UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTÀ DI SCIENZE STATISTICHE Corso di Laurea in Scienze Statistiche ed Economiche TESI DI LAUREA IMPATTO ECONOMICO DEGLI OGM IN AGRICOLTURA RELATORE Chiar.mo prof. Paolo PALAZZI CANDIDATO Emanuele D’ALESSANDRO Anno Accademico 2000/2001 Seduta di Laurea del 24 Settembre 2001 Chiunque è autorizzato per fini informativi, di studio o didattici, a utilizzare e duplicare il presente documento, purché sia citata la fonte Indice Introduzione…………………………….……………………...……… I Capitolo Primo Il progresso biotecnologico e l’avvento delle biotecnologie I.1. I.2. I.3. I.4. I.5. I.6. I.7. I.8. I.9. I.10. I.11. I.12. I.13. I.14. I.15. I.16. La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico…. Le biotecnologie e l’ingegneria genetica come fonte d’innovazione……….. Gli Organismi Geneticamente Modificati…………..……………………….. Le biotecnologie in agricoltura……………………………………………… OGM: i campi di applicazione in agricoltura……...………………………… Il carattere di resistenza agli insetti………………………………………….. Il carattere di tolleranza agli erbicidi………………………………………... La tecnologia “Terminator”…………………………………………………. La biodiversità e la sicurezza alimentare……………………………………. Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni preliminari…………………………………………………………………… Vantaggi economici connessi alla coltivazione di OGM…..………………... Considerazioni di carattere macroeconomico……………………………….. OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo?………………….… Quali benefici per gli agricoltori?…………………………………………… Quali benefici per i consumatori?…………………………………………… Cenni sulle successive argomentazioni economiche………………………... 1 3 5 7 12 16 16 18 20 24 24 25 30 32 35 38 Capitolo Secondo Il mercato agro-alimentare transgenico II.1. II.2. II.3. II.4. II.5. II.6. II.7. II.8. II.9. II.10. II.11. II.12. II.13. Introduzione…………………………………………………………………. Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche... Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto modificato…………………………………………………………………… La soia transgenica…………………………………………………………... Il mais transgenico…………………………………………………………... Il cotone transgenico……………………………………………………….... La colza transgenica…………………………………………………………. Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato………. I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica…… Ogm di prima e seconda generazione……………………………………….. I mercati sementiero e fitofarmacologico…………………………………… Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in USA e Canada……………………………………………………………….. Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture transgeniche…………………………………………………………………. 39 40 46 50 52 55 57 60 62 67 69 73 77 Capitolo Terzo La competitività delle biotecnologie in agricoltura III.1. III.2. III.3. III.4. III.5. III.6. III.7. III.8. III.9. III.10. Introduzione…………………………………………………………………. Linea metodologica………………………………………………………….. Le performances economiche della soia HT……..………………………….. Le performances economiche del mais BT…..……………………………… Le performances economiche della canola HT………..………………….…. Le performances economiche del cotone transgenico….…………………… La riduzione dei prodotti chimici……………………………………………. Effetto delle colture Gm sugli agricoltori…………………………………… Effetti di una maggiore produzione…………………………………………. Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni…………………...……. 80 81 82 86 89 97 101 104 112 117 Capitolo Quarto La concorrenza nel mercato delle biotecnologie IV.1. IV.2. IV.3. IV.4. IV.5. IV.6. IV.7. IV.8. IV.9. IV.10. IV.11. IV.12. IV.13. IV.14. Introduzione…………………………………………………………………. Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali………….…….. Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e fitofarmacologiche…………………………………………………………... Le operazioni di mercato delle principali società Biotech…………….…….. Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di mercato………………………………………………………………………. Le società che operano nel mercato agro-alimentare………………………... La concentrazione nel mercato sementiero………………………………….. La concentrazione nel mercato fitofarmacologico…………………………... La concentrazione dei brevetti………………………………………………. La concentrazione nel mercato transgenico…………………………………. L’integrazione verticale ed orizzontale……………………………………… I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti……… Il monopolio delle biotecnologie……………………………………………. Sintesi sulla struttura del mercato transgenico……………………….……… 119 120 122 127 131 134 136 140 145 150 151 155 164 168 Capitolo Quinto Conclusioni. Quali le opportunità economiche legate alle biotecnologie in campo agricolo? V.1. V.2. V.3. V.4. V.5. V.6. V.7. Introduzione………………………………………………………………….. L’accettazione delle biotecnologie…………………………………………... La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie……………… Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm………………………………………. Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante transgeniche………………………………………………………………….. Il mercato delle biotecnologie……………………………………………….. Il sottosviluppo e le biotecnologie…………………………………………… 172 173 176 178 179 184 187 V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie……………………… 189 V.9. L’accettazione del rischio……………………………………………………. 192 V.10. Conclusioni finali ………………….…………………….…...……………... 196 Glossario……..………………………….……………………...……… 198 Bibliografia…..………………………….……………………...……… 200 INTRODUZIONE Le biotecnologie transgeniche applicate in agricoltura rappresentano una delle innovazioni più importanti che negli ultimi decenni hanno interessato il settore agricolo. I problemi posti dagli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono molto ampi, e la possibilità di riassumere un fenomeno così complesso ed intercorrelato con tante sfere delle attività umane è di difficile attuazione. Lo studio del fenomeno, nel lavoro che seguirà, sarà finalizzato alla comprensione e alla sintesi dello stesso, al fine di fornire al lettore un quadro esauriente che metta in relazione gli Ogm in quanto tali con le principali variabili socioeconomiche connesse. Innovazione, sistemi produttivi agricoli, ambiente e sottosviluppo saranno le chiavi di lettura principali, tutte analizzate in un’ottica di lungo periodo e dominate dal paradigma della sostenibilità nel suo concetto più ampio. La biotecnologia transgenica nasce essenzialmente come ricerca di soluzioni volte a risolvere i principali problemi connessi all’attività agricola, sotto un’ottica di miglioramento produttivo ed agronomico, di qui la ricerca e la gestione appaiono essere i punti cruciali per uno sviluppo sicuro e sostenibile di una tale innovazione. Le necessità principali per una siffatta analisi economico-ambientale risiedono nella comprensione del fenomeno nella sua vastità, ovvero tenendo conto non solo degli aspetti strettamente economici, includendo, altresì, nelle argomentazioni componenti esterne all’attività produttiva, influenzate dal fenomeno in maniera diretta, come, ad esempio, le normative e le regolamentazioni sulla diffusione e lo sfruttamento commerciale dei prodotti transgenici, connessi ai diritti di protezione intellettuale. Le normative sul rilascio ambientale degli Ogm, le regolamentazioni sui brevetti e le protezioni commerciali giocano un ruolo essenziale nel definire le prospettive future dell’innovazione biotecnologica, determinandone il possibile scenario futuro e gli effetti sulla realtà socioeconomica mondiale. L’intento finale è quello di fornire argomentazioni ed analisi tali da inquadrare il fenomeno biotecnologico in un’ottica di analisi costi-benefici virtuale, visto che attualmente non si possiedono stime precise sui costi connessi a tale innovazione tecnologica. La determinazione della convenienza economica, dati i possibili costi in termini ambientali e di sviluppo sostenibile, è basata su considerazioni tratte dai recenti studi sui benefici produttivi e sugli effetti ambientali degli Ogm, oltre che sulle variabili sociali connesse, con una particolare attenzione a fenomeni quali il sottosviluppo, la malnutrizione, l’accesso alle risorse e la salvaguardia della biodiversità, quest’ultima concepita in termini di risorsa necessaria ed imprescindibile per una valutazione sullo sviluppo ambientale ed economico di lungo periodo. Un’attenta analisi sarà rivolta alla considerazione degli effetti economici, sociali ed ambientali, che si potranno verificare nei Paesi in Via di Sviluppo, intesi, e proposti dall’industria Biotech, come i possibili principali beneficiari del progresso biotecnologico, non escludendo allo stesso tempo l’analisi degli effetti che si potranno avere nei Paesi Industrializzati. L’analisi dell’impatto sanitario degli Ogm sarà trascurato o trattato al minimo informativo, in quanto allo stato attuale non esistono strumenti per una tale verifica: infatti, non è possibile definire, con le conoscenze attuali, gli effetti che tali organismi potranno avere sulla salute umana e sull’ecosistema in generale. Il testo è stato strutturato in cinque capitoli, ognuno dei quali dedicato ad un particolare aspetto economico, all’interno dei quali vi sono continui richiami e commenti agli effetti sulle variabili socioeconomiche ed ambientali in termini di sostenibilità. Il primo capitolo è di tipo introduttivo ed è rivolto alla descrizione delle biotecnologie transgeniche attraverso definizioni e spiegazioni scientifiche, ponendo attenzione ai temi più rilevanti di ordine sociale, economico, biologico ed ambientale. Il capitolo è orientato alla descrizione delle biotecnologie come innovazione, descrivendone le peculiarità essenziali, fornendo argomentazioni sulle caratteristiche tecniche dell’innovazione e sulle applicazioni concrete di impatto tecnologico e sociale: affrontando, altresì, temi quali la fame nel mondo, il progetto “Terminator” e la biodiversità. La parte conclusiva del capitolo fornisce delle prime valutazioni circa le componenti economiche della tecnologia transgenica: vantaggi economico-produttivi, benefici per gli agricoltori e per i consumatori. Il capitolo secondo è dedicato interamente alla descrizione del mercato, riguardo alla sua diffusione ed al suo sviluppo, oltre ad una ripartizione delle aree coltivate attualmente, secondo il livello di sviluppo dei Paesi, la collocazione geografica e le tipologie di coltivazione. Parte del capitolo fornirà argomentazioni per comprendere le caratteristiche agro-industriali delle prime piante transgeniche: soia, mais, cotone e colza. La ripartizione dell’area mondiale destinata al transgenico è suddivisa secondo il prodotto e la tipologia di modificazione genetica, al fine di valutare, da un lato, i risultati raggiunti dalla ricerca, e dall’altro per individuare le linee di tendenza della ricerca stessa, in termini di tipologie di produzioni agricole. Nella parte finale sono fornite informazioni circa i possibili sviluppi futuri delle biotecnologie, come tipologia di prodotto e tecnologia utilizzata, oltre ad una prima trattazione sulla struttura dei mercati sementiero e fitofarmacologico, insieme ad una prima stima dei benefici finora apportati a livello economico, relativamente ai casi statunitense e canadese. Il capitolo terzo, che insieme al quarto costituisce il nucleo principale del lavoro, tratta della struttura economico-produttiva connessa alla coltivazione di piante transgeniche, al fine di definire il loro attuale livello di opportunità economica. L’analisi delle funzioni di produzione nelle coltivazioni transgeniche e la ripartizione dei benefici tra produttori ed agricoltori costituiscono il punto principale nella determinazione della convenienza economica, effettuata con particolare riguardo circa gli effetti di lungo periodo sul mercato dei beni alimentari e sugli effetti sulla redditività agricola, in particolare nei Pvs, ponendo l’accento sulla diversa struttura dei costi tra una coltivazione con piante convenzionali ed una con piante geneticamente modificate, oltre ad una valutazione sulle tradizionali variabili agronomiche, come la resa per ettaro, e ad alcune variabili di tipo ambientale, legate all’uso di prodotti chimici e all’impatto ambientale. Il capitolo quarto analizza in dettaglio il mercato delle biotecnologie transgeniche riguardo ai livelli di concorrenzialità e all’evoluzione dello stesso in termini di integrazione, attraverso opportuni indicatori di concentrazione. Il livello di concentrazione è messo in relazione alla sua evoluzione nel tempo e alle caratteristiche legislative e normative inerenti, le quali giocano un ruolo essenziale nella determinazione del livello di concorrenzialità e nella determinazione delle barriere all’accesso del mercato stesso, sia per le nuove aziende sia per gli agricoltori, questi ultimi differenziati secondo il livello di reddito e l’appartenenza geografica. L’analisi della struttura del mercato agricolo transgenico è messa in relazione ai rapporti con quello tradizionale, evidenziando punti di continuità e di correlazione che ne accentuano il livello di concentrazione. Parte del capitolo è dedicata alla descrizione delle convenzioni sui ritrovati vegetali e alla legislazione sui brevetti vigenti, al fine di rendere evidenti le caratteristiche peculiari e le loro conseguenze sul mercato e sull’attività agricola in generale. Nel capitolo conclusivo si formula una sintesi dei risultati ottenuti in quelli precedenti: sintesi che vuol essere una valutazione della situazione attuale dello sviluppo dei mercati e delle produzioni transgeniche in un’ottica di necessità e di sostenibilità di lungo periodo, con particolare riguardo alle componenti ambientali, sociali ed economiche. Il capitolo conclusivo fornisce informazioni anche sulla situazione economica e politica che ruotano attorno al fenomeno degli Ogm, evidenziando alcune caratteristiche normative, legislative e politiche attuali che pongono perplessità sulla gestione del fenomeno transgenico, poiché se da un lato le prospettive tecnologiche ed economiche future appaiono interessanti, dall’altro la gestione e gli orientamenti metodologici di ricerca, attuali e futuri, sembrano non essere in grado di fornire un effettivo miglioramento (desiderato e sostenibile), a vantaggio principalmente delle produzioni, degli operatori e delle attività produttive agricole in generale, intese come prodotti, modificazioni genetiche attuate e tutela ambientale nell’ottica dell’attuazione del Principio di Precauzione. Capitolo Primo IL PROGRESSO TECNOLOGICO E L'AVVENTO DELLE BIOTECNOLOGIE I.1. La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico La realtà in cui viviamo è il frutto di un' evoluzione che si è protratta nel corso dei secoli. Il progresso tecnologico è stato senz' altro uno dei fattori che maggiormente ha influenzato il corso della storia e la vita degli esseri umani: le scoperte e le invenzioni hanno, nel corso del tempo, influenzato la vita quotidiana sia dal punto di vista sociale che economico. La continua ricerca dell' innovazione tecnologica può essere comunemente considerata come la ricerca di soluzioni ai problemi che si pongono quotidianamente di fronte alle persone, in campo sia sociale sia produttivo. Secondo alcune recenti ricerche si stima, utilizzando la cosiddetta "contabilità della crescita", che il progresso tecnico abbia contribuito almeno per il 30% alla crescita del PIL reale statunitense nel periodo 1948-1990, altre fonti vi attribuiscono un contributo nei sistemi produttivi che arriva a superare il 50% (Nomisma, 1999). L' importanza che viene attribuita al progresso tecnologico nello sviluppo socioeconomico può certamente essere messa in discussione da un punto di vista quantitativo, ma non è possibile ignorare quali benefici abbia apportato la scienza e la tecnologia al vivere quotidiano. Grazie al progresso della tecnica si è potuta migliorare la vita degli uomini abbassando nel giro di pochi decenni la mortalità, arrivando ad un traguardo biologico prima d' ora inimmaginabile. Lo sviluppo delle scienze è semplicemente la risposta alle domande e alle richieste che la società nel suo insieme formula, anche se nella storia il progresso spesso è stato visto come un nemico, come un qualcosa che avrebbe potuto metter fine all' esistenza dell' uomo stesso. Queste paure mostrano come gli uomini, di fronte alla soluzione dei problemi del loro vivere quotidiano, dimentichino che sono stati essi stessi a formulare le domande, anche se in modo indiretto. Nei confronti della scienza e delle innovazioni la società si è sempre divisa in due opposte fazioni, senza considerare l' esistenza di una zona intermedia che si pone in modo critico, e spesso più produttivo rispetto a posizioni troppo estremistiche di chi è aprioristicamente pro o contro un' innovazione. Nella storia si è sempre assistiti a scontri tra posizioni a favore e altre che spesso hanno il sapore di accuse "torquemadaiche" per una paura di cui non si conosce neanche la ragion d' essere. La scienza e il progresso nel corso dei secoli hanno sempre costretto gli uomini a cambiamenti negli stili di vita che, di fatto, nella maggior parte dei casi, hanno contribuito ad un aumento del benessere: gli sviluppi della tecnologia, della medicina, dei processi produttivi agricoli, industriali e dell' informazione, hanno permesso all' uomo di meglio soddisfare i propri bisogni fisici e sociali. Nel corso del XX Secolo si è assistiti ad uno sviluppo economico e sociale mai prima verificatosi, e gli studi, per comprendere come ciò sia stato realizzabile, mostrano come esistano all' interno dei sistemi produttivi stimoli ad innovazioni radicali ed incrementali, seguendo un percorso che a volte ha un carattere di discontinuità ed altre di continuità rispetto alla situazione precedente. Nella teoria economica shumpeteriana sono proprio le innovazioni che generano il progresso economico e lo sviluppo in generale; è proprio la ricerca imprenditoriale che porta avanti lo sviluppo socioeconomico nel suo insieme, una ricerca spinta essenzialmente dall' esigenza di trovare fonti di profitto in nuovo mercato, o semplicemente dettata dalla possibilità di migliorare il processo di produzione esistente diminuendo i costi, fissi e variabili, o rinnovandolo in parte o radicalmente, ma il tutto determinato nei tempi e nei modi da componenti casuali, quali la scoperta di una legge scientifica o di un nuovo materiale per produrre, ed è proprio questa componente casuale che rende lo sviluppo non lineare e dunque ciclico. Le caratteristiche delle innovazioni, secondo le leggi della «teoria evoluzionistica», sono da ricercarsi nell' assunto che quelle radicali avvengono per puro volere della casualità e al loro interno contengono i presupposti necessari per delle innovazioni incrementali successive, che nel lungo periodo finiscono per dare un contributo maggiore rispetto all’innovazione radicale originaria. Nel contesto odierno, caratterizzato dalla competitività globale, i processi innovativi seguono due direttrici di processi concorrenziali nei quali il concetto di innovazione ha ricoperto un ruolo ben definito e molto importante. Nella prima direttrice il processo competitivo può essere caratterizzato dalla ricerca di un brevetto, dove solamente chi arriva per primo guadagna profitti tramite un potere monopolistico e temporaneo allo stesso tempo, affinché nei casi in cui le economie di scala nel processo di ricerca sono ridotte ed il brevetto ha una scadenza, nuovi innovatori possano entrare in competizione con i primi e generare un rimescolamento continuo nella leadership nell' industria; mentre nella seconda rientra il caso in cui l' innovazione assume la forma di accumulazione creatrice, ovvero l' innovazione nasce da un processo cumulativo di apprendimento fornendo all' innovatore la possibilità di continuare a migliorare nel tempo, creandosi all' interno dell' industria una competenza specifica di difficile competizione. Nel secondo caso, l' industria nello specifico settore sarà caratterizzato da un oligopolio, in cui pochi grandi innovatori mantengono la loro leadership fino quando non vi si ponga contro un nuovo soggetto con una nuova innovazione radicale. Ciò che è stato illustrato precedentemente mostra da un lato l' importanza dell' innovazione e del processo tecnologico nello sviluppo socioeconomico e, dall' altro, come il processo innovatore può, secondo le proprie caratteristiche originarie, generare effetti diversi sul mercato. L' effetto che può avere l' innovazione sul mercato è stato ricordato per meglio comprendere come debbano essere presi in considerazione le argomentazioni che di seguito saranno fatte sulla scia della nuova spinta innovativa che le moderne tecniche di ingegneria genetica applicata alla biotecnologia stanno apportando al mercato agroalimentare mondiale ed alla struttura del relativo mercato. I.2. Le biotecnologie e l'ingegneria genetica come fonte d'innovazione Nel contesto precedentemente descritto ben s' inserisce l' attuale sviluppo delle biotecnologie e l' applicazione dell' ingegneria genetica per la risoluzione di molteplici problemi. Le biotecnologie possono essere comunemente accettate come un' innovazione di primaria importanza per lo sviluppo socioeconomico mondiale. L' attribuzione dell' aggettivo primario all' innovazione biotecnologica è riferita non solo al grado d' importanza, ma si riferisce ad un contesto più ampio: il significato dell' aggettivo primario risiede nella constatazione che le biotecnologie non sono un' innovazione a sé stante, marginale, ma al loro interno hanno la capacità di generare forze che fanno sentire i propri effetti in molti ambiti scientifici, forze che creano le cosiddette innovazioni "secondarie" o incrementali che aprono le frontiere ad un nuovo modo di comprendere e dominare la natura e gli eventi che ci circondano1. Le recenti scoperte nell' ambito dell' ingegneria genetica hanno tracciato un possibile percorso per una nuova rivoluzione sia nel campo medico sia nel campo produttivo: le principali industrie che operano in questo nuovo settore sono principalmente le "vecchie" multinazionali farmaceutiche che, difatti, hanno avviato al loro interno delle vere e proprie rivoluzioni sia nel campo organizzativo sia nell' indirizzo di ricerca. Considerando l' intero mercato farmaceutico mondiale, è possibile notare come si siano moltiplicati gli studi e le ricerche per decifrare la struttura dei geni e del DNA, al fine di capire come curare una malattia o eliminare un "difetto" di un organismo. Parallelamente a questa nuova impostazione della ricerca medica, è possibile notare come quest' ultima abbia influenzato notevolmente l’evoluzione degli assetti societari e la stessa struttura organizzativa dell' industria farmaceutica. Le caratteristiche del nuovo assetto industriale sono influenzate da alcuni fattori importanti, che in un certo qual modo ne determinano struttura, composizione e strategia di mercato da adottare. La "nuova industria" è caratterizzata e fortemente basata sulla scienza, i cui progressi sono determinati univocamente dall' evoluzione della ricerca. La caratteristica di un' industria, di essere basata esclusivamente sulla ricerca e sui suoi risultati, fa sì che la possibilità d' accesso ad essa, da parte di nuove società, sia limitata dal potenziale d' investimento, che nello specifico settore delle "biotecnologie genetiche" è incredibilmente alto. L' alta spesa in R&S nelle biotecnologie dà vita ad un oligopolio composto da società di grandi dimensioni capaci di ottenere fonti di finanziamento privato e pubblico con relativa facilità: in tale contesto la capacità ad investire ed ottenere finanziamenti rappresenta un limite spesso invalicabile per chi abbia intenzione di entrare e competere nel settore. L' industria biotecnologica appare impenetrabile dall' esterno e le poche nuove società che vi sono entrate si sono trovate dinanzi un gruppo di società in competizione tra loro, ma che hanno nel tempo stabilito un rapporto di collaborazione per disporre di competenze e attività differenziate di cui nessuno disponeva autonomamente 1 Le biotecnologie e l' ingegneria genetica non possono essere considerate a sé: gli effetti "collaterali" sprigionano energie in tutti i campi della scienza. in maniera completa. Non di rado le start-up sono state acquisite dalle grandi società nel momento in cui avevano raggiunto un traguardo importante, come ad esempio la registrazione di un brevetto su di un ritrovato biotecnologico. La tendenza dell' industria biotecnologica è relativa alla concentrazione e si evidenziano sempre più vantaggi da prima mossa che, con il sistema dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale, creando barriere all' entrata nel settore praticamente insormontabili. Quanto detto finora sull' innovazione e le sue caratteristiche, ed in particolare sullo specifico settore delle biotecnologie, pone le basi alle argomentazioni successive che riguarderanno le biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, intese come un' innovazione primaria, sotto un’ottica essenzialmente economico-ambientale, lasciando agli aspetti biologici, medico, religioso, etico solamente una trattazione definitoria e marginale, al fine di ottenere uno studio che metta in risalto in maniera pragmatica le caratteristiche economiche dell' applicazione delle moderne biotecnologie in agricoltura e le relative conseguenze in un’ottica di sviluppo sostenibile. I.3. Gli Organismi Geneticamente Modificati Prima di poter dare una definizione essenziale ed esaustiva degli OGM è prioritario specificare il significato e la differenza tra biotecnologia e Organismo Geneticamente Modificato: quest' ultimo è figlio della biotecnologia, ovvero dell' applicazione di tecniche biologiche, come l' incrocio o la selezione delle specie, atte a modificare le caratteristiche degli organismi viventi, piante, batteri, animali; dunque gli Ogm appartengono ad una particolare branca della biotecnologia che sfrutta le conoscenze dell' ingegneria genetica per intervenire direttamente sul patrimonio genetico degli organismi e non più solamente sul fenotipo2, attraverso il tradizionale incrocio vegetale-vegetale. Dalla sua origine, l' uomo ha sempre cercato di intervenire sugli animali e sulle piante, attraverso incroci e selezioni, al fine ottenere caratteristiche fisiche e nutrizionali migliori, creando in questo modo quell' immensa varietà di specie che a tutt’oggi conosciamo e che viene definita biodiversità. Il processo di selezione, nel tempo, è 2 Si definisce fenotipo il complesso delle caratteristiche esteriori di ogni organismo, che dipende dal suo particolare corredo genetico. sempre avvenuto in modo pressoché naturale attraverso la riproduzione sessuale o l' incrocio tra piante, mentre oggi le scoperte sul DNA e le ricerche effettuate sulla "codifica" dei geni permettono all' uomo di intervenire alla base degli esseri viventi, ovvero sul "patrimonio genetico". Da quanto detto in precedenza è possibile distinguere il significato di biotecnologia, intesa in senso generale, e OGM, intesa come caso particolare di biotecnologia. Le tecniche di modifica di un genoma3 sono nate negli anni settanta ad opera di due scienziati, Watson e Crick, che per primi hanno descritto con precisione la struttura del DNA, aprendo le frontiere alla ricerca su come possa essere modificata la "vita". Volendo fare un esempio, per meglio rendere comprensibile l' entità della scoperta, è possibile paragonarla alla scoperta della Stele di Rosetta che ha permesso agli archeologi di comprendere e tradurre gli antichi geroglifici egiziani: infatti, la scoperta di questi due scienziati ha posto le basi alla ricerca sulla comprensione del "funzionamento degli esseri viventi". La sigla OGM racchiude in sé il suo significato, modifica di un organismo attraverso la manipolazione genetica. Le tecniche del DNA ricombinante sono state possibili grazie alla scoperta degli enzimi di restrizione4 che hanno permesso un moderno "taglia ed incolla" a livello molecolare al fine di aggiungere o eliminare caratteristiche agli esseri viventi per diversi motivi che possono essere sia medici, sia produttivi (si pensi al miglioramento nutrizionale o alla resistenza alle malattie sia nell' uomo sia negli altri esseri). L' applicazione dell' ingegneria genetica agli esseri viventi, siano essi batteri, vegetali o animali, ha permesso di identificare sequenze del DNA con date proprietà, al fine di "tagliarle" per eliminarle dal corredo genetico o per aggiungerle ad un altro organismo per cui si richieda una tale proprietà. Una volta isolata una "caratteristica" da un organismo è possibile, attraverso le tecniche di ingegneria genetica, inserirla in un vettore molecolare, il plasmide, che può, secondo le caratteristiche della ricerca e della volontà del ricercatore, o clonarla, e cioè 3 Si definisce genoma il corredo genetico di un organismo vivente, ovvero il DNA nel suo complesso 4 Un enzima è una proteina che interviene in una reazione chimica accelerandola rispetto al normale, o contribuendo a trasformare un composto di partenza in uno finale. Gli enzimi di restrizione sono particolari proteine che identificano una sequenza bersaglio sul DNA e si legano a loro per tagliare in due la doppia elica che forma il DNA. moltiplicare il DNA inserito, o esprimerla, quando permettono la sintesi di proteine, a partire dai geni presenti nel vettore. Tra i vettori molecolari più importanti è bene ricordare l' Agrobacterium tumefaciens, ovvero il plasmide utilizzato per clonare e trasferire geni alle cellule vegetali. Gli studi d' ingegneria genetica condotti negli ultimi vent’anni sono stati indirizzati verso la codifica dei genomi degli organismi viventi per comprendere quali fossero i geni portatori di certi "difetti ereditari" e creare, a partire da quelli esistenti in natura, nuovi genotipi "migliorati artificialmente": a titolo di esempio si riporta il caso della pecora Dolly che rappresenta l' estrema realtà raggiungibile attualmente dalla scienza, ovvero la moltiplicazione (clonazione) in laboratorio di animali a partire da un esemplare unico. La possibilità di intervenire sul corredo genetico pone la scienza di fronte ad un nuovo modo di comprendere e modificare la natura circostante, per meglio soddisfare i bisogni individuali sia di salute sia di miglioramento delle strutture produttive. I.4. Le biotecnologie in agricoltura L' applicazione delle biotecnologie in agricoltura rappresenta, nella ricerca bioingegneristica, il settore più importante sia per le polemiche ecologiche, sociali ed economiche che suscitano, sia perché le piante geneticamente modificate rappresentano il 98.6% degli OGM in circolazione (Serra, 2000). Le piante geneticamente modificate in laboratorio sono moltissime (soia, mais, barbabietola, colza, pomodori, patate, cotone, banane, fragole, uva, melanzane, ecc.), ma attualmente solo poche tra loro sono coltivate su superfici estese, tra queste le più importanti dal punto di vista sperimentale, sono sicuramente la soia, il mais, la colza, il cotone ed il riso. La soia ed il mais, in particolar modo, sono le piante che più tra le altre sono state sottoposte alle sperimentazioni (ovvero sono quelle che hanno subito più modificazioni dando vita a molteplici varanti geniche diverse) e sono quelle che più hanno subito controlli e verifiche, tant' è che alcuni le considerano appartenenti ad un piccolo gruppo di OGM considerati sicuri (Serra, 2000). Le prime piante geneticamente modificate sono state immesse nel mercato nel 1996 dalla Monsanto S.p.A. nell' America Settentrionale e gli agricoltori hanno avuto l' opportunità di utilizzare tre nuovi prodotti: le patate NewLeaf, il cotone Bollgard, in grado di autoproteggersi dagli insetti e la soia Roundup Ready, tollerante al diserbante Roundup, prodotto dalla stessa Monsanto S.p.A. (Monsanto S.p.A., 1999). La tabella 1, elaborata dall' Istituto Sperimentale di Cerealicoltura, riassume il percorso evolutivo delle piante transgeniche fino alla prima commercializzazione in USA. La continua espansione delle colture transgeniche nel mondo ha, negli ultimi anni, sollevato innumerevoli quesiti circa la loro utilità e i rischi connessi alla loro produzione. Nel contesto odierno i dibattiti più diffusi, sulle conseguenze economiche connesse alla produzione e alla commercializzazione degli OGM, riguardano i problemi sull' etichettatura, e quindi di trasparenza nei confronti dei consumatori, sulle modificazioni del mercato agro-alimentare, sulla reale produttività e convenienza economica, ed in particolare sulla loro efficacia nel risolvere il problema della fame nel mondo, tanto pubblicizzato dalla società del settore. Attualmente nel mondo esiste una gran varietà di prodotti geneticamente modificati e si ha a disposizione una diversificazione degli stessi secondo la tecnologia utilizzata e le caratteristiche genetiche che, nel complesso, rendono il prodotto adattabile ad ogni esigenza agricola e ad ogni situazione ambientale sia del terreno da coltivare, sia dell' ambiente circostante (flora e fauna locale). A livello mondiale, a tutto il 1998, esistono ben 56 prodotti transgenici approvati in almeno un paese (Tab. 2) e nei soli USA la lista dei prodotti autorizzati alla coltivazione ne comprende circa 50 (James, 1998). La tabella 2 mette in rilievo alcune caratteristiche dei prodotti geneticamente modificati autorizzati: è da rilevare che alcune caratteristiche geniche introdotte nelle piante sono molto frequenti, il gene BT5 o le sue varianti (resistenza agli insetti) e la tolleranza ai diserbanti non selettivi quali il glifosato e il glufosinato6. Nel corso degli ultimi anni le "Life' s Industrys" (così vengono definite tutte le industrie appartenenti al settore delle biotecnologie applicate) hanno attirato l' attenzione dell' opinione pubblica e quella dei governati circa i risultati che si potranno ottenere in futuro con queste nuove tecnologie e i rischi connessi. Le "Life' s Industrys" sostengono che la sostenibilità è alla base della loro ricerca e lo sviluppo delle biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, nel tempo, mostrerà i 5 Il gene BT, estratto dal Bacillus Thuringensis, permette alle piante di autoprodurre una sostanza tossica per le larve degli insetti che si nutrono della pianta. 6 Il glufosinato e il glifosato sono due erbicidi non selettivi, ovvero sono validi per qualsiasi tipo di erba infestante, che permettono la completa disinfestazione dei campi con un unico prodotto. Tab. 1 - Storia delle piante transgeniche 1973 PRIMA APPLICAZIONE DELLA TRANSGENESI AD UN BATTERIO MODELLO: ESCHERICHIA COLI. 1974 NASCITA DELL' INGEGNERIA GENETICA CON L' APPLICAZIONE DELLE PRIME TECNICHE DI CLONAZIONE DI GENI. 1983 RICERCATORI DELL' UNIVERSITA' DI GAND (BELGIO) PRODUCONO LA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: TABACCO RESISTENTE ALL' ANTIBIOTICO KANAMICINA. 1986 PRIME SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON PIANTE TRANSGENICHE: PIANTE DI TABACCO TOLLERANTI A ERBICIDI NON SELETTIVI. 1987 PRIMA PIANTA TRANSGENICA RESISTENTE AGLI INSETTI: TABACCO CHE PRODUCE LA TOSSINA INSETTICIDA DEL BATTERIO BACILLUS THURINGIENSIS. 1990 INIZIO NEGLI USA DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON PIANTE TRANSGENICHE. 1993 INIZIO DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON PIANTE TRANSGENICHE IN ITALIA. 1994 COMMERCIALIZZAZIONE IN USA DEL PRIMO PRODOTTO VEGETALE TRANSGENICO: IL POMODORO « FLAVR SAVR» A MARCESCENZA RITARDATA DELLA SOCIETA'CALGENE. AUTORIZZAZIONE ALL' INTRODUZIONE NEL MERCATO COMUNITARIO DELLA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: IL TABACCO RESISTENTE AL BROMOXYNIL. Fonte: Istituto Sperimentale di Cerealicoltura (ISC) Tab. 2 - Stato dell'approvazione delle colture transgeniche a tutto il 1998: 56 prodotti approvati in almeno un paese Società/Paese Coltura transgenica Mais tollerante il glufosinato Colza tollerante il glufosinato AgrEvo Soia tollerante il glufosinato Barbabietola tollerante il glufosinato Mais tollerante il glufosinato e resistente agli insetti Agritope, Inc. Pomodoro a ritardata marcescenza Zucca resistente al virus WMVZ Asgrow Seed Co. Zucca resistente al virus ZYMV Zucca resistente al virus CMV Basf Mais tollerante il sethoxydim Bejo-Baden Cicoria maschiosterile Pomodoro a ritardata marcescenza Calgene Inc. Cotone tollerante il bromoxynil Colza ricca di acido laurilico Cotone resistente agli insetti e tollerante il glufosinato Tabacco resistente ai virus Cina Pomodoro resistente ai virus Mais BT Cornell U./U. of Hawaii Papaia resistente ai virus Mais resistente agli insetti DeKalb Genetics Corp. Mais tollerante il glufosinato Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato DNA Plant Technology DuPont Florigene Pomodoro a ritardata marcescenza Cotone tollerante la sulfonilurea Soia a modificata composizione Garofano a lunga longevità nel vaso Garofano con colore dei fiori modificati Soia tollerante il glifosato Pomodoro a ritardata marcescenza Pomodoro resistente agli insetti Cotone resistente agli insetti Cotone tollerante il glifosato Monsanto Co. Cotone resistente agli insetti e tollerante il glifosato Mais resistente agli insetti Colza tollerante il glifosato Mais resistente agli insetti e tollerante il glifosato Barbabietola tollerante il glifosato Pomodoro resistente agli insetti e al PLRV Mais tollerante il glifosato Mycogen Mais resistente agli insetti Mais resistente agli insetti Novartis Seeds Mais dolce resistente agli insetti e tollerante il glufosinato Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato Pioneer Hi-Bred Int. Mais maschiosterile Olio di semi di rape ibride tolleranti il glufosinato Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e maschiosterili Plant Genetic System Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e restauratore di fertilità Mais tollerante il glufosinato Mais tollerante il glufosinato e maschiosterile Mais tollerante il glufosinato e restauratore di fertilità Rhône-Poulenc Colza tollerante il bromoxynil Seita Tabacco tollerante il bromoxynil Seminis Vegetable Seeds Zucchino resistente al virus ZW20 Zucchino resistente al virus CZW3 Univ. of Saskatchewan Lino tollerante la sulfonilurea Zeneca/Petoseed Pomodoro a ritardata marcescenza Fonte: James (1998) propri frutti, apportando un' espansione delle potenzialità (qualitative e quantitative) dei prodotti agricoli attraverso l' introduzione di nuove caratteristiche nelle piante, grazie ad un miglioramento della conoscenza della struttura genica delle piante. Una delle società leader nel settore dell' applicazione delle biotecnologie in agricoltura, la Monsanto, afferma che uno dei punti chiave per ottenere uno sviluppo sostenibile consiste nella sostituzione di materiali ed energia con l' informazione presente nelle piante. L' applicazione delle biotecnologie, sempre secondo le società del settore, permetterà di ridurre l' uso dei prodotti chimici come i diserbanti ed allo stesso tempo migliorerà la resa dei campi a favore dei redditi dei coltivatori; inoltre in un prossimo futuro, assicurano, le biotecnologie forniranno i mezzi necessari per ridurre l' impiego di materie prime e di energia, producendo altresì prodotti migliori sia da un punto di vista quantitativo, nel senso della resa per ettaro, sia qualitativo. I promotori delle biotecnologie, in particolare le società che hanno investito in questo settore, le presentano come sorgente di numerosi benefici per i consumatori, gli agricoltori e l' ambiente (Bonny, 1999). L' interesse della "Life' s Industry" relativa all' agricoltura è quella di introdurre nelle piante caratteristiche, utili agli agricoltori, come ad esempio la resistenza alla siccità, che colpisce un numero crescente di regioni nel mondo (Bonny, 1999). Altrettanto importante oggetto di studio sono la resistenza al gelo, che potrebbe essere ottenuta attraverso lo studio di un batterio che, a detta degli studiosi, impedisce alle molecole d' acqua di trasformarsi in ghiaccio, e il miglioramento dei sistemi di protezione dagli insetti, proseguendo la ricerca sul gene BT e suoi derivati. I.5. OGM: i campi d'applicazione nell'agricoltura Dalla scoperta dei metodi di ricombinazione del DNA, avvenuta all' incirca venti anni fa, le tecniche atte a modificare le caratteristiche genetiche degli esseri viventi si sono più che moltiplicate. Agli inizi la ricerca sulla possibilità di ricombinare il DNA era basata essenzialmente sullo studio di organismi semplici, quali i batteri e i virus. La ricerca odierna, ormai, può senza dubbio affermare che esiste la possibilità di modificare qualsiasi organismo vivente dal più elementare fino ad arrivare alla clonazione umana, e se esiste un limite esso è rappresentato dalle regolamentazioni internazionali sui brevetti e dall' etica comune. Nell' ambito agricolo è possibile definire una serie di indirizzi di ricerca, ognuno dei quali orientato su di un particolare problema che quotidianamente si pone dinanzi all' agricoltore. Allo stesso tempo nel corso degli anni si è sviluppata un' industria delle biotecnologie applicate in agricoltura che si propone come alternativa al tradizionale mercato dei mezzi di produzione agricola, il tutto con l' intento di rinnovarlo e migliorarlo attraverso la risoluzione di problemi semplici (James, 1998), ma che fino a qualche decennio fa erano considerati irrisolvibili: basti pensare al passato ed in particolare ai popoli nomadi che secondo le stagioni e lo stato di sfruttamento dei suoli agricoli si spostavano continuamente proprio perché non avevano la possibilità di "sfidare" ciò che la natura stessa imponeva loro. Il mercato mondiale dei cibi transgenici non può essere considerato come la "semplice vendita" di prodotti modificati, ma va rapportato con la portata dell’innovazione biotecnologica stessa. La produzione di OGM in agricoltura deve essere riferita non solo alla produzione di beni di consumo finali, destinati all' uomo o agli allevamenti, ma bisogna specificare che l' intera ricerca biotecnologica è orientata e finalizzata alla risoluzione di problemi inerenti sia il processo produttivo in senso stretto sia il miglioramento tecnico-qualitativo dei prodotti finali destinati al consumo, così com' è desumibile dalla tabella 3. Nell' ambito dell' applicazione dell' ingegneria genetica in agricoltura due tecniche, in particolare, rivestono un ruolo di rilevo: la resistenza agli insetti e la tolleranza ad alcuni erbicidi non selettivi, tra i quali spicca il ruolo svolto dal glifosato, che è alla base dei prodotti della Monsanto, e il glufosinato, utilizzato prevalentemente dalla Novartis e dall’AgrEvo. Il ruolo di primaria importanza svolto da queste due tecniche è giustificato dalla loro applicazione sul campo in termini di diffusione. Dai dati messi a disposizione dall' International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (Isaaa), che è l' associazione cui fa riferimento la quasi totalità delle società Biotech, è evidente come i caratteri di resistenza agli insetti e di tolleranza agli erbicidi siano i più richiesti ed utilizzati: infatti, sul totale delle coltivazioni Gm, esse rappresentano, stando ai dati del 1998, rispettivamente il 71% e il 28%. Tab. 3 - Campi di applicazione delle agro-biotecnologie vegetali Innovazione Campo di Tecnologia utilizzata applicazione Complementare Tolleranza agli erbicidi Resistenza a insetti Di sostituzione Resistenza a virus Resistenza a nematodi, funghi, batteri Modificazione riproduttiva Di processo Frutta senza semi Agronomico Colore dei fiori Resistenza agli stress ambientali Ibridazione tra cellule somatiche Alimento e salute animale Cibo-alimento animale Diminuzione della tossicità alimentare Aumento dei componenti nutritivi Migliore qualità panificatoria e altre applicazioni Di prodotto alimentari Composizione degli oli vegetali Qualità del prodotto Amidi e altri polisaccaridi Modificazione della maturazione dei frutti Fonte: Nomisma (1999) Tab. 4 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo i tratti modificati (milioni di ettari) Tratti Modificati 1997 % 1998 % Ratio Tolleranza agli erbicidi (a) 6.9 63 19.8 71 2.9 Resistenza agli insetti (b) 4.0 36 7.7 28 1.9 Caratteri (a) e (b) <0.1 <1 0.3 1 (-.-) Qualità <0.1 <1 <0.1 <1 (-.-) 11.0 100 27.8 100 2.5 Fonte: James (1998) Graf. 1 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo i tratti modificati (percentuale) 100% 80% Qualità Caratteri (a)e(b) Res. Insetti Tol. Erbicidi 60% 40% 20% 0% 1997 1998 I.6. Il carattere di resistenza agli insetti Le piante transgeniche che autoproducono tossine contro gli insetti sono basate sui geni clonati del batterio BT. Le clonazioni effettuate sul BT hanno reso possibile la produzione di più tipi di tossine, capaci di adeguarsi a qualsiasi situazione di infestazione o meglio dire a qualsiasi insetto. L' autoproduzione di tossine da parte delle piante permette, secondo le società produttrici, di evitare qualsiasi infestazione dannosa per la pianta, garantendo una maggiore produzione vendibile per l' agricoltore e di conseguenza un maggior reddito. La tecnica si basa su concetto semplice: nel momento in cui le larve degli insetti, o gli stessi insetti adulti, ingeriscono una qualsiasi parte della pianta essi muoiono per l' ingestione di un insetticida presente in tutta la struttura della pianta, dalle radici alle foglie e al fusto. Il beneficio che potrebbe apportare nel lungo periodo tale tecnica è principalmente la diminuzione dell' uso di insetticidi sulle colture con la conseguente riduzione dei costi di produzione. Il mercato mondiale degli insetticidi si stima abbia un valore di 8.000 milioni di dollari: con l' applicazione di questa tecnologia è possibile ridurre del 30% l' uso di insetticidi, portando così il consumo di insetticidi ad un controvalore di 5.300 milioni di dollari (Krattinger, 1997). I benefici della riduzione dell' uso degli insetticidi sulle coltivazioni sarebbero, in tal caso, per tutti: ambiente, coltivatori e consumatori. Secondo le previsioni nei prossimi anni saranno a disposizione nuove tossine alternative alle proteine BT basate su chinitasi, lecitine e inibitori delle proteasi, e saranno migliorate le caratteristiche di resistenza ai virus. I.7. Il carattere di tolleranza agli erbicidi La caratteristica di tolleranza agli erbicidi riveste nel settore della ricerca genetica un ruolo importante: infatti, uno dei principali fattori che influenza la corretta crescita delle piante è la presenza all' interno dei campi delle erbe infestanti, che si nutrono delle stesse sostanze delle piante. Le malerbe limitano l' accesso alle risorse da parte della pianta sottraendole la luce solare, l' acqua e gli elementi nutritivi presenti nel terreno (Monsanto, 1996). Immettere in una pianta il carattere di tolleranza agli erbicidi permetterebbe da un lato di ridurre l' uso di erbicidi, sia in quantità totale sia rispetto al numero di applicazioni, e dall' altro permette di disinfestare il campo senza intaccare la piantagione. In commercio esistono principalmente tre composti usati come erbicidi, cui sono associate le relative piante a loro tolleranti: il glufosinato, il glifosato e la sulfonilurea. L' erbicida glifosato, commercializzato dalla Monsanto sotto il nome Roundup, è di tipo non selettivo ed assicura la protezione da oltre 100, tra le più dannose, specie infestanti (Monsanto, 1996). Il glifosato non è tossico e, assicurano i produttori, biodegradabile7 e non è necessario miscelarlo con altri erbicidi. I geni introdotti nelle piante per tollerare il glifosato permettono di proteggere efficacemente mais, soia, canna, tabacco, riso, cotone, barbabietola ed erba medica. Varietà transgeniche approvate per la coltivazione e resistenti al glufosinato sono disponibili per colza, mais, cotone e cicoria (Nomisma, 1999). L' erbicida glufosinato, commercializzato dalla Novartis sotto il nome Basta, secondo la ditta è non tossico e biodegradabile nel terreno (anche se alcuni studi recenti affermano che per 25 giorni dopo il raccolto il terreno non è utilizzabile ed è consigliabile recintarlo per proteggere la fauna locale per il pericolo di avvelenamento): i geni introdotti nelle piante dalla Novartis rendono le piante, come colza, mais e soia, resistenti a tale erbicida. Varietà transgeniche di soia, cotone e mais sono già in coltivazione (Nomisma, 1999). Le sulfoniluree sono erbicidi altamente selettivi e attivi a basse concentrazioni. Piante transgeniche tolleranti le sulfoniluree, è stato dimostrato, sono tolleranti anche un altro tipo di erbicida basato su imidazolinoni. Le colture interessate dal carattere di tolleranza alle sulfoniluree sono state già sviluppate e coltivate: in particolare mais, colza e grano (Nomisma, 1999). Le possibilità di usufruire di queste nuove tecniche di coltivazione rappresenterebbe per gli agricoltori un fattore di minor rischio nel processo produttivo, e 7 Rispetto alla biodegradabilità del prodotto, caratteristica riportata anche sulla confezione, le opinioni sono contrastanti. Infatti, nel 1997 la magistratura statunitense, basandosi su uno studio condotto dal North West Coalition for Alternatives to Pesticides (NWCAP), ha multato per un importo di 50.000 $ la società Monsanto perché ritenne non veritiera la caratteristica di biodegradabilità del Roundup e ha costretto la società ad eliminare il riferimento sulla confezione, in particolare l’episodio riguarda il periodo di isolamento del terreno dopo il trattamento. Inoltre, alcuni studi recenti, promossi da GreenPeace, indicano per il glifosato caratteristiche cancerogene. stando alle prospettive delle società produttrici di sementi tale minor rischio avverrà in concomitanza ad un aumento della produttività dei terreni. I.8. La tecnologia "Terminator" La tecnologia Terminator, o del gene suicida, è un brevetto (U.S.A. N.5.723.765) concesso nel marzo 1998 a Delta & Pine Land e all' U.S. Department of Agriculture (USDA). Il sistema Terminator si basa su tre geni che agiscono sulla capacità riproduttiva delle piante ed il fine è rendere sterile il seme di seconda generazione. La concessione di tale brevetto ha suscitato numerose polemiche e dibattiti che non si sono ancora esauriti: la polemica più aspra è stata tra la Monsanto, detentrice del brevetto tramite Delta & Pine Land, attraverso il suo portavoce Robert Shapiro da un lato e Gordon Conway, presidente della Fondazione Rockfeller, la FAO (Food and Agriculture Organization), e la RAFI (Rural Advancement Foundation International) dall' altro, che si oppongono a tale brevetto per le implicazioni economiche che ne potrebbero derivare. Una considerazione che è possibile fare sugli enti che hanno criticato questa nuova tecnologia: infatti, tra gli enti oppositori non figurano solo quelli che lo sono stati da sempre, ma figurano anche enti come la FAO che ha, insieme all' USDA e l' UE, attraverso il "principio di sostanziale equivalenza", autorizzato la commercializzazione degli OGM nel mondo. La RAFI afferma che «questa tecnologia, ingegneria genetica delle piante per produrre sementi suicide, è universalmente considerata l' applicazione più moralmente offensiva dell' agricoltura biotecnologica poiché più di 1.4 miliardi di persone dipendono da sementi agricole conservate». In effetti, la tecnologia Terminator mette gli agricoltori in condizione di dover riacquistare ogni anno sementi nuove per cominciare un nuovo ciclo produttivo perché, contrariamente a quanto accade da sempre, le sementi ricavate dal raccolto dell' anno precedente sono sterili. Nonostante le rassicurazioni fatte dalla Monsanto, che affermava di voler abbandonare la ricerca sul "Terminator", la polemica continua e, da più paesi, come Uganda, Ghana, Panama e India arrivano proteste ufficiali e attuazioni di misure restrittive all' importazione di tali sementi che, di fatto, sono proibite (AceA, 2000). La FAO, nel marzo 2000, ha espresso, in un documento ufficiale, la propria ostilità verso la ricerca biotecnologica al fine di produrre semi sterili ritenendo che tale ricerca non sia destinata a debellare la fame nel mondo, ma che sia solo destinata a controllare la produzione e la commercializzazione del cibo nel mercato internazionale. La Fao nello stesso documento afferma, altresì, che la responsabilità dei possibili accadimenti successivi alla commercializzazione del "Terminator" sia nelle mani dei Governanti dei singoli Stati, ed in tal senso li esorta a concentrare la propria attenzione su tali problematiche. Il motivo che ha spinto la ricerca a rendere sterili i semi è ancora ignoto e le stesse società si rifiutano di dare una motivazione che ne giustifichi la necessità; certo è che le conseguenze dell' applicazione di questa nuova tecnologia pone seri problemi, soprattutto ai Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati, che sono, secondo le società Biotech, i principali destinatari delle nuove tecniche di ingegneria genetica per risolvere i loro problemi di malnutrizione e inefficiente produttività agricola. La politica di commercializzazione dei semi "Terminator" si prefigura, in tal modo, come uno strumento atto al controllo della produzione agricola mondiale e se, come auspicato dalle società Biotech, tale nuovo modo di produrre debba estendersi principalmente ai Paesi sottosviluppati per rendere disponibile alle proprie popolazioni, in continua crescita demografica, sempre più beni alimentari, si potrebbe ipotizzare una condizione di sudditanza, o, come preferiscono gli ambientalisti più accaniti una situazione di neocolonialismo, di tali Paesi nei confronti delle multinazionali che controllano il mercato internazionale delle biotecnologie. La tecnologia "Terminator", a nostro avviso, non può essere compresa tra le nuove biotecnologie poiché essa non risolve nessun problema né nutritivo-alimentare né produttivo: tale tecnologia tende, esclusivamente, a legare i profitti delle società produttrici di semi, e di biotecnologie in generale, ai fabbisogni alimentari dei Paesi, soprattutto non industrialmente avanzati che crescono demograficamente in misura esponenziale. In quest' ottica è certa la perdita di sovranità alimentare mondiale, con la conseguente dipendenza alimentare, e quindi di sopravvivenza, di intere comunità dalle decisioni dei consigli di amministrazione delle società produttrici. La tecnologia dei semi sterili può essere comunemente considerata un esempio di agribusiness, che, nell' ipotesi di scarso livello di concorrenzialità nel mercato delle sementi, potrebbe rappresentare un vero e proprio controllo del mercato agro-alimentare mondiale. L' incidenza di una simile situazione di controllo all' accesso dei beni primari, vale a dire del cibo, su tutti i Paesi, ed in particolare quelli non autosufficienti a livello alimentare, sarebbe quella di mettere alcune aziende in condizione di poter controllare la possibilità di approvvigionamento e di produzione alimentare interna ai Paesi, condizione questa che consentirebbe di esercitare un' influenza indiretta anche sulla crescita e lo sviluppo economico. I.9. La biodiversità e la sicurezza alimentare Si definisce biodiversità vegetale, o diversità genetica, l' intero patrimonio genetico di tutte le specie coltivate in un determinato territorio, unitamente all' intera parentela selvatica e semi-selvatica e alla flora locale in generale. L' intera comunità scientifica sostiene che quanto maggiore è il patrimonio genetico tanto più ampia è la diversità biologica, e quindi la possibilità di sviluppare nuove varietà vegetali (Nomisma, 1999). Il rilascio ambientale, sia per prove sperimentali sia per la messa in coltivazione a pieno campo, delle piante transgeniche ha diviso la comunità scientifica internazionale circa le possibili conseguenze che queste ultime potrebbero avere sulla biodiversità. Infatti, esiste una stretta relazione tra il rilascio di nuove varietà vegetali nell' ambiente, frutto di esperimenti in laboratorio nel caso degli OGM, e il patrimonio genetico esistente in un determinato territorio. L' immissione di organismi geneticamente modificati nell' ambiente può, a detta di molti esperti appartenenti ai settori della scienza e dell' ambiente, determinare distorsioni irreparabili sulla fauna e flora, ed in generale su tutto il patrimonio genetico locale. Le piante transgeniche sono portatrici di nuovi geni provenienti da altre specie (pesci, batteri, animali, ecc.) e la loro coltivazione a pieno campo può, secondo esperti, modificare le caratteristiche dell' ambiente interessato attraverso la soppressione di insetti benefici all' agricoltura da un lato, e dall' altro favorire lo sviluppo di resistenze da parte degli stessi insetti-obiettivo e malerbe-obiettivo8 (Alstad e Andow, 1999), creando a livello ambientale condizioni critiche per l' intero ecosistema mondiale. 