1 REGIONE PUGLIA Assessorato alla Formazione Professionale - Politiche dell’Occupazione e del Lavoro - Cooperazione - Pubblica Istruzione Diritto allo Studio - Settore Pubblica Istruzione C.R.S.E.C. - LE/48 Via Minniti, 16 GALLIPOLI Coordinamento editoriale: CENTRO REGIONALE SERVIZI EDUCATIVI E CULTURALI Dirigente Responsabile: PASQUALE SANDALO La presente pubblicazione è frutto di un progetto di studio e ricerca, coordinato da Elio Pindinelli, cui hanno partecipato: ANTONIO MASTORE, MARIA BONSEGNA, LUCIA RIA, MARCELLA MECCA, COSIMO PERRONE, LAURA LETIZIA, GIORGINA SIMONE. I testi sono stati curati da Cosimo PERRONE Foto: Mario Milano, Piero De Vita, Luigi Fumarola, M. Maggio, Elio PINDINELLI, Cosimo Perrone, G. Perrone. Materiali fotografici sono stati forniti anche dalle Confraternite. Impaginazione e grafica by EP Stampa: Tip. CORSANO - ALEZIO La presente pubblicazione è destinata a biblioteche pubbliche e private, archivi e centri di documentazione. Tutti i diritti riservati 2 REGIONE PUGLIA - C.R.S.E.C. LE/48 GALLIPOLI Riti e manifestazioni di culto a Gallipoli Tra storia, mito e leggenda (Testi a cura di Cosimo PERRONE) GALLIPOLI 2003 3 4 PRESENTAZIONE Una nuova pubblicazione del C.R.S.E.C. di Gallipoli va ad aggiungersi a quelle già edite negli anni passati. Si rafforza in questo modo una linea di continuità ed emerge, con sempre maggiore evidenza, lo scavo che gli operatori del Centro hanno finora condotto e continuano a condurre sul territorio. Ha curato i testi di quest’ultimo lavoro, Cosimo Perrone, non nuovo a questo tipo di interessi. Egli si è avvalso del prezioso lavoro di tutti i colleghi, nell’ambito di un progetto di approfondimento e ricerca coordinato da Elio Pindinelli con la sua riconosciuta preziosa competenza storica ed editoriale e al quale va il nostro più sentito ed apprezzato ringraziamento, ancor più significativo per il suo disinteressato contributo. La ricerca del C.R.S.E.C. è quindi frutto delle professionalità maturate in lunghi ed intensi anni di attività. Un patrimonio questo che non andrebbe disperso ma giustamente valutato e valorizzato. Esso rappresenta il frutto dell’azione di un gruppo che interagisce intelligentemente, che dialoga con chi ha conoscenze ed esperienze sugli argomenti trattati, che esplora nuove possibilità di sistemazione e di interpretazione dei materiali reperiti e studiati. Un egregio lavoro, dunque, che sono orgoglioso di poter affidare all’apprezzamento di tutti come contributo del Centro alla crescita culturale del territorio IL DIRIGENTE RESPONSABILE Pasquale SANDALO 5 6 INTRODUZIONE Il C.R.S.E.C. di Gallipoli continua nella sua attività portando un’attenzione sempre più vivace su quella che è la realtà e la cultura del territorio. Tende, in tal modo, a rafforzare sia la consapevolezza della funzione di agenzia di educazione permanente e di promozione culturale che esso riveste, sia una rete di iniziative i cui risultati sono leggibili nella loro continuità dopo anni di lavoro intenso ed appassionato sul suo territorio di riferimento. I progetti fin qui realizzati hanno molto spesso trovato interlocutori attenti e profondamente interessati negli Enti Locali. Un tale ascolto si spiega con la consonanza che si è prodotta tra le problematiche di volta in volta affrontate ed iniziative di ampio respiro promosse dai comuni ricadenti nello spazio operativo del Centro. L’intento sempre perseguito e, sia detto senza presunzione, felicemente realizzato, è stato quello di interpretare, con profonda umiltà ma con intelligenza, le esigenze culturali più avvertite di un’area territoriale limitata ma variegata nei suoi aspetti e di studiare con vigile spirito di ricerca elementi diversi di una realtà meritevole di approfondite indagini in campi differenti ma rilevanti per significatività. Il lavoro è sempre complesso e naturalmente nasce dall’impegno degli operatori della struttura C.R.S.E.C. a tutti i livelli: ne scaturiscono risultati non solo sostanzialmente confortanti ma spesso lusinghieri come testimonia l’accoglienza riservata alle iniziative promosse ed alle pubblicazioni prodotte. Queste in parte, e soprattutto in riferimento alla fase conclusiva, documentano l’iter dei vari progetti. 7 Le pubblicazioni sono state curate dal Centro sotto la guida o con la consulenza di esperti di sicuro valore e di notevole prestigio e si offrono come strumento di conoscenza e di approfondimento di aspetti di vita e di cultura del nostro territorio. Si possono opportunamente ricordare alcuni degli argomenti documentati dalle nostre pubblicazioni: L’ISOLA DI SANT’ANDREA (si richiamava l’attenzione sui suoi aspetti paesaggistici ed ambientali cui oggi, in seguito ad accurate ricerche, quelli archeologici); CIVITAS CONFRATERNALIS – L’esperienza Confraternale a Gallipoli in età barocca (studio su un tratto caratterizzante delle strutture del laicato cattolico nell’originale forma dell’istituzione delle “Confraternite”); la presenza di EDICOLE SACRE in tutti i Comuni del distretto(con i problemi relativi alla loro conservazione); I Messapi ad Alezio e nelle zone circostanti; I grandi palazzi di notevole pregio architettonico nel centro storico di Gallipoli (DAL PARTICOLARE ALLA CITTA’ – Edilizia Architettura e Urbanistica nell’Area Gallipolina in Età Barocca) con attenzione per il loro restauro e per la loro eventuale utilizzazione; la ricerca (in un certo senso collegata a quella sulla architettura urbana) sulle Ville Extraurbane presenti nei Comuni su cui ha competenza il Centro; l’indagine a tutto campo su Gallipoli e il suo mare. Sono, quelli ricordati in maniera molto rapida, ai quali si aggiunge il presente, tutti esempi dell’impegno profuso dagli operatori nell’affrontare argomenti di largo respiro, in perfetta sintonia con le indicazioni dell’Assessorato Regionale alla P.I., e del consolidato e qualificato ruolo del nostro Centro nella realtà del Distretto. Quello che nella pubblicazione sulla realtà confraternale di Gallipoli appariva solo come aspetto particolare di un disegno più vasto viene, in questa nuova pubblicazione, recuperato in una vasta trama di riferimenti a riti e tradizioni di origine sacra e profana. Non mancano supporti storiografici ai quali attingere, ma il lavoro condotto dal C.R.S.E.C. ha voluto essere ancora una volta una “ricerca sul campo” 8 che si è valsa dell’ausilio di preziose, ed ormai sempre più rare, testimonianze orali. Se i riti della Settimana Santa rappresentano il capitolo fondamentale di una adesione allo spirito di penitenza che trova il suo culmine nella crocifissione (e i riferimenti sono negli statuti confraternali) , il rapporto tra sacro e profano, con le sue interferenze, con i suoi aspetti di intercambiabilità (quale distanza appurabile si pone, talvolta, tra religione e magia?) dà vita ad una miscela di elementi in cui anche l’azione profana appare permeata dal sacro e trova il suo testimone ed il suo garante nella figura del santo. La pubblicazione contiene un interessante corredo iconografico di pregevole valore documentale. Questa nuova pubblicazione, infine, continua coerentemente un discorso che, come si sarà potuto dedurre dai temi indicati, abbraccia tempi storici diversi ed aspetti multiformi nell’ambiente di riferimento ma tutto riduce ad unità nella proposta educativa che sottende: di informazione, di conoscenza, di stimolo ad una sempre maggiore consapevolezza dei valori del luogo in cui si vive rapportati a quelli che sono i problemi della contemporaneità. Unitario lo spirito che informa la ricerca nel quadro di un “progetto” globale che vuole costantemente riferirsi alla realtà di ieri e di oggi coniugando passato e presente. Questo per fare sempre più intensamente avvertire come sia possibile raccostare sapienza di ieri ed esigenze dell’oggi: esigenze complesse non spiegabili nella loro complessità se non si possiede un’idea chiara della propria storia e del cammino percorso. Antonio MASTORE 9 10 Riti e manifestazioni di culto a Gallipoli Tra storia, mito e leggenda Nella storia di un popolo il mito e la tradizione, vanno certamente al di là della cronaca. L’uomo trova la sua identità e identificazione in quei segni che lo conducono alle sue radici, alle sue antiche origini, al concetto primordiale che è nel rapporto civiltà-destino. E’ così quindi che un popolo si cerca e si conosce attraverso l’individuazione dei segni, le tradizioni, i riti, il mito, le manifestazioni di culto. Sono queste, espressioni di saggezza maturate dalle generazioni precedenti e tramandate ai giovani. L’uomo, quindi, riacquista in un certo modo il suo tempo, per riappropriarsi della sua stessa memoria. Soltanto ritrovandosi quest’uomo, sia pure avendo dimenticato in qualche modo la sacralità della festa, il culto dell’adorazione, la religiosità della processione, potrà entrare in possesso della sua memoria storica. Un popolo che perde la sua memoria storica è un popolo senza destino, che rischia l’estinzione. Occorre perciò recuperare il tempo ancestrale dell’uomo. Ed ecco allora il Natale, dalle valenze mitico-sacrali, i falò e le feste, la 11 tradizione dei fuochi, che riconducono ad un vissuto antico e ricco di voci e di simboli; riti religiosi come la Quaresima, e la settimana santa, che toccano aspetti non solo formali ma hanno una acutezza metafisica significativa. Da sempre riti e feste hanno scandito l’incedere del tempo. Gallipoli, per sempre esposta agli influssi di tantissime altre civiltà, mostra nei suoi segmenti di vissuto le componenti ancestrali determinate dalla sua storia, dalla posizione geografica, dal clima ed è perciò che nei riti e nelle manifestazioni di culto, troviamo un muscuglio di sacro e profano. Infatti, alcuni di questi affondano le loro radici nei riti di fertilità, apotropaici, propiziatori, liberatori e contengono elementi leggendari e storici, nonché elementi profani. Essi spesso rappresentano occasioni di aggregazione e di liberazione da tabù e inibizioni, con i riti orgiastici, riti di difesa dal male, dalle calamità naturali ed umane, nonché spesso occasioni per dare sfogo alla naturale tendenza del popolo alla drammatizzazione, allo spettacolo, che si esprime nelle Sacre Rappresentazioni, nelle manifestazioni spettacolari, nelle occasioni agonistiche e di puro divertimento. 12 TRA FEDE E SUPERSTIZIONE Era abbastanza in uso, fino a circa quarant’anni fa, credere alle streghe e alle malìe. Per proteggere i bambini dal maleficio si era soliti attaccare sulle loro fasce, con delle spille francesi, dei cornetti di corallo o conchigliette. Senza trascurare di fare il segno della croce sul bambino, dopo averlo accuratamente fasciato. Gallipoli allora assume una dimensione fra rito e magia, fra rito e tradizione, tra rivalutazione del passato ed un presente vissuto alla ricerca della memoria storica. In questa realtà anche i culti assumono una dimensione dove la fede viene messa al primo posto. Una fede che coinvolge la cultura di un popolo, che si materializza nel momento mitico della festa e che interagisce e dialoga in un rapporto fra sacro e profano. I riti magici. Diciamo subito che essi sono proliferati in un terreno fertile, pregnante di ignoranza e di miseria psicologica. I riti magico-religiosi relativi alla gravidanza, all’allattamento, allo svezzamento, sono certamente in rapporto alla carenza di forme assistenziali per la gestante, la partoriente, la madre del bambino. Con l’intervento della magia si credeva che tutte le gravidanze sarebbero state condotte felicemente a termine, tutti i neonati sareb13 bero stati protetti, il latte sarebbe fluito sempre dal seno della madre, ma soprattutto si sarebbe guariti da tutte le malattie, e tutte le tempeste si sarebbero accanite su luoghi deserti. Le pratiche magiche più importanti erano rappresentate dagli scongiuri contro le varie forme di miseria, contro le tempeste che mettevano a repentaglio la vita dei pescatori o potevano danneggiare il raccolto, contro le malattie. Ogni scongiuro era un misto di sacro e profano. Ci si segnava con il segno della Croce, e si benediceva nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Il più delle volte era una filastrocca che l’interessato pronunciava più volte e all’occorrenza facendo attenzione a non variarne la sequenza. Altre volte ci si rivolgeva alla “macara” perchè confezionasse miracolosi intrugli che si spalmavano sulla parte malata o misteriose pozioni da bere. Entrambi avevano la potenza di debellare il male o di assecondare i desideri del richiedente. Ma per scacciare la tentazione spesso ci si rifugiava nelle invocazioni, come in un porto sicuro al quale fare affidamento per non ricorrere alle arti magiche. Ed ecco allora che ai bambini si insegnava a recitare, senza alcuna paura perché forti della fede: Santa Margherita si’ bedda e si’ pulita 14 Tre angeli a mienzu casa E doi su’ lu liettu. La Matonna tegnu an piettu, Gesù Cristu an capatale. Fusci fusci tantazione Ca su’ fiju de Maria, E Maria m’ha mprumisu Ca me dae lu Paradisu Ci nu osci, ci nu crai Quandu mojuru me lu dai. Un rimedio contro le fatture o il malocchio era quello di appendere dietro l’uscio di casa il volto di Sant’Anastasio. Questi era il santo più temuto dalle streghe. Il suo nome in greco, che era poi la lingua parlata in Gallipoli sino al Medioevo, significa, appunto, “scacciamento dalla propria dimora”. Le streghe facevano “le fatture” e chi ne era colpito doveva preoccuparsi di farsela togliere, non oltre però il sabato successivo. Bisognava rivolgersi, allora, ad una “macara” che era stata giubilata. Se non si riusciva a liberarsi subentrava una vera e propria ossessione. Le “macare”, o streghe nella tradizione napoletana, si riunivano a mezzanotte di ogni sabato nei pressi del noce di Benevento, e viaggiavano a cavallo di una scopa. Le streghe di Benevento sono entrate ormai nella proverbialità. Danno nome persino ad un liquore e ad uno dei maggiori premi lette15 rari italiani. Per aizzare il loro strano destriero usavano dire: “Sotta acqua e sotta jentu, sotta lu noce de Minimijentu”. Guai però a coloro che avessero osato imbattersi in una adunata di streghe.. Si racconta che Chiri, un onesto pescatore gallipolino, dal cuore buono come il pane, un giorno, anticipasse la sua uscita di casa alla mezzanotte invece di attendere l’alba come sempre aveva fatto. Giunto al largo della Purità, ancora intorpidito per il sonno perduto, fu subito circondato e travolto da un gruppo di “macare” intente a ballare. Dopo l’iniziale spavento e riacquistata tutta la lucidità, il malcapitato riconobbe tre donne sue vicine di casa. E queste implorò di lasciarlo tranquillamente andare via. Ma loro più insistentemente lo insidiavano chiudendolo sempre più stretto nella loro catena, mentre, prese per mano l’una con le altre, cantavano: “E balla, balla Chiri, cu sta curiscia forte, ca ci scappi te stu chiaccu nu nci essi cchiui te notte”. Il povero Chiri non sapeva più a che Santo votarsi quando all’improvviso si udì sonoro il battere della campana della vicina chiesa della Purità. Era certamente un intervento divino che ebbe il potere di far scappare precipitosamente le perfide “macare”. 