Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
di Fabio Pacini
1. Il complesso fenomeno resistenziale ha conosciuto fin da subito un’ampia trattazione,
venendo compreso immediatamente nella dimensione del mito, della palingenesi nazionale in grado
di riscattare dalla vergogna di una guerra ingiusta e velleitaria. Dato che – come si vedrà tra breve –
tutti i principali attori della scena politica italiana del dopoguerra avevano dato il loro apporto
all’antifascismo e alla Resistenza, e posto che la rifondazione dello Stato su basi nuove aveva un
disperato bisogno di un sostrato comune sul quale poggiare, questa si trovò immediatamente
“Storia” senza passare per la “cronaca”; eppure, lungi dallo sminuirne la portata o dal demolirne la
forte carica simbolica, una riflessione anche di dettaglio su fatti e persone coinvolte permette oggi
di apprezzare maggiormente quelle donne, quegli uomini che fecero la Resistenza, di percepire il
loro sforzo, la loro tensione, i loro strappi, i loro scoraggiamenti e i loro slanci: persone con una
famiglia ed una coscienza, spesso già con una vita intera alle spalle. Questa relazione si propone di
dare qualche rapidissima pennellata su questo, sul tema dei rapporti umani all’interno di un
fenomeno sicuramente corale ma non sempre unitario, e su come questo genere di rapporti, sorti in
un contesto così peculiare, abbiano poi influito sui lavori dell’Assemblea Costituente e dunque, in
buona parte, continuino a tutt’oggi a dispiegare i loro effetti.
2. Alcuni anni fa è stato scritto che «l’antifascismo fu solcato da profonde divisioni
politiche, culturali, sociologiche se non antropologiche»1; ciò è stato evidente sin dalla prima metà
degli anni ’20, quando presero la via dell’estero personaggi rappresentativi dell’Italia prefascista,
politici di formazione intellettuale quali Nitti o Sturzo2 ma anche «migliaia di anonimi operai cui il
manganello fascista aveva reso la vita impossibile nei loro paesi», e si trattò – in un primo
momento – di «ceti sociali distanti in patria e distanti nell’emigrazione»3. Quando in seguito
lasciarono il Paese anche personaggi di spicco dell’area socialista e comunista, venne a crearsi
un’altra profonda frattura tra chi, dall’estero, contestava il regime italiano: da una parte la
componente degli intellettuali, che intendeva brandire la penna piuttosto che la spada, e che dunque
1
P.CIARLO, Verso una costituzione normale, in Le idee costituzionali della Resistenza, a cura della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Roma, 1997, pag. 347
2
Francesco Saverio Nitti decise di abbandonare l’Italia già nel novembre del 1923, dopo la devastazione della sua
abitazione romana ad opera di una “squadraccia”. Il sacerdote di Caltagirone lasciò invece l’Italia per Londra il 25
ottobre 1924, dopo aver subìto gravi minacce da parte di esponenti fascisti.
3
Ibidem
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
aspirava ad una sempre maggiore pubblicità delle istanze antifasciste per mobilitare l’opinione
pubblica europea; dall’altra, la componente comunista e di sinistra in generale, che invece preferiva
la clandestinità, nella quale organizzare una rete di contatti e di azione allo scopo di rientrare prima
possibile in Italia4. Ad accentuare le divisioni tra gli antifascisti in esilio, vi fu l’enunciazione da
parte del Comintern della linea che condannava la socialdemocrazia come un’esecrabile forma di
socialfascismo (luglio 1928); in definitiva, per tutti gli anni Venti «l’antifascismo considerato nel
suo complesso fu diviso, disorganizzato, sostanzialmente allo sbando»5. Solo alla fine del decennio
si ebbe una razionalizzazione di quelle forze, che ripresero ad organizzarsi metabolizzando i colpi
ricevuti: a titolo di esempio ricordiamo che nel 1929 Carlo Rosselli fonda Giustizia e Libertà, ed è
proprio a cavallo tra gli anni Venti e il decennio successivo che si dipana la vicenda, disgraziata ma
significativa, della Concentrazione Antifascista, polo di attrazione dei laici repubblicani 6.
Negli anni ’30, in particolare attraverso l’esperienza dei Fronti Popolari7 e della Guerra di
Spagna8, almeno tra le forze di sinistra si fece largo la coscienza – tattica, ancor prima che
4
Sull’antifascismo italiano all’estero è stata pietra miliare l’ampia opera dello storico e deputato comunista PAOLO
ALATRI, L’antifascismo italiano, Editori Riuniti, Roma, 1965; opera più recente, che pone l’accento sulla complessità
della stessa ricerca storiografica su questo periodo storico è N.TRANFAGLIA, Labirinto italiano: il fascismo, l'antifascismo,
gli storici, La Nuova Italia, Firenze, 1989. Ancora più recente, E.GENTILE, Fascismo e antifascismo: i partiti italiani fra le
due guerre, Le Monnier, Firenze, 2000.
5
P.CIARLO, op.cit., pag. 348.
6
Sulla Concentrazione si veda S.FEDELE, Storia della concentrazione antifascista 1927-1934, Feltrinelli, Milano, 1976
7
Riguardo ai fronti popolari, in questa sede è sufficiente accennare che le necessità organizzative dell’antifascismo in
esilio spinsero la componente comunista e quella socialista verso l’accordo, verso un patto di unità d’azione,
mettendo momentaneamente da parte gli aspri scontri del recentissimo passato; in questo solco i due patti dell’estate
1934, PCF-SFIO per quanto riguarda i francesi e PCd’I-PSI per gli italiani (AA.VV – a cura di A.AGOSTI, La stagione dei
fronti popolari, Cappelli Editore, Bologna, 1989. In particolare, il saggio di C.NATOLI dal titolo I comunisti italiani negli
anni trenta: dalla “svolta” ai fronti popolari). Nel luglio dell’anno successivo arriverà la “benedizione” ufficiale di
questa linea da parte di Mosca, con le relazioni di Georgi Dimitrov e Palmiro Togliatti al VII Congresso
dell’Internazionale Comunista. Dimitrov, bulgaro, era in quel momento segretario generale del Comintern; da
segnalare che nel 2002 è uscito anche in Italia, per i tipi di Einaudi, il suo Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), dal
quale emerge un quadro tutt’altro che idilliaco dei suoi rapporti col Compagno Ercoli, nome di battaglia dello stesso
Togliatti.
Il Front Populaire francese riuscì poi a vincere le elezioni del 1936, portando al governo del socialista Léon Blum,
destinato ad un cammino travagliatissimo fino alla definitiva conclusione dell’esperienza alla fine del 1938, compresa
la parentesi del governo del radicale Camille Chautemps, ricordato in particolare per l’ambiziosa nazionalizzazione
delle ferrovie, con la creazione della SNCF. Per l’esperienza italiana invece si dovrà ovviamente aspettare il
dopoguerra, e in particolare le elezioni del 1948, per trovare sulla scheda elettorale il simbolo unitario tra comunisti e
socialisti, che fin dal nome riecheggiava – appunto – i fronti popolari.
8
Nell’ottobre del 1936 le prime “brigate internazionali” varcarono il confine franco-spagnolo: infatti, mentre le
maggiori democrazie europee (Francia e Gran Bretagna) optarono per il non-intervento, l’Italia fascista e la Germania
hitleriana furono attivissime nel supportare con uomini e mezzi le truppe franchiste. Con il concorrente impulso
dell’URSS si formarono gruppi di spedizione volontari provenienti da diversi paesi europei, e gli italiani dettero un
contributo cruciale: divenne subito un motto assai usato lo “Oggi in Spagna, domani in Italia” di Carlo Rosselli (si trattò
in origine di un messaggio radiotrasmesso dalla radio di Barcellona il 13 novembre 1936; raccolto in C.ROSSELLI, Oggi in
Spagna, domani in Italia, Einaudi, Torino, 1967, pagg. 70 ss.), ove si annunziava che «giornalmente arrivano volontari
italiani: dalla Francia, dal Belgio. dalla Svizzera, dalle lontane Americhe», e dopo un ardito parallelo tra il Risorgimento
e la lotta antifascista si lanciava la parola d’ordine unificante, affermando che nelle zone in mano ai repubblicani
2
FABIO PACINI
ideologica – dell’importanza di presentarsi alle sfide uniti. Per quanto l’esito di entrambe le vicende
citate sia stato per loro infausto, queste non mancarono di lasciare un segno profondo: l’esperienza
frontista francese ebbe notevole influenza sulla linea politica di unità tra socialisti e comunisti9
anche negli anni del conflitto e poi della Costituente. Riguardo alla Spagna, è da rilevare che il
plenipotenziario del Comintern per la questione, Palmiro Togliatti, si fece artefice di un programma
di governo i cui punti qualificanti furono: assemblea costituente, autonomia regionale, rispetto dei
diritti civili, assistenza ai piccoli proprietari e perfino rispetto della proprietà e dell’iniziativa
economica privata, oltreché – impossibile non sottolinearlo – una larga amnistia10. Questo
programma, almeno in apparenza quasi socialdemocratico, verrà riproposto dallo stesso Togliatti,
almeno a grandi linee, agli italiani della Resistenza prima e della Costituente poi; ora, è oggetto di
discussione quanto vi fosse di puramente “tattico” nella politica togliattiana, e controverso è il suo
rapporto con le frange staliniste del Comintern in proposito11; sta di fatto – ed è ciò che rileva ai
nostri fini – che dagli anni della Spagna in poi, la proposta del Migliore verso l’esterno del partito
avrà sempre un volto ben più smussato rispetto agli incendiati comizi di sapore rivoluzionario
proprî di esponenti comunisti minori, e non sarebbero altrimenti comprensibili né la svolta di
Salerno né le scelte in sede di Assemblea Costituente che si vedranno in seguito nella presente
relazione.