8 Il termine obiettivo è qui indicato come riferito all' insetto destinatario dell' insetticida o alle malerbe destinatarie dell' erbicida. Il percorso seguito dallo sviluppo delle piante transgeniche, che autoproducono insetticida o tolleranti erbicidi, è lo stesso seguito dallo sviluppo dei pesticidi negli ultimi decenni (Alstad e Andow, 1999). Nel corso di pochi anni l' efficacia degli insetticidi e degli erbicidi chimici tradizionali è andata sempre più diminuendo a causa della comparsa di nuove resistenze, messe in atto dai destinatari di tali trattamenti: dunque, se da un lato si è utilizzato finora il modello "chimica contro infestante", oggi la moderna ingegneria genetica pone il modello "gene contro infestante". Entrambi i modelli proposti dalla vecchia e moderna biotecnologia permettono, nel medio-lungo periodo, lo sviluppo di resistenze da parte degli organismi, che, di fatto, potrebbero diventare immuni da tali trattamenti9. Problemi connessi alla riduzione della biodiversità sono relativi anche alla possibilità che il polline delle colture di piante transgeniche, trasportato via dal vento, possa "inquinare" le colture e l' ambiente circostante, il tutto all' insaputa degli agricoltori proprietari: si potrebbe avere una diffusione incontrollata degli OGM (un caso simile si è verificato nel Maggio 2000 in Francia ad opera di una coltivazione sperimentale di colza transgenica che ha indotto il presidente francese Chirac ad interrompere qualsiasi sperimentazione), con la conseguenza di uno sviluppo monocolturale "non voluto" di intere regioni, in una prospettiva diametralmente opposta al concetto di biodiversità, che è alla base dello sviluppo ambientale sostenibile e la trasmissione orizzontale della tolleranza agli erbicidi alle piante circostanti, malerbe comprese. Lo sviluppo delle colture transgeniche ha effetti anche sulla biodiversità animale, ed in particolare su quella degli invertebrati: numerosi studi affermano che l' inquinamento da polline transgenico crea danni alle colture biologiche e tradizionali uccidendo insetti benefici all' impollinazione, come la farfalla Monarca, e che le foglie delle piante modificate mescolate al terreno attraverso l' aratura danneggiano la popolazione degli invertebrati, come i nematodi, fondamentali per la fertilità e la salute dei terreni. Le piante transgeniche resistenti ai virus possono nel tempo far innescare processi di ricombinazione, tipici dei virus, che potrebbero portare alla comparsa di nuovi più 9 Nel corso degli anni, è stato confermato, le quantità di erbicidi e insetticidi chimici sono andate sempre più aumentando a causa della resistenza da parte degli insetti a tali prodotti, e ciò ha portato la chimica a fornire sostanze sempre più nocive e dannose per l' ambiente, per la loro tossicità, e molte volte a danno dell' intera fauna e flora locale causando danni irreversibili. resistenti e più difficili da debellare, dunque le resistenze degli Ogm potrebbero concludersi con un continuo ritorno al punto di partenza, vale a dire trovare un nuovo gene di tolleranza per il nuovo virus. La possibilità che gli agenti virali possano ricombinarsi all' interno delle piante transgeniche è stata dimostrata da alcuni ricercatori, i quali affermano che la nascita di questi nuovi virus può avvenire all' insaputa degli agricoltori, e dunque in maniera del tutto incontrollata. Il ricombinarsi dei virus o la presenza di geni, virali e non, "non voluti" sia nelle piante, sia nei semi o nei prodotti derivanti, è un fatto confermato: un episodio del genere si è verificato in Canada dove sono stati ritirati dal commercio dei semi di canola ove era stato riscontrato un gene non previsto dalla società produttrice; nel 1989, 1580 persone, di cui 38 ne morirono, contrassero una misteriosa malattia "la Sindrome della Mialgica Eosinofila (EMS) ", causata molto probabilmente da un amminoacido, utilizzato come tranquillante, della ditta giapponese Showa Denko, prodotto mediante un batterio geneticamente modificato che ne migliorava l' efficacia rispetto ai batteri normali (Giannì A., 1996). Gli episodi, precedentemente riportati, sono solo una piccolissima parte di quelli dimostrati e di quelli di cui non si è avuta ancora una risposta ben precisa, ma che in qualche modo vengono ricondotti ai prodotti geneticamente modificati. Le relazioni che intercorrono tra la biodiversità e l' immissione delle piante transgeniche nell' ambiente non sono definibili in modo univoco: la possibilità che si possa avere uno sviluppo incontrollato, o imprevedibile, degli organismi geneticamente modificati a danno dell' ambiente o dei consumatori non sono attualmente quantificabili e prevedibili. La ricerca sulle possibili conseguenze sulla salute umana e l' ambiente è attualmente oggetto di studio da parte degli enti nazionali ed internazionali preposti, ma una risposta chiara, convincente ed univoca è lungi dall' essere fornita. Il dibattito tra gli esperti del settore biotecnologico e della medicina è ancora al punto di partenza: infatti, il punto dal quale partire con l' investigazione e la sperimentazione degli Ogm è ancorato, principalmente, sulla definizione scientifica dell' applicazione dell' ingegneria genetica agli organismi. La definizione che dovrebbe essere chiara è se vi è diversità tra la comune biotecnologia, basata sulla selezione delle specie tramite incrocio omogeneo10, e la biotecnologia moderna, che sfrutta le caratteristiche genetiche di tutte specie esistenti per introdurle in altre creando così delle nuove specie ibride. È evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie biotecnologiche sui rischi derivanti dagli Ogm non hanno alcun fondamento: quello che viene presentato come un rischio calcolato è in realtà incalcolabile, anche perché, ad oggi, non esistono né ricerche esaustive sull' argomento o sperimentazioni sulla non nocività, oltre che sulle reali potenzialità, di tali prodotti, tant' è che alcuni studiosi pongono a paragone le nuove biotecnologie ad un altro prodotto, tristemente passato alla storia, come il DDT, che dapprima pubblicizzato come la soluzione a tutti i problemi agricoli e poi vietato per la sua tossicità sia per l' uomo sia per l' ambiente Alcuni portavoce dell' industria biotecnologica adottano una posizione diversa: pur riconoscendo che gli Ogm presentano dei rischi, sostengono che essi rappresentano una soluzione eccellente a problemi gravi, come quello della fame nel mondo, e che i vantaggi superano notevolmente i pericoli paventati, ma come sarà in seguito dimostrato ciò non può essere ritenuto veritiero. L' industria si difende spesso affermando che nessun progresso è privo di rischi: in fondo, anche i moderni mezzi di trasporto portano con sé la possibilità di incidenti, ma nessuno sarebbe disposto per questo a rinunciare a treni, automobili, aerei (Dell' Aversano, 2000). Una differenza, però, vi è: i mezzi di trasporto se usati correttamente non presentano rischi mortali ed inoltre i loro rischi sono percettibili e visibili da chiunque, mentre la possibilità d' inquinamento genetico o le malattie genetiche ipoteticamente derivanti dai cibi transgenici no, essi sono invisibili e una possibile perdita di controllo non può, anche nella sua tragicità, essere paragonata neanche al più grave disastro aereo. E'evidente che, tenendo conto dei pareri espressi sulle possibili conseguenze della commercializzazione dei prodotti transgenici, il punto di riflessione deve essere fissato in uno schema ove si possano mettere a confronto i costi e i benefici connessi: proprio un' attenta analisi costi-benefici potrebbe dare una soluzione al problema, un' analisi, però, a tutt' oggi di difficile attuazione, causa la scarsa disponibilità (in taluni casi determinati dall' impossibilità di reperimento o elaborazione) dei dati. In un prossimo capitolo si 10 Il termine omogeneo riguarda la possibilità di incrociare specie appartenenti alla stessa specie. tenterà di illustrare le caratteristiche economiche di coltivazione degli OGM mettendo in evidenza le conseguenze sui consumatori e sugli agricoltori, al fine di dare un quadro esaustivo sull' effettiva convenienza e necessità di tali nuove coltivazioni. I.10. Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni preliminari Le argomentazioni fatte in precedenza, anche se sintetiche rispetto alle problematiche a carattere biologico o agronomico, pongono le basi per le successive riflessioni ed analisi che verteranno esclusivamente sulle conseguenze economiche, nel sistema agro-alimentare mondiale, derivanti dalla commercializzazione dei prodotti transgenici. Spesso si tende a identificare il problema OGM come di carattere esclusivamente biologico, senza tener conto dei riflessi e le conseguenze che questi hanno sia a livello microeconomico sia macroeconomico. Infatti, l' attuale e futura commercializzazione dei prodotti geneticamente modificati non si manifesta solo come semplice introduzione di nuovi prodotti sul mercato agricolo, ma costituisce un' innovazione di primaria importanza che modifica il mercato agricolo in tutte le sue diverse componenti. Le caratteristiche merceologiche, la metodologia di coltivazione, la struttura del mercato stesso dei prodotti transgenici tende a modificare il preesistente mercato tradizionale: il modello di mercato agro-alimentare mondiale esistente sarà modificato sulla base dell' interazione tra lo sviluppo delle nuove biotecnologie e la globalizzazione. I.11. Vantaggi economici connessi alla coltivazione degli OGM Lo sviluppo della ricerca nel settore agro-alimentare, ed in particolare quello relativo agli OGM, è sempre stato finalizzato alla possibilità di ridurre i costi di produzione attraverso un aumento della produttività delle coltivazioni ed un minor uso di agenti chimici (fertilizzanti e insetticidi). Gli studi e le ricerche condotte dalle multinazionali, leader nel settore degli OGM, hanno sempre anteposto il fine di migliorare la produttività dei campi di coltivazione: infatti, la ricerca effettuata sulla possibilità di "costruire" piante resistenti agli insetti o tolleranti agli erbicidi, che rappresentano gli indirizzi maggiormente seguiti, è evidentemente finalizzata sia alla riduzione dei costi, ovvero la riduzione di erbicidi, che in questo caso ben si coniuga anche con la salvaguardia dell' ambiente, sia all' aumento della produttività delle colture, o meglio all' aumento della produzione vendibile. Dalla tabella 5 è possibile verificare come, le colture di prodotti geneticamente modificati abbiano apportato un miglioramento della redditività delle coltivazioni e una diminuzione dei trattamenti erbicidi. L' aumento di produzione dovuta alla coltivazione di prodotti GM c' è stato, ma in misura nettamente inferiore alle previsioni delle ditte produttrici, le quali auspicavano un aumento in media del 15-20%, tale aumento tuttavia è stato dovuto sia ad un aumento della produttività sia alla possibilità di utilizzare nuovi terreni agricoli, prima inutilizzabili a causa della cattiva qualità del terreno. Nei prossimi capitoli sarà evidenziato un particolare importantissimo sulla produttività delle coltivazioni di OGM, vale a dire che come tutte le colture anche quelle geneticamente modificate sono sensibili alle variazioni ambientali (clima, terreno, umidità, e caratteristiche in generale del territorio), confutando in tal modo l' asserzione delle società produttrici che tali prodotti apportino un aumento generalizzato della resa in tutte le regioni del mondo e che siano più convenienti rispetto a quelli tradizionali. Altri particolari interessanti e di rilievo, che saranno illustrati successivamente, sono da ricondursi sia al fatto che tali colture da un punto di vista strettamente statistico, confermato sia dal Dipartimento dell' Agricoltura (USDA) sia dal Dipartimento di Ricerca Economica degli Stati Uniti, non hanno apportato un aumento significativo della produzione rispetto alle colture tradizionali sia al fatto che, dal punto di vista dei costi per ettaro, vi è stato, unitamente ad una loro riduzione non significativa, una redistribuzione delle componenti dei costi (la diminuzione delle spese di erbicidi è stata traslata, nella maggior parte, sul costo dei semi) a favore delle società sementiere. I.12. Considerazioni di carattere macroeconomico Negli ultimi anni il peso sul mercato internazionale dei prodotti transgenici è andato sempre crescendo in modo sostenuto, con riferimento sia alle superfici coltivate sia al fatturato dell' intera industria che utilizza le biotecnologie per lo sviluppo agricolo (Graf. 2 e Graf. 3). Analizzando il mercato e le aziende che lo compongono è da evidenziare come l' applicazione delle biotecnologie richieda ingenti fonti di finanziamento e anni di ricerca, da parte delle società detentrici dei brevetti, per ottenere dei risultati (o meglio profitti per Tab. 5 – Benefici apportati dalle colture transgeniche nel 1997 COLTURA ANNO/PAESE Tabacco resistente a virus 1995-1997/Cina BENEFICI Incremento produzione (5-7%) Riduzione trattamenti insetticidi Incremento produzione (7%) Cotone BT 1996/USA Riduzione dei trattamenti insetticidi (da 7 a 1 max) Riduzione costi (-150.000 lire/ha) Incremento produzione (7%) Mais BT 1996-1997/USA Guadagno economico nazionale di 342 mld di lire Riduzione dei trattamenti erbicidi Soia tollerante gli erbicidi 1996/USA (-10% negli USA del Nord, -40% negli USA del Sud) Riduzione dei trattamenti erbicidi Colza tollerante gli erbicidi 1996/Canada Incremento produzione (9%) Incremento del reddito (84.000 lire/ha) Incremento Patata BT 1996-1997/USA (85.800 lire/ha) Riduzione insetticidi Fonte: James (1997) produzione dei trattamenti con Graf. 2 - Valore del mercato mondiale delle colture transgeniche 3000 2500 2200 2000 1600 1500 1000 670 500 0 1997 1998 1999 Milioni di dollari U.S.A. Graf. 3 - Superfice destinata alle colture transgeniche 60 50 39,9 40 27,8 30 20 10 11 0 1997 1998 Milioni di ettari Fonte: nostra elaborazione su dati James (1999) 1999 gli investitori): in questo caso è già evidente come rispetto al modello agricolo tradizionale quello transgenico presenta delle barriere all' entrata, per le aziende, più alte ed onerose. Gli apparati organizzativi che sono dietro alle aziende multinazionali, che attualmente dominano il mercato agro-alimentare, sono molto complessi e ramificati e non di rado le stesse multinazionali appartengono all' industria farmaceutica o collaborano con essa: Monsanto (che recentemente si è fusa con Pharmacia, una multinazionale farmaceutica) e Novartis (leader mondiale nel campo farmaceutico) ne sono un esempio. Negli ultimi dieci anni l' intera industria farmaceutica e quella biotecnologica hanno subito profondi cambiamenti, soprattutto per quanto riguarda la struttura dell' azionariato e delle alleanze: infatti, se da un lato il cambiamento che è ancora in atto può essere visto come una semplice riorganizzazione tecnico-strategica in seguito agli effetti "globalizzanti" del mercato, dall' altro è indubbio affermare che le relazioni tra industria farmaceutica e biotecnologica sono divenute sempre più forti. In un prossimo capitolo si cercherà di illustrare la struttura del mercato delle biotecnologie mettendo in evidenza le alleanze e le fusioni in atto tra i principali attori nel suddetto mercato. L' effetto che la globalizzazione ha avuto su questo nuovo connubio industriale è stato quello di creare grandi colossi, dove la linea di demarcazione tra sperimentazione biotecnologica per l' agricoltura e farmacologica è spesso non identificabile. Le accuse rivolte alle grandi multinazionali biotech circa una loro posizione dominante all' interno del mercato internazionale, prima che all' interno dei singoli Paesi, si sono moltiplicate (solo negli U.S.A. la Fondazione sulle tendenze Economiche, presieduta dall' economista Jeremy Rifkin, insieme alla Coalizione Nazionale delle Aziende agricole familiari e alle più influenti associazioni dei consumatori statunitensi si sono unite nella presentazione di oltre trenta cause antimonopolio all' Antitrust di altrettanti Stati). Le accuse rivolte alle multinazionali non si basano semplicemente sull' ipotesi di monopolio o oligopolio (a seconda che ci si riferisca all' intero settore biotech o ai singoli prodotti), ma ha radici più profonde, che mirano a contrastare la strategia d' azienda dell' industria biotecnologica in generale. La definizione di posizione dominante per un' impresa è stata sempre riferita alla capacità di controllo del mercato da parte di una singola o poche imprese. Il settore delle biotecnologie applicate all' agricoltura ha una struttura che si discosta notevolmente da quella tradizionale, ed è proprio questa diversità che impone un nuovo criterio (applicato anche al caso Microsoft) di identificazione di posizione dominante da parte di un' impresa. Le accuse di monopolio mosse dalle varie associazioni poggiano essenzialmente sulle componenti e sulle novità del mercato transgenico: la brevettabilità dei prodotti, il principio di "sostanziale equivalenza", il "pacchetto di coltivazione biotecnologica", la concentrazione del mercato sementiero (in particolare quello legato alla tecnologia Terminator), la nuova struttura dei costi di produzione. Gli effetti, che i prodotti transgenici hanno sul sistema agro-alimentare mondiale, non sono quindi riferibili esclusivamente alle quote di mercato spettanti alle singole imprese o al solo grado di concorrenzialità esistente nel mercato stesso, nonostante questi aspetti siano importanti e spesso evidenti nel settore delle biotecnologie; le moderne biotecnologie modificano il sistema alla base. La possibilità che solo alcune grandi multinazionali possano in futuro controllare la disponibilità di cibo nel mercato mondiale (stando alle affermazioni delle società secondo le quali il transgenico è il principale cibo del futuro ed in particolare nei Paesi in Via di Sviluppo) resta un problema da affrontare, anche perché, volendo fare un paragone, il monopolio dei sistemi operativi (ipotizzato per Microsoft) pone problemi sì per l' economia mondiale e il libero mercato, ma nel caso delle biotecnologie si fa riferimento alla principale necessità dell' uomo: il cibo. La difesa delle aziende biotech si basa sull' asserzione che lo sviluppo degli Ogm in futuro permetterà di risolvere il problema della fame nel mondo: volendo accettare senza riserve questa possibilità, allora i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, che più di tutti soffrono del problema della fame, potrebbero essere, in futuro, dipendenti da un gruppo ristretto di aziende. Le condizioni di monopolio o di oligopolio, o più in generale di posizione dominante, per le varie colture transgeniche non investe solo la parte relativa alla ricerca o alla proprietà dei brevetti: infatti, le strategie messe in atto dalle aziende biotech negli ultimi anni presuppongono la ricerca del controllo dell' intera filiera agro-alimentare mondiale. Le continue fusioni, e le continue alleanze e partnerships, tra le aziende hanno permesso di creare grandi colossi industriali capaci di intervenire su tutto il processo di produzione e distribuzione dei prodotti geneticamente modificati: ogni colosso industriale creato, per esempio Monsanto, Novartis, Pioneer Hi-Bred, DuPont, è strutturato in modo tale da incorporare al suo interno il settore relativo alla ricerca di nuovi prodotti, la produzione di semi GM, la distribuzione di quest' ultimi e, grazie alle normative internazionali sui brevetti (Trip11, Trade Intellectual Properties), controllare la produzione su campo e indirettamente la commercializzazione di tali prodotti finali sul mercato agroalimentare. Le regolamentazioni esistenti sulla produzione, commercializzazione e brevettabilità degli Ogm sono attualmente in discussione all' ONU attraverso il Pob12 (Protocol on Biosafety), ma, al momento, ogni Stato ha una regolamentazione a sé per il rilascio e la commercializzazione, destinata ad uso sia animale sia umano. L' unico atto internazionale di riconoscimento degli Ogm è attualmente il "Principio di Sostanziale Equivalenza", di cui si parlerà in un prossimo capitolo in maniera più dettagliata, sottoscritto dagli U.S.A., dall' UE e dalla Fao che sancisce l' equivalenza a livello merceologico tra i prodotti transgenici e quelli convenzionali. Il principio promosso dalla Fao permette la commercializzazione degli Ogm sul mercato internazionale al pari di quelli tradizionali, unendo così nella stessa filiera entrambi i prodotti, evitando, in tal modo, tutti i controlli dei Ministeri competenti, i quali dovrebbero stabilire la non nocività dei prodotti sia per l' uomo sia per gli animali. I.13. OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo? Il miglioramento della capacità produttiva interessa maggiormente i Paesi in Via di Sviluppo e quelli sottosviluppati, i quali auspicano di colmare, attraverso le nuove tecnologie agricole ed industriali, il divario che essi hanno nei confronti del "Nord del 11 Sulla base dell' art.27 dell' accordo Trip sottoscritto in sede Wto (World Trade Organisation) "possono costituire oggetto di protezione intellettuale le invenzioni, di prodotto o di processo, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un' attività inventiva e siano atte ad avere un' applicazione produttiva", che include naturalmente le modificazioni degli organismi viventi. Tale legislazione è riconosciuta sia negli U.S.A. sia in Europa, e in ogni modo da tutti i Paesi aderenti al Wto. 12 Il Pob prevede di controllare sistematicamente tutti i movimenti di Living Modified Organism (Lmo) attraverso le frontiere internazionali, di stabilire procedure di import/export di Lmo condizionatamente alla valutazione del rischio, di adottare schemi internazionali di responsabilità per l' impiego di Lmo e di imporre il Pob come unica regolamentazione internazionale al di sopra di ogni altro atto. Mondo", anche se attualmente sia la ricerca sia le società, che utilizzano sistemi innovativi di produzione, risiedono ed operano nei paesi industrialmente avanzati. Il problema della fame nel mondo è alla base della politica della "Life’s Industry": infatti, le stesse società tendono ad evidenziare nei loro comunicati stampa e nelle loro relazioni previsive che lo sviluppo e le ricerche sugli OGM possono essere la soluzione al problema della fame nel mondo e, in generale, ai problemi della malnutrizione specie nei paesi arretrati, che attualmente secondo le stime della Fao colpiscono 800 milioni di persone, in altre parole una persona su sei. Alcuni studi dell' INRA (Institut National de la Recherche Agronomique) e della RAFI affermano che il problema della fame nel mondo non è dovuto principalmente ad un' insufficiente produzione agricola a livello globale, ma essa è dovuta alle guerre ed in generale all' impossibilità per una parte della popolazione mondiale di acquistare i prodotti alimentari di prima necessità, tesi condivisa anche dalle due organizzazioni mondiali di riferimento per gli studi del settore, Fao e Banca Mondiale. La situazione di generale malnutrizione che affligge i paesi non sviluppati può essere ricondotta, essenzialmente, a due fenomeni: l' impossibilità di acquistare cibo sul mercato internazionale, dovuto ad una questione di reddito, e l' esponenziale crescita demografica in atto in alcuni paesi che impedisce di realizzare all' interno dello stesso una struttura produttiva che garantisca l' autosufficienza alimentare. Sostenere l' esistenza di una stretta correlazione tra la malnutrizione e una crescita demografica di tipo esponenziale, come fanno le società biotecnologiche, è errato: infatti, al mondo esistono paesi dove entrambe le condizioni esistono e paesi dove la malnutrizione coesiste con una densità demografica molto bassa, dunque sia in rapporto alla densità sia alla numerosità demografica la relazione resta indeterminata nei confronti della malnutrizione. Non vi è un’univoca relazione tra malnutrizione in un determinato paese e la sua popolazione. La malnutrizione è un problema presente in paesi sovrappopolati come il Bangladesh o Haiti, ma anche in paesi a bassa densità demografica rispetto al territorio, come l' Etiopia o il Mozambico (Lappe, Collins e Roisset, 1998). Secondo le stime della Fao mai come nei nostri giorni si è avuta tanta disponibilità di cibo: ogni abitante ha a disposizione ogni giorno circa un chilo e mezzo tra cereali, fagioli e noci, mezzo chilo tra carne, latte, uova e un altro mezzo chilo di frutta e verdura. Il problema non risiede nella disponibilità a livello mondiale, ma nella disuguaglianza e nell' impossibilità ad accedere agli alimenti. Infatti, ci sono persone troppo povere che non dispongono delle risorse necessarie per potersi comprare il cibo disponibile sui mercati interni ed esteri, oppure non dispongono di terra e di mezzi sufficienti per coltivare quel che gli occorre (Lappe, Collins e Roisset, 1998). Le imprese che producono organismi geneticamente modificati, ed in particolar modo quelle che producono sementi biotecnologiche, sostengono che la loro ricerca e i loro prodotti possano essere la risposta al problema della fame nel mondo e ridurre la povertà nei paesi sottosviluppati. Tali affermazioni si basano sull' assunto che la fame nel mondo sia correlata al ritmo di crescita della popolazione e che l' ingegneria genetica sia l' unico modo di accrescere la produzione agricola e soddisfare i bisogni futuri (Lappe, Collins e Roisset, 1998), contrariamente a quanto nella realtà è evidente. Dai dati elaborati e messi a disposizione dalla Fao è possibile desumere che la malnutrizione, in generale, è riconducibile alla distinzione dei concetti di sicurezza alimentare13 e autosufficienza alimentare: i due concetti sono legati tra loro, ma non vi è una condizione di concausalità e non vi è un rapporto di determinazione, ovvero è possibile che ci si trovi, come afferma la Fao, in una condizione di equilibrio tra domanda ed offerta a livello mondiale di cibo ed allo stesso tempo esistono paesi o intere regioni del mondo ove non vi sia una condizione di autosufficienza alimentare, sia per motivi di reddito sia per motivi riconducibili ad un' inefficiente distribuzione di cibo sul territorio. Quanto appena detto permette di affermare che, nonostante a livello mondiale vi sia un surplus alimentare, esistono paesi interi che soffrono il problema della malnutrizione senza che nessun' organizzazione mondiale metta in moto dei sistemi per evitarlo: i motivi che dovrebbero indurli ad intervenire sono di carattere etico, ma soprattutto perché è la loro stessa natura di organizzazione internazionale che dovrebbe fare in modo che s' interessino di tutti i paesi e non solo di un gruppo ristretto, per ovvie convenienze economiche e di finanziamento. I.14. Quali benefici per gli agricoltori? Secondo le aziende biotech i maggiori benefici derivanti dalla futura espansione delle colture transgeniche saranno a favore dei consumatori e degli agricoltori. 13 Il concetto di sicurezza alimentare è qui indicato come relazione tra domanda ed offerta di cibo a livello mondiale. La possibilità, per gli agricoltori, di ridurre l' uso dei pesticidi e diserbanti in concomitanza di un aumento della produttività, ed in generale della produzione vendibile, costituisce un fattore di notevole attrazione nei confronti delle nuove biotecnologie. Nel processo produttivo agricolo i principali fattori che influiscono sui costi sono sementi, erbicidi e fertilizzanti, produttività e lavoro, oltre il fattore terra che in questo caso non verrà considerato, poiché non costituisce un fattore influenzato dagli Ogm, in quanto la disponibilità attuale dei terreni, soprattutto nei paesi economicamente avanzati, è data. La coltivazione di piante transgeniche permetterebbe, secondo le società promotrici, di ridurre tutti i fattori di costo per l' agricoltore, compreso il fattore lavoro che all' interno del processo di globalizzazione costituisce un fattore importante nella determinazione del prezzo finale dei prodotti e di conseguenza nella competitività dei prodotti nel mercato internazionale. Le colture transgeniche possono rappresentare, dunque, una miglioramento per gli agricoltori, ma solo in apparenza, meglio dire nel breve periodo. Le principali conseguenze nel lungo periodo derivanti dalla coltivazione su ampia scala degli Ogm possono invece ribaltare la situazione. La diminuzione dei costi di produzione se in un primo momento garantirà un maggior reddito per gli agricoltori, dall' altro nel lungo periodo la concorrenza (soprattutto con l' agricoltura biologica che negli ultimi anni sembra attraversare una fase di espansione) determinerà una diminuzione dei prezzi con la conseguente riduzione del reddito degli agricoltori, di ciò si parlerà nel capitolo relativo all' impatto economico della coltivazione di OGM sugli agricoltori e sui consumatori. Nei Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) la possibilità che i prezzi dei prodotti agricoli, ivi compresi quelli geneticamente modificati, scendano è un fatto conclamato e confermato dalle statistiche fornite negli ultimi anni, mentre nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) la tendenza alla diminuzione dei prezzi agricoli dipende principalmente dal mercato internazionale, dai cambi e da fattori che risiedono nel complesso delle relazioni politiche internazionali. La coltivazione degli Ogm comporta una diversa composizione dei costi di produzione spostando la quasi totalità del valore sui costi variabili, ovvero sui costi relativi alle sementi e ai prodotti chimici in particolare, che, di fatto, diventano un capitale cui viene attribuito un fattore remunerativo: la remunerazione del processo produttivo non può più essere ripartita allo stesso modo di una coltivazione tradizionale, infatti, al fattore terra e al fattore lavoro viene attribuita una minima parte, visto che questi due fattori perdono la loro importanza nel processo produttivo. Ogni prodotto agricolo transgenico viene fornito dalle ditte produttrici insieme ai prodotti chimici: infatti, voler coltivare un prodotto Ogm significa acquistare un "pacchetto" composto da semi, diserbanti, fertilizzanti, che naturalmente sono di proprietà dei detentori dei brevetti. La tecnica per coltivare Ogm rappresenta per l' agricoltore un nuovo modo di produrre caratterizzato non solo dalla tipologia del prodotto in sé, ma anche da una diversa possibilità di movimento sul mercato. Quando si decide di cominciare un ciclo produttivo ogni agricoltore si rivolge al mercato per acquistare i fattori di produzione cercando quei prodotti che garantiscano il miglior rapporto qualità-prezzo (dalle sementi ai prodotti chimici): tale metodologia, che ha permesso nel tempo un migliore grado di concorrenza nei mercati, con l' applicazione degli Ogm in agricoltura lascia il passo ad una nuova caratterizzata da una sola relazione nel mercato, quella tra agricoltore e detentore dei brevetti. Tale metodologia costituisce un punto fondamentale nell' analisi dell' impatto sul sistema agricolo provocato dai prodotti transgenici: la concorrenza, soprattutto nel contesto della globalizzazione, ha permesso, nel bene e nel male, di porre chi domanda sul mercato di fronte a chi offre permettendogli di scegliere il prodotto domandato secondo le proprie esigenze e soprattutto al prezzo da lui ritenuto più consono. La peculiarità della metodologia di coltivazione degli Ogm elimina ogni possibilità di variare le tecniche di produzione, l' agricoltore, acquistato il seme, è obbligato ad acquistare i prodotti chimici dalla stessa ditta, perché ogni prodotto è tollerante ad un solo prodotto chimico, il che comporta la totale dipendenza dell' acquirente da una sola ditta fornitrice perdendo la possibilità di ridurre i costi degli erbicidi attraverso un rifornimento presso un' altra ditta. I costi di produzione per la coltivazione degli Ogm, scelto il prodotto, sono dati e non modificabili dall' agricoltore, se non a "discrezione" della ditta fornitrice. In tale contesto è possibile evidenziare una struttura dei costi, nella sua parte variabile, data ed esogena (ovvero fornita esclusivamente dalle aziende produttrici) che nel lungo periodo, data la minore necessità di fattore lavoro, ridurrà il reddito degli agricoltori, limitati nel potenziare e nel migliorare il processo produttivo per ottenere un maggior profitto, con la conseguente loro uscita dal settore per essere rimpiazzati da grandi colossi (magari detentori dei brevetti); inoltre le piante Ogm sono brevettate ed è quindi logico che le aziende produttrici spingano il prezzo fino ad un livello limite per cui gli agricoltori sono disposti ad acquistarli. In conclusione è possibile affermare, date queste prime ipotesi, che per l' agricoltore non esistano poi così tanti benefici, anche perché la subordinazione ad un "contratto", visto che i prodotti sono brevettati, costituisce, assieme ai costi variabili costanti, una limitazione non sopportabile per qualsiasi agricoltore, limitazioni che faranno sentire la propria "morsa" solo nel medio-lungo periodo, in particolare essendo gli Ogm trattati sul mercato internazionale le condizioni di concorrenza esistenti accelereranno tali processi di caduta del reddito in favore di quei paesi che più utilizzano mezzi di automazione nei processi produttivi agricoli o che dispongono di un costo del lavoro più basso. I.15. Quali benefici per i consumatori? La ricerca di nuovi prodotti, la successiva coltivazione e introduzione sul mercato agro-alimentare mondiale non può esimersi dal considerare l' opinione e i vantaggi che ne trarrebbero i consumatori. I consumatori sono i veri decisori della validità e della convenienza dei nuovi prodotti. Un consumatore attento e informato certamente rivolgerà la propria attenzione sulle caratteristiche degli Ogm: valuterà il prezzo, le caratteristiche nutrizionali, la trasparenza dell' informazione sugli ingredienti, la salubrità del prodotto, ed infine, non in ordine di importanza, gli effetti di tali produzioni sulla salute umana. Fornire uno schema semplice ed univoco sui benefici per i consumatori circa gli Ogm non è facile come possa sembrare: i consumatori d' altro canto sono diversificati tra loro, ognuno ha delle preferenze dettate dalle origini culturali, dal luogo di residenza o provenienza e dal gusto. Una prima distinzione da fare sul consumo degli Ogm è quella relativa all' importanza che ha il prodotto: infatti, bisogna fare una prima precisazione, ovvero se si è intenti a considerare un prodotto finale o un ingrediente. La distinzione tra il prodotto finale e l' ingrediente è fondamentale soprattutto se si è intenti a considerare la possibile riduzione dei costi. Accettando le ipotesi di riduzione dei costi di produzione connessi alla coltivazione di Ogm, non è possibile collegare in modo univoco tale riduzione di costi con una corrispondente riduzione dei prezzi sul mercato al dettaglio: è molto probabile che la riduzione dei costi sia tutta a vantaggio dei produttori di sementi e fertilizzanti. Nel caso in cui l' Ogm sia un prodotto intermedio, ovvero sia un semplice ingrediente, la riduzione dei costi si rifletterà sui prezzi in misura sicuramente meno che proporzionale rispetto alla percentuale dell' ingrediente, e tale asserto è giustificato da una logica economica secondo la quale la riduzione dei costi debba essere ripartita tra tutti gli utenti della filiera, con una conseguente diminuzione dei prezzi che di certo influisce in modo quasi impercettibile sulle preferenze dei consumatori, in particolare se ci si pone di fronte al fatto che si tratta comunque di prodotti non sicuri al cento per cento e non soggetti a sperimentazioni sanitarie adeguate. Nel caso in cui l' Ogm sia un prodotto finale (un ortaggio o un frutto ad esempio) molto probabilmente la riduzione dei costi di produzione avrà riflessi più consistenti sul prezzo finale a vantaggio del consumatore, ma non in maniera proporzionale. Per il consumatore i benefici degli Ogm potranno avere effetto sulla disponibilità dei prodotti agricoli durante l' intero anno, eliminando la componente di stagionalità dei prodotti, senza variazioni dei prezzi relativi; per contro la destagionalizzazione potrebbe far sentire i propri effetti sulla variabilità degli alimenti prodotti, dovuta alla concentrazione dei processi produttivi verso gli Ogm (Malagoli, 2000). Un punto fondamentale da considerare è se la riduzione dei prezzi dei generi alimentari sia una necessità dell' industria o sia una reale richiesta dei consumatori: infatti, non è detto che una riduzione dei prezzi sia considerata dal consumatore giustificata, soprattutto nel caso in cui il prodotto non venga accettato come nutrizionalmente equivalente a quelli convenzionali, o nel caso in cui non venga comunemente accettata la salubrità del prodotto, visto che parte della comunità scientifica non ritiene vi siano state sufficienti sperimentazioni in merito. Considerando il mercato agro-alimentare europeo, è evidente come l' introduzione nella catena alimentare degli Ogm abbia suscitato perplessità nell' opinione pubblica: la conseguenza di tale introduzione, non ancora sufficientemente regolamentata, è stata quella di dar vita a due distinte filiere di produzione agricola, l' una biologica l' altra convenzionale (ove rientrano per il principio di «sostanziale equivalenza» gli Ogm). La distinzione nel mercato agricolo delle due differenti filiere ha avuto un effetto non desiderato per il consumatore che giustifica l' asserto per cui gli Ogm non garantiscono benefici per il consumatore: infatti, è evidente come i prezzi dei prodotti tradizionali siano rimasti sostanzialmente stabili, mentre i prodotti etichettati come biologici, rispondenti ad un codice legislativo europeo, hanno subito un brusco rialzo dei prezzi giustificato dalla garanzia «Ogm Free». La mancata diminuzione dei prezzi ha condotto i consumatori verso un sentiero di convenienza che è risultata virtuale, se non pure controproducente, in quanto sia i prodotti acquistati tradizionalmente non contenenti Ogm sia quelli biologici hanno subito una maggiorazione di prezzo, con la conseguenza che il consumatore tornando alle proprie abitudini di consumo si è visto aumentare il costo dei prodotti. Dunque, se in un primo momento il consumatore ha visto nel nuovo prodotto una possibilità di risparmio da dedicare ad altri consumi, soprattutto non alimentari o comunque prima non acquistabili per disponibilità di reddito, in un secondo tempo, magari deluso dalle aspettative sul nuovo prodotto, ha avuto un effetto contrario a quello desiderato, ovvero quello di risparmiare sul consumo alimentare. L' effetto, dunque, che finora gli Ogm hanno avuto sui prezzi dei prodotti è stato opposto rispetto a quello previsto. Per acquistare un prodotto «Ogm Free» o biologico il consumatore deve essere disposto a pagare una quota di prezzo aggiuntiva, una sorta di assicurazione sulla genuinità del prodotto e sulla reale provenienza. Il contesto precedentemente descritto non ha, però, carattere universale: infatti, com’è stato detto in precedenza, i consumatori sono una categoria difficilmente identificabile in modo univoco, essi risentono principalmente di due fattori che sono la disponibilità di reddito, e la possibilità di scelta sul mercato. La possibilità di orientarsi sulle due filiere, biologica e tradizionale, può essere riferita sostanzialmente ai paesi industrialmente avanzati e non di certo ai Paesi in Via di Sviluppo, dove il reddito, ove è sufficiente, rappresenta un fattore determinante sulla possibilità di consumo. Argomentare dell' effetto sui consumi degli Ogm per i paesi non industriali non è possibile nei termini utilizzati precedentemente: avere sul mercato internazionale o nazionale prodotti ad un minor prezzo significa per tali paesi acquistarli senza pregiudizi o possibilità di scelta, dato che il reddito non permette loro di farlo. Il problema dei consumatori dei PVS spesso non è quello risparmiare sui consumi alimentari, ma è quello di poter acquistare sul mercato i beni di sussistenza e certamente in questo senso la possibilità di approvvigionamento di prodotti Gm, dato il loro costo leggermente più basso, potrebbe essere una soluzione, anche se stando ai dati sulla produzione mondiale di beni alimentari è possibile affermare come fattori che influiscono sul problema della fame sono di ordine più politico ed etico, visto che a livello mondiale siamo in una condizione di autosufficienza alimentare, stando alle stime fornite dalla FAO. I.16. Cenni sulle successive argomentazioni economiche Finora sono state date le definizioni e i caratteri principali connessi alla coltivazione e alla commercializzazione degli Organismi Geneticamente Modificati. Si è cercato di essere sintetici ed esaustivi nel descrivere le caratteristiche e l' impatto degli Ogm in agricoltura sia da un punto di vista biologico sia economico, tuttavia, per ciò che concerne le conseguenze e le caratteristiche economiche del fenomeno, nei capitoli successivi saranno evidenziati alcuni aspetti finora solamente accennati: si cercherà di evidenziare la struttura del mercato delle biotecnologie, l' impatto economico sul mercato agro-alimentare mondiale, sui produttori, si cercherà di verificare la reale convenienza economica e le modificazioni che tali prodotti hanno apportato nel mondo agricolo, relativamente al nuovo modo di produrre e alla struttura dei costi di produzione e si cercherà, inoltre, di verificare se gli Ogm rappresentino veramente la panacea per la soluzione del problema della fame nel mondo, lasciando, altresì, uno spazio adeguato alle influenze esercitate dalle componenti legislative e normative. Le argomentazioni successive saranno esclusivamente a carattere economico, utilizzando come unità di misura i dati forniti dalle varie associazioni e governi, cercando di essere il più distaccati possibile dalle critiche ambientaliste che, sempre più agguerrite e che secondo il nostro parere, a volte, si basano solamente su congetture non empiricamente verificabili, ed hanno un effetto sull' opinione pubblica opposto a quello desiderato. Capitolo Secondo IL MERCATO AGRO-ALIMENTARE TRANSGENICO II.1. Introduzione In questo secondo capitolo la trattazione verterà sulla diffusione a livello mondiale delle coltivazioni transgeniche e sulla commercializzazione dei prodotti finali ottenuti. L' esigenza di un quadro informativo, su cui basare le successive argomentazioni teoriche e pratiche, è dettata dalla semplice constatazione che qualsiasi argomentazione, che voglia acquisire un carattere scientifico, necessita di un riscontro oggettivo, empirico. La conoscenza d’informazioni, sulla superficie destinata alle coltivazioni transgeniche, sull’ammontare della relativa produzione agricola, sulle principali piante coltivate e sulle loro peculiarità merceologiche e tecnologiche, è necessaria per una corretta trattazione, in particolare se i dati messi a disposizione dai vari istituti di ricerca (in tal senso il riferimento principale è l' International Service for the Acquisition of Agribiotech Applications) sono disaggregati per aree geografiche e per caratteristiche tecnologiche e merceologiche utilizzate. I dati forniti dall' Isaaa permettono di descrivere in modo preciso la diffusione dei prodotti transgenici in riferimento soprattutto alla loro diffusione e distribuzione tra Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) e Paesi in Via di Sviluppo (PVS). La disponibilità di dati affidabili sulle coltivazioni transgeniche, disaggregate per tipologia di prodotto, rappresenta un utile punto di riferimento per la trattazione di problemi riguardanti il rapporto tra biotecnologia applicata all' agricoltura e sottosviluppo, o più specificatamente sottosviluppo in concomitanza di insufficienza alimentare: conoscere quali sono le principali coltivazioni GM e le loro caratteristiche tecnologiche, conoscerne i Paesi produttori, o meglio ancora comprendere il perché alcune coltivazioni abbiano avuto un successo ed una diffusione maggiore rispetto ad altre, rispondere ad interrogativi sulla reale necessità di Ogm, verificare se effettivamente possono concorrere a risolvere il problema del sottosviluppo e della malnutrizione o se semplicemente sono il risultato di effetti "globalizzanti" atti a ridurre i costi di produzione o per qualsiasi altra motivazione di carattere strettamente contabile-economico, costituisce un fattore prioritario per le analisi successive. Le domande che ci porremo sono indirizzate verso la comprensione del perché alcuni prodotti Ogm hanno avuto una siffatta diffusione rispetto alle altre colture modificate. Ci si chiederà se tale constatazione sia riconducibile ad una maggiore produttività delle piante Ogm prese in esame rispetto alle varietà convenzionali, o se semplicemente tale diffusione sia riconducibile al fatto che sono più facilmente commercializzabili, o ancor meglio se tali prodotti sono quelli più richiesti dall' industria agro-alimentare. In questo secondo capitolo verranno mostrati i primi pesi delle coltivazioni transgeniche sulla contabilità nazionale, naturalmente rispetto al comparto agricolo, disponibili per i principali paesi produttori, U.S.A. e Canada; verranno forniti, inoltre, i dati necessari per comprendere quale sia il valore del mercato mondiale dei prodotti agroalimentari, dunque la loro destinazione e il loro potenziale diffusivo. La conoscenza della struttura commerciale, intesa come relazione "paese produttore-paese destinatario", fornisce, inoltre, gli elementi conoscitivi primari per giudicare empiricamente la dimensione del mercato biotecnologico e le sue caratteristiche fondamentali, che determinano, assieme al suo trend, l' importanza e la dinamicità del mercato stesso. II.2. Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche Le statistiche fornite dall' International Service for the Acquisition of Agro-biotech Applications (Isaaa) 14 mostrano come nel 2000 gli ettari di terreno destinati alle coltivazioni transgeniche ammontano a circa 44.2 milioni, un' area circa venti volte la superficie dell' Inghilterra (James, 2000). La crescita della superficie destinata al biotech è stata tra il 1999 e il 2000 di 4,3 milioni di ettari, vale a dire una crescita del 11%: tale incremento, se confrontato con quelli avuti negli anni passati, mostra come la diffusione delle coltivazioni transgeniche abbia subito una battuta d' arresto. Nel periodo 1996-2000 l' area mondiale destinata al transgenico è cresciuta di ben 25 volte, da circa 1.7 a circa 44.2 milioni di ettari (Tab. 6). 