16 Anche i pescatori, a loro modo, seguivano alcune pratiche magiche e riti propiziatori. Si diceva che alcuni erano capaci di tagliare i fulmini, segreto questo rimasto per sempre custodito nella mente dell’ultimo che ne ebbe il potere. Essi sono ancora custodi delle “misteriose parole turchine”, apprese in tempi lontani in oriente presso il popolo turco. Mormorandole incomprensibilmente, i pescatori riescono a rendere innocue le punture di pesci velenosi, tra i quali la tracina, volgarmente conosciuta con il nome di “parasaula”. Nell’ambito della superstizione popolare nessun maleficio è però più potente del “malocchio”. Il malocchio era opera di persone provviste di “do’ ninne” (due pupille). Guai, quindi, ad essere guardati da loro. Si pensa ancora oggi che “pote cchiui occhiu te persone ca occhiu te scursone”. E di una persona dallo sguardo cattivo si dice che abbia gli occhi “te basaliscu”. 17 Lu moniceddu Ricca di suggestione e di mistero è la figura “de lu moniceddu” che si diceva amava accovacciarsi di notte sul petto delle persone che dormivano, impedendo loro il sonno. Il monacello, secondo una antica credenza locale, era uno spiritello, una sorta di folletto che gironzolava di notte per la casa facendo disperare le persone che vi abitavano con mille dispetti tra cui quello classico di accoccolarsi sullo stomaco di chi dormiva. Come tutti gli spiritelli era custode dell’ ”acchiatura”, un tesoro di monete d’oro e d’argento, ma aveva anche il potere di esaudire i desideri degli uomini. “Lu moniceddu” indossava un cappellino rosso, al quale teneva in modo particolare perchè, senza, avrebbe perduto la sua libertà. Per neutralizzarlo occorreva, perciò, togliergli quel buffo copricapo di panno rosso a forma di cuffia. Non era però impresa facile. Se il tentativo riusciva, lo spiritello, disperato, implorava pietà, lasciandosi andare a mille promesse. Taccagno di carattere, esaurite tutte le implorazioni, si rassegnava a svelare il nascondiglio nel quale custodiva il suo tesoro. Nei tempi passati, di chi si arricchiva all’improvviso, si diceva giustamente che forse aveva visto “lu moniceddu” o aveva trovato “l’acchiatura”. 18 Il rito del crivello Tra i riti magici più suggestivi, e praticato fino a qualche anno fa, vi è quello del crivello o per meglio dire “lu ritu de lu farnaru”. Si ricorreva a questa pratica per scoprire il nome di un ladro o per individuare l’innamorato di una amica o la persona che ne ostacolava le nozze. Si infiggevano le punte di un paio di forbici nel legno del bordo circolare (lu campusu) del crivello. Due persone, reggendolo con gli indici dalla parte bassa degli anulari delle forbici, invocando i Santi Pietro e Paolo, formulavano la domanda cui si faceva seguire la pronuncia del nome del sospettato di furto, dell’innamorato segreto, “de lu ‘nfame” o del geloso. La risposta doveva scaturire dal segno che le forbici avrebbero dato facendo ruotare il crivello. Anche una chiave poteva dare qualche responso. La si infilava tra le pagine di un Breviario che si legava strettamente. Due persone, tra cui l’interessato al responso, sostenevano il libro con l’indice, e invocando il nome di S.Pietro, si formulava all’istante la domanda. Il responso si otteneva solo quando il Breviario avesse cominciato a ruotare. 19 Il rito “de lu limbu”. Quando sulle terrazze si usava gettare “i bivaruni” al fine di impermeabilizzare le giunture delle “chianche” che coprivano le terrazze e proteggere così la casa dalle infiltrazioni recuperando tutte le piovane che si raccoglievano nella cisterna ma anche in contenitori di terracotta detti “limbi”, si ricorreva all’oracolo “de lu limbu”. Quel recipiente doveva essere pieno di acqua piovana e 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789 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Esso prendeva il nome anche dal luogo in cui si praticava o della divinità a cui ci si rivolgeva per ottenere responsi e vaticini. Nell’antica Grecia gli oracoli più celebri furono quelli di Apollo a Delfi e quello di Zeus a Dodona. Un sacerdote interrogava l’oracolo dopo avere praticato riti purificatori e dopo aver offerto sacrifici alla divinità; il responso veniva tradotto attraverso metodi diversi di divinazione. generalmente si inter- pretavano i segni, tra cui quelli desunti dal comportamento di animali consacrati alla divinità. cristallina per farvi specchiare tutti i sospetti di furto, giacchè si pensava che l’acqua si sarebbe turbata alla vista del ladro. 20 L’Oracolo di Santa Monica A Gallipoli, nel medioevo e fino all’800, era praticato l’oracolo di Santa Monica di cui fa cenno, alla fine del ‘600, nel suo manoscritto il Micetti. Il Vernole cui piaceva ricucire, talvolta abusando di riferimenti classici, il mondo ellenistico agli usi medioevali, ne tracciò la storia traducendo dal latino il brano del Micetti. Depurandolo della impossibile appartenenza del Pantheon, che era una chiesa diruta ai tempi del Cybo e dedicata a tutti i Santi, ad un qualche tempio pagano è utile riportarne il gustoso brano del Vernole La chiave, il breviario, lu limbu e lu furnaru: gli attrezzi per gli oracoli. 21 che così scrive: “Un altro oracolo ancor più originale e complesso e che più di ogni altro conserva tuttora intero l’organismo dell’epoca ellenica, come fino a tre secoli or sono conservava finanche il Tempio che n’era la sede”. “Esso rammenta l’Oracolo di Dodona nel quale si interrogava lo stormir delle foglie, e quello di Mercurio nel quale s’interpretavano i discorsi dei Passanti, e l’oracolo della Dea Notte che rispondeva con le voci della notte: co1 sopravvenire del Cristianesimo questo oracolo gallipo-lino fu intitolato alla Madonna del Cassòpo, e poscia (come lo è tut-todì) a Santa Monica. Fino al Cinquecento al sommo dello sperone occidentale dei bastioni turriti di Gallipoli era la Chiesetta della Madonna del Cassòpo eretta in epoca Bizantina presso il demolito Tempio pagano del Pantheon; se ne Conserva ancora la vetusta immagine Bizantina e quel nome di Cassòpo ricorda il nome bizantino della rada di Corfù e i traffici di Gallipoli con l’Oriente. Lo Storico Micetti nel Suo m. s. narra di un’anticà pergame greca, da lui transunta in latino che in italiano suona così:” “Chiunque voleva conoscere se il fratello, o il figlio, o il nepote o il marito, fosse captivo o in mano dei Turchi, o fosse vivo o morto, o se ritornasse o no, o se fosse sano o infermo, veniva alla predetta Chiesa della Vergine di Cassopo, da cui si apriva l’adito ad un delubro vetustissimo dedicato alla Santa vergine; ivi, appena giunto alla più remota parte, trovava un gradino sul quale saliva guardando l’immagine della Madonna, e sette volte rivolgeva orazione a Cristo, senza proferir parola né far moto di labbra, ma con grande intensità di pensiero; ciò fatto si affacciava tosto per una 22 finestra al mare, e ad alta voce chiedeva intorno (ed alto vociferabat percunctando) se di morte, se di vita, se di ritorno, come sopra è detto, e da Angeli o da demoni riceveva risposta: è vivo, viene, non viene, è morto, sta bene, è malato; e tale risposta non solo era intesa dal pregante, ma anche da chi vi fosse presente... ecc.”. “Distrutto il delubro, vi rimase il sito: al titolo s v a n i t o d i una Santa Vergine, fu sostituito il titolo d’una Santa Vedova: e le donnette ancor oggi consultano l’Oracolo della Santa Monica, madre di Sant’Agostino, pro- Affresco della Madonna del Cassopo. terve a qualunque anatema lanciato nel corso dei secoli da Vescovi e Sacerdoti, perchè il rito insinua le sue radici fra le scaturigini elleniche della stirpe. Ancor oggi, su quello sperone dei bastioni dove sovrasta il Tempio Francescano della solitudine, ove l’opposto azzuffar di venti rende deserto il sito, se ti appiatti, alla -mezzanotte vedrai che s’agita la persona 23 di una donnetta che vi compie il rito: se essa non può raggiungere quel luogo si protende da un qualunque angolo dei bastioni, o si sporge dalla finestra di casa propria se è rivierasca, ma sempre si rivolge al mare. E. sette volte ripete mentalmente l’orazione propiziatoria a Cristo e. a Santa Monica, ed invoca la risposta dello Spirito dell’Ignoto” “Santa Monaca mea pietosa, santa Monaca lacrimosa, pe la strata ca facisti te Roma a Milanu, pe truvare le fiju tou pacanu, ca hai ulutu cu faci cristianu,; lu truvasti e lu cunvenrtisti; santa Monaca pe caritate, fanne sacciu la veritate. Ci acqua santimu manare è segnu te lacreme mare, ci fanesce vitimu aprire segnu bonu te cutire”. “E la riceve sensibile a sè ed agli astanti, e sarà la voce_d’un vivente o il romor di cosa morta: e sarà scroscio d’acqua versata che denota lagrime, e sarà crocchiar di cose che precipitano e denota catastrofe, e sarà miagolar di gatto o ulular di cane che denota sinistra notizia, e sarà parola o frase casualmente detta da alcuno a distanza, ed intenzionalmente interpretata perchè nel silenzio della notte fonda ogni legger romore si ode a distanza, ed ogni discorso pacifico ed ignaro divien più lungi mistica: risposta inconsapevole ad una domanda ansiosa”. “Così il paganesimo, avito e incoercibile, sospinge la donnetta a mezzanotte a protendere il petto sui, bastioni incontro al mare ,che si sente, incontro al Cielo che non si vede, incontro all’immensità dell’infinito, sul parapetto dell’ignoto, a propiziarsi con la settemplicc prece il Nume invisibile, ad esprimere l’inchiesta ansiosa, scrutando il Mistero che .risponde paganamente con le voci della Notte”. 24 Gli Oracoli di San Giovanni Simile all’oracolo della Santa Monaca era quello di San Giovanni, che si teneva la notte tra il 23 e il 24 giugno. Per conoscere il mestiere del futuro marito, le ragazze in procinto di sposarsi, secondo una antica tradizione popolare, e che abbiamo visto ripetere nel film “L’Anima Gemella”, versavano in una bacinella piena d’acqua un pezzo di piombo, preventivamente fuso sul fuoco. Il piombo solidificando, assumeva svariate forme e a seconda di queste si interpretava il mestiere che avrebbe svolto il marito. Un’altra variante è quella di interrogare la sorte con l’ausilio di tre fave verdi. Ad una fava veniva tolta la buccia per intero, ad un’altra soltanto “l’occhio” e l’ultima lasciata intera. Tutte e tre venivano sistemate sotto il guanciale, e prima che la fanciulla prendesse sonno. L’indomani mattina, appena sveglia, la ragazza infilata la mano sotto il cuscino ne ricavava il responso. Se prendeva quella intera, voleva significare una buona sorte, se quella senza buccia la sua sorte sarebbe stata avversa, prendendo invece quella semisbucciata la fanciulla avrebbe avuto una sorte nè buona nè brutta. 25 L’Oracolo di San Pietro e Paolo Per lo stesso motivo, nel giorno di San Pietro e Paolo, il 29 giugno, in coincidenza con lo svolgimento dell’omonima fiera che si teneva in piazza De Amicis, le ragazze da marito usavano interrogare il loro futuro buttando agli angoli dei vicoli e delle stradine tre pietre: una per sapere l’ambasciatore di fidanzamento, l’altra per conoscere l’intermediario e l’ultima per sapere il mestiere del fidanzato. E si pronunciava la formula rituale :” Pe santu Pietru e pe santu Paulu e pi cinca passa moi” Per altri oracoli si affidavano all’albume d’uovo che versato in un bicchiere d’acqua veniva messo fuori dalla finestra, al freddo durante la notte. L’uovo rassodandosi in forme strane, era oggetto di osservazione e di “letture” da parte della donna. Spesso si credeva di vedere figure di sega, di zappa, martello. Se nell’albume si formava qualche bolla d’aria era interpretato di cattivo auspicio. Anche dalla bruciacchiatura di un cardo si potevano trarre segni premonitori. L’ortaggio così combinato si metteva fuori casa, al fresco. Se l’indomani mattina il cardo rifioriva si traevano buoni auspici, diversamente sarebbero stati… cavoli amari. 26 RITI PROPIZIATORI E DI ESPIAZIONE Il rito di espiazione veniva solitamente celebrato per espiare un peccato e riconquistare la giusta relazione con Dio. Esso è l’atto o l’insieme di riti attraverso i quali l’uomo intende eliminare una colpa (individuale o collettiva) legata ad un peccato, per riconquistare la giusta relazione con Dio. I riti di espiazione sono attestati in molte parti del mondo; presso le antiche civiltà ittita, greca e romana, emerge come modulo comune, per l’allontanamento di una colpa che genera nefaste conseguenze, il rito del capro espiatorio. Propriamente il capro espiatorio proviene però dal mondo religioso ebraico. Nel Nuovo Testamento la morte di Gesù sarà presentata come espiazione del peccato dell’umanità: l’unica vittima, Gesù, pone fine agli antichi riti sacrificali. A Gallipoli come in tutto il Salento i riti si rifanno unicamente a quelli arcaici della fertilità e racchiudono elementi leggendari e storici collegati alle particolari attività tradizionali. L’elemento dominante nei riti propiziatori in uso nelle feste salentine, è quello del fuoco purificatore, propiziatore e liberatorio. Come nel giorno di Sant’Antonio Abate, detto “de lu focu”, in cui, con le “focaredde” accese, i giovani, venivano invitati a saltare sul fuoco per dare prova di coraggio e agilità. 