3. Accanto alle vicende appena accennate, merita di essere posto in luce l’emergere di una
élite di giovani e giovanissimi intellettuali che negli anni immediatamente precedenti il conflitto
andarono ad affiancare la generazione prefascista nella lotta – ideale prima che armata – contro il
nazifascismo. Più che da un’ideologia, in un primo tempo questi ragazzi furono spinti dalla
repulsione che la retorica mussoliniana ingenerava nei loro animi: qui il tema dei rapporti umani
raggiunge il suo culmine, poiché tra questi «giovani di straordinaria forza morale, culturale e
«anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani collaborano alla direzione della cosa pubblica, al fronte, nella vita
sociale». Sempre nell’ottica unitaria, il suo successivo articolo Per l’unità dell’antifascismo italiano (gennaio 1937,
sempre in C.ROSSELLI, op.cit., pagg. 102 ss.) accosta i militanti di tendenza rivoluzionaria a liberali come Amendola e
Gobetti o a socialisti moderati come Matteotti. Dato concreto dello spirito unitario che animava le brigate
internazionali è che «il grosso dei combattenti italiani era formato da comunisti, giellisti e socialisti ma, non a caso, il
comando del battaglione Garibaldi fu affidato al repubblicano Randolfo Pacciardi» (P.CIARLO, Verso una costituzione…
op.cit., pag. 349).
9
Non a caso, dedica una particolare attenzione a questa esperienza la monumentale Storia del Partito Comunista
Italiano di P.SPRIANO (Einaudi, Torino, 1970-78), in part. nel volume III, intitolato appunto I fronti popolari, Stalin, la
guerra.
10
Ibidem, con rimando a G.BOCCA, Palmiro Togliatti, Laterza, Roma-Bari, 1973, pagg. 302 ss.
11
Si veda in proposito la nota n. 8
3
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
politica»12, all’interno e all’estero, si crearono i rapporti che poi – attraverso i CLN e la Resistenza
in generale – arriveranno all’Assemblea Costituente e nella stessa Carta.
Una parte cospicua s’impegnò in Giustizia e Libertà oppure nel Partito Comunista (da
Antonio Giolitti a Ingrao, da Curiel a Guttuso), ma non solo; pensiamo fin d’ora al gruppo dei
“Professorini”, giovanissimi docenti universitari cattolici dalla profonda Fede, che avranno un ruolo
di primissimo piano nella formazione della Costituzione. Il comune sentimento di far parte di una
cerchia dalle comuni radici culturali permise a personalità di alto profilo come Rosselli e Lussu di
compiere l’opera definita, con un’espressione felice, di «fungere da cerniera tra “gli antifascismi”
spingendoli verso “l’antifascismo”»13. In una società palesemente stratificata com’era quella di
allora, «l’élite politico-culturale era veramente tale a tutti gli effetti, esprimendo una significativa
egemonia […e…] non fu un caso che l’élite della sinistra non ebbe grandi difficoltà ad incontrarsi
con l’élite dei professori cattolici, da Mortati e Tosato a La Pira, Moro e Dossetti, che pure
durante il fascismo avevano avuto una storia ed una formazione assolutamente diversa»14; del
resto, il fatto che le masse rivoluzionarie e quelle strette intorno al campanile siano state portate
insieme sotto la medesima e condivisa Costituzione, è sicuro indice di una capacità forte da parte
della cerchia politica-intellettuale d’indirizzare chi ad essa si rifaceva; dunque, la sorprendente
coincidentia oppositorum basilare per la Resistenza prima e la Costituzione poi, fu largamente
dovuta all’esistenza di un confronto e di un incontro all’interno della (ristretta) cerchia intellettuale
dell’antifascismo: chi ne faceva parte aveva rischiato, aveva sacrificato del suo in nome
dell’interesse generale, e tutti avevano una sorprendente cultura politica, che poteva venire dallo
studio, dalle precedenti esperienze o dalla cosiddetta, celebre, università del carcere15.
In tale ristretta cerchia s’intrecciavano intensi rapporti culturali, ma anche familiari;
emblematica in proposito, anche per la sua drammaticità, la figura di Giorgio Amendola 16 che,
figlio di un deputato liberale, attraverso un cammino estremamente sofferto approdò al marxismo,
12
P.CIARLO, Verso una costituzione… op.cit., pagg. 350 ss.
Ibidem, pag. 351
14
Ibidem, pag. 352
15
Si pensi, in rappresentanza di queste tre ideali categorie, alla precocità accademica di Giuseppe Dossetti,
all’esperienza di Alcide De Gasperi quale deputato al Parlamento austriaco e di Palmiro Togliatti quale diplomatico fra
le due guerre; inoltre, alla figura di Giuseppe Di Vittorio, che da bracciante pugliese divenne uno dei massimi
esponenti della cultura sindacale, svolgendo un importante ruolo anche in Assemblea Costituente. Su di lui, P.CIARLO,
Lo sciopero tra fatto e diritto nella fase costituente: Italia e Francia, in U. DE SIERVO (a cura di), Scelte della Costituente e
cultura giuridica, II, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 406
16
Giorgio Amendola (1907-1980) ha consegnato ad una sorta di bildungsroman la parte cruciale della sua vita; per
quanto le autobiografie – specie se scritte a distanza di decenni, e con una guerra mondiale in mezzo – vadano sempre
lette con cautela, si tratta di un documento prezioso: G.AMENDOLA, Una scelta di vita, Rizzoli, Milano, 1976.
13
4
FABIO PACINI
divenendo esponente di spicco del Partito Comunista17; oppure, il complesso rapporto tra Piero
Calamandrei e il figlio Franco, il quale – partito da un’adesione di massima al fascismo – approdò
al Partito Comunista proprio nella sua espressione più controversa, diventando dirigente di quei
Gruppi di Azione Patriottica che s’incaricavano di compiere le azioni suscettibili di creare i
maggiori problemi di natura etica, sia dal punto di vista delle modalità che da quello del pericolo
(quando non della certezza) di spietate rappresaglie di parte nazifascista18.
17
Com’è noto, il futuro costituente e capo corrente del PCI era figlio di Giovanni, austero deputato liberale
aventiniano morto a Cannes nel 1926, in seguito alla brutale aggressione fascista subita nell’anno precedente a
Montecatini; quando perse il padre, Giorgio era poco più che ventenne, ma già attivo nell’antifascismo in gruppo con
Ugo La Malfa, Sergio Fenoaltea ed altri, tutti di area liberale-repubblicana oppure cattolica, come nel caso di Leone
Cattani, all’epoca vicepresidente della FUCI (G.AMENDOLA, op.cit., pagg. 110 ss.). Il cammino che portò questo liceale ad
iscriversi al PCI risulta emblematico dei sentimenti che animavano la gioventù antifascista, ma evidenzia anche
l’esistenza di una cerchia ristretta all’interno della quale era praticamente impossibile non conoscersi. Infatti, lo stesso
Giorgio fa risalire i suoi primi contatti col marxismo alla visita che recò ad Arturo Labriola, sindacalista rivoluzionario, ai
primi di novembre del 1926 nella sua casa di Napoli (Ibidem, pagg. 164 ss.), devastata il 31 ottobre precedente dai
fascisti ebbri d’odio per l’attentato di Bologna a Mussolini, da parte di un giovanissimo anarchico. A suffragio di
quanto si diceva poc’anzi, è da notare che nello stesso giorno ebbe però a visitare anche la casa di Benedetto Croce.