14 L' Isaaa è l' associazione di riferimento delle principali società biotecnologiche a livello mondiale. Tali statistiche evidenziano come le nuove tecnologie agricole abbiano riportato un ottimo successo: in soli quattro anni gli Stati che hanno deciso di avviare la coltivazione di piante transgeniche sul proprio territorio sono passati dai sei del 1996 ai tredici del 2000 (James, 2000). La distribuzione delle coltivazioni Ogm tra paesi industrializzati e in via di sviluppo nel quadriennio considerato, il 1996-2000, è rimasta fino al 1999 pressoché immutata: nel 1997 l' 86% della superficie destinata a tali colture era attribuibile a paesi industrialmente avanzati, in particolare Canada e USA, e solo il 14% a quelli della fascia del sottosviluppo, soprattutto Argentina (Tab. 7 e Graf. 5). Nel corso del biennio 19992000 la situazione è andata modificandosi. Le quote di superficie destinata al transgenico attribuibili al Nord del mondo e quelle attribuibili al Sud sono passate dall' 86% e dal 14% al 76% e 24%, rispettivamente (Tab. 7, Graf. 5 e Graf.6). Isolando il dato relativo alla superficie agricola destinata alle colture transgeniche nel 2000 è rilevante notare come tali nuove produzioni abbiano, nel corso di pochissimi anni, avuto uno sviluppo ed una diffusione molto veloce. L' introduzione in campo agricolo di tali colture ha suscitato sicuramente la curiosità e la fiducia degli agricoltori, soprattutto quelli statunitensi, canadesi ed argentini. Usa, Canada e Argentina possono essere considerati gli unici paesi dove la cultura del transgenico sembra aver avuto successo. Una tale affermazione, ad una prima lettura, può apparire del tutto insignificante, ma non lo è. Infatti, concentrando l' attenzione sui tre Stati è possibile notare caratteristiche politico-economiche simili, fondate su una solida collaborazione industriale e politica, in particolare tra USA e Argentina è da sottolineare che quest’ultimo ha adottato il dollaro statunitense come valore di riferimento per il proprio cambio; in secondo luogo, e non in ordine di importanza, tali Stati hanno tra loro delle solide e consistenti relazioni commerciali (basti pensare all' accordo NAFTA tra USA e Canada, destinato ad allargarsi all’intero continente americano). Inoltre, i tre Stati considerati hanno una caratteristica fondamentale che li accomuna nell' ambito agricolo, vale a dire che tutti hanno sviluppato al loro interno un’agricoltura molto meccanizzata, dove l' intervento umano è limitato e quasi tutto il lavoro sui campi è svolto con sofisticati mezzi, sia per la semina sia per la raccolta. Tab. 6 - Superficie mondiale destinata alle coltivazioni GM 1996-2000 (in milioni di ettari) Anno Superficie Incremento percentuale 1996 1.7 1997 11.0 547% 1998 27.8 153% 1999 39.9 44% 2000 44.2 11% Graf. 4 - Superficie mondiale destinata alle coltivazioni transgeniche 1996-2000 (milioni di ettari) 50 40 30 20 10 0 1996 1997 1998 Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) 1999 2000 Tab. 7 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al livello di sviluppo (milioni di ettari) Livello di sviluppo Paesi industrializzati Paesi in Via di Sviluppo 1997 % 1998 % 1999 % 2000 % 9.5 86 23.4 84 32.8 82 33.5 76 1.5 14 4.4 16 7.1 18 10.7 24 11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100 Graf. 5 - Distribuzione delle colture transgeniche secondo il livello di sviluppo economico al 1997 PSA PVS Graf. 6 - Distribuzione delle colture transgeniche secondo il livello di sviluppo economico al 2000 PSA PVS Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) Il fatto che tali Stati siano stati i precursori nell' applicazione delle tecnologie transgeniche di coltivazione può senz' altro essere messo in relazione alle tecniche di produzione agricola caratteristiche di questi Paesi. Inoltre, in tali Paesi le nuove legislazioni in materia di biotecnologie possono, alla stregua del modo di produrre, essere messe in relazione alla crescente richiesta di meccanizzazione dei processi produttivi agricoli, ma di ciò si parlerà più dettagliatamente in seguito. Ritornando alla distribuzione della superficie mondiale destinata alle coltivazioni transgeniche, tra paesi industrialmente avanzati e non, è da rilevare come la variazione della quota spettante ai Paesi in Via di Sviluppo, dal 18% del 1999 al 24% del 2000, non significa che la diffusione di tali colture abbia trovato uno sbocco in tutti i paesi di quest' area, ma tale variazione è attribuibile per l' 84% alla sola Argentina, che nei suddetti anni ha visto crescere la propria superficie destinata agli Ogm di ben 3.6 milioni di ettari su una crescita totale mondiale di 4.3 milioni di ettari, passando dal 17 % al 23% della superficie mondiale di coltivazioni transgeniche (Tab. 8). Sempre in riferimento al biennio 1999-2000, anche se non rilevante dal punto di vista delle superfici coltivate, è da segnalare l' entrata in tale mercato di nuovi Paesi come Cina, Bulgaria, Germania, Portogallo, Ucraina e Uruguay e la diminuzione dei terreni coltivati in Canada (in termini sia relativi sia assoluti per quanto riguarda la colza), che passa nel solo biennio considerato dall' avere il 10% delle colture transgeniche mondiali al 7%, mostrando un dato in controtendenza rispetto agli altri due Paesi precursori (Tab. 8). Nella tabella 8 è illustrata la ripartizione geografica delle colture transgeniche secondo i singoli Paesi. Come detto in precedenza i principali paesi produttori di prodotti transgenici agricoli sono USA, Canada e Argentina che, rispettivamente con il 69, 7 e 23 per cento del totale mondiale producono il 99 per cento dei prodotti transgenici a livello mondiale, ovvero la quasi totalità. In generale, la diffusione delle coltivazioni transgeniche a livello geografico sono da attribuirsi ad un ristretto gruppo di Stati, ove sia per una più facile legislazione in merito sia per la tipologia di colture e processi produttivi utilizzati, possono essere a tutti gli effetti considerati gli unici produttori di Ogm. Il risultato riportato dall' Argentina nel biennio 1999-2000, più 3.3 milioni di ettari, è frutto di un significativo aumento delle coltivazioni destinate alla soia e al mais. Tab. 8 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche per Paese (in milioni di ettari) PAESE 1999 % 2000 % Usa 28.7 72 30.3 69 Argentina 6.7 17 10 23 Canada 4 10 3 7 Cina 0.3 1 0.5 1 Sudafrica 0.1 -- 0.2 -- Australia 0.1 -- 0.2 -- Romania <0.1 -- <0.1 -- Messico <0.1 -- <0.1 -- Bulgaria -- -- <0.1 -- Spagna <0.1 -- <0.1 -- Germania -- -- <0.1 -- Francia <0.1 -- <0.1 -- Portogallo <0.1 -- -- -- Ucraina <0.1 -- -- -- Uruguay <0.1 -- <0.1 -- TOTALE 39.9 100 44.2 100 Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) Un tale risultato mostra come l' Argentina stia consolidando la propria posizione di principale paese produttore di piante geneticamente modificate, contrariamente a quanto accade per il Canada che, sempre nel biennio considerato 1999-2000, vede ridurre di un milione di ettari, soprattutto a colza, la superficie destinata a tali colture. Tra i paesi emergenti nel mercato delle biotecnologie applicate in agricoltura è da rilevare l' incremento di 0.2 milioni di ettari della Cina, aspetto questo che trova la sua importanza non tanto nella misura in cui sono aumentati i terreni coltivati con Ogm, ma nel mercato stesso cinese e in particolare sotto l' aspetto della potenzialità di assorbimento del mercato agro-alimentare, date le caratteristiche demografiche ed economiche del Paese, vale a dire di avere una popolazione molto ampia caratterizzata da una crescita demografica significativa e dal fatto che negli ultimi anni ha mostrato un potenziale di crescita economica rilevante. Altri Paesi si fanno strada nel mercato transgenico negli ultimi anni, tra i quali sono da segnalare sia Paesi come Australia, sia Paesi dell' UE come Spagna, Germania e Francia, ognuno dei quali ha dato inizio nel 1999 alle prime coltivazioni, sperimentali e su campo, di mais BT, ridotte poi nel 2000, oltre a Paesi emergenti dell' Europa dell' Est, come Romania, Bulgaria e Ucraina. II.3. Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto modificato Le ricerche sulle colture geneticamente modificate sono iniziate negli anni ottanta15, ma la commercializzazione di sementi e prodotti Gm viene fatta risalire alla seconda metà degli anni novanta. Nel paragrafo precedente si è delineato lo sviluppo della diffusione dei prodotti Gm in agricoltura, caratterizzato da una crescita sostenuta (si è passati dagli 11 milioni di ettari del 1996 ai 44,2 del 2000). La diffusione e la crescita delle aree addette alla coltivazione di prodotti Gm, però, non hanno interessato tutte le colture. Infatti, dalle statistiche fornite dall' Isaaa, è evidente come solamente alcune colture siano state interessate dal fenomeno transgenico: in particolare le colture che più di tutte hanno subito l' effetto Ogm sono state principalmente quelle relative alla soia, al mais, al cotone e alla colza, lasciando a tutte le altre, una percentuale sul totale quasi impercettibile. 15 Il riferimento è relativo solamente all' ambito agricolo, escludendo in tal modo ogni riferimento a quello medicofarmacologico. La riflessione fatta in precedenza sulla reale diffusione in agricoltura degli Ogm può essere estesa anche alla tipologia del tratto modificato. Infatti, solo alcune tipologie di modificazione genetica hanno avuto una reale diffusione, o livello di gradimento da parte degli agricoltori e delle stesse società fornitrici: in particolare, le tipologie di tratto modificato, che più di tutte hanno avuto una reale diffusione sono quelle relative alla resistenza agli erbicidi, e all' autoproduzione di insetticida, o alla concomitanza di entrambi i tratti specificati. La tabella 9 e il grafico 7 evidenziano come le quattro principali colture Gm, soia, cotone, colza e mais, rappresentino quasi il 100% del totale delle colture Gm, e che, sostanzialmente, negli anni, sia la percentuale spettante alle quattro colture principali sia le percentuali spettanti ad ognuna di loro, siano rimaste pressoché invariate, tranne quella relativa alla soia che è cresciuta del 4% sul totale a scapito di una perdita della stessa entità relativa al mais; infatti, sul totale delle colture Gm relativamente all' anno 2000 il 58% dei terreni messi a coltura con Ogm spetta alla soia, il 23% al mais, il 12% al cotone e il restante 7% alla colza (Tab. 9). Nella tabella 10 e nel grafico 8 vengono evidenziate le caratteristiche tecnologiche, ossia la tipologia di tratto modificato, relative alle colture transgeniche: i dati mostrano come le colture transgeniche, finora utilizzate, sfruttino due soli tipi di modificazioni, ovvero la resistenza agli erbicidi e l' autoproduzione di insetticida, che insieme rappresentano l' 83% delle colture Gm di tutto il 2000, ed il restante 7% è attribuibile ad una loro combinazione. L' anno 2000 per le colture transgeniche rappresenta un vero e proprio punto di stallo: infatti, le modificazioni tra il 1999 e il 2000 sono di piccola entità, sia sotto il punto di vista della crescita sia sotto quello delle ripartizioni percentuali tra colture e tra i tratti modificati. Tale situazione probabilmente è dovuta alle restrizioni ancora in atto sia nel continente europeo, ed in particolar modo nei paesi dell' UE, sia in quello asiatico, restrizioni che vanno dalla coltivazione alla commercializzazione dei prodotti transgenici finalizzati all' alimentazione sia umana sia animale. Le cause della situazione di stallo per l' anno 2000 nel mercato biotech possono essere ricollegate a carenze del mercato agro-alimentare mondiale, ed in particolare alla mancanza d’informazioni sulla reale profittabilità dei prodotti transgenici e sui rischi paventati da molteplici enti, tra i quali in prima linea troviamo la Rafi. Tab. 9 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tipo di coltura (milioni di ettari) Tipo di coltura 1997 % 1998 % 1999 % 2000 % Soia 5.1 46 14.5 52 21.6 54 25.8 58 Mais 3.2 30 8.3 30 11.1 28 10.3 23 Cotone 1.4 13 2.5 9 3.7 9 5.3 12 Colza 1.2 11 2.4 9 3.4 9 2.8 7 Altre <0.1 <0.1 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1 11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100 Graf. 7 - Sviluppo delle coltivazioni transgeniche per tipo di coltura (milioni di ettari) 50 40 30 20 10 0 1997 1998 soia mais 1999 cotone colza Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000) 2000 Tab. 10 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tratto modificato (milioni di ettari) Tipo di 1997 % 1998 % 1999 % 2000 % HT16 6.9 63 19.8 71 28.1 71 32.7 74 IR17 4.0 36 7.7 28 8.3 22 8.3 19 HT+IR <0.1 <1 0.3 1 2.9 7 3.2 7 QT18 e VR19 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1 11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100 coltura Graf. 8 - Distribuzione percentuale delle colture transgeniche per tratto modificato (1997-2000) 100% QT e VR HT & IR IR HT 80% 60% 40% 20% 0% 1997 1998 1999 Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) 16 HT: tolleranza agli erbicidi 17 IR: resistenza agli insetti 18 QT: modificazione della qualità 19 VR: resistenza ai virus 2000 Di seguito si cercherà di delineare le caratteristiche dei principali prodotti transgenici coltivati (soia, mais, cotone e colza) e della loro diffusione, concentrando la nostra attenzione sul perché alcuni prodotti abbiano avuto un maggior successo rispetto ad altri e perché si preferisca utilizzare solo alcuni tipi di modificazione genetica. II.4. La soia transgenica La prima commercializzazione della soia geneticamente modificata è avvenuta nel 1996 in USA e in Argentina, dove rappresentava rispettivamente l' 1,6% e lo 0,8% dell' area destinata a tale coltura (Tab. 11). Nell' anno 2000 la superficie destinata alla soia Gm è stata di 25,8 milioni di ettari, vale a dire che la soia transgenica copre il 58% dell' area mondiale destinata a colture transgeniche ed il 36% dell’area mondiale destinata alla soia. (Tab. 11 e Graf. 9). Argentina e USA sono gli Stati che più di tutti tra quelli produttori di soia, hanno convertito le tradizionali coltivazioni di soia in quella transgenica, tant' è che, rispettivamente, hanno destinato a tale coltura il 95% e 51% del totale dell' area coltivata a soia, vale a dire che la quasi totalità della soia prodotta in Argentina e più della metà della soia di quella statunitense risulta essere del tipo geneticamente modificato (James, 2000). Principalmente la soia Gm coltivata è del tipo HT, ovvero la modificazione genetica più diffusa per tale coltura è relativa alla resistenza agli erbicidi non selettivi, tra i quali il più utilizzato è il Roundup della società statunitense Monsanto (ora Pharmacia). E'evidente che negli USA l' adozione della soia Gm da parte dei coltivatori ha riscosso un ottimo successo, come evidenziano i dati sulla diffusione. Dal punto di vista dell' offerta mondiale è da considerare come la soia sia una coltivazione pertinente quasi esclusivamente ad alcuni Paesi produttori, tra i quali, appunto, USA, Argentina e Cina, dove, di fatto, contrariamente agli altri Paesi occidentali, la soia è utilizzata non solo nei processi di produzione di tipo industriale, ma rappresenta un prodotto di largo consumo, paragonabile alla pasta per noi italiani. Dal lato della domanda, la soia rappresenta sul mercato mondiale un prodotto di dipendenza da parte dei mercati europei e giapponesi, che importano la quasi totalità della soia destinata al fabbisogno nazionale, destinato principalmente all' industria alimentare e a quella foraggiera: in Italia, ad esempio, la percentuale di produzione interna sul fabbisogno nazionale ammonta a circa il 3% (Istituto Sperimentale di Cerealicoltura). Tab. 11 - Diffusione della soia transgenica 1996-2000 (in milioni di ettari) Soia Gm su area STATO 1996 1997 1998 1999 2000 USA 0.40 3.64 10.12 15.00 16.30 51% ARGENTINA 0.005 1.40 3.43 5.50 9.12 75% 0.001 0.004 0.10 n.d. 10% 1.18 n.d. 10% n.d. n.d. 25.8 47% CANADA BRASILE ALTRI TOTALE 0.45 5.10 14.50 21.78 nazionale 1999 Graf. 9 - Distribuzione geografica della soia transgenica nel 1999 USA ARGENTINA CANADA BRASILE Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000) Il rifiuto europeo, sia dei consumatori sia dei coltivatori, ad importare soia GM ha posto negli anni 1999 e 2000 seri problemi al mercato, per la mancanza in quest' ultimo di soia certificata Ogm-Free. Difatti le previsioni da parte dell' Isaaa per l' anno 2000, e i primi dati sembrano confermare tale ipotesi, mettono in rilievo come lo sviluppo e la diffusione della soia GM stia rallentando, proprio perché nel mercato europeo la diffidenza verso tali prodotti è molto alta, e sia le leggi in materia di etichettatura (reg. C.E. n.49/2000, 258/97 e 1139/98) sia le stesse associazioni dei consumatori pongono "paletti" all' introduzione nel mercato europeo di tali prodotti, tuttavia la commercializzazione di soia all' interno del mercato europeo è assai diffusa. Uno studio effettuato dall' associazione dei consumatori AltroConsumo ha posto in evidenza come in due case produttrici di lecitina di soia, le percentuali di soia transgenica erano rispettivamente del 24% e 7%, e nell' etichetta non era indicato nulla a riguardo; inoltre, se si pensa che nei mangimi destinati agli allevamenti di bovini il contenuto di soia è alto, che il 90% della soia europea ed italiana è importata dal continente americano dove il 90% della soia commercializzata è transgenica, resta il dubbio se la legislazione vigente europea in materia di cibi transgenici sia valida o meno. II.5. Il mais transgenico La prima diffusione di mais transgenico è avvenuta nel 1996 in USA e Canada con 0.3 e 0.001 milioni di ettari coltivati, dove rappresentava rispettivamente l' 1% e lo 0.1% della superficie totale destinata a tale coltura (Tab. 12 e Graf. 10). Nel 1999 il mais transgenico poteva contare su 11.1 milioni di ettari ad esso destinato, che in percentuale corrispondeva al 27% dell' area mondiale destinata alla coltivazione di Ogm (James, 2000). In generale, nel 2000 la superficie coltivata con mais GM è diminuita di 800 mila ettari, in particolare in USA e Canada, mentre in Argentina la superficie destinata al mais transgenico è incrementata dal 5% al 20% sul totale dell' area nazionale destinata a mais rispetto all' anno precedente. Tale accadimento mostra come, nonostante la fase di stazionarietà del mercato transgenico mondiale ed in particolare quello relativo al mais, l' Argentina sia intenzionata a proseguire il suo cammino nella produzione di colture GM e ad imporsi sul mercato internazionale come protagonista, assieme agli USA, nella produzione di prodotti transgenici destinati al mercato agro-alimentare. Tab. 12 - Diffusione del mais transgenico 1996-2000 (in milioni di ettari) Mais Gm su area STATO 1996 1997 1998 1999 2000 USA 0.30 2.27 8.66 10.30 n.d. 36% 0.07 0.09 0.31 1.50 11% 0.27 0.30 0.50 n.d. 44% 0.05 0.16 n.d. 5% 0.59 0.05 0.17 n.d. 3.20 9.11 11.28 10.3 ARGENTINA CANADA 0.001 SUDAFRICA ALTRI TOTALE 0.30 nazionale 1999 28% Graf. 10 - Distribuzione geografica del mais transgenico nel 1999 USA CANADA ALTRI ARGENTINA SUD AFRICA Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000) Attualmente il mais transgenico occupa, a livello mondiale, il 7% dell' area destinata alla coltura del mais e il 23% dell' area totale destinata ai prodotti transgenici. La maggior parte dell' area destinata alla coltivazione di mais GM è localizzata in USA, Argentina e Canada, dove nel 1999 tale coltura rappresentava il 36, 11 e 44 per cento delle rispettive aree nazionali destinate al mais (Commissione della Comunità Europea, 2000). La caratteristica principale del mais GM coltivato è l' autoproduzione di insetticida, ed in particolare il mais GM più diffuso tra quelli transgenici risulta essere quello BT: i prodotti del tipo BT nel 2000 hanno interessato il 15% dell' area mondiale destinata al transgenico. Nonostante nel 1998 sia stato autorizzato nel mercato USA, da parte dell' USDA (U.S. Department of Agriculture), un nuovo tipo di mais GM basato sulla resistenza agli erbicidi (ovvero l’equivalente per il mais della soia Roundup Ready della Monsanto), quest’ultimo non ha avuto molto successo, inoltre secondo le prime stime fornite dall' Isaaa sembrano confermare quanto si era detto nel 1999, ovvero che nel 2000 si sarebbe assistiti ad una diminuzione dell' area destinata al mais transgenico. Tale stima non è tanto da considerarsi correlata con l' andamento del mercato transgenico in generale, ma evidenzia una caratteristica peculiare della coltivazione di mais. Le coltivazioni di mais, e più in particolare le infestazioni parassitarie maidicole, hanno carattere ciclico, dunque la riduzione dell' area destinata al mais transgenico del tipo BT, nel caso particolare, è da ricondursi, secondo l’USDA, quasi esclusivamente, al fatto che dopo il picco delle infestazioni avvenuto nel 1998, per gli anni immediatamente successivi si è previsto un basso livello di infestazione. In definitiva, l' anno 2000 per gli agricoltori non rappresenta un anno cui prestare particolare attenzione nei confronti degli insetti nocivi alle coltivazioni, di qui la mancata necessità, o meglio ancora la non convenienza, ad adottare le sementi di mais GM. Tale considerazione mostra da un lato la non universale convenienza del mais transgenico, in particolare in quegli anni in cui il grado di infestazione è ritenuto medio o basso, e dall' altro come dal punto di vista dei costi e della produttività le coltivazioni transgeniche di mais non siano convenienti, se non in particolari situazioni d’infestazione. La condizione di non convenienza nel caso del mais e degli altri prodotti transgenici in generale sarà approfondita nei successivi capitoli, quando si andranno ad analizzare e a confrontare le caratteristiche economiche di coltivazione tra i prodotti transgenici e quelli convenzionali. II.6. Il cotone transgenico Le prime coltivazioni di cotone transgenico sono state introdotte nel 1996 in USA dove, rispetto all' area nazionale destinata al cotone in generale, rappresentavano il 12%. Tra il 1999 e il 2000 l' area mondiale destinata alla coltivazione di cotone GM è cresciuta del 35%, vale a dire si è passati da 3,92 a circa 5,3 milioni di ettari coltivati. L' incremento dell' area destinata al cotone GM conferma il trend positivo di sviluppo e della diffusione di tale coltura, sviluppo che rispecchia la crescita avuta negli anni precedenti (+61% nel 1999 e +70% nel 1998): rispetto all' area mondiale destinata ai prodotti GM il cotone, tra il 1999 e il 2000, passa dal 9 al 12 per cento del totale. La crescita dell' area a cotone GM è attribuibile, in particolar modo, agli USA che hanno visto crescere la propria quota di cotone GM sul totale (6 milioni di ettari) dal 55% del 1999 al 72% del 2000, passando da 3,25 a 4,3 milioni di ettari. Tra gli altri Stati che coltivano cotone GM sono da segnalare la Cina, che ha portato la propria quota di area destinata a cotone GM sul totale nazionale al 10%, e Stati come l' Australia, la cui quota di cotone GM sul totale nazionale è del 79% (relativamente all' anno 1999) e il Messico la cui quota è del 25% (Comunità Europea, 2000). Il cotone GM rappresenta, a tutto il 1999, il 12% della produzione mondiale (attualmente le stime dell' Isaaa stimano tale quota a circa il 16% per l' anno 2000). Il cotone transgenico per gli Stati Comunitari è principalmente di origine estera e la necessità di segregare le varietà GM da quelle tradizionali ha posto seri problemi circa le regolamentazioni sul commercio internazionale, soprattutto in relazione agli accordi tra USA e Unione Europea, visto che le società produttrici di sementi avevano introdotto negli ultimi anni sementi GM miste a quelle convenzionali senza una precisa autorizzazione da parte del Parlamento Europeo. Le principali modificazioni genetiche applicate al cotone sono la tolleranza agli erbicidi, circa il 40%, la resistenza agli insetti, circa il 30%, e la presenza di entrambe le modificazioni precedenti (HT+IR), circa un terzo del cotone GM. Tab. 13 - Diffusione del cotone transgenico 1996-2000 (in milioni di ettari) Quota su cotone STATO 1996 1997 1998 1999 2000 USA 0.73 1.23 2.00 3.25 4.3. 55% 0.10 0.30 n.d. 10% 0.30 0.30 n.d. 79% SUDAFRICA 0.01 0.02 n.d. 13% MESSICO 0.05 0.05 n.d. 25% 2.43 3.92 5.30 12% CINA AUSTRALIA TOTALE 0.20 0.73 1.43 nazionale 1999 Graf. 11 - Distribuzione geografica del cotone transgenico nel 1999 USA CINA AUSTRALIA ALTRI Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000) Nei soli USA il 72% dei terreni destinati alla coltura del cotone è coltivato con le varietà transgeniche che presentano caratteristiche IR e/o HT, in particolare il 39% è del tipo IR, il 54% è del tipo HT e il 7% presenta caratteristiche di resistenza ad altri erbicidi, inoltre nel complesso delle modificazioni IR e HT è utile segnalare che il 28% del cotone GM ha entrambe le modificazioni (Carpenter e Gianessi, 2001). Le relazioni dell' USDA affermano che i principali effetti desiderati dalle colture IR e HT sono quelli di aver ridotto sia l' uso di agenti chimici (fertilizzanti, insetticidi ed erbicidi) sia le perdite di raccolto dovute a fattori ambientali e caratteristici, vale a dire insetti e perdite strutturali delle coltivazioni (Carpenter e Gianessi, 2001). Rispetto alla soia, la coltivazione di cotone transgenico HT non è caratterizzata dalla presenza quasi esclusiva di un unico prodotto (il Roundup della Monsanto, nel caso della soia HT), ma il mercato offre la possibilità, a seconda delle caratteristiche ambientali, altre alternative: molto diffuso nella coltivazione di cotone GM è la caratteristica di resistenza ad un altro erbicida, il Bromoxynil (BXN). Secondo l' USDA la richiesta da parte del mercato del cotone BXN è dovuta, in particolar modo, al fatto che il Roundup della Monsanto, la cui caratteristica è quella di essere un erbicida ad ampio spettro o non selettivo, non è perfettamente tollerato, nel caso del cotone, dalle corrispettive piante Roundup Ready (Carpenter e Gianessi, 2001). II.7. La colza transgenica20 Le prime coltivazioni di colza transgenica sono state introdotte nel nordamerica nel 1996, in particolare in USA e Canada, dove con 0.01 e 0.1 milioni di ettari coltivati, si riuscivano a coprire rispettivamente il 5 e il 3 per cento delle aree nazionali destinate a tale coltura. Nel 2000 la colza transgenica occupa un' area di circa 2,8 milioni di ettari, un valore questo inferiore a quello del 1999, che poteva contare su di una superficie di circa 3,7 milioni di ettari, e che, di fatto, hanno portato la colza a ricoprire il 7% delle colture geneticamente modificate dal 9% dell' anno precedente. La diminuzione dei terreni coltivati con colza GM, interamente del tipo HT, tra il 1999 e il 2000 di circa 600.000 milioni di ettari è principalmente attribuibile al Canada, 20 Nel Nord-america la colza coltivata appartiene al tipo Canola. che da sola ha contribuito a ridurre i terreni coltivati di circa 600.000 milioni di ettari, sia nella forma tradizionale sia nella "versione" transgenica. Lo Stato canadese afferma, secondo quanto riportato sulle pubblicazioni dell' Isaaa, che le cause di tale diminuzione di colza GM è attribuibile essenzialmente alle difficoltà riscontrate nella coltivazione ed in particolare a tre fattori determinanti: • In prima istanza, il Canada afferma che la diminuzione di colza GM segue lo stesso trend discendente del suo corrispettivo tradizionale, che si traduce in una diminuzione dei terreni coltivati da 5,5 a 4,9 milioni di ettari. • In secondo istanza, si afferma che la colza GM del tipo HT comporta dei rischi connessi alla coltivazione, vale a dire che la colza HT presenta problemi di mutazione il cui risultato è quello di trasferire le proprie caratteristiche di resistenza agli erbicidi alle altre piante (malerbe comprese). La situazione canadese mostra come gli Ogm, in questo caso la colza, non siano del tutto controllabili. In ultimo, il basso prezzo della colza potrebbe aver disincentivato i contadini a coltivare la varietà GM in favore di quella tradizionale, in modo tale da poter contrarre i costi di produzione. Nella realtà dei fatti la colza GM ha suscitato, più di altre piante GM, perplessità circa la sua affidabilità nel rilascio ambientale, poiché tale pianta ha caratteristiche riproduttive diverse dalle altre: una delle principali caratteristiche della colza in ambito riproduttivo è quella di potersi incrociare facilmente con molte piante imparentate, comprese le malerbe. Un episodio del genere, accaduto il 25 Maggio 2000 in Francia, ha portato il governo francese e il presidente Chirac ad abbandonare le sperimentazioni in campo aperto: la colza GM del tipo HT si era incrociata con le malerbe e con le coltivazioni adiacenti, annullando, di fatti, la caratteristica principale della colza GM di resistenza agli erbicidi attraverso il trasferimento del gene HT, causando così danni ai campi circostanti che non erano predisposti a tali erbicidi. La diminuzione di terreni coltivati con colza GM è attribuibile ad imperfezioni della colza geneticamente modificata, confermando, di fatti, le preoccupazioni espresse da molte associazioni ambientaliste ed istituti di ricerca, ovvero che le piante transgeniche in generale non possono garantire che il tratto modificato venga disperso nell’ambiente: tale Tab. 14 - Diffusione della colza transgenica 1996-2000 (in milioni di ettari) Colza Gm su area STATO 1996 1997 1998 1999 2000 USA 0.01 0.02 0.03 0.06 n.d. 15% CANADA 0.10 1.40 2.40 3.40 n.d. 65% TOTALE 0.11 1.42 2.43 3.46 2.80 12% nazionale 1999 Graf. 12 - Distribuzione geografica della colza transgenica nel 1999 Canada USA Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000) situazione potrebbe rivelarsi incontrollabile provocando danni all' ambiente probabilmente permanenti o comunque le piante transgeniche potrebbero rappresentare per ecosistema un rischio incalcolabile (in termini monetari ed ecologici). II.8. Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato Le colture transgeniche, fin dalla loro prima commercializzazione, hanno mostrato come la ricerca nel suo complesso sia stata indirizzata verso la possibilità di ridurre i costi di produzione, da un lato, e dall' altro incrementare le produzioni sia attraverso l' aumento delle rese dei campi coltivati sia attraverso l' aumento delle superfici coltivabili (arable land, secondo la definizione della Fao). Questo processo intrapreso dalla ricerca viene confermato, in modo del tutto evidente, dalla tipologia dei tratti geneticamente modificati. La diffusione e la distribuzione delle colture transgeniche nel mondo sembra aver recepito quello che, ragionevolmente, può essere considerato il maggior beneficio ipotizzato per le colture GM, ovvero di ridurre gli inputs produttivi (prodotti chimici e capitale umano), ma le argomentazioni successive mostreranno una realtà diversa. Il grafico 8 e la tabella 10 hanno evidenziato come, tra il 1997 e il 2000, la distribuzione delle colture GM, rispetto al tratto modificato, sia rimasta sostanzialmente simile e sia stata in favore di quei prodotti che presentano caratteristiche economiche più direttamente convenienti, vale a dire verso quelle colture il cui tratto modificato era quello della tolleranza agli erbicidi e la resistenza (o autoproduzione) agli insetti. Infatti, le colture del tipo HT e IR sono le più diffuse, cui spettano rispettivamente il 63 e il 36 per cento del totale delle colture GM nel 1997 e che, relativamente all' anno 2000, l' unica differenza riscontrabile nella distribuzione risiede nella quota spettante alla tipologia che sfrutta entrambe le modificazioni, tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti, lasciando una quota minima, circa l' un per cento, alla tipologia QT, ovvero a quella tipologia di prodotti con caratteristiche di miglioramento qualitativo, che sul mercato potrebbero essere commercializzate ad un prezzo più alto, garantendo al coltivatore un maggior valore della produzione finale a parità di costi di produzione, quindi prodotti a maggior valore aggiunto. Il caso della quota relativa alla tipologia IR che, in base ai dati forniti dall' Isaaa passa dal 36 per cento del 1996 al 19 per cento del 2000, non può essere considerata come direttamente legata allo sviluppo delle altre tipologie, ma è bene tener presente ciò che è stato detto nel paragrafo 5: tra il 1999 e il 2000 vi è stata una riduzione delle coltivazioni di mais, che nella quasi totalità dei casi è del tipo IR, e tale coltura ha un peso considerevole all' interno di detta tipologia di colture GM. Nel complesso delle colture, dunque, è evidente, dalla distribuzione per tratto modificato, come la diffusione delle colture GM sia stata favorita dalla possibilità, non tanto di aumentare la produttività dei campi, bensì dalla possibilità di ridurre i costi di produzione attraverso un minor uso di prodotti chimici, che oltre al loro costo di mercato, offrendo la possibilità di ridurre il capitale umano a favore di una più alta meccanizzazione dei processi produttivi. Prima di entrare nel merito delle colture transgeniche più diffuse riteniamo utile soffermarci su alcuni aspetti relativi alla diffusione nel mondo di tali nuove colture, aspetti questi desumibili dalla ripartizione percentuale della colture GM, che nel prossimo capitolo saranno ripresi in un contesto più ampio e dettagliato, e che riguarderà il modo di produrre OGM. Un punto fondamentale nella trattazione degli OGM in agricoltura sta nell' evidente contraddizione delle multinazionali Biotech, le quali pubblicizzano le colture GM proponendole come il futuro dei PVS e come la soluzione di problemi, come la malnutrizione, che affliggono tali Paesi da un lato, e dall' altro è evidente come nel mercato le tipologie di prodotti GM, che più di tutte si sono affermate e diffuse, sono quelle che più intrinsecamente prevedono un' alta meccanizzazione del processo produttivo ed un contenuto tecnologico, difficilmente assimilabile dai PVS. Tale contraddizione sembra affermare come le colture GM, più che essere disponibili e benefiche per i PVS, siano rivolte verso quei Paesi industrializzati, la cui unica priorità è quella di ridurre i costi di produzione agricola, attraverso l' introduzione di tecnologie capital intensive, seguendo in tal modo le richieste di un mercato internazionale sempre più globale e competitivo, dove le produzioni sono sempre più interdipendenti e, soprattutto, dove lo sviluppo e la crescita economico-sociale non risiedono nella produzione di beni alimentari ad alto contenuto nutrizionale o specifici, ma consistono nella riduzione dei costi con la conseguente possibilità di omogeneizzazione dei prodotti alimentari eliminando le specificità locali (sia dei prodotti sia di metodi di produzione) a scapito, come nell' esempio della Bse21 (Encefalopatia Spongiforme Bovina), della sicurezza alimentare. Tralasciando per ora le argomentazioni sulla sicurezza alimentare e sull' evoluzione dei processi produttivi connessi alla globalizzazione dei mercati, è bene tornare alla diffusione degli OGM in agricoltura ed in particolare a quelle coltivazioni che più tra tutte hanno riscontrato un successo sul mercato mondiale (relativamente a quei Paesi dove attualmente sono autorizzati alla produzione e alla commercializzazione) o, come preferisce definirli l' Isaaa, "Dominant Transgenic Crops". La principale coltivazione GM, relativamente all' anno 2000, differenziate secondo la tipologia di modificazione genetica è la soia HT, che copre il 59 per cento della superficie mondiale coltivata con prodotti GM, cui segue il mais BT con il 15 per cento della superficie, ed infine con percentuali tra il 5 e il 6 per cento ognuna, colza HT, mais HT e cotone HT (Tab. 15). Un elemento caratterizzante delle "Dominant Transgenic Crops" è che la tipologia IR è attribuibile principalmente al mais, mentre per converso la tipologia HT è diffusa per tutte le colture, compreso il mais, la cui quota del tipo HT è relativa al cinque per cento del totale delle colture transgeniche. Nel complesso delle quattro colture (mais, soia, colza e cotone) è possibile evidenziare (Tab. 16) come su 273 milioni di ettari, coltivati a livello mondiale, il 16 per cento è del tipo geneticamente modificato, ed in particolare soia, cotone e colza GM coprono rispettivamente il 36, 16 e 11 per cento del totale. II.9. I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica I paragrafi precedenti illustrano la diffusione delle colture transgeniche nel mondo, evidenziando come, tra queste, solo alcune hanno suscitato la curiosità e gli interessi degli addetti ai lavori, ovvero ricercatori e produttori. Nel complesso, le biotecnologie trovano la loro applicazione essenzialmente nel settore farmaceutico e agricolo, cioè nella produzione di piante e farmaci modificati geneticamente. 21 La relazione con la Bse è intesa nel senso che la normalizzazione dei processi produttivi, spesso, è a scapito delle tipicità locali: infatti, nel caso della Bse la mancanza di sicurezza è, all’origine, dovuta al fatto che sul mercato delle carni non si tiene conto delle tipicità delle razze con le conseguenti caratteristiche di peso (ingrassamento del vitello durante l’allevamento) e della qualità delle carni. Tab. 15 - Le principali piante transgeniche per prodotto e tratto modificato (milioni di ettari) Tipo di coltura 1999 % 2000 % Soia HT 21.6 54 25.8 59 Mais BT 7.5 19 6.8 15 Colza HT 3.5 9 2.8 6 Mais HT 1.5 4 2.1 5 Cotone HT 1.6 4 2.1 5 Cotone BT/HT 0.8 2 1.7 4 Totale 36.5 92 41.3 93 Graf. 13 - Distribuzione percentuale delle colture transgeniche per prodotto e tratto modificato ALTRO 100% 80% COTONE BT/HT COTONE HT 60% MAIS HT 40% COLZA HT 20% MAIS BT 0% 1999 2000 Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) SOIA HT Tab. 16 - Rapporto tra le principali coltivazioni transgeniche e le corrispettive convenzionali (milioni di ettari) A.Transgenica/ Tipo di coltura Area Mondiale Area Transgenica Soia 72 25.8 36% Cotone 34 5.3 16% Cotone 25 2.8 11% Mais 140 10.3 7% Altro - - - Totale 273 44.2 16% A. Mondiale Graf. 14 - Rapporto tra le colture transgeniche e le corrispettive convenzionali (in milioni di ettari) 160 140 120 100 80 60 40 20 0 SOIA COTONE TRANSGENICO COLZA MAIS NON TRANSGENICO Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) Restringendo l' attenzione sul solo settore agricolo è possibile evidenziare come le produzioni transgeniche, ed in particolare le colture di soia, mais, cotone e colza, non siano destinate solo ed esclusivamente al mercato agricolo inteso come mercato destinato direttamente all' alimentazione umana e animale, ma esse si presentano come prodotti intermedi nell' industria alimentare, taluni, ed altri trovano il loro mercato di destinazione in altre industrie, come ad esempio l' industria tessile, nel caso del cotone. Prima di entrare nel dettaglio dei singoli prodotti agricoli, relativamente ai loro campi di applicazione, è utile sottolineare un aspetto molto interessante dei prodotti GM più diffusi: le principali colture GM e le loro corrispettive "versioni" convenzionali trovano sul mercato industriale numerose applicazioni in molti settori tra loro eterogenei, dunque le variazioni nei costi e nelle rese di tali prodotti agricoli possono avere ripercussioni su molteplici settori industriali, da quello farmaceutico a quello dei carburanti, un mercato di destinazione, stando ai fatti, dal potenziale di crescita e di profitto di notevole entità. Le caratteristiche dei prodotti transgenici finora coltivati mostrano come l' interesse dei produttori e dei ricercatori, stando allo stato attuale, sia rivolto verso quelle produzioni maggiormente utilizzate dall' industria alimentare intermedia (intesa come produzione di beni intermedi), dove la ricerca di fondo non risiede nel miglioramento delle caratteristiche merceologiche, ma nell' ottimizzazione dei processi produttivi atti alla riduzione dei costi di produzione (sia come costo delle materie prime sia come capitale umano) seguendo uno schema consolidato nel nostro tempo, ovvero trovare una corretta interpretazione delle richieste dei mercati internazionali, in termini di globalizzazione e normalizzazione dei mercati. Le considerazioni appena fatte entrano in contraddizione con quanto affermano le società del settore biotecnologico circa i benefici di cui potrebbero giovare i PVS: le industrie di trasformazione e commercializzazione, oltre alla ricerca, sono proprie dei Paesi a medio-alto sviluppo. I principali destinatari di tali prodotti, intesi come fonte di profitto e sviluppo, non sono i paesi arretrati: essi possono essere considerati solo mercati di sbocco, e, volendo fare una considerazione di carattere strettamente economico, è possibile affermare che l' introduzione in tali paesi di prodotti, il cui contenuto tecnologico appartiene a soggetti stranieri o perlomeno appartengono a soggetti stranieri i settori della filiera a più alto valore aggiunto, non è detto che si riveli un presupposto di sviluppo e di crescita economica. Allo stato attuale dello sviluppo dei prodotti Gm è ragionevole considerare come l' unico beneficio di cui i PVS potrebbero godere è quello della coltivazione, la cui redditività è relativamente bassa, dato il basso contenuto tecnologico dell' output e la concorrenza esistente sui mercati internazionali, che vede confrontare i PVS con Paesi dotati di un’agricoltura più meccanizzata e produttiva; in sintesi, il beneficio da trarre da parte dei PVS dagli OGM in campo agricolo è quello della coltivazione dello Staple, con tutti i rischi connessi e le problematiche ampiamente argomentate nella letteratura economica, dai teorici dell' Imperialismo a quelli della Dependençia. Tornando alla descrizione dei principali mercati destinatari dei prodotti biotecnologici e al loro utilizzo nei processi produttivi industriali potrebbe essere utile al lettore avere un quadro completo delle applicazioni industriali delle piante transgeniche, un quadro che possa far comprendere il perché alcune piante siano state interessate dal fenomeno OGM ed altre no; inoltre è necessario considerare, stando allo stato attuale delle coltivazioni, che le biotecnologie sono di beneficio solo per alcuni Paesi e che i prodotti attualmente coltivati e commercializzati, sia in termini di tipologia di prodotto sia in termini di tecnica produttiva, sono estranei e lungi dal contribuire ad alleviare il problema della malnutrizione e del sottosviluppo. Tralasciando per ora il caso del cotone, il quale trova il proprio settore di destinazione nell' industria tessile, è fondamentale considerare in quali applicazioni industriali trovano i principali prodotti biotecnologici: soia, mais e colza. I prodotti derivanti dalla soia sono principalmente il latte e la lecitina di soia che trovano nell' industria alimentare un loro massiccio impiego nella produzione dolciaria (quasi il 90% dei biscotti e dei dolci contiene lecitina di soia, usata come emulsionante al fine di miscelare le parti oleose a quelle acquose); altri impieghi della soia sono rintracciabili, ad esempio, nelle salamoie e nella preparazione di piatti pronti, oltre, naturalmente, al quotidiano uso umano (in particolare in Cina) e animale sotto forma di farina o oli come componenti del foraggio. Il mais, così come la soia, è da sempre utilizzato dall' industria foraggiera o destinata al consumo umano, sia in forma intera sia sotto la forma di oli, ma il suo impiego, al contrario di quanto si pensi, è molto diffuso in quasi tutti i settori produttori di alimenti, tant' è che secondo uno studio recente si stima che ogni persona ne consumi ogni anno almeno 10 Kg, equivalente a circa 1 litro di olio (Focus N°100, Febbraio 2001). Il caso della colza è simile a quello del mais e della soia, ma al contrario di quest' ultimi non viene direttamente consumato sotto forma di prodotto alimentare: infatti, la colza trova il suo impiego nell' industria alimentare sotto forma di olio (le modificazioni genetiche prossime per la colza sono indirizzate verso la produzione di colza a più alto contenuto di sostanza oleose e con basso contenuto di acido erucico), e stando alle ultime ricerche la colza è destinata a diventare il carburante del nuovo millennio per la caratteristica di non essere inquinante e di mantenere il motore dei veicoli in ottimo stato, grazie ai suoi componenti oleosi. II.10. Ogm di prima e seconda generazione I prodotti di origine geneticamente modificata, fino ad oggi coltivati e commercializzati in alcuni Stati, rientrano in una categoria che gli studiosi definiscono come OGM di prima generazione o input traits. Tali prodotti costituiscono l' inizio dello sviluppo delle piante transgeniche: infatti, la definizione di input traits racchiude in sé il significato e la struttura delle prime piante transgeniche prodotte dalle multinazionali del settore, vale a dire che la prima generazione di OGM è stata indirizzata verso il miglioramento delle caratteristiche produttive delle piante, quindi la denominazione input traits sta ad indicare che tali prodotti hanno il compito di risolvere problemi legati alla coltivazione (malerbe e infestazione di insetti), che incidono sul livello di produzione. Attraverso gli OGM di prima generazione si è intenti a risolvere problemi secolari dell' attività agricola mondiali, problemi che incidono, attraverso della perdita dei raccolti, sulla redditività degli stessi. La resistenza agli erbicidi selettivi e l' autoproduzione di insetticida costituiscono il punto di partenza della ricerca biotecnologica: l' ipotetica strategia, desumibile dalla tipologia di sperimentazioni che si stanno attuando in diversi Paesi, dovrebbe portare tra alcuni decenni alla realizzazione di prodotti di seconda e terza generazione, caratterizzati non solo da modificazioni che risolvono problemi inerenti alla coltivazione, ma anche da caratteristiche nutrizionali migliori. Le sperimentazioni in atto confermano questa linea di tendenza della ricerca ispirata dalla necessità di ottenere prodotti a più alto contenuto tecnologico e possibilmente a più alto valore aggiunto (anche se è ancora non definibile chi tra agricoltori o società produttrici sia il destinatario di tale valore aggiunto). Il fine ultimo della ricerca sulle biotecnologie dovrebbe in un prossimo futuro assicurare la convergenza tra due produzioni, quella biotecnologica e quella farmaceutica, indirizzate verso la realizzazione dell' alimento-farmaco. La ricerca sugli OGM di seconda generazione, ovvero quelli che dovrebbero inglobare sia miglioramenti produttivi sia quelli relativi alla qualità ed al livello nutritivo, è stata annunciata da pochi anni e i primi prodotti disponibili sul mercato non dovrebbero tardare, in particolare uno dei primi prodotti già sperimentati e in stato di discussione è il riso con modificazioni genetiche per ottenere un maggior contenuto di ferro e vitamina A22, la cui sperimentazione ad oggi è stata deludente. In generale le ricerche sugli OGM nei prossimi anni saranno caratterizzate quindi sia da input traits sia da output traits che permetteranno di ottenere innovazioni di prodotto e di processo, seguendo un percorso già intrapreso, costituito dalla necessità di ottenere una presenza simultanea nella stessa pianta di più modificazioni genetiche (il caso di OGM contemporaneamente del tipo HT e IR ne sono una prova evidente), che garantiscano una più alta convenienza ed affidabilità, proponendo al consumatore e al coltivatore un prodotto dalle caratteristiche migliori. Nel medio-lungo termine i tratti saranno indirizzati verso la realizzazione di prodotti ben definiti, che interesseranno tutte le produzioni agricole, compreso il settore orticolturale, anche se i dubbi sollevati negli ultimi anni sia dagli agricoltori sia da alcune istituzioni internazionali circa la reale efficienza degli OGM, sembra aver fatto rallentare la diffusione, con conseguenze dirette sul rilascio della nuova generazione di Ogm. Tuttavia, ciò che più di tutto ha rallentato la ricerca non sembra esser stato il pericolo paventato da alcuni studi scientifici circa gli effetti sull' ambiente, ma sembra che la brusca frenata del settore sia dovuta ad una reale insoddisfazione da parte degli agricoltori nei confronti di tali prodotti, insoddisfazione che nasce dalla differenza tra i livelli di produttività e redditività promessi e quelli realizzati, che, di fatto, hanno scoraggiato gli agricoltori a continuare a coltivarli (basti pensare al caso della colza canadese e al mais statunitense citati nei paragrafi precedenti). 22 Le carenze di vitamina A e ferro sono alla base di malattie diffuse nel terzo mondo come l' anemia e il deficit d’accrescimento corporeo. II.11. I mercati sementiero e fitofarmacologico Il mercato agricolo, inteso in senso generalizzato, è frutto dell' interazione di più industrie che costituiscono nel loro insieme la filiera produttiva dei prodotti agricoli: tra questi i settori primari possono essere identificati in quello sementiero e quello agrochimico o fitofarmacologico, che forniscono le materie prime necessarie all' attività produttiva. Il mercato delle produzioni agricole transgeniche è parte integrante di quello agricolo tradizionale, e la sua diffusione ha negli anni ne ha modificato la struttura, in tal senso le produzioni di OGM non solo ne sono diventate parte integrante, ma hanno influenzato notevolmente la struttura produttiva e più in generale le linee di strategia di mercato e di ricerca. Gli interessi che ruotano attorno al mercato transgenico sono enormi e hanno attirato principalmente l’attenzione di quelle industrie che abbiamo definito come primarie. Nel giro di pochissimi anni il fatturato del mercato sementiero transgenico è andato crescendo ad una velocità decisamente alta, passando da un valore di mercato di circa 152 milioni di dollari del 1996 a circa 2750-3000 del 1999 (secondo le proiezioni dell' Isaaa), vale a dire che il valore di tale mercato è cresciuto di venti volte in soli quattro anni (Tab. 17). Attualmente il mercato sementiero delle colture transgeniche occupa il 10% di quello mondiale, stimato attorno ai 30 miliardi di dollari. All' interno del mercato sementiero è possibile costatare come i prodotti più diffusi abbiano inciso in maniera più significativa di altri: in particolare se ci riferisce al solo al mercato degli OGM del tipo HT il fatturato è cresciuto del 180% tra il 1997 e il 1998, da 425 a 1188 milioni di dollari, mentre nel caso dei prodotti IR il fatturato è cresciuto da 423 a 738 milioni di dollari, sempre in riferimento al periodo 1997-1998. Le statistiche del FIS mostrano come, relativamente al 1998, il mercato sementiero dei prodotti transgenici costituiva il 6% del mercato sementiero mondiale e come all' interno dell' industria sementiera mondiale vi siano Stati che godono di una posizione di rilievo nella produzione e commercializzazione di sementi agricole Gm, come ad esempio gli USA, Argentina e Canada, che possiedono rispettivamente il 77, 12 e 9 per cento del fatturato sementiero transgenico mondiale. Tab. 17 - Valore del mercato sementiero transgenico (in milioni di dollari USA) Anno Valore del mercato Incremento in $ Incremento percentuale 1996 152 1997 851 699 459 1998 1959 1108 131 1999 2750-3000 791-1041 40-53 Fonte: James (2000) Graf. 15 - Valore del mercato sementiero transgenico 1996-1999 (in milioni di dollari USA) 3500 3000 3000 2500 2000 1959 1500 1000 851 500 152 0 1996 Fonte: James (2000) 1997 1998 1999 Riferendoci al mercato sementiero mondiale, secondo i dati FIS, è possibile costatare come il fatturato del commercio delle sementi abbia una discreta concentrazione in pochi Paesi, come USA, Cina, Giappone, Russia, Francia, Brasile e Germania, cui spettano 16.270 milioni di dollari, pari al 54% del fatturato mondiale della vendita di sementi (Tab. 18). Relativamente al 1999, le stime valutano le vendite del mercato sementiero transgenico attorno ai 3000 milioni di dollari, attribuibili nella maggior parte ai principali Stati produttori di OGM, vale a dire USA, Argentina e Canada, una crescita del fatturato del 40-53 per cento sull' anno precedente, che rispecchia tra l' altro l' andamento sulla diffusione dei prodotti transgenici; le stime per gli anni a venire, sempre in relazione al grado di accettazione futura dei prodotti GM, descrivono uno scenario di tutta crescita del fatturato sementiero transgenico che dovrebbe essere di circa 8000 di dollari per l' anno 2005 per arrivare nel 2025 a circa 25000 milioni di dollari, ovvero entro il 2025 il fatturato sementiero GM arriverà ad un valore prossimo a quello attuale mondiale. Il mercato agro-chimico segue lo stesso andamento di quello sementiero, relativamente ai prodotti GM, anche perché le tecniche di coltivazione di piante geneticamente modificate fanno sì che vi sia una strettissima relazione tra questi due mercati, in particolare per i prodotti del tipo HT: infatti, la peculiarità già accennata in precedenza delle produzioni transgeniche è incentrata sulla stretta relazione di dipendenza tra semi e prodotti chimici che è alla base del "pacchetto di produzione biotecnologica", ad ogni seme un suo unico erbicida, una linea strategica tracciata dalle aziende produttrici che dovrebbe proseguire negli anni, e che ha sollevato numerose critiche circa la possibile distorsione che si verrebbe a crearsi sul livello di concorrenzialità nel mercato e, più in generale, sulla capacità di controllo da parte delle multinazionali del settore nei confronti sia degli agricoltori sia delle produzioni agricole. Il commercio internazionale delle sementi agricole interessa principalmente alcune tipologie di prodotti (Tab. 19) che, nella quasi totalità dei casi, interessano l' industria alimentare: infatti, dalla tabella 19 è possibile evidenziare come mais, patate, colture erbacee e barbabietole abbiano un ruolo di prima importanza nel settore delle esportazioni di sementi agricole. Tuttavia è evidente dai dati espressi come l' intera industria alimentare mondiale e quella agricola, intesa come produttrice di sementi e prodotti chimici, siano molto attente all' evoluzione dei prodotti transgenici, anche perché, come è stato detto in Tab. 18 - Valore del commercio mondiale delle sementi agricole (in milioni di dollari USA) Stato Mercato interno Quota di mercato mondiale USA 5700 19% Cina 2500 8% Giappone 2500 8% Russia 2000 7% Francia 1370 5% Brasile 1200 5% Germania 1000 3% Totale 30000 55% Fonte: FIS (1999) Tab. 19 - Valore delle esportazioni mondiali di sementi (in milioni di dollari USA) Coltura Esportazione di sementi Mais 530 Colture erbacee 427 Patate 400 Grano 75 Barbabietole 308 Altro 1900 Totale 3640 Fonte: FIS (1999) precedenza, le caratteristiche di modificazione per le piante GM attualmente disponibili sul mercato sono indirizzate per lo più verso la produzione di piante che abbiano una certa importanza nei processi produttivi industriali, e per converso tali modificazioni hanno effetti quasi nulli circa una possibile Nuova Rivoluzione Verde che, dopo quella degli anni sessanta che ha portato alla diffusione, spesso incontrollata, dei prodotti chimici in agricoltura, possa risolvere i problemi degli agricoltori del Sud del mondo, certamente non dovuti ad una mancanza di meccanizzazione nei processi produttivi. II.12. Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in USA e Canada I primi dati sulla redditività delle coltivazioni geneticamente modificate sono relativi agli USA e al Canada che, in qualità di pionieri nella coltivazione di piante transgeniche, hanno potuto contabilizzare i benefici apportati dalle prime coltivazioni GM. Di seguito saranno riportati i dati di contabilità relativi alle prime coltivazioni transgeniche per fornire al lettore un quadro iniziale sugli effetti economici derivanti dalla diffusione e commercializzazione degli Ogm, e che nel prossimo capitolo saranno analizzati più in dettaglio, al fine di verificare la reale convenienza degli OGM per gli agricoltori e per l' agricoltura mondiale in generale, attraverso la comparazione di produttività e redditività tra le varie colture GM e le loro corrispettive tradizionali. I dati riportati nella Tab. 20 mostrano i benefici economici apportati dalle colture transgeniche su 23.3 milioni di ettari, relativi al 1998, coltivati in USA e Canada. I dati sono il risultato di un' indagine effettuata dall' Isaaa, tenendo conto della produzione totale, della produttività e comprendono le variazioni di dipendenza dei campi coltivati dall' uso di agenti chimici, in particolare, essendo tutti i prodotti del tipo HT o IR tali prodotti chimici, saranno essenzialmente diserbanti ed insetticidi. Gli utili netti calcolati dipendono naturalmente dal tipo di coltura, dal grado di infestazione e dalla localizzazione dei campi coltivati (tipologia dei terreni, clima e ambiente circostante). I dati relativi al cotone BT prodotto in USA sono forniti all' Isaaa dall' Istituto Falk-Zepeda, che fornisce oltre a dati consuntivi sulla produzione di cotone, dati sulla distribuzione degli utili fra i vari componenti della filiera. Tab. 20 - Stima dei benefici apportati dalle colture transgeniche in USA e Canada Coltura 1996 Area Transgenica23 1997 Benefici24 Area Transgenica Benefici USA Soia HT 0.4 12 3.6 109 Mais BT 0.3 19 2.8 119 Cotone BT 0.7 128 1.0 133 Cotone HT -- -- 0.3 5 Totale USA 1.4 159 7.7 366 CANADA Colza HT 0.1 5 1.2 48 Mais BT <0.1 <1 0.1 5 Totale Canada >0.1 5 1.3 53 Totale 3.8 164 21.7 419 Fonte: James (1998) 23 Le aree sono stimate in milioni di ettari 24 I benefici sono stimati in milioni di dollari USA Lo studio stima che ad un utile netto di 128 milioni di dollari USA, relativi alla produzione di cotone BT nel 1996 in USA, corrisponde un surplus economico del settore pari a circa 240 milioni di dollari, dei quali il 53% (128 milioni di dollari) sono spettati agli agricoltori, il 26% alle società fornitrici Monsanto e Delta & Pine Land, il 12% è spettato ai consumatori statunitensi, ed il restante 9% è andato al resto del mondo come surplus economico. Benefici della soia HT in USA I benefici ottenuti dalla coltivazione di soia HT negli Stati Uniti sono riconducibili ad una diminuzione, per gli anni 1996-1997, dei prodotti chimici, la cui intensità varia tra il 10 e il 40 per cento, con conseguente riduzione dell' inquinamento dei terreni e delle falde acquifere. Dal punto di vista della performance economica della soia è da evidenziare un incremento, sia nel 1996 sia nel 1997, delle rese dei campi di circa il 4,7%, il che si traduce in un utile netto di circa 29,64$ per ettaro coltivato. A livello di contabilità nazionale la performance della soia HT si riflette in un utile nazionale netto di circa 12 milioni di dollari nel 1996, a fronte di 0.4 milioni di ettari coltivati (1% della superficie nazionale coltivata con soia), e di 109 milioni di dollari nel 1997, conseguentemente ad una superficie coltivata pari a 3,6 milioni di ettari, 13% della superficie nazionale (James, 1998). Mais BT in USA e Canada La principale miglioria apportata dal mais BT è stata, nel periodo 1996-1997, quella di aver ridotto le perdite di raccolto causate dalla piralide attraverso l' uso congiunto di piante BT e insetti benefici. La performance economica è stata di un aumento delle rese del 7% nel 1996 e del 9% nel 1997, con un ritorno di utile netto per ettaro di circa 67,30$ nel 1996 e 42,00$ nel 1997, equivalenti a livello di contabilità nazionale di circa 19 milioni di dollari nel 1996 e 119 nel 1997. Le mancate perdite provocate dalla piralide sono stimabili in circa un miliardo di dollari per anno, cifra che può arrivare al 30% di perdite di raccolto in caso di infestazioni gravi di cui sono affetti la metà dei campi statunitensi (15 milioni di ettari). Per quanto riguarda la diffusione del mais BT è significativo considerare come si è passati, tra il 1996 e il 1997, da circa 300 mila a 2,7 milioni di ettari coltivati, pari rispettivamente all' uno ed al 9% per cento della superficie nazionale (James, 1998). Cotone BT in USA I benefici apportati dalla coltivazione di cotone BT in USA sono da riferirsi al maggior controllo delle infestazioni da insetti (principalmente nematodi), che ha portato ad una riduzione di circa il 70% degli agenti chimici. Tale beneficio si è tradotto in un utile netto nazionale di 128 milioni di dollari nel 1996 e 133 milioni nel 1997, in conseguenza di un aumento delle rese di circa il 14% a fronte di una superficie coltivata di 700 mila ettari nel 1996 (13% della superficie nazionale) e di un milione di ettari nel 1997 (17% della superficie nazionale). Nel complesso è da considerare come nel 1998 la superficie destinata al cotone transgenico è salita a 2 milioni di ettari, composti non solo da cotone BT, ma anche da nuovi tipi di cotone GM come ad esempio il tipo HT e il tipo HT/BT (James, 1998). Colza HT in Canada La performance della colza HT, sempre in riferimento al biennio 1996-1997, è da ricondurre alla diminuzione del 70% dei trattamenti erbicidi e ad un maggior controllo delle infestazioni da parte di insetti congiuntamente ad una minor erosione del suolo. Al livello economico la performance della colza si traduce in un aumento delle rese di circa il 7,5% nei due anni considerati, con un utile netto di circa 39,19$ per ettaro coltivato. A livello di contabilità nazionale l' aumento delle rese e la diminuzione dei trattamenti erbicidi si riflette in un valore degli utili di 12 milioni di dollari nel 1996 e 109 nel 1997, corrispondenti a circa 100 mila ettari coltivati nel 1996 (3% della superficie nazionale) e 1.200 mila ettari nel 1997 (30% della superficie nazionale (James, 1998). Considerazione sui valori aggregati I dati, riportati in precedenza sulle performances delle prime piante Gm coltivate in USA e Canada, mostrano come, nei soli due Paesi, l' adozione di tali colture abbia contribuito ad incrementare le rese agricole e a ridurre l' uso di agenti chimici permettendo di trarre da tali ottimizzazioni produttive ricavi per 164 milioni di dollari nel 1996 e per 419 milioni di dollari nel 1997, in relazione ad un’area coltivata di 3,8 e 21,7 milioni di ettari rispettivamente per gli anni 1996 e 1997 (James, 1998). L' interpretazione dei dati forniti dall' Isaaa permette in un primo momento di cogliere gli aspetti economici positivi delle prime piante GM, ma, essendo i dati aggregati per i singoli Stati o le singole colture, non permettono una migliore analisi a livello disaggregato. Infatti, secondo uno studio commissionato dalla comunità europea l' aumento delle rese e la diminuzione degli agenti chimici sono validi solo a livello nazionale, in quanto a livello sub-nazionale tali statistiche variano sensibilmente da Stato a Stato, da terreno a terreno, anche in misura alquanto notevole (Commissione Europea, 2000), ma ciò verrà analizzato in dettaglio nel capitolo terzo. I risultati dell' indagine della Comunità Europea mostrano come possano essere diverse le performances economiche degli OGM, se considerate ad un livello più disaggregato di quello nazionale. II.13. Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture transgeniche Considerando le principali colture transgeniche disponibili sul mercato è possibile definire le aree potenzialmente destinate alle colture transgeniche, ovvero le aree che per caratteristiche ambientali richiedono delle metodologie di coltivazione diverse da quelle tradizionali: infatti, i prodotti disponili sul mercato sono orientati verso quelle produzioni dislocate in territori dove malerbe ed insetti sono i principali fattori che determinano i risultati della raccolta e della redditività agricola L’area mondiale desinata alla coltivazione di mais, soia, colza e cotone a livello mondiale ammonta a circa 271 milioni di ettari e complessivamente, le colture del tipo Gm ne occupano il 16% (44,2 milioni di ettari). Relativamente alle singole colture, come detto in precedenza, si evince come la soia con caratteristiche transgeniche sia la più diffusa coprendo i 36% dell’area mondiale (nei soli USA più della metà dell’area destinata alla soia è di tipo Gm), seguita da cotone, colza e mais, che rispettivamente coprono il 16, 11 e 7 per cento delle corrispettive aree mondiali. Interessante è considerare quali terreni, a livello mondiale, siano a potenziale transgenico, al fine di individuare o meglio ipotizzare, il potenziale di diffusione di tali colture. Tab. 21 – Area mondiale a potenziale transgenico (in milioni di ettari) Area Area Area Gm Quota Gm 1998 su mondiale potenziale 1998 potenziale Soia HT 72 30 25,8 86% Mais BT 140 49 6,8 14% Cotone BT 34 11 1,5 14% Colza HT 25 25 2,8 11% Mais HT 140 60 2,1 3% Totale 271 175 39 Coltura Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000) Sempre dalla tabella 21 è da rilevare come, soia a parte, lo sviluppo delle colture transgeniche sia all’inizio (da tener conto che le varie legislazioni nazionali hanno molto limitato la diffusione di piante GM, che, come detto in precedenza, sono attualmente pertinenti solo ad alcuni Paesi). Osservando, poi, le singole colture differenziate per tipologia di modificazione è evidente come la soia abbia un potenziale di diffusione assai limitato coprendo circa l’86% della sua area potenziale, mentre le altre colture hanno ancora un buon margine di diffusione. Particolare che salta agli occhi dalla tabella 21 è che la colza, rispetto alle altre colture, ha un potenziale transgenico equivalente a tutta la sua area, così come il mais ha un potenziale transgenico di 109 milioni di ettari sui 140 totali suddivisi nelle due tipologie BT e HT. Tra tutte le coltivazioni solo il cotone presenta un potenziale transgenico pari ad un terzo della sua area. La tabella 21 mostra tuttavia come, nel complesso, il reale potenziale di diffusione delle colture Gm sia solo agli inizi, soprattutto se si tiene conto dei possibili sviluppi futuri sia dei prodotti sia dei Paesi che potrebbero avvicinarsi a tali nuove coltivazioni. E’ da tener presente, inoltre, come le colture transgeniche sono disponibili sul mercato mondiale solo dal 1996, e relativamente a quei Paesi che ne hanno consentito la coltivazione in campo aperto: tutto ciò fa pensare che il futuro di tali produzioni sia incerto, causa la mancata accettazione per ovvi motivi di precauzione. Capitolo Terzo LA COMPETITIVITA’ DELLE BIOTECNOLOGIE IN AGRICOLTURA III.1. Introduzione Il fine principale del capitolo è descrivere la composizione delle funzioni di produzioni connesse alle coltivazioni di piante GM, così come si presentano attualmente, attraverso cui poterne definire il reale livello di competitività ed efficienza economica rispetto alle colture tradizionali, attribuendo importanza anche al livello di sostenibilità e convenienza nel lungo periodo sia per l’agricoltore sia per l’ambiente. Le biotecnologie, in generale, non rappresentano solo un nuovo strumento attraverso il quale è possibile rivoluzionare il settore agricolo, ma comportano anche un nuovo modo di relazionarsi e concepire la natura25. Il rapporto tra l’uomo e la natura che lo circonda è un rapporto che troppo spesso è stato ignorato o considerato semplicemente non vincolante nel contesto delle analisi economiche: ciò che in tale sede s’intende realizzare è quello di introdurre, in un contesto puramente economico, il concetto di natura stessa, intesa come una variabile rilevante e non eludibile. Riuscire a verificare la reale convenienza economica degli Ogm in agricoltura attraverso confronti e analisi contabili, o meglio analizzando le diversità nella struttura produttiva e nei costi rispetto alle coltivazioni tradizionali, costituisce un punto fondamentale per individuare la reale necessità di tale nuovo modo di produrre, dove, anche se non direttamente incluso nel modello di analisi, la natura diviene parte integrante della discussione e dell’analisi contestuale: la conseguenza di una tale posizione non troverà un riscontro quantitativo nello studio che s’intende affrontare, come competerebbe ad ogni elaborazione che voglia avere un carattere esclusivamente scientifico, ma il 25 Il concetto di natura è qui indicato come l’insieme delle specie ed in particolare tale concetto è considerato inscindibile dall’azione dell’uomo. concetto di convenienza degli Ogm sarà affrontato tenendo conto che le fondamenta del discorso poggiano su di una virtuale analisi costi-benefici, che possa fungere da ago della bilancia nel definire una produzione conveniente o meno rispetto ad un’altra, e la conseguenza di una tale premessa sarà possibile rintracciarla nella definizione quantitativa di ciò che è conveniente, ovvero sarà definito conveniente solo ciò che potrebbe cambiare lo status quo, apportando significativi vantaggi (di convenienza per gli agricoltori, di sicurezza alimentare e di tutela dell’ambiente), rapportati naturalmente ai costi (rischi) connessi (in questo caso la salute umana, la natura, il settore agricolo e suoi operatori). Nel prosieguo l’intento sarà quello di confrontare la struttura produttiva degli Ogm con i corrispettivi tradizionali: si analizzeranno le diversità nella struttura dei costi e nelle variazioni quantitative e qualitative degli inputs produttivi, nella redditività e nella produttività dei sistemi a confronto. In un secondo momento si tenterà di verificare gli effetti sulla natura, attraverso le variazioni quantitative e qualitative dei prodotti chimici utilizzati nelle produzioni agricole (ovvero i costi sociali26). III.2. Linea metodologica Nel seguito del capitolo l’analisi, come precedentemente detto, verterà sulla comparazione tra le coltivazioni transgeniche e le corrispettive tradizionali, rispetto alla distribuzione dei costi e alle caratteristiche performanti, al fine di ottenere un quadro sintetico sulla reale convenienza delle coltivazioni transgeniche. I dati utilizzati sono provenienti da varie fonti con l’intento di dare un’informazione più completa, ed allo stesso tempo più eterogenea rispetto alle metodologie utilizzate; inoltre, un altro motivo per il quale si è preferito utilizzare più fonti è quello di evidenziare come le differenti metodologie di rilevazione utilizzate abbiano portato a risultati, a volte, estremamente contrastanti tra loro. Le principali fonti utilizzate sono relative all’USDA (Dipartimento Statunitense dell’Agricoltura) e al NCFAP (National Center for Food and Agricultural Policy), tramite le elaborazioni di Carpenter e Gianessi, oltre all’indagine effettuata nel 2000 dalla Comunità Europea sul fenomeno delle coltivazioni transgeniche. 26 Il termine sociale è riferito alla constatazione che i costi (rischi) non sono semplicemente a scapito della natura, intesa come ambito separato dalla vita degli esseri umani, ma sono riferiti al fatto che dallo stato di salute della natura dipende quella umana, e che comunque i possibili costi di un danno ambientale sono in fin dei conti a spese dell’uomo e della società che dovrà porvi rimedio. Le elaborazioni successive faranno riferimento alla soia, al cotone e al mais Gm coltivato negli USA e alla colza canadese, scelti come coltivazioni di riferimento sia per il numero di ettari coltivati sia per il numero di anni di esperienza degli agricoltori nella coltivazione. III.3. Le performances economiche della soia HT Le analisi condotte sulla soia transgenica sono prevalentemente relative alla tipologia HT, o meglio ancora alla tipologia Roundup Ready (RR) della società Monsanto (ora Pharmacia), alla quale va attribuita una percentuale stimabile attorno all’80% della soia transgenica HT attualmente coltivata (Commissione Europea, 2000). Le ragioni che spingono i coltivatori ad utilizzare sementi GM sono principalmente da ricondurre alla possibilità, a detta delle società produttrici, di incrementare le rese congiuntamente ad una diminuzione dei costi di produzioni, tramite la riduzione del quantitativo dei trattamenti chimici (sia in termini quantitativi per ettaro sia in termini di numero di applicazioni per anno), con un conseguente aumento del valore aggiunto delle coltivazioni. Negli USA sono stati condotti vari studi per verificare l’effettiva resa della soia HT, e tutti hanno evidenziato un risultato non atteso: le rese per ettaro della soia HT risultano influenzate molto dal territorio e dalle caratteristiche ambientali dove viene attuata la coltivazione, con una conseguente variabilità nelle rese stesse. Le differenze riscontrabili nelle rese tra le varietà convenzionali e quelle transgeniche mostrano come non sia possibile definire in modo univoco quale delle due coltivazioni sia la più conveniente (dal punto di vista della produttività delle sementi). Dalla tabella 22 è possibile verificare come la differenza nelle rese, delle due tipologie di coltivazioni di soia, sia molto variabile da Stato a Stato (lo studio è rivolto al territorio statunitense): infatti, la differenza delle rese, relativamente al 1998, tra le varietà transgeniche e quelle tradizionali mostra come esse siano variabili tra un aumento del 3.5%, relativo allo stato dell’Illinois, ed una diminuzione del 12%, nel caso del Nebraska, inoltre la medesima situazione è stata riscontrata nel 1999 dove si passa da un aumento del 2%, sempre nell’Illinois, ad una diminuzione dell’11%, dell’Ohio. La non uniformità delle differenze performanti riscontrata nelle rese della soia HT sono relative non solo rispetto ai vari Stati USA, ma sono presenti anche all’interno degli stessi: infatti, secondo Benbrook (1999), le rese, ad esempio, all’interno dello Stato del Minnesota sono estremamente variabili, le differenze di resa tra la soia Gm e quella convenzionale varia da un meno 18% del centro del Paese ad un meno 1% del nord, così come nel Wisconsin dove, secondo i dati, la differenza tra soia GM e tradizionale non è stata identificabile, ovvero è stata variabile da un aumento del 3% nel nord dello Stato ad una diminuzione del 4% nel sud. La tabella 22 mostra, non solo, come non sia possibile definire uno standard performante univoco per le sementi geneticamente modificate rispetto ai corrispettivi tradizionali, ma allo stesso tempo si evidenzia un fattore di rischio importante per gli agricoltori: l’estrema variabilità nelle rese delle coltivazioni transgeniche rappresenta una spinta repulsiva nell’adozione di piante GM. Tale variabilità nelle rese delle piante GM costituisce un fattore di repulsione rispetto a tali colture da parte degli agricoltori, proprio perché tali dati annullano il principale vantaggio dei prodotti transgenici, vale a dire un aumento delle rese agricole congiuntamente ad una maggiore stabilità delle stesse. Una delle principali caratteristiche delle coltivazioni Gm è quella di poter ridurre gli agenti chimici utilizzati in agricoltura, in termini sia di quantità sia nel numero dei trattamenti: ciò rappresenta uno dei punti di forza nella strategia promossa dalle multinazionali del settore. Nel caso della soia Roundup Ready della Monsanto la resistenza è relativa all’erbicida Roundup della Monsanto stessa, basato sul glifosato. La tecnologia HT è il risultato di uno studio condotto per anni dalle società biotech, vale a dire inventare una pianta che abbia bisogno di un minor uso di erbicidi e che sia nel contempo resistente ad esso. La possibilità per gli agricoltori di coltivare una pianta, che resista ad un erbicida non selettivo come il Roundup della Monsanto, rappresenta un notevole punto di forza perché permette di ottenere una stabilità delle rese, conseguentemente al controllo delle erbe infestanti: infatti, nelle coltivazioni soggette ad infestazioni di malerbe la possibilità di ridurre al minimo tale infestazione permette, oltre al normale controllo delle rese, di facilitare la coltivazione, di limitare la possibilità di perdite di raccolto, riducendo nel contempo stesso il numero di trattamenti chimici, nella quantità totale e nel numero di agenti chimici. Tale situazione permette di ridurre la quantità di lavoro nei campi, in modo tale da ottenere al limite del ragionamento il completo controllo ed automazione del ciclo produttivo. Lo studio sulla funzione di produzione costituisce uno strumento fondamentale per verificare la convenienza e la struttura produttiva associata alla coltivazione di soia HT. Uno studio in tal senso è stato effettuato dall’Usda (Tab. 23) ed evidenzia alcune peculiarità nella coltivazione di soia transgenica rispetto a quella tradizionale. Dalla tabella 23, che riassume lo studio della funzione di produzione, i particolari che possono essere evidenziati sono relativi alla mancata riduzione dei costi di produzione associati ad una non stabilità delle rese per ettaro, le quali aumentano tra il +14% e il –10%. L’adozione di soia HT non permette, allo stato attuale, di definire il livello di convenienza del prodotto GM, relativamente all’ammontare dei costi per sementi ed erbicidi: un particolare di rilievo è relativo alla composizione dei costi di produzione, ove è riscontrabile uno spostamento dei costi dalle spese per gli erbicidi a quella per le sementi, conseguenza della principale caratteristica dei prodotti GM, vale a dire che il costo delle sementi comprende il technology fee27. Valori statisticamente significativi per l’anno in considerazione, il 1997, sono relativi ad una netta diminuzione delle spese per erbicidi e per il controllo delle malerbe, congiuntamente ad un aumento del costo delle sementi, giustificato dalla presenza del brevetto. Nel complesso dello studio è evidente come le principali differenze nella struttura delle funzioni di produzione, associate alle due metodologie di coltivazione, sono relative ad una diversa composizione dei costi (che non mostrano valori statisticamente uniformi per le tre regioni) associata ad un’estrema variabilità delle rese. Le differenze nelle rese relative al dato della regione dell’Heartland, è bene specificare, sono probabilmente attribuibili al fatto che in tale regione viene prodotto il 70% della soia statunitense, dunque è probabile che la maggiore resa sia attribuibile ad una maggiore attitudine alla coltivazione o ad un migliore sfruttamento delle economie di scala. Le maggiori differenze nella struttura dei costi sono relative alle spese per gli erbicidi e al costo dei semi: è da rilevare che il costo del programma Roundup è stato di 36,6€ per ettaro rispetto ai 29,8€ della varietà convenzionale con trattamento pre-semina, o ai 55,2€ per le altre tecniche di controllo degli infestanti (Commissione Europea, 2000). 27 Il technology fee è la parte del prezzo della semente spettante al detentore del brevetto, che, di fatto, costituisce un costo aggiuntivo associato al contenuto tecnologico della stessa e che si aggira attorno al 30% del costo totale. Tab. 22 – Rese della coltivazione della soia Stato Differenze Rese 1998 (ton/ettaro) Convenzionale (RR-Convenzionale) Roundup Ready 1998 1999 Illinois 3.90 4.40 +3% +2% Iowa 4.10 3.83 -7% -5% Michigan 4.44 4.30 -3% +1% Minnesota 4.44 4.10 -8% -9% Nebraska 3.90 3.43 -12% -3% Ohio 4.04 3.90 -3% -11% Sud Dakota 3.30 2.96 -10% -6% Wisconsin 4.77 4.64 -3% 0% Fonte: Carpenter (2001) Tab. 23 – Funzione di produzione delle coltivazioni di soia per regioni, 1997 (dollari USA per acro) Heartland Ogm Non-Ogm Mississippi Portal Southern Seaboard Ogm Ogm Non-Ogm Non-Ogm Valore produzione 330.80 287.88 204.80 225.78 239.63 205.68 Semi 30.03 17.70 26.78 14.96 29.43 15.74 Erbicidi 19.20 28.16 20.61 28.15 12.54 24.64 2.88 3.34 3.57 3.91 2.20 2.83 0.45 0.29 0.21 0.60 1.12 0.69 0.31 1.27 0.38 1.35 0.28 1.04 Costi totali 52.87 50.75 51.54 48.96 45.56 44.94 Valore aggiunto 277.93 237.12 153.26 176.82 194.07 160.74 Applicazione erbicidi Gestione malerbe Coltivazione malerbe Fonte: USDA (2000) 86 Secondo le stime Furman & Selz la riduzione degli erbicidi, a seguito delle coltivazioni di soia RR, è variabile tra i 33€ e i 35€ per acro. Nella spesa per le sementi un peso di rilievo è dovuto al costo del technology fee che, di fatto, fa registrare incrementi nel prezzo delle sementi di circa 15€ per ettaro (Commissione Europea, 2000). Uno studio condotto da Duffy nel 1999 (riportato sul documento della Commissione Europea) mostra come, escludendo i fattori di produzione terra e lavoro, la riduzione dei costi connessi alla coltivazione di soia transgenica HT (8%) sia stata annullata da una maggiore resa della varietà convenzionale. Allo stato attuale esistono numerosi studi per la verifica del potenziale produttivo e agronomico della coltivazione di soia HT, e tutte presentano i medesimi risultati, vale a dire che le prime generazioni di soia transgenica non hanno apportato un significativo aumento della redditività degli agricoltori: l’unica modificazione per gli agricoltori è una diversa struttura dei costi associata alla coltivazione e, come sarà in seguito illustrato, tutto ciò è il risultato di una vera e propria politica del brevetto e del pacchetto tecnologico che tende sostanzialmente aumentare la dipendenza della redditività agricola dal fattore capitale, ovvero dal pacchetto tecnologico. III.4. Le performances economiche del mais BT La coltivazione del mais è soggetta ad infestazioni parassitarie più di altre colture, di qui la ricerca delle società biotecnologiche è stata indirizzata verso la creazione di piante che resistessero maggiormente agli attacchi da parte degli insetti come la piralide, che molto spesso compromettono i raccolti, risultando un fattore determinante nella determinazione della redditività della coltivazione stessa. La principale tecnologia utilizzata, e che più tra le altre ha riscosso interesse da parte degli agricoltori, è stata quella BT basata su di un gene che rende la pianta del mais più resistente agli attacchi degli insetti grazie all’autoproduzione di insetticida (la tossina BT transgenica appunto). L’interesse suscitato dagli agricoltori verso tale tecnologia risiede nella possibilità di ridurre il rischio di perdita del raccolto congiuntamente alla possibilità di ridurre e facilitare le applicazioni antiparassitarie, giacché l’insetticida è prodotto dalla pianta stessa. 87 Un particolare di rilievo nella coltivazione del mais, ed in particolare nelle infestazioni che interessano tale coltivazione, risiede nella constatazione che tali infestazioni hanno carattere ciclico, dunque la convenienza dei prodotti transgenici in tale coltivazione è influenzata notevolmente dal periodo di rilevazione (bassa, alta o media infestazione). Il carattere ciclico delle infestazioni ha fatto sì che la diffusione delle piante di mais BT sia stata influenzata dal ciclo: infatti, secondo i dati forniti dall’Isaaa, la diminuzione dei campi coltivati, con prodotti come il mais YieldGard della Monsanto, è dovuta essenzialmente alla constatazione, da parte degli agricoltori che in periodi di bassa infestazione non sia conveniente utilizzare prodotti transgenici come il mais BT; inoltre, questa volta a definire convenienti o meno gli Ogm sono gli stessi agricoltori e non gli istituti di rilevazione che, di fatto, dichiarano i limiti delle colture GM rispetto a quelle tradizionali. Le analisi empiriche riportate nella tabella 24 mostrano come l’andamento del guadagno netto per il mais BT siano notevolmente influenzato dall’anno di rilevazione: infatti, si passa da un guadagno aggregato, rispetto alle colture tradizionali, di 89 milioni di dollari del 1997 a perdite di 26 e 35 milioni di dollari per gli anni 1998 e 1999, valore che deriva soprattutto da un minor vantaggio nelle rese dei campi, il quale diminuisce da 11,7 a 3,3 bushel/acro nel periodo 1997-1999, come desumibile dalla tabella 2528, con un guadagno medio netto che varia tra i 18$ per acro nel 1997 ad una perdita di 1.81$ e 1.73$ per i due anni successivi. La tabella 25 mostra come l’andamento delle infestazioni incida notevolmente sulle qualità performanti del mais BT: infatti, seguendo le tabelle in base all’anno è evidente che il technology fee ha un peso rilevante nei costi di produzione e tende a diminuire al decrescere del livello di infestazione così come diminuisce il prezzo del mais per bushel per la diminuzione dei rischi connessi alle infestazioni, evidenziando una politica del brevetto attuata attraverso il technology fee. Nella tabella 26 fornita dalla Commissione Europea, su dati Furman e Selz, si evidenzia, in modo marcato, come il livello di infestazione influenzi notevolmente sia la resa sia la convenienza nell’adottare sementi del tipo BT a parità di prezzo del mais, dove è evidente il passaggio del guadagno netto, per aver utilizzato mais BT, da 24,5 €, nei periodi di bassa infestazione, fino a 163,5€, in quelli di alta. 28 Il 1997 rappresenta dal punto di vista delle infestazioni l’anno di maggiore impatto. 88 Tab. 24 – Costi e benefici aggregati per il mais BT 1997-1999 (in milioni di dollari USA) Costi Benefici Guadagno netto (valori espressi in milioni di $) 1997 47 136 89 1998 144 118 -26 1999 161 126 -35 Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) Tab. 25 – Incremento delle rese e prezzo del mais BT nel periodo 1997-1999 Bushels/acro Costo del bushel Technology fee 1997 11.7 2.43 10$ 1998 4.2 1.95 10$ 1999 3.3 1.90 8$ Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) 89 Le stime della funzione di produzione per la coltivazione di mais BT sono state effettuate con diverse metodologie: la prima di Carpenter e Gianessi, ove i benefici delle colture transgeniche sono stati stimati solo in base all’impatto del prezzo delle sementi nei costi di produzione, ed una più completa ed esaustiva effettuata da Duffy, che comprende tutte le variazioni nei costi del mais BT, anche se entrambe non mettono in rilievo le possibili variazioni nel costo del capitale umano e del capitale terra che, in tali produzioni intensive, possono essere diminuite attraverso la meccanizzazione dei processi produttivi. La tabella 27 fornisce stime molto differenti sulla convenienza o meno nella coltivazione di mais BT: infatti, oltre al fattore infestazione è evidente che il tipo di stima effettuato sulla funzione di produzione incide notevolmente sul risultato finale. Secondo le stime di Duffy, che da un punto di vista metodologico sembrano essere le più esaustive e corrette, la maggiore redditività delle coltivazioni di mais BT è misurabile attorno ai 9€ per ettaro, una stima, questa, che mostra come l’adozione di tale mais non sia molto più redditizia della varietà convenzionale, in particolare nei periodi ritenuti, dal punto di vista delle infestazioni, non pericolosi, come ad esempio l’anno 1998. La principale caratteristica del mais BT dovrebbe essere rintracciabile nella riduzione di insetticidi come componente principale nei costi di produzione, ma secondo le stime di Duffy la riduzione di tale componente risulta essere molto modesta in termini monetari (1.3 € per ettaro), inoltre l’adozione del mais di tipo BT comporta un maggior costo per i fertilizzanti (11.1 € per ettaro) ed una maggior spesa per il controllo delle malerbe (6.2 € per ettaro). Nel complesso l’adozione di mais BT nelle coltivazioni statunitensi negli anni considerati (che come precisato sono gli anni in cui sono più convenienti, ovvero di alta infestazione) non ha avuto le caratteristiche performanti sperate ed annunciate o comunque il maggior reddito derivante è molto basso, soprattutto tenendo conto delle limitazioni sui brevetti, i quali saranno affrontati successivamente. III.5. Le performances economiche della canola HT La canola è un particolare tipo di colza coltivata principalmente in Canada ed è destinata ad uso principalmente industriale (alimentari e non). 90 Tab. 26 – Convenienza del mais BT secondo il livello di infestazione Grado di infestazione Perdite29 Bassa Media Alta 5% 10% 20% Prezzo €/ton 98.4 98.4 98.4 Maggiori Rese ton/ettaro 0.471 0.941 1.883 Costi addizionali €/ettaro 21.8 21.8 21.8 Guadagno netto €/ettaro 24.5 70.9 163.5 Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000) Tab. 27 – Funzione di produzione per la coltivazione del mais BT Carpenter & Gianessi 1997 1998 1998 Prezzo €/ton 84.5 68.6 66.8 Maggiore Resa ton/ettaro 0.73 0.26 0.80 Ricavo Aggiuntivo €/ettaro 62.0 18.1 53.2 Sementi €/ettaro 21.8 22.1 21.3 Insetticida €/ettaro Malerbe e altro €/ettaro 13.4 Fertilizzanti €/ettaro 11.1 Guadagno netto €/ettaro Non disponibile 40.20 Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000) 29 Duffy Le perdite sono calcolate in base all’assenza di trattamento. -3.99 -1.3 8.8 91 Le caratteristiche desiderate per le piante di colza sono il basso contenuto di acido erucico nell’olio, di acido glucosinolato negli alimenti o un contenuto più alto di acido laurilico. Tali caratteristiche desiderate per la coltivazione di canola sono state ottenute fino ad oggi grazie alla selezione naturale, anche se negli ultimi anni la diffusione di tecniche transgeniche sembra aver preso il sopravvento. In Canada la coltivazione della canola è cresciuta notevolmente negli ultimi venti anni (Commissione Europea, 2000) e, attualmente, rappresenta la terza coltivazione nazionale. Nello Stato canadese le regioni interessate alla coltivazione della canola sono essenzialmente tre (Alberta, Manitoba e Saskatchewan), che nel complesso producono il 98% della canola nazionale. La diffusione della varietà transgenica, esclusivamente del tipo HT, è stata molto rapida: infatti, dalle prime coltivazioni nel 1996 che fornivano solo il 4% della produzione nazionale si è passati, nel 1999, ad una produzione che ne fornisce il 69% (Fulton e Keywoski, 1999). Le varietà di canola Gm attualmente più diffuse sono la Roundup Ready della Monsanto, resistente al glifosato e la Liberty Link della AgrEvo (Aventis), resistente al glufosinato ammonio. La coltivazione della canola mostra, rispetto ad altre, una stretta correlazione, per ciò che concerne la resa e i costi di produzione, con il tipo di terreno coltivato e con il tipo di canola coltivata. La maggior parte delle elaborazioni effettuate, per verificare la convenienza o meno nell’uso di piante GM, mostra come non sia possibile definire uno standard performante univoco, tale da indicare quale tra le due tipologie di coltivazione sia la più conveniente o la più redditizia per gli agricoltori. I problemi riscontrati dagli agricoltori nella coltivazione della canola transgenica del tipo HT sono stati principalmente riconducibili a tre fattori determinanti: 1. Attualmente i coltivatori canadesi trovano difficoltà a commercializzare il loro prodotto nella Comunità Europea (loro principale acquirente). 2. Negli ultimi anni si sono moltiplicati casi di impollinazione incrociata non voluta tra varietà tradizionali e GM con il conseguente inquinamento ambientale e ricadute legali ed economiche sugli agricoltori, che, di fatto, 92 hanno messo in allarme sia i gruppi ambientalisti sia gli stessi agricoltori “inquinati”30. 3. Gli agricoltori nel biennio 1999-2000 hanno evidenziato delle diseconomie dovute alla concentrazione delle industrie sementiere e chimiche, che attraverso la regolamentazione dei brevetti dispongono di un alto controllo sulla produzione, ed infine hanno evidenziato come ad un aumento della produzione connessa alle coltivazioni di canola Gm sia corrisposta una diminuzione del prezzo sul mercato internazionale che, di fatto, ha annullato i benefici apportati da tali nuove metodologie. Oltre alle difficoltà e alle perplessità suscitate dagli agricoltori canadesi circa la convenienza nell’adozione di piante GM, lo studio effettuato da Fulton e Keywoski evidenzia come la redditività della coltivazioni sia strettamente dipendente sia dal terreno sia dalle capacità imprenditoriali degli agricoltori (capacità che derivano essenzialmente dall’esperienza nella coltivazione e dall’insieme di tecnologie utilizzate). Le caratteristiche aggiuntive della canola HT, essenzialmente del tipo Roundup Ready della Monsanto, sono da collegarsi al fatto che attraverso tale metodologia è possibile avere un maggior controllo delle erbe infestanti tramite un erbicida non selettivo come il Roundup (il cui brevetto fino all’anno 2000 è di proprietà della Monsanto stessa): infatti, nella coltivazione delle varietà convenzionale la canola necessita di due trattamenti, prima e dopo la semina, per il controllo degli infestanti, e in tal senso la tecnologia Roundup Ready rappresenta un punto di forza nella possibilità di ridurre i costi di produzione in termini di energia e lavoro, oltre che ad una riduzione degli agenti chimici. La coltivazione di canola Gm offre agli agricoltori una maggior flessibilità della coltivazione attraverso un maggior controllo delle infestazioni, riducendo i costi del controllo attraverso gli erbicidi non selettivi. Le argomentazioni successive faranno riferimento ai due principali studi effettuati al fine di verificare il livello di convenienza nell’adozione di piante Gm nella coltivazione di canola: il primo è una simulazione effettuata nella provincia di Alberta (che come 30 Nella regione del Saskatchewan un agricoltore, Percy Schmeiser, è stato costretto a “restituire” le sementi ottenute dopo il raccolto, necessarie alla successiva semina, alla Monsanto che ne aveva richiesto la proprietà e la titolarità del brevetto: l’agricoltore era stato riconosciuto “reo perché la sua coltivazione era stata inquinata” da una coltivazione transgenica adiacente, causa un’impollinazione indiretta, e costretto a pagare un’ammenda di 85.000$. 93 precedentemente detto è una delle regioni più interessate alla coltivazione di canola in Canada) ed è basata sulla comparazione tra coltivazioni tradizionali e GM mettendo in evidenza anche il fattore terreno come variabile determinate; l’altro è un modello, costruito da Fulton e Keywoski, che propone una comparazione sulla struttura dei costi e sui ricavi tra le principali coltivazioni di canola diffuse. Le comparazioni, nello studio della provincia di Alberta, mettono in evidenza le differenti strutture nei costi e nelle rese delle principali varietà di canola coltivate (Gm e non) rispetto al tipo di terreno utilizzato (black e brown). Le varietà di canola considerate si differenziano per la resistenza alle condizioni climatiche, ed esse sono: la canola “Argentina” che ha una buona resa per ettaro in condizioni climatiche non rigide, la canola “Polacca” resistente al freddo ma vulnerabile alle malattie, e la canola HT del tipo Roundup Ready della Monsanto. La canola “Argentina”, è da dire, generalmente ha una maggior resa rispetto alla varietà “Polacca”. L’analisi comparativa effettuata dalla provincia di Alberta, riportata nella tabella 28, evidenzia come, nel complesso, le varietà coltivate su terreni del tipo Dark Brown hanno una minore redditività, dovuta essenzialmente alle minori alle rese. Nei terreni del tipo Dark Brown non vi è stata rilevata una sostanziale differenza nelle rese e nei costi, variabili e non, ma allo stesso tempo il maggior ricavo lordo è attribuibile ad una maggiore entrata dalle assicurazioni (+29€/ettaro), che, di fatto, annulla il vantaggio sui ricavi dalle vendite riscontrabile per la varietà Argentina. Nei terreni del tipo Black vi è stata una differenza nella struttura dei costi e delle performances agronomiche. Dal punto di vista delle rese, escludendo la varietà Polacca (nella quale si è evidenziata una minor convenienza, che rispecchia la caratteristica di tale canola di essere adatta a particolari condizioni climatiche), è da riportare come la varietà Argentina abbia avuto una maggior resa rispetto alla varietà transgenica HT, ma, nel contempo, nella varietà transgenica si è evidenziata una riduzione dei costi attribuibile essenzialmente ad una riduzione dei costi da capitale e dei costi per i prodotti chimici, nonostante vi sia stata una maggiorazione nel prezzo delle sementi attribuibile al technology fee. Dal punto di vista del margine lordo, grazie alla maggior resa per ettaro, la varietà Argentina rimane in ogni modo la più conveniente per gli agricoltori. 94 Tab. 28 – Costi e ricavi per differenti varietà di canola (in €/Ettaro) Tipo di terreno Terreno Black Terreno Dark Brown Tipo di canola HT Argentina Polacca HT Argentina Ricavo lordo 342 379 307 278 259 Entrate vendite 328 353 296 240 255 7 5 0 29 0 6 21 11 9 5 182 190 185 181 184 Sementi 36 18 36 27 21 Fertilizzanti 42 44 43 36 48 Chimici 32 51 25 31 35 Costi da capitale 75 92 102 66 63 Costi totali 257 281 287 248 247 Margine lordo 131 163 76 84 48 Resa (bu/ha) 67 71 59 50 53 Entrate assicurazioni Altri ricavi Costi variabili Di cui: Fonte: Commissione Europea (2000) 95 Nel complesso, la redditività della varietà Argentina è maggiore rispetto a quella HT di circa 13€ per ettaro (Ricavi lordi meno costi totali). La sostanziale differenza riscontrabile tra le due varietà risiede principalmente nei costi da capitale, evidenziando in tal senso un minor costo del lavoro e dell’energia nel processo produttivo transgenico. La tabella 29 illustra un modello di comparazione tra differenti varietà di canola, escludendo il fattore terra e lavoro. Le varietà sottoposte alla comparazione della struttura produttività, dallo studio di Fulton e Keywoski, sono la colza transgenica HT Roundup Ready della Monsanto, la Smart Open Pol, la Liberty Hybrid della AgrEvo (Aventis) e la Conventional Pol. Le differenze ricavabili dalla tabella 29 sono relative ad un minor costo di produzione per la varietà HT Roundup Ready della Monsanto, attribuibile ad un minor costo per gli erbicidi (tra i 17.75 e i 25 dollari per acro), nonostante vi sia stata una maggiorazione nei costi delle sementi (circa 5,33$ per acro) ed al costo (15 € per acro) della licenza brevettale, attribuibile al technology fee. La riduzione dei costi nella coltivazione della varietà HT Roundup Ready varia tra gli 8,80$ per acro rispetto alla varietà Liberty Hybrid (che però necessita di un minor quantitativo di sementi per acro di 0,5 libbre, rispetto ai normali 5 libbre per acro) e 4,77$ per acro rispetto alla varietà convenzionale (Conventional Open Pol). Nel complesso i maggiori ricavi attribuibili alla varietà convenzionale si aggirano tra i 29,62$ rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 4,03$ della varietà Liberty Hybrid, sempre per acro, mentre la maggior resa della varietà convenzionale è stimabile tra i 4,2 bushel per acro rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 2,7 bushel per acro rispetto alla varietà Roundup Ready, mentre non vi è differenza rispetto alla varietà Liberty Hybrid. I ricavi lordi sono tutti a favore della varietà convenzionale, che permette, oltre ad un maggior ricavo e ad una maggiore resa, di conservare le sementi per l’anno successivo. L’impossibilità da parte degli agricoltori di conservare le sementi per l’anno successivo e la presenza del technology fee (che varia nel complesso tra i 20,23$ e 26,28$ per acro) pone gli agricoltori in condizione di rinunciare alle nuove metodologie, in quanto la dipendenza nei confronti dell’industria fornitrice degli inputs produttivi e la perdita di capacità manageriale agricola (caratteristica fondamentale nella coltivazione della canola) rappresentano un motivo di avversione. 96 Tab. 29 – Comparazione della struttura produttiva tra la canola convenzionale e quelle GM (in dollari USA) Roundup Smart Open Liberty Conventional Ready31 Pol32 Hybrid33 Open Pol Costi 38.70 44.90 47.50 43.47 Sementi ($/acro) 18.70 18.70 24.75 13.47 Erbicidi ($/acro) 5.00 26.20 22.75 30.00 TUA ($/acro) 15.00 0.00 0.00 0.00 Rese (bu/acro) 33.0 31.5 35.7 35.7 Prezzo ($/bu) 8.00 8.00 8.00 8.00 264.00 252.00 285.60 285.60 225.30 213.75 238.10 242.13 Ricavo Atteso ($/acro) Ricavo Lordo ($/acro) Fonte: Fulton e Keywoski (1999) 31 La varietà Roundup Ready copre una superficie coltivata pari al 57% della colza Gm canadese. 32 La varietà Smart Open Pol copre una superficie coltivata pari al 24% della colza Gm canadese. 33 La varietà Liberty Hybrid copre una superficie coltivata pari al 18% della colza Gm canadese. 97 I dati comparativi riguardo alla coltivazione di canola in Canada mostrano come, attualmente, non sia possibile determinare il grado di maggiore profittabilità dei prodotti geneticamente modificati, in quanto, come detto in precedenza, la coltivazione di tale pianta richiede un apporto di esperienza maggiore rispetto alle altre colture e, allo stesso tempo, il grado di convenienza nell’adozione deve tener presente della quota di agricoltori che utilizzano prodotti convenzionali non ibridi, i quali permettono loro di conservare le sementi degli anni precedenti per ricominciare il ciclo produttivo di anno in anno. Tuttavia, l’analisi della funzione di produzione evidenzia come la riduzione dei costi nell’applicazione di chimici sia stata vanificata dalla presenza della maggiorazione del prezzo nelle sementi e dal technology fee, come conseguenza della brevettabilità delle varietà transgeniche. III.6. Le performances economiche del cotone transgenico Le principali modificazioni genetiche richieste per il cotone sono relative alle metodologie IR (resistenza agli insetti) e HT (dove la tecnologia Roundup Ready della Monsanto è la più diffusa), alle quali vanno attribuite rispettivamente il 39 e 54 per cento dell’area statunitense (ovvero il maggior produttore mondiale per tale coltura) destinata a tale coltura nell’anno 2000, inoltre molto diffusa è una combinazione delle due tecnologie, ovvero il cotone HT/IR che attualmente copre il 28 per cento della superficie USA destinata a cotone. La principale evidenza empirica rilevata per il cotone BT è relativa alla diminuzione degli agenti chimici (in numero e quantità per trattamento), congiuntamente ad una minor perdita del raccolto causata dalle infestazioni. Secondo l’USDA tra il 1995 e il 1999 l’uso di insetticidi nelle piantagioni di cotone è diminuito di 2.7 milioni di pounds, ovvero il 14 per cento del totale degli erbicidi per gli Stati considerati, cui corrisponde una diminuzione nel numero di trattamenti34 per anno di circa 15 milioni, ovvero una diminuzione del 22%. La riduzione degli insetticidi e il maggior controllo degli insetti infestanti conseguente, ha permesso di ottenere in cinque Stati esaminati su sette (Tab. 30) un incremento dei ricavi netti, che in media sono stati di 20,81$ per acro, comprendente il technology fee. Allo stesso tempo il costo per il controllo degli insetti infestanti è aumentato 14,28 $ per acro e, in media, si è registrato un aumento delle rese del 9%, che 34 Il numero di trattamenti tiene conto anche del numero d’ingredienti per trattamento. 98 Tab. 30 – Applicazioni degli insetticidi sul cotone BT e su quello convenzionale (1999) Arizona Totale Louisiana Tennessee BT Conv. BT Conv. BT Conv. 1.6 2.5 7.3 7.8 6.8 6.6 Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) Tab. 31 – Comparazione tra il cotone BT e quello convenzionale35 Studio Stato Costi per il controllo degli Produzione di Ricavo lordo Ricavo netto garza insetti $/acro % $/acro $/acro Cooke MS 11.19 2 18.67 1.23 Karner OK 16.47 19 77.50 40.06 Reed MS 14.66 12 39.52 24.86 Steward TN 19.00 3 10.20 (9.00) Mullins AR, AL, 6.46 7 37.20 31.12 17.89 10 53.89 36.61 14.28 9 39.50 20.81 MS, LA West TX Media Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) 35 I costi, la produzione e i ricavi sono calcolati come differenze tra il cotone BT e quello convenzionale. 99 nel complesso ha permesso di ottenere nel 1999 un aumento complessivo della produzione di cotone di circa 260 milioni di libbre, equivalenti a 99 milioni di dollari (Carpenter e Gianessi, 2001). Un particolare interessante rilevabile nelle tabelle 30 e 31 è relativo ad un fenomeno che sembra essere caratteristico degli Ogm, vale a dire che la maggiore resa è molto variabile ed inoltre non vi è stata, corrispondentemente alla riduzione degli insetticidi, una diminuzione proporzionale dei costi degli insetticidi stessi, molto probabilmente perché la riduzione dei prodotti chimici è compensata da un aumento del costo delle sementi, che, di fatto, lo comprendono. Nel complesso è evidente come la maggior parte delle caratteristiche desiderate dal cotone BT (riduzione dei costi per insetticidi) sia stata controbilanciata dall’aumento del costo delle sementi. Il cotone Gm del tipo HT è il più diffuso tra quelli Gm in USA, in particolare la varietà Roundup Ready. La caratteristica principale di tale cotone è rappresentata dalla resistenza all’erbicida Roundup della Monsanto a base di glifosato (un erbicida non selettivo), anche se negli ultimi anni la varietà resistente al Bromoxynil sembra ottenere dei buoni risultati. Recenti studi affermano che la varietà Roundup Ready della Monsanto presenta alcuni inconvenienti, in quanto sembra non essere perfettamente tollerante al glifosato, attraverso l’erbicida Roundup (Carpenter e Gianessi, 2001). I costi di un normale programma di controllo per il cotone richiede circa 44$ per acro, mentre il programma Roundup Ready ha un costo variabile tra i 23 e i 47 dollari per acro, secondo il numero di applicazioni e del tipo di trattamento, compreso il costo del technology fee, pari circa a 8$ per acro (Carpenter e Gianessi, 2001). La tabella 33 mostra le differenze nei ricavi netti per le diverse coltivazioni di cotone secondo il tipo di trattamento utilizzato, mettendo in evidenza come il cotone GM fornisca un maggior ricavo rispetto alla varietà convenzionale, nonostante le differenze nelle rese siano molto più limitate e variabili (Tab. 32). La differenza nei ricavi tiene conto anche della qualità del prodotto ottenuto. La maggiore innovazione del cotone HT risiede nell’aver diminuito il quantitativo di erbicidi nelle coltivazioni: si è passati dal programma convenzionale che prevedeva da 5,5 a 9 libbre per acro, a programmi come il Roundup Ready che prevedono circa 2.754.5 libbre per acro, o programmi basati sul Bromoxynil che prevedono un quantitativo di 100 Tab. 32 – Rese medie delle differenti varietà di cotone (1997-1998) Programma di controllo degli Produzione relativa al programma infestanti convenzionale Convenzionale 100% Staple 95% BXN-Buctril 93% RR-conv.+1xRU 101% RR-Teflan/RU 102% RR-RU 96% RR-RU/Bladex+MSMA 93% Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) Tab. 33 – Comparazione dei ricavi netti per le differenti varietà di cotone, 1998 (Dollari per acro) Tennessee Louisiana Programma Ricavo netto Ricavo netto RR-conv.+1xRU 636 546 RR-Teflan/RU 636 536 RR-RU 569 508 Convenzionale 541 522 RR-RU/Bladex+MSMA 535 556 BXN-Buctril 494 668 Staple 491 559 Fonte: Carpenter e Gianessi (2001) 101 erbicidi pari a 2.8-4.45 libbre per acro, con una riduzione globale dal 1995 al 1999 di circa 1.3 milioni di applicazioni annue. La riduzione dell’uso degli erbicidi, in termini di quantità e numero, secondo l’USDA è da attribuire alla principale caratteristica dell’erbicida Roundup, ovvero di essere un erbicida ad ampio spettro, capace di agire su tutte le malerbe senza intaccare la pianta coltivata. III.7. La riduzione dei prodotti chimici Le metodologie finora sviluppate nell’ambito delle biotecnologie sono state, nella maggior parte, indirizzate verso la possibilità di ridurre le perdite (o aumentare le rese dei campi) attraverso un miglior controllo delle malerbe (HT) e degli insetti infestanti (IR). Negli ultimi anni la ricerca di prodotti chimici e non, al fine di ottenere una produzione più eco-compatibile, ha suscitato molto interesse da parte di tutti gli ”attori” del settore, dagli istituti di ricerca ai gruppi ambientalisti. Le biotecnologie, in tal senso, agli inizi erano state promosse e pubblicizzate dalle società produttrici come un possibile rimedio al dissesto ambientale e come mezzo di produzione eco-compatibile attraverso cui si sarebbero potuti ottenere prodotti più sani e nutrienti e nel contempo si sarebbero potute migliorare le condizioni di lavoro degli agricoltori, che dalla Rivoluzione Verde degli anni settanta avevano visto peggiorare la loro situazione di salute in relazione al maggior uso di agenti chimici. Da un punto di vista strettamente quantitativo e qualitativo, le necessità messe in rilievo dai gruppi ambientalisti e da vari istituti di ricerca erano rappresentate dalla ricerca di prodotti chimici meno nocivi (per l’uomo e per l’ambiente) congiuntamente ad un minor quantitativo di erbicidi per ettaro da applicare sui campi. Le varietà biotecnologiche del mais BT hanno avuto un effetto sull’uso degli insetticidi molto limitato, in quanto, come afferma l’USDA, l’uso di insetticidi nella coltivazione di mais, ed in generale in tutte le coltivazioni soggette ad infestazioni da parte di insetti, non può essere oggetto di uno studio accurato sui quantitativi per ettaro. Infatti, prima dell’adozione dei prodotti BT, gli insetticidi usati per combattere l’ECB (European Corn Borer) erano pochi e presentavano caratteristiche che rendevano la ricerca e la lotta alle infestazioni quasi vane: 102 • In primo luogo, gli insetticidi prima usati erano ad ampio spettro, quindi non specifici per l’ECB, con ripercussioni su tutta la popolazione di insetti; • In secondo luogo, le popolazioni di insetti sono suscettibili di variazioni annuali, il che rende la ricerca di insetticidi specifici non esauriente (Carpenter e Gianessi, 2001). Nel complesso l’introduzione della tecnologia BT sembra aver avuto effetto solo sul controllo dell’ECB, e non sulle quantità di insetticidi utilizzate precedentemente: infatti, relativamente al 1999, le stime fornite dallo studio di Carpenter e Gianessi, evidenziano come per i principali insetticidi (chloropyrifos, permethrin, BT e methyl parathion) le riduzioni si siano attestate attorno al 1-2 per cento. Le varietà biotecnologiche HT (tolleranza agli erbicidi), contrariamente a quelle IR, sono state indirizzate verso la ricerca di erbicidi ad ampio spettro, capaci di ridurre il numero di agenti chimici usati e, che comportassero, nello stesso tempo, una riduzione del fattore lavoro. Il principale erbicida utilizzato per le colture HT in commercio risulta essere il glifosato36(brevettato dalla Monsanto) che è applicato essenzialmente nelle colture del cotone, della soia, della colza ed in misura marginale nei campi di mais37. Le evidenze empiriche indicano come nel caso della soia si è assistiti ad una diminuzione totale del 10% nell’uso degli erbicidi, mentre non è stata rilevata alcuna variazione significativa nel caso del cotone (tale significatività è relativa all’insieme delle regioni considerate dall’USDA (infatti, nel caso del Southern Seaboard la diminuzione è stata del 20% circa). Nel caso del cotone HT la diminuzione rilevata nell’uso degli erbicidi da 1.89 a 1.63 (-13%) nel periodo 1995-1999 è attribuibile essenzialmente all’introduzione del programma Staple e non alle varietà HT: infatti, nel programma Staple occorrono in media circa 0.05 libbre per acro di erbicidi, mentre per gli altri programmi le quantità di erbicida per acro risultano in media essere ari a 0.09-0.18 libbre, altresì l’introduzione 36 Il glifosato è considerato la terza causa di malattie tra gli agricoltori Californiani dovuta all’uso di pesticidi (GreenPeace, 1996). Secondo Legambiente, il glifosato è la terza causa di morte tra gli agricoltori (Legambiente, 2001), inoltre sembra essere correlato alla presenza nella popolazione umana di un linfoma (del tipo non Hogkins), anche se secondo gli studi condotti dall’USDA tal erbicida è da 3.4 a 16.8 meno tossico degli altri in commercio. 