27 Il rito del salto sul fuoco nel giorno dell’inizio del Carnevale rammenta anche il salto che facevano i pagani sul fuoco che era sacro a Vulcano, per propiziarsi quella terribile divinità. Il fuoco quindi assume un’azione purificatrice che brucia e distrugge tutti gli influssi dannosi. Il fuoco a Gallipoli lo troviamo ancora nel giorno di Pasqua, con l’accensione della Caremma, oppure con la fine ingloriosa del “pupu” nella notte del 31 dicembre. Nei riti di purificazione oltre al fuoco (la candela accesa), c’è pure l’acqua. Nel battesimo, che per il cristiano è la purificazione dal peccato originale, si usavano dal popolo molti accorgimenti che, pur in un contesto di sacralità, rinviavano a pratiche profane ed esorcizzatorie. La levatrice pertanto doveva avere cura di sostenere il neonato sul braccio destro, se maschio, a simboleggiare la forza, l’energia e la risolutezza del futuro uomo, su quello sinistro se femmina, al fine di propiziare bontà, gentilezza e mansuetudine. Anche i padrini dovevano ottemperare ad alcune regole basilari. Innanzitutto il padrino doveva collocarsi alla testa del battezzando, se maschio, e la comare dalla parte dei piedi. Posizione che veniva scambiata dai padrini in presenza di una battezzanda. Dovevano poi stare bene attenti a recitare il “credo” senza mai sbagliare e ciò per evitare che il fanciullo, crescendo, fosse preso dalla balbuzie o diventasse scemo, e peggio ancora, da adulto, 28 potesse vedere i lemuri, le ombre tenebrose degli antichi.. Ancora nella tradizione popolare persistono riti di iniziazione, come nella festa di San Martino. A tutti, fanciulli compresi, è consentito bere un po’ di vino. In questo modo si iniziano alla trasgressione e solo così possono essere accolti tra gli adulti. Un rito propiziatorio sicuramente avviene in ogni sposalizio, lanciando alla fine del rito sacro, sulla testa degli sposi, manciate di grano e di orzo. Anche il dono di ceste di fiori e di frutta, spesso di uova, assumeva il significato di propiziare l’abbondanza,il buon governo della casa e gli affetti domestici. E la declamazione degli epitalami , meglio se da parte degli innocenti bambini, si collocava in chiave augurale e propiziatoria. I riti funebri avvenivano secondo usi e costumi generati da una secolare consuetudine grecanica. Il cadavere veniva pianto “spasmodicamente” dalle prefiche, mentre i parenti, imprecando contro l’infame destino, si strappavano i capelli e mortificavano la carne graffiandosi il volto. Le prefiche, prese anche a pagamento, avevano il compito di piangere pubblicamente il morto intonando monodiche salmodie con riferimenti alla sua vita e alle sue virtù. Presso i popoli antichi si usava seppellire il cadavere circondato dagli oggetti di uso comune e cari al morto, non dimenticando di racchiudere nella tomba il prezzo del pedaggio che sarebbe stato pagato a Caronte per attraversare lo Stige, il confine tra il mon29 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 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Ma il suo pieno sviluppo lo ebbe nella Persia antica. Strettamente legata al culto del fuoco era la cerimonia religiosa di camminare sul fuoco, praticata da molti popoli in ogni epoca. Ancora oggi è in uso a Tahiti, Trinidad, nelle isole Maurizio, nelle Figi, in India e Giappone. La cerimonia include il passaggio di un sacerdote e altri celebranti a piedi nudi su ampie pietre appositamente arroventate su di un letto di ceppi ardenti. Sono state avanzate varie spiegazioni, come l’estasi o una temporanea insensibilità al dolore, del motivo per cui costoro apparentemente non patiscono bruciature o dolore, ma nessuna è considerata esaustiva. Al fuoco veniva anche riservata una particolare de- vozione religiosa ed era considerato sacro. La mitologia greca attribuisce al titano Prometeo l’impresa di averlo rubato agli dei dell’ Olimpo. Le tribù indigene americane quanto quelle dell’Africa occidentale rendevano omaggio ad ancestrali spiriti del fuoco. 30 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 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Il culto del fuoco inoltre, occupò una posizione cen- trale nei riti religiosi degli antichi popoli indoeuropei. Gli antichi culti greci di Estia, dea del focolare, ed Efesto, dio del fuoco, come quelli dei loro omologhi latini Vesta e Vul- cano, erano caratteristiche integranti della religione classica. Il fuoco che ardeva in ciascuna casa era un segno vivo e immanente della divinità e i Lari e i Penati erano i rigidi protettori della Famiglia, custodi del suo amore, della sua reputazione, della sua fortuna. Spesso si era soliti affermare che “Fuoco spento, famiglia spenta”. Anche presso le antiche religione slave si praticava il culto del fuoco e i celti pregavano spesso Bridget, protettri- ce del fuoco, della terra e della fertilità. Ma il fuoco lo troviamo anche nella religione cristiana. Secondo l’Antico Testamento, Dio si mostrò a Mosè, sul monte Sinai, attraverso le fiamme di un rovo ardente. Nella liturgia della Veglia Pasquale è il fuoco il motore del rito, attraverso l’accensione del cero, che rappresenta Cristo, luce del mondo. 31 do dei vivi e quello dei morti. Sepolto il defunto i familiari si riunivano negli “agapi funebri, abbondanti di libagioni e vivande ristoratrici”. Un rito, questo, che ha tuttora, nel “cunsulu” odierno il suo omologo. Ma attenzione, mangiare e bere in certe occasioni, mai di gusto, bensì “ppe divuzione”. Ed è per questo che nei riti di offerta venivano consumate le primizie di ogni stagione e sacrificate vittime “ppe divuzione allu Santu”. E così a Natale si sacrificava il cappone, a Carnevale si mangiava maiale e salciccia, l’agnello a Pasqua, il pollo per il santo Patrono del paese, il pesce a Sant’Andrea. Tra le primizie il vino novello era d’obbligo nel giorno di San Martino, l’olio nuovo a Natale, le melograne a San Francesco d’Assisi (San Francescu de le site), il nuovo miele a Santa Teresa, le pigne e le castagne per l’Immacolata, e le cozze per la Madonna del Canneto. Un’altra pratica popolare era quella dedicata a coloro che perivano di morte violenta. Affinchè le loro anime si placassero e finissero di girovagare attorno ai luoghi in cui violentemente erano state cacciate dal corpo, era necessario recitare un triduo notturno a cura di tre comari o parenti, con un settemplice Rosario pei morti e preghiere in suffragio del defunto. Se nonostante ciò i loro fantasmi continuavano a turbare il sonno di una persona, occorreva esorcizzarli: Jeu te prucettu a nome de Diu, ci sì anima raspundi e ci sì damoniu spunda. 32 IL CARNEVALE A GALLIPOLI A Gallipoli il 17 gennaio, nel giorno dedicato a Sant’Antonio Abate, appunto detto “Sant’Antoni de lu focu” o “de lu porcu” iniziava il carnevale con l’accensione delle “focaredde” , cataste di fascine di rami di ulivo ricavati dalla rimonda, ma anche di vecchi mobili disusati, che venivano bruciate, la sera, nei crocicchi della città, al suono dei tamburelli e della pizzaca-pizzaca. Risuonavano allora i canti frizzanti dei giovani e delle comari, al ritmo della pizzaca-pizzaca e al suono vibrante del tamburello. E de la ciacora rizza Lu sangu ci nde scula A stizza a stizza A stizza a stizza E nà e nà Lu bene meu lu bene mà! Na e nà e na, nì, nena. E attorno al falò si consumava il rito antico del salto del fuoco per propiziarsi coraggio ma anche con funzione purificatrice, avendo il fuoco il potere di bruciare e distruggere tutti gli influssi dannosi. Risuonavano allora gli stornelli dialogati che con una punta di 33 malizia ma con tanta arguzia venivano mimati nella frenetica danza corale di tutto il vicinato. Suspiri ci te core, ahi me vaniti Sciati alla bedda mea e sospirati e cusì se fa l’amore e te passa lu dulore na na na ni nena... Ulia cu te lu ticu e nu bulia, ulia cu te lu ‘ntossucu lu core Quandu teve te nde cali... la candela bruscia l’ali e palomba vola vola, l’augeddu a la gaggiòla na na na ni nena Spento il fuoco, si distribuiva la brace rimasta soprattutto ai vecchi mettendola nei “coppi”, vasi generalmente di rame o di ferro che a quei tempi sostituivano i moderni impianti di riscaldamento. Anticamente la cenere, ritenuta benefica e purificatrice, veniva sparsa al vento dall’alto delle mura, per placare l’ira del mare e consentire ai pescatori un tranquillo ritorno. A Gallipoli ad iniziare dal 17 gennaio il Carnevale entrava nel vivo della allegra e spensierata partecipazione popolare fino arrivare al penultimo giovedì chiamato “sciuvadia de le cummari” e all’ultimo detto “sciuvadia de li cumpari”. Erano chiamati così in quanto in quelle due sere si facevano allegri festini dedicati rispettivamente alle donne e agli uomini. Il carnevale naturalmente impazzava su Via Antonietta De Pace 34 tra il bar del popolo e il bar dello sport. Una marea di gente si accalcava lungo la via a gustarsi i frizzi ed lazzi gustosi delle mille e mille maschere vestite col “domino”, “te malevita”, “te tialu”, “te montagnola”, insomma “vandu te susu e vandu te sotta” perchè anche un lenzuolo od una vecchia coperta serviva a rendersi irriconoscibili, mascherando così dietro l’anonimato la voglia corale della trasgressione. Chi poteva, acquistava chili e chili di “cacai, candallini e mendule ricce”, che in punti prefissati della via sventagliava lontano sulla testa delle improvvisate mascherate, per la gioia di grandi e bambini. E i coriandoli, più alla portata delle tasche del popolo si consumavano a sacchi poichè tutti, ma veramente tutti, dovevano avere il piacere di lanciare sulla folla “na francata de curianduli”. “Carniale meu chinu te mbroje, osci carne e crai foje ». Il motto7 lo si ripeteva spesso e simboleggiava il passaggio tra il periodo grasso del carnevale e il periodo di digiuno e astinenza della Quaresima. Ed era la sintesi di un vissuto culturale e sociale di un popolo che si riconosceva nella caducità della vita terrena e nelle tribolazioni della condizione umana, ma che, nonostante tutto, non disdegnava la licenza e la gioia del vivere. Al fondo vi era sempre una nozione didattica della vita da praticare e da tramandare nello spirito dell’insegnamento cristiano. 35 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Il carnevale ha rappresentato, soprattutto nel Medioe12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 vo, l’inizio del nuovo anno, in quanto coincide con il momento 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 in cui la natura, dopo il lungo letargo invernale, si risveglia. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Etimologicamente l’origine della parola carnevale è an12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 cora incerta, alcuni la fanno derivare da “Carne-vale”, altri da 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 “carne-levamen” ed altri ancora da “carnem-levare”. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Se incertezze vi sono sulla etimologia del termine, è 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 certo che nelle tradizioni carnascialesche questa festa si cele12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 brava per propiziarsi i favori degli dei. Basti ricordare le feste 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 dei Babilonesi e degli Egiziani, che durante l’equinozio d’au12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 tunno onoravano i Cherubs, buoi importati dai primi sacerdoti 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 etiopi. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Gli Egizi, fin dai tempi delle dinastie faraoniche, furono 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 i primi ad ufficializzare una tradizione carnevalesca, con fe12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 ste, riti e pubbliche manifestazioni in onore della dea Iside, 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 che presideva alla fertilità dei campi e simboleggiava il perpe12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 tuo rinnovarsi della vita. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Il carnevale greco invece veniva celebrato in varie ri12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 prese, con riti e sagre in onore di Bacco, dio del vino e della 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 vite. I “Saturnali” furono per i Romani la prima espressione 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 del Carnevale e gradualmente, perdendo l’iniziale significato 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 rituale, divennero semplicemente delle feste popolari. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 Le manifestazioni in onore di Saturno, dio dell’età del12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 l’oro, invece, iniziavano il 17 dicembre e si prolungavano dap12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 prima per tre giorni fino ad arrivare in seguito fino alla metà di 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 gennaio. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 36 Nella tradizione gallipolina, perciò, anche il rito spettacolo del carnevale si consumava tra la nascita e la morte, in una sorta di parafrasi dello svolgersi della umana esistenza. Il carnevale aveva, infatti, il suo battesimo di purificazione con il fuoco il 17 gennaio ed il suo funerale il martedì grasso. La forza del suo simbolismo si impernia ancora oggi attorno alla morte “de lu Titoru”. Teodoro, questo il nome della maschera tradizionale gallipolina, è un giovane soldato, come narra la tradizione, che tenta di ritornare in famiglia dopo una lunga assenza e dopo aver patito il freddo, la fame e rischiato la vita in battaglia, in tempo per partecipare alle gozzoviglie del carnevale con i suoi amici e parenti. Occorreva il tempo necessario per affrontare il lungo viaggio, ma non sarebbe potuto arrivare mai in tempo nella sua città. E’ la madre “de lu Titoru”, popolarmente riconosciuta nella “Caremma”, che si fa interprete di questo desiderio del figlio, non si sa bene se intercedendo presso Dio o per opera “de macarìa”. Fatto sta che il carnevale venne prorogato di due altri giorni che furono, perciò, detti “li doi giurni de la vecchia”. Teodoro ebbe così la fortuna di ritornare in Gallipoli proprio quel martedì, ultimo giorno di carnevale, e non si può credere la gioia pazza che lo avvinse, cercando di recuperare il perduto, ingozzandosi di salciccia e polpette, abbondantemente innaffiate da rivoli di buon vino rosso. 