Ad entrambi, peraltro, pose la questione di come avvicinarsi a Marx (in quel momento per un interesse poco più che
culturale), ed è curioso come gli sia stata data dai due la stessa risposta: partire dai libri di Labriola. In realtà, mentre il
socialista si riferiva alla propria opera, il liberale si riferiva a quella di Antonio, personaggio del secolo precedente!
Negli anni, i contatti col mondo comunista si moltiplicarono e, nonostante le ritrosie che talvolta emergevano, quasi
esattamente tre anni dopo Giorgio Amendola s’iscrisse al Partito Comunista. Com’è facile immaginare, gli amici e –
fino ad allora – compagni di lotta furono durissimi nei suoi confronti, in particolare La Malfa e Fenoaltea, tanto che,
stando allo stesso Amendola, questo fu il commiato: «mi avete stufato, sono io solo in grado di giudicare la serietà
della mia scelta. Voi potete considerarla un errore, ma non avete il diritto di giudicarla avventata e superficiale. Quindi,
fuori di qui e lasciatemi in pace » (Ibidem, pag. 260). Impossibile non collegare la formazione liberale, mai rinnegata,
con gli sviluppi successivi della sua vicenda politica, che lo vide accanto a Togliatti nel difendere la svolta di Salerno,
quindi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Parri e nel primo gabinetto De Gasperi, costituente
nonché – semplificando al massimo – “ala destra” del PCI. Tuttavia, ogni tentazione di semplificazione dev’essere
respinta, dato che il suo cammino non fu così lineare come potrebbe apparire dato che Amendola era, nel 1943, tra i
dirigenti comunisti più scettici verso Badoglio; dato che invece Togliatti fu da subito sostenitore dell’unità nazionale,
anche se intorno ad una figura compromessa col fascismo – oltreché di salda fede monarchica – come Badoglio,
Amendola ebbe a sostenere che il Migliore, essendo in Russia, non potesse imporre le sue scelte a chi era in Italia: «a
Mosca vi è Ercoli [Togliatti], non la direzione del partito» (G.CRAINZ, Secchia, Amendola, Longo e il dibattito sulla “svolta
di Salerno”, nella Rivista di storia contemporanea, n.4, 1974, pagg. 535 ss.).
Per una carrellata sintetica ma esaustiva dell’attività di Giorgio Amendola (pur con frequentissimi accenti celebrativi –
o giubilativi, visto l’anno di pubblicazione?), si veda la voce a lui dedicata da P.SPRIANO in Il movimento operaio italiano,
dizionario biografico, a cura di F.ANDREUCCI e T.DETTI, Editori Riuniti, Roma, 1975, vol. I, pagg. 62 ss.
18
Il rapporto tra i due ha conosciuto un recentissimo, fondamentale contributo storiografico con la pubblicazione
delle lettere che si scambiarono in quel periodo: P. e F.CALAMANDREI, Una famiglia in guerra, a cura di A.CASELLATO,
Laterza, Roma-Bari, 2008. Calamandrei figlio rivestì un ruolo esecutivo nell’azione di via Rasella, che uccise 44 persone
– in gran parte soldati tedeschi, oltre a due civili italiani – e portò all’eccidio delle Fosse Ardeatine. I rapporti tra i due
si erano talmente logorati che il cinquantacinquenne professore non fu neanche avvisato dal figlio del suo matrimonio
con la compagna gappista Maria Teresa Regard (In P. e F.CALAMANDREI, op.cit., pag. XLI). Ebbene, dal carteggio tra padre
e figlio si comprende in tutta la sua drammaticità quale frattura si fosse consumata tra la generazione di Franco e
quella di Piero, accusata quest’ultima di «un antifascismo crociano e attendista, tipico di tanti intellettuali borghesi»
(Ibidem, pag. 203); al contempo, però, se ne percepisce il dialogo, pur difficilissimo, nella consapevolezza di avere –
almeno nella fase resistenziale, nella successiva non è detto – un nemico comune: probabilmente, è anche
testimonianza di ciò quella sorta di scambio di ruoli nell’immediato dopoguerra, dato che Calamandrei padre si
convertì alquanto rapidamente alle ragioni della guerra partigiana e «avrebbe passato il resto della sua vita a
5
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
Quando, forgiata dal terribile biennio della Resistenza, si trovò ad elaborare la nuova
Costituzione italiana, questa élite – anche in virtù della comune esperienza fuori d’Italia – tenne
sempre ben presente la dimensione europea e mondiale delle questioni coinvolte; inoltre, e questo
giocò un ruolo importante, nessuno dei partiti più rappresentativi difese a spada tratta lo Statuto
Albertino. Nonostante le lunghe polemiche dei decenni successivi, peraltro quasi sempre suscitate
da motivi contingenti19, il continuo confronto e la riconosciuta legittimazione politica e morale dei
costituenti permisero a ciascuna fazione di poter rinunciare a qualcosa in sede di Costituente, senza
ritenersi per questo sconfitti, e senza neppure prendere in considerazione l’idea di “impallinare” il
testo quando fosse stato posto al voto finale.
4. Per quanto in questa sede non se ne possano dare che cenni sommari, l’esperienza
resistenziale contribuì anche a rafforzare – citando PIETRO SCOPPOLA – la «diffusa convinzione» nei
movimenti intellettuali dell’Azione Cattolica Italiana20 «della necessità di una organica e duratura
collaborazione con i partiti della sinistra, ivi compresi i comunisti»21. Le radici di questo fenomeno
partono da più lontano, dalle polemiche anticapitalistiche degli anni Trenta, che interessarono l’élite
culturale cattolica: la diffusa percezione di trovarsi in un delicatissimo “momento di passaggio”
portava a criticare aspramente il sistema capitalistico ritenuto alle corde dopo il ’29, in vista di una
rifondazione su basi nuove, che si basassero stavolta sullo spirito e non sul mero materialismo.
Riprendendo gli orientamenti del più avanzato cattolicesimo francese, s’intendeva contestare
proprio quel primato del materiale, sotto il quale comprendere liberalismo e comunismo in primis,
ma finanche gli eccessi tecnocratici fordisti e tayloristi; proprio questo antropocentrismo fondato
sull’immanente, che non teneva conto della dimensione spirituale, era giunto, in quest’ottica,
«attraverso il protestantesimo e il liberalismo alla negazione dello stesso uomo»22. L’occasione del
crepuscolo capitalista doveva essere quindi afferrata per una rifondazione ab imis della società, in
commemorare la Resistenza [mentre] Franco e Teresa se ne dimenticarono presto e per lungo tempo non ne parlarono
più nemmeno tra loro» (Ibidem, pag. XLIII ).
19
Tutt’altro conto l’accesa discussione sull’attuazione dei princìpî e degli istituti costituzionali, della quale non si può
dar conto in questa sede. Si veda fra i molti, per l’autorevolezza dell’autore, P.CALAMANDREI, Questa nostra
Costituzione, Bompiani, Milano, 1995; come scrive ALESSANDRO GALANTE GARRONE nell’introduzione al volume, il giurista
fiorentino avrebbe voluto intitolare il saggio (risalente al 1955) proprio La Costituzione inattuata, oppure
L’Incompiuta.
20
Ovvero – pur con sfumature diverse – la F.U.C.I. (Federazione degli Universitari Cattolici Italiani) e il Movimento
Laureati. Cfr. nota successiva, e infra.
21
P.SCOPPOLA, Gli anni della Costituente fra politica e storia, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 78
22
Parole di Mons. ADRIANO BERNAREGGI, prolusione alla XVIII Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, tenutasi a Padova
nel settembre 1934 (fu l’ultima prima della guerra, la successiva si tenne solo nel 1945). Citato da R.MORO, I movimenti
intellettuali cattolici, in R.RUFFILLI (a cura di), Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, Vol.I, Il Mulino,
Bologna, 1979, pagg. 170-171
6
FABIO PACINI
grado di evitare la barbarie favorendo un umanesimo cristiano di matrice neotomista,
compiutamente teorizzato in quegli anni da JACQUES MARITAIN, che infatti veniva letto avidamente
dai protagonisti di queste correnti di pensiero23.
In particolare, la FUCI fu naturalmente portata a mettere «l’accento sul momento formativo dei
giovani e sui problemi universitari»24, mentre il Movimento Laureati Cattolici si concentrò su di un
globale sforzo di progettazione, che verrà poi a costituire «il retroterra culturale della DC»25.
