Istituto Nazionale di Economia Agraria
Analisi Regionali
I PERCORSI DELLA
RICERCA SCIENTIFICA
E LA DIFFUSIONE
DELL’INNOVAZIONE
IL CASO DELL’AGRICOLTURA PIEMONTESE
a cura di
Anna Vagnozzi
INEA, 2007
Regione Piemonte
Istituto Nazionale di Economia Agraria
I PERCORSI DELLA
RICERCA SCIENTIFICA
E LA DIFFUSIONE
DELL’INNOVAZIONE
IL CASO DELL’AGRICOLTURA PIEMONTESE
a cura di
Anna Vagnozzi
INEA, 2007
Il presente volume è stato redatto da:
Anna Vagnozzi (Responsabile progetto e ricercatore INEA Roma) che ha curato il capitolo 1 e i capitoli 3, 4, e i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6, 6.7;
Valentina Chiarello (collaboratrice INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi di descrizione dei comparti e delle tecniche del capitolo 2;
Carlo Masoero (Ricercatore INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi di analisi economica attraverso la RICA del capitolo 2;
Stefano Trione (Ricercatore INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi relativi alle politiche
agricole regionali del capitolo 2;
Francesca Giarè (Ricercatore INEA Roma) che ha curato il capitolo 5 e il paragrafo 6.8.
Hanno inoltre collaborato all’editing e alla elaborazione dei dati:
Maria Giglio (INEA Roma);
Roberta Gloria (INEA Roma).
La Grafica e l’impaginazione è stata curata da Pierluigi Cesarini
Si ringrazia Andrea Povellato per la lettura del volume e per i preziosi suggerimenti.
INDICE
CAPITOLO 1
Premessa
5
CAPITOLO 2
ANALISI DEL CONTESTO: I SETTORI PRODUTTIVI COINVOLTI
9
2.1 La cerealicoltura
9
2.2 La viticoltura marginale
28
2.3 La viticoltura specializzata
38
2.4 La frutticoltura
48
2.5 L’orticoltura
58
2.6 La caseificazione
68
CAPITOLO 3
LE INNOVAZIONI OGGETTO DI STUDIO
81
3.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità”
81
3.2 Ricerca “ Valorizzazione del Canavese DOC Rosso”
88
3.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura”
93
3.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”
100
3.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura”
109
3.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese”
116
CAPITOLO 4
IPOTESI SUI PERCORSI E SULLA DIFFUSIONE DELLE INNOVAZIONI
123
4.1 Dal modello di diffusione al modello di relazione
123
4.2 Prime ipotesi circa la diffusione dei risultati delle ricerche piemontesi
125
4.3 Confronto fra obiettivi/risultati delle ricerche e componenti
situazionali/istituzionali dello schema decisionale dell’imprenditore
131
CAPITOLO 5
L’APPROCCIO RELAZIONALE NELL’INDAGINE VALUTATIVA:
METODOLOGIE E STRUMENTI DI INDAGINE
137
CAPITOLO 6
I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO
145
6.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità”
145
6.2 Ricerca “Valorizzazione del Canavese DOC rosso”
149
6.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura”
151
6.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”
155
6.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura”
159
6.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese”
162
6.7 Uno sguardo d’insieme ai risultati
165
6.8 Problematiche aperte
170
APPENDICE STATISTICA: I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO
177
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
211
QUESTIONARI AGLI IMPRENDITORI AGRICOLI
215
INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI
255
CAPITOLO 1
PREMESSA
Il presente volume conclude l’attività di studio realizzata dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria sullo sviluppo e l’applicazione di sei filoni di ricerca promossi dalla Regione Piemonte negli anni scorsi, filoni scelti dalla Regione stessa
fra quelli ritenuti strategici per la ricerca agricola regionale.
La finalità dello studio è stata duplice: da un lato verificare il percorso e l’applicazione nel contesto operativo agricolo delle innovazioni oggetto delle ricerche
prescelte, dall’altro sperimentare una modalità di approccio e di lavoro che possa
essere periodicamente utilizzata dagli uffici regionali stessi.
La ricerca si è sviluppata in tre momenti fondamentali:
• l’analisi di scenario nell’ambito della quale sono state approfondite le conoscenze sui settori produttivi di contesto e sulla storia e lo sviluppo delle ricerche
scelte;
• l’analisi su campo nell’ambito della quale sono state sondate opinioni e conoscenze di tecnici e testimoni privilegiati ed è stata verificata la presenza delle
innovazioni presso le imprese interessate;
• la riflessione critica che, a conclusione di entrambe le fasi precedenti, ha consentito di interpretare e spiegare i risultati emersi.
Le attività di ricerca oggetto di studio sono state le seguenti:
1. “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” la cui diffusione è stata
verificata nelle province di Torino e Cuneo,
2. “Valorizzazione del Canavese rosso DOC” la cui diffusione è stata verificata nelle aree del Canavese e Alto Eporediese,
3. “Selezioni clonali in viticoltura” la cui diffusione è stata verificata nelle province
di Asti, Alessandria e Cuneo,
4. “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” la cui diffusione è stata verificata
nella provincia di Cuneo,
5. “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” la cui diffusione è stata verificata nelle province di Alessandria, Asti, Cuneo, Torino,
6. “Caratterizzazione della Toma Piemontese” la cui diffusione è stata verificata
nelle province di Biella, Cuneo, Torino.
5
Si è trattato quindi di un’analisi piuttosto complessa che ha riguardato tutti i
principali settori dell’agricoltura piemontese e diverse tipologie di innovazione:
quella di prodotto, le sperimentazioni varietali e quella di processo, le tecniche di
produzione; quelle agronomiche e quelle di trasformazione.
Il filo conduttore che ha guidato l’intera attività è stata la volontà di realizzare
un buon prodotto di ricerca basato su un’impostazione scientifica con precisi riferimenti teorici e un idoneo strumento di lavoro per gli uffici della regione che lo hanno
commissionato.
Il prodotto finale sembra ottemperare quello che ci si auspicava. Esso contiene una grande quantità di informazioni utili a chi gestisce le politiche della conoscenza per interpretare le caratteristiche e le problematiche dei settori produttivi
agricoli in un’ottica di domanda di nuova conoscenza e analizza le procedure utilizzate e i rapporti fra i soggetti secondo criteri di efficacia e di possibilità di sviluppo. D’altro canto l’intero lavoro rappresenta anche un complesso caso studio
regionale sulla produzione e diffusione delle innovazioni che non trova riscontro
recente nelle produzioni scientifiche agricole e può diventare un’utile occasione di
dibattito nel mondo scientifico interessato sia per i risultati che per la metodologia.
Il volume si articola in più capitoli.
Il capitolo 2 contiene tutte le analisi di scenario dei comparti interessati dalle ricerche e dalle relative innovazioni; vengono presi in considerazione: i più
importanti dati strutturali e congiunturali del settore, gli aspetti tecnici ed economici
collegati alle caratteristiche delle innovazioni studiate, i risultati economici dei
comparti, per le specie e le province interessate, secondo le informazioni disponibili nella banca dati della Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) del Piemonte, le linee di politica regionale per il settore.
Il capitolo 3 analizza nel dettaglio i progetti di ricerca e le innovazioni prodotte; vengono descritti gli obiettivi della ricerca e le procedure di indagine, i principali risultati ottenuti e la loro ricaduta rispetto agli utenti potenziali, il partenariato
che ha realizzato la ricerca, i metodi e gli strumenti di divulgazione.
Il capitolo 4 presenta il modello teorico utilizzato per verificare la diffusione dei risultati delle ricerche e, sulla base dei dati raccolti, propone una prima ipotesi di diffusione e di performance delle ricerche.
Il capitolo 5 descrive la metodologia utilizzata per realizzare l’indagine su
campo.
Il capitolo 6 riporta i risultati dell’indagine su campo. Vengono sinteticamente analizzate le risultanze del questionario, delle interviste ai testimoni privile6
giati e dei gruppi focus prima considerando le singole ricerche, poi dando uno
sguardo d’insieme all’intero intervento. In fondo al capitolo sono riportate le tabelle statistiche ritenute più interessanti.
L’Appendice riporta gli strumenti di lavoro utilizzati: la bibliografia, il questionario, le tracce delle interviste.
7
CAPITOLO 2
ANALISI DEL CONTESTO: I SETTORI PRODUTTIVI COINVOLTI
2.1
La cerealicoltura
Il progetto di ricerca “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità” ha
la finalità di definire e sperimentare modelli produttivi alternativi rispetto all’agrotecnica tradizionalmente seguita nelle aziende agricole piemontesi, effettivamente proponibili agli agricoltori e da essi riproducibili.
I sistemi colturali innovativi considerati nel corso dello studio devono
assicurare la salvaguardia del reddito degli agricoltori, la compatibilità dell’attività agricola con l’ambiente e il mantenimento della fertilità del suolo agrario
visto, quest’ultimo, come risorsa produttiva limitata da conservare.
Per soddisfare tali esigenze, la ricerca ha messo a confronto le tecniche
agronomiche convenzionali, tradizionalmente adottate nella pianura piemontese, con due percorsi colturali alternativi che comportano una significativa riduzione dell’impiego dei fattori produttivi, con l’obiettivo di contenere, nel contempo, i costi di produzione delle derrate e di rendere minimo l’impatto ambientale dei processi produttivi vegetali.
I tre percorsi colturali presi in esame sono applicati alla stessa rotazione
quadriennale mais-frumento-mais-soia. Essi si rivelano profondamente diversi in
termini di apporto energetico, inteso prevalentemente come lavorazioni del terreno e impiego di prodotti fitosanitari e fertilizzanti. Il primo percorso si riferisce all’agrotecnica tradizionale, che prevede aratura, diserbo in pre-emergenza
delle colture e concimazione standard; il secondo è il percorso chiamato “2078”,
conforme al dettato del regolamento 2078/92 e della misura agroambientale F1
del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 della Regione Piemonte; il terzo, infine, è definito percorso produttivo “Basso Input” (BI) e prevede la minima lavorazione del suolo, l’utilizzo di erbai da sovescio a ciclo autunno-vernino e un
radicale contenimento delle pratiche del diserbo e della fertilizzazione.
Attraverso l’analisi di scenario di seguito proposta si intende descrivere il
contesto territoriale in cui l’innovazione può diffondersi e, a tale scopo, è stato
individuato il territorio delle province di Cuneo e Torino. La pianura torinese e
cuneese, infatti, presenta caratteristiche pedoclimatiche e geografiche del tutto
9
analoghe a quelle possedute dall’area in cui è stata condotta la sperimentazione,
vale a dire l’azienda agricola dell’Istituto Tecnico Agrario Don Bosco di Lombriasco. Si tratta, infatti, di una zona pianeggiante posta a cavallo tra le province di Torino e di Cuneo, che rappresenta assai bene la pianura fertile e irrigua in
cui prevalgono aziende a indirizzo produttivo cerealicolo.
Di seguito, oltre a descrivere le caratteristiche tecnico-economiche salienti
delle colture interessate dalla rotazione (mais, frumento e soia), si indagano anche
talune specifiche tematiche che, si ritiene, potrebbero agevolare o, al contrario, ostacolare la diffusione dei sistemi di coltivazione innovativi oggetto di sperimentazione.
2.1.1 Descrizione dei comparti
La Produzione ai prezzi di base (PPB) dell’agricoltura piemontese ha raggiunto nel 2001 il valore di circa 3,4 miliardi di euro, il 35% dei quali derivante dai prodotti delle coltivazioni erbacee; il 20% del valore di queste ultime è
riferibile alla cerealicoltura e solo il 2% alle colture industriali.
Le province di Torino e Cuneo contribuiscono, rispettivamente, con valori assoluti di 700 milioni di euro e di 1,3 miliardi di euro, al 20% e 40% della
produzione agricola regionale; nella prima, un terzo della PPB provinciale è
determinato dalle coltivazioni erbacee, tra le quali prevalgono i cereali (57%) e
le colture industriali (10%), nella seconda il 23% della PPB è ottenuta dalle coltivazioni erbacee, di cui i cereali costituiscono circa un terzo e le colture industriali il 4%.
Complessivamente, dunque, le due province contribuiscono con pesi equivalenti a costituire un terzo della PPB cerealicola regionale e circa la metà della PPB regionale rappresentata dalle colture industriali (tab. 2.1).
Tab. 2.1 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni erbacee in Piemonte
e nelle province di Torino e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤)
Coltivazioni erbacee
Piemonte
Totale agricoltura
Totale
di cui: cereali
di cui: industriali
1.214.840
701.698
79.523
di cui: Torino
218.922
117.754
23.083
703.029
di cui: Cuneo
310.429
116.298
14.045
1.336.305
Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT
10
3.451.958
In termini di superfici e produzioni, la cerealicoltura riveste nelle due province un ruolo assai importante. Infatti, secondo i dati del censimento dell’Agricoltura del 2000 il 77% delle aziende del torinese è orientato alla produzione di
cereali ed occupa circa il 30% dell’intera SAU provinciale (tab. 2.2); nel cuneese,
invece, il 60% delle aziende agricole è orientato alla cerealicoltura, che interessa
oltre un quinto della SAU provinciale.
Tab. 2.2 - Aziende con seminativi del Piemonte e delle province di Torino e Cuneo e
relativa SAU nel periodo intercensuario 1990-2000
Cereali
aziende (n.) 2000
SAU (ha) 2000
Oleaginose
aziende (n.) 2000
SAU (ha) 2000
Totale
aziende (n.) 2000
SAU (ha) 2000
Cereali
aziende (n.) 1990
SAU (ha) 1990
Oleaginose
aziende (n.) 1990
SAU (ha) 1990
Totale
aziende (n.) 1990
SAU (ha) 1990
Torino
Cuneo
Piemonte
Torino
Variaz. %
00-90
Cuneo
Variaz. %
00-90
Piemonte
Variaz. %
00-90
18.334
78.902
22.501
77.846
74.766
406.415
-8,7
-1,5
-6,0
-0,5
-28,4
-23,6
1.998
8.650
1.814
7.740
7.569
38.904
-27,6
21,3
10,5
16,9
-24,2
-4,1
23.719
260.173
37.315
330.740
112.747
1.069.565
-40,9
4,6
-37,2
-6,0
-38,3
-4,5
20.086
80.064
23.932
78.233
104.492
532.249
2.761
7.129
1.641
6.620
9.979
40.560
40.152
248.709
59.417
351.998
182.663
1.120.250
Fonte: ISTAT –Censimento Agricoltura 2000 e 1990
Le oleaginose, al contrario, rivestono un ruolo piuttosto marginale sia a
livello regionale sia nelle province in esame. Infatti, le aziende specializzate nella
produzione di semi oleosi sono circa l’8% del totale in provincia di Torino e il 5%
in quella di Cuneo; in entrambi i casi la coltura di maggior rilievo è la soia.
Secondo quanto evidenziato in tabella 2.2 nel decennio 1990-2000 il numero delle aziende agricole piemontesi è diminuito del 40%, a fronte di una contenu11
ta riduzione della SAU regionale (-4,6%). Nel cuneese la tendenza osservata a
livello regionale è all’incirca confermata, mentre nel torinese le aziende sono diminuite in misura maggiore e, tuttavia, la SAU complessiva risulta aumentata per
effetto di un processo di concentrazione delle superfici coltivate nelle aziende di
maggiori dimensioni.
È bene notare, però, che nelle province in esame tale fenomeno ha riguardato
tipologie aziendali diverse da quelle cerealicole e cerealicolo-zootecniche - la superficie a cereali si è mantenuta, in effetti, sui livelli del decennio precedente - mentre per
le proteoleaginose è possibile osservare, in controtendenza rispetto a quanto accaduto a livello regionale, un aumento anche piuttosto marcato delle superfici coltivate nel
periodo intercensuario.
Si presume che la relativa stabilità del comparto cerealicolo e l’anomalo andamento del settore delle oleaginose siano, in buona misura, scaturiti dalle “compensazioni” introdotte attraverso le modifiche alla PAC nel 1992. Il sistema di sostegno
legato alle superfici e alle produzioni, infatti, ha inciso in maniera sostanziale sulla
redditività delle aziende e sembra avere comportato diffusi casi di “sovracompensazione”: vale a dire, la scelta di coltivare cereali e oleaginose è derivata non tanto dalle necessità agronomiche o dalle condizioni di mercato delle relative produzioni,
quanto piuttosto dall’obiettivo di intercettare la maggior quota possibile di trasferimenti comunitari. Proprio per questi motivi, forse, la cerealicoltura delle province di
Torino e Cuneo - che sono tra quelle che hanno ricevuto la quota maggiore di pagamenti diretti per i seminativi - non è stata interessata dalla contrazione verificatasi in
altri comparti.
Le coltivazioni cerealicole più diffuse nella provincia di Torino e Cuneo sono
il mais ibrido e il frumento (tab. 2.3). Nel torinese circa il 60% delle aziende cerealicole coltiva mais e il 25% frumento, mentre in provincia di Cuneo circa la metà delle aziende cerealicole coltiva mais e più del 30% coltiva frumento. Nel territorio delle due province si concentra il 60% della superficie regionale investita da mais e più
del 50% da quella a frumento; nel torinese e nel cuneese, infine, si rinvengono circa
i due terzi della SAU piemontese coltivata a soia.
Come evidenziato in tabella 2.4, nel triennio 2001-2003, le produzioni regionali di cereali (escludendo il riso) sfiorano mediamente i 19 milioni di quintali, di cui
circa i due terzi sono rappresentati da mais ibrido, con oltre 13 milioni; a tali produzioni di mais le province di Torino e di Cuneo contribuiscono, rispettivamente, con
quantità pari all’incirca al 30% e al 20 %. Invece, la produzione regionale di frumento
si assesta mediamente intorno ai 4 milioni di quintali, il 30% dei quali provengono
dalle aziende cuneesi e il 20% da quelle torinesi. Molto più contenute, infine, sono le
12
13
78.902
13.768
59.204
1.910
1.697
8.650
7.339
23.719
260.173
SAU (ha) 2000
- di cui frumento
- di cui mais
Oleaginose
aziende (n.) 2000
- di cui soia
SAU (ha) 2000
- di cui soia
Totale
aziende (n.) 2000
SAU (ha) 2000
37.315
330.740
1.742
1.583
7.740
6.735
77.846
19.825
48.355
22.501
7.170
10.592
Cuneo
Fonte: ISTAT – Censimento Agricoltura 2000
18.334
4.660
10.809
Cereali
aziende (n.) 2000
- di cui frumento
- di cui mais
to
Torino
112.747
1.069.565
7.191
4.824
38.904
25.283
406.415
83.553
178.076
74.766
22.195
35.881
Piemonte
8,1
0,7
3,3
2,8
30,3
5,3
22,8
77,3
19,6
45,6
Torino
4,7
0,5
2,3
2,0
23,5
6,0
14,6
60,3
19,2
28,4
provinciale
Cuneo
% totale
6,4
0,5
3,6
2,4
38,0
7,8
16,6
66,3
19,7
31,8
Piemonte
90,9
87,0
84,8
25,5
62,1
31,9
47,1
provinciale
65,0
67,1
20,6
43,8
29,7
48,0
Cuneo
Piemonte
% comparto
88,8
17,4
75,0
25,4
59,0
Torino
26,6
35,2
22,2
29,0
19,4
16,5
33,2
24,5
21,0
30,1
24,2
32,8
19,9
26,6
19,2
23,7
27,2
30,1
32,3
29,5
regionale
Torino Cuneo
% compar-
Tab. 2.3 - Superfici e numero di aziende per prodotto in Piemonte e nelle province di Torino e Cuneo nel 2000
produzioni delle coltivazioni industriali: la produzione di soia, seguendo un’evoluzione di segno opposto a quanto accaduto nel decennio precedente, è fortemente
calata, passando da oltre 800.000 quintali nel 2001 a 270.000 quintali nel 2003.
Tab. 2.4 - Superficie coltivata e produzione di alcuni prodotti delle coltivazioni in
Piemonte e nelle province di Torino e Cuneo
2003(a)
superficie produzione
2002(a)
2001
superficie
produzione
superficie
produzione
ha
q
ha
q
ha
q
Cereali
85.478
6.634.600
85.601
5.637.235
81.779
6.012.536
Frumento tenero
13.500
648.000
21.793
1.044.750
18.500
995.000
Mais ibrido
66.000
5.676.000
56.256
4.204.385
56.256
4.671.539
119
7.280
141
8.050
85.482
5.629.955
81.638
6.004.486
Torino
Riso
Cereali (senza riso)
Coltivazioni industriali
2.105
57.190
5.151
274.842
10.896
369.922
Soia
1.500
40.500
4.000
112.400
9.248
264.403
79.837
4.821.600
71.353
4.569.648
67.492
4.814.040
Cuneo
Cereali
Frumento tenero
21.100
1.035.000
22.568
1.191.750
9.588
1.135.000
Mais ibrido
50.400
3.400.000
40.820
3.009.510
40.820
3.343.600
212
19.060
186
15.570
4.798.470
Riso
Cereali (senza riso)
71.141
4.550.588
67.306
Coltivazioni industriali
4.554
61.480
4.648
363.709
9.745
411.796
Soia
4.040
55.000
3.464
79.326
8.100
195.000
412.920
25.826.510
410.101
26.476.544
398.263
27.095.019
80.200
3.466.160
95.000
4.379.697
84.558
4.171.140
Mais ibrido
189.460
13.573.900
173.100
13.117.625
173.000
14.566.808
Riso
114.399
7.467.248
112.492
7.564.431
110.632
6.937.890
Cereali (senza riso)
298.521
18.359.262
297.609
18.912.113
287.631
20.157.129
Coltivazioni industriali
33.669
6.551.093
38.346
8.157.280
60.502
6.576.091
Soia
(a): dati provvisori
12.380
266.400
14.000
382.483
30.663
843.903
Piemonte
Cereali
Frumento tenero
Fonte: Annuario statistico Regionale – Piemonte in cifre- 2004
Dalle informazioni statistiche fino ad ora esposte si evince con chiarezza che
il progetto di ricerca “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” finanzia14
to dalla Regione Piemonte interessa produzioni di assoluto rilievo per l’economia
agricola piemontese e, pertanto, è di assoluto interesse analizzare, dal punto di
vista microeconomico, i processi produttivi che consentono le suddette produzioni
nelle aziende agricole piemontesi.
2.1.2 Risultati economici e struttura dei costi
Per analizzare il contesto produttivo rispetto ad uno degli obiettivi del progetto, quello della riduzione dei costi sostenuti dagli agricoltori nel settore cerealicolo e quantificare l’incidenza di questi fattori produttivi sul totale dei costi sostenuti, sono state prese in esame, con riferimento al triennio 2000/2002, le aziende
specializzate nella coltivazione di cereali e semi oleosi presenti nella RICA1 regionale. Di queste aziende, con riferimento alle province di Torino e Cuneo e alle colture oggetto della sperimentazione (frumento, mais ibrido e soia) si riportano in
tabella 2.5 i risultati economici e produttivi e in tabella 2.6 alcuni indici di produttività, alcuni indici strutturali e l’analisi dei costi della meccanizzazione.
L’analisi dei principali dati economici di frumento, mais e soia evidenzia un
livello del margine lordo ad ettaro del mais che, in entrambe le province, risulta il
più elevato: mediamente nel triennio considerato si attesta intorno ad un valore di
circa 1.300 ¤ per ettaro. Soia e frumento hanno una redditività lorda inferiore, pres soché equivalente che, nella provincia di Torino, si dispone su valori di 870 ¤ per
ettaro e in quella di Cuneo di 950 ¤ per ettaro.
La maggiore redditività del mais deriva sostanzialmente dalla più alta produttività; infatti la resa ad ettaro del mais è mediamente pari a 110 q., mentre per il
frumento è di 50 q. per ettaro e per la soia di 30 q. per ettaro; una maggiore produttività che, pur in presenza di un livello dei prezzi del mais significativamente
inferiore rispetto al grano, ma soprattutto alla soia, resta comunque tale da conservare allo stesso mais il primato in termini di margine lordo. Per tutte e tre le colture in esame le spese specifiche incidono in una misura che varia dal 20 al 30% della produzione lorda; in particolare la spesa per fertilizzanti incide notevolmente sul
1
Come noto, la Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) è uno strumento comunitario con finalità
informative e gestionali attivo in tutti i Paesi Membri con una metodologia comune al fine di assicurare la produzione di dati comparabili a livello europeo. La RICA fornisce dati microeconomici rappresentativi a livello regionale di aziende di diversa tipologia e dimensioni; si tratta di informazioni elementari di natura strutturale, contabile ed extracontabile che permettono di calcolare indicatori economici e strutturali per il confronto interaziendale. Nel caso del Piemonte il numero di aziende agricole annualmente oggetto di rilevazione
si aggira intorno alle 1.000 unità.
15
totale dei costi: nel mais arriva fino al 40% del totale delle spese, per il frumento al
30%, mentre è più contenuta per la soia, dove si attesta intorno al 20%.
Tab. 2.5 - Principali risultati economici delle colture frumento, mais ibrido e soia
nelle province di Torino e Cuneo
2000
PROVINCIA DI TORINO
Coltivazioni analizzate (n.)
6
Superficie media aziendale
della coltura (ha)
6,0
A) Produz. unitaria del
prodotto principale (q/ha) 14
B) Prezzo (¤ / q)
14
C) Produzione lorda
totale (¤ / ha)
1.225
D) Spese specifiche
( /ha)
321
- sementi acquistate
102
- fertilizzanti acquistati
104
- antiparassitari /
diserbanti acquistati
27
- noleggi
67
- altre spese
12
11
- reimpieghi
E) Margine lordo (¤ / ha)
[E = C – D]
904
PROVINCIA DI CUNEO
Coltivazioni analizzate (n.)
16
Superficie media aziendale
delle colture (ha)
4,7
A) Produz. unitaria del
prodotto principale (q/ha) 45
B) Prezzo (¤ / q)
14
C) Produzione lorda
totale (¤ / ha)
1.163
D) Spese specifiche (¤/ha)
346
- sementi acquistate
76
101
- fertilizzanti acquistati
- antiparassitari /
diserbanti acquistati
70
- noleggi
92
- altre spese
3
- reimpieghi
0
16
Frumento
2001
2002
Mais ibrido
2000
2001
2002
valori assoluti
2000
Soia
2001
2002
34
43
51
53
67
10
30
18
50
51
115
108
116
10,0
25
27
13
13
11
11
13
13
13
13
12
12
21
21
19
19
21
21
1.167
1.195
1.963
1.803
1.932
1.372
1.198
262
337
116
99
301
98
96
537
152
194
632
179
262
565
161
231
283
88
62
295
90
68
262
127
31
42
55
7
18
40
46
12
10
53
102
7
14
55
85
20
18
55
79
23
8
83
44
3
0
73
45
6
0
86
16
0
0
830
894
1.426
1.172
1.367
1.089
903
635
13
20
26
26
27
9
9
5
3,8
5,6
7,7
8,3
9,6
5,7
7,2
5,7
60
15
49
13
103
11
107
10
130
10
31
22
21
17
42
21
1.337
286
90
92
1.174
275
78
85
1.664
483
134
134
1.677
386
140
116
1.819
332
110
93
1.395
288
62
65
9
82
0
5
35
72
3
2
70
109
7
6
47
53
6
6
50
47
15
6
50
100
1
1
1.227 1.209
375
226
104
97
56
51
116
87
0
5
52
260
0
0
segue Tab. 2.5 - Principali risultati economici delle colture frumento, mais ibrido e
soia nelle province di Torino e Cuneo
Frumento
2000
2001
Mais ibrido
2002
2000
2001
2002
Soia
2000
2001
2002
1.108
852
983
valori assoluti
E) Margine lordo (¤/ha)
[E = C – D]
818
1.051
899
1.182
1.291
1.486
valori percentuali
PROVINCIA DI TORINO
Spese specifiche
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
- sementi acquistate
31,8
34,4
32,6
28,3
28,3
28,5
31,1
30,5
48,5
- fertilizzanti acquistati
32,4
29,4
31,9
36,1
41,5
40,9
21,9
23,1
11,8
- antiparassitari/
diserbanti acquistati
8,4
12,5
13,3
9,9
8,7
9,7
29,3
24,7
32,8
20,9
16,3
15,3
19,0
13,4
14,0
15,5
15,3
6,1
- altre spese
3,7
2,1
4,0
1,3
3,2
4,1
1,1
2,0
0,0
- reimpieghi
3,4
5,3
3,3
2,6
2,8
1,4
29,8
21,4
23,4
29,0
23,0
18,3
20,6
30,6
18,7
73,8
71,1
74,8
72,6
65,0
70,8
79,4
75,4
70,7
- noleggi
Spese specifiche/
Prod. Lorda totale
Margine lordo /
Prod. Lorda totale
PROVINCIA DI CUNEO
Spese specifiche
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
- sementi acquistate
22,0
31,5
28,4
27,7
36,3
33,1
21,5
27,7
42,9
- fertilizzanti acquistati
29,2
32,2
30,9
27,7
30,1
28,0
22,6
14,9
22,6
- antiparassitari/
diserbanti acquistati
20,2
3,1
12,7
14,5
12,2
15,1
17,4
30,9
23,0
26,6
28,7
26,2
22,6
13,7
14,2
34,7
23,2
115,0
- altre spese
0,9
0,0
1,1
1,4
1,6
4,5
0,3
0,0
0,0
- reimpieghi
0,0
1,7
0,7
1,2
1,6
1,8
0,3
1,3
0,0
29,8
21,4
23,4
29,0
23,0
18,3
20,6
30,6
18,7
70,3
78,6
76,6
71,0
77,0
81,7
79,4
69,4
81,3
- noleggi
Spese specifiche/
Prod. Lorda totale
Margine lordo/
Prod. Lorda totale
Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA
Anche i costi per la meccanizzazione (calcolati per ettaro di SAU), oscillando fra valori pari a 173 ¤ e 158 ¤, incidono in modo rilevante sulla struttura dei
costi.
Sotto il profilo strutturale, le aziende torinesi specializzate in cerealicoltura
e semi oleosi praticano le coltivazioni in esame su superfici significativamente più
17
ampie delle aziende cuneesi, specie la coltivazione del mais che è praticata in
media su 20 ha a Torino ed intorno agli 8 ha a Cuneo.
Per quanto riguarda la meccanizzazione, il numero delle trattrici per azienda è mediamente di 2 a Cuneo e 3 a Torino, ma il numero di CV per ettaro di SAU
è mediamente di 9 a Cuneo e di 7 a Torino; il livello della meccanizzazione ha
comunque un andamento crescente in termini economici in entrambe le province
(+ 31% a Torino e + 34% a Cuneo il valore del capitale macchine/SAU), mentre
il suo valore medio risulta intorno a 1.900 ¤ per ettaro di SAU.
In relazione agli obiettivi del progetto “Confronto tra sistemi colturali a
diversa intensità”, sulla base dei dati economici riportati nelle tabelle, risulta che
i costi sostenuti per fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti, nonché gli oneri
generali e specifici per la meccanizzazione, incidono notevolmente sul bilancio
colturale e, pertanto, la ricerca di percorsi tesi a ridurne il peso economico corrisponde ad una esigenza reale. Tuttavia non va trascurato il timore, certamente fondato, che a fronte di una diminuzione dell’impiego di mezzi tecnici si possa, da
subito o nel tempo, determinare una riduzione di produttività delle colture e pertanto ogni sperimentazione di nuovi percorsi produttivi deve necessariamente
essere accompagnata da una analisi economica che ne verifichi gli effetti in termini
di redditività.
Tab. 2.6 - Indici di produttività, indici strutturali, analisi dei costi della meccanizzazione delle aziende specializzate in cerealicoltura e semi oleosi delle province di Torino e Cuneo
Aziende (n.)
Produzione lorda/SAU
Trattrici (n.)
CV trattrici/SAU
Capitale macchine/SAU
Interesse (3%) sul capitale
macchine/SAU
Spese meccanizzazione/
SAU
Quota di ammortamento
macchine/SAU
Provincia di Torino
2000 2001 2002 var %
02/00
113
116
127
1.861 1.771 1.796 -3,5
4
3
3
7
7
7
0
1.539 1.799 2.024 31,5
46
54
61
-
54
54
73
-
175
172
173
-1,1
161
158
156
-3,1
263
305
320
21,6
305
306
339
11,1
Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA
18
Provincia di Cuneo
2000 2001 2002 var %
02/00
51
48
50
1.977 2.103 2.167
9,6
2
2
3
10 11,1
9
9
1.811 1.812 2.439 34,7
2.1.3 Tecniche colturali
L’obiettivo dichiarato della ricerca è la sperimentazione di sistemi colturali che
permettano di ridurre l’impiego dei mezzi tecnici, in primo luogo le macchine agricole, attraverso una riduzione delle lavorazioni del terreno, in seconda istanza il diserbo
e la concimazione, al fine di contenere i costi di gestione e l’impatto ambientale. Per
avere un’idea della consistenza del parco macchine aziendale e dell’utilizzo dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti nelle due province, di seguito sono riportati i relativi dati di consistenza e utilizzo delle macchine e dei presidi sanitari negli ultimi anni.
Per quanto attiene alla meccanizzazione, secondo quanto riportato nella figura
2.1, in entrambe le province le trattrici rappresentano circa i due terzi delle macchine
agricole aziendali mentre solo l’1-2% è costituito da mietitrebbiatrici. Nelle due province, nel periodo 1997- 2002, il numero di trattrici è aumentato di circa 3.000 unità,
il che vale a dire in termini assoluti un passaggio per la provincia di Torino da 37.000
unità a 40.000 e per quella di Cuneo da 51.000 a 54.000. Relazionando l’aumento di
trattrici con il calo numerico delle aziende si deduce, e lo confermano anche gli esperti del settore, che il comparto è comunque caratterizzato da una certa “sovradotazione”.
Fig. 2.1 - Distribuzione percentuale di macchine agricole nelle province di Torino e
Cuneo nel 2002
Provincia di Torino
Provincia di Cuneo
Trattrici
66%
Trattrici
73%
Mietitrebbiatrici
1%
Mietitrebbiatrici
2%
Altre macchine
9%
Motocoltivatori
Motofalciatrici
8%
Altre macchine
15%
Motofalciatrici
10%
Motocoltivatori
8%
8%
Fonte: ISTAT, 2004
Non è uniforme nelle due province l’andamento del numero di trebbiatrici:
se sul territorio torinese il numero di mietitrebbiatrici tendenzialmente aumenta,
nella provincia di Cuneo si verifica una costante diminuzione (fig. 2.2).
19
Fig. 2.2 - Variazione del numero di trattrici e mietitrebbiatrici nelle province di
Torino e Cuneo nel periodo 1997-2002
Mietitrebbiatrice
Trattrici
6 0 .0 0 0
980
54.133
5 5 .0 0 0
5 0 .0 0 0
960
4 5 .0 0 0
925
920
4 0 .0 0 0
914
900
40.559
3 5 .0 0 0
952
940
51.005
37.012
892
880
3 0 .0 0 0
860
1 997 1 998 1 999 2 000 2 001 2 002
1997
Torino
1998
1999
2000
2001
2002
Cuneo
Fonte: ISTAT, 2004
Fig. 2.3 - Prodotti fitosanitari ed erbicidi distribuiti nelle province di Torino e
Cuneo per categoria di prodotti nel periodo 1999-2001
Ins ettic idi e ac aric idi (q)
Fung icidi (q)
28.070
33.016
33.730
Cuneo
2.742
2.720
2.579
Torino
0
8.972
9.216
Cune o
7.277
1.484
1.883
2.156
Torino
10.000
20.000
30.000
0
2.000
8.456
7.632
6.529
0
2.000
4.000
6.000
20
10.000
14,0
11,5
2,8
1,9
1,6
Torino
0
8.000
10
10.000
1999
Fonte: ISTAT, 2004
8.000
27,6
Cuneo
4.541
4.175
3.854
Torino
6.000
Prodotti per la lotta biologica (q)
Erbic idi (q)
Cuneo
4.000
2000
2001
20
30
L’andamento dell’utilizzo di prodotti fitosanitari e di erbicidi nel triennio
1999-2002 è diverso nelle due province a seconda della categoria di prodotti. Le
quantità distribuite di acaricidi e insetticidi è in diminuzione nella provincia di Torino e in aumento in quella di Cuneo, le quantità di fungicidi sono sostanzialmente
invariate nel torinese e in diminuzione nel cuneese. C’è uniformità, invece, sull’utilizzo degli erbicidi, che sono in aumento in entrambe le province, così come
aumenta il ricorso ai prodotti impiegati nella lotta biologica.
Fig. 2.4 - Fertilizzanti distribuiti nelle province di Torino e Cuneo nel 2002, per
categoria di prodotti (%)
Provincia di Torino
Provincia di Cuneo
concimi minerali
84%
concimi
87
correttivi
1
correttivi
2%
ammendan
4
ammendanti
11%
concimi
minera
6
concimi organominerali
1%
concimi organici
2%
concimi
2
Fonte: ISTAT, 2004
Fig. 2.5 - Fertilizzanti distribuiti al consumo nelle province di Torino e Cuneo nel
periodo 1999-2002
concimi organici
concimi minerali (q)
cuneo
cuneo
737.064
645.176
716.429
653.795
18.241
21.306
15.673
13.557
torino
torino
847.997
15.087
13.285
667.590
652.147
9.512
913.894
-
200.000
400.000
600.000
800.000
1999
1.000.000
2000
7.042
2001
5 .000
10.000
15 .000
20 .000
25 .000
2002
Fonte: ISTAT, 2004
21
Preme notare che tali dati sembrano confermare l’opinione espressa dai tecnici agricoli provinciali - intervistati in qualità di “testimoni privilegiati” ai fini dello svolgimento della ricerca - circa l’esistenza di una forte reticenza da parte degli
agricoltori ad abbandonare le classiche tecniche di controllo delle infestanti (fig.
2.3).
Per quanto riguarda i fertilizzanti, in entrambe le province più dell’80% dei
prodotti impiegati è di origine minerale anche se, secondo quanto mostrato in figura 2.4, è in aumento il ricorso ai concimi di origine organica. A tali aumenti in ogni
caso non corrisponde una costante diminuzione dei concimi minerali, che presentano andamenti altalenanti nei quattro anni considerati (fig. 2.5).
2.1.4 Strumenti di politica
Fin dalla metà degli anni ottanta emerge chiaramente la volontà da parte della Regione Piemonte di integrare nelle politiche agricole regionali alcune specifiche tematiche ambientali, allo scopo di orientare i comportamenti degli agricoltori e rendere maggiormente sostenibili i rapporti tra l’agricoltura e l’ambiente. L’accento è posto sulla necessità di limitare gli effetti negativi che talune pratiche agricole - in particolare, l’utilizzo di fitofarmaci, diserbanti e fertilizzanti - possono provocare all’agro-ecosistema piemontese.
Risale al 1988, infatti, la predisposizione da parte dell’Amministrazione
regionale del programma di difesa integrata delle colture, con la finalità specifica
di razionalizzare e, dunque, contenere l’uso di mezzi chimici nella difesa delle
piante coltivate. Il programma, con adesioni superiori alle 6.000 aziende agricole
nel 1993, ha ottenuto risultati apprezzabili in termini di riduzione dell’utilizzo di
pesticidi ed è stata un’esperienza fondamentale per la stesura del programma regionale di attuazione del reg. (CEE) n. 2078/92.
Come noto, il regolamento 2078 del 1992, emanato come misura di accompagnamento alla PAC e riproposto, a fine decennio, con il regolamento (CE) n.
1257/99 tra le misure di sviluppo rurale, è stato ed è tuttora lo strumento operativo
più importante adottato dall’Unione Europea per incoraggiare la diffusione di pratiche agricole a minor impatto ambientale e compensare gli agricoltori per l’opera
di conservazione dell’agro-ecosistema. L’adesione agli interventi previsti dal regolamento era volontaria ed implicava il rispetto di specifici disciplinari di produzione che, a fronte della corresponsione di incentivi finanziari, imponevano determinati vincoli tecnici e produttivi e/o la realizzazione o conservazione di particolari
elementi naturali.
22
Attraverso i succitati regolamenti comunitari è stato possibile attuare un
ventaglio molto ampio di interventi che i Paesi membri - nel caso dell’Italia, le
Regioni e le Province Autonome - erano tenuti a programmare e gestire sul loro territorio. Nello specifico, la Regione Piemonte ha attivato tutte le misure previste dal
regolamento, investendo in maniera massiccia nelle azioni finalizzate a contenere
l’impiego di concimi e fitofarmaci mediante la diffusione di tecniche di difesa e
produzione integrata (misura A1) e di metodi propri dell’agricoltura biologica
(misura A3), cui ha destinato più di un terzo dei fondi disponibili nel primo quadriennio di programmazione.
A seguito della riforma della PAC introdotta da Agenda 2000, nel Programma di Sviluppo Rurale (PSR) del Piemonte quasi tutte le azioni della precedente
programmazione trovano corrispondenza nella misura F (Agroambiente) come evidenziato nella tabella 2.7.
Tab. 2.7 - Confronto tra le azioni previste dal regolamento 2078/92 e le Misure
Agroambientali del PSR 2000-2006 del Piemonte
Azioni 2078
A1
A3
B
C
D
D1a
D1b
D2
E
F
G
Descrizione
Applicazione delle tecniche di produzione integrata
Agricoltura biologica
Riconversione seminativi a pascolo
Riduzione del patrimonio bovino/ovino
Metodi di produzione compatibili
Pratiche finalizzate alla tutela ambientale
Allevamento di specie in via di estinzione
Cure terreni abbandonati
Ritiro seminativi
Gestione terreni per attività ricreative
Mantenimento e incremento della sostanza organica del suolo
Azioni PSR
F1
F2
F4
Assente
F7
F6
F9
F4
F4
F7
F3
Fonte: Elaborazioni INEA
Il finanziamento da parte della Regione Piemonte del progetto di ricerca
“Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” che, come già richiamato, persegue l’obiettivo di sperimentare sistemi colturali a ridotto impatto sull’ambiente è
assolutamente in linea con gli interventi di “politica ambientale” di cui si è ora fatto cenno. Infatti, già è stato evidenziato che, tra i sistemi colturali oggetto della sperimentazione, è stato considerato quello che rispetta i disciplinari pertinenti il regolamento 2078 e, attualmente, la misura F1 del PSR 2000-2006 del Piemonte.
23
Per avere un’idea dell’entità della diffusione dei metodi di produzione integrata, con specifico riferimento alle colture oggetto della sperimentazione, si riportano in tabella 2.8 i dati inerenti alle superfici interessate dalle misure A1, A3 e F1,
F2 nel periodo 1997-2002 nelle province di Torino e Cuneo.
Tab. 2.8 - Superfici interessate dagli interventi A1, A3, F1, F3 nelle province di Torino e Cuneo nel periodo 1997-2002
Intervento (*)
Anno
A1
1997
1998
1999
2000
2001
2002
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2000
2001
2002
2000
2001
2002
A3
F1
F2
Provincia
di Torino
(ha)
2.434
4.576
11.504
7.868
4.852
4.852
117
367
3.140
2.148
1.517
1.517
4.732
4.732
1.961
1.961
Provincia
di Cuneo
(ha)
28.325
41.815
47.980
33.667
18.495
18.495
6.529
11.943
32.675
14.070
11.409
11.409
15.959
15.959
4.419
4.419
Provincia di
% SAU Torino
provinciale
0,9
1,8
4,4
3,0
1,9
1,9
0,0
0,1
1,2
0,8
0,6
0,6
1,8
1,8
0,8
0,8
Provincia di
% SAU Cuneo
provinciale
8,6
12,6
14,5
10,2
5,6
5,6
2,0
3,6
9,9
4,3
3,4
3,4
4,8
4,8
1,3
1,3
(*) I valori esposti in tabella non corrispondono, effettivamente, all’intera superficie oggetto dei disciplinari 2078;
i dati si riferiscono al numero di nuove domande di adesione alla misura, presentate annualmente e, dunque, non
comprendono le superfici che negli anni precedenti erano oggetto degli interventi agroambientali.
Fonte: Elaborazioni INEA su dati Banca Dati Territoriale Piemonte
Le superfici interessate dalle misure agroambientali, dunque, sono molto più
estese nel cuneese che nel torinese e, tra le diverse tipologie di intervento, sono quelle relative ai metodi di produzione integrata a riscuotere il maggior numero di adesioni. Nel passaggio dalla misura A1 del regolamento 2078/92 alla misura F1 del PSR
2000-2006 le superfici diminuiscono notevolmente non per un minor interesse verso
la misura, ma perché l’adesione alle misure F era permessa esclusivamente agli agricoltori che non avevano partecipato al programma 2078. I bandi per le misure F1 e F2
24
sono stati aperti solo nel 2001, a seguito dell’approvazione da parte dell’UE del PSR
piemontese, e sono stati molto consistenti i cosiddetti “trascinamenti” dell’attuazione
delle misure del regolamento 2078.
Per avere un idea della diffusione degli interventi agroambientali, con specifico riferimento alle colture oggetto della ricerca finanziata dalla Regione Piemonte (vale
a dire, frumento, mais e soia), in tabella 2.9 si riportano le superfici interessate dalle
misure A1 e A32 per le due province target. Da essa si evince che nel 1999 in provincia di Torino la misura A1 riguarda circa il 5% della superficie coltivata a mais ed il
12% della superficie coltivata a frumento e soia; nello stesso anno nella provincia di
Cuneo la misura A1 interessa il 7% della superficie coltivata a mais e il 17% della
superficie a frumento e soia. Si ricorda che, ai sensi del disciplinare di produzione integrata, su tali superfici gli agricoltori devono ridurre di almeno il 20% la quantità di concimi e fitofarmaci rispetto ai metodi tradizionali di fertilizzazione e di difesa per poter
beneficiare del premio erogato ai sensi del regolamento 2078/92 ed ancora più restrittivi sono, infine, i vincoli per coloro che aderiscono alla misura A3, pertinente l’adozione delle tecniche di coltivazione biologiche.
È bene evidenziare che il progetto di ricerca in esame è assolutamente coerente con gli obiettivi espressi nei programmi agroambientali della Regione Piemonte;
esso, inoltre, non si limita ad indagare e a promuovere le tecniche che prevedono la
riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti, ma presta anche particolare attenzione alla
tutela del terreno agrario. La tecnica colturale definita “a Basso Input”, infatti, prevede l’impiego di erbai da sovescio per contrastare l’impoverimento e il degrado strutturale del suolo, in linea con le finalità per le quali sono stati ideati alcuni interventi
agroambientali contemplati dal PSR 2000-2006 del Piemonte. Si fa riferimento all’impegno - facoltativo, nell’ambito della misura F1 - pertinente la coltivazione di erbai
intercalari, nonché alla misura F6, specificamente tesa ad incentivare il mantenimento e l’incremento della sostanza organica del terreno attraverso il finanziamento di pratiche quali, appunto, il sovescio e l’interramento completo dei residui della coltivazione.
Si può, infine, notare che la Regione Piemonte non ha, ad oggi, direttamente
incentivato la riduzione del numero delle lavorazioni agro-meccaniche attraverso l’a-
2
Si dispone dei dati disaggregati per tipologia colturale solamente in riferimento alle misure A1 e A3 (e non
anche alle misure F). Tuttavia, trattandosi in entrambi i casi di impegni quinquennali si ritiene lecito supporre
che superfici colturali interessate dagli interventi agroambientali nell’anno 1999 non siamo molto distanti dalla situazione osservabile in anni più recenti essendo, come detto, quelle superfici vincolate agli impegni presi per un periodo minimo di 5 anni.
25
dozione di tecniche innovative di lavorazione del terreno (semina su sodo, “lavorazione
minima”, ecc.). Pare, tuttavia, che in tal senso si stiano indirizzando gli stessi agricoltori – ed è assai verosimile che lo faranno sempre più, in futuro – mossi dall’esigenza
di contenere i costi di produzione delle derrate agricole. E, in tempi di sostanziale riduzione dell’agevolazione connessa all’impiego di combustibili ad uso agricolo - il cui
prezzo, per altro, tende sempre più ad aumentare a ragione delle ricorrenti crisi legate
alla produzione ed all’approvvigionamento di energia - la rinuncia alle lavorazioni
(ovvero: il loro contenimento) rappresenta una naturale, efficace reazione finalizzata
a migliorare le performance economiche aziendali.
Tab. 2.9 - Superfici interessate alle misure A1 e A3 del reg. 2078/92 per le province di
Torino e Cuneo nel triennio 1997-1999
1997
A1
1998
A3
A1
1999
A3
A1
A3
TORINO
mais
348,44
13,98
766,84
49,09
2.727,12
67,21
frumento
178,44
22,8
463,49
18,15
1.611,33
47,26
soia
121,55
1,95
438,84
18,42
885,11
35,72
CUNEO
mais
1.943,29
82,98
2.997,61
149,6
3.329,80
186,18
frumento
1.401,73
125,12
4.254,04
304,73
3.437,10
405,10
soia
772,6
61,32
1.648,58
111,48
1.100,40
127,53
Incidenza percentuale della superficie 2078 rispetto alla SAU provinciale per coltura*
TORINO
mais
frumento
soia
CUNEO
mais
frumento
soia
0,59
1,30
1,66
0,02
0,17
0,03
1,30
3,37
5,98
0,08
0,13
0,25
4,61
11,70
12,06
0,11
0,34
0,49
4,02
7,07
11,47
0,17
0,63
0,91
6,20
21,46
24,48
0,31
1,54
1,66
6,89
17,34
16,34
0,39
2,04
1,89
*ISTAT, Censimento dell’agricoltura italiana, 2000.
Fonte: Elaborazioni INEA su dati Assessorato agricoltura della Regione Piemonte
2.1.5 Sintesi conclusiva
Attraverso l’analisi di scenario si è inteso inquadrare il contesto in cui le proposte della ricerca “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità” potrebbero
trovare diffusione in Piemonte, evidenziando gli aspetti che potrebbero essere d’o26
stacolo o, al contrario, agevolare l’adozione delle agrotecniche eco-compatibili e
innovative.
Tra gli aspetti che potrebbero incentivare la diffusione dei sistemi colturali
alternativi si deve senz’altro considerare quello legato alla possibilità di contenere
i costi dei processi produttivi vegetali. Dall’analisi tecnico-economica dei processi produttivi relativi alle specie erbacee di pieno campo – presenti nella rotazione
in riferimento alla sperimentazione in esame - si è evidenziato effettivamente che
i costi per la fertilizzazione e per la difesa sono tra quelli che maggiormente incidono (40-50%) sul totale delle spese specifiche colturali. Pertanto, un eventuale
incremento del margine lordo colturale potrebbe ottenersi attraverso il contenimento delle suddette voci di costo, così come le performance aziendali potrebbero
migliorare a condizione di impiegare trattrici di potenza commisurata alle reali
necessità, realizzare lavorazioni meno profonde, lavorazioni minime, e così via.
Va detto, tuttavia, che dalle statistiche relative all’utilizzo dei presidi fitosanitari nelle province target di Torino e Cuneo emerge la tendenza da parte degli
agricoltori ad assumere comportamenti non propriamente virtuosi, specialmente per
quanto concerne la pratica del diserbo: gli stessi incaricati dell’Assistenza Tecnica
(AT) denunciano l’esistenza di una reale difficoltà al ridimensionamento del loro
impiego.
Potrà risultare un impegno complesso la promozione fra gli agricoltori della riduzione delle lavorazioni del terreno; a questo proposito, infatti, le statistiche
ufficiali evidenziano la tendenza all’aumento del numero di trattrici disponibili e
della loro potenza. Secondo quanto riferito dagli incaricati dell’AT il parco macchine delle aziende cerealicole e cerealicole-zootecniche è generalmente sovradimensionato, anche perchè gli agricoltori attribuiscono alle macchine agricole, e in
particolare ai trattori, una valenza di stato sociale che, all’atto dell’acquisto, li
spinge a non considerare adeguatamente le effettive necessità aziendali.
Tuttavia, è diffusa nelle campagne piemontesi la consapevolezza che un uso
più razionale dei pesticidi e dei concimi, oltre a determinare una diminuzione dei
costi per le aziende, contribuirebbe a diminuire l’impatto sull’ambiente. Gli agricoltori sembrano aver acquisito negli anni recenti una maggiore sensibilità verso
queste tematiche; ne sono prova l’aumento di prodotti di difesa fitosanitari biologici, ma anche la buona adesione alle misure agroambientali. Il merito è in gran parte da attribuire ad una politica regionale che da molti anni è orientata ad incentivare e sostenere pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente.
In conclusione, paiono esistere discrete potenzialità per la diffusione dei
27
sistemi colturali e delle tecniche innovative ed è presumibile che le difficoltà maggiori siano legati all’impostazione culturale degli agricoltori, che andrà approcciata e formata con strumenti adeguati.
2.2
La viticoltura marginale
Lo “Studio per la valorizzazione del Canavese Rosso DOC” è stato finanziato dalla Regione Piemonte e realizzato negli anni successivi al riconoscimento della
denominazione di origine viticola “Canavese”, avvenuta nel 1996. Esso ha perseguito l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle caratteristiche chimico-fisiche e sensoriali dei vini prodotti da vitigni a bacca rossa nel Canavese3. Più specificamente si
è inteso indagare le potenzialità enologiche dei vitigni autoctoni ancora coltivati allo
scopo di identificare alcune tipologie (di vino) di alta qualità. Sono stati individuati 8
diversi tagli, derivanti dai numerosi uvaggi praticati nella zona, che hanno presentato le caratteristiche chimiche e sensoriali migliori.
L’esigenza di valorizzare le produzioni vitivinicole del Canavese attraverso
un’adeguata caratterizzazione del prodotto scaturisce dalla disomogeneità delle produzioni locali di vini rossi: in queste aree, infatti, il vigneto multivarietale costituisce
ancora la norma e non esiste una consolidata tradizione enologica di vinificazione.
Di seguito si propone una panoramica della viticoltura della provincia di
Torino, con particolare attenzione alle produzioni Canavese Rosso DOC, focalizzando l’attenzione su particolari problematiche connesse alla diffusione delle produzioni vinicole locali.