37 Ma tanto s’ingozzò che alla fine “fice‘ngaiu” e ne morì. Sottile notazione di sapienza popolare che, attraverso la figura di Teodoro, vuole insegnare la moderazione e la vissuta consapevolezza della caducità dei piaceri della vita di fronte alla prospettiva della morte. Sulle imprese carnascialesche di Teodoro e sulla sua fine, si incentrava il funerale, teatralizzato in forme tragicomiche, che percorreva le vie della città, con il suo seguito di prefiche in gremaglie, di amanti travestiti e compari ubriachi, ironici e beffardi, mentre sulle note di una pizzaca-pizzaca, la mamma “de lu Titoru” cantava Ci te lu curciu verde La mamma chiange ca lu fiju perde Lu fiju perde….. E lu fiju ca nd’è natu È partutu allu surdatu Nà, nà e nà nì nena…. Una folta schiera di bambini, anch’essi col viso nero carbone, battendo con gran fracasso latte di zinco, seguivano un carretto sgangherato, ricoperto di drappi funerei e rami di palmizio, su cui Titoru ritrova la propria formale dignità nella morte, vestito con frac e cilindro, ma ancor deriso e sbeffeggiato da una folla di compari ubriachi e “nquatarati de fore e de intra”. Poi, alle 22 di quel martedì grasso, rintoccava il campanone di San Francesco d’Assisi. E si avviava una ciurma di improvvisati banditori con tamburo, grancassa, piffero e tromba, che seguiti da 38 “Titoru” d’altri tempi. 39 una moltitudine di ragazzi, annunziavano per i vicoli della città l’inizio della Quaresima. Ma solo a mezzanotte ufficialmente terminava il carnevale, quando ai rintocchi lugubri del campanone dei francescani una folla di penitenti in ginocchio e a capo scoperto attestavano la propria compunzione, nella consapevolezza della labilità della vita e nella speranza di un perdono divino. Un altro periodo dell’anno stava per iniziare all’alba del mercoledì delle ceneri, giorno di purificazione e di preparazione al lungo periodo quaresimale. La Caremma faceva allora capolino nei crocicchi della stradine del centro storico. Si brucia “la C a re m m a ” i n via Briganti. 40 RITI RELIGIOSI E PRATICHE PIE Accanto ai riti di origine pagana trovano la giusta collocazione quelli sacri in quanto mossi dalla fede. Il periodo quaresimale è quello in cui si condensano la maggior parte di questi riti, che sono tutti di natura penitenziale. Nella Congregazione dei Nobili di San Vincenzo Martire e della Immacolata Concezione dei Nobili Patrizi, si era soliti nei lunedì di Quaresima, incluso il lunedì santo, congregarsi “i Confratelli in chiesa alle ore 21 indi seguiranno a quelle divote funzioni di penitenza ordinate dal rito della Chiesa, il Padre rettore farà la meditazione della Passione del Signore, e dopo estinti i lumi si daranno la disciplina”. Nella Confraternita delle Anime durante la pia pratica della recita della predica , nella quarta domenica di Quaresima “si adornerà pomposamente l’altare nella chiesa maggiore e resterà illuminato nella santa messa cantata e predica, nella quale l’Ill.mo Priore e Confratelli, con i Reali Canonici che saranno invitati a questo oggetto si farà la questua in detta chiesa per tre volte”. Terminata la funzione “si anderà parimenti attorno dalli Fratelli Officiali per la cerca, ed il dopo pranzo si farà l’istesso per la Città. L’elemosina che si raccoglieranno in detta cerca si daranno a chi deputerà la Congregazione per farne messe in suffragio delle Anime del Purgatorio, senza che i Vescovi pro-tempore, o altri pos41 sono quelle impedire, e prenderle tutte, o parte per darle a chi loro piacerà”. I Confratelli nel periodo quaresimale e in determinate festività erano oggetto di mortificazioni corporali: “stare in ginocchio per qualche spazio di tempo, baciar la terra, prostrarsi a terra, tenere in mano il Crocefisso”. In questa Confraternita fino al primo ventennio del secolo scorso, venivano celebrate le feste di san Domenico di Guzman, Santa Caterina da Siena, con l’esposizione del Santisimo, San Luigi Conzaga con procesione per devozione di “alcuni giovani”. La Confraternita della Purità contemplava durante il periodo della Quaresima l’adorazione della Santa Croce con l’ufficio in tutti i venerdì di Quarsima. Il Venerdì santo invece si recitava “l’orazione della Passione” con i sette soliti Pater ed Ave. Nella Confraternita delle Anime o della SS. Trinità le mortificazioni che si praticavano erano “stare inginocchioni per qualche spazio di tempo, baciar la terra, prostrarsi a terra, tenere in mano il Crocefisso, o qualche teschio fatto di legno, tenere una croce sopra le spalle, o una corona di spine in testa o qualche fune al collo, baciare li piedi a Fratelli, vestirsi coll’abito, recitare qualche Salve Regina, De Profundis, o altro e disciplinarsi.”. Una delle pratiche pie e di carità era quella della raccolta delle elemosine per devolverle ai bisognosi. Tale pratica aveva avuto il suo inizio nel 1639 e tornò utile “verso la metà di Quaresima, facendosi dal predicator quaresimale 42 nella chiesa Cattedrale la Predica delle Anime del Purgatorio si anderà parimenti attorno dalli Fratelli Officiali per la cerca, ed il dopo pranzo si farà l’istesso per la città, l’elemosina, che si raccoglieranno in detta cerca si daranno a chi deputerà la Congregazione per farne celebrare Messe in suffragio delle Anime de Purgatorio, senza che i Vescovi pro-tempore, o altri possano quelle impedire, e prenderle tutte, e parte a chi loro piacerà”. Darsi la disciplina era abbastanza in uso in quasi tutte le Confraternite. Oltretutto era contemplato negli statuti: “Quanto al dopo Vespero che si reciteranno alcune divozioni si farà Congregazione; nelli ultimi tre giorni di Carnevale, Venerdì di Quaresima, nei quali dopo la meditazione si faranno le solite consuete funzioni della Coronella, Disciplina, ed adorazione della Croce.” Anche nella Confraternita dell’Immacolata si usavano le solite funzioni della Coronella, la mistica adorazione della croce e la disciplina corporale soprattutto durante il carnevale “per evitare l’occasione del peccato e per piangere anche le nostre colpe”. In particolare si usava tenere confraternita segreta “per quelli che si sono vestiti maschere in questo Carnevale”, i quali erano tenuti a mortificarsi davanti ai confratelli, praticando la disciplina. Ancora oggi, nell’ Oratorio dell’Immacolata, tutti i venerdì di Quaresima si è soliti fare la pia pratica delle cinque piaghe del Signore. I confratelli, partendo dalla porta d’ingresso, caricati della croce o delle “mazzare” (grosse pietre) appese al collo, salmodiando e recitando le preghiere, raggiungono in ginocchio l’altare. Il rito spesso scandiva l’incedere del tempo e ne segnava il 43 cambio delle stagioni. Fino a qualche anno fa’, per tradizione da secoli, nell’Oratorio degli Angeli, durante la messa, al Gloria, il Padre rettore celebrante, lanciava in alto la tradizionale colomba bianca, simbolo della discesa dello spirito Santo, ed alla fine della Messa si distribuivano moltissimi grappoli di ciliegie ai congregati, ma soprattutto ai fanciulli presenti nella chiesa. Rito questo che caratterizzava il cambio delle stagioni. LE MANIFESTAZIONI DI CULTO. Nelle feste religiose il momento più importante e principale è caratterizato dalle processioni nel giorno di vigilia, con accompagnamento di banda. La processione è certamente una delle forme più spettacolarizzate del culto verso i Santi. La ricorrenza del giorno ufficializzato dalla Chiesa per la solenne celebrazione delle virtù del Santo è motivo di festa popolare con inevitabili contaminazioni di tipo profano. Anche la drammatizzazione dell’evento era consuetudine di un tempo che ancora sopravvive in alcune realtà locali. A Gallipoli la teatralizzazione della ricorrenza religiosa è tipica nelle processioni della Settimana Santa con l’utilizzo della statuaria con chiaro riferimento alle fasi della passione di Cristo. Corollario erano anche “i sciudei de la bara” , devoti vestiti degli abiti della tribù di Giuda, che in funzione espiatoria sorreggevano le aste della bara del Cristo morto della Confraternita della Purità. 44 Anche il ricco addobbo della “bara”, su cui veniva issata la statua del santo, era motivo fastoso e festoso di stupore e meraviglia, avendo cura di evitare, anno per anno le inopportune ripetizioni. Ma la vera spettacolarizzazione della vita e delle virtù del Santo festeggiato avveniva mediante la rappresentazione in piazza di vere e proprie scene teatrali con testi e musiche appositamente composti da letterati e musici locali. Testimoniata abbondantemente è, a Gallipoli, la serie di scene liriche e teatrali e gli oratori sacri rappresentati in onore di S. Agata, S. Sebastiano, di S. Domenico e della vergine Maria. Lo stesso Giuseppe Castiglione nel romanzo “Roberto il Dia- EP Processione di S. Antonio (giugno 1952) 45 volo”, che narra le gesta di un pirata gallipolino sullo sfondo della presa di Gallipoli da parte dei Veneziani nel 1484, descrive la processione di Sant’Agata in modo spettacolare e folkloristico, con la rappresentazione pubblica di una “tragedia”, sottolineandone il solenne sfarzo processionale e la suggestiva coreografia. La corale partecipazione popolare veniva sottolineata dalla partecipazione dei confratelli delle locali confraternite nei loro abiti, dell’intero Capitolo, delle associazioni religiose e laiche, dei bambini spesso figuranti angeli alati. E il salmodiare dei devoti e le preci del sacerdote, erano spesso e comunque destinati ad essere sovrastati dagli inni e dalle marce solenni delle bande che in qualche modo dovevano ricordare, al di là del rito devozionale, un clima laico e festaiolo ed anticipare la grande festa popolare che si sarebbe tenuta in piazza con le luminarie, la fiera, la cuccagna ed altre stupefacenti attrazioni popolari. Processione del Bambino di Praga (Anni ‘50) 46 I SANTI PATRONI DI GALLIPOLI Tre giorni dopo l’ingresso del periodo carnascialesco, Gallipoli si adorna a festa per i festeggiamenti dei suoi santi patroni: San Sebastiano e Sant’Agata. San Sebastiano è il protettore principale della città di Gallipoli e lo si festeggia il 20 gennaio. S. Agata oltre ad essere comprotettrice di Gallipoli è anche titolare della cattedrale e comprotettrice della diocesi. La sua festa si celebra il 5 febbraio. Il culto per San Sebastiano è assai diffuso nel Salento. A Gallipoli è stato venerato fin dal sedicesimo secolo come comprotettore della città. Il giorno della vigilia il simulacro d’argento viene portato processionalmente per le vie della città vecchia unitamente a quello della comprotettrice S. Agata che sfila per primo. Vi partecipano tutte le Confraternite con le insegne e gli abiti confraternali. Nella processione del 4 febbraio invece, il busto di S. Sebastiano anticipa quello di S. Agata e ciò in considerazione della uguale valenza del patrocinio dei Santi nei confronti della città. E’ un modo anche sfarzoso di esibire solennemente i preziosi busti argentei dei Santi. Prima che il santo faccia ritorno in Cattedrale, dal bastione della Bombarda, viene impartita alla città e al mare, la benedizione 47 48 con la reliquia del santo. A conclusione dei festeggiamenti, dopo il rito religioso, il santo viene portato a spalla da quattro vigili urbani per le navate della cattedrale, dove il santo dimora. Il martire è protettore delle guardie municipali. Arruolato alla milizia romana, sotto Dioclezano, preferì morire saettato dalle frecce piuttosto che tradire la sua fede. Sul basamento della sua statua in pietra, posta in una delle due nicche sulla facciata barocca del duomo gallipolino, si leggeva un tempo l’invocazione latina a far liberare la città dalla peste. A Gallipoli la devozione a Sant’Agata è molto remota e data all’8 agosto 1126, giorno del ritrovamento della mammella della Santa nella località “Pizzo”. La sera del 4 febbraio, in uno speciale scambio di cortesie il busto della santa, preceduto da quello di San Sebastiano, processionalmente fa il giro della città attraverso le viuzze e i vicoli. Nel solenne pontificale del giorno successivo, celebrato dal Vescovo, il canonico cantore, intona il vangelo nella liturgia greca, a memoria del tempo in cui nella chiesa gallipolitana, le manifestazioni di culto venivano ufficiate nella liturgia greca. Fino a qualche anno fa, in questo giorno, era in uso l’obbedienza canonica. Il Cancelliere della Curia Vescovile, chiamava prima il clero, seguito dai Priori delle Confraternite, e successivamente i rappre49 sentanti delle associazioni religiose e laiche. Tutti erano tenuti ad inginocchiarsi davanti al Vescovo ottemperando formalmente all’obbligo di obbedienza baciando l’anello vescovile e consegnando quale tributo una candela. Disegno della reliquia di S. Agata 50 Piedistallo argenteo conservato nel tesoro di S. Agata. LA SINDONE GALLIPOLINA L’ostensione della Sacra Sindone custodita nella Cattedrale di Sant’Agata, come una delle poche copie esistenti al mondo, rappresenta il rito delle piaghe del Signore, che inizia il primo venerdì di Quaresima e finisce il Venerdì prima della Domenica delle Palme. La copia della Sacra Sindone di Gallipoli ha una storia che comincia nel 1500. Il culto risale presumibilmente alla fine del XVI secolo. L’ostensione del sacro lino (dal greco “sindon”), anticamente avveniva nel primo altare di sinistra entrando in chiesa, dedicato a Sant’Isidoro Agricola e che sulla sommità del dipinto ha un crocefiso con ai lati Maria e Maddalena. Il diritto di patronato di questo altare è riservato al “Capitolo Cattedrale”. Per la tradizione cristiana la sacra Sindone corrisponde al drappo di lino che gli Ebrei impiegavano per avvolgere i cadaveri prima di dar loro sepoltura. I vangeli parlano della Sindone come del sudario funebre con cui venne avvolto il corpo di Gesù Cristo, prima della deposizione nel Sepolcro. Il telo impresso a tempera con l’effigie del Cristo deposto rilevata dall’impronta della Sindone di Torino, fu portato in città da monsignor Sebastiano Quintero Ortis, nato a Granada in Spagna e consacrato Vescovo di Gallipoli il 17 febbraio 1586. Fu vescovo di Gallipoli fino al 1593.. Si pensa che questa reliquia sia stata poggiata sul suo originale, in occasione del pellegrinaggio che fece San Carlo Borromeo 51 da Milano a Torino nella cappella di San Lorenzo, nel 1578. La copia di Gallipoli misura metri 4,10 per 1,40. Sul telo si legge anche la riproduzione dei segni lasciati sulla Sindone dall’incendio avvenuto a San Chambery nel 1532. Croce dei Misteri con i simboli della Passione di Cristo. 