Da non trascurare, inoltre, la profonda frattura venutasi a creare tra i giovani (peraltro
formatisi durante il regime, per ovvie ragioni anagrafiche) e i “vecchi” popolari; i primi, vigorosi
portatori delle idee di cui sopra, avevano difficoltà a sentirsi rappresentati dai secondi, i quali, per
contro, guardavano queste giovani, fervide menti con scetticismo misto a preoccupazione 26. La
critica serrata al capitalismo e la violenta polemica antiliberale – ovvero contro il corpo che aveva
sviluppato la metastasi fascista – portavano ad un progressismo cattolico ammantato sì di
romanticismo, ma dalle sfumature irrimediabilmente populiste se non pauperiste. La buona
disposizione verso le forze di sinistra non deve però trarre in inganno, facendo inferire una
sostanziale accettazione del comunismo da parte di ambienti dell’Azione Cattolica; detto davvero in
estrema sintesi27, il marxismo andava rigettato perché fondato su basi materialistiche. Piuttosto,
sulla scia del già citato Maritain, si predicava la distinzione tra comunismo (sistema di princìpî
filosofici) e comunisti (persone, più propense semmai a portare istanze sociali): nessun
compromesso con l’immanentismo del primo, ma grande curiosità ed apertura verso le speranze dei
secondi, la cui «spinta di giustizia» era vista come «necessaria» alla «costruzione di una società
nuova», e la cui riconduzione nello spirito cristiano avrebbe potuto evitare nuovi disastri28. In
quest’ottica, vanno tenuti separati anche il cattolicesimo genericamente “progressista” di cui si è
appena dato conto – che si muoveva comunque nell’alveo lato sensu tradizionale – dall’esperienza
eccentrica del Movimento dei cattolici comunisti, che muoveva da una tale identità di vedute col
marxismo da volersi inserire nella sua stessa sfera, interpretandolo in chiave non-antireligiosa.
Subito dopo la guerra, infatti, confluirà nel PCI29. Procedendo per sommi capi, una posizione per
così dire “intermedia” fu quella dei cristiano-sociali di Gerardo Bruni, che tentò di creare un polo di
23
Anche in edizione originale, come fece Giuseppe Dossetti nel 1935 (G.DOSSETTI, Costituzione e Resistenza, Sapere
2000, Roma, 1995, pag.27)
24
P.SCOPPOLA, op.cit., pag. 78
25
Ibidem
26
R.MORO, op.cit., pag. 160
27
Appoggiandosi però all’autorità di P.SCOPPOLA, op.cit., pag. 79
28
Ibidem
29
Rappresenta un contributo di grande prestigio alla storia di questo movimento A.DEL NOCE, Il cattolico comunista,
Rusconi, Milano, 1981, dedicato alla figura del suo fondatore FRANCO RODANO.
7
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
attrazione dei cattolici in politica anche attraverso una rete di biblioteche; presentandosi come
alternativo tanto alla DC quanto ai cattolici comunisti, Bruni riuscì – unico del suo movimento – ad
essere eletto alla Costituente, e in tale sede votò contro l’inserimento dei Patti Lateranensi nella
Carta. Il successo non arrise a questo soggetto politico, che presto si estinse; da notare però che
molti suoi aderenti ebbero un ruolo importante nella Resistenza30.
Quanto detto finora, dunque, trovò nell’esperienza resistenziale una conferma, oltreché uno
stimolo poderoso: dopo il 25 luglio, molti di questi giovani ebbero un ruolo attivo nella Resistenza,
e senz’altro conobbero assai da vicino questi comunisti di cui si era teorizzato. Peraltro, come
testimonia la medaglia d’oro della Resistenza PAOLO EMILIO TAVIANI, la presenza cattolica non si
ebbe soltanto nelle formazioni dichiaratamente di tale ispirazione (Fiamme verdi, Fiamme azzurre),
ma «molti giovani di estrazione fucina o della gioventù cattolica militarono […] nelle file
garibaldine», anche perché «in varie zone era prevalso il principio dell’esercito resistenziale
unico»31.
5. Figura paradigmatica di tutto il fenomeno, dagli anni ’30 alla Costituente ed oltre, fu
senz’altro il reggiano Giuseppe Dossetti. Questo giovanissimo canonista32, già esponente di spicco
della FUCI, ebbe un ruolo di rilievo nella Resistenza (fu Presidente del CLN di Reggio Emilia), ma
fu soprattutto, fra gli intellettuali impegnati in politica, uno di quelli che maggiormente restarono
segnati da quella esperienza, portandola direttamente all’interno dell’Assemblea Costituente. A
questa Dossetti dette un contributo rilevantissimo. Fondamentale fu il suo apporto alla definizione
dell’ordine dei lavori e di punti particolarmente critici della prima parte della Costituzione.
Proprio il richiamo all’esperienza resistenziale (e bellica in generale) rimase una costante per
tutta la sua lunga vita, tanto che decenni dopo – ormai ultraottantenne – affermerà che la
Costituzione è nata da «questo crogiolo ardente ed universale [la Seconda Guerra Mondiale] più
che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo: più che dall’incontro-scontro di
30
S.TRAMONTIN, La Democrazia Cristiana dalla Resistenza alla Repubblica, in Storia della Democrazia Cristiana, Vol. I,
(Le origini: la DC dalla Resistenza alla Repubblica), a cura di F.MALGERI, Cinque Lune, Roma, 1987, pagg. 29 ss.
31
P.E.TAVIANI, Le ragioni della partecipazione dei cattolici alla Resistenza, in Storia della Democrazia Cristiana, op.cit.
pag. 195
32
Era infatti nato a Genova nel 1913, ma poi cresciuto a Reggio Emilia; laureatosi giovanissimo nel 1934, a soli 29 anni
ottenne la libera docenza in Diritto Canonico nell’Università di Modena. Dossetti morirà a Oliveto di Monteviglio nel
1996. Ampia la bibliografia su questo personaggio, che ha sempre destato la curiosità di giornalisti e studiosi; si
vedano in particolare le opere di GIORGIO CAMPANINI fra le quali Fede e politica, 1943-1951 – La vicenda ideologica della
sinistra DC (Morcelliana, Brescia, 1977) e Dossetti giovane – Scritti reggiani: 1944-1948 (a cura di), Cinque Lune, Roma,
1982.
8
FABIO PACINI
tre ideologie datate, essa porta l’impronta di uno spirito universale e in certo modo
transtemporale»33. Nell’ottica di questa “meta-ideologia”, si rendevano senz’altro possibili
convergenze con Togliatti su questioni cruciali come quella – preliminare – dell’impostazione della
futura Carta non come a-fascista (come avrebbero voluto, fra gli altri, i liberali) ma come
marcatamente anti-fascista. La convinzione dell’esistenza di quello spirito universale da infondere
nella Costituzione rendeva diffidente Dossetti verso lo scontro a tutti i costi con il PCI, orientandolo
a preferire una esplicita concorrenzialità sul terreno democratico, in una prospettiva che vedeva in
una DC audacemente riformatrice lo strumento attraverso il quale acquisire gradualmente il
consenso di quella parte delle masse operaie e contadine egemonizzata dalla sinistra, alla luce di
quanto si diceva poc’anzi. Anzi, Dossetti condivide l’interpretazione di Maritain e Mounier del
comunismo come reazione secolarizzata ad un nuovo corso di civiltà originato dalla mancata
risposta dei cristiani ai problemi posti dal mondo moderno34. Il reggiano fu – impossibile non farne
menzione – forse il più rappresentativo, se non il leader, di quel gruppo di giovani e giovanissimi
docenti universitari cattolici che tanto furono attivi alla Costituente, e non solo: Dossetti in primis,
con Giorgio La Pira, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, – i notissimi Professorini35.
I primi tre andarono a far parte della Prima Sottocommissione della Commissione per la
Costituzione, incaricata di esaminare diritti e doveri dei cittadini. In virtù delle sue ottime doti di
giurista, unite alla sua profonda Fede, Dossetti divenne ben presto il riferimento del Vaticano in tale
sede, venendo chiamato quasi settimanalmente in Segreteria di Stato a riferire sui lavori 36 per tutto
l’autunno del 1946.
6. I punti di contatto dei quali si è cercato di dar conto tramite questi accenni trovarono una
sede simbolica (ma operativa) nell’organismo che fu denominato Comitato di Liberazione
Nazionale, fondato il 9 settembre 1943 quando, sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi, si riunirono a
Roma gli esponenti i principali esponenti dei partiti antifascisti: Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea
per il Partito d’Azione, Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola per il Partito Comunista, Meuccio
33
G.DOSSETTI, op.cit., pagg. 8-9
Sulle influenze dei due pensatori sul pensiero della sinistra democristiana, G.CAMPANINI, Fede e politica, op.cit.,
pagg.69 ss.
35
Non trattandosi davvero di un gruppo strutturato, è arduo delimitarlo; si fa qui riferimento all’elenco proposto in
G.DI CAPUA, I professorini alla Costituente, EBE, Roma, 1989, pag. 7. In tale sede, peraltro, vengono accostati ai più
giovani anche due figure della generazione precedente, ovvero Antonio Amorth – che non fu deputato della
Costituente – e Costantino Mortati.
