IL SERVO pp. SOFFERENTE «Riv. Cist.», 28 (2011), ......-..... (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 5 DONATO BONO IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO1 Poiché tutta l’opera di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), «l’ultimo dei Padri»2, è permeata di Sacra Scrittura ed anzi la Bibbia «è inseparabile dall’esperienza che egli fa di se stesso e di Dio»3, in questo articolo mi propongo di analizzare le citazioni scritturistiche del poema del Servo sofferente (Is 52,13-53,12) negli scritti bernardiani4. È noto come questo testo dell’Antico Testamento abbia assunto un ruolo parti- 1 Sulla figura di Bernardo di Chiaravalle, la sua opera e la sua importanza nella storia della Chiesa e dell’Ordine benedettino cfr. A. LE BAIL, Bernard (saint), abbé de Clairvaux, docteur de l’Église, in Dictionnaire de spiritualité, I, Paris 1937, coll. 1454-1499; J. LECLERCQ, Études sur saint Bernard et le texte de ses éscrits, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 9 (1953); IDEM, Bernardo di Chiaravalle, Milano 1992. Per l’opera bernardiana ci siamo serviti della recensione critica di J. L ECLERCQ H.M. ROCHAIS (e per i primi due volumi anche C.H. TALBOD), Sancti Bernardi Opera, I-VIII, Romae 1957-1977 (= SBO), e di BERNARDO DI CHIARAVALLE, Opere di san Bernardo, 1-2.4-6, a cura di F. Gastaldelli, Milano 1984-1987 (= Opere). 2 Su questo particolare titolo, attribuito a san Bernardo, perché nel XII secolo rinnovò e rese presente la grande teologia dei Padri, cfr. O. ROUSSEAU, S. Bernard «le dernier des Pères», in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 9 (1953), pp. 300-308; J. MABILLON, Praefatio generalis, in Patrologia Latina, 182, coll. 26; PIO XII, Lettera enciclica Doctor mellifluus octavo exeunte saeculo a piissimo s. Bernardi obitu, in «Acta Apostolicae Sedis», 45 (1953), p. 369. 3 Cfr. J. LECLERCQ, Introduzione generale, in Opere, I, pp. XXXIX-XLIV. 4 L’esegesi bernardiana è tipicamente spirituale ed allegorica con un procedimento di combinazione e collegamento con altri brani scritturistici, in modo che essi si intersechino, sovrapponendosi o richiamandosi ad invicem. Sul rapporto, in generale, di san Bernardo con la Bibbia, il suo utlizzo e la sua importanza cfr. P.C. BODARD, La Bible, expression d’une experience religieuse chez s. Bernard, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 9 (1953), pp. 24-45; D. FARKASFALVY, L’inspiration de l’Écriture sainte dans la théologie de s. Bernard, Rome 1964 (Studia Anselmiana, 53); IDEM, The role of the Bible in st. Bernard’s spirituality, in «Analecta Cisterciensia», 25 6 DONATO BONO colare nell’interpretazione cristologica, operata dai primi cristiani in relazione all’evento riguardante Gesù di Nazareth, e soprattutto in riferimento alla sua passione e morte, e l’interpretazione patristica, da Clemente Romano (I secolo), Cipriano († 258) e Giustino (II secolo) in poi, lo conferma5. Anche Bernardo, la cui affinità e indole patristica sono ormai fuor di dubbio6, nei suoi scritti ricorre spesso al poema deutero-isaiano, interpretato senza alcuna ombra di dubbio in chiave cristologica, soprattutto in quei tratti chiaramente individuali, che delineano la sofferenza atroce subita dal Servo di Is 53. Lo scopo di questa nostra analisi, più che determinare il testo biblico utilizzato da Bernardo, è piuttosto quello di definire la valenza e la portata del poema di Is 52,13-53,12 nella cristologia e nella soteriologia bernardiane7. 1. I SERMONES SUPER CANTICA CANTICORUM8 La serie dei Sermones super Cantica Canticorum, originariamente predicati ai monaci in lingua romanza e in seguito tradotti in latino, co- (1969), pp. 3-13; J. LECLERCQ, Études sur Saint Bernard, cit., pp. 194-197; IDEM, Recueil d’études sur saint Bernard et ses écrits, Roma 1969, pp. 213-266; D. HELLER, Die Bibel als Grundlage der Anthropologie Bernards von Clairvaux, in «Analecta Cisterciensia», 46 (1990), pp. 123-140 (cfr. anche la Replica di H. BREM, Die biblischen Themen der Anthropologie Bernards, ibidem, pp. 141-150). Più in generale cfr. P. RICHÉ - J. CHÂTILLON - J. VERGER, Lo studio della Bibbia nel Medioevo latino, Brescia 1989. 5 Cfr. D. BONO, La citazione di Is 53 nella Prima Clementis, in «Orientalia Christiana Periodica», 76 (2010), pp. 103-120, soprattutto 106-107 nota 12. Su quanto Is 53 abbia permeato la cristologia dei Padri cfr., ad esempio, il De incarnatione Domini 2526 (Patrologia Graeca 75, coll. 1466-1467) di Teodoreto di Ciro, morto verso il 466. 6 Cfr. J. LECLERCQ, Une doctrine spirituelle pour notre temps?, in «Analecta Cisterciensia», 46 (1990), pp. 397-410. 7 Anche se ormai è la Vulgata il testo ufficiale in Occidente, tuttavia puntualizzeremo di volta in volta eventuali varianti o differenze tra la Versione Latina di Girolamo e la citazione bernardiana, confrontandole – qualora ce ne sarà bisogno – con la Settanta (LXX) e il Testo Masoretico (TM) o Testo ebraico. 8 Cfr. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni sul Cantico dei Cantici, a cura di D. Turco, 1-2, Trani 1986. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 7 stituisce decisamente l’opera più imponente di san Bernardo di Chiaravalle. Non si tratta di una catechesi sistematica sul libro del Cantico dei Cantici, ma di vere e proprie omelie improntate su passi e versetti del suddetto libro biblico, e precisamente fino al v. 1 del capitolo terzo, e completate successivamente dai suoi discepoli. Degli 86 Sermones, un primo gruppo consistente fu probabilmente composto tra il 1135 e il 1138; il resto venne ripreso e continuato a partire dal 1148, negli intervalli di permanenza a Chiaravalle, fino alla morte. Si tratta di un’opera di immenso valore spirituale, dal momento che l’autore vi esprime profondamente la propria esperienza umana, mistica e ascetica9. In Sermo XXII,III,7 l’espressione Tradidit in mortem animam suam (Is 53,12cVulgata), applicata direttamente al Cristo, rileva nel discorso di Bernardo l’ultimo gesto di una totale donazione (ad cumulum postremo pietatis), che il Signore Gesù ha voluto realizzare nei confronti dell’umanità: discese verso te nel carcere…scacciò l’ombra della tua ignoranza… sciolse le funi dei peccati; volle poi…vivere santamente in mezzo ai peccatori. Da ultimo, al culmine della sua pietà, consegnò se stesso alla morte, e dal proprio fianco versò il prezzo della soddisfazione (Descendit ad te in carcerem…depulit umbram ignorantiae tuae…solvit funes peccatorum…Addidit quoque sancte inter peccatores vivere…Ad cumulum postremo pietatis tradidit in mortem animam suam, et de proprio latere protulit pretium satisfactionis). Il gesto di consegnare se stesso alla morte e di versare dal proprio costato e dalle cinque piaghe del proprio corpo non una goccia, ma un fiume di sangue, è presentato da Bernardo come il gesto estremo della pietà misericordiosa del Signore. Per questo egli utilizza il testo di Is 53,12c, in cui il Servo, che si consegna alla morte, è il Signore Gesù, che ha compiuto a favore dell’uomo il gesto fecondo e amoroso del dono della propria vita. In Sermo XXV,IV,8, commentando le parole della sposa in Ct 1,4 (Sono bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme), Bernardo afferma che 9 Cfr. J. LECLERCQ, Recherches sur les Sermons sur les Cantiques de s. Bernard, in «Revue Bénédictine», 64 (1954), pp. 208-223; 65 (1955), pp. 71-89, 228-258; 66 (1956), pp. 63-91; 69 (1959), pp. 237-257; 70 (1960), pp. 562-590. 8 DONATO BONO l’essere nello stesso tempo «bella» e «oscura» permette alla sposa di sentirsi in perfetta sintonia con il suo sposo, anch’egli di «colore oscuro», ma con «forma e immagine del Signore». È, infatti, «apparso con tale deformità», per cui – conclude san Bernardo – «è cosa sommamente gloriosa essere simile a lui». L’obbrobrio del Cristo sposo è giustificato scritturisticamente dal testo di Is 53,2-5: Bernardo invita il lettore a rivolgersi proprio al santo Isaia, per vedere come egli «ha visto il Signore in spirito: uomo del dolore che ben conosce il patire…che non aveva apparenza né bellezza…Noi l’abbiamo stimato come un lebbroso, percosso da Dio e umiliato. Eppure egli è stato percosso per le nostre iniquità, schiacciato per i nostri delitti; per le sue piaghe noi siamo stati guariti». «Ecco – conclude Bernardo – il colore oscuro». Il testo scritturistico è introdotto dall’invito all’imperativo Vade ad sanctum Isaiam, et describet tibi qualem in spiritu illum viderit. Segue la citazione biblica, espressamente riferita al Cristo, come conferma l’espressione Quemnam alium dicit, con a seguire le formule introduttive Et quia e Et addidit, per poi concludere con la rilevanza della dimostrazione e della prova fornita al lettore: Ecce unde niger («Ecco il colore oscuro»). Il testo utilizzato da Bernardo è sostanzialmente secondo la Vulgata, dissociandosi solo in alcuni punti, ma senza alcuna rilevanza: Is 53,3b: Vulgata: Bernardo: Virum dolorum et scientem infirmitatem Virum doloris, et scientem infirmitatem Is 53,2b: Vulgata: Bernardo: Non est species ei neque decor Non erat ei species neque decor Is 53,4c: Vulgata: Nos putavimus eum quasi leprosum et percussum a Deo et humiliatum Nos putavimus eum tamquam leprosum, et percussum a Deo, et humiliatum. Bernardo: Is 53,5a-b.d: Vulgata: Bernardo: Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra. et livore eius sanati sumus. Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 9 et attritus propter scelera nostra, et livore eius sanati sumus Le differenze, alquanto irrilevanti ai fini del significato, sono: il singolare doloris al posto del plurale dolorum (Vulgata); l’imperfetto erat al posto del presente est (Vulgata); la congiunzione tamquam al posto di quasi (Vulgata); l’aggiunta della congiunzione et prima di attritus. Di esse, forse, la variante più significativa è la scelta del singolare doloris al posto del plurale dolorum della Vulgata, ad indicare probabilmente che il Cristo-Servo è da definirsi l’uomo del dolore, di ogni dolore, divenuto come tale l’emblema della sofferenza umana10. È, nella sostanza, il testo della Vulgata la Bibbia di Bernardo, il quale utilizza qui parti del poema deutero-isaiano, per presentare la deformità del Cristo, a cui la sposa volentieri – egli dice – desidera conformarsi. In Sermo XXVIII,I,1-4 Bernardo continua la sua riflessione sull’oscurità della sposa, immergendosi in un’esegesi allegorica della Scrittura. La sposa è resa così del tutto simile allo sposo, nel quale non vi è «né bellezza né splendore» (ex toto non sit ei species neque decor; cfr. Is 53,2c) e il cui «volto è disprezzato» (despectus; cfr. Is 53,3a). Egli – continua Bernardo – «oscurò se stesso» (semetipsum denigravit), prendendo la forma di schiavo, e nonostante tale apparenza è possibile vedere «la mano che non fece peccato» (…manum quae peccatum non fecit; cfr. 1Pt 2,22a; Is 53,9c) e colui nel quale «non fu trovato inganno sulla sua bocca» (ideoque non inventus est dolus in ore eius; cfr. Is 53,9d; 1Pt 2,22b). Bernardo utilizza immagini del poema del Servo, per motivare scritturisticamente la scelta del Signore di apparire scuro, debole e fragile, mentre egli in realtà era «lo splendore e l’immagine della sostanza di Dio» (splendor et figura substantiae Dei), nonché «piacevole all’aspetto e soave di spirito» (beatus repositus erat ornatus, suavis spiritu). Ma, tuttavia – continua il santo abate di Clairvaux – egli ha preso questa «rugosa e tetra immagine» del peccatore e «ha rivestito la mia forma, 10 Da notare che la LXX ha qui a[[nqrwpoç ejn plhgh=/ (uomo nella piaga), mentre il TM, cui è fedele la Vulgata, ha ‘yš make’obôt (uomo dei dolori). Il vir doloris di Bernardo, pur avvicinandosi di più alla LXX per la presenza del singolare, è tuttavia una lezione maggiormente creativa. 10 DONATO BONO per ricevere quanto mi spetta». La giustificazione scritturistica per questa asserzione è trovata da Bernardo nella citazione di Is 53,5c.6c, introdotta dalla preposizione causale quippe (perché), rafforzata dall’espressione dicente propheta, e confermata dalla successiva citazione di Ebr 2,17: Is 53,5c: Vulgata: Bernardo: Disciplina pacis nostrae super eum; Disciplina pacis nostrae super eum. Is 53,6c: Vulgata: Et posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum; Et Dominus in eo posuit iniquitatem omnium nostrum. Bernardo: Il testo è citato secondo la Vulgata: la trasposizione dei termini (Dominus in eo prima di posuit) è dovuta forse a rimembranze di tipo mnemonico. Il ragionamento di Bernardo è il seguente: Cristo ha rivestito la forma della debolezza, perché io riceva quanto mi spetta, come afferma Isaia: Disciplina pacis nostrae super eum; et Dominus in eo posuit iniquitatem omnium nostrum. In altri termini – sembra dire Bernardo – Lui ha preso su di sé la disciplina della nostra pace e l’iniquità di noi tutti. Mentre la seconda asserzione è di facile comprensione, non così la prima (Disciplina pacis nostrae super eum). La traduzione della Vulgata, da cui pari passo attinge Bernardo, è più secondo la LXX che il TM11. 11 Ecco le differenze testuali: Vulgata-Bernardo: Disciplina pacis nostrae super eum; LXX: paideiva eijjrhvnhç hJmw=n ejjp jaujtovn; TM: mûsar šelômenû ‘aly (Il castigo della nostra pace è su di lui). Nel suo Commento a Isaia (cfr. R. GRYSON - C. GABRIEL, Commentaires de Jérôme sur le prophète Isaïe, Freiburg 1998, pp. 1511-1512; anche Corpus Christianorum Latinorum 73, pp. 586-598), Girolamo riporta all’inizio di ogni commento, tradotto in latino, sia il testo ebraico e sia quello della LXX, che è la Vetus latina. Qui la traduzione latina dall’ebraico è identica, nonostante che il TM metta in risalto l’aspetto del castigo ingiusto (mûsar), abbattutosi sul Servo, procurando pace/salvezza al noi corale, e che al contrario la LXX, con l’utilizzo del termine paideiva, evidenzi la dimensione educativa della sofferenza. Con l’uso del termine Disciplina la Vulgata sembra intendere il versetto nella prospettiva giuridica. Su ben altri orizzonti ermeneutici la Traduction Oecuménique de la Bible (TOB), che traduce: Pegno di pace per noi. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 11 Probabilmente Bernardo non si sofferma su queste peculiarità testuali, ma ciò che gli interessa è più semplicemente di poter concludere che il Cristo «è scuro agli occhi degli insipienti», ma «per le menti dei fedeli è molto bello», anche se sulla croce appariva «deforme e scuro» (deforme et nigrum), secondo la lettura che ne dà il profeta Isaia, il quale afferma che sul Cristo si è abbattuta ogni sciagura, affinché noi avessimo la salvezza. Poco più avanti (Sermo XXVIII,V,12), Bernardo chiarisce che «c’è un’oscurità che proviene dal lamento della penitenza… e l’oscurità della confessione», quando si condivide il dolore e la pena dei fratelli, come ha fatto Cristo, «il nostro Pacifico», «avendo preso i nostri peccati nel suo corpo sulla croce» (qui peccata nostra tulit in corpore suo super lignum; 1Pt 2,24; cfr. Is 53,4a). In Sermo XLV,IV Bernardo, commentando l’espressione sulle labbra della sposa di Ct 2,15 (Ecco tu sei bello, diletto mio, tu sei bello), nota che lo sposo non così fu visto dal profeta, ma infermo e sofferente, quando questi afferma che in lui non vi era né bellezza né splendore (…in his namque iuxta Prophetam, non erat ei species neque decor; Is 53,2cVulgata). In Sermo LVI,I,1, commentando allegoricamente Ct 2,10 (Eccolo, egli sta dietro il muro, guarda dalle finestre, spia attraverso i cancelli) e intendendo l’avvicinarsi dello Sposo verso la sua sposa nel senso dell’incarnazione del Verbo, Bernardo non ha difficoltà a inserire la profezia, introdotta dalla congiunzione di conferma Denique, di Is 53,4abVulgata: Languores nostros ipse tulit et dolores nostros ipse portavit12. In Sermo LXI,I,2-3, commentando Ct 2,14 (Mia colomba, nelle fessure della roccia, nelle aperture della maceria, mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce) Bernardo si sofferma sull’immagine della roccia, sulla quale l’anima trova rifugio e consistenza. Spaziando e saltellando nei testi biblici, da Mt 7,24-27 al Sal 107,18, con una catechesi libera e allegorica, egli afferma che tale roccia sono le piaghe di Cristo 12 Il testo della Vulgata è leggermente differente dalla LXX (ou|toç taVç aJmartivaç hJmw=n fevrei kaiV periV hJmw=n ojduna=tai), ed è più vicino al TM: ’aken halayenû hû’ . nasa’ wemak’obeynû sebalam (Certo, le sofferenze di noi lui sollevò, e i dolori di noi caricò). 12 DONATO BONO DA FARE CORREZIONE MANUALE. («Dove vi può essere sicuro e stabile riposo per gli infermi se non nelle piaghe del Salvatore?»). Il peccatore ritroverà pace, se si ricorderà delle piaghe del Signore, dal momento che Egli è stato trafitto per i nostri delitti. La citazione di Is 53,5a (Vulneratus est propter iniquitates nostras) è introdotta dalla congiunzione di conferma nempe, che sostituisce forse l’Ipse autem del testo biblico. Poco più avanti (Sermo LXI,III,7), la riflessione di Bernardo si estende dall’oscurità del Cristo all’oscurità della Chiesa, che «non si vergognò dell’oscurità della croce, non ebbe orrore dell’ustione della passione, non rifuggì dal livore delle piaghe» (…livorem vulnerum non refugit). La Chiesa – continua Bernardo – è la colomba «nella fessura della roccia, perché medita con tutta devozione le piaghe di Cristo, e con costante contemplazione abita in esse». Da qui – egli conclude – trova spiegazione «la pazienza del martire», il quale «leva il suo volto esangue e livido verso di lui, dalle cui lividure è stato sanato»… «Il duce benigno vuole che il volto e gli occhi del devoto soldato si levino alle sue piaghe», perché guardando le piaghe di Lui non sentirà le sue. In Sermo LXVII,III,5, commentando Ct 2,16 (Il mio diletto è a me e io a lui), Bernardo afferma che queste parole della sposa per il suo Sposo sono una frase sintetica e quasi mancante, simili a una sorta di rutto, attraverso cui la sposa comunica il «profumo della sua interiorità». E qui Bernardo si sofferma ad elencare altri esempi di rutto, ossia di frasi bibliche, dal cui interno è emanato un tenue odore e un buon profumo (Gn 1,1: Bene mihi eructavit Moyses; Sal 44,2: Bonus ex David qui ait), e tra questi Is 53,12, introdotto dall’espressione: Bene Isaias…ita eructans…, e chiuso dall’espressione ut non perirent, avente per soggetto sottinteso transgressores. Il testo biblico è il seguente: Bernardo: Tradidit in mortem animam suam, et cum sceleratis reputatus est, et ipse peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit; Vulgata: Tradidit in mortem animam suam, et cum sceleratis reputatus est, et ipse peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit; LXX: paredovqh eijç qavnaton hJ yuchV aujtou= kaiV ejn toi=ç ajnovmoiç ejlogivsqh, kaiV aujtoVç aJmartivaç pollw=n ajnhvnegken kaiV diaV taVç ajnomivaç aujtw=n paredovqh; TM: he‘erah nammawet. napšô w e’et-pše‘ym nimenah we hû’ hete’-rab. . bym nasa’ welapše‘ym yapegy‘a (versò per la morte la vita di lui, e con i IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 13 trasgredienti fu contato e lui il peccato di molti sollevò e per i trasgredienti intercedette). La versione di Bernardo, del tutto simile al testo della Vulgata, è più vicina al TM che alla LXX, la quale elimina l’idea dell’intercessione del Servo, con la relativa insistenza sull’essersi caricato le ingiustizie e i peccati degli uomini. In Sermo LXX,II,4 ritorna l’espressione Non est ei species neque decor di Is 53,2cVulgata, dove Bernardo afferma che lo sposo è «leggiadro e bello» come lo sono i gigli, ma «per quanto riguarda l’infermità della carne», «non vi era in lui né apparenza né bellezza». Poco dopo (Sermo LXX,III,6), parlando della bellezza e della mansuetudine del Cristo, Bernardo le paragona all’agnello di Is 53,7c.e, la cui citazione è legata ad Illum agnum attraverso il semplice pronome relativo qui: …ad occisionem ductus est et non aperuit os suum13. In Sermo XXXVIII,II,2 Bernardo si sofferma a parlare dell’esperienza di fede, partendo dall’affermazione di 1Cor 15,34 sull’ignoranza di Dio (Ignorantiam Dei quidam habent) e giunge alla conclusione che tale ignoranza è effettivamente mancanza di fede: Sed hoc est quod dico: Deum ignoratis sed non creditis auditui nostro, alludendo probabilmente a Is 53,1a (Quis credidit auditui nostro? – Vulgata)14; anche in Sermo XLII,IV,7, parlando dell’umiltà di Cristo fino alle percosse e alla morte, perché umile di cuore (cfr. Mt 11,29), e in Sermo LXXIII,II,8, parlando dell’abbassamento di Cristo, Bernardo con l’espressione quia voluit sembra alludere a Is 53,7aVulgata, dove del Servo-Agnello «oblatus» è detto: quia ipse voluit; in Sermo LXXI,V,11 l’espressione qui peccatum non fecit ricalca ovviamente 1Pt 2,22 (cfr. Is 53,9c: iniquitatem non fe- 13 Il testo di Bernardo si distingue dalla Vulgata, soprattutto per il verbo al perfetto (ductus est), là dove la Vulgata ha ducetur, probabilmente a motivo della consecutio temporum. Comunque sia, Bernardo sembra oscillare tra LXX e TM: Bernardo: Ad occisionem ductus est…et non aperuit os suum; Vulgata: Ad occisionem ducetur…et non aperuit os suum; TM: latebah . . yûbal…welo’ yptah. py (fu condotto al macello…e non aprì bocca); LXX: ejpiV sfaghVn h[cqh...ou{twç oujk ajnoivgei toV stovma aujtou=. 