52 I RITI DELLA PASSIONE Affermava il valtellinese Pietro Maisen scrivendo delle qualità civili, morali e religiose della popolazione gallipolina “Molto ligio alla propria religione è il popolo gallipolino…” aggiungendo che “Le feste religiose si celebrano in Gallipoli con grande solennità…”. Giuseppe Castiglione annotava nel 1853: “continue sono le festività religiose che vengono celebrate con ogni sontuosità” e “le processioni devote attirano la curiosità dei forestieri …”. Ma, al di là di tali autorevoli testimonianze. è indubbio il fervore religioso del popolo gallipolino e la sua corale partecipazione ad una ritualistica codificata attraverso un vissuto religioso sentito e condiviso in secoli di storia. Papa Woytila parlando ai Messicani nel lontano 1979 sottolineava come “la pietà popolare non è necessariamente un sentimento vago, carente di solida base dottrinale, come una forma inferiore di manifestazione religiosa... è al contrario, la vera espressione dell’anima di un popolo, in quanto toccata dalla grazia e forgiata dall’incontro felice fra l’opera di evangelizzazione e la cultura locale...”. L’Enciclica “Evangeli Nuntiandi” di Paolo VI insegna che la religiosità popolare “è ricca di molti valori: manifesta una sete di 53 Dio, che solo i semplici e i poveri possono conoscere”. Essa comporta l’umanizzazione della figura divina. In tal modo il Dio del popolo ha ben poco in comune col “Deus absconditus” dei teologi. E’ un Dio che accompagna l’uomo non solo nella scansione temporale del vivere quotidiano, ma specialmente nella sofferenza e nella sopportazione. Più che a Dio Padre, creatore e giudice, il popolo si rivolge a Cristo e Maria, che rappresentano le due figure più umanizzabili, più vicine ai problemi terreni. Non è un caso certamente che siano proprio i “riti della Settimana Santa” a costituire uno degli aspetti più significativi della pietà popolare. Ed è evidente che non si può parlare di riti e manifestazioni di culto a Gallipoli se non si fa riferimento al grande fervore confraternale che incise porofondamente nella pratica cristiana dei laici. La ritualistica della Settimana Santa è perciò tutta codificata da questo vissuto confraternale e conformato soprattutto ad una immensa venerazione per Maria Vergine Madre di Dio e per suo Figlio il Dio Redentore. Qui a Gallipoli è eccezionalmente umanizzato, fino alla corale condivizione, il dolore di Maria, la madre, e ne è esaltato il suo tormento di fronte alla morte del Figlio divino, ritenendosi quasi scontato, culturalmente e religiosamente assorbito, il mistero grande della Passione e morte di Cristo per la redenzione del genere umano. 54 Ecco perchè qui si anticipa, al Venerdì antecedente la Domenica delle Palme, la grande e solenne ritualistica dell’Addolorata. Non c’è chiesa o Oratorio a Gallipoli che non possegga un simulacro di Maria Addolorata e nelle case una folla di devoti custodisce la santa effigie della Vergine. soprattutto in cartapesta. collocata sotto una campana di vetro, a ricordo della particolare devozione delle proprie madri ed oggi testimone di un rinnovato fervore devozionale corroborato da consolidate convinzioni di fede. Padre Luigi Tasselli, lo storico autore de “Le antichità di Leuca” stampata a Lecce nel 1693, sottolineava la grande devozione della città di Gallipoli verso la Vergine Addolorata ritenendola derivata da quella che gli Aragonesi riservarono nel XV secolo a Maria. Dal 1838, la solenne celebrazione dell’Addolorata è curata con grandissima devozione dalla Confraternita di Santa Maria del Monte Carmelo e della Misericordia avendo, tra i suoi tanti obblighi statutari, quello di commemorare il Dolori di Maria nel Venerdì precedente la domenica delle Palme. Quel Venerdì allora diventa per Gallipoli un giorno di mestizia e di dolore. Non vi è festa di piazza, non bancarelle, non luminarie né petardi. Ma semplicemente compartecipazione al dolore della Madre dolente. E’ giorno di lutto e di digiuno. A mezzogiorno, quando il Simulacro della Vergine esce dalla “sua” chiesa per essere portato in Cattedrale, la banda alterna marce composte per la ricorrenza dai compositori locali Ammassari, Bianco, Frisenna, De Somma, Panico, Pindinelli, Cardone. 55 Qualche anno fà, il mercoledì prima dell’inizio della “Settena” la statua veniva vestita dalla nobile famiglia Ravenna, nella cappella privata del proprio palazzo, che per antica tradizione godeva di questo privilegio. Vestire la Madonna è una preghiera, una devozione, un rito perché gli abiti, la biancheria, gli ori che la coprono sono offerti dai devoti di ogni categoria sociale, per un voto fatto, per una grazia ricevuta. La vestizio-ne della Madonna è riservata alle donne. Da questo rito non sono esclusi però gli uomini, che con mani amorose partecipano all’antico rito carico di simbolismo. Rito della vestizione dell’Addolorata. 56 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 La vestizione delle statue lignee è un rito assai antico e 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 risale addirittura al periodo pagano. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 Pausania, un autore del II sec. d.C., descrive i celebri 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 Xoana della Grecia Antica, ancora esistenti ai suoi tempi, come 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 dei manichini di legno a grandezza naturale che rappresenta123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 vano la divinità. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 In Europa nel Medioevo, incominciarono ad addobbare 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 le sculture in legno, di bronzo, di pietra con ori e vesti prezio123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 se. Nel rinascimento si rafforza il culto mariano e si arricchi123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 scono i gardarobe delle Madonne. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 I manichini vestiti sostituiscono le statue in pietra e in 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 bronzo perché non idonei al trasporto processionale. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 Possono essere completamente in legno, oppure solo le 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 parti visibili, tipo piedi, mani e testa. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 Il corpo era fatto da una struttura lignea imbottita di 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 paglia e stoffa. Gli abiti sono arricchiti dalla preziosità dei tes123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 suti di un tempo realizzati con disegni, telai e lavoro manuale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 che occupava diverse persone. La biancheria intima è rappre123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 sentata da corpetti, manichette, camiciole, sottogonne, sotta123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 ne in cotone, lino ricamate ed ornate da merletti realizzati ad 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 ago, all’uncinetto e da semplici ricami. Le parrucche delle 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 Madonne sono prodotte da capelli veri. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456 57 Lo squillo lacerante della trom-ba e il rullare angoscioso del tamburo, aprono la processione e annunciano l’inizio di una settimana di passione e di fede. Alle 12 in punto i confratelli in abito confraternale completamente nero e con la candela a quattro luci, accompagnano Maria santissima, nella Basilica Cattedrale, insieme al Vescovo, ai sacerdoti e alle autorità civili e militari. Il corteo processionale è aperto dal pennone della confraternita, listato a lutto, seguito dalla croce dei Misteri della Passione sostenuta da un sacerdote. La sacra immagine è vestita di nero, all’uso francese, con veste trapuntata di delicati ricami dorati. Una corona d’argento le sormonta il capo ricoperto da un lungo velo che Le ricopre le spalle. La partecipazione della gente è commovente e carica di pathos. Ogni madre si immedesima nel dolore della madre per la perdita del figlio ed ogni uomo riconosce in Maria quell’amore immenso di cui solo una madre può essere capace. Alla celebrazione eucaristica in Cattedrale segue l’esecuzione della “Frottola”, una tipica composizione musicale a più voci che trova la sua origine nell’oratorio sacro, poi influenzato dal genere melodrammatico. E’ una drammatica rappresentazione in musica e canto dei dolori di Maria e della Passione e morte di Cristo che verrà ripetuta in più chiese nel corso del lungo peregrinare della solenne processione per le vie della città. 58 Carico di suggestione e di commozione è il rito della Benedizione del mare, dal bastione della “Bombarda”, comunemente detto di San Giuseppe, prospicente al porto mercantile. Maria dall’alto benedice tutti e ne riceve la commossa e partecipata risposta di tutto il suo popolo con prolungati suoni di clacson e delle sirene dei natanti ormeggiati al porto. E’ devozione nel giorno dedicato a Maria che le donne reciti- La statua dell’Addolorata. 59 no mille “Ave Maria”. Nel momento del bisogno però ecco pronta la richiesta “Madonna mia famme la crazia, pe quidde Ave Maria ca te tissi”. LA FROTTOLA Tradizionalmente, nel giorno dedicato alla Vergine Addolorata, viene eseguito l’oratorio sacro. Alternativamente, negli anni, avviene l’esecuzione delle frottole “Ahi Sventura”, “L’han confitto” e “Una Turba di Gente”, composte dal maestro gallipolino Francesco Luigi Bianco, vissuto tra il 1859 e il 1920. Viene anche eseguito lo “Stabat Mater” del maestro Monticchio. La frottola nel linguaggio musicale corrisponde ad una composizione “leggera e scherzosa” che a Gallipoli, a far tempo dal 1697, fu introdotta da Fortunato Bonaventura nipote del maestro di Cappella Giuseppe Tricarico e per la prima volta tra il 1733 e il 1740 venne eseguita nella chiesa delle Anime in ricordo dei dolori di Maria. Svariati sono stati i maestri che nell’ultimo secolo l’hanno diretta. Dal maestro Angelo Schirinzi, Gino Metti, al maestro Giorgio Zullino il quale insieme a Metti, ha composto un preludio dedicato alla Madonna, al maestro Gino Ettorre, francescano, professore nel Conservatorio di Lecce. L’onore e l’onere di dirigere l’orchestra e il coro composto dalle scholae cantorum delle Parrocchie di Gallipoli, è toccato anche alla maestra Gabriella Stea e al maestro Enrico Zullino, che l’ha diretta in questi ultimi anni. 60 “I SEPOLCRI” E LE PROCESSIONI DEL VENERDÌ SANTO Giovedì Santo, la chiesa celebra l’istituzione dell’Eucarestia. Nelle chiese confraternali e parrocchiali di Gallipoli viene allestito l’altare della Reposizione, comunemente detto “Sepolcro”, addobbato con ceri, damaschi drappeggiati e piatti di grano, fatto germogliare al buio dalla quarta domenica di Quaresima. Le confraternite, ad intervalli una dall’altra, si recano in processione nelle varie chiese a visitare i “sepolcri”. La visita ai “sepolcri” è una manifestazione di culto che viene sancita da ogni statuto e all’atto della erezione. La confraternita di Santa Maria del Monte Carmelo lo fa per “vetusto privilegio confermato il 28 marzo 1772 per il pellegrinaggio nel giovedì santo con speciali insegne di Pellegrini” La Confraternita dell’Immacolata il rito lo espletava, la mattina del Venerdì santo con l’obbligo di intervenire “tutti li Confratelli a vestire il sacco e per la visita de li santi sepolcri processionalmente con li Religiosi, portando li Fratelli la bara di Cristo morto adornata di lumi, e della Vergine Addolorata, e chi mancherà senza giusta cagione riceverà dal Priore una competente mortificazione” (22 maggio 1747). Tale processione fu ferma per parecchi anni. Per svariati motivi. Nel 1908 per esempio non uscì “a causa delle mozzette sdrucite, rattoppate e scolorite”. Si tentò di riprendere il rito nel 1923 chiedendo il prescritto 61 Visita al “Sepolcro” di S. Teresa. 