36
G.SALE, Il Vaticano e la Costituzione, Jaca Book, Milano, 2008, pag. 40.
Questo contributo recentissimo presenta un’appendice documentaria molto ampia: in particolare, vi si possono
trovare le note prese dai sacerdoti che – per conto della Santa Sede – tenevano i rapporti con i Costituenti, che
l’Autore ha potuto attingere dall’Archivio della Civiltà Cattolica.
34
9
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
Ruini per la Democrazia del Lavoro, Pietro Nenni e Giuseppe Romita per il Partito Socialista,
Alessandro Casati per il Partito Liberale e Alcide De Gasperi per la Democrazia Cristiana 37.
Sarebbe insensato tentare in questa sede anche solo di riassumere il ruolo di quest’organo, la sua
storia, la sua importanza e la sua ripercussione sugli accordi raggiunti in sede costituente; piuttosto,
appare utile dare spazio a due esperienze – fra le moltissime – dalle quali il riferimento unitario
ciellenista e resistenziale appare con particolare chiarezza, peraltro con esiti opposti.
7. Oltreché sulle questioni preliminari cui si è accennato poc’anzi, Dossetti svolse un ruolo
cardinale nell’elaborazione di quello che sarebbe diventato l’articolo 7 della Carta, che
costituzionalizza esplicitamente i Patti Lateranensi: relatore in Sottocommissione insieme al
demolaburista Cevolotto38, il reggiano fu artefice di un articolato progetto, che presentò con una
raffinatissima disquisizione sull’originarietà (o meno) degli ordinamenti. Questa relazione fu
ascoltata con interesse dai membri della Sottocommissione – e da Togliatti in particolare –
nonostante fosse palesemente “fuori registro” rispetto al tono consueto della discussione 39.
Comunque, vi si propugnavano con forza le ragioni dell’ordinamento canonico, visto come esterno,
originario e sovrano nel suo àmbito; questo, comportava il pieno riconoscimento dei Patti
Lateranensi, la loro parificazione alle norme internazionali, e in definitiva il loro assurgere al valore
di norme costituzionali. In particolare, si voleva l’introduzione di una norma di questo tenore:
«Fermi restando i princìpî della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei cittadini, la
religione cattolica – religione della quasi totalità del popolo italiano – è la religione dello Stato. Le
relazioni fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica restano regolate dagli accordi del Laterano»40.
Il programma – che oggi sappiamo essere stato concertato con la Segreteria di Stato vaticana –
apparve troppo ambizioso non solo alle forze laiche, ma alla stessa frangia “degasperiana” della
DC, incline alla mediazione su questo tema per poter “tenere duro” su altri aspetti, economicosociali in primis.
Ne seguì una discussione lunga ed accesa, nella quale sia tale settore democristiano che i
comunisti, ma anche figure “esterne” come Enrico De Nicola, cercarono in ogni modo di mediare.
In questa situazione emerge un aspetto particolarmente interessante di Dossetti: tanta era la
convergenza con le forze di sinistra sui princìpî primi della Carta (impostazione programmatica e
37
M.FORNO, 1945: l’Italia tra fascismo e democrazia, Carocci, Roma, 2008, pag. 34
«figura questa di secondo piano, sotto il profilo sia politico sia intellettuale, non certamente adatta a confrontarsi su
questa delicata materia con il leader democristiano reggiano». G.SALE, op.cit., pag. 29
39
Ibidem, pag. 38
40
Ibidem, pagg. 205-206, ove si riporta il testo della relazione così come presentato da Dossetti in Vaticano.
38
10
FABIO PACINI
antifascismo anzitutto), quanta invece l’intransigenza in materia di Patti Lateranensi, a proposito dei
quali fu lo stesso Dossetti ad insistere affinché anche in Vaticano non si cedesse alla mediazione.
Questo atteggiamento – apparentemente contraddittorio – s’inserisce invece appieno nell’ottica di
concorrenzialità con i comunisti, ma in vista di una “rivoluzione cristiana” che solo i Sacri Palazzi
potevano riempire di significato.
Non potendo in questa sede dar conto del complesso, lungo iter della proposta, basti dire che
invece alla fine mediazione ci fu; comunque, la DC ne uscì “vittoriosa” e la Sottocommissione
approvò a maggioranza relativa (a favore democristiani, liberali e qualunquisti, moltissime le
assenze) un testo decisamente favorevole alle sue istanze: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono,
ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti
Lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede
procedimento di revisione costituzionale». Pur se le opinioni in merito sono discordanti, anche
questa soluzione pare da considerarsi un portato del gruppo dei Professorini, in particolare di
Giorgio La Pira41.
L’alto numero di assenze in Sottocommissione rimandava di fatto al questione
all’Assemblea plenaria, ove il dibattito fu aperto il 4 marzo. In casa democristiana (ma non solo)
regnavano incertezza e preoccupazione: da una parte, non era facilmente decifrabile l’atteggiamento
comunista, dall’altra si avevano ripetuti tentativi di scavalcare – da destra – lo stesso partito
cattolico nella difesa della Chiesa e dei suoi valori. Fin da subito, si palesò la violenta contrarietà
all’articolo in questione dei liberali (specialmente quelli prefascisti), degli azionisti, dei socialisti e
dei liberali; in particolare, attaccò a tutto tondo Calamandrei, con l’eloquenza che gli era propria.
Tacevano i comunisti; da parte democristiana si compattarono le fila, e gli interventi si susseguirono
sostanzialmente omogenei nei contenuti.
Finalmente l’11 marzo parlò Palmiro Togliatti, sostenendo con parole alte l’importanza del
mantenimento della «pace religiosa», cui era d’uopo dare «carattere stabile e duraturo»;
comunque, in definitiva, si disse contrario all’inserimento in Costituzione dei Patti Lateranensi,
anche perché in essi esiste, sosteneva, «qualche cosa che urta la nostra coscienza civile, e che
sarebbe bene eliminare»42. I giochi erano apertissimi dunque, e dai documenti vaticani emerge un
enigmatico colloquio della Santa Sede sul punto con il sottosegretario agli Esteri Eugenio Reale,
41
Ibidem, pag. 39, che riferisce anche l’opinione contaria di P.POMBENI, a parere del quale si trattò di una mediazione
orchestrata dai popolari “prefascisti” degasperiani.
42
Atti dell’Assemblea Costituente – Discussioni sul progetto di Costituzione – Vol.II, pag. 1999. Oltre alle edizioni
cartacee, questi documenti sono oggi reperibili anche in Rete all’indirizzo HTTP://LEGISLATURE.CAMERA.IT
11
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
comunista, su istanza proprio di quest’ultimo. Colloquio tutto teso ad evidenziare la diffidenza della
Chiesa nei confronti di un Partito che invece le tributa grande fiducia, i cui iscritti sono in
maggioranza cattolici e che non finanzia alcun giornale di propaganda anticattolica. Nessuna
soluzione venne comunque fuori da questo contatto, che peraltro lasciò piuttosto freddi gli
interlocutori vaticani43.
Si arrivò dunque alla resa dei conti, il 25 marzo: la seduta iniziò alle 16, e si protrasse fino a
tarda notte. Attesissimo l’intervento del Presidente del Consiglio De Gasperi, ma ancor più quello di
Togliatti. Il primo fece un’ispirata difesa della presenza dei Patti Lateranensi, anche alla luce
dell’aiuto prestato dalla Chiesa durante il conflitto a persone d’ogni provenienza, «cattolici,
protestanti ed ebrei insieme»44.
Togliatti parlò per ultimo tra gli esponenti di punta dei partiti; nel suo lungo intervento
lamentò l’assenza dal dibattito del Governo, avendo De Gasperi parlato – a suo parere – solo come
democristiano e non in rappresentanza della Nazione nel suo insieme; l’atteggiamento del leader
comunista, sempre duro verso la DC, si presentava però sempre conciliante con le masse cattoliche:
«i colleghi di parte democristiana alle volte parlano presentandosi come unici difensori della
libertà della coscienza religiosa delle masse cattoliche. Non credo che alcuno dei partiti di sinistra
voglia lasciare loro la esclusività di questa funzione. Anche nel nostro partito esistono, e credo per
la maggioranza degli iscritti, i cittadini cattolici e noi siamo assertori e difensori della libertà della
loro coscienza religiosa. È vero, noi difendiamo questa libertà come partito democratico, moderno,
progressivo, comunista, se volete; ma, a ogni modo, la difendiamo. Non lasciamo a voi l’esclusività
di questa funzione»45. Ripercorrendo la storia delle relazioni fra Stato italiano e Chiesa Cattolica
negli ultimi decenni, Togliatti ricordò come i Patti Lateranensi fossero stati vissuti dagli antifascisti
come «l’ombra funesta del triste amplesso di Pietro e Cesare». Tuttavia, ammise che «poi le cose
cambiarono». Decisivo per questo cambiamento, e di grandissimo interesse per il tema di questa
relazione, fu la «guerra di liberazione, nella quale – proseguì Togliatti – avemmo profonda
l’impressione che la pace religiosa veramente ci fosse. Vedemmo infatti nelle nostre unità
partigiane operai cattolici affratellati con militanti comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità
comandate dai migliori tra i nostri capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare
la stessa nostra disciplina di lotta. Tutto questo ci permetteva di ritenere che la pace religiosa fosse
stata raggiunta. Per questo chiudemmo quella pagina; né avevamo alcuna intenzione di riaprirla.
