Istituto Nazionale di Economia Agraria Analisi Regionali I PERCORSI DELLA RICERCA SCIENTIFICA E LA DIFFUSIONE DELL’INNOVAZIONE IL CASO DELL’AGRICOLTURA PIEMONTESE a cura di Anna Vagnozzi INEA, 2007 Regione Piemonte Istituto Nazionale di Economia Agraria I PERCORSI DELLA RICERCA SCIENTIFICA E LA DIFFUSIONE DELL’INNOVAZIONE IL CASO DELL’AGRICOLTURA PIEMONTESE a cura di Anna Vagnozzi INEA, 2007 Il presente volume è stato redatto da: Anna Vagnozzi (Responsabile progetto e ricercatore INEA Roma) che ha curato il capitolo 1 e i capitoli 3, 4, e i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6, 6.7; Valentina Chiarello (collaboratrice INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi di descrizione dei comparti e delle tecniche del capitolo 2; Carlo Masoero (Ricercatore INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi di analisi economica attraverso la RICA del capitolo 2; Stefano Trione (Ricercatore INEA Piemonte) che ha curato i paragrafi relativi alle politiche agricole regionali del capitolo 2; Francesca Giarè (Ricercatore INEA Roma) che ha curato il capitolo 5 e il paragrafo 6.8. Hanno inoltre collaborato all’editing e alla elaborazione dei dati: Maria Giglio (INEA Roma); Roberta Gloria (INEA Roma). La Grafica e l’impaginazione è stata curata da Pierluigi Cesarini Si ringrazia Andrea Povellato per la lettura del volume e per i preziosi suggerimenti. INDICE CAPITOLO 1 Premessa 5 CAPITOLO 2 ANALISI DEL CONTESTO: I SETTORI PRODUTTIVI COINVOLTI 9 2.1 La cerealicoltura 9 2.2 La viticoltura marginale 28 2.3 La viticoltura specializzata 38 2.4 La frutticoltura 48 2.5 L’orticoltura 58 2.6 La caseificazione 68 CAPITOLO 3 LE INNOVAZIONI OGGETTO DI STUDIO 81 3.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità” 81 3.2 Ricerca “ Valorizzazione del Canavese DOC Rosso” 88 3.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura” 93 3.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” 100 3.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” 109 3.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese” 116 CAPITOLO 4 IPOTESI SUI PERCORSI E SULLA DIFFUSIONE DELLE INNOVAZIONI 123 4.1 Dal modello di diffusione al modello di relazione 123 4.2 Prime ipotesi circa la diffusione dei risultati delle ricerche piemontesi 125 4.3 Confronto fra obiettivi/risultati delle ricerche e componenti situazionali/istituzionali dello schema decisionale dell’imprenditore 131 CAPITOLO 5 L’APPROCCIO RELAZIONALE NELL’INDAGINE VALUTATIVA: METODOLOGIE E STRUMENTI DI INDAGINE 137 CAPITOLO 6 I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO 145 6.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità” 145 6.2 Ricerca “Valorizzazione del Canavese DOC rosso” 149 6.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura” 151 6.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” 155 6.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” 159 6.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese” 162 6.7 Uno sguardo d’insieme ai risultati 165 6.8 Problematiche aperte 170 APPENDICE STATISTICA: I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO 177 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 211 QUESTIONARI AGLI IMPRENDITORI AGRICOLI 215 INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI 255 CAPITOLO 1 PREMESSA Il presente volume conclude l’attività di studio realizzata dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria sullo sviluppo e l’applicazione di sei filoni di ricerca promossi dalla Regione Piemonte negli anni scorsi, filoni scelti dalla Regione stessa fra quelli ritenuti strategici per la ricerca agricola regionale. La finalità dello studio è stata duplice: da un lato verificare il percorso e l’applicazione nel contesto operativo agricolo delle innovazioni oggetto delle ricerche prescelte, dall’altro sperimentare una modalità di approccio e di lavoro che possa essere periodicamente utilizzata dagli uffici regionali stessi. La ricerca si è sviluppata in tre momenti fondamentali: • l’analisi di scenario nell’ambito della quale sono state approfondite le conoscenze sui settori produttivi di contesto e sulla storia e lo sviluppo delle ricerche scelte; • l’analisi su campo nell’ambito della quale sono state sondate opinioni e conoscenze di tecnici e testimoni privilegiati ed è stata verificata la presenza delle innovazioni presso le imprese interessate; • la riflessione critica che, a conclusione di entrambe le fasi precedenti, ha consentito di interpretare e spiegare i risultati emersi. Le attività di ricerca oggetto di studio sono state le seguenti: 1. “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” la cui diffusione è stata verificata nelle province di Torino e Cuneo, 2. “Valorizzazione del Canavese rosso DOC” la cui diffusione è stata verificata nelle aree del Canavese e Alto Eporediese, 3. “Selezioni clonali in viticoltura” la cui diffusione è stata verificata nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo, 4. “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” la cui diffusione è stata verificata nella provincia di Cuneo, 5. “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” la cui diffusione è stata verificata nelle province di Alessandria, Asti, Cuneo, Torino, 6. “Caratterizzazione della Toma Piemontese” la cui diffusione è stata verificata nelle province di Biella, Cuneo, Torino. 5 Si è trattato quindi di un’analisi piuttosto complessa che ha riguardato tutti i principali settori dell’agricoltura piemontese e diverse tipologie di innovazione: quella di prodotto, le sperimentazioni varietali e quella di processo, le tecniche di produzione; quelle agronomiche e quelle di trasformazione. Il filo conduttore che ha guidato l’intera attività è stata la volontà di realizzare un buon prodotto di ricerca basato su un’impostazione scientifica con precisi riferimenti teorici e un idoneo strumento di lavoro per gli uffici della regione che lo hanno commissionato. Il prodotto finale sembra ottemperare quello che ci si auspicava. Esso contiene una grande quantità di informazioni utili a chi gestisce le politiche della conoscenza per interpretare le caratteristiche e le problematiche dei settori produttivi agricoli in un’ottica di domanda di nuova conoscenza e analizza le procedure utilizzate e i rapporti fra i soggetti secondo criteri di efficacia e di possibilità di sviluppo. D’altro canto l’intero lavoro rappresenta anche un complesso caso studio regionale sulla produzione e diffusione delle innovazioni che non trova riscontro recente nelle produzioni scientifiche agricole e può diventare un’utile occasione di dibattito nel mondo scientifico interessato sia per i risultati che per la metodologia. Il volume si articola in più capitoli. Il capitolo 2 contiene tutte le analisi di scenario dei comparti interessati dalle ricerche e dalle relative innovazioni; vengono presi in considerazione: i più importanti dati strutturali e congiunturali del settore, gli aspetti tecnici ed economici collegati alle caratteristiche delle innovazioni studiate, i risultati economici dei comparti, per le specie e le province interessate, secondo le informazioni disponibili nella banca dati della Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) del Piemonte, le linee di politica regionale per il settore. Il capitolo 3 analizza nel dettaglio i progetti di ricerca e le innovazioni prodotte; vengono descritti gli obiettivi della ricerca e le procedure di indagine, i principali risultati ottenuti e la loro ricaduta rispetto agli utenti potenziali, il partenariato che ha realizzato la ricerca, i metodi e gli strumenti di divulgazione. Il capitolo 4 presenta il modello teorico utilizzato per verificare la diffusione dei risultati delle ricerche e, sulla base dei dati raccolti, propone una prima ipotesi di diffusione e di performance delle ricerche. Il capitolo 5 descrive la metodologia utilizzata per realizzare l’indagine su campo. Il capitolo 6 riporta i risultati dell’indagine su campo. Vengono sinteticamente analizzate le risultanze del questionario, delle interviste ai testimoni privile6 giati e dei gruppi focus prima considerando le singole ricerche, poi dando uno sguardo d’insieme all’intero intervento. In fondo al capitolo sono riportate le tabelle statistiche ritenute più interessanti. L’Appendice riporta gli strumenti di lavoro utilizzati: la bibliografia, il questionario, le tracce delle interviste. 7 CAPITOLO 2 ANALISI DEL CONTESTO: I SETTORI PRODUTTIVI COINVOLTI 2.1 La cerealicoltura Il progetto di ricerca “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità” ha la finalità di definire e sperimentare modelli produttivi alternativi rispetto all’agrotecnica tradizionalmente seguita nelle aziende agricole piemontesi, effettivamente proponibili agli agricoltori e da essi riproducibili. I sistemi colturali innovativi considerati nel corso dello studio devono assicurare la salvaguardia del reddito degli agricoltori, la compatibilità dell’attività agricola con l’ambiente e il mantenimento della fertilità del suolo agrario visto, quest’ultimo, come risorsa produttiva limitata da conservare. Per soddisfare tali esigenze, la ricerca ha messo a confronto le tecniche agronomiche convenzionali, tradizionalmente adottate nella pianura piemontese, con due percorsi colturali alternativi che comportano una significativa riduzione dell’impiego dei fattori produttivi, con l’obiettivo di contenere, nel contempo, i costi di produzione delle derrate e di rendere minimo l’impatto ambientale dei processi produttivi vegetali. I tre percorsi colturali presi in esame sono applicati alla stessa rotazione quadriennale mais-frumento-mais-soia. Essi si rivelano profondamente diversi in termini di apporto energetico, inteso prevalentemente come lavorazioni del terreno e impiego di prodotti fitosanitari e fertilizzanti. Il primo percorso si riferisce all’agrotecnica tradizionale, che prevede aratura, diserbo in pre-emergenza delle colture e concimazione standard; il secondo è il percorso chiamato “2078”, conforme al dettato del regolamento 2078/92 e della misura agroambientale F1 del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 della Regione Piemonte; il terzo, infine, è definito percorso produttivo “Basso Input” (BI) e prevede la minima lavorazione del suolo, l’utilizzo di erbai da sovescio a ciclo autunno-vernino e un radicale contenimento delle pratiche del diserbo e della fertilizzazione. Attraverso l’analisi di scenario di seguito proposta si intende descrivere il contesto territoriale in cui l’innovazione può diffondersi e, a tale scopo, è stato individuato il territorio delle province di Cuneo e Torino. La pianura torinese e cuneese, infatti, presenta caratteristiche pedoclimatiche e geografiche del tutto 9 analoghe a quelle possedute dall’area in cui è stata condotta la sperimentazione, vale a dire l’azienda agricola dell’Istituto Tecnico Agrario Don Bosco di Lombriasco. Si tratta, infatti, di una zona pianeggiante posta a cavallo tra le province di Torino e di Cuneo, che rappresenta assai bene la pianura fertile e irrigua in cui prevalgono aziende a indirizzo produttivo cerealicolo. Di seguito, oltre a descrivere le caratteristiche tecnico-economiche salienti delle colture interessate dalla rotazione (mais, frumento e soia), si indagano anche talune specifiche tematiche che, si ritiene, potrebbero agevolare o, al contrario, ostacolare la diffusione dei sistemi di coltivazione innovativi oggetto di sperimentazione. 2.1.1 Descrizione dei comparti La Produzione ai prezzi di base (PPB) dell’agricoltura piemontese ha raggiunto nel 2001 il valore di circa 3,4 miliardi di euro, il 35% dei quali derivante dai prodotti delle coltivazioni erbacee; il 20% del valore di queste ultime è riferibile alla cerealicoltura e solo il 2% alle colture industriali. Le province di Torino e Cuneo contribuiscono, rispettivamente, con valori assoluti di 700 milioni di euro e di 1,3 miliardi di euro, al 20% e 40% della produzione agricola regionale; nella prima, un terzo della PPB provinciale è determinato dalle coltivazioni erbacee, tra le quali prevalgono i cereali (57%) e le colture industriali (10%), nella seconda il 23% della PPB è ottenuta dalle coltivazioni erbacee, di cui i cereali costituiscono circa un terzo e le colture industriali il 4%. Complessivamente, dunque, le due province contribuiscono con pesi equivalenti a costituire un terzo della PPB cerealicola regionale e circa la metà della PPB regionale rappresentata dalle colture industriali (tab. 2.1). Tab. 2.1 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni erbacee in Piemonte e nelle province di Torino e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤) Coltivazioni erbacee Piemonte Totale agricoltura Totale di cui: cereali di cui: industriali 1.214.840 701.698 79.523 di cui: Torino 218.922 117.754 23.083 703.029 di cui: Cuneo 310.429 116.298 14.045 1.336.305 Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT 10 3.451.958 In termini di superfici e produzioni, la cerealicoltura riveste nelle due province un ruolo assai importante. Infatti, secondo i dati del censimento dell’Agricoltura del 2000 il 77% delle aziende del torinese è orientato alla produzione di cereali ed occupa circa il 30% dell’intera SAU provinciale (tab. 2.2); nel cuneese, invece, il 60% delle aziende agricole è orientato alla cerealicoltura, che interessa oltre un quinto della SAU provinciale. Tab. 2.2 - Aziende con seminativi del Piemonte e delle province di Torino e Cuneo e relativa SAU nel periodo intercensuario 1990-2000 Cereali aziende (n.) 2000 SAU (ha) 2000 Oleaginose aziende (n.) 2000 SAU (ha) 2000 Totale aziende (n.) 2000 SAU (ha) 2000 Cereali aziende (n.) 1990 SAU (ha) 1990 Oleaginose aziende (n.) 1990 SAU (ha) 1990 Totale aziende (n.) 1990 SAU (ha) 1990 Torino Cuneo Piemonte Torino Variaz. % 00-90 Cuneo Variaz. % 00-90 Piemonte Variaz. % 00-90 18.334 78.902 22.501 77.846 74.766 406.415 -8,7 -1,5 -6,0 -0,5 -28,4 -23,6 1.998 8.650 1.814 7.740 7.569 38.904 -27,6 21,3 10,5 16,9 -24,2 -4,1 23.719 260.173 37.315 330.740 112.747 1.069.565 -40,9 4,6 -37,2 -6,0 -38,3 -4,5 20.086 80.064 23.932 78.233 104.492 532.249 2.761 7.129 1.641 6.620 9.979 40.560 40.152 248.709 59.417 351.998 182.663 1.120.250 Fonte: ISTAT –Censimento Agricoltura 2000 e 1990 Le oleaginose, al contrario, rivestono un ruolo piuttosto marginale sia a livello regionale sia nelle province in esame. Infatti, le aziende specializzate nella produzione di semi oleosi sono circa l’8% del totale in provincia di Torino e il 5% in quella di Cuneo; in entrambi i casi la coltura di maggior rilievo è la soia. Secondo quanto evidenziato in tabella 2.2 nel decennio 1990-2000 il numero delle aziende agricole piemontesi è diminuito del 40%, a fronte di una contenu11 ta riduzione della SAU regionale (-4,6%). Nel cuneese la tendenza osservata a livello regionale è all’incirca confermata, mentre nel torinese le aziende sono diminuite in misura maggiore e, tuttavia, la SAU complessiva risulta aumentata per effetto di un processo di concentrazione delle superfici coltivate nelle aziende di maggiori dimensioni. È bene notare, però, che nelle province in esame tale fenomeno ha riguardato tipologie aziendali diverse da quelle cerealicole e cerealicolo-zootecniche - la superficie a cereali si è mantenuta, in effetti, sui livelli del decennio precedente - mentre per le proteoleaginose è possibile osservare, in controtendenza rispetto a quanto accaduto a livello regionale, un aumento anche piuttosto marcato delle superfici coltivate nel periodo intercensuario. Si presume che la relativa stabilità del comparto cerealicolo e l’anomalo andamento del settore delle oleaginose siano, in buona misura, scaturiti dalle “compensazioni” introdotte attraverso le modifiche alla PAC nel 1992. Il sistema di sostegno legato alle superfici e alle produzioni, infatti, ha inciso in maniera sostanziale sulla redditività delle aziende e sembra avere comportato diffusi casi di “sovracompensazione”: vale a dire, la scelta di coltivare cereali e oleaginose è derivata non tanto dalle necessità agronomiche o dalle condizioni di mercato delle relative produzioni, quanto piuttosto dall’obiettivo di intercettare la maggior quota possibile di trasferimenti comunitari. Proprio per questi motivi, forse, la cerealicoltura delle province di Torino e Cuneo - che sono tra quelle che hanno ricevuto la quota maggiore di pagamenti diretti per i seminativi - non è stata interessata dalla contrazione verificatasi in altri comparti. Le coltivazioni cerealicole più diffuse nella provincia di Torino e Cuneo sono il mais ibrido e il frumento (tab. 2.3). Nel torinese circa il 60% delle aziende cerealicole coltiva mais e il 25% frumento, mentre in provincia di Cuneo circa la metà delle aziende cerealicole coltiva mais e più del 30% coltiva frumento. Nel territorio delle due province si concentra il 60% della superficie regionale investita da mais e più del 50% da quella a frumento; nel torinese e nel cuneese, infine, si rinvengono circa i due terzi della SAU piemontese coltivata a soia. Come evidenziato in tabella 2.4, nel triennio 2001-2003, le produzioni regionali di cereali (escludendo il riso) sfiorano mediamente i 19 milioni di quintali, di cui circa i due terzi sono rappresentati da mais ibrido, con oltre 13 milioni; a tali produzioni di mais le province di Torino e di Cuneo contribuiscono, rispettivamente, con quantità pari all’incirca al 30% e al 20 %. Invece, la produzione regionale di frumento si assesta mediamente intorno ai 4 milioni di quintali, il 30% dei quali provengono dalle aziende cuneesi e il 20% da quelle torinesi. Molto più contenute, infine, sono le 12 13 78.902 13.768 59.204 1.910 1.697 8.650 7.339 23.719 260.173 SAU (ha) 2000 - di cui frumento - di cui mais Oleaginose aziende (n.) 2000 - di cui soia SAU (ha) 2000 - di cui soia Totale aziende (n.) 2000 SAU (ha) 2000 37.315 330.740 1.742 1.583 7.740 6.735 77.846 19.825 48.355 22.501 7.170 10.592 Cuneo Fonte: ISTAT – Censimento Agricoltura 2000 18.334 4.660 10.809 Cereali aziende (n.) 2000 - di cui frumento - di cui mais to Torino 112.747 1.069.565 7.191 4.824 38.904 25.283 406.415 83.553 178.076 74.766 22.195 35.881 Piemonte 8,1 0,7 3,3 2,8 30,3 5,3 22,8 77,3 19,6 45,6 Torino 4,7 0,5 2,3 2,0 23,5 6,0 14,6 60,3 19,2 28,4 provinciale Cuneo % totale 6,4 0,5 3,6 2,4 38,0 7,8 16,6 66,3 19,7 31,8 Piemonte 90,9 87,0 84,8 25,5 62,1 31,9 47,1 provinciale 65,0 67,1 20,6 43,8 29,7 48,0 Cuneo Piemonte % comparto 88,8 17,4 75,0 25,4 59,0 Torino 26,6 35,2 22,2 29,0 19,4 16,5 33,2 24,5 21,0 30,1 24,2 32,8 19,9 26,6 19,2 23,7 27,2 30,1 32,3 29,5 regionale Torino Cuneo % compar- Tab. 2.3 - Superfici e numero di aziende per prodotto in Piemonte e nelle province di Torino e Cuneo nel 2000 produzioni delle coltivazioni industriali: la produzione di soia, seguendo un’evoluzione di segno opposto a quanto accaduto nel decennio precedente, è fortemente calata, passando da oltre 800.000 quintali nel 2001 a 270.000 quintali nel 2003. Tab. 2.4 - Superficie coltivata e produzione di alcuni prodotti delle coltivazioni in Piemonte e nelle province di Torino e Cuneo 2003(a) superficie produzione 2002(a) 2001 superficie produzione superficie produzione ha q ha q ha q Cereali 85.478 6.634.600 85.601 5.637.235 81.779 6.012.536 Frumento tenero 13.500 648.000 21.793 1.044.750 18.500 995.000 Mais ibrido 66.000 5.676.000 56.256 4.204.385 56.256 4.671.539 119 7.280 141 8.050 85.482 5.629.955 81.638 6.004.486 Torino Riso Cereali (senza riso) Coltivazioni industriali 2.105 57.190 5.151 274.842 10.896 369.922 Soia 1.500 40.500 4.000 112.400 9.248 264.403 79.837 4.821.600 71.353 4.569.648 67.492 4.814.040 Cuneo Cereali Frumento tenero 21.100 1.035.000 22.568 1.191.750 9.588 1.135.000 Mais ibrido 50.400 3.400.000 40.820 3.009.510 40.820 3.343.600 212 19.060 186 15.570 4.798.470 Riso Cereali (senza riso) 71.141 4.550.588 67.306 Coltivazioni industriali 4.554 61.480 4.648 363.709 9.745 411.796 Soia 4.040 55.000 3.464 79.326 8.100 195.000 412.920 25.826.510 410.101 26.476.544 398.263 27.095.019 80.200 3.466.160 95.000 4.379.697 84.558 4.171.140 Mais ibrido 189.460 13.573.900 173.100 13.117.625 173.000 14.566.808 Riso 114.399 7.467.248 112.492 7.564.431 110.632 6.937.890 Cereali (senza riso) 298.521 18.359.262 297.609 18.912.113 287.631 20.157.129 Coltivazioni industriali 33.669 6.551.093 38.346 8.157.280 60.502 6.576.091 Soia (a): dati provvisori 12.380 266.400 14.000 382.483 30.663 843.903 Piemonte Cereali Frumento tenero Fonte: Annuario statistico Regionale – Piemonte in cifre- 2004 Dalle informazioni statistiche fino ad ora esposte si evince con chiarezza che il progetto di ricerca “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” finanzia14 to dalla Regione Piemonte interessa produzioni di assoluto rilievo per l’economia agricola piemontese e, pertanto, è di assoluto interesse analizzare, dal punto di vista microeconomico, i processi produttivi che consentono le suddette produzioni nelle aziende agricole piemontesi. 2.1.2 Risultati economici e struttura dei costi Per analizzare il contesto produttivo rispetto ad uno degli obiettivi del progetto, quello della riduzione dei costi sostenuti dagli agricoltori nel settore cerealicolo e quantificare l’incidenza di questi fattori produttivi sul totale dei costi sostenuti, sono state prese in esame, con riferimento al triennio 2000/2002, le aziende specializzate nella coltivazione di cereali e semi oleosi presenti nella RICA1 regionale. Di queste aziende, con riferimento alle province di Torino e Cuneo e alle colture oggetto della sperimentazione (frumento, mais ibrido e soia) si riportano in tabella 2.5 i risultati economici e produttivi e in tabella 2.6 alcuni indici di produttività, alcuni indici strutturali e l’analisi dei costi della meccanizzazione. L’analisi dei principali dati economici di frumento, mais e soia evidenzia un livello del margine lordo ad ettaro del mais che, in entrambe le province, risulta il più elevato: mediamente nel triennio considerato si attesta intorno ad un valore di circa 1.300 ¤ per ettaro. Soia e frumento hanno una redditività lorda inferiore, pres soché equivalente che, nella provincia di Torino, si dispone su valori di 870 ¤ per ettaro e in quella di Cuneo di 950 ¤ per ettaro. La maggiore redditività del mais deriva sostanzialmente dalla più alta produttività; infatti la resa ad ettaro del mais è mediamente pari a 110 q., mentre per il frumento è di 50 q. per ettaro e per la soia di 30 q. per ettaro; una maggiore produttività che, pur in presenza di un livello dei prezzi del mais significativamente inferiore rispetto al grano, ma soprattutto alla soia, resta comunque tale da conservare allo stesso mais il primato in termini di margine lordo. Per tutte e tre le colture in esame le spese specifiche incidono in una misura che varia dal 20 al 30% della produzione lorda; in particolare la spesa per fertilizzanti incide notevolmente sul 1 Come noto, la Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) è uno strumento comunitario con finalità informative e gestionali attivo in tutti i Paesi Membri con una metodologia comune al fine di assicurare la produzione di dati comparabili a livello europeo. La RICA fornisce dati microeconomici rappresentativi a livello regionale di aziende di diversa tipologia e dimensioni; si tratta di informazioni elementari di natura strutturale, contabile ed extracontabile che permettono di calcolare indicatori economici e strutturali per il confronto interaziendale. Nel caso del Piemonte il numero di aziende agricole annualmente oggetto di rilevazione si aggira intorno alle 1.000 unità. 15 totale dei costi: nel mais arriva fino al 40% del totale delle spese, per il frumento al 30%, mentre è più contenuta per la soia, dove si attesta intorno al 20%. Tab. 2.5 - Principali risultati economici delle colture frumento, mais ibrido e soia nelle province di Torino e Cuneo 2000 PROVINCIA DI TORINO Coltivazioni analizzate (n.) 6 Superficie media aziendale della coltura (ha) 6,0 A) Produz. unitaria del prodotto principale (q/ha) 14 B) Prezzo (¤ / q) 14 C) Produzione lorda totale (¤ / ha) 1.225 D) Spese specifiche ( /ha) 321 - sementi acquistate 102 - fertilizzanti acquistati 104 - antiparassitari / diserbanti acquistati 27 - noleggi 67 - altre spese 12 11 - reimpieghi E) Margine lordo (¤ / ha) [E = C – D] 904 PROVINCIA DI CUNEO Coltivazioni analizzate (n.) 16 Superficie media aziendale delle colture (ha) 4,7 A) Produz. unitaria del prodotto principale (q/ha) 45 B) Prezzo (¤ / q) 14 C) Produzione lorda totale (¤ / ha) 1.163 D) Spese specifiche (¤/ha) 346 - sementi acquistate 76 101 - fertilizzanti acquistati - antiparassitari / diserbanti acquistati 70 - noleggi 92 - altre spese 3 - reimpieghi 0 16 Frumento 2001 2002 Mais ibrido 2000 2001 2002 valori assoluti 2000 Soia 2001 2002 34 43 51 53 67 10 30 18 50 51 115 108 116 10,0 25 27 13 13 11 11 13 13 13 13 12 12 21 21 19 19 21 21 1.167 1.195 1.963 1.803 1.932 1.372 1.198 262 337 116 99 301 98 96 537 152 194 632 179 262 565 161 231 283 88 62 295 90 68 262 127 31 42 55 7 18 40 46 12 10 53 102 7 14 55 85 20 18 55 79 23 8 83 44 3 0 73 45 6 0 86 16 0 0 830 894 1.426 1.172 1.367 1.089 903 635 13 20 26 26 27 9 9 5 3,8 5,6 7,7 8,3 9,6 5,7 7,2 5,7 60 15 49 13 103 11 107 10 130 10 31 22 21 17 42 21 1.337 286 90 92 1.174 275 78 85 1.664 483 134 134 1.677 386 140 116 1.819 332 110 93 1.395 288 62 65 9 82 0 5 35 72 3 2 70 109 7 6 47 53 6 6 50 47 15 6 50 100 1 1 1.227 1.209 375 226 104 97 56 51 116 87 0 5 52 260 0 0 segue Tab. 2.5 - Principali risultati economici delle colture frumento, mais ibrido e soia nelle province di Torino e Cuneo Frumento 2000 2001 Mais ibrido 2002 2000 2001 2002 Soia 2000 2001 2002 1.108 852 983 valori assoluti E) Margine lordo (¤/ha) [E = C – D] 818 1.051 899 1.182 1.291 1.486 valori percentuali PROVINCIA DI TORINO Spese specifiche 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 - sementi acquistate 31,8 34,4 32,6 28,3 28,3 28,5 31,1 30,5 48,5 - fertilizzanti acquistati 32,4 29,4 31,9 36,1 41,5 40,9 21,9 23,1 11,8 - antiparassitari/ diserbanti acquistati 8,4 12,5 13,3 9,9 8,7 9,7 29,3 24,7 32,8 20,9 16,3 15,3 19,0 13,4 14,0 15,5 15,3 6,1 - altre spese 3,7 2,1 4,0 1,3 3,2 4,1 1,1 2,0 0,0 - reimpieghi 3,4 5,3 3,3 2,6 2,8 1,4 29,8 21,4 23,4 29,0 23,0 18,3 20,6 30,6 18,7 73,8 71,1 74,8 72,6 65,0 70,8 79,4 75,4 70,7 - noleggi Spese specifiche/ Prod. Lorda totale Margine lordo / Prod. Lorda totale PROVINCIA DI CUNEO Spese specifiche 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 - sementi acquistate 22,0 31,5 28,4 27,7 36,3 33,1 21,5 27,7 42,9 - fertilizzanti acquistati 29,2 32,2 30,9 27,7 30,1 28,0 22,6 14,9 22,6 - antiparassitari/ diserbanti acquistati 20,2 3,1 12,7 14,5 12,2 15,1 17,4 30,9 23,0 26,6 28,7 26,2 22,6 13,7 14,2 34,7 23,2 115,0 - altre spese 0,9 0,0 1,1 1,4 1,6 4,5 0,3 0,0 0,0 - reimpieghi 0,0 1,7 0,7 1,2 1,6 1,8 0,3 1,3 0,0 29,8 21,4 23,4 29,0 23,0 18,3 20,6 30,6 18,7 70,3 78,6 76,6 71,0 77,0 81,7 79,4 69,4 81,3 - noleggi Spese specifiche/ Prod. Lorda totale Margine lordo/ Prod. Lorda totale Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA Anche i costi per la meccanizzazione (calcolati per ettaro di SAU), oscillando fra valori pari a 173 ¤ e 158 ¤, incidono in modo rilevante sulla struttura dei costi. Sotto il profilo strutturale, le aziende torinesi specializzate in cerealicoltura e semi oleosi praticano le coltivazioni in esame su superfici significativamente più 17 ampie delle aziende cuneesi, specie la coltivazione del mais che è praticata in media su 20 ha a Torino ed intorno agli 8 ha a Cuneo. Per quanto riguarda la meccanizzazione, il numero delle trattrici per azienda è mediamente di 2 a Cuneo e 3 a Torino, ma il numero di CV per ettaro di SAU è mediamente di 9 a Cuneo e di 7 a Torino; il livello della meccanizzazione ha comunque un andamento crescente in termini economici in entrambe le province (+ 31% a Torino e + 34% a Cuneo il valore del capitale macchine/SAU), mentre il suo valore medio risulta intorno a 1.900 ¤ per ettaro di SAU. In relazione agli obiettivi del progetto “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità”, sulla base dei dati economici riportati nelle tabelle, risulta che i costi sostenuti per fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti, nonché gli oneri generali e specifici per la meccanizzazione, incidono notevolmente sul bilancio colturale e, pertanto, la ricerca di percorsi tesi a ridurne il peso economico corrisponde ad una esigenza reale. Tuttavia non va trascurato il timore, certamente fondato, che a fronte di una diminuzione dell’impiego di mezzi tecnici si possa, da subito o nel tempo, determinare una riduzione di produttività delle colture e pertanto ogni sperimentazione di nuovi percorsi produttivi deve necessariamente essere accompagnata da una analisi economica che ne verifichi gli effetti in termini di redditività. Tab. 2.6 - Indici di produttività, indici strutturali, analisi dei costi della meccanizzazione delle aziende specializzate in cerealicoltura e semi oleosi delle province di Torino e Cuneo Aziende (n.) Produzione lorda/SAU Trattrici (n.) CV trattrici/SAU Capitale macchine/SAU Interesse (3%) sul capitale macchine/SAU Spese meccanizzazione/ SAU Quota di ammortamento macchine/SAU Provincia di Torino 2000 2001 2002 var % 02/00 113 116 127 1.861 1.771 1.796 -3,5 4 3 3 7 7 7 0 1.539 1.799 2.024 31,5 46 54 61 - 54 54 73 - 175 172 173 -1,1 161 158 156 -3,1 263 305 320 21,6 305 306 339 11,1 Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA 18 Provincia di Cuneo 2000 2001 2002 var % 02/00 51 48 50 1.977 2.103 2.167 9,6 2 2 3 10 11,1 9 9 1.811 1.812 2.439 34,7 2.1.3 Tecniche colturali L’obiettivo dichiarato della ricerca è la sperimentazione di sistemi colturali che permettano di ridurre l’impiego dei mezzi tecnici, in primo luogo le macchine agricole, attraverso una riduzione delle lavorazioni del terreno, in seconda istanza il diserbo e la concimazione, al fine di contenere i costi di gestione e l’impatto ambientale. Per avere un’idea della consistenza del parco macchine aziendale e dell’utilizzo dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti nelle due province, di seguito sono riportati i relativi dati di consistenza e utilizzo delle macchine e dei presidi sanitari negli ultimi anni. Per quanto attiene alla meccanizzazione, secondo quanto riportato nella figura 2.1, in entrambe le province le trattrici rappresentano circa i due terzi delle macchine agricole aziendali mentre solo l’1-2% è costituito da mietitrebbiatrici. Nelle due province, nel periodo 1997- 2002, il numero di trattrici è aumentato di circa 3.000 unità, il che vale a dire in termini assoluti un passaggio per la provincia di Torino da 37.000 unità a 40.000 e per quella di Cuneo da 51.000 a 54.000. Relazionando l’aumento di trattrici con il calo numerico delle aziende si deduce, e lo confermano anche gli esperti del settore, che il comparto è comunque caratterizzato da una certa “sovradotazione”. Fig. 2.1 - Distribuzione percentuale di macchine agricole nelle province di Torino e Cuneo nel 2002 Provincia di Torino Provincia di Cuneo Trattrici 66% Trattrici 73% Mietitrebbiatrici 1% Mietitrebbiatrici 2% Altre macchine 9% Motocoltivatori Motofalciatrici 8% Altre macchine 15% Motofalciatrici 10% Motocoltivatori 8% 8% Fonte: ISTAT, 2004 Non è uniforme nelle due province l’andamento del numero di trebbiatrici: se sul territorio torinese il numero di mietitrebbiatrici tendenzialmente aumenta, nella provincia di Cuneo si verifica una costante diminuzione (fig. 2.2). 19 Fig. 2.2 - Variazione del numero di trattrici e mietitrebbiatrici nelle province di Torino e Cuneo nel periodo 1997-2002 Mietitrebbiatrice Trattrici 6 0 .0 0 0 980 54.133 5 5 .0 0 0 5 0 .0 0 0 960 4 5 .0 0 0 925 920 4 0 .0 0 0 914 900 40.559 3 5 .0 0 0 952 940 51.005 37.012 892 880 3 0 .0 0 0 860 1 997 1 998 1 999 2 000 2 001 2 002 1997 Torino 1998 1999 2000 2001 2002 Cuneo Fonte: ISTAT, 2004 Fig. 2.3 - Prodotti fitosanitari ed erbicidi distribuiti nelle province di Torino e Cuneo per categoria di prodotti nel periodo 1999-2001 Ins ettic idi e ac aric idi (q) Fung icidi (q) 28.070 33.016 33.730 Cuneo 2.742 2.720 2.579 Torino 0 8.972 9.216 Cune o 7.277 1.484 1.883 2.156 Torino 10.000 20.000 30.000 0 2.000 8.456 7.632 6.529 0 2.000 4.000 6.000 20 10.000 14,0 11,5 2,8 1,9 1,6 Torino 0 8.000 10 10.000 1999 Fonte: ISTAT, 2004 8.000 27,6 Cuneo 4.541 4.175 3.854 Torino 6.000 Prodotti per la lotta biologica (q) Erbic idi (q) Cuneo 4.000 2000 2001 20 30 L’andamento dell’utilizzo di prodotti fitosanitari e di erbicidi nel triennio 1999-2002 è diverso nelle due province a seconda della categoria di prodotti. Le quantità distribuite di acaricidi e insetticidi è in diminuzione nella provincia di Torino e in aumento in quella di Cuneo, le quantità di fungicidi sono sostanzialmente invariate nel torinese e in diminuzione nel cuneese. C’è uniformità, invece, sull’utilizzo degli erbicidi, che sono in aumento in entrambe le province, così come aumenta il ricorso ai prodotti impiegati nella lotta biologica. Fig. 2.4 - Fertilizzanti distribuiti nelle province di Torino e Cuneo nel 2002, per categoria di prodotti (%) Provincia di Torino Provincia di Cuneo concimi minerali 84% concimi 87 correttivi 1 correttivi 2% ammendan 4 ammendanti 11% concimi minera 6 concimi organominerali 1% concimi organici 2% concimi 2 Fonte: ISTAT, 2004 Fig. 2.5 - Fertilizzanti distribuiti al consumo nelle province di Torino e Cuneo nel periodo 1999-2002 concimi organici concimi minerali (q) cuneo cuneo 737.064 645.176 716.429 653.795 18.241 21.306 15.673 13.557 torino torino 847.997 15.087 13.285 667.590 652.147 9.512 913.894 - 200.000 400.000 600.000 800.000 1999 1.000.000 2000 7.042 2001 5 .000 10.000 15 .000 20 .000 25 .000 2002 Fonte: ISTAT, 2004 21 Preme notare che tali dati sembrano confermare l’opinione espressa dai tecnici agricoli provinciali - intervistati in qualità di “testimoni privilegiati” ai fini dello svolgimento della ricerca - circa l’esistenza di una forte reticenza da parte degli agricoltori ad abbandonare le classiche tecniche di controllo delle infestanti (fig. 2.3). Per quanto riguarda i fertilizzanti, in entrambe le province più dell’80% dei prodotti impiegati è di origine minerale anche se, secondo quanto mostrato in figura 2.4, è in aumento il ricorso ai concimi di origine organica. A tali aumenti in ogni caso non corrisponde una costante diminuzione dei concimi minerali, che presentano andamenti altalenanti nei quattro anni considerati (fig. 2.5). 2.1.4 Strumenti di politica Fin dalla metà degli anni ottanta emerge chiaramente la volontà da parte della Regione Piemonte di integrare nelle politiche agricole regionali alcune specifiche tematiche ambientali, allo scopo di orientare i comportamenti degli agricoltori e rendere maggiormente sostenibili i rapporti tra l’agricoltura e l’ambiente. L’accento è posto sulla necessità di limitare gli effetti negativi che talune pratiche agricole - in particolare, l’utilizzo di fitofarmaci, diserbanti e fertilizzanti - possono provocare all’agro-ecosistema piemontese. Risale al 1988, infatti, la predisposizione da parte dell’Amministrazione regionale del programma di difesa integrata delle colture, con la finalità specifica di razionalizzare e, dunque, contenere l’uso di mezzi chimici nella difesa delle piante coltivate. Il programma, con adesioni superiori alle 6.000 aziende agricole nel 1993, ha ottenuto risultati apprezzabili in termini di riduzione dell’utilizzo di pesticidi ed è stata un’esperienza fondamentale per la stesura del programma regionale di attuazione del reg. (CEE) n. 2078/92. Come noto, il regolamento 2078 del 1992, emanato come misura di accompagnamento alla PAC e riproposto, a fine decennio, con il regolamento (CE) n. 1257/99 tra le misure di sviluppo rurale, è stato ed è tuttora lo strumento operativo più importante adottato dall’Unione Europea per incoraggiare la diffusione di pratiche agricole a minor impatto ambientale e compensare gli agricoltori per l’opera di conservazione dell’agro-ecosistema. L’adesione agli interventi previsti dal regolamento era volontaria ed implicava il rispetto di specifici disciplinari di produzione che, a fronte della corresponsione di incentivi finanziari, imponevano determinati vincoli tecnici e produttivi e/o la realizzazione o conservazione di particolari elementi naturali. 22 Attraverso i succitati regolamenti comunitari è stato possibile attuare un ventaglio molto ampio di interventi che i Paesi membri - nel caso dell’Italia, le Regioni e le Province Autonome - erano tenuti a programmare e gestire sul loro territorio. Nello specifico, la Regione Piemonte ha attivato tutte le misure previste dal regolamento, investendo in maniera massiccia nelle azioni finalizzate a contenere l’impiego di concimi e fitofarmaci mediante la diffusione di tecniche di difesa e produzione integrata (misura A1) e di metodi propri dell’agricoltura biologica (misura A3), cui ha destinato più di un terzo dei fondi disponibili nel primo quadriennio di programmazione. A seguito della riforma della PAC introdotta da Agenda 2000, nel Programma di Sviluppo Rurale (PSR) del Piemonte quasi tutte le azioni della precedente programmazione trovano corrispondenza nella misura F (Agroambiente) come evidenziato nella tabella 2.7. Tab. 2.7 - Confronto tra le azioni previste dal regolamento 2078/92 e le Misure Agroambientali del PSR 2000-2006 del Piemonte Azioni 2078 A1 A3 B C D D1a D1b D2 E F G Descrizione Applicazione delle tecniche di produzione integrata Agricoltura biologica Riconversione seminativi a pascolo Riduzione del patrimonio bovino/ovino Metodi di produzione compatibili Pratiche finalizzate alla tutela ambientale Allevamento di specie in via di estinzione Cure terreni abbandonati Ritiro seminativi Gestione terreni per attività ricreative Mantenimento e incremento della sostanza organica del suolo Azioni PSR F1 F2 F4 Assente F7 F6 F9 F4 F4 F7 F3 Fonte: Elaborazioni INEA Il finanziamento da parte della Regione Piemonte del progetto di ricerca “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” che, come già richiamato, persegue l’obiettivo di sperimentare sistemi colturali a ridotto impatto sull’ambiente è assolutamente in linea con gli interventi di “politica ambientale” di cui si è ora fatto cenno. Infatti, già è stato evidenziato che, tra i sistemi colturali oggetto della sperimentazione, è stato considerato quello che rispetta i disciplinari pertinenti il regolamento 2078 e, attualmente, la misura F1 del PSR 2000-2006 del Piemonte. 