62 benestare alla Curia vescovile “constatando che le Congreghe degli Angeli, Purità e Crocifisso godono di un tale permesso per la processione di Venerdì santo, rivolgono alla Reverendissima Curia Vescovile la loro preghiera di accordarli il permesso per la processione di Venerdì Santo con la Statua dell’Addolorata e con quella di Cristo Morto, di cui se ne sono già provvisti”. Permesso che non fu accordato per il generale divieto espresso dalla Congregazione dei Sacri Riti, che da tempo intimava la soppressione delle processioni per la visita ai sepolcri con le statue del Cristo morto e dell’Addolorata. Era evidente comunque la finalità di tali disposizioni in quanto occorreva riportare al suo vero significato liturgico la ritualistica dei “sepolcri” che commemora l’istituzione della Eucarestia e l’inizio della Passione di Cristo nell’orto di Getsemani . Nel 1928 il Cardinale Gaetano Sbarretti, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, aveva anche negato il permesso alla Confraternita della Purità di far uscire la processione per la visita ai Sepolcri, il venerdì santo dalle 4 alle 7 del mattino. La richiesta del priore indirizzata alla Curia di Gallipoli, aveva ottenuto il parziale permesso “purchè la processione non porti la statua dell’Addolorata e del Cristo morto essendo ciò vietato dalla S. Congregazione dei riti. Se poi la Confraternita volesse portare le dette statue questo si permette solo nel sabato santo nelle prime ore del mattino in modo di ritirarsi verso le 7” 63 Anche la richiesta fatta al Prefetto della Congregazione “allo scopo di implorare grazia” aveva avuto lo stesso risultato. Nella sua accorata petizione il priore sosteneva che “da secoli questo popolo ha affluito insieme con la Confraternita nelle ore mattutine del Venerdì santo per la visita ai Santi Sepolcri, portando in giro la statua della Pietà con Gesù morto cui il popolo è attaccatissimo”. Il divieto a portare la Tomba in “detta processione del venerdì santo” avrebbe “alienato” i confratelli “al punto che centinaia di uomini non fanno più da anni il precetto”. La Congregazione fu irremovibile e la Purità potè organizzare la sua processione, ma solo con la statua della Desolata. Processione che si dismise dopo qualche anno, ma che riprese, con qualche polemica, nel 1974 e che dura tuttora. La Confraternita degli Angeli iniziò ad organizzare la processione con il Cristo morto il 29 marzo 1866, anno in cui in detta chiesa avvenne la benedizione della statua attribuita ad Achille De Lucrezi, il cartapestaio leccese considerato “il beniamino dei gallipolini”, da usarsi nella processione della visita ai Sepolcri. Detta processione fino al 1947 veniva organizzata all’alba del venerdì santo fino a quando, cioè, il vescovo mons. Margiotta impose che la processione si svolgesse “nel pomeriggio del Giovedì santo, anziché all’alba del Venerdì in considerazione dei cattivi tempi che da sei mesi impediscono la pesca, mentre si spera che venerdì sia buon tempo propizio per avviarsi al mare”. Un poco di pioggia pomeridiana fece ritardare fino al tramonto l’uscita della Processione, “la 64 quale ha visitato le Sette Chiese della città vecchia e le due chiese del Borgo (Sacro Cuore e Canneto) percorrendo fra l’una e l’altra visita quasi tutte le strade della città vecchia e della città nuova, e rientrando nella nostra chiesa verso mezzanotte”. “Lu ssuppiju” all’alba del Venerdì Santo del 1927 (da un dipinto di G. Pagliano posseduto da E. Vernole). Una delle prime Confraternite, di cui è attestata la pia pratica della visita ai Sepolcri fu quella di San Giovanni Battista, organata nella chiesetta dove attualmente si venerano i santi Cosma e Damiano. I fratelli della Confraternita del Monte Carmelo e della Misericordia dal mezzogiorno del Giovedì e fino alle 11 del Venerdì procedevano a coppia, separati e accompagnati dal correttore e si reca- 65 vano ai “sepolcri” per l’ora di guardia. La processione successivamente si ricomponeva e insieme, dopo essersi salutati, incrociando il bordone, raggiungevano la loro chiesa. Il bordone, o bastone del pellegrino, è privilegio, insieme al cappello, anche delle Confraternite della Santissima Trinità e di Santa Maria della Neve (o Cassopo). L’incedere così lento e maestoso dei fratelloni ha infervorato la fertile fantasia del popolo che ha fatto accostare questi fratelloni ad esseri fantastici che incutono spavento ai piccoli, indicandoli col termine dialettale “mai”, che è la sincope della parola italiana mago. Le nostre nonne usavano l’espressione “ma-mau” per incutere paura verso i bambini. Anticamente, prima della riforma liturgica, quando cioè Cristo risorgeva il mezzogiorno di sabato, la funzione del Giovedì Santo cominciava fin dalla mattina presto. A mezzogiorno in punto, “per privilegio secolare” usciva la processione della Confraternita della SS. Trinità e Purgatorio ( dei nobili) poi di Sant’Angelo (dei nobili patrizi), indi seguivano quelle del Rosario, Santa Maria del Cassopo, Sacro Cuore, San Giuseppe, San Luigi, Santi Medici. Alle 17,30, usciva la processione della Confraternita degli Angeli “lunghissima e ricca di simbolismo col gruppo statuario di Cristo morto fra gli Angeli, impugnanti gli arnesi del martirio”. 66 La processione era frequentata dai penitenti che procedevano “an patulu”, cioè scalzi. Nella chiesa sono ancora conservate le “mazzare” che i penitenti portavano appese al collo. L’ultima edizione di queste processioni del giovedì è stata nel 1953. Nella notte tra il giovedì ed il venerdì uscivano le processioni della Purità e dell’Immacolata. Nell’oratorio dell’Immacolata, ogni anno il Venerdì Santo, vengono rispolverate e montate su l’altare alcune scenografie della Passione di Cristo, dipinte dai fratelli Nocera, nei primi anni del 1900. Confraternita dell’Immacolata, Rappresentazione della Crocifissione. 67 68 LA PROCESSIONE DELL’”URNIA” Volendo azzardare una tesi, circa l’inizio di questa pratica devozionale a Gallipoli ed interpretando le annotazioni che chiaramente compaiono sul registro dei conti ,dal 1733 al 1740, della Confraternita delle Anime, potremmo affermare che la prima Congrega ad organizzare la processione del Cristo Morto nel Venerdì Santo e l’e-secuzione della Flot-tola in memoria dei Dolori di Maria Addolorata fu proprio questa Confraternita.· Il Venerdì San-to invece, “tre ore prima del tramonto”, proprio Processione del Venerdì Santo. L’Addolorata della Confraternita degli Angeli. 69 nell’ora in cui moriva Gesù, usciva la processione della “Tomba”, detta “de l’Urnia”, organizzata da sempre dalla Confraternita del SS Crocifisso. Nell’atto costi-tutivo di questa Confraternita (1643) si chiede espressamente che i confratelli celebrino “con viva fede” la Passione di Cristo, attraverso le funzioni e la “significativa processione del Cristo Morto nel giorno di Venerdì santo”. A questo sodalizio laico si associavano di regola i bottai, categoria artigianale che purtroppo non esiste più. Precedono il Cristo morto, opera lignea del XIX secolo, una serie di statue in cartapesta, realizzate su committenza del sodalizio, dal contemporaneo cartapestaio leccese Mario Didon-francesco e raffiguranti i misteri della Passione di Cristo. Processione del Venerdì Santo del 1953. 70 Statua del Cristo alla colonna della Confraternita del Crocifisso. I fratelli, con sacco, cappuccio rosso e mozzetta azzurra, portano in testa una simbolica corona di spine. Seguono i fratelli degli Angeli (dei pescatori), con sacco e cap-puccio bianco e moz-zetta celeste, e accompagnano la statua di Maria Addolorata. Presumibilmente la statua lignea del Cristo morto risalirebbe alla prima metà dell’800. Nell’inventario del 1728 dei beni della Confraternita la statua non compare mentre, invece è citata nella visita pastorale di Mons. Antonio La Scala del 1855, dove si legge tra l’altro: “adest lignea effigies satis devota Christi jacentis in sepulcro cristallis clausa”. 71 I PENITENTI Per qualche anno sembrava che fossero stati ormai aboliti. Poi c’è stato un ritorno di fiamma e si sono riaffacciati a sfilare insieme ai confratelli. Tutti rigorosamente incap-pucciati, portando grosse e pesanti pietre appese al collo (mazzare) o percuotendosi il petto e la spalla con il cilicio. C’è chi cammina scalzo portando sulle spalle una grossa croce di legno, mortificando il proprio corpo in segno di penitenza, pratica questa che trova il suo fondamento nell’ ”imitatio” della Passio- Penitente con la “mazzara”. 72 Giovane penitente Penitente con la croce 73 ne attraverso la “disciplina, intesa co-me penitenza, nella quale l’uomo rivive spontaneamente la sofferenza del Cristo”. Questa manifestazione penitenziale e spettacolare del popolo, si esprime inizialmente con il movimento dei “flagellanti” che si propagarono in Italia, in un irrefrenabile impeto di devozione penitenziale sin dal 1262. La processione del Venerdì santo è, perciò, l’espressione più esaltante e più sofferta delle sacre rappresentazioni. Spesso le Con-fraternite medioevali rappresentavano con cupo, triste e a volte pauroso realismo, nei giorni che ricordano la Passione di Cristo, le sofferenze patite dal Dio fattosi uomo per redimere dal peccato il genere umano. Sono queste espressioni penitenziali drammatiche che rendono i riti della Settimana santa uno dei momenti religiosi più significativi di tutte le celebraioni pugliesi e del Mezzogiorno d’Italia. Giovane penitente 74 LA PROCESSIONE DELLA DESOLATA CON I “SCIUTEI DE LA BARA” L’alba del Sabato Santo saluta la processione di Maria Desolata ad opera della Confraternita di Santa Maria della Purità, costituita originariamente dai “bastagi” o scaricatori di porto. La statua, splendito lavoro in cartapesta del ‘XIX secolo, viene preceduta da Cristo morto, disteso in un’urna dorata. Nei primi del 900 la bara veniva portata a spalla da confratelli che indossavano vestiti dai colori simili a quelli del popolo ebreo e con le stesse striature della livrea delle “donzelle”, che il popolo chiama “sciutei”. 75 Proprio per questo accostamento, quelli che portavano la bara del Cristo venivano chiamati “li sciutei de la bara”. In questo modo si voleva rappresentare l’espiazione della colpa del deicidio perpetrato dal popolo ebraico, secondo un insegnamento della Chiesa, oggi per fortuna rinnegato. Il momento più suggestivo e toccante della processione è rappresentato senz’altro dall’incontro della statua della Vergine con quella de Figlio morto, al largo della Purità, davanti alla chiesa per l’estremo saluto, con il mare sullo sfondo e una folla immensa, commossa, a far da cornice. 76 LA FAMILIARITÀ DEL POPOLO GALLIPOLINO CON LA SACRA FAMIGLIA Da Giovedì santo a Sabato santo insomma la città si carica di un lutto collettivo, che ha come nucleo speciale di riferimento la Chiesa, intesa come casa di Dio. Il Cristo allora viene pianto e accompagnato con intensa partecipazione corale da uomini e donne, con un rito uguale a quello che avviene nel privato. Se da un lato il comportamento dei “fratelli della bara” durante le processioni funebri, potrebbe far gridare allo scandalo, per l’abbigliamento degli stessi non proprio consono all’evento, (jeans e scarpette di gomma)dall’altra trova giustificazione, proprio in questo considerare il Cristo morto, uno di famiglia. E’ per ciò che la Chiesa, investita dalla morte di Cristo, assume tutta la dolente domesticità della casa. La visita ai sepolcri viene fatta, forse è meglio dire, dovrebbe essere fatta, silenziosamente, senza scambiare il saluto lungo le strade, fra conoscenti. Una sorta di “familiarità riverente” si instaura dunque con la Sacra Famiglia. 77 SEGNI PAGANI NELLA PASQUA CRISTIANA La Pasqua è una festa che ha profonde radici sacre e rituali che accomuna più popoli. Anticamente la festa era fissata il 14 del mese dell’anno, che coincideva con l’inizio della Primavera e ricordava la liberazione del popolo Ebraico dall’oppressione dei Faraoni. La Pasqua cristiana viene celebrata per commemorare la risurrezione di Cristo e risale al II-III secolo. Il primo retaggio ebraico della ricorrenza lo troviamo già nella data. La Pasqua infatti è regolata dal calendario lunare e cade nel primo plenilunio, dopo l’equinozio di primavera e si colloca tra il 21 marzo e il 26 aprile. Su questa data si regolano tutte le altre feste mobili : Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini e SS. Trinità. Nella Pasqua cattolica ricorrono gli stessi elementi della Pasqua ebraica, ma a questi se ne sono aggiunti altri, provenienti dalla tradizione pagana. Nell’antico Egitto si celebravano numerose risurrezioni di Osiride. La leggenda racconta che Iside, sua sorella, lo pianse amaramente e vagò per tutto l’Egitto alla ricerca delle sue spoglie. Trovatele, le ricompose e durante la veglia germogliò una spiga di grano. La morte di Osiride, morte rituale, era la trasposizione 78 della rinascita della Terra, della trasmigrazione delle anime, della risurrezione attraverso la natura. Un’altra consuetudine di origini pagane è il rametto di ulivo, il quale assumeva valore esorcizzante. In epoca pre-romana il ramo d’ulivo veniva usato per purificare le case dagli spiriti maligni. Per i cristiani invece il rametto d’ulivo è simbolo di pace. A Gallipoli e nel salento il rametto benedetto nel giorno della Domenica delle Palme viene meso o dietro la porta d’ingresso o in capo al letto. La Pasqua cristiana continua ancora oggi a conservare i suoi caratteri fondamentali, poiché diventa assai arduo modificare usanze e convinzioni che si tramandano da secoli di generazione in generazione, con l’aggiunta di altri di provenienza pagana. Forme e grandezze di varia misura assumono i “piatti” di grano, fatto germogliare al buio fin dalla quarta domenica di Quaresima, posti davanti al “sepolcro”. Nella cultura pagana il grano fatto germogliare veniva usato per celebrare la risurrezione dalle tenebre di Atis e di Adone o come simbolo del rinnovarsi misterioso delle messi, dalle quali dipendeva la vita dell’uomo. 79 LA CAREMMA Una manifestazione popolare, caratteristica della Pasqua è l’accensione della Caremma. Un fantoccio di paglia con sembianze femminili in gramaglie rappresentante, nella cultura popolare gallipolina la mamma “de lu Titoru”, ma in senso figurato la quaresima dal francesce “Careme” . E ‘ una figura scaramantica ed sorcizzante, simboleggiando 80 l’astinenza e la mortificazione del corpo. A questo fantoccio il popolo ha assegnato una funzione calanderiale rappresentandola provvista di fuso al cui filo è agganciata un’arancia nella quale vengono confitte sette penne di cappone. Ogni penna rappresenta una delle sette settimane di quaresima e col loro trascorrere ogni penna viene rimossa fino all’ultima, il giorno di Pasqua. Questa simbologia con il fuso appeso rimanda ai miti delle Parche e alla parafrasi della vita che l’una Parca fila e l’altra tronca. Qui la simbologgia rimanda ad una cultura ancor più profonda in quanto le Parche rappresentano nella cultura pagana il destino, il fato, mentre la Caremma è la cultura cristiana dell’aspettazione del Dio che si è fatto Uomo e che con la sua Passione e morte ha redento il mondo promettendo la resurrezione dei morti nell’eternità dei cieli. Bruciare la Caremma quindi è alla fine un rito salvifico e di purificazione che distruggendo col fuoco il passato prefigura la beatitudine dell’anima. Questa tradizione viene rinnovata ogni anno da alcune associazioni di tradizioni popolari e lo sparo della Caremma avviene lungo scarpata del Rivellino. Anticamente il rito, con le Caremme appese ad ogni incrocio nelle stradine del borgo antico, veniva celebrato sabato a mezzogiorno, accompagnato dallo scampanio che annunciava la Pasqua di Risurrezione. 