37 Il mais HT, resistente al glufosinato ammonio, prodotto dall’Aventis (StarLink dell’AgrEvo) e da altre società è sospettato di essere cancerogeno ed altamente allergenico (riguardo l’allergenicità per il caso del mais StarLink il fatto è stato confermato). 103 delle varietà HT ha permesso di ridurre il numero di applicazioni per anno, proprio per il fatto che si tratta di un erbicida ad ampio spettro (Carpenter e Gianessi, 2001). La riduzione degli erbicidi per le varietà HT, basate essenzialmente sul glifosato e il glufosinato ammonio, risulta essere significativa solo nel numero di applicazioni. Le indagini empiriche, riportate negli studi statunitensi, evidenziano un particolare di rilievo (considerato soprattutto da gruppi ambientalisti e da alcuni ricercatori): congiuntamente ad una diminuzione variabile degli altri erbicidi si è evidenziata nel periodo 1996-1998 un incremento del quantitativo per ettaro dell’erbicida glifosato (il più usato nelle coltivazioni HT). Nel periodo 1996-1998, ad esempio, relativamente alle coltivazioni di soia HT (principalmente la varietà Roundup Ready della Monsanto) si è evidenziato come ad una diminuzione da 1 a 0.57 pounds per acro (-43%) degli erbicidi (escluso il glifosato) sia corrisposto un aumento da 0.17 a 0.43 pounds per acro dell’erbicida glifosato (+152%) (Heimlich, Fernandez-Cornejo, McBride, Klotz-Ingram, Jans e Brooks, 2000), e tali risultati, nel complesso, indicano una riduzione degli erbicidi per la soia HT del 10%. Tale evidenza, riscontrabile su tutti i prodotti HT, dimostra due assunti fondamentali messi in rilievo dagli oppositori delle biotecnologie: 1. L’uso di erbicidi ad ampio spettro accelera i processi di resistenza degli agenti infestanti rendendo necessario un maggior quantitativo dell’erbicida stesso fino alla sua inefficacia. 2. L’adozione di colture HT spinge gli agricoltori ad usare in maniera più massiccia del dovuto l’uso dell’erbicida, con conseguente accelerazione del processo sopraindicato e con effetti dannosi per l’ambiente e per l’uomo, ed in particolare accelera il processo di dipendenza del controllo degli infestanti agricoli dall’uso di prodotti chimici sempre più aggressivi. Le evidenze sopraindicate permetto di rilevare come l’uso delle attuali piante geneticamente modificate potrebbe avere effetti nel lungo periodo opposti a quelli sperati: gli effetti che nel breve periodo sembrano essere vantaggiosi (anche se su questo punto i dati sono molto discordanti tra loro), nel lungo periodo vengono annullati dallo sviluppo di resistenze da parte degli organismi oggetto di controllo, riproponendo, di fatto, all’agricoltore la situazione iniziale, anzi peggiore, in quanto nel lungo periodo la ricerca 104 di prodotti più efficaci potrebbe essere più lenta, lasciando l’agricoltore con prodotti non più redditizi e con infestazioni sempre più resistenti e dannose. La possibilità di trasmissione e di dispersione nell’ambiente del tratto modificato è relativo soprattutto a quelle specie vegetali allogame (colza e barbabietola, ad esempio), che tendono ad incrociarsi con le specie selvatiche affini, non distanti, attraverso l’impollinazione tramite insetti e vento. Nel caso di specie autogame, che hanno caratteristiche ermafrodite, il pericolo risiede nella constatazione che il loro polline tende a disperdersi a lunga distanza, con il rischio che nel lungo periodo si possano avere casi di trasmissione del transgene, nonostante il carattere autogamico della pianta in questione. Il processo sopra descritto non è inedito in agricoltura: infatti, dagli anni della Rivoluzione Verde l’uso degli agenti chimici in agricoltura ha portato sì ad un aumento di produzione agricola, ma nel lungo periodo tale aumento non si è riflettuto sui redditi degli agricoltori in modo proporzionale, e, allo stesso tempo, ha diminuito le potenzialità imprenditoriali dell’attività agricola, subordinandola alle imprese fornitrici degli inputs produttivi e ai mercati destinatari (controllati principalmente dalla grande industria) sempre alla ricerca di prodotti a più buon mercato. III.8. Effetto delle colture Gm sugli agricoltori Al fine di sintetizzare i dati e le argomentazioni precedentemente esposte di seguito saranno illustrati e commentati i principali risultati ottenuti. Stabilire la convenienza nell’uso delle biotecnologie agricole richiede la conoscenza di meccanismi complessi, non solo economici connessi alle performances delle varietà commercializzate (la redditività in sé non rappresenta un indicatore sintetico capace di stabilire la convenienza degli Ogm), in quanto le biotecnologie non prevedono solamente un miglioramento qualitativo e performante delle varietà vegetali, altresì l’innovazione biotecnologica, così come diffusa, comprende, al suo interno, meccanismi legislativi (connessi all’attività agricola) e metodologici che fanno di essa un’innovazione completa e complessa, con caratteristiche che sembrano essere più confacenti ad una rivoluzione agricola in corso che semplicemente ad un miglioramento tecnologico degli inputs agricoli. 105 La rivoluzione biotecnologica ha effetti sull’economia dell’agricoltore che investono tutto il quadro normativo e metodologico: i brevetti, le sementi biotecnologiche, i prodotti chimici agricoli, la struttura commerciale e il livello di concentrazione industriale, rilevabile sul mercato sementiero e fitofarmacologico, sembrano, attraverso una visione più attenta, essere connessi gli uni con gli altri, formando, nell’insieme, una struttura produttiva e commerciale molto articolata, dove le singole parti non possono essere considerate a sé stanti o isolate, ma esse sono parte integrante e funzionante di un tutto. I vantaggi economici connessi alle piante GM I dati menzionati precedentemente sulle performances agronomiche ed economiche delle prime piante Gm introdotte a partire dal 1996, mostrano come nel complesso non è possibile definire in modo univoco la maggiore redditività degli Ogm: infatti, è evidente come i costi siano stati sostanzialmente eguali alle varietà convenzionali e, allo stesso tempo, il ricavo aggiuntivo dalla vendita dei prodotti è notevolmente variabile per alcuni prodotti (ad esempio la soia) e nel caso di una maggiore redditività tale aumento potrebbe essere considerato non sufficiente rispetto ai pericoli paventati circa gli effetti sull’ambiente, sui consumatori e sul sistema agricolo. Le società che sostengono la diffusione degli Ogm in agricoltura affermano, in generale, come gli agricoltori possano ottenere attraverso la loro coltivazione un maggior reddito disponibile (i dati non sembrano dimostrarlo o comunque vi è una forte eterogeneità sui risultati ottenuti) attraverso la riduzione dei costi di produzione. Nel caso in cui vi fosse effettivamente una riduzione nei costi di produzione, tale riduzione nel lungo periodo potrebbe essere sterilizzata da una diminuzione dei prezzi dei prodotti sui mercati agricoli, anche perché, non essendovi una segregazione tra prodotti convenzionali e Ogm, non si potrebbe ottenere un guadagno aggiuntivo connesso a dei prodotti agricoli Ogm caratterizzati da un maggior contenuto nutrizionale38 e qualitativo che giustificherebbe la differenza nel costo di vendita. Nel lungo periodo, data la non segregazione (in opposizione alle richieste degli agricoltori e dei consumatori) dei mercati agricoli, è plausibile un ritorno alla situazione di 38 La ricerca, a detta degli Istituti preposti, è indirizzata verso una produzione agricola caratterizzata da prodotti migliori dal punto di vista nutrizionale (Ogm di seconda generazione). 106 partenza e, allo stesso tempo, la stabilità dei prezzi agricoli sul mercato internazionale, per l’agricoltore, dovranno confrontarsi con una sicura crescita stabile dei prodotti non agricoli e quindi una diminuzione del reddito reale dell’agricoltore: come osserva il Prof. Malagoli39 “… per la Legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento del reddito reale del consumatore favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti agricolo-alimentari, si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del reddito reale dell’agricoltore. L’agricoltore nazionale potrebbe ottenere un incremento del suo reddito netto attraverso l’adozione di un processo produttivo che consenta o una maggiore utilizzazione dei fattori della produzione di cui dispone in abbondanza o, al contrario, una minor utilizzazione dei fattori della produzione che è costretto ad acquistare sul mercato”. La possibilità per l’agricoltore di far leva sulle proprie capacità imprenditoriali, svincolandosi dalla dipendenza di taluni fattori esterni (erbicidi e sementi tecnologiche), potrebbe fungere da “salva-reddito”, in quanto nel lungo periodo le tecnologie applicate alla produzioni agricole tendono a perdere il loro effetto di generatrici di ricchezza, mentre, al contrario, la costante crescita dell’esperienza e della capacità imprenditoriale da parte dell’agricoltore tende a salvaguardare il reddito, non risultando completamente condizionato dall’industria fornitrice degli input produttivi. L’applicazione di biotecnologie transgeniche applicate al settore agricolo tende ad aumentare la dipendenza degli agricoltori dai settori fornitrici dei mezzi di produzione, in particolare sementi e prodotti fitofarmacologici, prodotti in un mercato caratterizzato da un elevato livello di concentrazione (di cui si parlerà in modo più specifico nel prossimo capitolo), che, di fatto, produce i suoi effetti attraverso la regolamentazione sui brevetti, legati alle biotecnologie, materializzandosi nel technology fee. Gli effetti sui costi di produzione del technology fee appaiono più evidenti quando, nel caso del mais, essi vengono fatti variare in relazione alle condizioni climatiche e infettive, o in generale secondo le previsioni agricole (nel caso di stagioni favorevoli vengono diminuiti, per non disincentivare l’uso di sementi biotech, e inversamente nelle stagioni ritenute a rischio). 39 Il Prof. Claudio Malagoli è professore Associato di Estimo Rurale e Pianificazione Agraria presso l’Università di Bologna. 107 L’effetto del technology fee nelle produzioni resistenti agli erbicidi, in particolare della soia, fa sentire il proprio peso nel 2000 quando, al decadere della titolarità del brevetto sull’erbicida Roundup al glifosato (della società Monsanto), ne consegue una diminuzione del prezzo dell’erbicida (ora in un mercato più concorrenziale), che va a riversarsi sul prezzo delle sementi (Nomisma, 1999). In effetti, il technology fee appare in contraddizione con la necessità di rendere meno costosi e più redditizi per gli agricoltori le attività agricole, in quanto neutralizza, in parte o del tutto in taluni casi, la stimolo ad utilizzare gli stessi prodotti geneticamente modificati. L’esistenza del technology fee è giustificato dal fatto che le piante Gm (o secondo le legislazioni vigenti, il gene introdotto) sono brevettate, di qui la possibilità per il detentore del brevetto di poter decidere in tutta autonomia a chi e se concedere la fruizione dello stesso e di produrre sementi brevettate previo pagamento di un “affitto”. Un particolare di rilievo, esposto nel paragrafo precedente, mostra come, nel complesso, lo sviluppo e la diffusione degli Ogm ripercorra del tutto ciò che in passato è stata definita la Rivoluzione Verde: infatti, le metodologie finora utilizzate sono tutte indirizzate a riproporre un maggior uso della chimica in agricoltura, che se dapprima offre una possibilità di maggior guadagno, poi rende necessaria una maggior dose degli erbicidi e probabilmente nel tempo renderà necessaria la ricerca di sostanza chimiche più aggressive (così come sembra mostrare l’andamento delle dosi di glifosato per ettaro rilevato nel periodo 1996-1998). Le opinioni riguardo all’uso di agenti chimici come disinfestanti pongono un problema noto in agricoltura, vale a dire che è ragionevole considerare come gli insetti sviluppino, nell’arco di un periodo di 4-5 anni (Malagoli, 2000), una resistenza alle tossine chimiche rendendo quindi vano il tentativo dei prodotti transgenici BT (come il mais), a meno che non si voglia in futuro introdurre man mano sempre più geni estranei nella pianta al fine di continuare a fuggire dagli insetti nella consapevolezza che questi dopo 4-5 anni ridurranno sempre il distacco. Aumento della dipendenza degli agricoltori da parte degli input produttivi La struttura dei costi connessa alla coltivazione di prodotti transgenici muta notevolmente rispetto alle varietà tradizionali. La diversa struttura dei costi si riflette, in particolar modo, sugli erbicidi e le sementi. 108 Nelle coltivazioni del tipo HT, come mostra la tabella 28, la riduzione dei costi è relativa alla sola coltivazione della colza, dove la riduzione dei costi variabili pari al quattro per cento, mentre nelle altre coltivazioni tale riduzione nel totale non è stata rilevata. Nel caso della soia HT ad un aumento del 4% nei costi variabili è corrisposto un aumento del 7% nella spesa per erbicidi e sementi, che, di fatto, fa aumentare la quota dei costi per le sementi e gli erbicidi sul totale dei costi variabili dal 90% a 93%40, e, al contempo stesso, la minor spesa per erbicidi è stata compensata da un aumento del costo delle sementi che, di fatto, inverte le quote di spese per erbicidi e sementi sul totale dei costi variabili, che passano rispettivamente dal 35 e 55 per cento, nel caso di coltivazioni convenzionali, al 56 e 36 per cento, nel caso di coltivazioni HT (Tab. 23). Nel caso della colza HT41 (varietà canola) la spesa sul totale dei costi variabili per erbicidi e sementi non ha avuto significate variazioni, mentre è più evidente come il minor costo degli erbicidi è stato completamente compensato da un aumento paritetico nella spesa per le sementi, congiuntamente ad una riduzione dei costi totali attribuibile ad una diminuzione nei costi da capitale (Tab. 28). Nel caso del cotone HT la spesa per erbicidi e sementi è aumentata del 55%, così come i costi totali (lavoro incluso) che aumentano dell’8% (White K., Jones D., Johnson P., 1999). Nella coltivazione del cotone HT la riduzione nel costo degli erbicidi non è stata rilevata, anzi la spesa sia per le sementi sia per gli erbicidi è aumentata del 63 e 43 per cento rispettivamente, contemporaneamente ad un aumento del 20% della produttività (che include anche la qualità del prodotto): risulta evidente come, nel caso del cotone, l’aumento nelle spese per erbicidi e sementi sia stato maggiore dell’aumento della resa per acro (White K., Jones D., Johnson P., 1999) e, allo stesso tempo, è stata richiesta una maggiore spesa per l’irrigazione (particolare in contraddizione con le necessità di uno sviluppo eco-compatibile, attraverso un minor impatto ambientale salvaguardando quei beni comuni come l’acqua ritenuti, negli ultimi decenni, sempre più scarsi), accelerando i processi erosivi. 40 I dati sono relativi alla tabella 23 e alla regione Heartland (dove maggiore è la tradizione e la produzione di soia negli USA). 41 I dati sono relativi alla tabella 28, alle varietà HT e Argentina in terreni del tipo Black. 109 I risultati confermano ciò che in precedenza era stato affermato, vale a dire che la coltivazione di piante Gm, e in quelle relative alla tecnologia HT, il maggior impatto nelle abitudini agricole è relativo alla maggiore dipendenza da parte degli agricoltori dagli inputs di origine esterna all’impresa, in particolare da parte di quegli input provenienti dall’industria sementiera e fitofarmacologica. Tale considerazione riveste una particolare importanza nel caso in cui, oltre alle caratteristiche performanti ed economiche connesse alla coltivazione di piante Gm, si intenda considerare come variabile di sintesi la sostenibilità nel lungo periodo dei processi produttivi connessi. Infatti, nel lungo periodo gli effetti di una possibile riduzione dei costi di coltivazione possono riversarsi sui prezzi dei prodotti agricoli, eliminando così la possibile convenienza. Sempre nel lungo periodo è possibile considerare come la maggiore dipendenza dagli inputs produttivi riduca al minimo l’apporto del capitale umano, inteso sia nel senso di quantità di lavoro sia nel senso dell’espressione delle capacità imprenditoriali, spostando le remunerazioni del processo produttivo verso quelle componenti dei costi non governabili dall’agricoltore, che al limite del ragionamento potrebbe portare ad una completa meccanizzazione dell’attività agricola con conseguenze che implicano una completa industrializzazione del settore agricolo ed una diminuzione forzata degli occupati del settore. Nel caso degli Ogm agricoli di seconda generazione, vale a dire quelli che dovrebbero comportare un miglioramento qualitativo del prodotto, la regolamentazione attuale sugli Ogm e le norme sui brevetti prevedono, come attualmente accade per alcune coltivazioni di colza, che all’agricoltore competa solo il compito di seminare e raccogliere il prodotto, mentre tutte le altre attività connesse all’attività produttiva risultano di completo appannaggio della società fornitrice degli inputs produttivi, con la conseguenza evidente di una trasformazione dell’imprenditore agricolo o del semplice agricoltore a dipendente industriale, una sorta di operaio agricolo-industriale, eliminando tutte quelle potenzialità imprenditoriali e manageriali che solitamente competono all’agricoltore e che di norma garantiscono i redditi e la crescita del settore agricolo, ovvero viene meno all’agricoltore la capacità di gestione dei fattori secondo la propria esperienza. La collocazione sul mercato dei prodotti agricoli La collocazione dei prodotti di origine transgenica sul mercato, così come attuata ad oggi, pone limiti allo sviluppo e alla diffusione di tali nuove coltivazioni, in quanto allo 110 stato attuale sul mercato agricolo internazionale non è possibile acquistare separatamente prodotti agricoli Gm e non, in quanto non esiste una segregazione del mercato. La segregazione del mercato agricolo ha effetti molteplici sulla diffusione delle piante transgeniche: • La mancata segregazione non permette di evidenziare, nel caso di Ogm di seconda generazione, i prodotti che hanno una maggiore qualità e che quindi potrebbero richiedere un maggior prezzo, con un conseguente effetto non attrattivo da parte degli agricoltori. • La mancata segregazione ha sui consumatori effetti non desiderati, che li portano ad acquistare prodotti garantiti Ogm-Free (come ad esempio i cibi biologici), a causa di un’inadeguata informazione sugli effetti negativi sulla salute umana (in alcuni casi ipotetica, ma probabile, ed in altri documentata, ma non divulgata a sufficienza). • La mancata segregazione spinge gli Stati, ove la produzione non viene attuata per mancanza di un’adeguata documentazione e sperimentazione sui rischi connessi, a rifiutare alle frontiere prodotti Gm con conseguenze anche su quegli agricoltori che producono prodotti convenzionali. La mancata segregazione dei prodotti Gm da quelli convenzionali viene giustificata dalle società produttrici con i costi che questa comporterebbe sull’intero settore e che ciò eliminerebbe tutti i vantaggi economici connessi alla loro produttività. La questione della mancanza di una segregazione dei prodotti non può, però, essere ricondotta semplicemente ai costi connessi (attualmente sembrano essere a totale carico di chi garantisce l’assenza di tali prodotti attraverso la certificazione biologica che, però, non copre i coltivatori tradizionali non biologici), in quanto sembra che tale assenza sia necessaria alla commercializzazione di tali prodotti in quegli Stati dove le preoccupazioni, circa gli effetti sulla salute, sono più accentuate, e una certificazione di completa derivazione transgenica potrebbe avere un effetto repulsivo da parte dei consumatori verso tali prodotti. Tale necessità sembra essere più irrinunciabile all’interno dell’Unione Europea che, ritenendo non sufficiente la documentazione finora prodotta in materia di sicurezza alimentare (e probabilmente sull’onda dei problemi di sicurezza alimentare dovuti al caso BSE e dei “polli alla diossina”), proprio all’inizio del 2001 ha rivisto e inasprito i controlli dei prodotti alimentari e ha richiesto, attraverso la revisione del regolamento C.E. 90/220, l’obbligatorietà di etichettatura per quei prodotti che 111 contengono un quantitativo di prodotto o derivato Gm superiore all’1%42.Tale necessità nasce dal fatto che il regolamento C.E. 258/97 (denominato “Principio di Sostanziale Equivalenza”), approvato anche dalla Fao e promosso dalla FDA (ovvero l’ente di controllo sui farmaci e sugli alimenti statunitense) non prevede particolari controlli tossicologici sui prodotti Gm che vengono dichiarati sostanzialmente equivalenti a quelli convenzionali che, di fatto, comporta un’assenza di controllo sugli effetti a lungo termine di tali prodotti sulla salute umana, e che, nel caso di marginali modificazioni degli stessi prodotti approvati, il protocollo stilato dalla FDA non prevede alcun controllo supplementare se non un preavviso di 30 per l’immissione nell’ambiente: ad esempio, se dall’incrocio di due piante Gm, l’una HT e l’altra IR, si ottiene una terza pianta che ha ereditato entrambe le modificazioni genetiche, questa non necessita di alcuna sperimentazione perché ritenuta sicura, escludendo in tal senso qualsiasi effetto pleiotropico43. L’Unione Europea è interessata a salvaguardare i princìpi sanciti nell’Agenda 2144, che prevede il rispetto del “Principio di Precauzione”, introdotto anche nel Trattato di Maastricht nel 1992, per il quale gli Ogm, in assenza di una documentazione scientifica che certifichi l’assenza di pericoli per l’ambiente e la sicurezza alimentare nel lungo periodo, sono da considerarsi “potenzialmente pericolosi” (Legambiente, 2001). La mancanza di una segregazione della filiera alimentare ha effetti contrastanti per le società fornitrici: infatti, se da un lato tale mancanza permette di commercializzare tali prodotti in quegli Stati dove non sono completamente “graditi”, dall’altro rappresenta un’esternalità per gli agricoltori nel produrli, e di conseguenza per ditte fornitrici, in quanto non permette di evidenziare le caratteristiche innovative dal punto di vista nutrizionale previste per gli anni a venire. 42 La percentuale è riferita al singolo componente, vale a dire che per ogni componente l’origine Gm non deve superare tale soglia per non essere in obbligo di etichettatura. 43 Gli effetti pleiotropici si riferiscono all’intero metabolismo nucleotidico della pianta che potrebbe risentire del gene aggiuntivo. Tali effetti sono considerati solo dal lato della produttività (resa limitata dall’effetto), ma non vengono presi in considerazione in senso generale. I recenti studi, ad esempio, sul genoma umano hanno reso noto che i geni non sono indipendenti tra loro e da ciò che circonda il corpo umano, ma interagiscono in maniera significativa e continua con l’ambiente circostante. 44 Agenda 21 è un documento redatto nella 2° Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, che prevede obiettivi stabiliti, nei tempi e nei modi, al fine di raggiungere una crescita eco-sostenibile per i Paesi firmatari (gli USA si sono rifiutati di firmare il documento). 112 III.9. Effetti di una maggiore produzione Spesso si tende ad identificare una maggiore produzione di un bene con un aumento del reddito di chi li produce, ma la realtà non è sempre così come si possa immaginare. Nel settore agricolo la presenza di una maggiore produzione di un bene non genera necessariamente un maggior reddito e non è necessariamente una fonte di crescita stabile e duratura, ovvero non genera Sviluppo. Infatti, è difficile considerare come indicatore economico essenziale la crescita in sé, in quanto se tale crescita è relativa ad un periodo limitato, e non genera sviluppo, è possibile incorrere in un meccanismo in cui nel lungo termine si potrebbero avere conseguenze sui sistemi economico-sociali negative45. La maggiore produzione di beni in agricoltura può avere effetti diversificati secondo lo Stato considerato, le condizioni climatiche, le necessità industriali ed alimentari di uno Stato, e più in generale le necessità del mercato e delle strutture economiche del Paese in esame. Maggiore produzione nei Paesi dell’area Nafta Il caso di una maggiore produzione di beni agricoli nell’area Nafta hanno un effetto diverso da quello che si potrebbe ottenere in un qualsiasi altro Paese, in quanto l’agricoltura nordamericana è caratterizzata da un’elevata meccanizzazione dei processi produttivi agricoli e dall’assenza di produzioni autoctone caratteristiche soprattutto dei paesi europei e di quelli dell’area del sottosviluppo. La maggiore spesa in capitali e macchinari agricoli è un elemento caratterizzante di tale agricoltura, perché permette di ottenere vantaggi nei costi di produzione connessi alla maggiore superficie dei terreni agricoli, che in media sono di 250 ettari, contrariamente alla situazione europea. I prodotti Ogm più sperimentati e coltivati in tale area sono relativi a quelle produzioni destinate alle esportazioni e a mercati caratteristici dell’industria alimentare, che nel caso statunitense sono principalmente destinati al largo consumo massificato e 45 Per gli esempi si rimanda alla letteratura economica classica sullo sviluppo, in particolare agli scritti di Kaldor N., Frank G. e Hirschman A. O. 113 agli allevamenti per garantire una maggiore produzioni di carni, oltre ai mercati intermedi dell’industria dolciaria. I sistemi agricoli statunitensi e canadesi sono caratterizzati da produzioni specifiche: mais, soia e cotone per gli USA e colza per il Canada. Tali produzioni sono caratteristiche di grandi estensioni con vantaggi di scala, non conseguibili in altri paesi. Gli Ogm in tale area sembra, nel modo in cui vengono pubblicizzate, essere confacenti alla tipologia di agricoltura esistente (altamente industrializzata), anche se, dopo un primo periodo di attrazione, sembra che tali prodotti per svariati motivi (difficoltà di collocazione della merce e convenienza in particolar modo) stiano perdendo il loro “potere attrattivo”. Maggiore produzione nell’area della Comunità Europea Nell’area europea la diffusione degli Ogm in agricoltura è ancora molto limitata in seguito all’approvazione del “Principio di Precauzione”. La possibile maggiore resa di tali produzioni, ed in generale di tutte le biotecnologie agricole (ivi comprese quelle relative alle produzione di carni e derivati), non potrebbero avere effetti positivi, in particolare nella realtà italiana. I principali prodotti Gm coltivati sono, per gli Stati europei, principalmente di origine importata, mais escluso per il quale si è a livelli di autosufficienza (Comunità Europea, 2000). Il livello di autosufficienza nella produzione di soia, ad esempio, è stato del 12% nel biennio 1998/1999 (6% nel biennio 1995/1996) e l’origine dell’importazione è relativa principalmente al Brasile, all’Argentina e agli USA, che rispettivamente forniscono il 41.5, 34 e 21 per cento dell’importazione di soia in Europea. Il principale mercato destinatario di tali prodotti sono le industrie dolciarie (nel caso della colza) e quelle foraggiere per la nutrizione del bestiame. Di rilievo è da considerare come le coltivazioni tradizionali di soia, colza e cotone non potrebbero rappresentare di per sé una fonte di ricchezza per il sistema agricolo: infatti, la competizione con i principali Stati produttori sarebbe persa in partenza, in quanto questi dispongono di mezzi tecnici correlati alla grandezza dei terreni capaci di ottenere vantaggi di scala (ad esempio le disinfestazioni, in tali Paesi, vengono effettuate attraverso gli aerei, cosa impensabile in Europa a causa dell’elevato rapporto “costo 114 disinfestazione-dimensione degli appezzamenti di terreno” rispetto a quello nordamericano o argentino, dunque non sarebbe possibile ottenere dei vantaggi di scala). Nelle coltivazioni tradizionali l’ingresso degli Ogm al fine di aumentare la produzione vendibile non è perseguibile, in quanto le norme agricole europee impongono livelli limite alle produzioni al fine di salvaguardare i singoli Paesi produttori, l’unico beneficio degli Ogm potrebbe essere la riduzione dei costi di produzione, ma, come già constatato, la realtà degli Ogm non ha intrapreso tale strada. Altro particolare non secondario, all’interno delle caratteristiche agricole della Comunità Europea, è la presenza di una diffusa cultura nella produzione di specie autoctone, caratteristiche delle singole aree e generatrici, attraverso i marchi di qualità e di origine geografica protetta, di ricchezza attraverso produzioni specifiche, a volte di nicchia altre no, caratterizzate da un alto valore aggiunto (relativo alla qualità, alla sicurezza e alla tipicità). La principale differenza tra la realtà agricola americana e quella europea risiede, dunque, nella distanza che intercorre tra i due tipi di agricoltura: l’una caratterizzata da grandi latifondi e da una produzione massificata e vocata alla quantità, l’altra caratterizzata da eccedenze alimentari in alcuni settori, contemporaneamente ad una produzione dove la tipicità trova la sua giusta collocazione sul mercato (nella quantità e nella qualità che ne determinano il maggior prezzo). Per questi ed altri motivi, la Comunità Europea è sempre in prima linea nel promuovere la ricerca sull’agricoltura biologica come fonte di sicurezza, tipicità, sostenibilità economica ed ecologica, e dove il potere agricolo deve tendere ad una distribuzione dei profitti più a favore degli agricoltori (spesso a conduzione familiare) e non dell’industria alimentare, così come sembra essere caratterizzata quella nordamericana. Maggiore produzione nei Paesi in Via di Sviluppo Una delle principali argomentazioni portate avanti dalle multinazionali Biotech è che tali nuove tecnologie hanno la struttura e le potenzialità per poter avviare, con maggior decisione, lo sviluppo nei paesi arretrati e di essere uno dei principali mezzi per alleviare la fame nel mondo e della malnutrizione, che attualmente colpisce 800 milioni di persone secondo le stime della Fao. 115 L’adozione delle biotecnologie qualora fornissero i mezzi per una maggior produzione di alimenti, da sé non sembra abbiano le potenzialità e la struttura produttiva capace da garantire un tale risultato. Prescindendo da una semplice considerazione, ricavabile da qualsiasi rapporto della Fao, che il problema della fame nel mondo non può essere ricondotta al solo deficit nelle risorse alimentari, è da considerare come, nel complesso, il problema della malnutrizione nei paesi più arretrati, ed in generale il problema della fame nel mondo, sia il frutto di coincidenze economiche, sociali, politiche e soprattutto geopolitiche che, contrariamente a quanto spesso si afferma, non possono essere più considerate meramente contingenti e transitorie. Piuttosto la realtà dei fatti (ad esempio il caso del Farm Act in Sudafrica) sembra evidenziare come i soli meccanismi economici, lì dove sono instaurati, non rappresentano la Panacea per tale male: la fame nel mondo, le difficoltà d’accesso al benessere per una parte rilevante della popolazione del pianeta costituiscono esempi non negabili dell’esistenza dei cosiddetti Fallimenti di mercato, di qui la tesi, sempre più comunemente accettata, secondo la quale il mercato da sé non garantisce la parità di diritti per l’accesso ad una vita più equa e dignitosa. Riprendendo l’argomentazione sull’opportunità posta in essere dalle piante geneticamente modificate al fine di risolvere una situazione, che moralmente ed eticamente inaccettabile ed insostenibile, come la fame nel mondo, è da evidenziare come la storia passata abbia dimostrato come l’aumento della semplice produzione alimentare e agricola nei Pvs non sia il giusto rimedio al sottosviluppo, a meno che essa non sia parte integrante di un progetto più ampio di emersione e sviluppo socioeconomico: infatti, gli studi economici effettuati dall’Economia dello Sviluppo mostrano come, in generale, il solo sviluppo agricolo non garantisce di per sé uno sviluppo socioeconomico equilibrato di lungo periodo, soprattutto se tale sviluppo agricolo è condizionato ad una tecnologia estranea al territorio e improntata all’esportazione dei beni. In generale è possibile affermare come l’agricoltura in sé non è in grado di generare effetti tali da permettere ad un Paese arretrato di emergere senza attuare un preciso programma di coordinamento di interventi nei vari settori dell’economia, delle istituzioni centrali, dell’istruzione e della salute al fine di correggere gli squilibri esistenti, congiuntamente ad una politica di correzione, da parte dei Paesi Sviluppati, di quei meccanismi che hanno o creato o condizionato tali squilibri. 116 Utilizzando una semplice espressione di Hirschman è possibile affermare che le biotecnologie così come strutturate e gestite non sono in grado di attivare connessioni interne. Le biotecnologie finora sviluppate interessano essenzialmente prodotti destinati all’industria dolciaria e alimentare straniera, destinati né all’alimentazione interna né alla lavorazione di un’industria nazionale. La mancanza di tali connessioni è destinata a far dipendere l’agricoltura nazionale dal mercato internazionale, gestito da poche grandi multinazionali. Inoltre, essendo gli input produttivi, la commercializzazione finale, la titolarità dei brevetti estranei alla loro economia la dipendenza da tali società fornitrici dei mezzi tecnici ed intellettuali sembra essere molto forte. Dal punto di vista della maggior produzione la necessità per i Pvs di sviluppare una tale agricoltura destinata all’export, non attivante connessioni di consumo, fiscali (i prodotti Ogm secondo le multinazionali sono producibili ovunque), a monte e a valle, nel lungo periodo generano meccanismi di perdita di competitività, correlati alla mancanza di rigenerazione del contenuto tecnologico, nei confronti dei beni manifatturieri che, come numerosi studi affermano, hanno una costante rigenerazione tecnologica interna. La situazione di lungo periodo esposta porta a considerare più semplicemente che i prezzi dei beni dell’industria manifatturiera tendono a crescere in modo più significativo rispetto ai beni prodotti nell’ambito agricolo, perché nel tempo inglobano un maggior contenuto tecnologico e perché hanno la capacità di rinnovarsi ad una velocità maggiore. La maggiore produzione ottenibile, la meccanizzazione richiesta per ridurre i costi di produzione (congiuntamente al fattore capitale umano, che disincentiva la connessione di consumo), il sistema dei brevetti, la produzione di beni non specifici (mais, cotone e soia sono semplici materie prime), sembra riproporre, questa volta con la componente tecnologica, quello che storicamente è stato definito il periodo della Dipendenza, che ha portato allo svuotamento di intere nazioni, lasciate poi al loro destino. In definitiva lo sviluppo nei Pvs di tali produzioni non garantisce né lo sviluppo né la soluzione della fame nel mondo: il Brasile, ad esempio, è uno dei principali paesi esportatori di prodotti agricoli (specialmente soia, e frutta), ed allo stesso tempo è uno dei paesi colpiti dalla malnutrizione. Le biotecnologie potrebbero essere utili a tali Paesi se e solo se si attivassero per sviluppare e migliorare varietà vegetali autoctone (garantendo la tipicità e l’esclusività a vantaggio dei redditi agricoli locali), svincolando tali produzioni dalla regolamentazione 117 sui brevetti e dal controllo, da parte delle multinazionali, del mercato agro-alimentare mondiale (come sarà evidenziato nel capitolo quinto). III.10. Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni I dati utilizzati per fare le comparazioni tra coltivazioni transgeniche e tradizionali, nonostante le fonti siano autorevoli (Comunità Europea, Università statunitensi, Dipartimento statunitense per l’agricoltura, etc…), sono da considerarsi all’interno di un mercato, quello agricolo, dove le posizioni dominanti da parte di talune compagnie generano distorsioni sui prezzi dei prodotti e sulla possibilità di diversificare le metodologie di coltivazione e dove le stesse compagnie operano contemporaneamente su ambedue i mercati, quello tradizionali e quello transgenico. La non concorrenzialità del mercato, la quale sarà illustrata ed analizzata in modo più specifico nel Capitolo Quarto, costituisce un dato essenziale su come tali statistiche siano affette da errori non eludibili. La non completa affidabilità dei dati utilizzati trova la sua giustificazione anche nell’assunto che le diverse ricerche al fine di comparare le due tipologie di coltivazione risultano essere a volte in contrasto tra loro, e ciò implica necessariamente che la rilevazione e le metodologie utilizzate siano state molto diverse tra loro, come del resto gli stessi risultati, dal punto di vista quantitativo, a volte non sono comparabili; in definitiva, però, i risultati ottenuti da quegli studi che, secondo le opinioni di chi scrive, sono stati ritenuti i più completi e sono quelli che restano in ogni modo i più eloquenti e concordi con le principali ricerche. La constatazione della non concorrenzialità del mercato congiuntamente alle relazioni intercorrenti tra mercato tradizionale e transgenico fa sì che le comparazioni non siano del tutto attendibili: le società che operano nel mercato biotecnologico agricolo sono le stesse che operano nel mercato tradizionale; inoltre i mercati agricoli sono dominati da poche società che, di fatto, li controllano (nel caso del mercato tradizionale il livello di concentrazione industriale è minore di quello transgenico) e tali società sono le stesse che operano sia nei due mercati “consequenziali” sementieri sia nel mercato dei fitofarmaci. Le relazioni esistenti e create nel mercato agricolo internazionale (attraverso fusioni, alleanze strategiche tramite la concessione di utilizzo dei brevetti, strategie di segmentazione dei mercati, etc…) creano una situazione in cui non è più possibile 118 definire quali siano i veri prezzi dei prodotti, quale incidenza abbia il livello di concentrazione dei mercati sui prezzi dei prodotti transgenici e non, soprattutto non è dato sapere se tali società varino l’offerta dei prodotti al fine di rendere conveniente o meno una determinata coltivazione o semplicemente, grazie alle ingenti possibilità economiche, operino in regime di produzione sottocosto per favorire la diffusione di tali nuove tecnologie. Per tali motivi, e per la necessità di ottenere un’argomentazione che sia la più corretta e affidabile possibile, si rende necessario un capitolo, il quarto, dedicato alle argomentazioni sul mercato (concorrenzialità e relazione tra i vari mercati che interessano più da vicino il settore degli inputs agricoli) e ai suoi principali operatori, evidenziandone le strutture produttive e commerciali al fine di identificare le possibili strategie di mercato intraprese e di verificare come e quanto incidano tali strategie sul mercato agricolo internazionale, ponendo maggior rilievo alle argomentazioni riguardanti gli effetti sui Paesi in Via di Sviluppo e sulla possibilità di alleviare il problema della malnutrizione e del sottosviluppo. Capitolo Quarto LA CONCORRENZA NEL MERCATO DELLE BIOTECNOLOGIE IV.1. Introduzione Il fine del capitolo quarto è quello di descrivere la struttura del mercato transgenico e agro-alimentare in generale, per metterne in evidenza le caratteristiche peculiari economiche e non. In effetti, le sole variabili economiche rilevanti, concentrazioni, quote di mercato, operazioni di mercato, non sono in grado di descrivere il percorso attuale e futuro dello sviluppo delle biotecnologie in agricoltura. Una descrizione che metta in evidenza anche i meccanismi legislativi legati alla globalizzazione dei mercati può certamente essere un modo diverso e più proficuo per fornire al lettore una chiave di lettura più complessa e completa del fenomeno in questione. La necessità di una diversa trattazione e descrizione del mercato agro-alimentare transgenico trae origine dalla constatazione che il mercato transgenico e il suo futuro sono legati allo sviluppo delle regolamentazioni in materia commerciale e di diritti di proprietà intellettuale. Inoltre, ad un’analisi più approfondita appare sempre più evidente come leggi, regolamentazioni, quote di mercato e capacità di penetrazione nei mercati esistenti formano un insieme indissolubile di fattori che condizionano lo sviluppo attuale e futuro delle biotecnologie in campo agricolo. Nel prosieguo, dunque, verranno trattate variabili economiche cui saranno affiancate informazioni di carattere normativo, al fine di stabilire quali siano realmente le potenzialità di diffusione e il potere reale e potenziale delle compagnie che operano sul mercato, sempre mantenendo fermo il presupposto che le informazioni saranno elaborate in un’ottica di previsione di lungo periodo. La definizione di lungo periodo sarà relativa ai vari aspetti del sistema agricolo mondiale, da quello economico a quello sociale, avendo come base di riferimento il concetto di sviluppo sostenibile in tutte le sue componenti: 120 società, mercato, ambiente, risorse. La sostenibilità rappresenterà il parametro di riferimento per ogni riflessione ed ogni analisi dei fenomeni in questione. In tale ottica di lavoro verranno descritti i movimenti del mercato e il loro possibile sviluppo futuro, verranno elencate le principali compagnie del settore e i loro comportamenti, e verranno relazionate, inoltre, alle vigenti regolamentazioni tutte le variabili economiche al fine di verificare l’effettivo potenziale di sviluppo delle biotecnologie ed il ruolo delle compagnie leaders nel settore. IV.2. Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali Dalle prime commercializzazioni dei prodotti biotecnologici avvenute nel 1994, la struttura di questi mercati è profondamente cambiata. Le società operanti in tale mercato hanno rivoluzionato tutto il sistema agroalimentare: le fusioni, le alleanze, le nuove regolamentazioni nel rilascio ambientale e sull’immissione nel mercato alimentare hanno fatto sì che il sistema ne fosse radicalmente mutato. Le biotecnologie, e i loro effetti sul mercato internazionale e sull’agricoltura in generale, non possono essere considerate a sé stanti, ma vanno relazionate allo sviluppo dell’ingegneria genetica da un lato (come fonte d’innovazione), e dall’altro vanno relazionate al complesso sistema di regolamentazioni, che presenta, a nostro avviso, falle ed omissioni in favore della diffusione degli Ogm, oltre ad essere in netto contrasto con i diversi protocolli di difesa ambientale e con il Principio di Precauzione, ratificato dalla Comunità Europea. Le principali società operanti sul mercato biotecnologico sono prevalentemente multinazionali appartenenti a tre diverse aree geografiche (USA, Comunità Europea, Svizzera), le quali hanno il controllo sulla quasi totalità del mercato biotecnologico ed operano anche nel mercato sementiero tradizionale e fitofarmacologico. I principali “attori” della scena biotecnologica sono le società Monsanto, Syngenta, Aventis e DuPont, le quali detengono attualmente il monopolio delle colture transgeniche. Tali società operano in diversi mercati, ma attualmente la diffusione commerciale dei loro prodotti è relativa solamente a quegli Stati che ne permettono la diffusione ambientale, vale a dire USA, Canada e Argentina principalmente. 121 La strategia principale di tali società sembra essere indirizzata ad ottenere, attraverso fusioni e alleanze strategiche, una “fetta” del mercato transgenico attraverso la ricerca sui brevetti e la loro gestione, dal potenziale ancora incerto da un lato, e, dall’altro, tali operazioni di mercato tendono a mettere sempre più in relazione il settore agroalimentare tradizionale con quello biotecnologico, ed in particolare sembra che tali società abbiano l’intenzione di sfruttare la struttura commerciale esistente nel settore agricolo tradizionale al fine di meglio diffondere i prodotti Ogm attraverso i canali commerciali esistenti, eludendo qualsiasi forma di segregazione del mercato (in tal senso sembra essere indirizzata l’acquisto da parte della Monsanto della società Cargill, tra le principali società che commercializzano sementi). Le finalità di tali operazioni di mercato, supportate dalle nuove normative e dalle regolamentazioni sui brevetti e sui sistemi di protezione intellettuale richiesti dagli accordi Trip’s, possono essere ricondotte a due obiettivi precisi: Un obiettivo è di tipo produttivo-economico, vale a dire di estendere il controllo sull’intera filiera per favorire l’integrazione, in modo tale da trarre un vantaggio più efficiente dalle complementarità delle risorse utilizzate e create (ricerca, produzione, commercializzazione). Un secondo obiettivo è quello di favorire un maggior controllo sulla ricerca, restringendo la possibilità di accesso alle innovazioni e di distribuzione dei prodotti, tramite l’acquisizione di società di ricerca e commercializzazione esistenti ed emergenti, da parte di soggetti terzi46. Tali obiettivi pongono, congiuntamente agli alti livelli di concentrazione, limiti per l’accesso al mercato da parte di possibili concorrenti e pone i maggiori produttori e le società di ricerca (riconducibili ai medesimi soggetti economico-giuridici) in condizione di controllare gli indirizzi della ricerca stessa e di commercializzare i loro prodotti attraverso canali già esistenti, gestendo il mercato attraverso il potere finanziario e giuridico a loro favore47, e garantendo lo sviluppo solo di quelle colture economicamente rilevanti con ripercussioni sui livelli di biodiversità esistenti. 46 I limiti sono riconducibili al fatto che nella revisione del ’91 della Convenzione sulla Protezione degli Ottenimenti Vegetali (promossa dall’UPOV, Unione per la Protezioni degli Ottenimenti Vegetali) è prevista la possibilità di doppia protezione, ibridatori (Plant Breeder’s Rights, PBR) e brevetti (Patents), oltre alla possibilità di estendere la protezione a tutti i vegetali e alle varietà essenzialmente derivate. 47 Le legislazioni vigenti in materia di brevetti e protezione favoriscono i vantaggi da prima mossa, grazie alla possibilità di estendere la protezione a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate. 122 Nel complesso è facile identificare come tali società adottino strategie di mercato diverse: ad esempio la Monsanto pratica principalmente una strategia d’integrazione verticale e contemporaneamente adotta una politica sulle licenze molto diversificata, alcune sono esclusive (per il cotone, il principale fruitore autorizzato è la ditta Delta & Pine Land, la quale doveva essere acquisita dalla Monsanto stessa, ma tale acquisizione è stata vietata a causa dell’eccessivo potere di mercato che ne sarebbe derivato), alcune libere ed altre sembrano essere decise di volta in volte dalla Monsanto secondo la società richiedente; la Novartis (che dopo la fusione con parte di AstraZeneca prende il nome di Syngenta) opera in condizione d’integrazione verticale, ovvero i geni introdotti sono relativi alle sole sementi prodotte dalle società del gruppo stesso, ma ciò verrà ripreso in un secondo momento. Uno dei fattori più interessanti riguardante le biotecnologie, quindi, sembra essere proprio il fatto che i principali operatori nel mercato siano delle società multinazionali, alcune delle quali hanno sempre avuto un grande interesse nel mercato agricolo mondiale e che negli ultimi anni si sono specializzate nel settore biotecnologico grazie all’interconnessione con l’industria farmaceutica mondiale. In sintesi, fino al 1994 lo sviluppo degli Ogm è stato relativo alla ricerca di geni da introdurre nelle piante con la possibilità di migliorare l’attività agricola, ma di lì in poi la strategia delle società è stata indirizza a consolidare le proprie posizioni di mercato, a creare alleanze strategiche che, di fatto, hanno reso il mercato molto concentrato, dominato da poche grandi società che si sono alleate o fuse tra loro al fine di meglio controllare il mercato e di avviare una seconda fase di sviluppo e diffusione delle biotecnologie atta a rivoluzionare il mercato agricolo attraverso i tradizionali mercati agricoli dei prodotti fitofarmacologico e sementieri, dove le attuali regolamentazioni sui diritti di proprietà intellettuale e la possibilità a brevettare giocano un ruolo decisivo e fondamentale nelle strategie di mercato delle società del settore. IV.3. Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e fitofarmacologiche Le grandi compagnie impegnate nel settore delle biotecnologie hanno investito molto negli ultimi anni per acquisire compagnie attive nel mercato sementiero e fitofarmacologico. 123 Le principali operazioni di mercato riguardano le grandi compagnie multinazionali come Aventis, Monsanto, Syngenta e DuPont. Il riassetto societario, in atto ed in corso, è evidente anche attraverso i nomi delle società stesse, vale a dire che nel periodo 1997-2000 le società di riferimento sono cambiate perché, sempre nel periodo considerato, numerose sono state le fusioni ed in generale le operazioni di mercato che hanno rivoluzionato gli assetti societari ed in generale le strutture produttive e commerciali di fondo: la Novartis, dopo la fusione con parte di AstraZeneca, viene denominata Syngenta; la Monsanto, dopo l’ultima fusione con la farmaceutica Pharmacia & UpJohn, viene denominata Pharmacia Company; Zeneca e AstraZeneca si fondono in Advanta, Rhône-Poulenc si fonde con Hoechst per dar vita ad Aventis che incorpora anche AgrEvo. Le operazioni di mercato, alla luce degli attuali assetti societari, appaiono ancor più ristrette ad un numero esiguo di società che, di fatto, ha dominato la ristrutturazione del mercato: in particolare, se si tiene conto dell’acquisizione da parte di Monsanto della società sementiera DeKalb Genetics, della fusione tra AstraZeneca e Norvatis (che ha dato vita a Syngenta) e alla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc, il numero di società cui fa riferimento l’indagine si riduce da dieci a sette, e le operazioni principali di mercato possono essere ricondotte per il 60% (124 su 205) a tre sole multinazionali, Monsanto, Syngenta e Aventis (Tab. 34). Nel complesso, è evidente che, negli ultimi cinque anni, le società appartenenti alle Life’s Science hanno avviato una ristrutturazione del mercato agricolo; un processo di consolidamento i cui effetti sul mercato sono relativi ad una concentrazione verticale, intesa come inglobamento all’interno delle società delle filiere produttive relative ai propri prodotti brevettati, ed ad una concentrazione orizzontale, intesa come acquisizione o fusione con società simili già esistenti riducendo in tal modo il livello di concorrenzialità del mercato stesso, coinvolgendo non solo il mercato inerente le biotecnologie, ma investendo anche il mercato tradizionale con le relative influenze oligopolistiche. Le acquisizioni e le fusioni messe in atto dalle principali società del settore biotech hanno fatto sì che il controllo del mercato e delle filiere produttive agricole potesse essere ricondotto ad un gruppo ristretto di società, ma dalle potenzialità finanziarie cospicue, escludendo ogni possibilità di segregazione delle filiere: di fatto, le filiere non sono 124 distinguibili poiché i punti di commercializzazione, che presentano un discreto livello di concentrazione, e le società produttrici sono riconducibili alle stesse che operano nel mercato tradizionale. In definitiva le società biotecnologiche hanno sfruttato ed “occupato” i tradizionali mercati di produzione e distribuzione esistenti per i propri prodotti. Relativamente al mercato statunitense, gli effetti della diffusione delle biotecnologie agricole hanno investito principalmente il mercato sementiero: tali conseguenze sul mercato fitofarmacologico sono evidenti relativamente al fatto che sono state esse stesse ad entrare nel mercato sementiero, come ad esempio Monsanto, le quali hanno così allargato le proprie prospettive di sviluppo sul mercato agricolo. Il grafico 16 mostra come le acquisizioni delle principali società sementiere mondiali sono riconducibili a poche sole società delle Life’s Science, tra le quali un ruolo dominante spetta alla Monsanto (ora denominata Pharmacia) e alla società Aventis. I dati forniti dall’Usda mostrano con estrema evidenza la tendenza del mercato sementiero statunitense (primo produttore mondiale di sementi, con una quota sul totale mondiale, secondo i dati dalla FIS, del 19%) alla concentrazione tecnico-industriale, in particolare nel mercato del cotone attraverso la società Delta & Pine Land, la cui acquisizione da parte della Monsanto è stata negata dall’Antitrust statunitense perché già in possesso della società sementiera Stoneville (cui spetta il 12% del mercato sementiero del cotone), e che, di fatto, poi è stata sostituita con la possibilità di diventare unico fruitore del brevetto sulle sementi di cotone Roundup Ready, cui spetta il 71% del mercato delle sementi di cotone, vale a dire una netta posizione dominante o monopolio (Grafico 17), oltre alla posizione di rilievo nel mercato statunitense della società Pioneer Hi-Bred (DuPont), la quale vanta un posto di rilievo anche in campo internazionale, soprattutto in Europa. Nel complesso sono evidenti due fattori essenziali che hanno determinato la ristrutturazione del mercato sementiero e fitofarmacologico: 1. Le principali operazioni di mercato sono state tendenzialmente indirizzate ad un rafforzamento delle posizioni dominanti da parte di poche compagnie, tra le quali è evidente il ruolo svolto dalla Monsanto (sia come società a sé, sia come associata alla società Delta & Pine Land nel mercato del cotone sia attraverso le attività sementiere europee della Cargill). 