14 DONATO BONO cerit – Vulgata); infine, in Sermo LXXV,III,6 Apud nos infirmus repertus est probabilmente rimanda a Is 53,10a (Et Dominus voluit conterere eum in infirmitate). In conclusione, possiamo affermare che numerosi sono i riferimenti e le allusioni a Is 53 nel commento bernardiano al Cantico dei Cantici. Nella sua prospettiva fortemente cristologica, il poema deutero-isaiano serve a Bernardo sia per evidenziare l’abbassamento e l’umiltà del Cristo, fino alla morte, e sia per porre in risalto la dimensione prettamente umana dello Sposo del Cantico, a cui volentieri si conforma la sposa. 2. IL LIBER DE GRADIBUS HUMILITATIS ET SUPERBIAE15 Scritto tra il 1124 e il 1125, il Liber de gradibus humilitatis et superbiae è la prima16 opera di san Bernardo, indirizzata al confratello Godefroid de la Roche-Vanneau, verso cui l’autore dimostra una pro- 14 Cfr. anche le espressioni Nec oboediat Evangelio (Sermo LXV,II,7) e Sed quis credat huic auditui o Si difficile credit huic auditui (Ad clericos de conversione VII,12,12 o VII,12,5, in SBO IV, pp. 85-86), che potrebbero richiamare Rm 10,16Vulgata (= Is 53,1). 15 Su questa importante opera di san Bernardo cfr. I. DEUG-SU, Il «Tractatus de gradibus humilitatis et superbiae» come momento della mistica bernardina, in Studi su s. Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione. Convegno internazionale Certosa di Firenze (6-9 febbraio 1974), Roma 1975, pp. 327-347; IDEM, Introduzione, in Opere, I, pp. 3-35; G. MURA, Introduzione, in BERNARDO DI CHIARAVALLE, I gradi dell’umiltà e della superbia. L’amore di Dio, Roma 1996, pp. 562. In particolare, sulle problematiche di critica testuale, cfr. J. LECLERCQ, Pour l’histoire des traités de s. Bernard, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 15 (1959), pp. 56-78. 16 Ormai non ci sono dubbi sulla priorità cronologica dell’opera, come ha ben dimostrato J. LECLERCQ, Le premier traité authentique de saint Bernard, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 19 (1963), pp. 189-198, contestando l’opinione di G. BOSWORTH BURCH, The Steps of Humility by Bernard, Abbot of Clairvaux, CambridgeMassachusetts 1950, pp. 237-238. Questi, poiché Bernardo nella lettera 18 al cardinale Pietro richiama l’opera con il semplice titolo De humilitate, ritiene di poterla identificare con la prima delle tre parti del De statu virtutum, che porta il medesimo titolo. J. LECLERCQ, da parte sua, ha dimostrato che il De statu virtutum è da considerarsi spurio. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 15 fonda relazione di amicizia e stima spirituali17. Si tratta di riflessioni, inizialmente orali, rivolte ai monaci sul VII capitolo della Regola di san Benedetto. Messe per iscritto in seguito alla richiesta dell’amico, ne viene fuori un vero e proprio capolavoro spirituale, introdotto da una prefazione iniziale e chiuso da un indirizzo finale (capitolo XVI), rivolti a Godefroid. Nei capitoli 1-2 Bernardo parla dell’umiltà e dei suoi dodici gradi, mentre in quelli successivi (3-15) l’autore si sofferma sui relativi gradi della superbia18. Citando 1Pt 2,21 (Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius = De gradibus humiltatis et superbiae II,7), con cui l’autore biblico della 1Petri introduce l’inno cristologico modellato su Is 53 (1Pt 2,22-25), sembra che Bernardo intenda presentare nella persona del Cristo-Servo il modello sublime dell’umiltà, come specifica subito dopo: id est ut imitemini oboedientiam eius. Poco dopo (De gradibus humiltatis et superbiae II,9) Bernardo, nel presentare il Cristo simile agli uomini e conoscitore delle loro sofferenze, può senza alcuna difficoltà citare Is 53,3bVulgata, introdotta dalla formula Unde Isaias…eum appellat: virum…dolorum, et scientem infirmitatem; e poco più avanti egli aggiunge la profezia di Is 53,4ab, introdotta dalla formula Sicut alibi scriptum est19. Quest’ultima è inserita nel testo bernardiano come una proposizione oggettiva infinitiva, retta dal verbo cognoscimus (Languores nostros tulisse et dolores portasse cognoscimus). Rispetto alla Vulgata, è eliminato qui il soggetto ipse e l’aggettivo nostros, dopo dolores, forse perché evidenti nel contesto: 17 Sulla figura e l’identificazione di questo personaggio cfr. SBO III, p. 3; anche G. MURA, in BERNARDO DI CHIARAVALLE, I gradi, cit., pp. 79-80 nota 3. 18 Per un’analisi dettagliata della struttura dell’opera cfr. J. LECLERCQ, L’art de la composition dans les traités de s. Bernard, in «Revue Bénédictine», 76 (1966), pp. 87-115, soprattutto 95-110. 19 Da notare che rispetto alla medesima citazione di Is 53,3b in Sermo XXV,IV,8 del Commento al Cantico dei Cantici, qui Bernardo segue in toto la Vulgata: De gradibus humilitatis et superbiae II,9: Virum…dolorum, et scientem infirmitatem; Sermo XXIV,IV,8: Virum doloris, et scientem infirmitatem; Vulgata: Virum dolorum, et scientem infirmitatem. 16 DONATO BONO Bernardo: Languores nostros tulisse et dolores portasse cognoscimus; Vulgata: Languores nostros ipse tulit et dolores nostros ipse portavit. Bernardo cita probabilmente a memoria il testo latino della Vulgata, inserendolo senza alcuna difficoltà nel proprio ragionamento e nelle proprie riflessioni. Il Cristo patiens egli lo ritrova perfettamente nello schema deutero-isaiano del Servo sofferente, che qui propone ai monaci come modello della propria umiltà e obbedienza, perché il Cristo non si è sottratto alla sofferenza e al dolore, di cui anzi è ottimo conoscitore, fino a prendere su di sé le nostre piaghe e i nostri dolori. La citazione di questi due brani del poema deutero-isaiano evidenzia l’ottica, entro cui Bernardo utilizza il medesimo canto del Servo: i monaci devono abbracciare l’umiltà e rifiutare la superbia, perché Cristo si è fatto come il Servo deutero-isaiano, conoscitore dell’infermità del cuore umano, portandola su di sé e sulle sue spalle20. 3. IL LIBER DE DILIGENDO DEO Scritto su richiesta dell’amico Aimerico, cardinale diacono della Chiesa di Roma, il Liber de diligendo Deo è in realtà la risposta data da Bernardo a una delle tante quaestiones, rivoltegli dall’amico, come l’autore stesso si preoccupa di evidenziare nel Prologus (Ad id solum quod 20 Questo utilizzo parenetico della figura del Servo sofferente di Is 53 ha le sue radici nella tradizione neotestamentaria e patristica, da 1Pt 2,21-25 (cfr. anche Fil 2,5-11) a Mc 10,45 (= Mt 20,28; cfr. Lc 22,27 e anche Gv 13,14-15), fino a 1Clem 16,3-14 (cfr. D. BONO, La citazione di Is 53, cit., p. 114). Interessante, a riguardo, quanto nota a proposito del martirio di san Massimiliano, avvenuto in Africa alla fine del III secolo, P. SINISCALCO, Massimiliano: un obiettore di coscienza del tardo impero. Studi sulla «Passio s. Maximiliani», Torino 1974, p. 88, in riferimento alla dichiarazione di fede del martire, ispirata alla Scrittura: «…un posto privilegiato sembra assumere il cap. 53,1 sgg. del libro di Isaia, interpretato alla luce di passi neotestamentari»; e conclude: «Il Cristo sofferente, contemplato nel momento della passione redentrice, diviene il modello che deve essere imitato dal cristiano; un modello che tanto più si impone quanto più l’uomo si trova nella circostanza di seguirne la via fino al martirio ed oltre». IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 17 de diligendo Deo). L’opera, però, si configura non come un semplice responsum ad una quaestio, ma piuttosto come un vero e proprio trattato, dal momento che Bernardo non si accontentò di rispondere sul perché e in che modo si deve amare Dio, ma presenta una puntuale e precisa trattazione sui gradi dell’amore21, collegandosi e in un certo senso completando la precedente trattazione del De gradibus humilitatis et superbiae. Le due opere, infatti, si presentano come lo sviluppo di un unico pensiero: «non si può capire cosa sia l’umiltà per Bernardo, senza tener conto del valore che ha per lui la carità, e in che senso l’umiltà sia insieme via alla carità e alla verità»22. L’opera si chiude al capitolo 11 con la cosiddetta Epistula de charitate, lettera scritta in precedenza e inviata da Bernardo a Guigone e ai monaci della Grande Certosa, e quindi inserita in seguito dallo stesso autore come conclusione e sintesi del De diligendo Deo. È difficile poter stabilire con certezza la data di composizione dell’opera, ma si deve oscillare tra il 1121 (anno della creazione di Aimerico a cardinale), o meglio, tra il 1126 (anno della sua nomina a cancelliere o segretario di stato della Curia romana) e il 1141 (anno della morte dello stesso)23. In De diligendo Deo IV,13, parlando dell’amore della sposa, che è l’anima dell’uomo, verso lo Sposo, che è la Trinità, Bernardo si sofferma a lungo a rilevare la reale inadeguatezza dell’amore dell’anima nei confronti del suo Signore, quand’anche arrivasse ad amare con tutta se stessa. Anche in questo caso, infatti, si tratterrebbe di un amore piuttosto finito e limitato, ossia «di quel po’ di polvere che l’anima, anche se si raccoglie tutta in se stessa, può offrire per riamare la suprema Maestà». Bernardo motiva questa sua asserzione con tre citazioni della Scrittura: la prima, Gv 3,16 (Denique sic Deus dilexit mundum, ut Unigenitum daret), riferita al Padre; nel mezzo la citazione di Is 53,12 (Tradidit in 21 Su come Bernardo intenda l’amore di Dio cfr. P. GUILLOUX, L’amour de Dieu selon saint Bernard, in «Revue des sciences religieuse», 6 (1926), pp. 449-512; 7 (1927), pp. 52-68; 8 (1928), pp. 69-80; B. SCHELLENBERGER, Bernardo di Chiaravalle. La via dell’amore, Padova 1994. 