23 Per avere un’idea dell’entità della diffusione dei metodi di produzione integrata, con specifico riferimento alle colture oggetto della sperimentazione, si riportano in tabella 2.8 i dati inerenti alle superfici interessate dalle misure A1, A3 e F1, F2 nel periodo 1997-2002 nelle province di Torino e Cuneo. Tab. 2.8 - Superfici interessate dagli interventi A1, A3, F1, F3 nelle province di Torino e Cuneo nel periodo 1997-2002 Intervento (*) Anno A1 1997 1998 1999 2000 2001 2002 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2000 2001 2002 2000 2001 2002 A3 F1 F2 Provincia di Torino (ha) 2.434 4.576 11.504 7.868 4.852 4.852 117 367 3.140 2.148 1.517 1.517 4.732 4.732 1.961 1.961 Provincia di Cuneo (ha) 28.325 41.815 47.980 33.667 18.495 18.495 6.529 11.943 32.675 14.070 11.409 11.409 15.959 15.959 4.419 4.419 Provincia di % SAU Torino provinciale 0,9 1,8 4,4 3,0 1,9 1,9 0,0 0,1 1,2 0,8 0,6 0,6 1,8 1,8 0,8 0,8 Provincia di % SAU Cuneo provinciale 8,6 12,6 14,5 10,2 5,6 5,6 2,0 3,6 9,9 4,3 3,4 3,4 4,8 4,8 1,3 1,3 (*) I valori esposti in tabella non corrispondono, effettivamente, all’intera superficie oggetto dei disciplinari 2078; i dati si riferiscono al numero di nuove domande di adesione alla misura, presentate annualmente e, dunque, non comprendono le superfici che negli anni precedenti erano oggetto degli interventi agroambientali. Fonte: Elaborazioni INEA su dati Banca Dati Territoriale Piemonte Le superfici interessate dalle misure agroambientali, dunque, sono molto più estese nel cuneese che nel torinese e, tra le diverse tipologie di intervento, sono quelle relative ai metodi di produzione integrata a riscuotere il maggior numero di adesioni. Nel passaggio dalla misura A1 del regolamento 2078/92 alla misura F1 del PSR 2000-2006 le superfici diminuiscono notevolmente non per un minor interesse verso la misura, ma perché l’adesione alle misure F era permessa esclusivamente agli agricoltori che non avevano partecipato al programma 2078. I bandi per le misure F1 e F2 24 sono stati aperti solo nel 2001, a seguito dell’approvazione da parte dell’UE del PSR piemontese, e sono stati molto consistenti i cosiddetti “trascinamenti” dell’attuazione delle misure del regolamento 2078. Per avere un idea della diffusione degli interventi agroambientali, con specifico riferimento alle colture oggetto della ricerca finanziata dalla Regione Piemonte (vale a dire, frumento, mais e soia), in tabella 2.9 si riportano le superfici interessate dalle misure A1 e A32 per le due province target. Da essa si evince che nel 1999 in provincia di Torino la misura A1 riguarda circa il 5% della superficie coltivata a mais ed il 12% della superficie coltivata a frumento e soia; nello stesso anno nella provincia di Cuneo la misura A1 interessa il 7% della superficie coltivata a mais e il 17% della superficie a frumento e soia. Si ricorda che, ai sensi del disciplinare di produzione integrata, su tali superfici gli agricoltori devono ridurre di almeno il 20% la quantità di concimi e fitofarmaci rispetto ai metodi tradizionali di fertilizzazione e di difesa per poter beneficiare del premio erogato ai sensi del regolamento 2078/92 ed ancora più restrittivi sono, infine, i vincoli per coloro che aderiscono alla misura A3, pertinente l’adozione delle tecniche di coltivazione biologiche. È bene evidenziare che il progetto di ricerca in esame è assolutamente coerente con gli obiettivi espressi nei programmi agroambientali della Regione Piemonte; esso, inoltre, non si limita ad indagare e a promuovere le tecniche che prevedono la riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti, ma presta anche particolare attenzione alla tutela del terreno agrario. La tecnica colturale definita “a Basso Input”, infatti, prevede l’impiego di erbai da sovescio per contrastare l’impoverimento e il degrado strutturale del suolo, in linea con le finalità per le quali sono stati ideati alcuni interventi agroambientali contemplati dal PSR 2000-2006 del Piemonte. Si fa riferimento all’impegno - facoltativo, nell’ambito della misura F1 - pertinente la coltivazione di erbai intercalari, nonché alla misura F6, specificamente tesa ad incentivare il mantenimento e l’incremento della sostanza organica del terreno attraverso il finanziamento di pratiche quali, appunto, il sovescio e l’interramento completo dei residui della coltivazione. Si può, infine, notare che la Regione Piemonte non ha, ad oggi, direttamente incentivato la riduzione del numero delle lavorazioni agro-meccaniche attraverso l’a- 2 Si dispone dei dati disaggregati per tipologia colturale solamente in riferimento alle misure A1 e A3 (e non anche alle misure F). Tuttavia, trattandosi in entrambi i casi di impegni quinquennali si ritiene lecito supporre che superfici colturali interessate dagli interventi agroambientali nell’anno 1999 non siamo molto distanti dalla situazione osservabile in anni più recenti essendo, come detto, quelle superfici vincolate agli impegni presi per un periodo minimo di 5 anni. 25 dozione di tecniche innovative di lavorazione del terreno (semina su sodo, “lavorazione minima”, ecc.). Pare, tuttavia, che in tal senso si stiano indirizzando gli stessi agricoltori – ed è assai verosimile che lo faranno sempre più, in futuro – mossi dall’esigenza di contenere i costi di produzione delle derrate agricole. E, in tempi di sostanziale riduzione dell’agevolazione connessa all’impiego di combustibili ad uso agricolo - il cui prezzo, per altro, tende sempre più ad aumentare a ragione delle ricorrenti crisi legate alla produzione ed all’approvvigionamento di energia - la rinuncia alle lavorazioni (ovvero: il loro contenimento) rappresenta una naturale, efficace reazione finalizzata a migliorare le performance economiche aziendali. Tab. 2.9 - Superfici interessate alle misure A1 e A3 del reg. 2078/92 per le province di Torino e Cuneo nel triennio 1997-1999 1997 A1 1998 A3 A1 1999 A3 A1 A3 TORINO mais 348,44 13,98 766,84 49,09 2.727,12 67,21 frumento 178,44 22,8 463,49 18,15 1.611,33 47,26 soia 121,55 1,95 438,84 18,42 885,11 35,72 CUNEO mais 1.943,29 82,98 2.997,61 149,6 3.329,80 186,18 frumento 1.401,73 125,12 4.254,04 304,73 3.437,10 405,10 soia 772,6 61,32 1.648,58 111,48 1.100,40 127,53 Incidenza percentuale della superficie 2078 rispetto alla SAU provinciale per coltura* TORINO mais frumento soia CUNEO mais frumento soia 0,59 1,30 1,66 0,02 0,17 0,03 1,30 3,37 5,98 0,08 0,13 0,25 4,61 11,70 12,06 0,11 0,34 0,49 4,02 7,07 11,47 0,17 0,63 0,91 6,20 21,46 24,48 0,31 1,54 1,66 6,89 17,34 16,34 0,39 2,04 1,89 *ISTAT, Censimento dell’agricoltura italiana, 2000. Fonte: Elaborazioni INEA su dati Assessorato agricoltura della Regione Piemonte 2.1.5 Sintesi conclusiva Attraverso l’analisi di scenario si è inteso inquadrare il contesto in cui le proposte della ricerca “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità” potrebbero trovare diffusione in Piemonte, evidenziando gli aspetti che potrebbero essere d’o26 stacolo o, al contrario, agevolare l’adozione delle agrotecniche eco-compatibili e innovative. Tra gli aspetti che potrebbero incentivare la diffusione dei sistemi colturali alternativi si deve senz’altro considerare quello legato alla possibilità di contenere i costi dei processi produttivi vegetali. Dall’analisi tecnico-economica dei processi produttivi relativi alle specie erbacee di pieno campo – presenti nella rotazione in riferimento alla sperimentazione in esame - si è evidenziato effettivamente che i costi per la fertilizzazione e per la difesa sono tra quelli che maggiormente incidono (40-50%) sul totale delle spese specifiche colturali. Pertanto, un eventuale incremento del margine lordo colturale potrebbe ottenersi attraverso il contenimento delle suddette voci di costo, così come le performance aziendali potrebbero migliorare a condizione di impiegare trattrici di potenza commisurata alle reali necessità, realizzare lavorazioni meno profonde, lavorazioni minime, e così via. Va detto, tuttavia, che dalle statistiche relative all’utilizzo dei presidi fitosanitari nelle province target di Torino e Cuneo emerge la tendenza da parte degli agricoltori ad assumere comportamenti non propriamente virtuosi, specialmente per quanto concerne la pratica del diserbo: gli stessi incaricati dell’Assistenza Tecnica (AT) denunciano l’esistenza di una reale difficoltà al ridimensionamento del loro impiego. Potrà risultare un impegno complesso la promozione fra gli agricoltori della riduzione delle lavorazioni del terreno; a questo proposito, infatti, le statistiche ufficiali evidenziano la tendenza all’aumento del numero di trattrici disponibili e della loro potenza. Secondo quanto riferito dagli incaricati dell’AT il parco macchine delle aziende cerealicole e cerealicole-zootecniche è generalmente sovradimensionato, anche perchè gli agricoltori attribuiscono alle macchine agricole, e in particolare ai trattori, una valenza di stato sociale che, all’atto dell’acquisto, li spinge a non considerare adeguatamente le effettive necessità aziendali. Tuttavia, è diffusa nelle campagne piemontesi la consapevolezza che un uso più razionale dei pesticidi e dei concimi, oltre a determinare una diminuzione dei costi per le aziende, contribuirebbe a diminuire l’impatto sull’ambiente. Gli agricoltori sembrano aver acquisito negli anni recenti una maggiore sensibilità verso queste tematiche; ne sono prova l’aumento di prodotti di difesa fitosanitari biologici, ma anche la buona adesione alle misure agroambientali. Il merito è in gran parte da attribuire ad una politica regionale che da molti anni è orientata ad incentivare e sostenere pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente. In conclusione, paiono esistere discrete potenzialità per la diffusione dei 27 sistemi colturali e delle tecniche innovative ed è presumibile che le difficoltà maggiori siano legati all’impostazione culturale degli agricoltori, che andrà approcciata e formata con strumenti adeguati. 2.2 La viticoltura marginale Lo “Studio per la valorizzazione del Canavese Rosso DOC” è stato finanziato dalla Regione Piemonte e realizzato negli anni successivi al riconoscimento della denominazione di origine viticola “Canavese”, avvenuta nel 1996. Esso ha perseguito l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle caratteristiche chimico-fisiche e sensoriali dei vini prodotti da vitigni a bacca rossa nel Canavese3. Più specificamente si è inteso indagare le potenzialità enologiche dei vitigni autoctoni ancora coltivati allo scopo di identificare alcune tipologie (di vino) di alta qualità. Sono stati individuati 8 diversi tagli, derivanti dai numerosi uvaggi praticati nella zona, che hanno presentato le caratteristiche chimiche e sensoriali migliori. L’esigenza di valorizzare le produzioni vitivinicole del Canavese attraverso un’adeguata caratterizzazione del prodotto scaturisce dalla disomogeneità delle produzioni locali di vini rossi: in queste aree, infatti, il vigneto multivarietale costituisce ancora la norma e non esiste una consolidata tradizione enologica di vinificazione. Di seguito si propone una panoramica della viticoltura della provincia di Torino, con particolare attenzione alle produzioni Canavese Rosso DOC, focalizzando l’attenzione su particolari problematiche connesse alla diffusione delle produzioni vinicole locali. 2.2.1 Descrizione del comparto Accanto ad una realtà rappresentata da territori a fortissima vocazione vitivinicola, quali le colline del Monferrato, delle Langhe e del Roero esiste in Piemonte una vitivinicoltura dalle radici lontane, che si presenta con una gamma di prodotti assai diversificati. E’ il caso, ad esempio, del torinese, che ha da poco risco- 3 28 È così denominata un’ampia porzione del territorio della provincia di Torino, a nord del capoluogo regionale, che si estende dalla pianura di Chivasso, comprendendo le colline di Caluso, verso i centri di Rivarolo, Castellamonte e Cuorgnè, per salire ad ovest lungo il torrente Orco fino al Parco Nazionale del Gran Paradiso. Esso comprende la Val Soana e quella del torrente Chiusella, mentre a nord, oltre Ivrea e il grande anfiteatro morenico che s’allarga a oriente tra la Serra e Masino, giunge fino a Carema, ai confini con la Valle d’Aosta. Il comprensorio include 132 comuni, per una superficie di 1.950 kmq. perto una vocazione viticola in passato dimenticata, fatta di vini locali legati alla tradizione, prodotti soprattutto nella zona pedemontana della provincia. Tali vini hanno ottenuto di recente il riconoscimento DOC, a seguito di una scelta di sviluppo formulata dall’Amministrazione regionale (vedi par. 2.2.4) e stanno guadagnando sempre più importanza sul mercato locale. La provincia di Torino dispone di 1.300 ettari a vigneto e, pertanto, si classifica al quarto posto tra le province piemontesi per estensione della coltura ed è la quinta in Italia per superficie coltivata in territori montani. Attualmente in essa sono presenti 5 cantine sociali cooperative, 52 aziende vitivinicole produttrici di vini a Denominazione di Origine che esprimono un proprio marchio, 4 consorzi di tutela, una federazione tra consorzi e si contano ben 25 vini a denominazione di origine. Il comparto, forte e cosciente delle proprie possibilità di sviluppo, presenta alcuni problemi di tipo strutturale, primo fra tutti l’elevatissima frammentazione della base produttiva viticola. Infatti, le aziende viticole del torinese hanno ridotte dimensioni, di molto inferiori alla media regionale: il 70% delle medesime non raggiunge l’ettaro di superficie aziendale, il 25% ha dimensione non superiore ai 2 ettari e non vi sono aziende con superfici maggiori di 5 ettari. A ciò si aggiunge il fatto che l’età degli operatori è, mediamente, piuttosto elevata. Perciò si assiste ad un difficoltoso ricambio generazionale ed è pressoché impossibile la composizione di fondi di ampiezza sufficiente per la realizzazione di una reale viticoltura professionale (IRES, 2004). L’enologia provinciale è preferibilmente orientata alla produzione di vini rossi, anche se la produzione di vini bianchi, soprattutto nel Canavese, costituisce una consolidata tradizione. Tra le tipologie di vino rosso le produzioni maggiori sono di Freisa e Canavese DOC, mentre la quasi totalità dei vini bianchi è rappresentata dall’Erbaluce (tab. 2.10). I vitigni a bacca rossa più diffusi nella provincia di Torino sono il Barbera, che occupa complessivamente un terzo della superficie vitata, il Freisa e il Nebbiolo. Sono questi i vitigni che nello studio finanziato dalla Regione Piemonte hanno dato i risultati migliori nella fase di vinificazione; essi, combinati in percentuali diverse, costituiscono i tagli di Canavese Rosso DOC giudicati migliori, a cui si aggiungono altri vitigni autoctoni (Neretto di Bairo, Croatina e Uva rara) che, nonostante interessino superfici esigue, sono tipici del torinese (tab. 2.11). Menzione a parte merita il vitigno “Vernassa” che, soprattutto nella zona di Carema, è stato giudicato di qualità comparabile, se non superiore, allo stesso Nebbiolo pur non essendone ancora autorizzata la coltivazione. 29 Tab. 2.10 - Produzione di vini DOC e DOCG in provincia di Torino (hl) Vini DOC e DOCG 2002 Vini rossi Canavese - Canavese Barbera - Canavese Nebbiolo - Canavese Rosso Carema Collina Torinese Freisa di Chieri Pinerolese Valsusa 8.608 2.205 229 107 1.869 463 338 3.503 1877 222 Vini rosati Vini bianchi Canavese Bianco Erbaluce Totale Torino 571 6.534 145 6.389 15.713 2001 2000 valori assoluti (hl) 9.510 8.292 2.387 2.223 145 159 122 144 2.120 1.920 504 496 360 266 3.427 2.787 2515 2358 317 162 386 591 8.044 8.047 162 75 7.882 7.972 17.940 16.930 valori percentuali 53,0 49,0 2,2 3,5 44,8 47,5 1999 1998 1997 7.851 1.661 96 134 1.431 462 56 2.965 2599 108 7.248 1.207 87 137 983 334 0 2.531 3101 75 8.321 1.603 112 150 1341 558 0 2.903 3180 77 547 7.115 68 7.047 15.513 570 3.895 46 3.849 11.713 555 7.782 71 7.711 16.658 50,6 3,5 45,9 61,9 4,9 33,3 50,0 3,3 46,7 Vini Rossi/Tot. Torino Vini Rosati/Tot. Torino Vini Bianchi/Tot. Torino 54,8 3,6 41,6 Canavese/Vini Rossi -Canavese Rosso/Canavese totale -Canavese Rosso/Vini Rossi -Canavese Rosso/Tot. Torino 25,6 84,8 21,7 11,9 25,1 88,8 22,3 11,8 26,8 86,4 23,2 11,3 21,2 86,2 18,2 9,2 16,7 81,4 13,6 8,4 19,3 83,7 16,1 8,1 Freisa /Vini rossi Freisa / Tot Torino 40,7 22,3 36,0 19,1 33,6 16,5 37,8 19,1 34,9 21,6 34,9 17,4 Erbaluce / Vini Bianchi Erbaluce / Tot. Torino 97,8 40,7 98,0 43,9 99,1 47,1 99,0 45,4 98,8 32,9 99,1 46,3 Fonte: Elaborazioni INEA su dati CCIAA Piemonte e Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte (Aggiornamento aprile 2004) Nel torinese, dunque, accanto a vini storici protagonisti e ambasciatori della viticoltura di pregio nel mondo, di recente si sono affiancate altre qualificate denominazioni, il Canavese appunto, ma anche le DOC Collina Torinese, Valsusa e Pinerolese che hanno assicurato il giusto riconoscimento ed una seria prospettiva all'intero comparto viticolo ed enologico. 30 Tab. 2. 11 - Superficie vitata nella provincia di Torino nel 2001, per vitigno Vitigno Barbera n. Freisa n. Nebbiolo n. Neretto di Bairo n. Croatina n. Uva Rara n. Totale superficie vitata (ha) % sul totale provinciale 432,4 80,4 80,4 3,8 3 1.315,9 32,9 6 1 1,8 0,3 0,0 Fonte: Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2001 In ogni modo, l’area torinese a maggiore vocazione viticola, nonché l’area vitivinicola più importante del Piemonte del nord, è il Canavese. Come già detto, tale territorio si estende per poco meno di 2.000 kmq nella porzione settentrionale della provincia di Torino e confina a nord-ovest con la Valle D’Aosta, ad est con la provincia di Vercelli e a sud con la cintura torinese. Tra le valli del Canavese, alcune hanno caratteristiche prettamente alpine, sia per l’orografia sia per le condizioni climatiche, altre hanno le caratteristiche tipiche delle valli prealpine, adagiandosi nella loro parte terminale verso la pianura canavesana e l’anfiteatro morenico di Ivrea. La realtà imprenditoriale canavesana è molto vivace, con oltre 12.000 imprese attive. Da una recente ricerca (CENSIS, 2001) emerge che il modello economico-sociale del Canavese è stato protagonista negli ultimi anni della ripresa dell’espansione del sistema produttivo locale. Storicamente la parte occidentale del Canavese vanta un’antica industrializzazione nei settori tessili, della forgiatura dell’acciaio e dello stampaggio a caldo, mentre la zona orientale, che corrisponde all’incirca all’Epodierese, ha iniziato il proprio sviluppo industriale all’inizio del XX secolo, quando la famiglia Olivetti fondò l’omonima industria. Il territorio ha comunque riscoperto, e mantenuto negli ultimi anni, anche una forte vocazione agricola e, specialmente, vitivinicola. Vi si producono, infatti, vini di fama ormai consolidata quali il già richiamato Erbaluce di Caluso, il Caluso Passito e il Caluso Spumante, il Carema, ma anche vini di antica tradizione: il Canavese, appunto, nelle tipologie Bianco, Rosso, Rosato, Barbera e Nebbiolo. In particolare, i vini Canavese DOC sono prodotti in un comprensorio che comprende 107 comuni per lo più della provincia di Torino e, in piccola parte, di Biella e Vercelli. Tra le quattro tipologie di vino Canavese è il Rosso il più rappresentativo, sia in termini di superficie (occupa, infatti, l’80% della superficie vitata 31 deputata alla produzione di Canavese DOC) che in termini di produzione (incide per il 20% sulla produzione provinciale di vini rossi, come si evince dalle informazioni contenute nelle tabelle 2.12 e 2.13). Il Canavese Rosso DOC, tuttavia, fornisce una produzione, in termini assoluti, maggiormente contenuta rispetto al più famoso Erbaluce, sia a livello di superfici (occupa infatti meno di 50 ha contro i 133 dell’Erbaluce) sia di produzione (circa 2.000 ettolitri, contro i 6.000-7.000 ettolitri dell’Erbaluce). A livello regionale il vino Canavese DOC costituisce meno dell’1% della superficie vitata complessiva, anche se bisogna notare che si tratta di una produzione che sta incrementando la sua presenza nel settore dei vini imbottigliati. I dati produttivi relativi alla vendemmia 2003 in provincia di Torino evidenziano le potenzialità del vino Canavese Rosso DOC (tab. 2.13) Tab. 2.12 - Superfici vitate di Canavese DOC nel 2001 per tipologia Vino Canavese Rosso/Rosato Canavese Bianco Canavese Nebbiolo Canavese Barbera Totale Canavese Totale sup vitata Torino Totale sup. vitata Piemonte Superficie Incidenza % su (ha) Canavese Totale 42,80 78,9 4,14 7,6 3,39 6,2 3,94 7,3 54,27 100,0 1.317,00 47.516,00 Incidenza % su Incidenza % su Totale Torino Totale Piemonte 3,2 0,09 0,3 0,01 0,3 0,01 0,3 0,01 4,1 0,11 100,0 100,00 Fonte: Elaborazioni INEA su dati archivio dei vigneti Piemonte, 2001 Tab. 2.13 - Produzione di vini DOC in provincia di Torino nel 2003 Erbaluce Canavese Canavese Canavese Carema di Caluso DOC Bianco DOC Rosso DOC Barbera DOC DOC Superficie in produzione (ha) 133 2 49 1 14 Produzione uva (q) 11.658 43 3.226 50 719 Produzione vino prevista (hl) 8.082 32 2.258 35 500 Resa unitaria delle uve (q/ha) 71 25 66 42 60 12 1 2 2 21 Aziende produttrici (n.) Fonte: Dati rilevati dalla Federazione "Alto Piemonte", attraverso i Consorzi, presso le aziende associate Tra le diverse tipologie di Canavese DOC, il rosso ha produzioni e rese maggiori, copre una superficie più estesa del più famoso Carema DOC; anche in 32 termini di aziende produttrici, non esiste un divario così ampio tra quelle che producono il Canavese Rosso DOC e quelle produttrici di Erbaluce DOC. Per quanto riguarda la commercializzazione del vino, la provincia di Torino si colloca al terzo posto tra le province piemontesi per volumi di vendita sul mercato nazionale ed al secondo posto, con quote pari a circa il 26% del totale regionale nel caso delle vendite all’estero. Tuttavia, le quantità di vino Canavese Rosso DOC esportate sono molto esigue (tab. 2.14); si tratta, infatti, di un vino venduto prevalentemente sul territorio provinciale e regionale, anche se, secondo gli esperti del settore, esistono ampi margini di miglioramento dato che il Canavese Rosso DOC è sempre più apprezzato e ricercato dai consumatori. Occorre notare, infine, che buona parte del crescente successo che sta incontrando il Canavese Rosso DOC è da imputare, al di là delle qualità intrinseche del vino, all’attività promozionale svolta dal Consorzio di Tutela Vini DOC Caluso, Carema, Canavese, nato nel luglio 2000 con specifiche funzioni di valorizzazione e di cura generale degli interessi concernenti le produzioni di vini DOC tutelate (attualmente le aziende consorziate sono 13). Tab. 2.14 - Vendite in Italia e all’estero del Canavese DOC nel 2002 Vino Canavese Rosso/Rosato Canavese Bianco Totale Piemonte DOC Totale Piemonte vendite in Italia hl 495 17 735.839 1.851.626 % vendite vendite sul % vendite all’estero in Italia sul totale mercato sul totale regionale DOC estero regionale DOC % hl % 0,07 20 0,0 0,0 4 0,0 39,7 708.835 23,3 100,0 3.044.946 100,0 Fonte: Mondo bottiglie, Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2002 2.2.2 Tecniche di vinificazione Nello studio di valorizzazione del Canavese Rosso DOC sono stati analizzati i diversi momenti della vinificazione - sia sotto l’aspetto tecnologico, sia sotto quello chimico-analitico - presso le 11 aziende in cui, al momento della sperimentazione, veniva vinificato il 95% del Canavese rosso DOC presente sul mercato. Come già detto, sul territorio di produzione della DOC non esiste una consolidata tradizione enologica per la vinificazione delle uve rosse. Le modalità di vinificazione si differenziano in modo sostanziale nelle cantine di produzione, 33 dove le tecniche adottate sono spesso frutto dell’evoluzione di esperienze personali nonché della consulenza fornita da enologi. Diversa è la situazione per i piccoli produttori che attuano procedure di vinificazione assai semplificate, in quanto le esperienze e le competenze enologiche sono generalmente assai più limitate e meno aggiornate. Dai risultati dello studio risulta che le differenze significative circa la qualità del prodotto vinificato sono in primo luogo ascrivibili agli uvaggi impiegati, alle diverse attrezzature impiegate, alle modalità e ai tempi di gestione della fermentazione alcolica, all’induzione e al controllo della fermentazione malolattica e alla tecnica di affinamento adottata. Un’insufficiente diffusione della tecnica più idonea è, dunque, una delle cause che viene indicata come limitante per l’affermazione della DOC Canavese. E, a tale proposito, i risultati ottenuti dalla vinificazione dei vini in purezza e l’individuazione dei tagli migliori sono un utile strumento di orientamento per le cantine e per i produttori in genere di Canavese Rosso DOC. 2.2.3 Risultati economici Dall’esame del campione RICA in Piemonte si rileva che le aziende che coltivano vite di qualità e vite comune nella provincia di Torino non sono quasi mai aziende specializzate: sono invece per lo più aziende con orientamento produttivo misto, che destinano una piccola quota della superficie aziendale alla coltivazione della vite, quale coltura da reddito. Per un approfondimento sui risultati economici e produttivi del Canavese Rosso DOC, poiché nella RICA regionale, ed in particolare nei comuni del territorio del Canavese, non risulta presente un adeguato numero di casi di colture di “vite per la produzione di vini di qualità”, si è optato per una analisi comparativa tra i risultati economici e produttivi della vite di qualità nell’intera provincia di Torino e nelle tre province maggiormente viticole del Piemonte: Cuneo, Asti e Alessandria. La pur modesta numerosità della casistica riscontrata nella banca dati consente, tuttavia, di evidenziare alcuni elementi di diversità tra la tipologia produttiva “vite per la produzione di vini di qualità” in provincia di Torino e le altre realtà produttive viticole del Piemonte. Strutturalmente la superficie della coltura in provincia di Torino è mediamente inferiore al 50% delle altre province, mentre sul piano produttivo le rese unitarie, ma anche il livello dei prezzi, appaiono sostanzialmente uniformi (tab. 2.15). 34 Tab. 2.15 - Principali risultati economici della “vite per la produzione di vini di qualità” nella provincia di Torino e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria nell’anno 2002 Numero di casi Superficie (ha) A) Produzione unitaria del prodotto principale (q/ha) B) Prezzo (¤ / q) C) Produzione lorda totale (¤/ha) D) Spese specifiche (¤/ha) E) Margine lordo (¤/ha) [E= C-D] Torino 10 1,50 79 50 4.495 562 3.933 Cuneo - Asti - Alessandria 409 3,20 83 54 6.460 610 5.850 Fonte: elaborazione INEA su dati RICA Sul piano economico il livello del margine lordo della “vite per la produzione di vini di qualità” in provincia di Torino è inferiore del 37% rispetto alle altre province e questa diversità si può attribuire in primo luogo ad una minore presenza di processi di trasformazione dell’uva in azienda, ma anche alla datazione più recente di alcuni riconoscimenti di qualità dei vini prodotti nel torinese. Riguardo alla forma di commercializzazione si evince dalla RICA che in provincia di Torino circa il 60% delle aziende conferisce la prevalenza delle proprie uve alle cantine sociali, mentre la restante parte è venduta principalmente all’ingrosso a commercianti, differentemente dalle altre province dove le modalità di commercializzazione delle uve prodotte si distribuisce diversamente: 27% alle cantine sociali, 27% all’ingrosso a commercianti, 29% all’ingrosso a dettagliante, 17% attraverso altre forme di commercializzazione. Tab. 2.16 - Principali risultati economici della “vite per la produzione di vino comune” nella provincia di Torino e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria nell’anno 2002 Numero di casi Superficie (ha) A) Produzione unitaria del prodotto principale (q/ha) B) Prezzo (¤ / q) C) Produzione lorda totale (¤/ha) D) Spese specifiche (¤/ha) E) Margine lordo (¤/ha) [E= C-D] Torino 16 0,9 65 27 3.374 622 2.752 Cuneo - Asti - Alessandria 124 2,2 89 35 5.223 593 4.630 Fonte: elaborazione INEA su dati RICA 35 Nel raffronto tra “vite per la produzione di vini di qualità” e “vite per la produzione di vino comune” in provincia di Torino (tab. 2.16) si rilevano valori generalmente più elevati per la “vite di qualità”: superficie della coltura (+40%), resa unitaria (+18%), prezzo dell’uva (+ 46%), margine lordo (+30%); appare dunque certamente consigliabile la coltivazione di viti di qualità, come pure la trasformazione in azienda dell’uva prodotta, ma la realtà viticola provinciale, costituita da aziende agricole in cui la viticoltura rappresenta solamente una delle molteplici attività aziendali, rende certamente più difficile quella scelta che risulta fortemente ostacolata dallo scarso livello di specializzazione viticola che caratterizza le aziende agricole della provincia. 2.2.4 Politica regionale per la vitivinicoltura Elemento di spicco tra le caratteristiche specifiche del comparto vitivinicolo piemontese è il forte orientamento verso la qualità, permesso dalla vocazionalità del territorio ma attentamente perseguito sia dagli operatori del settore, sia dalle amministrazioni locali. Infatti, grazie anche all’introduzione di un sistema di denominazioni d’origine a ”piramide”, che consente una modulata scala di valorizzazione del prodotto, oggi circa l’80% del vino piemontese è a DOC/DOCG (tab. 2.17). Tab. 2.17 - Superfici vitate per tipologia di vino producibile in Piemonte nel 2002 Superficie vitata (ha) % su superficie vitata regionale Vino rosso DOC/DOCG 22.714 48 Vino bianco Moscato DOC/DOCG DOC/ DOCG 3.716 10.044 8 21 Totale 47.590 77 Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte La legge n. 164 del 10 febbraio 1992 “Nuova disciplina delle denominazioni d'origine dei vini” ha reso possibile nel 1995 l’istituzione delle DOC ad ampio spettro territoriale denominate Piemonte, Langhe, Monferrato e Colline Novaresi. Una ricaduta indiretta legata al varo delle nuove DOC è la sostanziale abolizione in Piemonte della categoria di vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) vale a dire, quelli che in base alla legislazione vigente possono fregiarsi di toponimi di origine senza essere sottoposti a vincoli particolari”(Aimone, 2002). Lo studio di valorizzazione del Canavese rosso DOC è in linea con tale strategia ed è inquadrato in una serie di progetti di valorizzazione delle DOC piemontesi di 36 recente istituzione, quali le DOC Pinerolese, Valsusa e Coste del Sesia. Il finanziamento e la realizzazione di tali progetti risponde dunque ad una precisa volontà tecnico-politica della Regione Piemonte di escludere la possibilità di aprire il mondo del vino a forme di etichettatura non chiare. Per questo sono state concesse molte DOC anche a vini, quali il Canavese Rosso DOC, dalle produzioni limitate in territori non ad altissima specializzazione viticola, ma di antica tradizione. Al di là degli interventi di carattere normativo sono molte le iniziative di carattere promozionale dell’Amministrazione regionale, a riprova di una costante e attiva attenzione dedicata al settore vitivinicolo. Per fare alcuni esempi, si può citare la legge regionale n. 39 del 1980 istitutiva dell’Anagrafe Vitivinicola, l’avvio delle procedure di istituzione delle “Strade dei vini” e la costituzione dell’Enoteca del Piemonte. L’Anagrafe Vitivinicola, attiva dal 1982 è un sistema di rilevazione e controllo della produzione e del commercio dei vini volto a salvaguardare le produzioni vinicole di qualità e a rendere più efficace la lotta alle frodi e alle sofisticazioni. L’istituzione delle “Strade dei vini” e dell’Enoteca del Piemonte, unitamente alle attività di sviluppo del turismo enogastronomico, sono solo alcune delle azioni per promuovere i vini piemontesi a livello nazionale ed internazionale. Sono dunque molti gli strumenti attivati dalla regione Piemonte per la valorizzazione dei prodotti vinicoli di qualità, che non si limitano al semplice riconoscimento della DOC, ma che seguono a pieno lo sviluppo del prodotto, che diventa, come nel caso del Canavese Rosso DOC, strumento attraverso cui valorizzare e tutelare il territorio. 2.2.5 Sintesi conclusiva Esiste nel Canavese per i vitigni rossi un elevato potenziale enologico inespresso, le cui cause sono da ricercare in particolari caratteristiche strutturali del comparto, quali l’elevata frammentazione aziendale e la mancanza di ricambio generazionale, ma anche in una insufficiente diffusione della tecnica enologica di qualità. Se per i primi due punti poco può fare lo studio finanziato dalla Regione Piemonte molto può invece fare per l’ultimo aspetto. Infatti, i risultati relativi alla vinificazione dei vini in purezza e l’individuazione degli 8 tagli migliori, fra le diverse combinazioni possibili, rappresenta una strumento fondamentale di orientamento per le cantine produttrici di Canavese Rosso DOC. I risultati relativi ai vini in purezza sono indispensabili per operare una corretta scelta tra le varietà autoctone di vitigni da impiantare e le altre varietà autorizzate, mentre l’individuazione dei tagli migliori graditi ai consumatori può effettivamente orientare i produttori di vino verso la produ37 zione di vini per i quali c’è già stato un riscontro positivo a livello di consumatori. Una particolare attenzione da parte dei produttori di Canavese Rosso DOC ai risultati della ricerca nella fase dei reimpianti e nella scelta degli uvaggi è stata riscontrata dai responsabili del progetto e, questo, rappresenta sicuramente un ottimo risultato dello studio. Anche i risultati economici relativi alla coltura della vite in provincia di Torino hanno evidenziato l’esistenza di un vantaggio economico nel produrre vino di qualità rispetto al vino comune: ciò che costituisce certamente uno dei fattori più importanti per la diffusione delle nuove produzioni DOC. 2.3 La viticoltura specializzata Il progetto “Selezione clonale di vitigni piemontesi” finanziato dalla Regione Piemonte è condotto ormai da molti anni dal Centro Miglioramento Genetico e Biologia della vite del CNR di Torino, con l’obiettivo di migliorare dal punto di vista genetico e sanitario i vitigni piemontesi. L’attività di selezione clonale, attuata secondo protocolli ufficiali definiti a livello nazionale, è finalizzata a fornire al settore vivaistico materiale di moltiplicazione di particolare qualificazione, e a consentire ai viticoltori l’impianto dei vigneti con “materiale certificato” valido per i caratteri varietali, virologici, agronomici ed enologici. Negli anni recenti sono state condotte approfondite osservazioni su numerosi cloni di vite, ma ai fini della nostra indagine si è focalizzata l’attenzione sulla diffusione dei cloni di vitigni Nebbiolo biotipo Michet (CVT 63, 66, 71), biotipo Picotoner (CVT 308. 415, 423), Barbera (CVT 83) e Moscato Bianco (CVT CN 16 e AT 57). L’analisi di scenario di seguito proposta offre indicazioni relative al comparto vitivinicolo nelle province piemontesi maggiormente vocate, vale a dire: Cuneo, Asti e Alessandria; essa persegue lo scopo di evidenziare l’importanza dei vitigni su cui da anni si opera la selezione clonale. 2.3.1 Descrizione del comparto La vitivinicoltura incide notevolmente sull’economia agricola piemontese: nel 2001, il comparto, con valori superiori ai 447 milioni di euro, rappresenta più del 64% della PPB delle coltivazioni legnose e il 13% della PPB agricola regionale. Il 93 % delle produzioni vitivinicole sono realizzate nella provincia di Asti, Alessandria e Cuneo: nella prima il valore dei prodotti vitivinicoli costituisce più del 50% di tutte le produ38 zioni agricole, mentre nella provincia di Alessandria e di Cuneo ne rappresenta, rispettivamente, il 25% e 10% (tab. 2.18). Secondo i dati dell’Anagrafe Vitivinicola regionale, nel 2003 la viticoltura piemontese si estende su una superficie complessiva di 47.520 ettari, il 95 % della quale ricade nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, dove tra l’altro si concentra l’84% delle aziende viticole piemontesi (tab. 2.19). Tab. 2.18 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni legnose in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤) Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo Totale 697.478 186.157 132.504 291.121 Coltivazioni legnose di cui: prodotti vitivinicoli 447.613 167.743 111.735 140.611 Totale agricoltura 3.451.958 331.658 444.874 1.336.305 Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT Tab. 2.19 - Superficie vitata e numero di aziende viticole del Piemonte e delle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2003 Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo Aziende viticole (n.) 26.947 8.487 6.665 7.604 Superficie vitata totale prodotti vitivinicoli (ha) 47.520 16.814 13.085 15.333 di cui: superficie a DOC/DOCG (ha) 36.475 12.874 9.455 13.363 Fonte: Archivio dei vigneti, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2003 Una caratteristica peculiare della viticoltura piemontese è il forte orientamento verso la qualità: infatti, circa l’80% della superficie vitata regionale è atta a produrre vini DOC e DOCG e ricade quasi interamente (98%) nei territori delle province di Cuneo, Asti e Alessandria. Dal punto di vista strutturale il comparto è caratterizzato da una notevole frammentazione della base produttiva: la superficie media delle aziende viticole delle citate province è di due ettari circa. Tuttavia negli ultimi anni, seppur lentamente, si va affermando nel comparto una tendenza verso modelli produttivi più specialistici e, nonostante continui a prevalere una viticoltura diffusa su piccoli appezzamenti, sono aumentate rispetto al 39 passato le dimensioni medie delle superfici coltivate a vite di ciascuna azienda. Come già ricordato, i vitigni piemontesi oggetto di selezione clonale presi in esame nel caso della nostra indagine, sono Nebbiolo, Barbera e Moscato. E’ da notare che il vitigno predominante in Piemonte è il Barbera, esteso sul 35% dell’intera superficie coltivata a vite, seguito dal Moscato, 22%, dal Dolcetto,14% e dal Nebbiolo 8%. Come si evince dalle informazioni riportate nella tabelle 2.20, il Barbera viene intensamente coltivato nell’astigiano (oltre 50% del totale) e nel Monferrato alessandrino; il Nebiolo, invece, è largamente diffuso nella provincia di Cuneo e gli impianti di Moscato sono presenti in misura circa uguale nel basso astigiano e nelle Langhe cuneesi, oltre che, in misura più contenuta, nella provincia di Alessandria. Tab. 2.20 - Superficie vitata per vitigno in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2003 Barbera Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo 16.594 8.413 5.367 5.367 di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo 50,7 32,3 50,7 Moscato Nebbiolo valori assoluti (ha) 10.378 3.761 4.315 61 1.628 10 1.628 10 valori percentuali 41,6 1,6 15,7 0,3 41,6 1,6 Totale 47520 16.789 13.055 13.055 35,3 27,5 35,3 Fonte: Archivio vigneti Piemonte 2003 In termini di produzione di uva e vino, dei circa 2,3 milioni di ettolitri di vino prodotti a livello regionale il 92% proviene dalle tre province, in misura maggiore (37%) da Asti e in misura circa uguale (27-28%) da Cuneo e Alessandria (tab. 2.21). Sono più di un centinaio i vini commercializzati dalle aziende piemontesi e, fra questi, i primi posti sono occupati dai vini VQPRD che rappresentano il 30% delle vendite totali, equamente divisi tra la vendita sul mercato estero e il mercato nazionale (tab. 2.22). Seguono, in termini di volumi di vendite, i vini da tavola e i vini aromatizzati, mentre gli spumanti - tra i quali non è compreso l’Asti, annoverato tra i VQPRD - sono all’ultimo posto. Il 42% del prodotto venduto sul mercato nazionale dalle aziende vitivinicole piemontesi deriva dalle province di Asti e di Cuneo; quest’ultima provincia è al primo posto per quanto concerne le esportazioni. 