125 Tab. 34 – Attività di consolidamento delle principali società biotecnologiche (1998) Compagnie Fusioni Acquisizioni Joint Ventures Altro Totale Monsanto (USA) 1 15 4 17 37 AgriBiotech (USA) 1 30 0 5 36 Novartis48 (Svizzera) 3 21 10 0 25 Aventis-AgrEvo (Germania) 2 15 3 2 22 AstraZeneca (Inghilterra) 0 14 1 1 16 Limagrain (Francia) 0 15 0 1 16 1 10 0 5 16 Rhône-Poulenc (Francia) 3 6 2 2 13 Dupont (USA) 0 3 2 8 13 DeKalb Genetics50 0 11 0 0 11 La Moderna/Savia (Messico49) Fonte: Brennan e altri (1999) Graf. 16 – Acquisizioni di compagnie sementiere da parte delle società della Life’s Science, 1995-1998 0 10 Monsanto 20 Aventis 30 40 Dow Chemical 50 AstraZeneca 60 Novartis 70 80 Dupont Fonte: Brennan ed altri (1999) 48 Attualmente il gruppo Novartis ha dato vita insieme con Zeneca (escluso il 50% della società in comune con la società Advanta) a Syngenta. 49 Società operante anche in Italia. 50 Le attività sementiere della DeKalb appartengono alla società Monsanto. 126 Graf. 17 – Concentrazione (CR4) per l’industria commerciale di sementi in USA, 1998 87 100 80 60 67 49 40 20 0 Mais Soia Fonte: Hayenga e Kalaitzandonakes (1999) Cotone 127 2. La non segregazione del mercato (su cui ci si soffermerà più in seguito) ha avuto l’effetto di stabilire uno stretto rapporto tra il mercato tradizionale e quello transgenico (entrambi caratterizzati da posizioni dominanti) che, di fatto, determinano una distorsione su ambedue mercati. L’attività di consolidamento viene esplicata attraverso strumenti diversificati: dalle semplici joint-ventures alle fusioni, come strumento culminante e radicale in un riassetto societario ed organizzativo. Tra le società che sono state più attive vanno considerate, relativamente al mercato delle sementi, Monsanto e Aventis, cui spettano rispettivamente, in termini di acquisizioni, 22 e 18 operazioni, importanti soprattutto dal punto di vista qualitativo51 (Graf. 16). Relativamente al mercato delle sementi e alle colture maidicole, della soia e del cotone (tradizionalmente molto diffuse in USA) appare giustificato considerarli come caratterizzati da alti livelli di concentrazione, in particolare quelli del mais e del cotone. IV.4. Le operazioni di mercato delle principali società Biotech In questo paragrafo forniremo argomentazioni e dati sulle principali operazioni di mercato effettuate dalle società Biotech, al fine di identificare una possibile strategia di mercato, evidenziando come la diffusione delle biotecnologie non sia un fatto a sé stante, ma che presenta correlazioni con il mercato tradizionale. Attraverso una struttura del mercato così composta, è possibile ipotizzare una distorsione del prezzo dei prodotti connessi al basso livello di concorrenzialità: tali società hanno in sé le capacità tecniche e finanziarie per influenzare il mercato a favore dell’una o dell’altra parte, naturalmente secondo una logica di convenienza legata sì alla produzione di sementi fitofarmaci, ma, nel contempo stesso, condizionata dalle regolamentazioni sui brevetti ed al relativo technology fee. Di seguito si cercherà di riassumere le principali operazioni di mercato avvenute negli ultimi anni e che hanno avuto una valenza sugli equilibri del mercato agricolo mondiale, il tutto suddividendole per società operante. 51 Il riferimento al carattere qualitativo è da riferirsi al potere, effettivo e potenziale, di mercato delle società oggetto dell’operazione. 128 Monsanto. Le principali operazioni di mercato della Monsanto possono essere riassunte, relativamente al periodo 1995-1999, nel seguente elenco: • Acquisizione delle società sementiere Asgrow, Holden’s Foundation Seeds Inc., DeKalb Genetics Corp., Corn States Hybrid Service Inc., attività internazionali delle sementerie Cargill (escluso Canada, Usa e Inghilterra), Sementes Agroceres (Brasile). • Tentativo d’acquisizione della Delta & Pine Land. • Acquisizione della società di ricerca Calgene, Agracetus. • Tentativo di fusione con la società operante nel settore dei fitofarmaci American Home Products, negata dall’Antitrust statunitense. • Acquisizione della società Plant Breeding International Cambridge (PBIC) da Unilever, importante trasformatore di prodotti agricoli (grano, oli di semi, ecc.) nel mercato europeo. • Collaborazione (diritto d’usufrutto della resistenza al glifosato su soia, mais e cotone) con le società Novartis, Cheminova, Dow AgroScience e Nufarm. • Collaborazione con la società Zeneca per l’uso del glifosato trimesio sulle piante. • Collaborazione con la società di ricerca Great Lakes Hybrid per la ricerca di resistenze per il mais (tale società è in collaborazione con la società sementiera KWS). • Fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia (guidata da un suo ex dirigente), dando vita alla società Pharmacia Company. • Collaborazione con la società di ricerca Genzyme Molecular oncology. • La Monsanto detiene inoltre le società: Jacob Hartz, Hybritech, Ameri-Can Pedigree, Monsoy (Brasile), First Line Seeds (Canada), Forage Genetics Inc. (collaborazione), Sensako (Sudafrica) e Custom Farm Seed. Tali operazioni sono state valutate per un controvalore maggiore di 35.000 milioni di dollari USA (27.000 milioni relativi alla fusione con Pharmacia). Novartis. La società Novartis, che dopo la fusione con AstraZeneca prende il nome di Syngenta (relativamente alla divisione agricoltura), opera principalmente nel settore farmaceutico (in principio tale società era stata originata dalla fusione tra le società 129 farmaceutiche Ciba-Geigy e Sandoz. Syngenta sviluppa le proprie ricerche soprattutto nel settore della resistenza agli insetti (BT). Tra il 1995 e il 1999 le operazioni di mercato principali sono state: • Alleanza con Acacia Bioscience per la selezione delle colture. • Collaborazione con Monsanto per l’uso del glifosato sulle colture. • Cooperazione con i proprietari dell’erbicida PPO, che include Sumitomo e Rhône –Poulenc, per la ricerca di piante resistenti al PPO. • Acquisizione delle società sementiere Eridania Beghin-Say, che include le società Agra (Italia), Agrosem (Francia), Koisel Semillas (Spagna) e altre operazioni in Ungheria e Polonia. • Fusione con AstraZeneca per dar vita a Syngenta, che vanta vendite di prodotti agricoli per 7.000 milioni di dollari (22% del mercato). • Collaborazione per un valore di 34.000 milioni di dollari con la società Myriad Genetics per la ricerca sui cereali. • Novartis include, inoltre, società come CC Benoist e Maisaduour Semences (Francia). La società Syngenta vanta un fatturato nel 1999 di 7.000 milioni di dollari, di cui 4,7 derivanti dal settore agribusiness della società Novartis. Aventis. La società nasce dalla fusione tra Hoechst (Germania) e Rhône-Poulenc (Francia) ed ha stretto relazioni con Mycogen (Dow AgroScience), Biogemma (Limagrain). La gestione delle attività dell’agribusiness, scaturita dalla fusione, è affidata alla controllata AgrEvo, la quale raggruppa tutte le attività legate alle biotecnologie applicate in agricoltura della compagnia Aventis. La fusione è stata valutata attorno ai 4.500 milioni di dollari. Tra le principali operazioni della società vanno menzionate: • Acquisizione tramite AgrEvo di Biogenetich Technology (Olanda), la quale detiene la seconda società sementiera indiana (ProAgro), specializzata nella produzione di sementi di riso, miglio, sorgo, e Misr Hytech (Egitto), specializzata in vegetali. 130 • Acquisizione della società Rio Colorado Seeds (California), specializzata nella produzione di ibridi di cipolle. • Acquisizioni di tre società sementiere brasiliane, quali Sementes Ribeiral, Sementes Fartura e Mitla Perquisa Agricola, per un controvalore di 13.000 milioni di dollari (tali società controllano l’8% delle vendite di sementi di mais e sono attive nel mercato della soia e del sorgo). • Aumento del controllo al 95% nella società Plant Tech Biotechnology. • Acquisizione della società Genex e istituzione della AgrEvoSeeds Australia, specializzata nel mais e nel sorgo. • Collaborazione, tramite la società Rhône-Poulenc, con Agritope per la ricerca sugli Ogm di seconda e terza generazione (modifiche genetiche plurime e miglioramento qualitativo), tale accordo prevede un investimento da parte di Rhône-Poulenc di 20.000 milioni di dollari in 5 anni. • Collaborazione con l’Istitute of Molecular Agrobiology per la ricerca sul riso. Aventis detiene inoltre società come PGS (Belgio), Numhens (Olanda), SunSeed (USA), Cotton Seed International (Australia) e la Cargill Hybrid (USA), Granja 4 Irmaos (Brasile), Keystone Seed, Dessrt Seed, Castle Seed, Cannon Roth. Le operazioni di mercato (esclusa la fusione iniziale) relative alle acquisizioni di Cargill, Sunseeds e PGS sono state valutate attorno a 1.200 milioni di dollari. Advanta. La società raggruppa la divisione agribusiness nata dalla collaborazione tra Zeneca (Inghilterra) e Van Der Have (Olanda) e poi dalla fusione tra Astra (Svezia) e Zeneca, esclusa la parte di Zeneca detenuta dalla società Syngenta. Tra le principali operazioni vanno citate: • La collaborazione con la ditta giapponese Japan Tobacco per la ricerca sul riso ed il mais. • La collaborazione con AgriPro (USA), con Plant Bioscence e con Maxygen tramite Zeneca, con un investimento di 20.000 milioni di dollari in 5 anni. • Tra le società facenti parte di Advanta sono da considerare: Garst, Gutwein, ICI Seed, Interstate Payco, Olds Seeds, Zenco, Mogen e Sharpes International. Il costo della fusione per dar vita a Advanta è stato stimato attorno ai 3.500 milioni di dollari. 131 DuPont. La società è leader nella produzione di sementi grazie l’acquisizione di Pioneer Hi-Bred, che è il principale produttore mondiale di sementi di ibridi di mais (42% del mercato), fornisce il 18% delle sementi di soia nel mercato statunitense ed ha recentemente acquisito la compagnia brasiliana di sementi di soia Dois Marcos. Tra le principali operazioni di mercato effettuate dalla DuPont vanno considerate: • La completa acquisizione della Pioneer Hi-Bred per un controvalore di 9.400 milioni di dollari. • La collaborazione con la società Curagen per la ricerca sull’identificazione di piante per la protezione genetica (ricerca di geni utili da brevettare). • La collaborazione con la John Innes Research Center in Inghilterra. • Acquisizione della società Protein Technologies International da Optima Quality Products. IV.5. Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di mercato In precedenza sono state illustrate le principali operazioni di mercato effettuate dalla società leaders nel settore delle biotecnologie agricole: tali operazioni sembrano caratterizzare una strategia di mercato atta al consolidamento delle posizioni dominanti congiuntamente ad un rafforzamento delle collaborazioni tra le società leaders. La mancata segregazione delle filiere produttive per sementi e la crescente collaborazione (a volte si tratta di veri e propri cambi di settore di pertinenza) tra l’industria sementiera e quella fitofarmacologica evidenziano come la caratteristica principale dei prodotti biotecnologici (quella di collegare l’uso dell’erbicida alla semente, dove il caso della strategia portata avanti dalla Monsanto, attraverso la tecnologia RR ne rappresenta il prototipo) abbia influenzato le scelte di mercato, facendo in modo che i rapporti commerciali tra le due industrie non fossero più caratterizzate da semplici relazioni, ma le continue fusioni e collaborazioni hanno fatto sì che queste si fondessero, formando un’industria unica rivolta al settore agricolo nel suo complesso, unendo le esperienze nei rispettivi settori al fine di trarre mutui benefici dalla ricerca biotecnologica. La fusione tra il mercato fitofarmacologico e sementiero ha avuto effetti evidenti anche sul mercato tradizionale. Il potere di mercato esercitato da talune multinazionali, congiuntamente alla constatazione che esse operano in ambedue i mercati (transgenico e 132 tradizionale), ha creato una situazione ambigua: infatti, entrambi i mercati sono caratterizzati da posizioni più o meno dominanti, con il risultato che non può essere rilevato, in maniera certa e quantificabile, quanto le aziende abbiano influenzato l’uno o l’altro mercato, seguendo la normale (ma non per questo eticamente corretta) logica aziendale, atta a favorire quei prodotti che potrebbero essere per le aziende più convenienti, viste le regolamentazioni esistenti sui prodotti Gm e le caratteristiche di coltivazione degli stessi. La ristrutturazione dei mercati sementieri e fitofarmacologici ha optato per la scelta di avviare una collaborazione (a volte riassunta in fusioni ed acquisizioni) tra le principali compagnie operanti nei mercati, accentuando il carattere di consolidamento del mercato, tale da farne restringere il controllo da un oligopolio costituito da una decina di società ad un altro formato da quattro società principali: Monsanto, Aventis, Syngenta e Advanta. Inoltre, tenendo conto delle relazioni di collaborazione esistenti e create di recente, è possibile ipotizzare come tale mercato oligopolistico abbia acquisito le caratteristiche di un monopolio o di un cartello, capace di influenzare il mercato attraverso non solo i prezzi e quantità, ma anche attraverso il potere, acquisito attraverso i brevetti, intrinseco nel concetto e nelle regolamentazioni degli stessi. Tra le principali operazioni e collaborazioni che fanno presupporre tale tentativo di consolidamento del mercato, attorno a poche sole società, sono da evidenziare le seguenti: La fusione recente, nel 2000, tra la farmaceutica Pharmacia e la Monsanto. L’acquisizione da parte della Monsanto, risolta poi in una licenza esclusiva per le sementi di cotone, con la società Delta & Pine Land. La spartizione della società sementiera Cargill tra la Monsanto (mercato europeo e sudamericano), l’Aventis (mercato nordamericano) e la Dow (mercato delle sementi ibride statunitensi e canadesi). La divisione della società Delta & Pine Land tra la Monsanto (mercato delle sementi di cotone, tramite la licenza esclusiva) e la società Dow (mercato delle sementi di mais e sorgo). L’acquisizione da parte di AgrEvo (Aventis) del 20% della società sementiera KWS (8° società sementiera al mondo per fatturato), la quale controlla il 25% delle sementi mondiali di barbabietola da zucchero. 133 La fusione annunciata per il Gennaio 2000 tra le società KWS (Germania) e Limagrain (Francia), rispettivamente l’ottava e la quarta società mondiale per fatturato nel mercato sementiero (relativamente alle attività legate al mais e alla soia in nordamerica). La fusione di Novartis e AstraZeneca (la parte non compresa nella fusione che ha dato vita ad Advanta) ha dato vita a Syngenta (entrambe le società erano attive sia nel mercato sementiero sia nel mercato fitofarmacologico). La completa acquisizione, da parte di DuPont, della società sementiera Pioneer HiBred, società leader mondiale nella produzione e commercializzazione delle sementi di mais. In sintesi dai dati forniti dalla Rafi (1999, 2000) è possibile costatare come le prime dieci società mondiali produttrici di sementi (cui spetta un fatturato complessivo del mercato pari al 31%), attraverso le varie operazioni di mercato, le partecipazioni azionarie possono essere ricondotte, attualmente, a sole cinque: nella restrizione del numero di società sono state incluse la Dow, che insieme con Monsanto e Aventis detiene le varie divisioni della Cargill, la società Delta & Pine Land, che collabora strettamente con Monsanto (cotone) e allo stesso tempo è parte integrante di Dow (sorgo e mais), e le società Limagrain e KWS, le quali hanno annunciato la fusione delle proprie attività nordamericane relativamente alle sementi di mais e soia. Tali strategie mostrano come le compagnie leaders abbiano ristrutturato il mercato agricolo mondiale, nelle sue componenti principali, in funzione della nuova metodologia di coltivazione delle piante transgeniche, in funzione cioè del pacchetto tecnologico composto da semente+erbicida. Dal 1996 ad oggi il mercato sementiero insieme a quello fitofarmacologico è stato oggetto di numerose operazioni di mercato caratterizzate da ingenti investimenti, in particolar modo fusioni, che hanno portato ad esempio alcune società come la Monsanto a ricoprire un ruolo di primaria importanza nel mercato agro-alimentare mondiale. Relativamente al 1997 la Monsanto era la settima società mondiale nel mercato sementiero con 200 milioni di dollari di fatturato, nel 1998 tale fatturato aumentava a circa 1800, facendola balzare al secondo posto tra le leaders mondiali del mercato. 134 IV.6. Le società che operano nel mercato agro-alimentare Le società che operano nel mercato dell’agribusiness negli ultimi anni hanno investito molto nella ricerca sulle biotecnologie agricole. Tali società, tuttavia, non sempre operano solamente nel mercato agricolo, ma spesso sono costituite da diversi settori, in particolare è evidente una stretta relazione tra le multinazionali farmaceutiche e multinazionali agricole, soprattutto riguardo allo sviluppo parallelo che le biotecnologie stanno avendo sia in agricoltura sia nella medicina (relativamente ai farmaci e agli xenotrapianti). La tabella 35 mostra come tutte le società principali, operanti sul mercato dell’agribusiness, non hanno come unico settore prevalente di vendite quello agricolo, tranne alcune come AgrEvo. Società come Novartis e Monsanto (ora denominata Pharmacia Company) vantano un’esperienza pluriennale in settori diversi. Monsanto comprende, al suo interno, tre divisioni di produzione e vendita, quella relativa all’agricoltura con Monsanto (reparto scienze della vita) Solutia (chimica tradizionale), quella farmaceutica (grazie anche alla fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia & UpJohn). Essa, ad esempio, opera in 100 paesi al mondo commercializzando prodotti come il dolcificante Misura; Novartis, d’altro canto, è una multinazionale farmaceutica di lunga esperienza che ha diviso le proprie attività in tre divisioni riconducibili a settore agricolo, alimentare e farmaceutico. Ad esempio, Novartis produce contemporaneamente il Mais BT Evento 11 (riconosciuto tra l’altro come non “sostanzialmente equivalente” in Europa insieme con altre sei piante Gm), medicinali come il Voltaren e prodotti alimentari dietetici come PesoForma; società come Monsanto, con un fatturato del 47% derivante dall’agribusiness (si stima che il 15% delle vendite sia attribuibile all’erbicida Roundup), e società come AgrEvo, la cui totalità del fatturato trae origine dal settore agribusiness, investono molto nel settore dell’agribusiness e dove hanno investito negli ultimi anni molti capitali finanziari, settore questo che secondo le loro prospettive avrà effetti sui mercati agricoli per un tempo molto lungo. In alcuni casi la concentrazione realizza economie di scala, le quali potrebbero avere l’effetto positivo di ridurre i costi di produzione. Le protezioni intellettuali e commerciali sono parte integrante del sistema biotecnologico, stimolando ricerca, sviluppo ed investimenti, ma, allo stesso tempo, le modalità di applicazione di tali normative potrebbero essere troppo restrittive, rendendo inefficiente il mercato. 135 Tab. 35 – Impatto del settore agribusiness nelle principali compagnie (1999) Compagnia Percentuale dei settori agribusiness (1999) AgrEvo 100% Monsanto 47% Novartis 26% Rhône –Poulenc 19% AstraZeneca 18% DuPont 13% Dow Chemical 9% Fonte: Commissione Europea (2000) 136 La tabella 35, ad esempio, mostra come anche le diverse compagnie non operano solamente nel mercato dell’agribusiness, bensì hanno anche l’accesso, e un discreto potere di mercato, al mercato farmaceutico. In generale, le società Biotech, proprio per ottenere economie di scala, hanno diviso internamente le divisioni agro-alimentare e farmaceutica, come, ad esempio, hanno fatto Syngenta, Aventis e Monsanto, ed in alcuni casi sembra che vogliano separare definitivamente tali attività e concentrare la propria attenzione su di un solo settore52. IV.7. La concentrazione nel mercato sementiero Lo sviluppo e la diffusione delle biotecnologie hanno avuto effetti evidenti sui vecchi assetti societari e sugli equilibri del mercato agro-alimentare. Le continue acquisizioni e collaborazioni, che si sono succedute negli ultimi anni, hanno fatto sì che il mercato ne uscisse profondamente modificato. Le prime dieci società sementiere mondiali hanno un fatturato consolidato di 6 miliardi di dollari, cioè circa l’11% del mercato mondiale. Esse controllano circa il 40% del mercato mondiale del seme certificato, per un valore di circa 15 miliardi di dollari (Giornale Ufficiale della Repubblica Francese, 1999). La tabella 36 mostra, come l’anno 1998, rappresenti un punto cruciale nella ristrutturazione degli assetti societari: tali nuovi assetti hanno influito sui livelli di concentrazione (CR4 e CR10) che nell’arco di un solo anno sono cresciuti entrambi del 10%. La maggior concentrazione stabilita per l’anno 1998, la quale non subisce variazioni di rilievo nell’anno successivo, è dovuta, in particolare, alla completa acquisizione da parte di DuPont della società Pioneer Hi-Bred ed alle acquisizioni di numerose società sementiere da parte di Monsanto, che, dal 1998, diventa uno dei primi produttori di sementi e che vanta nel suo nuovo assetto aziendale società quali DeKalb, Cargill (attività internazionali), Asgrow, Sakata, Agroceres ed altre, che le permettono di avere punti di commercializzazione e produzione in tutto il mondo, dagli USA al Brasile, al Sudafrica. Le prime tre società sementiere mondiali nel 1999 possono vantare punti di commercializzazione in tutto il mondo, dall’America all’Europa all’Africa, che permettono loro di coprire tutti i principali mercati agricoli mondiali (Tab. 37). 52 L’esempio è riferito al recente annuncio da parte di DuPont di dismettere le proprie attività farmaceutiche in favore della Novartis (Val. M., 2001) 137 Tab. 36 – I principali produttori di sementi a livello mondiale, 1997-1999 (in milioni di dollari) 1997 Rank Compagnia 1998 Fatturato Compagnia 1999 Fatturato Compagnia Fatturato 1 Pioneer53 1750 DuPont 1835+ Dupont 1850 2 Novartis 900 Monsanto 1800 Pharmacia 1700 3 Limagrain 700 Novartis 1000 Syngenta 947 4 Advanta 460 Limagrain 733 Limagrain54 700 5 Takii 430 Savia 428 Seminis 531 6 Sakata 390 AstraZeneca55 412 Advanta 416 7 Seminis 380 Kws 370 Sakata 396 8 Kws 345 AgriBiotech 370 Kws 355 9 AgriBiotech 300 Sakata 349 Dow 350 10 DeKalb56 250 Takii 300 Delta & P. L. 301 CR4 13% 23% 21% CR10 21% 33% 31%57 CR458 24% Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000) e Nomisma (1999) 53 La Pioneer Hi-Bred nel 1999 sarà completamente acquisita dalla Dupont. 54 Limagrain e Kws hanno annunciato una loro fusione nel Gennaio 2000, relativamente alle attività nordamericane legate alla soia ed al mais. 55 AstraZeneca entrerà per metà del suo capitale in Advanta, l’altra metà farà parte della fusione con Novartis per dar vita a Syngenta. 56 La DeKalb sarà acquisita dalla Monsanto insieme alle società sementiere Asgrow e alle attività internazionali della Cargill. 57 Il CR10, date le relazioni esistenti tra le diverse società, può essere definito come CR8. 58 Il CR4 in tal caso deriva dall’aver considerato la fusione tra Limagrain e Kws e dall’aver considerato che la principale divisione della società Delta & Pine Land è riconducibile alla Monsanto (cotone). 138 Tab. 37 – Accesso per le principali compagnie al mercato sementiero (1999) Compagnia Società sementiere acquisite Mais AgrEvo Cargill X Metla Pesquisa X Sementes Ribeiral X Sementes Fartura X Biogentic Technology X B.V. (BGT) X Zeneca Garst (50%) X Novartis Northrup King X Eridania Beghin X Pioneer X DuPont Monsanto Cotone X X X Mycogen X Cargill X Dekalb X X Asgrow X X Holden’s X X X X X Calgene Cargill Altri semi per oli X Protein Technologies Int. Dow Soia X X Delta & Pine Land59 X Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000) 59 La Delta & Pine Land ha l’esclusiva per la commercializzazione in Usa delle sementi di cotone Gm della Monsanto. 139 La concentrazione delle società sementiere, che nel 1997 aveva livelli del CR4 pari al 13% e del CR10 pari al 21%, si attesta nel 1999 a livelli rispettivamente del 21 e 31 per cento, vale a dire che un terzo delle vendite mondiali di sementi è riconducibile a sole dieci società e che un quinto di queste è riconducibile a sole quattro. Relativamente al 1999, tenendo conto della mancata acquisizione da parte di Monsanto della principale società sementiere di cotone degli USA Delta & Pine Land (risolta poi attraverso un accordo di esclusiva sulle sementi di cotone GM brevettate dalla Monsanto) e dall’annuncio di fusione tra la Kws e il consorzio francese Limagrain, il CR4 assume un valore del 24%, mostrando dunque come la ristrutturazione del mercato sia ancora in corso, e, lì dove non avvengono fusioni, vi sono strette collaborazioni che eludono le leggi antimonopolistiche (l’acquisizione di Delta & Pine Land da parte di Monsanto era stata annullata dall’antitrust statunitense). In un prossimo futuro non appare fuorviante considerare come il mercato sementiero possa essere controllato da poche società: Pharmacia, Syngenta, DuPont, il soggetto che uscirà dalla fusione tra Limagrain e Kws (controllata per il 20% dalla Aventis, che ha un fatturato nel settore sementiero pari a 288 milioni di dollari) ed Advanta. Tale considerazione sembra confermare come all’interno del mercato delle sementi vi siano società con posizioni dominanti, cui spetta un potere decisionale capace di agire al di fuori delle normali leggi di concorrenza, attraverso la costituzione di barriere all’entrata e attraverso una serie di alleanze e collaborazioni che, di fatto, incrementano il loro potere di controllo60. Attraverso le recenti acquisizioni Monsanto insieme con la Pioneer Hi-Bred è in grado di influenzare significativamente il mercato delle sementi di mais. Le due società hanno le potenzialità per controllare, grazie alla rete di produzione e commercializzazione, il 90% delle sementi di mais Nordamericano (Hayenga M., 1998) e l’80% delle sementi di mais italiane (il 60% è controllato da Pioneer e il 20% è riconducibile alla Monsanto, Novartis ed altre ditte sementiere francesi). In aggiunta la Monsanto ha acquisito la Asgrow per competere nella produzione di sementi di mais con Pioneer (Hayenga M., 1998) e la DeKalb che ha permesso alla società di controllare il 2530% delle sementi di soia nel 1998 (un valore cinque punti più alto rispetto al 1997). 60 Le regolamentazioni sui brevetti permettono alle società detentrici di decidere a quali società terze concedere il diritto di usufrutto, posizione questa che potrebbe avere effetti distorsivi sulla libertà di produzione, che costituiscono delle barriere all’entrata molto alte. 140 La Monsanto dopo la fallita acquisizione di Delta & Pine Land ha deciso che dismetterà la società sementiera di cotone Stoneville (cui spetta il 16% del mercato delle sementi di cotone USA), società che solo tra il 1997 e il 1998 ha visto crescere la sua quota di mercato di quattro punti grazie allo sviluppo di piante resistente al bromoxynil (Buctril). IV.8. La concentrazione nel mercato fitofarmacologico Le compagnie operanti del mercato biotecnologico negli anni recenti hanno avviato, attraverso operazioni di mercato (fusioni, alleanze), anche una ristrutturazione del mercato dei prodotti fitochimici. La ricerca di nuovi assetti all’interno del mercato agroalimentare ha comportato, conseguentemente al maggior collegamento tra sementi ed erbicidi (Technology Package), l’adozione strategie di mercato, da parte delle maggiori compagnie, atte a consolidare il rapporto esistente tra il settore degli inputs primari agricoli (sementi e fitofarmaci). Tra le operazioni che più tra tutte hanno modificato gli assetti societari, e di conseguenza la struttura del mercato, si evidenzia la fusione tra i due colossi AgrEvo e Rhône-Poulenc che ha dato vita ad Aventis, la quale è diventata la prima società al mondo per fatturato (4.676 milioni di dollari) operante nel mercato dei fitofarmaci. La ristrutturazione del mercato fitofarmacologico ha avuto effetti sul mercato e sul suo livello di concentrazione: il tasso di concentrazione CR4, tra il 1997 e il 1998, aumenta dal 41 al 51 per cento, mentre il CR10 aumenta dall’82 al 91 per cento (Tab. 38). E’ possibile affermare come il mercato fitofarmacologico abbia un livello di concentrazione altissimo: le prime dieci società al mondo controllano la quasi totalità del mercato, operando in un mercato strettamente oligopolistico e le prime quattro controllano la metà del fatturato mondiale dei prodotti chimici applicati all’agricoltura. Tale situazione non concorrenziale, da parte del mercato dei fitofarmaci, mostra, con estrema evidenza, come nel corso degli ultimi anni, in particolare tra il 1996 e il 1999, tale mercato sia stato oggetto di spartizione ed acquisizione da parte delle società operanti nel mercato biotech. La ricerca da parte delle principali compagnie operanti nel biotech di altre che potessero garantire una migliore gestione dei prodotti biotecnologici, ha fatto sì che queste ultime si fondessero tra loro e, nello stesso tempo, si fondessero o avviassero delle collaborazioni con le società sementiere. Lo schema interpretativo delle 141 ristrutturazioni in atto possono essere ricondotte al successo avuto dalla società “pioniera” nel mercato biotecnologico, la Monsanto, che ha fatto della concentrazione e fusione tra il mercato sementiero e fitofarmacologico il suo punto di forza e il suo passe-partout per la conquista di grosse fette di mercato. La strategia di mercato messa in atto dalla Monsanto ha fatto sì che il proprio fatturato passasse, nel solo settore agro-chimico, da circa 2.555 milioni di dollari del 1996 a 4.032 del 1998 ed, allo stesso tempo, il fatturato nel mercato sementiero passasse da 200 milioni di dollari del 1997 ai 1700 del 1998 (Nomisma, 1999; Rafi, 1999). L’interesse scaturito dalle società impegnate nel biotech nasce dal linkage tra la semente biotecnologica e l’erbicida, caratteristica fondamentale del pacchetto tecnologico relativo alla metodologia HT. Ad esempio Monsanto, grazie all’acquisizione di società sementiere e agro-chimiche, è riuscita a sfruttare in prima persona i ricavati dei suoi due principali brevetti, Roundup erbicida e Roundup Ready sementi, dando origine al nuovo modo di relazionarsi con il settore agricolo, ovvero fornendo ai coltivatori un unico pacchetto necessario per coltivare, i cui componenti sono prodotti e tutelati dalla Monsanto stessa: in tal modo la società garantisce a se stessa il monopolio sulle nuove tecnologie sia dal lato delle sementi sia dal lato degli erbicidi. Nel Luglio 1998 era stato annunciato un tentativo di fusione tra la Monsanto e l’industria leader nella produzione di erbicidi per le piantagioni di soia American Home Products (che controlla American Cyanamid), respinto poi dall’Antitrust statunitense (Hayenga, 1998). Tale fusione dal valore di circa 35.000 milioni dollari avrebbe ulteriormente condizionato il mercato fitofarmacologico, facendo attestare l’indice CR4 al 47% per il 1997 e al 58% nel 1998. L’effetto di tale fusione avrebbe fatto guadagnare alla Monsanto la leadership nella produzione di fitofarmaci (soprattutto per coltivazione di soia), sarebbe nata una società dal fatturato, nel solo settore agro-chimico, di 6.226 milioni di dollari, e che avrebbe avuto il controllo del 20% del mercato agro-chimico. L’interesse scaturito per AHP nasce dalla rapida diffusione della soia GM, e AHP è sempre stata una società leader nel mondo nella produzione di erbicidi, insieme alla Monsanto, per le coltivazioni di soia. Fino alla fine del 2000, data di scadenza del brevetto sul Roundup, la Monsanto è riuscita a gestire, come meglio ha ritenuto, le strategie di mercato per i prodotti GM, poiché la principale tecnologia sviluppata è quella HT e dove la resistenza al glifosato è la 142 Tab. 38 – I principali produttori di fitofarmaci a livello mondiale, 1997-1999 (in milioni di dollari) 1996 Rank Compagnia 1997 Fatturato Compagnia 1998 Fatturato Compagnia Fatturato 1 Novartis 4068 Novartis 4140 Aventis61 4676 4 Zeneca 2638 Monsanto 3126 Novartis 4152 2 Monsanto 2555 Zeneca 2673 Pharmacia 4032 5 AgrEvo 2475 Dupont 2518 DuPont 3156 3 Dupont 2472 AgrEvo 2348 AstraZeneca 2897 7 Bayer 2350 Bayer 2265 Bayer 2273 6 Rhône-Poulenc 2203 Rhône-Poulenc 2220 A.H.Products62 2194 9 Dow 2010 Am.Cyanamid 2119 Dow 2132 8 Am.Cyanamid 1989 Dow 2000 Basf 1945 10 Basf 1536 Basf 1863 Makhteshim 801 CR4 40% 51% CR10 82% 91% Fonte: Commissione Europea (2000), Nomisma (1999) e Rafi (1999) 61 Nata dalla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc. 62 Società che controlla American Cyanamid. 143 più diffusa da conferire alle piante, seguita dal Bromoxynil e dal glufosinato ammonio. Il grafico 18 mostra sinteticamente l’evoluzione dell’industria fitofarmacologica, evidenziando schematicamente come le continue fusioni abbiano aumentato il livello di concentrazione all’interno del settore. Le fusioni avvenute, tra le principali società agro-chimiche, hanno fatto sì che il mercato si fosse consolidato attorno a poche sole società: Pharmacia, Syngenta, Aventis, Advanta, oltre alla Dow. Le prime fusioni sono avvenute nel 1996 con le joint-ventures tra Zeneca e Van Der Have, che ha dato vita ad Advanta (sementi), e tra Hoechst e Shering (fusesi nel 1998), che ha dato vita ad AgrEvo (la quale sarà assorbita in Aventis). Successivamente, nel 1996, avvengono le fusioni tra Ciba-Geigy e Sandoz, creando Novartis, che a sua volta nel 1999 si fonde con AstraZeneca (la parte non inclusa in Advanta) per dar vita al colosso agro-alimentare Syngenta. Il 1999 rappresenta un anno di fondamentale importanza per il mercato agrochimico, ed agro-alimentare in genere, poiché proprio durante tale anno avvengono ulteriori fusioni e appaiono più evidente le finalità delle singole operazioni di mercato: la fusione tra Pharmacia & UpJohn (la quale sembrava non essere interessata inizialmente all’avventura biotecnologica) e la Monsanto (dopo il divieto da parte dell’Antitrust statunitense di attuare la fusione con AHP) dà vita ad un colosso attivo sia nel campo sementiero sia agro-chimico; la fusione tra Rhône-Poulenc e AgrEvo dà vita ad Aventis, la prima compagnia al mondo per fatturato nel settore agro-chimico; Advanta (sementi) nata nel 1998, avvia una fusione con AstraZeneca, nata come joint-venture tra la controllata Zeneca e la società svedese Astra. Un particolare di rilievo, oltre alla tendenza al consolidamento del mercato agrochimico, appare evidente nel percorso di formazioni delle compagnie Advanta e Syngenta, vale a dire che la società AstraZeneca è divisa tra le due. La posizione di AstraZeneca, ad un’analisi più approfondita, funge da punto di collegamento (anche se le due società sono separate) tra le due società: infatti, Novartis prima della fusione aveva una struttura indirizzata principalmente alla chimica, mentre Advanta aveva una struttura societaria più specifica per il settore sementiero, AstraZeneca, invece, trae beneficio (oltre ad essere se stessa una compagnia leader nei due settori) dalle caratteristiche societarie sia di Novartis sia di Advanta. 144 Graf. 18 – Evoluzione degli assetti societari che ha dato origine alle principali società fitofarmacologiche mondiali Monsanto Pharmacia Pharmacia & UpJohn Ciba-Geigy Novartis Sandoz Syngenta Astra A. B. AstraZeneca Zeneca Van Der Have Advanta Advanta Hoechst AgrEvo Shering Aventis RhonePoulenc Fonte: nostra elaborazione su dati Nomisma (1999), Rafi (1999, 2000) 145 La società ZenecaSeeds, del gruppo Advanta, nel 1998 ha avviato una collaborazione con AHP63 per lo sviluppo delle biotecnologie, non transgeniche, al fine di introdurre caratteristiche di resistenza agli erbicidi in modo naturale nel mais: Zeneca si occuperà della ricerca sulle sementi e AHP si occuperà della ricerca sull’erbicida cui resistere (tale nuova ricerca è indirizzata anche verso piante ibride). IV.9. La concentrazione dei brevetti Nel contesto delle biotecnologie la possibilità di ottenere un brevetto è indispensabile per garantirsi un posto nel mercato. Le grandi compagnie mondiali, negli ultimi anni, hanno finanziato grossi investimenti nel settore della ricerca, sia in capitale umano sia attraverso la collaborazione o l’acquisizione di centri di ricerca capaci, nei mezzi e nelle capacità intellettuali di garantire un certo numero di brevetti biotecnologici nel minor tempo possibile. Il brevetto, nello sviluppo degli Ogm, rappresenta per ogni azienda, che voglia avere un posto di rilievo nel mercato, il primo passo. Il potenziale di sviluppo di un’azienda nel mercato agro-alimentare, in particolare quello transgenico, è proporzionale alla capacità finanziaria di acquisire o avviare collaborazioni in centri di ricerca64. Il brevetto su una varietà vegetale transgenica, viste le regolamentazioni restrittive connesse, dà il diritto alle compagnie, per un ventennio o più, di agire in condizioni di monopolio, quindi di gestire secondo le proprie strategie di mercato i benefici derivanti dall’esclusiva connessa. Negli anni dello sviluppo delle biotecnologie transgeniche alcune aziende, come la Monsanto, hanno avuto la possibilità, attraverso grossi investimenti nelle ricerche, di imporsi sul mercato. La posizione leader della Monsanto sembra essere legata ai due brevetti ”base” sulle tecnologie Roundup Ready sementi e Roundup erbicida, che ha permesso alla società di gestire al meglio l’ingresso dei propri prodotti Gm in agricoltura, in particolare in quella delle materie prime industriali (mais, soia, cotone), tramite i prezzi delle sementi e degli erbicidi. 63 AHP è stata la prima società nel 1992 ad ottenere una resistenza agli erbicidi, in modo naturale e non transgenico, nelle piante di mais. 64 I centri di ricerca spesso sono collaborazioni nate tra biotecnologi indipendenti con fondi a rischio, denominate StartUp, che una volta raggiunto il traguardo di un brevetto biotecnologico diventano oggetto di acquisizione, brevetto compreso, da parte delle grandi compagnie multinazionali. 146 La tabella 39 mostra la ripartizione delle prove sperimentali in campo in USA dal 1987 al 1998 ripartita tra le diverse compagnie. Le ripartizione delle prove sperimentali fornisce due indicatori fondamentali: l’uno riguardante la ripartizione dei brevetti, l’altro ci fornisce un quadro più completo sulle aziende che, più tra tutte, sembrano essere interessate alla ricerca sul transgenico. I dati indicano come il livello di concentrazione delle prove in USA sia molto alto, 74% per il CR4 standard e 71% per CR4, relativo alle sole compagnie private: le compagnie private comprendono Monsanto, 38.2%, DuPont, 16%, Aventis, 10.5%, e Novartis, 5.8% (Tab. 39). La Monsanto può essere considerata la compagnia leader nel settore delle sperimentazioni su campo, che è l’ultimo stadio prima della coltivazione su larga scala ai fini commerciali: infatti, nonostante non sia stato compreso il dato relativo a Delta & Pine Land, che la società leader nel settore del cotone (71% del mercato statunitense), ad essa spetta quasi il 40% delle prove, evidenziando come tale società abbia un notevole interesse sul futuro delle applicazioni biotecnologiche al settore agricolo. La posizione di rilievo nel numero delle prove sperimentali relativa a Monsanto è attribuibile anche al beneficio apportato dalla società acquisite tra il 1997 e il 1998, le quali hanno contribuito per ben 810 prove su 2531. Seconda nel numero di sperimentazioni è la compagnia DuPont, cui spetta il 16% delle prove condotte, soprattutto grazie al contributo apportato dall’acquisizione totale di Pioneer (leader nella produzione di sementi di mais e cui spetta una posizione di rilievo internazionale sul controllo del germoplasma del mais), alla quale vanno attribuite ben 672 prove su 1060 riconducibili alla DuPont, circa il 63% del totale. Tra le 6616 prove condotte nel decennio considerato, una posizione di rilievo negli USA va attribuita anche alle Università che con 612 prove condotte, 9.3% del totale. Il caso europeo è ben diverso dal contesto USA: infatti, le prove condotte sono state 1283, nel periodo 1990-1998 (Tab. 40). Le più contenute autorizzazioni europee alle sperimentazioni su campo sono da ricondurre a diversi fattori, che hanno esercitato un’influenza negativa sul numero delle sperimentazioni: tali fattori di riduzione vanno ricercati su due fronti complementari, l’uno economico e l’altro legislativo. 147 Tab. 39 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante transgeniche negli USA dal 1987 al 1998 Rank Società/Ente Numero % 1) Monsanto65 2531 38.2 2) 3) DuPont Aventis 1060 696 Monsanto 1716 DeKalb 280 Calgene 258 Asgrow (agronomiche) 123 Agracetus 26 Holden' s 63 Altre 5 Pioneer Hi-Bred 672 DuPont 388 AgrEvo 499 Cargill (USA e Canada) 106 Plant Genetics Systems 60 Rhône-Poulenc 22 Altre 14 Seminis Vegetable Seeds 67 Dna Plant Tech 82 PetoSeed 70 Asgrow (orticole) 91 16 10.5 4) Università 612 9.3 5) Novartis 386 5.8 6) Seminis 310 4.7 Altri 1021 15.4 Totale 6616 100 CR4 4899 74 CR4 (privato) 4673 71 Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999) 65 Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile. 148 Il fattore economico va ricondotto alla minor necessità da parte del settore agricolo europeo ad utilizzare e sperimentare piante transgeniche, dato che la Comunità Europea non ha problemi di deficit di produzione: infatti, le politiche comunitarie tendono a contenere le produzioni agricole al fine di salvaguardare i prezzi dei prodotti e i redditi del settore agricolo; in secondo luogo, le caratteristiche delle prime piante GM non risolvono i problemi agricoli locali (in particolare nel caso di tecnologie BT la possibile adozione di tale tecnica risulta non necessaria, dato che le popolazioni di piralide potrebbero, potenzialmente, attaccare solo il 2% delle coltivazioni di mais), e vanno in controtendenza alle politiche agricole comunitarie intente (in particolare in Italia) a salvaguardare le colture locali e le tipicità dei prodotti regionali, attraverso le certificazioni DOC (Denominazione di Origine Controllata), DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e le politiche delle quote agricole. Le piante Gm non offrono un maggior valore della produzione in favore degli agricoltori da un lato, e dall’altro le possibili maggior rese non sono eco-compatibili, poiché contribuirebbero ad una maggior erosione dei suoli coltivati e non rappresentano, ad oggi, un’alternativa valida ed affidabile dato che si tratta di un sistema di produzione recente e ancor poco conosciuto nei suoi effetti di lungo periodo, sia sull’uomo sia sull’ambiente. Il fattore legislativo, in accordo con la Convenzione sulla Biodiversità ratificata nel trattato di Maastricht, si pone obiettivi atti a rispettare i redditi degli agricoltori da un lato e dall’altro esercita i propri poteri attraverso la salvaguardia dell’ambiente, attraverso un approccio legale che tende a ridurre al minimo i rischi connessi a tali colture, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista dei diritti dei consumatori, applicando alla lettera il Diritto alla salute sancito nel Trattato di Nizza (2001). La presa di posizione dell’UE sulle questione rurali è evidente anche dai dati sui livelli di concentrazione delle prove sperimentali, visto che alle Università e agli Enti Governativi spettano 227 prove su 1283, circa il 17.7% del totale. L’indice di concentrazione CR4 (58.2%, 747 prove) è relativamente basso, se confrontato a quello statunitense; invece, quello delle sole aziende private è del 47.7% (612 prove). 149 Tab. 40 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante transgeniche nell’UE dal 1990 al 1998 Rank Società/Ente Numero % 1) Aventis 257 20.0 3) 2) 4) 5) 6) Enti Gov./Univ 66 Monsanto Advanta Novartis 227 17.7 132 10.3 131 92 Plant Genetics System 127 AgrEvo 86 Rhône-Poulenc 30 Nuhems 7 Altre 7 Monsanto 97 Asgrow 16 DeKalb 8 Pbi 7 Cargill (attività europee) 4 Advanta 5 Van Der Have 70 Ses 35 Mogen 25 Zeneca-ICI 12 Altre 19 Novartis 19 Ciba-Geigy 37 Altri 36 10.2 7.2 Altri 444 34.6 Totale 1283 100 CR4 747 58.2 CR4 (privato) 612 47.7 Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999) 66 Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile. 150 Tra le società che sperimentano nel territorio europeo spicca il ruolo della compagnia franco-tedesca Aventis, cui spettano 257 prove, circa il 20% del totale, seguita (escludendo quelle non private) da Monsanto con 132 prove, circa il 10.3% del totale e da Advanta cui spettano 131 prove, circa il 10.2%, grazie in particolare al contributo della società interna Van Der Have (Olanda), che garantisce ad Advanta più del 50% delle prove condotte (Tab. 40). IV.10. La concentrazione nel mercato transgenico I dati finora mostrati sono relativi alle società che operano nel mercato agricolo in generale, tradizionale e biotecnologico, senza distinzione. Le compagnie che operano nel mercato biotecnologico, è da dire, sono le stesse che operano nel mercato tradizionale, di qui la necessità di analizzare i mercati sementiero e fitofarmacologico nel loro insieme. Le operazioni di riassetto societario, nel mercato agricolo in generale, hanno profondamente cambiato i rapporti di forza nello stesso e gli indirizzi di ricerca agronomica, oltre agli indirizzi di ricerca di possibilità di profitto. Il fatto che le società operanti nel mercato tradizionali sono le stesse che detengono il monopolio delle coltivazioni transgeniche pone problemi sulla libertà di scelta del mercato agricolo e dei consumatori. La possibilità che le maggiori aziende Biotech, attraverso il technology fee o attraverso variazioni di produzione, possano influenzare il mercato agricolo, appare realizzabile: le possibilità finanziarie, le regolamentazioni vigenti e il technology fee offrono alle società la possibilità e la potenzialità di favorire l’una o l’altra coltura, oltre alla possibilità di influenzare il mercato attraverso il canale dei prodotti fitofarmacologici, il quale appare più concentrato di quello sementiero (sotto il controllo delle medesime società che producono sementi). Tale condizione anticoncorrenziale, congiuntamente alle regolamentazioni in materia di brevettabilità e protezione vegetale, pone problemi di accesso e di distribuzione dei vantaggi derivanti dalle ricerche agronomiche, a scapito del settore di destinazione degli inputs agricoli, il quale risulta condizionato dalle oscillazioni dei prezzi dei mercati degli inputs agricoli determinabili dalle scelte delle società leaders nel mercato agricolo in generale. 151 Le statistiche fornite dalla RAFI nel 2000, indicano come il settore agroalimentare transgenico abbia livelli di concentrazione che rasentano il monopolio assoluto da parte di un’azienda, la Monsanto (ora Pharmacia), la quale controlla l’87% del mercato transgenico, 34.8 milioni di ettari coltivati con i prodotti Monsanto sui 39.9 totali nel mondo, con un incremento sull’anno precedente del 48%, da 23.5 a 34.8 milioni di ettari coltivati (Rafi, 200067). La posizione della Monsanto nel mercato transgenico appare consolidata: la società è tra le prime al mondo nella ricerca, nel mercato sementiero, nel mercato fitofarmacologico e nelle acquisizioni societarie, che hanno trasformato l’azienda, prima interessata solo al settore degli erbicidi (il Roundup in particolare), nella società leader nel settore agricolo mondiale. Il grafico 19 mostra la ripartizione societaria del settore agricolo mondiale, transgenico e tradizionale, tenendo conto sia delle quote effettive di mercato sia del potenziale: i dati evidenziano come cinque grandi compagnie al mondo abbiano il totale controllo del settore sementiero agrobiotecnologico, Monsanto (80%), Aventis (7%), Syngenta (5%), Basf (5%) e DuPont (3%) (Rafi, 2000). Le stime sono state effettuate da un gruppo di analisti agrochimici della società Wood McKenzie, anche se la Rafi ritiene che il potere di mercato della Monsanto sia ancora più alto. Risulta ben evidente come le statistiche fornite dai vari Enti, come la RAFI, l’USDA o Wood McKenzie, siano tra loro molto eterogenei. Tale eterogeneità, senza dubbio, è da ricondursi alle diverse metodiche utilizzate nell’elaborazione dei dati: alcune basate sulla quota di fatturato che le singole società detengono, altre hanno utilizzato misure più reali, studiando il reale potere di mercato, diretto ed indiretto68. IV.11. L’integrazione verticale ed orizzontale Un nuovo aspetto che non può essere trascurato, il quale scaturisce dalle recenti operazioni di mercato, riguarda la concentrazione nelle mani di poche società di tutta la filiera agro-alimentare e l’accesso alle nuove tecnologie agricole. 67 La fonte utilizzata dalla Rafi è proprio la Monsanto: infatti, l’articolo è basato su un comunicato stampa del 10 Febbraio 2000 intitolato “Monsanto Reports 1999 Fourth-Quarter And Full-Year Results”. 68 Attraverso misure atte a verificare il potere di influenza sul mercato, non determinato solamente dal fatturato, ma anche dal numero di brevetti, dalla capacità finanziaria e di espansione sui mercati. 152 Graf. 19 – Quote di mercato agricolo mondiale per società (1999) 100% 90% 80% 70% 60% DuPont Basf 50% 40% 30% 20% 10% 0% Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (2000) Syngenta Aventis Monsanto 153 Le “campagne acquisti” portate avanti da società come Monsanto, DuPont e la Dow evidenziano come lo scopo finale sia quello di consolidare il rapporto tra mercato sementiero e fitofarmacologico, rapporto questo insito nell’applicazione delle nuove metodologie, e di collegarle alle società che “producono” brevetti. Una situazione del genere stabilisce un nuovo sentiero per lo sviluppo del sistema agro-alimentare: tale sentiero, oltre all’industrializzazione del settore agricolo, è costituito dalla possibilità di unificare la filiera produttiva in senso totalitario, vale a dire non solo si ha un consolidamento del potere di mercato da parte di alcune compagnie, ma si è anche inglobata nella filiera il settore della ricerca scientifica del settore. In una tal situazione ogni compagnia ha in sé la struttura ed il potenziale di controllo dell’intera filiera agricola, dalla produzione di brevetti a quella delle sementi e dei prodotti chimici (nel caso di particolari prodotti, come ad esempio la colza con alto contenuto laurilico, tale controllo si estende alla commercializzazione finale verso l’industria richiedente), lasciando all’agricoltore solamente il lavoro nei campi e la consegna del prodotto ai mercati internazionali che provvedono a commercializzarlo. Ogni compagnia, data una tale struttura completa, ha in sé il potenziale per trarre dei vantaggi economici da ogni settore della filiera produttiva, ivi compresa la possibilità di distribuire le quote di valore aggiunto, prodotte dalle singole parti della filiera, secondo precise logiche di mercato. In particolare ogni azienda ha la possibilità di distribuire il profitto complessivo tra le varie componenti della filiera: ciò darebbe la possibilità di produrre sottocosto, ad esempio, la semente a favore dell’erbicida usato e viceversa; è possibile che le compagnie decidano di sfruttare solo il brevetto tramite il pagamento di royalties, o che le compagnie decidano, attraverso le variazioni di offerta di rendere conveniente un prodotto tradizionale o uno transgenico, visto che le stesse compagnie operano in ambedue i mercati, caratterizzati entrambi da un’elevata concentrazione (misurata non solo dalle quote di mercato, ma anche dal potenziale di espansione sui mercati, e dal numero di mercati raggiungibili). Le operazioni di mercato hanno da un lato favorito la concentrazione verticale (la filiera allargata69) e dall’altro hanno dato vita ad un’integrazione orizzontale, vale a dire 69 La definizione di filiera allargata si riferisce al fatto che generalmente il settore della ricerca non viene classificato all’interno della filiera, perché estraneo al processo produttivo, ma nelle biotecnologie la ricerca diviene parte 154 operazioni che non hanno creato società nuove da introdurre nella filiera, ma le principali compagnie hanno acquisito o avviato collaborazioni con società esistenti, ben strutturate e con una lunga esperienza nel mercato. Tale interiorizzazione, congiuntamente al controllo della filiera, ha avuto effetto ancor più consolidante nel mercato agro-alimentare, lasciando nelle mani di pochissimi, quello che prima era nelle mani di pochi, con la conseguenza di poter avere degli effetti distorsivi sul mercato. La concentrazione è dovuta alla constatazione che le più importanti industrie sementiere (Asgrow, DeKalb e Ciba Sementi) e i titolari di brevetti inerenti le biotecnologie (Calgene, Ecogen, Agracetus, Plant Genetics Systems, Mycogen e DNA Plant Technology), oltre alle Start-Up, sono stati assorbiti dalle grosse compagnie agro-chimiche come la Monsanto, la DowElanco e la DuPont: in tal modo la tecnologia si è consolidata e sviluppata entro un ristretto numero di compagnie che hanno controllo dell’accesso alle applicazioni specifiche, vale a dire che tramite i brevetti sui geni viene meno la libertà di ricerca su di loro e su di un loro possibile riutilizzo diverso e più produttivo. All’interno delle società che detengono il maggior potere di mercato, la Monsanto sembra esserne il prototipo: la società è sempre stata attiva nel settore della produzione di sostanze chimiche per l’agricoltura70, in particolare il brevetto sul glifosato (il RoundUp) è stato il risultato più importante e remunerativo insieme alla produzione di PBC, un composto oleoso che conduce calore, ma non elettricità, utilizzato per svariati scopi (dalle apparecchiature elettriche all’uso come sgrassatore per i sottomarini nucleari71), di cui poi si scoprì nel 1969 la nocività e la sua presenza nella catena alimentare (nel 1968 in Giappone a Kyush si ammalarono 1300 persone per aver mangiato riso contaminato da PCB), oltre al fatto che tale sostanza, biodegradabile dopo molti anni, si fosse depositata soprattutto nelle regioni polari, con conseguenze gravi per l’intera popolazione umana e animale. Negli ultimi anni la Monsanto ha dato vita ad una serie di acquisizioni atte a incorporare l’intera filiera produttiva agricola: infatti, la società detiene la proprietà di fondamentale nella possibilità di produrre sementi biotecnologiche. Essa funge da chiave di accesso senza la quale non è possibile produrre, congiuntamente alle collaborazioni o alle acquisizioni di società nel settore agro-chimico. 