne
foto d’archivio
28
I Sensi di Romagna
offre i bei libri, ristampati per l’occasione.
One of the brightest lightson the Italian
cultural scene between the two world wars, Leo
Longanesi was born in the heart of Romagna just
over a century ago, on 30 August 1905. Today, far
from the glare of official accolade, his native town
of Bagnacavallo remains committed to honouring
his memory.
Leo Longanesi was a pioneer of modern journalism.
He was a writer, graphic designer, painter and filmmaker too; but above all he was the man who in
1937 invented Italy’s first illustrated magazine,
Omnibus, and in 1946 founded the Milan
publishing house which still bears his name.
A great communicator, therefore, but one divided
between the liberal myth of a proud but humble
Italy which he had known in a youth divided
between Lugo and Bologna, and his fervent belief
in a new mass culture built on the power of image,
headline and typographical clarity.
Yet Longanesi’s grandparents and his elderly
Romagnol aunts were omnipresent in the man and
his work as a kind of touchstone of tradition, of
the good old days when people worked with their
hands. But it was his passion for beaux arts and
belles lettres that lured Longanesi to the city – first
Rome and then Milan – where he became a leading
light on the Italian cultural scene.
This eclectic and genial personality, almost a patron
saint to the older members of the journalistic
fraternity, is best remembered nowadays not so
much for his works as his often vitriolic wit – a lash
which politicians, friends and even family feared.
His epigrammatic remarks on topics both public
and private contained a bitter barb of sarcasm, and
even today the expression “Longanesi’s Italy” is a
term which brings a smile to many faces.
Many events have been held to commemorate
Longanesi’s centenary, with sponsors as diverse as
the ministry for cultural heritage and the Italian
post office. Bagnacavallo remembered Longanesi
with the exhibitions and conferences,
republications and recitals which usually
accompany such commemorations – but the town
also wanted to leave a more tangible token of
acknowledgement, something which would capture
the spirit of irony and contentiousness for which
the friends, writers and artists who knew Longanesi
over his eventful career remember him.
There could be no question of dedicating a
monument to him, or naming a street after him.
So here, amid the old palazzi and the walls of
Longanesi’s native Bagnacavallo, there now lurks
the Garden of Aphorisms. Visitors to the garden can
follow an itinerary punctuated by literary citations
and typographical tips which, amidst medicinal
plants and information boards, reproduces ten of
the famous journalist’s most cutting aphorisms.
Each aphorism, accompanied by a small illustration
by Longanesi himself, is artfully carved into the
brass back of wrought-iron park benches made for
the occasion. In good weather, the garden offers
another perspective on Longanesi; and in all
weather, the restaurant across the road sells special
reprints of Longanesi’s books.
foto d’archivio
della cultura italiana fra le due guerre.
foto d’archivio
nel cuore della Romagna, uno dei maggiori talenti
WISDOM AND THE LASH_
A GARDEN IN BAGNACAVALLO TO
REMEMBER LEO LONGANESI
foto d’archivio
Era nato giusto un secolo fa, il 30 agosto 1905,
foto d’archivio
Arte
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Cattelan a Forlì
s ette anni s c omparsi
immagini di Patrizia Giambi, tratte da “Gli anni del Diavolo 1985-1991”
Tat i a n a Tom a s e t t a
Maurizio Cattelan è l’artista vivente più quotato al mondo.
Questa è la presentazione che ne fanno i giornali e i critici più importanti.
P
ersonalmente ebbi la fortuna di contemplare le sue installazioni a Forlì. Nonostante (per motivi che possiamo solo
supporre) sulla maggior parte delle sue biografie non compaia, infatti, Maurizio Cattelan, ancora agli inizi del per-
corso che l’ha reso famoso, lui, il genio irriverente, l’habitué delle Biennali a Venezia, il mito della Sensation, ha trascorso sette anni della sua vita (dal 1985 al 1991) in Romagna.
Per intenderci parliamo di colui che ha riprodotto Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, la cui copia regalata alla
Polonia, peraltro, fu danneggiata da Vescovi e sacerdoti nel tentativo di rialzare il Papa di cera. Nato a Padova, classe
’60, Cattelan giunse a Forlì per amore. Insieme alla sua compagna, l’artista Patrizia Giambi, visse in uno dei palazzi storici più caratteristici della città, il rinascimentale Palazzo Sassi Masini, che ospitò in quel frangente un movimento artistico vero e proprio. Un network di artisti locali e di passaggio da tutta Europa che lo utilizzavano come spazio espositivo, in contrasto con l’amministrazione cittadina che pareva non apprezzare debitamente quel fermento artistico.
Nella corte del magnifico Palazzo Sassi, dove un glicine secolare avvolgeva i muri e accompagnava Il ratto di
Proserpina, statua dalle fattezze demoniache (del forlivese Francesco Andreoli, 1818 ca.) che ha procurato a Palazzo
Sassi il soprannome di “Palazzo del Diavolo”, Cattelan creava ispirato da uno spazio di grande impatto estetico. Nei sette
anni trascorsi a Forlì ha esposto e realizzato opere che furono costantemente oggetto di critica. Come il video in cui Ken
la chiusura del palazzo da parte della polizia. Cattelan emigrò e l’unico ricordo che rimane di quel periodo è la rottura
tra l’artista e la città. Conoscendolo, egli potrebbe però considerare la rottura stessa un’opera, attraverso la sua cifra stilistica che trasforma l’arte in ingegno e le idee in reazioni, provocazione e stupore. Come quando gli si chiese di allestire un’installazione in due settimane e lui entrò in una galleria d'arte impossessandosi delle opere di un artista concorrente, o quando lasciò un cartello recante la scritta “torno subito" sulla porta della galleria vuota. Celebre fu la trovata di affittare il suo spazio espositivo ad un'agenzia che lanciava un nuovo profumo e andarsene in vacanza. È giunto persino a copiare perfettamente la mostra di un altro artista, inaugurandola, come se niente fosse, nella galleria di
fianco. Non c’è dunque da stupirsi se quando a Forlì gli fu rubata la macchina, lui denunciò ai carabinieri il furto preArte è ciò di cui non si capisce il significato,
ma si capisce avere un significato.