81 LA PASQUA IN CUCINA Nel periodo pasquale a fianco delle tradizioni religiose e pagane trovano una loro giusta collocazione quelle gastronomiche. Spesso si usa mangiare un “piatto” per tradizione e “devozione”. Espressione assai comune tra il popolo, riuscendo così a far conciliare il sacro con il profano. Nel giorno dedicato a Maria Addolorata, giorno di digiuno canonico, è consuetudine mangiare a pranzo fagioli lessi conditi con olio e limone, un piatto tipico della tradizione carmelitana rigorosamente seguita dai confratelli di Santa Maria del Monte Carmelo e della Misericordia. A cena “pasta alla pizzaiola” con acciughe, capperi, tonno e peperoni sottaceto (allu suzzu). Durante il ciclo pasquale bisognava astenersi dalle carni e dai derivati degli animali come il latte ed i formaggi. A caratterizzare però gastronomicamente il giorno di Pasqua è lu “spazzatu”. Viene preparato con carne di agnello, uova, formaggio, pan grattato e prezzemolo. In questo giorno, alcuni anni addietro, dalla tavola non poteva mancare “lu benatittu”, un piatto preparato con uovo sodo, un finocchio, un’arancia ed un pezzo di pane, che il sagrestano aveva cura di portare nelle case, dopo averlo fatto benedire dal parroco. 82 Anticamente al posto dell’uovo sodo si preparava l’agnello, la cicoria al posto del finocchio ed il pane era azzimo secondo l’usanza ebraica. In casa poi veniva conservato un pezzo di quel pane benedetto e nel caso di tempeste lo si gettava in mare per farlo calmare. Questo rito rievoca il sacro rito ebraico della primavera. L’uovo sodo, presente nella cucina pasquale gallipolina e del Salento, nella simbnologia pasquale racchiude il mistero del mondo nella sua forma finita, tondeggiante. All’uovo veniva riconosciuto il simbolo della fecondità e della vita. Nel giorno di Pasqua si usava mangiare la “cuddura”, una sorta di pane con l’uovo sodo, sorretto da due bastoncini a forma di croce, simbolo della fede e della pace. Anche l’uovo, cucinato a bagnomaria, assume il significato del ciclo che ricomincia. Tra l’altro l’uovo sodo fu anche uno dei cibi che il popolo ebraico portò con sé durante la fuga in Egitto. “Le canne pe le pupe” gridavano un tempo alcuni venditori ambulanti. In effetti le canne, opportunamente lavorate, servivano alle massaie gallipoline per confezionare con pasta dolce le “pupe” per le bambine e i “cadduzzi” per i maschietti. Il primo morso, tendente a mozzargli la testa veniva dato sabato a mezzogiorno, quando “scapulavene” le campane per annunziare il Cristo Risorto. 83 LA PASSIONE DI CRISTO VISTA DAL POPOLO ATTRAVERSO ALCUNI CANTI NARRATIVI CHE VENIVANO RECITATI ANTICAMENTE DAVANTI AL SEPOLCRO. Le ventiquattr’ore della Passione di Cristo Prima ora è già sunata Gesù meu facia la cena Cu li soi biati apostuli La facce soa serena. Alle doi Lavau li pieti Comu era ordinatu Pe liberare Giuda de paccatu. Alle tre Mo’ se mbicina lu strumentu Pe stituire lu Santissimu Sacramentu. Dopu desciunau Giuda tradimentu preparau. Alle quattru Lu meu Signore Pe caritate fice nu gran sermone. Ci Giuda se pantassi (pentisse) Lu sou Maestru lu critasse. Alle cinque 84 Se ncaminau Versu l’ortu se n’andau. Alle sei Cu Patre Eternu se cquistau La sua Morte e Pasione cuntemplau. Alle sette comu nu marfattore foe ttaccatu Alle ottu Lu meu Signore cu la sua facce biata Riciavia na crutele scurisciata. Alle nove De li Sciutei foe schiaffisciatu, Alle dieci Foe postu carciaratu. Alle undici Foe ncusatu Alle dutici Lu prucessu e la causa A Pilatu foe purtatu. Alle tridici ore Lu Salvatore te janca veste tuttu schernitu. Na canna alli mani trattatu te pacciu E lu nostru re ciujeddi lu canuscesse. Alle quattordici ore Tutti critara: Crucifigge, crucifigge Pilatu nu face nienti e vae all’uffigiu Alle quindici ore Li chiovi e li martieddu preparati. 85 Le sidici sunate Le tempie soi divine curunate de spine. Trapassanti de lu sou visu Grande Re de Paratisu… Alle diciassette Tutti critare : fazzu Diu Nazarenu Re de li Sciutei. Alle diciottu ore Foe spujatu e postu n’croce. Alle diciannove Fice nu testamentu Ca de la Madre soa bia gran turmentu. Se utau a san Giuvanni; “Te la raccumandu la mia cara Matre mentru lu Spiritu meu vae ulandu. Alle vint’ore Ciarcau de vivere (bere), Subitu nde foe tatu citu e fele. Alle vint’unu Cumparse Lunginu E scuperse lu custatu sou divinu Alle vintitoi Ncrinau la capu Alle vintitrè Su monte Carvariu foe renduttu. Alle ventiquattru 86 Mortu e sebburtu. Le vintiquattr’ore ci bimu tittu Suntu la Morte e Passione de Gesù Cristu. Il popolo recitava ancora davanti al “Sepolcro” nel giorno di Giovedì Santo…. Caru fiju de Diu, quantu me amasti Pe la tua cara vergine Maria, trentatrè anni de mundu caminasti maraculi facisti notte e dia. Tutti quanti li toi dascibbuli chiamasti E li chiamasti pe tua cumpagnia. A tutti quanti li pieti nde sciacquasti Pietru sulu foe ci strulacau. “Maestru nu me li fare sti misteri ca mo’ piju la via e me nde vau” “Pietru ci nu mboi sti misteri nu guadagni la crolia de li celi”. Subitu la parola riturnau: “Maestru lavame de capu an pieti pe guadagnare la crolia de li celi”. Unu pe unu se li cunfassau A ringa a ringa se li cumunacau, benedisse la taula cu tuttu lu sou mangiare cu tuttu lu sou vivire, quandu stava a mienzu la cena tisse: “A cquai nc’è unu de vui ca m’ha tratire” 87 Se utau San Giuvanni cu la ucca te viola: “Te preu Maestru meu me l’aggi dire quale è de nui ca t’ha tradire ». Quiddu ci cala a pijare lu primu uccone Quiddu sarà pe me lu traditore”. Versu la sua Madre se ne andau: “Madre” tisse “tamme la santa benedizione ca è rrivata l’ora cu me nde vau. E’ rrivata l’ora de la morte mea”. “Fiju te sia santa e beneditta l’acqua ci te manai te capu an pete quandu me nde fuscì intra l’Ecittu ci me ncuntrau l’Arcangiulu Cabrieli”. “Matre, m’hai datu la santa benedizione ma si’ rumasta spritta cu dulore”. Versu li soi dascibbuli se n’andau, e li truvau tutti durmantati. “zzateve”, tisse “fiji mei e vicilati c’have banire Giuda traditore. Vene cu na squatra te surdati Vene a pijare me, lu gran Signore”. Se mena Giuda cu malizia piena A basare Cristu cu fausi nganni Ma li Sciutei chini te manere Ci nde tirau la varva e ci li carni. Se mena Pietru cu la spata a manu 88 E taja na ricchia a nu surdatu: “Quetu Pietru”, disse Gesù Cristu, “nu cirrire ngannu ca a cantata te caddu te puru m’hai nacare”. Pietru lu fariu e Gesù Cristu lu sanau. Allora Pietru tise: “scire me nde ulia intra l’Ecittu mo’ lu chiangerò lu meu paccatu, parcè lu Maestru meu l’aggiu nacatu”. Su lu Monte Carvariu foe strascianatu Ogni ommu critava: “malfattore” Sinu la sciuteca foe giutacatu. La Matre soa A mbrazze tania nu chiascione Su le razze soi nde foe calatu Quandu calau tese nu gran sprandore Quistu è lu veru Diu ca nd’ha criatu. Ci la tice e ci la sente Quaranta giurni te ndurgenze, ci la tice cu veru core an paratisu quandu more. Ma il popolo gallipolino animatio da un’ncrollabile fede e aiutato da una fervida fantasia dinanzi a Gesù Sacramentato faceva ancora sentire la sua voce che sgorgava dal profondo del cuore con: Sapurcu meu gloriosu Grande sì e de crande amore Lu corpu tou preziosu 89 Stese chiusu quarantott’ore. De lu populu visitatu E de la cristianeria De lacreme vagnatu De la Vergine Maria. Oppure con queste tre quartine che esprimono tutto il dolore di una Madre in cerca del proprio figlio e che lo trova pronto per salire sul legno di croce : Chiangi, chiangi Maria, povra donna Ca lu fiju tou è sciutu alla cundanna, nu spattare cchiui ca nu nci torna è sciutu cu se presenta a casa d’Hanna. Chiangendu se partiu la Matonna Cu biscia ci lu trova a farci banda, e lu truvau taccatu a na culonna cu curona te spine e funi n’canna. Tre parole nde tise la Matonna: “Fiju nu te canusce cchiui la Mamma”. “ Oh mamma mea, va bande a santa pace ca aggiu murire su stu legnu te croce” LA VIA DOLOROSA Praja praja pe’ li Erti se sentìa nu gran ciriju, e ci ghera e ci nu ghera? 90 era Cristu cu li Sciudèi: ci nde dava na curteddata, ci nde dava na curisciata e lu sangu sde scurria, intra lu calice se nde scia. A retu a Santa Chiara se sentia nu gran rumore, e ci ghera e ci nu ghera era Marta e Maddalena ci chiangiane pe la pena, caminava pe’ vie e carrare Gesù Cristu a secutare - Scindi, scindi, palomba bianca ci nde nduci intra sta lampa? - Jeu be nducu l’Oji Santi, benedicu tutti quanti, benedicu li travajati. li scuntenti, li sventurati: ci la sente e nu la ‘mpara tre anni de focu se prepara. 91 92 LA MADONNA DEI FIORI Il periodo post pasquale scorre lento ed inesorabile verso l’estate, non prima però di passare attraverso alcune festività come per esempio quella della Madonna dei fiori, il 31 maggio. Da sempre questo è il mese delle rose ed è tradizione che in questo periodo non ci si sposa. Il popolo credeva che le spine di questi fiori potessero conficcarsi nel cuore degli sposi e amareggiarli per tutta la vita. E’ tramontata ormai la tradizione secondo la quale, ogni famiglia, ogni giorno doveva recitare il rosario in onore della Madonna, davanti ad una immaginetta della Vergine, con a fianco una lampada accesa. La statua della Madonna dei fiori fu realizzata in Roma nel 1857 ed una copia ne fu fatta nel 1863 per il Santuario della Lizza. Il 16 aprile del 1948, in piena campagna elettorale, furono in molti a ritenere che la statua della Madonna avesse mosso gli occhi. La processione prevede la presenza di numerosi fanciulli vestiti con gli abiti della Prima Comunione, con dei cesti traboccanti di fiori, in prevalenza gerani. 93 LA FESTA DI S. FRANCESCO DI PAOLA Quaranta giorni dopo Pasqua si festeggia San Francesco di Paola, che i gallipolini chiamano confidenzialmente “Santu Patre”. Ad organizzare la feste è da tempi remoti la Confraternita di Santa Maria della Neve o del Cassopo. Una volta il santo si festeggiava con musiche e addobbi, poi pian piano la festa ha modificato la sua struttura. La chiesa in cui ha sede la Confraternita è quella ex conventuale dei frati minimi di S. Francesco di Paola, colà trasferita a seguito della sopprressione durante il decennio francese degli ordini religiosi conventuali. L’antico oratorio era organato nella chiesa del Cassopo ai piedi del bastione di S. Francesco d’Assisi. Durante questa festa suggestiva era la messa al Campo, celebrata dal Vescovo, davanti a militari in picchetto d’onore. San Francesco a Gallipoli è considerato un cittadino d’adozione, perché il suo spirito è stato sempre presente in città ed eccezionalmente qui alcuni decenni fa’ sono state accolte le sacre spoglie ed il mantello. Si racconta che secoli fa’, per sfamare il popolo gallipolino, approdò nel porto una nave stracolma di grano, suscitando nel General Sindaco meraviglia ed incredulità, perché, nessuno ne aveva ordinato il carico. Il comandante riferì allora che era stato un monaco di Crotone 94 a commissionargli quel grano e a pagarlo. Il comandante riconobbe subito il benefattore nella statua di San Francesco che tuttora campeggia sulla facciata della chiesa, di fronte al porto. LA FESTA DELL’ASCENSIONE Il giorno dell’Ascensione potremmo inquadrarlo come giorno in cui la Divina Provvidenza con tutta la sua bontà si riversa sulla terra: “Vintiquattr’ore stae lu celu apertu, pe scindire su la terra la crazia divina”. Nel giorno dell’Ascensione, si effettuava la raccolta dei fiori della camomilla. Le donne si recavano alla processione con in mano ricchi fasci di questi fiori, per farli benedire e una volta essiccati servivano per farne decotti contro i dolori viscerali. La processione, con tutti i santi del Pantheon cittadino, girava lungo le mura fermandosi davanti ad ogni bastione. Il Vescovo impartiva la benedizione al mare e alla campagna invocando per l’abbondanza della pesca e del raccolto. Chiaro è il riferimento ai riti pagani della antica Grecia o a quelli più antichi dell’Egitto. Amenolfi IV al compimento del settimo anno di regno e precisamente nel tredicesimo giorno dell’ottavo mese, inaugurò Ahtaton, la città del Sole, che lui stesso aveva fondato. Con una solenne processione tutta la sua corte, cominciò a girare lungo le mura della città, mandando benedizioni alle contrade, alle acque, agli uccelli e alle piante. 95 LA FESTA DEL SACRO CUORE La festa del Sacro Cuore a Gallipoli data agli ‘20 da quando il Can. Sebastiano Natali, nel 1919 pensa di poter erigere, assieme all’istituto per l’infanzia abbandonata, intitolato a Michele Bianchi, l’attuale tempio dedicato al Sacro Cuore. Egli era un grande devoto del Cuore di Gesù avendo ricevuto gli insegnamenti dell’ordine dei Gesuiti presso cui da sacerdote prestò giuramento tenendo fede al motto: “perseveranter pati pro Te”. Fu anche promotore di un’Associazione del Sacratissimo Cuore di Gesù. 96 LA FESTA DELLA MADONNA DEL CANNETO. Il Santuario di S. Maria del Canneto fu edificato nel XV secolo ed annesso ai beni di S. Leonardo della Matina, dei Cavalieri di S. Giovanni. Più volte distrutto fu ricostruito definitivamente alla fine del sec. XVII con un impianto simile a quello della della Cattedrale di Sant’Agata. Presso questa chiesa si è sempre praticato il culto verso la Madonna. Vi era organata dal XVI sec. anche una Confraternita sotto il titolo di S. Maria del Canneto A far incrementare il culto a Maria Santissima del Canneto fu il Vescovo Oronzo Filomarini che stimolò il popolo gallipolino a partecipare con fede alla sua festività. Anticamente al largo della Chiesa del Canneto si svolgeva la Fiera dei SS. Apostoli Pietro e Paolo dal 29 giugno al 2 luglio, che in qualche anno si pro- Statua lignea settecentesca della Madonna del Canneto. 97 traeva anche fino al 6 luglio. Nel 1764 la festa del Canneto fu solennizzata a cura della Confraternita della Purità. In quell’anno fu anche commissionata la nuova statua in legno che, giunta da Napoli il 7 luglio, fu portata per la prima volta processionalmente per le vie della città. Per questa festa fu quell’anno costruito da mastro Pasquale Inguscio di Galatone un “recinto di baracche rinchiuso... con colonniato e frontespizi, lsciando solamente tre porte per l’entrata e l’uscita”, dentro cui di fatto si svolse la festa, con esposizione di mercanzie e delizie del palato. Processione della Visitazione di Maria (del Canneto). 