43
G.SALE, op.cit., pag. 71
Atti dell’Assemblea Costituente – Discussioni sul progetto di Costituzione – Vol.II, pag. 2456
45
Ibidem, pag. 2461
44
12
FABIO PACINI
Non solo, ma arrivammo a quel grande successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità
sindacale, giungemmo alla conclusione di un patto di unità sindacale fra le grandi correnti
tradizionali del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista e la
corrente cattolica»46. Insomma, nonostante le asperità successive, in nome del mantenimento della
pace religiosa e per evitare spaccature della stessa classe operaia, Togliatti concluse: «siamo
convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere
verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la
Repubblica, verso la nostra patria!»47.
Alla fine, con l’adesione dell’intero gruppo comunista salvo pochissime eccezioni, il testo fu
approvato con una larghissima maggioranza, 350 contro 14948.
La scelta comunista, peraltro, non fu ben accolta dalla stampa cattolica, che la dipinse come
puramente tattica, obbligata dal fatto che, numeri alla mano, l’articolo avrebbe potuto essere
approvato anche senza di essa, pur se di stretta misura; in pratica fu chiaro che, in un mondo che
andava facendosi bipolare, non era un voto su di un articolo, per quanto importante esso fosse, che
poteva fondare un dialogo duraturo fra gli opposti schieramenti49. Ciò avrebbe influito su di un’altra
scelta della Costituente di poco successiva, della quale vale la pena dar conto.
8. Trattando della moralità della Resistenza, in particolare di politica ed attesa del futuro, il
partigiano e storico CLAUDIO PAVONE ha dedicato pagine di grande interesse alla percezione
dell’istituto familiare nel convulso biennio 1943-45, anche attraverso lo spoglio di testate minori50.
Emerge un quadro segnato dalla divisione fra soggetti politici maggiori e minori, ancor prima che
fra laici e cattolici. Infatti, le uniche “fughe in avanti” sul punto si leggono su testate di ridotta o
ridottissima diffusione, pubblicate da gruppi a sé stanti: per quanto concerne i resistenti in generale,
ovvero la voce degli attori maggioritari, «il problema della famiglia fu affrontato in misura limitata
e, tranne poche eccezioni, in modo circospetto»51. Riflettendo sulla composizione della Resistenza,
si è affermato che «la presenza dei cattolici e, soprattutto, la diffusa volontà di non irritarli […]
forniscono una prima anche se non esauriente spiegazione di questa reticenza». In effetti, la
46
Ibidem, pag. 2463
Ibidem, pag. 2466
48
Ibidem, pag. 2488
49
G.SALE, op.cit., pagg. 96 ss.
50
C.PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, pagg.
538 e ss.
51
Ibidem, pag. 539
47
13
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
posizione di parte cattolica in materia era nota, oltreché ovvia; peraltro, la famiglia rientrava in quel
“nocciolo duro” di princìpî sul quale potevano e dovevano convergere senza tentennamenti la
frangia degasperiana delle Idee ricostruttive52 e quella cristiano-sociale. Proprio quest’ultima
produsse gli attacchi più vivaci sul punto, scrivendo, ad esempio, che se qualcuno vuol professare la
teoria del libero amore è «libero di tenersela e si diverta pure, ma per carità non tocchi la saldezza
morale della famiglia italiana con idee malsane e parole scurrili»; anche i cattolici comunisti53
ritenevano che la loro idea di socialismo sovietico consentisse la concretizzazione dell’ideale
cattolico di famiglia, affermando la sua centralità ed anzi fornendole gli strumenti perché ciò si
attuasse in concreto. Se non destano comunque stupore tali prese di posizione, certo appare
interessante come anche il Partito d’Azione, probabilmente il “più laico” dei soggetti resistenziali,
propose in suo documento programmatico che – accanto alla restituzione allo Stato della sovranità
in materia matrimoniale – fossero prese «opportune misure affinché anche la cerimonia
matrimoniale religiosa abbia valore legale a tutti gli effetti civili». La stessa Voce repubblicana
chiedeva la «rigenerazione, la consacrazione della famiglia scompaginata, nucleo davvero
essenziale della società civile»54.
Ancora più complessa la posizione comunista: qui, alla preoccupazione sempre presente di
non allarmare, (ovvero non allontanare da sé) le masse cattoliche, si mescola una tradizione operaia
che – per esempio – non ha mai guardato di buon occhio il divorzio, visto come un lascivo lusso
borghese. In questo doppio filone s’inserisce un articolo di Palmiro Togliatti su L’Alba, un giornale
stampato in URSS per i prigionieri italiani, intitolato proprio Per la difesa della famiglia italiana. In
questo breve scritto, il leader comunista vuol persuadere (ricorrendo peraltro al registro patetico)
come il regime fascista abbia difeso la famiglia solo a parole, mandando invece i figli a morire al
fronte e lasciando le madri e gl’inermi sotto i bombardamenti. Sottotraccia, è palese la garanzia che
l’auspicato, futuro governo progressista difenderà davvero l’istituto millenario così duramente
provato55.
Com’è naturale, non mancano voci critiche, per quanto marginali; tuttavia, è quantomai
opportuno distinguere tra gli attacchi alla famiglia come istituto in astratto e quelli che, scagliandosi
contro “la famiglia”, intendono in realtà stigmatizzare gli errori dei padri, oppure affermare
52
Idee ricostruttive era il titolo di un opuscolo che circolò clandestinamente negli anni della guerra, che delineava il
programma politico e sociale di un partito cattolico per l’avvenire, dopo la fine del conflitto. La stesura definitiva di
tale scritto si deve allo stesso ALCIDE DE GASPERI, che vi era pervenuto fra il 1942 e il 1943 col contributo di GUIDO
GONELLA, MARIO SCELBA, GIOVANNI GRONCHI ed altri. Per il testo integrale, A.DE GASPERI, Idee sulla democrazia cristiana, a
cura di N.GUISO, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1974, pagg. 17 ss.
53
Cfr. supra, paragrafo 4
54
C.PAVONE, op.cit., pag. 539
55
Ibidem, pag. 540
14
FABIO PACINI
l’indipendenza della donna fuori dagli schemi tradizionali. Dalle pagine di PAVONE appare chiaro
che la prima di queste categorie si riduce quasi al nulla, ed anche quando vi si vuol rientrare
troviamo – accanto all’ovvia richiesta di concessione del divorzio – proposte quali «l’abolizione
della prostituzione, la protezione della giovane» fino alla «repressione dell’adulterio», misure
tradizionali a protezione della famiglia stessa. Perché questo schivare il problema, perché –
piuttosto – questa convergenza su più punti? Senz’altro, la “politica dei due tempi” togliattiana
gioca un ruolo, ma perché anche da parte azionista non ci si scosta poi così tanto? Ebbene, non
possiamo trascurare il ruolo della comprensibilissima, «particolare forma di nostalgia della vita
familiare» che prendeva i resistenti, dai quali «il distacco dalla famiglia era il più delle volte
vissuto, con semplicità, come un doloroso dato di fatto […] che lasciava intatto il nucleo, reale e
ideale, dei legami familiari»56. Tanto è vero questo, che nelle zone libere si provvedeva con
frequenza a dei “matrimoni (laici) partigiani” senza crismi d’ufficialità, spinti proprio dall’anelito a
stabilizzare l’unione sorta durante la lotta57.
Quanto scritto finora non poteva non condizionare – certo accanto a moltissimi altri fattori –
anche i lavori dell’Assemblea Costituente in materia, sia nell’approccio al problema che nella
discussione, fino al voto finale in sottocommissione ed in assemblea.