2.2.1 Descrizione del comparto
Accanto ad una realtà rappresentata da territori a fortissima vocazione vitivinicola, quali le colline del Monferrato, delle Langhe e del Roero esiste in Piemonte una vitivinicoltura dalle radici lontane, che si presenta con una gamma di
prodotti assai diversificati. E’ il caso, ad esempio, del torinese, che ha da poco risco-
3
28
È così denominata un’ampia porzione del territorio della provincia di Torino, a nord del capoluogo regionale, che si estende dalla pianura di Chivasso, comprendendo le colline di Caluso, verso i centri di Rivarolo,
Castellamonte e Cuorgnè, per salire ad ovest lungo il torrente Orco fino al Parco Nazionale del Gran Paradiso. Esso comprende la Val Soana e quella del torrente Chiusella, mentre a nord, oltre Ivrea e il grande anfiteatro morenico che s’allarga a oriente tra la Serra e Masino, giunge fino a Carema, ai confini con la Valle
d’Aosta. Il comprensorio include 132 comuni, per una superficie di 1.950 kmq.
perto una vocazione viticola in passato dimenticata, fatta di vini locali legati alla
tradizione, prodotti soprattutto nella zona pedemontana della provincia. Tali vini
hanno ottenuto di recente il riconoscimento DOC, a seguito di una scelta di sviluppo formulata dall’Amministrazione regionale (vedi par. 2.2.4) e stanno guadagnando sempre più importanza sul mercato locale.
La provincia di Torino dispone di 1.300 ettari a vigneto e, pertanto, si classifica al quarto posto tra le province piemontesi per estensione della coltura ed è la
quinta in Italia per superficie coltivata in territori montani. Attualmente in essa sono
presenti 5 cantine sociali cooperative, 52 aziende vitivinicole produttrici di vini a
Denominazione di Origine che esprimono un proprio marchio, 4 consorzi di tutela,
una federazione tra consorzi e si contano ben 25 vini a denominazione di origine.
Il comparto, forte e cosciente delle proprie possibilità di sviluppo, presenta
alcuni problemi di tipo strutturale, primo fra tutti l’elevatissima frammentazione
della base produttiva viticola. Infatti, le aziende viticole del torinese hanno ridotte
dimensioni, di molto inferiori alla media regionale: il 70% delle medesime non raggiunge l’ettaro di superficie aziendale, il 25% ha dimensione non superiore ai 2 ettari e non vi sono aziende con superfici maggiori di 5 ettari.
A ciò si aggiunge il fatto che l’età degli operatori è, mediamente, piuttosto
elevata. Perciò si assiste ad un difficoltoso ricambio generazionale ed è pressoché
impossibile la composizione di fondi di ampiezza sufficiente per la realizzazione di
una reale viticoltura professionale (IRES, 2004).
L’enologia provinciale è preferibilmente orientata alla produzione di vini rossi, anche se la produzione di vini bianchi, soprattutto nel Canavese, costituisce una
consolidata tradizione. Tra le tipologie di vino rosso le produzioni maggiori sono di
Freisa e Canavese DOC, mentre la quasi totalità dei vini bianchi è rappresentata
dall’Erbaluce (tab. 2.10).
I vitigni a bacca rossa più diffusi nella provincia di Torino sono il Barbera,
che occupa complessivamente un terzo della superficie vitata, il Freisa e il Nebbiolo. Sono questi i vitigni che nello studio finanziato dalla Regione Piemonte
hanno dato i risultati migliori nella fase di vinificazione; essi, combinati in percentuali diverse, costituiscono i tagli di Canavese Rosso DOC giudicati migliori, a
cui si aggiungono altri vitigni autoctoni (Neretto di Bairo, Croatina e Uva rara) che,
nonostante interessino superfici esigue, sono tipici del torinese (tab. 2.11). Menzione a parte merita il vitigno “Vernassa” che, soprattutto nella zona di Carema, è
stato giudicato di qualità comparabile, se non superiore, allo stesso Nebbiolo pur
non essendone ancora autorizzata la coltivazione.
29
Tab. 2.10 - Produzione di vini DOC e DOCG in provincia di Torino (hl)
Vini DOC e DOCG
2002
Vini rossi
Canavese
- Canavese Barbera
- Canavese Nebbiolo
- Canavese Rosso
Carema
Collina Torinese
Freisa di Chieri
Pinerolese
Valsusa
8.608
2.205
229
107
1.869
463
338
3.503
1877
222
Vini rosati
Vini bianchi
Canavese Bianco
Erbaluce
Totale Torino
571
6.534
145
6.389
15.713
2001
2000
valori assoluti (hl)
9.510
8.292
2.387
2.223
145
159
122
144
2.120
1.920
504
496
360
266
3.427
2.787
2515
2358
317
162
386
591
8.044
8.047
162
75
7.882
7.972
17.940
16.930
valori percentuali
53,0
49,0
2,2
3,5
44,8
47,5
1999
1998
1997
7.851
1.661
96
134
1.431
462
56
2.965
2599
108
7.248
1.207
87
137
983
334
0
2.531
3101
75
8.321
1.603
112
150
1341
558
0
2.903
3180
77
547
7.115
68
7.047
15.513
570
3.895
46
3.849
11.713
555
7.782
71
7.711
16.658
50,6
3,5
45,9
61,9
4,9
33,3
50,0
3,3
46,7
Vini Rossi/Tot. Torino
Vini Rosati/Tot. Torino
Vini Bianchi/Tot. Torino
54,8
3,6
41,6
Canavese/Vini Rossi
-Canavese Rosso/Canavese totale
-Canavese Rosso/Vini Rossi
-Canavese Rosso/Tot. Torino
25,6
84,8
21,7
11,9
25,1
88,8
22,3
11,8
26,8
86,4
23,2
11,3
21,2
86,2
18,2
9,2
16,7
81,4
13,6
8,4
19,3
83,7
16,1
8,1
Freisa /Vini rossi
Freisa / Tot Torino
40,7
22,3
36,0
19,1
33,6
16,5
37,8
19,1
34,9
21,6
34,9
17,4
Erbaluce / Vini Bianchi
Erbaluce / Tot. Torino
97,8
40,7
98,0
43,9
99,1
47,1
99,0
45,4
98,8
32,9
99,1
46,3
Fonte: Elaborazioni INEA su dati CCIAA Piemonte e Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte (Aggiornamento aprile 2004)
Nel torinese, dunque, accanto a vini storici protagonisti e ambasciatori della viticoltura di pregio nel mondo, di recente si sono affiancate altre qualificate denominazioni, il Canavese appunto, ma anche le DOC Collina Torinese, Valsusa e Pinerolese
che hanno assicurato il giusto riconoscimento ed una seria prospettiva all'intero comparto viticolo ed enologico.
30
Tab. 2. 11 - Superficie vitata nella provincia di Torino nel 2001, per vitigno
Vitigno
Barbera n.
Freisa n.
Nebbiolo n.
Neretto di Bairo n.
Croatina n.
Uva Rara n.
Totale
superficie vitata (ha)
% sul totale provinciale
432,4
80,4
80,4
3,8
3
1.315,9
32,9
6
1
1,8
0,3
0,0
Fonte: Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2001
In ogni modo, l’area torinese a maggiore vocazione viticola, nonché l’area vitivinicola più importante del Piemonte del nord, è il Canavese. Come già
detto, tale territorio si estende per poco meno di 2.000 kmq nella porzione settentrionale della provincia di Torino e confina a nord-ovest con la Valle D’Aosta, ad est con la provincia di Vercelli e a sud con la cintura torinese. Tra le valli del Canavese, alcune hanno caratteristiche prettamente alpine, sia per l’orografia sia per le condizioni climatiche, altre hanno le caratteristiche tipiche delle valli prealpine, adagiandosi nella loro parte terminale verso la pianura canavesana e l’anfiteatro morenico di Ivrea.
La realtà imprenditoriale canavesana è molto vivace, con oltre 12.000 imprese attive. Da una recente ricerca (CENSIS, 2001) emerge che il modello economico-sociale del Canavese è stato protagonista negli ultimi anni della ripresa dell’espansione del sistema produttivo locale. Storicamente la parte occidentale del Canavese vanta un’antica industrializzazione nei settori tessili, della forgiatura dell’acciaio e dello stampaggio a caldo, mentre la zona orientale, che corrisponde all’incirca all’Epodierese, ha iniziato il proprio sviluppo industriale all’inizio del XX
secolo, quando la famiglia Olivetti fondò l’omonima industria. Il territorio ha
comunque riscoperto, e mantenuto negli ultimi anni, anche una forte vocazione
agricola e, specialmente, vitivinicola. Vi si producono, infatti, vini di fama ormai
consolidata quali il già richiamato Erbaluce di Caluso, il Caluso Passito e il Caluso Spumante, il Carema, ma anche vini di antica tradizione: il Canavese, appunto,
nelle tipologie Bianco, Rosso, Rosato, Barbera e Nebbiolo.
In particolare, i vini Canavese DOC sono prodotti in un comprensorio che
comprende 107 comuni per lo più della provincia di Torino e, in piccola parte, di
Biella e Vercelli. Tra le quattro tipologie di vino Canavese è il Rosso il più rappresentativo, sia in termini di superficie (occupa, infatti, l’80% della superficie vitata
31
deputata alla produzione di Canavese DOC) che in termini di produzione (incide
per il 20% sulla produzione provinciale di vini rossi, come si evince dalle informazioni contenute nelle tabelle 2.12 e 2.13).
Il Canavese Rosso DOC, tuttavia, fornisce una produzione, in termini assoluti, maggiormente contenuta rispetto al più famoso Erbaluce, sia a livello di superfici (occupa infatti meno di 50 ha contro i 133 dell’Erbaluce) sia di produzione (circa 2.000 ettolitri, contro i 6.000-7.000 ettolitri dell’Erbaluce).
A livello regionale il vino Canavese DOC costituisce meno dell’1% della
superficie vitata complessiva, anche se bisogna notare che si tratta di una produzione che sta incrementando la sua presenza nel settore dei vini imbottigliati. I dati
produttivi relativi alla vendemmia 2003 in provincia di Torino evidenziano le
potenzialità del vino Canavese Rosso DOC (tab. 2.13)
Tab. 2.12 - Superfici vitate di Canavese DOC nel 2001 per tipologia
Vino
Canavese Rosso/Rosato
Canavese Bianco
Canavese Nebbiolo
Canavese Barbera
Totale Canavese
Totale sup vitata Torino
Totale sup. vitata Piemonte
Superficie Incidenza % su
(ha)
Canavese Totale
42,80
78,9
4,14
7,6
3,39
6,2
3,94
7,3
54,27
100,0
1.317,00
47.516,00
Incidenza % su Incidenza % su
Totale Torino Totale Piemonte
3,2
0,09
0,3
0,01
0,3
0,01
0,3
0,01
4,1
0,11
100,0
100,00
Fonte: Elaborazioni INEA su dati archivio dei vigneti Piemonte, 2001
Tab. 2.13 - Produzione di vini DOC in provincia di Torino nel 2003
Erbaluce
Canavese
Canavese
Canavese Carema
di Caluso DOC Bianco DOC Rosso DOC Barbera DOC DOC
Superficie in produzione (ha)
133
2
49
1
14
Produzione uva (q)
11.658
43
3.226
50
719
Produzione vino prevista (hl)
8.082
32
2.258
35
500
Resa unitaria delle uve (q/ha)
71
25
66
42
60
12
1
2
2
21
Aziende produttrici (n.)
Fonte: Dati rilevati dalla Federazione "Alto Piemonte", attraverso i Consorzi, presso le aziende associate
Tra le diverse tipologie di Canavese DOC, il rosso ha produzioni e rese
maggiori, copre una superficie più estesa del più famoso Carema DOC; anche in
32
termini di aziende produttrici, non esiste un divario così ampio tra quelle che producono il Canavese Rosso DOC e quelle produttrici di Erbaluce DOC.
Per quanto riguarda la commercializzazione del vino, la provincia di Torino
si colloca al terzo posto tra le province piemontesi per volumi di vendita sul mercato nazionale ed al secondo posto, con quote pari a circa il 26% del totale regionale nel caso delle vendite all’estero. Tuttavia, le quantità di vino Canavese Rosso
DOC esportate sono molto esigue (tab. 2.14); si tratta, infatti, di un vino venduto
prevalentemente sul territorio provinciale e regionale, anche se, secondo gli esperti del settore, esistono ampi margini di miglioramento dato che il Canavese Rosso
DOC è sempre più apprezzato e ricercato dai consumatori.
Occorre notare, infine, che buona parte del crescente successo che sta incontrando il Canavese Rosso DOC è da imputare, al di là delle qualità intrinseche del
vino, all’attività promozionale svolta dal Consorzio di Tutela Vini DOC Caluso,
Carema, Canavese, nato nel luglio 2000 con specifiche funzioni di valorizzazione
e di cura generale degli interessi concernenti le produzioni di vini DOC tutelate
(attualmente le aziende consorziate sono 13).
Tab. 2.14 - Vendite in Italia e all’estero del Canavese DOC nel 2002
Vino
Canavese Rosso/Rosato
Canavese Bianco
Totale Piemonte DOC
Totale Piemonte
vendite
in Italia
hl
495
17
735.839
1.851.626
% vendite
vendite sul % vendite all’estero
in Italia sul totale
mercato
sul totale
regionale DOC
estero
regionale DOC
%
hl
%
0,07
20
0,0
0,0
4
0,0
39,7
708.835
23,3
100,0
3.044.946
100,0
Fonte: Mondo bottiglie, Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2002
2.2.2 Tecniche di vinificazione
Nello studio di valorizzazione del Canavese Rosso DOC sono stati analizzati
i diversi momenti della vinificazione - sia sotto l’aspetto tecnologico, sia sotto
quello chimico-analitico - presso le 11 aziende in cui, al momento della sperimentazione, veniva vinificato il 95% del Canavese rosso DOC presente sul mercato.
Come già detto, sul territorio di produzione della DOC non esiste una consolidata tradizione enologica per la vinificazione delle uve rosse. Le modalità di
vinificazione si differenziano in modo sostanziale nelle cantine di produzione,
33
dove le tecniche adottate sono spesso frutto dell’evoluzione di esperienze personali nonché della consulenza fornita da enologi. Diversa è la situazione per i piccoli
produttori che attuano procedure di vinificazione assai semplificate, in quanto le
esperienze e le competenze enologiche sono generalmente assai più limitate e
meno aggiornate.
Dai risultati dello studio risulta che le differenze significative circa la qualità
del prodotto vinificato sono in primo luogo ascrivibili agli uvaggi impiegati, alle
diverse attrezzature impiegate, alle modalità e ai tempi di gestione della fermentazione alcolica, all’induzione e al controllo della fermentazione malolattica e alla
tecnica di affinamento adottata.
Un’insufficiente diffusione della tecnica più idonea è, dunque, una delle
cause che viene indicata come limitante per l’affermazione della DOC Canavese. E,
a tale proposito, i risultati ottenuti dalla vinificazione dei vini in purezza e l’individuazione dei tagli migliori sono un utile strumento di orientamento per le cantine e per i produttori in genere di Canavese Rosso DOC.
2.2.3 Risultati economici
Dall’esame del campione RICA in Piemonte si rileva che le aziende che coltivano vite di qualità e vite comune nella provincia di Torino non sono quasi mai
aziende specializzate: sono invece per lo più aziende con orientamento produttivo
misto, che destinano una piccola quota della superficie aziendale alla coltivazione
della vite, quale coltura da reddito.
Per un approfondimento sui risultati economici e produttivi del Canavese
Rosso DOC, poiché nella RICA regionale, ed in particolare nei comuni del territorio del Canavese, non risulta presente un adeguato numero di casi di colture di “vite
per la produzione di vini di qualità”, si è optato per una analisi comparativa tra i
risultati economici e produttivi della vite di qualità nell’intera provincia di Torino
e nelle tre province maggiormente viticole del Piemonte: Cuneo, Asti e Alessandria.
La pur modesta numerosità della casistica riscontrata nella banca dati consente, tuttavia, di evidenziare alcuni elementi di diversità tra la tipologia produttiva “vite per la produzione di vini di qualità” in provincia di Torino e le altre realtà
produttive viticole del Piemonte. Strutturalmente la superficie della coltura in provincia di Torino è mediamente inferiore al 50% delle altre province, mentre sul piano produttivo le rese unitarie, ma anche il livello dei prezzi, appaiono sostanzialmente uniformi (tab. 2.15).
34
Tab. 2.15 - Principali risultati economici della “vite per la produzione di vini di qualità” nella provincia di Torino e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria nell’anno 2002
Numero di casi
Superficie (ha)
A) Produzione unitaria del prodotto principale (q/ha)
B) Prezzo (¤ / q)
C) Produzione lorda totale (¤/ha)
D) Spese specifiche (¤/ha)
E) Margine lordo (¤/ha) [E= C-D]
Torino
10
1,50
79
50
4.495
562
3.933
Cuneo - Asti - Alessandria
409
3,20
83
54
6.460
610
5.850
Fonte: elaborazione INEA su dati RICA
Sul piano economico il livello del margine lordo della “vite per la produzione
di vini di qualità” in provincia di Torino è inferiore del 37% rispetto alle altre province e questa diversità si può attribuire in primo luogo ad una minore presenza di processi
di trasformazione dell’uva in azienda, ma anche alla datazione più recente di alcuni
riconoscimenti di qualità dei vini prodotti nel torinese.
Riguardo alla forma di commercializzazione si evince dalla RICA che in provincia di Torino circa il 60% delle aziende conferisce la prevalenza delle proprie uve
alle cantine sociali, mentre la restante parte è venduta principalmente all’ingrosso a
commercianti, differentemente dalle altre province dove le modalità di commercializzazione delle uve prodotte si distribuisce diversamente: 27% alle cantine sociali, 27%
all’ingrosso a commercianti, 29% all’ingrosso a dettagliante, 17% attraverso altre forme di commercializzazione.
Tab. 2.16 - Principali risultati economici della “vite per la produzione di vino comune” nella provincia di Torino e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria nell’anno 2002
Numero di casi
Superficie (ha)
A) Produzione unitaria del prodotto principale (q/ha)
B) Prezzo (¤ / q)
C) Produzione lorda totale (¤/ha)
D) Spese specifiche (¤/ha)
E) Margine lordo (¤/ha) [E= C-D]
Torino
16
0,9
65
27
3.374
622
2.752
Cuneo - Asti - Alessandria
124
2,2
89
35
5.223
593
4.630
Fonte: elaborazione INEA su dati RICA
35
Nel raffronto tra “vite per la produzione di vini di qualità” e “vite per la produzione di vino comune” in provincia di Torino (tab. 2.16) si rilevano valori generalmente più elevati per la “vite di qualità”: superficie della coltura (+40%), resa
unitaria (+18%), prezzo dell’uva (+ 46%), margine lordo (+30%); appare dunque
certamente consigliabile la coltivazione di viti di qualità, come pure la trasformazione in azienda dell’uva prodotta, ma la realtà viticola provinciale, costituita da
aziende agricole in cui la viticoltura rappresenta solamente una delle molteplici attività aziendali, rende certamente più difficile quella scelta che risulta fortemente
ostacolata dallo scarso livello di specializzazione viticola che caratterizza le aziende agricole della provincia.
2.2.4 Politica regionale per la vitivinicoltura
Elemento di spicco tra le caratteristiche specifiche del comparto vitivinicolo piemontese è il forte orientamento verso la qualità, permesso dalla vocazionalità del territorio ma attentamente perseguito sia dagli operatori del settore, sia dalle amministrazioni locali. Infatti, grazie anche all’introduzione di un sistema di denominazioni
d’origine a ”piramide”, che consente una modulata scala di valorizzazione del prodotto, oggi circa l’80% del vino piemontese è a DOC/DOCG (tab. 2.17).
Tab. 2.17 - Superfici vitate per tipologia di vino producibile in Piemonte nel 2002
Superficie vitata (ha)
% su superficie vitata regionale
Vino rosso
DOC/DOCG
22.714
48
Vino bianco
Moscato
DOC/DOCG DOC/ DOCG
3.716
10.044
8
21
Totale
47.590
77
Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte
La legge n. 164 del 10 febbraio 1992 “Nuova disciplina delle denominazioni
d'origine dei vini” ha reso possibile nel 1995 l’istituzione delle DOC ad ampio spettro territoriale denominate Piemonte, Langhe, Monferrato e Colline Novaresi. Una
ricaduta indiretta legata al varo delle nuove DOC è la sostanziale abolizione in Piemonte della categoria di vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) vale a dire, quelli che in base alla legislazione vigente possono fregiarsi di toponimi di origine senza
essere sottoposti a vincoli particolari”(Aimone, 2002).
Lo studio di valorizzazione del Canavese rosso DOC è in linea con tale strategia ed è inquadrato in una serie di progetti di valorizzazione delle DOC piemontesi di
36
recente istituzione, quali le DOC Pinerolese, Valsusa e Coste del Sesia. Il finanziamento e la realizzazione di tali progetti risponde dunque ad una precisa volontà tecnico-politica della Regione Piemonte di escludere la possibilità di aprire il mondo del
vino a forme di etichettatura non chiare. Per questo sono state concesse molte DOC
anche a vini, quali il Canavese Rosso DOC, dalle produzioni limitate in territori non
ad altissima specializzazione viticola, ma di antica tradizione.
Al di là degli interventi di carattere normativo sono molte le iniziative di
carattere promozionale dell’Amministrazione regionale, a riprova di una costante e
attiva attenzione dedicata al settore vitivinicolo. Per fare alcuni esempi, si può
citare la legge regionale n. 39 del 1980 istitutiva dell’Anagrafe Vitivinicola, l’avvio
delle procedure di istituzione delle “Strade dei vini” e la costituzione dell’Enoteca
del Piemonte. L’Anagrafe Vitivinicola, attiva dal 1982 è un sistema di rilevazione
e controllo della produzione e del commercio dei vini volto a salvaguardare le
produzioni vinicole di qualità e a rendere più efficace la lotta alle frodi e alle sofisticazioni. L’istituzione delle “Strade dei vini” e dell’Enoteca del Piemonte, unitamente alle attività di sviluppo del turismo enogastronomico, sono solo alcune delle azioni per promuovere i vini piemontesi a livello nazionale ed internazionale.
Sono dunque molti gli strumenti attivati dalla regione Piemonte per la valorizzazione dei prodotti vinicoli di qualità, che non si limitano al semplice riconoscimento della DOC, ma che seguono a pieno lo sviluppo del prodotto, che diventa, come nel caso del Canavese Rosso DOC, strumento attraverso cui valorizzare e
tutelare il territorio.
2.2.5 Sintesi conclusiva
Esiste nel Canavese per i vitigni rossi un elevato potenziale enologico inespresso, le cui cause sono da ricercare in particolari caratteristiche strutturali del
comparto, quali l’elevata frammentazione aziendale e la mancanza di ricambio generazionale, ma anche in una insufficiente diffusione della tecnica enologica di qualità.
Se per i primi due punti poco può fare lo studio finanziato dalla Regione Piemonte molto può invece fare per l’ultimo aspetto. Infatti, i risultati relativi alla vinificazione dei vini in purezza e l’individuazione degli 8 tagli migliori, fra le diverse
combinazioni possibili, rappresenta una strumento fondamentale di orientamento per
le cantine produttrici di Canavese Rosso DOC. I risultati relativi ai vini in purezza
sono indispensabili per operare una corretta scelta tra le varietà autoctone di vitigni da
impiantare e le altre varietà autorizzate, mentre l’individuazione dei tagli migliori graditi ai consumatori può effettivamente orientare i produttori di vino verso la produ37
zione di vini per i quali c’è già stato un riscontro positivo a livello di consumatori.
Una particolare attenzione da parte dei produttori di Canavese Rosso DOC ai
risultati della ricerca nella fase dei reimpianti e nella scelta degli uvaggi è stata
riscontrata dai responsabili del progetto e, questo, rappresenta sicuramente un ottimo
risultato dello studio. Anche i risultati economici relativi alla coltura della vite in provincia di Torino hanno evidenziato l’esistenza di un vantaggio economico nel produrre vino di qualità rispetto al vino comune: ciò che costituisce certamente uno dei
fattori più importanti per la diffusione delle nuove produzioni DOC.
2.3
La viticoltura specializzata
Il progetto “Selezione clonale di vitigni piemontesi” finanziato dalla Regione
Piemonte è condotto ormai da molti anni dal Centro Miglioramento Genetico e Biologia della vite del CNR di Torino, con l’obiettivo di migliorare dal punto di vista genetico e sanitario i vitigni piemontesi.
L’attività di selezione clonale, attuata secondo protocolli ufficiali definiti a
livello nazionale, è finalizzata a fornire al settore vivaistico materiale di moltiplicazione
di particolare qualificazione, e a consentire ai viticoltori l’impianto dei vigneti con
“materiale certificato” valido per i caratteri varietali, virologici, agronomici ed enologici.
Negli anni recenti sono state condotte approfondite osservazioni su numerosi
cloni di vite, ma ai fini della nostra indagine si è focalizzata l’attenzione sulla diffusione dei cloni di vitigni Nebbiolo biotipo Michet (CVT 63, 66, 71), biotipo Picotoner
(CVT 308. 415, 423), Barbera (CVT 83) e Moscato Bianco (CVT CN 16 e AT 57).
L’analisi di scenario di seguito proposta offre indicazioni relative al comparto
vitivinicolo nelle province piemontesi maggiormente vocate, vale a dire: Cuneo,
Asti e Alessandria; essa persegue lo scopo di evidenziare l’importanza dei vitigni
su cui da anni si opera la selezione clonale.
2.3.1 Descrizione del comparto
La vitivinicoltura incide notevolmente sull’economia agricola piemontese: nel
2001, il comparto, con valori superiori ai 447 milioni di euro, rappresenta più del 64%
della PPB delle coltivazioni legnose e il 13% della PPB agricola regionale. Il 93 % delle produzioni vitivinicole sono realizzate nella provincia di Asti, Alessandria e Cuneo:
nella prima il valore dei prodotti vitivinicoli costituisce più del 50% di tutte le produ38
zioni agricole, mentre nella provincia di Alessandria e di Cuneo ne rappresenta, rispettivamente, il 25% e 10% (tab. 2.18).
Secondo i dati dell’Anagrafe Vitivinicola regionale, nel 2003 la viticoltura piemontese si estende su una superficie complessiva di 47.520 ettari, il 95 % della quale
ricade nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, dove tra l’altro si concentra l’84%
delle aziende viticole piemontesi (tab. 2.19).
Tab. 2.18 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni legnose in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤)
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
Totale
697.478
186.157
132.504
291.121
Coltivazioni legnose di cui:
prodotti vitivinicoli
447.613
167.743
111.735
140.611
Totale
agricoltura
3.451.958
331.658
444.874
1.336.305
Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT
Tab. 2.19 - Superficie vitata e numero di aziende viticole del Piemonte e delle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2003
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
Aziende
viticole
(n.)
26.947
8.487
6.665
7.604
Superficie vitata totale
prodotti vitivinicoli
(ha)
47.520
16.814
13.085
15.333
di cui: superficie a
DOC/DOCG
(ha)
36.475
12.874
9.455
13.363
Fonte: Archivio dei vigneti, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2003
Una caratteristica peculiare della viticoltura piemontese è il forte orientamento verso la qualità: infatti, circa l’80% della superficie vitata regionale è atta
a produrre vini DOC e DOCG e ricade quasi interamente (98%) nei territori delle province di Cuneo, Asti e Alessandria. Dal punto di vista strutturale il comparto
è caratterizzato da una notevole frammentazione della base produttiva: la superficie media delle aziende viticole delle citate province è di due ettari circa. Tuttavia negli ultimi anni, seppur lentamente, si va affermando nel comparto una tendenza verso modelli produttivi più specialistici e, nonostante continui a prevalere una viticoltura diffusa su piccoli appezzamenti, sono aumentate rispetto al
39
passato le dimensioni medie delle superfici coltivate a vite di ciascuna azienda.
Come già ricordato, i vitigni piemontesi oggetto di selezione clonale presi in
esame nel caso della nostra indagine, sono Nebbiolo, Barbera e Moscato. E’ da
notare che il vitigno predominante in Piemonte è il Barbera, esteso sul 35% dell’intera superficie coltivata a vite, seguito dal Moscato, 22%, dal Dolcetto,14% e
dal Nebbiolo 8%.
Come si evince dalle informazioni riportate nella tabelle 2.20, il Barbera viene intensamente coltivato nell’astigiano (oltre 50% del totale) e nel Monferrato
alessandrino; il Nebiolo, invece, è largamente diffuso nella provincia di Cuneo e gli
impianti di Moscato sono presenti in misura circa uguale nel basso astigiano e nelle Langhe cuneesi, oltre che, in misura più contenuta, nella provincia di Alessandria.
Tab. 2.20 - Superficie vitata per vitigno in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2003
Barbera
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
16.594
8.413
5.367
5.367
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
50,7
32,3
50,7
Moscato
Nebbiolo
valori assoluti (ha)
10.378
3.761
4.315
61
1.628
10
1.628
10
valori percentuali
41,6
1,6
15,7
0,3
41,6
1,6
Totale
47520
16.789
13.055
13.055
35,3
27,5
35,3
Fonte: Archivio vigneti Piemonte 2003
In termini di produzione di uva e vino, dei circa 2,3 milioni di ettolitri di vino
prodotti a livello regionale il 92% proviene dalle tre province, in misura maggiore
(37%) da Asti e in misura circa uguale (27-28%) da Cuneo e Alessandria (tab. 2.21).
Sono più di un centinaio i vini commercializzati dalle aziende piemontesi e, fra
questi, i primi posti sono occupati dai vini VQPRD che rappresentano il 30% delle
vendite totali, equamente divisi tra la vendita sul mercato estero e il mercato nazionale (tab. 2.22). Seguono, in termini di volumi di vendite, i vini da tavola e i vini aromatizzati, mentre gli spumanti - tra i quali non è compreso l’Asti, annoverato tra i
VQPRD - sono all’ultimo posto. Il 42% del prodotto venduto sul mercato nazionale
dalle aziende vitivinicole piemontesi deriva dalle province di Asti e di Cuneo; quest’ultima provincia è al primo posto per quanto concerne le esportazioni.
40
Tab. 2.21 - Superfici viticole e produzioni vinicole in Piemonte e nelle province di
Asti, Alessandria e Cuneo
produzione uva da vino
(q)
3.346.053
1.225.000
914.054
980.000
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
produzione vino
(hl)
2.328.675
857.500
637.696
657.000
Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte
Tab. 2.22 - Vendite all’estero e in Italia di vini prodotti in Piemonte e nelle province
di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2002 per categoria merceologica
vino
da tavola
VQPRD
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
802.480
96.863
212.488
486.050
708.835
169.213
10.259
404.408
Piemonte
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
317.813
194.559
24.262
78.319
735.839
231.340
62.329
348.757
spumanti
vini
aromatizzati
vendite all’estero (hl)
130.435
946.491
35.721
154.761
44
0
88.609
127.147
vendite in Italia (hl)
402.354
173.942
266.483
41.610
5.963
507
80.721
11.861
altri
prodotti
Totale
456.706
96.972
4.902
338.929
3.044.947
553.529
227.693
1.445.142
221.678
40.701
5.632
144.828
1.851.625
774.692
98.693
664.485
Fonte: Mondo bottiglie, Anagrafe Vitivinicola,Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione
Piemonte, 2002
Il patrimonio viticolo piemontese, anche se spesso esclusivamente identificato con la produzione di grandi vini rossi, si esprime attraverso numerosi altri vini
e sono tutt’altro che trascurabili le produzioni di vini bianchi e degli spumanti.
Come si evince dalla tabella 2.23, tra i vini rossi4 un ruolo fondamentale è
svolto dai vini prodotti a partire dal vitigno Nebbiolo - la cui produzione equivale
al 10% di tutti i vini rossi piemontesi DOC e DOCG - e dal Barbera (oltre 50% del
totale). Tra i prodotti del vitigno Nebbiolo si ricordano i vini DOCG Barolo,
4
Si precisa che i valori riportati in tabella sottostimano le produzioni totali di ciascun vitigno, perché sono stati presi in considerazione solo i vini prodotti dai relativi monovitigni, escludendo i numerosi vini piemontesi costituiti da uvaggi diversi, tra i quali rientrano il Barbera o il Nebbiolo.
41
Barbaresco, Gattinara e Ghemme, mentre dalla vinificazione del vitigno Barbera si
ottengono il Barbera d’Asti DOC e il Barbera d’Alba DOC. Per quanto riguarda,
invece, la produzione di vini bianchi DOC e DOCG il 70% di questi è prodotto a
partire dal vitigno Moscato bianco, da cui derivano, innanzitutto, l’Asti Moscato
DOCG e l’Asti Spumante.
Tab. 2.23 - Produzione di vini rossi e bianchi DOC e DOCG in Piemonte nel 2002
Vini Rossi Piemonte DOC e DOCG
di cui: monovitigno Nebbiolo
di cui: monovitigno Barbera
Vini Bianchi Piemonte DOC e DOCG
di cui: monovitigno Moscato
Produzione (hl)
518.892
102.762
518.892
721.381
502.666
Fonte: Elaborazioni INEA su dati CCIAA del Piemonte, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte
La maggior parte dei vini sopra citati provengono dalle zone vinicole più prestigiose della regione: le Langhe, il Roero e il Monferrato, che ricadono nei territori
delle tre province esaminate. Le condizioni pedoclimatiche della zona delle Langhe
e del Roero, tra l’albese e l’astigiano, la rendono particolarmente adatta alla coltivazione della vite; il vitigno più diffuso è il Nebbiolo, che dà origine in questa zona
ad un vino particolarmente rinomato: il Barolo. Adiacente a questa zona si trova, a
sud del fiume Po, a cavallo tra le province di Asti e Alessandria, la zona del Monferrato, suddivisa in tre sottozone: Monferrato Casalese, Monferrato Astigiano e
Alto Monferrato. Anche questa zona è caratterizzata da distese di colline che legano principalmente la propria fama a quattro vitigni (Barbera, Dolcetto, Moscato e
Grignolino), ma soprattutto alla produzione di uno dei vini dolci più conosciuti nel
mondo, l’Asti Spumante.
2.3.2 Problematiche legate alla selezione clonale
L’iter di selezione clonale e di omologazione è un procedimento complesso e
lungo che prevede numerose prove in campo e in laboratorio che, mediamente, durano una decina di anni. Per molti dei cloni scelti soltanto nel 2000 - a conclusione del
ciclo pluriennale di controlli in laboratorio, in campo e in cantina - è stata redatta ed
inviata al Ministero competente la documentazione per la richiesta di omologazione
(Nebbiolo biotipo Picotoner e Michet, nonché Barbera CVT 83). Per questi specifici
cloni, dunque, non è possibile fare una verifica della loro adozione in vigneto, poiché
42
il materiale selezionato è esclusivamente in possesso dei vivaisti per l’allestimento
delle piantine madri e non è ancora acquistabile dai viticoltori.
Diverso è il discorso per i cloni di Moscato Bianco, omologati nel 1990, per
i quali è effettivamente possibile verificare la diffusione presso i viticoltori. Per avere comunque alcune indicazioni relative alla futura diffusione dei cloni di Nebbiolo e Barbera in esame, si riportano i dati relativi alle domande di prenotazione del
materiale certificato avanzate dai vivaisti al Nucleo di Premoltiplicazione Viticola del Piemonte (Ce.Pre.Ma.Vi.) per le campagne 2003-2004 e 2004-2005. Da
quanto si desume dalla tabella 2.24, tendono a diminuire le richieste dei cloni di
Moscato in relazione alla loro più antica omologazione, mentre sono molto numerose, e in termini assoluti maggiori, le richieste di Barbera. Tra i cloni di Nebbiolo
Picotoner sono numericamente inferiori le domande per il clone CVT 308 e sostanzialmente uguali per gli altri due cloni; invece, per il biotipo Michet i vivaisti sembrano più orientati verso il clone CVT 71, anche se lo scarto in numero di domande presentate rispetto agli altri due cloni omologati non è così elevato.
Tab. 2.24 - Domande presentate al Nucleo di Premoltiplicazione Viticola del Piemonte negli nelle campagne 2003-2004 e 2004-2005
Barbera CVT 83
Picotoner Nebbiolo CVT 308
Picotoner Nebbiolo CVT 415
Picotoner Nebbiolo CVT 423
Michet Nebbiolo CVT 63
Michet Nebbiolo CVT 66
Michet Nebbiolo CVT 71
Moscato CN 16
Moscato AT 57
campagna 2003-2004
Numero di richieste
8.154
750
1.450
1.450
2.500
2.450
2.700
900
500
campagna 2004-2005
Numero di richieste
5.250
150
250
50
425
225
150
334
380
Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte
I dati riportati in tabella forniscono delle indicazioni limitate circa la futura diffusione di questi cloni e devono essere interpretati come orientamento dei vivaisti verso l’uno o l’altro clone, ma non sono del tutto rappresentativi della loro reale futura diffusione in campo. I vivaisti, infatti, dopo aver ottenuto il materiale di moltiplicazione,
allevano le piante madri certificate da cui verranno prodotte le talee e, quindi, le barbatelle che saranno acquistate dai viticoltori per l’impianto. Una vera e propria verifi43
ca della diffusione di questi cloni andrà dunque fatta presso i viticoltori solo a seguito
dell’acquisto del suddetto materiale e del relativo impianto.
2.3.3 Risultati economici
Per un esame dei risultati economici e produttivi della viticoltura piemontese attraverso la RICA regionale si è preso a riferimento il triennio 2000-2002 e le
colture vite di qualità e vite comune nelle sole aziende specializzate delle tre principali province viticole: Asti, Alessandria e Cuneo (Tab. 2.25).
Tab. 2.25 - Principali risultati economici e struttura dei costi della coltura vite nelle
province di Asti, Alessandria e Cuneo nel triennio 2000-2002
2000
Numero di casi
181
Superficie media aziendale (ha) 2,20
A) Produz. unitaria del
prod. princ. (q/ha)
93
B) Prezzo di vendita (¤/q)
39
C) Produz. lorda totale (?/ha) 6.611
D) Spese specifiche (¤/ha)
442
- barbatelle
14
- fertilizzanti
38
- antiparassitari e diserbanti
312
- noleggi
5
- reimpieghi
1
- altre spese
69
E) Margine lordo (¤ / ha)
[E = C – D]
6.169
Spese specifiche/ Produz.
Lorda Unitaria
Spese specifiche
- acquisto barbatelle
- fertilizzanti
- antiparassitari e diserbanti
- noleggi
- reimpieghi
- altre spese
6,7
100,0
3,2
8,5
70,7
1,2
0,3
15,7
Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA
44
Asti
2001
2002
Alessandria
2000
2001 2002
valori assoluti
77
80
84
4,90
5,10
5,30
2000
Cuneo
2001
2002
183
2,30
177
2,30
111
2,60
109
2,80
111
2,80
105
41
7.072
439
14
54
285
7
0
79
91
48
6.457
416
15
47
258
23
0
72
90
48
6.344
537
23
70
349
3
7
84
84
45
5.558
617
52
88
313
7
2
155
86
59
8.817
634
15
75
344
2
0
196
92
50
8.560
825
6
86
397
23
0
312
80
57
7.354
773
26
114
432
5
0
194
6.633
6.041
5.807 5.097 4.940
valori percentuali
8.182
7.735
6.581
6,2
100,0
3,2
12,2
64,8
1,6
0,0
18,0
6,4
100,0
3,5
11,3
62,1
5,5
0,0
17,2
8,5
100,0
4,4
13,0
65,0
0,6
1,3
15,7
7,2
100,0
2,4
11,8
54,2
0,4
0,1
30,9
9,6
100,0
0,8
10,4
48,2
2,8
0,0
37,8
10,5
100,0
3,3
14,7
55,9
0,7
0,0
25,2
90
38
5.615
518
68
61
311
11
4
62
9,2
100,0
13,2
11,8
60,1
2,1
0,9
11,9
11,1
100,0
8,4
14,2
50,7
1,1
0,3
25,2
La situazione che emerge dalle elaborazioni effettuate è quella di una
presenza importante della coltivazione della vite nell’economia dell’intera
regione, sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello economico; infatti i risultati della coltura, in termini di produzione lorda e di margine lordo, sono tra i
più alti rispetto alle più diffuse coltivazioni regionali e, indubbiamente, i più elevati rispetto alle reali alternative produttive nelle aree viticole.
Considerato che il campione analizzato è costituito da sole aziende specializzate, si può sostenere che la coltivazione ha luogo su superfici piuttosto
contenute: intorno ai 2,5 ettari nelle province di Cuneo ed Asti, intorno ai 5 ettari in provincia di Alessandria. Si tratta di superfici colturali tutto sommato
modeste, che consentono ad un rilevante numero di imprese di restare sul mercato solo a ragione dell’elevata redditività unitaria. Sussiste di fatto una tendenza generalizzata verso un aumento della superficie colturale che, tuttavia, è
fortemente ostacolata dalla rigidità ed onerosità del mercato fondiario nelle
aree viticole specializzate.
Sul piano produttivo la viticoltura piemontese esprime rese unitarie medie
intorno ai 90 q/ha con una variabilità molto ridotta tra le diverse province.
Il mercato risulta premiare le uve prodotte in provincia di Cuneo, dove il
prezzo medio è di 55 ¤ / q, rispetto alle altre due province (Asti 42 ¤ / q, Alessandria 43 ¤/q) ma il livello generale dei prezzi appare comunque remunerati vo. Infatti, già è stato notato che il livello della produttività lorda della coltura
- mediamente vicina, a livello regionale, a 7.000 ¤ per ettaro - è tra i più alti nel
panorama produttivo regionale; si evidenzia, inoltre, una diversità significativa
di produttività lorda tra le diverse province: -30% ad Alessandria rispetto a
Cuneo, -18 % ad Asti rispetto a Cuneo.
Dall’analisi della struttura dei costi si rileva un livello contenuto delle
spese specifiche che, a livello regionale nell’intero periodo analizzato, rappresentano solamente l’8,4% della produzione lorda, ma nel contempo si mette in
evidenza come quasi il 60% delle spese specifiche sia rappresentato dalle spese per la difesa della coltura. Dunque la selezione clonale, che persegue l’obiettivo dell’impiego di materiale sano e resistente ai virus, rappresenta certamente uno strumento di prevenzione importante ai fini della limitazione dei
costi, in grado di incidere in modo significativo sia attraverso il contenimento
dei costi di risanamento (reimpianto o sostituzione delle piante infette), sia
attraverso la riduzione dei costi per la difesa preventiva ed attiva contro i vettori
delle virosi.
45
2.3.4 Politica regionale per la viticoltura
La costante attenzione rivolta dall’Amministrazione regionale piemontese al
comparto viticolo si realizza in numerosi interventi per lo sviluppo, la promozione
e la tutela dei prodotti vitivinicoli regionali (cfr. quanto detto al precedente paragrafo
2.2.4). In particolare, la salvaguardia del potenziale produttivo viticolo e delle strutture economiche è uno dei temi centrali dell’impegno istituzionale per il rafforzamento del ruolo strategico che il comparto gioca nell’economia complessiva della
regione.
Il progetto di selezione clonale finanziato dalla Regione persegue obiettivi
fondamentali per la promozione economica e commerciale del prodotto. L’introduzione di materiale virus-esente evita infatti l’insorgenza di dannose fitopatie che
sarebbero causa di un aggravio dei costi per le aziende e ne ridurrebbero la competitività; inoltre, la scelta dei cloni migliori dal punto di vista agronomico, ecologico
e produttivo comporta l’immissione sul mercato di un prodotto qualitativamente
superiore. Tra l’altro, l’impegno nel campo della selezione clonale non si limita al
finanziamento di attività di ricerca, ma la Regione Piemonte gestisce e finanzia il già
menzionato Nucleo di Premoltiplicazione (Ce.Pre.Ma.Vi.) garantendo una disponibilità di materiale controllato ai vivaisti e riducendo in generale gli oneri relativi al
materiale di impianto.
La salvaguardia del patrimonio viticolo e la lotta contro le principali fitopatie della vite è condotto anche su altri fronti. Una delle avversità che affliggono maggiormente i vigneti piemontesi è oggi rappresentata dalla flavescenza dorata, che si
è manifestata per la prima volta nel 1998 in alcune aree dell’alessandrino. A partire
da tale anno la Regione Piemonte ha intrapreso numerose iniziative finalizzate a contenere la diffusione della fitopatia; è stato ideato e finanziato un progetto di ricerca,
di monitoraggio e di intervento sul territorio per studiare l’evoluzione della malattia sui vitigni piemontesi nelle condizioni ambientali e colturali della regione e si
sono individuati gli interventi di lotta obbligatoria per il contenimento della stessa.
Inoltre, è stato attivato uno specifico intervento nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 per il sostegno finanziario ai viticoltori i cui vigneti sono
stati danneggiati a seguito dell’espandersi della fitopatia. La misura U “Ricostituzione del potenziale agricolo danneggiato da disastri naturali e introduzione di adeguati strumenti di prevenzione” prevede, infatti, oltre al finanziamento della attività
di monitoraggio e di informazione sul territorio, uno specifico sostegno per le fasi di
estirpazione, reimpianto e integrazione del mancato reddito dei vigneti colpiti dalla
malattia.
46
Grande rilievo sul piano dell’evoluzione qualitativa della viticoltura di qualità e dell’attenzione alle problematiche ambientali ha avuto il regolamento (CEE)
n. 2078/92 che ha costituito un importante punto di raccordo operativo tra Ente pubblico ed organismi degli agricoltori per orientare le produzioni su obiettivi di qualità. Il programma regionale di applicazione del suddetto regolamento – che, come
già ricordato al precedente paragrafo 2.1.4, ha fatto seguito all’esperienza del programma regionale di lotta fitopatologica integrata avviato fin dagli anni ottanta - ha
ottenuto grandi consensi tra i viticoltori piemontesi, tanto che, nel 1997, su circa la
metà dei vigneti piemontesi (26.000 ettari) veniva praticata la difesa integrata ed
erano adottate tecniche agronomiche ecocompatibili. Conseguentemente all’adozione del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 sono poi state mantenute analoghe
tipologie di impegno anche nella programmazione e nella gestione delle misure
agroambientali (Misura F1).
Infine, è opportuno ricordare, seppur brevemente, i principali interventi di
tutela e promozione delle produzioni viticole piemontesi. Tra questi rivestono un
ruolo importante gli strumenti attivati per lo sviluppo dell’enogastronomia piemontese (cfr. paragrafo 2.2.4) che incrementano l’attrattiva dei territori viticoli e,
allo stesso tempo, contribuiscono a sviluppare il turismo culturale e la funzione
ambientale delle aree viticole e del territorio nel suo insieme. In questo ambito è
senz’altro opportuno far riferimento alla legge regionale n. 20 del 1999 che istituisce il “Distretto dei vini Langhe Roero e Monferrato”, zona che raggruppa queste
tre zone di eccellenza per l’aspetto enogastronomico, storico, turistico, artigianale,
culturale. Il distretto comprende 422 comuni e ha lo specifico obiettivo di promuovere la produzione vitivinicola di un territorio piuttosto vasto ed eterogeneo che
copre quasi un quarto del territorio piemontese (comprende, infatti, circa 27.000
aziende vitivinicole su un’area di oltre 670.000 ettari, con quasi un milione di abitanti).
2.3.5 Sintesi conclusiva
L’attività di miglioramento genetico e sanitario della vite tramite la selezione clonale rappresenta un tassello fondamentale di una strategia complessiva che la
Regione Piemonte persegue per sostenere e valorizzare il settore vitivinicolo.
La selezione, condotta da molti anni sui vitigni piemontesi più rappresentativi e importanti, riveste notevole importanza poiché l’impiego di cloni esenti da
virus è attualmente l’unica forma di prevenzione per quelle fitopatie per le quali non
esistono trattamenti in grado di risanare la pianta infetta. È senz’altro molto più van47
taggioso per l’azienda l’impiego di materiale certificato e sano rispetto a quello
standard, anche a fronte di un maggior costo del primo rispetto al secondo.
Anche l’aspetto relativo al miglioramento della produzione di uva e vino
derivante dalla individuazione di cloni con particolari caratteristiche qualitative della produzione (fertilità, tenori zuccherini, acidità, antociani, polifenoli, ecc.) è di
notevole rilevanza. Tuttavia, a questo riguardo, occorre sottolineare alcuni elementi problematici derivanti dalla lunga durata, 10 anni circa, del procedimento di
selezione. Infatti, nonostante la selezione venga impostata in relazione alle effettive esigenze del mondo viticolo e del mercato in un determinato momento, una volta conclusosi l’iter di selezione, le condizioni potrebbero essersi modificate e, quindi, non essere più così favorevoli alla diffusione del materiale selezionato determinando o il mancato uso dei cloni selezionati o la realizzazione di impianti la cui produzione non è idonea a rispondere alle esigenze emergenti.
2.4
La frutticoltura
Il progetto di ricerca “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi” – oggetto di cofinanziamento da parte della Regione Piemonte - si inserisce nell’omonimo
Programma nazionale MiPAF-Regioni ed è condotto, a partire dal 2002, dal
Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese (CreSo). L’impegno della Regione Piemonte in questo campo, tuttavia,
risale ad epoche precedenti. Infatti, il CreSo è stato costituito nel 2002, ma ha
assorbito l’attività di sperimentazione già realizzata da Asprofrut, (associazione dei
produttori ortofrutticoli piemontese) ivi compresa l’azienda sperimentale per la
frutticoltura di Cuneo, situata in località Spinetta, dove, dal 1987, vengono svolte
le ricerche relative alle prove varietali per le specie melo, pesco, pero e albicocco.
Il progetto in esame ha, invece, preso avvio nel 1994, anno in cui il MiPAF
ha finanziato il progetto “Liste di orientamento varietale”, all’interno del quale, in
modo permanente, vengono sperimentate le nuove cultivar ed i nuovi portinnesti
ritenuti di maggiore interesse per i principali bacini produttivi della frutticoltura italiana.
Presso l’azienda sperimentale di Spinetta viene introdotto per la sperimentazione il materiale varietale ritenuto interessante per lo sviluppo della frutticoltura piemontese: ne vengono studiate le caratteristiche merceologiche e il comportamento agronomico, con particolare riferimento alla sensibilità alle fitopatie, per
determinarne la compatibilità con l’ambiente e le tecniche colturali. In questo
48
modo si separano le varietà "interessanti" da quelle di scarsa o nulla utilità, formulando annualmente delle “liste di idoneità”. In sostanza, l’intera sperimentazione
permette di redigere liste di orientamento varietale nazionale, ma articolate a livello regionale e per territorio, che vengono aggiornate annualmente e che consentono di indirizzare efficacemente gli operatori della filiera frutticola.
Per esigenze inerenti la realizzazione del presente studio si è deciso di limitare l’indagine alle nuove cultivar di melo, pesco e nettarine i cui impianti sono diffusi sul territorio cuneese che, come confermano i dati forniti al seguente paragrafo
costituisce il comprensorio frutticolo più rappresentativo a livello regionale.
2.4.1 Descrizione del comparto
In Piemonte la frutticoltura interessa una superficie di circa 27.000 ettari che,
nel triennio 2000-2002, in controtendenza rispetto alla situazione nazionale, ha
subito un seppur lieve incremento. Nello stesso triennio è stata stimata una produzione annuale complessiva superiore ai 4 milioni di quintali. Il comparto evidenzia
un forte orientamento verso la produzione di frutta per il consumo fresco: le specie
più rappresentate sono mele, pesche, nettarine e kiwi; tuttavia, a livello regionale,
non sono affatto trascurabili le produzioni della frutta in guscio: la coltivazione del
nocciolo, in particolare, interessa circa 7.800 ettari e fornisce produzioni di particolare pregio destinate alla locale industria agroalimentare.
La provincia di Cuneo – in particolare, le colline del saluzzese e la pianura
tra Savigliano, Fossano e Cuneo – costituisce il polo produttivo per eccellenza
della frutticoltura piemontese. Come si evince chiaramente dalle informazioni
riportate in tabella 2.26, infatti, più della metà dei meleti e dei pescheti ricadono
proprio nel territorio cuneese e da essi derivano più dei due terzi delle relative produzioni regionali. Nel caso delle nettarine, poi, la coltivazione viene realizzata
quasi esclusivamente in questa provincia dove, ancora, si rinviene l’80% dei noccioleti piemontesi, con produzioni annue superiori ai 100 mila quintali.
L’importanza del comparto frutticolo per l’economia agricola piemontese è
testimoniato dal fatto che nel 2001 esso valeva circa 200 milioni di euro e rappresentava circa il 6% dell’intera produzione agricola regionale (tab. 2.27). A sottolineare, di nuovo, la specializzazione della provincia rispetto a questa tipologia colturale, si evidenzia che nel cuneese le produzioni frutticole costituiscono il 50% di
tutte le coltivazioni legnose agrarie e pesano sull’intera produzione agricola provinciale nella misura del 10%.
49
Tab. 2.26 - Superfici e produzioni dei principali fruttiferi in Piemonte e nella provincia di Cuneo nel triennio 2000-2002
2000
Piemonte di cui: Cuneo
Totale fruttiferi
- Mele
- Pesche
- Nettarine
- Pere
- Actinidia
- Nocciole
26.278
5.023
4.086
2.778
1.313
3.268
7.808
18.470
2.998
2.139
2.534
719
2.515
6.409
Totale fruttiferi 4.515.979
- Mele
1.475.604
- Pesche
995.203
- Nettarine
820.310
- Pere
204.169
- Actinidia
676.030
- Nocciole
110.371
3.333.200
1.060.600
623.000
776.000
92.000
550.000
82.400
2001
Piemonte di cui: Cuneo
Piemonte
Superfici (ha)
27.242
20.071
27.818
5.032
3.155
4.729
4.538
2.630
4.541
2.937
2.700
2.937
1.316
729
1.375
3.257
3.053
4.039
7.818
6.420
7.828
Produzioni (q)
4.214.003 3.029.060
4.446.777
1.464.520 1.065.000
1.451.251
863.380
495.000
949.395
577.225
535.000
559.639
210.443
92.010
245.125
682.238
545.000
814.912
154.678
126.600
155.095
2002
di cui: Cuneo
20.071
3.155
2.630
2.700
729
3.053
6.420
3.178.465
1.080.000
545.000
517.050
132.000
602.000
127.000
Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte e ISTAT
Per quanto attiene alle aziende con fruttiferi, secondo i dati dell’ultimo
Censimento agricolo in Piemonte il loro numero sarebbe superiore alle 32.000
unità, delle quali oltre 17.000 sono localizzate nella provincia di Cuneo (tab.