98 Maggiore slancio di fede ci fu dal maggio del 1881 quando la Confraternita degli Angeli accettò il deliberato del Consiglio Comunale del 19 settembre 1879 assumendosi l’obbligo di garantire l’esercizio di culto. Nel 1948 la Confraternita degli Angeli con il desiderio di “ripristinare la consuetudine di secoli”, aveva chiesto al Vescovo il permesso di organizzare la processione, di fatto dismessa dopo che don Sebastiano Natali, divenuto parroco,aveva costituito la Confraternita del Sacro Cuore ed organizzato per molti anni la processione. La Confraternita degli Angeli per qualche anno era stata chiamata a partecipare a quella manifestazione di culto. Il Vescovo allora, per non turbare la cordialità dei rapporti tra le due Confraternita, alla quale ci tenevano gli amministratori degli Angeli, decise che la Procesione della Madonna del Canneto venisse organizzata dalla Confraternita del Sacro Cuore. FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE Il sedici luglio ricorre la festa della Madonna del Carmine. I fedeli si recano con devozione a salutare la Madonna nella chiesetta all’ingresso di Gallipoli, di antico patronato della famiglia PascaRaimondo. I gallipolini avevano l’usanza di condurre nella chiesa dei Carmelitani, i bambini dopo quaranta giorni dalla loro nascita, dove ricevevano la benedizione e con essa la protezione per tutta la vita dalla Vergine. 99 S. CRISTINA La festa di Santa Cristina, il 24 luglio, muove ogni anno una marea di gente. La devozione per questa santa è antichissimo ed attestato oltre che per la cappelluccia che fronteggia il Rivellino, anche da un altare nella Chiesa del Canneto con un bel dipinto settecentesco. Il culto fu ripreso dalla Confraternita della Purità il 24 ottobre 1865, ma solo due anni dopo, a causa di una grande epidemia di colera che inperversò in Gallipoli per sei mesi, il popolo riconobbe in Santa Cristina la protettrice particolare contro i morbi infettivi. In quello stesso anno fu commissionata la statua in cartapesta, eseguita dal maestro Achille De Lucrezi. Il can. Consiglio così annotò nel suo diario: “Il 22 luglio 1867, giunse da Lecce la statua... a’ 23 detto mese fu benedetta nella Cattedrale e si fece una grande festa con musica panegirico e Processione, vi fu nel Vespro del 24 l’esposizione del SS.mo nella Cappella del Canneto in forma di Quarant’ore e si chiuse la festa con fuochi banda ed altro”. La santa è venerata nella chiesa di Santa Maria della Purità, sede dell’omonima Confraternita. Nel pomeriggio del giorno di festa, nel porticciolo del Canneto si tiene la cuccagna a mare. Altrove il palo, sapientemente ingrassato, posto in senso verticale, qui invece viene fatto sporgere sull’acqua dalla prua di una 100 101 paranza. Vince chi per primo riesce ad afferrare la bandierina posta all’estremità del palo. Si dice che il giorno di S. Cristina porti “la stedda”, è giorno, cioè, che porta iella per i bagnanti che dimenticassero il precetto festivo. Ciò secondo una vecchia superstizione nata nel 1807, quando il figlioletto dei nobili Carlo Rocci e Lucia Indelli, affogò facendo il bagno il 24 luglio, festa, appunto, di S. Cristina. ASSUNZIONE DI MARIA Il 15 agosto si celebra la festa dell’Assunzione di Maria ed in Alezio la Madonna della Lizza. Il questo giorno si era soliti recitare cento Ave Maria, e ogni volta segnarsi con il segno della croce, aggiungendo : ”Fusci tantazione de cquà nnanzi ca nu mboju be la dau l’anima mia, Centu cruci sante m’aggiu fare Ca è lu giurnu de la vergine Maria”. 102 ARRIVA LA PASTORALE NELLE VIE CITTADINE E…SUONANDO SUONANDO….. È GIÀ NATALE La festa del Natale nel panorama delle tradizioni popolari occupa un posto di primo piano. E’ una festa prettamente di tradizione cattolica e non subisce influenze di altre culture e civiltà. La quarta Egloga di Virgilio, in cui il poeta annunciava la venuta di un bambino straordinario e che avrebbe significato la nascita di una nuova era, è stata a volte interpretata come una profezia della nascita di Gesù. La familiarità del popolo gallipolino con la Sacra Famiglia intanto, ritorna nel Natale, attraverso un frammento di Ninna-Nanna della Madre verso il Bambinello, ripetuto un tempo dalle nostre mamme: Dormi dormi, fiju meu Ca lu latte nu n’è meu, Me l’ha datu lu Patreternu Cu te criscu beddu beddu. Oppure in questo appello che si faceva a Gesù Bambino chiedendone l’intercessione di Maria: Bambinieddu de Natale Nu favore m’hai de fare Oju nde dici alla mamma mea Cu nu me tescia cchiui mazzate 103 LA PASTORALE GALLIPOLINA Dal 15 ottobre e fino alla Befana, la Pastorale, composizione musicale di anonimo, echeggerà per stradine, corsi e vicoli della città. Essa scandisce le tappe del periodo natalizio, che ha inizio appunto dal giorno che la chiesa dedica a Santa Teresa d’Avila. Tra gli scritti di Santa Teresa quasi tutti in onore del bambino Gesù, vi è una composizione: «Nella notte di Natale» nella quale, come scrive Elio Pindinelli in un opuscolo sulla festa del Natale a Gallipoli, «è possibile leggere un qualche riferimento al nostro anonimo componimento musicale e alla tradizionale sortita popolare dei musicanti esecutori” L’immaginazione popolare ha poi fatto il resto, attribuendo alla santa il desiderio espresso sul letto di morte di ascoltare la pastorale gallipolina. Un po’ di anni addietro, ultimata la funzione religiosa, nella chiesa di Santa Teresa le carmelitane del convento intonavano i canti natalizi e ai fedeli venivano distribuite attraverso “la ruota” le “pitteddre ccu lu mele”, quale dono del bambino Gesù. Le note della Pastorale, eseguite all’organo, facevano da sottofondo e si dava ufficialmente inizio al ciclo natalizio, anche se 104 canonicamente l’Avvento comincia solo quattro settimane prima del Natale. Questa musica, di autore ignoto, che dona all’evento una magica atmosfera, è stata trasmessa di generazione in generazione oralmente, a memoria. La si può tranquillamente considerare la colonna sonora dell’intero periodo natalizio gallipolino. La pastorale gallipolina viene eseguita preferibilmente nelle vigilie di Santa Cecilia (22 novembre) , Sant’Andrea (30 Novembre), Immacolata, (8 Dicembre), Santa Lucia (13 dicembre). Forse la Pastorale è la tradizione che più resiste a qualsiasi trasformazione della nostra società. Prima che la città si stendesse a macchia d’olio, di notte, un’orchestra composta da artigiani, pescatori, impiegati girava per le vie del borgo antico effondendo nell’aria gelida sferzata dalla tramontana, una dolce nenia. La Pastorale,prevalentemente eseguita con gli strumenti a corda, veniva suonata fino alle prime luci dell’alba da queste compagnie di musicanti, tra i quali vi erano “Titta Campa”, mesciu Ninu Trumbetta e Lu Clatinoru. E così, le luci delle case si accendevano, le porte si aprivano e si musicanti, invitati ad entrare nelle case, si scaldavano, assaggiando i dolci natalizi, fatti in casa e sorseggiando un bicchierino di anice e rosolio, generosamente offerti loro. 105 I PUPI DEL PRESEPE Alcuni anni fa’ “li mesci te pupi te crita” esponevano, in piazza i loro capolavori. Gli anziani ricorderanno sicuramente “Mesciu Peppe Seccia” vecchio portuale. L’artista modellava la creta come pochi, secondo gli usi e i costumi gallipolini. Il pescatore con la nassa, con la rete, con il pesce, la vecchietta intenta a filare e “lu macu de la stedda” Venivano rappresentati anche tutti i personaggi della strage degli Innocenti e con essi si allestivano, con sughero e carta, i presepi, che si incominciavano a fare la vigilia dell’Immacolata. IL DIGIUNO DELL’IMMACOLATA Il giorno che più degli altri viene sentito, è quello della vigilia dell’Immacolata, con la tradizionale “puccia” con il tonno e le alici” che si mangia a mezzogiorno. Essa, così lievitata e con soffice mollica, è unica in tutto il Salento. La sera invece la cena è caratterizzata da rape affogate, condite con olio e limone, baccalà e “pittule” lievitate con “lu lavatu”, alla pizzaiola, con i calamari, con la “minoscia” (latterino sardara”, con le “caire” (gamberetti). Non bisogna però trascurare di fare con la mano il segno della croce sull’impasto e dire :”crisci lavatu, ca Gesù Cristu è natu”. 106 GASTONOMIA NATALIZIA Il Natale insomma è un insieme di fede e tradizioni, di sacro e profano. Ad insaporire ancor di più la festa ci pensano “i purciadduzzi”, le cartallate, che nella mitologia popolare rappresentano le lenzuola del Bambino. Le pittedde sono la culla, le cozze il guanciale, li scajozzi i dolci del battesimo, e il latte di mandorla il latte della Madonna. La festa del Natale a Gallipoli ha delle precise tradizioni culinarie. A parte le pittule, a fare la parte del leone, sulla tavola imbandita è il pesce. La tradizione vuole, però, che dal cenone della notte di Natale non deve mancare la pastina “cu lu latte de mendula”, cotta nel succo di mandorle, appunto, pestate e passate al setaccio con un panno e aromatizzata con una spolverata di cannella o seme di garofano. La cosa che nella note di Natale non bisogna mai dimenticare è quella di far assaggiare tutte le pietanze alle bestie domestiche, perché anche loro sono creature di Dio. LA LEGGENDA DI S. STEFANO Il veloce incedere dell’era consumistica ha fatto dimenticare un’antica fiaba gallipolina, che narra dello stratagemma usato dalla madre di Santo Stefano, messo in atto per poter vedere da vicino il Bambino appena nato. 107 Lei, molto giovane, per tradizione non poteva avvicinarsi ad una puerpera. Fingendosi allora madre, nascose nel grembo un pezzo di legno (un’aschia), come fosse un neonato. Scoperta, quel pezzo di legno prese vita e cominciò a piangere appena Maria le rivolse la parola. Era nato per miracolo divino S. Stefano. Ed è per questo che tra i pupazzi del presepio, sostano davanti alla grotta di Gesù dei pupazzi con in braccio il proprio figlioletto. LU PUPU Con questo rito nel quale si evidenzia la presenza del fuoco, si conclude il ciclo delle feste a Gallipoli. Allo scoccar della mezzanotte in punto, in città si da’ fuoco “allu pupu”: una sorta di gigante in cartapesta o di paglia, quasi sempre con fattezze grottesche, brutto, vecchio e con un ghigno sulla bocca. E in quell’espresione beffarda, quasi spocchiosa, ci sono le disgrazie che ha collezionato nei suoi 365 giorni di esistenza peggio ancora se anno bisestile. Nella tradizione popolare, che si perde nella notte dei tempi, rappresenta l’anno vecchio che se ne và. A fianco gli viene piazzato un bambolotto, che rappresenta l’anno nuovo che sta per arrivare. I due si tengono per mano e tutti sperano che il “nuovo” sia foriero di pace e serenità. 108 Al momento di accendere la miccia dei numerosi tric-trac, il piccolo verrà tolto. Di regola il pupazzo indossa abito nero, guanti bianchi, cilindro “a cannone”, occhiali e barba bianca. In mano l’immancabile valigia di cartone piena “di capricci e impertinenze, di lezioni fatte male, di bugie e disubbidienze”, recitava una vecchia poesia. Oggi in quella valigia ci sono tutti i mali che affliggono il mondo, a cominciare dalla guerra, che in qualche modo con il fuoco si vogliono esorcizzare. Tradizionalmente il pupazzo più importante era quello “sparato” in piazza Duomo, nel centro storico, quando il borgo antico rappresentava il centro della vita sociale e commerciale di Gallipoli. Ora i “pupi” si accendono in varie zone della città. Pupo in cartapesta. 109 BIBLIOGRAFIA Archivio Curia Gallipoli Archivi delle Confraternite L.A.MICETTI, Memorie storiche della città di Gallipoli, MS, sec. XVIII, presso Biblioteca Provinciale di Lecce E. BARBA, Proverbi e motti del popolo gallipolino, Gallipoli, Tip. Stefanelli, 1903. G. CASTIGLIONE, Roberto il diavolo, ovvero i Veneziani a Gallipoli. Episodio delle guerre aragonesi nel sec. XV, Capasso, Napoli, 1842. E. DE MARTINO, Sud e Magia , Milano 1978. O. CATALDINI, Favole e leggende del popolo gallipolino, Tip. Stefanelli, 1980. O. 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CClassica, 1930, pp.205 ess. E. VERNOLE, Un poema di folclore. La mammella di Sant’Agata, Gallipoli, tip. Stefanelli, 1926. 112 Carnevale del 1965. 113 Altarino della Madonna “pellegrina”, presso la famiglia Pindinelli (1954) 114 Processione del Bambino di Praga (anni ‘50 - Prop. Fam. Mega) Processione di S. Antonio (anni ‘50) 115 Incendio della Caremma in Via Briganti. 116 Sepolcro in S. Teresa. 117 Uscita della processione dell’Addolorata in via Fontò. 118 Particolare della statua dell’Addolorata. 119 In alto, momenti della processione dell’Urnia; in basso, processione della Desolata. 120 I Fratelli delle Anime in abito confraternale. 121 Processione della Desolata. In primo piano i Fratelli della Purità. G. Pagliano, Alba del Venerdì Santo 1927. 122 Il Cristo morto del Crocifisso in due diversi apparati processionali. 123 In alto le statue argentee di S. Sebastiano e di S. Agata. In basso l’Addolorata della Confraternita del Carmelo e la statua lignea settecentesca della Purità. 124 L’Addolorata con il Cristo morto al rientro della processione il Sabato Santo. 125 Sabato Santo, benedizione dal bastione di S. Francesco di Paola. 126 INDICE Presentazione di Pasquale Sandalo p. 5 Introduzione di Antonio Mastore p. 7 RITI E MANIFESTAZIONI DI CULTO A GALLIPOLI. TRA STORIA, MITO E LEGGENDA p. 11 TRA FEDE E SUPERSTIZIONE p. 13 I riti magici p. 13 Lu Moniceddu p. 18 Il rito del crivello p. 19 Il rito “de lu limbu” p. 20 L’oracolo di S. Monica p .21 Gli oracoli di S. Giovanni p. 25 L’oracolo di S. Pietro e Paolo p. 26 Riti propiziatori e di espiazione Il Carnevale a Gallipoli RITI RELIGIOSI E PRATICHE PIE p. 27 p. 33 p .41 Le manifestazioni di culto p. 44 I Santi Patroni di Gallipoli p .47 La Sindone gallipolina p. 51 I riti della Passione p. 53 La Frottola p. 60 “I Sepolcri” e le processioni del Venerdì Santo p. 61 La processione dell’”Urnia” p. 69 I Penitenti p. 72 La processione della Desolata con i “Sciudei de la Bara” p. 75 La familiarità del popolo gallipolino con la Sacra Famiglia p. 77 Segni pagani nella Pasqua cristiana p. 78 127 La Caremma p. 80 La Pasqua in Cucina p. 82 La Passione di Cristo vista dal popolo attraverso alcuni canti che venivano recitati anticamente davanti al Sepolcro p. 84 La Via dolorosa p. 90 La Madonna dei fiori p. 93 La festa dell’Ascensione p. 95 La festa del Sacro Cuore p. 96 La festa della Madonna del Canneto p. 97 La festa della Madonna del Carmine p. 99 S. Cristina p.100 Assunzione di Maria p.102 ARRIVA LA PASTORALE NELLE VIE CITTADINE E... SUONANDO SUONANDO... È GIÀ NATALE La Pastorale gallipolina p.104 I pupi del Presepe p.106 Il digiuno dell’Immacolata p.106 Gastronomia natalizia p.107 La leggenda di S. Stefano p.107 LU PUPU BIBLIOGRAFIA Finito di stampare nel mese di luglio del 2003 dalla Tip. F.lli CORSANO -Alezio Tel. 0833281413 128 P.103 p.108 p.110 129