70 La Monsanto, insieme alla Dow, è diventata tristemente famosa per la produzione dell’erbicida Agente Orange usato durante la guerra in Vietnam, il quale serviva a defogliare le piante, poi rivelatosi essere nocivo alla salute: secondo alcune stime, escludendo i militari USA, si calcola che fino ad oggi siano morti a causa di tale erbicida circa 500.000 bambini vietnamiti (The Ecologist, 1998). Il TCDD (una diossina), che compone l’Agente Arancio, è stato considerato il più tossico tra le diossine mai prodotte e conosciute dall’uomo. 71 Secondo l’Ecologist, la Monsanto conosceva gli effetti nocivi del PCB dagli anni ’30. 155 aziende che si occupano dalla ricerca alla commercializzazione delle sementi. La compagnia in tal modo dispone di tutte le competenze necessarie, tutelate e salvaguardate dalle regolamentazioni internazionali, per sfruttare al meglio i ritrovati biotecnologici. Il grafico 20 mostra la struttura della società suddivisa per attività. La società possiede inoltre: Società sementiere quali DeKalb, Cargill (attività internazionali), Asgrow, Holden’s Foundation. Società titolari di brevetti e attive nel settore della ricerca, quali Calgene, Agracetus e PBI. Il comparto della chimica applicata all’agricoltura è affidato alla Monsanto stessa, da tener presente inoltre che la società si è recentemente fusa con un’altra multinazionale della chimica Pharmacia & UpJohn (diretta attualmente da un suo ex dirigente), oltre al tentativo di acquisizione della multinazionale della chimica AHP (di proprietà dell’American Cyanamid). La struttura societaria della Monsanto (ora Pharmacia) contiene al suo interno i vari “pezzi” della filiera produttiva, garantendo alla società un controllo ottimale sulla creazione di ricchezza in ogni comparto72, ognuna delle quali dispone di un discreto potere di mercato. IV.12. I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti L’analisi quantitativa sui livelli di concentrazione tecnico-industriale, nel mercato agro-alimentare, va considerata in relazione alle possibilità di esercitare il potere indotto e dai brevetti e dalle potenzialità finanziarie ed economiche di diffusione delle compagnie operanti nel settore. I sistemi di protezione intellettuale sulle varietà vegetali esercitano influenze sulla possibilità di accesso alle conoscenze nuove da un lato, e dall’altro limitano la possibilità che tali ritrovati siano di appannaggio dei “veri proprietari” (i Paesi d’origine dei geni brevettati), soprattutto in termini di remunerazione. 72 In tal modo la società è in grado di attingere valore aggiunto da qualsiasi settore della filiera produttiva, potenzialmente sfruttando il diverso potere di mercato di cui dispone nei vari settori. 156 Graf. 20 – Struttura societaria di Pharmacia ATTIVITA’ DI RICERCA PBI, Calgene, Agracetus PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DI SEMI Cargill, Holden’s, Agrow, DeKalb PRODUZIONE DI FITOFARMACI Pharmacia e Monsanto Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (1999,2000) 157 Le normative internazionali sui ritrovati vegetali fanno riferimento essenzialmente all’Unione per la Protezione degli Ottenimenti Vegetali (Upov), relativamente alle varie versioni modificate durante gli anni, l’ultima risale al 1991. L’ultima revisione del sistema di protezione Upov nasce dall’esigenza di ovviare ad alcune lacune nelle regolamentazioni sui Diritti di Protezione Intellettuale, le quali vietavano la brevettabilità dei ritrovati vegetali e degli esseri viventi in generale: infatti, l’articolo 27.3 (b) degli Accordi sui Diritti di Protezione Intellettuale Commerciali o TRIPS stabilisce l’impossibilità di brevettare piante e animali, ma contempla la possibilità, meglio ancora la necessità di brevettare o di proteggere attraverso un sistema sui generis o una combinazione di entrambi gli ottenimenti e le varietà vegetali. Il sistema Upov ’91 è un sistema sui generis, vale a dire è un sistema specifico ed unico di individuazione di una nuova varietà vegetale (naturale o transgenica), che permette ai ricercatori e alle società interessate di far valere i propri diritti di proprietà sui nuovi ritrovati, anche se semplicemente si tratta di una varietà già esistente73, della quale sono state identificate e confermate delle caratteristiche distintive. La nascita della regolamentazione Upov è legata alla necessità di tutela, da parte degli enti sovrani, degli ibridatori dei Paesi Sviluppati (PBR), impegnati nella ricerca di nuove varietà vegetali che potessero avere delle caratteristiche desiderate per i sistemi di coltivazione attuali, attraverso o un aumento delle rese o una diminuzione dei costi o al fine di ottenere delle varietà merceologicamente più valide o tutti i fattori citati (nel miglior caso possibile). Attraverso un sistema di protezione siffatto si garantisce la tutela dei diritti degli ibridatori e delle loro ricerche al fine di garantire la protezione di un ritrovato vegetale con finalità commerciali e tale da garantire, nel contempo stesso, una remunerazione per chi avesse intenzione di investire capitale finanziario ed umano in tali ricerche. La revisione del 1991 degli accordi Upov, però, prevede un articolo che più tra tutti ha suscitato le polemiche da parte dei PVS, contrari al recepimento di tale direttiva internazionale, perché limitativo della sovranità sulle risorse genetiche e del diritto di 73 La relazione è rintracciabile nella doppia protezione, brevetti e protezione commerciale, prevista dalla Convenzione del ’91. La normativa statunitense prevede la possibilità di brevettare anche le scoperte qualora queste fossero conosciute solo da una stretta minoranza di individui isolati. Nella pratica secondo la legge statunitense è possibile brevettare anche ciò che già esiste in natura, purché non conosciuta alla collettività, e prevede inoltre di richiedere dei sistemi di protezione brevettale poco specifici, che potrebbero avere ripercussioni anche su ritrovati vegetali non correlati, ma simili. 158 fruizione dei ritrovati vegetali che hanno caratteristiche migliorative per l’autosufficienza alimentare: il “Diritto del Costitutore (DC) ”. Il DC è in contraddizione con un altro diritto reclamato dalle comunità locali e fatto proprio da alcuni Paesi Avanzati (ad esempio quelli appartenenti all’UE): il “Diritto dell’Agricoltore (DA) ”. Il DC prevede che per i ritrovati vegetali iscritti negli elenchi internazionali sia rispettato il diritto di fruizione dei benefici commerciali per chi tali ritrovati li ha scoperti o ne ha specificato le caratteristiche. Il DC consiste nel diritto di royalties per la moltiplicazione in azienda ai fini commerciali da parte della società detentrice del brevetto o della varietà vegetale ritrovata: inoltre, prevede che chi utilizza tali sementi debba pagare un canone al titolare (al fine di garantire introiti a tutela della ricerca) per la moltiplicazione aziendale o per la semplice risemina, dalle sementi ottenute nel raccolto precedente. Tale canone se da un lato garantisce un diritto alla remunerazione della ricerca (lì dove sono i privati ad investire), dall’altro limita la possibilità di fruizione del ritrovato stesso, specie da parte di chi (in particolare gli agricoltori dei PVS) non ha le capacità economiche per l’accesso a tali migliorie vegetali. Nei Paesi Avanzati le condizioni economiche degli agricoltori, nei limiti sanciti dai diversi Stati per legge, sono tali da garantire il pagamento dei canoni, mentre nei Paesi meno Sviluppati tali potenziali non sono presenti, soprattutto per quegli agricoltori di sussistenza o per quei piccoli proprietari, i cui fini commerciali non sono tali da rendere possibile il pagamento del canone. La tecnica della risemina, molto diffusa nei PVS, costituisce un fattore di estrema importanza per il diritto alla sopravvivenza di tali popolazioni, e le restrizioni connesse all’accesso di tali ritrovati, lì dove possano apportare benefici collettivi, fanno sì che tali popolazioni non possano usufruirne o, per chi abbia le capacità per farlo, la fruizione comporta una totale dipendenza economica verso chi è proprietario della varietà vegetale. La regolamentazione Comunitaria in vigore (Reg. C.E. 2100/94) offre un’altra possibilità di tutela (sempre sui generis) per le varietà vegetali, avversata dalle principali compagnie sementiere (legate all' Upov “originale”), la quale definisce i soggetti sottoposti al pagamento del canone (DC) in chi ne abbia le possibilità economiche, in modo tale da rendere lecito il rispetto delle invenzioni, che ricordiamo hanno dietro ingenti investimenti dal punto di vista finanziario. Nella pratica il Reg. 2100/94 garantisce il 159 Diritto del Costitutore qualora il fruitore del ritrovato vegetale non sia un piccolo agricoltore (la cui definizione è stabilita dalla normativa) o dove la moltiplicazione in azienda non può essere considerata ai fini commerciali, ma per il solo uso personale: tale rettifica (o nuova proposta di regolamentazione) sancisce, dunque, che il diritto alla privativa sui ritrovati sia lecito solo nel caso in cui tale privativa non eserciti un ruolo penalizzante per chi potrebbe ottenere benefici personali e non commerciali dallo sfruttamento dei ritrovati, vale a dire che il DC non può essere applicato sui piccoli agricoltori, di sussistenza e non. Una tale regolamentazione pone al vertice delle priorità la possibilità di accesso, alle invenzioni e ai ritrovati, per i produttori meno abbienti ivi compresi quelli delle regioni meno sviluppate del mondo, le quali potrebbero utilizzare tali ritrovati semplicemente per il sostentamento e che, attraverso le nuove sementi, potrebbero dare un impulso all’agricoltura per alleviare i problemi connessi alla scarsità di cibo. Nei Paesi Avanzati la risemina dal raccolto precedente è quasi inesistente per motivi economici legati alle performances delle varietà protette. Infatti, la risemina non garantisce le stesse qualità, a livello di resa e di resistenza agli stress ambientali, della semente pura e certificata dalle aziende produttrici (che ne garantisce la qualità e la stabilità), di qui l’uso comune di riacquistare anno per anno le sementi (nel caso di ibridi il riacquisto è inevitabile, visto che nella maggior parte di loro sono sterili al secondo ciclo o comunque non garantiscono la stessa resa ed affidabilità). Tale situazione mette in condizioni gli agricoltori di essere dipendenti dai prezzi delle sementi stabilite dalle aziende produttrici (che nel caso dell’UE sono controllati per legge, Reg. 2100/94, per evitare distorsioni dovute a posizioni dominanti presenti nel mercato sementiero e fitofarmacologico). La condizione dei PVS è sostanzialmente diversa in quanto da un lato la mancata ratifica dell’Upov non permette l’accesso alle sementi “migliori” e dall’altro la possibilità di accesso non garantisce, se non per legge, l’equità dei prezzi e la fruizione da parte di chi, di queste sementi, ne fa un uso di sussistenza (oltre ai problemi connessi alla possibilità di porre sotto protezione o brevetto le sementi locali, qualora ne siano state studiate e certificate le caratteristiche, appropriandosi, in tal modo, dei diritti di chi nel 160 corso dei secoli ha isolato le specie migliori74). Tale situazione è possibile in quanto l’ambito di protezione di un brevetto è definito dallo stesso richiedente. Nei Paesi industrializzati, dunque, il mercato delle sementi, transgeniche e tradizionali, è controllato dalle stesse società che operano in condizione di oligopolio o di monopolio, tale da avere le potenzialità finanziarie e tecniche per distorcere il mercato stesso, attraverso i prezzi e le quantità prodotte, o in ultima istanza da avere la capacità di influire sulle scelte produttive degli agricoltori, piante e metodi di coltivazione, Gm o no. Nei Paesi meno sviluppati la necessità di recepimento dell’Upov 91, così come impostata tramite il DC, avrebbe effetti negativi sia dal punto di vista della dipendenza dai fattori produttivi e dalle scelte agronomiche (il riacquisto delle sementi anno per anno e la scelta tra Ogm e piante tradizionali) sia dal punto di vista dell’agricoltura di sussistenza che non possiede i mezzi finanziari per l’accesso alle sementi ”migliori” e che, di fatto, è costretta utilizzare le proprie sementi, meno produttive, o, in ultima istanza, la ratifica di tale normativa, in assenza del DA (nel caso di piccoli agricoltori o di sussistenza), è a sfavore, o meglio ancora penalizza i piccolissimi proprietari terrieri (molto diffusi nei PVS) che si troverebbero in competizione con altri più grandi (economicamente e tecnologicamente), con gravi ricadute economiche causate dalla competizione sfavorevole per collocazione delle merci sul mercato agricolo (soprattutto dal lato dei prezzi e delle quantità). La differenza tra il sistema dei brevetti, in vigore negli USA, e un sistema sui generis, come l’Upov o le sue modifiche apportate dai singoli Stati o gruppi (come ad esempio l’UE o le proposte dell’Organizzazione dell’Unità Africana), consiste nelle restrizioni alla fruizione. Un brevetto basato sulle regolamentazioni TRIPS (Trade Related Intellectual Property Rights) esclude dalla brevettabilità, oltre all’ovvio”, le specie animali e vegetali, ma permette di brevettare i geni da introdurvi. Anche la Comunità Europea ha emanato una direttiva (98/48 C.E.) che regola la brevettabilità: tale direttiva concede un diritto esclusivo a sfruttare un’invenzione e 74 Il brevetto concesso nell' agosto 2000 alla multinazionale americana DuPont, per un tipo di mais che ha due particolarità: un alto contenuto di olio (oltre il 6% del peso di ogni chicco) e un alto tenore di acido oleico (superiore al 55% del contenuto totale di olio), che svolge un' efficace funzione antiossidante. Dalla Germania, GreenPeace e Misereor (un' agenzia cattolica tedesca per la cooperazione e lo sviluppo) hanno deciso di presentare all' ufficio di Monaco un ricorso contro il brevetto. Perché il campo di applicazione della tutela giuridica richiesta dalla DuPont è tale da assicurare alla multinazionale la "proprietà" di intere varietà di mais già esistenti coltivate da secoli sugli altipiani del Messico. (www.verdi.it). 161 impedisce ad altri di usarla sia che si tratti di un prodotto che di un processo. La protezione si estende ad ogni materiale in cui l’invenzione brevettata si trova o che è prodotto mediante un procedimento brevettato. Il fine di tali normative è di assicurare un diritto all’ottenitore di una nuova varietà vegetale mediante il rilascio di un titolo di protezione “sui generis” (Plant Breeders’ Rights) molto diverso rispetto al brevetto per invenzione (Utility Patents). Questi si riferiscono alla nuova varietà in quanto tale e non al procedimento usato per ottenerla né agli usi di questa e proteggono la sola commercializzazione del materiale di riproduzione. Secondo gli accordi TRIPS, all’art. 27.3, si afferma che « (gli Stati) ... membri ... possono escludere dalla brevettabilità piante ed animali ... e i processi essenzialmente biologici per la produzione di piante e di animali. … (gli stati) ... membri possono provvedere alla protezione delle varietà di piante o di animali sia mediante brevetti (Patents) sia mediante un efficace sistema sui generis o su una combinazione di entrambi … ». La differenza di base tra un PBR ed un brevetto risiede sull’oggetto e sulle modalità di protezione dello stesso. Un sistema sui generis tutela chi investe nelle ricerche dal punto di vista commerciale, vale a dire sulle sementi. La revisione dell’Upov, nel ’91, modifica in gran parte la precedente versione, avviando, come richiesto dagli accordi Trip’s, la convergenza dei sistemi di protezione vegetale con i brevetti. L’Upov ’91 prevede la possibilità di doppia protezione, PBR e Patent, che può essere esteso a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate. Il sistema Upov non prevede il divieto di ricerca sui ritrovati, contrariamente ad un brevetto, oltre al fatto che la protezione vegetale non può vietare a terzi di riprodurre le sementi dietro un compenso monetario. Dunque la differenza tra un brevetto ed una protezione vegetale risiede nelle restrizioni, che nel caso dei brevetti sono richiesti dagli stessi titolari del brevetto. In definitiva è possibile affermare che un sistema sui generis regolamenta gli aspetti commerciali, mentre un brevetto regola la protezione intellettuale, con ripercussioni negative sulla ricerca e la diffusione delle conoscenze. I problemi relativi alle differenze tra un sistema sui generis e quello brevettale risiede essenzialmente nelle limitazioni alla proprietà ed alla libera fruizione o ricerca. 162 Le necessità, europee ed americana (ove il sistema di protezione è più restrittivo) riguardano l’opportunità di offrire al titolare della privativa una tutela più ampia di quella tradizionalmente concessa sulle novità vegetali, senza che la protezione divenga eccessiva per non incidere sui meccanismi complessi che governano tradizionalmente il mondo agricolo. La necessità è di armonizzazione con altri sistemi di proprietà industriale, primo tra tutti quello dei brevetti di invenzione industriale, il complesso quadro normativo internazionale che include, oltre alla Convenzione UPOV, la Direttiva europea sui brevetti e gli accordi TRIPS. La Direttiva 98/48 C.E. ha enormi connessioni con le regolamentazioni sulle protezioni vegetali in quanto va a regolare “le invenzioni “ in un settore, le biotecnologie, che avranno un impatto sempre maggiore nel comparto agroindustriale e, alla luce dei contenuti, rende ulteriormente più complesso il quadro della situazione. La ricerca di una nuova regolamentazione internazionale mira ad estendere il sistema di brevettazione per invenzione di tipo industriale (Utility Patents) a piante ed animali ingegnerizzati e s’introduce il brevetto di procedimento e d’uso considerando del tutto inadeguato "il diritto del costitutore “ e insufficiente la tutela per lo “sforzo economico” fatto in questo campo dai grandi gruppi industriali. Il problema, inoltre, riguarda la possibilità che un materiale biologico, che venga isolato dal suo ambiente naturale o che venga prodotto tramite un preciso procedimento tecnico, possa essere oggetto di invenzione anche se preesistente allo stato naturale, includendo il materiale e le varietà derivate. Il documento, pur riconoscendo che i brevetti sono importanti per l’innovazione in molti settori, rileva che concedere brevetti su organismi viventi può minare il valore delle risorse genetiche e danneggiare gli interessi degli agricoltori nei Paesi in Via di Sviluppo. Le restrizioni relative ai brevetti sono molto più incisive di un sistema sui generis, sia in termini di fruizione da parte di terzi sia per ciò che riguarda la ripartizione dei benefici e l’accesso al materiale biologico brevettato, e la possibilità di unire le due regolamentazioni pone seri problemi sui diritti di commercializzazione e ricerca: infatti, un sistema come l’Upov prevede esclusivamente una regolamentazione di tipo commerciale, lecita se opportunamente regolamentata. Un modello di legge proposto dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana), pone le proprie basi giuridiche sul fatto che l' accesso alle risorse biologiche e/o 163 conoscenze o alle tecnologie delle comunità locali, in ogni parte del paese, dovrà essere sottoposto ad una richiesta al fine di ottenere il consenso, che sarà rilasciato dalle autorità nazionali dopo aver chiesto parere alle comunità locali. Le royalties, calcolate sulla base dell' ammontare delle vendite di questa nuova varietà, dovranno essere versate in un fondo che servirà a finanziare progetti elaborati dalle comunità locali per garantire «sviluppo, conservazione ed uso duraturo delle risorse genetiche agricole» (CIDSE, 2000). La legislazione dell’OUA non si accontenta di disciplinare l' accesso alle risorse biologiche: essa definisce anche un sistema di protezione dei diritti di proprietà intellettuale per i selezionatori di nuove varietà vegetali. L’OUA esige che si provveda ad una protezione delle varietà vegetali attraverso un efficace sistema sui generis, cioè un sistema adattato alla loro particolare situazione (F. Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000). Pur garantendo ai selezionatori la protezione dei loro diritti di proprietà intellettuale, il sistema sui generis definito dall' Oua è molto meno esclusivo di quello dei brevetti. Al contrario di quest' ultimo, riconosce all' agricoltore il diritto di conservare una parte del suo raccolto per ripiantarlo l' anno successivo senza dover pagare canoni: «il Privilegio dell’Agricoltore». Questa varietà può anche essere utilizzata, liberamente e gratuitamente, come risorsa genetica dai ricercatori che vogliano creare una nuova varietà, vale a dire che prevede l’esenzione per la ricerca (F. Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000). Un' agricoltura meno industrializzata, basata sul sistema sui generis proposto dall' Oua, si adatta, dunque, alla situazione africana meglio del brevetto o del Diritto d' Ottenimento Vegetale (cioè il diritto del miglioratore) dell' Unione per la Protezione delle Ottenimenti Vegetali (Upov), al quale aderiscono 43 Paesi (in gran parte occidentali), poiché si rende necessario mantenere «il Privilegio dell’Agricoltore» per le comunità locali meno abbienti. Nei Paesi in Via di Sviluppo sono ancora, per lo più, gli stessi contadini, o i piccoli produttori di semi o meglio ancora la ricerca pubblica, che selezionano e migliorano le sementi, e non i grandi gruppi da cui dipendono gli agricoltori del Nord (F. Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000). Il sistema sui generis proposto dall’Oua rappresenta un’alternativa sia ai brevetti sia all’Upov: si esclude la brevettabilità del vivente ed allo stesso tempo si favorisce la 164 ricerca con sistema ad hoc che tuteli la biodiversità, l’accesso da parte dei più poveri, l’accesso con royalties per chi ne abbia le capacità, tutelando, altresì, i fondi per la ricerca e i diritti delle società ricercatrici, salvaguardando le pratiche e le conoscenze locali. Il sistema brevettale è ritenuto troppo restrittivo dal punto di vista economico, ed allo stesso tempo fa sì che grandi compagnie abbiano l’accesso alle risorse genetiche e culturali dei Paesi del Sud del mondo per poi brevettarle al Nord, mentre un sistema ad hoc sulla protezione delle risorse vegetali ed animali, che preservi le comunità, le pratiche locali ed i meno abbienti, e che garantisca allo stesso tempo i fondi per chi effettua le ricerche, rappresenta un giusto compromesso tra mercato, ricerca e diritti allo sviluppo. Il sistema Upov 91 adotta in contemporanea, su richiesta delle società del settore, le direttive sulla protezione dei brevetti e il Diritto d' Ottenimento Vegetale (Dov): un selezionatore non può più utilizzare liberamente per la ricerca una varietà vegetale contenente geni brevettati, anche se la varietà stessa non è brevettata, ma solo protetta dal Dov, come succede, per esempio, con i nuovi semi transgenici commercializzati, contrariamente alla proposta di revisione consigliata dall’Oua. Secondo il Voice of Irish Concern for the Environment, attualmente l' 80% di tutti i brevetti sui cibi geneticamente modificati è detenuto da soltanto 13 multinazionali e le prime cinque aziende agro-chimiche controllano quasi l' intero mercato di semi geneticamente modificati. Contemporaneamente, 1,4 miliardi di agricoltori del mondo dipendono dai semi risparmiati dal raccolto per la semina dell' anno successivo. Le regolamentazioni sui brevetti e quelle sulle varietà vegetali, con il supporto delle posizioni dominanti sul mercato agro-alimentare, rischiano per costringere gli agricoltori, tramite la protezione di piante già esistenti (il cui sfruttamento sarebbe limitato), alla totale dipendenza nei confronti di tali compagnie, e, a livello mondiale, si potrebbe arrivare alla concentrazione delle risorse genetiche, con ripercussioni sul sistema economico ed etico dagli sviluppi imprevedibili. IV.13. Il monopolio delle biotecnologie La concentrazione delle principali società del mercato agro-alimentare sembra essere il problema principale, a livello economico, della diffusione delle biotecnologie. L’esistenza di un monopolio produttivo (sementi e chimici) estesa alla sfera della ricerca pone problemi sulla distribuzione dei benefici del progresso biotecnologico, tra 165 produttori e consumatori di inputs agricoli da un lato, e dall’altro limita la libera ricerca, condizionando in tal modo le scelte produttive. La perdita di benefici per il consumatore (nel caso specifico l’agricoltore) connessa alla struttura monopolistica (o oligopolistica relativamente al caso delle biotecnologie transgeniche, in quanto è più di una compagnia a detenere il potere di mercato) si concretizza semplicemente nel maggior costo delle sementi e dei fitofarmaci, nella perdita di profitti da parte dei potenziali produttori, dovuta alle barriere all’entrata, che nel caso specifico possono essere ricondotte al possesso di un brevetto. Il caso delle biotecnologie appare molto complesso, in quanto il potenziale pericolo ambientale e sanitario connesso pone dubbi sulla reale necessità di tali applicazioni. Uno degli aspetti che più attira l’attenzione, circa l’alta concentrazione nel mercato, risiede nell’individuazione degli effetti ad essa connessi, vale a dire se un oligopolio, così fatto, possa avere effetti positivi sul sistema agricolo, date le possibili economie di scala. La presenza di un oligopolio potrebbe essere conveniente, lì dove, le economie di scala sono a vantaggio, quasi esclusivo, degli agricoltori attraverso la riduzione dei costi e non attraverso un aumento della produzione, a parità d’impatto dei costi sul totale. Altresì, la presenza di un oligopolio o monopolio è inefficiente, lì dove, vi è una riduzione della produzione per favorire un aumento dei prezzi degli inputs agricoli, nel caso specifico, massimizzando il ricavo totale, situazione questa che penalizza l’agricoltore, ad esempio attraverso il technology fee. Appare ambiguo l’interesse di molti agricoltori verso le biotecnologie (a tutt’oggi sono circa 44 milioni gli ettari coltivati) proprio perché non esistono vantaggi assoluti, se non per chi abbia una struttura organizzativa agricola molto meccanizzata; appare ambigua la situazione in cui 8 dollari per acro, tanto è stato il maggior ricavo nelle coltivazioni di mais nel 1998, rappresentino un vantaggio da raggiungere a fronte di un controllo (la Monsanto si avvale di ispettori per verificare che qualcuno non rubi le sementi) e di una maggiore dipendenza dagli inputs produttivi. Tuttavia alcune ipotesi possono essere esposte. Nel caso del mais e del cotone, le sementi utilizzate sono essenzialmente ibride, vale a dire che devono essere riacquistate anno per anno, e ciò potrebbe far ipotizzare che le società gestiscano il technology fee in 166 modo tale da rendere conveniente la semente tradizionale o quella transgenica (come è stato verificato relativamente al mais nel capitolo terzo). Tale possibilità è plausibile, ma non verificabile nel modo più assoluto, in quanto il mercato delle sementi tradizionali è anch’esso molto concentrato e vi partecipano le stesse società, e ciò potrebbe ancor più rendere possibile che tali compagnia abbiano il potere e i mezzi per favorire l’una o l’altra coltura, probabilmente in base ai corrispettivi introiti connessi (da tener presente la relazione tra erbicida e semente) ed in base al potere di mercato che le stesse hanno nel mercato dei chimici per l’agricoltura. Il monopolio delle biotecnologie sembra essere legato sia a fattori economici sia alle legislazioni vigenti, nei vari Stati, in materia: non è possibile separare il monopolio biotech dalle leggi sui brevetti e dalle regolamentazioni Upov. Le compagnie che promuovo il biotech continuano da anni proporle al mercato agricolo, a volte con successo a volte no75. L’eccessiva concentrazione, nelle mani di poche compagnie trasnazionali, del mercato agro-alimentare (chimici, sementi, brevetti, cibi) sembra precludere qualsiasi forma di autodifesa da parte degli agricoltori. La possibilità che la filiera alimentare e agricola possa essere sotto il controllo di alcune società paventa il rischio che vengano ignorati gli effetti sull’ambiente, sul consumatore e sull’attività agricola sempre più industrializzata. L’effetto che un monopolio siffatto può avere sugli agricoltori è diversificato, a seconda se si consideri un agricoltore europeo, dei PVS, o nordamericano: infatti, nel caso europeo (dove peraltro il tentativo di attuare il Principio di Precauzione e di far valere i diritti dei piccoli agricoltori sembra farsi sempre più decisivo) l’effetto del monopolio potrebbe essere quasi nullo per l’agricoltore visto che l’UE ha problemi di surplus agricolo (quindi non vi è necessità a coltivarli, se non attraverso una politica delle aziende fornitrici di input atte a favorirle rispetto ai prodotti convenzionali o tali da ridurre i costi di produzione a vantaggio dei fattori interni all’azienda); l’agricoltore del Sud del mondo avrebbe ricadute economiche connesse allo spiazzamento da parte di tali colture (qualora fossero più produttive) nei confronti delle produzioni locali e tradizionali, ove i possibili minori costi immediati certamente verrebbero annullati nel lungo periodo con la conseguenza di aver abbandonato un’agricoltura già poco redditizia, nei confronti del 75 Esiste una lunga lista di Paesi, tra i quali spicca l’India, che si oppongono al biotech, a volte attraverso vere e proprie moratorie. Altre come l’Indonesia vengono minacciate di sanzioni dagli USA per aver introdotto delle soglie di tolleranza per i prodotti geneticamente modificati. 167 settore manifatturiero, in cambio di una ancor più legata agli input di origine industriale e straniera, con perdite sul livello dei redditi e con un’agricoltura tutta orientata verso la produzione di beni destinati all’export, non capaci di generare sviluppo interno; nel caso di un agricoltore nordamericano le conseguenze sarebbero rivolte verso lo spiazzamento dei piccoli agricoltori nei confronti dei grandi latifondisti, favoriti dai possibili rendimenti di scala e dalla maggiore flessibilità76. L’effetto del monopolio delle colture ha, quindi, un effetto diversificato secondo l’area considerata, il livello di tutela da parte degli organi nazionali e la capacità di autonomia finanziaria e tecnica. In generale, il consolidamento del mercato agricolo determina, anche se diversificate, perdite per l’attività agricola, sempre più industrializzata e dipendente dagli input. Le biotecnologie rappresentano la Seconda Rivoluzione Verde77: la prima, analoga nei fini e diversa nelle metodologie (la seconda si basa anche sull’ingegneria genetica), aveva promesso una riduzione della povertà e della fame nel mondo, ma nell’ultimo documento redatto dall’ONU nel 2001 si fa notare come essa sia stata controproducente. La Prima Rivoluzione Verde ha fatto sì che il numero dei Paesi Meno Sviluppati (Pms) aumentassero da 25 a 49 (relativamente al periodo 1971-2001, vale a dire dalla definizione stessa da parte dell’ONU dei Paesi Meno Sviluppati), che la redditività agricola di tali Paesi diminuisse e diventasse sempre più industrializzata e dipendente dai fattori esterni, che si producesse più cibo, ma che tale cibo non avesse nessuna influenza nel ridurre la povertà, la malnutrizione e che l’habitat di quei Paesi che più vi hanno creduto fosse più inquinato dagli agenti chimici. In generale, è possibile affermare come le biotecnologie, così concentrate nelle mani di pochi, con un accesso molto limitato economicamente e legato alle fluttuazioni dei prezzi degli input produttivi, limitato alla produzione di beni alimentari omogenei e “chimici” dotati di un valore qualitativo industriale, e non tradizionalmente locale, non rappresenti un effettivo vantaggio. Il monopolio delle colture ha, dunque, in sé il potere di influenzare il mercato agricolo, in senso negativo nel lungo periodo (soprattutto per i Pms), e di favorire colture 76 La maggiore flessibilità connessa alla coltivazione di Ogm è relativa al minor capitale umano utilizzato nei campi. 77 Il paragone è inevitabile e nei modi e nei fini proposti, vale a dire attraverso un maggior uso della chimica in agricoltura. 168 che non apportano, almeno attualmente, benefici concreti, e, nel contempo, da più parti si levano allarmi circa i possibili effetti ambientali e sulla salute umana78. La necessità di ridurre la dipendenza degli agricoltori dalla chimica è sentita anche nei PSA: la Foundation On Economic Trends, la Coalition Nationale des Familles Agricoles (USA) e decine di organizzazioni di agricoltori, hanno deciso di intraprendere un’azione legale nei confronti delle multinazionali Biotech per posizioni dominanti. I brevetti rafforzano l’agricoltura industriale a scapito di quella a conduzione familiare: solo chi ha la possibilità di trarre vantaggi di scala, attraverso un maggior uso di prodotti chimici, avrà convenienza nel coltivare Ogm79. Alcuni Stati, a tal proposito, «favoriscono le nuove varietà fornendo sussidi per l’uso di prodotti chimici e rifiutano crediti ai contadini che continuano ad usare semi locali» (Oxfam, 1998). Negli anni passati il potere delle società agroalimentari aveva incentivato l’uso di sementi nuove, prodotti chimici a scapito delle colture tradizionali, in quella che è stata definita Rivoluzione Verde: tale Rivoluzione ha sì aumentato le produzioni, ma nel lungo periodo la “chimicizzazione” agricola assieme alla diffusione delle monocolture estensive ha penalizzato fortemente i piccoli agricoltori, riducendoli in povertà (Oxfam, 1998). Il problema del monopolio, infine, delle colture e della chimica andrebbe sicuramente rivisto in relazione agli accordi di Kyoto e al Principio di Precauzione, al fine di salvaguardare il patrimonio ambientale, e ad indirizzare le multinazionali biotech nella ricerca di prodotti a basso potenziale di rischio, connesso all’uso della chimica, e ad indirizzare la ricerca verso lo sviluppo di colture eco-sostenibili e di facile accesso per le popolazioni meno abbienti e più disagiate. IV.14. Sintesi sulla struttura del mercato transgenico Le argomentazioni precedenti e i dati forniti sulle quote di mercato e sui livelli di concentrazione, nei diversi mercati che forniscono inputs agricoli, mostrano come il sistema agricolo internazionale sia molto complesso. L’insieme di leggi e regolamentazioni accentuano il carattere oligopolistico di tali mercati, incrementano il potere di mercato, non più determinabile attraverso i normali 78 Alcuni “effetti collaterali” si sono concretizzati come ad esempio nel caso StarLink, per cui la ditta Aventis è stata condannata a pagare una multa di alcune migliaia di miliardi, o ad esempio casi di contaminazione (caso Smeiser). 79 Tale convenienza è a vantaggio soprattutto di chi tali prodotti chimici li produce. 169 indicatori economici come il fatturato, ma vanno relazionati alle potenzialità di espansione e di ricerca di materiale biologico da brevettare. In definitiva è possibile affermare come la tendenza del mercato agricolo sia quella di unire i principali mercati di inputs (sementi e fitofarmaci) al settore della ricerca, che ne diventerebbe il principale vettore di espansione. Gli elevati livelli di concentrazione nel mercato agricolo sono da considerarsi in riferimento al fatto che le società leaders sono le stesse che controllano il mercato transgenico, ed hanno le capacità finanziarie per controllare e unire la filiera agroalimentare, escludendo la possibilità di accesso da parte di terzi che ne verrebbero sicuramente assorbiti. Le posizioni dominanti creano problemi anche nella determinazione dei reali prezzi di mercato e delle reali differenze nei costi tra le produzioni agricole convenzionali e quelle geneticamente modificate, rendendo difficile ogni valutazione. Alcune associazioni ambientaliste sostengono che in Canada, Australia, Sudafrica, Argentina e USA, ad oggi, è quasi impossibile acquistare sementi tradizionali, in quanto destinate esclusivamente al mercato europeo dove le sementi Gm sono vietate o sottoposte a severe restrizioni. Tale condizione mostra, in modo palese, quale sia il potere d’influenza esercitato dal monopolio delle colture tradizionali e transgeniche da un lato, e dall’altro mostra come questi due settori agricoli siano interconnessi, ovvero gestiti dalle stesse società in condizioni di oligopolio o monopolio. L’asimmetria delle necessità tra Paesi ricchi e poveri determina discriminazioni di prezzo connesse al potere monopolistico, come ad esempio nel caso della commercializzazione del cotone BT della Monsanto, a svantaggio degli agricoltori australiani causa un incremento del prezzo delle sementi (Fonte M., Salvioni C., D’Ercole E., 2000). Le regolamentazioni, inoltre, offrono l’opportunità di incrementare tali posizioni dominanti e rendere ancor più difficile l’accesso e la concorrenzialità del mercato, a scapito soprattutto dei Pms. Infatti, le ricerche saranno sicuramente indirizzate verso varietà economicamente rilevanti e avranno un effetto negativo sulle colture locali dei Paesi poveri, fuori dalla mira dell’industria privata. 170 La ricerca sulle innovazioni biotecnologiche ha portato alla nascita di numerose piccole imprese, le quali sono state acquisite dalle grandi compagnie multinazionali. La struttura del mercato è cambiata, unendo i settori sementiero e agro-chimico, prima separati, avviando in tal modo l’integrazione della filiera. Le acquisizioni e le fusioni hanno portato sotto il controllo di un’unica impresa i vari segmenti della filiera produttiva: la ricerca di geni e varietà vegetali nuove, la produzione di sementi, la produzione di erbicidi e chimici ad hoc e la commercializzazione del prodotto finale (il tutto regolamentato e tutelato dalle leggi sui brevetti) sono sotto un controllo oligopolistico che ne influenza i meccanismi economici. Tale integrazione se da un lato permette di gestire ed ottimizzare le complementarità dei vari rami della filiera, dall’altro crea un monopolio delle colture e del settore agricolo internazionale, a scapito delle piccole comunità locali. Da un punto di vista strettamente economico, l’integrazione delle filiere (tradizionale e Gm) e il loro controllo da parte delle stesse poche società non garantisce né la concorrenzialità né la libertà di scelta degli agricoltori, visto che risulta impossibile definire in modo univoco le caratteristiche delle due tipologie di produzione: è ipotizzabile che tali società indirizzino, attraverso variazioni dei prezzi e delle quantità prodotte, le scelte del mercato verso quei prodotti a loro più convenienti. Nei confronti dei Pms la situazione di monopolio delle filiere non garantisce un adeguato accesso alle risorse per migliorare la propria condizione, e non garantisce un’adeguata remunerazione brevettale dato che la maggior parte delle risorse genetiche sono rintracciabili nel loro territorio. L’agricoltura potrebbe essere condizionata ed indirizzata verso una nuova industrializzazione, a scapito del reddito agricolo, visto che maggiore è la remunerazione dei fattori esterni nel sistema dei costi di produzione di Ogm. In definitiva, appare non condivisibile l’integrazione della filiera tradizionale e transgenica, congiuntamente ad una mancata segregazione delle filiere, ad opera di poche grandi compagnie multinazionali che, di fatto, esercitano una notevole influenza sul mercato agricolo e sulle scelte produttive, a tutto loro vantaggio. Le regolamentazioni, inoltre, hanno svolto un ruolo decisivo nella costituzione del monopolio agricolo aumentando le barriere all’entrata del mercato per le aziende interessate, attraverso, soprattutto, la regolamentazione brevettale, che in U.S.A. è basata 171 essenzialmente sulle sentenze passate dei vari tribunali, dove sono state intentate le cause in materia di brevettabilità e tutela brevettale. Capitolo Quinto CONCLUSIONI. QUALI LE OPPORTUNITÀ ECONOMICHE LEGATE ALLE BIOTECNOLOGIE IN CAMPO AGRICOLO? V.1. Introduzione La finalità di questo capitolo è quella di fornire una sintesi dei principali risultati ottenuti nei precedenti, siano essi dati economici o relazioni tra composizione del mercato e legislazioni vigenti. Il complesso fenomeno delle biotecnologie applicate all’agricoltura incorpora in sé problematiche e discussioni attuali e classiche, relative ai mercati agricoli internazionali. Infatti, le biotecnologie appaiono, a chi voglia studiarne i meccanismi economico-legislativi, come un sistema complesso, completo ed ambiguo. La complessità del fenomeno in questione risiede nelle metodologie di miglioramento agronomico utilizzate, basate sull’ingegneria genetica, e correlata al fatto che esse sono di recente scoperta. Infatti, le metodologie di ricombinazione del DNA hanno suscitato perplessità da parte di numerosi scienziati circa la loro stabilità. Le principali critiche dal punto di vista della salvaguardia ambientale e del mantenimento degli attuali livelli di biodiversità vegetale sono rivolte al fatto che molti studiosi definiscono tali modificazioni genetiche poco conosciute e per natura loro instabili, causa i possibili effetti pleiotropici80. Se da un lato le biotecnologie rappresentano una metodologia del futuro, capace di risolvere molti problemi legati all’attività agricola, dall’altro le insufficienti informazioni circa i possibili effetti nel lungo periodo, per l’uomo e per l’ambiente, pongono dei dubbi sulla reale necessità di applicazione e di rilascio ambientale. Tra le principali problematiche di tipo ambientale, che traggono origine da tali metodologie agricole, sono da considerarsi, nella maniera il più pragmatica possibile, il 80 Il tratto di DNA è inserito casualmente negli organismi, non tenendo conto del metabolismo completo nucleotidico e delle possibili relazioni di dipendenza ed interazione esistenti all’interno della struttura genetica delle piante. 173 rischio connesso alla perdita di controllo ambientale, agli effetti sulla salute umana e alla definizione legislativa dei responsabili di tali possibili impatti negativi. La completezza del sistema biotecnologico trova la sua giustificazione nel fatto che il loro sviluppo, congiuntamente ai fenomeni di globalizzazione in atto, è collegato indissolubilmente all’evoluzione dei sistemi agricoli tradizionali e delle regolamentazioni sui diritti di proprietà intellettuale, i quali influiscono in maniera diretta sullo sviluppo agricolo, soprattutto dei Pvs, sulla libertà d’accesso alle innovazioni e sulla privatizzazione delle risorse naturali. L’ambiguità, nel fenomeno transgenico agricolo, trova la sua ragion d’essere nella constatazione che la facilità nel rilascio ambientale, la mancanza di ulteriori approfondimenti scientifici degli effetti sulla salute e sull’ambiente, l’impossibilità a gestire in toto i meccanismi di commercializzazione (come nel caso del mais StarLink), le lacune nelle regolamentazioni vigenti in materia e la scelta dei funzionari che controllano e rilasciano autorizzazioni per la coltivazione e la commercializzazione, non sono del tutto gestite al meglio e, per alcuni versi, corrette. V.2. L’accettazione delle biotecnologie Negli ultimi anni la diffusione delle biotecnologie in campo agricolo ha suscitato, nell’opinione pubblica, reazioni contraddittorie. Gli sviluppi dei ritrovati biotecnologici hanno certamente colpito l’immaginario collettivo in maniera positiva per alcuni versi, e per altri hanno suscitato accessi dibattiti circa la loro affidabilità e necessità economica. La realtà del fenomeno Biotech si pone nei confronti dell’opinione pubblica come una possibile strada per un miglioramento agronomico sia qualitativo sia quantitativo, ma, dai fatti, è ben diversa da come era stata immaginata dai produttori e dai consumatori. L’immagine degli Ogm appare proiettata verso il futuro, caratterizzata da innumerevoli vantaggi per tutti i beneficiari, ma le metodologie, nel momento in cui vengono rese note, deludono le aspettative. Pensare che coltivazioni resistenti ai prodotti chimici, che fanno presupporre un maggior uso della chimica, o contenenti insetticida possano rappresentare il futuro, soprattutto alla luce delle preoccupazioni espresse dalle recenti vicissitudini alimentari che hanno visto come protagonisti i “polli alla diossina” e la “mucca pazza”, lasciano perplessa l’opinione pubblica. 174 In ambito comunitario l’accettazione sembra ancor più difficile in rapporto alle stesse politiche agricole, le quali incentivano l’agricoltura biologica come fonte di redditività agricola e di benessere alimentare. Se da un lato le biotecnologie rappresentano il normale sviluppo tecnologico applicato all’agricoltura, dall’altro le modalità di diffusione, l’incapacità di fornire un’adeguata informazione al consumatore e di tutelare la piccola proprietà agricola comunitaria e del terzo mondo, hanno creato una barriera tra favorevoli e contrari che, di fatto, ha relegato la discussione solo agli ambienti scientifici ed ha limitato l’accesso al dibattito da parte del grande pubblico, accentuando, in tal modo, i fattori di repulsioni. La probabilità che il grande pubblico possa avere un quadro conoscitivo di riferimento semplice e completo sul fenomeno biotecnologico appare remota, anche perché esso è complesso ed è intrecciato indissolubilmente con questioni normative e ambientali molto specifiche e tecniche, comprensibili molto spesso dai soli addetti ai lavori. Lo sviluppo delle biotecnologie e la loro diffusione ambientale dal 1996, anno della prima commercializzazione in USA, è avvenuta in modo impetuoso, diffondendosi a macchia d’olio, per poi rallentare nel momento in cui l’opinione pubblica ne è venuta a conoscenza, proprio perché in principio la diffusione e il loro consumo alimentare era avvenuto all’insaputa dei più. Generalmente, la diffusione di una nuova tecnologia avviene nella maniera la più diretta e semplice possibile attraverso campagne informative sul ritrovato e sulle sue potenzialità affinché ne possa usufruire il più vasto pubblico possibile, ed è ben accetta dall’opinione pubblica, la quale vede nelle innovazioni la possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni di vita, ma nel caso delle biotecnologie la tecnica in sé, quella della modificazione genetica, e l’impossibilità ad evitarla hanno creato incertezza e paure a volte eccessive, come se il grande pubblico si fosse sentito escludere dal decidere sulla propria alimentazione. Il parere di chi scrive è che le modalità di discussione e la mancata informazione81 per il grande pubblico hanno creato molta sfiducia da parte dei consumatori e degli agricoltori che si sentono minacciati, soprattutto perché essi si sentono impotenti di fronte 81 Le informazioni a riguardo, riportate sulla stampa tradizionale non specializzata sono spesso lacunose e non pongono gli accenti su tutte le tematiche connesse. 175 al fenomeno. La principale causa della reazione negativa nei confronti delle biotecnologie risiede nell’incapacità, da parte di chi le promuove, di fornire argomentazioni valide che, qualora fossero disponibili, potrebbero essere accettate dal pubblico. Resta difficile, al momento, fornire tali argomentazioni dato che non esistono ricerche ed informazioni che stabiliscano in modo univoco i vantaggi economici ed ambientali. Non esiste una legislazione, inoltre, capace di porre i consumatori in condizione di poter scegliere tra un prodotto convenzionale o uno transgenico, un meccanismo legislativo di etichettatura non ambiguo, contrariamente a quello europeo, che, basato sulla soglia di accidentalità dell’1% e sul principio di Sostanziale Equivalenza, di fatto ammette la non etichettatura dei cibi contenenti Ogm, poiché non sono tracciabili e rintracciabili82. Lo sviluppo delle biotecnologie appare come incontrollabile e potenzialmente pericoloso per l’opinione pubblica proprio perché basata sulla modificazione del DNA. Attualmente nessuno è in grado di prevedere l’effetto di lungo periodo sull’uomo e sull’ambiente, né in positivo né in negativo, e questa mancanza di informazioni tende, nel consumatore e negli agricoltori, a tramutarsi in paura e l’unica soluzione sembra essere quella di attuare il Principio di Precauzione, come forma di autodifesa in assenza di certezze scientifiche. Da un punto di vista economico, che nella realtà odierna sembra essere l’unico parametro di riferimento universalmente accettato (come se l’economia potesse monetizzare gli effetti ambientali, misurare gli effetti delle modificazioni genetiche sul metabolismo umano o gli effetti pleiotropici), le biotecnologie sono ancora poco conosciute. La non conoscenza del fenomeno è legata alla sua complessità normativa e al fatto che nel mercato agricolo mondiale è difficile attuare dei confronti economico-produttivi tra piante convenzionali e Gm, poiché il mercato della produzione e della commercializzazione è lo stesso, dominato da poche aziende in forma di oligopolio. Nella pratica, dunque, è quasi impossibile eliminare nei prezzi dei prodotti gli effetti distorsivi della concentrazione di mercato al fine di avere dei prezzi puri e confrontabili, ovviando 82 Il Principio di Sostanziale Equivalenza definisce che un prodotto derivato da Ogm è sicuro ed equivalente ad uno convenzionali se nel prodotto, durante il processo di lavorazione, viene “perso” il tratto di DNA modificato o se esso non è rintracciabile. Nella sostanza è impossibile per il consumatore evitare prodotti Gm, poiché, ad esempio, nell’olio di soia non è possibile rintracciare, tramite l’analisi Pcr, il tratto modificato a meno che non sia lo stesso produttore a dichiararlo. 