9. Da parte cattolica, si arrivò alla discussione (iniziata il 6 novembre 1946) con un punto di
riferimento di poco precedente, ovvero il comunicato presentato dall’Azione Cattolica al Capo del
Governo il 16 ottobre. In tale scritto si enunciavano i princìpî che dovevano, auspicabilmente,
entrare nella futura Costituzione, e fra questi l’indissolubilità e la sacralità del matrimonio,
l’uguaglianza dei diritti e dei doveri dei coniugi – riaffermando però il principio della “gerarchia
familiare” per la quale il marito è a capo della famiglia ed i figli sono soggetti ai genitori – ma
anche facilitazioni fiscali ed aiuti per le famiglie numerose58. La Santa Sede puntava a far inserire
nel testo affermazioni più dettagliate possibile nelle materie di maggiore interesse: come recita una
nota vaticana, in quel momento si vive nella paura costante della «deprecata ipotesi che in avvenire
56
Ibidem, pag. 542
L’officiante non poteva concludere che così la “cerimonia”: «continuate così, e quando questa situazione sarà
mutata, potrete, se vorrete, legalizzare questa vostra unione che riposa sul vostro consenso, sull’amore e la stima
reciproca». Ibidem, pag. 543. Dedica spazio al tema anche il saggio di A.CASELLATO di cui sopra, nota 33.
58
G.SALE, op.cit., pagg. 101 ss.
57
15
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
il Governo italiano possa denunciare il Concordato», nel qual caso «potrebbe essere utile, per
esempio, fosse affermato il principio della indissolubilità del matrimonio»59.
Mentre da parte di socialisti, azionisti ed altri soggetti laici si spinge per una legislazione che
consenta il divorzio, ancora una volta la posizione comunista si fa complessa e sfaccettata;
emblematica in merito la relazione presentata in Prima Sottocommissione60 dalla giovane deputata
Leonilde Jotti, per tutti Nilde. Si tratta di un’apologia della famiglia, «nucleo primordiale su cui i
cittadini e lo Stato possono e debbono poggiare per il rinnovamento materiale e morale della vita
italiana» che va senz’altro sostenuto con provvedimenti concreti; al termine, si afferma però che
«riguardo all’indissolubilità del matrimonio, consideriamo inopportuno porla in discussione
soprattutto per le considerazioni già svolte circa la necessità del rafforzamento dell’istituto
familiare: ma saremmo contrari ad inserire nella Costituzione stessa il principio della
indissolubilità, considerandolo tema della legislazione civile»61. Questo è un punto che troviamo
più volte ribadito dai comunisti nei verbali della Costituente, e che può spiegarsi alla luce di quanto
detto sopra; non abbiamo infatti un attacco frontale “divorzista”, quanto piuttosto un rimandare il
problema ad altri tempi e luoghi senza prendere una posizione netta, data la consapevolezza che
buona parte della stessa base comunista non si discosta troppo da quella cattolica in materia di
famiglia. A proposito di convergenze, vale la pena di accennare al fatto che – com’è noto – la stessa
Jotti si era laureata presso l’Università Cattolica; anche attraverso i turbini della vicenda bellica,
quando era stata staffetta partigiana, aveva compiuto un cammino interiore che l’aveva portata
all’abbandono della Fede Cattolica, abbracciando piuttosto il credo comunista62. Peraltro, proprio in
virtù della sua storia personale, si sperava nei Sacri Palazzi di poterla in qualche modo
influenzare63.
Come si è scritto poc’anzi, la discussione della materia iniziò in Assemblea Costituente il 30
ottobre 1946, in sede di Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione (diritti e doveri
dei cittadini). Relatori, la comunista Nilde Jotti e il democristiano Camillo Corsanego64. Alla
59
Ibidem, pag. 103 e, per il testo integrale, pagg. 270 ss.
Si veda infra
61
Atti dell’Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione, vol. II, Relazioni e proposte, pagg. 55 ss.. Inoltre,
per un resoconto sintetico del dibattito in questione, si veda il volume Ricerca sul diritto di famiglia in Italia, parte I,
nella collana Quaderni di studi e legislazione a cura del Servizio studi della Camera dei Deputati, Roma, 1969, pagg.
107 ss.
62
Sulla figura di Nilde Jotti, si veda M.T.A. MORELLI, Le donne della Costituente, Laterza, Roma-Bari, 2007, pagg. 5 ss.
63
Una nota scritta da un prelato della Segreteria di Stato al suo superiore, riportata da G.SALE, op.cit., pag. 104, così
recita: «Mi è stato detto che la Jotti proviene da famiglia buona e cattolica, e che si è laureata presso l’Università
Cattolica del S.Cuore. Da qualcuno si pensa, perciò, che si possa in qualche modo influire su di lei: speriamolo».
64
Per la relazione di Nilde Jotti si veda sopra, per quella di Camillo Corsanego Atti dell’Assemblea Costituente –
Commissione per la Costituzione, vol. II, Relazioni e proposte, pagg. 53-54
60
16
FABIO PACINI
relazione della Jotti si è già accennato; Corsanego ne presentò una non così dissimile nelle sue linee
generali, ma che vedeva come irrinunciabile l’espressa dichiarazione d’indissolubilità del
matrimonio65. Fin da subito, però, si avvertì la spaccatura non solo tra laici e cattolici, ma anche
all’interno dello stesso fronte laico; quando Togliatti propose – d’accordo coi relatori Jotti e
Corsanego – di sostituire la definizione di famiglia come «unità naturale e fondamentale della
società» con «fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione», trovò
l’assoluta, quasi sprezzante chiusura di Lelio Basso66. La discussione si fece subito serrata, con i
democristiani, almeno a quanto appare dai verbali, impegnati a fare fronte comune per non
retrocedere di un passo sull’indissolubilità. In realtà, i degasperiani (Umberto Tupini e lo stesso
Camillo Corsanego) erano disposti ad optare per la parola stabilità, che avrebbe accontentato i
comunisti consentendo libertà di manovra più ampia su altre materie, ma in Vaticano si troncò
subito questa possibilità: meglio il silenzio della Carta in materia che ricorrere al compromesso67.
La componente dei Professorini fu sempre persuasa dell’importanza del termine indissolubilità, e
infatti pare, in questo momento, riscuotere ben maggiori simpatie di là dal Tevere.
Sul fronte laico – a destra e a sinistra della DC – più che l’affermazione della possibilità di
scioglimento del matrimonio, si reclamava il riconoscimento dell’inopportunità d’introdurre
l’indissolubilità; come si è visto sopra, si tratta di una tendenza che troviamo anche negli anni
precedenti, e ancora una volta la posizione più avanzata (e scomoda) spetta ai comunisti. Quando il
13 novembre si arrivò al voto, Togliatti, nell’ottica dilatoria della quale si è già dato conto, propose
il seguente ordine del giorno: «La I Sottocommissione, constatato che da nessuna parte è stata
avanzata la proposta di modificare la vigente legislazione per quanto concerne l’indissolubilità del
matrimonio, non ritiene opportuno parlare di questa questione nel testo costituzionale»68. Messo ai
voti, la proposta fu bocciata 7 contro 6, più 2 astenuti. Il perché va rintracciato nell’attività
“lobbistica” della Segreteria di Stato vaticana, che aveva convinto il qualunquista Mastrojanni e il
liberale Lucifero d’Aprigliano a votare a favore dell’indissolubilità, scelta da loro stessi
argomentata con ragioni personali nelle dichiarazioni di voto sull’o.d.g. di cui sopra69.
Posta in votazione la parte di articolo che conteneva l’indissolubilità del matrimonio, venne
approvata – con 9 voti a favore, 2 contrari e 3 astenuti – la formulazione proposta da La Pira,
ovvero che «La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire
65
Oltre a questo, Corsanego distinse la posizione democristiana in materia anche di famiglia come “unità naturale”, di
equiparazione dei coniugi e di trattamento dei figli illegittimi.
66
Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione – Discussioni – Prima Sottocommissione, pagg. 330 ss.
67
G.SALE, op.cit., pag. 107
68
Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione – Discussioni – Prima Sottocommissione, pag. 370
69
Ibidem, pagg. 375 ss.
17
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia»70. Questa soluzione vide a favore i
democristiani (tutti presenti), più Lucifero e Mastrojanni; contrari, il socialista Basso e il
demolaburista Cevolotto; optarono per l’astensione il socialista Mancini e i comunisti presenti,
Togliatti e Jotti. Alla luce di quanto detto in precedenza, l’astensione della coppia comunista risulta
particolarmente significativa: del resto lo stesso Togliatti, poco prima, appariva preoccupato che
qualcuno potesse «affermare che egli ha votato a favore dell’introduzione dell’istituto del
divorzio»; piuttosto, rispondeva alle preoccupazioni cattoliche sul tema nel caso in cui «in avvenire
la democrazia cristiana non rappresenti più la maggioranza parlamentare» affermando che «non vi
è alcun motivo di preoccuparsi se un giorno tale partito non riscuoterà più la maggioranza dei voti,
data la posizione assunta da tutti i partiti i quali si sono formalmente impegnati, nel corso della
discussione, a non ammettere l’istituto del divorzio in Italia»71. L’esagerazione di tale affermazione
risulta evidente, e di quel formale impegno è arduo trovar traccia; comunque, è da rilevare che la
legge istitutiva del divorzio in Italia sia stata discussa solo più di vent’anni dopo, e sia stata
presentata da un liberale (Baslini) e da un socialista (Fortuna), non già da esponenti comunisti72.