2.28). In quest’ambito territoriale le aziende specializzate in un’unica coltivazione sono il 43% del totale (22% in melicoltura, 17% in peschicoltura, circa 5%
nella coltivazione di nettarine). Tuttavia, la maggior parte delle aziende realizza coltivazioni miste delle tre sopraccitate specie, fra le quali prevale comunque
il melo.
Tab. 2.27 - Produzione agricola a prezzi base delle coltivazioni legnose in Piemonte e
nella provincia di Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤)
Piemonte
di cui: Cuneo
Coltivazioni legnose
Totale
di cui: frutta
697.478
199.800
291.121
141.699
Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT
50
Totale agricoltura
3.451.958
1.336.305
Tab. 2.28 - Numero di aziende per coltivazione legnosa in Piemonte e nella provincia
di Cuneo nel 2000
Aziende con fruttiferi
di cui: specializzate nella coltivazione del melo
di cui: specializzate nella coltivazione del pesco
di cui: specializzate nella coltivazione delle nettarine
Cuneo
17.578
3.892
2.937
802
Piemonte
32.262
10.627
8.124
1.089
Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000
Le aziende con fruttiferi presenti nella provincia di Cuneo hanno prevalentemente piccole o medie dimensioni: il 25% non raggiunge l’ettaro di dimensione, circa la metà ha dimensioni tra 1 e 5 ettari, il 15 % tra 5 e 10 ettari e il restante 10% ha
dimensioni superiori ai 20 ettari (tab. 2.29). La stessa distribuzione si riscontra per
le aziende specializzate nella coltivazione di melo e pesco; diversa la situazione per
le aziende che coltivano nettarine – destinate per lo più all’esportazione - dove il
numero di aziende con dimensioni inferiori all’ettaro è molto ridotto (meno del 5%)
mentre prevalgono in assoluto quelle di grandi dimensioni (42% del totale).
Come già accennato, la zona in cui prevalentemente si concentra la frutticoltura cuneese è il saluzzese, che è la sub-area frutticola regionale più articolata
sotto il profilo funzionale ed organizzativo: qui, infatti, opera la maggior parte delle cooperative frutticole e dei grossisti.
Tab. 2.29 - Aziende con coltivazioni legnose agrarie in provincia di Cuneo per classe
di SAU nel 2000
meno di 1 ettaro
1-5 ettari
4.406
8.525
- di cui melo
922
- di cui pesco
656
5-10 ettari
> 20 ettari
Totale
2.780
1.867
17.578
1616
709
645
3.892
1149
567
565
2937
208
217
341
802
valori assoluti
Aziende con fruttiferi
- di cui nettarine
36
valori percentuali
Aziende con fruttiferi
25,1
48,5
15,8
10,6
100,0
Fruttiferi
25,1
48,5
15,8
10,6
100,0
- di cui melo
23,7
41,5
18,2
16,6
100,0
4,5
39,1
19,3
19,2
100,0
- di cui nettarine
Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000
51
La frutticoltura piemontese è caratterizzata da una notevole articolazione
della gamma produttiva, risultato di un tessuto produttivo concentrato e ben strutturato, in cui prevalgono prodotti a maturazione tendenzialmente tardiva. Il comparto frutticolo svolge un ruolo strategico a livello regionale, che va molto oltre la
pur rilevante incidenza sulla produzione agricola complessiva. Infatti, la frutta piemontese occupa il primo posto nell'ambito dei prodotti freschi regionali esportati,
con un fatturato di 90 milioni di euro annui.
Nonostante la rilevanza e la forza del comparto, negli ultimi anni i produttori
piemontesi si sono trovati a dover affrontare non più solo la concorrenza delle
produzioni di altre regioni italiane, quali il Trentino e l’Emilia Romagna, ma anche
la competizione dei Paesi, quali ad esempio il Cile e la Nuova Zelanda, situati in
aree geografiche caratterizzate da stagionalità inversa e che si avvantaggiano di
costi di produzione sensibilmente inferiori. Infatti, i Paesi dell’emisfero australe
sfruttando, appunto, la stagionalità inversa, immettono i prodotti freschi nei circuiti
commerciali soddisfacendo le esigenze della grande distribuzione, ma riducendo lo
spazio di commercializzazione dei prodotti boreali a soli sei mesi.
Tali, dunque, sono le problematiche che negli ultimi anni la frutticoltura
piemontese ha dovuto affrontare e, partendo dal presupposto che non è percorribile la competizione sui costi, si è fatta la scelta di concentrare la ricerca e la sperimentazione sui processi di innovazione e sviluppo, cercando di privilegiare il
miglioramento qualitativo delle produzioni. Da ultimo, occorre aggiungere che a
sostenere le scelte suddette sono attive in Piemonte quattro Organizzazioni di Produttori, due delle quali (Lagnasco Group e Asprofrut) operano nel settore del prodotto fresco, mentre le altre due (Asprocor e Ascopiemonte) operano nel sub-comparto della frutta in guscio.
2.4.2 Problematiche della frutticoltura piemontese legate alle scelte varietali.
In Piemonte, per ragioni climatiche, il calendario di maturazione delle pesche
e delle nettarine è molto breve e concentrato in due mesi, a partire dalla metà di
luglio fino alla metà di settembre. L’offerta di prodotto, pertanto, non è uniformemente distribuita nel tempo, ma presenta picchi di produzione. L’elevata concentrazione della produzione costringe a stoccare la merce per distribuirla in un lasso
di tempo più lungo a scapito, spesso, della qualità. In ragione di tali problematiche
negli ultimi anni la ricerca in campo varietale è stata mirata alla selezione di nuove cultivar a maturazione cadenzata, settimanale, in modo da uniformare l’offerta
e minimizzare i tempi di raccolta e consumo.
52
Secondo quanto desunto dalle liste di programmazione delle varietà stilate
dalle Organizzazioni di Produttori sulla base delle liste varietali annualmente
compilate dal CreSo, di seguito si indicano le cultivar che nel triennio 2002-2004
sono state consigliate per il Piemonte.
L’offerta varietale delle pesche comuni (a polpa gialla) comprende due
tipologie di frutto distinte: quelle a colorazione standard e quelle con colorazione totale. Della prima tipologia vengono consigliate, a copertura del calendario di
raccolta, in ordine di precocità: Diamond Princess, Rome Star, Zee Lady – Zaijula e, per chiudere il calendario, Summer Lady. Per quanto riguarda la seconda
tipologia di pesche, quelle a colorazione totale, si parte con la cultivar precoce
Ruby Rich – Zainoar, per passare poi a Vista Rich – Zainobe, per concludere con
Summer Rich. Negli ultimi anni si è registrato un netto calo della richiesta di
pesche a polpa bianca, che rappresenta la tradizionale tipologia regionale. La produzione attuale, pur apprezzata sotto il profilo gustativo, sta scomparendo a
seguito delle caratteristiche peculiari di tale pesca che è inadatta alle moderne forme di distribuzione.
Per le nettarine a polpa gialla le liste di programmazione consigliano come varietà per iniziare il calendario di raccolta - Big Top e, a seguire, le recenti Honey Kist, Amiga, Diamond Ray, Stark Redgold, Maria Aurelia, Orion e, per
concludere il calendario, Sweet Red e Sweet Lady.
Per quanto riguarda, invece, la coltivazione del melo negli ultimi anni si è
determinata una decisa standardizzazione produttiva, a livello internazionale e
nazionale, basata sull’impiego di cultivar appartenenti ai gruppi policlonali Golden Delicious, Red Delicious, Gala, Fuji e Braeburn, all’interno dei quali è la scelta del clone che determina il grado di innovazione.
La ricerca in Piemonte, dunque, si è orientata negli ultimi anni verso i cloni che, all’interno dei gruppi sopra citati, permettono di conseguire alla melicoltura
regionale posizioni di vantaggio rispetto alla concorrenza. In particolare, si è lavorato per realizzare i perfezionamenti estetici dei gruppi varietali caratterizzati da
un’intensa sovracolorazione rossa in modo da renderli idonei ai requisiti qualitativi del disciplinare della “Mela Rossa Valli Cuneesi IGP”, recentemente riconosciuta. I cloni delle mele rosse che attualmente permettono di ottenere la più elevata percentuale di frutti idonei al marchio IGP, inseriti nelle liste di programmazione varietali delle OP nel triennio 2002-2004, sono Brookfield Baigent tra il
gruppo Gala, Superchief e Jéromine tra le Delicious rosse e Raku Raku tra le Fuji.
La ricerca per la melicoltura piemontese è anche orientata alla sperimenta53
zione di cloni resistenti alle fitopatie, in particolare, la ticchiolatura. Nello specifico si è lavorato per un prototipo di mela che possa essere materia prima per l’industria agroalimentare del baby-food e che consenta il rispetto delle restrizioni
all’impiego dei fitofarmaci (Direttiva CE n. 5/96). Tra le cultivar resistenti alla ticchiolatura, negli ultimi anni ci si è orientati verso le Golden Orange, Crimson Crisp, Topaz, e Grigia di Torriana. Rimangono comunque consigliate cultivar di mele
classiche, sempre apprezzate dai consumatori, quali Golden B del gruppo Golden
Delicious e Galaxi del gruppo Gala.
Sono, dunque, quelli finora richiamati i cloni di mele e le cultivar di pesche
e nettarine su cui si è orientata la ricerca piemontese - nello specifico, l’opera di
selezione condotta a cura del CreSo - negli ultimi anni, corrispondenti alle varietà
attualmente più diffuse sul territorio regionale.
2.4.3 Risultati economici
L’analisi dei principali risultati economici e produttivi della coltivazione del
pesco e del melo attraverso la banca dati regionale RICA è stata effettuata con riferimento al triennio 2000-2002, scegliendo, in coerenza con quanto sin qui esposto, le
aziende specializzate della provincia di Cuneo (tab. 2.30).
Il profilo strutturale e i risultati produttivi di queste due colture ne confermano
l’importanza nell’economia agricola della regione Piemonte; infatti i risultati delle due
coltivazioni, in termini di produzione lorda e di margine lordo, sono tra i più alti
rispetto alle principali coltivazioni regionali.
La SAU media delle aziende specializzate del campione, nel periodo in esame,
è stata di 9,7 ettari. E’ in atto una lieve tendenza verso un aumento della superficie
aziendale, fenomeno tuttavia fortemente ostacolato dalla rigidità del mercato fondiario nelle aree frutticole specializzate, come peraltro in tutte le aree a forte vocazione
produttiva; la superficie media delle colture in esame, intorno ai 3,5 ettari per il pesco
ed ai 2,5 ettari per il melo, testimonia la diffusa pratica dei frutticoltori a diversificare
le coltivazioni aziendali.
Sul piano produttivo le rese unitarie medie nel triennio sono di 237 q/ha per il
pesco e di 280 q/ha per il melo: si tratta di valori apprezzabili tenuto conto anche del
livello qualitativo del prodotto che è mediamente alto e che il mercato valuta per
entrambi i frutti nella misura di 27 ¤ per quintale.
Il livello della produttività lorda delle colture è mediamente pari a 6.710 ¤/ha
per il pesco e 7.802 /¤ ha per il melo.
54
Dall’analisi della struttura dei costi si rileva un livello contenuto delle spese specifiche che, nell’intero periodo analizzato, rappresentano rispetto alla produzione lorda solamente il 10,9 % per il pesco, mentre salgono al 16,3 % per il
melo; tuttavia, nel contempo, occorre mettere in evidenza come rispettivamente il 70% ed il 64% delle spese specifiche sia rappresentato da spese per la difesa della coltura. La selezione di cultivar resistenti alle principali fitopatie rappresenta dunque uno strumento di intervento importante ai fini della limitazione dei costi, in grado di incidere in modo significativo sia attraverso il contenimento dei costi di risanamento, sia attraverso la riduzione dei costi per la difesa preventiva ed attiva.
Tab. 2.30 - Principali risultati economici e struttura dei costi della coltivazione del
pesco e del melo nella provincia di Cuneo nel triennio 2000-2002
2000
Numero di casi
Superficie media della coltura (ha)
A) Produz. unitaria del prod. princ.(q/ha)
B) Prezzo di vendita (¤/q)
C) Produzione lorda totale (¤/ha)
D) Spese specifiche (¤/ha)
- acquisto piantine
- fertilizzanti
- antiparassitari
- noleggi
- reimpieghi
- altre spese
E) Margine Lordo (¤/ha) [E = C - D]
38
3,40
256
24
6.493
689
6
127
531
0
0
18
5.805
Spese specifiche/Produzione lorda totale
Spese specifiche
- acquisto piantine
- fertilizzanti
- antiparassitari
- noleggi
- reimpieghi
- altre spese
10,6
100,0
0,9
18,4
77,1
0,0
0,0
2,6
Pesco
2001 2002
2000
valori assoluti
39
46
45
3,70 3,50
2,50
227
226
267
31
26
23
7.874 5.763
6.487
686
773
1.266
6
12
42
92
104
151
479
498
842
18
31
9
0
0
0
83
121
216
7.188 4.990
5.221
valori percentuali
19,5
8,7 13,4
100,0 100,0
100,0
3,3
1,6
0,9
13,4 13,5
11,9
69,8 64,3
66,5
2,6
4,0
0,7
0,0
0,0
0,0
12,1 15,7
17,0
Melo
2001
2002
49
55
2,60 2,60
265
310
29
29
7.828 9.092
1.276 1.193
16
14
131
104
826
732
6
6
0
1
286
327
6.552 7.899
16,3 13,1
100,0 100,0
1,2
1,2
10,3
8,7
64,7 61,4
0,5
0,5
0,0
0,1
22,4 27,4
Fonte: Elaborazione INEA su dati RICA
55
2.4.4 Politica regionale
Come già detto, il progetto di ricerca in esame svolge un ruolo fondamentale per la frutticoltura piemontese, trattandosi della prosecuzione di una linea di
intervento condotta da ormai più di 15 anni per il tramite dell’Azienda Spinetta prima e del CreSo poi.
La Regione Piemonte finanzia la ricerca inerente all’introduzione e la valutazione di nuovi materiali vegetali consapevole del fatto che le difficoltà del comparto frutticolo piemontese sono per lo più riconducibili a problemi di marketing.
Infatti, chi intuisce prima degli altri quale nuovo prodotto potrebbe rispondere alle
attese di distribuzione e consumo risulta premiato e riesce ad usufruire, almeno per
qualche anno, di un monopolio di fatto. Lo strumento dell’innovazione è, quindi,
considerato una delle poche strategie valide percorribili dal nostro Paese per poter
essere competitivi rispetto ai Paesi in cui i costi di produzione sono notevolmente
inferiori: “l’innovazione nasca come esigenza del marketing e, viceversa, il marketing si occupi di percepire le attese del mercato e di tradurle in concreti progetti”
(Silvio Pellegrino, Direttore del CreSo). Inoltre, la Regione Piemonte finanzia
anche la successiva attività di divulgazione affinché gli agricoltori siano tempestivamente informati dei risultati della sperimentazione.
Anche la frutticoltura professionale piemontese, raccolta in larga misura
nelle Organizzazioni di Prodotto riconosciute ai sensi del regolamento (CE) n.
2200/96, si avvale della sperimentazione del CreSo e, per prendere le decisioni relative all’utilizzo delle informazioni fornite dalla sperimentazione varietale, si è dotata di uno strumento di consultazione che annualmente cura l’impostazione di un
programma di innovazione che permetta di giocare d’anticipo sulla riconversione
dell’offerta. E’ stata, infatti, costituita a livello regionale una "Commissione per la
sperimentazione e programmazione dell’offerta", dove sono rappresentate le componenti della filiera: frutticoltori operanti nei diversi areali, operatori commerciali, tecnici di campo e di magazzino, i ricercatori del Centro che, annualmente,
basandosi sulle liste varietali stilate dal progetto in esame, predispongono delle liste
di programmazione per i prodotti frutticoli.
Sempre in linea con l’intento di rendere la frutticoltura piemontese competitiva sul mercato nazionale ed internazionale e valorizzare i materiali innovativi,
negli ultimi anni si sono costituite filiere-club intorno a cultivar innovative di melo,
al fine di creare una filiera tra frutticoltori, operatori commerciali e vivaisti, con l’obiettivo di distribuire in esclusiva il nuovo prodotto utilizzando adeguati sostegni
promozionali.
56
Un’altra soluzione interessante per il cuneese è stata la ricerca di un segmento di mercato diverso sul quale non entrare in competizione con i colossi produttori di Golden Delicious: le mele rosse. Nel maggio del 2000 è avvenuto il
riconoscimento dell’Indicazione geografica protetta “Mela Rossa delle valli cuneesi”, con l’approvazione del disciplinare di produzione e la costituzione del Consorzio di Tutela, che attualmente sta raccogliendo le adesioni dei produttori, premessa indispensabile per l’accatastamento dei terreni e per le predisposizioni dei
piani di controllo.
Gli strumenti attivati dalla Regione Piemonte per la frutticoltura sono dunque
soprattutto interventi di politica di marketing, di ricerca e sperimentazione per sviluppare nuovi prodotti, per inserirsi su nuovi segmenti di mercato o crearne ex novo
e abbandonare le produzioni man mano che diventano convenzionali. Non sono,
tuttavia, trascurabili gli interventi più convenzionali a sostegno del rendimento e
della produttività delle aziende frutticole attraverso il finanziamento (legge regionale del 26 giugno del 2003 “Interventi per ovviare e prevenire i danni arrecati dalle calamità naturali o da altri eventi eccezionali in frutticoltura”) di interventi di
difesa attiva quali reti antigrandine e impianti antibrina, nonché di difesa passiva
mediante il ricorso alle polizze assicurative agevolate.
2.4.5 Sintesi conclusiva
Il comparto frutticolo ha un peso rilevante nell’economia regionale e la provincia di Cuneo spicca per la qualità e il valore delle produzioni. Da quanto esposto in precedenza, emerge un quadro più che favorevole alla diffusione delle nuove cultivar o dei nuovi cloni prodotti dall’attività sperimentale del CreSo, soprattutto nel cuneese. Si tratta, infatti, di cultivar o cloni selezionati in relazione alle
caratteristiche pedoclimatiche piemontesi e che rispondono alle esigenze degli
attori della filiera frutticola ma soprattutto alle attese dei consumatori.
Pertanto, gli elementi a favore della diffusione - oltre alla qualità intrinseca
del materiale selezionato, che dagli stessi produttori frutticoli è riconosciuta quale
effettivo punto di forza e di competitività – sono riconducibili, pure, all’organizzazione costante di incontri divulgativi che da sempre affiancano l’attività di sperimentazione e attraverso i quali i frutticoltori per primi vengono a conoscenza delle innovazioni.
E’ inoltre fondamentale l’attività di orientamento e programmazione svolta
dalle OP che permettono l’effettivo passaggio in campo del materiale selezionato.
Non sembrano pertanto esistere potenziali fattori di contrasto alla diffusione delle
57
innovazioni prodotte dal progetto in studio e l’analisi su campo sarà uno strumento importante per verificare in che misura siano determinanti per l’economia agricola del territorio interessato.
2.5
Il progetto “Liste di orientamento varietale in orticoltura”: l’orticoltura
L’attività di ricerca e sperimentazione nel settore orticolo finanziata dalla
Regione Piemonte nell’ambito del progetto “Liste di orientamento varietale” viene
condotta dal 1996, prima dalla struttura di ricerca e sperimentazione di Asprofrut e
poi dal CreSo (Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese) che ne ha ereditato l’attività, in collaborazione scientifica con l’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura, sezione di Montanaso Lombardo
(LO). Il progetto persegue le finalità di migliorare la competitività dell’orticoltura
attraverso la verifica sperimentale delle specie e delle varietà orticole più adatte ai
diversi areali piemontesi e attraverso un’informazione continua dei tecnici incaricati di fornire consulenza alle imprese.
La valutazione delle nuove varietà si realizza in parte presso il Centro sperimentale orticolo di Boves, gestito direttamente dal CreSo, e in parte presso alcune
aziende di riferimento dislocate negli areali tipici di coltivazione.
Fino al 2004 i risultati delle prove sperimentali erano finalizzate alla pubblicazione delle liste di orientamento varietale nell’ambito delle quali si segnalavano sia le varietà più idonee, sia quelle meno adatte. Dal 2004 si è deciso di non
divulgare più tali liste, ma di rendere noto il giudizio sintetico per ciascuna delle
cultivar in sperimentazione.
L’analisi di scenario di seguito proposta persegue il fine di caratterizzare il
comparto orticolo piemontese con specifico riferimento agli areali più rappresentativi (provincia di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo). Le colture su cui ci si soffermerà saranno l’asparago, il fagiolo, il peperone e il pomodoro. Oltre alle informazioni strutturali relative al comparto verranno presi in considerazioni alcuni elementi di contesto che potrebbero agevolare o al contrario limitare la diffusione di
tali innovazioni.
2.5.1 Descrizione del comparto
Secondo i dati del Censimento dell’Agricoltura del 2000, le coltivazioni
orticole si estendono in Piemonte su una superficie di circa 8.800 ettari (escluden58
do la patata e le leguminose da granella), ovvero su meno dell’1% della SAU
regionale, mentre le aziende che coltivano ortive sfiorano le 9.000 unità (tab. 2.31)
e rappresentano l’8% di tutte le aziende agricole piemontesi. Le coltivazioni orticole si concentrano prevalentemente nelle province di Torino (21%), Asti (7%),
Alessandria (38%) e Cuneo (27%).
Tab. 2.31 - Aziende e relativa superficie investita a ortive in Piemonte e nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo nel 2000
Piemonte
di cui: Torino
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
Aziende ortive
(n.)
8.971
2.015
1.030
1.885
3.481
SAU Aziende ortive
(ha)
8.818
1.881
607
3.363
2.392
Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000
Nel 2001 l’orticoltura piemontese ha raggiunto valori di produzione ai prezzi base di circa 200 milioni di euro, riferibili per la quasi totalità (95%) alle province
indicate in precedenza e, in particolare, a quelle di Alessandria e di Cuneo, le quali contribuiscono a determinare più del 60% del valore della produzione orticola
regionale (tab. 2.32).
Tab. 2.32 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni erbacee in Piemonte e nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo nel 2001 (migliaia
di ¤ ) .
Piemonte
di cui: Torino
di cui: Asti
di cui: Alessandria
di cui: Cuneo
Coltivazioni erbacee
di cui: patate e ortaggi (*)
Totale
1.214.840
196.111
218.922
32.534
67.190
12.729
219.203
71.868
310.429
68.017
Totale agricoltura
3.451.958
703.029
331.658
444.874
1.336.305
(*) L’aggregato comprende anche la produzione ai prezzi di base delle patate, che nel 2001 vale circa 21 milioni di euro, contribuendo a determinare il 10% del valore totale. Supponendo che tale peso si mantenga anche a
livello provinciale, il valore della PPB dei solo ortaggi delle province in esame andrebbe diminuita del 10%.
Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT
59
Il comparto pesa sull’intera produzione agricola regionale nella misura del
6% e lo stesso peso si mantiene più o meno a livello provinciale, fatta eccezione per
l’alessandrino dove il valore delle produzioni orticole rappresenta il 16% della
complessiva produzione agricola provinciale.
In Piemonte e nelle quattro province in esame più del 90% della superficie
investita da specie orticole è coltivata in pien’aria, mentre il restante 10% è coltivato in ambiente protetto, equamente diviso tra colture in serra e in tunnel (tab.
2.33).
Tab. 2.33 - Superficie investita ad ortive per modalità di coltivazione in Piemonte e
nelle province di Torino, Alessandria, Asti e Cuneo nel 2000
Torino
Superfici investite a coltivazioni ortive (ha) 1.881
di cui: in pien’aria
- di cui: in orti stabili o industriali
393
di cui: protette
- di cui: in serra
189
- di cui: in tunnel, campane, ecc.
Asti
607
Alessandria
3.363
Cuneo
Cuneo
Piemonte
8.818
62
407
432
8.818
39
20
154
432
Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000
La produzione media annua di orticole in termini quantitativi, nel periodo
2000-2003, è stata di 2,8 milioni di quintali; tra le specie orticole più rappresentative del comparto vi sono il fagiolo, il pomodoro, l’asparago e il peperone.
In provincia di Torino prevale nettamente la coltivazione del peperone, che
si estende su una superficie di circa 200 ettari e ha determinato, nel medesimo
periodo, una produzione media annua di 36.000 quintali. Nell’astigiano la specie
orticola con maggiore estensione è il pomodoro, così come nell’alessandrino dove
la superficie investita a pomodoro supera i 1.200 ha e determina produzioni medie
annue superiori ai 625.000 quintali. La coltivazione del fagiolo si concentra quasi
esclusivamente nella provincia di Cuneo dove è presente su circa 2.000 ettari e
determina produzioni medie annue di 180.000 quintali.
A livello regionale l’assetto e l’orientamento produttivo orticolo variano
molto da zona a zona, anche se è possibile individuare due sottoinsiemi prevalenti: quello, in crescita, relativo all’orticoltura in pieno campo ad elevato livello di
meccanizzazione e quello, sostanzialmente stabile, relativo all’orticoltura tradizionale, orientata alla produzione per il consumo fresco, con basso livello di meccanizzazione ed elevato impiego di manodopera.
60
Nel torinese le coltivazioni orticole si concentrano nella fascia compresa tra
i comuni di Torino e Carmagnola, dove prevalgono colture in pieno campo (che lentamente si stanno trasformando in colture in tunnel) e nell’area tra i comuni di Santena e Cambiano, dove è tradizionalmente praticata l’orticoltura in serra. Nell’astigiano sono interessati soprattutto i terreni lungo l’asta del fiume Tanaro, dove prevalgono colture in ambiente protetto e in tunnel; in provincia di Alessandria si coltivano un poco ovunque colture in pieno campo e colture intensive. Nel cuneese l’orticoltura è diffusa nel braidese, soprattutto in serra, nel fossanese, dove esiste una tradizione orticola di pieno campo, e nel saluzzese: area, quest’ultima, in crescente sviluppo.
Tuttavia, si deve osservare che, in generale, il comparto orticolo piemontese
vive da anni un periodo difficile e la prima conseguenza di tale situazione è la forte
contrazione della superficie coltivata ad ortaggi, ridottasi negli ultimi 10-15 anni di
circa un terzo.
Tra le maggiori difficoltà del comparto sicuramente giocano un ruolo decisivo l’elevata frammentazione del settore, la quasi totale assenza di strutture associative e il mancato ricambio generazionale nelle aziende. La parte più tradizionale del
comparto orientata alla produzione per il consumo fresco, caratterizzata da una
filiera corta, difficilmente riesce a seguire le linee di sviluppo del mercato che negli
ultimi anni richiede un elevato livello di qualità di prodotti e servizi. Inoltre, il settore risente in misura crescente della concorrenza di altre aree produttrici, in primo
luogo dei tradizionali competitori nazionali (vale a dire, degli spagnoli e degli olandesi) ma negli ultimi anni è anche cresciuta la pressione esercitata dai paesi del bacino mediterraneo e dell’Europa orientale.
Tra i canali commerciali preferenziali scelti dagli orticoltori piemontesi al primo posto si trovano i grossisti e i mercati all’ingrosso e, a seguire, coinvolgendo una
percentuale di produttori inferiore al 10%, le cooperative e la grande distribuzione
(Quaderni della Regione Piemonte, n. 15/1999). Per quanto concerne la commercializzazione, i problemi maggiori lamentati dagli orticoltori piemontesi sono per chi
si rivolge ai grossisti, uno scarso potere contrattuale; per chi utilizza la grande distribuzione, la difficoltà di conferire un prodotto con standard qualitativi adeguati e di
consegnare i prodotti nelle quantità pattuite al momento della richiesta.
Il settore orticolo piemontese, dunque, è ancora lontano da sfruttare appieno
le proprie potenzialità e il progetto di ricerca finanziato dalla regione Piemonte
“Orientamento varietale in orticoltura” cerca di risolvere alcune delle problematiche
sopra richiamate fornendo strumenti adeguati agli orticoltori per aumentare la loro
competitività soprattutto in termini di qualità delle produzioni.
61
2.5.2 L’orientamento varietale in relazione alle problematiche orticole piemontesi
In linea con le esigenze dei consumatori e con quelle della grande distribuzione, negli ultimi anni la ricerca varietale in orticoltura si è orientata sia verso la
sperimentazione di specie diffuse a livello locale, sia verso nuove tipologie di prodotto caratterizzate da spiccati livelli di qualità e resistenza verso alcuni patogeni.
Le prove sperimentali vengono condotte nella zona di riferimento per ogni
singola specie a due livelli. Le prove di primo livello mettono a confronto in parcella
unica i materiali genetici nuovi, proposti dalle ditte sementiere o in fase di iscrizione al Registro Nazionale delle varietà. Le prove di secondo livello sottopongono a
valutazione le cultivar giudicate positivamente nelle prove di primo livello oppure
quelle segnalate dai tecnici divulgatori, adottando un piano sperimentale a blocchi
randomizzati ed elaborando i dati attraverso l’analisi della varianza.
Come già ricordato, fino al 2004 i risultati di dette prove comportavano la pubblicazione per ogni specie orticola delle liste di orientamento varietale, ovvero di tre
distinti elenchi (lista A, B e C) di cultivar raccomandate a seconda della maggiore o
minore positività del giudizio complessivo emergente dai risultati delle prove di sperimentazione. Dal 2004 non sono più pubblicate le liste ma soltanto il giudizio sintetico per ciascuna cultivar formulato in base ai dati di campo e alle osservazioni formulate dai tecnici e dagli operatori agricoli.
L’obiettivo principale della ricerca è quello di migliorare la competitività delle produzioni sementiere attraverso la scelta delle varietà più rispondenti al mercato
ed alle richieste del consumatore. Di seguito si riportano le cultivar consigliate negli
ultimi tre anni per i principali prodotti orticoli trattati, supponendo che siano queste
le varietà che, avendo ottenuto i risultati migliori, siano state scelte da un maggior
numero di orticoltori e che siano perciò le più diffuse sul territorio regionale.
Asparago
La coltura dell’asparago in Piemonte, se portata avanti in modo ottimale, permette delle produzioni elevate e stabili nel tempo (fino a 10 anni) che consentono
un soddisfacente reddito all’agricoltore. L’individuazione della coltura più adatta
alle condizioni pedoclimatiche ed al mercato di riferimento è fondamentale, nel
caso dell’asparago, poiché una cultivar fisiologicamente non adatta all’ambiente
determina un rapido deterioramento dell’apparato radicale con una conseguente
grave perdita di produttività e qualità del prodotto.
Negli ultimi anni la tradizionale varietà Precoce d’Argenteuil è stata com62
pletamente sostituita dagli ibridi Eros e Marte che, anche nelle prove varietali del
2002-2004, sono risultati i più adatti agli areali di coltivazione piemontesi. Inoltre,
negli ultimi anni sono stati espressi giudizi abbastanza positivi nei confronti del
Violetto d’Albenga, varietà locale che, sebbene molto apprezzata dal mercato del
sud Piemonte, difetta ancora per la precocità e per la sensibilità a malattie che
vanno controllate per evitare danni irreparabili alla coltura.
Fagiolo rampicante
La coltivazione del fagiolo rampicante, sia per la produzione di seme secco sia per quella di baccelli contenenti semi a maturazione cerosa, trova in Piemonte aree particolarmente vocate, quali i fondovalle ed alcune zone pianeggianti del cuneese, caratterizzate da suoli fertili e significative escursioni termiche giornaliere. La selezione varietale del fagiolo, sebbene molto lenta nel passato e legata soprattutto a selezioni locali, negli ultimi anni è diventata sempre
più rapida. A livello varietale l’interesse dei consumatori è rivolto sempre più
alla tipologia “Borlotto” rispetto al tradizionale “Stregonta”, mentre a livello
aziendale sono richieste varietà con diverso ciclo di maturazione (per anticipare e posticipare la raccolta), con una fase di maturazione molto concentrata (per
contenere i costi della raccolta) e particolare resistenza a malattie virali e batteriche.
Secondo i risultati sperimentali delle prove condotte negli ultimi anni, le
due varietà di riferimento della tipologia di “Borlotto”, per le quali è stato
espresso un giudizio d’insieme positivo, sono Bingo e Vedetta.
Peperone
La coltura del peperone è uno dei capisaldi dell’orticoltura piemontese.
Allo stato attuale si dispone sia di cultivar di interesse locale, particolarmente
adatte alla coltivazione in pieno campo (in quanto manifestano una maggiore
adattabilità alle situazioni climatiche durante il periodo estivo), sia di varietà
ibride che forniscono produzioni più elevate e stabili nel tempo e hanno una
maggior resistenza genetica ad alcune malattie.
Per le cultivar tradizionali negli ultimi anni la sperimentazione si è orientata verso una rigorosa selezione conservatrice tesa eventualmente a migliorare
la produttività e la resistenza alle malattie. Le cultivar più diffuse sono “Peperone di Cuneo” particolarmente apprezzata dal mercato per le caratteristiche
63
delle bacche (pericarpo molto spesso, lucentezza e colorazione) e “Corno di
Carmagnola” che fornisce dei frutti allungati di ottima qualità.
Per quanto concerne gli ibridi F1, per lo più coltivati in tunnel, le prove di
confronto varietale degli ultimi anni si sono orientate verso la valutazione del comportamento vegeto-produttivo e qualitativo, considerando separatamente due tipologie: a frutto mezzo lungo e a frutto quadrato. Le varietà migliori per la prima tipologia sono Fenice e Signor e, a seguire, le varietà Es 01-87, ISI 56172, Florian,
Jackal, Raul, Red King e Solero. Per la tipologia a frutto “quadrato”gli ibridi con
giudizio migliore sono Flavio, Summit, Gaja, Amato, Explorer.
Pomodoro da mensa
Esistono due diverse tipologie di pomodoro da mensa, quello per la raccolta dei
frutti a grappolo e quello per la raccolta di frutti singoli. Il mercato piemontese privilegia il pomodoro a grappolo caratterizzato da frutti di pezzatura elevata, in controtendenza rispetto alle altre regioni italiane dove si preferisce una pezzatura più piccola. La coltivazione si basa esclusivamente sull’utilizzo di varietà ibride, che vengono
rapidamente messe a disposizione dalle ditte sementiere. Dalle prove condotte nel
triennio 2001-2004, gli ibridi per i quali è stato espresso giudizio complessivo positivo sono Petula e Laetitia, che si presume possano essere i più diffusi sul territorio
regionale.
Il pomodoro da mensa a frutto singolo, invece, evidenzia una sostanziale tenuta degli investimenti negli ultimi anni soprattutto in ambiente protetto. Oltre alla tipologia “insalataro”, di recente si sono diffuse le tipologie “cuore di bue” e “allungato”.
Il mercato piemontese, e non solo, dove vengono convogliate le produzioni regionali,
manifesta sempre più interesse per le produzioni locali, caratterizzate da qualità elevata, ottenute in ambiente protetto adottando una tecnica colturale ispirata alla produzione integrata. Le cultivar che negli ultimi anni sono state sottoposte alle prove di confronto varietale e che hanno dato i risultati migliori in relazione alle esigenze manifestate dai consumatori sono: per la tipologia “insalataro”, Caramba, Seny e, a seguire,
Giunone e Tyrsa; per la tipologia “cuore di bue”, Sel Albenga, Liguria; per la tipologia “allungato”, le varietà Oscar, Malawi, Colibrì.
2.5.3 Risultati economici
L’analisi dei principali risultati economici attraverso la banca dati regionale
RICA, è stata effettuata con riferimento alle aziende che hanno praticato la coltivazione
64
di fagiolo, asparago, peperone e pomodoro nelle province di Torino, Asti, Alessandria
e Cuneo nel triennio 2000-2002.
La numerosità dei casi presenti non è certamente elevata, specie per le colture asparago e peperone, pertanto i dati presentati nella tabella devono essere considerati tenendo conto della contenuta numerosità delle osservazioni.
Tab. 2.34 - Principali risultati economici delle colture fagiolo, asparago, peperone e
pomodoro nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo (media del
triennio 2000-2002)
Fagiolo
Coltivazioni analizzate (n.)
25
Superficie media aziendale della coltura (ha) 27
A) Produzione unitaria del
prodotto principale (q/ha)
27
B) Prezzo vendita (¤/q)
120
C) Produzione lorda totale (¤/ha)
656
D) Spese specifiche (¤/ha)
656
- acquisto piantine
124
- fertilizzanti
136
- antiparassitari
118
- noleggi
106
- reimpieghi
62
- altre spese
72
E) Margine Lordo (¤/ha) [E = C - D]
2.665
Spese specifiche/ Produzione lorda totale
Spese specifiche
- acquisto piantine
- fertilizzanti
- antiparassitari
- noleggi
- reimpieghi
- altre spese
19,8
100,0
18,9
20,8
18,0
16,2
9,4
11,0
Asparago
Peperone
valori assoluti
10
13
24
176
Pomodoro
24
102
236
102
423
1.948
423
1.948
36
685
113
323
89
353
0
1
64
121
44
359
4.955
11.019
Valori percentuali
7,9
15,0
100,0
100,0
8,5
35,2
26,8
16,6
21,1
18,1
0,0
0,1
15,1
6,2
10,4
18,4
63
63
3.958
3.958
1.693
562
568
217
5
861
13.292
17
312
22,9
100,0
42,8
14,2
14,4
5,5
0,1
21,7
Fonte: Elaborazione INEA su dati RICA
Il fagiolo è la coltivazione con la superficie colturale di gran lunga maggiore
(raggiunge, infatti, valori aziendali superiori ai 10 ettari) mentre per le altre colture in
esame le superfici colturali risultano assai minori, livellate mediamente intorno a mezzo ettaro.
65
Le colture del peperone e del pomodoro si differenziano molto in termini di
risultati economici rispetto a quelle del fagiolo e dell’asparago, fornendo un
margine lordo molto più elevato. Questa diversità deriva soprattutto dal difforme livello della produzione unitaria delle colture: la produzione fisica del pomodoro è 13 volte superiore a quella del fagiolo. Pertanto, il livello dei prezzi, pur
essendo ampiamente a favore sia del fagiolo, sia dell’asparago (il doppio per il
fagiolo, quasi quattro volte per l’asparago) non riesce a compensare la differenza determinata dal quantitativo prodotto. L’incidenza delle spese specifiche
sul totale della produzione varia molto tra le colture, andando da un minimo del
7,9 % per l’asparago ad un massimo del 22,9 % per il pomodoro, ma, in tutti i
casi, le spese specifiche hanno un ruolo piuttosto marginale nel bilancio economico delle colture. Le spese che gravano maggiormente sui costi di produzione
sono quelle relative all’acquisto delle piantine, seguite dai fertilizzanti e dagli
antiparassitari.
Considerata l’importanza degli aspetti commerciali per i prodotti orticoli
si è effettuata anche una analisi sulla forma di commercializzazione dei prodotti delle colture in esame: dalle informazioni contenute nella banca dati regionale RICA si evince che circa il 70% delle aziende esaminate vende i propri prodotti ai grossisti, mentre il 10% circa vende al dettaglio e un ridotto numero di
casi conferisce a cooperative oppure direttamente alle industrie.
In ragione dei risultati tecnico-economici evidenziati e, in particolare, del
peso rilevante che assumono produttività e proprietà qualitative del prodotto
rispetto, invece, alla rilevanza marginale delle spese specifiche, appare quanto
mai opportuna una selezione varietale orientata maggiormente verso cultivar o
cloni a più elevata produttività e migliori caratteristiche qualitative, piuttosto che
alla selezione di caratteri di maggiore resistenza alle fitopatie.
2.5.4 Politica regionale
Nel tentativo di un rilancio e potenziamento dell’orticoltura piemontese,
nel 1995 la Regione Piemonte ha finanziato un’indagine mirata ad individuare,
descrivere e salvaguardare l’ampio patrimonio varietale locale. Si tratta del progetto “Germoplasma ortofrutticolo del Piemonte“ in relazione al quale, nell’ambito del programma di divulgazione del 1998, è stata pubblicata una raccolta
di schede che descrivono 30 varietà orticole locali, che va ad aggiungersi alle 90
schede descrittive delle cultivar locali di melo (Quaderni Regione Piemonte, n.
11/1998).
66
L’interesse per le cultivar orticole locali è certamente importante e può
offrire interessanti sviluppi per il comparto piemontese, che potrebbe trovare
proprio nella differenziazione produttiva sotto il profilo della qualità organolettica una spinta di crescita e uno strumento di competitività in funzione della
costante diffusione della cosiddetta “economia del gusto”.
Accanto ad una specifica attività di ricerca tesa a valorizzare e conservare le cultivar locali in relazione alle nuove esigenze dei consumatori, il progetto “Liste di orientamento varietale” prende in considerazione anche gli altri
ambiti del mercato e, in particolare, la grande distribuzione. Tra l’altro il progetto non si limita alla fase di sperimentazione, ma prevede una precisa fase di
trasferimento dell’innovazione, che si realizza coinvolgendo i tecnici del comparto operanti sul territorio sia nella fase di conduzione delle prove sia in quella precedente di programmazione dell’attività e in quella successiva di consulenza alle imprese. Inoltre, i fascicoli riportanti le caratteristiche delle varietà in
prova, annualmente prodotti e diffusi, sono un utile strumento di lavoro per i tecnici e gli agricoltori per orientarsi nella scelta varietale.
Come già detto, l’orticoltura piemontese non sfrutta ancora a pieno le
proprie potenzialità. Punto di debolezza del comparto è sicuramente la scarsa
propensione all’associazionismo. Infatti, la partecipazione dei produttori orticoli
alle associazioni di produttori, nate a seguito della creazione della OCM Ortofrutta (regolamento 2200/96), è ancora molto marginale sebbene siano state
create diverse OP. Non mancano tuttavia interventi di promozione e valorizzazione dei prodotti orticoli, tra i quali si ricorda la richiesta del riconoscimento
IGP della “Patata di Castelnuovo Scrivia” avanzata dall’organizzazione di produttori di patate piemontesi As.Pro.Pat Piemonte nel maggio del 2004.
2.5.5 Sintesi conclusiva
In conclusione l’orticoltura Piemontese ha buone potenzialità di sviluppo che
rimangono ancora inespresse. Il progetto “Liste di orientamento varietale in orticoltura” è un utile strumento di orientamento per gli agricoltori nella scelta delle
varietà in relazione alle esigenze del mercato e dei consumatori. L’orticoltore è messo nella posizione di poter scegliere e orientare la propria produzione sulla base di
risultati scientifici attendibili. Tuttavia, la mancanza di strategie commerciali di
ampio respiro e la carenza di strutture specializzate in tal senso rischiano di vanificare anche lo sforzo della sperimentazione.
67
2.6
La caseificazione
Il progetto denominato “Caratterizzazione della Toma Piemontese” avviato e finanziato dalla Regione Piemonte nel 1995 - ha perseguito lo scopo
principale di valutare la realtà produttiva di tale prodotto caseario e di mettere a
punto gli strumenti scientifici utili per caratterizzarne e renderne distinguibili le
diverse tipologie. Il progetto di ricerca, attivato in un’ottica multidisciplinare,
con l’intento di coinvolgere tutti i principali soggetti interessati all’argomento,
è nato dalla considerazione che sotto la denominazione “Toma Piemontese” si
raccoglie un “arcipelago” di entità produttive che dovevano essere individuate e
descritte per puntare ad una corretta promozione del pregiato prodotto tipico
regionale che, nel 1993, ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di
Origine Protetta.
L’indagine si è svolta nell’arco di due anni; nel primo anno è stato avviato un percorso di conoscenza della complessa realtà produttiva della Toma Piemontese che prevedeva un’analisi dettagliata della consistenza e della localizzazione delle aziende zootecniche produttrici di Toma. Tale fase ha portato
all’individuazione di un campione di circa 80 produttori, rappresentativo della
variabilità geografica, tecnologica e imprenditoriale della produzione, sul quale sono stati effettuati gli approfondimenti pertinenti gli aspetti zootecnici, la
qualità del latte di stalla o di caldaia e dei formaggi, le tecnologiche casearie
adottate.
Nel secondo anno di attività il campione aziendale d’indagine è stato
ampliato allo scopo di avere un quadro più completo e significativo e sono proseguite le attività di analisi con specifico riferimento alle tecniche di caseificazione e all’analisi sensoriale del prodotto.
L’indagine ha, dunque, consentito di individuare tre diverse tipologie tecnologiche di Toma Piemontese, sufficientemente definite e così qualificate
“caseificio”, “biellese” e “classica”, alle quali è possibile ricondurre i diversi
processi di caseificazione adottati dai produttori facenti parte del campione.
L’analisi di scenario di seguito proposta offre una panoramica delle caratteristiche del comparto zootecnico piemontese con speciale riguardo alla filiera
lattiero-casearia e alle tre province più significative in termini di produzioni
(Torino, Cuneo e Biella). In particolare, l’attenzione è rivolta alla produzione
della Toma Piemontese e agli aspetti che in questi anni possono aver favorito o,
al contrario, ostacolato la produzione e la diffusione di questo pregiato formaggio.
68
2.6.1 Descrizione del comparto zootecnico
Dal punto di vista strutturale il comparto zootecnico piemontese è caratterizzato da una forte concentrazione territoriale e da una netta prevalenza dell’allevamento di capi bovini. In termini economici la zootecnia bovina manifesta una
spiccata vocazione alla produzione di carne, ciò che è reso evidente da una marcata incidenza di aziende con capi da macello in senso stretto e, anche, dalla significativa quota di vacche non da latte rispetto alla mandria regionale. Come evidenziato nella tabella 2.35, più dell’80% del patrimonio bovino regionale, che nel
2000 superava gli 800.000 capi, si concentra nella provincia di Cuneo (50%) e in
quella di Torino (30%).
Tab. 2.35 - Capi bovini e lattifere allevati in Piemonte e nelle province di Torino,
Cuneo e Biella nel 2000 e nel 1990 e variazione intercensuaria
Piemonte
di cui: Torino
di cui: Cuneo
di cui: Biella
2000
Bovini
Lattifere
818.798 170.867
242.979
62.229
418.563
81.898
15.975
5.495
1990
Bovini
Lattifere
987.928
296.109
277.915
97.498
491.314
146.834
21.279
9.303
var. % ‘00-‘90
Bovini
Lattifere
-17
-42
-13
-36
-15
-44
-25
-41
Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 1990 e 2000
Il comparto, protagonista nel decennio 1990-2000 di un forte processo di
contrazione che ha determinato la riduzione di circa un quinto del numero di capi
bovini, sembra aver raggiunto negli anni più recenti una fase di sostanziale equilibrio. Particolarmente evidente è il calo cui sono andate incontro le vacche da latte:
il loro numero, infatti, sfiorava le 300.000 unità nel 1990 e all’inizio del decennio
successivo si è ridotto a 170.000 (-42%). Le cause di tale contrazione sono da
ricercare “nell’effetto combinato determinato dalla diminuzione delle quote produttive, dall’incremento delle rese per capo e non ultimo dalla crisi della zootecnia
nelle aree marginali” (Aimone, 2001).
I prodotti degli allevamenti nel 2001 hanno determinato un valore superiore
ai 1,3 miliardi di euro, arrivando a costituire circa il 40% dell’intera produzione
agricola regionale e, come già detto, una quota assai considerevole deriva dalla produzione di carne. Tuttavia, circa un quinto del suddetto valore è rappresentato dal
latte: oltre 300 milioni di euro, che corrispondono al 9% della produzione ai prezzi base agricola regionale (tab. 2.36). Il latte bovino rappresenta il 98% del totale,
69
mentre le produzioni di latte ovino e caprino hanno un carattere del tutto residuale. Le province piemontesi più rilevanti per il comparto lattiero-caseario continuano ad essere Cuneo, Torino e Biella, che complessivamente contribuiscono a fornire
più dell’80% dei prodotti zootecnici regionali e per le quali gli stessi determinano
un valore superiore al 50% delle rispettive PPB agricole provinciali.
Tab. 2.36 - Produzione agricola a prezzi base della zootecnia in Piemonte e nelle province di Torino, Biella e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤)
Piemonte
di cui: Torino
di cui: Biella
di cui: Cuneo
Prodotti zootecnici
Totale
di cui: latte
1.380.208
309.425
388.291
121.434
32.548
8.651
677.727
129.933
Totale agricoltura
3.451.958
703.029
62.733
1.336.305
Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT
L’allevamento bovino da latte è caratterizzato da un forte dualismo strutturale e territoriale: così come è dato riscontrare in altre regioni il cui territorio
è in buona misura collinare e montano, coesistono in Piemonte due tipologie
produttive molto diverse a seconda di dove è localizzato l’allevamento. Nelle
zone di pianura la zootecnia bovina è interessata da un forte fenomeno di “selezione degli operatori e da una conseguente concentrazione della base produttiva
sotto lo stimolo di un’industria compatta e competitiva” mentre in montagna e,
più in generale, nelle aree marginali gli allevamenti sono “spesso legati a caseifici sociali che utilizzano singole valli come bacini di raccolta e che, nel complesso, costituiscono microfiliere locali piuttosto fragili strutturalmente, ma di
notevole importanza per l’economia locale, per la funzione di presidio sociale e
ambientale e per l’offerta di prodotti di particolare tipicità e validità gastronomica” (Aimone, 2001).
Nel torinese e nel cuneese la prima tipologia produttiva è senz’altro più
diffusa: qui, infatti, prevalgono allevamenti da latte di medio-grandi dimensioni (50-100 capi) per lo più localizzati in pianura (fig. 2.6). In queste province la
zootecnia interessa pure le aree montane, anche se quasi sempre si tratta di attività stagionale, esercitata da imprenditori (malgari) le cui mandrie raggiungono
i pascoli d’alpe durante la stagione estiva e stazionano, invece, nei fondovalle o,
più di frequente, nella fascia pianeggiante pedemontana durante i mesi invernali. Al contrario, nel biellese prevale nettamente la seconda tipologia produttiva
70
sopra richiamata: si tratta, cioè, di allevamenti di piccole dimensioni localizzati per tutto l’anno in zone montane, in ragione del fatto che la quasi totalità del
territorio provinciale è montano.
Fig. 2.6 - Distribuzione percentuale del numero di lattifere e degli allevamenti nelle
province di Torino, Cuneo e Biella, per classi di capi e per zona altimetrica
% lattifere per classi di capi
80
60
40
20
0
Torino
Cune o
Monta gna
Collina
Bie lla
Pia nura
% allevamenti lattifere per zona altimetrica
40
20
0
Torino
<2 0 c a pi
Cune o
20 -- 49 c a pi
50 -- 100 c a pi
Bie lla
> 10 0 c a pi
Fonte: Elaborazioni INEA su dati ISTAT, Censimento dell’agricoltura italiana, 2000
In termini di distribuzione delle attività, il 90% delle aziende con allevamento bovino e delle relative produzioni di latte si concentra nelle tre province
oggetto delle nostre analisi; nel complesso, la quantità di latte prodotta in Piemonte
nella campagna 2001/2002 ha superato gli 8,8 milioni di quintali (tab. 2.37) e nel
2003 ha raggiunto i 9 milioni di quintali.
A livello regionale un quinto circa del latte prodotto è venduto senza lavorazioni intermedie ad acquirenti fuori Piemonte, mentre i restanti quattro quinti –
circa 7 milioni di quintali - sono trasformati dall’industria locale; di questi l’80%
è destinato alla caseificazione e il restante è immesso sul mercato del consumo fresco, prevalentemente sotto forma di latte pastorizzato. Il lattiero-caseario, a diffe71
renza di altri comparti agricoli regionali, mostra una significativa tendenza all’associazionismo e alla concentrazione del prodotto: infatti, l’associazione di produttori di latte ALPILAT, nata dalla fusione di Agripiemonte Latte, Asprolat Piemonte e Pro.Zoo.Latte, raggruppa oltre il 97% degli allevamenti bovini e ovi-caprini da
latte piemontesi a cui fa capo il 95% delle partite consegnate e vendute in regione,
per un volume di quasi 850.000 tonnellate di latte.
Tab. 2.37 - Aziende con bovine e relative produzioni di latte in Piemonte e nelle province di Torino, Cuneo e Biella (campagna 2001/2002 )
Piemonte
di cui: Torino
di cui: Cuneo
di cui: Biella
Aziende
n.
%
3.931
100,0
1.277
32,5
2.135
54,3
98
2,5
Produzione
q
%
8.845.573
100,0
2.916.422
33,0
4.550.355
51,4
128.620
1,5
Fonte: IRES, 2004
Una certa attitudine alla concentrazione si denota anche nel campo della
trasformazione, dove una quindicina di imprese tratta circa un quarto del totale del
latte complessivamente lavorato; tra queste si trovano sia operatori di rilevanza
nazionale, come ABIT e Centrale del Latte in provincia di Torino, sia imprese cooperative di dimensioni minori per lo più localizzate in zone montane e pedemontane, che operano come “caseifici di valle” e che, come già detto, sono elementi centrali di microfiliere locali orientate, in genere, alla produzione di formaggi tipici.
Si stima che la metà dei formaggi prodotti in Piemonte siano DOP, per un
volume di circa 35.000 tonnellate. Negli ultimi anni, accanto agli ormai famosi Grana Padano e Gorgonzola, che costituiscono ancora il 90% dei formaggi DOP prodotti in Piemonte, molti altri formaggi tipici hanno ottenuto il riconoscimento DOP,
vale a dire, le cosiddette “sette piccole-grandi DOP”: Bra, Castelmagno, Murazzano, Roccaverano, Taleggio e Toma Piemontese.