40 Tab. 2.21 - Superfici viticole e produzioni vinicole in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo produzione uva da vino (q) 3.346.053 1.225.000 914.054 980.000 Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo produzione vino (hl) 2.328.675 857.500 637.696 657.000 Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte Tab. 2.22 - Vendite all’estero e in Italia di vini prodotti in Piemonte e nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel 2002 per categoria merceologica vino da tavola VQPRD Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo 802.480 96.863 212.488 486.050 708.835 169.213 10.259 404.408 Piemonte di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo 317.813 194.559 24.262 78.319 735.839 231.340 62.329 348.757 spumanti vini aromatizzati vendite all’estero (hl) 130.435 946.491 35.721 154.761 44 0 88.609 127.147 vendite in Italia (hl) 402.354 173.942 266.483 41.610 5.963 507 80.721 11.861 altri prodotti Totale 456.706 96.972 4.902 338.929 3.044.947 553.529 227.693 1.445.142 221.678 40.701 5.632 144.828 1.851.625 774.692 98.693 664.485 Fonte: Mondo bottiglie, Anagrafe Vitivinicola,Osservatorio vitivinicolo, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, 2002 Il patrimonio viticolo piemontese, anche se spesso esclusivamente identificato con la produzione di grandi vini rossi, si esprime attraverso numerosi altri vini e sono tutt’altro che trascurabili le produzioni di vini bianchi e degli spumanti. Come si evince dalla tabella 2.23, tra i vini rossi4 un ruolo fondamentale è svolto dai vini prodotti a partire dal vitigno Nebbiolo - la cui produzione equivale al 10% di tutti i vini rossi piemontesi DOC e DOCG - e dal Barbera (oltre 50% del totale). Tra i prodotti del vitigno Nebbiolo si ricordano i vini DOCG Barolo, 4 Si precisa che i valori riportati in tabella sottostimano le produzioni totali di ciascun vitigno, perché sono stati presi in considerazione solo i vini prodotti dai relativi monovitigni, escludendo i numerosi vini piemontesi costituiti da uvaggi diversi, tra i quali rientrano il Barbera o il Nebbiolo. 41 Barbaresco, Gattinara e Ghemme, mentre dalla vinificazione del vitigno Barbera si ottengono il Barbera d’Asti DOC e il Barbera d’Alba DOC. Per quanto riguarda, invece, la produzione di vini bianchi DOC e DOCG il 70% di questi è prodotto a partire dal vitigno Moscato bianco, da cui derivano, innanzitutto, l’Asti Moscato DOCG e l’Asti Spumante. Tab. 2.23 - Produzione di vini rossi e bianchi DOC e DOCG in Piemonte nel 2002 Vini Rossi Piemonte DOC e DOCG di cui: monovitigno Nebbiolo di cui: monovitigno Barbera Vini Bianchi Piemonte DOC e DOCG di cui: monovitigno Moscato Produzione (hl) 518.892 102.762 518.892 721.381 502.666 Fonte: Elaborazioni INEA su dati CCIAA del Piemonte, Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte La maggior parte dei vini sopra citati provengono dalle zone vinicole più prestigiose della regione: le Langhe, il Roero e il Monferrato, che ricadono nei territori delle tre province esaminate. Le condizioni pedoclimatiche della zona delle Langhe e del Roero, tra l’albese e l’astigiano, la rendono particolarmente adatta alla coltivazione della vite; il vitigno più diffuso è il Nebbiolo, che dà origine in questa zona ad un vino particolarmente rinomato: il Barolo. Adiacente a questa zona si trova, a sud del fiume Po, a cavallo tra le province di Asti e Alessandria, la zona del Monferrato, suddivisa in tre sottozone: Monferrato Casalese, Monferrato Astigiano e Alto Monferrato. Anche questa zona è caratterizzata da distese di colline che legano principalmente la propria fama a quattro vitigni (Barbera, Dolcetto, Moscato e Grignolino), ma soprattutto alla produzione di uno dei vini dolci più conosciuti nel mondo, l’Asti Spumante. 2.3.2 Problematiche legate alla selezione clonale L’iter di selezione clonale e di omologazione è un procedimento complesso e lungo che prevede numerose prove in campo e in laboratorio che, mediamente, durano una decina di anni. Per molti dei cloni scelti soltanto nel 2000 - a conclusione del ciclo pluriennale di controlli in laboratorio, in campo e in cantina - è stata redatta ed inviata al Ministero competente la documentazione per la richiesta di omologazione (Nebbiolo biotipo Picotoner e Michet, nonché Barbera CVT 83). Per questi specifici cloni, dunque, non è possibile fare una verifica della loro adozione in vigneto, poiché 42 il materiale selezionato è esclusivamente in possesso dei vivaisti per l’allestimento delle piantine madri e non è ancora acquistabile dai viticoltori. Diverso è il discorso per i cloni di Moscato Bianco, omologati nel 1990, per i quali è effettivamente possibile verificare la diffusione presso i viticoltori. Per avere comunque alcune indicazioni relative alla futura diffusione dei cloni di Nebbiolo e Barbera in esame, si riportano i dati relativi alle domande di prenotazione del materiale certificato avanzate dai vivaisti al Nucleo di Premoltiplicazione Viticola del Piemonte (Ce.Pre.Ma.Vi.) per le campagne 2003-2004 e 2004-2005. Da quanto si desume dalla tabella 2.24, tendono a diminuire le richieste dei cloni di Moscato in relazione alla loro più antica omologazione, mentre sono molto numerose, e in termini assoluti maggiori, le richieste di Barbera. Tra i cloni di Nebbiolo Picotoner sono numericamente inferiori le domande per il clone CVT 308 e sostanzialmente uguali per gli altri due cloni; invece, per il biotipo Michet i vivaisti sembrano più orientati verso il clone CVT 71, anche se lo scarto in numero di domande presentate rispetto agli altri due cloni omologati non è così elevato. Tab. 2.24 - Domande presentate al Nucleo di Premoltiplicazione Viticola del Piemonte negli nelle campagne 2003-2004 e 2004-2005 Barbera CVT 83 Picotoner Nebbiolo CVT 308 Picotoner Nebbiolo CVT 415 Picotoner Nebbiolo CVT 423 Michet Nebbiolo CVT 63 Michet Nebbiolo CVT 66 Michet Nebbiolo CVT 71 Moscato CN 16 Moscato AT 57 campagna 2003-2004 Numero di richieste 8.154 750 1.450 1.450 2.500 2.450 2.700 900 500 campagna 2004-2005 Numero di richieste 5.250 150 250 50 425 225 150 334 380 Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte I dati riportati in tabella forniscono delle indicazioni limitate circa la futura diffusione di questi cloni e devono essere interpretati come orientamento dei vivaisti verso l’uno o l’altro clone, ma non sono del tutto rappresentativi della loro reale futura diffusione in campo. I vivaisti, infatti, dopo aver ottenuto il materiale di moltiplicazione, allevano le piante madri certificate da cui verranno prodotte le talee e, quindi, le barbatelle che saranno acquistate dai viticoltori per l’impianto. Una vera e propria verifi43 ca della diffusione di questi cloni andrà dunque fatta presso i viticoltori solo a seguito dell’acquisto del suddetto materiale e del relativo impianto. 2.3.3 Risultati economici Per un esame dei risultati economici e produttivi della viticoltura piemontese attraverso la RICA regionale si è preso a riferimento il triennio 2000-2002 e le colture vite di qualità e vite comune nelle sole aziende specializzate delle tre principali province viticole: Asti, Alessandria e Cuneo (Tab. 2.25). Tab. 2.25 - Principali risultati economici e struttura dei costi della coltura vite nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo nel triennio 2000-2002 2000 Numero di casi 181 Superficie media aziendale (ha) 2,20 A) Produz. unitaria del prod. princ. (q/ha) 93 B) Prezzo di vendita (¤/q) 39 C) Produz. lorda totale (?/ha) 6.611 D) Spese specifiche (¤/ha) 442 - barbatelle 14 - fertilizzanti 38 - antiparassitari e diserbanti 312 - noleggi 5 - reimpieghi 1 - altre spese 69 E) Margine lordo (¤ / ha) [E = C – D] 6.169 Spese specifiche/ Produz. Lorda Unitaria Spese specifiche - acquisto barbatelle - fertilizzanti - antiparassitari e diserbanti - noleggi - reimpieghi - altre spese 6,7 100,0 3,2 8,5 70,7 1,2 0,3 15,7 Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA 44 Asti 2001 2002 Alessandria 2000 2001 2002 valori assoluti 77 80 84 4,90 5,10 5,30 2000 Cuneo 2001 2002 183 2,30 177 2,30 111 2,60 109 2,80 111 2,80 105 41 7.072 439 14 54 285 7 0 79 91 48 6.457 416 15 47 258 23 0 72 90 48 6.344 537 23 70 349 3 7 84 84 45 5.558 617 52 88 313 7 2 155 86 59 8.817 634 15 75 344 2 0 196 92 50 8.560 825 6 86 397 23 0 312 80 57 7.354 773 26 114 432 5 0 194 6.633 6.041 5.807 5.097 4.940 valori percentuali 8.182 7.735 6.581 6,2 100,0 3,2 12,2 64,8 1,6 0,0 18,0 6,4 100,0 3,5 11,3 62,1 5,5 0,0 17,2 8,5 100,0 4,4 13,0 65,0 0,6 1,3 15,7 7,2 100,0 2,4 11,8 54,2 0,4 0,1 30,9 9,6 100,0 0,8 10,4 48,2 2,8 0,0 37,8 10,5 100,0 3,3 14,7 55,9 0,7 0,0 25,2 90 38 5.615 518 68 61 311 11 4 62 9,2 100,0 13,2 11,8 60,1 2,1 0,9 11,9 11,1 100,0 8,4 14,2 50,7 1,1 0,3 25,2 La situazione che emerge dalle elaborazioni effettuate è quella di una presenza importante della coltivazione della vite nell’economia dell’intera regione, sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello economico; infatti i risultati della coltura, in termini di produzione lorda e di margine lordo, sono tra i più alti rispetto alle più diffuse coltivazioni regionali e, indubbiamente, i più elevati rispetto alle reali alternative produttive nelle aree viticole. Considerato che il campione analizzato è costituito da sole aziende specializzate, si può sostenere che la coltivazione ha luogo su superfici piuttosto contenute: intorno ai 2,5 ettari nelle province di Cuneo ed Asti, intorno ai 5 ettari in provincia di Alessandria. Si tratta di superfici colturali tutto sommato modeste, che consentono ad un rilevante numero di imprese di restare sul mercato solo a ragione dell’elevata redditività unitaria. Sussiste di fatto una tendenza generalizzata verso un aumento della superficie colturale che, tuttavia, è fortemente ostacolata dalla rigidità ed onerosità del mercato fondiario nelle aree viticole specializzate. Sul piano produttivo la viticoltura piemontese esprime rese unitarie medie intorno ai 90 q/ha con una variabilità molto ridotta tra le diverse province. Il mercato risulta premiare le uve prodotte in provincia di Cuneo, dove il prezzo medio è di 55 ¤ / q, rispetto alle altre due province (Asti 42 ¤ / q, Alessandria 43 ¤/q) ma il livello generale dei prezzi appare comunque remunerati vo. Infatti, già è stato notato che il livello della produttività lorda della coltura - mediamente vicina, a livello regionale, a 7.000 ¤ per ettaro - è tra i più alti nel panorama produttivo regionale; si evidenzia, inoltre, una diversità significativa di produttività lorda tra le diverse province: -30% ad Alessandria rispetto a Cuneo, -18 % ad Asti rispetto a Cuneo. Dall’analisi della struttura dei costi si rileva un livello contenuto delle spese specifiche che, a livello regionale nell’intero periodo analizzato, rappresentano solamente l’8,4% della produzione lorda, ma nel contempo si mette in evidenza come quasi il 60% delle spese specifiche sia rappresentato dalle spese per la difesa della coltura. Dunque la selezione clonale, che persegue l’obiettivo dell’impiego di materiale sano e resistente ai virus, rappresenta certamente uno strumento di prevenzione importante ai fini della limitazione dei costi, in grado di incidere in modo significativo sia attraverso il contenimento dei costi di risanamento (reimpianto o sostituzione delle piante infette), sia attraverso la riduzione dei costi per la difesa preventiva ed attiva contro i vettori delle virosi. 45 2.3.4 Politica regionale per la viticoltura La costante attenzione rivolta dall’Amministrazione regionale piemontese al comparto viticolo si realizza in numerosi interventi per lo sviluppo, la promozione e la tutela dei prodotti vitivinicoli regionali (cfr. quanto detto al precedente paragrafo 2.2.4). In particolare, la salvaguardia del potenziale produttivo viticolo e delle strutture economiche è uno dei temi centrali dell’impegno istituzionale per il rafforzamento del ruolo strategico che il comparto gioca nell’economia complessiva della regione. Il progetto di selezione clonale finanziato dalla Regione persegue obiettivi fondamentali per la promozione economica e commerciale del prodotto. L’introduzione di materiale virus-esente evita infatti l’insorgenza di dannose fitopatie che sarebbero causa di un aggravio dei costi per le aziende e ne ridurrebbero la competitività; inoltre, la scelta dei cloni migliori dal punto di vista agronomico, ecologico e produttivo comporta l’immissione sul mercato di un prodotto qualitativamente superiore. Tra l’altro, l’impegno nel campo della selezione clonale non si limita al finanziamento di attività di ricerca, ma la Regione Piemonte gestisce e finanzia il già menzionato Nucleo di Premoltiplicazione (Ce.Pre.Ma.Vi.) garantendo una disponibilità di materiale controllato ai vivaisti e riducendo in generale gli oneri relativi al materiale di impianto. La salvaguardia del patrimonio viticolo e la lotta contro le principali fitopatie della vite è condotto anche su altri fronti. Una delle avversità che affliggono maggiormente i vigneti piemontesi è oggi rappresentata dalla flavescenza dorata, che si è manifestata per la prima volta nel 1998 in alcune aree dell’alessandrino. A partire da tale anno la Regione Piemonte ha intrapreso numerose iniziative finalizzate a contenere la diffusione della fitopatia; è stato ideato e finanziato un progetto di ricerca, di monitoraggio e di intervento sul territorio per studiare l’evoluzione della malattia sui vitigni piemontesi nelle condizioni ambientali e colturali della regione e si sono individuati gli interventi di lotta obbligatoria per il contenimento della stessa. Inoltre, è stato attivato uno specifico intervento nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 per il sostegno finanziario ai viticoltori i cui vigneti sono stati danneggiati a seguito dell’espandersi della fitopatia. La misura U “Ricostituzione del potenziale agricolo danneggiato da disastri naturali e introduzione di adeguati strumenti di prevenzione” prevede, infatti, oltre al finanziamento della attività di monitoraggio e di informazione sul territorio, uno specifico sostegno per le fasi di estirpazione, reimpianto e integrazione del mancato reddito dei vigneti colpiti dalla malattia. 46 Grande rilievo sul piano dell’evoluzione qualitativa della viticoltura di qualità e dell’attenzione alle problematiche ambientali ha avuto il regolamento (CEE) n. 2078/92 che ha costituito un importante punto di raccordo operativo tra Ente pubblico ed organismi degli agricoltori per orientare le produzioni su obiettivi di qualità. Il programma regionale di applicazione del suddetto regolamento – che, come già ricordato al precedente paragrafo 2.1.4, ha fatto seguito all’esperienza del programma regionale di lotta fitopatologica integrata avviato fin dagli anni ottanta - ha ottenuto grandi consensi tra i viticoltori piemontesi, tanto che, nel 1997, su circa la metà dei vigneti piemontesi (26.000 ettari) veniva praticata la difesa integrata ed erano adottate tecniche agronomiche ecocompatibili. Conseguentemente all’adozione del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 sono poi state mantenute analoghe tipologie di impegno anche nella programmazione e nella gestione delle misure agroambientali (Misura F1). Infine, è opportuno ricordare, seppur brevemente, i principali interventi di tutela e promozione delle produzioni viticole piemontesi. Tra questi rivestono un ruolo importante gli strumenti attivati per lo sviluppo dell’enogastronomia piemontese (cfr. paragrafo 2.2.4) che incrementano l’attrattiva dei territori viticoli e, allo stesso tempo, contribuiscono a sviluppare il turismo culturale e la funzione ambientale delle aree viticole e del territorio nel suo insieme. In questo ambito è senz’altro opportuno far riferimento alla legge regionale n. 20 del 1999 che istituisce il “Distretto dei vini Langhe Roero e Monferrato”, zona che raggruppa queste tre zone di eccellenza per l’aspetto enogastronomico, storico, turistico, artigianale, culturale. Il distretto comprende 422 comuni e ha lo specifico obiettivo di promuovere la produzione vitivinicola di un territorio piuttosto vasto ed eterogeneo che copre quasi un quarto del territorio piemontese (comprende, infatti, circa 27.000 aziende vitivinicole su un’area di oltre 670.000 ettari, con quasi un milione di abitanti). 2.3.5 Sintesi conclusiva L’attività di miglioramento genetico e sanitario della vite tramite la selezione clonale rappresenta un tassello fondamentale di una strategia complessiva che la Regione Piemonte persegue per sostenere e valorizzare il settore vitivinicolo. La selezione, condotta da molti anni sui vitigni piemontesi più rappresentativi e importanti, riveste notevole importanza poiché l’impiego di cloni esenti da virus è attualmente l’unica forma di prevenzione per quelle fitopatie per le quali non esistono trattamenti in grado di risanare la pianta infetta. È senz’altro molto più van47 taggioso per l’azienda l’impiego di materiale certificato e sano rispetto a quello standard, anche a fronte di un maggior costo del primo rispetto al secondo. Anche l’aspetto relativo al miglioramento della produzione di uva e vino derivante dalla individuazione di cloni con particolari caratteristiche qualitative della produzione (fertilità, tenori zuccherini, acidità, antociani, polifenoli, ecc.) è di notevole rilevanza. Tuttavia, a questo riguardo, occorre sottolineare alcuni elementi problematici derivanti dalla lunga durata, 10 anni circa, del procedimento di selezione. Infatti, nonostante la selezione venga impostata in relazione alle effettive esigenze del mondo viticolo e del mercato in un determinato momento, una volta conclusosi l’iter di selezione, le condizioni potrebbero essersi modificate e, quindi, non essere più così favorevoli alla diffusione del materiale selezionato determinando o il mancato uso dei cloni selezionati o la realizzazione di impianti la cui produzione non è idonea a rispondere alle esigenze emergenti. 2.4 La frutticoltura Il progetto di ricerca “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi” – oggetto di cofinanziamento da parte della Regione Piemonte - si inserisce nell’omonimo Programma nazionale MiPAF-Regioni ed è condotto, a partire dal 2002, dal Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese (CreSo). L’impegno della Regione Piemonte in questo campo, tuttavia, risale ad epoche precedenti. Infatti, il CreSo è stato costituito nel 2002, ma ha assorbito l’attività di sperimentazione già realizzata da Asprofrut, (associazione dei produttori ortofrutticoli piemontese) ivi compresa l’azienda sperimentale per la frutticoltura di Cuneo, situata in località Spinetta, dove, dal 1987, vengono svolte le ricerche relative alle prove varietali per le specie melo, pesco, pero e albicocco. Il progetto in esame ha, invece, preso avvio nel 1994, anno in cui il MiPAF ha finanziato il progetto “Liste di orientamento varietale”, all’interno del quale, in modo permanente, vengono sperimentate le nuove cultivar ed i nuovi portinnesti ritenuti di maggiore interesse per i principali bacini produttivi della frutticoltura italiana. Presso l’azienda sperimentale di Spinetta viene introdotto per la sperimentazione il materiale varietale ritenuto interessante per lo sviluppo della frutticoltura piemontese: ne vengono studiate le caratteristiche merceologiche e il comportamento agronomico, con particolare riferimento alla sensibilità alle fitopatie, per determinarne la compatibilità con l’ambiente e le tecniche colturali. In questo 48 modo si separano le varietà "interessanti" da quelle di scarsa o nulla utilità, formulando annualmente delle “liste di idoneità”. In sostanza, l’intera sperimentazione permette di redigere liste di orientamento varietale nazionale, ma articolate a livello regionale e per territorio, che vengono aggiornate annualmente e che consentono di indirizzare efficacemente gli operatori della filiera frutticola. Per esigenze inerenti la realizzazione del presente studio si è deciso di limitare l’indagine alle nuove cultivar di melo, pesco e nettarine i cui impianti sono diffusi sul territorio cuneese che, come confermano i dati forniti al seguente paragrafo costituisce il comprensorio frutticolo più rappresentativo a livello regionale. 2.4.1 Descrizione del comparto In Piemonte la frutticoltura interessa una superficie di circa 27.000 ettari che, nel triennio 2000-2002, in controtendenza rispetto alla situazione nazionale, ha subito un seppur lieve incremento. Nello stesso triennio è stata stimata una produzione annuale complessiva superiore ai 4 milioni di quintali. Il comparto evidenzia un forte orientamento verso la produzione di frutta per il consumo fresco: le specie più rappresentate sono mele, pesche, nettarine e kiwi; tuttavia, a livello regionale, non sono affatto trascurabili le produzioni della frutta in guscio: la coltivazione del nocciolo, in particolare, interessa circa 7.800 ettari e fornisce produzioni di particolare pregio destinate alla locale industria agroalimentare. La provincia di Cuneo – in particolare, le colline del saluzzese e la pianura tra Savigliano, Fossano e Cuneo – costituisce il polo produttivo per eccellenza della frutticoltura piemontese. Come si evince chiaramente dalle informazioni riportate in tabella 2.26, infatti, più della metà dei meleti e dei pescheti ricadono proprio nel territorio cuneese e da essi derivano più dei due terzi delle relative produzioni regionali. Nel caso delle nettarine, poi, la coltivazione viene realizzata quasi esclusivamente in questa provincia dove, ancora, si rinviene l’80% dei noccioleti piemontesi, con produzioni annue superiori ai 100 mila quintali. L’importanza del comparto frutticolo per l’economia agricola piemontese è testimoniato dal fatto che nel 2001 esso valeva circa 200 milioni di euro e rappresentava circa il 6% dell’intera produzione agricola regionale (tab. 2.27). A sottolineare, di nuovo, la specializzazione della provincia rispetto a questa tipologia colturale, si evidenzia che nel cuneese le produzioni frutticole costituiscono il 50% di tutte le coltivazioni legnose agrarie e pesano sull’intera produzione agricola provinciale nella misura del 10%. 49 Tab. 2.26 - Superfici e produzioni dei principali fruttiferi in Piemonte e nella provincia di Cuneo nel triennio 2000-2002 2000 Piemonte di cui: Cuneo Totale fruttiferi - Mele - Pesche - Nettarine - Pere - Actinidia - Nocciole 26.278 5.023 4.086 2.778 1.313 3.268 7.808 18.470 2.998 2.139 2.534 719 2.515 6.409 Totale fruttiferi 4.515.979 - Mele 1.475.604 - Pesche 995.203 - Nettarine 820.310 - Pere 204.169 - Actinidia 676.030 - Nocciole 110.371 3.333.200 1.060.600 623.000 776.000 92.000 550.000 82.400 2001 Piemonte di cui: Cuneo Piemonte Superfici (ha) 27.242 20.071 27.818 5.032 3.155 4.729 4.538 2.630 4.541 2.937 2.700 2.937 1.316 729 1.375 3.257 3.053 4.039 7.818 6.420 7.828 Produzioni (q) 4.214.003 3.029.060 4.446.777 1.464.520 1.065.000 1.451.251 863.380 495.000 949.395 577.225 535.000 559.639 210.443 92.010 245.125 682.238 545.000 814.912 154.678 126.600 155.095 2002 di cui: Cuneo 20.071 3.155 2.630 2.700 729 3.053 6.420 3.178.465 1.080.000 545.000 517.050 132.000 602.000 127.000 Fonte: Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte e ISTAT Per quanto attiene alle aziende con fruttiferi, secondo i dati dell’ultimo Censimento agricolo in Piemonte il loro numero sarebbe superiore alle 32.000 unità, delle quali oltre 17.000 sono localizzate nella provincia di Cuneo (tab. 2.28). In quest’ambito territoriale le aziende specializzate in un’unica coltivazione sono il 43% del totale (22% in melicoltura, 17% in peschicoltura, circa 5% nella coltivazione di nettarine). Tuttavia, la maggior parte delle aziende realizza coltivazioni miste delle tre sopraccitate specie, fra le quali prevale comunque il melo. Tab. 2.27 - Produzione agricola a prezzi base delle coltivazioni legnose in Piemonte e nella provincia di Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤) Piemonte di cui: Cuneo Coltivazioni legnose Totale di cui: frutta 697.478 199.800 291.121 141.699 Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT 50 Totale agricoltura 3.451.958 1.336.305 Tab. 2.28 - Numero di aziende per coltivazione legnosa in Piemonte e nella provincia di Cuneo nel 2000 Aziende con fruttiferi di cui: specializzate nella coltivazione del melo di cui: specializzate nella coltivazione del pesco di cui: specializzate nella coltivazione delle nettarine Cuneo 17.578 3.892 2.937 802 Piemonte 32.262 10.627 8.124 1.089 Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000 Le aziende con fruttiferi presenti nella provincia di Cuneo hanno prevalentemente piccole o medie dimensioni: il 25% non raggiunge l’ettaro di dimensione, circa la metà ha dimensioni tra 1 e 5 ettari, il 15 % tra 5 e 10 ettari e il restante 10% ha dimensioni superiori ai 20 ettari (tab. 2.29). La stessa distribuzione si riscontra per le aziende specializzate nella coltivazione di melo e pesco; diversa la situazione per le aziende che coltivano nettarine – destinate per lo più all’esportazione - dove il numero di aziende con dimensioni inferiori all’ettaro è molto ridotto (meno del 5%) mentre prevalgono in assoluto quelle di grandi dimensioni (42% del totale). Come già accennato, la zona in cui prevalentemente si concentra la frutticoltura cuneese è il saluzzese, che è la sub-area frutticola regionale più articolata sotto il profilo funzionale ed organizzativo: qui, infatti, opera la maggior parte delle cooperative frutticole e dei grossisti. Tab. 2.29 - Aziende con coltivazioni legnose agrarie in provincia di Cuneo per classe di SAU nel 2000 meno di 1 ettaro 1-5 ettari 4.406 8.525 - di cui melo 922 - di cui pesco 656 5-10 ettari > 20 ettari Totale 2.780 1.867 17.578 1616 709 645 3.892 1149 567 565 2937 208 217 341 802 valori assoluti Aziende con fruttiferi - di cui nettarine 36 valori percentuali Aziende con fruttiferi 25,1 48,5 15,8 10,6 100,0 Fruttiferi 25,1 48,5 15,8 10,6 100,0 - di cui melo 23,7 41,5 18,2 16,6 100,0 4,5 39,1 19,3 19,2 100,0 - di cui nettarine Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000 51 La frutticoltura piemontese è caratterizzata da una notevole articolazione della gamma produttiva, risultato di un tessuto produttivo concentrato e ben strutturato, in cui prevalgono prodotti a maturazione tendenzialmente tardiva. Il comparto frutticolo svolge un ruolo strategico a livello regionale, che va molto oltre la pur rilevante incidenza sulla produzione agricola complessiva. Infatti, la frutta piemontese occupa il primo posto nell'ambito dei prodotti freschi regionali esportati, con un fatturato di 90 milioni di euro annui. Nonostante la rilevanza e la forza del comparto, negli ultimi anni i produttori piemontesi si sono trovati a dover affrontare non più solo la concorrenza delle produzioni di altre regioni italiane, quali il Trentino e l’Emilia Romagna, ma anche la competizione dei Paesi, quali ad esempio il Cile e la Nuova Zelanda, situati in aree geografiche caratterizzate da stagionalità inversa e che si avvantaggiano di costi di produzione sensibilmente inferiori. Infatti, i Paesi dell’emisfero australe sfruttando, appunto, la stagionalità inversa, immettono i prodotti freschi nei circuiti commerciali soddisfacendo le esigenze della grande distribuzione, ma riducendo lo spazio di commercializzazione dei prodotti boreali a soli sei mesi. Tali, dunque, sono le problematiche che negli ultimi anni la frutticoltura piemontese ha dovuto affrontare e, partendo dal presupposto che non è percorribile la competizione sui costi, si è fatta la scelta di concentrare la ricerca e la sperimentazione sui processi di innovazione e sviluppo, cercando di privilegiare il miglioramento qualitativo delle produzioni. Da ultimo, occorre aggiungere che a sostenere le scelte suddette sono attive in Piemonte quattro Organizzazioni di Produttori, due delle quali (Lagnasco Group e Asprofrut) operano nel settore del prodotto fresco, mentre le altre due (Asprocor e Ascopiemonte) operano nel sub-comparto della frutta in guscio. 2.4.2 Problematiche della frutticoltura piemontese legate alle scelte varietali. In Piemonte, per ragioni climatiche, il calendario di maturazione delle pesche e delle nettarine è molto breve e concentrato in due mesi, a partire dalla metà di luglio fino alla metà di settembre. L’offerta di prodotto, pertanto, non è uniformemente distribuita nel tempo, ma presenta picchi di produzione. L’elevata concentrazione della produzione costringe a stoccare la merce per distribuirla in un lasso di tempo più lungo a scapito, spesso, della qualità. In ragione di tali problematiche negli ultimi anni la ricerca in campo varietale è stata mirata alla selezione di nuove cultivar a maturazione cadenzata, settimanale, in modo da uniformare l’offerta e minimizzare i tempi di raccolta e consumo. 52 Secondo quanto desunto dalle liste di programmazione delle varietà stilate dalle Organizzazioni di Produttori sulla base delle liste varietali annualmente compilate dal CreSo, di seguito si indicano le cultivar che nel triennio 2002-2004 sono state consigliate per il Piemonte. L’offerta varietale delle pesche comuni (a polpa gialla) comprende due tipologie di frutto distinte: quelle a colorazione standard e quelle con colorazione totale. Della prima tipologia vengono consigliate, a copertura del calendario di raccolta, in ordine di precocità: Diamond Princess, Rome Star, Zee Lady – Zaijula e, per chiudere il calendario, Summer Lady. Per quanto riguarda la seconda tipologia di pesche, quelle a colorazione totale, si parte con la cultivar precoce Ruby Rich – Zainoar, per passare poi a Vista Rich – Zainobe, per concludere con Summer Rich. Negli ultimi anni si è registrato un netto calo della richiesta di pesche a polpa bianca, che rappresenta la tradizionale tipologia regionale. La produzione attuale, pur apprezzata sotto il profilo gustativo, sta scomparendo a seguito delle caratteristiche peculiari di tale pesca che è inadatta alle moderne forme di distribuzione. Per le nettarine a polpa gialla le liste di programmazione consigliano come varietà per iniziare il calendario di raccolta - Big Top e, a seguire, le recenti Honey Kist, Amiga, Diamond Ray, Stark Redgold, Maria Aurelia, Orion e, per concludere il calendario, Sweet Red e Sweet Lady. Per quanto riguarda, invece, la coltivazione del melo negli ultimi anni si è determinata una decisa standardizzazione produttiva, a livello internazionale e nazionale, basata sull’impiego di cultivar appartenenti ai gruppi policlonali Golden Delicious, Red Delicious, Gala, Fuji e Braeburn, all’interno dei quali è la scelta del clone che determina il grado di innovazione. La ricerca in Piemonte, dunque, si è orientata negli ultimi anni verso i cloni che, all’interno dei gruppi sopra citati, permettono di conseguire alla melicoltura regionale posizioni di vantaggio rispetto alla concorrenza. In particolare, si è lavorato per realizzare i perfezionamenti estetici dei gruppi varietali caratterizzati da un’intensa sovracolorazione rossa in modo da renderli idonei ai requisiti qualitativi del disciplinare della “Mela Rossa Valli Cuneesi IGP”, recentemente riconosciuta. I cloni delle mele rosse che attualmente permettono di ottenere la più elevata percentuale di frutti idonei al marchio IGP, inseriti nelle liste di programmazione varietali delle OP nel triennio 2002-2004, sono Brookfield Baigent tra il gruppo Gala, Superchief e Jéromine tra le Delicious rosse e Raku Raku tra le Fuji. La ricerca per la melicoltura piemontese è anche orientata alla sperimenta53 zione di cloni resistenti alle fitopatie, in particolare, la ticchiolatura. Nello specifico si è lavorato per un prototipo di mela che possa essere materia prima per l’industria agroalimentare del baby-food e che consenta il rispetto delle restrizioni all’impiego dei fitofarmaci (Direttiva CE n. 5/96). Tra le cultivar resistenti alla ticchiolatura, negli ultimi anni ci si è orientati verso le Golden Orange, Crimson Crisp, Topaz, e Grigia di Torriana. Rimangono comunque consigliate cultivar di mele classiche, sempre apprezzate dai consumatori, quali Golden B del gruppo Golden Delicious e Galaxi del gruppo Gala. Sono, dunque, quelli finora richiamati i cloni di mele e le cultivar di pesche e nettarine su cui si è orientata la ricerca piemontese - nello specifico, l’opera di selezione condotta a cura del CreSo - negli ultimi anni, corrispondenti alle varietà attualmente più diffuse sul territorio regionale. 2.4.3 Risultati economici L’analisi dei principali risultati economici e produttivi della coltivazione del pesco e del melo attraverso la banca dati regionale RICA è stata effettuata con riferimento al triennio 2000-2002, scegliendo, in coerenza con quanto sin qui esposto, le aziende specializzate della provincia di Cuneo (tab. 2.30). Il profilo strutturale e i risultati produttivi di queste due colture ne confermano l’importanza nell’economia agricola della regione Piemonte; infatti i risultati delle due coltivazioni, in termini di produzione lorda e di margine lordo, sono tra i più alti rispetto alle principali coltivazioni regionali. La SAU media delle aziende specializzate del campione, nel periodo in esame, è stata di 9,7 ettari. E’ in atto una lieve tendenza verso un aumento della superficie aziendale, fenomeno tuttavia fortemente ostacolato dalla rigidità del mercato fondiario nelle aree frutticole specializzate, come peraltro in tutte le aree a forte vocazione produttiva; la superficie media delle colture in esame, intorno ai 3,5 ettari per il pesco ed ai 2,5 ettari per il melo, testimonia la diffusa pratica dei frutticoltori a diversificare le coltivazioni aziendali. Sul piano produttivo le rese unitarie medie nel triennio sono di 237 q/ha per il pesco e di 280 q/ha per il melo: si tratta di valori apprezzabili tenuto conto anche del livello qualitativo del prodotto che è mediamente alto e che il mercato valuta per entrambi i frutti nella misura di 27 ¤ per quintale. Il livello della produttività lorda delle colture è mediamente pari a 6.710 ¤/ha per il pesco e 7.802 /¤ ha per il melo. 54 Dall’analisi della struttura dei costi si rileva un livello contenuto delle spese specifiche che, nell’intero periodo analizzato, rappresentano rispetto alla produzione lorda solamente il 10,9 % per il pesco, mentre salgono al 16,3 % per il melo; tuttavia, nel contempo, occorre mettere in evidenza come rispettivamente il 70% ed il 64% delle spese specifiche sia rappresentato da spese per la difesa della coltura. La selezione di cultivar resistenti alle principali fitopatie rappresenta dunque uno strumento di intervento importante ai fini della limitazione dei costi, in grado di incidere in modo significativo sia attraverso il contenimento dei costi di risanamento, sia attraverso la riduzione dei costi per la difesa preventiva ed attiva. Tab. 2.30 - Principali risultati economici e struttura dei costi della coltivazione del pesco e del melo nella provincia di Cuneo nel triennio 2000-2002 2000 Numero di casi Superficie media della coltura (ha) A) Produz. unitaria del prod. princ.