Anonimo
cisando che all’interno si trovava una preziosa “opera invisibile" che doveva partecipare ad una mostra a Milano.
30
I Sensi di Romagna
CATTELAN IN FORLÌ_ SEVEN LOST YEARS
Maurizio Cattelan is the world’s most expensive living artist – at least that’s what all the leading critics say. This writer has had the good fortune
to view Cattelan’s installations at first hand, in Forlì. Although it’s a fact that’s seldom mentioned in his biographies (for reasons about which we
can only speculate) Maurizio Cattelan – the irreverent genius, habitué of the Venice Biennale, revelation of the Sensation – lived in Romagna for
seven years (1985 to 1991) while still at the beginning of a career which has made him internationally famous.
This is the same Maurizio Cattelan who made a sculpture of John Paul II struck by a meteorite – a copy of which, given as a gift to Poland, was
damaged by bishops and priests in their attempt to set the wax pontiff upright. Born in Padova in 1960, Cattelan’s ties with Forlì are affectionate
only. He and his partner, fellow artist Patrizia Giambi, lived in one of the town’s most interesting buildings, the Renaissance Palazzo Sassi Masini,
which at that time was headquarters of a movement of artists from all over Europe, including Forlì. They used the palazzo as an exhibition area –
their only outlet, as the town authorities seemed not to accord this ferment of creativity the recognition it deserved. In the courtyard of the
magnificent Palazzo Sassi, where a centuries-old wisteria tree crept over the walls and insinuated itself into the drama of the Rape of Proserpina, a
sculpture group by Forlì-born sculptor Francesco Andreoli dating from c.1818 whose demonic lineaments earned palazzo Sassi the nickname of
“Palace of the Devil”, Cattelan drew on the inspiration of a truly lovely environment. The work produced in his seven years is among his most
controversial – like the video installation in which Ken and Barbie simulate sex, or the exhibition on eroticism which elicited outraged protest –
when the only things on show were the sinuous curves of a leaf. As the eighties ended, so did the scene in Palazzo Sassi Masini: the police shut
down the palace and the resident artists went their own separate ways. Cattelan departed too, and the only trace of his “Forlì period” is the break
between him and the town. To anyone familiar with his style it’s easy to imagine that Cattelan might view the break itself as a work of art, given
his talent for transforming art into wit and stirring up reaction, provocation and outrage. Once, when he was asked to set up an installation in just
two weeks, he went into a gallery and requisitioned all the works of a rival artist, leaving a note saying “I’ll be right back” on the door of the empty
gallery. Another famous prank was to lease his own gallery to an agency looking for a venue for the launch of a new perfume; Cattelan went off
on holiday. He has even gone so far as to replicate the exhibition of another artist and inaugurate it, as if it was the most natural thing in the
world, in the gallery next door. No surprise, then, that when his car was stolen in Forlì he embellished his report to the police with the claim that
the car contained a priceless “invisible work” which was due to be exhibited in an exhibition in Milan...
foto d’archivio
va semplicemente le sinuosità delle curve di una foglia. Terminati gli anni Ottanta tutto ebbe fine con lo sfollamento e
immagini di Patrizia Giambi, tratte da “Gli anni del Diavolo 1985-1991”
e Barbie simulavano un rapporto sessuale o la mostra sull’erotismo che scatenò accuse di irriverenza mentre presenta-
Arte
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04
Territorio
Bagno di Romagna_
scrigno d’acque termali
Bagno di Romagna_
A jewel box of wellbeing
I camposanti perduti_
luoghi di rumori leggeri
Lost graveyards_
where silence reigns
10
Storia
La Romagna di Lord Byron_
passioni amorose e politiche
Byron’s Romagna_
between passion and intrigue
La Svizzera è nata a Faenza_
favorita anche dalla fierezza dei faentini
16
Passioni
Switzerland was made in Faenza_
a story the city is proud of
Storie di “folari”_
le fiabe dialettali
Stories of the folari_
folk tales in dialect
La dinastia Orfei_
origini romagnole della
celebre famiglia circense
The Orfei dynasty_
The Romagnol origins of a
famous circus family
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Enogastronomia
Giovanna Madonia_
signora del Sangiovese
Giovanna Madonia_
Signora Sangiovese
28
Arte
I diamanti sotterranei
della Valle del Montone_
il tartufo bianco di Dovadola
La saggezza e la frusta_
un giardino a Bagnacavallo per
ricordare Leo Longanesi
Hidden treasure of
Valle del Montone_
the white truffle of Dovadola
Wisdom and the lash_
a garden in Bagnacavallo to
remember Leo Longanesi
Cattelan a Forlì_
sette anni scomparsi
Cattelan in Forlì_
Seven lost years
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I Sensi di Romagna
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settembre 2006