Per quanto riguarda la Toma Piemontese, già si è ricordato che essa ha ottenuto nel 1993 il riconoscimento DOP e, nel 1996, il riconoscimento di denominazione di origine protetta comunitaria. È questo un formaggio tipico dell’areale
alpino piemontese, prodotto sin dall’epoca medioevale dai malgari che nei mesi
estivi raggiungevano – così come accade ancor oggi – gli alpeggi per sfruttare le
superfici foraggere alle quote elevate e per poi tornare con le mandrie a fondovalle, o in pianura, nel periodo invernale.
72
L’areale di produzione della Toma Piemontese DOP coincide con gran parte del territorio regionale (sono escluse, infatti, le sole province di Asti e Alessandria), anche se la maggior concentrazione produttiva si riscontra nella zona montana
della provincia di Torino. Secondo i dati rilevati nel corso della ricerca (riferiti agli
anni 1995-1996) in Val Susa, nelle Valli di Lanzo e in quelle del Canavese viene
prodotto il 60% della Toma Piemontese, mentre il 34% è prodotto nel biellese e nella Val Sesia (provincia di Vercelli) e la restante quota nella pianura cuneese e torinese, nel novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola.
I dati relativi alla produzione certificata di Toma Piemontese mostrano un
trend più che positivo a testimonianza di un prodotto in forte crescita, che negli ultimi anni ha visto incrementare notevolmente le proprie produzioni, passate da circa 1.150 tonnellate del 1995-1996 a 2.600 tonnellate del 2002. È bene precisare che
tale quantitativo non è, in ogni caso, rappresentativo dell’entità complessiva di
Toma messa in commercio, poiché non tiene conto del prodotto non marchiato dal
consorzio dei produttori del formaggio DOP.
Secondo alcuni operatori, la Toma continua ad avere successo sia perché è
formaggio tipico della tradizione montana piemontese, sia perché permette alle
aziende un’adeguata valorizzazione del latte. Tuttavia, secondo un’analisi indicativa condotta dall’Osservatorio Latte - ISMEA la Toma Piemontese DOP permetterebbe una valorizzazione economica di circa 500 euro per tonnellata di latte trasformato; e, a tale riguardo, bisogna notare che il valore non è molto inferiore alla
media nazionale dei formaggi DOP (550 euro per tonnellata) ma esso è ancora molto al di sotto del valore medio piemontese pari a 750 euro per tonnellata di latte.
Infine, va detto che la Toma Piemontese rimane, per ora, un formaggio di
interesse quasi esclusivamente regionale, che determina un corrispettivo monetario
di 5,5 milioni di euro, ancora del tutto residuale rispetto al valore totale all’ingrosso dei formaggi nazionali tutelati, pari a 2.950 milioni di euro.
2.6.2 Aspetti tecnologici relativi alla produzione della Toma Piemontese
La Toma Piemontese è una tipica produzione d’alpeggio in quanto rappresenta un buon sistema di conservazione e trasporto del latte prodotto dalle mandrie
al pascolo. Negli anni, da prodotto tipicamente montano, si è diffusa nella aree di
fondovalle e di pianura, e ciò ha inevitabilmente determinato una differenziazione
sia nelle modalità produttive, sia negli aspetti organolettici.
Il progetto di ricerca in esame nasce proprio con l’intento di conoscere le
73
diverse realtà produttive della Toma e, nello stesso tempo, di razionalizzarne i processi produttivi. Dall’indagine svolta negli anni 1995-1996 è emersa la descrizione di una situazione produttiva connotata, in generale, da buone caratteristiche
chimico-fisiche del latte, ma da notevoli inconvenienti di natura microbiologica
che, oltre ad essere la causa di un’estrema variabilità del prodotto, sono anche
responsabili di un’elevata percentuale di forme difettose. Tali problematiche sono
state riscontrate per lo più nelle aziende che producono e direttamente trasformano
il latte, mentre sono molto meno comuni nei caseifici dove la qualità delle produzioni è generalmente più standardizzata e controllata.
Per ovviare dunque a tali inconvenienti è stato realizzato e distribuito ai
produttori di Toma un opuscolo divulgativo come supporto tecnico per il riconoscimento e la risoluzione dei principali problemi riscontrati nella fase di caseificazione. L’obiettivo degli opuscoli divulgativi era quello di consentire una migliore
qualificazione degli operatori per il raggiungimento di standard qualitativi più adeguati per un formaggio che si fregia di denominazione di origine protetta.
Il disciplinare di produzione (DPCM 10 maggio 1993) individua due tipologie di Toma, una a latte intero (Toma Piemontese) e l’altra a latte parzialmente scremato (Toma Piemontese semigrassa ). Le due tipologie, oltre a differenziarsi per la
materia prima di partenza, presentano alcune differenze nel processo produttivo,
nella dimensione dei granuli ottenuti dalla rottura della pasta (dimensioni maggiori nella prima tipologia) e nella fase di spurgo, ma soprattutto nelle caratteristiche
fisiche e organolettiche del prodotto finito.
In realtà, i rilievi effettuati nella realizzazione dal progetto di caratterizzazione hanno evidenziato che i casari, in genere, non applicano rigorosamente le tecnologie di produzione descritte nel disciplinare, ma le interpretano liberamente in
funzione del latte e delle attrezzature a disposizione e, soprattutto, della rispettive
conoscenze personali. Le differenze riscontrate nelle produzioni, inoltre, non sembrano ascrivibili alle diversità territoriali quanto piuttosto sembrano essere funzione della presenza o assenza di alcune pratiche tecnologiche che sono determinanti
per la caratterizzazione del prodotto finale.
Le pratiche che sono state utilizzate per la classificazione, e per le quali l’opuscolo divulgativo “Guida alla caseificazione della Toma Piemontese” ha fornito
i consigli tecnologici utili per la riduzione di difetti nel prodotto finito, sono:
- la scrematura del latte;
- la pastorizzazione e l’utilizzo di starter;
- il riscaldamento della cagliata dopo la coagulazione;
74
- la pressatura delle forme al termine della lavorazione.
In base, dunque, alla presenza o meno di alcune delle fasi sopra indicate, le
tipologie di Toma si dividono in tipologia caseificio, classica e biellese. La prima
tipologia (caseificio) è prodotta in genere in caseificio con latte pastorizzato proveniente da aziende di pianura - in cui vi è una prevalenza di vacche di razza Frisona - ed è caratterizzata dal ricorso a colture starter, dall’assenza di cottura e di
pressatura della cagliata. La tipologia classica è tipica delle aziende trasformatrici
diffuse nelle vallate alpine, ma anche in molti allevamenti di fondovalle che utilizzano latte proveniente da aziende che praticano la monticazione estiva del bestiame ed in cui sono presenti vacche di razze diverse, ma con prevalenza di bovine di
razza Valdostana (Pezzata Rossa e Pezzata Nera) e meticce. Si tratta di una tipologia dalle caratteristiche tecnologiche variegate per cui si distinguono una classica
grassa e classica morbida a seconda della scrematura o meno del latte crudo di partenza. Infine, la terza tipologia (biellese) è tipica delle valli montane biellesi e della Val Sesia (provincia di Vercelli); è prodotta a partire da latte intero presso aziende che possono o meno praticare la monticazione, ma tutte caratterizzate dalla presenza di vacche della razza autoctona Pezzata Rossa d’Oropa.
2.6.3 Risultati economici
L’analisi dei principali dati economici è stata condotta nel campione RICA
del Piemonte con riferimento al triennio 2000-2002 e alle aziende con allevamento bovino localizzate nell’area montana della provincia di Torino, produttrici di formaggio. Poiché la struttura dei dati disponibili non consente distinzioni tra tipologie di formaggio, sono state selezionate tutte le aziende montane trasformatrici del
latte prodotto, supponendo che la maggior parte della loro produzione sia di Toma
Piemontese, che rappresenta il formaggio tipico più diffuso nell’area presa in esame.
Poiché la numerosità dei casi selezionati non è elevata, i dati segnalati nella
tabella 2.38 debbono essere considerati puramente indicativi.
Per quanto riguarda la struttura aziendale, la superficie media è pari a circa
39 ettari, prevalentemente utilizzati per la produzione di foraggi, mentre la consistenza dell’allevamento è di 23,5 UBA ed il carico di bestiame di 0,60 UBA per
ettaro: valore, quest’ultimo, assai contenuto, a dimostrazione del fatto che si è in
presenza di tecniche di allevamento piuttosto estensive, caratterizzate dall’utilizzazione delle foraggere permanenti dei fondovalle e delle quote più elevate.
75
Tab. 2.38 - Principali risultati economici delle aziende con allevamento bovino, produttrici di formaggio, localizzate nell’area montana della provincia di
Torino nel periodo 2000-2002
Numero di casi
SAU aziendale
SAU foraggera / SAU totale (%)
UBA bovini
UBA bovini / SAU foraggere
Allevamento (carne e latte)
PL totale / SAU foraggere (¤ /ha)
Spese specifiche / SAU foraggere (¤/ ha)
Margine Lordo / SAU foraggere (¤/ha)
PL totale / UBA bovini (¤ /UBA)
Spese specifiche / UBA bovini (¤ / UBA)
Margine Lordo / UBA bovini (¤ /UBA)
Latte
Latte prodotto (q)
Latte trasformato / latte prodotto (%)
Latte prodotto / UBA bovini (q/UBA)
Formaggio
Formaggio venduto (q)
Prezzo di vendita (¤/q)
PLV formaggio / SAU foraggere (¤/ha)
PLV formaggio / UBA bovini (¤ / UBA)
PLV formaggio / PLV allevamento (% )
2000
14
34,72
96,5
21,99
0,64
2001
15
42,16
96,7
24,81
0,59
2002
13
40,14
94,9
23,74
0,60
500
311
189
779
485
294
516
290
226
870
489
381
534
361
173
894
605
289
229,57
65,0
10,4
349,14
62,5
14,1
349,23
69,9
14,7
12,7
493,4
184,0
286,7
36,3
20,0
490,0
223,9
377,6
48,8
20,6
548,9
288,6
289,4
52,9
Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA
Rispetto alle produzioni di latte e formaggio, nel triennio si registra un
aumento della quantità di latte prodotto, sia nel complesso, sia a livello di produzione unitaria, segno quest’ultimo di un miglioramento dell’efficienza del
sistema produttivo; cresce anche la quantità di latte trasformato, segno di un
apprezzamento del mercato rispetto alla produzione casearia aziendale, mercato che fa anche registrare un sensibile aumento del livello dei prezzi, cui va probabilmente correlato il parallelo miglioramento qualitativo del processo di trasformazione aziendale.
In termini economici il peso dell’attività di trasformazione rispetto a quella dell’allevamento cresce nel triennio in misura superiore al 40%. Tale dato
76
sembra confermare come l’allevatore di area montana, quando è anche trasformatore diretto della propria produzione di latte, tende ad affermare sempre maggiormente la produzione casearia, perchè capace di portare un significativo valore aggiunto rispetto alla sola produzione di latte. L’attività casearia, inoltre, è utile per impiegare i frequenti esuberi di capacità lavorativa aziendale, diversamente di difficile valorizzazione. E’infatti noto che nell’area montana la differenziazione delle attività produttive, a causa delle difficoltà ambientali, ma
anche strutturali e di mercato, è certamente limitata e dunque la valorizzazione
del latte prodotto attraverso il processo di trasformazione aziendale e di produzione di formaggi, specie se con marchio di riconoscimento di tipicità, è una
scelta imprenditoriale certamente importante, da incoraggiare.
2.6.4 Politica regionale per il settore lattiero-caseario
Il progetto di caratterizzazione della Toma Piemontese rientra nell’ambito di un insieme di ricerche finanziate dalla regione Piemonte per la caratterizzazione e valorizzazione dei prodotti tipici del territorio regionale. L’interesse
per queste produzioni, che spesso si fregiano della denominazione di origine protetta, è ormai una realtà consolidata in Piemonte. Da diversi anni, infatti, l’Amministrazione regionale ha scelto di orientarsi verso le produzioni di qualità, in
grado di fornire prodotti ad elevato valore aggiunto, legati al territorio e al sapere locale e in grado di essere competitivi sul mercato.
Nel settore lattiero-caseario è sempre stata alta l’attenzione alle problematiche legate al miglioramento delle produzioni, sia sotto il profilo dell’igiene,
sia sotto quello chimico-fisico, sensoriale e nutrizionale, tanto che, nel 1998, la
Regione Piemonte, tra le prime in Italia, ha introdotto il Piano Latte Qualità. Tale
Piano, che ha l’obiettivo di ottenere una differenziazione di prezzo per il latte in
base alla qualità, è uno degli interventi tecnici concreti per soddisfare le esigenze
del settore, in grado di coinvolgere tutti gli attori della filiera, che hanno sempre
dimostrato la volontà di migliorare gli standard delle produzioni.
Analogamente, un problema che si riscontra nella qualificazione di produzioni come la Toma Piemontese, è la mancanza di razionalizzazione del processo produttivo e l’inadeguatezza igienico-sanitaria dei locali di caseificazione.
Tali problematiche, oggetto centrale dalla ricerca in esame, sono state poi
materia specifica del DPR 54 del 1997 “Regolamento recante attuazione delle direttive 92/46/CEE e 92/47/CEE in materia di produzione e immissione sul mercato di
latte e di prodotti a base di latte”. Il citato DPR è stato lo strumento di recepimento
77
nazionale delle direttive comunitarie5 che intendono definire e uniformare i livelli
minimi degli standard igienici e sanitari relativamente alle strutture, ai processi e ai
prodotti caseari. Il regolamento attuativo nazionale detta norme precise sulla qualità
del latte crudo alla produzione, sulle caratteristiche degli stabilimenti di trasformazione, nonché sulla qualità igienico sanitaria dei prodotti immessi sul mercato. L’emanazione del DPR 54/97 ha costretto molti malgari piemontesi ad adattarsi alle
nuove disposizioni ristrutturando completamente in primo luogo i locali di caseificazione e modificando, di conseguenza, le tecniche di caseificazione.
Per quanto attiene nello specifico alla produzione della Toma, l’applicazione del suddetto DPR e la diffusione del materiale divulgativo “Guida alla caseificazione” prodotto dal gruppo interdisciplinare responsabile della ricerca in esame,
ha permesso, secondo quanto affermano gli esperti del settore, di risolvere alcuni
dei problemi legati ai difetti della caseificazione e di migliorare notevolmente le
produzioni.
Tra i numerosi altri interventi finalizzati al miglioramento qualitativo delle
produzioni lattiero-casearie non vanno dimenticate le attività di Assistenza tecnica
promosse dalla Regione Piemonte, in primis, il PRATZ (Programma Regionale di
Assistenza Tecnica in Zootecnia), un servizio capillare di assistenza agli allevatori svolto dalle Associazioni dei Produttori e dalle Associazioni Provinciali degli
Allevatori (APA), attivo fin dagli anni ottanta, finanziato in larga parte della Regione Piemonte e in piccola parte degli allevatori aderenti.
2.6.5 Sintesi conclusiva
Dall’analisi di scenario proposta emerge con chiarezza l’importanza economica del comparto lattiero-caseario per l’economia agricola regionale e, in
particolare, per quella delle province di Torino, Cuneo e Biella. Risulta, anche, la
rilevanza della produzione di formaggi tipici che, al di là del risultato meramente economico, dà vita a piccole e, tuttavia, vitali filiere in ambiti territoriali montani, e funge da custode di tradizioni e culture che non debbono assolutamente
andare perdute.
5
78
Si fa riferimento alla direttiva 92/46/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1992, che stabilisce le norme sanitarie per la produzione e la commercializzazione di latte crudo, di latte trattato termicamente e di prodotti a base
di latte e alla direttiva 92/47/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1992, relativa alla concessione di deroghe temporanee e limitate alle norme sanitarie specifiche della Comunità in materia di produzione e immissione sul
mercato di latte e di prodotti a base di latte.
Il riconoscimento di denominazione di origine protetta, da un lato, conferisce a tali produzioni il ruolo e la risonanza utile per essere competitive sul mercato e, dall’altro, comporta il non sempre agevole rispetto dei disciplinari di produzione. E’, questo, il caso della Toma Piemontese che, prodotta in areali “difficili”
sia per le caratteristiche geografiche, sia per il livello di sviluppo economico e
sociale, può essere realmente valorizzata se si è in grado di fornire agli allevatori e
ai casari che operano in ambienti montani un’assistenza tecnica continua e specialistica. La Regione Piemonte, promuovendo il progetto di ricerca in esame e sostenendo i servizi di assistenza tecnica a favore degli allevatori e delle loro associazioni allevatori, ha inteso operare proprio in tal senso.
79
CAPITOLO 3
LE INNOVAZIONI OGGETTO DI STUDIO
ANALISI DELLE RICERCHE SCELTE E DELLE INNOVAZIONI
RISULTANTI
3.1
Ricerca “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità”
3.1.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
La ricerca, in considerazione dell’importanza che il settore cerealicolo riveste nel
comparto agricolo piemontese e della dinamica dei prezzi dei cereali, ha l’obiettivo di
ridurre i costi di produzione attraverso il contenimento degli impieghi di fattori produttivi siano essi beni durevoli o di consumo.
A tal fine è stata realizzata, a Lombriasco (TO), presso l’Istituto tecnico agrario,
una sperimentazione, durata 8 anni, che ha messo a confronto, nell’ambito della rotazione quadriennale mais-frumento-mais-soia, tre percorsi di coltivazione:
- la tecnica agronomica tradizionale della zona;
- la tecnica agronomica facente riferimento all’evoluzione del reg. 2078/92 nelle nuove procedure del Programma di sviluppo rurale (PSR) in corso di attuazione;
- la tecnica agronomica denominata a Basso Input (BI) che fa uso di minime lavorazioni e di ridotto impiego di fertilizzanti e antiparassitari.
Un ulteriore obiettivo della ricerca, che è diventato sempre più importante con
l’evoluzione degli indirizzi della politica comunitaria, è la verifica sperimentale degli
effetti sulla produzione e sull’ambiente di tecniche a basso impatto.
Un aspetto innovativo della ricerca riguarda l’ambiente sperimentale. Le prove
infatti si svolgono su 12 parcelloni di 1008 mq di superficie, dimensioni adatte all’impiego di normali attrezzature aziendali, che consentono di riprodurre una situazione
molto vicina a quella della normale attività produttiva e quindi di studiare il sistema colturale nella sua globalità apprezzando le interazioni fra i diversi fattori (climatici, pedologici, fenologici, ecc.).
Nell’ambito della tecnica colturale normalmente utilizzata per le colture della
rotazione, sono state oggetto di studio le lavorazioni del terreno, la concimazione e il
diserbo, che sono stati condotti con modalità differenti nei tre percorsi di coltivazione.
81
In particolare:
1. le lavorazioni hanno previsto la gestione del suolo con aratura nel sistema colturale tradizionale e in quello denominato brevemente 2078, mentre prevedono una tecnica di minima lavorazione nel Basso Input;
2. le concimazioni sono state realizzate: secondo la tecnica tipica della zona nel sistema tradizionale; distribuendo azoto, in quantità limitate, solo a frumento e mais e
non distribuendo fosforo nel sistema 2078; distribuendo l’azoto come nella tecnica
2078, il fosforo soltanto al mais e il potassio in quantità inferiori in modo da ridurre il numero di passate nel sistema a Basso Input;
3. il diserbo si è distinto per i prodotti utilizzati e per le modalità di distribuzione; in
particolare il sistema 2078 ha seguito quanto stabilito nello specifico disciplinare di
produzione.
I rilievi effettuati e quindi le informazioni disponibili per comprendere i risultati della sperimentazione riguardano: l’evoluzione del ciclo vegetativo delle colture,
le produzioni, l’andamento climatico, la dinamica della disponibilità di azoto nel suolo, la concentrazione di azoto e potassio nella soluzione circolante, l’andamento della
flora reale, i dati economici relativi alle operazioni colturali oggetto di analisi.
Schema 3.1 - Risultati degli 8 anni di sperimentazione (1996-2003)
Sistemi di
coltivazione
Risultati
Produzione:
- quantità
- qualità
Bilancio elementi
nutritivi (efficienza %):
N
P
K
N lisciviato
(kg/ha/anno)
C organico %
(prof 0-15)
Copertura media
infestanti (%)
Utili di gestione (¤/ha)
Costi specifici (¤/ha)
Costo macchine (¤/ha)
82
Tradizionale
Regolamento 2078/92
e disposizioni seguenti
mais frumento soia
Basso Impatto
mais
frumento
soia
mais
frumento soia
=
=
=
+
=
=
=
=
-
=
=
=
=
-
=
60-61
81-72
26
113
68
102
31,2
46
90-89
37
141
1236
109
19,7
50
88-86
224-197
53-22
148
1368
1971
20,8
51
0,83
0,85
1,12
9,1
2.362,2 1.559,8 -310,0
10.343,0 6.230,8 7.137,8
3.118,0 2.794,9 2280,9
8,9
3.637,7 3.217,8 1.369,5
9.371,2 5.639,7 6.633,5
3.140,0 2.644,6 2.322,0
19,6
2.970,3 3.467,0 40,3
8.661,2 4.303,3 6.926,0
2.454,4 1.861,9 2.081,2
In termini produttivi le differenze quantitative fra i sistemi produttivi non
sono significative; tuttavia la tecnica colturale tradizionale ha garantito una
migliore qualità della granella di frumento.
Confrontando le concentrazioni di azoto del suolo e della soluzione circolante negli orizzonti più profondi, è risultato che il sistema tradizionale pone
un rischio nettamente più elevato di perdite di nitrati per lisciviazione rispetto al
2078 e ancor più rispetto al BI.
L’adozione di tecniche di minima lavorazione nel BI, in associazione con
l’interramento di sovesci, ha permesso di mantenere la buona dotazione iniziale di sostanza organica del suolo nell’orizzonte superficiale, mentre il processo
di mineralizzazione della sostanza organica negli altri due sistemi di coltivazione è più spinta. La tecnica di lavorazione consigliata prevede l’utilizzo del solo
erpice rotativo o di questo seguito da un passaggio con zappatrice rotativa, nel
caso di una presenza eccessiva di residui colturali o dopo il sovescio.
Di particolare rilevanza applicativa è risultata la capacità del suolo di
Lombriasco di sopperire autonomamente ai fabbisogni di fosforo delle colture
per un periodo piuttosto lungo. Nel trattamento 2078 e BI non ci sono riduzioni
di resa indotte da otto anni di concimazione fosfatica nulla o quasi.
Dal punto di vista dei risultati economici, i costi più bassi si hanno, tranne che per la soia, con il percorso Basso Input. Il percorso tradizionale è quello
che genera gli utili più bassi. Il percorso 2078 è al momento quello che garantisce gli utili superiori, anche se questi sono determinati dal contributo pubblico
a cui è collegato. In assenza del contributo infatti si annulla il vantaggio, in termini di utili, del percorso 2078 rispetto al percorso Basso Input.
Circa la presenza di malerbe nelle colture, il sistema BI ha fatto registrare valori sensibilmente più elevati di densità e copertura. Questo risultato pone
alcune remore a proporre agli agricoltori locali di adottare la stessa procedura
della sperimentazione. Nel mais la gestione del trattamento diserbante secondo
il disciplinare 2078 è risultata in grado di contenere le malerbe in maniera efficace; non è accaduto lo stesso per il frumento e la soia.
Le innovazioni promosse dalla ricerca sono tipicamente innovazioni di
processo che, confermando gli obiettivi previsti, hanno il duplice effetto di:
- diminuire i costi riducendo l’uso di mezzi tecnici (concimi e diserbanti), macchine (preparazione terreno e lavorazioni successive) e lavoro (minor numero di interventi in campo);
- ridurre l’impatto ambientale (miglioramento struttura fisica del terreno e
83
diminuzione del contenuto di azoto nelle acque di lisciviazione).
Non si tratta di innovazioni di origine recente, in quanto sono state oggetto
di studio e di dibattito nel mondo scientifico internazionale già da anni; tuttavia è
innovativa sia la combinazione delle diverse tecniche proposte sia la loro sperimentazione sul territorio piemontese a vocazione cerealicola.
Sono risultati sperimentali non brevettabili della tipologia dei risultati immateriali in quanto comportano modifiche anche significative nell’impostazione delle tecniche colturali (nuove combinazioni di mezzi tecnici e diverso utilizzo delle
macchine) e nell’approccio che l’imprenditore ha con la coltivazione (preparazione del terreno “non pulita”, necessità di comprendere “i segnali della coltivazione”),
ma non comportano l’adozione di nuovi strumenti o di nuovi prodotti chimici.
L’attività di sperimentazione conclusasi nel 2003 ha avviato un processo di
analisi che può avere un interessante futuro se viene proseguita anche con obiettivi operativi diversi. Infatti, avendo sul territorio siti a storia agronomica nota, è possibile effettuare verifiche di lungo periodo dei parametri oggetto dello studio in esame (evoluzione del ciclo vegetativo delle colture, produzioni, dinamica della disponibilità di azoto e fosforo nel suolo, concentrazione di azoto e potassio nella soluzione circolante, andamento della flora reale, ecc.) che possono modificarsi in
modo diverso nel tempo e quindi fornire interessanti informazioni su come gestire
le tecniche a basso impatto anche in un arco di tempo superiore agli 8 anni.
3.1.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
Il progetto di ricerca è stato realizzato da un gruppo di istituzioni molto eterogeneo. Hanno partecipato alle attività due Dipartimenti dell’Università di Torino
(Agronomia, Selvicoltura e Gestione del territorio - Agroselviter e Economia e ingegneria agraria, forestale e ambientale - Deiafa), gli enti (emanazioni delle organizzazioni professionali) di assistenza tecnica regionali (ERAPRA, GCS, CIPA-AT), l’Istituto tecnico agrario di Lombriasco, il Settore fitosanitario della regione Piemonte, l’Assessorato agricoltura della Provincia di Cuneo, l’Assessorato agricoltura della Provincia di Torino.
L’idea progettuale è stata formulata dalla Regione per il tramite del servizio che
ha avviato la sperimentazione insieme alle strutture che si occupano di assistenza tecnica (Province e enti di assistenza tecnica). Al secondo anno di attività sono stati inseriti nel progetto i Dipartimenti universitari.
Il ruolo di ciascun soggetto è stato il seguente:
84
- la Regione ha proposto gli obiettivi del progetto, ha verificato la coerenza fra le attività realizzate e gli obiettivi in corso d’opera, ha proposto lo schema sperimentale
dei parcelloni perché i risultati della sperimentazione fossero vicini alla realtà di
campo;
- i Dipartimenti universitari hanno impostato la sperimentazione facendo riferimento a metodi e criteri rigorosi in modo che i risultati potessero avere anche uno
spessore scientifico;
- gli Enti di assistenza tecnica e le Province hanno seguito l’attività di campo prendendo le decisioni tecniche relative alle operazioni colturali;
- l’Istituto agrario ha ospitato le prove e collaborato alla gestione delle operazioni in
campo;
- il Servizio fitosanitario della Regione ha realizzato le analisi di laboratorio relative
ai suoli e i controlli fitosanitari.
Il partenariato che ha gestito il progetto è stato molto complesso e ha richiesto
l’interazione di professionalità diverse e di un alto numero di addetti (ricercatori,
assistenti tecnici, analisti, funzionari). Pur tuttavia i partecipanti alla sperimentazione
hanno testimoniato come ognuno sia riuscito a svolgere il proprio ruolo costantemente
nel tempo.
La conduzione della ricerca ha avuto quindi uno sviluppo metodologicamente
“esemplare”, perché ciascuno ha svolto il proprio compito sulla base delle competenze professionali, ma anche in considerazione della mission della propria istituzione
(INEA 2001). Vale la pena di citare per tutti il ruolo di “committente” che la Regione
ha svolto sin dall’avvio sia interpretando le esigenze delle imprese sia promuovendo
iniziative coerenti con i nuovi obiettivi di politica agraria, ma anche garantendo il coordinamento delle attività e quindi il collegamento fra i soggetti.
Questa impostazione, sicuramente più “pesante” rispetto alle consuete modalità
di gestione delle attività di ricerca e sperimentazione, richiede un impegno maggiore
in termini di coordinamento fra le diverse professionalità e di mediazione fra soggetti con sensibilità e punti di vista diversi. Tuttavia, dovrebbe dare maggiori garanzie circa la diffusione delle innovazioni proposte (INEA, 2000) in quanto ha innescato una
serie di effetti in grado di promuoverla:
- sono state sperimentate tecniche che rispondono ad esigenze reali delle imprese e
dei territori secondo una modalità che consente di verificare i risultati in prove di
campo molto vicine alle condizioni comuni (aderenza alla domanda di innovazioni e dimostrabilità del risultato);
- le professionalità impegnate nella divulgazione hanno acquisito competenze e
85
capacità che sono in grado di gestire autonomamente (possibilità di adattare le innovazioni alle esigenze di contesto);
- i ricercatori e i divulgatori hanno maturato specifiche convinzioni circa le componenti dell’innovazione che potranno essere acquisite con più facilità e quelle che
richiederanno cambiamenti “culturali” più radicali (livello di innovatività);
- il progetto si conclude con l’organizzazione di momenti di confronto con gli utenti
e con la produzione di materiale divulgativo specifico (disponibilità di strumenti di
divulgazione).
Tali effetti sono stati in parte verificati durante le interviste realizzate con i tecnici e i ricercatori coinvolti. Infatti, entrambe le figure professionali concordano sul fatto che i sistemi colturali sperimentati prevedono modifiche nella tecnica colturale difficili da diffondere in quanto:
a. la preparazione del terreno di semina viene giudicata dagli agricoltori anche con criteri “estetici” e viene attualmente realizzata facendo in modo che il terreno sia
uniforme, soffice, con zolle ben frantumate e senza residui colturali o infestanti; per
contro, la riduzione degli interventi di lavorazione del terreno cambierebbe radicalmente l’aspetto del terreno di semina;
b. il dimensionamento del parco-macchine non sempre si basa su criteri economici, ma
anche su motivazioni di status;
c. il diserbo e la concimazione sono considerati indispensabili per ottenere un idoneo
risultato produttivo in termini sia di quantità sia di qualità.
Sulla base di queste riflessioni in una delle due realtà provinciali (Cuneo) il
responsabile del progetto per la Provincia, ritenendo che la riduzione delle tecniche di
lavorazione del terreno possano incontrare un maggiore interesse fra gli imprenditori
rispetto alle altre proposte innovative, ha già avviato prove dimostrative di ridotta lavorazione del terreno, prevedendo più possibilità alternative di riduzione di quelle realizzate nella sperimentazione a Lombriasco.
Ricercatori e tecnici concordano nell’affermare che, per gli agricoltori, aver
potuto verificare già nella prova sperimentale che i sospettati effetti negativi (per il
ridotto diserbo e la diminuita concimazione) non si siano presentati è stato indicativo
ed è servito a far diminuire la differenza nei confronti dell’innovazione proposta.
3.1.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
Nell’ambito del progetto è stata molto curata l’informazione indirizzata ai
membri del partenariato, realizzata con strumenti poco strutturati ma efficaci, qua86
li le riunioni, i confronti su campo, le decisioni concordate al verificarsi di un problema.
Le prove sperimentali sono state utilizzate anche a scopo dimostrativo con
utenti esterni, in particolare gli studenti dell’Istituto tecnico di Lombriasco e della
Facoltà di Agraria di Torino presso cui i ricercatori svolgono la propria attività
didattica.
Durante l’attuazione del progetto, gli agricoltori non sono stati coinvolti in
una vera e propria attività di divulgazione, ma in alcune occasioni ufficiali (seminari) hanno potuto visionare le prove nel corso della sperimentazione.
Il materiale cartaceo prodotto si è limitato alle relazioni annuali rivolte al
soggetto committente (la Regione); i ricercatori dei Dipartimenti coinvolti hanno
tuttavia presentato in occasioni scientifiche specifiche i primi risultati della sperimentazione ad altri colleghi specialisti.
La produzione di materiale divulgativo che consenta ai tecnici regionali di
dialogare con gli agricoltori e di allargare il panorama degli utenti è prevista alla
fine del progetto e, nel mentre si redigono queste note, è in corso di realizzazione.
Schema 3.2 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
a. Natura delle innovazioni:
- consentono una riduzione dei costi di produzione
- richiedono un importante adeguamento “culturale” degli imprenditori
- riducono l’impatto ambientale delle coltivazioni
- necessitano di una costante interpretazione
del contesto pedoclimatico
b. Elementi di contesto:
b. Elementi di contesto:
- riduzione dei prezzi dei prodotti
- tradizione tecnica locale
- sovvenzioni comunitarie per le produzioni a
basso impatto
- preesistenza del parco-macchine
- utilizzo del contoterzismo
- pochi tecnici disponibili
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- scarsa preparazione degli imprenditori (?)
- disponibilità di tecnici preparati
- invecchiamento delle imprese
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- disponibilità di prove sperimentali di facile
interpretazione
- disponibilità di materiale divulgativo
- coordinamento fra Provincia e centri di assistenza tecnica
87
3.2
Ricerca “ Valorizzazione del Canavese DOC Rosso”
3.2.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
L’attività di studio ha l’obiettivo specifico di contribuire alla qualificazione
della vitivinicoltura del Canavese. Tuttavia essa può essere collegata alla finalità generale di promuovere lo sviluppo locale mediante l’unica coltura in grado di congiungere tradizione e rinnovamento salvaguardando il territorio dal progressivo spopolamento e dal degrado ambientale.
Dal punto di vista tecnico, il progetto ha lo scopo di caratterizzare dal punto di
vista chimico-fisico e sensoriale i vini Canavese rosso DOC e valorizzare quelli prodotti con vitigni e uvaggi locali.
La problematica generale da cui tra origine il progetto riguarda l’estrema variabilità dei vini ricadenti nella DOC e la notevole differenza qualitativa degli stessi che
nel lungo periodo potrebbe danneggiarne l’immagine. Avere a disposizione delle tipologie di riferimento di elevata e/o buona qualità può contribuire a caratterizzare il prodotto e a promuoverne la diffusione anche su mercati più ampi di quello locale e
regionale.
La prima fase dello studio (1997) ha riguardato un’indagine conoscitiva della
realtà aziendale, viticola ed enologica del territorio oggetto di indagine, che ha coinvolto le aziende che vinificano il 95% del Canavese DOC rosso presente sul mercato.
Sono emerse le seguenti problematiche:
- a fianco ad alcuni esempi di imprenditori all’avanguardia, esiste ancora un cospicuo
numero di aziende con caratteristiche nettamente marginali (età media dell’imprenditore, entità della produzione, sbocchi commerciali, capacità enologiche);
- la tecnica colturale condotta non applica operazioni colturali idonee a contenere la
produzione (forme di allevamento, diradamento grappoli);
- le differenze di qualità del prodotto sono ascrivibili: agli uvaggi impiegati, alle
attrezzature utilizzate, alle modalità e ai tempi di gestione della fermentazione
alcoolica, all’induzione ed al controllo della fermentazione malolattica, alla tecnica di affinamento adottata;
- non è stato possibile comprendere a pieno il ruolo ricoperto dai vitigni autoctoni di
cui sono poco conosciute le caratteristiche enologiche;
- i vini giudicati migliori dagli assaggiatori sono quelli delle Cantine sociali e di
aziende di elevato livello tecnologico.
88
Un aspetto positivo è stato l’elevato punteggio assegnato dagli assaggiatori
ai vini migliori che attesta una ottima potenzialità di questa DOC.
La seconda fase dello studio (1998) si è concentrata sulle caratteristiche
enologiche dei vitigni presenti nell’area canavesana e soprattutto su quelle dei possibili uvaggi. Si è proceduto a:
- individuare tre sottozone nell’area del Canavese: Carema, Caluso, Piverone;
- vinificare in purezza secondo un unico protocollo di microvinificazione gli undici vitigni presenti nella zona (Vernassa, Nebbiolo, Barbera, Freisa-Caluso, Neretto Bairo, Barbera, Freisa-Piverone, Croatina, Uva Rara, Neretto Duro, Neretto
Gentile);
- realizzare le determinazioni analitiche sul mosto e sul vino in grado di caratterizzare le potenzialità enologiche dei vitigni: tenore in zuccheri, acidità totali,
composizione acidica, componente polifenolica;
- individuare gli uvaggi che, fra le combinazioni possibili, rappresentino le migliori miscele dal punto di vista dell’equilibrio compositivo e dell’utilizzo quantitativo per ciascuna delle tre sottozone (Carema: n.12, n.13;, Caluso: n.14, n.15
n.16; Piverone: n.17, n.18, n.19);
- produrre i vini dai tagli prescelti ed effettuare le determinazioni analitiche necessarie;
- attuare la valutazione organolettica dei vini prodotti con i tagli prescelti mediante sei banchi di assaggio.
I risultati dello studio possono essere sinteticamente illustrati nello schema
sotto riportato.
Risultati
Incremento
conoscenze
Individuazione 8 tagli
X
Analisi chimico-fisiche 11 vitigni in purezza
Analisi chimico-fisiche degli 8 tagli
X
Metodologia per la valutazione organolettica
X
Valutazione organolettica dei vini prodotti dagli 11 vitigni
Valutazione organolettica dei vini prodotti dagli 8 tagli
Tecnica Commercializzazione
enologica
X
X
X
Lo studio in esame ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato quello cioè
di fornire informazioni scientifiche di riferimento ai produttori di Canavese DOC
rosso per orientarsi verso una produzione di qualità.
89
In particolare, sono stati indicati 8 uvaggi che utilizzano sia i vitigni tipici
della viticoltura piemontese, quali il Barbera e il Nebbiolo, sia i vitigni locali (Vernassa, Freisa, Neretto). Vengono inoltre fornite le motivazioni delle miscele sulla
base delle caratteristiche analitiche dei diversi vitigni e quindi vengono messe a
disposizione degli enologi le chiavi interpretative delle scelte per poter fare eventuali modifiche nel caso di particolari richieste del mercato.
Di estremo interesse applicativo anche la metodologia per la valutazione
organolettica dei vini che fornisce ai tecnici della zona un know – how da utilizzare anche in futuro.
Le innovazioni promosse dalla ricerca sono innovazioni di processo perché
forniscono elementi di novità applicabili nell’ambito della tecnica enologica; tuttavia questo aspetto non è l’elemento preponderante dello studio che si caratterizza per essere soprattutto un importante supporto alle decisioni per le figure tecniche che si collocano in una posizione intermedia fra l’imprenditore e il ricercatore
con funzione di consulenza.
Le conoscenze scientifiche che vengono proposte e applicate al caso del
Canavese DOC rosso sono già ampiamente condivise dalla comunità scientifica di
riferimento, è però innovativa l’applicazione di tali conoscenze a quelle produzioni e a quell’areale. Lo studio è pertanto da annoverarsi nella categoria tipologica
delle sperimentazioni.
I risultati sperimentali presentati dallo studio non sono brevettabili e afferiscono alla tipologia dei risultati immateriali in quanto comportano modifiche anche
significative nell’impostazione delle tecniche enologiche (nuove combinazioni di
vitigni) e nell’approccio che l’imprenditore ha con la produzione del vino (verifica di elementi analitici di giudizio e valutazione delle preferenze del consumatore),
ma non comportano l’adozione di nuovi strumenti o di nuovi prodotti chimici.
3.2.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
Lo studio è stato effettuato da due strutture di ricerca vitivinicola di Torino:
il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali – Settore Microbiologia e Industrie Agrarie - dell’Università e il Centro Miglioramento
genetico e Biologia della vite del CNR, con la collaborazione del Consorzio per la
Tutela e la Valorizzazione dei vini DOC di Caluso, Carema e Canavese.
L’idea progettuale è nata dalla Regione che, in coerenza con l’indirizzo
generale di puntare alle Denominazioni d’Origine Controllata piuttosto che ad altre
90
forme di caratterizzazione geografica, ha promosso uno studio che potesse fornire
un supporto tecnico agli operatori economici dell’area canavesana.
Il ruolo di ciascun soggetto si è espresso in relazione alle competenze specifiche: il Dipartimento dell’Università ha lavorato sugli aspetti chimico-fisici e tecnici legati alla vinificazione nonché al test di valutazione organolettica dei vini; il
Centro del CNR ha operato la selezione dei vigneti e dei vitigni; il Consorzio ha
messo a disposizione dati e informazioni per il tramite delle aziende e delle cantine associate.
L’impostazione dello studio, dal punto di vista metodologico, risulta organica e completa. Infatti, si apre con un’analisi della condizione del settore vitivinicolo
dell’area che spazia dagli aspetti strutturali ed economici a quelli strettamente tecnici e, in base ai risultati di questa, approfondisce gli elementi individuati come
salienti per la promozione e la valorizzazione del prodotto; inoltre, aggiunge alle
informazioni “obiettive” che emergono dalle analisi chimiche e fisiche, i dati qualitativi che risultano dal test con i consumatori.
Nel partenariato del progetto non sono presenti i tecnici referenti delle imprese dell’area; tuttavia, durante l’attuazione del progetto, sono stati fatti incontri di
approfondimento per aggiornare sui risultati in corso d’opera (1998) e a conclusione
(1999) ed il Consorzio ha organizzato un convegno di sensibilizzazione nel 2001.
Sulla base di quanto riferito da chi ha realizzato la parte scientifica dello studio è possibile evidenziare alcuni effetti indiretti del lavoro svolto:
- i vivaisti hanno avuto un incremento di richieste di barbatelle di vitigni autoctoni (adozione dell’innovazione);
- non sono aumentate le imprese che producono Canavese rosso DOC, ma è
aumentata la quantità di vino imbottigliato e il relativo prezzo (effetto replicatore dell’innovazione);
- nell’ambito di un sottocomitato provinciale che si occupa di viticoltura, di cui
fanno parte esponenti politici, tecnici delle organizzazioni professionali e esponenti
scientifici dello studio, è stata avviata la proposta di affrontare le problematiche tecniche che derivano dai risultati dello studio quali i calendari di vinificazione dei
diversi vitigni consigliati negli uvaggi e i sistemi di produzione e la tecnica colturale utilizzata in zona (esplicitazione della domanda di innovazione).
Sostanzialmente sembra sia stato innescato un meccanismo virtuoso secondo il quale l’innovazione tecnologica proposta da soggetti esterni all’area di applicazione (Regione, Università) ha stimolato comportamenti tecnici, economici e di
sviluppo dall’interno dell’area, che è estremamente importante non disattendere.
91
3.2.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
Circa l’attività di informazione e divulgazione dello studio si è in parte detto nel paragrafo precedente. Sono stati realizzati due incontri di approfondimento
per tecnici e soggetti interessati della zona ed è stato organizzato un convegno per
una platea più ampia di utenti.
Il materiale cartaceo disponibile consiste in:
- un testo divulgativo di carattere specialistico che descrive nel dettaglio le fasi
dello studio e i risultati analitici delle prove di microvinificazione e del panel test
(tiratura 700 copie - in ristampa);
- un testo più sintetico, sempre dal tenore tecnico elevato, che è stato diffuso
attraverso il sito Internet della Regione nelle pagine dedicate alla Ricerca e
Sperimentazione.
Schema 3.3 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
a. Natura delle innovazioni:
- miglioramento qualitativo del prodotto
- richiedono specifiche tecniche di produzione
e di trasformazione
- ampliamento del mercato del prodotto
- elemento di caratterizzazione dell’area
b. Elementi di contesto:
- affermazione generalizzata delle vitivinicoltura
italiana di qualità
- esplicano il loro effetto presso grandi imprese o se si aderisce a strutture associative
(Cantine)
b. Elementi di contesto:
- richiesta di prodotto da parte della ristorazione
piemontese
- esiguità delle quantità di prodotto e del
numero di aziende
- presenza di turismo che richiede prodotti tipici
- marginalità delle imprese (piccole e con conduttori anziani)
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- presenza di gruppi strutturati di interesse (Consorzio di tutela, sottocomitato provinciale)
- disponibilità di esperti collegati con il territorio
- propensione delle imprese all’innovazione
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- presenza di tecnici in contatto con le imprese
- coordinamento fra tecnici ed esperti
- disponibilità di attività di formazione per le
imprese
92
3.3
Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura”
3.3.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
La Regione Piemonte promuove da molti anni l’attività di selezione clonale per la viticoltura. Tale attività, attuata secondo protocolli ufficiali definiti a
livello nazionale, è finalizzata a fornire al settore vivaistico materiale di moltiplicazione di vite di particolare qualificazione e quindi consentire ai viticoltori l'impianto dei vigneti con materiale certificato particolarmente valido per caratteri
varietali, virologici, agronomici ed enologici.
Gli obiettivi principali della selezione (Mannini 2003) sono:
- esprimere al meglio la variabilità della cultivar con numerosi cloni diversi fra
loro;
- individuare cloni con attitudini agronomiche diversificate;
- individuare cloni con attitudini enologiche ottimali;
- ottenere un elevato standard sanitario nei confronti dei virus e delle virosi.
I primi cloni omologati nella regione Piemonte risalgono al 1980. Da allora
l’attività è proseguita costantemente con riferimento ai vitigni classici della viticoltura piemontese (Nebbiolo, Moscato, Barbera, Dolcetto) e ai vitigni tipici di
alcuni areali (Freisa, Erbaluce, Grignolino) fino ad un totale di selezioni che
ammonta a ben 50.
Circa la variabilità intravarietale, si è sempre cercato di garantire la disponibilità di 3 o più cloni in modo da mantenere un elevato tasso di biodiversità. Questa scelta è stata particolarmente importante per un vitigno come il Nebbiolo che
possiede un elevato grado di variabilità tanto da giustificare l’individuazione di
biotipi.
La selezione sanitaria è stata preceduta da un esteso lavoro di risanamento
artificiale per coltura di meristemi e/o termoterapia che ha portato a sottoporre a
selezione genetica solo i cloni con standard virologici ottimali. Infatti, lavori sperimentali hanno dimostrato che le virosi influiscono in maniera negativa su numerosi parametri caratterizzanti la qualità delle produzioni (zuccheri, antociani, terpeni). Tuttavia, la selezione sanitaria non è stata ritenuta condizione sufficiente per
la validità di un clone in quanto è indispensabile che la selezione genetica individui i cloni miglioratori rispetto alle attitudini agronomiche ed enologiche.
Ai fini del presente studio è stata focalizzata l’attenzione sulla diffusione nel
93
territorio viticolo piemontese dei cloni di recente omologazione (2001) CVT 63, 66,
71 di Nebbiolo biotipo Michet, CVT 308, 415, 423 sempre di Nebbiolo biotipo
Picotoner, CVT 83 di Barbera e dei cloni omologati da più di 10 anni (1990) CVT
CN 16 e AT 57 di Moscato Bianco.
La metodologia di lavoro per la selezione dei suddetti cloni ha previsto:
- termoterapia e saggi virologici alla pianta madre;
- osservazioni pluriennali (almeno tre anni) di tipo ampelografico, produttivo ed
enologico sui cloni oggetto di studio messi a dimora in campi di omologazione
situati in zone ecologicamente differenziate;
- distribuzione dei cloni nei vigneti secondo uno schema che consenta l’elaborazione statistica dei dati;
- confronto del comportamento dei cloni con un testimone standard considerato
convenzionalmente “media della popolazione”;
- testaggio ciclico delle piante dei campi tramite saggi sierologici;
- microvinificazioni delle produzioni ottenute e realizzazione delle analisi chimiche e sensoriali.
I cloni di Nebbiolo biotipo Michet assommano a caratteristiche agronomiche
molto ricercate quali la fertilità decisamente contenuta e il grappolo di piccole
dimensioni, attitudini enologiche di elevatissimo pregio in grado di mantenere e se
possibile migliorare la qualità di vini come Barolo e Barbaresco. Una loro peculiarità riguarda lo stato sanitario in quanto nel passato non si era riusciti a reperire
in natura cloni esenti dal virus GFLV e si era ipotizzato che alcune caratteristiche
di pregio fossero legate proprio all’infezione. Tuttavia, successivamente, cloni
infetti sono stati risanati mediante termoterapia e si è evidenziato che le caratteristiche di pregio sono in realtà di origine genetica.
I cloni di Nebbiolo biotipo Picotoner assommano anch’essi a caratteristiche
agronomiche molto ricercate quali la fertilità contenuta e il grappolo di piccole
dimensioni, attitudini enologiche di elevato pregio. Inoltre possiedono uno stato
sanitario ottimale nei confronti dei virus.
Il clone di Barbera risponde ad una esigenza di mercato in quanto a fronte di
una forte richiesta da parte degli imprenditori non c’è una adeguata disponibilità di
cloni a livello vivaistico e quelli disponibili sono stati selezionati rispetto a criteri
non più ricercati, quali la produttività, e secondo una selezione sanitaria meno
severa. Il clone messo a disposizione ha elevate caratteristiche produttive ed enologiche ed un ottimo stato sanitario.
94
I cloni CVT CN 16 e CVT AT 57 di Moscato bianco sono stati selezionati in
un’epoca meno recente con obiettivi di qualificazione della produzione che hanno
privilegiato la maggior dotazione di composti di tipo terpenico e la resistenza alla
Botrytis cinerea grazie a grappoli piccoli e poco compatti.
Schema 3.4 - Risultati della selezione
Cloni
Caratteri morfologici
Attitudini colturali
Attitudini enologiche
Grappolo
a maturità
Barbera
Dimensioni
Fenologia
Fasi
Vigoria
Medio
Produttività
Elevata
Alcoolicità
Acidità
Polifenoli
Elevata
Equilibrata 1,26 g/l
Cvt 83
medie, compatto
anticipate
elevata
e costante
Nebbiolo
Piccolo,
Fasi
Medio
Moderata
Elevata
Equilibrata 2,18 g/l
cvt 63
abbastanza
medie
elevata
Nebbiolo
Medio-piccolo,
Fasi
Medio
Moderata
Elevata
Equilibrata 2,30 g/l
cvt 66
poco compatto
anticipate
elevata
compatto
Nebbiolo
Piccolo, poco
Fasi
Medio
Moderata
Elevata
Equilibrata 2.03 g/l
cvt 71
compatto
anticipate
elevata
Moderata Moderata
Elevata
Equilibrata 1,97 g/l
Moderata Moderata
Elevata
Equilibrata 1,80 g/l
Moderata Moderata
Elevata
Equilibrata 2,27 g/l
Buona
Buona
Equilibrata Elevata
Nebbiolo
Medio piccolo,
Fasi
Cvt 308
mediamente
medie
compatto
Nebbiolo
Medio-piccolo,
Fasi
Cvt 415
moderatamente
leggermente
compatto
anticipate
Nebbiolo
Piccolo,
Fasi
Cvt 423
moderatamente
leggermente
compatto
anticipate
Moscato cvt
Medio piccolo,
cn 16
moderatamente
lenta entrata
compatto
in produzione
Moscato
Media
Cvt at 57
grandezza,
moderatamente
Buona
Buona ma
Buona e
costante
dotazione
di terpeni
Buona
Media
Buona
dotazione
di terpeni
compatto
Fonte: CNR, “ Contributo allo studio e alla valorizzazione di vitigni del Piemonte – Nuove selezioni clonali”
Torino 2001; CNR, “Cloni selezionati dal Centro di studio per il miglioramento genetico della vite – Vitigni ad
uva da vino”, Torino, 1989
Le innovazioni promosse dalla ricerca sono tipiche innovazioni di prodotto
perché consentono di ottenere prodotti nuovi nel senso delle caratteristiche intrinseche dei prodotti stessi; infatti i cloni su elencati, per quanto derivino da vitigni tra95
dizionali, sono stati selezionati con caratteristiche e attitudini miglioratrici rispetto
al materiale di propagazione oggi disponibile.
Tali innovazioni hanno due utenti di riferimento: il vivaista, il soggetto
immediatamente fruitore della nuova produzione, e l’imprenditore, il soggetto che
avrà a disposizione, in fase di reimpianto del vigneto, una più vasta gamma di scelte. Tuttavia, dal punto di vista della disponibilità reale del nuovo materiale di moltiplicazione, fra il costitutore del clone e il vivaista si colloca un altro soggetto, che
in Piemonte è un soggetto pubblico, il Ce.Pre.Ma.Vi. (Nucleo di Premoltiplicazione materiale viticolo), il quale ha il compito di realizzare la premoltiplicazione del
clone cioè di produrre una quantità di marze sufficiente alle necessità dei vivaisti e
di produrre la certificazione relativa.
Le conoscenze scientifiche che vengono proposte e applicate nell’ambito della selezione clonale dei vitigni piemontesi sono già ampiamente condivise e opportunamente codificate in protocolli comuni dalla comunità scientifica di riferimento; è però innovativa l’applicazione di tali conoscenze a quei vitigni e a quell’areale.
Il risultato della selezione è in realtà unico e imputabile all’attività scientifica e sperimentale del costitutore.
I cloni prodotti non sono brevettabili in quanto la normativa vigente non lo
consente, ma vengono omologati e iscritti nel Catalogo nazionale delle varietà. Poiché nel caso di studio sono stati costituiti da un ente pubblico, su di essi non esiste
diritto di esclusiva e vengono distribuiti a chi ne fa richiesta senza alcun vincolo.
Nel caso in cui il costitutore fosse un soggetto privato ne avrebbe l’esclusiva sia per
l’uso sia per la distribuzione.
Anche se non è oggetto dell’attività di selezione clonale, né si è a conoscenza di attività di analisi promosse dalla Regione, la produzione pubblica, e quindi
gratuita, del materiale certificato ha importanti risvolti economici sia per il vivaista
sia per l’imprenditore, in quanto consente al primo di evitare i costi dell’acquisto di
materiale di pregio da privati e/o della produzione in proprio di tale materiale e permette al secondo di avviare un’attività pluriennale di produzione quale è quella viticola con una serie di elementi di incertezza in meno (riduzione del rischio).
D’altro canto il ruolo economico della selezione clonale può essere valutato
anche verificando che sempre un maggior numero di privati (vivaisti e imprenditori) stanno investendo in quest’attività diventando poi detentori esclusivi del materiale selezionato sia per l’uso nella propria azienda sia per la vendita di barbatelle.
In particolare quest’ultima attività può porre alcuni interrogativi e già sta animando il dibattito degli esperti riguardo la tendenza a diffondere il materiale selezionato
96
anche in areali diversi da quelli in cui è stato ottenuto per allargarne il mercato. C’è
chi sostiene che gli imprenditori non sarebbero più tutelati circa l’effettiva riuscita
dell’impianto e soprattutto sulle caratteristiche della produzione, in quanto i risultati produttivi sarebbero molto condizionati dalle caratteristiche pedoclimatiche
dei territori.