(q/ha) B) Prezzo di vendita (¤/q) C) Produzione lorda totale (¤/ha) D) Spese specifiche (¤/ha) - acquisto piantine - fertilizzanti - antiparassitari - noleggi - reimpieghi - altre spese E) Margine Lordo (¤/ha) [E = C - D] 38 3,40 256 24 6.493 689 6 127 531 0 0 18 5.805 Spese specifiche/Produzione lorda totale Spese specifiche - acquisto piantine - fertilizzanti - antiparassitari - noleggi - reimpieghi - altre spese 10,6 100,0 0,9 18,4 77,1 0,0 0,0 2,6 Pesco 2001 2002 2000 valori assoluti 39 46 45 3,70 3,50 2,50 227 226 267 31 26 23 7.874 5.763 6.487 686 773 1.266 6 12 42 92 104 151 479 498 842 18 31 9 0 0 0 83 121 216 7.188 4.990 5.221 valori percentuali 19,5 8,7 13,4 100,0 100,0 100,0 3,3 1,6 0,9 13,4 13,5 11,9 69,8 64,3 66,5 2,6 4,0 0,7 0,0 0,0 0,0 12,1 15,7 17,0 Melo 2001 2002 49 55 2,60 2,60 265 310 29 29 7.828 9.092 1.276 1.193 16 14 131 104 826 732 6 6 0 1 286 327 6.552 7.899 16,3 13,1 100,0 100,0 1,2 1,2 10,3 8,7 64,7 61,4 0,5 0,5 0,0 0,1 22,4 27,4 Fonte: Elaborazione INEA su dati RICA 55 2.4.4 Politica regionale Come già detto, il progetto di ricerca in esame svolge un ruolo fondamentale per la frutticoltura piemontese, trattandosi della prosecuzione di una linea di intervento condotta da ormai più di 15 anni per il tramite dell’Azienda Spinetta prima e del CreSo poi. La Regione Piemonte finanzia la ricerca inerente all’introduzione e la valutazione di nuovi materiali vegetali consapevole del fatto che le difficoltà del comparto frutticolo piemontese sono per lo più riconducibili a problemi di marketing. Infatti, chi intuisce prima degli altri quale nuovo prodotto potrebbe rispondere alle attese di distribuzione e consumo risulta premiato e riesce ad usufruire, almeno per qualche anno, di un monopolio di fatto. Lo strumento dell’innovazione è, quindi, considerato una delle poche strategie valide percorribili dal nostro Paese per poter essere competitivi rispetto ai Paesi in cui i costi di produzione sono notevolmente inferiori: “l’innovazione nasca come esigenza del marketing e, viceversa, il marketing si occupi di percepire le attese del mercato e di tradurle in concreti progetti” (Silvio Pellegrino, Direttore del CreSo). Inoltre, la Regione Piemonte finanzia anche la successiva attività di divulgazione affinché gli agricoltori siano tempestivamente informati dei risultati della sperimentazione. Anche la frutticoltura professionale piemontese, raccolta in larga misura nelle Organizzazioni di Prodotto riconosciute ai sensi del regolamento (CE) n. 2200/96, si avvale della sperimentazione del CreSo e, per prendere le decisioni relative all’utilizzo delle informazioni fornite dalla sperimentazione varietale, si è dotata di uno strumento di consultazione che annualmente cura l’impostazione di un programma di innovazione che permetta di giocare d’anticipo sulla riconversione dell’offerta. E’ stata, infatti, costituita a livello regionale una "Commissione per la sperimentazione e programmazione dell’offerta", dove sono rappresentate le componenti della filiera: frutticoltori operanti nei diversi areali, operatori commerciali, tecnici di campo e di magazzino, i ricercatori del Centro che, annualmente, basandosi sulle liste varietali stilate dal progetto in esame, predispongono delle liste di programmazione per i prodotti frutticoli. Sempre in linea con l’intento di rendere la frutticoltura piemontese competitiva sul mercato nazionale ed internazionale e valorizzare i materiali innovativi, negli ultimi anni si sono costituite filiere-club intorno a cultivar innovative di melo, al fine di creare una filiera tra frutticoltori, operatori commerciali e vivaisti, con l’obiettivo di distribuire in esclusiva il nuovo prodotto utilizzando adeguati sostegni promozionali. 56 Un’altra soluzione interessante per il cuneese è stata la ricerca di un segmento di mercato diverso sul quale non entrare in competizione con i colossi produttori di Golden Delicious: le mele rosse. Nel maggio del 2000 è avvenuto il riconoscimento dell’Indicazione geografica protetta “Mela Rossa delle valli cuneesi”, con l’approvazione del disciplinare di produzione e la costituzione del Consorzio di Tutela, che attualmente sta raccogliendo le adesioni dei produttori, premessa indispensabile per l’accatastamento dei terreni e per le predisposizioni dei piani di controllo. Gli strumenti attivati dalla Regione Piemonte per la frutticoltura sono dunque soprattutto interventi di politica di marketing, di ricerca e sperimentazione per sviluppare nuovi prodotti, per inserirsi su nuovi segmenti di mercato o crearne ex novo e abbandonare le produzioni man mano che diventano convenzionali. Non sono, tuttavia, trascurabili gli interventi più convenzionali a sostegno del rendimento e della produttività delle aziende frutticole attraverso il finanziamento (legge regionale del 26 giugno del 2003 “Interventi per ovviare e prevenire i danni arrecati dalle calamità naturali o da altri eventi eccezionali in frutticoltura”) di interventi di difesa attiva quali reti antigrandine e impianti antibrina, nonché di difesa passiva mediante il ricorso alle polizze assicurative agevolate. 2.4.5 Sintesi conclusiva Il comparto frutticolo ha un peso rilevante nell’economia regionale e la provincia di Cuneo spicca per la qualità e il valore delle produzioni. Da quanto esposto in precedenza, emerge un quadro più che favorevole alla diffusione delle nuove cultivar o dei nuovi cloni prodotti dall’attività sperimentale del CreSo, soprattutto nel cuneese. Si tratta, infatti, di cultivar o cloni selezionati in relazione alle caratteristiche pedoclimatiche piemontesi e che rispondono alle esigenze degli attori della filiera frutticola ma soprattutto alle attese dei consumatori. Pertanto, gli elementi a favore della diffusione - oltre alla qualità intrinseca del materiale selezionato, che dagli stessi produttori frutticoli è riconosciuta quale effettivo punto di forza e di competitività – sono riconducibili, pure, all’organizzazione costante di incontri divulgativi che da sempre affiancano l’attività di sperimentazione e attraverso i quali i frutticoltori per primi vengono a conoscenza delle innovazioni. E’ inoltre fondamentale l’attività di orientamento e programmazione svolta dalle OP che permettono l’effettivo passaggio in campo del materiale selezionato. Non sembrano pertanto esistere potenziali fattori di contrasto alla diffusione delle 57 innovazioni prodotte dal progetto in studio e l’analisi su campo sarà uno strumento importante per verificare in che misura siano determinanti per l’economia agricola del territorio interessato. 2.5 Il progetto “Liste di orientamento varietale in orticoltura”: l’orticoltura L’attività di ricerca e sperimentazione nel settore orticolo finanziata dalla Regione Piemonte nell’ambito del progetto “Liste di orientamento varietale” viene condotta dal 1996, prima dalla struttura di ricerca e sperimentazione di Asprofrut e poi dal CreSo (Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese) che ne ha ereditato l’attività, in collaborazione scientifica con l’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura, sezione di Montanaso Lombardo (LO). Il progetto persegue le finalità di migliorare la competitività dell’orticoltura attraverso la verifica sperimentale delle specie e delle varietà orticole più adatte ai diversi areali piemontesi e attraverso un’informazione continua dei tecnici incaricati di fornire consulenza alle imprese. La valutazione delle nuove varietà si realizza in parte presso il Centro sperimentale orticolo di Boves, gestito direttamente dal CreSo, e in parte presso alcune aziende di riferimento dislocate negli areali tipici di coltivazione. Fino al 2004 i risultati delle prove sperimentali erano finalizzate alla pubblicazione delle liste di orientamento varietale nell’ambito delle quali si segnalavano sia le varietà più idonee, sia quelle meno adatte. Dal 2004 si è deciso di non divulgare più tali liste, ma di rendere noto il giudizio sintetico per ciascuna delle cultivar in sperimentazione. L’analisi di scenario di seguito proposta persegue il fine di caratterizzare il comparto orticolo piemontese con specifico riferimento agli areali più rappresentativi (provincia di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo). Le colture su cui ci si soffermerà saranno l’asparago, il fagiolo, il peperone e il pomodoro. Oltre alle informazioni strutturali relative al comparto verranno presi in considerazioni alcuni elementi di contesto che potrebbero agevolare o al contrario limitare la diffusione di tali innovazioni. 2.5.1 Descrizione del comparto Secondo i dati del Censimento dell’Agricoltura del 2000, le coltivazioni orticole si estendono in Piemonte su una superficie di circa 8.800 ettari (escluden58 do la patata e le leguminose da granella), ovvero su meno dell’1% della SAU regionale, mentre le aziende che coltivano ortive sfiorano le 9.000 unità (tab. 2.31) e rappresentano l’8% di tutte le aziende agricole piemontesi. Le coltivazioni orticole si concentrano prevalentemente nelle province di Torino (21%), Asti (7%), Alessandria (38%) e Cuneo (27%). Tab. 2.31 - Aziende e relativa superficie investita a ortive in Piemonte e nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo nel 2000 Piemonte di cui: Torino di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo Aziende ortive (n.) 8.971 2.015 1.030 1.885 3.481 SAU Aziende ortive (ha) 8.818 1.881 607 3.363 2.392 Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000 Nel 2001 l’orticoltura piemontese ha raggiunto valori di produzione ai prezzi base di circa 200 milioni di euro, riferibili per la quasi totalità (95%) alle province indicate in precedenza e, in particolare, a quelle di Alessandria e di Cuneo, le quali contribuiscono a determinare più del 60% del valore della produzione orticola regionale (tab. 2.32). Tab. 2.32 - Produzione agricola a prezzi di base delle coltivazioni erbacee in Piemonte e nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤ ) . Piemonte di cui: Torino di cui: Asti di cui: Alessandria di cui: Cuneo Coltivazioni erbacee di cui: patate e ortaggi (*) Totale 1.214.840 196.111 218.922 32.534 67.190 12.729 219.203 71.868 310.429 68.017 Totale agricoltura 3.451.958 703.029 331.658 444.874 1.336.305 (*) L’aggregato comprende anche la produzione ai prezzi di base delle patate, che nel 2001 vale circa 21 milioni di euro, contribuendo a determinare il 10% del valore totale. Supponendo che tale peso si mantenga anche a livello provinciale, il valore della PPB dei solo ortaggi delle province in esame andrebbe diminuita del 10%. Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT 59 Il comparto pesa sull’intera produzione agricola regionale nella misura del 6% e lo stesso peso si mantiene più o meno a livello provinciale, fatta eccezione per l’alessandrino dove il valore delle produzioni orticole rappresenta il 16% della complessiva produzione agricola provinciale. In Piemonte e nelle quattro province in esame più del 90% della superficie investita da specie orticole è coltivata in pien’aria, mentre il restante 10% è coltivato in ambiente protetto, equamente diviso tra colture in serra e in tunnel (tab. 2.33). Tab. 2.33 - Superficie investita ad ortive per modalità di coltivazione in Piemonte e nelle province di Torino, Alessandria, Asti e Cuneo nel 2000 Torino Superfici investite a coltivazioni ortive (ha) 1.881 di cui: in pien’aria - di cui: in orti stabili o industriali 393 di cui: protette - di cui: in serra 189 - di cui: in tunnel, campane, ecc. Asti 607 Alessandria 3.363 Cuneo Cuneo Piemonte 8.818 62 407 432 8.818 39 20 154 432 Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 2000 La produzione media annua di orticole in termini quantitativi, nel periodo 2000-2003, è stata di 2,8 milioni di quintali; tra le specie orticole più rappresentative del comparto vi sono il fagiolo, il pomodoro, l’asparago e il peperone. In provincia di Torino prevale nettamente la coltivazione del peperone, che si estende su una superficie di circa 200 ettari e ha determinato, nel medesimo periodo, una produzione media annua di 36.000 quintali. Nell’astigiano la specie orticola con maggiore estensione è il pomodoro, così come nell’alessandrino dove la superficie investita a pomodoro supera i 1.200 ha e determina produzioni medie annue superiori ai 625.000 quintali. La coltivazione del fagiolo si concentra quasi esclusivamente nella provincia di Cuneo dove è presente su circa 2.000 ettari e determina produzioni medie annue di 180.000 quintali. A livello regionale l’assetto e l’orientamento produttivo orticolo variano molto da zona a zona, anche se è possibile individuare due sottoinsiemi prevalenti: quello, in crescita, relativo all’orticoltura in pieno campo ad elevato livello di meccanizzazione e quello, sostanzialmente stabile, relativo all’orticoltura tradizionale, orientata alla produzione per il consumo fresco, con basso livello di meccanizzazione ed elevato impiego di manodopera. 60 Nel torinese le coltivazioni orticole si concentrano nella fascia compresa tra i comuni di Torino e Carmagnola, dove prevalgono colture in pieno campo (che lentamente si stanno trasformando in colture in tunnel) e nell’area tra i comuni di Santena e Cambiano, dove è tradizionalmente praticata l’orticoltura in serra. Nell’astigiano sono interessati soprattutto i terreni lungo l’asta del fiume Tanaro, dove prevalgono colture in ambiente protetto e in tunnel; in provincia di Alessandria si coltivano un poco ovunque colture in pieno campo e colture intensive. Nel cuneese l’orticoltura è diffusa nel braidese, soprattutto in serra, nel fossanese, dove esiste una tradizione orticola di pieno campo, e nel saluzzese: area, quest’ultima, in crescente sviluppo. Tuttavia, si deve osservare che, in generale, il comparto orticolo piemontese vive da anni un periodo difficile e la prima conseguenza di tale situazione è la forte contrazione della superficie coltivata ad ortaggi, ridottasi negli ultimi 10-15 anni di circa un terzo. Tra le maggiori difficoltà del comparto sicuramente giocano un ruolo decisivo l’elevata frammentazione del settore, la quasi totale assenza di strutture associative e il mancato ricambio generazionale nelle aziende. La parte più tradizionale del comparto orientata alla produzione per il consumo fresco, caratterizzata da una filiera corta, difficilmente riesce a seguire le linee di sviluppo del mercato che negli ultimi anni richiede un elevato livello di qualità di prodotti e servizi. Inoltre, il settore risente in misura crescente della concorrenza di altre aree produttrici, in primo luogo dei tradizionali competitori nazionali (vale a dire, degli spagnoli e degli olandesi) ma negli ultimi anni è anche cresciuta la pressione esercitata dai paesi del bacino mediterraneo e dell’Europa orientale. Tra i canali commerciali preferenziali scelti dagli orticoltori piemontesi al primo posto si trovano i grossisti e i mercati all’ingrosso e, a seguire, coinvolgendo una percentuale di produttori inferiore al 10%, le cooperative e la grande distribuzione (Quaderni della Regione Piemonte, n. 15/1999). Per quanto concerne la commercializzazione, i problemi maggiori lamentati dagli orticoltori piemontesi sono per chi si rivolge ai grossisti, uno scarso potere contrattuale; per chi utilizza la grande distribuzione, la difficoltà di conferire un prodotto con standard qualitativi adeguati e di consegnare i prodotti nelle quantità pattuite al momento della richiesta. Il settore orticolo piemontese, dunque, è ancora lontano da sfruttare appieno le proprie potenzialità e il progetto di ricerca finanziato dalla regione Piemonte “Orientamento varietale in orticoltura” cerca di risolvere alcune delle problematiche sopra richiamate fornendo strumenti adeguati agli orticoltori per aumentare la loro competitività soprattutto in termini di qualità delle produzioni. 61 2.5.2 L’orientamento varietale in relazione alle problematiche orticole piemontesi In linea con le esigenze dei consumatori e con quelle della grande distribuzione, negli ultimi anni la ricerca varietale in orticoltura si è orientata sia verso la sperimentazione di specie diffuse a livello locale, sia verso nuove tipologie di prodotto caratterizzate da spiccati livelli di qualità e resistenza verso alcuni patogeni. Le prove sperimentali vengono condotte nella zona di riferimento per ogni singola specie a due livelli. Le prove di primo livello mettono a confronto in parcella unica i materiali genetici nuovi, proposti dalle ditte sementiere o in fase di iscrizione al Registro Nazionale delle varietà. Le prove di secondo livello sottopongono a valutazione le cultivar giudicate positivamente nelle prove di primo livello oppure quelle segnalate dai tecnici divulgatori, adottando un piano sperimentale a blocchi randomizzati ed elaborando i dati attraverso l’analisi della varianza. Come già ricordato, fino al 2004 i risultati di dette prove comportavano la pubblicazione per ogni specie orticola delle liste di orientamento varietale, ovvero di tre distinti elenchi (lista A, B e C) di cultivar raccomandate a seconda della maggiore o minore positività del giudizio complessivo emergente dai risultati delle prove di sperimentazione. Dal 2004 non sono più pubblicate le liste ma soltanto il giudizio sintetico per ciascuna cultivar formulato in base ai dati di campo e alle osservazioni formulate dai tecnici e dagli operatori agricoli. L’obiettivo principale della ricerca è quello di migliorare la competitività delle produzioni sementiere attraverso la scelta delle varietà più rispondenti al mercato ed alle richieste del consumatore. Di seguito si riportano le cultivar consigliate negli ultimi tre anni per i principali prodotti orticoli trattati, supponendo che siano queste le varietà che, avendo ottenuto i risultati migliori, siano state scelte da un maggior numero di orticoltori e che siano perciò le più diffuse sul territorio regionale. Asparago La coltura dell’asparago in Piemonte, se portata avanti in modo ottimale, permette delle produzioni elevate e stabili nel tempo (fino a 10 anni) che consentono un soddisfacente reddito all’agricoltore. L’individuazione della coltura più adatta alle condizioni pedoclimatiche ed al mercato di riferimento è fondamentale, nel caso dell’asparago, poiché una cultivar fisiologicamente non adatta all’ambiente determina un rapido deterioramento dell’apparato radicale con una conseguente grave perdita di produttività e qualità del prodotto. Negli ultimi anni la tradizionale varietà Precoce d’Argenteuil è stata com62 pletamente sostituita dagli ibridi Eros e Marte che, anche nelle prove varietali del 2002-2004, sono risultati i più adatti agli areali di coltivazione piemontesi. Inoltre, negli ultimi anni sono stati espressi giudizi abbastanza positivi nei confronti del Violetto d’Albenga, varietà locale che, sebbene molto apprezzata dal mercato del sud Piemonte, difetta ancora per la precocità e per la sensibilità a malattie che vanno controllate per evitare danni irreparabili alla coltura. Fagiolo rampicante La coltivazione del fagiolo rampicante, sia per la produzione di seme secco sia per quella di baccelli contenenti semi a maturazione cerosa, trova in Piemonte aree particolarmente vocate, quali i fondovalle ed alcune zone pianeggianti del cuneese, caratterizzate da suoli fertili e significative escursioni termiche giornaliere. La selezione varietale del fagiolo, sebbene molto lenta nel passato e legata soprattutto a selezioni locali, negli ultimi anni è diventata sempre più rapida. A livello varietale l’interesse dei consumatori è rivolto sempre più alla tipologia “Borlotto” rispetto al tradizionale “Stregonta”, mentre a livello aziendale sono richieste varietà con diverso ciclo di maturazione (per anticipare e posticipare la raccolta), con una fase di maturazione molto concentrata (per contenere i costi della raccolta) e particolare resistenza a malattie virali e batteriche. Secondo i risultati sperimentali delle prove condotte negli ultimi anni, le due varietà di riferimento della tipologia di “Borlotto”, per le quali è stato espresso un giudizio d’insieme positivo, sono Bingo e Vedetta. Peperone La coltura del peperone è uno dei capisaldi dell’orticoltura piemontese. Allo stato attuale si dispone sia di cultivar di interesse locale, particolarmente adatte alla coltivazione in pieno campo (in quanto manifestano una maggiore adattabilità alle situazioni climatiche durante il periodo estivo), sia di varietà ibride che forniscono produzioni più elevate e stabili nel tempo e hanno una maggior resistenza genetica ad alcune malattie. Per le cultivar tradizionali negli ultimi anni la sperimentazione si è orientata verso una rigorosa selezione conservatrice tesa eventualmente a migliorare la produttività e la resistenza alle malattie. Le cultivar più diffuse sono “Peperone di Cuneo” particolarmente apprezzata dal mercato per le caratteristiche 63 delle bacche (pericarpo molto spesso, lucentezza e colorazione) e “Corno di Carmagnola” che fornisce dei frutti allungati di ottima qualità. Per quanto concerne gli ibridi F1, per lo più coltivati in tunnel, le prove di confronto varietale degli ultimi anni si sono orientate verso la valutazione del comportamento vegeto-produttivo e qualitativo, considerando separatamente due tipologie: a frutto mezzo lungo e a frutto quadrato. Le varietà migliori per la prima tipologia sono Fenice e Signor e, a seguire, le varietà Es 01-87, ISI 56172, Florian, Jackal, Raul, Red King e Solero. Per la tipologia a frutto “quadrato”gli ibridi con giudizio migliore sono Flavio, Summit, Gaja, Amato, Explorer. Pomodoro da mensa Esistono due diverse tipologie di pomodoro da mensa, quello per la raccolta dei frutti a grappolo e quello per la raccolta di frutti singoli. Il mercato piemontese privilegia il pomodoro a grappolo caratterizzato da frutti di pezzatura elevata, in controtendenza rispetto alle altre regioni italiane dove si preferisce una pezzatura più piccola. La coltivazione si basa esclusivamente sull’utilizzo di varietà ibride, che vengono rapidamente messe a disposizione dalle ditte sementiere. Dalle prove condotte nel triennio 2001-2004, gli ibridi per i quali è stato espresso giudizio complessivo positivo sono Petula e Laetitia, che si presume possano essere i più diffusi sul territorio regionale. Il pomodoro da mensa a frutto singolo, invece, evidenzia una sostanziale tenuta degli investimenti negli ultimi anni soprattutto in ambiente protetto. Oltre alla tipologia “insalataro”, di recente si sono diffuse le tipologie “cuore di bue” e “allungato”. Il mercato piemontese, e non solo, dove vengono convogliate le produzioni regionali, manifesta sempre più interesse per le produzioni locali, caratterizzate da qualità elevata, ottenute in ambiente protetto adottando una tecnica colturale ispirata alla produzione integrata. Le cultivar che negli ultimi anni sono state sottoposte alle prove di confronto varietale e che hanno dato i risultati migliori in relazione alle esigenze manifestate dai consumatori sono: per la tipologia “insalataro”, Caramba, Seny e, a seguire, Giunone e Tyrsa; per la tipologia “cuore di bue”, Sel Albenga, Liguria; per la tipologia “allungato”, le varietà Oscar, Malawi, Colibrì. 2.5.3 Risultati economici L’analisi dei principali risultati economici attraverso la banca dati regionale RICA, è stata effettuata con riferimento alle aziende che hanno praticato la coltivazione 64 di fagiolo, asparago, peperone e pomodoro nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo nel triennio 2000-2002. La numerosità dei casi presenti non è certamente elevata, specie per le colture asparago e peperone, pertanto i dati presentati nella tabella devono essere considerati tenendo conto della contenuta numerosità delle osservazioni. Tab. 2.34 - Principali risultati economici delle colture fagiolo, asparago, peperone e pomodoro nelle province di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo (media del triennio 2000-2002) Fagiolo Coltivazioni analizzate (n.) 25 Superficie media aziendale della coltura (ha) 27 A) Produzione unitaria del prodotto principale (q/ha) 27 B) Prezzo vendita (¤/q) 120 C) Produzione lorda totale (¤/ha) 656 D) Spese specifiche (¤/ha) 656 - acquisto piantine 124 - fertilizzanti 136 - antiparassitari 118 - noleggi 106 - reimpieghi 62 - altre spese 72 E) Margine Lordo (¤/ha) [E = C - D] 2.665 Spese specifiche/ Produzione lorda totale Spese specifiche - acquisto piantine - fertilizzanti - antiparassitari - noleggi - reimpieghi - altre spese 19,8 100,0 18,9 20,8 18,0 16,2 9,4 11,0 Asparago Peperone valori assoluti 10 13 24 176 Pomodoro 24 102 236 102 423 1.948 423 1.948 36 685 113 323 89 353 0 1 64 121 44 359 4.955 11.019 Valori percentuali 7,9 15,0 100,0 100,0 8,5 35,2 26,8 16,6 21,1 18,1 0,0 0,1 15,1 6,2 10,4 18,4 63 63 3.958 3.958 1.693 562 568 217 5 861 13.292 17 312 22,9 100,0 42,8 14,2 14,4 5,5 0,1 21,7 Fonte: Elaborazione INEA su dati RICA Il fagiolo è la coltivazione con la superficie colturale di gran lunga maggiore (raggiunge, infatti, valori aziendali superiori ai 10 ettari) mentre per le altre colture in esame le superfici colturali risultano assai minori, livellate mediamente intorno a mezzo ettaro. 65 Le colture del peperone e del pomodoro si differenziano molto in termini di risultati economici rispetto a quelle del fagiolo e dell’asparago, fornendo un margine lordo molto più elevato. Questa diversità deriva soprattutto dal difforme livello della produzione unitaria delle colture: la produzione fisica del pomodoro è 13 volte superiore a quella del fagiolo. Pertanto, il livello dei prezzi, pur essendo ampiamente a favore sia del fagiolo, sia dell’asparago (il doppio per il fagiolo, quasi quattro volte per l’asparago) non riesce a compensare la differenza determinata dal quantitativo prodotto. L’incidenza delle spese specifiche sul totale della produzione varia molto tra le colture, andando da un minimo del 7,9 % per l’asparago ad un massimo del 22,9 % per il pomodoro, ma, in tutti i casi, le spese specifiche hanno un ruolo piuttosto marginale nel bilancio economico delle colture. Le spese che gravano maggiormente sui costi di produzione sono quelle relative all’acquisto delle piantine, seguite dai fertilizzanti e dagli antiparassitari. Considerata l’importanza degli aspetti commerciali per i prodotti orticoli si è effettuata anche una analisi sulla forma di commercializzazione dei prodotti delle colture in esame: dalle informazioni contenute nella banca dati regionale RICA si evince che circa il 70% delle aziende esaminate vende i propri prodotti ai grossisti, mentre il 10% circa vende al dettaglio e un ridotto numero di casi conferisce a cooperative oppure direttamente alle industrie. In ragione dei risultati tecnico-economici evidenziati e, in particolare, del peso rilevante che assumono produttività e proprietà qualitative del prodotto rispetto, invece, alla rilevanza marginale delle spese specifiche, appare quanto mai opportuna una selezione varietale orientata maggiormente verso cultivar o cloni a più elevata produttività e migliori caratteristiche qualitative, piuttosto che alla selezione di caratteri di maggiore resistenza alle fitopatie. 2.5.4 Politica regionale Nel tentativo di un rilancio e potenziamento dell’orticoltura piemontese, nel 1995 la Regione Piemonte ha finanziato un’indagine mirata ad individuare, descrivere e salvaguardare l’ampio patrimonio varietale locale. Si tratta del progetto “Germoplasma ortofrutticolo del Piemonte“ in relazione al quale, nell’ambito del programma di divulgazione del 1998, è stata pubblicata una raccolta di schede che descrivono 30 varietà orticole locali, che va ad aggiungersi alle 90 schede descrittive delle cultivar locali di melo (Quaderni Regione Piemonte, n. 11/1998). 66 L’interesse per le cultivar orticole locali è certamente importante e può offrire interessanti sviluppi per il comparto piemontese, che potrebbe trovare proprio nella differenziazione produttiva sotto il profilo della qualità organolettica una spinta di crescita e uno strumento di competitività in funzione della costante diffusione della cosiddetta “economia del gusto”. Accanto ad una specifica attività di ricerca tesa a valorizzare e conservare le cultivar locali in relazione alle nuove esigenze dei consumatori, il progetto “Liste di orientamento varietale” prende in considerazione anche gli altri ambiti del mercato e, in particolare, la grande distribuzione. Tra l’altro il progetto non si limita alla fase di sperimentazione, ma prevede una precisa fase di trasferimento dell’innovazione, che si realizza coinvolgendo i tecnici del comparto operanti sul territorio sia nella fase di conduzione delle prove sia in quella precedente di programmazione dell’attività e in quella successiva di consulenza alle imprese. Inoltre, i fascicoli riportanti le caratteristiche delle varietà in prova, annualmente prodotti e diffusi, sono un utile strumento di lavoro per i tecnici e gli agricoltori per orientarsi nella scelta varietale. Come già detto, l’orticoltura piemontese non sfrutta ancora a pieno le proprie potenzialità. Punto di debolezza del comparto è sicuramente la scarsa propensione all’associazionismo. Infatti, la partecipazione dei produttori orticoli alle associazioni di produttori, nate a seguito della creazione della OCM Ortofrutta (regolamento 2200/96), è ancora molto marginale sebbene siano state create diverse OP. Non mancano tuttavia interventi di promozione e valorizzazione dei prodotti orticoli, tra i quali si ricorda la richiesta del riconoscimento IGP della “Patata di Castelnuovo Scrivia” avanzata dall’organizzazione di produttori di patate piemontesi As.Pro.Pat Piemonte nel maggio del 2004. 2.5.5 Sintesi conclusiva In conclusione l’orticoltura Piemontese ha buone potenzialità di sviluppo che rimangono ancora inespresse. Il progetto “Liste di orientamento varietale in orticoltura” è un utile strumento di orientamento per gli agricoltori nella scelta delle varietà in relazione alle esigenze del mercato e dei consumatori. L’orticoltore è messo nella posizione di poter scegliere e orientare la propria produzione sulla base di risultati scientifici attendibili. Tuttavia, la mancanza di strategie commerciali di ampio respiro e la carenza di strutture specializzate in tal senso rischiano di vanificare anche lo sforzo della sperimentazione. 67 2.6 La caseificazione Il progetto denominato “Caratterizzazione della Toma Piemontese” avviato e finanziato dalla Regione Piemonte nel 1995 - ha perseguito lo scopo principale di valutare la realtà produttiva di tale prodotto caseario e di mettere a punto gli strumenti scientifici utili per caratterizzarne e renderne distinguibili le diverse tipologie. Il progetto di ricerca, attivato in un’ottica multidisciplinare, con l’intento di coinvolgere tutti i principali soggetti interessati all’argomento, è nato dalla considerazione che sotto la denominazione “Toma Piemontese” si raccoglie un “arcipelago” di entità produttive che dovevano essere individuate e descritte per puntare ad una corretta promozione del pregiato prodotto tipico regionale che, nel 1993, ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta. L’indagine si è svolta nell’arco di due anni; nel primo anno è stato avviato un percorso di conoscenza della complessa realtà produttiva della Toma Piemontese che prevedeva un’analisi dettagliata della consistenza e della localizzazione delle aziende zootecniche produttrici di Toma. Tale fase ha portato all’individuazione di un campione di circa 80 produttori, rappresentativo della variabilità geografica, tecnologica e imprenditoriale della produzione, sul quale sono stati effettuati gli approfondimenti pertinenti gli aspetti zootecnici, la qualità del latte di stalla o di caldaia e dei formaggi, le tecnologiche casearie adottate. Nel secondo anno di attività il campione aziendale d’indagine è stato ampliato allo scopo di avere un quadro più completo e significativo e sono proseguite le attività di analisi con specifico riferimento alle tecniche di caseificazione e all’analisi sensoriale del prodotto. L’indagine ha, dunque, consentito di individuare tre diverse tipologie tecnologiche di Toma Piemontese, sufficientemente definite e così qualificate “caseificio”, “biellese” e “classica”, alle quali è possibile ricondurre i diversi processi di caseificazione adottati dai produttori facenti parte del campione. L’analisi di scenario di seguito proposta offre una panoramica delle caratteristiche del comparto zootecnico piemontese con speciale riguardo alla filiera lattiero-casearia e alle tre province più significative in termini di produzioni (Torino, Cuneo e Biella). In particolare, l’attenzione è rivolta alla produzione della Toma Piemontese e agli aspetti che in questi anni possono aver favorito o, al contrario, ostacolato la produzione e la diffusione di questo pregiato formaggio. 68 2.6.1 Descrizione del comparto zootecnico Dal punto di vista strutturale il comparto zootecnico piemontese è caratterizzato da una forte concentrazione territoriale e da una netta prevalenza dell’allevamento di capi bovini. In termini economici la zootecnia bovina manifesta una spiccata vocazione alla produzione di carne, ciò che è reso evidente da una marcata incidenza di aziende con capi da macello in senso stretto e, anche, dalla significativa quota di vacche non da latte rispetto alla mandria regionale. Come evidenziato nella tabella 2.35, più dell’80% del patrimonio bovino regionale, che nel 2000 superava gli 800.000 capi, si concentra nella provincia di Cuneo (50%) e in quella di Torino (30%). Tab. 2.35 - Capi bovini e lattifere allevati in Piemonte e nelle province di Torino, Cuneo e Biella nel 2000 e nel 1990 e variazione intercensuaria Piemonte di cui: Torino di cui: Cuneo di cui: Biella 2000 Bovini Lattifere 818.798 170.867 242.979 62.229 418.563 81.898 15.975 5.495 1990 Bovini Lattifere 987.928 296.109 277.915 97.498 491.314 146.834 21.279 9.303 var. % ‘00-‘90 Bovini Lattifere -17 -42 -13 -36 -15 -44 -25 -41 Fonte: ISTAT, Censimento dell'agricoltura italiana, 1990 e 2000 Il comparto, protagonista nel decennio 1990-2000 di un forte processo di contrazione che ha determinato la riduzione di circa un quinto del numero di capi bovini, sembra aver raggiunto negli anni più recenti una fase di sostanziale equilibrio. Particolarmente evidente è il calo cui sono andate incontro le vacche da latte: il loro numero, infatti, sfiorava le 300.000 unità nel 1990 e all’inizio del decennio successivo si è ridotto a 170.000 (-42%). Le cause di tale contrazione sono da ricercare “nell’effetto combinato determinato dalla diminuzione delle quote produttive, dall’incremento delle rese per capo e non ultimo dalla crisi della zootecnia nelle aree marginali” (Aimone, 2001). I prodotti degli allevamenti nel 2001 hanno determinato un valore superiore ai 1,3 miliardi di euro, arrivando a costituire circa il 40% dell’intera produzione agricola regionale e, come già detto, una quota assai considerevole deriva dalla produzione di carne. Tuttavia, circa un quinto del suddetto valore è rappresentato dal latte: oltre 300 milioni di euro, che corrispondono al 9% della produzione ai prezzi base agricola regionale (tab. 2.36). Il latte bovino rappresenta il 98% del totale, 69 mentre le produzioni di latte ovino e caprino hanno un carattere del tutto residuale. Le province piemontesi più rilevanti per il comparto lattiero-caseario continuano ad essere Cuneo, Torino e Biella, che complessivamente contribuiscono a fornire più dell’80% dei prodotti zootecnici regionali e per le quali gli stessi determinano un valore superiore al 50% delle rispettive PPB agricole provinciali. Tab. 2.36 - Produzione agricola a prezzi base della zootecnia in Piemonte e nelle province di Torino, Biella e Cuneo nel 2001 (migliaia di ¤) Piemonte di cui: Torino di cui: Biella di cui: Cuneo Prodotti zootecnici Totale di cui: latte 1.380.208 309.425 388.291 121.434 32.548 8.651 677.727 129.933 Totale agricoltura 3.451.958 703.029 62.733 1.336.305 Fonte: Elaborazioni Istituto Tagliacarne su dati ISTAT L’allevamento bovino da latte è caratterizzato da un forte dualismo strutturale e territoriale: così come è dato riscontrare in altre regioni il cui territorio è in buona misura collinare e montano, coesistono in Piemonte due tipologie produttive molto diverse a seconda di dove è localizzato l’allevamento. Nelle zone di pianura la zootecnia bovina è interessata da un forte fenomeno di “selezione degli operatori e da una conseguente concentrazione della base produttiva sotto lo stimolo di un’industria compatta e competitiva” mentre in montagna e, più in generale, nelle aree marginali gli allevamenti sono “spesso legati a caseifici sociali che utilizzano singole valli come bacini di raccolta e che, nel complesso, costituiscono microfiliere locali piuttosto fragili strutturalmente, ma di notevole importanza per l’economia locale, per la funzione di presidio sociale e ambientale e per l’offerta di prodotti di particolare tipicità e validità gastronomica” (Aimone, 2001). Nel torinese e nel cuneese la prima tipologia produttiva è senz’altro più diffusa: qui, infatti, prevalgono allevamenti da latte di medio-grandi dimensioni (50-100 capi) per lo più localizzati in pianura (fig. 2.6). In queste province la zootecnia interessa pure le aree montane, anche se quasi sempre si tratta di attività stagionale, esercitata da imprenditori (malgari) le cui mandrie raggiungono i pascoli d’alpe durante la stagione estiva e stazionano, invece, nei fondovalle o, più di frequente, nella fascia pianeggiante pedemontana durante i mesi invernali. Al contrario, nel biellese prevale nettamente la seconda tipologia produttiva 70 sopra richiamata: si tratta, cioè, di allevamenti di piccole dimensioni localizzati per tutto l’anno in zone montane, in ragione del fatto che la quasi totalità del territorio provinciale è montano. Fig. 2.6 - Distribuzione percentuale del numero di lattifere e degli allevamenti nelle province di Torino, Cuneo e Biella, per classi di capi e per zona altimetrica % lattifere per classi di capi 80 60 40 20 0 Torino Cune o Monta gna Collina Bie lla Pia nura % allevamenti lattifere per zona altimetrica 40 20 0 Torino <2 0 c a pi Cune o 20 -- 49 c a pi 50 -- 100 c a pi Bie lla > 10 0 c a pi Fonte: Elaborazioni INEA su dati ISTAT, Censimento dell’agricoltura italiana, 2000 In termini di distribuzione delle attività, il 90% delle aziende con allevamento bovino e delle relative produzioni di latte si concentra nelle tre province oggetto delle nostre analisi; nel complesso, la quantità di latte prodotta in Piemonte nella campagna 2001/2002 ha superato gli 8,8 milioni di quintali (tab. 2.37) e nel 2003 ha raggiunto i 9 milioni di quintali. A livello regionale un quinto circa del latte prodotto è venduto senza lavorazioni intermedie ad acquirenti fuori Piemonte, mentre i restanti quattro quinti – circa 7 milioni di quintali - sono trasformati dall’industria locale; di questi l’80% è destinato alla caseificazione e il restante è immesso sul mercato del consumo fresco, prevalentemente sotto forma di latte pastorizzato. Il lattiero-caseario, a diffe71 renza di altri comparti agricoli regionali, mostra una significativa tendenza all’associazionismo e alla concentrazione del prodotto: infatti, l’associazione di produttori di latte ALPILAT, nata dalla fusione di Agripiemonte Latte, Asprolat Piemonte e Pro.Zoo.Latte, raggruppa oltre il 97% degli allevamenti bovini e ovi-caprini da latte piemontesi a cui fa capo il 95% delle partite consegnate e vendute in regione, per un volume di quasi 850.000 tonnellate di latte. Tab. 2.37 - Aziende con bovine e relative produzioni di latte in Piemonte e nelle province di Torino, Cuneo e Biella (campagna 2001/2002 ) Piemonte di cui: Torino di cui: Cuneo di cui: Biella Aziende n. % 3.931 100,0 1.277 32,5 2.135 54,3 98 2,5 Produzione q % 8.845.573 100,0 2.916.422 33,0 4.550.355 51,4 128.620 1,5 Fonte: IRES, 2004 Una certa attitudine alla concentrazione si denota anche nel campo della trasformazione, dove una quindicina di imprese tratta circa un quarto del totale del latte complessivamente lavorato; tra queste si trovano sia operatori di rilevanza nazionale, come ABIT e Centrale del Latte in provincia di Torino, sia imprese cooperative di dimensioni minori per lo più localizzate in zone montane e pedemontane, che operano come “caseifici di valle” e che, come già detto, sono elementi centrali di microfiliere locali orientate, in genere, alla produzione di formaggi tipici. Si stima che la metà dei formaggi prodotti in Piemonte siano DOP, per un volume di circa 35.000 tonnellate. Negli ultimi anni, accanto agli ormai famosi Grana Padano e Gorgonzola, che costituiscono ancora il 90% dei formaggi DOP prodotti in Piemonte, molti altri formaggi tipici hanno ottenuto il riconoscimento DOP, vale a dire, le cosiddette “sette piccole-grandi DOP”: Bra, Castelmagno, Murazzano, Roccaverano, Taleggio e Toma Piemontese. Per quanto riguarda la Toma Piemontese, già si è ricordato che essa ha ottenuto nel 1993 il riconoscimento DOP e, nel 1996, il riconoscimento di denominazione di origine protetta comunitaria. È questo un formaggio tipico dell’areale alpino piemontese, prodotto sin dall’epoca medioevale dai malgari che nei mesi estivi raggiungevano – così come accade ancor oggi – gli alpeggi per sfruttare le superfici foraggere alle quote elevate e per poi tornare con le mandrie a fondovalle, o in pianura, nel periodo invernale. 