22 G. MURA, Introduzione, cit., p. 28. 23 Più dettagliatamente, sulla questione cfr. ibidem, p. 139 nota 1; anche E. BERTOLA, Introduzione, in Opere, II, 221-224. 18 DONATO BONO mortem animam suam), riferita al Figlio; la terza, Gv 14,26 (Spiritus Paraclitus, quem mittet Pater in nomime meo, ille vos docebit omnia, et suggeret vobis omnia quaecumque dixero vobis), allo Spirito Santo. Quindi, Bernardo può concludere la sua riflessione, facendo notare che Dio ama con tutto se stesso, «perché è tutta la Trinità che ama, ammesso che si possa dire «tutto» riferendosi all’infinito e all’incomprensibile, che è certamente semplice». Il testo di Bernardo, secondo la Vulgata, in realtà è più vicino alla LXX che al TM, anche se sostanzialmente le due versioni su questo punto non si distanziano assai: Bernardo: Tradidit in mortem animam suam; Vulgata: Tradidit in mortem animam suam; TM: he‘erah nammawet. napšô (…versò per la morte la sua vita); LXX: paredovqh eijç qavnaton hJ yuchV aujtou. 4. L’APOLOGIA AD GUILLELMUM ABBATEM Anche se nei codici pervenutici è titolato in diversi e svariati modi (da Libellus a Epistula de discreta variegate ordinis monastici et de non iudicando alterius servos, o ancora Excusatorius et invectorius dell’explicit del codice berlinese Phillips 1696)24, l’opuscolo indirizzato a Guglielmo, abate di Cluny, e scritto intorno al 1125, riflette lo stile di una vera e propria Apologia. Si tratta, infatti, di una lettera di difesa della vita benedettina, così come era vissuta dai monaci di Cîteaux, o Cistercensi, e dei vari monasteri, ad essi collegati, che proliferavano in tutta Europa, a motivo dell’esperienza autenticamente monastica, proposta e vissuta dai seguaci di Roberto, abate di Molesmes, che per primo nell’anno 1099 abbandonò Cluny, per ritirarsi a Cistercium25. A dispetto dell’esperienza monastica di Cluny, troppo legata alla terra e al 24 La questione è affrontata da J. LECLERCQ, Introduction, in SBO III, pp. 63-79, soprattutto 66-78. 25 Sulla questione cfr. J.-B. VAN DAMME, I tre fondatori di Cîteaux, Roma 1991. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 19 mondo, Bernardo difende Cîteaux, dove sono garantiti silenzio, solitudine, povertà, lavoro manuale, umiltà intellettuale e separazione dal mondo26. Parlando in Apologia III,5 della possibilità per i cristiani di ritrovarsi in unità, nonostante la varietà degli Ordini religiosi e i diversi stili di vita cristiana, come la continenza o il matrimonio, Bernardo motiva scritturisticamente questa sua asserzione, richiamando la diversità di vita di vari personaggi biblici, da Noè e Daniele a Giobbe; da Marta e Maria a Giuseppe, figlio di Giacobbe. E qui, l’abate di Clairvaux, ricordando la tunica tutta d’un pezzo del Giuseppe veterotestamentario, liberatore dell’Egitto, sposta l’attenzione del lettore a quel Giuseppe, che «salvò il mondo, e non dalla fame del corpo, ma dalla morte dell’anima e del corpo insieme». La tunica di questo Giuseppe è «polimita, cioè variata con bellissima varietà di colori…tinta anche del sangue…dell’agnello …cioè del sangue proprio, non dell’altrui». E qui Bernardo presenta il Cristo con le sfumature caratteristiche dell’Agnello di Is 53,7, richiamato sia con la citazione deutero-isaiana e sia con la rilettura di 1Pt 2,22: Ipse profecto est agnus mansuetissimus, qui coram non quidem tondente, sed occidente se, obmutuit, qui peccatum non fecit, sed abstulit peccata mundi. Bernardo, al fine di evidenziare la mansuetudine dell’agnello, mette in risalto il suo silenzio (obmutuit), creando nello stesso tempo la contrapposizione dell’atteggiamento di colui che anziché tosarlo, come avrebbe dovuto, lo uccide (qui coram non quidem tondente, sed occidente se…). E in ciò l’autore vede l’innocenza di chi peccatum non fecit, sed abstulit peccata mundi. Il richiamo scritturistico è in realtà una libera parafrasi del testo profetico secondo la Vulgata di Is 53,7.9b, utilizzando sia il Deutero-Isaia e sia la Prima Petri. Evidenziando in corsivo i termini in comune, è possibile notare come Bernardo sembri riecheggiare liberamente le parole della Scrittura di Is 53,7.9b e 1Pt 2,22 (qui peccatum non fecit - Vulgata): 26 Cfr. a riguardo la dettagliata presentazione della vita monastica a Cîteaux, fatta dallo stesso Bernardo nell’Epistula 142 (SBO VII, pp. 340-341; Patrologia Latina 182, p. 297). La questione, in generale, è ben affrontata da G. LUNARDI, L’ideale monastico nelle polemiche del secolo XII sulla vita religiosa, Noci 1970, soprattutto pp. 28-39, 48-49. 20 DONATO BONO Bernardo: …agnus…qui coram non…tondente, sed occidente se, obmutuit, qui peccatum non fecit; Vulgata: …quasi agnus coram tondente se obmutescet…eo quod iniquitatem non fecerit. 5. DE GRATIA ET LIBERO ARBITRIO La secolare e difficile questione circa il rapporto tra la Grazia divina e la libertà dell’uomo, affrontata sin dai tempi di Agostino, aveva avuto anche nel tempo di Bernardo una sua particolare importanza27, come egli stesso afferma nel Prologo, dove è specificata persino l’occasione che lo determinò ad affrontare l’argomento28. Circa la data di composizione, Bernardo all’interno dell’opera non fornisce nessun elemento utile a riguardo, ma nella Epistula 52, indirizzata ad Aimerico e che si ritiene scritta intorno all’anno 112829, si parla del trattato bernardiano come pubblicato da poco (nuper edidi). Parlando della triplice libertà (cfr. De gratia et libero arbitrio III,7), ossia dal peccato, dalla infelicità e dalla necessità, Bernardo afferma che «tra i figli di Adamo rivendica a sé la libertà dal peccato soltanto ‘Colui che non commise peccato né ci fu inganno sulla sua bocca’», con esplicito riferimento a 1Pt 2,22Vulgata (qui peccatum non fecit nec inventus est dolus in ore eius), che a sua volta ricalca Is 53,9cd. Anche «rispetto all’infelicità – prosegue il santo abate di Clairvaux – Cristo è stato potenzialmente libero, dal momento che di sua spontanea volontà egli si è sottoposto al dolore e alla passione». «Infatti – commenta Bernardo – nessuno poteva togliergli la sua anima, ma era lui che la deponeva». Egli fonda scritturisticamente questa sua asserzione con la citazione di Is 53,7a: Oblatus est quia voluit, introdotta dalla congiunzione affermativa Denique e dalla formula Teste propheta, dando così forza probativa 27 Sulla questione cfr. O. LOTTIN, Libre arbitre et liberté depuis saint Anselme jusqu’à la fin du XIII siècle, in Psychologie et morale aux XII et XIII siècles, I, Gembloux 1957, pp. 11 ss. 28 Per l’approfondimento cfr. M. SIMONETTI, Introduzione, in Opere, I, p. 335. 29 Sulla questione cfr. SBO III, p. 158. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 21 alla citazione biblica, che si differenzia dalla Vulgata per l’omissione del pronome Ipse, perché l’autore citava a memoria o più probabilmente perché non necessaria la sua presenza, in quanto evidente dal contesto: Bernardo: Oblatus est quia voluit; Vulgata: Oblatus est quia ipse voluit. Bernardo, utilizzando i testi biblici della figura del Servo, può così concludere che «il Salvatore ebbe le tre libertà…ebbe tutte e tre le libertà, la prima in forza della natura umana e divina insieme, le altre due in forza della potenza divina». 6. DE PRAECEPTO ET DISPENSATIONE Il De praecepto et dispensatione è un’opera di grande acutezza intellettuale, formidabile ingegno ed equilibrio umano, in cui Bernardo con somma prudenza affronta il problema del rapporto tra la legge e la dispensa da essa. Inizialmente si trattava semplicemente di rispondere all’esigenza di due monaci benedettini del monastero di Saint-Père-en Vallée, presso Chartres, che con due lunghe lettere chiedevano lumi per la soluzione del rapporto con il loro abate. Prudentemente Bernardo non risponde direttamente né a loro, per timore che le missive gli fossero giunte senza il consenso del loro superiore, né tanto meno allo stesso abate, ma a quello di Coulombs, con l’intento che questi facesse da intermediario, trovandosi i due monasteri nella stessa diocesi di Chartres. Su consiglio di quest’ultimo, la risposta ha poi assunto un carattere pubblico, diventando anzi un vero e proprio trattato, ampliando sì le argomentazioni, ma conservando, tuttavia, la forma epistolare. Non abbiamo elementi intrinseci per fissare la datazione dell’opera, ma possiamo senza dubbio ritenere che essa abbia avuto una larga diffusione nei monasteri benedettini, almeno a partire dalla fine del 1140, come si può supporre dalla lettera scritta a Bernardo negli ultimi mesi del 1142 da Pietro il Venerabile, di ritorno da un suo viaggio in Spagna, dove questi chiede al santo abate una copia del De praecepto, letto una volta a Cluny, ma che poi non aveva più ritrovato. Introdotta dall’espressione Denique Propheta de ipso (Iesu Christo) testatur e dall’aggiunta rafforzativa di quod, la citazione di Is 53,12f 22 DONATO BONO (pro transgressoribus rogavit) si presenta con una forza argomentativa tale, da non lasciare dubbi sulla riflessione di Bernardo, come sottolinea l’aggiunta della proposizione finale Ut non perirent. Bernardo applica il testo scritturistico alle situazioni concrete della vita monastica in cui i monaci, per quanto siano diligenti nell’osservanza degli ordini impartiti dai superiori, pur tuttavia non riusciranno mai ad essere perfetti, e in questo Bernardo trova consolazione nelle Scritture, in particolare 1Gv 2,1-2 e Is 53,12f: Gesù, il Servo, «ha pregato affinché non periscano i trasgressori», ossia coloro che trasgrediscono le norme monastiche. Bernardo, però, approfitta del contesto, per chiarire che la disobbedienza agli ordini dei superiori non ha lo stesso valore dell’osservanza dei precetti di Dio, «sia per quanto riguarda il merito…sia per quanto riguarda il pericolo della trasgressione». Il testo biblico è utilizzato da Bernardo con estrema libertà e contestualizzato nella problematica concreta, relativa alla vita comunitaria, e perciò non aderente al contesto originario. 