Un elemento problematico che caratterizza la selezione clonale in viticoltura è la durata del lavoro che conduce all’individuazione di un nuovo clone che normalmente oscilla fra i dieci e gli undici anni. La selezione, infatti, ha tempi tecnici piuttosto rigidi determinati dalle fasi di cui si compone: preselezione (scelta
piante e test virologici), moltiplicazione dei cloni interessanti per realizzare i campi di confronto, entrata in produzione dei vigneti, controllo del comportamento in
campo e delle attitudini enologiche del clone nell’ambito dei campi di confronto
(tre anni previsti per legge) e stesura degli atti formali. Il rischio che si può correre è quello di selezionare materiale perseguendo obiettivi che potrebbero non essere più attuali quando il clone sarà effettivamente disponibile.
3.3.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
L’attività di selezione clonale è stata realizzata da un gruppo di istituzioni di
ricerca: il Centro Miglioramento genetico e Biologia della vite del CNR di Torino,
il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali – sezione Microbiologia e Industrie agrarie dell’Università di Torino, il Dipartimento di
Scienze e Tecnologie Agroalimentari – area patologia vegetale dell’Università di
Bologna, l’Istituto di Fitovirologia Applicata del CNR di Torino e il Centro sperimentale Vitivinicolo “Tenuta Cannona” di Carpeneto (AL).
La Regione Piemonte promuove e cofinanzia nell’ambito di un Progetto
finalizzato MIPAF – Regioni tale attività dal 1999.
Il ruolo di ciascun soggetto si è espresso in relazione alle competenze specifiche: il Centro di Miglioramento genetico del CNR è il costitutore, il Dipartimento dell’Università di Torino ha svolto l’attività di verifica delle caratteristiche enologiche, il Dipartimento dell’Università di Bologna e l’Istituto di Fitovirologia
hanno realizzato la termoterapia e le analisi diagnostiche, la Tenuta Cannona ha
ospitato alcuni campi di omologazione.
Nel partenariato del progetto non sono presenti i tecnici referenti delle imprese dell’area, né sono previsti incontri di presentazione dei risultati. Tuttavia, sulla
base di quanto riferito da chi ha realizzato e coordinato la parte scientifica, risulta
97
che sia i tecnici referenti delle imprese viticole piemontesi sia gli imprenditori
sono molto attenti all’attività di selezione clonale, si informano costantemente sui
nuovi prodotti e hanno preso l’abitudine di utilizzare per i nuovi impianti il materiale certificato. Infatti, anche se su tavoli diversi, i protagonisti scientifici del progetto (Dipartimenti universitari) e la struttura sperimentale della Regione (Tenuta
Cannona) si confrontano di frequente con i tecnici delle Organizzazioni professionali, con i consulenti delle Cantine o delle imprese viticole più grandi e con i vivaisti e hanno potuto segnalare e mettere in evidenza i pregi del nuovo materiale di
propagazione.
L’innovazione in studio, quindi, in termini generali, sembrerebbe aver già
subito un’importante diffusione che l’indagine su campo deve solo verificare e
semmai approfondire rispetto alla tipologia di prodotti scelti e al modo con il quale si diffondono. E’ pertanto molto interessante avere sotto osservazione sette prodotti estremamente giovani (i sei cloni di Nebbiolo e quello di Barbera) e due prodotti disponibili da più tempo (Moscato) per “misurare” la rapidità con la quale il
mercato recepisce le novità anche solo in termini di informazione.
Alcuni segnali del “peso” che tale innovazione ha nelle scelte di vivaisti e
imprenditori può essere rilevata da alcuni effetti indiretti già evidenziabili:
- spesso i campi di confronto vengono ospitati da vivaisti e imprese che non chiedono al costitutore pubblico il rimborso dei costi; analoga situazione si verifica
per le prove di vinificazione (identificazione fra la domanda di innovazione e la
produzione di conoscenza);
- i vivaisti si sono resi conto di dover avere un ruolo più attivo nell’attività di selezione, pertanto una delle loro associazioni si è fatta carico dell’onere di un macchinario molto costoso posizionato presso il Nucleo di premoltiplicazione, che
tramite il trattamento termoterapico elimina la flavescenza dorata dal materiale
di moltiplicazione (avvio della rete interattiva della conoscenza).
3.3.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
Il progetto di selezione clonale non prevede la realizzazione di attività di informazione, né la produzione di materiale divulgativo. Tuttavia sia il Centro del CNR sia
la Tenuta Cannona hanno realizzato, alcuni anni addietro, in una fase di intensa attività
di reimpianto, un ciclo di seminari itineranti per orientare i produttori. La Tenuta Cannona, in particolare, svolge da tempo un ruolo di informazione e divulgazione rispetto a tecnici e imprenditori.
98
La Regione Piemonte ha inoltre curato la pubblicazione di due opuscoli (1998
e 2001) riportanti la descrizione dei cloni selezionati che sono stati diffusi a mezzo
stampa e sul sito Internet della Regione stessa.
Schema 3.5 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
a. Natura delle innovazioni:
- miglioramento qualitativo del prodotto (agro-
- lunga durata della selezione e ritardata con-
nomico ed enologico)
- maggiore rispondenza alle richieste del mercato
- riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa
- riduzione dei costi di produzione
b. Elementi di contesto:
segna dei materiali
- riduzione della variabilità varietale.
b. Elementi di contesto:
- Diminuzione dei finanziamenti pubblici
c. Aspetti metodologici e organizzativi
- Mancata partecipazione degli utenti al partenariato di progetto
- affermazione generalizzata della vitivinicoltura
italiana di qualità
- disponibilità in Piemonte di vitigni di pregio
- settore vivaistico attivo e consapevole
- imprese viticole aperte e dinamiche
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- presenza di gruppi strutturati di interesse
(Associazioni vivaistiche, organizzazioni professionali)
- disponibilità dei soggetti dell’intera filiera della conoscenza: ricerca (CNR, Università), sperimentazione (tenuta Cannona) strutture tecniche di supporto (Nucleo di premoltiplicazione), tecnici consulenti (OOPP, Cantine, privati). collegati con il territorio
99
3.4
Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”
3.4.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
Il progetto di ricerca ha la finalità generale di sostenere la competitività
della frutticoltura piemontese mediante la messa a punto di innovazioni di prodotto compatibili con l’ambiente pedoclimatico della regione. L’attività consiste nel
collaudare le varietà dei fruttiferi più interessanti per il Piemonte (melo, pero,
pesco, albicocco, susino, ciliegio) provenienti da costitutori italiani ed esteri e nel
fornire, di anno in anno, agli imprenditori frutticoli le liste delle varietà ritenute più
idonee.
Tale attività è stata sostenuta dalla Regione Piemonte dall’86, anno di avvio
dell’attività sperimentale presso l’azienda sita in località Spinetta; dal 1993 l’intervento è stato inserito in una rete nazionale costituita da 10 strutture analoghe collocate nelle zone a maggior vocazione frutticola in Italia, che lavorano in maniera
coordinata nell’ambito di un progetto cofinanziato dal Ministero per le Politiche
Agricole e Forestali.
Gli obiettivi specifici dell’innovazione varietale negli ultimi tre anni sono
stati:
- incremento della qualità organolettica;
- segmentazione della qualità in funzione dei gusti e delle esigenze delle diverse
fasce di consumatori (età, area di provenienza, ecc.);
- mantenimento di alti standard qualitativi fino al consumo, anche in filiere “lunghe” (conservazione, stoccaggio, trasporto, distribuzione);
- aumento dei margini di sicurezza alimentare;
- facilitazione all’applicazione delle misure agroambientali;
- razionalizzazione dell’architettura dell’arboreto.
L’attività di selezione realizzata dal centro di sperimentazione, gestito dal
CreSo (Consorzio per la ricerca e la sperimentazione per l’ortofrutticoltura piemontese), consta delle seguenti fasi:
- testaggio in ambienti diversi, su impianto parcellare, delle prime piante derivanti
dai semenzali;
- verifica dei risultati con i costitutori e scelta delle piante interessanti cui viene
assegnato un nome;
- sperimentazione territoriale delle varietà più promettenti su impianto aziendale;
100
- segnalazione delle varietà che hanno dato risultati migliori nelle liste varietali
annuali.
Si tratta di una sperimentazione che prevede un intervento precoce del consorzio in una fase iniziale del miglioramento genetico (S1), che consente di fare delle scelte più autonome e più precise sulle caratteristiche del prodotto e sulle preferenze di mercato da soddisfare. La fase di verifica territoriale (S2) viene realizzata
su impianti estesi, presso realtà aziendali locali che consentono di valutare i risultati del prodotto in una simulazione molto vicina alla situazione aziendale reale.
Ai fini del presente studio sono state prese in considerazione in particolare le
attività di selezione relative alle specie melo e pesco.
Le varietà di melo oggetto di sperimentazione negli ultimi tre anni hanno
riguardato i seguenti gruppi di riferimento:
- Golden delicious: è il tipo di mela che ha maggiormente sofferto della sovrapproduzione; non se ne consigliano nuovi impianti se non negli areali di montagna dove si esprime al meglio;
- Red delicious: rappresentano un prodotto tipico piemontese sul quale è stata
ottenuta un’IGP; il requisito qualitativo prevalente è la perfezione estetica, richiesta soprattutto nei Paesi arabi e nell’Estremo Oriente, cui concorrono l’intensità
e la luminosità della colorazione e la regolarità e simmetria della forma; le caratteristiche ricercate sono colorazione luminosa, polpa fondente, aromi;
- Gala: di recente introduzione in Piemonte, ha consentito la formazione di tre
distinte tipologie merceologiche: frutto bicolore striato, frutto monocolore striato, frutto monocolore uniforme; le caratteristiche ricercate sono croccantezza,
succosità, equilibrio zuccheri/acidità, finestra di commercializzazione di 6 mesi,
colorazione intensa e luminosa;
- Fuji: cultivar Giapponese dall’aspetto “povero” e buone caratteristiche gustative,
secondo i gusti orientali è molto dolce, ma poco aromatica; le caratteristiche
ricercate sono croccantezza, succosità, dolcezza;
- Braeburn: è un gruppo di varietà invernali dalla polpa acidula adatta ai mercati
nord-europei; resistenti alla ticchiolatura: le attività di miglioramento genetico
hanno notevolmente migliorato questo gruppo varietale che ha oggi raggiunto un
livello pari a quello delle varietà tradizionali.
Le varietà dei suddetti gruppi che hanno evidenziato risultati buoni per la
melicoltura piemontese sono indicate nella tabella riportata sopra; tali varietà sono
state proposte in apposite liste che sono state vagliate e poi adottate dalle Organizzazioni di prodotto per programmare l'offerta.
101
Schema 3.6 - Varietà presenti nelle liste di programmazione della produzione per gli anni
2002/2004
Gruppo di
riferimento
Zona
Varietà
Caratteristiche
Tipo
Golden
Delicious
montana
(>400 m)
Pedemontana
(250-400 m)
montana
(>400 m)
pedemontana
(250-400 m)
IT ® Red Delicious* (spur)
Superchief ® Sandidge* (spur) uniforme
3
Eccellente
Mediocre
2-2,7
Discretoeccellente
Mediocre
-discreto
Discretoeccellente
Buonoeccellente
Discretoeccellente
Discretoeccellente
Discretoeccellente
Discretoeccellente
IT ® Red Delicious* (spur)
Superchief ® Sandidge* (spur) striato
Galaxy* (cl. GX e Sélecta)
striato
2,9-3,5
Brookfield ® Baigent*
striato
3,1-3,5
pedemontana
(250-400 m)
Brookfield ® Baigent*
striatouniforme
3,5-3,6
montana
(>400 m)
Raku Raku
striato
4,5
Mediocre
Buono
Kiku ® 8
striato
3,2
Buono
Buono
pedemontana
(250-400 m)
montana
(>400 m)
pedemontana
(250-400 m)
montana
(>400 m)
Zhen ® Aztec*
7,1-7,5
Buono
Eve® Mariri Red*
striatouniforme
striato
5,5
Eccellente
Discretobuono
Buono
Golden Orange*
a faccetta 5,4-6,8
Mediocrebuono
Mediocre
-buono
a faccetta 7,5-9,1
Mediocrediscreto
Mediocre
-buono
a faccetta 5,9-7,6
Discretobuono
Discretobuono
montana
(>400 m)
Fuji
Braeburn
Sapore
a faccetta 4,5 –5,2 Buono
- Buonoeccellente
eccellente
Jéromine* (standard)
Gala
Aspetto
Jéromine* (standard)
Delicious
rosse
Golden B
Acidità
Eve® Mariri Red*
Crimson Crisp ®*
Top az*
Grigia di To rriana
Resistenti
alla
ticchiolatura
pedemontana
(250-400 m)
Gold Rush *
Crimson Crisp ®*
Grigia di To rriana
Fonte: Liste di programmazione 2002/2004 CreSo; Donati F. Palara U. Berra L.Guerra W. Sansavini S., 2004,
Liste varietali dei fruttiferi 2004 – Melo, L’Informatore Agrario, LX, 24, Supplemento n. 1.
102
Le varietà di pesco oggetto di sperimentazione negli ultimi tre anni hanno
riguardato i seguenti gruppi di riferimento:
- pesche comuni a polpa gialla;
- pesche comuni a polpa bianca;
- nettarine a polpa gialla;
- nettarine a polpa bianca.
Gli obiettivi specifici perseguiti sono i seguenti:
- completamento e ampliamento del calendario di offerta con cultivar di elevata
qualità (buona componente aromatica, succosità, elevato tenore zuccherino, lenta evoluzione della maturazione);
- reperimento e diffusione di cultivar o selezioni che presentino minore sensibilità
alle gelate primaverili.
I risultati della sperimentazione, come nel caso del melo, sono stati indicati
in apposite liste che vengono periodicamente proposte alle Organizzazioni di prodotto e ai loro tecnici.
Schema 3.7 - Varietà segnalate negli ultimi tre anni
Cultivar consigliate
Ruby Rich ® Zainoar *
Data
raccolta
2004
16/07/04
Vista Rich ® Zainobe *
28/07/04
Red Moon *
29/07/04
AS 5373 (in
-
copia indistinguibile di Royal Gem
sapore più equilibrato, meno acido
di Royal Gem
-
aspetto del frutto del tutto simile
Rich Lady
albero di medio vigore
albero di facile gestione
colorazione con fondo aranciato ed
effetto attraente
forma rotonda
sapore buono
pezzatura buona, forma rotondo
oblata, regolare
aspetto attraente
sapore molto buono equilibrato
esteticamente copia di Rich Lady e
Vista Rich
miglior ramificazione di Rich Lady
buon sapore
-
29/07/04
-
06/08/04
-
sperimentazione)
Summer Rich *
PESCHE A POLPA GIALLA
Caratteri positivi
-
Punti deboli
-
-
difficile gestione
dell’albero
epidermide sensibile alle
lavorazioni post raccolta
acidità leggermente
superiore a Rich Lady
-
pezzatura media
tenuta di maturazione
soddisfacente
-
da verificare la presenza
di scatolato
-
rusticità media
103
segue Pesche a polpa gialla
AS 5375 (in
05/08/04
sperimentazione)
Diamond Princess *
10/08/04
Rome Star *
19/08/04
Zee Lady ® - Zaijula 23/08/04
*
Summer Lady *
Kaweah® Zainory*
-
pezzatura buona
forma regolare aspetto molto
attraente
- sapore buono, dolce e aromatico,
sub-acido
- Colorazione intensa ed attraente
- buon sapore
- buona produttività
Riferimento
- albero di facile gestione
- buona produttività
- sapore molto buono
- colorazione intensa ed estesa
- buon sapore
- pezzatura medio-elavata
- albero di medio vigore
- presentazione attraente per colore e
forma oblata
- eccellente qualità gustativa
-
-
pezzatura media
rammollimenti a partire
dalla cavità peduncolare
rusticità media
- pezzatura media, sensibile al
sovraccarico
NETTARINE A POLPA GIALLA
Cultivar consigliate
Data
raccolta
2004
New Top ® Zaitodeu* 20/07/04
(in sperimentazione)
Big Top ® - Zaitabo *
(cultivar di
riferimento per
l’epoca)
AS 5357 (in
sperimentazione)
Honey Kist* (in
sperimentazione)
104
-
acidità elevata
polpa aderente al nocciolo
-
produttività non sempre
soddisfacente
22/07/04
-
27/07/04
-
31/07/04
04/08/04
sperimentazione)
Big Orange ®
Maillargrosse* (in
-
sperimentazione)
Amiga* (in
Punti deboli
24/07/04
sperimentazione)
AS 6114 (in
Caratteri positivi
05/08/04
-
elevata rusticità
produttività elevata
pezzatura medio-elevata
aspetto attraente, colorazione
intensa
pezzature buone
elevata qualità sui rami misti
aspetto molto attraente,
colorazione intensa
sapore buono, subacido con
elevato tenore zuccherino
produttività elevata
aspetto molto attraente,
colorazione intensa
sapore buono, subacida, con
elevato tenore zuccherino e aroma
produttività elevata e rusticità
buona pezzatura
sapore buono, equilibrato
albero di medio vigore, di facile
gestione
produttività elevata, rusticità
buon sapore
pezzatura elevata
forma oblunga regolare
buon sapore equilibrato
-
-
polpa aderente al nocciolo
polpa semi-aderente al
nocciolo
pezzatura
-
verificare la tenuta di
maturazione
-
% di frutti scatolati al
primo stacco
forma allungata tipo
Venus
-
segue Nettarine a polpa gialla
Diamond Ray *
10/08/04
Stark Redgold
Nectaross
10/08/04
16/08/04
Maria Aurelia
Orion *
18/08/04
23/08/04
Max ® (in
24/08/04
sperimentazione)
Sweet Red *
Sweet Lady *
- Aspetto molto attraente
- Sapore ottimo
- Ottima tenuta di maturazione
Riferimento
- elevata pezzatura
- forma rotonda e regolare
- colore esteso, ma opaco
- tollerante al freddo
Riferimento
- Bella copia di Venus, frutto con
forma più regolare
- Frutto Orion simile
- Produzione elevata e costante
- Rusticità
- albero di medio vigore
- sapore buono
- ottima attitudine al post-raccolta
Copia di Sweet Red a maturazione
posticipata di qualche giorno
-
pezzatura media
epoca di fioritura precoce
elevata vigoria
-
sensibile a rugginosità
sensibile a monilia
-
colorazione di fondo verde
alla raccolta
Vigore più elevato di Sweet
Red
Come si evince chiaramente dalle tabelle sopra riportate gli obiettivi della selezione varietale sia per il melo sia per il pesco sono stati perseguiti ed anche in gran parte raggiunti.
Infatti, nel caso del melo, è evidente lo sforzo di segmentazione dell’offerta in
relazione alle differenti esigenze del mercato e la conseguente ricerca di una qualità che
si adatti ai diversi gusti del consumatore con riferimento al mercato globale. Sono sperimentate e quindi proposte nelle liste varietali grandi varietà di tipologie di mele che
possano rispondere, fermo restando il vincolo ambientale, a esigenze diversificate.
Inoltre, nel gruppo “resistenti alle ticchicolature” sono proposte anche varietà che
consentano di rispondere al meglio all’applicazione delle misure agroambientali.
Riguardo al pesco, si può notare un importante impegno teso ad allungare il
calendario di maturazione soprattutto nell’epoca delle precocità, nella considerazione
che il picco tradizionale di produzione della zona è la seconda decade di agosto.
Come nel caso del precedente progetto vitivinicolo, le innovazioni promosse
dall’attività di ricerca e sperimentazione del CreSo sono tipiche innovazioni di prodotto
perché consentono di ottenere prodotti nuovi nel senso delle caratteristiche intrinseche
dei prodotti stessi (forma e colore del frutto, sapore, tenore in zuccheri e acidità, ecc.).
L’attività del CreSo si caratterizza per essere eminentemente sperimentale, in quanto
il Consorzio non è propriamente il costitutore delle varietà su cui lavora, ma esse gli
vengono affidate da costitutori pubblici e privati per la verifica delle performance produttive e agronomiche. Tuttavia, entra nell’attività di miglioramento genetico in una
105
fase precoce e avvia la sua sperimentazione già dai semenzali per protrarla fino alla
verifica territoriale.
Anche in questo caso, due sono gli utenti di riferimento dell’innovazione, il
vivaista e l’imprenditore agricolo. Nel caso della frutticoltura cuneese si tratta di utenti molto partecipi anche alle fasi di selezione; di norma fra costitutore e editore c’è un
accordo preventivo alla messa a punto di una varietà e spesso la fase di sperimentazione estesa si svolge presso aziende frutticole interessate.
L’innovazione varietale nella frutticoltura piemontese ha il precipuo obiettivo di
far mantenere alle imprese le quote di mercato nazionale e internazionale che si sono
conquistate in questi anni. In particolare, il mercato per il quale si tende a produrre è
quello dell’eccellenza produttiva. Si tratta di quei segmenti di consumatori che sono
disponibili a pagare cara la qualità da essi percepita, quale ad esempio il colore e la forma per il mondo arabo, il tenore zuccherino per quello orientale, un giusto equilibrio
fra aromi e tenore in acidità e zuccheri per l’Europa del Sud, un più alto tenore di acidità e croccantezza per l’Europa del Nord. Lavorare per questa tipologia di mercato
vuol dire innovare continuamente e utilizzare il marketing non tanto per vendere quel
che si produce quanto per percepire le attese del mercato e tradurle in progetti di
innovazione (Pellegrino 2001).
Infatti, al di là degli obiettivi già raggiunti, dall’ingente materiale documentale
che ha il compito di divulgare l’attività di sperimentazione del CreSo in frutticoltura sia
fra gli addetti ai lavori sia fra i tecnici, si evince che sono stati individuati nuovi obiettivi da perseguire: il legame frutto –territorio, la qualità gustativa (che è ancora un passo indietro rispetto a quella estetica), il concetto di frutto benessere ed un ulteriore segmentazione dell’offerta (vedi “Club di esclusiva varietale”).
Volendo distinguere fra loro sia l’attività sperimentale sia quella produttiva delle produzioni di melo e pesco, si può senz’altro affermare che il melo sta percorrendo
in maniera molto più spedita l’indirizzo sopra delineato, in quanto ha già subito
momenti di stasi e di regressione del mercato che hanno spinto i produttori e le loro
organizzazioni a reagire e a interrogarsi su nuovi obiettivi produttivi. Per il pesco, invece, sono stati perseguiti costanti e uniformi obiettivi di miglioramento qualitativo che
hanno riguardato prima l’aspetto estetico e poi quello organolettico, lasciando inesplorata la possibilità di segmentare l’offerta con innovazioni varietali mirate a precise fasce di popolazione (L. Berra, C. Carli, S. Pellegrino 2004). Un ostacolo importante
è la ristretta piattaforma genetica finora utilizzata: se si tentasse di introdurre e/o
ricombinare nuovi caratteri organolettici forse sarebbe più facile proporre prodotti
nuovi e di pregio. Ad oggi per ovviare all’ostacolo della limitata disponibilità temporale di una singola cultivar, uno degli obiettivi perseguiti è quello di costituire una linea
106
omogenea di cultivar che siano indistinguibili per il consumatore e garantiscano una
presenza sul mercato per periodi più lunghi.
3.4.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
Il progetto di sperimentazione preso in esame prevede il coinvolgimento del
Consorzio di Ricerca, Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese (CreSo) per la realizzazione operativa delle attività previste sul territorio piemontese e dell’Istituto Sperimentale per la frutticoltura di Roma (CRA), per il coordinamento dell’attività del CreSo nell’ambito del Progetto nazionale finalizzato “Liste
di orientamento varietale dei fruttiferi” di cui è il referente nazionale.
Dal 1993 il progetto è oggetto di cofinanziamento della Regione e del Mipaf ed
è parte di una rete di 10 centri di sperimentazione dislocati su tutto il territorio nazionale, che lavorano in maniera coordinata. L’attività sperimentale della struttura piemontese non si è modificata, ma ha potuto così giovare di un maggior quantitativo di
materiali, di un intenso scambio di documenti e informazioni, dell’integrazione dei giudizi di più esperti sui materiali in sperimentazione e del proficuo confronto fra gli stessi. Infine, c’è stato un intenso lavoro per uniformare le metodologie dei rilievi e le schede di osservazione dei materiali.
L’attività e i risultati del progetto sono anche oggetto di confronto e approfondimento nell’ambito di due forme organizzative che fanno riferimento al CreSo: il
Comitato tecnico “Innovazione di prodotto” e il Coordinamento dei tecnici di filiera.
Il primo è un tavolo di cui fanno parte frutticoltori, operatori commerciali e tecnici, che ha il compito di fare scelte in merito alla programmazione dell’offerta produttiva e che, dalle liste di orientamento varietale del CreSo, elabora le liste varietali
per la realizzazione dei nuovi impianti dei frutticoltori che aderiscono alle organizzazioni di prodotto. E’ il collegamento più importante che il Consorzio ha con la base
produttiva da cui ricava sia la domanda emergente di innovazione sia il feed-back
applicativo dei materiali selezionati.
Il secondo è costituito dai tecnici che prestano consulenza alle imprese ed è un
importante momento di confronto nel quale i ricercatori del Consorzio presentano le
innovazioni varietali, discutono con i tecnici su vari aspetti della tecnica colturale
(indici di maturazione, impollinatori, accorgimenti di potatura, ecc.) e ricevono dagli
stessi i riscontri di quanto avviene presso le imprese in termini di esigenze e di risultati.
Pertanto, nonostante il progetto non preveda un partenariato complesso e sia di
107
fatto realizzato, almeno per la parte piemontese, esclusivamente dal CreSo, l’attività
sperimentale è di fatto al centro di una fitta rete di relazioni scientifiche, territoriali e
imprenditoriali. Le motivazioni di questa condizione “ottimale” risiedono:
1. nella provenienza della struttura sperimentale che fino al 2002 era parte dell’organizzazione tecnica dell’Associazione dei produttori Asprofrut, provenienza che la
Società consortile CreSo non ha rinnegato, essendo ancora le organizzazioni del settore ortofrutticolo componenti del consorzio;
2. nella partecipazione al progetto nazionale MIPAF;
3. nelle capacità strategiche e organizzative di coloro che la gestiscono;
4. nella scelta politica di sostenere finanziariamente il progetto e l’intera struttura.
Nel caso del presente progetto la diffusione delle innovazioni prodotte dovrebbe essere pressoché certa in quanto le proposte della struttura sperimentale (le liste di
orientamento varietale) diventano fase operativa dell’attività di programmazione delle Organizzazioni di prodotto.
Per gli elementi sin qui analizzati il caso studio relativo alle liste varietali per la
frutticoltura, relativamente alla strategia perseguita per promuovere l’innovazione,
può essere ricondotto al modello di relazione piuttosto che a quello di diffusione.
Infatti, non viene applicato il classico procedimento a cascata che prevede la produzione di conoscenza in sedi diverse e lontane dalla produzione agricola e la sua promozione presso le imprese mediante modalità e strumenti finalizzati al convincimento degli utenti. Il processo attivato prevede, invece, un’analisi contestuale e partecipata delle problematiche realizzata da ricercatori e imprenditori, uno sviluppo della sperimentazione che prevede fasi specialistiche (ricercatori) e fasi di confronto (sperimentazioni territoriali, comitato tecnico “innovazione di prodotto”), una fase applicativa gestita da esperti (i tecnici divulgatori) che interagiscono periodicamente con i
ricercatori sia per raccogliere informazioni sia per riferire ulteriori problematiche.
3.4.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
Il progetto prevede un ampio spettro di iniziative di divulgazione. Vengono
infatti realizzate:
- pubblicazioni a stampa su riviste specializzate e convegni di presentazione dei
risultati dell’attività di sperimentazione rivolti al mondo della ricerca e della sperimentazione;
- pubblicazioni tecniche, materiali divulgativi e riunioni tecniche rivolti a coloro che
svolgono consulenza e supporto alle imprese frutticole;
108
- pubblicazioni di interesse generale rivolte ad un pubblico più vasto per sensibilizzare l’opinione pubblica alle problematiche della frutticoltura piemontese e ai nuovi indirizzi intrapresi.
La documentazione suddetta è di ottimo livello per quanto concerne sia gli
aspetti scientifici sia le caratteristiche divulgative e viene prodotta in quantità considerevole e con regolarità almeno dal 2000. Gli incontri tecnici con il personale addetto alla consulenza sono periodici, riguardano le diverse fasi della tecnica colturale e
vengono realizzati secondo un calendario coerente con le attività in campo.
Schema 3.8 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
a. Natura delle innovazioni:
- miglioramento qualitativo del prodotto (estetico, organolettico e agronomico)
- qualità gustativa perseguita meno di altri
obiettivi produttivi (melo)
- segmentazione della produzione in base alle
esigenze del mercato (melo)
- ristretta piattaforma genetica disponibile
(pesco)
- prolungamento dei tempi di offerta sul mercato
(pesco)
b. Elementi di contesto:
- riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa
- condizioni climatiche che non consentono di
allargare troppo i calendari di maturazione
- riduzione dell’impatto ambientale
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
b. Elementi di contesto:
- modello organizzativo poco utilizzato come
buona prassi
- presenza di un area particolarmente vocata
(Cuneese)
- imprese frutticole aperte e dinamiche
- presenza di gruppi strutturati di interesse
(Organizzazioni di prodotto) sensibili all’innovazione e alle esigenze del mercato
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- aver messo in rete i soggetti dell’intera filiera
della conoscenza: ricerca e sperimentazione
(CreSo), tecnici consulenti (Organizzazioni di
prodotto OOPP), rappresentanza degli imprenditori (Comitato tecnico “Innovazioni di prodotto”)
- buona e costante attività divulgativa (documentazione, incontri, ecc.)
- partecipazione continua al confronto scientifico nazionale e internazionale
109
3.5
Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura”
3.5.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
Il progetto ha la finalità generale di indirizzare e razionalizzare le scelte varietali degli operatori del settore orticolo piemontese mediante la valutazione dei parametri vegeto produttivi e qualitativi dei diversi genotipi disponibili localmente e sul
mercato.
L’attività sperimentale, avviata sin dal 1998 per esplicita richiesta dei produttori,
riguarda le specie di ortaggi più importanti per l’agricoltura piemontese: asparago,
cavolfiore, cavolo verza, carota, cipolla, fagiolo, lattuga, melone, peperone, pomodoro, spinacio, zucchino.
Gli obiettivi specifici del progetto sono:
- il coordinamento dell’attività di sperimentazione al fine di evitare il proliferare di
campi prova gestiti da soggetti diversi;
- rilevare, in campi di valutazione di I livello, le caratteristiche produttive delle cultivar di recente introduzione;
- verificare, in prove di II livello, le caratteristiche agronomiche e merceologiche delle cultivar risultate più interessanti nelle prove di I livello, adottando schemi a blocco randomizzato con più ripetizioni;
- definire le liste di orientamento varietale più adatte agli areali piemontesi da divulgare sia al mondo produttivo sia al mondo commerciale.
Le attività di confronto dunque vengono realizzate secondo quanto indicato
dagli obiettivi specifici e prevedono quasi in tutti i casi la progressione di: campi di
verifica di I livello, campi di verifica di II livello e campi dimostrativi (detti anche campi di validazione di III livello). Quest’ultima tipologia di prove, oltre ad avere una
valenza divulgativa, ha anche l’obiettivo di realizzare un’ulteriore verifica locale delle performance delle varietà, compresa la valutazione dell’accettabilità dei mercati terminali.
Ai fini del presente studio sono state prese in considerazione in particolare le
attività di confronto relative alle specie asparago, fagiolo, peperone e pomodoro.
Asparago – Le caratteristiche ricercate nelle varietà in selezione negli ultimi tre
anni sono state le seguenti:
- maggiore produttività;
- migliori caratteristiche commerciali (taglia dei turioni, colore e attitudine a sfiorire);
110
- miglior adattamento agli ambienti di coltivazione piemontesi (province di Cuneo e
Torino).
Le varietà che hanno dato le risposte migliori sono state le seguenti:
Anni
2001
2002
2003
Lista A
Lista B
Eros, Marte
Precoce d’Argenteuil, Violetto d’Albenga
Eros, Marte
Violetto d’Albenga
Eros, Marte, Violetto d’Albenga, Gijnlim
Lista C
Gijnlim
Gijnlim
Fagiolo – Se ne distinguono due tipologie: nano e rampicante. Gli obiettivi perseguiti dalla selezione sono stati i seguenti:
- per il fagiolo nano, baccelli allungati e regolari con screziature rosse su fondo bianco, granella di elevate dimensioni con screziature analoghe al baccello, maturazione concentrata, buona produttività, resistenza a batteri e virus;
per il fagiolo rampicante, baccelli di elevate dimensioni con colorazione vivace su
fondo bianco, granella di dimensione elevata anch’essa vivacemente colorata, buona resa in sgranato, contemporaneità di maturazione, precocità.
Le varietà che hanno dato le risposte più interessanti sono state:
Fagiolo nano
Anni
2001
2002
Lista A
Fantasia, Futuro,
Mantorosso
Meraviglia, Supremo
Lista B
Indios, Merit
Futuro, Mantorosso
Lista C
Dragone, ex8550537,
Meraviglia, Supremo
Dragone, Splendido
Fagiolo rampicante
Anni
2001
Lista A
Bingo, Barbarossa
Lista B
Arcobaleno, Stregonta
sel. Cuneo, Rossano
2002
Bingo, Rossano
Barbarossa, Climbo,
Stregonta sel. Cuneo
2003
1. Bingo, Vedetta RS 901010
2. Rossano, Solista, Climbo, Drago,
Lista C
Climbo, Ex 4309797,
Vedetta, rs907010,
Sanguigno 2
Ardore (Ex 4309797),
Vedetta, Solista
Peperone – L’obiettivo del confronto varietale relativo al peperone è stato
essenzialmente quello di verificare l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche piemontesi delle numerose nuove varietà messe a disposizione delle ditte sementiere. Le
caratteristiche ricercate sono produttività, qualità della bacca, resistenza alle principali virosi.
111
Peperone
Anni Lista A
Lista B
Tipologie quadrate
2001 Cuneo, Corno di Carmagnola,
Braghese,
Pablor, Adrian, Explorer, Sunny
Quadrato di Carmagnola
Tipologia rettangolari
2001 PS 600, PS 700, Sienor
Dallas
Lista C
Amato, NUN 6076
Anni Lista A
PS 690, PS 518, Concorde,
Aristocrata, NUN 7325
Lista C
2002
CLX 690
2002
2002
2002
2003
2003
2003
Lista B
Tipologie allungate
Domingo
Festos
Tipologie quadrate
Cuneo sel. locale, Explorer rosso,
Adrian rosso,
Sunny giallo
Pablor giallo
Tipologia mezzo lunghe
Jackal giallo (PS 518),
Concorde giallo
Red ring rosso (PS 700),
Sienor giallo
Tipologie “Corno”
Corno di Carmagnola
sel. locale
Tipologie mezzo lunghe
1. Fenice, Senior
2. E 419005, ES 01-87,
ISI 561772, Florian, Solero
Tipologie quadrate
Flavio
NUN 3022, Cadia giallo,
galileo rosso, Flavio rosso
PS 623 rosso, Solero
(NUN 7325) rosso
Pomodoro da mensa – Se ne distinguono due tipologie, a grappolo e a frutto singolo. Gli obiettivi perseguiti dalla selezione sono stati i seguenti:
- per il pomodoro a grappolo, varietà i cui pomodori abbiano le caratteristiche dei
cuor di bue, siano produttivi e poco sensibili alle malattie;
- per il pomodoro singolo, migliorare gli standard qualitativi (colore-aroma-salubrità) delle varietà proposte dalle ditte sementiere e migliorare la qualità delle
varietà tipo cuor di bue.
Pomodoro da mensa - tipologia a grappolo
Anni
2001
2002
112
Lista A
Pedula, Dana
Petula
Lista B
Daniela
Kikka
Lista C
Kikka, Laetitia, 73-26
Faro, Ilario, Laetitia,
Antinea, Bellavisa, Corfù
2003
Prove II livello:
1. Petula, Laetitia
2. Zelig, Bellavista
Prove I livello:
19 ZS 653, DRW 6906, HC 50, Ikram, ISI 61174, Kestrel, Luisa, Nikram
Pomodoro da mensa – tipologia a frutto singolo
Anni
Lista A
2001
Jama, Fedra,
“Cuor di bue” sel.Albenga
2001
2002
2002
2003
2003
2003
2003
2003
Lista B
Coltivazione in tunnel – ciclo precoce
Lista C
Arletta, H8
Carson, DRW 6220, PX
374, RSR 1842208
Coltura estivo-autunnale; coltura protetta e/o di pieno campo
Fedra, Bodar, Jama
Arletta, Lorybel, “Cuor di bue”
sel.Albenga
Carson, DRW 6220, PX
374, RSR 1842208
Tipologia “insalataro”
Jama, Fedra
Bodar, Carson
Caramba
Tipologia “Cuor di bue”
Sel “Albenga”
Sel. “ Santena”
Tipologia “insalataro”
Prove di II livello: Amadeo, Caramba, Seny
Prove di I livello: Blac Macigno, OL 9277
Tipologia “Cuor di bue”
Prove di II livello: 00-275 A, 00-288 A
Prove di I livello: Paca
Tipologia “ Allungato”
Prove di I livello: Abramo, Agro, Colibrì, Malawi, Oskar
Come si può notare dagli schemi su esposti, nel 2001 e 2002 i risultati delle
prove di confronto venivano diffusi pubblicando, oltre alla descrizione dettagliata
del comportamento delle diverse varietà, liste varietali che venivano distinte con le
lettere A, B, C. Le lettere indicano le seguenti differenze:
A) cultivar di interesse generale;
B) cultivar adatte a particolari ambienti;
C) cultivar promettenti per l’areale.
Nel 2003 le liste varietali non sono state pubblicate.
Dalla lettura dei documenti che illustrano l’impostazione e i risultati delle
prove di confronto emergono le seguenti riflessioni generali: da un lato è evidente
la necessità di un confronto continuo con il mercato e con le produzioni messe a
113
disposizione dalle ditte sementiere che determinano un forte turnover delle varietà
in prova, dall’altro emerge che la verifica sperimentale non è in grado, con un solo
anno di confronto, di dare un responso definitivo sulla bontà della cultivar, condizionata com’è da fattori esogeni che non sono controllabili. Pertanto si nota che,
spesso, cultivar che hanno subito la verifica sia di I sia di II livello, nel giudizio
complessivo, hanno ancora aspetti caratteristici non chiari e definiti.
L’attività di studio promossa dalla Regione nell’ambito del progetto “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” si inquadra nell’ambito delle sperimentazioni volte alla verifica della adattabilità di innovazioni prodotte da soggetti
specializzati (ditte sementiere), anche esterni al territorio regionale, nella realtà
aziendale, climatica e pedologica del Piemonte.
Utenti dell’attività sperimentale sono vivaisti e imprenditori, i primi possono rifornirsi di materiale di propagazione con una buona certezza di successo nei
riguardi dei propri clienti, gli imprenditori hanno la sicurezza che un soggetto terzo, che non ha interessi economici diretti nell’attività, ha validato il materiale di
propagazione (riduzione del rischio).
Per quanto simile, come caratteristiche intrinseche, ai progetti di cui ai paragrafi precedenti relativi alla viticoltura e frutticoltura, l’attività di confronto varietale per l’orticoltura ha profonde differenze rispetto alle altre, a causa delle diversità strutturali e congiunturali che il comparto piemontese assume. Al di là delle differenze produttive ed economiche per le quali si rimanda alla specifica analisi di
scenario, dalle interviste realizzate si evidenzia una maggiore complessità delle problematiche del comparto determinata sia dalla grande varietà di specie, dalla loro
diversità nella espressione vegetale e produttiva e dalla conseguente specializzazione territoriale delle coltivazioni (Alessandria: cipolla, patata, pomodoro da industria; Vercelli: asparago e zucchino; Asti: peperone, sedano, pomodoro; Torino:
Peperone e lattuga; Cuneo: fagiolo) sia dalla rapidità con cui cambiano le esigenze di mercato in termini di tipologie di produzioni e di caratteristiche dei prodotti.
Si tratta infatti di prodotti annuali, a volte di ciclo molto breve, che, nella maggior
parte dei casi vengono raccolti e confezionati direttamente in campo per essere poi
portati rapidamente ai mercati.
Dalla frammentarietà sopra accennata deriva anche la minore organizzazione degli orticoltori che non riescono ad esprimere come per la frutticoltura organismi di rappresentanza che consentano loro di avere maggior peso nelle contrattazioni e maggior supporto nelle scelte produttive, tale condizione se da un lato è
determinata dalle caratteristiche del comparto, dall’altra mantiene e forse è la causa dei disagi gestionali ed economici degli imprenditori.
114
In questa situazione un’attività di supporto alla scelta varietale sostenuta
dall’intervento pubblico diventa un elemento di sicurezza fondamentale.
3.5.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
Il progetto di sperimentazione volto ad orientare le scelte varietali in orticoltura, nelle sue versioni annuali del 2001, 2002 e 2003, coinvolge tre partner: l’Istituto
Sperimentale per l’Orticoltura sezione di Montanaso Lombardo con il ruolo di referente scientifico, il CreSo con il ruolo di attuatore della fase operativa delle attività e i
tecnici dei Settori provinciali all’Agricoltura, delle Organizzazioni Professionali Agricole e delle Organizzazioni dei produttori con il compito di seguire le prove in campo
e attuare gli interventi colturali.
Sono pertanto rappresentate nel partenariato del progetto tutte le componenti utili e necessarie per dare sia valenza scientifica alle prove e ai risultati sia risvolto tecnico e divulgativo.
Della natura delle prove realizzate si dirà al paragrafo 3.6.1, tuttavia va già ora
evidenziato quanto emerge nell’intervista con il responsabile dei confronti varietali, il
dott. Baudino del CreSo. La condizione di complessità dei confronti, legata alla numerosità delle specie e delle varietà in sperimentazione per ciascuna specie, rende impossibile la realizzazione di tutte le prove presso l’azienda del CreSo e richiede il coinvolgimento di numerose aziende che si prestano volentieri a fornire i loro terreni. Tuttavia, proprio per non occupare aree troppo vaste e quindi incrementare i costi delle
prove (il rimborso agli agricoltori per i mancati raccolti), i confronti varietali di II livello non vengono sempre realizzati secondo gli schemi teorici previsti per i blocchi randomizzati, riducendo il numero di repliche e semplificando l’intero impianto.
Le prove comunque vengono seguite molto da vicino e i risultati produttivi
valutati con attenzione in periodici incontri realizzati fra il responsabile dell’attività e
i tecnici (almeno ogni 15 giorni).
I tecnici piemontesi impegnati in questa attività sono 8 e hanno una preparazione agronomica di alto livello e molto diversificata dovendosi occupare nel contempo di specie orticole diverse.
3.5.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
I risultati dell’attività sperimentale vengono diffusi con gli strumenti classici della divulgazione: durante l’inverno vengono tenute riunioni itineranti nei ter115
ritori orticoli piemontesi per illustrare agli imprenditori l’andamento delle prove
primaverili e invernali. Inoltre vengono realizzate visite alla prove stesse presso le
aziende che le ospitano e presso i campi dell’azienda del CreSo.
Infine, ogni anno la Regione pubblica un testo divulgativo rivolto ai tecnici
regionali in cui le prove di confronto vengono descritte nel dettaglio e il comportamento di ciascuna cultivar viene illustrato facendo riferimento sia a particolari
legati alla produttività sia alle caratteristiche qualitative della produzione.
Schema 3.9 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
a. Natura delle innovazioni:
- miglioramento qualitativo del prodotto
(estetico, organolettico e agronomico)
- adeguamento della produzione alle esigenze
del mercato
- riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa
- riduzione dell’impatto ambientale
b. Elementi di contesto:
- disponibilità di areali con caratteristiche
pedoclimatiche differenziate che consento-
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
- la verifica delle caratteristiche delle nuove
varietà richiederebbero tempi più lunghi di
quelli disponibili
b. Elementi di contesto:
- elevato turnover delle varietà prodotte dalle
ditte sementiere
- mancanza di organizzazione delle imprese
agricole
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- difficoltà a mettere in pratica gli schemi
no di coltivare più specie ortive
sperimentali teorici a causa della numero-
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
sità delle prove e della relativa esiguità
- disponibilità di una struttura di sperimenta-
degli spazi
zione competente e dotata di un’azienda
- disponibilità di tecnici divulgatori molto
preparati
3.6
Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese”
3.6.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte
Il progetto ha la finalità di analizzare la realtà produttiva della Toma Piemontese e di mettere a punto gli strumenti scientifici in grado di caratterizzare le
116
diverse tipologie esistenti. Questo formaggio, infatti, tipico dell’intero areale montano della regione, ma anche di ampie fasce di pianura limitrofe all’arco alpino, è
prodotto fin dall’epoca medievale ed ha sempre accompagnato l’attività zootecnica e la produzione di latte. Esso, tuttavia, è caratterizzato da un’ampia variabilità
dovuta alla grande estensione della produzione e alle diverse condizioni delle
imprese che lo producono e l’hanno prodotto.
Il progetto di ricerca è stato strutturato in due fasi: la prima con l’obiettivo di
circoscrivere ed approfondire la storia, l’areale di produzione, la consistenza e le
caratteristiche della produzione; la seconda con l’obiettivo di analizzare un campione di produttori di Toma (aziende e caseifici) sia per gli aspetti zootecnici (solo
le aziende) sia per gli aspetti tecnologici.
L’attività di studio è stata effettuata negli anni 1995-1996, due anni dopo il
riconoscimento della denominazione d’origine e della costituzione del Consorzio di
tutela. Tali eventi, se sono stati una delle cause più importanti per l’attivazione del
progetto, ne hanno anche fortemente determinato l’organizzazione e i contenuti.
Infatti la prima fase dell’attività ha avuto un peso notevole in quanto la necessità di
avere una mappatura, anzi un censimento6, della produzione di Toma Piemontese
rispondeva alle esigenze conoscitive di contesto del progetto di ricerca, ma andava
anche incontro alle necessità di informazione del Consorzio di tutela appena insediato.
La seconda fase è stata strutturata, a sua volta, in tre parti:
- l’analisi zootecnica che ha approfondito le caratteristiche aziendali (razza allevata, tecniche di allevamento e alimentazione, condizioni igienico sanitarie,
ecc.) delle imprese produttrici di Toma, la qualità del latte (caratteristiche chimico-fisiche, caratteristiche biologiche, relazioni con la trasformazione, ecc.) e
le connessioni fra allevamento e qualità del latte;
- l’analisi tecnologica che ha approfondito le caratteristiche delle strutture di trasformazione (locali, attrezzature, ecc.) e della tecnologia di produzione ed ha formulato una prima proposta di tipologie produttive rinvenute;
- l’analisi sensoriale che ha avuto la finalità di arrivare ad una valutazione organolettica del prodotto mediante un panel di assaggiatori addestrati preventivamente.
Il primo risultato del progetto è stato quello di produrre una descrizione
complessa e completa della realtà produttiva della Toma sia per la quantità di infor6
M. Soster, “Toma Piemontese“, Assessorato Agricoltura Regione Piemonte, 1998.
117
mazioni e dati raccolti sia per il livello delle analisi realizzate, sicuramente di estrema utilità per il Consorzio di tutela e per i policy makers piemontesi.
Circa gli obiettivi di caratterizzazione, ed in particolare di individuazione
delle tipologie di produzione dominanti, i risultati dello studio sono sinteticamente riportati nello schema che segue.
Schema 3.10 - Obiettivi della caratterizzazione
Fasi della tecnologia
di produzione
Conservazione latte
Scrematura
Pastorizzazione
Inoculo di starter
Caseificazione
Cottura
Pressatura
Salatura
“Caseificio”
X
Tipologie di Toma individuate
“Classica”
“Classica
“Classica
grassa”
morbida”
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
“Biellese”
X
X
X
X
Come si può notare, sulla base delle informazioni relative alla tecnica di produzione, sono state individuate 5 tipologie di Toma, dalle quali, non considerando il
diverso comportamento delle strutture analizzate rispetto alla scrematura e alla pressatura, si può arrivare a 3: Caseificio, Classica e Biellese.
La prima riguarda essenzialmente i formaggi prodotti dai caseifici che hanno
avuto nel tempo una maggiore standardizzazione e razionalizzazione delle tecniche
produttive (pastorizzazione, uso di starter) e che hanno caratteristiche omogenee e
costanti, ma piuttosto anonime. La seconda riguarda la Toma prodotta dalle imprese di
montagna e riguarda varie localizzazioni geografiche delle Alpi piemontesi; come
dimostra la prima distinzione in tre sottotipi, è una tipologia al suo interno molto
disomogenea. Secondo i partecipanti al progetto, dalle schede tecnologiche, sembra
emergere come ogni produttore applichi una sua personale interpretazione della caseificazione. La terza è l’unica con una caratterizzazione geografica specifica in quanto
si riferisce alla Toma prodotta nella zona di Biella ed ha delle caratteristiche peculiari
in quanto il latte viene lavorato immediatamente dopo ogni singola mungitura e la
cagliata viene cotta più o meno intensamente dopo la rottura.
Anche la valutazione sensoriale ha portato al raggruppamento dei giudizi dei
panelist in tre macroaree:
118
- la A, i cui prodotti presentano scarsa intensità dell’odore, un sapore tendenzialmente
dolce e si presentano morbidi, elastici e poco granulosi;
- la B, i cui formaggi sono fortemente caratterizzati dal punto di vista dell’aroma, del sapore e dell’odore e in generale sono molto “maturi”;
- la C, i cui prodotti hanno caratteristiche intermedie ai primi due e si caratterizzano per una spiccata acidità della pasta a cui si accompagnano una maggiore durezza ed accentuata friabilità.
Tuttavia, il risultato dell’analisi sensoriale non è sovrapponibile a quello
dell’analisi tecnologica se non per la tipologia A che nella gran parte dei casi
corrisponde a quella di caseificio.
Si conferma quindi un panorama:
- di estrema variabilità nella qualità e nelle caratteristiche organolettiche delle
Tome di montagna, che si accompagna però ad un messaggio complessivo di
maggiore tipicità e carattere,
- di maggiore standardizzazione (e anche salubrità) della Toma di caseificio, cui
andrebbe aggiunto un profilo sensoriale più tipico.
Lo studio in esame ha raggiunto gli obiettivi che si era prefisso fornendo
una base informativa senza precedenti sul prodotto in esame (risulta carente
solo della parte economica sia in termini di strutture sia di mercato) e provando
a discernere dall’analisi della realtà produttiva stessa gli indirizzi per una eventuale tipizzazione e caratterizzazione della produzione.
I risultati prodotti non sono vere e proprie innovazioni (anche se si tratta
di conoscenze prima non disponibili); si può parlare piuttosto di supporto alle
decisioni in primo luogo dei decisori pubblici e degli organismi deputati all’organizzazione della produzione e alla sua valorizzazione, in secondo luogo dei
tecnici che svolgono consulenza alle imprese e dei ricercatori stessi. I primi,
infatti, sono stati in grado di programmare gli interventi di rilancio e promozione della Toma conoscendone la diffusione, le caratteristiche, le problematiche;
i secondi hanno avuto a disposizione un’analisi dei bisogni senza precedenti in
base alla quale avviare attività di supporto alle imprese in un caso, nuovi obiettivi di ricerca nell’altro. Fra gli utenti diretti dell’attività, pertanto, non possono
essere annoverati gli imprenditori anche se i benefici dell’indagine, a medio termine, dovrebbero essere stati percepiti anche da loro in termini di migliore
razionalizzazione e organizzazione della produzione (qualificazione della produzione, abbattimento dei costi) e soprattutto di valorizzazione della stessa
(migliore collocazione sul mercato).
119
Dalle interviste ai partecipanti al progetto è emerso che la vastità dell’areale del progetto non ha consentito di coinvolgere le imprese in maniera diretta se non quando erano visitate dal tecnico per il rilievo dei parametri strutturali, produttivi e tecnologici. Gli imprenditori stessi, d’altro canto, non hanno
avuto interesse a interagire con il progetto in quanto in quegli anni non c’era un
problema di collocazione dalla produzione. Tuttavia, i dati rilevati e il repertorio di immagini raccolto ha consentito di evidenziare numerose problematiche
strutturali che andavano dalla inadeguatezza delle attrezzatura alle carenze igieniche che, pur non essendo finalità specifica dello studio, sono state oggetto di
interventi successivi ed oggi sono in gran parte risolte, consentendo ai produttori
di Toma di rimanere sul mercato e difendere gli spazi acquisiti.
Un aspetto problematico da verificare nell’indagine su campo è se la
Toma sia un formaggio con un’elevata valenza di tipicità o meno, in particolare
occorrerebbe verificare se sia stata o meno opportuna la scelta di segmentarne
la produzione e differenziarla. Infatti, al di là della tipicità che esso riveste come
formaggio regionale, noto in Italia e in Europa per essere specificamente piemontese, il ruolo che gli viene assegnato dagli imprenditori zootecnici e caseari piemontesi e anche dal consumatore, soprattutto locale, è quello di formaggio
comune sia come sbocco per la destinazione del latte sia come alimento.
3.6.2 L’organizzazione e la gestione del progetto
Il progetto “Caratterizzazione della Toma Piemontese” ha avuto un partenariato estremamente complesso. Il gruppo di lavoro era composto dall’Università di
Torino con il Dipartimento di Scienze zootecniche e il Dipartimento per la Valorizzazione e la Protezione delle Risorse Agroforestali (DIVAPRA) - sezione Microbiologia e Industrie agrarie, il SOFAGRA srl - Istituto lattiero-caseario di Moretta,
il Consorzio di tutela della Toma Piemontese, le tre associazioni dei produttori di
latte regionali (oggi confluite in ALPILAT), l’Associazione Regionale Allevatori,
alcune Comunità montane e la Regione Piemonte con gli uffici dell’Assessorato
agricoltura.