72 L’areale di produzione della Toma Piemontese DOP coincide con gran parte del territorio regionale (sono escluse, infatti, le sole province di Asti e Alessandria), anche se la maggior concentrazione produttiva si riscontra nella zona montana della provincia di Torino. Secondo i dati rilevati nel corso della ricerca (riferiti agli anni 1995-1996) in Val Susa, nelle Valli di Lanzo e in quelle del Canavese viene prodotto il 60% della Toma Piemontese, mentre il 34% è prodotto nel biellese e nella Val Sesia (provincia di Vercelli) e la restante quota nella pianura cuneese e torinese, nel novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola. I dati relativi alla produzione certificata di Toma Piemontese mostrano un trend più che positivo a testimonianza di un prodotto in forte crescita, che negli ultimi anni ha visto incrementare notevolmente le proprie produzioni, passate da circa 1.150 tonnellate del 1995-1996 a 2.600 tonnellate del 2002. È bene precisare che tale quantitativo non è, in ogni caso, rappresentativo dell’entità complessiva di Toma messa in commercio, poiché non tiene conto del prodotto non marchiato dal consorzio dei produttori del formaggio DOP. Secondo alcuni operatori, la Toma continua ad avere successo sia perché è formaggio tipico della tradizione montana piemontese, sia perché permette alle aziende un’adeguata valorizzazione del latte. Tuttavia, secondo un’analisi indicativa condotta dall’Osservatorio Latte - ISMEA la Toma Piemontese DOP permetterebbe una valorizzazione economica di circa 500 euro per tonnellata di latte trasformato; e, a tale riguardo, bisogna notare che il valore non è molto inferiore alla media nazionale dei formaggi DOP (550 euro per tonnellata) ma esso è ancora molto al di sotto del valore medio piemontese pari a 750 euro per tonnellata di latte. Infine, va detto che la Toma Piemontese rimane, per ora, un formaggio di interesse quasi esclusivamente regionale, che determina un corrispettivo monetario di 5,5 milioni di euro, ancora del tutto residuale rispetto al valore totale all’ingrosso dei formaggi nazionali tutelati, pari a 2.950 milioni di euro. 2.6.2 Aspetti tecnologici relativi alla produzione della Toma Piemontese La Toma Piemontese è una tipica produzione d’alpeggio in quanto rappresenta un buon sistema di conservazione e trasporto del latte prodotto dalle mandrie al pascolo. Negli anni, da prodotto tipicamente montano, si è diffusa nella aree di fondovalle e di pianura, e ciò ha inevitabilmente determinato una differenziazione sia nelle modalità produttive, sia negli aspetti organolettici. Il progetto di ricerca in esame nasce proprio con l’intento di conoscere le 73 diverse realtà produttive della Toma e, nello stesso tempo, di razionalizzarne i processi produttivi. Dall’indagine svolta negli anni 1995-1996 è emersa la descrizione di una situazione produttiva connotata, in generale, da buone caratteristiche chimico-fisiche del latte, ma da notevoli inconvenienti di natura microbiologica che, oltre ad essere la causa di un’estrema variabilità del prodotto, sono anche responsabili di un’elevata percentuale di forme difettose. Tali problematiche sono state riscontrate per lo più nelle aziende che producono e direttamente trasformano il latte, mentre sono molto meno comuni nei caseifici dove la qualità delle produzioni è generalmente più standardizzata e controllata. Per ovviare dunque a tali inconvenienti è stato realizzato e distribuito ai produttori di Toma un opuscolo divulgativo come supporto tecnico per il riconoscimento e la risoluzione dei principali problemi riscontrati nella fase di caseificazione. L’obiettivo degli opuscoli divulgativi era quello di consentire una migliore qualificazione degli operatori per il raggiungimento di standard qualitativi più adeguati per un formaggio che si fregia di denominazione di origine protetta. Il disciplinare di produzione (DPCM 10 maggio 1993) individua due tipologie di Toma, una a latte intero (Toma Piemontese) e l’altra a latte parzialmente scremato (Toma Piemontese semigrassa ). Le due tipologie, oltre a differenziarsi per la materia prima di partenza, presentano alcune differenze nel processo produttivo, nella dimensione dei granuli ottenuti dalla rottura della pasta (dimensioni maggiori nella prima tipologia) e nella fase di spurgo, ma soprattutto nelle caratteristiche fisiche e organolettiche del prodotto finito. In realtà, i rilievi effettuati nella realizzazione dal progetto di caratterizzazione hanno evidenziato che i casari, in genere, non applicano rigorosamente le tecnologie di produzione descritte nel disciplinare, ma le interpretano liberamente in funzione del latte e delle attrezzature a disposizione e, soprattutto, della rispettive conoscenze personali. Le differenze riscontrate nelle produzioni, inoltre, non sembrano ascrivibili alle diversità territoriali quanto piuttosto sembrano essere funzione della presenza o assenza di alcune pratiche tecnologiche che sono determinanti per la caratterizzazione del prodotto finale. Le pratiche che sono state utilizzate per la classificazione, e per le quali l’opuscolo divulgativo “Guida alla caseificazione della Toma Piemontese” ha fornito i consigli tecnologici utili per la riduzione di difetti nel prodotto finito, sono: - la scrematura del latte; - la pastorizzazione e l’utilizzo di starter; - il riscaldamento della cagliata dopo la coagulazione; 74 - la pressatura delle forme al termine della lavorazione. In base, dunque, alla presenza o meno di alcune delle fasi sopra indicate, le tipologie di Toma si dividono in tipologia caseificio, classica e biellese. La prima tipologia (caseificio) è prodotta in genere in caseificio con latte pastorizzato proveniente da aziende di pianura - in cui vi è una prevalenza di vacche di razza Frisona - ed è caratterizzata dal ricorso a colture starter, dall’assenza di cottura e di pressatura della cagliata. La tipologia classica è tipica delle aziende trasformatrici diffuse nelle vallate alpine, ma anche in molti allevamenti di fondovalle che utilizzano latte proveniente da aziende che praticano la monticazione estiva del bestiame ed in cui sono presenti vacche di razze diverse, ma con prevalenza di bovine di razza Valdostana (Pezzata Rossa e Pezzata Nera) e meticce. Si tratta di una tipologia dalle caratteristiche tecnologiche variegate per cui si distinguono una classica grassa e classica morbida a seconda della scrematura o meno del latte crudo di partenza. Infine, la terza tipologia (biellese) è tipica delle valli montane biellesi e della Val Sesia (provincia di Vercelli); è prodotta a partire da latte intero presso aziende che possono o meno praticare la monticazione, ma tutte caratterizzate dalla presenza di vacche della razza autoctona Pezzata Rossa d’Oropa. 2.6.3 Risultati economici L’analisi dei principali dati economici è stata condotta nel campione RICA del Piemonte con riferimento al triennio 2000-2002 e alle aziende con allevamento bovino localizzate nell’area montana della provincia di Torino, produttrici di formaggio. Poiché la struttura dei dati disponibili non consente distinzioni tra tipologie di formaggio, sono state selezionate tutte le aziende montane trasformatrici del latte prodotto, supponendo che la maggior parte della loro produzione sia di Toma Piemontese, che rappresenta il formaggio tipico più diffuso nell’area presa in esame. Poiché la numerosità dei casi selezionati non è elevata, i dati segnalati nella tabella 2.38 debbono essere considerati puramente indicativi. Per quanto riguarda la struttura aziendale, la superficie media è pari a circa 39 ettari, prevalentemente utilizzati per la produzione di foraggi, mentre la consistenza dell’allevamento è di 23,5 UBA ed il carico di bestiame di 0,60 UBA per ettaro: valore, quest’ultimo, assai contenuto, a dimostrazione del fatto che si è in presenza di tecniche di allevamento piuttosto estensive, caratterizzate dall’utilizzazione delle foraggere permanenti dei fondovalle e delle quote più elevate. 75 Tab. 2.38 - Principali risultati economici delle aziende con allevamento bovino, produttrici di formaggio, localizzate nell’area montana della provincia di Torino nel periodo 2000-2002 Numero di casi SAU aziendale SAU foraggera / SAU totale (%) UBA bovini UBA bovini / SAU foraggere Allevamento (carne e latte) PL totale / SAU foraggere (¤ /ha) Spese specifiche / SAU foraggere (¤/ ha) Margine Lordo / SAU foraggere (¤/ha) PL totale / UBA bovini (¤ /UBA) Spese specifiche / UBA bovini (¤ / UBA) Margine Lordo / UBA bovini (¤ /UBA) Latte Latte prodotto (q) Latte trasformato / latte prodotto (%) Latte prodotto / UBA bovini (q/UBA) Formaggio Formaggio venduto (q) Prezzo di vendita (¤/q) PLV formaggio / SAU foraggere (¤/ha) PLV formaggio / UBA bovini (¤ / UBA) PLV formaggio / PLV allevamento (% ) 2000 14 34,72 96,5 21,99 0,64 2001 15 42,16 96,7 24,81 0,59 2002 13 40,14 94,9 23,74 0,60 500 311 189 779 485 294 516 290 226 870 489 381 534 361 173 894 605 289 229,57 65,0 10,4 349,14 62,5 14,1 349,23 69,9 14,7 12,7 493,4 184,0 286,7 36,3 20,0 490,0 223,9 377,6 48,8 20,6 548,9 288,6 289,4 52,9 Fonte: Elaborazioni INEA su dati RICA Rispetto alle produzioni di latte e formaggio, nel triennio si registra un aumento della quantità di latte prodotto, sia nel complesso, sia a livello di produzione unitaria, segno quest’ultimo di un miglioramento dell’efficienza del sistema produttivo; cresce anche la quantità di latte trasformato, segno di un apprezzamento del mercato rispetto alla produzione casearia aziendale, mercato che fa anche registrare un sensibile aumento del livello dei prezzi, cui va probabilmente correlato il parallelo miglioramento qualitativo del processo di trasformazione aziendale. In termini economici il peso dell’attività di trasformazione rispetto a quella dell’allevamento cresce nel triennio in misura superiore al 40%. Tale dato 76 sembra confermare come l’allevatore di area montana, quando è anche trasformatore diretto della propria produzione di latte, tende ad affermare sempre maggiormente la produzione casearia, perchè capace di portare un significativo valore aggiunto rispetto alla sola produzione di latte. L’attività casearia, inoltre, è utile per impiegare i frequenti esuberi di capacità lavorativa aziendale, diversamente di difficile valorizzazione. E’infatti noto che nell’area montana la differenziazione delle attività produttive, a causa delle difficoltà ambientali, ma anche strutturali e di mercato, è certamente limitata e dunque la valorizzazione del latte prodotto attraverso il processo di trasformazione aziendale e di produzione di formaggi, specie se con marchio di riconoscimento di tipicità, è una scelta imprenditoriale certamente importante, da incoraggiare. 2.6.4 Politica regionale per il settore lattiero-caseario Il progetto di caratterizzazione della Toma Piemontese rientra nell’ambito di un insieme di ricerche finanziate dalla regione Piemonte per la caratterizzazione e valorizzazione dei prodotti tipici del territorio regionale. L’interesse per queste produzioni, che spesso si fregiano della denominazione di origine protetta, è ormai una realtà consolidata in Piemonte. Da diversi anni, infatti, l’Amministrazione regionale ha scelto di orientarsi verso le produzioni di qualità, in grado di fornire prodotti ad elevato valore aggiunto, legati al territorio e al sapere locale e in grado di essere competitivi sul mercato. Nel settore lattiero-caseario è sempre stata alta l’attenzione alle problematiche legate al miglioramento delle produzioni, sia sotto il profilo dell’igiene, sia sotto quello chimico-fisico, sensoriale e nutrizionale, tanto che, nel 1998, la Regione Piemonte, tra le prime in Italia, ha introdotto il Piano Latte Qualità. Tale Piano, che ha l’obiettivo di ottenere una differenziazione di prezzo per il latte in base alla qualità, è uno degli interventi tecnici concreti per soddisfare le esigenze del settore, in grado di coinvolgere tutti gli attori della filiera, che hanno sempre dimostrato la volontà di migliorare gli standard delle produzioni. Analogamente, un problema che si riscontra nella qualificazione di produzioni come la Toma Piemontese, è la mancanza di razionalizzazione del processo produttivo e l’inadeguatezza igienico-sanitaria dei locali di caseificazione. Tali problematiche, oggetto centrale dalla ricerca in esame, sono state poi materia specifica del DPR 54 del 1997 “Regolamento recante attuazione delle direttive 92/46/CEE e 92/47/CEE in materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte”. Il citato DPR è stato lo strumento di recepimento 77 nazionale delle direttive comunitarie5 che intendono definire e uniformare i livelli minimi degli standard igienici e sanitari relativamente alle strutture, ai processi e ai prodotti caseari. Il regolamento attuativo nazionale detta norme precise sulla qualità del latte crudo alla produzione, sulle caratteristiche degli stabilimenti di trasformazione, nonché sulla qualità igienico sanitaria dei prodotti immessi sul mercato. L’emanazione del DPR 54/97 ha costretto molti malgari piemontesi ad adattarsi alle nuove disposizioni ristrutturando completamente in primo luogo i locali di caseificazione e modificando, di conseguenza, le tecniche di caseificazione. Per quanto attiene nello specifico alla produzione della Toma, l’applicazione del suddetto DPR e la diffusione del materiale divulgativo “Guida alla caseificazione” prodotto dal gruppo interdisciplinare responsabile della ricerca in esame, ha permesso, secondo quanto affermano gli esperti del settore, di risolvere alcuni dei problemi legati ai difetti della caseificazione e di migliorare notevolmente le produzioni. Tra i numerosi altri interventi finalizzati al miglioramento qualitativo delle produzioni lattiero-casearie non vanno dimenticate le attività di Assistenza tecnica promosse dalla Regione Piemonte, in primis, il PRATZ (Programma Regionale di Assistenza Tecnica in Zootecnia), un servizio capillare di assistenza agli allevatori svolto dalle Associazioni dei Produttori e dalle Associazioni Provinciali degli Allevatori (APA), attivo fin dagli anni ottanta, finanziato in larga parte della Regione Piemonte e in piccola parte degli allevatori aderenti. 2.6.5 Sintesi conclusiva Dall’analisi di scenario proposta emerge con chiarezza l’importanza economica del comparto lattiero-caseario per l’economia agricola regionale e, in particolare, per quella delle province di Torino, Cuneo e Biella. Risulta, anche, la rilevanza della produzione di formaggi tipici che, al di là del risultato meramente economico, dà vita a piccole e, tuttavia, vitali filiere in ambiti territoriali montani, e funge da custode di tradizioni e culture che non debbono assolutamente andare perdute. 5 78 Si fa riferimento alla direttiva 92/46/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1992, che stabilisce le norme sanitarie per la produzione e la commercializzazione di latte crudo, di latte trattato termicamente e di prodotti a base di latte e alla direttiva 92/47/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1992, relativa alla concessione di deroghe temporanee e limitate alle norme sanitarie specifiche della Comunità in materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte. Il riconoscimento di denominazione di origine protetta, da un lato, conferisce a tali produzioni il ruolo e la risonanza utile per essere competitive sul mercato e, dall’altro, comporta il non sempre agevole rispetto dei disciplinari di produzione. E’, questo, il caso della Toma Piemontese che, prodotta in areali “difficili” sia per le caratteristiche geografiche, sia per il livello di sviluppo economico e sociale, può essere realmente valorizzata se si è in grado di fornire agli allevatori e ai casari che operano in ambienti montani un’assistenza tecnica continua e specialistica. La Regione Piemonte, promuovendo il progetto di ricerca in esame e sostenendo i servizi di assistenza tecnica a favore degli allevatori e delle loro associazioni allevatori, ha inteso operare proprio in tal senso. 79 CAPITOLO 3 LE INNOVAZIONI OGGETTO DI STUDIO ANALISI DELLE RICERCHE SCELTE E DELLE INNOVAZIONI RISULTANTI 3.1 Ricerca “Confronto tra sistemi colturali a diversa intensità” 3.1.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte La ricerca, in considerazione dell’importanza che il settore cerealicolo riveste nel comparto agricolo piemontese e della dinamica dei prezzi dei cereali, ha l’obiettivo di ridurre i costi di produzione attraverso il contenimento degli impieghi di fattori produttivi siano essi beni durevoli o di consumo. A tal fine è stata realizzata, a Lombriasco (TO), presso l’Istituto tecnico agrario, una sperimentazione, durata 8 anni, che ha messo a confronto, nell’ambito della rotazione quadriennale mais-frumento-mais-soia, tre percorsi di coltivazione: - la tecnica agronomica tradizionale della zona; - la tecnica agronomica facente riferimento all’evoluzione del reg. 2078/92 nelle nuove procedure del Programma di sviluppo rurale (PSR) in corso di attuazione; - la tecnica agronomica denominata a Basso Input (BI) che fa uso di minime lavorazioni e di ridotto impiego di fertilizzanti e antiparassitari. Un ulteriore obiettivo della ricerca, che è diventato sempre più importante con l’evoluzione degli indirizzi della politica comunitaria, è la verifica sperimentale degli effetti sulla produzione e sull’ambiente di tecniche a basso impatto. Un aspetto innovativo della ricerca riguarda l’ambiente sperimentale. Le prove infatti si svolgono su 12 parcelloni di 1008 mq di superficie, dimensioni adatte all’impiego di normali attrezzature aziendali, che consentono di riprodurre una situazione molto vicina a quella della normale attività produttiva e quindi di studiare il sistema colturale nella sua globalità apprezzando le interazioni fra i diversi fattori (climatici, pedologici, fenologici, ecc.). Nell’ambito della tecnica colturale normalmente utilizzata per le colture della rotazione, sono state oggetto di studio le lavorazioni del terreno, la concimazione e il diserbo, che sono stati condotti con modalità differenti nei tre percorsi di coltivazione. 81 In particolare: 1. le lavorazioni hanno previsto la gestione del suolo con aratura nel sistema colturale tradizionale e in quello denominato brevemente 2078, mentre prevedono una tecnica di minima lavorazione nel Basso Input; 2. le concimazioni sono state realizzate: secondo la tecnica tipica della zona nel sistema tradizionale; distribuendo azoto, in quantità limitate, solo a frumento e mais e non distribuendo fosforo nel sistema 2078; distribuendo l’azoto come nella tecnica 2078, il fosforo soltanto al mais e il potassio in quantità inferiori in modo da ridurre il numero di passate nel sistema a Basso Input; 3. il diserbo si è distinto per i prodotti utilizzati e per le modalità di distribuzione; in particolare il sistema 2078 ha seguito quanto stabilito nello specifico disciplinare di produzione. I rilievi effettuati e quindi le informazioni disponibili per comprendere i risultati della sperimentazione riguardano: l’evoluzione del ciclo vegetativo delle colture, le produzioni, l’andamento climatico, la dinamica della disponibilità di azoto nel suolo, la concentrazione di azoto e potassio nella soluzione circolante, l’andamento della flora reale, i dati economici relativi alle operazioni colturali oggetto di analisi. Schema 3.1 - Risultati degli 8 anni di sperimentazione (1996-2003) Sistemi di coltivazione Risultati Produzione: - quantità - qualità Bilancio elementi nutritivi (efficienza %): N P K N lisciviato (kg/ha/anno) C organico % (prof 0-15) Copertura media infestanti (%) Utili di gestione (¤/ha) Costi specifici (¤/ha) Costo macchine (¤/ha) 82 Tradizionale Regolamento 2078/92 e disposizioni seguenti mais frumento soia Basso Impatto mais frumento soia mais frumento soia = = = + = = = = - = = = = - = 60-61 81-72 26 113 68 102 31,2 46 90-89 37 141 1236 109 19,7 50 88-86 224-197 53-22 148 1368 1971 20,8 51 0,83 0,85 1,12 9,1 2.362,2 1.559,8 -310,0 10.343,0 6.230,8 7.137,8 3.118,0 2.794,9 2280,9 8,9 3.637,7 3.217,8 1.369,5 9.371,2 5.639,7 6.633,5 3.140,0 2.644,6 2.322,0 19,6 2.970,3 3.467,0 40,3 8.661,2 4.303,3 6.926,0 2.454,4 1.861,9 2.081,2 In termini produttivi le differenze quantitative fra i sistemi produttivi non sono significative; tuttavia la tecnica colturale tradizionale ha garantito una migliore qualità della granella di frumento. Confrontando le concentrazioni di azoto del suolo e della soluzione circolante negli orizzonti più profondi, è risultato che il sistema tradizionale pone un rischio nettamente più elevato di perdite di nitrati per lisciviazione rispetto al 2078 e ancor più rispetto al BI. L’adozione di tecniche di minima lavorazione nel BI, in associazione con l’interramento di sovesci, ha permesso di mantenere la buona dotazione iniziale di sostanza organica del suolo nell’orizzonte superficiale, mentre il processo di mineralizzazione della sostanza organica negli altri due sistemi di coltivazione è più spinta. La tecnica di lavorazione consigliata prevede l’utilizzo del solo erpice rotativo o di questo seguito da un passaggio con zappatrice rotativa, nel caso di una presenza eccessiva di residui colturali o dopo il sovescio. Di particolare rilevanza applicativa è risultata la capacità del suolo di Lombriasco di sopperire autonomamente ai fabbisogni di fosforo delle colture per un periodo piuttosto lungo. Nel trattamento 2078 e BI non ci sono riduzioni di resa indotte da otto anni di concimazione fosfatica nulla o quasi. Dal punto di vista dei risultati economici, i costi più bassi si hanno, tranne che per la soia, con il percorso Basso Input. Il percorso tradizionale è quello che genera gli utili più bassi. Il percorso 2078 è al momento quello che garantisce gli utili superiori, anche se questi sono determinati dal contributo pubblico a cui è collegato. In assenza del contributo infatti si annulla il vantaggio, in termini di utili, del percorso 2078 rispetto al percorso Basso Input. Circa la presenza di malerbe nelle colture, il sistema BI ha fatto registrare valori sensibilmente più elevati di densità e copertura. Questo risultato pone alcune remore a proporre agli agricoltori locali di adottare la stessa procedura della sperimentazione. Nel mais la gestione del trattamento diserbante secondo il disciplinare 2078 è risultata in grado di contenere le malerbe in maniera efficace; non è accaduto lo stesso per il frumento e la soia. Le innovazioni promosse dalla ricerca sono tipicamente innovazioni di processo che, confermando gli obiettivi previsti, hanno il duplice effetto di: - diminuire i costi riducendo l’uso di mezzi tecnici (concimi e diserbanti), macchine (preparazione terreno e lavorazioni successive) e lavoro (minor numero di interventi in campo); - ridurre l’impatto ambientale (miglioramento struttura fisica del terreno e 83 diminuzione del contenuto di azoto nelle acque di lisciviazione). Non si tratta di innovazioni di origine recente, in quanto sono state oggetto di studio e di dibattito nel mondo scientifico internazionale già da anni; tuttavia è innovativa sia la combinazione delle diverse tecniche proposte sia la loro sperimentazione sul territorio piemontese a vocazione cerealicola. Sono risultati sperimentali non brevettabili della tipologia dei risultati immateriali in quanto comportano modifiche anche significative nell’impostazione delle tecniche colturali (nuove combinazioni di mezzi tecnici e diverso utilizzo delle macchine) e nell’approccio che l’imprenditore ha con la coltivazione (preparazione del terreno “non pulita”, necessità di comprendere “i segnali della coltivazione”), ma non comportano l’adozione di nuovi strumenti o di nuovi prodotti chimici. L’attività di sperimentazione conclusasi nel 2003 ha avviato un processo di analisi che può avere un interessante futuro se viene proseguita anche con obiettivi operativi diversi. Infatti, avendo sul territorio siti a storia agronomica nota, è possibile effettuare verifiche di lungo periodo dei parametri oggetto dello studio in esame (evoluzione del ciclo vegetativo delle colture, produzioni, dinamica della disponibilità di azoto e fosforo nel suolo, concentrazione di azoto e potassio nella soluzione circolante, andamento della flora reale, ecc.) che possono modificarsi in modo diverso nel tempo e quindi fornire interessanti informazioni su come gestire le tecniche a basso impatto anche in un arco di tempo superiore agli 8 anni. 3.1.2 L’organizzazione e la gestione del progetto Il progetto di ricerca è stato realizzato da un gruppo di istituzioni molto eterogeneo. Hanno partecipato alle attività due Dipartimenti dell’Università di Torino (Agronomia, Selvicoltura e Gestione del territorio - Agroselviter e Economia e ingegneria agraria, forestale e ambientale - Deiafa), gli enti (emanazioni delle organizzazioni professionali) di assistenza tecnica regionali (ERAPRA, GCS, CIPA-AT), l’Istituto tecnico agrario di Lombriasco, il Settore fitosanitario della regione Piemonte, l’Assessorato agricoltura della Provincia di Cuneo, l’Assessorato agricoltura della Provincia di Torino. L’idea progettuale è stata formulata dalla Regione per il tramite del servizio che ha avviato la sperimentazione insieme alle strutture che si occupano di assistenza tecnica (Province e enti di assistenza tecnica). Al secondo anno di attività sono stati inseriti nel progetto i Dipartimenti universitari. Il ruolo di ciascun soggetto è stato il seguente: 84 - la Regione ha proposto gli obiettivi del progetto, ha verificato la coerenza fra le attività realizzate e gli obiettivi in corso d’opera, ha proposto lo schema sperimentale dei parcelloni perché i risultati della sperimentazione fossero vicini alla realtà di campo; - i Dipartimenti universitari hanno impostato la sperimentazione facendo riferimento a metodi e criteri rigorosi in modo che i risultati potessero avere anche uno spessore scientifico; - gli Enti di assistenza tecnica e le Province hanno seguito l’attività di campo prendendo le decisioni tecniche relative alle operazioni colturali; - l’Istituto agrario ha ospitato le prove e collaborato alla gestione delle operazioni in campo; - il Servizio fitosanitario della Regione ha realizzato le analisi di laboratorio relative ai suoli e i controlli fitosanitari. Il partenariato che ha gestito il progetto è stato molto complesso e ha richiesto l’interazione di professionalità diverse e di un alto numero di addetti (ricercatori, assistenti tecnici, analisti, funzionari). Pur tuttavia i partecipanti alla sperimentazione hanno testimoniato come ognuno sia riuscito a svolgere il proprio ruolo costantemente nel tempo. La conduzione della ricerca ha avuto quindi uno sviluppo metodologicamente “esemplare”, perché ciascuno ha svolto il proprio compito sulla base delle competenze professionali, ma anche in considerazione della mission della propria istituzione (INEA 2001). Vale la pena di citare per tutti il ruolo di “committente” che la Regione ha svolto sin dall’avvio sia interpretando le esigenze delle imprese sia promuovendo iniziative coerenti con i nuovi obiettivi di politica agraria, ma anche garantendo il coordinamento delle attività e quindi il collegamento fra i soggetti. Questa impostazione, sicuramente più “pesante” rispetto alle consuete modalità di gestione delle attività di ricerca e sperimentazione, richiede un impegno maggiore in termini di coordinamento fra le diverse professionalità e di mediazione fra soggetti con sensibilità e punti di vista diversi. Tuttavia, dovrebbe dare maggiori garanzie circa la diffusione delle innovazioni proposte (INEA, 2000) in quanto ha innescato una serie di effetti in grado di promuoverla: - sono state sperimentate tecniche che rispondono ad esigenze reali delle imprese e dei territori secondo una modalità che consente di verificare i risultati in prove di campo molto vicine alle condizioni comuni (aderenza alla domanda di innovazioni e dimostrabilità del risultato); - le professionalità impegnate nella divulgazione hanno acquisito competenze e 85 capacità che sono in grado di gestire autonomamente (possibilità di adattare le innovazioni alle esigenze di contesto); - i ricercatori e i divulgatori hanno maturato specifiche convinzioni circa le componenti dell’innovazione che potranno essere acquisite con più facilità e quelle che richiederanno cambiamenti “culturali” più radicali (livello di innovatività); - il progetto si conclude con l’organizzazione di momenti di confronto con gli utenti e con la produzione di materiale divulgativo specifico (disponibilità di strumenti di divulgazione). Tali effetti sono stati in parte verificati durante le interviste realizzate con i tecnici e i ricercatori coinvolti. Infatti, entrambe le figure professionali concordano sul fatto che i sistemi colturali sperimentati prevedono modifiche nella tecnica colturale difficili da diffondere in quanto: a. la preparazione del terreno di semina viene giudicata dagli agricoltori anche con criteri “estetici” e viene attualmente realizzata facendo in modo che il terreno sia uniforme, soffice, con zolle ben frantumate e senza residui colturali o infestanti; per contro, la riduzione degli interventi di lavorazione del terreno cambierebbe radicalmente l’aspetto del terreno di semina; b. il dimensionamento del parco-macchine non sempre si basa su criteri economici, ma anche su motivazioni di status; c. il diserbo e la concimazione sono considerati indispensabili per ottenere un idoneo risultato produttivo in termini sia di quantità sia di qualità. Sulla base di queste riflessioni in una delle due realtà provinciali (Cuneo) il responsabile del progetto per la Provincia, ritenendo che la riduzione delle tecniche di lavorazione del terreno possano incontrare un maggiore interesse fra gli imprenditori rispetto alle altre proposte innovative, ha già avviato prove dimostrative di ridotta lavorazione del terreno, prevedendo più possibilità alternative di riduzione di quelle realizzate nella sperimentazione a Lombriasco. Ricercatori e tecnici concordano nell’affermare che, per gli agricoltori, aver potuto verificare già nella prova sperimentale che i sospettati effetti negativi (per il ridotto diserbo e la diminuita concimazione) non si siano presentati è stato indicativo ed è servito a far diminuire la differenza nei confronti dell’innovazione proposta. 3.1.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto Nell’ambito del progetto è stata molto curata l’informazione indirizzata ai membri del partenariato, realizzata con strumenti poco strutturati ma efficaci, qua86 li le riunioni, i confronti su campo, le decisioni concordate al verificarsi di un problema. Le prove sperimentali sono state utilizzate anche a scopo dimostrativo con utenti esterni, in particolare gli studenti dell’Istituto tecnico di Lombriasco e della Facoltà di Agraria di Torino presso cui i ricercatori svolgono la propria attività didattica. Durante l’attuazione del progetto, gli agricoltori non sono stati coinvolti in una vera e propria attività di divulgazione, ma in alcune occasioni ufficiali (seminari) hanno potuto visionare le prove nel corso della sperimentazione. Il materiale cartaceo prodotto si è limitato alle relazioni annuali rivolte al soggetto committente (la Regione); i ricercatori dei Dipartimenti coinvolti hanno tuttavia presentato in occasioni scientifiche specifiche i primi risultati della sperimentazione ad altri colleghi specialisti. La produzione di materiale divulgativo che consenta ai tecnici regionali di dialogare con gli agricoltori e di allargare il panorama degli utenti è prevista alla fine del progetto e, nel mentre si redigono queste note, è in corso di realizzazione. Schema 3.2 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità Vincoli a. Natura delle innovazioni: a. Natura delle innovazioni: - consentono una riduzione dei costi di produzione - richiedono un importante adeguamento “culturale” degli imprenditori - riducono l’impatto ambientale delle coltivazioni - necessitano di una costante interpretazione del contesto pedoclimatico b. Elementi di contesto: b. Elementi di contesto: - riduzione dei prezzi dei prodotti - tradizione tecnica locale - sovvenzioni comunitarie per le produzioni a basso impatto - preesistenza del parco-macchine - utilizzo del contoterzismo - pochi tecnici disponibili c. Aspetti metodologici e organizzativi: - scarsa preparazione degli imprenditori (?) - disponibilità di tecnici preparati - invecchiamento delle imprese c. Aspetti metodologici e organizzativi: - disponibilità di prove sperimentali di facile interpretazione - disponibilità di materiale divulgativo - coordinamento fra Provincia e centri di assistenza tecnica 87 3.2 Ricerca “ Valorizzazione del Canavese DOC Rosso” 3.2.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte L’attività di studio ha l’obiettivo specifico di contribuire alla qualificazione della vitivinicoltura del Canavese. Tuttavia essa può essere collegata alla finalità generale di promuovere lo sviluppo locale mediante l’unica coltura in grado di congiungere tradizione e rinnovamento salvaguardando il territorio dal progressivo spopolamento e dal degrado ambientale. Dal punto di vista tecnico, il progetto ha lo scopo di caratterizzare dal punto di vista chimico-fisico e sensoriale i vini Canavese rosso DOC e valorizzare quelli prodotti con vitigni e uvaggi locali. La problematica generale da cui tra origine il progetto riguarda l’estrema variabilità dei vini ricadenti nella DOC e la notevole differenza qualitativa degli stessi che nel lungo periodo potrebbe danneggiarne l’immagine. Avere a disposizione delle tipologie di riferimento di elevata e/o buona qualità può contribuire a caratterizzare il prodotto e a promuoverne la diffusione anche su mercati più ampi di quello locale e regionale. La prima fase dello studio (1997) ha riguardato un’indagine conoscitiva della realtà aziendale, viticola ed enologica del territorio oggetto di indagine, che ha coinvolto le aziende che vinificano il 95% del Canavese DOC rosso presente sul mercato. Sono emerse le seguenti problematiche: - a fianco ad alcuni esempi di imprenditori all’avanguardia, esiste ancora un cospicuo numero di aziende con caratteristiche nettamente marginali (età media dell’imprenditore, entità della produzione, sbocchi commerciali, capacità enologiche); - la tecnica colturale condotta non applica operazioni colturali idonee a contenere la produzione (forme di allevamento, diradamento grappoli); - le differenze di qualità del prodotto sono ascrivibili: agli uvaggi impiegati, alle attrezzature utilizzate, alle modalità e ai tempi di gestione della fermentazione alcoolica, all’induzione ed al controllo della fermentazione malolattica, alla tecnica di affinamento adottata; - non è stato possibile comprendere a pieno il ruolo ricoperto dai vitigni autoctoni di cui sono poco conosciute le caratteristiche enologiche; - i vini giudicati migliori dagli assaggiatori sono quelli delle Cantine sociali e di aziende di elevato livello tecnologico. 88 Un aspetto positivo è stato l’elevato punteggio assegnato dagli assaggiatori ai vini migliori che attesta una ottima potenzialità di questa DOC. La seconda fase dello studio (1998) si è concentrata sulle caratteristiche enologiche dei vitigni presenti nell’area canavesana e soprattutto su quelle dei possibili uvaggi. Si è proceduto a: - individuare tre sottozone nell’area del Canavese: Carema, Caluso, Piverone; - vinificare in purezza secondo un unico protocollo di microvinificazione gli undici vitigni presenti nella zona (Vernassa, Nebbiolo, Barbera, Freisa-Caluso, Neretto Bairo, Barbera, Freisa-Piverone, Croatina, Uva Rara, Neretto Duro, Neretto Gentile); - realizzare le determinazioni analitiche sul mosto e sul vino in grado di caratterizzare le potenzialità enologiche dei vitigni: tenore in zuccheri, acidità totali, composizione acidica, componente polifenolica; - individuare gli uvaggi che, fra le combinazioni possibili, rappresentino le migliori miscele dal punto di vista dell’equilibrio compositivo e dell’utilizzo quantitativo per ciascuna delle tre sottozone (Carema: n.12, n.13;, Caluso: n.14, n.15 n.16; Piverone: n.17, n.18, n.19); - produrre i vini dai tagli prescelti ed effettuare le determinazioni analitiche necessarie; - attuare la valutazione organolettica dei vini prodotti con i tagli prescelti mediante sei banchi di assaggio. I risultati dello studio possono essere sinteticamente illustrati nello schema sotto riportato. Risultati Incremento conoscenze Individuazione 8 tagli X Analisi chimico-fisiche 11 vitigni in purezza Analisi chimico-fisiche degli 8 tagli X Metodologia per la valutazione organolettica X Valutazione organolettica dei vini prodotti dagli 11 vitigni Valutazione organolettica dei vini prodotti dagli 8 tagli Tecnica Commercializzazione enologica X X X Lo studio in esame ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato quello cioè di fornire informazioni scientifiche di riferimento ai produttori di Canavese DOC rosso per orientarsi verso una produzione di qualità. 