7. IN LAUDIBUS VIRGINIS MATRIS Durante la malattia del 1124-1125, all’età di appena 34 o 35 anni30 Bernardo, non potendo assorbire i duri impegni e i doveri quotidiani, concentra la sua mente, il suo cuore e la sua intelligenza in una delle opere che maggiormente caratterizzerano la sua teologia e cristologia, ossia Le lodi della Vergine Madre o Missus est31. Si tratta di quattro omelie, in cui Bernardo si sofferma sulla scena lucana dell’annunciazio- 30 È la tesi di D. VAN DEN EYNDE, Les débuts littéraires de saint Bernard, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 19 (1963) pp. 189-198; pure in J. LECLERCQ, Recueil d’études sur s. Bernard et ses écrits, III, Roma 1969, pp. 343-355. Cfr. anche l’Epistula 89 ad Ogerio, scritta nella Quaresima del 1125, in SBO VII, pp. 236-237, e l’Epistula 18, indirizzata al cardinale Pietro, ibidem, p. 69. 31 La devozione mariana di Bernardo è essenzialmente cristologica. Egli comprende – potremmo dire in chiave femminile – la cristologia, attraverso lo sviluppo teologico della mariologia. Cfr. A.M. JAVIERRE ORTAS, Bernardo e Maria «mitezza e umiltà», in Respice Stellam. Maria in san Bernardo e nella tradizione cistercense. Atti del Convegno internazionale 1991, Roma 1993, pp. 67-68. Non convince affatto IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 23 ne (Lc 1,26-38), tessendo sì le lodi della Vergine di Nazareth, ma concentrandosi sul mistero del Cristo, con un’abbondanza di allusioni e citazioni bibliche32, tra cui Is 53,7 (homilia I,8) e Is 53,12 (homilia III,14). In homilia I,8, commentando Ap 14,4 (Sequuntur Agnum quocumque ierit), Bernardo asserisce che tale sequela implica che si sia nello stesso tempo e vergini e umili, e pur tuttavia ciò non porterà l’uomo a seguire l’Agnello «ovunque egli andrà», perché il vergine non potrà mai «salire fino alla purezza dell’Agnello, che è senza macchia», e l’umile non potrà mai imitare la sua mansuetudine, che lo portò a tacere non di fronte a chi lo tosava, ma a chi lo uccideva. Bernardo utilizza la figura dell’agnello di Is 53,7, per descrivere l’umiltà paradossale ed estrema del Cristo, che si è rivelata essenzialmente nella capacità di tacere di fronte agli uccisori. Il santo abate di Clairvaux enfatizza la scena biblica, dal momento che il Deutero-Isaia parlava del silenzio dell’agnello davanti ai suoi tosatori. Egli, invece, commenta il testo, dicendo che per il Cristo non si è trattato di semplici tosatori, ma di uccisori33. Più che una citazione, il testo è una parafrasi con chiari riferimenti a Is 53,7Vulgata: Bernardo: ...ad munditiam agni…non coram tondente, sed coram occidente se obmutuit; Vulgata: et quasi agnus coram tondente se obmutescet. In homilia III,14, invitando il lettore o l’ascoltatore ad accogliere l’umiltà del Figlio di Dio, Bernardo ricorre a diversi testi della Scrittura la posizione di G. PICASSO, S. Bernardo di Chiaravalle. Sermoni per le feste della Madonna, Milano 1990, pp. 17-18, secondo il quale Bernardo «non apre sentieri nuovi» per lo sviluppo della mariologia, ma egli «continua a occupare un posto rilevante nella storia della devozione mariana perché ha saputo riprendere e riproporre quanto la tradizione patristica aveva insegnato sulla Vergine». Sembra al contrario che, pur attingendo dalla tradizione dei Padri della Chiesa, Bernardo però realizzi una sua peculiare e propria riflessione ascetica e dogmatica sulla Vergine di Nazareth, e ciò gli procura «a buon diritto» – come sostiene lo stesso Picasso – il titolo di Doctor marialis. 32 Cfr. J. LECLERCQ - J. FIGUET, La Bible dans les homélies de s. Bernard sur «Missus est», in «Studi medievali», 5 (1964), pp. 613-648. 33 Cfr. lo stesso ragionamento in Apologia ad Guillelmum abbatem III,5: …qui coram non quidem tondente, sed occidente se obmutuit. 24 DONATO BONO (Rm 8,32; Fil 2,7), e tra questi Is 53,12, applicato direttamente alla persona del Cristo, che «‘consegnò la sua vita alla morte e fu contato tra i malfattori, egli portò i peccati di molti e intercedette per i peccatori’, perché non perissero». La citazione è secondo la Vulgata, con l’aggiunta da parte di Bernardo dell’espressione finale ut non perirent: Bernardo: Tradidit in mortem animam suam, et cum sceleratis reputatus est, et ipse peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit, ut non perirent; Vulgata: Tradidit in mortem animam suam, et cum sceleratis reputatus est, et ipse peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit. 8. I SERMONES BERNARDIANI Bernardo stesso, soprattutto durante gli ultimi anni della sua vita, ha raccolto, sistemato, corretto e infine pubblicato una collezione di Sermoni o Discorsi, che oggi figurano sotto il titolo di Sermoni per l’anno e che costituiscono un vero e proprio commento all’anno liturgico, dall’Avvento fino alle feste di novembre34. Accanto a questa prima raccolta, esiste una serie di altri Sermones, comunemente denominati Sermones de diversis e Sermones varii: i Sermones de diversis sono, in sostanza, 125 Discorsi su temi diversi, così classificati e conservati dagli antichi editori e confermati dalla recente edizione critica35; nove testi autentici costituiscono i cosiddetti Sermones varii36. Ci sono, infine, 17 Sermoni sul Salmo Qui habitat o Salmo 90, che hanno una loro propria e specifica storia testuale e manoscritta37. 34 Come giustmente osserva J. LECLERCQ, Introduzione, in Opere IV, p. 4, Bernardo «su ciascuna festa e sui misteri che vi si celebrano ha costituito una sorta di trattato teologico, cominciando con considerazioni di carattere dogmatico per finire con lezioni ascetiche di carattere pratico». I Sermoni per l’anno «fanno dunque parte dell’opera scritta di Bernardo», dal momento che essi sono il risultato di una profonda e sistematica elaborazione di temi teologici, dogmatici e spirituali che, pertanto, non ci permettono di cogliere e approfondire l’indole specifica del «Bernardo predicatore». 35 Cfr. ibidem, p. 4. 36 Cfr. ibidem, p. 620. 37 Sulla questione cfr. SBO IV, p. 119, e soprattutto l’analisi specifica di H.M. ROCHAIS, Enquête sur les Sermons divers et les Sentences de saint Bernard, in «Ana- IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 25 8.1. I Sermones per annum All’interno dei Sermones per annum sono numerosi i richiami a parti di Is 53. - In adventu Domini (Sermo IV,7), Bernardo conclude la sua riflessione sul Cristo crocifisso, affermando che egli non era assetato di nient’altro che della giustizia: ha, infatti, pregato per i suoi crocifissori e non commise peccato (…qui peccatum non fecit…), richiamando il testo biblico di 1Pt 2,22Vulgata, che ha come riferimento Is 53,9c (…eo quod iniquitatem non fecerit…)38. - In vigilia Nativitatis (Sermo I,8) Bernardo, all’interno della riflessione sull’incarnazione del Verbo nel grembo della Vergine, allude a Is 53,8 con l’espressione «Fratres, generationem istam quis enarrabit?»39; e conclude: «Virgo credit, fide concipit Virgo, parturit Virgo, manet Virgo». Egli contempla, così, l’originalità mirabile della generazione del Verbo, utilizzando il testo di Is 53,8bVulgata (Generationem eius quis enarrabit?), sulla scia della tradizione patristica40; più avanti (Sermo IV,3) Bernardo, nel contesto della riflessione sul parto di Maria (conceptus fuit sine pudore, partus sine dolore), cita Is 53,4, introdotto dall’espressione Secundum quod Isaias ait e dalla preposizione causale quia: Vere languores nostros ipse portavit41. Con enfasi e solennità egli può così affermare che la Madre non fu sfiorata da alcun dolore nel partorire Colui che portò su di sé i dolori di tutto il mondo (…qui tulit dolores totius mundi)42. lecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 18 (1962), pp. 22-27; IDEM, Remarques sur les Sermons divers et les Sentences de saint Bernard, in «Analecta Cisterciensia», 21 (1965), pp. 1-34. 38 SBO IV, p. 187. 39 SBO IV, p. 198. 40 A partire da Giustino in poi questo testo è stato utilizzato dai Padri nella riflessione sulla nascita verginale di Maria e sulla generazione eterna del Verbo. Sulla questione cfr. A. ORBE, La teologia dei secoli II e III. Il confronto della Grande Chiesa con lo gnosticismo, Roma 1995, pp. 102-104. 41 La Vulgata ha: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit. Il testo di Bernardo, che sostituisce il verbo tulit con portavit, è dovuto forse ad una citazione a memoria. 42 SBO IV, p. 222. 