I ruoli nell’ambito del progetto sono stati così distribuiti: il coordinamento
tecnico scientifico e la elaborazione ed analisi delle informazioni sono stati affidati ai dipartimenti universitari, al Consorzio di tutela e all’Istituto di Moretta; la rilevazione dei dati e il prelievo e l’analisi dei campioni alle Associazioni dei produttori, alle Comunità montane con la partecipazione e il supporto dell’Istituto di
Moretta e la sezione Industrie agrarie del DIVAPRA. Il coordinamento generale è
120
stato curato dall’Assessorato agricoltura che, in qualità di committente, ha verificato il perseguimento degli obiettivi previsti.
Il progetto di ricerca sulla Toma è stato uno dei primi progetti promossi dalla
regione Piemonte con l’intento di sperimentare un nuovo approccio alla ricerca basato sulla pluridisciplinarietà e sulla collaborazione di più soggetti. Questa nuova modalità di lavoro è stata molto apprezzata da tutti i partecipanti che ancora oggi ne sottolineano l’importanza sia perché ha avviato collaborazioni che sono proseguite anche in
futuro, sia perché ha effettivamente consentito di approfondire l’ambito di interesse del
progetto da più settori disciplinari e da più punti di vista.
Circa le figure professionali coinvolte, al progetto hanno partecipato ricercatori e tecnici. I primi, provenienti dall’Università o dall’Istituto lattiero-caseario, hanno
avuto un ruolo di impostazione dell’indagine e di analisi delle informazioni raccolte,
i secondi, provenienti dalle associazioni dei produttori e dalle comunità montane,
hanno rappresentato le istanze dei produttori e si sono recati presso le aziende per le
rilevazioni e i prelievi. Tutto sommato al gruppo di lavoro hanno partecipato fino a 30
persone, del cui coordinamento effettivo si sono curati i rappresentanti dell’Assessorato.
Considerando gli obiettivi del progetto e i risultati raggiunti, è ragionevole pensare che gli imprenditori agricoli piemontesi non siano stati, né lo siano ora, consapevoli della realizzazione del progetto. Come si evince anche dall’analisi del contesto,
alcuni elementi di razionalizzazione e organizzazione nella gestione degli allevamenti e nella caseificazione, che lo studio ha segnalato, sono poi stati oggetto di interventi normativi e di investimento che la Regione ha promosso per altra via e nei quali gli
imprenditori sono stati coinvolti in prima persona. Il progetto “Caratterizzazione della Toma”, tuttavia, ha preparato il terreno a questi interventi soprattutto presso l’associazionismo agricolo e presso i tecnici e quindi ha consentito alle successive iniziative di trovare un contesto preparato e consapevole (acquisizione di competenze).
3.6.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto
Lo studio sulla Toma Piemontese si è concluso con la produzione di due pubblicazioni. La prima corrisponde al rapporto finale dello studio e contiene tutti i
risultati con notevole dettaglio ed anche un importante ausilio di grafici e immagini; la seconda intitolata “Toma Piemontese – Guida pratica alla caseificazione” ha
l’obiettivo di fornire ad allevatori e casari le informazioni essenziali scaturite dal
progetto che possano essere loro utili per migliorare l’attività produttiva. Entrambe le pubblicazioni sono state inviate ai produttori di Toma.
121
Non sono stati realizzati convegni o seminari, né organizzate altre iniziative
di approfondimento e confronto (riunioni, formazione).
Schema 3.11 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio
Potenzialità
a. Natura delle innovazioni:
- razionalizzazione della produzione con
risvolti positivi sui costi
Vincoli
a. Natura delle innovazioni:
- prodotto difficilmente tipizzabile
b. Elementi di contesto:
- miglioramento qualitativo del prodotto
- tradizione casearia locale
- riconoscimento del prodotto da parte del
- prodotto caseario di massa
consumatore
- incremento quote di mercato
b. Elementi di contesto:
- sempre maggior interesse ai prodotti tipici
- normativa nazionale ed europea che offre
opportunità
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- presenza di strutture associative attive
(associazioni produttori, Consorzio tutela
ecc.)
- presenza di tecnici di riferimento
122
c. Aspetti metodologici e organizzativi:
- utilizzo di strumenti di divulgazione, le due
pubblicazioni, di scarsa efficacia rispetto
all’adozione di un’innovazione
CAPITOLO 4
IPOTESI SUI PERCORSI E SULLA DIFFUSIONE DELLE
INNOVAZIONI
Questo capitolo illustrerà le prime ipotesi che possono essere formulate sulla
diffusione dei risultati delle ricerche oggetto del presente studio.
Gli elementi conoscitivi sin qui raccolti consentono infatti di formulare una
serie di previsioni sia sulla diffusione delle innovazioni prodotte sia sul ruolo rivestito dai progetti di ricerca stessi nell’ambito del sistema della conoscenza piemontese.
La costruzione e la descrizione delle suddette ipotesi sarà utile per rendere
palese il modello interpretativo utilizzato nello studio e per discuterne le componenti. Il successivo confronto con i risultati dell’indagine su campo permetteranno sia di
rispondere alle finalità dello studio sia di sperimentare la validità del modello.
4.1
Dal modello di diffusione al modello di relazione
Come è stato argomentato da più di un autorevole autore (Nitsch 2000, Brunori 2001) e si è avuto modo di precisare in più di un’occasione dallo stesso INEA
(INEA 1998, 2000, 2003), le modalità di trasferimento delle innovazioni che hanno
avuto tanto successo negli anni 50 e 60 e che prevedevano, secondo un modello a
cascata, prima l’ideazione da parte di un istituto di ricerca, poi la traduzione in
soluzione operativa da parte di un’agenzia con competenze tecniche e, infine, l’adozione da parte dell’imprenditore, hanno palesato tutta la loro inefficacia. Le motivazioni sono molteplici e vanno dalla diversa fase politica, sociale ed economica che
ha attraversato l’agricoltura negli ultimi decenni rispetto a quegli anni (boom economico, fiducia incondizionata nei risultati applicativi del progresso tecnologico,
ampi margini di miglioramento della produzione, ecc.) alla consapevolezza che
quel modello produce uno sviluppo ineguale delle imprese e dei territori ben lontano dall’obiettivo di sviluppo sostenibile perseguito dalle politiche agricole dei Paesi europei.
Dall’analisi sistematica delle inefficienze di quel modello si è venuto formulando un altro approccio che si è implementato e arricchito nel tempo e che forse
ancora si arricchisce di spunti derivanti dalle osservazioni empiriche e sperimentali, il modello denominato “di relazione”.
123
Uno dei principi di fondo della nuova impostazione è la necessità imprescindibile, quando si vuole produrre sviluppo, di partire dai bisogni dell’utenza e di considerare l’acquisizione dell’innovazione da parte di imprese e territori come un processo di apprendimento comune che coinvolge le imprese stesse come gli scienziati
e i tecnici. Le prime, infatti, sono anch’esse detentrici di una conoscenza non codificata che nasce dall’esperienza e dalla sperimentazione dei processi produttivi. Essa si
arricchisce con l’innesto della conoscenza scientifica e sistematica degli uomini di
scienza, che a sua volta è arricchita dalle evidenze della prassi operativa. Spesso è stato verificato, anche in ambiti non agricoli, come il successo di
un’impresa sia stato determinato più dalla capacità imprenditoriale di unire insieme
le due tipologie di conoscenza che dall’acquisizione neutrale di un’innovazione dall’esterno.
Il primo modello costringeva coloro che si occupavano di diffusione a concentrarsi sulle caratteristiche delle innovazioni e a flettere le esigenze degli agricoltori alle loro caratteristiche; viceversa il secondo mette al centro le necessità delle
imprese, cui si sono aggiunti negli ultimi anni quelle dei territori, e prevede che siano le innovazioni e chi le produce ad adattarsi alle loro esigenze. In questa logica, nell’individuare le direttrici di sviluppo tecnico ed economico di una area rurale e nella
scelta della innovazioni da promuovere, diventano di estrema importanza i fattori di
contesto e personali che condizionano e vincolano le scelte dell’imprenditore; tali fattori, infatti, possono rischiare di rendere vano o inutile anche il più innovativo degli
interventi.
A rendere più complessa l’impostazione di un’attività di sviluppo è intervenuto negli ultimi anni un ulteriore elemento di giudizio che è quello della società civile. Il cittadino ha cominciato a chiedere all’agricoltura, in cambio del sostegno finanziario che le viene accordato dalle politiche europee, servizi diversi da quello alimentare (ricreativi, di salvaguardia del territorio) e maggiore attenzione all’impatto
ambientale dell’attività produttiva. Pertanto, la scelta delle innovazioni da diffondere e da sostenere deve essere gestita tenendo conto di un altro livello di discrezionalità che comporta l’uso di strumenti operativi e competenze molto specifici.
L’analisi dei percorsi delle innovazioni oggetto del presente studio e dei loro
risultati di diffusione verrà, quindi, realizzata facendo riferimento al modello “di
relazione” verificando quali aspetti sono riscontrabili nelle scelte procedurali, nei contenuti e nelle modalità organizzative utilizzate dai soggetti coinvolti.
Gli elementi del modello che saranno presi in considerazione sono i seguenti:
- strategie per la gestione di sistemi complessi (piattaforme di negoziazione);
124
- contenuti rispondenti ai bisogni dei destinatari;
- procedimento circolare per la programmazione delle attività in cui i diversi soggetti collaborano nel definire le scelte e nel valutarle (processo comune di
apprendimento);
- modalità consone alle possibilità e precondizioni dei destinatari.
Inoltre, con riferimento all’analisi di contesto e alla necessità di verificare
vincoli e opportunità determinati dalle condizioni generali e specifiche in cui si
muovono le imprese e le comunità rurali, si è ritenuto di utilizzare lo schema proposto a suo tempo (2000) da Ulrich Nitsch nel testo INEA/CIFDA Sicilia Sardegna
“Metodologia della divulgazione”.
Schema 4.1 - Componenti dello schema decisionale di un imprenditore agricolo nell’adozione di un‘innovazione secondo il modello di relazione
Fattori individuali
Fattori situazionali
Conoscenza
Propensione all’azione
Educazione
Valori
Possibilità
Età
Esperienze
Credenze
Salute
Atteggiamento verso
Propensione al rischio,
Istruzione
tecnica e scienza
al credito, all’ambiente
Localizzazione dell’azienda
Situazione familiare
Capitale
Interazione sociale
Valori della famiglia
Dimensioni aziendali
Norme e sanzioni dei
Localizzazione
gruppi di riferimento
dell’azienda
Clima
Terreno
Fattori istituzionali
Accesso a e qualità
Valori della società
Accesso al credito
dei servizi
Politiche governative
Politiche governative
Situazione del mercato
Disciplinari e codici
di comportamento
Situazione di mercato
Fonte: Nitsch, 2000
4.2
Prime ipotesi circa la diffusione dei risultati delle ricerche piemontesi
Le ipotesi sulla maggiore o minore probabilità della diffusione dei risultati
delle ricerche finanziate dalla Regione Piemonte saranno formulate tenendo conto
di due livelli di analisi:
- l’ambito della promozione, gestione e sviluppo dell’attività di ricerca;
- l’ambito delle caratteristiche dei risultati della ricerca.
125
Questa scelta è determinata dalla necessità, insita nel modello di relazione stesso, di comprendere le possibilità di diffusione delle innovazioni dalle
motivazioni che muovono i soggetti coinvolti ad operare, ma anche dalla opportunità di tener conto del ruolo propositivo e partecipativo assunto dalla Regione
Piemonte nello scegliere i temi di ricerca, nel definire le modalità di conduzione delle ricerche e nel seguirne gli sviluppi in termini sia di contenuto sia procedurali.
Gli elementi del modello individuati sopra possono essere meglio adattati allo specifico caso applicativo utilizzando le denominazioni proposte di seguito che rispondono con maggiore coerenza alle esigenze di analisi pur conservando i contenuti concettuali.
a. Strategie per la gestione di sistemi complessi - Coinvolgimento sistema della conoscenza;
b. Contenuti rispondenti ai bisogni dei destinatari - Consonanza obiettivi ricerche – bisogni agricoltori;
c. Procedimento circolare per la programmazione delle attività in cui i diversi
soggetti collaborano nel definire le scelte e nel valutarle - Condivisione programmi, scelte, risultati;
d. Modalità consone alle possibilità e precondizioni dei destinatari - Idoneità
strumenti di informazione e divulgazione.
Ciascuno dei suddetti elementi corrisponde ad un ambito operativo composito che si esprime più o meno positivamente rispetto all’obiettivo (il coinvolgimento del sistema della conoscenza, la coerenza fra obiettivi e bisogni,
ecc.) a seconda che si realizzino una serie di condizioni. Sempre con riferimento al caso specifico e in modo che siano coerenti con gli obiettivi dello studio, di
seguito si propongono, per ciascun elemento, le condizioni che possono rappresentare meglio la sua espressione positiva. Quindi si cercherà di verificare la presenza o meno delle suddette condizioni nell’ambito delle ricerche finanziate
dalla regione Piemonte sulla base dell’analisi delle ricerche stesse, dei loro
risultati e del loro sviluppo realizzata nel capitolo precedente.
Coinvolgimento del sistema della conoscenza – Con questa espressione si
vogliono richiamare due aspetti cardine del modello di relazione: l’attivazione di
un processo comune di apprendimento fra i soggetti responsabili della produzione e della adozione dell’innovazione e l’utilizzo di modalità e strumenti per
la partecipazione alle decisioni di tutti i soggetti coinvolti, compresa la società
civile (piattaforme di negoziazione).
126
Le condizioni considerate influenti per l’espressione positiva di questo
obiettivo sono: la presenza di un partenariato composito nella realizzazione e
gestione della ricerca; l’utilizzo di altre forme di partecipazione dei soggetti
interessati, antecedenti, posteriori o parallele alla realizzazione del progetto; il
ruolo e la partecipazione delle diverse componenti con particolare riferimento al
maggiore o minore coinvolgimento.
Schema 4.2 - Coinvolgimento sistema della conoscenza
Progetti di ricerca
Confronto fra
sistemi colturali
Selezione clonale
per la vite
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Selezioni varietali
in frutticoltura
Selezioni varietali
in orticoltura
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
Partenariato misto
Partecipazione differita
o indiretta dei
potenziali partner
X
Partecipazione attiva
dei partner
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Consonanza obiettivi ricerche – bisogni degli agricoltori – Questa espressione
rappresenta la necessità di mettere al centro dell’intervento di sviluppo l’utente e/o il
gruppo di utenti e di considerare gli stessi nell’ambito del settore sociale ed economico
dove operano e nel territorio ove si situano.
Per semplicità ed esigenza di schematizzazione si suppone che le esigenze
degli utenti si possano esprime in termini tecnici, cioè legati ai contenuti operativi del
loro lavoro e ai risultati dell’attività produttiva, in termini economici, cioè dipendenti dai risultati reddituali, dalla solidità della performance dell’impresa, dalla collocazione dei prodotti sul mercato, in termini sociali, cioè relazionabili alla condizione
sociale dell’utente e/o al suo rapporto con le altre componenti della società civile.
Condivisione di programmi scelte e risultati – Questo ambito riguarda in particolare il processo di apprendimento comune evidenziando, in modo più forte del primo ambito, il ruolo dell’utente e volendone verificare il reale grado di coinvolgimento e consapevolezza.
127
Si compone delle seguenti condizioni, elencate in un ordine di coinvolgimento
crescente: la presenza nel progetto o nelle fasi seguenti alla sua realizzazione di
momenti di incontro e di confronto con le imprese; la verifica di un interesse consapevole e dichiarato dell’imprenditore; la richiesta esplicita da parte dell’utente (o di
gruppi organizzati) della prosecuzione dell’attività con la realizzazione di adattamenti dell’innovazione alle imprese.
Schema 4.3 - Consonanza obiettivi ricerche – bisogni agricoltori
Progetti di ricerca
Bisogni tecnici
Migliora il prodotto,
razionalizza la tecnica
Confronto fra
sistemi colturali
Selezione clonale
per la vite
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Selezioni varietali
in frutticoltura
Selezioni varietali
in orticoltura
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
Bisogni economici
Bisogni sociali
Riduce i costi,
Riduce l’impatto ambientale,
riduce l’incertezza, aumenta la sicurezza alimentare,
aumenta gli spazi
promuove lo sviluppo locale
di mercato
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Schema 4.4 - Condivisione programmi, scelte, risultati
Progetti di ricerca
Organizzazione momenti
di confronto e di feedback
con le imprese
Confronto fra
sistemi colturali
Selezione clonale
per la vite
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Selezioni varietali
in frutticoltura
Selezioni varietali
in orticoltura
Caratterizzazione
della Toma Piemontese
128
Interesse consapevole Prosecuzione progetto e/o
agricoltori
adattamento innovazione
ad imprese
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Idoneità degli strumenti di informazione e divulgazione – L’ambito riguarda
direttamente le iniziative poste in essere per realizzare strumenti di facilitazione
all’adozione dell’innovazione; si riferisce quindi alla verifica che le modalità di
approccio con l’utenza siano consone alle condizioni personali e situazionali di
imprenditori e popolazioni.
Le condizioni di cui si compone riguardano: la presenza o meno di una strategia nell’uso degli strumenti (quali, quanti e come); l’utilizzazione di più tipologie
di strumenti; la qualità e il linguaggio utilizzato; il numero di replicazioni del
medesimo strumento onde raggiungere tutti gli utenti interessati.
Schema 4.5 - Idoneità strumenti di informazione e divulgazione
Progetti di ricerca
Confronto fra
sistemi colturali
Selezione clonale
per la vite
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Selezioni varietali
in frutticoltura
Selezioni varietali
in orticoltura
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
Strategia
strumenti
Molteplicità
mezzi
X
Adeguatezza Numerosità Individuazione di
linguaggio
interventi una strategia di div.
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Le informazioni presenti nei documenti che descrivono i progetti di ricerca,
gli scambi di idee e pareri avuti mediante interviste ai ricercatori coinvolti e gli
scambi di notizie con i referenti regionali del progetto presso la Regione hanno reso
possibile una prima analisi delle diverse performance dei progetti rispetto ai principi del modello di relazione e consentono di costruire un primo profilo di ciascuna ricerca.
Come si evince dallo schema 4.6:
- il confronto fra diversi sistemi colturali in cerealicoltura mostra una buona impostazione e gestione degli aspetti legati al coinvolgimento dei soggetti e alla loro
effettiva partecipazione e un interesse spiccato per l’analisi dei bisogni dell’utenza, meno evidente è la cura del processo comune di apprendimento e delle
modalità di divulgazione;
129
- l’attività di selezione clonale della vite è ben inserita in un processo di apprendimento comune fra gli utenti del processo (ricerca, tecnici, imprenditori, vivaisti) peraltro realizzato fuori dal progetto, mentre non sembra operare in maniera coerente rispetto alla verifica dei bisogni degli utenti e delle modalità più consone per divulgare i risultati;
- la valorizzazione del Canavese rosso sembra partire da un’indubbia esigenza dell’utenza ben motivata e ricercata, ma non riesce a coagulare attorno a sé iniziative di coinvolgimento di soggetti, né a coinvolgere più di tanto i produttori;
- la selezione varietale in frutticoltura rivela un’ottima performance su tutti gli
aspetti;
- la selezione varietale in orticoltura mostra una buona consonanza fra bisogni e
obiettivi, ma non riesce a uscire da una impostazione un po’ tradizionale del rapporto con i tecnici e gli utenti;
- la caratterizzazione della Toma ha portato a casa buoni riscontri in termini di
piattaforma di negoziazione e di scelta degli obiettivi, ma non è riuscita ad arrivare alla consapevolezza degli imprenditori.
Schema 4.6 - Giudizio complessivo dell’adeguamento al modello di diffusione relazionale
Progetti di ricerca
Coinvolgimento
sistema della
conoscenza
Confronto fra
sistemi colturali
Medio –alto
Selezione clonale
per la vite
Medio-alto
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Basso
Selezioni varietali
in frutticoltura
Alto
Selezioni varietali
in orticoltura
Medio
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
Medio-alto
Consonanza
obiettivi-bisogni
Condivisione
programmi
scelte risultati
Idoneità mezzi
di diffusione
Alto
Basso
Medio
Medio
Medio-alto
Basso
Alto
Basso
Basso
Esemplare
Alto
Medio-Alto
Alto
Medio
Basso
Medio
Basso
Basso
Pertanto è possibile avanzare una prima ipotesi di diffusione attesa che vede
sicuramente positivo il risultato del progetto frutticolo e di selezione clonale della
vite, in una condizione di media diffusione, il progetto orticolo e quello cerealicolo,
con qualche difficoltà in più i due progetti di valorizzazione delle produzioni tipiche.
130
Livello di diffusione attesa:
1. Selezioni varietali in frutticoltura
2. Selezione clonale per la vite
3. Confronto fra sistemi colturali
4 Selezioni varietali in orticoltura
5 Caratterizzazione della Toma Piemontese
6 Valorizzazione Canavese rosso DOC
4.3
Confronto fra obiettivi/risultati delle ricerche e componenti situazionali/istituzionali dello schema decisionale dell’imprenditore
Gli elementi conoscitivi disponibili sui settori produttivi oggetto delle ricerche
analizzate permettono di arricchire lo studio delle ipotesi con ulteriori considerazioni.
In particolare, è possibile cercare di capire il peso economico che ciascun settore ha
nell’ambito dell’agricoltura piemontese e la performance, presso le imprese, dei singoli
processi produttivi in modo da verificare l’importanza relativa che risposte innovative
e di sviluppo potrebbero avere sulle esigenze generali dell’agricoltura e particolari di
alcune tipologie di imprenditori. Inoltre, si cercherà di verificare “l’ambiente” istituzionale di ciascun settore e/o produzione per capire se è coerente con le esigenze degli
imprenditori e può essere considerato o meno un rinforzo agli obiettivi delle ricerche.
Lo schema 4.7 cerca di sintetizzare i dati salienti emersi dalle analisi di scenario del capitolo 2 e li pone a confronto per dare meglio un’idea complessiva della situazione che si va ad analizzare (fattori situazionali).
E’ immediata la verifica dell’importante peso economico del settore viticolo per
l’agricoltura piemontese (in particolare nelle tre province oggetto di analisi) e della elevata numerosità di aziende che coinvolge. Si evince in maniera chiara anche il discreto reddito che la coltura della vite concorre a formare, pur se le aziende in media hanno una superficie vitata piuttosto ridotta. Un altro elemento chiave è il riscontro che i
costi non rappresentano un peso eccessivo nel complesso della produzione.
La scelta, quindi, di investire su un’innovazione che punti alla qualità e alla sicurezza dell’impianto del vigneto sembra essere vincente e sembra possa consentire di
mantenere e forse migliorare i margini di competitività che questa viticoltura si è faticosamente conquistati.
Anche i dati della cerealicoltura indicano chiaramente il grande peso economico del settore nell’ambito dell’agricoltura piemontese, tenendo anche conto che si è
131
analizzata in profondità la situazione di solo due province e che il dato regionale è più
di tre volte quello indicato in tabella. Ampio il numero di aziende con una superficie
media che è il doppio circa di quella vitata. Più problematici i dati economici delle
imprese: margini lordi nettamente inferiori e peso relativo delle spese specifiche quasi triplicato.
Anche in questo caso quindi, al di là dell’indubbio beneficio ambientale che
potrà derivare dalla diffusione di tecniche colturali a impatto ridotto, la scelta di sperimentare tecniche che riducano l’uso di fertilizzanti e presidi fitosanitari e la diminuzione della lavorazioni è sicuramente una delle poche possibilità di intervento per
recuperare margini di redditività. Se si vanno, infatti, a verificare nel dettaglio i dati dei
risultati economici al capitolo 2, è evidente come fra le spese pesino in modo particolare fertilizzanti e noleggi.
Il peso economico regionale di frutticoltura e orticoltura è sicuramente inferiore a quello dei settori precedenti, tuttavia, esse rivestono un’importanza relativa notevole in considerazione della compresenza di queste colture con altre produzioni (solo
il 43% delle imprese frutticole è specializzata). La numerosità delle imprese interessate
è di tutto rispetto, la superficie media per impresa bassa. Interessante risulta il dato del
margine lordo che mostra possibilità reddituali di tutto rispetto sui quali è fondamentale lavorare. La spese specifiche, di valore medio rispetto agli altri settori, mostrano
che c’è margine per ridurne ulteriormente gli importi, ma mostrano anche che si è già
operato per farlo.
Investire sulla selezione varietale in settori come la frutticoltura e l’orticoltura è
importante per mantenere e conquistare margini di competitività in un mercato mutevole e che richiede sempre più margini di qualità ad una produzione che è percepita
“sana” per il ruolo alimentare che ricopre.
Le due ricerche relative alla valorizzazione di prodotti tipici richiedono delle
considerazioni specifiche anche se i due settori produttivi di cui fanno parte sono molto distanti fra loro. Si tratta comunque di due settori chiave per l’agricoltura piemontese: del viticolo si è già detto, dello zootecnico ed in particolare della produzione di
formaggio, si può capire in maniera indiretta verificando il valore della produzione di
latte e considerando che circa il 65% viene caseificato.
La sensazione che si ha, invece, ad analizzare i due prodotti specifici (Canavese e Toma) è di avere a che fare con un target ridotto (soprattutto su Canavese) e soprattutto poco consapevole. Se si guarda poi al mercato la sensazione di inadeguatezza dell’investimento in ricerca cresce in quanto sembra evidenziarsi una collocazione del prodotto esigua e con poche esigenze di caratterizzazione.
132
Tuttavia, è importante considerare che la caratterizzazione delle produzioni
tipiche è il classico tema da “sviluppo rurale” inteso come promozione di area marginale, come tentativo di promuovere più settori produttivi con la spinta di uno solo. Possiede quindi le classiche caratteristiche di un target che esprime solo esigenze primarie e soprattutto portatore di domanda latente di sviluppo. Sostanzialmente il valore
economico e sociale di interventi come questi va misurato dopo molto tempo e riuscendo a tener conto di tante variabili anche poco vicine all’intervento stesso.
Il progetto sul Canavese ha avvicinato gli amministratori e i tecnici locali ai referenti della ricerca viticola regionale ed è stato motivo per la realizzazione di altre attività comuni.
Lo studio sulla Toma ha messo attorno alla stesso tavolo quasi tutta la filiera che
dalla produzione di latte arriva alla caseificazione e l’ha resa consapevole di tutta una
serie di problematiche di produzione che sono poi state oggetto di altri interventi,
oppure che ha visto gli stessi soggetti impegnati su tavoli diversi, ma per i medesimi
obiettivi.
Circa l’ambiente istituzionale, lo schema 4.8 mostra come sia stata costruita un’importante rete di interventi e di supporti attorno al settore vitivinicolo che
non ha eguali per nessun altro settore. Le iniziative regionali sono numerose e con
obiettivi diversi e quelle comunitarie sono calibrate tutte ad esigenze emergenti: una
nuova evenienza fitosanitaria, investimenti per le imprese, insediamento giovani e
commercializzazione.
Gli interventi rivolti agli altri settori sono stati soprattutto di tipizzazione della produzione e di salvaguardia delle realtà locali quando hanno avuto un’impronta regionale e di recepimento di normative comunitarie e nazionali nel caso di provenienza esterna.
Volendo quindi prevedere l’influenza dei fattori situazionali e istituzionali alla
diffusione delle innovazioni si potrebbe ipotizzare la seguente condizione:
- quella delle selezioni clonali in viticoltura è l’innovazione che ha l’ambiente più
favorevole da ogni punto di vista;
- i sistemi di coltivazione dei seminativi dovrebbero riscontrare un elevato interesse
economico dell’imprenditore;
- le selezioni varietali in frutticoltura e orticoltura dovrebbero avere una diffusione
media;
- i due progetti di valorizzazione non dovrebbero essere molto conosciuti dagli
imprenditori, che tuttavia dovrebbero mostrare una discreta evoluzione dell’attività
produttiva.
133
134
(**) Produzione totale di frutta
(*) Solo cereali, non disponibile il dato per la soia
3.510 latte
8.411
8.243
260.018 latte
(5.500 Toma)
7.631
8.485
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
12
49
22.756
36.511
Valorizzazione Canavese
rosso DOC
Selezioni varietali
141.699 (**)
in frutticoltura
Selezioni varietali
185.148
in orticoltura
155.226
Dati strutturali comparti
Superfici
Aziende
(ha)
(n.)
45.232
234.052 (*)
Produzione prezzi
base PPB (.000)
420.089
Selezione clonale
per la vite
Confronto fra
sistemi colturali
Progetti di ricerca
899 frum.
1.321 mais
928 soia
6.354
27 pesco
27 melo
120 fagiolo
236 asparago
102 peperone
63 pomodoro
510 formaggio
11,6 frum.
11,5 mais
20,1 soia
47
10,9 pesco
16,3 melo
19,8 fagiolo
7,9 asparago
15,0 peperone
22,9 pomodoro
25,6 frum
26,8 mais
24,3 soia
8,3
Risultati economici prodotti
Margine lordo
Prezzo di
Spese
( /ha)
vendita (/q)
specifiche/prod
lorda unit. (%)
5.994 pesco
6.557 melo
Torino,
2.665 fagiolo
Asti,
4.955 asparago
Alessandria, 11.019 peperone
Cuneo
13.292 pomodoro
Torino
196
Cuneo
(Margine lordo
Biella
/ SAU foraggera)
Cuneo
Asti
Alessandria
Cuneo
Torino
Torino
Cuneo
Province
coinvolte
Schema 4.7 - Fattori situazionali: confronto fra indicatori strutturali ed economici dei diversi comparti
Schema 4.8 - Fattori istituzionali: confronto fra le iniziative di promozione per i
diversi comparti
Progetti di ricerca
Confronto fra
sistemi colturali
Selezione clonale
per la vite
Valorizzazione
Canavese rosso DOC
Selezioni varietali
in frutticoltura
Selezioni varietali
in orticoltura
(OP)
Caratterizzazione della
Toma Piemontese
Iniziative regionali
Difesa integrata
Monitoraggio e controllo
Flavescenza dorata
Distretto dei vini
Langhe Roero Monferrato
Anagrafe vitivinicola
Nuova disciplina delle
denominazioni di origine dei vini
Enoteca del Piemonte
Salvaguardia germoplasma
frutticolo (90 cv locali)
Indicazione geografica protetta
“mela rossa valli cuneesi”
Salvaguardia germoplasma
orticolo (30cv locali)
Denominazione di
origine protetta
“Toma Piemontese”
Iniziative comunitarie
Reg. CE 2078/89
Misure agroambientali PSR 2000/2006
Finanziam vigneti con Flavescenza
Misura U PSR
Attuazione del reg. CE 2200/96
e promozione e sostegno alle
Organizzazioni dei Produttori (OP)
Attuazione del reg. CE 2200/96
e promozione e sostegno
alle Organizzazioni dei Produttori
Attuazione DPR n 54 del 1997
“Produzione e immissione sul mercato
di latte e di prodotti a base di latte”
135
CAPITOLO 5
L’APPROCCIO RELAZIONALE NELL’INDAGINE VALUTATIVA: METODOLOGIE E STRUMENTI DI INDAGINE
L’approccio relazionale, adottato fin dall’inizio nello studio e di cui si è
ampliamente parlato in precedenza, è un punto di riferimento anche per quanto
riguarda gli aspetti metodologici. Il modo in cui si realizza un’indagine, infatti, è
strettamente legato alle finalità conoscitive della stessa, con un rapporto mezzi-fini
articolato e profondo (Dewey, 1949).
Per ricostruire un quadro del percorso delle innovazioni e per verificare il loro
utilizzo presso gli agricoltori, è stato, quindi, fondamentale – secondo la prospettiva adottata – raccogliere i punti di vista dei diversi soggetti coinvolti nel sistema e
indagare secondo una logica di complementarietà delle informazioni.
Lo studio ha, dunque, utilizzato strumenti quantitativi e qualitativi, con l’obiettivo di affiancare alla raccolta di dati oggettivi informazioni di qualità, posizioni, opinioni, esperienze. Infatti, l’analisi e la comprensione del successo di una serie
di innovazioni non può essere spiegato soltanto dal numero di imprese che le hanno adottate o dal numero di tecnici che ne conoscono le possibilità di utilizzo, ma
anche da altre informazioni importanti: le problematiche economiche e sociali delle imprese beneficiarie, le modalità organizzative e di lavoro dei tecnici divulgatori, le relazioni che intercorrono fra questi due ambiti e la rete dei soggetti coinvolti.
L’approccio qualitativo ha costituito un riferimento per tutta la ricerca, consentendo nella fase iniziale la realizzazione dell’indagine di sfondo e l’approfondimento delle innovazioni oggetto di studio e, successivamente, la raccolta delle
informazioni di dettaglio relative ai percorsi delle innovazioni stesse.
Tale approccio è stato esplicitato fin dall’inizio della ricerca come voluto e
necessario, chiarendo come per il gruppo di ricerca fosse fondamentale perseguire
l’obiettivo conoscitivo concordato attraverso la raccolta di informazioni adeguate
piuttosto che tramite il tentativo di recuperare dati oggettivi.
Senza voler ripercorrere tutte le tappe del dibattito su quantitativo e qualitativo, va infatti ricordato che la riflessione dei metodologi si è concentrata per molto tempo su questi due “miti” della sociologia: il mito dell’oggettività e quello dell’adeguatezza. Il primo è il riferimento principale dei sociologi quantitativi nel tentativo di raggiungere progressivamente una spiegazione oggettiva dei problemi. Il
137
secondo costituisce il punto di partenza dei ricercatori qualitativi intenti a comprendere le situazioni e a formulare ipotesi interpretative riconosciute come valide
dai soggetti cui si riferiscono (Pizzorno 1989).
Per Ferrarotti, l’utilizzo nella ricerca sociale del metodo qualitativo, e in particolare di quello biografico, permette di attribuire alla soggettività un valore di conoscenza. Si tratta però di “adottare categorie metodologiche prestabilite e rigide che
escludono dall’ambito della ricerca ciò che ad esse riesca estraneo anche quando risulti socialmente e politicamente di grande rilevanza” (Ferrarotti, 1981). Occorre, quindi, “attenersi a una metodologia come tecnica dell’ascolto, in cui fra ricercatori e
gruppo umano indagato si stabilisca, su un piede di parità, una comunicazione non solo
metodologicamente corretta, ma altresì umanamente significativa (essendo questa
significatività non un’aggiunta moraleggiante facoltativa, ma parte integrante e garanzia della correttezza metodologica)” (ibid., corsivo nel testo).
La scelta del metodo qualitativo, in questa ottica, si basa sulla necessità di
rivalutare il problema dell'esperienza nella ricerca sociologica e di adottare una prospettiva che si confronti con la natura interpretativo-relazionale dell'intero percorso di ricerca.
Potremmo dire che l'obiettivo è di "portare alla luce le persone che si celano
dietro l'immagine astratta dei soggetti" (Rampazzi, 2001, p. 442). Il riferimento
all'esperienza è dunque fondamentale e deve tener conto anche della specifica
situazione di ricerca che mette in rapporto le diverse esperienze per dar vita a una
relazione significativa, da esplicitare e raccontare.
Nella pratica della ricerca sociale, tuttavia, quantitativo e qualitativo si sono
spesso intrecciati, dando luogo a percorsi interessanti di approfondimento, anche
teorico. Se, infatti, sul piano delle prescrizioni metodologiche sembra profilarsi un
confine più netto, nella pratica di ricerca tali indicazioni raramente vengono seguite alla lettera.
Il percorso di ricerca
La ricerca è stata concordata e progettata con l’amministrazione regionale
competente ed ha visto un percorso articolato di definizione del disegno complessivo, che ha tenuto conto di diversi elementi e vincoli. Oltre a rappresentare uno
strumento conoscitivo per la Regione Piemonte, infatti, la ricerca ha costituito per
l’INEA un’occasione per approfondire sia gli aspetti teorici connessi all’approccio
cognitivo-relazionale sia quelli legati agli aspetti metodologici, secondo una logica di rimando mezzi-fini di cui si è parlato in precedenza.
138
Operativamente, un primo passaggio è stato quello di circoscrivere con molta accuratezza gli ambiti di indagine sia per quanto riguarda le innovazioni di cui
seguire il percorso sia per quanto riguarda i territori nei quali indagarne l’applicazione e l’utilizzo. In questo modo, infatti, è stato possibile studiare da diversi punti di vista (tecnico, economico, sociale, comunicativo) le dinamiche che hanno
favorito od ostacolato le scelte di adozione o di non adozione.
Successivamente si è proceduto con un’analisi desk delle innovazioni e dei
territori interessati dall’indagine, realizzando degli studi specifici. Parallelamente si
è proceduto con la realizzazione di alcune interviste a testimoni privilegiati (ricercatori, responsabili regionali e delle OOP, ecc.) per individuare le aree problematiche più rilevanti ai fini della fase successiva di indagine.
Sulla base degli elementi emersi è stato possibile procedere alla definizione
della fase di indagine sul campo, con la messa a punto degli strumenti: il questionario a risposte chiuse per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, le interviste in
profondità e i gruppi focus per quanto riguarda quelli qualitativi.
Le interviste in profondità sono state realizzate a testimoni privilegiati, scelti di volta in volta tra quanti hanno svolto un ruolo all’interno del processo di ricerca e diffusione dell’innovazione e sono state realizzate sulla base di una traccia
comune, pur tenendo conto delle differenze riguardanti le diverse innovazioni prese in esame.
Una prima parte dell’intervista era indirizzata al recupero di informazioni
riguardanti il soggetto intervistato e il suo ruolo nell’organizzazione di appartenenza, qualora non fosse un imprenditore agricolo; una seconda parte era finalizzata
all’analisi dell’innovazione (conoscenza dell’innovazione, del percorso, dei soggetti
coinvolti; partecipazione alla sperimentazione; conoscenza degli sviluppi e delle
principali problematiche; ecc.); un’ultima sezione, infine, riguardava le prospettive del settore con particolare attenzione alle innovazioni da introdurre (per un dettaglio si veda la traccia in allegato).
In totale, sono stati realizzate 33 interviste a testimoni significativi e 5 gruppi focus, attraverso i quali sono stati raggiunti 29 tecnici delle province e delle organizzazioni professionali.
In particolare, attraverso le interviste è stato possibile individuare le situazioni problematiche e le esperienze significative in relazione all’oggetto di indagine, con una maggiore profondità di analisi rispetto ad altri strumenti. In questa ottica, non è importante avere un grande numero di interviste (nel tentativo di emulare l’indagine di tipo quantitativo), anche perché dopo pochi colloqui gli argomenti tendono a ripetersi. Nel nostro caso, ad esempio, già dopo 4-5 interviste le infor139
mazioni fornite dai soggetti sono apparse ridondanti. D’altra parte, lo scopo dell’intervista non è vedere quanto opinioni e problemi siano diffusi nella popolazione, ma individuare situazioni problematiche, buone prassi, soluzioni innovative nel
contesto analizzato.
Confronto sistemi di coltivazione
Canavese Rosso DOC
Toma
Selezione clonale vitigni piemontesi
Orticoltura
Frutticoltura
Soggetti intervistati
Responsabile sperimentazione della scuola agraria di
Lombriasco
Responsabile assistenza tecnica CAPAC
Responsabile assistenza tecnica cerealicoltura Provincia
Cuneo
2 Assistenti tecnici Unione agricoltori
Contoterzista Pralormo
Responsabile assistenza tecnica provincia Torino
Presidente di una cantina sociale
Tecnico di una cantina sociale
Imprenditore
Rappresentante associazione provinciale allevatori
Tecnico Comunità montana
Responsabile ricerca Ass. Produttori latte
Docente e tecnico Istituto tecnico Caseario
Tecnico INOQ
2 Vivaisti
Viticoltore che ospita fasi della selezione
Responsabile del nucleo di premoltiplicazione
Tecnico del nucleo di premoltiplicazione
Tecnico di vigna
Responsabile vigneto azienda
Responsavbile ufficio prov. Servizio
controllo vivai
Responsabile assistenza tecnica Coldiretti Provincia di Asti
Tecnico studio privato Sata srl Cadir Lab (Quargnetto)
2 tecnici funzionari provincia Alessandria
tecnico ditta sementiera Clause sementi
Presidente Asprofrut
Frutticoltore che ospita la sperimentazione (Lagnasco)
Responsabile settore frutticoltura provincia Cuneo
Presidente cooperativa PAV (Verzuolo)
Il secondo strumento utilizzato nella fase qualitativa della ricerca è stato il
gruppo focus. Si tratta di una sorta di “intervista di gruppo”, che consente di discutere con un gruppo di persone un tema definito; la discussione è centrata su un
140
oggetto specifico (focus) e ha la finalità di approfondire la questione attraverso lo
scambio tra diversi soggetti.
Anche nel caso del gruppo focus, come per le interviste, bastano pochi
incontri per raccogliere le informazioni necessarie ad approfondire l’argomento. In
genere, dopo 3-4 incontri ci si trova, infatti, in una situazione di ridondanza delle
informazioni.
Nel caso specifico sono stati realizzati 5 gruppi focus con i tecnici coinvolti nella divulgazione delle innovazioni oggetto di indagine, durante i quali sono stati analizzati i percorsi seguiti, le problematiche rilevanti, i risultati e le prospettive
di lavoro.
Per quanto riguarda la parte quantitativa dell’indagine, è stato predisposto un
questionario indirizzato agli imprenditori agricoli della regione finalizzato alla raccolta di informazioni su:
- le caratteristiche dell’azienda e dell’imprenditore;
- i cambiamenti effettuati negli ultimi anni, le motivazioni e i risultati;
- le modalità con cui l’imprenditore si informa e si confronta;
- le difficoltà attuali.
I criteri adottati per l’individuazione del numero di aziende agricole per ogni
ambito di indagine sono stati:
1. il numero di aziende del comparto nelle aree target;
2. la PLV del comparto rispetto alla PLV agricola;
3. le aree di riferimento:
- per il Confronto sistemi di coltivazione: zona pianura di Cuneo e Torino;
- per il Canavese Rosso DOC: zona del Canavese;
- per la Toma: Biellese, Alto canavese, Val di lanzo, Val di Susa , Pianura di
Cuneo e Torino;
- per la Selezione clonale vitigni piemontesi: Langhe, Monferrato;
- per l’Orticoltura: Cuneo Boves Bra;
- per la Frutticoltura: Saluzzo, Cavour, Borgodale.
In questa fase è stato raggiunto un numero di soggetti più amplio, proprio per
consentire – attraverso un campione rappresentativo della realtà piemontese – l’analisi della diffusione delle innovazioni presso gli imprenditori e il confronto delle diverse situazioni con particolare attenzione alla presenza o meno delle innovazioni oggetto di studio.
141
Sono stati, infatti, raggiunti attraverso il questionario 254 imprenditori agricoli, distribuiti tra i diversi settori produttivi interessati dalle innovazioni prese in
esame (tabella 5.1).
Tab. 5.1 - Imprenditori raggiunti con questionario per innovazione
Innovazione
Selezione clonale
Canavese
Confronto sistemi colturali
Toma 29
Frutticoltura
Orticoltura
Totale
Numero imprenditori
60
5
76
11,4
45
39
254
%
23,6
2,0
29,9
17,7
15,4
100,0
Un ultimo gruppo focus è stato realizzato con il personale dell’assessorato
coinvolto nella gestione e nel monitoraggio del progetti di ricerca finanziati dall’amministrazione, con l’obiettivo di approfondire alcuni aspetti dell’esperienza
piemontese e in particolare le specificità nella gestione dei progetti, e discutere i
risultati della ricerca secondo il modello di relazione.
Come abbiamo più volte detto, la ricerca è stata condotta con la combinazione di più approcci. La fase di indagine qualitativa ha prodotto materiale che,
dagli studiosi, viene definito “a scarso livello di standardizzazione”. Non è, infatti, possibile fare statistiche o generalizzazioni a partire dai contributi dei singoli soggetti intervistati, né assumere che il risultato di un gruppo focus possa sintetizzare
le posizioni di tutti i soggetti della categoria coinvolta. Tuttavia, i materiali accumulati (resoconti di gruppi focus e interviste) costituiscono una fonte di informazione preziosa, che è possibile analizzare con tecniche e procedure differenti. I
ricercatori generalmente procedono nell’analisi di materiale di questo tipo attraverso una lettura verticale (un’intervista dopo l’altra) di tutto il materiale raccolto,
fornendo interpretazioni spesso suggestive, ma – secondo altri - difficilmente comparabili tra loro. Ogni ricercatore, in genere, in questi casi può intraprendere strade diverse di lettura e produrre interpretazioni differenti. Proprio il fattore soggettivo, tuttavia, sembra essere fondamentale per un corretto utilizzo del materiale qualitativo. Va, infatti, reso esplicito il ruolo del ricercatore che, con le sue conoscenze, i suoi paradigmi e le sue visioni non solo può ma deve interpretare secondo i
suoi schemi le informazioni e i materiali raccolti per poter passare da una mera
descrizione della situazione a una sua lettura profonda.
142
In questi casi, e questa ricerca ne costituisce un esempio, è importante esplicitare i riferimenti e i modelli e ribadire, lungo tutto il percorso dell’indagine, la
relazione stretta che intercorre tra questi e la raccolta e analisi dei dati.
Pur facendo riferimento a contesti e situazioni specifiche l’approccio misto
quantitativo-qualitativo ha permesso di condurre un’analisi approfondita ed esauriente che può essere generalizzata a contesti più ampi, come dimostrato anche da
numerose ricerche condotte nei più diversi settori.
143
CAPITOLO 6
I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO7
6.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità”
Diffusione dell’innovazione
Dati strutturali del campione
n. aziende
Età conduttore:
fino a 40 anni
dopo 40 anni
Data costituzione: prima 1960
tra 1960 e 1990
dopo il 1990
75
22
52
7
Superficie aziendale: meno 10 ha
10 – 30 ha
Più di 30ha
Aziende che hanno effettuato
cambiamenti
33
34
8
45
36
30
L’innovazione più diffusa nell’ambito della tecnica colturale dei cerealicoltori
torinesi e cuneesi è quella varietale. Più della metà di coloro che hanno fatto cambiamenti (53%) ha modificato la varietà coltivata negli ultimi 5 anni.
Riguardo le fasi della tecnica oggetto del progetto di ricerca (cfr. tab. 6.1, par.
6.9 “I risultati dell’indagine su campo: tabelle statistiche”), la diminuzione delle quantità di concime (35,5%) e la diminuzione delle quantità di diserbante (31%) sono gli
aspetti della tecnica più modificati dopo la scelta varietale. La riduzione delle lavorazioni del terreno ha un’importanza residuale (13,3%).
In generale le imprese che hanno modificato il processo produttivo mostrano
una buona tendenza evolutiva se si considera che in media hanno realizzato due o tre
cambiamenti negli ultimi 5 anni.
Le evoluzioni strutturali di maggior peso (tab. 6.2) riguardano il parco macchi-
7
Il capitolo illustra i risultati dell’indagine su campo. Nei primi sei paragrafi (6.1-6.6) vengono descritti i dati
e le informazioni per progetto di ricerca e/o per comparto, nel paragrafo 6.7 viene presentata una sintesi delle risultanze salienti per progetto e un confronto fra i progetti, nel paragrafo 6.8 vengono illustrati i dati emergenti dal campione complessivo delle imprese contattate e le problematiche più generali che l’intera indagine ha consentito di rilevare. Nei paragrafi per progetto la prima parte è dedicata alla descrizione dei risultati dei questionari (diffusione dell’innovazione) e la seconda (i percorsi) all’analisi di quanto emerso dalle
interviste ai testimoni privilegiati e dai gruppi focus.
145
ne (44%) seguito dall’incremento di terreno ( 32,8%) nell’ambito del quale è l’acquisto preponderante sull’affitto.
Le motivazioni (tab.6.3) che hanno indotto circa la metà degli imprenditori ad
adottare le innovazioni suddette sono essenzialmente tre ed hanno la stessa importanza: aumentare il ricavo, ridurre i costi, migliorare la qualità del prodotto. Segue
l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento (31%) e dell’adeguamento dell’azienda alle norme (24%).
Più importante del miglioramento qualitativo per gli imprenditori oltre i 40
anni è la riduzione dell’inquinamento, mentre il miglioramento della qualità è la prima motivazione che muove gli imprenditori sotto i 40 anni.
In considerazione della numerosità di risposte (117) rispetto al numero di
coloro che hanno apportato cambiamenti (45), si evidenzia che esiste quasi sempre
una pluralità di motivi che ha spinto le scelte degli imprenditori, indice questo di
una buona consapevolezza e autonomia.
Questo aspetto sembra essere confermato dalla grande dispersione di frequenze riscontrata nella risposta alla domanda tesa ad individuare la fonte e/o la
causa delle modifiche al processo produttivo: il peso del ricorso ai tecnici, dell’interesse personale e del rapporto con strutture che producono l’innovazione è analoga (tabb. 6.4 e 6.5).
L’analisi dell’uso degli strumenti (tab. 6.6) che hanno fornito supporto
all’imprenditore per attuare il cambiamento mostra una maggiore specificità di
scelta: la metà degli intervistati ha usato riviste e notiziari, il 40% ha trovato supporto nell’ambito delle fiere, il 69% ha partecipato ad iniziative strutturate (prove
dimostrative o riunioni) realizzate da organismi di divulgazione e sperimentazione.
L’uso di Internet è ancora limitato (13%).
Differenti le tipologie di strumenti predilette dalle diverse fasce di età: gli
imprenditori più giovani leggono volentieri riviste e partecipano ai convegni, quelli più anziani prediligono le riunioni e le fiere locali.
Anche in questo caso sono stati indicati più strumenti da ogni intervistato
(almeno due). Questo aspetto è rilevante in quanto conferma che il percorso di
introduzione di un’innovazione per essere accelerato necessita di strumenti diversi ciascuno con una propria funzione specifica che va calibrata alle esigenze dell’utente.
L’inserimento nell’attività produttiva dei cambiamenti su menzionati non ha
impegnato in maniera rilevante gli imprenditori né dal punto di vista burocratico né
dal punto di vista tecnico (tab. 6.7); l’unico adeguamento rilevante circa la norma146
le attività di impresa ha riguardato le attrezzature così come evidenziato anche nel
quesito sull’evoluzione strutturale (tab 6.8).
Circa i risultati nel breve e nel lungo periodo, gli imprenditori hanno riscontrato:
- in un primo momento, un incremento delle spese con conseguente diminuzione
del reddito a cui si sono sommati subito un miglioramento della qualità del prodotto e una diminuzione del lavoro;
- a lungo termine (tab. 6.9), un rafforzamento del miglioramento qualitativo del
prodotto a cui ha corrisposto un aumento del reddito, anche se non in tutti i casi.
Le difficoltà incontrate dalle imprese cerealicole (tab. 6.10) in questa fase
riguardano essenzialmente la scarsa remunerazione dei prezzi spuntati sul mercato (77%) e l’adeguamento alle normative (33%). Per quanto riguarda il primo
aspetto, tale disagio è stato già evidenziato nell’analisi di scenario (par. 2.1) e nella verifica dei fattori situazionali (par. 4.3) ed è sicuramente il nodo su cui si giocherà nei prossimi anni la sopravvivenza del settore.
Fra gli imprenditori cerealicoli intervistati c’è stato anche un discreto numero di referenti che non ha fatto investimenti e modifiche negli ultimi 10 anni (40%).
Le motivazioni vanno dalla soddisfazione per l’andamento della propria impresa
(17%) all’età elevata del conduttore (26%) al costo elevato degli investimenti
(21,7%), alle difficoltà burocratiche (10,8%).
In questi casi il supporto per la gestione dell’impresa sono i familiari (44,6%)
e comunque anche i tecnici delle organizzazioni di riferimento (40%). Le modalità
per mantenersi aggiornati sono sempre gli incontri divulgativi e le prove dimostrative (41%) e la lettura di riviste e notiziari (29%); si riduce ulteriormente l’uso di
Internet.
Circa le difficoltà in cui versano le imprese l’opinione è la stessa del gruppo
degli innovatori: la difficoltà a vendere a prezzi remunerativi (50%).
I percorsi
Il progetto e le reti di relazione
Le interviste ai testimoni privilegiati e il gruppo focus con i tecnici ha confermato che il progetto di ricerca sui sistemi colturali a basso impatto è stata un’esperienza esemplare per la tipologia e numerosità di partecipanti e per i rapporti che
ha instaurato tra gli stessi.
147
I tecnici hanno menzionato un’interessante attività formativa di aggiornamento rivolta sia ai tecnici che agli imprenditori in cui i ricercatori coinvolti nel progetto sono stati docenti.
Significativa la riflessione del Direttore della scuola agraria che ha ospitato
le prove sperimentali il quale, facendo notare che le innovazioni proposte dal progetto richiedono dei cambiamenti di mentalità piuttosto radicali, ha sottolineato
l’opportunità di coinvolgere una struttura che forma i tecnici del futuro.
Il progetto di ricerca non ha tuttavia coinvolto il Consorzio cerealicolo
CAPAC che raccoglie e commercializza le produzioni di numerose cooperative
cerealicole piemontesi. Il Consorzio realizza con l’università, su finanziamento
della Regione, attività sperimentali ed è dotata di un gruppo di tecnici che svolgono assistenza e consulenza alle imprese associate (..i tecnici sono il principale veicolo delle informazioni ai soci…). Il coordinatore dei tecnici conosce e apprezza la
sperimentazione tenuta a Lombriasco anche se ha avuto modo di visionare solo a
gennaio – febbraio 2005 il materiale divulgativo che non è stato utilizzato per la
campagna 2005 in quanto le scelte erano già state fatte. Non sembrano esserci rapporti strutturati fra i tecnici del Consorzio e i tecnici delle Organizzazioni professionali.