89 In particolare, sono stati indicati 8 uvaggi che utilizzano sia i vitigni tipici della viticoltura piemontese, quali il Barbera e il Nebbiolo, sia i vitigni locali (Vernassa, Freisa, Neretto). Vengono inoltre fornite le motivazioni delle miscele sulla base delle caratteristiche analitiche dei diversi vitigni e quindi vengono messe a disposizione degli enologi le chiavi interpretative delle scelte per poter fare eventuali modifiche nel caso di particolari richieste del mercato. Di estremo interesse applicativo anche la metodologia per la valutazione organolettica dei vini che fornisce ai tecnici della zona un know – how da utilizzare anche in futuro. Le innovazioni promosse dalla ricerca sono innovazioni di processo perché forniscono elementi di novità applicabili nell’ambito della tecnica enologica; tuttavia questo aspetto non è l’elemento preponderante dello studio che si caratterizza per essere soprattutto un importante supporto alle decisioni per le figure tecniche che si collocano in una posizione intermedia fra l’imprenditore e il ricercatore con funzione di consulenza. Le conoscenze scientifiche che vengono proposte e applicate al caso del Canavese DOC rosso sono già ampiamente condivise dalla comunità scientifica di riferimento, è però innovativa l’applicazione di tali conoscenze a quelle produzioni e a quell’areale. Lo studio è pertanto da annoverarsi nella categoria tipologica delle sperimentazioni. I risultati sperimentali presentati dallo studio non sono brevettabili e afferiscono alla tipologia dei risultati immateriali in quanto comportano modifiche anche significative nell’impostazione delle tecniche enologiche (nuove combinazioni di vitigni) e nell’approccio che l’imprenditore ha con la produzione del vino (verifica di elementi analitici di giudizio e valutazione delle preferenze del consumatore), ma non comportano l’adozione di nuovi strumenti o di nuovi prodotti chimici. 3.2.2 L’organizzazione e la gestione del progetto Lo studio è stato effettuato da due strutture di ricerca vitivinicola di Torino: il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali – Settore Microbiologia e Industrie Agrarie - dell’Università e il Centro Miglioramento genetico e Biologia della vite del CNR, con la collaborazione del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dei vini DOC di Caluso, Carema e Canavese. L’idea progettuale è nata dalla Regione che, in coerenza con l’indirizzo generale di puntare alle Denominazioni d’Origine Controllata piuttosto che ad altre 90 forme di caratterizzazione geografica, ha promosso uno studio che potesse fornire un supporto tecnico agli operatori economici dell’area canavesana. Il ruolo di ciascun soggetto si è espresso in relazione alle competenze specifiche: il Dipartimento dell’Università ha lavorato sugli aspetti chimico-fisici e tecnici legati alla vinificazione nonché al test di valutazione organolettica dei vini; il Centro del CNR ha operato la selezione dei vigneti e dei vitigni; il Consorzio ha messo a disposizione dati e informazioni per il tramite delle aziende e delle cantine associate. L’impostazione dello studio, dal punto di vista metodologico, risulta organica e completa. Infatti, si apre con un’analisi della condizione del settore vitivinicolo dell’area che spazia dagli aspetti strutturali ed economici a quelli strettamente tecnici e, in base ai risultati di questa, approfondisce gli elementi individuati come salienti per la promozione e la valorizzazione del prodotto; inoltre, aggiunge alle informazioni “obiettive” che emergono dalle analisi chimiche e fisiche, i dati qualitativi che risultano dal test con i consumatori. Nel partenariato del progetto non sono presenti i tecnici referenti delle imprese dell’area; tuttavia, durante l’attuazione del progetto, sono stati fatti incontri di approfondimento per aggiornare sui risultati in corso d’opera (1998) e a conclusione (1999) ed il Consorzio ha organizzato un convegno di sensibilizzazione nel 2001. Sulla base di quanto riferito da chi ha realizzato la parte scientifica dello studio è possibile evidenziare alcuni effetti indiretti del lavoro svolto: - i vivaisti hanno avuto un incremento di richieste di barbatelle di vitigni autoctoni (adozione dell’innovazione); - non sono aumentate le imprese che producono Canavese rosso DOC, ma è aumentata la quantità di vino imbottigliato e il relativo prezzo (effetto replicatore dell’innovazione); - nell’ambito di un sottocomitato provinciale che si occupa di viticoltura, di cui fanno parte esponenti politici, tecnici delle organizzazioni professionali e esponenti scientifici dello studio, è stata avviata la proposta di affrontare le problematiche tecniche che derivano dai risultati dello studio quali i calendari di vinificazione dei diversi vitigni consigliati negli uvaggi e i sistemi di produzione e la tecnica colturale utilizzata in zona (esplicitazione della domanda di innovazione). Sostanzialmente sembra sia stato innescato un meccanismo virtuoso secondo il quale l’innovazione tecnologica proposta da soggetti esterni all’area di applicazione (Regione, Università) ha stimolato comportamenti tecnici, economici e di sviluppo dall’interno dell’area, che è estremamente importante non disattendere. 91 3.2.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto Circa l’attività di informazione e divulgazione dello studio si è in parte detto nel paragrafo precedente. Sono stati realizzati due incontri di approfondimento per tecnici e soggetti interessati della zona ed è stato organizzato un convegno per una platea più ampia di utenti. Il materiale cartaceo disponibile consiste in: - un testo divulgativo di carattere specialistico che descrive nel dettaglio le fasi dello studio e i risultati analitici delle prove di microvinificazione e del panel test (tiratura 700 copie - in ristampa); - un testo più sintetico, sempre dal tenore tecnico elevato, che è stato diffuso attraverso il sito Internet della Regione nelle pagine dedicate alla Ricerca e Sperimentazione. Schema 3.3 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità Vincoli a. Natura delle innovazioni: a. Natura delle innovazioni: - miglioramento qualitativo del prodotto - richiedono specifiche tecniche di produzione e di trasformazione - ampliamento del mercato del prodotto - elemento di caratterizzazione dell’area b. Elementi di contesto: - affermazione generalizzata delle vitivinicoltura italiana di qualità - esplicano il loro effetto presso grandi imprese o se si aderisce a strutture associative (Cantine) b. Elementi di contesto: - richiesta di prodotto da parte della ristorazione piemontese - esiguità delle quantità di prodotto e del numero di aziende - presenza di turismo che richiede prodotti tipici - marginalità delle imprese (piccole e con conduttori anziani) c. Aspetti metodologici e organizzativi: - presenza di gruppi strutturati di interesse (Consorzio di tutela, sottocomitato provinciale) - disponibilità di esperti collegati con il territorio - propensione delle imprese all’innovazione c. Aspetti metodologici e organizzativi: - presenza di tecnici in contatto con le imprese - coordinamento fra tecnici ed esperti - disponibilità di attività di formazione per le imprese 92 3.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura” 3.3.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte La Regione Piemonte promuove da molti anni l’attività di selezione clonale per la viticoltura. Tale attività, attuata secondo protocolli ufficiali definiti a livello nazionale, è finalizzata a fornire al settore vivaistico materiale di moltiplicazione di vite di particolare qualificazione e quindi consentire ai viticoltori l'impianto dei vigneti con materiale certificato particolarmente valido per caratteri varietali, virologici, agronomici ed enologici. Gli obiettivi principali della selezione (Mannini 2003) sono: - esprimere al meglio la variabilità della cultivar con numerosi cloni diversi fra loro; - individuare cloni con attitudini agronomiche diversificate; - individuare cloni con attitudini enologiche ottimali; - ottenere un elevato standard sanitario nei confronti dei virus e delle virosi. I primi cloni omologati nella regione Piemonte risalgono al 1980. Da allora l’attività è proseguita costantemente con riferimento ai vitigni classici della viticoltura piemontese (Nebbiolo, Moscato, Barbera, Dolcetto) e ai vitigni tipici di alcuni areali (Freisa, Erbaluce, Grignolino) fino ad un totale di selezioni che ammonta a ben 50. Circa la variabilità intravarietale, si è sempre cercato di garantire la disponibilità di 3 o più cloni in modo da mantenere un elevato tasso di biodiversità. Questa scelta è stata particolarmente importante per un vitigno come il Nebbiolo che possiede un elevato grado di variabilità tanto da giustificare l’individuazione di biotipi. La selezione sanitaria è stata preceduta da un esteso lavoro di risanamento artificiale per coltura di meristemi e/o termoterapia che ha portato a sottoporre a selezione genetica solo i cloni con standard virologici ottimali. Infatti, lavori sperimentali hanno dimostrato che le virosi influiscono in maniera negativa su numerosi parametri caratterizzanti la qualità delle produzioni (zuccheri, antociani, terpeni). Tuttavia, la selezione sanitaria non è stata ritenuta condizione sufficiente per la validità di un clone in quanto è indispensabile che la selezione genetica individui i cloni miglioratori rispetto alle attitudini agronomiche ed enologiche. Ai fini del presente studio è stata focalizzata l’attenzione sulla diffusione nel 93 territorio viticolo piemontese dei cloni di recente omologazione (2001) CVT 63, 66, 71 di Nebbiolo biotipo Michet, CVT 308, 415, 423 sempre di Nebbiolo biotipo Picotoner, CVT 83 di Barbera e dei cloni omologati da più di 10 anni (1990) CVT CN 16 e AT 57 di Moscato Bianco. La metodologia di lavoro per la selezione dei suddetti cloni ha previsto: - termoterapia e saggi virologici alla pianta madre; - osservazioni pluriennali (almeno tre anni) di tipo ampelografico, produttivo ed enologico sui cloni oggetto di studio messi a dimora in campi di omologazione situati in zone ecologicamente differenziate; - distribuzione dei cloni nei vigneti secondo uno schema che consenta l’elaborazione statistica dei dati; - confronto del comportamento dei cloni con un testimone standard considerato convenzionalmente “media della popolazione”; - testaggio ciclico delle piante dei campi tramite saggi sierologici; - microvinificazioni delle produzioni ottenute e realizzazione delle analisi chimiche e sensoriali. I cloni di Nebbiolo biotipo Michet assommano a caratteristiche agronomiche molto ricercate quali la fertilità decisamente contenuta e il grappolo di piccole dimensioni, attitudini enologiche di elevatissimo pregio in grado di mantenere e se possibile migliorare la qualità di vini come Barolo e Barbaresco. Una loro peculiarità riguarda lo stato sanitario in quanto nel passato non si era riusciti a reperire in natura cloni esenti dal virus GFLV e si era ipotizzato che alcune caratteristiche di pregio fossero legate proprio all’infezione. Tuttavia, successivamente, cloni infetti sono stati risanati mediante termoterapia e si è evidenziato che le caratteristiche di pregio sono in realtà di origine genetica. I cloni di Nebbiolo biotipo Picotoner assommano anch’essi a caratteristiche agronomiche molto ricercate quali la fertilità contenuta e il grappolo di piccole dimensioni, attitudini enologiche di elevato pregio. Inoltre possiedono uno stato sanitario ottimale nei confronti dei virus. Il clone di Barbera risponde ad una esigenza di mercato in quanto a fronte di una forte richiesta da parte degli imprenditori non c’è una adeguata disponibilità di cloni a livello vivaistico e quelli disponibili sono stati selezionati rispetto a criteri non più ricercati, quali la produttività, e secondo una selezione sanitaria meno severa. Il clone messo a disposizione ha elevate caratteristiche produttive ed enologiche ed un ottimo stato sanitario. 94 I cloni CVT CN 16 e CVT AT 57 di Moscato bianco sono stati selezionati in un’epoca meno recente con obiettivi di qualificazione della produzione che hanno privilegiato la maggior dotazione di composti di tipo terpenico e la resistenza alla Botrytis cinerea grazie a grappoli piccoli e poco compatti. Schema 3.4 - Risultati della selezione Cloni Caratteri morfologici Attitudini colturali Attitudini enologiche Grappolo a maturità Barbera Dimensioni Fenologia Fasi Vigoria Medio Produttività Elevata Alcoolicità Acidità Polifenoli Elevata Equilibrata 1,26 g/l Cvt 83 medie, compatto anticipate elevata e costante Nebbiolo Piccolo, Fasi Medio Moderata Elevata Equilibrata 2,18 g/l cvt 63 abbastanza medie elevata Nebbiolo Medio-piccolo, Fasi Medio Moderata Elevata Equilibrata 2,30 g/l cvt 66 poco compatto anticipate elevata compatto Nebbiolo Piccolo, poco Fasi Medio Moderata Elevata Equilibrata 2.03 g/l cvt 71 compatto anticipate elevata Moderata Moderata Elevata Equilibrata 1,97 g/l Moderata Moderata Elevata Equilibrata 1,80 g/l Moderata Moderata Elevata Equilibrata 2,27 g/l Buona Buona Equilibrata Elevata Nebbiolo Medio piccolo, Fasi Cvt 308 mediamente medie compatto Nebbiolo Medio-piccolo, Fasi Cvt 415 moderatamente leggermente compatto anticipate Nebbiolo Piccolo, Fasi Cvt 423 moderatamente leggermente compatto anticipate Moscato cvt Medio piccolo, cn 16 moderatamente lenta entrata compatto in produzione Moscato Media Cvt at 57 grandezza, moderatamente Buona Buona ma Buona e costante dotazione di terpeni Buona Media Buona dotazione di terpeni compatto Fonte: CNR, “ Contributo allo studio e alla valorizzazione di vitigni del Piemonte – Nuove selezioni clonali” Torino 2001; CNR, “Cloni selezionati dal Centro di studio per il miglioramento genetico della vite – Vitigni ad uva da vino”, Torino, 1989 Le innovazioni promosse dalla ricerca sono tipiche innovazioni di prodotto perché consentono di ottenere prodotti nuovi nel senso delle caratteristiche intrinseche dei prodotti stessi; infatti i cloni su elencati, per quanto derivino da vitigni tra95 dizionali, sono stati selezionati con caratteristiche e attitudini miglioratrici rispetto al materiale di propagazione oggi disponibile. Tali innovazioni hanno due utenti di riferimento: il vivaista, il soggetto immediatamente fruitore della nuova produzione, e l’imprenditore, il soggetto che avrà a disposizione, in fase di reimpianto del vigneto, una più vasta gamma di scelte. Tuttavia, dal punto di vista della disponibilità reale del nuovo materiale di moltiplicazione, fra il costitutore del clone e il vivaista si colloca un altro soggetto, che in Piemonte è un soggetto pubblico, il Ce.Pre.Ma.Vi. (Nucleo di Premoltiplicazione materiale viticolo), il quale ha il compito di realizzare la premoltiplicazione del clone cioè di produrre una quantità di marze sufficiente alle necessità dei vivaisti e di produrre la certificazione relativa. Le conoscenze scientifiche che vengono proposte e applicate nell’ambito della selezione clonale dei vitigni piemontesi sono già ampiamente condivise e opportunamente codificate in protocolli comuni dalla comunità scientifica di riferimento; è però innovativa l’applicazione di tali conoscenze a quei vitigni e a quell’areale. Il risultato della selezione è in realtà unico e imputabile all’attività scientifica e sperimentale del costitutore. I cloni prodotti non sono brevettabili in quanto la normativa vigente non lo consente, ma vengono omologati e iscritti nel Catalogo nazionale delle varietà. Poiché nel caso di studio sono stati costituiti da un ente pubblico, su di essi non esiste diritto di esclusiva e vengono distribuiti a chi ne fa richiesta senza alcun vincolo. Nel caso in cui il costitutore fosse un soggetto privato ne avrebbe l’esclusiva sia per l’uso sia per la distribuzione. Anche se non è oggetto dell’attività di selezione clonale, né si è a conoscenza di attività di analisi promosse dalla Regione, la produzione pubblica, e quindi gratuita, del materiale certificato ha importanti risvolti economici sia per il vivaista sia per l’imprenditore, in quanto consente al primo di evitare i costi dell’acquisto di materiale di pregio da privati e/o della produzione in proprio di tale materiale e permette al secondo di avviare un’attività pluriennale di produzione quale è quella viticola con una serie di elementi di incertezza in meno (riduzione del rischio). D’altro canto il ruolo economico della selezione clonale può essere valutato anche verificando che sempre un maggior numero di privati (vivaisti e imprenditori) stanno investendo in quest’attività diventando poi detentori esclusivi del materiale selezionato sia per l’uso nella propria azienda sia per la vendita di barbatelle. In particolare quest’ultima attività può porre alcuni interrogativi e già sta animando il dibattito degli esperti riguardo la tendenza a diffondere il materiale selezionato 96 anche in areali diversi da quelli in cui è stato ottenuto per allargarne il mercato. C’è chi sostiene che gli imprenditori non sarebbero più tutelati circa l’effettiva riuscita dell’impianto e soprattutto sulle caratteristiche della produzione, in quanto i risultati produttivi sarebbero molto condizionati dalle caratteristiche pedoclimatiche dei territori. Un elemento problematico che caratterizza la selezione clonale in viticoltura è la durata del lavoro che conduce all’individuazione di un nuovo clone che normalmente oscilla fra i dieci e gli undici anni. La selezione, infatti, ha tempi tecnici piuttosto rigidi determinati dalle fasi di cui si compone: preselezione (scelta piante e test virologici), moltiplicazione dei cloni interessanti per realizzare i campi di confronto, entrata in produzione dei vigneti, controllo del comportamento in campo e delle attitudini enologiche del clone nell’ambito dei campi di confronto (tre anni previsti per legge) e stesura degli atti formali. Il rischio che si può correre è quello di selezionare materiale perseguendo obiettivi che potrebbero non essere più attuali quando il clone sarà effettivamente disponibile. 3.3.2 L’organizzazione e la gestione del progetto L’attività di selezione clonale è stata realizzata da un gruppo di istituzioni di ricerca: il Centro Miglioramento genetico e Biologia della vite del CNR di Torino, il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali – sezione Microbiologia e Industrie agrarie dell’Università di Torino, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari – area patologia vegetale dell’Università di Bologna, l’Istituto di Fitovirologia Applicata del CNR di Torino e il Centro sperimentale Vitivinicolo “Tenuta Cannona” di Carpeneto (AL). La Regione Piemonte promuove e cofinanzia nell’ambito di un Progetto finalizzato MIPAF – Regioni tale attività dal 1999. Il ruolo di ciascun soggetto si è espresso in relazione alle competenze specifiche: il Centro di Miglioramento genetico del CNR è il costitutore, il Dipartimento dell’Università di Torino ha svolto l’attività di verifica delle caratteristiche enologiche, il Dipartimento dell’Università di Bologna e l’Istituto di Fitovirologia hanno realizzato la termoterapia e le analisi diagnostiche, la Tenuta Cannona ha ospitato alcuni campi di omologazione. Nel partenariato del progetto non sono presenti i tecnici referenti delle imprese dell’area, né sono previsti incontri di presentazione dei risultati. Tuttavia, sulla base di quanto riferito da chi ha realizzato e coordinato la parte scientifica, risulta 97 che sia i tecnici referenti delle imprese viticole piemontesi sia gli imprenditori sono molto attenti all’attività di selezione clonale, si informano costantemente sui nuovi prodotti e hanno preso l’abitudine di utilizzare per i nuovi impianti il materiale certificato. Infatti, anche se su tavoli diversi, i protagonisti scientifici del progetto (Dipartimenti universitari) e la struttura sperimentale della Regione (Tenuta Cannona) si confrontano di frequente con i tecnici delle Organizzazioni professionali, con i consulenti delle Cantine o delle imprese viticole più grandi e con i vivaisti e hanno potuto segnalare e mettere in evidenza i pregi del nuovo materiale di propagazione. L’innovazione in studio, quindi, in termini generali, sembrerebbe aver già subito un’importante diffusione che l’indagine su campo deve solo verificare e semmai approfondire rispetto alla tipologia di prodotti scelti e al modo con il quale si diffondono. E’ pertanto molto interessante avere sotto osservazione sette prodotti estremamente giovani (i sei cloni di Nebbiolo e quello di Barbera) e due prodotti disponibili da più tempo (Moscato) per “misurare” la rapidità con la quale il mercato recepisce le novità anche solo in termini di informazione. Alcuni segnali del “peso” che tale innovazione ha nelle scelte di vivaisti e imprenditori può essere rilevata da alcuni effetti indiretti già evidenziabili: - spesso i campi di confronto vengono ospitati da vivaisti e imprese che non chiedono al costitutore pubblico il rimborso dei costi; analoga situazione si verifica per le prove di vinificazione (identificazione fra la domanda di innovazione e la produzione di conoscenza); - i vivaisti si sono resi conto di dover avere un ruolo più attivo nell’attività di selezione, pertanto una delle loro associazioni si è fatta carico dell’onere di un macchinario molto costoso posizionato presso il Nucleo di premoltiplicazione, che tramite il trattamento termoterapico elimina la flavescenza dorata dal materiale di moltiplicazione (avvio della rete interattiva della conoscenza). 3.3.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto Il progetto di selezione clonale non prevede la realizzazione di attività di informazione, né la produzione di materiale divulgativo. Tuttavia sia il Centro del CNR sia la Tenuta Cannona hanno realizzato, alcuni anni addietro, in una fase di intensa attività di reimpianto, un ciclo di seminari itineranti per orientare i produttori. La Tenuta Cannona, in particolare, svolge da tempo un ruolo di informazione e divulgazione rispetto a tecnici e imprenditori. 98 La Regione Piemonte ha inoltre curato la pubblicazione di due opuscoli (1998 e 2001) riportanti la descrizione dei cloni selezionati che sono stati diffusi a mezzo stampa e sul sito Internet della Regione stessa. Schema 3.5 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità Vincoli a. Natura delle innovazioni: a. Natura delle innovazioni: - miglioramento qualitativo del prodotto (agro- - lunga durata della selezione e ritardata con- nomico ed enologico) - maggiore rispondenza alle richieste del mercato - riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa - riduzione dei costi di produzione b. Elementi di contesto: segna dei materiali - riduzione della variabilità varietale. b. Elementi di contesto: - Diminuzione dei finanziamenti pubblici c. Aspetti metodologici e organizzativi - Mancata partecipazione degli utenti al partenariato di progetto - affermazione generalizzata della vitivinicoltura italiana di qualità - disponibilità in Piemonte di vitigni di pregio - settore vivaistico attivo e consapevole - imprese viticole aperte e dinamiche c. Aspetti metodologici e organizzativi: - presenza di gruppi strutturati di interesse (Associazioni vivaistiche, organizzazioni professionali) - disponibilità dei soggetti dell’intera filiera della conoscenza: ricerca (CNR, Università), sperimentazione (tenuta Cannona) strutture tecniche di supporto (Nucleo di premoltiplicazione), tecnici consulenti (OOPP, Cantine, privati). collegati con il territorio 99 3.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” 3.4.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte Il progetto di ricerca ha la finalità generale di sostenere la competitività della frutticoltura piemontese mediante la messa a punto di innovazioni di prodotto compatibili con l’ambiente pedoclimatico della regione. L’attività consiste nel collaudare le varietà dei fruttiferi più interessanti per il Piemonte (melo, pero, pesco, albicocco, susino, ciliegio) provenienti da costitutori italiani ed esteri e nel fornire, di anno in anno, agli imprenditori frutticoli le liste delle varietà ritenute più idonee. Tale attività è stata sostenuta dalla Regione Piemonte dall’86, anno di avvio dell’attività sperimentale presso l’azienda sita in località Spinetta; dal 1993 l’intervento è stato inserito in una rete nazionale costituita da 10 strutture analoghe collocate nelle zone a maggior vocazione frutticola in Italia, che lavorano in maniera coordinata nell’ambito di un progetto cofinanziato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Gli obiettivi specifici dell’innovazione varietale negli ultimi tre anni sono stati: - incremento della qualità organolettica; - segmentazione della qualità in funzione dei gusti e delle esigenze delle diverse fasce di consumatori (età, area di provenienza, ecc.); - mantenimento di alti standard qualitativi fino al consumo, anche in filiere “lunghe” (conservazione, stoccaggio, trasporto, distribuzione); - aumento dei margini di sicurezza alimentare; - facilitazione all’applicazione delle misure agroambientali; - razionalizzazione dell’architettura dell’arboreto. L’attività di selezione realizzata dal centro di sperimentazione, gestito dal CreSo (Consorzio per la ricerca e la sperimentazione per l’ortofrutticoltura piemontese), consta delle seguenti fasi: - testaggio in ambienti diversi, su impianto parcellare, delle prime piante derivanti dai semenzali; - verifica dei risultati con i costitutori e scelta delle piante interessanti cui viene assegnato un nome; - sperimentazione territoriale delle varietà più promettenti su impianto aziendale; 100 - segnalazione delle varietà che hanno dato risultati migliori nelle liste varietali annuali. Si tratta di una sperimentazione che prevede un intervento precoce del consorzio in una fase iniziale del miglioramento genetico (S1), che consente di fare delle scelte più autonome e più precise sulle caratteristiche del prodotto e sulle preferenze di mercato da soddisfare. La fase di verifica territoriale (S2) viene realizzata su impianti estesi, presso realtà aziendali locali che consentono di valutare i risultati del prodotto in una simulazione molto vicina alla situazione aziendale reale. Ai fini del presente studio sono state prese in considerazione in particolare le attività di selezione relative alle specie melo e pesco. Le varietà di melo oggetto di sperimentazione negli ultimi tre anni hanno riguardato i seguenti gruppi di riferimento: - Golden delicious: è il tipo di mela che ha maggiormente sofferto della sovrapproduzione; non se ne consigliano nuovi impianti se non negli areali di montagna dove si esprime al meglio; - Red delicious: rappresentano un prodotto tipico piemontese sul quale è stata ottenuta un’IGP; il requisito qualitativo prevalente è la perfezione estetica, richiesta soprattutto nei Paesi arabi e nell’Estremo Oriente, cui concorrono l’intensità e la luminosità della colorazione e la regolarità e simmetria della forma; le caratteristiche ricercate sono colorazione luminosa, polpa fondente, aromi; - Gala: di recente introduzione in Piemonte, ha consentito la formazione di tre distinte tipologie merceologiche: frutto bicolore striato, frutto monocolore striato, frutto monocolore uniforme; le caratteristiche ricercate sono croccantezza, succosità, equilibrio zuccheri/acidità, finestra di commercializzazione di 6 mesi, colorazione intensa e luminosa; - Fuji: cultivar Giapponese dall’aspetto “povero” e buone caratteristiche gustative, secondo i gusti orientali è molto dolce, ma poco aromatica; le caratteristiche ricercate sono croccantezza, succosità, dolcezza; - Braeburn: è un gruppo di varietà invernali dalla polpa acidula adatta ai mercati nord-europei; resistenti alla ticchiolatura: le attività di miglioramento genetico hanno notevolmente migliorato questo gruppo varietale che ha oggi raggiunto un livello pari a quello delle varietà tradizionali. Le varietà dei suddetti gruppi che hanno evidenziato risultati buoni per la melicoltura piemontese sono indicate nella tabella riportata sopra; tali varietà sono state proposte in apposite liste che sono state vagliate e poi adottate dalle Organizzazioni di prodotto per programmare l'offerta. 101 Schema 3.6 - Varietà presenti nelle liste di programmazione della produzione per gli anni 2002/2004 Gruppo di riferimento Zona Varietà Caratteristiche Tipo Golden Delicious montana (>400 m) Pedemontana (250-400 m) montana (>400 m) pedemontana (250-400 m) IT ® Red Delicious* (spur) Superchief ® Sandidge* (spur) uniforme 3 Eccellente Mediocre 2-2,7 Discretoeccellente Mediocre -discreto Discretoeccellente Buonoeccellente Discretoeccellente Discretoeccellente Discretoeccellente Discretoeccellente IT ® Red Delicious* (spur) Superchief ® Sandidge* (spur) striato Galaxy* (cl. GX e Sélecta) striato 2,9-3,5 Brookfield ® Baigent* striato 3,1-3,5 pedemontana (250-400 m) Brookfield ® Baigent* striatouniforme 3,5-3,6 montana (>400 m) Raku Raku striato 4,5 Mediocre Buono Kiku ® 8 striato 3,2 Buono Buono pedemontana (250-400 m) montana (>400 m) pedemontana (250-400 m) montana (>400 m) Zhen ® Aztec* 7,1-7,5 Buono Eve® Mariri Red* striatouniforme striato 5,5 Eccellente Discretobuono Buono Golden Orange* a faccetta 5,4-6,8 Mediocrebuono Mediocre -buono a faccetta 7,5-9,1 Mediocrediscreto Mediocre -buono a faccetta 5,9-7,6 Discretobuono Discretobuono montana (>400 m) Fuji Braeburn Sapore a faccetta 4,5 –5,2 Buono - Buonoeccellente eccellente Jéromine* (standard) Gala Aspetto Jéromine* (standard) Delicious rosse Golden B Acidità Eve® Mariri Red* Crimson Crisp ®* Top az* Grigia di To rriana Resistenti alla ticchiolatura pedemontana (250-400 m) Gold Rush * Crimson Crisp ®* Grigia di To rriana Fonte: Liste di programmazione 2002/2004 CreSo; Donati F. Palara U. Berra L.Guerra W. Sansavini S., 2004, Liste varietali dei fruttiferi 2004 – Melo, L’Informatore Agrario, LX, 24, Supplemento n. 1. 102 Le varietà di pesco oggetto di sperimentazione negli ultimi tre anni hanno riguardato i seguenti gruppi di riferimento: - pesche comuni a polpa gialla; - pesche comuni a polpa bianca; - nettarine a polpa gialla; - nettarine a polpa bianca. Gli obiettivi specifici perseguiti sono i seguenti: - completamento e ampliamento del calendario di offerta con cultivar di elevata qualità (buona componente aromatica, succosità, elevato tenore zuccherino, lenta evoluzione della maturazione); - reperimento e diffusione di cultivar o selezioni che presentino minore sensibilità alle gelate primaverili. I risultati della sperimentazione, come nel caso del melo, sono stati indicati in apposite liste che vengono periodicamente proposte alle Organizzazioni di prodotto e ai loro tecnici. Schema 3.7 - Varietà segnalate negli ultimi tre anni Cultivar consigliate Ruby Rich ® Zainoar * Data raccolta 2004 16/07/04 Vista Rich ® Zainobe * 28/07/04 Red Moon * 29/07/04 AS 5373 (in - copia indistinguibile di Royal Gem sapore più equilibrato, meno acido di Royal Gem - aspetto del frutto del tutto simile Rich Lady albero di medio vigore albero di facile gestione colorazione con fondo aranciato ed effetto attraente forma rotonda sapore buono pezzatura buona, forma rotondo oblata, regolare aspetto attraente sapore molto buono equilibrato esteticamente copia di Rich Lady e Vista Rich miglior ramificazione di Rich Lady buon sapore - 29/07/04 - 06/08/04 - sperimentazione) Summer Rich * PESCHE A POLPA GIALLA Caratteri positivi - Punti deboli - - difficile gestione dell’albero epidermide sensibile alle lavorazioni post raccolta acidità leggermente superiore a Rich Lady - pezzatura media tenuta di maturazione soddisfacente - da verificare la presenza di scatolato - rusticità media 103 segue Pesche a polpa gialla AS 5375 (in 05/08/04 sperimentazione) Diamond Princess * 10/08/04 Rome Star * 19/08/04 Zee Lady ® - Zaijula 23/08/04 * Summer Lady * Kaweah® Zainory* - pezzatura buona forma regolare aspetto molto attraente - sapore buono, dolce e aromatico, sub-acido - Colorazione intensa ed attraente - buon sapore - buona produttività Riferimento - albero di facile gestione - buona produttività - sapore molto buono - colorazione intensa ed estesa - buon sapore - pezzatura medio-elavata - albero di medio vigore - presentazione attraente per colore e forma oblata - eccellente qualità gustativa - - pezzatura media rammollimenti a partire dalla cavità peduncolare rusticità media - pezzatura media, sensibile al sovraccarico NETTARINE A POLPA GIALLA Cultivar consigliate Data raccolta 2004 New Top ® Zaitodeu* 20/07/04 (in sperimentazione) Big Top ® - Zaitabo * (cultivar di riferimento per l’epoca) AS 5357 (in sperimentazione) Honey Kist* (in sperimentazione) 104 - acidità elevata polpa aderente al nocciolo - produttività non sempre soddisfacente 22/07/04 - 27/07/04 - 31/07/04 04/08/04 sperimentazione) Big Orange ® Maillargrosse* (in - sperimentazione) Amiga* (in Punti deboli 24/07/04 sperimentazione) AS 6114 (in Caratteri positivi 05/08/04 - elevata rusticità produttività elevata pezzatura medio-elevata aspetto attraente, colorazione intensa pezzature buone elevata qualità sui rami misti aspetto molto attraente, colorazione intensa sapore buono, subacido con elevato tenore zuccherino produttività elevata aspetto molto attraente, colorazione intensa sapore buono, subacida, con elevato tenore zuccherino e aroma produttività elevata e rusticità buona pezzatura sapore buono, equilibrato albero di medio vigore, di facile gestione produttività elevata, rusticità buon sapore pezzatura elevata forma oblunga regolare buon sapore equilibrato - - polpa aderente al nocciolo polpa semi-aderente al nocciolo pezzatura - verificare la tenuta di maturazione - % di frutti scatolati al primo stacco forma allungata tipo Venus - segue Nettarine a polpa gialla Diamond Ray * 10/08/04 Stark Redgold Nectaross 10/08/04 16/08/04 Maria Aurelia Orion * 18/08/04 23/08/04 Max ® (in 24/08/04 sperimentazione) Sweet Red * Sweet Lady * - Aspetto molto attraente - Sapore ottimo - Ottima tenuta di maturazione Riferimento - elevata pezzatura - forma rotonda e regolare - colore esteso, ma opaco - tollerante al freddo Riferimento - Bella copia di Venus, frutto con forma più regolare - Frutto Orion simile - Produzione elevata e costante - Rusticità - albero di medio vigore - sapore buono - ottima attitudine al post-raccolta Copia di Sweet Red a maturazione posticipata di qualche giorno - pezzatura media epoca di fioritura precoce elevata vigoria - sensibile a rugginosità sensibile a monilia - colorazione di fondo verde alla raccolta Vigore più elevato di Sweet Red Come si evince chiaramente dalle tabelle sopra riportate gli obiettivi della selezione varietale sia per il melo sia per il pesco sono stati perseguiti ed anche in gran parte raggiunti. Infatti, nel caso del melo, è evidente lo sforzo di segmentazione dell’offerta in relazione alle differenti esigenze del mercato e la conseguente ricerca di una qualità che si adatti ai diversi gusti del consumatore con riferimento al mercato globale. Sono sperimentate e quindi proposte nelle liste varietali grandi varietà di tipologie di mele che possano rispondere, fermo restando il vincolo ambientale, a esigenze diversificate. Inoltre, nel gruppo “resistenti alle ticchicolature” sono proposte anche varietà che consentano di rispondere al meglio all’applicazione delle misure agroambientali. Riguardo al pesco, si può notare un importante impegno teso ad allungare il calendario di maturazione soprattutto nell’epoca delle precocità, nella considerazione che il picco tradizionale di produzione della zona è la seconda decade di agosto. Come nel caso del precedente progetto vitivinicolo, le innovazioni promosse dall’attività di ricerca e sperimentazione del CreSo sono tipiche innovazioni di prodotto perché consentono di ottenere prodotti nuovi nel senso delle caratteristiche intrinseche dei prodotti stessi (forma e colore del frutto, sapore, tenore in zuccheri e acidità, ecc.). L’attività del CreSo si caratterizza per essere eminentemente sperimentale, in quanto il Consorzio non è propriamente il costitutore delle varietà su cui lavora, ma esse gli vengono affidate da costitutori pubblici e privati per la verifica delle performance produttive e agronomiche. Tuttavia, entra nell’attività di miglioramento genetico in una 105 fase precoce e avvia la sua sperimentazione già dai semenzali per protrarla fino alla verifica territoriale. Anche in questo caso, due sono gli utenti di riferimento dell’innovazione, il vivaista e l’imprenditore agricolo. Nel caso della frutticoltura cuneese si tratta di utenti molto partecipi anche alle fasi di selezione; di norma fra costitutore e editore c’è un accordo preventivo alla messa a punto di una varietà e spesso la fase di sperimentazione estesa si svolge presso aziende frutticole interessate. L’innovazione varietale nella frutticoltura piemontese ha il precipuo obiettivo di far mantenere alle imprese le quote di mercato nazionale e internazionale che si sono conquistate in questi anni. In particolare, il mercato per il quale si tende a produrre è quello dell’eccellenza produttiva. Si tratta di quei segmenti di consumatori che sono disponibili a pagare cara la qualità da essi percepita, quale ad esempio il colore e la forma per il mondo arabo, il tenore zuccherino per quello orientale, un giusto equilibrio fra aromi e tenore in acidità e zuccheri per l’Europa del Sud, un più alto tenore di acidità e croccantezza per l’Europa del Nord. Lavorare per questa tipologia di mercato vuol dire innovare continuamente e utilizzare il marketing non tanto per vendere quel che si produce quanto per percepire le attese del mercato e tradurle in progetti di innovazione (Pellegrino 2001). Infatti, al di là degli obiettivi già raggiunti, dall’ingente materiale documentale che ha il compito di divulgare l’attività di sperimentazione del CreSo in frutticoltura sia fra gli addetti ai lavori sia fra i tecnici, si evince che sono stati individuati nuovi obiettivi da perseguire: il legame frutto –territorio, la qualità gustativa (che è ancora un passo indietro rispetto a quella estetica), il concetto di frutto benessere ed un ulteriore segmentazione dell’offerta (vedi “Club di esclusiva varietale”). Volendo distinguere fra loro sia l’attività sperimentale sia quella produttiva delle produzioni di melo e pesco, si può senz’altro affermare che il melo sta percorrendo in maniera molto più spedita l’indirizzo sopra delineato, in quanto ha già subito momenti di stasi e di regressione del mercato che hanno spinto i produttori e le loro organizzazioni a reagire e a interrogarsi su nuovi obiettivi produttivi. Per il pesco, invece, sono stati perseguiti costanti e uniformi obiettivi di miglioramento qualitativo che hanno riguardato prima l’aspetto estetico e poi quello organolettico, lasciando inesplorata la possibilità di segmentare l’offerta con innovazioni varietali mirate a precise fasce di popolazione (L. Berra, C. Carli, S. Pellegrino 2004). Un ostacolo importante è la ristretta piattaforma genetica finora utilizzata: se si tentasse di introdurre e/o ricombinare nuovi caratteri organolettici forse sarebbe più facile proporre prodotti nuovi e di pregio. Ad oggi per ovviare all’ostacolo della limitata disponibilità temporale di una singola cultivar, uno degli obiettivi perseguiti è quello di costituire una linea 106 omogenea di cultivar che siano indistinguibili per il consumatore e garantiscano una presenza sul mercato per periodi più lunghi. 