26 DONATO BONO - In circumcisione Domini (Sermo II,1,10) l’abate di Chiaravalle ritorna al testo di 1Pt 2,22Vulgata (…qui peccatum non fecit)43 e, forse, allude a Is 53,12 con l’espressione Non dedignatus est se peccatorem reputari. Parlando, quindi, dell’umiltà e della mansuetudine del Cristo (Sermo II,1,18), Bernardo fa ricorso ad una parafrasi di Is 53,7 (Quidni obmutesceret coram circumcidente, qui coram tondente obmutuit, coram crucifigente siluit?), in cui paragona il silenzio del bambino Gesù durante la circoncisione con il suo silenzio al momento della crocifissione44. - In Epiphania Domini (Sermo I,1,17) il testo di Is 53,1 (Domine, quis credidit auditui nostro?), citato secondo Rm 10,16 e Gv 12,38Vulgata, è attribuito da Bernardo agli annunciatori del vangelo: «…propter hoc angeli pacis amare flebant, dicentes: Domine, quis credidit auditui nostro?»45. - In Purificatione sanctae Mariae (Sermo III,2,4) l’espressione «Oblatus est quia ipse voluit» di Is 53,7 è attribuita all’oblazione volontaria del Cristo sulla croce46. - In Septuagesima (Sermo I,1) l’espressione di Is 53,8 (sed generationem istam quis enarrabit?) è riferita da Bernardo non alla generazione eterna del Verbo o alla nascita verginale ma, come risulta chiaramente dal contesto, alla comunità degli eletti47. - In Quadragesima (Sermo I,2) la preghiera di Bernardo, rivolta al Cristo, è sulla scia di Is 53,4: Tu Dolores meos portas, et pro me doles48. - In ramis palmarum (Sermo I,1) ritorna l’espressione qui peccatum non fecit di 1Pt 2,22 e poco più avanti l’espressione Et cum sceleratis reputatus di Is 53,12 conferma la lettura cristologica del poema deutero- 43 Lo stesso riferimento ritorna poco più avanti in Sermo III,4 (SBO IV, p. 285). SBO IV, p. 278. 45 Ibidem, p. 292. È da notare che sia Paolo e sia Giovanni riportano Is 53,1 secondo la LXX, che si differenzia dal TM per l’introduzione del vocativo Domine, facendo così diventare il testo una vera e propria invocazione orante a Dio. Bernardo riporta l’espressione deutero-isaiana secondo la lettura neotestamentaria e, attribuendola ai messaggeri della pace, forse la pensa pronunciata dalla comunità cristiana. 46 SBO IV, p. 343. 47 Ibidem, p. 345. 48 Ibidem, p. 354. 44 FARE CORREZIONE MANUALE. IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 27 isaiano fatta da Bernardo49; in seguito (Sermo II,3)50 la citazione di Is 53,7 oscilla tra la Vulgata di At 8,32 (= Is 53,7LXX) e la Vulgata di Is 53,7 (= TM), ma con una preferenza del testo lucano51: Bernardo: Tamquam ovis ad occisionem ductus est, et quasi agnus coram tondente obmutuit, et non aperuit os suum; qui, cum percuteretur, non comminabatur…; At 8,32Vulgata: Tamquam ovis ad occisionem ductus est; et sicut agnus coram tondente se, sine voce, sic non aperuit os suum; Is 53,7Vulgata: Sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et aperuit os suum; TM: kaseh latebah . lipney gozzeya be’alamah welo’ yp. . yûbal wukerahel tah. py [Come l’agnello al macello fu condotto e come pecora davanti a quelli che la tosavano, ammutolì e non aprì la bocca di lui]; LXX: wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh kaiV wJç ajmnoVç ejnantivon tou= keivrontoç aujtoVn a[fwnoç ou{twç oujk ajnoivgei toV stovvma aujtou=. Da notare che Bernardo aggiunge un’espressione finale (…qui, cum percuteretur, non comminabatur…), che ricalca 1Pt 2,23, dove la variante percuteretur al posto di pateretur(Vulgata) è forse dovuta a cause mnemoniche: Bernardo: …qui, cum percuteretur, non comminabatur…; At 8,32Vulgata: qui…cum pateretur, non comminabatur. Numerosi, inoltre, sono i riferimenti a Is 53 nei Discorsi sulla passione: nel Christus patiens Bernardo vede passo passo le sofferenze del Servo deutero-isaiano. - In Feria quarta Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 2, l’espressione Sicut agnus ad occisionem ductus sit et tamquam ovis co- 49 SBO V, p. 43. SBO V, p. 48. 51 At 8,32-33 (= Is 53,7-8a) è citato secondo la LXX. Bernardo ha come riferimento il testo lucano degli Atti degli Apostoli, differenziandosi per l’avverbio quasi al posto di sicut; e anziché sine voce Bernardo ha obmutuit, più vicino al se obmutescet della Vulgata di Is 53,7. 50 28 DONATO BONO ram tondente, non aperuit os suum di Is 53,7 è associata al Salmo 21,16: …undique foraretur cum foderentur manus eius et pedes…52; poco più avanti (In Feria quarta Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 3-4), Bernardo presenta una vera e propria carrellata di passi di Is 53, riferiti al Cristo sofferente: - In humilitate iudicium eius sublatum est (= At 8,32Vulgata = Is 53,8aLXX)53; - Vidimus eum, et non erat ei aspectus (= Is 53,2Vulgata); - Nec speciosum forma prae filiis hominum (cfr. Is 52,14cVulgata: et forma eius inter filios hominum)… - Sed opprobrium hominum, tamquam leprosum (cfr. Is 53,4cVulgata: …et nos putavimus eum quasi leprosum): novissimum virorum, plane virum dolorum (cfr. Is 53,3a: Despectum, et novissimum virorum); - a Deo percussum et humiliatum (cfr. Is 53,4dVulgata: Et percussum a Deo et humiliatum)… - ita ut nulla esset ei species neque decor… (cfr. Is 53,2cVulgata: Non est species ei, neque decor)54. Notiamo che il santo abate di Clairvaux commenta ciò con espressioni come: Nemo Illo sublimior, neque humilior. In tal modo Bernardo condensa la mirabile descrizione del Cristo Servo, fatta dal profeta, cui si riferisce con il verbo introduttivo inquit; e continua con altre espressioni del poema deutero-isaiano: - …cum sceleratis reputatus est… (= Is 53,12dVulgata); - tradidit in mortem animam suam (= Is 53,12c), et peccata multorum tulit (Vulgata: et ipse peccata multorum tulit), etiam pro transgressoribus rogavit (Vulgata: et pro transgressoribus rogavit), ut non perirent55. 52 Ibidem, p. 57. At 8,32-33 (= Is 53,7-8aLXX) è ben differente dal TM, che sembra insistere sull’arresto del Servo e successiva condanna senza un vero e proprio processo. In tutti i modi, qui interessa sottolineare che la citazione bernardiana è secondo At 8,32Vulgata, e non secondo Is 53,8aVulgata (De angustia, et de iudicio sublatus est). 54 SBO V, p. 58. 55 Ibidem. 53 IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 29 Poco più avanti (In Feria quarta Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 4) Bernardo insiste sull’unicità dell’offerta compiuta dal Cristo: Non solus voluit et oblatus est, sed quia voluit (cfr. Is 53,7)…solus in mortem tradidit animam suam (cfr. Is 53,12d)56. Quindi, il santo abate sottolinea che l’argomento principale nella passione del Signore (In Feria quarta Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 8) è il fatto che Egli pregò per i suoi nemici (cfr. Lc 23,34, citato da Bernardo secondo un’antica versione: Pater, ignosce illis quia nesciunt quid faciunt), come affermato in Is 53,12ef57: Bernardo: peccatum multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit, ut non perirent; Vulgata: peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit. In Feria quarta Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 11, i testi di Is 53,4 (…vere languores nostros ipse tulit et dolores nostros ipse portavit) e di Is 53,3 (vir dolorum) sono inseriti da Bernardo all’interno di altri testi vetero-testamentari, come i Salmi 80,7 e 68,3058. In resurrectione Domini (Sermo I,11), l’immagine di Gesù tra i ladroni di Lc 23,33 è accostata da Bernardo a Is 53,12d (= Lc 22,37Vulgata): pependit inter latrones et cum iniquis deputatus est Dominus maiestatis59; più avanti (Sermo III,2) Bernardo combina insieme Is 53,7c, citato secondo At 8,32Vulgata, e 1Pt 2,2360: Bernardo: Tamquam ovis ad occisionem ductus est et non aperuit os suum, qui cum malediceretur, non maledicebat, cum pateretur non comminabatur; 1Pt 2,23Vulgata: qui cum malediceretur, non maledicebat: cum pateretur non comminabatur; At 8,32Vulgata: Tamquam ovis ad occisionem ductus est…sic non aperuit os suum; Is 53,7cVulgata: Sicut ovis ad occisionem ducetur…et non aperuit os suum; 56 SBO V, p. 59. Ibidem, p. 61. 58 Ibidem, p. 64. 59 Ibidem, p. 88. 60 Ibidem, pp. 104-105. 57 30 DONATO BONO e, infine (Sermo III,5) ritorna la citazione di Is 53,761: Bernardo: Oblatus est enim, quia voluit; Vulgata: Oblatus est quia ipse voluit. In Ascensione (Sermo IV,6) Bernardo attribuisce al Cristo l’espressione qui tradebat in mortem animam suam, e più avanti (Sermo IV,9) anche l’espressione Vidimus eum, et non erat illi species neque decor, citata forse mnemonicamente, dal momento che la Vulgata ha Non erat species ei neque decor et vidimus eum (Is 53,2)62. In Die Pentecostes (Sermo I,1)63 ritorna la citazione di Is 53,8 (…generationem eius quis enarrabit?), sempre nel contesto della generazione eterna e dell’incarnazione del Verbo; e più avanti (Sermo II,7)64 ricompare l’immagine dell’agnello muto di Is 53,7 (cfr. anche At 8,32): sicut agnus coram tondente obmutuit et non aperuit os suum. Nel discorso In sollemnitate Apostolorum Petri et Pauli (Sermo I,1)65 riappare l’espressione di 1Pt 2,23 (qui peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius); e In Assumptione Beatae Mariae (Sermo I,4) Bernardo utilizza liberamente e con una certa arbitrarietà Is 53,8 (Christi generationem, Mariae assumptionem quis enarrabit?), unendo insieme il mistero dell’assunzione di Maria con quello della generazione del Cristo66. In De Maria et Martha et Lazaro (Sermo III,5) troviamo l’espressione di Is 53,3 Virum dolorum et scientem infirmitatem67; e nel discorso Dominica in kalendis novembris I,2, Bernardo annota che il profeta Isaia vide il Cristo sofferente secondo Is 53,4 (Isaias…tamquam leprosum se vidisse testatur)68; quindi (Sermo V,4), il santo abate di Chiaravalle spe- 61 Ibidem, p. 108. Ibidem, pp. 142.145. 63 SBO V, p. 161. 64 Ibidem, p. 170. 65 Ibidem, p. 188. 66 Ibidem, p. 231. 67 Ibidem, p. 241. 68 Ibidem, p. 305. 62 IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 31 cifica, a differenza della visione celeste (cfr. Is 6,1), che il medesimo profeta ha contemplato lo strazio e la sofferenza di Dio secondo i tratti del Servo sofferente di Is 53,2.3.4 (longe enim per omnem modum dissimilis ea visio fuit, de qua alibi idem Propheta): Vidimus eum, inquit, et non erat ei species neque decor (Is 53,2), et aestimamus eum tamquam leprosum et percussum a Deo et humiliatum (Is 53,4; cfr. Vulgata: Non est species ei, neque decor; et vidimus eum, et nos putavimus eum quasi leprosum, et percussum a Deo et humiliatum); e ancora Bernardo insiste che il profeta Isaia vidit lividum plagis, saturatum opprobriis…pendentem, vidit propter nos morientem, et ait: Attritus est propter scelera nostra, cuius livore sanati sumus (Is 53,5; Vulgata: Attritus est propter scelera nostra…et livore eius sanati sumus); e insiste: Ibi…novissimus virorum apparuit et despectus…vir dolorum et sciens infirmitatem (Vulgata: …novissimum virorum, virum dolorum, et scientem infirmitatem). Nel presentare i suddetti tratti della sofferenza, il santo abate splendidamente contrappone il vidi solitario di Is 6,1 al vidimus plurale di Is 53,269. Sempre applicata al Cristo, la profezia di Is 53,2 ritorna nel discorso In festivitate omnium sanctorum (Sermo V,9) con l’espressione …non habens speciem aut decorem70; e finalmente la formula Oblatus est quia ipse voluit (= Is 53,7a) del discorso In festivitate sancti Martini episcopi 8, chiude la carrellata delle citazioni di Is 53 nei Sermones per annum. 