I contenuti tecnici
Riguardo ai contenuti tecnici dell’attività sperimentale, sono quasi tutti concordi nel rilevare che pratiche colturali come la riduzione dei presidi e l’utilizzo della rotazione con una leguminosa saranno sicuramente più facili da diffondere rispetto alla riduzione o eliminazione delle lavorazioni. Quest’ultima innovazione troverà
grande difficoltà sia per la tradizione colturale locale che per gli obiettivi disagi produttivi che potrebbe creare, quali i maggiori rischi di tossine nel prodotto. E’ pur
vero che qualcuno ha anche sottolineato la scarsa abitudine dei tecnici a considerare
gli aspetti economici delle pratiche agricole e a valutare la convenienza economica di un’innovazione (…oltre ai vantaggi agronomici è importante dimostrare la
convenienza economica dell’introduzione di un’innovazione...). Secondo altri tale
pratica colturale potrà passare se la Regione prevedrà dei finanziamenti per gli agricoltori che la realizzeranno.
I tecnici erano pienamente consapevoli di aver assistito le imprese in un
grande sforzo di rinnovamento varietale (…in 15 anni abbiamo rivoluzionato il
grano in Piemonte sulla scelta varietale…).
148
Circa i possibili sviluppi futuri, tutti segnalano la necessità di incrementare
le attività sperimentali con riferimento alle esigenze degli imprenditori e indicano
tematiche come la concimazione fogliare e la necessità di allargare le rotazioni a
più colture con l’inserimento di colture industriali di maggior reddito (pomodoro
e barbabietola).
Strumenti e modalità di divulgazione
Le modalità di diffusione delle informazioni sono quelle classiche (…ci
sono le aziende leader che fanno da specchio per gli altri…. Se partono questi e la
sperimentazione va a buon fine gli altri li seguono…). I tecnici hanno a disposizione molto materiale cartaceo di vario livello e partecipano a momenti formativi
o a riunioni promosse dalle istituzioni (Regione o Provincia). Gli agricoltori vengono contattati dai tecnici anch’essi mediante materiale cartaceo (ritenuto poco
incisivo) e mediante riunioni o prove dimostrative.
I risultati del progetto non sono stati oggetto di una divulgazione strutturata e specifica. La Regione si è fatta carico di realizzare, a conclusione del progetto, materiale cartaceo di facile lettura.
E’ stata più volte citata l’occasione che gli imprenditori hanno avuto, durante un convegno di metà percorso, di visionare le prove sperimentali.
6.2
Ricerca “Valorizzazione del Canavese DOC rosso”
Diffusione dell’innovazione
La condizione del Canavese rosso DOC è molto particolare rispetto a quella
degli altri settori produttivi presi in considerazione dalla presente analisi. E’ una realtà
di nicchia, i produttori sono solo 12 e la produzione soltanto di circa 2000 quintali. Pertanto i risultati dei questionari somministrati a 5 viticoltori non possono avere la
valenza quantitativa che è possibile dare agli altri.
Tuttavia, le risposte ai questionari e i contenuti delle interviste ai testimoni privilegiati consentono lo stesso di verificare lo stato di diffusione dell’innovazione e le
modalità di lavoro del sistema della conoscenza anche se solo in termini qualitativi.
Le innovazioni più diffuse fra i produttori di Canavese rosso DOC riguardano
la struttura dell’impianto (sesti e forma di allevamento) e il vitigno; nell’ambito della
fase di vinificazione il cambiamento più diffuso è la produzione di vino imbottiglia149
to. Residuale la modifica degli uvaggi .
Le motivazioni che hanno indotto i produttori ad innovare riguardano in egual
misura il miglioramento della qualità del prodotto e l’aumento del ricavo aziendale.
Sulle scelte legate alla produzione del vino i produttori intervistati si affidano
ai tecnici provinciali e delle associazioni di categoria di riferimento e si informano
anche presso esperti di loro fiducia.
Circa gli strumenti che gli hanno fornito supporto per l’introduzione dei cambiamenti, i viticoltori indicano soprattutto le fiere e, fondamentalmente, i luoghi dove
c’è un confronto con altri operatori del settore e con gli altri produttori.
I produttori di Canavese rosso, come gli altri viticoltori, sono soggetti a numerosi controlli e verifiche da parte della struttura pubblica, soprattutto in fase di reimpianto, pertanto gli intervistati hanno segnalato di aver dovuto affrontare adempimenti
burocratici riscontrando alcune difficoltà sia nella produzione della documentazione
che per l’ottenimento delle autorizzazioni.
I risultati dei cambiamenti attestano un sostanziale raggiungimento degli obiettivi in quanto viene segnalato sia il miglioramento della qualità della produzione che
l’acquisizione di nuovi canali di vendita.
I percorsi
Il progetto e le reti di relazione
Lo studio per la valorizzazione del Canavese rosso DOC è conosciuto dai
soggetti della filiera che operano nel territorio; alcuni (produttori e cantine) hanno
anche partecipato alle fasi di analisi dei vini e alle valutazioni degli uvaggi. Tuttavia, sembrano non esserci stati effetti e/o ricadute particolari in quanto coloro che
producono Canavese e reimpiantano non usano criteri coerenti con le indicazioni
emerse nella ricerca.
La Provincia, in autonomia rispetto alla Regione, si interessa a garantire
l’assistenza tecnica alle imprese viticole del Canavese mediante un tecnico assunto di recente e finanziando un progetto di consulenza alla Vignaioli Piemontesi
(associazione dei produttori). Inoltre, sempre la Provincia ha istituito un tavolo tecnico con la presenza di tecnici provinciali, Organizzazioni professionali e dell’associazione produttori, il Consorzio di tutela e l’Università che ha l’obiettivo di coordinare le iniziative di assistenza tecnica.
La Provincia non è a conoscenza delle iniziative di ricerca e sperimentazione promosse dalla Regione.
150
I contenuti tecnici
Secondo coloro che sono stati contattati, il vino Canavese rosso è un ottimo
vino che negli ultimi anni è migliorato qualitativamente e che potrà avere uno sviluppo perché alcuni reimpianti di vigneti nella zona sono stati realizzati con l’obiettivo di inserirli nella produzione.
Il vero problema sottolineato da tutti è la sua riconoscibilità sul mercato: è
noto solo a livello locale o, al massimo, provinciale (Torino), quando viene proposto ai grandi distributori non lo vogliono perché non è conosciuto come il vino del
Monferrato e delle Langhe.
Due sono quindi le prospettive indicate dagli intervistati: intensificare l’attività di marketing e continuare a sostenerne la produzione mediante la consulenza
per salvaguardare il territorio e il paesaggio.
Strumenti e modalità di divulgazione
I risultati del progetto di ricerca non sono conosciuti; i soggetti intervistati
riferiscono di non aver mai visto il documento conclusivo del lavoro.
6.3
Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura”
Diffusione dell’innovazione
Dati strutturali del campione
n. aziende
Età conduttore:
60
fino a 40 anni
dopo 40 anni
Data costituzione: prima 1960
tra 1960 e 1990
dopo il 1990
15
45
19
25
Superficie aziendale: da 0,5 a 2 ha
3 – 6 ha
7 – 10 ha
Più di 10 ha
Aziende che hanno
effettuato cambiamenti
2
11
26
21
57
15
Il primo elemento che emerge è la grande dinamica innovativa delle imprese intervistate, su 60, 57 hanno apportato cambiamenti nel processo produttivo dal
1990 ad oggi. La media dei cambiamenti realizzati è pari a 8-9 per azienda.
L’innovazione più diffusa (tab. 6.11) riguarda l’acquisto di materiale certifi151
cato per l’impianto del vigneto (89%). Solo il 35% degli intervistati ha cambiato
vitigno; più diffusa invece la scelta di cloni diversi del medesimo vitigno. I vitigni
che hanno avuto un maggior turnover di cloni sono stati: Barbera (55%), seguito da
Moscato (41%), da Nebbiolo (32,7%) e da Dolcetto (24%).
Non tutte le imprese sono state in grado di indicare la sigla del clone utilizzato, tuttavia, coloro che lo hanno indicato non hanno utilizzato nessuno dei cloni
scelti per l’analisi della ricerca.
Gli altri cambiamenti realizzati nel processo produttivo riguardano: le modalità di esecuzione dei trattamenti antiparassitari (65%), le modalità di spandimento e le quantità di concime (59,6%), le modalità di diserbo (56,9%), la meccanizzazione degli interventi in verde (54%), la quantità di antiparassitari (52,6). Come
si può notare sono cambiamenti con un’alta frequenza di casi questo vuol dire che
c’è un’alta probabilità che tali cambiamenti siano stati realizzati insieme.
Fra le modifiche strutturali (tab. 6.12), la più importante riguarda l’acquisto
di trattrici (87,7%) seguita dall’acquisto di terreni (68%), dall’acquisto di macchine operatrici e dall’incremento delle costruzioni per le produzioni (50,8%).
La motivazione che più di altre ha indotto ai cambiamenti (tab. 6.13) su citati è stata il miglioramento della qualità del prodotto (80,7%). Seguono, con un peso
analogo l’adeguamento dell’impresa alle norme e la riduzione dei costi (38,5 %). Di
una certa importanza anche la riduzione dell’inquinamento (29,8%). La coscienza
di mantenere alto il livello qualitativo delle produzioni per conservare il vantaggio
competitivo acquisito nel tempo è ben presente fra le imprese viticole piemontesi.
Nella scelta dei cloni e dei vitigni gli imprenditori viticoli (tab. 6.14) hanno
dimostrato una grande tendenza all’autonomia (51,7% aveva un interesse personale); il ruolo dei tecnici è importante in quanto sono stati coinvolti nel 44,8% dei casi,
tuttavia si può notare la prevalenza all’azione attiva dell’imprenditore (ho contattato 34%, sono stato sensibilizzato 10%) e la scelta di tipologie diverse di tecnici.
Un altro elemento interessante è verificare il peso dell’effetto imitazione
sulle scelte dell’imprenditore. Non pesa molto in assoluto (mediamente il 14,6%),
ma la sua importanza è circa il doppio nel caso di modifiche della tecnica colturale rispetto alle modifiche del vitigno.
I notiziari e le riviste sono gli strumenti (tab. 6.15) che gli imprenditori usano di più per informarsi sulle innovazioni che li interessano, alta anche la frequenza a momenti strutturati di divulgazione (46% di cui il 55% sono attività dimostrative il 45% riunioni di approfondimento). Bassa l’efficacia dei convegni e scarso
l’uso di Internet.
152
Per le imprese viticole piemontesi l’attuazione dei numerosi cambiamenti
citati ha comportato uno sforzo di adeguamento importante (tab. 6.16). Infatti,
sono numerose le imprese che hanno dovuto affrontare difficoltà burocratiche
(86%) con particolare riferimento ai tempi lunghi per ottenere la documentazione
necessaria (41%) e alla predisposizione di quanto richiesto dagli uffici preposti
(28,5%). Meno pressanti le difficoltà tecniche (39%), ma lo sforzo di adeguamento dell’impresa (tab. 6.17) è stato importante soprattutto in termini di organizzazione aziendale (37%) e di attrezzature ( 29,6%).
Rispetto agli effetti provocati dai cambiamenti, gli imprenditori hanno potuto verificare che nell’immediato c’è stata una diminuzione del lavoro (50%) e un
miglioramento della qualità del prodotto (39,6%), nel lungo periodo (tab. 6.18) si
è incrementato l’effetto sul miglioramento qualitativo del prodotto (43%), si è
ridotto l’effetto di diminuzione del lavoro (8,6%) ed è emerso un incremento del
reddito anche se solo per una parte degli intervistati (17,2%).
Le difficoltà incontrate dei viticoltori piemontesi ( tab. 6.19) in questa fase
sono di estremo interesse in quanto rappresentano una peculiarità di questo settore. Al primo posto troviamo “l’adeguamento alle normative” (39,6%), al secondo
“la difficoltà a trovare personale competente” (34,4%) e solo al terzo”la difficoltà
a vendere” (31 %). Una interpretazione che se ne può dare è che il settore, in fase
di espansione e assestamento dei benefici conquistati, incontra più disagi negli
aspetti che ne condizionano la dinamicità, come l’appesantimento burocratico e la
mancanza di personale, che nelle classiche difficoltà di mercato di gran parte dell’agricoltura.
I percorsi
Il progetto e le reti di relazione
L’attività di selezione clonale è nota ed è apprezzata a tutti i livelli (vivaisti,
tecnici, funzionari, associazioni imprenditori, privati).
Coloro che hanno il contatto più diretto con le istituzioni di ricerca sono i
vivaisti (... se ho bisogno di conoscere i cloni in via di omologazione vado dai vivaisti…; io – vivaista - li conosco tutti a livello enologico di degustazione prima che
siano omologati…); i tecnici solo raramente hanno contatti diretti con le ricerca e
nutrono un po’ di diffidenza nei riguardi delle istituzioni che la rappresentano.
L’Associazione vignaioli, organizzazione dei produttori vitivinicoli piemontesi,
svolge attività di ricerca e sperimentazione con Università, CNR e Regione; ha una
153
rete di tecnici che fa consulenza ai propri associati anche sul materiale di propagazione ed è al corrente dei risultati delle ultime selezioni clonali (… le selezioni piemontesi sono molto valide e hanno una maggiore tipicità che dà competitività ai
vivaisti…).
Dalle interviste e dal gruppo focus emerge la sensazione che il settore manchi di una organica rete di relazioni fra le componenti del sistema della conoscenza, peraltro rappresentate da valenti professionisti ai diversi livelli (ricerca, formazione, divulgazione). Si percepisce la carenza di un ruolo di coordinamento, di linee
guida comuni, alcuni vorrebbero che questo ruolo venisse svolto dalla Regione
(…la Regione ha un Comitato vitivinicolo con lo scopo di garantire DOC e DOCG,
dovrebbe fare una cosa simile, fare una consulta della ricerca con tutti i rappresentanti…). Probabilmente l’importanza del settore per il Piemonte, i forti interessi economici che vi sono legati e la numerosità di figure tecniche che lo caratterizzano rende particolarmente difficile costruire una rete di relazioni stabile ed efficace.
I contenuti tecnici
Tutti i contattati hanno concordato sul fatto che l’utilizzo di materiale certificato sia un’innovazione matura per i viticoltori piemontesi. La bontà di questo tipo
di materiale di impianto è stata loro comunicata dai vivaisti, dai tecnici e dagli esponenti delle loro associazioni; inoltre per poter usufruire dei contributi finanziari previsti dalle politiche occorre dimostrare di aver usato materiale certificato per l’impianto.
Gli elementi problematici più segnalati sono: i tempi eccessivamente lunghi
della selezione e la scarsa disponibilità di materiale di propagazione da parte del
CePReMaVi. Circa il primo aspetto, si auspica l’avvio dell’utilizzo delle tecniche
di micropropagazione in vitro, mentre, per il secondo, si propone di associare i
vivaisti all’attività di premoltiplicazione incrementando così campi e materiale
prodotto. Tali problematiche hanno obiettivamente creato più di qualche problema:
ad esempio, i cloni migliorati di Nebbiolo sono stati licenziati quando il mercato di
queste marze era in calo perché gran parte dei nuovi impianti era stato portato a termine; altro esempio: c’è una grande richiesta del nuovo clone di Barbera CVT 83,
ma il centro di premoltiplicazione non né ha per coprire tutte le richieste.
Riguardo a nuovi sviluppi della selezione clonale, più di un intervistato
segnalava la necessità di dedicarsi ai vitigni minori.
154
Strumenti e modalità di divulgazione
Una forma di divulgazione più strutturata esiste per i vivaisti e tecnici in
quanto per loro ci sono pubblicazioni (degli Istituti di ricerca e della Regione), riunioni, prove di assaggio che confrontano i diversi cloni in prova. Meno strutturata
la divulgazione alle imprese che sostanzialmente avviene nel rapporto diretto con
il vivaista (soprattutto) e con il tecnico. Bisogna dire che trattandosi di un’innovazione matura e sulla quale c’è una diffusa sensibilità, probabilmente è proprio questa modalità la più efficiente. Sarebbe interessante tuttavia comprendere se esiste e
quanto è vasta la realtà delle imprese più marginali (... il livello di diffusione delle
selezioni clonali è direttamente proporzionale alla dimensione, imprenditorialità,
cultura e età…; qui c’è ancora qualcuno che non vuole la barbatella paraffinata…è
una tradizione aziendale…) e che margini ci sarebbero a rendere più remunerativa
la loro attività produttiva con l’introduzione del materiale certificato.
6.4
Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”
Diffusione dell’innovazione
Dati strutturali del campione
n. aziende
Età conduttore:
fino a 40 anni
dopo 40 anni
Data costituzione: prima 1960
tra 1960 e 1990
dopo il 1990
45
12
33
29
12
Superficie aziendale: meno 1 ha
1- 5 ha
5-10
Più di 10 ha
Aziende che hanno
effettuato cambiamenti
2
24
4
15
44
4
L’innovazione più introdotta dalle aziende frutticole è quella varietale, il
79,5% delle imprese contattate ha modificato le varietà coltivate negli ultimi 10
anni (tab. 6.20).
Con particolare riferimento alle varietà consigliate per le specie melo e pesco
nell’ambito del progetto di ricerca oggetto di analisi, si evidenzia che 1/3 delle
varietà dichiarate di melo, 1/4 delle varietà dichiarate di pesche comuni e il 40%
delle varietà dichiarate di pesche nettarine attualmente in coltivazione derivano dalle liste di programmazione della produzione 2002/2004. Si segnala che in alcuni
casi il produttore intervistato era al corrente del gruppo generale a cui le proprie
155
varietà afferivano (Gala, Fuji), ma non era in grado di fornire il nome preciso della varietà.
Anche il gruppo di imprese frutticole si caratterizza per l‘elevato livello di
innovatività avendo realizzato una media di 7 innovazioni ad impresa negli ultimi
10 anni. Dopo quello varietale, i cambiamenti del processo produttivo con più frequenze sono: la riduzione dei trattamenti parassitari (59%), la modifica della potatura e la vendita in proprio della produzione (54%), la modifica dell’impianto del
frutteto relativamente al numero di piante per ettaro (50%), le modifiche nel sistema di irrigazione sia rispetto alla modalità che alla quantità di acqua (43%). Si
segnala come particolarmente significativo, il cambiamento relativo all’acquirente
delle produzioni che potrebbe indicare un disagio, di circa la metà degli intervistati, rispetto al proprio organismo organizzatore della commercializzazione. E’
comunque un aspetto da approfondire in quanto la presenza di un associazionismo
attivo e propositivo è stato in più punti di questo lavoro segnalato come un valore
aggiunto del settore frutticolo. Naturalmente, l’interpretazione di questo dato può
essere anche diversa e indicare, ad esempio, la presenza di una produzione così qualificata che è il mercato a cercare gli imprenditori ancora prima che la loro cooperativa o associazione organizzi la commercializzazione. Va altresì sottolineato che
uno degli altri cambiamenti registrati, anche se con una frequenza inferiore, è la
scelta di conferire a consorzio o cooperativa (31,8%).
La modifica strutturale più importante (tab. 6.21) ha riguardato il cambio di
una o due tipologie di produzione (68%) che vuol dire dover cambiare aspetti
salienti della propria attività lavorativa e della organizzazione aziendale. Seguono
l’acquisto di macchine operatrici (59%) e di trattrici (56%).
Le motivazioni predominanti (tab. 6.22) che hanno indotto i frutticoltori ad
apportare i suddetti cambiamenti al processo produttivo sono: l’aumento del ricavo aziendale (56,8%), il miglioramento della qualità del prodotto (47,7%) e l’adeguamento del prodotto alle richieste del mercato (38,6%). Ci si trova di fronte ad un
atteggiamento da professionista nelle gestione dell’impresa.
La riduzione dell’inquinamento ha spinto al cambiamento il 27% degli intervistati.
Conseguenza logica di quanto sopra segnalato è la forte personalizzazione
rispetto alle scelte. Infatti il numero più alto di frequenze sulle modalità di scelta
della nuova varietà (tab. 6.23) va alla risposta “avevo un interesse personale”
(43%). Emerge con una certa importanza, quale stimolo al cambiamento, anche
l’aver frequentato di centri di sperimentazione, la partecipazione a prove dimo156
strative e la partecipazione ad incontri divulgativi il cui peso medio è pari al 25%.
Gli strumenti più utilizzati (tab. 6.24) quale ausilio all’acquisizione dell’innovazione sono le prove dimostrative (34%) e le riunioni di approfondimento
(29,5%). Hanno la stessa importanza, ma una bassa frequenza, le riviste, i convegni, i bollettini informativi (19,5%). Quasi inutilizzato Internet.
Circa l’adeguamento necessario all’adozione delle innovazioni, i frutticoltori
del cuneese non hanno avuto molti problemi. Solo un terzo ha dovuto far fronte ad
adempimenti burocratici (tab. 6.25) per i quali l’aspetto più problematico è stato la
produzione della documentazione necessaria. Il 63% degli intervistati non ha avuto nessun problema tecnico nell’attuare i cambiamenti e il 52% dichiara di non aver
dovuto realizzare particolari adeguamenti. Coloro che hanno dovuto adeguare l’innovazione all’impresa (tab. 6.26) lo hanno fatto rispetto all’organizzazione e al tipo
di prodotto (18%).
I risultati ottenuti dai cambiamenti effettuati (tab. 6.27) sono stati coerenti
con le aspettative. Infatti, al di là di un aumento di spese (59%) e di lavoro (41%)
nel breve periodo, gli effetti delle innovazioni sono stati soprattutto l’aumento del
reddito (59%), il miglioramento qualitativo del prodotto (50%) e la riduzione dei
costi (27%).
Un campanello d’allarme sembrano voler trasmettere le risposte dei frutticoltori quando vengono loro chiesti i disagi che incontrano in questo momento (tab.
6.28). Il più importante è la difficoltà a trovare personale competente (50%), quello successivo la difficoltà a vendere (43%). Si tratta di due elementi che possono
bloccare in maniera significativa la spinta innovativa.
Il percorso
Il progetto e le reti di relazioni
Le interviste e i gruppi focus hanno confermato l’esemplarità dell’esperienza
frutticola della provincia di Cuneo rispetto alla efficacia del sistema della conoscenza locale.
Nel caso della ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”, non è
il progetto la sede delle relazioni fra i diversi soggetti coinvolti, infatti ad esso partecipano solo istituzioni di ricerca. Sono piuttosto i collegamenti stabili e strutturati
fra le diverse componenti del sistema della conoscenza che fanno sì che i tecnici
divulgatori siano periodicamente informati dei risultati della sperimentazione, che
i produttori siano rappresentati insieme a vivaisti e altri operatori commerciali nel
157
tavolo in cui si programma l’offerta produttiva, in particolare la scelta varietale, e
che il CreSo, oltre ad essere interlocutore specialistico di tutti i soggetti suddetti, è
autorevolmente presente nel panorama della ricerca nazionale e internazionale.
Un altro elemento da sottolineare è che ciascun soggetto svolge il suo ruolo
senza confondersi con gli altri o inventarsi competenze non proprie;, gli sperimentatori del CreSo non hanno rapporti continuativi con gli imprenditori (se non con
quelli che ospitano le sperimentazioni), tali rapporti sono delegati ai tecnici i quali a loro volta non hanno rapporti con le istituzioni finanziatrici (MIPAF e Regione) o con le altre istituzioni di ricerca. In qualche caso questo aspetto viene vissuto dai tecnici come una diminutio (… al CreSo siamo coinvolti … invece molta sperimentazione regionale viene fatta a nostra insaputa…). In realtà, sono problematiche che sono facilmente risolte rendendo più consapevoli i tecnici dell’intera
organizzazione e della logica che la governa.
I contenuti tecnici
L’importanza della selezione varietale per la frutticoltura cuneese è stata ribadita
da tutti i contattati, come è stato verificato che si tratta di un’innovazione matura per
la maggioranza dei frutticoltori. In alcuni casi si impiantano anche varietà diverse da
quelle consigliate nelle liste per avere una maggiore varietà di produzione o per collocazioni particolari dell’azienda (… i produttori utilizzano le varietà consigliate,
magari ampliando un po’ la gamma, chiedendo consiglio ai tecnici, perchè in certe
zone è meglio mettere una varietà meno bella , ma un po’ più rustica …)
C’è una grande fiducia nel CreSo e nella rete di tecnici (…tengo il volume del
CreSo sul trattore…) e c’è disponibilità ad offrire spazi aziendali per le prove sperimentali.
Uno sviluppo ulteriore proposto da più di un interlocutore riguarda l’opportunità
di avviare in zona l’attività di costituzione delle varietà invece di verificare l’adattamento di varietà costituite altrove; se ne guadagnerebbe in termini di inserimento nel
territorio.
Strumenti e modalità di divulgazione
Le informazioni circolano secondo modalità diverse e sono sempre a disposizione degli interessati. Vengono infatti predisposti opuscoli informativi, si organizzano riunioni e prove dimostrative. I campi sperimentali sono sempre visitabili e comunque fanno parte del territorio frequentato dagli imprenditori.
158
6.5
Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura”
Diffusione dell’innovazione
Dati strutturali del campione
n. aziende
Età conduttore:
fino a 40 anni
dopo 40 anni
Data costituzione: prima 1960
tra 1960 e 1990
dopo il 1990
39
8
31
2
Superficie aziendale: meno 1 ha
1- 5 ha
Più di 5 ha
Aziende che hanno
effettuato cambiamenti
3
12
24
30
23
12
L’innovazione più adottata dalle imprese che hanno effettuato cambiamenti negli ultimi 5 anni è quella varietale ( tab. 6.29) introdotta dal 46% degli
imprenditori, immediatamente seguita dalla modifica della quantità di antiparassitari (43%). Il turnover innovativo è medio con 2-3 innovazioni adottate per
azienda.
Le aziende intervistate coltivano 13 specie diverse di ortaggi compresi l’asparago, il fagiolo, il peperone e il pomodoro oggetto della presente analisi. Le
varietà consigliate nelle liste sono presenti in: 1/6 di imprese che coltivano asparago, il 60% di quelle che coltivano fagiolo, l’80 % di quelle che coltivano peperone, l’85% di quelle che coltivano pomodoro.
Le modifiche strutturali più importanti (tab. 6.30) hanno riguardato i trattori (56,6%), le macchine operatrici (50%) e le costruzioni per le produzioni (36,6
%).
La motivazione che più frequentemente (tab. 6.31) è stata indicata quale stimolo ad introdurre le innovazioni è l’aumento del ricavo aziendale (46,7%) seguita con un peso analogo dalla riduzione dei costi, dal miglioramento della qualità
della produzione e dall’adeguamento del prodotto alle richieste del mercato (33%).
Se si analizzano le risposte rispetto alle classi di età del conduttore si nota
che gli imprenditori più giovani privilegiano la qualità e l’adeguamento del prodotto, mentre il gruppo degli over 40 indicano l’aumento del ricavo aziendale e la
riduzione dei costi.
La scelta delle nuove varietà (tab. 6.32) viene effettuata soprattutto sulla
base di un interesse personale (26,6%), seguito a breve distanza dal consiglio del
tecnico (20%) e dall’imitazione di altri imprenditori (20%).
Gli strumenti più utilizzati dagli orticoltori (tab. 6.33) sono i notiziari e le
159
riviste (46,7%) e le riunioni di approfondimento (43,3), seguite dalle prove dimostrative e dalle fiere locali (26,7%).
L’impatto dell’impresa rispetto alle innovazioni, ed in particolare a quella
varietale, (tab. 6.34) è stato molto tranquillo, perché circa il 60% delle imprese non
ha avuto problemi legati ad adempimenti burocratici e più del 70% non ha avuto
difficoltà tecniche. Inoltre le innovazioni non hanno richiesto particolari adeguamenti all’impresa nell’80% dei casi (tab. 6.35).
Nell’indicare i risultati determinati dai cambiamenti gli orticoltori sono
stati prodighi di risposte per gli effetti nell’immediato fornendo più di tre risposte
per ognuno, mentre sono stati meno solleciti per quelli a lungo termine. L’effetto
più rimarcato a breve è l’aumento delle spese (83%) seguito dal miglioramento
qualitativo del prodotto (53%) e dalla diminuzione del reddito (40%). Nel lungo
termine (tab. 6.36) solo il 36 % ha segnalato anche una risposta in termini di
aumento di reddito e il miglioramento qualitativo sembra diminuire drasticamente (20%).
Nell’analizzare le risposte si può notare che gli orticoltori rispondono con
meno frequenze di risposte degli altri gruppi di intervistati quasi come se avessero meno interesse degli altri all’approccio innovativo o avessero più difficoltà ad
inquadrarlo nelle sue componenti. Una risposta a tale sensazione può venire dall’analisi delle difficoltà che incontra l’impresa in questa fase (tab. 6.37): nell’83%
dei casi la maggiore difficoltà è vendere, sia nel senso di trovare gli spazi di mercato che nel senso di spuntare prezzi remunerativi.
Pertanto si conferma la precarietà e frammentarietà del settore segnalata in
sede di analisi di scenario (cap. 2) e di approfondimento dell’innovazione (cap. 3).
I percorsi
Il progetto e le reti di relazioni
L’attività realizzata dal CreSo per la verifica sperimentale delle varietà è un
punto di riferimento importante per tutti i soggetti che sono coinvolti nella produzione e commercializzazione dei prodotti orticoli (ditte sementiere, organizzazioni professionali, società private di servizi).
Le ditte sementiere concordano spesso con il responsabile CreSo delle prove sperimentali le varietà di cui va verificata la performance e gli forniscono il
materiale per le prove. I tecnici partecipano a incontri di aggiornamento periodici e forniscono il loro supporto anche nella realizzazione delle prove. Le società
160
private si coordinano con il CreSo per le sperimentazioni da realizzare e per
segnalare le imprese che sono disponibili ad ospitarle.
Esiste pertanto una rete di relazioni che ruota attorno alla struttura di sperimentazione, anche se è caratterizzata da una organizzazione meno stabile e codificata di quella della frutticoltura, si fonda più sugli uomini che sulle strutture. Un
tassello importante che manca è la rappresentanza imprenditoriale associata in
quanto l’orticoltura piemontese non è riuscita a organizzarsi in forme associative
di peso. Le istanze delle imprese vengono rappresentate dai tecnici.
I contenuti tecnici
I risultati delle prove varietali sono alla base dei principali consigli che i tecnici rivolgono all’impresa (…la sperimentazione in orticoltura è molto seguita
dalle aziende agricole …abbiamo sempre una media di 30-40 persone che seguono le prove…). In particolare è riconosciuto importante l’impegno a verificare l’adattabilità delle varietà all’ambiente territoriale che dalle ditte sementiere sarebbe
meno sentito.
Alcune varietà locali continuano ad essere molto coltivate e sono veramente competitive, ma nella gran parte dei casi oggi sono utilizzati gli ibridi ed è su
quelli che si fanno gran parte delle sperimentazioni.
Le prospettive segnalate per l’innovazioni sono la diminuzione dei costi di
produzione e la verifica e lo sviluppo di prodotti di IV gamma ancora poco diffusi
in Piemonte e quindi solo da poco oggetto di sperimentazione (lattuga).
Strumenti e modalità di divulgazione
I tecnici si aggiornano nei coordinamento quindicinali con il CreSo e
mediante le riviste specializzate
La modalità più diffusa di divulgazione all’imprenditore è il rapporto diretto con il tecnico (…c’è una scarsa cultura del leggere…;…a Cuneo ho aziende
che leggono poco…;…le informazioni le diamo in azienda non in ufficio, tanto in
ufficio non ascoltano…) Un altro strumento efficace di rapporto sono le prove
dimostrative.
Tutti i soggetti contattati lamentano il ritardo con cui vengono stampati i
risultati delle prove sperimentali rispetto alla chiusura delle prove stesse e alle
necessità di impianto degli orticoltori.
161
6.6
Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese”
Diffusione dell’innovazione
Dati strutturali del campione
n. aziende
Età conduttore:
fino a 40 anni
dopo 40 anni
Data costituzione: prima 1960
tra 1960 e 1990
dopo il 1990
29
9
20
3
Quintali latte prodotto 100q
in un anno: meno di
100 -500 q
più di 500 q
Aziende che hanno
effettuato cambiamenti
15
10
4
25
19
7
I cambiamenti più significativi (tab. 6. 38) realizzati dalle aziende zootecniche
produttrici di Toma intervistate sono stati la modifica della razza di bovini allevata
(56%) e l’utilizzo della mungitura meccanica (56%), seguono l’adozione di nuovi
sistemi per la refrigerazione del latte: il tank aziendale e l’acqua corrente (40%). Di
importanza minore, ma comunque presenti, le modifiche alle altre fasi di produzione
del formaggio quali la salatura a secco (20%), la cottura della cagliata (16)%, l’utilizzo
di starter, la pressatura della cagliata, la salatura in salamoia (12%). Discreto il trend
innovativo delle imprese che hanno fatto, tutte, tre cambiamenti e, qualcuna, quattro.
I cambiamenti strutturali più frequenti (tab. 6.39) hanno riguardato l’ingrandimento delle costruzioni per le produzioni (84%), seguito dall’acquisto di trattrici
(64%) e dall’acquisizione di terreni (56% affitto; 52% acquisto).
Le motivazioni che hanno indotto all’adozione delle innovazioni (tab. 6.40)
riguardano soprattutto il miglioramento della qualità del prodotto (88%) e adeguamento dell’impresa alle norme (84%). Analizzando questa informazione rispetto all’età
degli intervistati si nota che la qualità pesa maggiormente fra i conduttori con meno di
40 anni, mentre l’adeguamento alle norme è più importante per coloro che hanno più
di 40 anni.
Le occasioni che hanno spinto e determinato le imprese a scegliere il cambiamento (tab. 6.41) nella lavorazione della Toma sono numerose, tuttavia la più frequentemente riferita è la frequenza a corsi di formazione (36%) seguita dal contatto
con tecnici di diversa provenienza (20% - tecnici provinciali; 20% tecnici delle organizzazioni professionali; 16% tecnici dell’associazione produttori; 8% - tecnici comunità montana). Quasi insignificante l’interesse personale.
Le riunioni di approfondimento sono gli strumenti di supporto indicati dagli
162
allevatori (tab. 6.42) come più efficaci per l’adozione delle innovazioni (60%) seguite dalle fiere locali (48%) e dai notiziari e le riviste (36%).
Gli adempimenti burocratici (tab. 6.43) hanno avuto un peso rilevante sui cambiamenti apportati negli ultimi anni dalle aziende zootecniche (62%). Le difficoltà più
segnalate riguardano la predisposizione della documentazione necessaria (52%) e i
tempi lunghi per ottenere le autorizzazioni (40%).
Sia queste risposte come quelle relative alle motivazioni del cambiamento
rispondono in pieno a quanto emerso più volte nella fase iniziale dell’analisi circa l’emanazione, successiva alla realizzazione dello studio, di importanti norme nazionali e
regionali relative all’adeguamento igienico e tecnologico degli allevamenti.
Le difficoltà tecniche incontrate più di frequente dagli allevatori per l’adozione
dei cambiamenti hanno riguardato la carenza di competenze tecniche in materia (36%)
anche se una buona percentuale di intervistati ha dichiarato di non aver avuto tali difficoltà (32%).
Importante anche l’adeguamento dell’innovazione all’impresa (tab. 6.44) che
nella maggior parte dei casi è stata necessaria in relazione all’organizzazione dell’azienda (60%) e alle attrezzature (52%).
Al contrario di altri settori, quindi, i cambiamenti innovativi apportati dagli allevamenti zootecnici piemontesi hanno trovato gli allevatori impreparati a fronteggiarli e hanno reso indispensabile l’intervento esterno (corsi di formazione, riunioni con i
tecnici, ecc.).
I risultati delle innovazioni introdotte hanno avuto un immediato effetto sulle
qualità delle produzioni (per il 52% degli intervistati) e sull’aumento delle spese (per
il 40%). Nel lungo periodo (tab. 6.45) invece l’effetto più significativo ha riguardato
l’apertura di nuovi canali di vendita (40%), seguito dallo stabilizzarsi del miglioramento qualitativo del prodotto (24%) e dall’aumento del reddito (20%).
Le difficoltà vissute dagli allevamenti produttori di Toma (tab. 6.46) in questa
fase riguardano ancora l’adeguamento alle normative (48%), la mancanza di macchinari e attrezzature adeguate (32%) e la carenza di personale competente (28%).
I percorsi
Il progetto e le reti di relazioni
Il progetto sulla valorizzazione della Toma è stato prima di tutto un evento di
partecipazione dei diversi soggetti della filiera zootecnica legata alla produzione del
163
formaggio (….è stato il primo progetto che ci ha riuniti intorno ad un tavolo…questo modo di lavorare è servito per fare altri lavori con questa metodologia…). Inoltre,
gli viene riconosciuto un importante ruolo di acquisizione di competenze da parte di
tutti i componenti del gruppo di lavoro (…è stata un’opportunità per conoscere meglio
il territorio e per entrare in contatto con le realtà produttive…; noi eravamo la ricerca quindi i risultati li avevamo in tempo reale….).
I partecipanti al progetto hanno poi realizzato altre iniziative di sperimentazione e ricerca insieme.
Attualmente le attività di ciascuno hanno preso un carattere di maggiore frammentarietà; tuttavia si nota che sul tema della Toma, anche a distanza di tempo, c’è una
consonanza di vedute e di obiettivi anche fra soggetti con ruoli diversi.
I contenuti tecnici
Per alcuni, gli obiettivi del progetto erano poco realistici e quindi non si sono poi
concretizzati: la Toma continua ad essere un formaggio a tipologia piuttosto varia e
senza una particolare connotazione territoriale (…Toma è quasi un sinonimo di formaggio….; …un tempo si faceva la Toma e il furmagg, il secondo era più evoluto e si
produceva per il mercato, la prima per consumo familiare…). Altri riscontrano invece una serie di effetti positivi dello studio sulla mentalità degli allevatori (almeno di
quelli che hanno partecipato), una maggiore disponibilità in alcune valli ad introdurre
innovazioni, una migliore uniformità delle forme e delle dimensioni.
Un effetto indiretto segnalato riguarda la verifica del disciplinare della DOP,
approvato prima dello studio, in quanto ne ha confermato alcuni aspetti tecnici e ha
dato la possibilità di suffragare la necessità di apportare cambiamenti.
Circa gli sviluppi futuri, un aspetto sul quale si è tutti concordi riguarda l’individuazione di starter locali.
Strumenti e modalità di divulgazione
Un elemento di carenza segnalato sia da coloro che hanno partecipato al progetto che da coloro che hanno usufruito dei risultati riguarda l’essersi limitati alle due
pubblicazioni cartacee, la prima più scientifica , la seconda più divulgativa.
Molti hanno segnalato la necessità di raggiungere le imprese che stanno ai margini e che producono Toma fuori dal disciplinare e con caratteristiche qualitative scadenti (…gli allevatori sono più sensibili agli interventi molto pratici, dove sono loro
164
a pasticciare con il latte…; gli allevatori meno moderni sono più difficili da muovere,
a meno che non si vada a casa loro…).
Tuttavia, dal confronto dei tecnici nel gruppo focus e dal contenuto delle interviste si è potuto evincere che ciascuno nell’ambito del proprio ruolo e delle proprie
competenze ha svolto attività di divulgazione sulla materia.
6.7
Uno sguardo d’insieme ai risultati
Ai fini della comprensione di quanto le imprese e agli altri operatori agricoli
hanno acquisito e condiviso dei 6 progetti di ricerca, può essere di estrema utilità:
1. una verifica sintetica della loro performance basandosi su pochi indicatori, quelli più
significativi in relazione agli obiettivi del presente studio;
2. un successivo confronto sinottico di ciascun percorso che consenta di evidenziarne
gli aspetti chiave.
Gli indicatori ritenuti più significativi sono i seguenti:
- l’entità della diffusione delle innovazioni presso le imprese,
- la rispondenza fra i motivi per cui sono state adottate e i risultati riscontrati;
- le difficoltà incontrate dalle imprese in questa fase;
- i rapporti instauratisi fra i soggetti dei diversi sistemi della conoscenza analizzati;
- il giudizio che i diversi contesti hanno dato sui contenuti tecnici dell’innovazione;
- gli strumenti di supporto per l’adozione utilizzati dagli imprenditori rispetto a quelli messi in campo dai divulgatori.
Come si evince dal prospetto che segue (schema 6.1)8, le innovazioni pro8
Il prospetto riporta sinteticamente le risultanze quantitative e qualitative dell’indagine su campo.
La “Diffusione dell’innovazione oggetto della ricerca” è misurata dalla percentuale di diffusione derivante dai dati
del questionario, nel caso in cui l’innovazione interessata sia costituita da più componenti aventi ciascuna una sua
percentuale di diffusione è stata indicata la media. I “Motivi del cambiamento”, anch’essi derivanti dall’analisi
dei questionari, sono le tre motivazioni con maggior frequenza di risposta indicate dagli agricoltori quali spinte
a innovare. I “ Risultati del cambiamento” corrispondono agli effetti dell’applicazione dell’innovazione oggetto
di indagine riscontrati dagli imprenditori agricoli dopo un certo periodo di tempo; anche in questo caso vengono
riportati i tre risultati con maggior frequenza di risposta (le percentuali indicate a fianco corrispondono alla differenza fra la frequenza riscontrata nei “Motivi” e quella riscontrata nei “Risultati). Le “Difficoltà attuali” sono
quelle indicate nei questionari con la maggior frequenza. La “Presenza rete”, il “Riconoscimento validità contenuti tecnici” e la “Coerenza strategia di diffusione” è valutata in base a quanto emerso dalle interviste e dai gruppi focus mediante indicatori qualitativi sintetici (scarso, medio, buono, ottimo). Gli “Strumenti utilizzati dalle
imprese” derivano dai dati risultanti dall’elaborazione dei questionari e corrispondono agli strumenti di informazione che gli agricoltori hanno dichiarato di utilizzare di più. La “Performance generale” è anch’esso un indicatore sintetico che mette l’accento sia sulle peculiarità positive sia sui punti critici del caso studio considerato.
165
poste dal progetto che confronta diversi sistemi colturali in cerealicoltura hanno
avuto una diffusione piuttosto bassa fra gli imprenditori intervistati. Ad abbassare
decisamente la percentuale di diffusione è l’innovazione relativa alla riduzione
delle lavorazioni che, sulla base di quanto emerso nell’indagine su campo, non solo
deve confrontarsi con una tradizione colturale molto sentita, ma non vede concordi tutti gli esperti della materia circa i suoi effetti sulla qualità della produzione finale. Pertanto, l’aspetto positivo di rispondere ad una indubbia necessità dell’impresa di ridurre drasticamente i costi, evidenziato nel capitolo delle ipotesi sulla diffusione (cap. 4), viene offuscato sia dalla mancata consapevolezza dell’imprenditore (…i tecnici non si preoccupano di sottolineare la convenienza economica agli
imprenditori…) sia da messaggi non coerenti che l’imprenditore stesso riceve dai
suoi diversi interlocutori (…alcune indicazioni del progetto sono in controtendenza rispetto alle risultanze di altre sperimentazioni…sembra che la non aratura
comporti un maggiore carico di funghi e rischi di tossine…).
Inoltre, l’elemento qualificante legato al partenariato molto partecipato si è
rivelato carente di una componente della filiera, l’associazionismo produttivo, che
non ha preso parte neanche a fasi successive di divulgazione (hanno soltanto ricevuto il materiale cartaceo finale) e, quindi, si è chiamato fuori dalla condivisione
degli obiettivi.
Permane comunque la segnalazione molto precisa da parte degli imprenditori
circa le loro attuali difficoltà: prezzi non remunerativi, carenza canali di mercato,
adeguamento alle normative. Tali indicazioni invitano a continuare a perseguire gli
obiettivi che il progetto aveva individuato curando maggiormente gli aspetti della
condivisione degli scopi (sia con gli imprenditori che con i soggetti della filiera).
I consigli emersi dallo studio sulla valorizzazione del Canavese rosso DOC
non sembrano essere conosciuti dalle imprese interessate alla produzione di questo
vino perché i risultati della sperimentazione non sono stati oggetto di divulgazione,
almeno a livello locale.
Tuttavia, al di là di questa difficoltà facilmente sanabile, l’indagine su campo ha rilevato un contesto in crescita, ben consapevole delle proprie potenzialità
(buon vino) e dei punti deboli (carenza sbocchi di mercato). Il retroterra istituzionale locale sembra sostenere il processo in corso con gli strumenti adeguati (Tavoli di confronto, progetti di assistenza tecnica) consapevole delle necessità economiche e sociali che richiedono il mantenimento dell’insediamento umano in certe
aree interne.
L’utilizzo di materiale certificato per la realizzazione dei nuovi impianti è
166
prassi consueta per la maggior parte dei viticoltori intervistati. Pertanto l’attività di
selezione clonale sostenuta da tempo dalla Regione Piemonte ha avuto effetti sicuramente positivi nei comportamenti produttivi degli imprenditori.
Come di norma avviene con una innovazione matura, l’intero settore è ora in
tensione per acquisire ulteriori margini di miglioramento dall’innovazione adeguandola alle nuove necessità (uso della micropropagazione per ridurre i tempi,
selezioni clonali su vitigni locali, maggiori disponibilità di materiale certificato).
Inoltre, contrariamente a quanto ipotizzato nel capitolo 4, il confronto con i
soggetti del contesto ha fatto emergere una richiesta di coordinamento e di “rete”
che non sembrava necessaria ad una prima analisi e che si spiega con la necessità
del settore vitivinicolo piemontese di sostenere un’elevata competitività di mercato. Le difficoltà evidenziate - l’adeguamento alle normative e la carenza di personale specializzato - necessitano anch’esse di interventi di sostegno e di promozione che richiedono una regia pubblica e un coordinamento fra tutte le componenti
della filiera.
L’attività di selezione varietale in frutticoltura ha confermato tutte le aspettative già emerse nei precedenti capitoli. E’ sicuramente un caso esemplare di funzionamento del sistema della conoscenza secondo uno schema relazionale.
Come si può notare dal prospetto, oltre ad un’ottima diffusione, è notevole:
la consonanza fra le motivazioni che hanno indotto gli imprenditori al cambiamento
e gli effetti a lungo termine dell’introduzione dell’innovazione, il riconoscimento
dei contenuti tecnici dell’attività di sperimentazione, l’uso e la partecipazione alle
attività di approfondimento e di dimostrazione.
Occorrerebbe quindi cercare di non disattivare il percorso virtuoso instauratosi e utilizzarlo come caso di riferimento per programmare interventi analoghi in
altri settori (buona prassi). Naturalmente, gli equilibri fra le componenti del sistema della conoscenza della filiera frutticola cuneese è anche il risultato di alcune
combinazioni fortunate fra le quali le più evidenti sono: la dimensione non troppo
vasta dell’areale di riferimento, la particolare dinamicità del tessuto imprenditoriale, la vicinanza alle imprese della struttura di sperimentazione.
La selezione varietale in orticoltura ha avuto anch’essa una buona risposta da
parte delle imprese con una diffusione media dell’innovazione accompagnata dal
riconoscimento della validità dei contenuti tecnici da parte degli operatori del settore.
Anche i rapporti fra le componenti del sistema della conoscenza e l’attività
di divulgazione sono di buon livello, tuttavia risentono, come segnalato anche in
167
altre parti dello studio, di un approccio tradizionale e poco strutturato cioè che coinvolge più le singole persone che le istituzioni di riferimento. Tuttavia, tale impostazione è causa diretta delle caratteristiche che assume il settore orticolo nell’ambito dell’agricoltura piemontese e del tessuto imprenditoriale che lo compone. Si
tratta infatti di un settore poco organizzato, soprattutto per gli aspetti legati alla
commercializzazione, che produce molto per il fresco e per i mercati locali o vicini, i cui imprenditori non hanno ancora acquisito un atteggiamento competitivo adeguato (almeno nella media).
Le problematiche specifiche del settore orticolo, quindi, richiederebbero un
intervento, a monte del sistema della conoscenza, che ne affronti i nodi strutturali
e preveda forti incentivi per la modernizzazione. Durante l’indagine su campo
alcuni testimoni intervistati individuavano alcuni prodotti orticoli come idonei
sostituti di prodotti in crisi o possibili integrazioni delle rotazioni, tuttavia il Piemonte ha indubbie difficoltà legate alle condizioni pedoclimatiche per competere
con Paesi che riescono ad arrivare sul mercato con molto anticipo o ad allungare
molto i calendari di maturazione.
L’effetto sulle imprese zootecniche di montagna dello studio sulla caratterizzazione della Toma è stato molto ridotto. Come si evince dalle tabelle relative,
l’evoluzione delle imprese zootecniche negli ultimi anni è stata importante, ma ha
riguardato soprattutto altri aspetti dell’attività produttiva. La spinta più incisiva al
cambiamento è stata determinata dalle leggi che sono state approvate poco dopo la
conclusione del progetto e che hanno indotto le imprese, anche con incentivi finanziari, ad adeguare le proprie strutture e la propria tecnologia produttiva a criteri di
maggiore igiene e salubrità da un lato e di maggiore efficienza dall’altro.
Lo studio sulla Toma è un tipico strumento informativo finalizzato al supporto dei decisori pubblici e soprattutto degli amministratori locali. Per come è stato condotto, poi, a questo obiettivo si è aggiunto quello di creare una rete fra gli
operatori del comparto che consentisse loro di conoscersi e condividere conoscenze e competenze. L’esperienza realizzata insieme ha facilitato gli impegni successivi di tutti sia per le relazioni costruite che per le informazioni raccolte.
Analizzando le riflessioni critiche emerse nei gruppi focus e nelle interviste
in merito alla opportunità o meno di porsi il problema di caratterizzare un prodotto come la Toma, è possibile evidenziare che, spesso, in attività di studio che hanno l’obiettivo di valorizzare prodotti tipici e/o locali non è presa in considerazione
la necessità di effettuare analisi di mercato per comprendere gli effettivi sbocchi
commerciali del prodotto.
168
169
Riconoscimento
validità contenuti
tecnici
Strumenti
utilizzati dalle
imprese
Coeren za strategia
di diffusione
Performan ce
generale
Presen za rete
Media
Fiere
Scarsa
Buoni gli obiettivi
Migliorare strategia
comunicazione usando la
rete presente
Notiziari e riviste
Fiere
Riunioni approfond.
Buona
Buoni obiettivi
Migliorare strategia di
gestione e
comunicazione
Si, buona
n.d.
Miglioram. qualità
Nuovi canali vendita
Miglioram. qualità
Aumento ricavo
Scarsa
Valorizzazion e Canavese
rosso DOC
Viticoltura
Medio
Miglioramento qualità
Aumento reddito (-22,2)
Riduzione spese ( -33,3)
Vendere a prezzi
remunerativi
Adeguamento alle
normative
Si , parziale
Risultati del
cambiamento
Difficoltà attuali
Aumentare ricavo
Ridurre i costi
Migliorare qualità
26,6%
Motivi del
cambiamento
Diffu sione
dell’innovazione
oggetto della
ricerca
Sistemi colturali a
diversa in ten sità
Cerealicoltura
Schema 6.1 - Quadro sinottico dei risultati
Ottimi obiettivi
Aggiornare la tecnica
Costruire la rete
Notiziari e riviste
Prove dimostrative
Riunioni approfond.
Media
Buono
Si, parziale
Adeguamen. norm ative
Carenza personale
competente
Miglior. qualità (-37,7)
Riduzione spese (-28)
Migliorare qualità
Adeguamento norme
Riduzione costi
89%
Selezioni clonali in
viticoltura
Viticoltura
Ottima esperienza
Utilizzare come buona
prassi
Ottima
Prove dimostrative
Riunioni approfond.
Ottimo
Si, ben strutturata
Aumento reddito (+2,3)
Miglioram. qualità (+2,3)
Riduzione costi
Carenza personale
competente
Vendere
Aumentare r icavo
Migliorare qualità
Adeguamento mercato
79,5%
Liste di orientamento
varietale
Frutticoltura
Buoni obiettivi
Strutturare rete
Ridurre tempi
comunicazione risultati
Buona
Notiziari e riviste
Riunioni approfond.
Buono
Si, buona
Vendere
Aumentare ricavo
Riduzione costi
Miglior. qualità
Adeguam. mercato
Aumento del reddito (-10)
Miglior. qualità (-13)
46%
Liste di orientamento
varietale
Orticoltura
Buona esperienza di
Verificare obiettivi r
alle esigenze mercato
Buona
Riunioni approf.
Fiere
Media
Adeguam. norm ative
Carenza macchinari
Carenza personale
competente
Si, buona
Nuovi canali vendita
Miglioram . qualità
Miglioram . qualità
Adeguam. norme
18,6%
Caratt erizzazione
piemontese
Caseificazione
6.8
Problematiche aperte
L’analisi del materiale raccolto attraverso le interviste, i gruppi focus e i questionari alle imprese consente di svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul sistema regionale di ricerca, sperimentazione e trasferimento delle innovazioni; alcune sono relative al contesto operativo e alle modalità con cui le innovazioni vengono trasferite agli imprenditori e da questi adottate, altre, invece, concernono più in generale il sistema dei servizi.
Gli imprenditori agricoli piemontesi e le innovazioni
Nonostante il campione di imprese intervistate non possa dirsi rappresentativo dell’intero tessuto imprenditoriale piemontese perché selezionato con altri criteri, ci sono alcune evidenze emerse globalmente dai questionari che appare utile
sottolineare.
Dei 254 imprenditori intervistati 206 hanno apportato cambiamenti strutturali e ai processi produttivi negli ultimi 10 o 5 anni, cioè il 81% del campione.
I cambiamenti strutturali più diffusamente realizzati riguardano il parco macchine: il 67% delle imprese intervistate ha cambiato il trattore, il 52,4% ha acquistato una macchina operatrice. Seguono l’acquisto di terreni 48,5% e l’ingrandimento delle costruzioni per le produzioni 47,5%. Il numero di cambiamenti medi
per azienda è pari a 3.
Le motivazioni che hanno determinato l’introduzione delle innovazioni (tab.
6.47) sono molteplici, almeno 2 o 3 per impresa, e riguardano: il miglioramento
qualitativo del prodotto (60,6%), l’aumento del ricavo (46,6%), la riduzione dei
costi (34%). La diminuzione dell’inquinamento interessa il 25,7% degli imprenditori.