3.4.2 L’organizzazione e la gestione del progetto Il progetto di sperimentazione preso in esame prevede il coinvolgimento del Consorzio di Ricerca, Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese (CreSo) per la realizzazione operativa delle attività previste sul territorio piemontese e dell’Istituto Sperimentale per la frutticoltura di Roma (CRA), per il coordinamento dell’attività del CreSo nell’ambito del Progetto nazionale finalizzato “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi” di cui è il referente nazionale. Dal 1993 il progetto è oggetto di cofinanziamento della Regione e del Mipaf ed è parte di una rete di 10 centri di sperimentazione dislocati su tutto il territorio nazionale, che lavorano in maniera coordinata. L’attività sperimentale della struttura piemontese non si è modificata, ma ha potuto così giovare di un maggior quantitativo di materiali, di un intenso scambio di documenti e informazioni, dell’integrazione dei giudizi di più esperti sui materiali in sperimentazione e del proficuo confronto fra gli stessi. Infine, c’è stato un intenso lavoro per uniformare le metodologie dei rilievi e le schede di osservazione dei materiali. L’attività e i risultati del progetto sono anche oggetto di confronto e approfondimento nell’ambito di due forme organizzative che fanno riferimento al CreSo: il Comitato tecnico “Innovazione di prodotto” e il Coordinamento dei tecnici di filiera. Il primo è un tavolo di cui fanno parte frutticoltori, operatori commerciali e tecnici, che ha il compito di fare scelte in merito alla programmazione dell’offerta produttiva e che, dalle liste di orientamento varietale del CreSo, elabora le liste varietali per la realizzazione dei nuovi impianti dei frutticoltori che aderiscono alle organizzazioni di prodotto. E’ il collegamento più importante che il Consorzio ha con la base produttiva da cui ricava sia la domanda emergente di innovazione sia il feed-back applicativo dei materiali selezionati. Il secondo è costituito dai tecnici che prestano consulenza alle imprese ed è un importante momento di confronto nel quale i ricercatori del Consorzio presentano le innovazioni varietali, discutono con i tecnici su vari aspetti della tecnica colturale (indici di maturazione, impollinatori, accorgimenti di potatura, ecc.) e ricevono dagli stessi i riscontri di quanto avviene presso le imprese in termini di esigenze e di risultati. Pertanto, nonostante il progetto non preveda un partenariato complesso e sia di 107 fatto realizzato, almeno per la parte piemontese, esclusivamente dal CreSo, l’attività sperimentale è di fatto al centro di una fitta rete di relazioni scientifiche, territoriali e imprenditoriali. Le motivazioni di questa condizione “ottimale” risiedono: 1. nella provenienza della struttura sperimentale che fino al 2002 era parte dell’organizzazione tecnica dell’Associazione dei produttori Asprofrut, provenienza che la Società consortile CreSo non ha rinnegato, essendo ancora le organizzazioni del settore ortofrutticolo componenti del consorzio; 2. nella partecipazione al progetto nazionale MIPAF; 3. nelle capacità strategiche e organizzative di coloro che la gestiscono; 4. nella scelta politica di sostenere finanziariamente il progetto e l’intera struttura. Nel caso del presente progetto la diffusione delle innovazioni prodotte dovrebbe essere pressoché certa in quanto le proposte della struttura sperimentale (le liste di orientamento varietale) diventano fase operativa dell’attività di programmazione delle Organizzazioni di prodotto. Per gli elementi sin qui analizzati il caso studio relativo alle liste varietali per la frutticoltura, relativamente alla strategia perseguita per promuovere l’innovazione, può essere ricondotto al modello di relazione piuttosto che a quello di diffusione. Infatti, non viene applicato il classico procedimento a cascata che prevede la produzione di conoscenza in sedi diverse e lontane dalla produzione agricola e la sua promozione presso le imprese mediante modalità e strumenti finalizzati al convincimento degli utenti. Il processo attivato prevede, invece, un’analisi contestuale e partecipata delle problematiche realizzata da ricercatori e imprenditori, uno sviluppo della sperimentazione che prevede fasi specialistiche (ricercatori) e fasi di confronto (sperimentazioni territoriali, comitato tecnico “innovazione di prodotto”), una fase applicativa gestita da esperti (i tecnici divulgatori) che interagiscono periodicamente con i ricercatori sia per raccogliere informazioni sia per riferire ulteriori problematiche. 3.4.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto Il progetto prevede un ampio spettro di iniziative di divulgazione. Vengono infatti realizzate: - pubblicazioni a stampa su riviste specializzate e convegni di presentazione dei risultati dell’attività di sperimentazione rivolti al mondo della ricerca e della sperimentazione; - pubblicazioni tecniche, materiali divulgativi e riunioni tecniche rivolti a coloro che svolgono consulenza e supporto alle imprese frutticole; 108 - pubblicazioni di interesse generale rivolte ad un pubblico più vasto per sensibilizzare l’opinione pubblica alle problematiche della frutticoltura piemontese e ai nuovi indirizzi intrapresi. La documentazione suddetta è di ottimo livello per quanto concerne sia gli aspetti scientifici sia le caratteristiche divulgative e viene prodotta in quantità considerevole e con regolarità almeno dal 2000. Gli incontri tecnici con il personale addetto alla consulenza sono periodici, riguardano le diverse fasi della tecnica colturale e vengono realizzati secondo un calendario coerente con le attività in campo. Schema 3.8 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità Vincoli a. Natura delle innovazioni: a. Natura delle innovazioni: - miglioramento qualitativo del prodotto (estetico, organolettico e agronomico) - qualità gustativa perseguita meno di altri obiettivi produttivi (melo) - segmentazione della produzione in base alle esigenze del mercato (melo) - ristretta piattaforma genetica disponibile (pesco) - prolungamento dei tempi di offerta sul mercato (pesco) b. Elementi di contesto: - riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa - condizioni climatiche che non consentono di allargare troppo i calendari di maturazione - riduzione dell’impatto ambientale c. Aspetti metodologici e organizzativi: b. Elementi di contesto: - modello organizzativo poco utilizzato come buona prassi - presenza di un area particolarmente vocata (Cuneese) - imprese frutticole aperte e dinamiche - presenza di gruppi strutturati di interesse (Organizzazioni di prodotto) sensibili all’innovazione e alle esigenze del mercato c. Aspetti metodologici e organizzativi: - aver messo in rete i soggetti dell’intera filiera della conoscenza: ricerca e sperimentazione (CreSo), tecnici consulenti (Organizzazioni di prodotto OOPP), rappresentanza degli imprenditori (Comitato tecnico “Innovazioni di prodotto”) - buona e costante attività divulgativa (documentazione, incontri, ecc.) - partecipazione continua al confronto scientifico nazionale e internazionale 109 3.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” 3.5.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte Il progetto ha la finalità generale di indirizzare e razionalizzare le scelte varietali degli operatori del settore orticolo piemontese mediante la valutazione dei parametri vegeto produttivi e qualitativi dei diversi genotipi disponibili localmente e sul mercato. L’attività sperimentale, avviata sin dal 1998 per esplicita richiesta dei produttori, riguarda le specie di ortaggi più importanti per l’agricoltura piemontese: asparago, cavolfiore, cavolo verza, carota, cipolla, fagiolo, lattuga, melone, peperone, pomodoro, spinacio, zucchino. Gli obiettivi specifici del progetto sono: - il coordinamento dell’attività di sperimentazione al fine di evitare il proliferare di campi prova gestiti da soggetti diversi; - rilevare, in campi di valutazione di I livello, le caratteristiche produttive delle cultivar di recente introduzione; - verificare, in prove di II livello, le caratteristiche agronomiche e merceologiche delle cultivar risultate più interessanti nelle prove di I livello, adottando schemi a blocco randomizzato con più ripetizioni; - definire le liste di orientamento varietale più adatte agli areali piemontesi da divulgare sia al mondo produttivo sia al mondo commerciale. Le attività di confronto dunque vengono realizzate secondo quanto indicato dagli obiettivi specifici e prevedono quasi in tutti i casi la progressione di: campi di verifica di I livello, campi di verifica di II livello e campi dimostrativi (detti anche campi di validazione di III livello). Quest’ultima tipologia di prove, oltre ad avere una valenza divulgativa, ha anche l’obiettivo di realizzare un’ulteriore verifica locale delle performance delle varietà, compresa la valutazione dell’accettabilità dei mercati terminali. Ai fini del presente studio sono state prese in considerazione in particolare le attività di confronto relative alle specie asparago, fagiolo, peperone e pomodoro. Asparago – Le caratteristiche ricercate nelle varietà in selezione negli ultimi tre anni sono state le seguenti: - maggiore produttività; - migliori caratteristiche commerciali (taglia dei turioni, colore e attitudine a sfiorire); 110 - miglior adattamento agli ambienti di coltivazione piemontesi (province di Cuneo e Torino). Le varietà che hanno dato le risposte migliori sono state le seguenti: Anni 2001 2002 2003 Lista A Lista B Eros, Marte Precoce d’Argenteuil, Violetto d’Albenga Eros, Marte Violetto d’Albenga Eros, Marte, Violetto d’Albenga, Gijnlim Lista C Gijnlim Gijnlim Fagiolo – Se ne distinguono due tipologie: nano e rampicante. Gli obiettivi perseguiti dalla selezione sono stati i seguenti: - per il fagiolo nano, baccelli allungati e regolari con screziature rosse su fondo bianco, granella di elevate dimensioni con screziature analoghe al baccello, maturazione concentrata, buona produttività, resistenza a batteri e virus; per il fagiolo rampicante, baccelli di elevate dimensioni con colorazione vivace su fondo bianco, granella di dimensione elevata anch’essa vivacemente colorata, buona resa in sgranato, contemporaneità di maturazione, precocità. Le varietà che hanno dato le risposte più interessanti sono state: Fagiolo nano Anni 2001 2002 Lista A Fantasia, Futuro, Mantorosso Meraviglia, Supremo Lista B Indios, Merit Futuro, Mantorosso Lista C Dragone, ex8550537, Meraviglia, Supremo Dragone, Splendido Fagiolo rampicante Anni 2001 Lista A Bingo, Barbarossa Lista B Arcobaleno, Stregonta sel. Cuneo, Rossano 2002 Bingo, Rossano Barbarossa, Climbo, Stregonta sel. Cuneo 2003 1. Bingo, Vedetta RS 901010 2. Rossano, Solista, Climbo, Drago, Lista C Climbo, Ex 4309797, Vedetta, rs907010, Sanguigno 2 Ardore (Ex 4309797), Vedetta, Solista Peperone – L’obiettivo del confronto varietale relativo al peperone è stato essenzialmente quello di verificare l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche piemontesi delle numerose nuove varietà messe a disposizione delle ditte sementiere. Le caratteristiche ricercate sono produttività, qualità della bacca, resistenza alle principali virosi. 111 Peperone Anni Lista A Lista B Tipologie quadrate 2001 Cuneo, Corno di Carmagnola, Braghese, Pablor, Adrian, Explorer, Sunny Quadrato di Carmagnola Tipologia rettangolari 2001 PS 600, PS 700, Sienor Dallas Lista C Amato, NUN 6076 Anni Lista A PS 690, PS 518, Concorde, Aristocrata, NUN 7325 Lista C 2002 CLX 690 2002 2002 2002 2003 2003 2003 Lista B Tipologie allungate Domingo Festos Tipologie quadrate Cuneo sel. locale, Explorer rosso, Adrian rosso, Sunny giallo Pablor giallo Tipologia mezzo lunghe Jackal giallo (PS 518), Concorde giallo Red ring rosso (PS 700), Sienor giallo Tipologie “Corno” Corno di Carmagnola sel. locale Tipologie mezzo lunghe 1. Fenice, Senior 2. E 419005, ES 01-87, ISI 561772, Florian, Solero Tipologie quadrate Flavio NUN 3022, Cadia giallo, galileo rosso, Flavio rosso PS 623 rosso, Solero (NUN 7325) rosso Pomodoro da mensa – Se ne distinguono due tipologie, a grappolo e a frutto singolo. Gli obiettivi perseguiti dalla selezione sono stati i seguenti: - per il pomodoro a grappolo, varietà i cui pomodori abbiano le caratteristiche dei cuor di bue, siano produttivi e poco sensibili alle malattie; - per il pomodoro singolo, migliorare gli standard qualitativi (colore-aroma-salubrità) delle varietà proposte dalle ditte sementiere e migliorare la qualità delle varietà tipo cuor di bue. Pomodoro da mensa - tipologia a grappolo Anni 2001 2002 112 Lista A Pedula, Dana Petula Lista B Daniela Kikka Lista C Kikka, Laetitia, 73-26 Faro, Ilario, Laetitia, Antinea, Bellavisa, Corfù 2003 Prove II livello: 1. Petula, Laetitia 2. Zelig, Bellavista Prove I livello: 19 ZS 653, DRW 6906, HC 50, Ikram, ISI 61174, Kestrel, Luisa, Nikram Pomodoro da mensa – tipologia a frutto singolo Anni Lista A 2001 Jama, Fedra, “Cuor di bue” sel.Albenga 2001 2002 2002 2003 2003 2003 2003 2003 Lista B Coltivazione in tunnel – ciclo precoce Lista C Arletta, H8 Carson, DRW 6220, PX 374, RSR 1842208 Coltura estivo-autunnale; coltura protetta e/o di pieno campo Fedra, Bodar, Jama Arletta, Lorybel, “Cuor di bue” sel.Albenga Carson, DRW 6220, PX 374, RSR 1842208 Tipologia “insalataro” Jama, Fedra Bodar, Carson Caramba Tipologia “Cuor di bue” Sel “Albenga” Sel. “ Santena” Tipologia “insalataro” Prove di II livello: Amadeo, Caramba, Seny Prove di I livello: Blac Macigno, OL 9277 Tipologia “Cuor di bue” Prove di II livello: 00-275 A, 00-288 A Prove di I livello: Paca Tipologia “ Allungato” Prove di I livello: Abramo, Agro, Colibrì, Malawi, Oskar Come si può notare dagli schemi su esposti, nel 2001 e 2002 i risultati delle prove di confronto venivano diffusi pubblicando, oltre alla descrizione dettagliata del comportamento delle diverse varietà, liste varietali che venivano distinte con le lettere A, B, C. Le lettere indicano le seguenti differenze: A) cultivar di interesse generale; B) cultivar adatte a particolari ambienti; C) cultivar promettenti per l’areale. Nel 2003 le liste varietali non sono state pubblicate. Dalla lettura dei documenti che illustrano l’impostazione e i risultati delle prove di confronto emergono le seguenti riflessioni generali: da un lato è evidente la necessità di un confronto continuo con il mercato e con le produzioni messe a 113 disposizione dalle ditte sementiere che determinano un forte turnover delle varietà in prova, dall’altro emerge che la verifica sperimentale non è in grado, con un solo anno di confronto, di dare un responso definitivo sulla bontà della cultivar, condizionata com’è da fattori esogeni che non sono controllabili. Pertanto si nota che, spesso, cultivar che hanno subito la verifica sia di I sia di II livello, nel giudizio complessivo, hanno ancora aspetti caratteristici non chiari e definiti. L’attività di studio promossa dalla Regione nell’ambito del progetto “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” si inquadra nell’ambito delle sperimentazioni volte alla verifica della adattabilità di innovazioni prodotte da soggetti specializzati (ditte sementiere), anche esterni al territorio regionale, nella realtà aziendale, climatica e pedologica del Piemonte. Utenti dell’attività sperimentale sono vivaisti e imprenditori, i primi possono rifornirsi di materiale di propagazione con una buona certezza di successo nei riguardi dei propri clienti, gli imprenditori hanno la sicurezza che un soggetto terzo, che non ha interessi economici diretti nell’attività, ha validato il materiale di propagazione (riduzione del rischio). Per quanto simile, come caratteristiche intrinseche, ai progetti di cui ai paragrafi precedenti relativi alla viticoltura e frutticoltura, l’attività di confronto varietale per l’orticoltura ha profonde differenze rispetto alle altre, a causa delle diversità strutturali e congiunturali che il comparto piemontese assume. Al di là delle differenze produttive ed economiche per le quali si rimanda alla specifica analisi di scenario, dalle interviste realizzate si evidenzia una maggiore complessità delle problematiche del comparto determinata sia dalla grande varietà di specie, dalla loro diversità nella espressione vegetale e produttiva e dalla conseguente specializzazione territoriale delle coltivazioni (Alessandria: cipolla, patata, pomodoro da industria; Vercelli: asparago e zucchino; Asti: peperone, sedano, pomodoro; Torino: Peperone e lattuga; Cuneo: fagiolo) sia dalla rapidità con cui cambiano le esigenze di mercato in termini di tipologie di produzioni e di caratteristiche dei prodotti. Si tratta infatti di prodotti annuali, a volte di ciclo molto breve, che, nella maggior parte dei casi vengono raccolti e confezionati direttamente in campo per essere poi portati rapidamente ai mercati. Dalla frammentarietà sopra accennata deriva anche la minore organizzazione degli orticoltori che non riescono ad esprimere come per la frutticoltura organismi di rappresentanza che consentano loro di avere maggior peso nelle contrattazioni e maggior supporto nelle scelte produttive, tale condizione se da un lato è determinata dalle caratteristiche del comparto, dall’altra mantiene e forse è la causa dei disagi gestionali ed economici degli imprenditori. 114 In questa situazione un’attività di supporto alla scelta varietale sostenuta dall’intervento pubblico diventa un elemento di sicurezza fondamentale. 3.5.2 L’organizzazione e la gestione del progetto Il progetto di sperimentazione volto ad orientare le scelte varietali in orticoltura, nelle sue versioni annuali del 2001, 2002 e 2003, coinvolge tre partner: l’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura sezione di Montanaso Lombardo con il ruolo di referente scientifico, il CreSo con il ruolo di attuatore della fase operativa delle attività e i tecnici dei Settori provinciali all’Agricoltura, delle Organizzazioni Professionali Agricole e delle Organizzazioni dei produttori con il compito di seguire le prove in campo e attuare gli interventi colturali. Sono pertanto rappresentate nel partenariato del progetto tutte le componenti utili e necessarie per dare sia valenza scientifica alle prove e ai risultati sia risvolto tecnico e divulgativo. Della natura delle prove realizzate si dirà al paragrafo 3.6.1, tuttavia va già ora evidenziato quanto emerge nell’intervista con il responsabile dei confronti varietali, il dott. Baudino del CreSo. La condizione di complessità dei confronti, legata alla numerosità delle specie e delle varietà in sperimentazione per ciascuna specie, rende impossibile la realizzazione di tutte le prove presso l’azienda del CreSo e richiede il coinvolgimento di numerose aziende che si prestano volentieri a fornire i loro terreni. Tuttavia, proprio per non occupare aree troppo vaste e quindi incrementare i costi delle prove (il rimborso agli agricoltori per i mancati raccolti), i confronti varietali di II livello non vengono sempre realizzati secondo gli schemi teorici previsti per i blocchi randomizzati, riducendo il numero di repliche e semplificando l’intero impianto. Le prove comunque vengono seguite molto da vicino e i risultati produttivi valutati con attenzione in periodici incontri realizzati fra il responsabile dell’attività e i tecnici (almeno ogni 15 giorni). I tecnici piemontesi impegnati in questa attività sono 8 e hanno una preparazione agronomica di alto livello e molto diversificata dovendosi occupare nel contempo di specie orticole diverse. 3.5.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto I risultati dell’attività sperimentale vengono diffusi con gli strumenti classici della divulgazione: durante l’inverno vengono tenute riunioni itineranti nei ter115 ritori orticoli piemontesi per illustrare agli imprenditori l’andamento delle prove primaverili e invernali. Inoltre vengono realizzate visite alla prove stesse presso le aziende che le ospitano e presso i campi dell’azienda del CreSo. Infine, ogni anno la Regione pubblica un testo divulgativo rivolto ai tecnici regionali in cui le prove di confronto vengono descritte nel dettaglio e il comportamento di ciascuna cultivar viene illustrato facendo riferimento sia a particolari legati alla produttività sia alle caratteristiche qualitative della produzione. Schema 3.9 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità a. Natura delle innovazioni: - miglioramento qualitativo del prodotto (estetico, organolettico e agronomico) - adeguamento della produzione alle esigenze del mercato - riduzione dell’incertezza dell’attività d’impresa - riduzione dell’impatto ambientale b. Elementi di contesto: - disponibilità di areali con caratteristiche pedoclimatiche differenziate che consento- Vincoli a. Natura delle innovazioni: - la verifica delle caratteristiche delle nuove varietà richiederebbero tempi più lunghi di quelli disponibili b. Elementi di contesto: - elevato turnover delle varietà prodotte dalle ditte sementiere - mancanza di organizzazione delle imprese agricole c. Aspetti metodologici e organizzativi: - difficoltà a mettere in pratica gli schemi no di coltivare più specie ortive sperimentali teorici a causa della numero- c. Aspetti metodologici e organizzativi: sità delle prove e della relativa esiguità - disponibilità di una struttura di sperimenta- degli spazi zione competente e dotata di un’azienda - disponibilità di tecnici divulgatori molto preparati 3.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese” 3.6.1 I contenuti della ricerca e le caratteristiche salienti delle innovazioni proposte Il progetto ha la finalità di analizzare la realtà produttiva della Toma Piemontese e di mettere a punto gli strumenti scientifici in grado di caratterizzare le 116 diverse tipologie esistenti. Questo formaggio, infatti, tipico dell’intero areale montano della regione, ma anche di ampie fasce di pianura limitrofe all’arco alpino, è prodotto fin dall’epoca medievale ed ha sempre accompagnato l’attività zootecnica e la produzione di latte. Esso, tuttavia, è caratterizzato da un’ampia variabilità dovuta alla grande estensione della produzione e alle diverse condizioni delle imprese che lo producono e l’hanno prodotto. Il progetto di ricerca è stato strutturato in due fasi: la prima con l’obiettivo di circoscrivere ed approfondire la storia, l’areale di produzione, la consistenza e le caratteristiche della produzione; la seconda con l’obiettivo di analizzare un campione di produttori di Toma (aziende e caseifici) sia per gli aspetti zootecnici (solo le aziende) sia per gli aspetti tecnologici. L’attività di studio è stata effettuata negli anni 1995-1996, due anni dopo il riconoscimento della denominazione d’origine e della costituzione del Consorzio di tutela. Tali eventi, se sono stati una delle cause più importanti per l’attivazione del progetto, ne hanno anche fortemente determinato l’organizzazione e i contenuti. Infatti la prima fase dell’attività ha avuto un peso notevole in quanto la necessità di avere una mappatura, anzi un censimento6, della produzione di Toma Piemontese rispondeva alle esigenze conoscitive di contesto del progetto di ricerca, ma andava anche incontro alle necessità di informazione del Consorzio di tutela appena insediato. La seconda fase è stata strutturata, a sua volta, in tre parti: - l’analisi zootecnica che ha approfondito le caratteristiche aziendali (razza allevata, tecniche di allevamento e alimentazione, condizioni igienico sanitarie, ecc.) delle imprese produttrici di Toma, la qualità del latte (caratteristiche chimico-fisiche, caratteristiche biologiche, relazioni con la trasformazione, ecc.) e le connessioni fra allevamento e qualità del latte; - l’analisi tecnologica che ha approfondito le caratteristiche delle strutture di trasformazione (locali, attrezzature, ecc.) e della tecnologia di produzione ed ha formulato una prima proposta di tipologie produttive rinvenute; - l’analisi sensoriale che ha avuto la finalità di arrivare ad una valutazione organolettica del prodotto mediante un panel di assaggiatori addestrati preventivamente. Il primo risultato del progetto è stato quello di produrre una descrizione complessa e completa della realtà produttiva della Toma sia per la quantità di infor6 M. Soster, “Toma Piemontese“, Assessorato Agricoltura Regione Piemonte, 1998. 117 mazioni e dati raccolti sia per il livello delle analisi realizzate, sicuramente di estrema utilità per il Consorzio di tutela e per i policy makers piemontesi. Circa gli obiettivi di caratterizzazione, ed in particolare di individuazione delle tipologie di produzione dominanti, i risultati dello studio sono sinteticamente riportati nello schema che segue. Schema 3.10 - Obiettivi della caratterizzazione Fasi della tecnologia di produzione Conservazione latte Scrematura Pastorizzazione Inoculo di starter Caseificazione Cottura Pressatura Salatura “Caseificio” X Tipologie di Toma individuate “Classica” “Classica “Classica grassa” morbida” X X X X X X X X X X X X X X X X X “Biellese” X X X X Come si può notare, sulla base delle informazioni relative alla tecnica di produzione, sono state individuate 5 tipologie di Toma, dalle quali, non considerando il diverso comportamento delle strutture analizzate rispetto alla scrematura e alla pressatura, si può arrivare a 3: Caseificio, Classica e Biellese. La prima riguarda essenzialmente i formaggi prodotti dai caseifici che hanno avuto nel tempo una maggiore standardizzazione e razionalizzazione delle tecniche produttive (pastorizzazione, uso di starter) e che hanno caratteristiche omogenee e costanti, ma piuttosto anonime. La seconda riguarda la Toma prodotta dalle imprese di montagna e riguarda varie localizzazioni geografiche delle Alpi piemontesi; come dimostra la prima distinzione in tre sottotipi, è una tipologia al suo interno molto disomogenea. Secondo i partecipanti al progetto, dalle schede tecnologiche, sembra emergere come ogni produttore applichi una sua personale interpretazione della caseificazione. La terza è l’unica con una caratterizzazione geografica specifica in quanto si riferisce alla Toma prodotta nella zona di Biella ed ha delle caratteristiche peculiari in quanto il latte viene lavorato immediatamente dopo ogni singola mungitura e la cagliata viene cotta più o meno intensamente dopo la rottura. Anche la valutazione sensoriale ha portato al raggruppamento dei giudizi dei panelist in tre macroaree: 118 - la A, i cui prodotti presentano scarsa intensità dell’odore, un sapore tendenzialmente dolce e si presentano morbidi, elastici e poco granulosi; - la B, i cui formaggi sono fortemente caratterizzati dal punto di vista dell’aroma, del sapore e dell’odore e in generale sono molto “maturi”; - la C, i cui prodotti hanno caratteristiche intermedie ai primi due e si caratterizzano per una spiccata acidità della pasta a cui si accompagnano una maggiore durezza ed accentuata friabilità. Tuttavia, il risultato dell’analisi sensoriale non è sovrapponibile a quello dell’analisi tecnologica se non per la tipologia A che nella gran parte dei casi corrisponde a quella di caseificio. Si conferma quindi un panorama: - di estrema variabilità nella qualità e nelle caratteristiche organolettiche delle Tome di montagna, che si accompagna però ad un messaggio complessivo di maggiore tipicità e carattere, - di maggiore standardizzazione (e anche salubrità) della Toma di caseificio, cui andrebbe aggiunto un profilo sensoriale più tipico. Lo studio in esame ha raggiunto gli obiettivi che si era prefisso fornendo una base informativa senza precedenti sul prodotto in esame (risulta carente solo della parte economica sia in termini di strutture sia di mercato) e provando a discernere dall’analisi della realtà produttiva stessa gli indirizzi per una eventuale tipizzazione e caratterizzazione della produzione. I risultati prodotti non sono vere e proprie innovazioni (anche se si tratta di conoscenze prima non disponibili); si può parlare piuttosto di supporto alle decisioni in primo luogo dei decisori pubblici e degli organismi deputati all’organizzazione della produzione e alla sua valorizzazione, in secondo luogo dei tecnici che svolgono consulenza alle imprese e dei ricercatori stessi. I primi, infatti, sono stati in grado di programmare gli interventi di rilancio e promozione della Toma conoscendone la diffusione, le caratteristiche, le problematiche; i secondi hanno avuto a disposizione un’analisi dei bisogni senza precedenti in base alla quale avviare attività di supporto alle imprese in un caso, nuovi obiettivi di ricerca nell’altro. Fra gli utenti diretti dell’attività, pertanto, non possono essere annoverati gli imprenditori anche se i benefici dell’indagine, a medio termine, dovrebbero essere stati percepiti anche da loro in termini di migliore razionalizzazione e organizzazione della produzione (qualificazione della produzione, abbattimento dei costi) e soprattutto di valorizzazione della stessa (migliore collocazione sul mercato). 119 Dalle interviste ai partecipanti al progetto è emerso che la vastità dell’areale del progetto non ha consentito di coinvolgere le imprese in maniera diretta se non quando erano visitate dal tecnico per il rilievo dei parametri strutturali, produttivi e tecnologici. Gli imprenditori stessi, d’altro canto, non hanno avuto interesse a interagire con il progetto in quanto in quegli anni non c’era un problema di collocazione dalla produzione. Tuttavia, i dati rilevati e il repertorio di immagini raccolto ha consentito di evidenziare numerose problematiche strutturali che andavano dalla inadeguatezza delle attrezzatura alle carenze igieniche che, pur non essendo finalità specifica dello studio, sono state oggetto di interventi successivi ed oggi sono in gran parte risolte, consentendo ai produttori di Toma di rimanere sul mercato e difendere gli spazi acquisiti. Un aspetto problematico da verificare nell’indagine su campo è se la Toma sia un formaggio con un’elevata valenza di tipicità o meno, in particolare occorrerebbe verificare se sia stata o meno opportuna la scelta di segmentarne la produzione e differenziarla. Infatti, al di là della tipicità che esso riveste come formaggio regionale, noto in Italia e in Europa per essere specificamente piemontese, il ruolo che gli viene assegnato dagli imprenditori zootecnici e caseari piemontesi e anche dal consumatore, soprattutto locale, è quello di formaggio comune sia come sbocco per la destinazione del latte sia come alimento. 3.6.2 L’organizzazione e la gestione del progetto Il progetto “Caratterizzazione della Toma Piemontese” ha avuto un partenariato estremamente complesso. Il gruppo di lavoro era composto dall’Università di Torino con il Dipartimento di Scienze zootecniche e il Dipartimento per la Valorizzazione e la Protezione delle Risorse Agroforestali (DIVAPRA) - sezione Microbiologia e Industrie agrarie, il SOFAGRA srl - Istituto lattiero-caseario di Moretta, il Consorzio di tutela della Toma Piemontese, le tre associazioni dei produttori di latte regionali (oggi confluite in ALPILAT), l’Associazione Regionale Allevatori, alcune Comunità montane e la Regione Piemonte con gli uffici dell’Assessorato agricoltura. I ruoli nell’ambito del progetto sono stati così distribuiti: il coordinamento tecnico scientifico e la elaborazione ed analisi delle informazioni sono stati affidati ai dipartimenti universitari, al Consorzio di tutela e all’Istituto di Moretta; la rilevazione dei dati e il prelievo e l’analisi dei campioni alle Associazioni dei produttori, alle Comunità montane con la partecipazione e il supporto dell’Istituto di Moretta e la sezione Industrie agrarie del DIVAPRA. Il coordinamento generale è 120 stato curato dall’Assessorato agricoltura che, in qualità di committente, ha verificato il perseguimento degli obiettivi previsti. Il progetto di ricerca sulla Toma è stato uno dei primi progetti promossi dalla regione Piemonte con l’intento di sperimentare un nuovo approccio alla ricerca basato sulla pluridisciplinarietà e sulla collaborazione di più soggetti. Questa nuova modalità di lavoro è stata molto apprezzata da tutti i partecipanti che ancora oggi ne sottolineano l’importanza sia perché ha avviato collaborazioni che sono proseguite anche in futuro, sia perché ha effettivamente consentito di approfondire l’ambito di interesse del progetto da più settori disciplinari e da più punti di vista. Circa le figure professionali coinvolte, al progetto hanno partecipato ricercatori e tecnici. I primi, provenienti dall’Università o dall’Istituto lattiero-caseario, hanno avuto un ruolo di impostazione dell’indagine e di analisi delle informazioni raccolte, i secondi, provenienti dalle associazioni dei produttori e dalle comunità montane, hanno rappresentato le istanze dei produttori e si sono recati presso le aziende per le rilevazioni e i prelievi. Tutto sommato al gruppo di lavoro hanno partecipato fino a 30 persone, del cui coordinamento effettivo si sono curati i rappresentanti dell’Assessorato. Considerando gli obiettivi del progetto e i risultati raggiunti, è ragionevole pensare che gli imprenditori agricoli piemontesi non siano stati, né lo siano ora, consapevoli della realizzazione del progetto. Come si evince anche dall’analisi del contesto, alcuni elementi di razionalizzazione e organizzazione nella gestione degli allevamenti e nella caseificazione, che lo studio ha segnalato, sono poi stati oggetto di interventi normativi e di investimento che la Regione ha promosso per altra via e nei quali gli imprenditori sono stati coinvolti in prima persona. Il progetto “Caratterizzazione della Toma”, tuttavia, ha preparato il terreno a questi interventi soprattutto presso l’associazionismo agricolo e presso i tecnici e quindi ha consentito alle successive iniziative di trovare un contesto preparato e consapevole (acquisizione di competenze). 3.6.3 L’informazione e la divulgazione connesse al progetto Lo studio sulla Toma Piemontese si è concluso con la produzione di due pubblicazioni. La prima corrisponde al rapporto finale dello studio e contiene tutti i risultati con notevole dettaglio ed anche un importante ausilio di grafici e immagini; la seconda intitolata “Toma Piemontese – Guida pratica alla caseificazione” ha l’obiettivo di fornire ad allevatori e casari le informazioni essenziali scaturite dal progetto che possano essere loro utili per migliorare l’attività produttiva. Entrambe le pubblicazioni sono state inviate ai produttori di Toma. 121 Non sono stati realizzati convegni o seminari, né organizzate altre iniziative di approfondimento e confronto (riunioni, formazione). Schema 3.11 - Potenzialità e vincoli alla diffusione delle innovazioni sul territorio Potenzialità a. Natura delle innovazioni: - razionalizzazione della produzione con risvolti positivi sui costi Vincoli a. Natura delle innovazioni: - prodotto difficilmente tipizzabile b. Elementi di contesto: - miglioramento qualitativo del prodotto - tradizione casearia locale - riconoscimento del prodotto da parte del - prodotto caseario di massa consumatore - incremento quote di mercato b. Elementi di contesto: - sempre maggior interesse ai prodotti tipici - normativa nazionale ed europea che offre opportunità c. Aspetti metodologici e organizzativi: - presenza di strutture associative attive (associazioni produttori, Consorzio tutela ecc.) - presenza di tecnici di riferimento 122 c. Aspetti metodologici e organizzativi: - utilizzo di strumenti di divulgazione, le due pubblicazioni, di scarsa efficacia rispetto all’adozione di un’innovazione CAPITOLO 4 IPOTESI SUI PERCORSI E SULLA DIFFUSIONE DELLE INNOVAZIONI Questo capitolo illustrerà le prime ipotesi che possono essere formulate sulla diffusione dei risultati delle ricerche oggetto del presente studio. Gli elementi conoscitivi sin qui raccolti consentono infatti di formulare una serie di previsioni sia sulla diffusione delle innovazioni prodotte sia sul ruolo rivestito dai progetti di ricerca stessi nell’ambito del sistema della conoscenza piemontese. La costruzione e la descrizione delle suddette ipotesi sarà utile per rendere palese il modello interpretativo utilizzato nello studio e per discuterne le componenti. Il successivo confronto con i risultati dell’indagine su campo permetteranno sia di rispondere alle finalità dello studio sia di sperimentare la validità del modello. 