8.2. I Sermones varii L’unico riferimento a Is 53 nei Sermones varii è nel De septem donis Spiritus Sancti 571, dove è citato il testo di Is 53,7 (cfr. At 8,32): 69 Cfr. ibidem, p. 320. Ibidem, p. 368. 71 SBO VI/1, p. 49. 70 32 DONATO BONO Sicut ovis ad occidendum ductus est et quasi agnus coram tondente se non aperuit os suum; Vulgata: Sicut ovis ad occisionem ducetur et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperuit os suum. Il testo di Bernardo si differenzia dalla Vulgata per l’uso del gerundivo (ad occidendum), che imprime all’espressione l’idea di necessità dell’immolazione dell’agnello; e per l’omissione di obmutescet, che nella Vulgata rafforza il silenzio dell’Agnello/Servo. 8.3. I Sermones de diversis Il primo riferimento a Is 53 nei Sermones de diversis è una parafrasi di Is 53,5 (ut livore eius nos sanaremur), che troviamo in Sermo VI,372. In Sermo XXVIII,1 l’espressione nec in eo inventum est è un chiaro rimando a 1Pt 2,22, modellato su Is 53,973. In Sermo XXIX,3 troviamo il riferimento a Is 53,12 nella proposizione relativa qui tradidit in mortem animam suam, et tulit peccatum multorum74. In Sermo XXXIII,3 e XXXIV,4 ritorna l’espressione qui peccatum non fecit di 1Pt 2,22 (cfr. Is 53,9)75. In Sermo XXXV,2 troviamo il testo di Is 53,7 Quia ipse voluit, oblatus est, laddove la Vulgata ha Oblatus est, quia ipse voluit76. Anche in Sermo XL,4 l’espressione Quia enim peccatum non fecit nisi unus…rimanda a 1Pt 2,22 (cfr. Is 53,9)77. 72 Ibidem, p. 107. Ibidem, p. 204. 74 Ibidem, p. 212. 75 Ibidem, p. 224 e 231. 76 Ibidem, p. 229. 77 Ibidem, p. 238. 73 IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 33 Nel Sermo LXXXVIII,1 la citazione di Is 53,8 (Generationem eius quis enarrabit?) ritorna all’interno del tema della generazione divina del Cristo78. In Sermo XC,2 è richiamato il testo di Is 53,3 nell’espressione ad hos pedes viri doloris et scientis infirmitatem79. E, infine, nel Sermo CCCIII,1 chiude la carrellata dei richiami al poema del Servo la citazione di Is 53,2 Et vidimus eum, et non erat ei species neque decor, laddove la Vulgata ha Non est species ei neque decor, et vidimus eum80. 9. LE SENTENTIAE È stata tramandata una lunga serie di Sentenze, detti o brevi testi, attribuiti a Bernardo. Riguardo, però, alla loro autenticità, pur essendoci non lievi difficoltà di tipo testuale, tuttavia agli studi attuali non ci sono motivi fondati per avanzare, almeno nella sostanza, seri dubbi81. Alle due tradizionali serie di Sentenze, rispettivamente di 43 e 188 testi, se ne aggiunge ora una terza serie di 127 testi, anch’essi considerati sostanzialmente autentici, perché dello stesso secolo di Bernardo e conformi nello stile e nei concetti alle precedenti82. Nella Sententia XXIV (Series secunda), che parla della santità dei cristiani, Bernardo afferma che essi «devono esercitare virilmente la pazienza, poiché anche Gesù fu ucciso come un agnello» (Iesus sicut agnus occisus est; cfr. Is 53,7)83. 78 Ibidem, p. 333. Ibidem, p. 338. 80 Ibidem, p. 400. 81 La questione è ben affrontata da H.M. ROCHAIS, Enquête sur les Sermons divers et les Sentences, cit., pp. 9-21; IDEM, Remarques sur les Sermons divers et les Sentences, cit., pp. 19-34. 82 Cfr. J. LECLERCQ, Introduzione, in Opere, II, pp. 239-262. La questione relativa all’autenticità delle sentenze di Bernardo è affrontata H.M. ROCHAIS, Enquête sur les Sermons divers et les Sentences, cit., pp. 28-66; cfr. anche IDEM, Saint Bernard de Clairvaux, les combats de Dieu, Paris 1981. 83 SBO VI/2, p. 31. 79 34 DONATO BONO Nella Sententia LXXXV della medesima serie, il carro dell’umiltà è identificato con quello su cui sedeva l’eunuco di Candace di At 8,272884. Anche se Bernardo non esplicita che l’eunuco leggeva Is 53,7-8a, sembra tuttavia implicito nel riferimento all’umiltà. Questo medesimo carro, chiamato il carro della profondità del significato del mutamento di vita dopo la conversione, è nuovamente ricordato da Bernardo nella Sententia CXLII, dove viene esplicitato che l’eunuco, sedutovi, lesse le Scritture insieme con l’apostolo Filippo85. Nella Sententia CLXXI l’espressione communis et despecta, usata per indicare il modo sommesso e debole con cui è apparso il Cristo Signore, sembra un richiamo a Is 53,386. Nella Sententia LXX (Series tertia), parlando del peccato commesso dall’angelo della luce, Bernardo afferma che Dio ha vinto tale orgoglio, scegliendo di farsi totalmente umile e presentandosi all’uomo sotto le spoglie d’un uomo tanto miserabile quanto non se n’è visto l’eguale, ossia uomo del dolore, uomo che conosce la debolezza (despectum et novissimum virorum, virum dolorum et scientem infirmitatem)87. Nella Sententia LXXXVIII l’episodio del lebbroso Naaman, purificato e guarito dalla lebbra grazie alla sua immersione per sette volte, «cioè perfettamente», nelle acque del Giordano, è l’occasione per parlare dei lavacri spirituali, che – afferma Bernardo – sono sette: «uno fuori del corpo, uno attorno al corpo, uno nel corpo, due nella lingua, due nella mente». Tutte e sette queste lavande furono nel Cristo, e in particolare quella relativa alla lingua, quando Egli nella sofferenza non reagì, quia sicut ovis coram tondente se obmutuit (= Is 53,7)88. Nella Sententia CXI sull’assunzione della beata Vergine Maria ritorna la citazione di 1Pt 2,22 (= Is 53,9), riferita al Cristo (Ipse enim est qui peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius)89. 84 Ibidem, p. 41. Ibidem, pp. 50-51. 86 Ibidem, p. 56. 87 Ibidem, p. 103. 88 Ibidem, p. 135. 89 Ibidem, p. 190. 85 IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 35 10. L’EPISTOLARIO BERNARDIANO L’attività epistolare di san Bernardo è stata veramente immane: sono probabilmente quasi un migliaio le sue missive, di cui circa cinquecento sono state conservate e, quindi, pervenuteci. Egli stesso si prodigava di conservarne copia, facendo spesso riferimento a qualche sua lettera precedente e, quindi, rendendosi perfettamente conto dell’importanza della sua attività epistolare nel suo tempo90. Nell’Epistula XXXII, scritta nei mesi settembre-ottobre 1124 e indirizzata all’abate Joran dell’abbazia di San Nicasio di Reims, Bernardo intercede a favore di Drogone, il quale aveva abbandonato la propria abbazia per farsi monaco cistercense. Il santo abate di Chiaravalle introduce la propria missiva con una condivisione di sentimenti, che egli riporta al Cristo sofferente, citando Is 53,4 nella forma dell’inno petrino di 1Pt 2,24: Con quanto affetto io mi associo al tuo dolore lo sa Colui che sopportò nel suo corpo i dolori di noi tutti (….scit Ille qui nostros omnium dolores in suo corpore tulit)91. La citazione di Is 53,1LXX (Domine, quis credidit auditui nostro?) troviamo nell’Epistula CVII,10, scritta intorno al 1131 da Bernardo al figlio diletto Tommaso, prevosto di Berverley, per sollecitarlo al compimento dei voti monastici promessi. Il testo deutero-isaiano è inserito nel contesto del tema relativo alla risposta degli eletti alla propria vocazione92. Nell’Epistula CXLIV, scritta ai monaci di Clairvaux nell’ottobre 1137, nel termine absconditus, riferito al Cristo, è possibile vedere una reminiscenza di Is 53,3c93. Nell’Epistula CCXXXVII,3, indirizzata alla Curia Romana subito dopo l’elezione del papa Eugenio III (Bernardo Paganelli, abate di Sant’Anastasio), Bernardo esprime il suo stupore e la sua meraviglia per una tale inaspettata elezione. Il povero Eugenio III, giovane delicato e di 90 Sulla complessa problematica cfr. J. LECLERCQ, Introduzione, in Opere VI/1, pp. IX ss. 91 SBO VII, p. 86. 92 Ibidem, p. 274. 93 Ibidem, p. 344. 36 DONATO BONO tenera modestia, usa più alla contemplazione e alla quiete, che a trattare le faccende pubbliche, è paragonato ad un fanciullo (tamquam infans, cfr. Is 53,2LXX) trascinato come pecora condotta al macello (…quasi ovem ad victimam ductum)94. Nell’Epistula CDLXII,895 Ad quosdam noviter conversos, sul tema della povertà monastica, invitando i conversi a non disperare per il proprio peccato, l’autore ne dà la motivazione, ricordando l’esempio dell’agnello mite e innocente, pendente dalla croce, che tace in presenza di chi lo tosa (…qui coram tondente se obmutuit) e, anziché scagliare improperi e infuriarsi, si rivolge dolcemente a chi passa per la via e si volge a guardarlo96. 11. LA PARABOLA DE AETHIOPISSA Non sorprende affatto che Bernardo abbia potuto utilizzare delle parabole all’interrno delle sue catechesi o più semplicemente le abbia raccontate per far riposare il suo uditorio o per «adattarsi ad un pubblico più sensibile ai racconti d’immaginazione che alle esposizioni elevate»97. Nella parabola della donna etiope che il figlio del re prese in moglie, dove l’autore presenta la Chiesa come donna prigioniera, ma liberata dal Cristo98, Bernardo non manca di utilizzare l’immagine dell’agnello condotto al macello, citando Is 53,7, e collegandola con Gv 1,29: Bernardo: Quasi ovis ad occisionem ducetur et sicut agnus coram tondente se sic non aperiet os suum; 94 SBO VIII, p. 114. Circa l’autenticità bernardiana di questa lettera cfr. J. LECLERCQ, L’authenticité de l’épître 462 de s. Bernard «Ad noviter conversos», in «Studia anselmiana», 63 (1974), pp. 81-96. Forse, è da ritenere che la lettera non sia autentica, ma senza dubbio di ispirazione benardiana. 96 SBO VIII, p. 445. 97 Cfr. J. LECLERCQ, Introduzione, in Opere II, p. 672. 98 Cfr. H.M. ROCHAIS, Enquête sur les Sermons divers et les Sentences, cit., pp. 42-43. 