Nell’aprile del 1947, i testi in materia d’istituto familiare arrivarono in Assemblea plenaria
intatti nella sostanza, nonostante il duplice passaggio dal Comitato di coordinamento e dalla
Commissione per la Costituzione (detta “dei 75”) nel suo complesso; nessuna modifica di rilievo
dunque, sebbene si fossero riproposte le tensioni, le proposte, perfino le stesse argomentazioni della
Sottocommissione73. Il dibattito che precedette la votazione degli emendamenti fu ampio 74, e non
privo anch’esso di spunti trasversali agli schieramenti tutt’altro che scontati. Fra questi, ad esempio,
l’intervento del comunista Umberto Nobile, il quale si produce in una sentita filippica contro
l’istituto del divorzio, citando peraltro i casi di abbrutimento cui esso ha portato laddove è stato
concesso75, ed appellandosi all’autorità della stessa Sacra Rota; la sua posizione – che presenta
70
Ibidem, pag. 376
Ibidem, pag. 373
72
Sulla travagliata storia del divorzio in Italia, si veda D.DE VIGILI, La battaglia sul divorzio. Dalla Costituente al
Referendum, Franco Angeli, Milano, 2000
73
Assemblea Costituente – Commissione per la Costituzione – Adunanza plenaria – Discussioni, pagg. 102 ss.
74
Atti dell’Assemblea Costituente – Discussioni sul progetto di Costituzione – Vol.II, pagg. 2900 ss.
75
In particolare, davvero meritano di essere riportati alcuni passi dell’intervento (Ibidem, pag. 3039), partendo da un
caso che prova la «diminuita autorità dei genitori sui figliuoli», che Nobile attribuisce all’esistenza del divorzio:
«Ricordo il caso, capitato a New York, di una fanciulla di sedici anni, appartenente a famiglia oriunda italiana, la quale
citò il proprio genitore davanti al magistrato, accusandolo di averla violentemente redarguita perché abitualmente
tornava a casa tardi nella notte, dopo essersi accompagnata coi suoi amici. E il magistrato diede ragione alla fanciulla,
trattando il padre da uomo di altri tempi». Inoltre, in questo quadro di generale dissolutezza, «la massima parte delle
fanciulle delle High Schools, che corrispondono press'a poco al nostro ginnasio, giungono all'ultimo anno di corso senza
essere più vergini». Nell’altro blocco invece, dopo un periodo di sbandamento, a séguito di restrizioni legali «oggi la
Russia è uno dei paesi dove indubbiamente il divorzio è meno facile, anche perché chi vi ricorre senza ragioni molto
serie si espone al pubblico disprezzo». In definitiva, «come si vede, le due grandi Confederazioni, la nord-americana e la
71
18
FABIO PACINI
davvero poco di “progressista” – appare comunque a titolo strettamente personale, anche in virtù
dell’ammissione di «certamente ignor[are] quale sia la formula giusta che bisognerebbe al
riguardo inserire nella Costituzione»76.
Terminata la discussione generale, prima di passare al vaglio degli emendamenti fu respinto
un o.d.g. dell’anziano Vittorio Emanuele Orlando, mirante ad espungere dalla Carta l’intera
questione familiare, perseguendo lo schema di “Costituzione breve” caro ai liberali prefascisti.
Stando alle dichiarazioni di voto, del resto, tale proposta aveva raccolto i consensi solo di forze
minori: repubblicani, demolaburisti e – in contraddizione con quanto avvenuto in Sottocommissione
– liberali e qualunquisti.
Gli emendamenti presentati furono numerosi, ma praticamente nessuno provenne da
esponenti di spicco delle forze più rappresentative; Calamandrei ne promosse uno volto a
sopprimere l’intero I comma dell’articolo 23 del progetto77, risolvendo in radice la questione
dell’indissolubilità. Una simile proposta trovò fortemente contrario Togliatti, che si fece piuttosto
fautore del voto “per divisione”: una prima volta, su tutto l’emendamento, una seconda sulla singola
parola indissolubile. E’ qui che entra in gioco un oscuro deputato del PSIUP, Umberto Grilli, che si
era fatto promotore proprio di un emendamento mirante a togliere dal testo l’indissolubilità, senza
toccare nient’altro: il Presidente dell’Assemblea Terracini tenne a precisare che la richiesta di
Togliatti coincideva sostanzialmente proprio con l’emendamento Grilli, ed in esso venne assorbita.
Dopo qualche perplessità, lo stesso Calamandrei si associò alla proposta.
Seguì a questo una vivissima querelle sulle modalità del voto; infatti – a sparigliare ancora
una volta il gioco – una pattuglia di deputati socialisti e di altri soggetti laici minori richiese il voto
segreto sull’emendamento Grilli. Questa pratica, per nulla usuale nelle assemblee italiane fino a
quel momento, trovò contrarissimo il gruppo democristiano, che lo dipinse per bocca di Gronchi78
come un espediente carico di malizia e pavidità. Togliatti ostentò indifferenza verso la questione:
«noi non abbiamo chiesto il voto segreto e non ce ne importa nulla, perché il nostro voto è
pubblico; l'abbiamo dichiarato. Noi non vogliamo il divorzio, ma non vogliamo nemmeno che si
sovietica, hanno proceduto in senso nettamente opposto: negli Stati Uniti si va verso un progressivo indebolimento
dell'istituto familiare; in Russia verso un rinsaldamento di esso. Ora, queste due esperienze ammoniscono ad essere
molto guardinghi, a resistere alle suggestioni di coloro che patrocinano il divorzio».
76
Ibidem, pag. 3041
77
Che recitava: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio
indissolubile. Il matrimonio è ordinato in base all’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi richiesta dall’unità della
famiglia».
78
Atti dell’Assemblea Costituente – Discussioni sul progetto di Costituzione – Vol.II, pagg. 3284-85.
19
Dal CLN all’Assemblea Costituente, percorsi personali e convergenze sui princìpî
includa la dichiarazione dell'indissolubilità del matrimonio in questo articolo della Costituzione»79.
Ancora una volta, a suffragio di quanto si è scritto sopra, da parte dei comunisti si avverte
l’esigenza di ribadire l’assenza di qualunque volontà divorzista.
Si arrivò al voto solo a tarda notte, ed i risultati non furono annunciati che all’una meno
cinque80; il responso – imprevisto – fu di 194 voti a favore e 191 contrari81. Anche per effetto delle
assenze numerose, specie in casa DC82, l’Assemblea Costituente aveva tolto l’indissolubilità del
matrimonio dalla Costituzione.
Dai resoconti pare che le reazioni di parte cattolica siano state alquanto scomposte, con
Gronchi che segnava minacciosamente i nomi degli assenti e tale Cappa che urlava – all’indirizzo
dei comunisti – «ce la pagherete cara!»83. Probabilmente, in ambito cattolico si era persuasi che
alla fine i comunisti avrebbero votato contro l’emendamento Grilli che, come si è detto, in fondo
non proveniva da loro se non in maniera più che indiretta; comunque, quanto avvenuto denunciava
che il “compromesso costituente”, fondato anche sulla comunanza dell’esperienza resistenziale,
aveva iniziato irrimediabilmente a vacillare.
10. Giunti alla conclusione di queste brevi note, nelle quali si è cercato di riflettere sulla
storia delle idee e delle scelte politiche di alcuni dei personaggi che hanno maggiormente
influenzato la Costituente, sentiamo che è importante non dimenticare gli uomini e le donne in
nome dei quali essi hanno combattuto, in particolare quelle vittime innocenti – a volte senza un
nome né un volto – alle quali i Padri Costituenti venuti dalla Resistenza hanno cercato di dare voce.
È importante che questo incontro si sia tenuto qui, a Sant’Anna di Stazzema; proprio per non
dimenticare quelle vittime che erano ben presenti alla mente di chi stava scrivendo la Costituzione,
e che sono state anch'esse indirette protagoniste, purtroppo mute, della Costituente.
79
Ibidem, pag. 3286
G.SALE, op.cit., pag. 113
81
Cfr. nota n.68
82
Ibidem. Votarono in 385, su di un totale di 556 deputati; dal gruppo democristiano mancarono all’appello in 36, sul
totale di 209 componenti.
83
G.SALE, op.cit., pag. 113
80
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FABIO PACINI
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