176 in tal modo alla possibilità esistente, da parte di chi produce le sementi e i prodotti chimici agricoli, di favorire l’una o l’altra coltivazione secondo i propri interessi economici, “guidando” in tal modo le scelte e l’indirizzo di sviluppo del settore agricolo. V.3. La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie Il complesso fenomeno delle biotecnologie investe in toto la società: esiste uno stretto legame tra biotecnologie, sviluppo economico, malnutrizione, ambiente e salute, che non può essere ignorato alla luce delle perplessità, poste in essere da vari settori della scienza, circa le metodologie transgeniche applicate all’agricoltura. Come avevamo premesso, i concetti, che di seguito saranno esposti, saranno basati essenzialmente sul concetto di sostenibilità nelle sue due componenti principali, economica ed ambientale, tralasciando gli aspetti sanitari connessi. Il concetto di sostenibilità, nella sua definizione più semplice ed intuitiva, fa riferimento alla necessità, per ogni tipo di sviluppo, di evolvere i sistemi mantenendo un equilibrio di breve e di lungo periodo, facendo coincidere le necessità presenti a quelle future, vale a dire affiancando all’equilibrio inter-generazionale quello intragenerazionale. Il presupposto per un tale sviluppo trova le sue ragioni sull’attribuzione di un valore alle risorse, variabile nel tempo, riguardo alla loro scarsità e ai loro livelli di riproducibilità. Il fenomeno biotecnologico, così come attualmente sviluppato e gestito, non appare di tipo sostenibile, in quanto i possibili costi (danni all’ambiente, concentrazione tecnico-economica e libertà di accesso limitata) risultano di gran lunga superiori agli attuali benefici apportati (lì dove questi si sono verificati). La motivazione che ha spinto la scienza alla ricerca del miglioramento agronomico, attraverso la manipolazione genetica, è sempre stata quella di migliorare i sistemi di produzione agricola esistenti, in concomitanza alle necessità espresse dallo sviluppo demografico mondiale, particolarmente accentuato in alcune regioni del pianeta: in questo ambito il concetto di sostenibilità economica e ambientale trova la sua necessità di esistenza. Definire la sostenibilità delle biotecnologie applicate in agricoltura significa comprendere i meccanismi economici e legislativi inerenti, ed ipotizzare un possibile scenario futuro, ponendo l’attenzione sulle variabili economiche, sociali ed ambientali, 177 confrontando il tutto con i possibili benefici futuri: in tal modo è possibile definire il livello di necessità delle biotecnologie agricole, attuando una virtuale analisi costi benefici. Inoltre, il livello di sostenibilità deve essere relazionato alle reazioni ambientali, comprendendo un concetto semplice ed inequivocabile, ovvero che i possibili danni ambientali, prescindendo da chi ne abbia le responsabilità, sono a carico dell’intera collettività. Il concetto di sostenibilità in senso economico è da riferirsi alla possibilità che lo sviluppo delle biotecnologie sia gestito e regolamentato in funzione sia delle necessità del mondo agricolo sia in relazione alla tutela di chi ha investito nella ricerca: un tale presupposto, viste le potenzialità negative e positive non ancora espresse dalle biotecnologie, rappresenta un punto cardine per una corretta applicazione e gestione della diffusione delle nuove metodologie di coltivazione. La gestione delle biotecnologie in campo agricolo, legata alle convenzioni e alle regolamentazioni, rappresenta il fattore cruciale per un’adeguata analisi economicoambientale del fenomeno volta ad evidenziarne gli aspetti positivi e negativi, ponendo attenzione a tutti i fenomeni connessi, siano essi ambientali o socioeconomici. L’analisi di lungo periodo può senz’altro essere lo strumento migliore per prevederne gli effetti nel tempo: l’interazione ambientale e l’influenza delle biotecnologie in campo agricolo sono da considerarsi prioritarie al fine di avere una solida base di studio ed avviare, di conseguenza, una corretta analisi per prevederne gli sviluppi successivi. La necessità di un sistema agricolo nuovo, capace di fornire sempre più beni alimentari, trova la sua ragion d’essere nella constatazione che i fenomeni demografici futuri potrebbero creare deficit alimentari per i Pvs, anche se la questione del deficit come principale causa della malnutrizione sembra, negli ultimi mesi, esser stata confutata proprio dalla Fao83. La sostenibilità, dunque, deve essere riferita soprattutto a chi necessita di un miglioramento agricolo, ovvero i Pvs. Porre una maggiore attenzione sui Pvs e creare le basi, attraverso le quali i principali beneficiari di tali nuove metodologie siano proprio 83 Recenti studi della Fao concordano che il problema della malnutrizione nei Pvs è da ricondursi alla mancanza di mezzi finanziari per acquistare i beni alimentari sul mercato, di qui la necessità di sviluppare, in tali zone, un’agricoltura biologica che renda le popolazioni autosufficienti e soprattutto indipendenti dalle fluttuazioni e le offerte del mercato internazionale. 178 essi, rappresenta il punto di partenza migliore per qualsivoglia discussione in merito alle biotecnologie in sé o alla normativizzazione e regolamentazione delle attività agricole. V.4. Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm Dalla loro prima commercializzazione avvenuta nel 1996, lo sviluppo e la diffusione delle biotecnologie hanno seguito un percorso crescente ed impetuoso. La stessa definizione di biotecnologie è stata riadattata anche dai media alla nuova realtà. La definizione di biotecnologia è relativa al miglioramento delle specie esistenti attraverso il miglioramento genetico, ma ciò non vuol dire esattamente DNA ricombinante. Infatti, i prodotti transgenici sono una piccola parte dei risultati della biotecnologia, dove al posto delle convenzionali tecniche di miglioramento genetico naturale, attraverso l’incrocio omogeneo, vengono utilizzate tecniche di ricombinazione del DNA artificiali e tra specie eterogenee, come, ad esempio, tra piante e animali. Dal 1996 al 2000 l’area coltivata con piante transgeniche, soprattutto in tre Stati (USA, Canada e Argentina), è cresciuta velocemente passando da 1.7 milioni di ettari a 44.2, con un incremento tra il 1999 e il 2000 di circa l’11%, e ciò stabilisce quanto sia stata l’aspettativa riposta in queste tecniche agricole di nuova generazione. Il 98% delle colture transgeniche sono localizzate in Usa (68%), Canada (7%) e Argentina (23%), relativamente all’anno 2000, anche se nei prossimi anni sembra che la Cina possa avere un ruolo determinante nello sviluppo di tali tecnologie. La distribuzione delle aree messe a coltura è in favore dei Paesi a Sviluppo Avanzato (Psa) con il 76% dei terreni, mentre nei Pvs la diffusione delle colture transgeniche è limitata al 24% dell’area mondiale destinata a loro, principalmente da ricondurre all’Argentina. Le colture Gm maggiormente diffuse (99% del totale) sono quattro: mais, soia, cotone e colza, con rispettivamente il 23, 58, 12 e 7 per cento dell’area mondiale, anche se nei prossimi anni dovrebbero diffondersi molto velocemente colture come il riso, le banane, il caffè e il grano. Da notare che le colture su cui sono stati fatti i maggiori studi sono quelle colture ad una maggiore industrializzazione e che sono tra le materie prime agricole più scambiate al mondo ed alla base di tutta l’industria agro-alimentare mondiale. Le caratteristiche disponibili per i prodotti Gm sono essenzialmente la tecnologia di resistenza agli erbicidi (HR) non selettivi (74%), e quella relativa alla resistenza agli 179 insetti (IR) o “autoproduzione di insetticida” (19%), mentre il restante 7% è relativo a prodotti che contengono entrambe le caratteristiche genetiche. V.5. Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante transgeniche I risultati degli studi economici riportati nel capitolo terzo forniscono i mezzi per avviare un’analisi più dettagliata del fenomeno delle piante transgeniche, al fine di evidenziarne le principali caratteristiche economiche in un’ottica di lungo periodo, ovvero di sostenibilità. Da un punto di vista strettamente economico le prime coltivazioni transgeniche hanno disilluso chi poneva in loro molta fiducia. La produttività (rese per ettaro) delle colture transgeniche sembra essere molto variabile da coltura a coltura e da zona a zona, mostrando un’estrema variabilità nella qualità dei prodotti ottenuti e nelle rese rispetto ai corrispettivi tradizionali. La resa per ettaro è andata in controtendenza alle aspettative. Infatti, l’estrema variabilità delle rese, che possono variare da +2 a –11 per cento rispetto ai prodotti convenzionali nel caso della soia Roundup Ready, mostra come attualmente la principale aspettativa delle colture Gm sia stata disattesa. Tale variabilità nelle rese è verificabile per tutte le colture esaminate nel capitolo terzo, ad eccezione del cotone che rappresenta l’unica pianta Gm in grado di aumentare le rese. Il caso del mais è di difficile interpretazione in quanto il periodo di riferimento dello studio ricade in quello di maggior infestazione, il quale influisce positivamente sulle colture Gm di mais, ma negli anni successivi, quando il grado di infestazione diviene più basso, la differenza nelle rese diminuisce sensibilmente rispetto alle varietà tradizionali. Dal punto di vista dei costi, le colture Gm non offrono margini di riduzione rilevanti, ma, allo stesso tempo, è evidente una diversa distribuzione degli stessi tra le diverse componenti. Nelle colture Gm è stato evidenziato che il minor costo degli agenti chimici, lì dove rintracciabile, è stato più che compensato da un aumento del costo del seme, che ha la caratteristica di inglobare il miglioramento genetico, dovuto al technology fee, vale a dire il costo di fruizione del seme brevettato. 180 Particolare di rilievo per la sostenibilità nel lungo periodo è da rilevarsi nella struttura degli inputs produttivi necessari alle coltivazioni Gm: per coltivare piante Gm è necessario acquistare un pacchetto tecnologico comprendente semi ed erbicidi84, in corrispondenza del fatto che i semi sono resistenti solo a particolari erbicidi, che vengono forniti dalla stessa azienda. Tale condizione favorisce una diversa struttura dei costi di produzione variabili, favorendo nella coltivazione la remunerazione dei fattori di origine esterna all’azienda, riducendo quindi il valore aggiunto attribuibile al fattore lavoro e alla capacità imprenditoriale, che sono sotto il controllo e la gestione degli agricoltori. Lo spostamento dei costi a favore di mezzi esterni rende meno gestibile l’attività agricola che vede il capitale esterno come principale fonte di valore aggiunto. La conseguenza di un tale risultato è di rendere l’attività agricola sempre più dipendente da fattori esterni, quali il prezzo delle materie prime e degli inputs produttivi, legando l’attività agricola alle fluttuazioni del mercato e alle scelte dei produttori di inputs (sementi ed erbicidi), i quali godono dei benefici derivanti da un mercato agro-alimentare concentrato. Nel lungo periodo la struttura dei costi delle coltivazioni transgeniche appare non sostenibile, in quanto se da un lato i costi rimangono immutati e se dall’altro si ipotizza, e non è ancora certo, una crescita della produzione, il risultato sarà una riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli a svantaggio degli agricoltori. Una tale condizione è molto più complessa se si considera che parte del costo delle sementi, che per le varietà Gm sono più costose delle tradizionali, sono stabilite e gestite dai produttori in forma di monopolio conseguentemente alle regolamentazioni brevettali. La posizione delle aziende produttrici di sementi, che sono le stesse che producono anche erbicidi e prodotti chimici in generale per l’agricoltura, è quella di avere il controllo, quasi assoluto, sul livello di redditività del settore agricolo, e di chi intenda coltivare prodotti Gm, attraverso principalmente la variazione del costo del technology fee (che ha il suo effetto sulle sementi), degli erbicidi, dei pesticidi e delle sementi, transgeniche e non. La condizione appena espressa non è irreale, in quanto nel caso del mais è stato rilevato che il costo delle royalties è stato fatto variare in relazione alla differenza di rese 84 Il riferimento è alla tecnologia HR (resistenza agli erbicidi) che è la più diffusa. 181 tra le varietà Gm e quelle convenzionali, aumentandone il valore nei periodi di alta infestazione (quando la redditività del mais Gm potenzialmente minore), e viceversa nei periodi di bassa infestazione. La diversa distribuzione dei costi in favore del pacchetto tecnologico fa sì, dunque, che si crei una dipendenza forte tra il settore agricolo transgenico e quello dell’industria fornitrice degli inputs produttivi. Gli svantaggi nella coltivazione di piante Gm sono da ricollegarsi, più che alla tecnologia in sé, al modo in cui sono gestite tali produzioni, vale a dire attraverso le posizioni dominanti sul mercato ed i brevetti. Nel lungo periodo, e alcuni studi recenti lo confermano, è prevedibile una reazione ambientale che renda inefficaci le piante Gm, siano esse del tipo HT o IR: infatti, sia le malerbe, il principale obiettivo degli erbicidi, sia gli insetti sono in grado nell’arco di 4-5 anni di attuare forme di resistenza agli agenti chimici, così com’è accaduto dall’inizio della prima Rivoluzione Verde degli anni settanta, tali da rendere necessario un quantitativo sempre maggiore di prodotti chimici per ettaro fino alla loro definitiva sostituzione per inefficacia. Le reazioni ambientali sono da tener presenti in quanto, in un tempo sufficientemente breve, è prevedibile che i costi per erbicidi possa aumentare a scapito della redditività agricola, con la conseguenza di schiacciare i profitti e aumentando ancor più la redistribuzione del valore aggiunto al fattore capitale, principalmente di origine esterna all’impresa agricola. Casi di resistenza o di trasmissione del transgene alle malerbe sono stati già individuati e hanno suscitato le perplessità delle aziende Biotech, confermando le preoccupazioni di molti scienziati circa la possibilità che l’ambiente reagisca a tali superpiante creando super-insetti e super-erbacce, riproponendo all’agricoltore gli stessi problemi iniziali, peggiorati dall’esistenza di nuovi organismi ancor più resistenti, soprattutto per quelle piante allogame (barbabietola e colza, ad esempio) che tendono ad incrociarsi con le specie selvatiche e non affini. Alcuni studi confermano che l’uso dell’erbicida Roundup ha sì fatto diminuire il quantitativo di prodotti chimici, ma si è visto che le dosi di Roundup per ettaro, necessarie per le piante Roundup Ready (le più diffuse e prodotte da Monsanto), sono più che raddoppiate a fronte di una diminuzione complessiva degli erbicidi intorno all’11%. 182 Altro fattore molto importante nell’analisi di lungo periodo per le biotecnologie agricole riguarda il brevetto delle piante. La possibilità di brevettare una pianta pone difficoltà all’accesso e al libero riutilizzo delle sementi per la semina successiva. L’impossibilità per gli agricoltori di riutilizzare per gli anni successivi le sementi ricavabili dal raccolto dell’anno precedente costituisce, per i Pvs, un fattore di esternalità nell’adozione di piante transgeniche, in quanto spesso non esistono i mezzi finanziari per il riacquisto delle sementi e non esistono, a livello nazionale ed internazionale, norme che prevedano particolari criteri per far sì che da un lato venga tutelata la varietà protetta, e dall’altro si favorisca l’accesso alle sementi migliori da parte dei ceti più deboli. L’agricoltura transgenica è, nella sua struttura produttiva, molto simile all’industria manifatturiera. Da più parti, il pericolo paventato è stato quello di una maggior industrializzazione dei processi agricoli a scapito dei piccoli agricoltori, i quali non godono di rendimenti di scala per via dell’estensione dei terreni posseduti. Un’agricoltura strutturata e gestita come quella transgenica rende il lavoro agricolo ancor meno redditizio, sempre più meccanizzato a favore di una produzione di quantità e a scapito di una produzione di qualità, che può, soprattutto nei Pvs, essere il punto di partenza per lo sviluppo di un’imprenditoria agricola locale basata sulla coltivazione di specie autoctone, e non volta alla produzione di piante alloctone, destinate ai grandi mercati internazionali e alle loro fluttuazioni, spesso non sopportabili dalle piccole comunità del Sud del mondo. L’agricoltura potrebbe ottenere un incremento della propria redditività attraverso l’adozione di processi produttivi che sfruttino maggiormente i fattori interni all’azienda, come terra, lavoro e capacità imprenditoriale, e non attraverso tecniche, come quelle transgeniche, che basano la propria redditività su tecnologie e fattori esterni, a pagamento sul mercato, soprattutto se il mercato è fortemente concentrato. Le colture transgeniche pongono le basi alla completa automazione del processo produttivo agricolo, volta alla produzione di beni alimentari sostanzialmente equivalenti a quelli convenzionali, e nel lungo periodo tali coltivazioni sono destinate a perdere redditività in rapporto ai beni manifatturieri acquistabili sul mercato, che hanno nel tempo un incremento del loro valore grazie al continuo miglioramento tecnologico. Un’agricoltura basata su tecniche labour-intensive può senz’altro rendere l’agricoltura meno dipendente dall’industria fornitrice di inputs e tende a ridistribuire il 183 maggior reddito in favore del fattore lavoro, come conseguenza dell’aumento di produttività, intesa sia come produttività materiale sia come produttività riconducibile all’ingegno e alle capacità imprenditoriali. La principale aspettativa per i prodotti Gm è di conseguire un aumento del reddito dalla maggior resa delle coltivazioni, a parità di costi, e tale situazione nel lungo periodo è attuabile solo attraverso rendimenti di scala, ottenibile solo per chi abbia in proprio possesso grandi appezzamenti di terreno, e ciò è in contraddizione con le necessità degli agricoltori del Sud del Mondo, i quali verrebbero spiazzati dai grandi latifondisti: dunque, non sono i piccoli agricoltori i principali beneficiari degli Ogm, bensì sono i grandi proprietari terrieri, spesso dei Psa, che possono trarre i maggiori benefici da tali coltivazioni. Il vantaggio prospettato per le colture geneticamente modificate, a detta dei promotori, sarà quello di facilitare l’attività agricola riducendo al minimo le possibili perdite di raccolto, che in alcune colture come il mais sono ciclicamente compromettenti, rendendo più flessibile l’attività agricola. La facilitazione nel controllo delle coltivazioni è relativa alla possibilità di ridurre le piante infestanti con prodotti chimici non selettivi, utilizzabili per tutto l’arco temporale della coltivazione. Tale possibilità, se da un lato fornisce una condizione ottimale di controllo dall’altro, ha ripercussioni su più fattori: L’uso di erbicidi non selettivi potrebbe, e da alcuni studi recenti è stato già dimostrato, far aumentare il ricorso alla chimica in agricoltura, con un impatto negativo sulla qualità del prodotto connessa ai possibili residui, congiuntamente ad una perdita di stagionalità per i raccolti, la quale avrebbe effetti sul livello dei prezzi, facendoli diminuire a scapito del reddito dell’agricoltore. Il maggior uso della chimica porterà ad una maggiore dipendenza dell’attività e della produttività agricola nei confronti dell’industria fornitrice di inputs. La maggiore industrializzazione agricola riduce la possibilità di aumentare il reddito agricolo in relazione ad un uso eccessivo di fattori esterni all’impresa, a scapito dei fattori terra e lavoro. 184 Nel lungo periodo è prevedibile che la riduzione delle remunerazioni dei fattori terra e lavoro porti ad una perdita di profittabilità dell’attività agricola con conseguente abbandono delle terre coltivate, o potrebbe essere plausibile il subentro delle compagnie nella gestione delle attività, riducendo l’agricoltore ad operaio di un’agricoltura sempre più industrializzata. In definitiva, l’agricoltura transgenica, basata sul pacchetto tecnologico (sementi+chimici), ha in sé le potenzialità per rendere più dipendente l‘agricoltore e l’attività agricola nei confronti delle compagnie che controllano il mercato tramite le risorse economico-finanziarie ed i brevetti. V.6. Il mercato delle biotecnologie La rivoluzione biotecnologica, avvenuta negli ultimi cinque anni, ha apportato sconvolgimenti in tutto il sistema agro-alimentare mondiale, facendo sentire i propri effetti sugli equilibri societari esistenti: le società si sono trovate dentro una rivoluzione difficile da gestire ed interpretare nel suo complesso, in particolare per le piccole compagnie sementiere nazionali. Il valore del mercato delle sementi biotecnologiche, per l’anno 1999, è stato calcolato attorno ai 2750-3000 milioni di dollari, +40-53% sull’anno precedente, ovvero circa il 10% del mercato mondiale delle sementi. Le previsioni indicano che, in assenza di problemi di accettazione da parte dell’opinione pubblica, tale stima debba essere rivista al rialzo: infatti, si stima che il valore del mercato biotech delle sementi arrivi a 8.000 milioni di dollari nel 2005 e a 25.000 nel 2010. Il potenziale del mercato biotecnologico, però, non può essere considerato a se stante, in quanto le recenti operazioni finanziarie nel mercato sementiero e agro-chimico hanno modificato tutti gli assetti societari preesistenti. Le biotecnologie hanno cambiato profondamente la configurazione industriale del mercato agricolo, ed hanno avviato un’integrazione tra i suoi due grandi comparti, quello sementiero e agro-chimico, in relazione alla caratteristica del pacchetto biotecnologico, propria del modo di coltivare Ogm. 185 Negli ultimi anni si è assistiti ad un vero e proprio riassetto societario, caratterizzato da numerose fusioni, alleanze, collaborazioni e acquisizioni all’interno dell’industria delle biotecnologie applicate all’agricoltura. Il risultato principale di tali operazioni di mercato è stato quello di aver reso ancor più concentrato il mercato, riconducibile ad un oligopolio formato da quattro grandi compagnie (Monsanto, Syngenta, Aventis e DuPont), le quali hanno avviato una ristrutturazione aziendale atta ad integrare al loro interno l’intera filiera agro-alimentare: infatti, ognuna delle società comprende al suo interno i vari segmenti della filiera, dalla ricerca ed identificazione dei geni da brevettare, alla produzione e commercializzazione di sementi biotecnologiche con il relativo trattamento chimico che viene venduto in un unico pacchetto. Tale integrazione permette alle compagnie di gestire interamente, al proprio interno, tutti gli sviluppi in campo biotecnologico, gestendo in prima persona i potenziali rendimenti futuri in tutti i suoi comparti: attraverso una tale struttura societaria si è in grado di gestire, direttamente, tutte le risorse produttive, evitando le lacune esistenti nelle regolamentazioni brevettali, che costituiscono il punto fondamentale nella tutela delle loro invenzioni85. La ricerca delle caratteristiche genetiche desiderate e la loro gestione commerciale diventano così risorse complementari da gestire in toto attraverso i brevetti e la protezione intellettuale. Tuttavia, è da considerare come il mercato biotecnologico non possa essere misurato in termini monetari o attraverso semplici indici di concentrazione, senza tener conto del potenziale di mercato delle aziende, così come espresso dalle stime dell’Istituto Wood MacKenzie circa il vero potere di mercato della Monsanto. Il problema del livello di concentrazione del mercato sementiero ed agro-chimico necessita di essere considerato in rapporto alle relazioni esistenti tra il mercato tradizionale e quello transgenico, circa le aziende protagoniste e la mancata segregazione delle filiere. Infatti, analizzando la struttura del mercato agricolo è evidente come la ristrutturazione del mercato da un lato abbia favorito l’integrazione tra il settore 85 È nota la battaglia sulla proprietà del brevetto sulla tecnologia IR basata sulla proteina tossico-insetticida Bacillus Thuringensis. 186 sementiero e agro-chimico, e dall’altro abbia concentrato l’intera industria nelle mani di poche aziende multinazionali, che detengono lo stesso potere nel mercato tradizionale. La condizione di parallelismo creata tra i due mercati pone problemi al libero sviluppo del sistema agricolo internazionale, in quanto chi gestisce il mercato delle biotecnologie, opera anche nel mercato tradizionale, di qui la possibilità per loro di influenzare il mercato in direzione dei prodotti a loro più convenienti, vale a dire quelli transgenici. Il prodotto transgenico ha caratteristiche remunerative per i produttori migliori dei sistemi tradizionali di coltivazione, in quanto possono disporre del brevetto (espresso tramite il technology fee), associare la semente all’erbicida, prodotti dalla stessa azienda (doppio introito), e si garantiscono, grazie alle regolamentazioni sui brevetti, il controllo e gestione, in regime di monopolio, delle varietà essenzialmente derivate86. Il livello di concentrazione nel mercato agro-alimentare, transgenico e tradizionale, l’integrazione della filiera, le regolamentazioni e la gestione dell’intero mercato da parte delle stesse aziende, formano una tela complessa che permette alle società produttrici un controllo completo e regolamentato. Le regolamentazioni, dal canto loro, pongono i presupposti normativi e legali per una strategia di mercato che favorisce alte barriere all’entrata per i possibili competitori e pone nelle mani di poche aziende l’intero controllo della filiera, determinandone il percorso da seguire, indipendentemente dalle necessità e dalle scelte dei fruitori, siano essi agricoltori che consumatori. Le regolamentazioni Upov sui ritrovati vegetali e le normative sui brevetti sembrano unificarsi su suggerimento degli accordi Trip’s, firmati in sede WTO: tale accordo prevede, al fine di uniformare le regolamentazioni, che i singoli Stati provvedano a legiferare affinché brevetti e protezioni non entrino in contrasto tra loro, ma, nella pratica corrente, tale necessità sembra stia andando a favore della costituzione di forti poli finanziari ed economici, cui vengono riconosciuti alti poteri decisionali che vanno in opposizione alle necessità del mondo agricolo dei Pvs, e maggiormente entrano in contrasto con la giustificazione con cui erano state immesse sul mercato le piante Gm, ovvero di risolvere il problema della malnutrizione e del sottosviluppo. 86 In questo modo, creata una nuova varietà è possibile gestire anche la sua evoluzione nel tempo, sempre in regime di monopolio, poiché la proprietà brevettale è estesa anche al materiale biologico in cui viene incorporato. 187 La mancanza di concorrenzialità nel mercato, accentuata dalle normative sui brevetti, pone problemi al libero sviluppo agricolo e alla libera scelta dei consumatori. Attualmente non è possibile definire in modo univoco il vero potere di mercato delle multinazionali Biotech, soprattutto in relazione alle normative vigenti che ne accelerano la concentrazione ed il potere di influenza sui mercati. V.7. Il sottosviluppo e le biotecnologie Il rapporto tra sottosviluppo e biotecnologie appare la questione fondamentale nella trattazione: comprendere quali potrebbero essere gli effetti di lungo periodo delle biotecnologie nei Pvs rappresenta un fattore cruciale, anche e soprattutto alla luce delle affermazioni delle compagnie promotrici, le quali indicano i Pvs come i principali destinatari di tali nuove tecniche di coltivazione. La struttura del mercato e le modalità di coltivazione dei prodotti transgenici è in contraddizione con le necessità dei Pvs: infatti, un tale sviluppo è basato sulle offerte delle compagnie in termini di sementi, erbicidi e prezzo per l’accesso, il tutto regolamentato da apposite convenzioni. La definizione delle colture transgeniche come la “Seconda Rivoluzione Verde” (SRV) appare per il Terzo Mondo come un secondo spauracchio che incombe su di loro. Una tale posizione sembrerebbe troppo pessimista, ma se veramente gli Ogm potranno essere alla base di una SRV, ciò non appare poi così fuorviante. Per anni i dibattiti sulla possibilità di sviluppo agricolo dei Pvs e sulla fame nel mondo hanno acceso lunghi dibattiti sugli effetti che la Prima Rivoluzione Verde ha avuto in tali Paesi. Secondo un rapporto Fao, di recente pubblicazione, si afferma che grazie alla Rivoluzione Verde si è potuto incrementare la produttività agricola utilizzando sementi ibride, durante gli anni ’60 e ’70, ma allo stesso tempo l’uso stesso di sementi ibride e il maggior uso di pesticidi e fertilizzanti ha portato nel ventennio ‘70-’90 ad una crescita del 360% degli agenti chimici, con ripercussioni estremamente negative sull’ambiente e sulla salute umana. Inquinamento, riduzione delle riserve idriche, esclusione dei contadini che non potevano permettersi di comprare le sementi migliori, sono stati i principali risultati della Rivoluzione, in concomitanza del fatto che i benefici della maggior produzione o sono finiti per essere di esclusivo appannaggio del Nord del mondo, grazie alla riduzione 188 dei prezzi, o sono stati distribuiti essenzialmente ai grandi latifondisti locali ed alle compagnie produttrici di inputs agricoli. Le biotecnologie per i Pvs, qualora siano gestite in modo da avvantaggiarli e non siano limitative nell’accesso, potrebbero certamente essere di aiuto ai Pvs, soprattutto in relazione alle ricerche su sementi resistenti alla siccità e al caldo o freddo. Tale possibilità, però, se mal gestita potrebbe peggiorare la situazione dei Paesi poveri relegandoli alla sola attività agricola, causa la mancata profittabilità del settore, limitandoli ad essere dei meri fornitori dei beni alimentari richiesti dai Paesi più ricchi. Altro fattore d’importanza nell’esportazione di Ogm nei Pvs, attraverso i quali avviare una fase di sviluppo, è la gestione della terra coltivabile. Infatti, in assenza di una riforma agraria che favorisca i ceti più poveri, il rischio è che l’adozione di piante Gm sia relativa ai grandi agricoltori, la cui finalità sarà di esportare i beni alimentari all’estero piuttosto che indirizzarli verso i mercati locali. Ad esempio la situazione Sudamericana è caratterizzata da grandi latifondi dove i produttori di materie prime indirizzano i prodotti verso l’export a costi sempre più bassi, in concomitanza all’impossibilità per gli agricoltori più poveri di attingere ai crediti e alle tecnologie, e dove i programmi di aggiustamento strutturale riducono i sussidi all’agricoltura. Inoltre, la competizione tra grandi latifondi e piccole proprietà appare una battaglia persa, soprattutto se i grandi latifondisti, per aver utilizzato nuove tecnologie a loro possibili economicamente, ricevono sussidi governativi. L’agricoltura transgenica è indirizzata verso quei Paesi e quegli agricoltori che hanno capacità economiche e tecnologiche tali da ottenere economie di scala, e non sono quindi rivolte ai ceti bassi. L’agricoltura transgenica è un’agricoltura estremamente industrializzata, dove i maggiori rendimenti, qualora possibili, sono da attribuirsi al maggior uso di macchine agricole e agenti chimici, a scapito del fattore lavoro. Brevetti, protezioni, meccanizzazione, monopolio degli inputs produttivi, costituiscono un insieme di fattori limitativi per l’accesso, soprattutto per i Pvs, i quali non dispongono di mezzi finanziari per accedere alle sementi migliori, siano esse transgeniche o tradizionali: ciò è il punto fondamentale della trattazione. Infatti, se da un lato le biotecnologie potrebbero essere lo strumento essenziale per lo sviluppo dell’agricoltura dei Pvs, dall’altro non si capisce il perché l’accesso sia limitativo, attraverso le normative e la concentrazione del mercato, soprattutto per quei Paesi che non 189 hanno le possibilità economiche per accedervi e che, a detta delle società Biotech, dovrebbero essere i destinatari principali: tale situazione economico-legislativa appare palesemente contraddittoria. Le limitazioni all’accesso sono dettate essenzialmente dai brevetti e dalle protezioni, che includono anche le varietà essenzialmente derivate, le quali tramite le royalties ed il controllo della produzione, relativamente al controllo dei prezzi delle sementi e degli erbicidi collegati, fanno sì che il principale destinatario della tecnologia transgenica sia l’utile aziendale dei fornitori di inputs agricoli e non la redditività degli agricoltori. Uno degli ultimi rapporti OCSE sul sottosviluppo conclude affermando che dalla Prima Rivoluzione Verde ad oggi i Paesi Meno Sviluppati (Pms) sono aumentati in numero da 23 a 44, indicando in tal modo come l’industrializzazione agricola, connessa alla politica delle multinazionali basata sull’uso della chimica e sullo sviluppo di varietà vegetali destinata all’industria del Nord del Mondo, abbia apportato significativi cambiamenti positivi solo nei Paesi destinatari dei prodotti, ovvero i Paesi a Sviluppo Avanzato (Psa), attraverso la riduzione dei prezzi dei beni agricoli. La mancanza di connessioni interne derivanti dallo sviluppo delle biotecnologie agricole transgeniche, rivolte alla produzione di vegetali industriali, è di particolare importanza: infatti, solo uno sviluppo capace di attivare investimenti interni, capace di creare un mercato locale e di favorire la crescita di benessere e di reddito per gli abitanti locali, può senz’altro essere considerato positivamente e sostenibile nel lungo periodo, sostenibilità, questa, che dovrà essenzialmente fare i conti anche con l’ambiente circostante e la sua conservazione. L’indipendenza tecnica dei Pvs nei confronti dell’estero rappresenta una conditio sine qua non è possibile avviare un qualsivoglia processo di sviluppo basato su crescita, non essenzialmente monetaria (l’importante è il benessere, che non necessariamente s’identifica con la ricchezza monetaria), sostenibilità e redistribuzione. V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie I dibattiti sulla protezione ambientale sono l’argomento più discusso e dibattuto degli ultimi anni, in particolare dalla stesura degli accordi di Kyoto in tema di riduzione dell’emissione di gas nocivi che incidono sull’effetto serra. 190 L’ambiente è certamente una delle variabili più interessanti che si sono intrecciate con quelle economiche. La realtà dei fatti mostra come l’ambiente se da un lato è una risorsa da gestire al meglio e capace, allo stesso tempo, di generare reddito attraverso alla sua conservazione87, dall’altro una sua cattiva gestione pone problemi di rilevanza economica, legati indissolubilmente alla salute umana e al normale svolgimento delle attività quotidiane, si pensi all’inquinamento delle falde acquifere, alla salubrità dei prodotti alimentari ed alla tutela della principale risorsa scarsa esistente, l’acqua. L’attività agricola ben s’innesta in tale discussione, in quanto il normale svolgimento delle attività agricole ha effetti non solo economici legati alla coltivazione, ma esso influisce positivamente con l’ambiente circostante attraverso, ad esempio, la tutela della biodiversità. La gestione ottimale della variabile ambientale rappresenta il punto cruciale per uno sviluppo sostenibile, limitando in tal modo possibili retroazioni negative connesse all’eccessivo sfruttamento delle risorse. Le biotecnologie così come attualmente strutturate non permettono di raggiungere la sostenibilità economica e ambientale, in quanto ancor più legata alla chimica rispetto alle colture tradizionali, che nel medio-lungo periodo ha sempre prodotto, congiuntamente ad un aumento delle produzioni, inquinamento ed erosione dei suoli, con la conseguenza di aver ridotto i terreni coltivabili. Da un punto di vista strettamente economico, connesso all’ambiente, è da considerare come le tecniche di ingegneria genetica applicate all’agricoltura dal punto di vista della finalità agronomica non aggiunge nulla all’esistente: infatti, sia l’agricoltura tradizionale che quella transgenica offrono la possibilità di ridurre le perdite agricole attraverso la chimica, e la differenza risiede nell’uso della chimica stessa, che nell’agricoltura Gm viene incorporata nella semente. Le possibili reazioni ambientali nel medio periodo, legate all’eccessivo uso della chimica, potrebbero essere legate alla comparsa di resistenza da parte delle malerbe e degli insetti alla chimica “transgenica”, con il risultato per l’agricoltore di tornare al punto di partenza, in una situazione, però, peggiore dal punto di vista produttivo in quanto 87 Il riferimento è legato al turismo ambientale (parchi nazionali, litorali, montagne), all’agricoltura biologica, e a tutte quelle strutture economiche che pongono come risorsa generatrice di ricchezza l’ambiente nelle sue manifestazioni varie. 191 sarebbe necessario un nuovo agente chimico più efficace ed aggressivo, e così nel tempo la situazione potrebbe sempre ripresentarsi. La possibilità di resistenza ambientale si è già verificata nell’uso della colza Gm e della soia Roundup Ready della Monsanto. Secondo uno studio condotto dal Dr. Charles Benbrook del Northwest Science and Environmental Policy Center, i dosaggi dell' erbicida RoundUp Monsanto, contenente glifosato, sono aumentati nelle piantagioni di soia transgenica. Le erbacce hanno, infatti, sviluppato la resistenza all' erbicida, costringendo gli agricoltori ad utilizzare un quantitativo sempre maggiore di RoundUp88. Anche nel caso della colza Gm si sono verificati problemi legati alla resistenza da parte delle malerbe riscontrata in Canada e al suo controllo: infatti, la Colza transgenica sta diventando infestante nei campi dove non è stata seminata. Il fatto che la colza Gm resista agli erbicidi ne rende difficoltoso il controllo ed impone l' uso di altri prodotti chimici ancor più dannosi per la disinfestazione e secondo alcuni studi si ritiene stia diventando impossibile un suo controllo, in quanto uno dei veicoli di diffusione sembra essere il letame dei bestiami (i semi transitando attraverso l' apparato digestivo degli animali, si depositano sul terreno in cui germinano) e il carattere allogamico della pianta. I problemi ambientali, che impongono una maggiore rigidità nella concessione dei rilasci, sono reali in alcuni casi: tuttavia, attualmente non esiste uno studio che stabilisca l’innocuità e la possibilità di controllo e gestione del rischio ambientale connesso. Le stesse biotecnologie sono di per sé instabili: la sequenza genica introdotta avviene in una posizione casuale, con la conseguente impossibilità di verificarne gli effetti sull’intero metabolismo dell’organismo (Panfili A., 2001). La possibile perdita di controllo delle reazioni transgeniche sono da collegarsi al fatto che le sementi possono essere disperse nell’ambiente, andando ad attivare derivazioni genetiche ulteriori, pari o superiori a quella della semente stessa: è possibile la nascita di un clone di cui non si conoscono le caratteristiche genetiche e gli effetti sull’ambiente. 88 Secondo la società produttrice del Roundup, la Monsanto, tale situazione è dovuta alla mancata commercializzazione del nuovo diserbante Roundup Ultra, confermando indirettamente le ipotesi di molti istituti di ricerca, secondo i quali l’uso di erbicidi non selettivi a lungo termine rende necessaria la sua sostituzione con un altro erbicida più efficace ed aggressivo, causa le resistenze ambientali 192 Nel complesso gli effetti sull’ambiente e sull’uomo, congiuntamente alle capacità di controllarli, appaiono lungi dall’essere determinate: da un lato perché le tecniche di transgeniche sono ancor poco conosciute e dall’altro proprio perché le tecniche transgeniche sono di per loro instabili nella struttura. Le perplessità circa gli effetti nocivi sull’ambiente da parte degli Ogm sono in parte giustificate dalle numerose discussioni circa le modalità di sperimentazione attuate in USA, dove gli organi di riferimento sono per l’agricoltura e l’ambiente, l’USDA e la FDA. Numerosi studiosi dei due Enti statunitensi, nel 1992, sollevarono i propri dubbi circa la possibilità di controllo e nocività, per l’ambiente e per l’uomo, derivanti dagli Ogm. In tali rapporti si evidenziava la non stabilità degli Ogm e si sottolineava come vi fossero profonde differenze tra la riproduzione naturale e quella transgenica, oltre ai possibili problemi di tossicità e allergenicità, legati ad agenti sconosciuti, connesse al loro consumo. In una tal situazione la Fda non tenne conto delle avvertenze dei propri scienziati, affermando come le critiche venissero fatte da «impiegati» di basso profilo professionale: i 44.000 rapporti critici, risalenti al 1992, furono occultati da parte dall’Ente fino alla loro recente scoperta (Cardini, A., 2001). L’evidenza empirica dei fatti mette in evidenza come sia ancora molto confusa la stessa sfera scientifica, biotecnologi compresi, circa le potenzialità positive e negative di un rilascio indiscriminato di Ogm nell’ambiente: ultima è stata la presa di posizione del Premio Nobel Montalcini, il quale afferma che nel caso delle applicazioni mediche delle tecniche transgeniche i benefici superano di gran lunga i possibili rischi, anche perché isolati in un corpo controllabile, mentre nel caso delle applicazioni agricole afferma che la strada è ancora molto lunga e complessa, e che attualmente i potenziali rischi, connessi alla perdita di controllo, sono superiori agli attuali benefici. V.9. L’accettazione del rischio La componente di rischiosità connessa alle biotecnologie è uno dei punti fondamentali di carattere ambientale. L’assenza di controllo del processo di transgenesi ha effetti sulle produzioni e sulle variabili socioeconomiche connesse. La formulazione base del rischio, in termini probabilistici, può essere riassunta dalla funzione seguente: 193 RISCHIO=PROBABILITÀ(EVENTO) * IMPATTO(EVENTO) La componente probabilistica, attualmente, è indeterminabile, in relazione sia all’assenza di percezione del possibile evento nel suo complesso sia alla determinazione quantitativa della probabilità che l’evento in considerazione si manifesti. La componente impatto, che identifica il possibile danno, è anch’essa di difficile determinazione, o quasi impossibile, poiché resta indeterminabile: tale indeterminabilità deriva dal soggetto cui va attribuito il danno. Il soggetto danno può senz’altro essere identificato nella biodiversità, vale a dire l’insieme delle caratteristiche genetiche esistenti nei diversi organismi, i quali hanno permesso la vita e l’evoluzione delle specie. La biodiversità rappresenta uno dei concetti base, insieme alle caratteristiche economiche dell’innovazione agronomica, attraverso il quale stabilire il potenziale di rischio delle applicazioni genetiche. La biodiversità è in stretta relazione sia con i fenomeni ambientali sia con il concetto di sostenibilità inteso in senso generale. La valutazione del rischio è il parametro essenziale, ed attualmente assente, per ottenere una corretta valutazione, dei pro ed dei contro, di un’innovazione, in un’ottica di analisi costi-benefici, che, finora, è stata portata avanti in base alle argomentazioni, fondate su dati di tipo quantitativo e qualitativo relativi ai benefici, di chi scrive. Una tale analisi costi-benefici “virtuale” è sembrata essenziale per valutare l’effettivo potenziale, in base ai dati disponibili, delle applicazioni transgeniche in agricoltura. In assenza di una misura del rischio appare giustificabile l’applicazione del Principio di Precauzione, valido all’interno dell’UE, da utilizzare come parametro decisionale di riferimento. L’applicazione del Principio di Precauzione, nel caso delle biotecnologie, sembra essere stato tralasciato: infatti, le preoccupazioni espresse da molti scienziati circa i rischi connessi alle biotecnologie sembrano esser stati ignorati, sia dalle leggi sia dalle autorizzazioni concesse per il loro rilascio in campo aperto, soprattutto in relazione ai benefici ottenuti finora, che sembrano avere deluso le aspettative. Appare indubbio costatare come particolari situazioni politiche abbiano favorito un’accelerazione nel rilascio ambientale degli Ogm, anche alla luce dei danni certificati e 194 stabiliti. L’interesse economico che ruota attorno alle biotecnologie è ingente: ricerche, studi, sperimentazioni, sono state il frutto di anni di lavoro e di investimenti, ma non giustificano la semplificazione del problema e delle procedure. Esistono, nelle normative vigenti, situazioni che chi scrive definisce anomale: situazioni connesse sia alle normative sulle sperimentazioni, sia ai rapporti esistenti tra produttori e legislatori e tra legislatori e consumatori. La normativa sui brevetti permette alle società di ricerca, relativamente alla legislazione americana, di brevettare anche le scoperte, ovvero ciò che già esiste in natura89. Le biotecnologie transgeniche, a detta dei produttori, sono state sviluppate per i Pvs, ma allo stesso tempo il costo dei brevetti e la loro fruizione sembra non essere adatta alle condizioni economiche degli stessi destinatari. La regolamentazione europea prevede l’obbligatorietà di etichettatura per quei prodotti che contengano una quota maggiore dell’1% di prodotti Gm o derivati: tale regolamentazione prevede una soglia di accidentalità poiché non è possibile assicurare, per i prodotti convenzionali, l’assenza totale di prodotti o derivati Gm, causa la mancata segregazione delle filiere, come confermato dal Commissario Europeo David Byrne. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità alcuni prodotti non possono dare esiti certi nell’applicazione dell’analisi PCR (principio base per la verifica della struttura del DNA, ma non affidabile al 100%), in quanto non amplificabili: ciò pone in condizione di non poter definire un prodotto Gm o derivato senza che ne sia stata certificata l’origine. Nella pratica è impossibile stabile se un olio, una lecitina di soia o un amido di mais siano di origine transgenica. Il Principio di Sostanziale Equivalenza (PSE) prevede, per quei prodotti che hanno caratteristiche nutrizionali simili ai corrispettivi convenzionali, la commercializzazione come tradizionali, poiché non vi è differenza90. 89 La regolamentazione brevettale statunitense la possibilità di brevettare il processo produttivo relativo all’estrazione o alla lavorazione di un bene naturale, o di brevettare un gene esistente in natura, purché sia modificato in parte (ad esempio il principio del Roundup Ready si basa sulla modificazione di un gene della petunia), o, in ultima istanza, di brevettare nel proprio Paese un gene o una pianta esistente in un altro. 90 Nella pratica viene definito sostanzialmente equivalente ogni prodotto il cui tratto di DNA modificato non sia rintracciabile (così come avviene nella produzione di olio di soia che perde il tratto modificato e che quindi è commercializzato come il tradizionale, a meno che non ne sia stata identificata la provenienza). 195 Il PSE appare, dunque, ingannevole per il consumatore, in quanto non definisce, causa la non segregazione delle filiere alimentari, con certezza ciò che è tradizionale o transgenico nel suo complesso. In alcuni casi la sperimentazione sugli Ogm non viene effettuata: infatti, se il prodotto è frutto dell’incrocio di due Ogm già sperimentati, e quello finale contiene solo i due tratti originari, la sperimentazione è esclusa, senza tener conto del metabolismo genetico. Una considerazione particolare da considerare è il rapporto tra produttoriricercatori e organismi di controllo. Infatti, dall’inizio degli anni novanta ad oggi, ovvero il periodo delle maggior sperimentazioni in USA, accanto alla ristrutturazione del mercato agro-chimico e sementiero, legato allo sviluppo degli Ogm, è stato evidente anche un cambiamento dell’indirizzo politico da parte delle Istituzioni statunitensi: infatti, sia nella gestione Clinton sia nella recente gestione Bush sono stati nominati a capo dei principali enti di controllo alimentare e agricolo, FDA e USDA, alcuni tra i dirigenti delle principali società biotecnologiche. Alcuni esempi sono riportati qui di seguito: Tommy Thompson, ex-governatore del Wisconsin, è il nuovo Segretario della Sanità. Come Governatore aveva contribuito, con parte dei finanziamenti forniti dalla Monsanto, alla creazione di zone agricole Biotech per favorirne l’accettazione, ed allo stesso tempo la società ha in parte finanziato la sua campagna elettorale. Ann Veneman, il nuovo Segretario all’Agricoltura, è stata in precedenza direttrice della società biotech Calgene, attualmente sotto il controllo della Monsanto, ed è stata attiva nel sostenere le ditte biotech per commercializzare le sementi nei Pvs. Donald Rumsfel, attuale Segretario alla Difesa, era presidente della Searle Pharmaceutical quando venne acquisita dalla Monsanto. Linda Fisher, ex dirigente Monsanto, è stata nominata a ricoprire un ruolo primario nella gestione dell’EPA, l’ente di protezione ambientale statunitense, che dovrebbe verificare la non nocività ambientale. Tale elenco non intende porre alcuno sotto accusa, ma vuole essere semplicemente una descrizione dettagliata di alcuni accadimenti avvenuti all’interno delle Istituzioni 196 statunitensi. Avvenimenti questi, che certamente, destano perplessità circa il rapporto di collaborazione e indipendenza, allo stesso tempo, che dovrebbe esserci tra i due soggetti. V.10. Conclusioni finali Le biotecnologie in agricoltura rappresentano senza dubbio un’innovazione complessa, dal potenziale non ancora determinabile, e dalla rischiosità non ancora accertata, ma probabile e già documentata in alcuni casi. Le prospettive future non sono determinabili in modo scientifico, poiché non scientifiche sembrano essere alcune considerazioni, circa i costi e i benefici, soprattutto in relazione alle modalità di regolamentazione. Il fenomeno Biotech appare, a chi scrive, molto contraddittorio ed allo stesso tempo pone preoccupazioni sul futuro circa gli effetti socioeconomici ed ambientali, così come strutturate e gestite. Tuttavia, la complessità e la scientificità del fenomeno sembra infrangersi contro l’aspetto economico dell’innovazione. Brevetti, protezioni, normative ambientali di rilascio e controllo, sono troppo spesso ambigui ed antieconomici: sembra che il paradigma, autodefinitosi, dominante sia quello del profitto ad ogni costo, e dunque non sostenibile. La definizione normativa delle responsabilità dei possibili danni, come il recente caso StarLink che è costato alla società Aventis 2.100 miliardi di risarcimento danni alle vittime (agricoltori e consumatori), certamente non attenua le paure, soprattutto se il danno fosse irreparabile. L’innovazione biotecnologica è per i poveri, si è detto, ma le modalità di commercializzazione non sono adatte a loro: il technology fee appare non correlato alla necessità di ricostituire l’investimento fatto, ma sembra essere legato al normale controllo monopolistico del prodotto o del processo produttivo. In tale ottica quale ruolo è possibile attribuire alla natura da salvaguardare, al consumatore da rispettare, al Sud del Mondo intento nel suo riscatto socioeconomico? Le ambiguità normative e legislative, insieme all’assenza di una corretta informazione, mostrano le biotecnologie ingegneristiche come un fenomeno preoccupante nella sua complessità ed ambiguità per chi se ne voglia interessare, ed un qualcosa 197 d’incomprensibile per chi ne voglia essere informato attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione. Le biotecnologie risultano, in definitiva, un fenomeno molto complesso, completo ed ambiguo, come chi scrive le preferisce definire, difficile da sintetizzare e da semplificare. Il fine del lavoro è stato quello di fornire informazioni ed analisi economiche, basate essenzialmente sul concetto di sostenibilità intesa in senso generale, ponendo come variabili principali la conservazione dell’ambiente, la precauzione, la fiducia in una scienza futuristica ma ragionevole, il tutto con un particolare riguardo ai fenomeni del sottosviluppo e alla fame nel mondo, come principali destinatari di una tecnologia volta, nella sua teoria, ad alleviare i problemi che affliggono i Paesi del Sud del Mondo. Il fine ultimo non è quello di dare una soluzione o di condannare un’innovazione, ma è quella di porre l’attenzione sulle necessità umane ed ambientali, sia nel Nord sia nel Sud del Mondo, in modo tale da porre come fine ultimo delle innovazioni l’uomo, l’ambiente e il benessere, e non il solo profitto aziendale. Una scienza, che ponga l’uomo al centro dei suoi interventi, può senz’altro essere quella in cui si crede e si pone fiducia nel futuro. Glossario Allogamia: fecondazione tra gameti provenienti da fiori diversi della stessa pianta o tra fiori di piante affini. Autogamia: fecondazione tra gameti provenienti da uno stesso fiore (ermafrodito). BT: tecnologia transgenica di resistenza agli insetti basata sulla tossina Bacillus Thuringensis. Pleiotropico (effetto): i molteplici effetti che un singolo gene può esercitare sull’organismo. EPA: Environmental Protection Agency Fenotipo: il risultato osservabile e misurabile dell’espressione dei geni, cioè l’insieme delle caratteristiche fisiche, biochimiche e fisiologiche di un organismo. Genoma: l’intero patrimonio genetico di un organismo. Genotipo: complesso dei caratteri ereditari di un individuo, che non sempre corrisponde ai caratteri visibili, cioè al fenotipo. Gene: l’unità genetica fondamentale, costituita da DNA e contenente un’informazione ereditaria. GM: Geneticamente Modificato. HT: tecnologia transgenica basata sulla tolleranza agli erbicidi specifici. INRA: Institut National de la Recherche Agronomique. IR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza agli insetti. ISAAA: International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications. NCFAP: National Center for Food and Agricultural Policy. OGM: Organismo Geneticamente Modificato. QT: tecnologia transgenica atta a modificare le caratteristiche qualitative delle piante. RAFI: Rural Advancement Foundation International. Technology fee: tassa tecnologica connessa alla fruizione di un ritrovato vegetale tutelato da brevetto. Tossina: proteina dalle proprietà tossiche. 199 Transgene: gene destinato ad essere trasferito in un organismo estraneo. USDA: United States Department of Agriculture. VR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza ai virus. Bibliografia 1. AA. VV. (1998), The Monsanto Files, The Ecologist Vol.28 N°5 2. AA. VV. (1999), Giornale Ufficiale della Repubblica Francese, N°13 ANNO 1999, traduzione a cura di Norberto Pogna, Giovanna Raimondi e Laura Degani, Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura Roma 3. AA. VV. (2000), Top 10 Global Seed Company, Rafi, pubblicato su internet 4. AceA (2000), Terminator: è ancora lì!, Agenzia Stampa per i Consumi Etici ed Alternativi, Comunicato Stampa n. 202 04/04/2000 5. Altieri M. A. e Rosset P. 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