95 IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 37 Vulgata: Sicut ovis ad occisionem ducetur et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperiet os suum. E poco più avanti ritorna il richiamo a 1Pt 2,22 (= Is 53,9), sempre riferito al Cristo, qui peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius99. 12. CONCLUSIONI I tratti del Servo sofferente di Is 53 sono ben presenti nell’opera di san Bernardo di Chiaravalle. Essi sono sempre attribuiti al Christus patiens, e contribuiscono decisamente a delineare le caratteristiche della cristologia e soteriologia bernardiane nella prospettiva veterotestamentaria del Servo sofferente del Deutero-Isaia. Bernardo cita i passi del poema sostanzialmente dalla Vulgata, sia direttamente da Isaia e sia dalle citazioni presenti nel Nuovo Testamento, soprattutto dall’inno cristologico di 1Pt 2,18-25, modellato su Is 53100, e dall’opera lucana (Lc 22,37 = Is 53,12d e At 8,32-33 = Is 53,7-8a). 99 SBO VI/2, pp. 289.293. Cfr. soprattutto De gradibus et superbiae II,7; ma anche In Ascensione (Sermo VI,3): Ut peccatis mortui, iustitiae vivamus (= 1Pt 2,24; SBO V, p. 152); In Vigilia Apostolourm Petri et Pauli (Sermo III): …ut sequamur vestigia eius (= 1Pt 2,21; ibidem, p. 186). Inoltre, in Sententia 17 (Series tertia) cfr. la citazione di 1Pt 2,21 (Christus passus est…ut sequimini vestigia eius; SBO VI/2, p. 75); in Epistula XXIII ad Attonem: …ut iustitiae viveretis (SBO VII, p. 75); in Epistula CV ad Romanum: …ut iustitiae vivas (ibidem, p. 264); in Epistula CXXIV ad Hildebertum: …singularem episcopum animarum suarum (cfr. 1Pt 2,25; ibidem, p. 306); in Epistula CXXVI ad Episcopos Aquitaniae: …Papam et Episcopum animarum suarum (ibidem, p. 317); in Epistula CCXLIII ad Romanos: …redite ad Pastorem et Episcopum animarum vestrarum (SBO VIII, p. 133); in Epistula CCCXX Alexandro…: pastorem animarum vestrarum (ibidem, p. 254); in Epistula CCCXXI ad Henricum De Murdac…: …tamquam pastor animarum eorum (ibidem, p. 255); in Epistula CCCXXIX ad Episcipum Lemovicensem: ...agitur de pastore et episcopo animarum (ibidem, p. 265); in Epistula CCCLIII Willelmo abbati De Rievalle: …Pontifex amimarum nostrarum (ibidem, p. 296). 100 38 DONATO BONO Nella lettura bernardiana del quarto canto del Servo sofferente non si intravede nessuna nota polemica, né antigiudaica né di alcun altro tipo. Per Bernardo si tratta semplicemente di un dato di fatto: la profezia deutero-isaiana ha annunciato la passione e la morte del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. È Lui l’agnello immolato, condotto al macello per i nostri peccati, e grazie alla sua atroce sofferenza la pace è ora su di noi. Il quarto canto del Servo risulta così citato: Is 52,14c …nec speciosum forma prae filiis hominum Hebdomadae Sanctae de Passione Domini, 3-4; Is 53,1a … (Domine), quis credidit auditui nostro? (cfr. Rm 10,16; Gv 12,38) In cantica XVIII,II,2; cfr. XXXVIII,II,2; In Epiphania Domini I,1,17; Epistula CVII,10; Is 53,2c …et non erat ei species neque decor In cantica XXV,IV,8; XLV,IV; LXX,II,4 cfr. In cantica XXVIII,I,1-4; In festivitate omnium sanctorum V,9; Sermo de diversis CCCIII,1; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Dominica in kalendis novembris I,2; V,4; In Ascensione IV,9; Is 53,2d …et vidimus eum De Maria et Martha et Lazaro III; Feria IV Hebdomadae Sanctae; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; In Ascensione IV,9; Dominica in kalendis novembris V,4; Sermo de diversis CCCIII,1; Epistula 237,3; …ut infans LXX Is 53,2e …et non erat ei aspectus (Vulgata) Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Is 53,3a …despectum et novissimum cfr. In cantica XXVIII,I,1-4; virorum, plane virum dolorum Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Dominica in kalendis novembris I,2; Sententia CLXXI Series secunda; Sententia LXX Series tertia; IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 39 Is 53,3b …Virum doloris, et scientem infirmitatem In cantica XXV,IV,8; De gradibus II,9; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 11; De Maria et Martha et Lazaro III,5; cfr. Sermo de diversis XC,2; Sententia LXX Series tertia; Is 53,3c …et quasi absconditus (Vulgata) Epistula CXLIV; Is 53,4a …Vere languores nostros ipse tulit In cantica XXV,IV,8; XXVIII,V,12; LVI,I,1; cfr. De gradibus II,9; In vigilia Nativitatis IV,3; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 11; In Quadragesima I,2; Dominica in kalendis novembris I,2; cfr. In Quadragesima I,2; …et pro nobis dolet (Vetus Latina) Is 53,4b …et dolores nostros ipse portavit (cfr. 1Pt 2,22) In cantica LVI,I,1; cfr. In cantica XXVIII,V,12; cfr. De gradibus II,9; cfr. In vigilia Nativitatis IV,3; cfr. In Quadragesima I,2; cfr. Epistula XXXII; Is 53,4c …Nos putavimus eum tamquam leprosum In cantica XXV,IV,8; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Dominica in kalendis novembris V,4; …sed opprobrium hominum, tamquam leprosum Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; cfr. Dominica in kalendis novembris I,2; Is 53,4d …et percussum a Deo, et humiliatum In cantica XXV,IV,8; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Dominica in kalendis novembris V,4; Is 53,5a …Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras In cantica XXV,IV,8; LXI,I,2-3; Is 53,5b …et attritus propter scelera nostra In cantica XXV,IV,8; Dominica in kalendis novembris I,2; V,4 40 DONATO BONO Is 53,5c …Disciplina pacis nostrae In cantica XXVIII,I,1-4; super eum Is 53,5d …et livore eius sanati sumus In cantica XXV,IV,8; cfr. In cantica LXI,III,7; Dominica in kalendis novembris V,4; Sermo de diversis VI,3; Is 53,6c …Et Dominus in eo posuit In cantica XXVIII,I,1-4; iniquitatem omnium nostrum Is 53,7a …Oblatus est quia voluit In cantica XLVII,IV,7; LXXIII,II,8; De gratia et libero arbitrio III,7; In Purificatione sanctae Mariae III,2,4; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 4; In resurrectione Domini III,5; In festivitate sancti Martini episcopi 8; Sermo de diversis XXXV,2; Is 53,7c …Sicut agnus ad occisionem ductus est (cfr. At 8,32b) In cantica LXX,II,4; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 2; De septem donis Spiritus Sancti 5; Apologia ad Guillelmum abatem III,5; In resurrectione Domini III,2; In Die Pentecostes II,7; cfr. Sententia XXIV Series secunda; Epistula 237,3; De Aethiopissa; Is 53,7d …et tamquam ovis coram tondente se obmutuit (cfr. At 8,32c) Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 2; cfr. Apologia ad Guillelum abbatem III,5; De septem donis Spiritus Sancti 5; cfr. In laudibus Virginis Matris I,8; cfr. In circumcisione Domini II,1.18; cfr. In ramis palmarum II,3; Sententia LXXXVIII Series tertia; Epistula CDLXII,8; De Aethiopissa; Is 53,7b.e …non aperuit os suum (cfr. At 8,32d) In cantica LXX,II,4; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 2; cfr. In ramis palmarum II,3; IL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLE OPERE DI SAN BERNARDO 41 Is 53,8a …in humilitate iudicium eius sublatum estLXX (cfr. At 8,33a) Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Is 53,8b …generationem eius quis enarrabit? (cfr. At 8,33b) In vigilia Nativitatis I,8; In Septuagesima I,1; In Die Pentecostes I,1; cfr. In Assumptione Beatae Mariae I,4; Sermo de diversis LXXXVIII,1; Is 53,9c iniquitatem non fecerit (cfr. 1Pt 2,22) cfr. In cantica XXVIII,I,1-4; In cantica LXXI,V,11; cfr. Apologia ad Guillelum abbatem III,5; cfr. De gratia et libero arbitrio III,7; cfr. In adventu Domini IV,7; cfr. In circumcisione Domini II,1,10; In sollemnitate Apostolorum Petri et Pauli I,1; Sermo de diversis XXXIII,3; XXXIV,4; XL,4; Is 53,9d …non inventus est dolus in ore eius (cfr. 1Pt 2,22) In cantica XXVIII,I,1-4; De gratia et libero arbitrio III,7; In sollemnitate Apostolorum Petri et Pauli I,1; Sermo de diversis XXVIII,1; Sententia CXI Series tertia; Is 53,10a …Et Dominus voluit conterere eum in infirmitate In cantica XXXVIII,II,2; cfr. In cantica LXXV,III,6; Is 53,12c …tradidit in mortem animam suam In cantica XXII,III,7; De diligendo Deo IV,13; In laudibus Virginis Matris III,14; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; In Ascensione IV,6; Sermo de diversis XXIX,3; Is 53,12d …et cum sceleratis reputatus est In cantica XXII,III,7; In laudibus Virginis Matris III,14; cfr. In circumcisione Domini II,1,10; In ramis palmarum I,1; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; cfr. In resurrectione Domini I,11; Is 53,12e …et ipse peccata multorum tulit In cantica XXII,III,7; In laudibus Virginis Matris III,14; 42 DONATO BONO Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4; Sermo de diversis XXIX,3; Is 53,12f …et pro transgressoribus rogavit ut non perirent In cantica XXII,III,7; De praecepto et dispensatione X,24; In laudibus Virginis Matris III,14; Hebdomadae Sanctae de Passione Domini 3-4. Ad eccezione di Is 52,13.14a-b.15 e Is 53,11, per il resto il poema del Servo sofferente è presente nella quasi totalità101. I tratti decisivi della personalità del Servo e della sua opera redentrice a favore delle moltitudini sono ben evidenziati e attribuiti al Cristo, Redentore dell’umanità. Ma Bernardo utilizza anche con maestria e libertà il testo biblico, e non solo secondo i canoni della tradizione patristica, come ad esempio nel caso di Is 53,8b. Il poema deutero-isaiano fa talmente parte del suo humus spirituale, che egli vi ritorna con un’esegesi personale, che non sempre tiene conto del suo significato originario, spaziandovi liberamente e concatenandolo con altri testi della Scrittura. Bernardo è così il mistico e l’asceta, che vi saltella nelle Sacre Scritture, cogliendo qua e là tesori per la propria e altrui edificazione spirituale. Tra i testi biblici, il poema del Servo sofferente è tra i più citati e certamente, anche per Bernardo, essa è l’opera profetica la più eloquente e la più illuminante dell’intera economia veterotestamentaria. 101 12ab. Del capitolo 53 non compaiono i vv. 1b; 2ab.f; 3d; 6ab; 8cd; 9ab; 10bc; 11;