Se si analizzano le motivazioni con riferimento alle classi di età si può notare una differente, anche se contenuta, distribuzione delle risposte: per quelli più giovani la motivazione legata a miglioramento della qualità del prodotto risulta prevalente in percentuale maggiore (26.5%) rispetto agli altri (23%).
Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati per informarsi (tab. 6.50), le scelte degli imprenditori sembrano diverse da quelle segnalate dai tecnici che, in ogni
gruppo focus, hanno sostenuto la assoluta inefficacia del testo scritto come materiale di divulgazione. Infatti, gli imprenditori hanno dichiarato di prediligere i notiziari e le riviste nel 40,2% dei casi e le riunioni di approfondimento nel 34,4% dei
casi. Non sembrano esserci differenze significative fra le classi di età se non in due
170
casi: gli imprenditori più giovani utilizzano di più internet (8,9%) rispetto a quelli
con più di 40 anni (1,9%), che invece frequentano di più le fiere locali (17,7% contro 8,2%).
Un altro elemento di un certo interesse è la constatazione che la gran parte
delle imprese dichiara di non aver avuto particolari difficoltà tecniche (tab. 6.53) ad
attuare i cambiamenti (59,7%), solo il 19% si è reso conto di non conoscere tutti gli
aspetti tecnici necessari.
I risultati dell’introduzione delle innovazioni nel lungo periodo (tab. 6.56)
hanno sostanzialmente confermato le aspettative, anche se con una percentuale
inferiore rispetto alle attese (vedi motivazioni). Infatti il 41,2% degli intervistati ha
riscontrato un miglioramento della qualità, il 32% un aumento del reddito, il 15,5%
una riduzione delle spese.
Riguardo i disagi incontrati dalle imprese (tab. 6.59) in questa fase, le segnalazioni con più frequenze riguardano le difficoltà a vendere (32%) e l’adeguamento alle normative (31%). Questo quesito è quello che ha riscontrato il maggior
numero di risposte diverse da quelle indicate (Altro - 33,4%), ma, se si analizzano
le risposte libere, esse riguardano essenzialmente il basso prezzo di vendita dei prodotti.
Il panorama generale che emerge è quello di un tessuto imprenditoriale dinamico e consapevole che sa di dover puntare alla qualità delle produzioni, ma anche
di dover ridurre le eventuali pratiche inquinanti, che si informa prima di adottare
un’innovazione ed ha un rapporto continuativo con i tecnici che operano nel territorio. Anche le difficoltà segnalate sono quanto mai vicine ai nuovi indirizzi di sviluppo dell’agricoltura in quanto da un lato richiedono maggiore competitività e dall’altro sottolineano una esigenza di supporto per la legalità.
Il sistema della conoscenza per l’agricoltura piemontese
Per quanto riguarda il sistema regionale, emerge un generale apprezzamento per le modalità con cui i progetti analizzati sono stati realizzati, in particolare per
quanto riguarda la possibilità data ai diversi soggetti di lavorare insieme.
La rete di relazioni costruita attorno ai progetti e in alcuni casi proseguita nella fase successiva alla loro conclusione rappresenta, infatti, un elemento di novità
rispetto alle esperienze precedenti di sperimentazione e trasferimento delle innovazioni in campo agricolo nel contesto piemontese, come anche più in generale in
Italia. I servizi di sviluppo italiani sono infatti caratterizzati dalla segmentazione dei
171
diversi ambiti di intervento e dalla mancanza di reti significative tra soggetti9, a differenza di altri paesi europei ed extra-europei, in cui esistono dei network tra ricercatori, advisor (divulgatori e consulenti), formatori per affrontare in modo sistematico le problematiche rilevanti dei settori e dei territori.
In alcuni casi, tale approccio è stato considerato come l’elemento più significativo dei progetti analizzati: la prima grande importanza che ha avuto questa
sperimentazione (sistemi colturali) è stata quella di riunire le forze presenti in
agricoltura... Si è dimostrato che si può lavorare insieme spendendo i soldi pubblici
a beneficio un po’ di tutti.
E ancora: c’era un obiettivo esplicito ed altri impliciti, quello esplicito lo
condividevamo e abbiamo partecipato anima e corpo. L’obiettivo implicito era la
prima volta che lavoravamo insieme, tecnici di diverse organizzazioni e tecnici di
diversi livelli della ricerca e sperimentazione. C’è stato un ritorno che va al di là
del risultato portato all’azienda agricola.
In particolare, viene vista in modo molto positivo la partecipazione dei tecnici al processo di sperimentazione, soprattutto per la conseguente facilità di comunicazione dei risultati alle imprese: secondo me questo fatto di coinvolgere direttamente gli operatori anche più a valle, le cooperative, le altre strutture interessate
a divulgare le cose, è importante. Nelle sperimentazioni in cui noi (tecnici) siamo
parte in causa, noi ci lavoriamo direttamente e poi divulghiamo con più facilità.
Tuttavia, al di là della generalizzato apprezzamento per le modalità con cui
sono impostati i progetti, in più di un caso sembra emergere una presa di distanza
di tecnici e operatori dagli obiettivi tecnici operativi. In altre parole, l’organizzazione e il metodo di lavoro non sembrano essere direttamente collegati all’efficacia
dei progetti, non sembrano portare a giudizio di tutti a un risultato certo in termini
di impatto sull’agricoltura e di miglioramenti tecnici.
Ci sembra, quindi, di poter affermare che un nodo ancora da sciogliere e su
cui investire nei prossimi anni potrebbe essere proprio quello della maggiore integrazione tra metodologie di lavoro e aspetti tecnici dei progetti di ricerca, sperimentazione e trasferimento delle innovazioni, al fine di introdurre sì nuove metodologie di lavoro, ma anche assicurare che gli investimenti producano gli auspicati cambiamenti nell’agricoltura regionale.
Tra l’altro, questo aspetto emerge anche nelle considerazioni di alcuni inter-
9
Si veda in proposito: INEA “Il sistema della conoscenza in agricoltura”, I quaderni del POM, Roma 2001
172
vistati per quanto riguarda le modalità di individuazione delle priorità di ricerca e
sperimentazione: ...In questo momento c’è parecchio investimento in ricerca e sperimentazione, ma è molto polverizzato. Secondo me, manca un criterio per identificare i problemi strategici e le priorità.
La collaborazione tra i diversi soggetti, dunque, potrebbe essere un valido
strumento anche per la concertazione degli obiettivi strategici della ricerca regionale, oltre che un supporto per la realizzazione degli stessi. Tale collaborazione, tuttavia, dovrebbe configurarsi come fattiva e basata su relazioni tra i soggetti che
effettivamente si occupano del settore e non fermarsi ad un livello “troppo politico”:
…i tavoli tecnici sono tavoli politici.
Un altro aspetto che può essere affrontato in un’ottica generale è quello del
ruolo dei tecnici e dei divulgatori all’interno dei progetti presi in esame. Essi, pur
affermando di aver coscienza dell’importanza del proprio ruolo come livello di
mediazione tra la ricerca e l’azienda agricola (…transito di informazioni…), mettono spesso in evidenza le difficoltà ad operare in maniera adeguata per una serie
di difficoltà presenti nel sistema.
In primo luogo, esiste un problema di gestione delle risorse umane all’interno del sistema piemontese dei servizi, riscontrabile peraltro anche in altre situazioni
regionali in cui i servizi non sono gestiti completamente dalla struttura pubblica, ma
prevedono il coinvolgimento di altri soggetti del territorio: il frequente turn over
dei tecnici, infatti, non permette di contare su una qualificazione professionale
adeguata né su un rapporto continuativo con gli imprenditori, entrambe premesse
per un lavoro di consulenza e divulgazione efficace.
…Nelle sperimentazioni lunghe anche i tecnici cambiano. Poi con la Misura L (Avviamento di servizi di assistenza alla gestione) c’è un turn over pazzesco di
tecnici, appena uno trova di meglio se ne va e i tecnici vengono sostituiti da ragazzi che non sono più in grado di rivestire quel ruolo di spessore che avevano i vecchi tecnici con esperienza….
L’organizzazione stessa del lavoro, in questo senso, risulta più difficile rispetto a situazioni di stabilità e coerenza nella gestione del personale. Per fare un esempio, in situazioni di carenza di personale preparato, il tecnico che si forma sul campo e acquisisce competenze tecniche e metodologiche viene spesso spostato dalla
consulenza in azienda per occuparsi di progettazione o coordinamento di gruppi di
lavoro o di progetti specifici, lasciando un vuoto nell’assistenza tecnica. Oppure, il
tecnico che ha maggiori competenze viene spesso utilizzato in situazioni di eccellenza, lasciando le situazioni più difficili ai tecnici meno preparati.
173
Ad esempio, ... più si va in comparti marginali come il cerealicolo, più i tecnici sono marginali anche loro; mentre dal punto di vista della collettività i tecnici migliori dovrebbero essere a contatto con le aziende che incontrano più difficoltà.
Non si può inoltre tralasciare il ruolo che spesso i tecnici si trovano a svolgere nel disbrigo delle pratiche e nella presentazione delle domande per i finanziamenti, sminuendo così il ruolo dell’assistenza tecnica in agricoltura.
...Da quando c’è la Misura L del PSR 2000-2006 c’è stato uno svuotamento progressivo dell’attività di assistenza tecnica... Noi dovremmo esercitare un
controllo sull’attività di assistenza tecnica, ma oggi molti tecnici sono ridotti a fare
assistenza gestionale alle aziende, compilazione dei 740, ecc.
Il problema delle attività amministrative, d’altra parte, appartiene in misura
variabile a tutti i sistemi regionali, anche laddove le attività vengono svolte in prevalenza dal pubblico (agenzie di sviluppo e assessorati). Dopo un investimento iniziale da parte delle Regioni in questo tipo di intervento, infatti, è seguito un periodo, che ormai dura da qualche anno, in cui ai tecnici non viene riconosciuto un ruolo preciso all’interno del sistema.
…In generale negli ultimi 5 o 6 anni c’è un accanimento burocratico su tutti i settori che ha ridotto il rapporto diretto in campo con le aziende. Il rapporto
diretto con le aziende è legato alla propensione personale dei tecnici, che se ne
hanno voglia a qualunque costo lo mantengono.
Il passaggio di competenze alle Province avvenuto in Piemonte, inoltre, non
sembra aver facilitato l’organizzazione del lavoro e l’efficacia del servizio, come
probabilmente era nell’intento del legislatore.
…Eravamo riusciti a mettere in piedi all’inizio degli anni ’90 un sistema di
attività dimostrative, organizzato in modo sistematico. Era un modo per rendersi
conto di come i tecnici lavoravano. Poi chiaramente, con il passaggio alle province, si è provincializzato un po’ tutto.
Il problema che emerge è quindi quello del ruolo dei servizi di sviluppo
all’interno dell’organizzazione più generale delle politiche regionali. Essi, infatti,
non sono evidentemente considerati uno strumento significativo della politica agricola, ma vengono utilizzati in maniera disorganica rispetto alle strategie regionali,
con un ruolo marginale e di supporto più interno all’organizzazione che esterno,
verso le imprese e i territori.
…C’era un gruppo di tecnici bravi e quello che si sente è la mancanza di
direttive, di garanzia per il futuro. C’era un gruppo di tecnici molto bravi che lavo174
ravano o per il pubblico o per il privato, ma adesso hanno fatto scelte diverse. O
sono andati a lavorare per le cooperative o avevano l’azienda alle spalle e sono
andati a lavorare nella propria azienda. Se fossero stati supportati e se avessero
visto delle prospettive e un’attività coordinata, la maggior parte di questi sarebbe
senz’altro rimasta... Manca forse a livello politico la capacità di capire l’importanza dell’assistenza tecnica e della divulgazione.
In questa fase di disorientamento conseguente all’introduzione della Riforma
di medio termine, inoltre, si può individuare una nuova fase di crisi dei servizi di
sviluppo, nella quale i tecnici trovano difficoltà a capire quale nuovo ruolo devono
svolgere. La nuova politica europea, infatti, chiede alle imprese di muoversi secondo una logica diversa dal passato, lasciando maggiori spazi di manovra all’interno
del mercato, soprattutto in relazione alla scelta della produzione e alla sua collocazione sul mercato. I servizi di sviluppo, di conseguenza, sono portati a rivedere il
proprio ruolo e a intervenire su aspetti diversi dal passato. In particolare, in questo
quadro, assumono maggiore rilevanza gli aspetti economici dell’azienda rispetto a
quelli tecnici agronomici. L’imprenditore, infatti, deve ragionare in maniera più evidente che in passato sulle scelte strategiche della propria azienda, sui mercati e i target di riferimento, sulle possibili integrazioni e interazioni con gli altri settori economici sia in un’ottica di filiera sia in un’ottica di sviluppo territoriale integrato.
A questo proposito occorre ricordare che le risorse umane che compongono
i servizi di sviluppo delle regioni italiane provengono essenzialmente da una formazione di tipo agronomico, che da sempre ha privilegiato gli aspetti tecnici rispetto a quelli economici.
….A noi manca la capacità progettuale strategica, cioè la parte di consulenza relativa agli investimenti e alla crescita dell’azienda.
Occorre, quindi, pensare a un sistema di formazione e aggiornamento dei
tecnici che permetta l’adeguamento delle competenze alla nuova situazione.
Tale adeguamento, tuttavia, non può prescindere da un ripensamento più generale dei servizi e da una seria riorganizzazione degli stessi.
Quando, infatti, ad un’attività di formazione non si accompagna un adeguato processo organizzativo, il risultato è spesso di molto inferiore alle aspettative e alle risorse investite, producendo, in alcuni casi, situazioni di difficile
gestione e scarsissima efficacia.
I tecnici appaiono nel complesso preoccupati dalle prospettive future,
perché non sembrano certi gli sviluppi né per quanto riguarda la numerosità del
personale: ….nei prossimi anni diminuirà il numero dei tecnici sul territorio, non
175
ci saranno i fondi, quindi verrà modificata l’esportazione dei dati dalla sperimentazione nel medio e lungo periodo, mentre ora ha una ricaduta molto veloce perché
siamo un certo numero…
né per quanto riguarda il ruolo e la competenza:…in futuro ci saranno gruppi di aziende che si riuniranno per avere assistenza tecnica di altro tipo; ... infatti,
dal ruolo di assistenza tecnica siamo passati a quello di consulenza ... scomparendo la figura del tecnico sarà penalizzata l’azienda piccola che non potrà permettersela.
È molto sentita, quindi, la mancanza di un indirizzo chiaro per il futuro; tale
mancanza può sicuramente incidere sull’impegno dei tecnici e sull’efficacia del loro
lavoro. Diventa perciò importante prevedere a breve termine una fase di ripensamento dei servizi che coinvolga il personale attivo sia nell’amministrazione pubblica (Regione e Province) sia nelle organizzazioni professionali che operano nel
sistema. Tale lavoro dovrebbe essere finalizzato alla messa in comune delle problematiche rilevanti del settore e all’individuazione di possibili percorsi condivisi
per la riorganizzazione del sistema stesso.
Altri percorsi, che non prevedano il coinvolgimento dei diretti interessati,
potrebbero rischiare di aumentare il disorientamento e la distanza dei tecnici dalle
decisioni dei vertici, con un conseguente ulteriore indebolimento dell’organizzazione complessiva.
176
APPENDICE STATISTICA
I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO:
AZIENDE CEREALICOLE
Tab. 6.1 – Cambiamenti effettuati nella fase della rotazione
Ha cambiato semente:varietà
Ha cambiato semente:modalità di acquisto
Ha modificato le lavorazioni del terreno:ridotte
Ha modificato le lavorazioni del terreno:aumentate
Ha introdotto il sovescio?
Ha modificato le concimazioni:quantità di concime aumentata
Ha modificato le concimazioni:quantità di concime diminuita
Ha modificato le concimazioni:modalità di concimazione
Ha modificato il diserbo:quantità di diserbante diminuita
Ha modificato il diserbo:modalità di diserbo
Ha modificato l'irrigazione:quantità di acqua
Ha modificato l'irrigazione:modalità di irrigazione
Ha modificato la raccolta:utilizza contoterzismo
Ha modificato la raccolta:utilizza macchinari propri
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
24
4
6
1
4
4
16
9
14
11
7
5
4
3
112
%
53
9
13
2
9
9
36
20
31
24
16
11
9
7
302
%
21
4
5
1
4
4
14
8
12
10
6
4
4
3
100
%
33
58
64
58
13
35
15
276
%
12
20
23
21
5
13
6
100
Tab. 6.2 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda
Ha acquisito terreni in affitto
Ha acquisito terreni in acquisto
Ha comprato macchine trattrici
Ha comprato macchine operatrici
Ha ingrandito costruzioni per la famiglia
Ha ingrandito costruzioni per le produzioni
Ha cambiato una o due tipologie di produzione
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
15
26
29
26
6
16
7
125
179
Tab. 6.3 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA'
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
25 55,6
22 48.9
22 48.9
9 20.0
11 24.4
5 11.1
14 31.1
9 20.0
117 260.0
45
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
11 24,4
14 31,1
9 20.0
13 28.9
13 28.9
9 20.0
4
8.9
5 11.1
6 13.3
5 11.1
2
4.4
3
6.7
3
6.7
11 24.4
3
6.7
6 13.3
51 113.3
66 146.7
45
45
Tab. 6.4 - Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle lavorazioni del
terreno?
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Contattato da un tecnico dell’assoc. produttori
Contattato da un tecnico privato
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia
Frequenta centri di sperimentazione
Ha partecipato a prove dimostrative
Ha partecipato a incontri divulgativi
Aveva interesse personale
Altro
NUMERO RISPOSTE DATE
180
N.
1
1
2
1
3
2
2
1
4
2
4
7
30
%
2
2
4
2
7
4
4
2
9
4
9
16
67
%
3
3
7
3
10
7
7
3
13
7
14
23
100
Tab. 6.5 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle concimazioni?
Contattato da un tecnico regionale
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori
Contattato da un tecnico privato
Ha contattato un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia
Frequenta centri di sperimentazione
Ha partecipato a prove dimostrative
Ha partecipato a incontri divulgativi
Aveva interesse personale
Altro
NUMERO RISPOSTE DATE
N.
1
2
2
5
5
2
7
2
1
1
6
5
5
7
51
%
2
4
4
11
11
4
16
4
2
2
13
11
11
16
115
%
2
4
4
10
10
4
13
4
2
2
12
10
10
13
100
Tab. 6.6 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
24 53.3
10 22.2
18 40.0
13 28.9
18 40.0
11 24.4
6 13.3
11 24.4
111 246.7
45
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
10 22.2
14 31.1
6 13.3
4
8.9
3
6.7
15 33.3
5 11.1
8 17.8
2
4.4
16 35.6
5 11.1
6 13.3
5 11.1
1
2.2
6 13.3
5 11.1
42 93.3
69 153.3
45
45
181
Tab. 6.7 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti?
Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta
Ottenere certificazioni
Tempi lunghi per la documentazione
Ottenere il finanziamento del progetto
Nessuna
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
6
2
8
5
14
2
37
%
13
4
18
11
31
4
82
%
16
5
22
14
38
5
100
Tab. 6.8 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati
necessari alcuni adeguamenti?
N.
Nessun adeguamento
18
Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda
8
Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso 15
Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto
8
Altro
1
NUMERO DI RISPOSTE DATE
50
%
40
18
33
18
2
111
%
36
16
30
16
2
100
Tab. 6.9 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
TOTALE
BASE PERCENTUALE
182
TOTALE
nr
%
21 46.7
11 24.4
4
8.9
5 11.1
12 26.7
7 15.6
5 11.1
2
4.4
2
4.4
69 153.3
45
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
11 24.4
10 22.2
5 11.1
6 13.3
2
4.4
2
4.4
2
4.4
3
6.7
7 15.6
5 11.1
3
6.7
4
8.9
3
6.7
2
4.4
2
4.4
0
0.0
1
2.2
1
2.2
36 80.0
33 73.3
45
45
Tab. 6.10 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
15 33.3
10 22.2
11 24.4
2
4.4
22 48.9
60 133.3
45
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
4
8.9
11 24.4
2
5
2
6
19
45
4.4
11.1
4.4
13.3
42.2
8
6
0
16
41
45
17.8
13.3
0.0
35.6
91.1
AZIENDE VITIVINICOLE
Tab. 6.11 – Cambiamenti effettuati nelle fasi della coltivazione
N.
Ha modificato vitigni
20
Ha acquistato materiale certificato - cartellino blu
51
Ha modificato l'impianto: quantità di piante per ettaro
19
Ha modificato l'impianto: modo di allevare le piante
5
Ha modificato la forma di allevamento/potatura
29
Ha modificato gli interventi in verde: manuale
11
Ha modificato gli interventi in verde: meccanica
31
Ha modificato le lavorazioni: ridotte (inerbimento)
26
Ha modificato le lavorazioni: organizzate differentemente
17
(attrezzo e ordine)
Ha modificato le concimazioni: quantità
34
Ha modificato le concimazioni: modalità di concimazione
34
Ha modificato il diserbo: quantità
27
Ha modificato il diserbo: modalità di diserbo
34
Ha modificato i trattamenti parassitari: quantità
30
Ha modificato i trattamenti parassitari: modalità di distribuzione
37
Ha modificato la raccolta: automezzi di proprietà
27
Ha modificato acquirente delle produzioni: conferisce a cantina sociale
11
Ha modificato acquirente delle produzioni: vende in proprio
20
Vende vino sfuso
18
Vende vino imbottigliato
22
NUMERO DI RISPOSTE DATE
503
%
35
89
33
9
51
19
54
46
30
%
4
10
4
1
6
2
6
5
4
60
60
47
60
53
65
47
19
35
32
39
882
7
7
5
7
6
7
5
2
4
4
4
100
183
Tab. 6.12 - Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda
Ha acquisito terreni in affitto
Ha acquisito terreni in acquisto
Ha comprato macchine trattrici
Ha comprato macchine operatrici
Ha ingrandito costruzioni per la famiglia
Ha ingrandito costruzioni per le produzioni
Ha cambiato una o due tipologie di produzione
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
20
39
50
29
16
29
14
197
%
35
68
88
51
28
51
25
346
%
10
20
25
15
8
15
7
100
Tab. 6.13 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA'
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
184
TOTALE
nr
%
19 33,3
21 36,8
46 80,7
7 12,3
23 40,4
10 17,5
17 29,8
4
7,0
147 257,9
57
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
4
7,0
15 26.3
7 12,3
14 24.6
12 21,1
34 59.6
3
5,3
4
7.0
8 14,0
15 26.3
1
1,8
9 15.8
6 10,5
11 19.3
1
1,8
3
5.3
42 73,7
105 184.2
57
57
Tab. 6.14 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente al nuovo vitigno da
impiantare?
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico provinciale
Ha contattato un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha consultato la normativa
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia
Frequenta centri di sperimentazione
Ha partecipato a prove dimostrative
Aveva interesse personale
Altro
Non ho effettuato cambiamenti
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
6
1
12
3
2
5
6
4
1
1
30
11
2
84
%
11
2
21
5
4
9
11
7
2
2
53
19
4
147
%
8
1
14
4
2
6
7
5
1
1
36
13
2
100
Tab. 6.15 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
27 47.4
10 17.5
11 19.3
15 26.3
12 21.1
9 15.8
6 10.5
13 22.8
103 180.7
57
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
6 10.5
21 36.8
2
3.5
8 14.0
2
3.5
9 15.8
5
8.8
10 17.5
4
7.0
8 14.0
2
3.5
7 12.3
3
5.3
3
5.3
4
7.0
9 15.8
28 49.1
75 131.6
57
57
185
Tab. 6.16 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti?
Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta
Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione
Ottenere certificazioni
Tempi lunghi per la documentazione
Ottenere il finanziamento del progetto
Nessuna
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
18
1
2
26
1
12
3
63
%
32
2
4
46
2
21
5
111
%
29
1
3
42
1
19
5
100
Tab. 6.17 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati
necessari alcuni adeguamenti?
Nessun adeguamento
Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda
Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso
Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
11
30
24
16
81
%
19
53
42
28
142
%
14
37
29
20
100
Tab. 6.18 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
TOTALE
BASE PERCENTUALE
186
TOTALE
nr
%
25 43.9
6 10.5
3
5.3
2
3.5
10 17.5
6 10.5
8 14.0
7 12.3
2
3.5
69 121.1
57
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
9 15.8
16 28.1
3
5.3
3
5.3
2
3.5
1
1.8
0
0.0
2
3.5
5
8.8
5
8.8
3
5.3
3
5.3
1
1.8
7 12.3
2
3.5
5
8.8
0
0.0
2
3.5
25 43.9
44 77.2
57
57
Tab. 6.19 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
23 40.4
2
3.5
18 31.6
4
7.0
20 35.1
12 21.1
79 138.6
57
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
5
8.8
18 31.6
0
0.0
2
3.5
6 10.5
12 21.1
2
3.5
2
3.5
5
8.8
15 26.3
2
3.5
10 17.5
20 35.1
59 103.5
57
57
AZIENDE FRUTTICOLE
Tab. 6.20 – Cambiamenti effettuati nelle fasi della tecnica colturale
Ha cambiato varietà:varietà
Ha cambiato varietà:modalità di acquisto
Ha modificato l'impianto:quantità' di piante per ettaro
Ha modificato l'impianto:modo di allevare le piante
Ha modificato la potatura:meno accurata
Ha modificato la potatura:più accurata
Ha modificato le lavorazioni del terreno:ridotte
Ha modificato le lavorazioni del terreno:organizzate in modo diverso
Ha modificato le concimazioni:quantità dei concimi
Ha modificato le concimazioni:modalità di concimazione
Ha modificato il diserbo:quantità di diserbante
Ha modificato il diserbo:modalità di diserbo
Ha modificato i trattamenti antiparassitari:quantità di antiparassitari
Ha modificato i trattamenti antiparassitari:modalità di distribuzione
Ha modificato l'irrigazione:quantità' di acqua
Ha modificato l'irrigazione:modalità' di irrigazione
Ha modificato la raccolta:utilizza automezzi di ausilio di proprietà
Ha cambiato acquirente delle produzioni:conferisce a consorzio
o cooperativa
Ha cambiato acquirente delle produzioni:vende in proprio
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
35
4
22
18
2
24
10
9
18
10
15
8
26
18
19
19
18
14
%
80
9
50
41
5
55
23
20
41
23
34
18
59
41
43
43
41
32
%
11
1
7
6
1
8
3
2
6
3
5
3
8
6
6
6
6
4
24
313
55
711
8
100
187
Tab. 6.21 – cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda
Ha acquisito terreni in affitto
Ha acquisito terreni in acquisto
Ha comprato macchine trattrici
Ha comprato macchine operatrici
Ha ingrandito costruzioni per la famiglia
Ha ingrandito costruzioni per le produzioni
Ha cambiato una o due tipologie di produzione
Ha cambiato tutte le tipologie di produzione
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
9
13
25
26
13
17
30
1
134
%
20
30
57
59
30
39
68
2
305
%
7
10
18
19
10
13
22
1
100
Tab. 6.22 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA'
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
188
TOTALE
nr
%
25 56.8
14 31.8
21 47.7
17 38.6
6 13.6
4
9.1
12 27.3
6 13.6
105 238.6
44
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
11 25.0
14 31.8
4
9.1
10 22.7
7 15.9
14 31.8
6 13.6
11 25.0
2
4.5
4
9.1
1
2.3
3
6.8
3
6.8
9 20.5
1
2.3
5 11.4
35 79.5
70 159.1
44
44
Tab. 6.23 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle nuove varietà
da impiantare?
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori
Contattato da un tecnico privato
Ha contattato un tecnico provinciale
Ha contattato un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha consultato la normativa
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia
Frequenta centri di sperimentazione
Ha partecipato a prove dimostrative
Ha partecipato a incontri divulgativi
Aveva interesse personale
Altro
Non ha effettuato cambiamenti
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
8
1
1
5
10
5
3
3
1
11
5
11
11
10
19
11
2
117
%
18
2
2
11
23
11
7
7
2
25
11
25
25
23
43
25
5
266
%
8
1
1
4
9
4
3
3
1
9
4
9
9
8
16
9
2
100
Tab. 6.24 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
8 18.2
9 20.5
7 15.9
15 34.1
13 29.5
9 20.5
2
4.5
1
2.3
64 145.5
44
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
3
6.8
5 11.4
3
6.8
6 13.6
1
2.3
6 13.6
4
9.1
11 25.0
5 11.4
8 18.2
5 11.4
4
9.1
2
4.5
0
0.0
0
0.0
1
2.3
23 52.3
41 93.2
44
44
189
Tab. 6.25 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti?
N.
11
4
4
4
2
1
26
Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta
Ottenere certificazioni
Tempi lunghi per la documentazione
Ottenere il finanziamento del progetto
Nessuna
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
%
25
9
9
9
5
2
59
%
43
15
15
15
8
4
100
Tab. 6.26 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati
necessari alcuni adeguamenti?
Nessun adeguamento
Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda
Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso
Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
23
8
2
8
1
42
%
52
18
5
18
2
95
%
55
19
5
19
2
100
Tab. 6.27 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
TOTALE
TOTALE
nr
%
22 50.0
3
6.8
3
6.8
1
2.3
26 59.1
12 27.3
3
6.8
6 13.6
2
4.5
78 177.3
BASE PERCENTUALE
44
190
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
8 18.2
14 31.8
0
0.0
3
6.8
1
2.3
2
4.5
0
0.0
1
2.3
8 18.2
18 40.9
5 11.4
7 15.9
0
0.0
3
6.8
1
2.3
5 11.4
1
2.3
1
2.3
24 54.5
54 122.7
44
44
Tab. 6.28 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
5 11.4
1
2.3
14 31.8
4
9.1
22 50.0
16 36.4
62 140.9
44
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
1
2.3
4
9.1
0
0.0
1
2.3
5 11.4
9 20.5
2
4.5
2
4.5
8 18.2
14 31.8
5 11.4
11 25.0
21 47.7
41 93.2
44
44
AZIENDE ORTICOLE
Tab. 6.29 - Cambiamenti effettuati nelle fasi della tecnica colturale
Ha modificato varietà
Ha ridotto lavorazioni
Ha aumentato lavorazioni
Ha modificato quantità di concime
Ha modificato modalità di concimazione
Ha modificato quantità diserbante
Ha modificato modalità di diserbo
Ha modificato quantità di antiparassitari
Ha modificato modalità di distribuzione
Ha modificato quantità d'acqua
Ha modificato modalità di irrigazione
Raccoglie con macchine proprie
Conferisce al consorzio o alla cooperativa
Vende in proprio
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
14
7
6
7
6
5
2
13
4
3
7
2
1
5
82
%
47
23
20
23
20
17
7
43
13
10
23
7
3
17
273
%
17
9
7
9
7
6
2
15
5
4
9
3
1
6
100
191
Tab. 6.30 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda
Ha acquisito terreni in affitto
Ha acquisito terreni in acquisto
Ha comprato macchine trattrici
Ha comprato macchine operatrici
Ha ingrandito costruzioni per la famiglia
Ha ingrandito costruzioni per le produzioni
Ha cambiato una o due tipologie di produzione
Ha effettuato altri cambiamenti
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
9
9
17
15
5
11
5
1
72
%
30
30
57
50
17
37
17
3
240
%
12
12
24
21
7
15
7
2
100
Tab. 6.31 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA'
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
14 46.7
10 33.3
10 33.3
10 33.3
2
6.7
2
6.7
6 20.0
9 30.0
63 210.0
30
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
3 10.0
11 36.7
2
6.7
8 26.7
5 16.7
5 16.7
4 13.3
6 20.0
2
6.7
0
0.0
0
0.0
2
6.7
2
6.7
4 13.3
1
3.3
8 26.7
19 63.3
44 146.7
30
30
Tab. 6.32 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle nuove varietà
da impiantare?
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Contattato da un tecnico privato
Ha contattato un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha partecipato a prove dimostrative
Ha partecipato a incontri divulgativi
Aveva interesse personale
Altro
Non ha effettuato cambiamenti
NUMERO RISPOSTE DATE
192
N.
3
1
6
1
1
1
6
1
1
8
3
1
33
%
10
3
20
3
3
3
20
3
3
27
10
3
110
%
9
3
18
3
3
3
18
3
3
25
9
3
100
Tab. 6.33 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
14 46.7
1
3.3
8 26.7
8 26.7
13 43.3
5 16.7
2
6.7
4 13.3
55 183.3
30
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
4 13.3
10 33.3
0
0.0
1
3.3
1
3.3
7 23.3
2
6.7
6 20.0
5 16.7
8 26.7
2
6.7
3 10.0
1
3.3
1
3.3
2
6.7
2
6.7
17 56.7
38 126.7
30
30
Tab. 6.34 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti?
Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta
Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione
Tempi lunghi per la documentazione
Ottenere il finanziamento del progetto
Nessuna
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
4
1
4
3
12
1
25
%
13
3
13
10
40
3
83
%
16
4
16
12
48
4
100
Tab. 6.35 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati
necessari alcuni adeguamenti?
Nessun adeguamento
Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda
Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso
Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto
Altro
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
24
3
3
2
1
33
%
80
10
10
7
3
110
%
73
9
9
6
3
100
193
Tab. 6.36 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
6 20.0
1
3.3
2
6.7
1
3.3
11 36.7
4 13.3
.
.
2
6.7
.
.
1
3.3
28 93.3
30
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
1
3.3
5 16.7
1
3.3
0
0.0
0
0.0
2
6.7
0
0.0
1
3.3
5 16.7
6 20.0
0
0.0
4 13.3
.
.
.
.
1
3.3
1
3.3
.
.
.
.
1
3.3
0
0.0
9 30.0
19 63.3
30
30
Tab. 6.37 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
194
TOTALE
nr
%
9 30.0
.
.
17 56.7
5 16.7
4 13.3
14 46.7
49 163.3
30
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
2
6.7
7 23.3
.
.
.
.
4 13.3
13 43.3
3 10.0
2
6.7
1
3.3
3 10.0
1
3.3
13 43.3
11 36.7
38 126.7
30
30
AZIENDE PRODUTTRICI DI TOMA
Tab. 6.38 – Cambiamenti effettuati nell’ambito dell’allevamento e della trasformazione del latte
Ha modificato razza di bovini allevata
Ha modificato alimentazione bestiame: aumentato insilati e unifeed
Ha modificato alimentazione bestiame: aumentato foraggio
Ha modificato la mungitura: meccanica
Ha modificato la mungitura: mista
Ha adottato sistema refrigerazione latte: tank aziendale
Ha adottato sistema refrigerazione latte: acqua corrente
Ha modificato scrematura latte: usando centrifuga
Ha introdotto la pastorizzazione
Ha inserito l'utilizzo di starter
Ha modificato lavorazione cagliata: cottura
Ha modificato lavorazione cagliata: pressatura
Ha modificato tecnica salatura: salamoia
Ha modificato tecnica salatura: salatura a secco
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
14
4
3
14
6
10
10
2
2
3
4
3
3
5
83
%
56
16
12
56
24
40
40
8
8
12
16
12
12
20
332
%
16
5
4
16
8
12
12
2
2
4
5
4
4
6
100
%
56
52
64
28
32
84
4
4
324
%
17
16
20
9
10
26
1
1
100
Tab. 6.39 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda
Ha acquisito terreni in affitto
Ha acquisito terreni in acquisto
Ha comprato macchine trattrici
Ha comprato macchine operatrici
Ha ingrandito costruzioni per la famiglia
Ha ingrandito costruzioni per le produzioni
Ha cambiato una o due tipologie di produzione
Ha effettuato altri cambiamenti
NUMERO DI RISPOSTE DATE
N.
14
13
16
7
8
21
1
1
81
195
Tab. 6.40 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA'
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
9 36.0
3 12.0
22 88.0
8 32.0
21 84.0
2
8.0
3 12.0
1
4.0
69 276.0
25
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
3 12.0
6 24.0
1
4.0
2
8.0
8 32.0
14 56.0
4 16.0
4 16.0
6 24.0
15 60.0
1
4.0
1
4.0
0
0.0
3 12.0
0
0.0
1
4.0
23 92.0
46 184.0
25
25
Tab. 6.41 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle fasi di lavorazione della toma?
Contattato da un tecnico provinciale
Contattato da un tecnico dell'org. professionale
Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori
Ha contattato un tecnico provinciale
Ha contattato un tecnico dell'org. professionale
Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori
Ha contattato un tecnico privato
Ha letto un articolo sull'argomento
Ha consultato la normativa
Ha visto altri che facevano le stesse cose
Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia
Ha partecipato a prove dimostrative
Ha partecipato a incontri divulgativi
Aveva interesse personale
Altro
NUMERO RISPOSTE DATE
196
N.
2
3
3
3
2
1
4
1
2
1
2
2
1
2
13
42
%
8
12
12
12
8
4
16
4
8
4
8
8
4
8
52
168
%
5
7
7
7
5
2
10
2
5
2
5
5
2
5
31
100
Tab. 6.42 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
9 36.0
2
8.0
12 48.0
1
4.0
15 60.0
3 12.0
4 16.0
46 184.0
25
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
2
8.0
7 28.0
0
0.0
2
8.0
3 12.0
9 36.0
1
4.0
0
0.0
5 20.0
10 40.0
0
0.0
3 12.0
2
8.0
2
8.0
13 52.0
33 132.0
25
25
Tab. 6.43 – Avendo dovuto far fronte ad adempimenti burocratici per attuare i cambiamenti, quali difficoltà ha incontrato
Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta
Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione
Ottenere certificazioni
Tempi lunghi per la documentazione
Ottenere il finanziamento del progetto
Nessuna
Altro
NUMERO RISPOSTE DATE
N.
13
3
3
10
3
2
1
35
%
52
12
12
40
12
8
4
140
%
37
9
9
29
8
5
3
100
Tab. 6.44 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati
necessari adeguamenti?
Nessun adeguamento
Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda
Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso
Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto
NUMERO RISPOSTE DATE
N.
4
15
13
5
37
%
16
60
52
20
148
%
11
41
35
13
100
197
Tab. 6.45 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
6 24.0
2
8.0
2
8.0
5 20.0
3 12.0
4 16.0
10 40.0
1
4.0
1
4.0
34 136.0
25
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
2
8.0
4 16.0
1
4.0
1
4.0
1
4.0
1
4.0
1
4.0
4 16.0
0
0.0
3 12.0
2
8.0
2
8.0
3 12.0
7 28.0
0
0.0
1
4.0
0
0.0
1
4.0
10 40.0
24 96.0
25
25
Tab. 6.46 – Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
198
TOTALE
nr
%
12 48.0
5 20.0
8 32.0
7 28.0
3 12.0
35 140.0
25
Classe età del titolare
meno di 40 anni
40 anni o più
nr
%
nr
%
3 12.0
9 36.0
.
0
0.0
5 20.0
4 16.0
4 16.0
3 12.0
4 16.0
1
4.0
2
8.0
11 44.0
24 96.0
25
25
199
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA’
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
96
46,6
70
34,0
125
60,7
52
25,2
63
30,6
23
11,2
53
25,7
31
15,0
513
249,0
206
mancante
nr
%
1
0,5
0
0,0
1
0,5
0
0,0
0
0,0
0
0,0
0
0,0
0
0,0
2
1,0
206
Tab. 6.47 – Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
TUTTE LE AZIENDE
Classe età del titolare
meno di 40 anni
nr
%
33
16,0
23
11,2
46
22,3
21
10,2
24
11,7
5
2,4
14
6,8
7
3,4
173
84,0
206
40 anni o più
nr
%
62
30,1
47
22,8
78
37,9
31
15,0
39
18,9
18
8,7
39
18,9
24
11,7
338
164,1
206
200
mancante
nr
%
6
2.9
0
0.0
7
3.4
1
0.5
3
1.5
0
0.0
2
1.0
2
1.0
21 10.2
206
TOTALE
nr
%
AUMENTARE RICAVO 129 62.6
RIDURRE I COSTI
84 40.8
MIGL. QUALITA'
146 70.9
ADEGUARE PROD.
73 35.4
ADEGUARE AZ. LEGGI 80 38.8
9.2
19
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
66 32.0
ALTRO MOTIVO
27 13.1
TOTALE
624 302.9
BASE PERCENTUALE 206
Cooperativa
nr
%
27 13.1
18
8.7
24 11.7
17
8.3
14
6.8
2
1.0
12
5.8
6
2.9
120 58.3
206
Classe età del titolare
da 0 a 2 HA
da 3 a 5 HA
nr
%
nr
%
9
4.4
12
5.8
6
2.9
8
3.9
9
4.4
12
5.8
6
2.9
10
4.9
2
1.0
4
1.9
2
1.0
4
1.9
5
2.4
6
2.9
3
1.5
3
1.5
42 20.4
59 28.6
206
206
Associazione di aderenza
Ass. Produttori
Consorzio
Ass. Tecnica
nr %
nr
%
nr
%
22 10.7
23 11.2
47 22.8
19
9.2
15
7.3
26 12.6
22 10.7
30 14.6
55 26.7
10
4.9
10
4.9
27 13.1
12
5.8
14
6.8
30 14.6
5
2.4
2
1.0
9
4.4
15
7.3
12
5.8
24
11.7
8
3.9
3
1.5
7
3.4
113 54.9
109 52.9
225 09.2
206
206
206
Tab. 6.49 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
AUMENTARE RICAVO
RIDURRE I COSTI
MIGL. QUALITA’
ADEGUARE PROD.
ADEGUARE AZ. LEGGI
AVERE FINANZIAM.
DIMIN. INQUINAM.
ALTRO MOTIVO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
96 46.6
70 34.0
125 60.7
52 25.2
63 30.6
23 11.2
53 25.7
31 15.0
513 249.0
206
Tab. 6.48 – Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni?
nr
10
6
15
9
10
1
3
3
57
206
%
4.9
2.9
7.3
4.4
4.9
0.5
1.5
1.5
27.7
Altro
oltre 5 HA
nr
%
69 33.5
56 27.2
97 47.1
35 17.0
54 26.2
17
8.3
40 19.4
23
11.2
391 189.8
206
201
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
83
40.3
32
15.5
56
27.2
53
25.7
71
34.5
37
18.0
16
7.8
37
18.0
385
186.9
206
Tab. 6.50 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
mancante
nr
%
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
1
0.5
1
0.5
206
Classe età del titolare
meno di 40 anni
nr
%
25
12.1
11
5.3
10
4.9
17
8.3
21
10.2
14
6.8
11
5.3
14
6.8
123
59.7
206
40 anni o più
nr
%
58
28.2
21
10.2
46
22.3
36
17.5
50
24.3
23
11.2
5
2.4
22
10.7
261
126.7
206
202
56
53
71
37
16
37
385 186.9
206
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
18.0
7.8
18.0
34.5
25.7
27.2
15.5
32
CONVEGNI
40.3
83
NOTIZIARI RIVISTE
206
12
4
0
0
3
1
2
0
2
nr
5.8
1.9
0.0
0.0
1.5
0.5
1.0
0.0
1.0
%
mancante
%
TOTALE
nr
Tab. 6.51 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
206
23
0
2
2
7
1
4
0
7
nr
11.2
0.0
1.0
1.0
3.4
0.5
1.9
0.0
3.4
%
da 0 a 2 HA
206
38
3
1
4
5
9
8
3
5
nr
18.4
1.5
0.5
1.9
2.4
4.4
3.9
1.5
2.4
%
da 3 a 5 HA
Classe età del titolare
14.6
6.3
15.0
27.2
20.4
20.4
14.1
33.5
%
206
312 151.5
30
13
31
56
42
42
29
69
nr
oltre 5 HA
203
NOTIZIARI RIVISTE
CONVEGNI
FIERE LOCALI
PROVE DIMOSTR.
RIUNIONI APPROF.
BOLLETTINO INF.
INTERNET
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
81 39.3
49 23.8
68 33.0
79 38.3
84 40.8
45 21.8
19
9.2
43 20.9
468 227.2
206
Cooperativa
nr
%
14
6.8
9
4.4
13
6.3
17
8.3
18
8.7
7
3.4
3
1.5
8
3.9
89 43.2
206
Tab. 6.52 - Quali strumenti l'hanno aiutata?
Associazione di aderenza
Ass. Produttori
Consorzio
Ass. Tecnica
nr %
nr
%
nr
%
16
7.8
17
8.3
28 13.6
13
6.3
9
4.4
14
6.8
11
5.3
11
5.3
26 12.6
13
6.3
15
7.3
28 13.6
12
5.8
17
8.3
29 14.1
11
5.3
4
1.9
17
8.3
3
1.5
6
2.9
7
3.4
5
2.4
8
3.9
15
7.3
84 40.8
87 42.2
164 79.6
206
206
206
nr
6
4
7
6
8
6
0
7
44
206
%
2.9
1.9
3.4
2.9
3.9
2.9
0.0
3.4
21.4
Altro
204
mancante
nr
%
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
1
0.5
0
0.0
1
0.5
206
Classe età del titolare
meno di 40 anni
nr
%
15
7.3
3
1.5
2
1.0
9
4.4
4
1.9
31
15.0
4
1.9
68
33.0
206
NON CONOSCEVO TEC.
FORNIT. NON INFORM.
COMP. INADEGUATE
MACCH. INADEGUATI
VENDITA NON RIUSC.
NESSUNA DIFFIC.
ALTRA DIFFIC.
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
39 18.9
7
3.4
6
2.9
22 10.7
8
3.9
123 59.7
14
6.8
219 106.3
206
mancante
nr
%
1
0.5
0
0.0
1
0.5
0
0.0
0
0.0
5
2.4
2
1.0
9
4.4
206
oltre 5 HA
nr
%
33 16.0
6
2.9
5
2.4
17
8.3
7
3.4
89 43.2
11
5.3
168 81.6
206
40 anni o più
nr
%
24
11.7
4
1.9
4
1.9
13
6.3
4
1.9
91
44.2
10
4.9
150
72.8
206
Classe età del titolare
da 0 a 2 HA
da 3 a 5 HA
nr
%
nr
%
3
1.5
2
1.0
0
0.0
1
0.5
0
0.0
0
0.0
2
1.0
3
1.5
0
0.0
1
0.5
12
5.8
17
8.3
0
0.0
1
0.5
17
8.3
25 12.1
206
206
Tab. 6.54 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti?
NON CONOSCEVO TEC.
FORNIT. NON INFORM
COMP. INADEGUATE
MACCH. INADEGUATI
VENDITA NON RIUSC.
NESSUNA DIFFIC.
ALTRA DIFFIC.
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
39
18.9
7
3.4
6
2.9
22
10.7
8
3.9
123
59.7
14
6.8
219
106.3
206
Tab. 6.53 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti?
205
TOTALE
nr
%
NON CONOSCEVO TEC. 50 24.3
FORNIT. NON INFORM.
7
3.4
COMP. INADEGUATE
9
4.4
MACCH. INADEGUATI
28 13.6
VENDITA NON RIUSC.
5
2.4
NESSUNA DIFFIC.
130 63.1
ALTRA DIFFIC.
22 10.7
TOTALE
251 121.8
BASE PERCENTUALE 206
Cooperativa
nr
%
9
4.4
3
1.5
2
1.0
5
2.4
0
0.0
27 13.1
5
2.4
51 24.8
206
Associazione di aderenza
Ass. Produttori
Consorzio
Ass. Tecnica
nr %
nr
%
nr
%
9
4.4
9
4.4
20
9.7
2
1.0
0
0.0
2
1.0
1
0.5
1
0.5
5
2.4
4
1.9
6
2.9
13
6.3
1
0.5
0
0.0
3
1.5
26 12.6
21 10.2
45 21.8
3
1.5
5
2.4
4
1.9
46 22.3
42 20.4
92 44.7
206
206
206
Tab. 6.55 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti?
nr
3
0
0
0
1
11
5
20
206
%
1.5
0.0
0.0
0.0
0.5
5.3
2.4
9.7
Altro
206
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
85
41.3
23
11.2
15
7.3
9
4.4
66
32.0
32
15.5
21
10.2
29
14.1
7
3.4
3
1.5
290
140.8
206
mancante
nr
%
1
0.5
0
0.0
0
0.0
0
0.0
1
0.5
0
0.0
0
0.0
1
0.5
0
0.0
1
0.5
4
1.9
206
Classe età del titolare
meno di 40 anni
nr
%
32
15.5
10
4.9
6
2.9
2
1.0
27
13.1
11
5.3
6
2.9
9
4.4
2
1.0
1
0.5
106
51.5
206
Tab. 6.56 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
40 anni o più
nr
%
52
25.2
13
6.3
9
4.4
7
3.4
38
18.4
21
10.2
15
7.3
19
9.2
5
2.4
1
0.5
180
87.4
206
207
MIGL. PRODOTTO
DIMIN. LAVORO
AUMENTO LAVORO
DIMIN. REDDITO
AUMENTO REDDITO
RIDUZIONE SPESE
AUMENTO SPESE
NUOVI CANALI
DIFFICOLTA' VENDITA
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
85 41.3
23 11.2
15
7.3
9
4.4
66 32.0
32 15.5
21 10.2
29 14.1
7
3.4
3
1.5
290 140.8
206
mancante
nr
%
5
2.4
0
0.0
2
1.0
0
0.0
3
1.5
0
0.0
2
1.0
4
1.9
0
0.0
1
0.5
17
8.3
206
Classe età del titolare
da 0 a 2 HA
da 3 a 5 HA
nr
%
nr
%
9
4.4
8
3.9
2
1.0
0
0.0
1
0.5
1
0.5
0
0.0
3
1.5
10
4.9
9
4.4
3
1.5
4
1.9
1
0.5
2
1.0
4
1.9
2
1.0
0
0.0
1
0.5
0
0.0
1
0.5
30 14.6
31 15.0
206
206
Tab. 6.57 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
oltre 5 HA
nr
%
63 30.6
21 10.2
11
5.3
6
2.9
44 21.4
25 12.1
16
7.8
19
9.2
6
2.9
1
0.5
212 102.9
206
208
TOTALE
nr
%
MIGL. PRODOTTO
109 52.9
DIMIN. LAVORO
21 10.2
AUMENTO LAVORO
20
9.7
DIMIN. REDDITO
6
2.9
AUMENTO REDDITO
107 51.9
RIDUZIONE SPESE
44 21.4
AUMENTO SPESE
32 15.5
NUOVI CANALI
40 19.4
DIFFICOLTA' VENDITA
9
4.4
ALTRO
3
1.5
TOTALE
391 189.8
BASE PERCENTUALE 206
Cooperativa
nr
%
20
9.7
4
1.9
2
1.0
1
0.5
20
9.7
12
5.8
2
1.0
6
2.9
2
1.0
0
0.0
69 33.5
206
Associazione di aderenza
Ass. Produttori
Consorzio
Ass. Tecnica
nr %
nr
%
nr
%
23
11.2
22 10.7
36 17.5
5
2.4
1
0.5
9
4.4
5
2.4
3
1.5
8
3.9
2
1.0
1
0.5
2
1.0
21 10.2
16
7.8
40 19.4
7
3.4
3
1.5
17
8.3
5
2.4
5
2.4
15
7.3
3
1.5
11
5.3
16
7.8
2
1.0
0
0.0
5
2.4
0
0.0
1
0.5
1
0.5
73 35.4
63 30.6
149 72.3
206
206
206
Tab. 6.58 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine?
nr
8
2
2
0
10
5
5
4
0
1
37
206
%
3.9
1.0
1.0
0.0
4.9
2.4
2.4
1.9
0.0
0.5
18.0
Altro
209
ADEG. NORME
MANC. CAP. TECNICHE
DIFFIC. VENDERE
MANCA ATTREZZATURE
DIFF. TROVARE PERS.
ALTRO
TOTALE
BASE PERCENTUALE
TOTALE
nr
%
64
31.1
3
1.5
66
32.0
33
16.0
55
26.7
69
33.5
290
140.8
206
mancante
nr
%
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
0
0.0
1
0.5
1
0.5
206
Tab. 6.59 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento?
Classe età del titolare
meno di 40 anni
nr
%
15
7.3
0
0.0
18
8.7
16
7.8
19
9.2
15
7.3
83
40.3
206
40 anni o più
nr
%
49
23.8
3
1.5
48
23.3
17
8.3
36
17.5
53
25.7
206
100.0
206
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Progetto “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità”: la cerealicoltura
Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte - Studi preliminari alla redazione del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 della
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Progetto “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”: la frutticoltura
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Regione Piemonte, Direzione Sviluppo Agricoltura, Settore Servizi di Sviluppo Agricolo,
2003, Orticoltura, Prove di confronto varietale 2002, Liste di orientamento varietale 2004,
Documenti per l’Assistenza tecnica, Torino.
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ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino.
Osservatorio Latte, ISMEA, 2003, Il mercato del latte, Rapporto 2003, Franco Angeli,
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Regione Piemonte, Direzione Sviluppo dell’agricoltura, 1999, Toma Piemontese – Guida pratica alla caseificazione, Supplemento al n. 18 dei Quaderni alla Regione Piemonte, Agricoltura, Stamperia Artistica Nazionale, Torino.
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Ipotesi sui percorsi e sulla diffusione delle innovazioni
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U. Nitsch, “Limiti ed evoluzione della teoria delle adoption model”, in Agricoltura e
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U. Nitsch, “Dalla diffusione delle innovazioni all’apprendimento comune” in Caldarini
C., Satta M. (a cura di) Metodologia della divulgazione. Il fattore umano nello sviluppo
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Vagnozzi, “Il trasferimento delle innovazioni in ambito rurale: come?”, in “Rete Leader”, n. 2, INEA, Roma, 1999
Vagnozzi e S. Paparoni ( a cura di), “Il sistema della conoscenza in agricoltura“; i Quaderni del POM, INEA, Roma, 2001
Vagnozzi, “I servizi di sviluppo agricolo in Italia: problematiche aperte” in Rivista di
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213
L’approccio relazionale nell’indagine valutativa: metodologie e strumenti di indagine
Dewey J., Logica. Teoria dell’indagine (Logic, the theory of Inquiry, 1938) traduzione e
introduzione di Aldo Visalberghi, Einaudi, Torino, 1949,
Ferrarotti F., L’ultima lezione. Critica della sociologia contemporanea, Editori Laterza,
Bari, 1999.
Siti internet:
www.regione.piemonte.it
www.starnet.it
www.istat.it
214
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