4.1 Dal modello di diffusione al modello di relazione Come è stato argomentato da più di un autorevole autore (Nitsch 2000, Brunori 2001) e si è avuto modo di precisare in più di un’occasione dallo stesso INEA (INEA 1998, 2000, 2003), le modalità di trasferimento delle innovazioni che hanno avuto tanto successo negli anni 50 e 60 e che prevedevano, secondo un modello a cascata, prima l’ideazione da parte di un istituto di ricerca, poi la traduzione in soluzione operativa da parte di un’agenzia con competenze tecniche e, infine, l’adozione da parte dell’imprenditore, hanno palesato tutta la loro inefficacia. Le motivazioni sono molteplici e vanno dalla diversa fase politica, sociale ed economica che ha attraversato l’agricoltura negli ultimi decenni rispetto a quegli anni (boom economico, fiducia incondizionata nei risultati applicativi del progresso tecnologico, ampi margini di miglioramento della produzione, ecc.) alla consapevolezza che quel modello produce uno sviluppo ineguale delle imprese e dei territori ben lontano dall’obiettivo di sviluppo sostenibile perseguito dalle politiche agricole dei Paesi europei. Dall’analisi sistematica delle inefficienze di quel modello si è venuto formulando un altro approccio che si è implementato e arricchito nel tempo e che forse ancora si arricchisce di spunti derivanti dalle osservazioni empiriche e sperimentali, il modello denominato “di relazione”. 123 Uno dei principi di fondo della nuova impostazione è la necessità imprescindibile, quando si vuole produrre sviluppo, di partire dai bisogni dell’utenza e di considerare l’acquisizione dell’innovazione da parte di imprese e territori come un processo di apprendimento comune che coinvolge le imprese stesse come gli scienziati e i tecnici. Le prime, infatti, sono anch’esse detentrici di una conoscenza non codificata che nasce dall’esperienza e dalla sperimentazione dei processi produttivi. Essa si arricchisce con l’innesto della conoscenza scientifica e sistematica degli uomini di scienza, che a sua volta è arricchita dalle evidenze della prassi operativa. Spesso è stato verificato, anche in ambiti non agricoli, come il successo di un’impresa sia stato determinato più dalla capacità imprenditoriale di unire insieme le due tipologie di conoscenza che dall’acquisizione neutrale di un’innovazione dall’esterno. Il primo modello costringeva coloro che si occupavano di diffusione a concentrarsi sulle caratteristiche delle innovazioni e a flettere le esigenze degli agricoltori alle loro caratteristiche; viceversa il secondo mette al centro le necessità delle imprese, cui si sono aggiunti negli ultimi anni quelle dei territori, e prevede che siano le innovazioni e chi le produce ad adattarsi alle loro esigenze. In questa logica, nell’individuare le direttrici di sviluppo tecnico ed economico di una area rurale e nella scelta della innovazioni da promuovere, diventano di estrema importanza i fattori di contesto e personali che condizionano e vincolano le scelte dell’imprenditore; tali fattori, infatti, possono rischiare di rendere vano o inutile anche il più innovativo degli interventi. A rendere più complessa l’impostazione di un’attività di sviluppo è intervenuto negli ultimi anni un ulteriore elemento di giudizio che è quello della società civile. Il cittadino ha cominciato a chiedere all’agricoltura, in cambio del sostegno finanziario che le viene accordato dalle politiche europee, servizi diversi da quello alimentare (ricreativi, di salvaguardia del territorio) e maggiore attenzione all’impatto ambientale dell’attività produttiva. Pertanto, la scelta delle innovazioni da diffondere e da sostenere deve essere gestita tenendo conto di un altro livello di discrezionalità che comporta l’uso di strumenti operativi e competenze molto specifici. L’analisi dei percorsi delle innovazioni oggetto del presente studio e dei loro risultati di diffusione verrà, quindi, realizzata facendo riferimento al modello “di relazione” verificando quali aspetti sono riscontrabili nelle scelte procedurali, nei contenuti e nelle modalità organizzative utilizzate dai soggetti coinvolti. Gli elementi del modello che saranno presi in considerazione sono i seguenti: - strategie per la gestione di sistemi complessi (piattaforme di negoziazione); 124 - contenuti rispondenti ai bisogni dei destinatari; - procedimento circolare per la programmazione delle attività in cui i diversi soggetti collaborano nel definire le scelte e nel valutarle (processo comune di apprendimento); - modalità consone alle possibilità e precondizioni dei destinatari. Inoltre, con riferimento all’analisi di contesto e alla necessità di verificare vincoli e opportunità determinati dalle condizioni generali e specifiche in cui si muovono le imprese e le comunità rurali, si è ritenuto di utilizzare lo schema proposto a suo tempo (2000) da Ulrich Nitsch nel testo INEA/CIFDA Sicilia Sardegna “Metodologia della divulgazione”. Schema 4.1 - Componenti dello schema decisionale di un imprenditore agricolo nell’adozione di un‘innovazione secondo il modello di relazione Fattori individuali Fattori situazionali Conoscenza Propensione all’azione Educazione Valori Possibilità Età Esperienze Credenze Salute Atteggiamento verso Propensione al rischio, Istruzione tecnica e scienza al credito, all’ambiente Localizzazione dell’azienda Situazione familiare Capitale Interazione sociale Valori della famiglia Dimensioni aziendali Norme e sanzioni dei Localizzazione gruppi di riferimento dell’azienda Clima Terreno Fattori istituzionali Accesso a e qualità Valori della società Accesso al credito dei servizi Politiche governative Politiche governative Situazione del mercato Disciplinari e codici di comportamento Situazione di mercato Fonte: Nitsch, 2000 4.2 Prime ipotesi circa la diffusione dei risultati delle ricerche piemontesi Le ipotesi sulla maggiore o minore probabilità della diffusione dei risultati delle ricerche finanziate dalla Regione Piemonte saranno formulate tenendo conto di due livelli di analisi: - l’ambito della promozione, gestione e sviluppo dell’attività di ricerca; - l’ambito delle caratteristiche dei risultati della ricerca. 125 Questa scelta è determinata dalla necessità, insita nel modello di relazione stesso, di comprendere le possibilità di diffusione delle innovazioni dalle motivazioni che muovono i soggetti coinvolti ad operare, ma anche dalla opportunità di tener conto del ruolo propositivo e partecipativo assunto dalla Regione Piemonte nello scegliere i temi di ricerca, nel definire le modalità di conduzione delle ricerche e nel seguirne gli sviluppi in termini sia di contenuto sia procedurali. Gli elementi del modello individuati sopra possono essere meglio adattati allo specifico caso applicativo utilizzando le denominazioni proposte di seguito che rispondono con maggiore coerenza alle esigenze di analisi pur conservando i contenuti concettuali. a. Strategie per la gestione di sistemi complessi - Coinvolgimento sistema della conoscenza; b. Contenuti rispondenti ai bisogni dei destinatari - Consonanza obiettivi ricerche – bisogni agricoltori; c. Procedimento circolare per la programmazione delle attività in cui i diversi soggetti collaborano nel definire le scelte e nel valutarle - Condivisione programmi, scelte, risultati; d. Modalità consone alle possibilità e precondizioni dei destinatari - Idoneità strumenti di informazione e divulgazione. Ciascuno dei suddetti elementi corrisponde ad un ambito operativo composito che si esprime più o meno positivamente rispetto all’obiettivo (il coinvolgimento del sistema della conoscenza, la coerenza fra obiettivi e bisogni, ecc.) a seconda che si realizzino una serie di condizioni. Sempre con riferimento al caso specifico e in modo che siano coerenti con gli obiettivi dello studio, di seguito si propongono, per ciascun elemento, le condizioni che possono rappresentare meglio la sua espressione positiva. Quindi si cercherà di verificare la presenza o meno delle suddette condizioni nell’ambito delle ricerche finanziate dalla regione Piemonte sulla base dell’analisi delle ricerche stesse, dei loro risultati e del loro sviluppo realizzata nel capitolo precedente. Coinvolgimento del sistema della conoscenza – Con questa espressione si vogliono richiamare due aspetti cardine del modello di relazione: l’attivazione di un processo comune di apprendimento fra i soggetti responsabili della produzione e della adozione dell’innovazione e l’utilizzo di modalità e strumenti per la partecipazione alle decisioni di tutti i soggetti coinvolti, compresa la società civile (piattaforme di negoziazione). 126 Le condizioni considerate influenti per l’espressione positiva di questo obiettivo sono: la presenza di un partenariato composito nella realizzazione e gestione della ricerca; l’utilizzo di altre forme di partecipazione dei soggetti interessati, antecedenti, posteriori o parallele alla realizzazione del progetto; il ruolo e la partecipazione delle diverse componenti con particolare riferimento al maggiore o minore coinvolgimento. Schema 4.2 - Coinvolgimento sistema della conoscenza Progetti di ricerca Confronto fra sistemi colturali Selezione clonale per la vite Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali in frutticoltura Selezioni varietali in orticoltura Caratterizzazione della Toma Piemontese Partenariato misto Partecipazione differita o indiretta dei potenziali partner X Partecipazione attiva dei partner X X X X X X X X X X X Consonanza obiettivi ricerche – bisogni degli agricoltori – Questa espressione rappresenta la necessità di mettere al centro dell’intervento di sviluppo l’utente e/o il gruppo di utenti e di considerare gli stessi nell’ambito del settore sociale ed economico dove operano e nel territorio ove si situano. Per semplicità ed esigenza di schematizzazione si suppone che le esigenze degli utenti si possano esprime in termini tecnici, cioè legati ai contenuti operativi del loro lavoro e ai risultati dell’attività produttiva, in termini economici, cioè dipendenti dai risultati reddituali, dalla solidità della performance dell’impresa, dalla collocazione dei prodotti sul mercato, in termini sociali, cioè relazionabili alla condizione sociale dell’utente e/o al suo rapporto con le altre componenti della società civile. Condivisione di programmi scelte e risultati – Questo ambito riguarda in particolare il processo di apprendimento comune evidenziando, in modo più forte del primo ambito, il ruolo dell’utente e volendone verificare il reale grado di coinvolgimento e consapevolezza. 127 Si compone delle seguenti condizioni, elencate in un ordine di coinvolgimento crescente: la presenza nel progetto o nelle fasi seguenti alla sua realizzazione di momenti di incontro e di confronto con le imprese; la verifica di un interesse consapevole e dichiarato dell’imprenditore; la richiesta esplicita da parte dell’utente (o di gruppi organizzati) della prosecuzione dell’attività con la realizzazione di adattamenti dell’innovazione alle imprese. Schema 4.3 - Consonanza obiettivi ricerche – bisogni agricoltori Progetti di ricerca Bisogni tecnici Migliora il prodotto, razionalizza la tecnica Confronto fra sistemi colturali Selezione clonale per la vite Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali in frutticoltura Selezioni varietali in orticoltura Caratterizzazione della Toma Piemontese Bisogni economici Bisogni sociali Riduce i costi, Riduce l’impatto ambientale, riduce l’incertezza, aumenta la sicurezza alimentare, aumenta gli spazi promuove lo sviluppo locale di mercato X X X X X X X X X X X X X X X X Schema 4.4 - Condivisione programmi, scelte, risultati Progetti di ricerca Organizzazione momenti di confronto e di feedback con le imprese Confronto fra sistemi colturali Selezione clonale per la vite Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali in frutticoltura Selezioni varietali in orticoltura Caratterizzazione della Toma Piemontese 128 Interesse consapevole Prosecuzione progetto e/o agricoltori adattamento innovazione ad imprese X X X X X X X X X X X Idoneità degli strumenti di informazione e divulgazione – L’ambito riguarda direttamente le iniziative poste in essere per realizzare strumenti di facilitazione all’adozione dell’innovazione; si riferisce quindi alla verifica che le modalità di approccio con l’utenza siano consone alle condizioni personali e situazionali di imprenditori e popolazioni. Le condizioni di cui si compone riguardano: la presenza o meno di una strategia nell’uso degli strumenti (quali, quanti e come); l’utilizzazione di più tipologie di strumenti; la qualità e il linguaggio utilizzato; il numero di replicazioni del medesimo strumento onde raggiungere tutti gli utenti interessati. Schema 4.5 - Idoneità strumenti di informazione e divulgazione Progetti di ricerca Confronto fra sistemi colturali Selezione clonale per la vite Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali in frutticoltura Selezioni varietali in orticoltura Caratterizzazione della Toma Piemontese Strategia strumenti Molteplicità mezzi X Adeguatezza Numerosità Individuazione di linguaggio interventi una strategia di div. X X X X X X X X X X X Le informazioni presenti nei documenti che descrivono i progetti di ricerca, gli scambi di idee e pareri avuti mediante interviste ai ricercatori coinvolti e gli scambi di notizie con i referenti regionali del progetto presso la Regione hanno reso possibile una prima analisi delle diverse performance dei progetti rispetto ai principi del modello di relazione e consentono di costruire un primo profilo di ciascuna ricerca. Come si evince dallo schema 4.6: - il confronto fra diversi sistemi colturali in cerealicoltura mostra una buona impostazione e gestione degli aspetti legati al coinvolgimento dei soggetti e alla loro effettiva partecipazione e un interesse spiccato per l’analisi dei bisogni dell’utenza, meno evidente è la cura del processo comune di apprendimento e delle modalità di divulgazione; 129 - l’attività di selezione clonale della vite è ben inserita in un processo di apprendimento comune fra gli utenti del processo (ricerca, tecnici, imprenditori, vivaisti) peraltro realizzato fuori dal progetto, mentre non sembra operare in maniera coerente rispetto alla verifica dei bisogni degli utenti e delle modalità più consone per divulgare i risultati; - la valorizzazione del Canavese rosso sembra partire da un’indubbia esigenza dell’utenza ben motivata e ricercata, ma non riesce a coagulare attorno a sé iniziative di coinvolgimento di soggetti, né a coinvolgere più di tanto i produttori; - la selezione varietale in frutticoltura rivela un’ottima performance su tutti gli aspetti; - la selezione varietale in orticoltura mostra una buona consonanza fra bisogni e obiettivi, ma non riesce a uscire da una impostazione un po’ tradizionale del rapporto con i tecnici e gli utenti; - la caratterizzazione della Toma ha portato a casa buoni riscontri in termini di piattaforma di negoziazione e di scelta degli obiettivi, ma non è riuscita ad arrivare alla consapevolezza degli imprenditori. Schema 4.6 - Giudizio complessivo dell’adeguamento al modello di diffusione relazionale Progetti di ricerca Coinvolgimento sistema della conoscenza Confronto fra sistemi colturali Medio –alto Selezione clonale per la vite Medio-alto Valorizzazione Canavese rosso DOC Basso Selezioni varietali in frutticoltura Alto Selezioni varietali in orticoltura Medio Caratterizzazione della Toma Piemontese Medio-alto Consonanza obiettivi-bisogni Condivisione programmi scelte risultati Idoneità mezzi di diffusione Alto Basso Medio Medio Medio-alto Basso Alto Basso Basso Esemplare Alto Medio-Alto Alto Medio Basso Medio Basso Basso Pertanto è possibile avanzare una prima ipotesi di diffusione attesa che vede sicuramente positivo il risultato del progetto frutticolo e di selezione clonale della vite, in una condizione di media diffusione, il progetto orticolo e quello cerealicolo, con qualche difficoltà in più i due progetti di valorizzazione delle produzioni tipiche. 130 Livello di diffusione attesa: 1. Selezioni varietali in frutticoltura 2. Selezione clonale per la vite 3. Confronto fra sistemi colturali 4 Selezioni varietali in orticoltura 5 Caratterizzazione della Toma Piemontese 6 Valorizzazione Canavese rosso DOC 4.3 Confronto fra obiettivi/risultati delle ricerche e componenti situazionali/istituzionali dello schema decisionale dell’imprenditore Gli elementi conoscitivi disponibili sui settori produttivi oggetto delle ricerche analizzate permettono di arricchire lo studio delle ipotesi con ulteriori considerazioni. In particolare, è possibile cercare di capire il peso economico che ciascun settore ha nell’ambito dell’agricoltura piemontese e la performance, presso le imprese, dei singoli processi produttivi in modo da verificare l’importanza relativa che risposte innovative e di sviluppo potrebbero avere sulle esigenze generali dell’agricoltura e particolari di alcune tipologie di imprenditori. Inoltre, si cercherà di verificare “l’ambiente” istituzionale di ciascun settore e/o produzione per capire se è coerente con le esigenze degli imprenditori e può essere considerato o meno un rinforzo agli obiettivi delle ricerche. Lo schema 4.7 cerca di sintetizzare i dati salienti emersi dalle analisi di scenario del capitolo 2 e li pone a confronto per dare meglio un’idea complessiva della situazione che si va ad analizzare (fattori situazionali). E’ immediata la verifica dell’importante peso economico del settore viticolo per l’agricoltura piemontese (in particolare nelle tre province oggetto di analisi) e della elevata numerosità di aziende che coinvolge. Si evince in maniera chiara anche il discreto reddito che la coltura della vite concorre a formare, pur se le aziende in media hanno una superficie vitata piuttosto ridotta. Un altro elemento chiave è il riscontro che i costi non rappresentano un peso eccessivo nel complesso della produzione. La scelta, quindi, di investire su un’innovazione che punti alla qualità e alla sicurezza dell’impianto del vigneto sembra essere vincente e sembra possa consentire di mantenere e forse migliorare i margini di competitività che questa viticoltura si è faticosamente conquistati. Anche i dati della cerealicoltura indicano chiaramente il grande peso economico del settore nell’ambito dell’agricoltura piemontese, tenendo anche conto che si è 131 analizzata in profondità la situazione di solo due province e che il dato regionale è più di tre volte quello indicato in tabella. Ampio il numero di aziende con una superficie media che è il doppio circa di quella vitata. Più problematici i dati economici delle imprese: margini lordi nettamente inferiori e peso relativo delle spese specifiche quasi triplicato. Anche in questo caso quindi, al di là dell’indubbio beneficio ambientale che potrà derivare dalla diffusione di tecniche colturali a impatto ridotto, la scelta di sperimentare tecniche che riducano l’uso di fertilizzanti e presidi fitosanitari e la diminuzione della lavorazioni è sicuramente una delle poche possibilità di intervento per recuperare margini di redditività. Se si vanno, infatti, a verificare nel dettaglio i dati dei risultati economici al capitolo 2, è evidente come fra le spese pesino in modo particolare fertilizzanti e noleggi. Il peso economico regionale di frutticoltura e orticoltura è sicuramente inferiore a quello dei settori precedenti, tuttavia, esse rivestono un’importanza relativa notevole in considerazione della compresenza di queste colture con altre produzioni (solo il 43% delle imprese frutticole è specializzata). La numerosità delle imprese interessate è di tutto rispetto, la superficie media per impresa bassa. Interessante risulta il dato del margine lordo che mostra possibilità reddituali di tutto rispetto sui quali è fondamentale lavorare. La spese specifiche, di valore medio rispetto agli altri settori, mostrano che c’è margine per ridurne ulteriormente gli importi, ma mostrano anche che si è già operato per farlo. Investire sulla selezione varietale in settori come la frutticoltura e l’orticoltura è importante per mantenere e conquistare margini di competitività in un mercato mutevole e che richiede sempre più margini di qualità ad una produzione che è percepita “sana” per il ruolo alimentare che ricopre. Le due ricerche relative alla valorizzazione di prodotti tipici richiedono delle considerazioni specifiche anche se i due settori produttivi di cui fanno parte sono molto distanti fra loro. Si tratta comunque di due settori chiave per l’agricoltura piemontese: del viticolo si è già detto, dello zootecnico ed in particolare della produzione di formaggio, si può capire in maniera indiretta verificando il valore della produzione di latte e considerando che circa il 65% viene caseificato. La sensazione che si ha, invece, ad analizzare i due prodotti specifici (Canavese e Toma) è di avere a che fare con un target ridotto (soprattutto su Canavese) e soprattutto poco consapevole. Se si guarda poi al mercato la sensazione di inadeguatezza dell’investimento in ricerca cresce in quanto sembra evidenziarsi una collocazione del prodotto esigua e con poche esigenze di caratterizzazione. 132 Tuttavia, è importante considerare che la caratterizzazione delle produzioni tipiche è il classico tema da “sviluppo rurale” inteso come promozione di area marginale, come tentativo di promuovere più settori produttivi con la spinta di uno solo. Possiede quindi le classiche caratteristiche di un target che esprime solo esigenze primarie e soprattutto portatore di domanda latente di sviluppo. Sostanzialmente il valore economico e sociale di interventi come questi va misurato dopo molto tempo e riuscendo a tener conto di tante variabili anche poco vicine all’intervento stesso. Il progetto sul Canavese ha avvicinato gli amministratori e i tecnici locali ai referenti della ricerca viticola regionale ed è stato motivo per la realizzazione di altre attività comuni. Lo studio sulla Toma ha messo attorno alla stesso tavolo quasi tutta la filiera che dalla produzione di latte arriva alla caseificazione e l’ha resa consapevole di tutta una serie di problematiche di produzione che sono poi state oggetto di altri interventi, oppure che ha visto gli stessi soggetti impegnati su tavoli diversi, ma per i medesimi obiettivi. Circa l’ambiente istituzionale, lo schema 4.8 mostra come sia stata costruita un’importante rete di interventi e di supporti attorno al settore vitivinicolo che non ha eguali per nessun altro settore. Le iniziative regionali sono numerose e con obiettivi diversi e quelle comunitarie sono calibrate tutte ad esigenze emergenti: una nuova evenienza fitosanitaria, investimenti per le imprese, insediamento giovani e commercializzazione. Gli interventi rivolti agli altri settori sono stati soprattutto di tipizzazione della produzione e di salvaguardia delle realtà locali quando hanno avuto un’impronta regionale e di recepimento di normative comunitarie e nazionali nel caso di provenienza esterna. Volendo quindi prevedere l’influenza dei fattori situazionali e istituzionali alla diffusione delle innovazioni si potrebbe ipotizzare la seguente condizione: - quella delle selezioni clonali in viticoltura è l’innovazione che ha l’ambiente più favorevole da ogni punto di vista; - i sistemi di coltivazione dei seminativi dovrebbero riscontrare un elevato interesse economico dell’imprenditore; - le selezioni varietali in frutticoltura e orticoltura dovrebbero avere una diffusione media; - i due progetti di valorizzazione non dovrebbero essere molto conosciuti dagli imprenditori, che tuttavia dovrebbero mostrare una discreta evoluzione dell’attività produttiva. 133 134 (**) Produzione totale di frutta (*) Solo cereali, non disponibile il dato per la soia 3.510 latte 8.411 8.243 260.018 latte (5.500 Toma) 7.631 8.485 Caratterizzazione della Toma Piemontese 12 49 22.756 36.511 Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali 141.699 (**) in frutticoltura Selezioni varietali 185.148 in orticoltura 155.226 Dati strutturali comparti Superfici Aziende (ha) (n.) 45.232 234.052 (*) Produzione prezzi base PPB (.000) 420.089 Selezione clonale per la vite Confronto fra sistemi colturali Progetti di ricerca 899 frum. 1.321 mais 928 soia 6.354 27 pesco 27 melo 120 fagiolo 236 asparago 102 peperone 63 pomodoro 510 formaggio 11,6 frum. 11,5 mais 20,1 soia 47 10,9 pesco 16,3 melo 19,8 fagiolo 7,9 asparago 15,0 peperone 22,9 pomodoro 25,6 frum 26,8 mais 24,3 soia 8,3 Risultati economici prodotti Margine lordo Prezzo di Spese ( /ha) vendita (/q) specifiche/prod lorda unit. (%) 5.994 pesco 6.557 melo Torino, 2.665 fagiolo Asti, 4.955 asparago Alessandria, 11.019 peperone Cuneo 13.292 pomodoro Torino 196 Cuneo (Margine lordo Biella / SAU foraggera) Cuneo Asti Alessandria Cuneo Torino Torino Cuneo Province coinvolte Schema 4.7 - Fattori situazionali: confronto fra indicatori strutturali ed economici dei diversi comparti Schema 4.8 - Fattori istituzionali: confronto fra le iniziative di promozione per i diversi comparti Progetti di ricerca Confronto fra sistemi colturali Selezione clonale per la vite Valorizzazione Canavese rosso DOC Selezioni varietali in frutticoltura Selezioni varietali in orticoltura (OP) Caratterizzazione della Toma Piemontese Iniziative regionali Difesa integrata Monitoraggio e controllo Flavescenza dorata Distretto dei vini Langhe Roero Monferrato Anagrafe vitivinicola Nuova disciplina delle denominazioni di origine dei vini Enoteca del Piemonte Salvaguardia germoplasma frutticolo (90 cv locali) Indicazione geografica protetta “mela rossa valli cuneesi” Salvaguardia germoplasma orticolo (30cv locali) Denominazione di origine protetta “Toma Piemontese” Iniziative comunitarie Reg. CE 2078/89 Misure agroambientali PSR 2000/2006 Finanziam vigneti con Flavescenza Misura U PSR Attuazione del reg. CE 2200/96 e promozione e sostegno alle Organizzazioni dei Produttori (OP) Attuazione del reg. CE 2200/96 e promozione e sostegno alle Organizzazioni dei Produttori Attuazione DPR n 54 del 1997 “Produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte” 135 CAPITOLO 5 L’APPROCCIO RELAZIONALE NELL’INDAGINE VALUTATIVA: METODOLOGIE E STRUMENTI DI INDAGINE L’approccio relazionale, adottato fin dall’inizio nello studio e di cui si è ampliamente parlato in precedenza, è un punto di riferimento anche per quanto riguarda gli aspetti metodologici. Il modo in cui si realizza un’indagine, infatti, è strettamente legato alle finalità conoscitive della stessa, con un rapporto mezzi-fini articolato e profondo (Dewey, 1949). Per ricostruire un quadro del percorso delle innovazioni e per verificare il loro utilizzo presso gli agricoltori, è stato, quindi, fondamentale – secondo la prospettiva adottata – raccogliere i punti di vista dei diversi soggetti coinvolti nel sistema e indagare secondo una logica di complementarietà delle informazioni. Lo studio ha, dunque, utilizzato strumenti quantitativi e qualitativi, con l’obiettivo di affiancare alla raccolta di dati oggettivi informazioni di qualità, posizioni, opinioni, esperienze. Infatti, l’analisi e la comprensione del successo di una serie di innovazioni non può essere spiegato soltanto dal numero di imprese che le hanno adottate o dal numero di tecnici che ne conoscono le possibilità di utilizzo, ma anche da altre informazioni importanti: le problematiche economiche e sociali delle imprese beneficiarie, le modalità organizzative e di lavoro dei tecnici divulgatori, le relazioni che intercorrono fra questi due ambiti e la rete dei soggetti coinvolti. L’approccio qualitativo ha costituito un riferimento per tutta la ricerca, consentendo nella fase iniziale la realizzazione dell’indagine di sfondo e l’approfondimento delle innovazioni oggetto di studio e, successivamente, la raccolta delle informazioni di dettaglio relative ai percorsi delle innovazioni stesse. Tale approccio è stato esplicitato fin dall’inizio della ricerca come voluto e necessario, chiarendo come per il gruppo di ricerca fosse fondamentale perseguire l’obiettivo conoscitivo concordato attraverso la raccolta di informazioni adeguate piuttosto che tramite il tentativo di recuperare dati oggettivi. Senza voler ripercorrere tutte le tappe del dibattito su quantitativo e qualitativo, va infatti ricordato che la riflessione dei metodologi si è concentrata per molto tempo su questi due “miti” della sociologia: il mito dell’oggettività e quello dell’adeguatezza. Il primo è il riferimento principale dei sociologi quantitativi nel tentativo di raggiungere progressivamente una spiegazione oggettiva dei problemi. Il 137 secondo costituisce il punto di partenza dei ricercatori qualitativi intenti a comprendere le situazioni e a formulare ipotesi interpretative riconosciute come valide dai soggetti cui si riferiscono (Pizzorno 1989). Per Ferrarotti, l’utilizzo nella ricerca sociale del metodo qualitativo, e in particolare di quello biografico, permette di attribuire alla soggettività un valore di conoscenza. Si tratta però di “adottare categorie metodologiche prestabilite e rigide che escludono dall’ambito della ricerca ciò che ad esse riesca estraneo anche quando risulti socialmente e politicamente di grande rilevanza” (Ferrarotti, 1981). Occorre, quindi, “attenersi a una metodologia come tecnica dell’ascolto, in cui fra ricercatori e gruppo umano indagato si stabilisca, su un piede di parità, una comunicazione non solo metodologicamente corretta, ma altresì umanamente significativa (essendo questa significatività non un’aggiunta moraleggiante facoltativa, ma parte integrante e garanzia della correttezza metodologica)” (ibid., corsivo nel testo). La scelta del metodo qualitativo, in questa ottica, si basa sulla necessità di rivalutare il problema dell'esperienza nella ricerca sociologica e di adottare una prospettiva che si confronti con la natura interpretativo-relazionale dell'intero percorso di ricerca. Potremmo dire che l'obiettivo è di "portare alla luce le persone che si celano dietro l'immagine astratta dei soggetti" (Rampazzi, 2001, p. 442). Il riferimento all'esperienza è dunque fondamentale e deve tener conto anche della specifica situazione di ricerca che mette in rapporto le diverse esperienze per dar vita a una relazione significativa, da esplicitare e raccontare. Nella pratica della ricerca sociale, tuttavia, quantitativo e qualitativo si sono spesso intrecciati, dando luogo a percorsi interessanti di approfondimento, anche teorico. Se, infatti, sul piano delle prescrizioni metodologiche sembra profilarsi un confine più netto, nella pratica di ricerca tali indicazioni raramente vengono seguite alla lettera. Il percorso di ricerca La ricerca è stata concordata e progettata con l’amministrazione regionale competente ed ha visto un percorso articolato di definizione del disegno complessivo, che ha tenuto conto di diversi elementi e vincoli. Oltre a rappresentare uno strumento conoscitivo per la Regione Piemonte, infatti, la ricerca ha costituito per l’INEA un’occasione per approfondire sia gli aspetti teorici connessi all’approccio cognitivo-relazionale sia quelli legati agli aspetti metodologici, secondo una logica di rimando mezzi-fini di cui si è parlato in precedenza. 138 Operativamente, un primo passaggio è stato quello di circoscrivere con molta accuratezza gli ambiti di indagine sia per quanto riguarda le innovazioni di cui seguire il percorso sia per quanto riguarda i territori nei quali indagarne l’applicazione e l’utilizzo. In questo modo, infatti, è stato possibile studiare da diversi punti di vista (tecnico, economico, sociale, comunicativo) le dinamiche che hanno favorito od ostacolato le scelte di adozione o di non adozione. Successivamente si è proceduto con un’analisi desk delle innovazioni e dei territori interessati dall’indagine, realizzando degli studi specifici. Parallelamente si è proceduto con la realizzazione di alcune interviste a testimoni privilegiati (ricercatori, responsabili regionali e delle OOP, ecc.) per individuare le aree problematiche più rilevanti ai fini della fase successiva di indagine. Sulla base degli elementi emersi è stato possibile procedere alla definizione della fase di indagine sul campo, con la messa a punto degli strumenti: il questionario a risposte chiuse per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, le interviste in profondità e i gruppi focus per quanto riguarda quelli qualitativi. Le interviste in profondità sono state realizzate a testimoni privilegiati, scelti di volta in volta tra quanti hanno svolto un ruolo all’interno del processo di ricerca e diffusione dell’innovazione e sono state realizzate sulla base di una traccia comune, pur tenendo conto delle differenze riguardanti le diverse innovazioni prese in esame. Una prima parte dell’intervista era indirizzata al recupero di informazioni riguardanti il soggetto intervistato e il suo ruolo nell’organizzazione di appartenenza, qualora non fosse un imprenditore agricolo; una seconda parte era finalizzata all’analisi dell’innovazione (conoscenza dell’innovazione, del percorso, dei soggetti coinvolti; partecipazione alla sperimentazione; conoscenza degli sviluppi e delle principali problematiche; ecc.); un’ultima sezione, infine, riguardava le prospettive del settore con particolare attenzione alle innovazioni da introdurre (per un dettaglio si veda la traccia in allegato). In totale, sono stati realizzate 33 interviste a testimoni significativi e 5 gruppi focus, attraverso i quali sono stati raggiunti 29 tecnici delle province e delle organizzazioni professionali. In particolare, attraverso le interviste è stato possibile individuare le situazioni problematiche e le esperienze significative in relazione all’oggetto di indagine, con una maggiore profondità di analisi rispetto ad altri strumenti. In questa ottica, non è importante avere un grande numero di interviste (nel tentativo di emulare l’indagine di tipo quantitativo), anche perché dopo pochi colloqui gli argomenti tendono a ripetersi. Nel nostro caso, ad esempio, già dopo 4-5 interviste le infor139 mazioni fornite dai soggetti sono apparse ridondanti. D’altra parte, lo scopo dell’intervista non è vedere quanto opinioni e problemi siano diffusi nella popolazione, ma individuare situazioni problematiche, buone prassi, soluzioni innovative nel contesto analizzato. Confronto sistemi di coltivazione Canavese Rosso DOC Toma Selezione clonale vitigni piemontesi Orticoltura Frutticoltura Soggetti intervistati Responsabile sperimentazione della scuola agraria di Lombriasco Responsabile assistenza tecnica CAPAC Responsabile assistenza tecnica cerealicoltura Provincia Cuneo 2 Assistenti tecnici Unione agricoltori Contoterzista Pralormo Responsabile assistenza tecnica provincia Torino Presidente di una cantina sociale Tecnico di una cantina sociale Imprenditore Rappresentante associazione provinciale allevatori Tecnico Comunità montana Responsabile ricerca Ass. Produttori latte Docente e tecnico Istituto tecnico Caseario Tecnico INOQ 2 Vivaisti Viticoltore che ospita fasi della selezione Responsabile del nucleo di premoltiplicazione Tecnico del nucleo di premoltiplicazione Tecnico di vigna Responsabile vigneto azienda Responsavbile ufficio prov. Servizio controllo vivai Responsabile assistenza tecnica Coldiretti Provincia di Asti Tecnico studio privato Sata srl Cadir Lab (Quargnetto) 2 tecnici funzionari provincia Alessandria tecnico ditta sementiera Clause sementi Presidente Asprofrut Frutticoltore che ospita la sperimentazione (Lagnasco) Responsabile settore frutticoltura provincia Cuneo Presidente cooperativa PAV (Verzuolo) Il secondo strumento utilizzato nella fase qualitativa della ricerca è stato il gruppo focus. Si tratta di una sorta di “intervista di gruppo”, che consente di discutere con un gruppo di persone un tema definito; la discussione è centrata su un 140 oggetto specifico (focus) e ha la finalità di approfondire la questione attraverso lo scambio tra diversi soggetti. Anche nel caso del gruppo focus, come per le interviste, bastano pochi incontri per raccogliere le informazioni necessarie ad approfondire l’argomento. In genere, dopo 3-4 incontri ci si trova, infatti, in una situazione di ridondanza delle informazioni. Nel caso specifico sono stati realizzati 5 gruppi focus con i tecnici coinvolti nella divulgazione delle innovazioni oggetto di indagine, durante i quali sono stati analizzati i percorsi seguiti, le problematiche rilevanti, i risultati e le prospettive di lavoro. Per quanto riguarda la parte quantitativa dell’indagine, è stato predisposto un questionario indirizzato agli imprenditori agricoli della regione finalizzato alla raccolta di informazioni su: - le caratteristiche dell’azienda e dell’imprenditore; - i cambiamenti effettuati negli ultimi anni, le motivazioni e i risultati; - le modalità con cui l’imprenditore si informa e si confronta; - le difficoltà attuali. I criteri adottati per l’individuazione del numero di aziende agricole per ogni ambito di indagine sono stati: 1. il numero di aziende del comparto nelle aree target; 2. la PLV del comparto rispetto alla PLV agricola; 3. le aree di riferimento: - per il Confronto sistemi di coltivazione: zona pianura di Cuneo e Torino; - per il Canavese Rosso DOC: zona del Canavese; - per la Toma: Biellese, Alto canavese, Val di lanzo, Val di Susa , Pianura di Cuneo e Torino; - per la Selezione clonale vitigni piemontesi: Langhe, Monferrato; - per l’Orticoltura: Cuneo Boves Bra; - per la Frutticoltura: Saluzzo, Cavour, Borgodale. In questa fase è stato raggiunto un numero di soggetti più amplio, proprio per consentire – attraverso un campione rappresentativo della realtà piemontese – l’analisi della diffusione delle innovazioni presso gli imprenditori e il confronto delle diverse situazioni con particolare attenzione alla presenza o meno delle innovazioni oggetto di studio. 141 Sono stati, infatti, raggiunti attraverso il questionario 254 imprenditori agricoli, distribuiti tra i diversi settori produttivi interessati dalle innovazioni prese in esame (tabella 5.1). Tab. 5.1 - Imprenditori raggiunti con questionario per innovazione Innovazione Selezione clonale Canavese Confronto sistemi colturali Toma 29 Frutticoltura Orticoltura Totale Numero imprenditori 60 5 76 11,4 45 39 254 % 23,6 2,0 29,9 17,7 15,4 100,0 Un ultimo gruppo focus è stato realizzato con il personale dell’assessorato coinvolto nella gestione e nel monitoraggio del progetti di ricerca finanziati dall’amministrazione, con l’obiettivo di approfondire alcuni aspetti dell’esperienza piemontese e in particolare le specificità nella gestione dei progetti, e discutere i risultati della ricerca secondo il modello di relazione. Come abbiamo più volte detto, la ricerca è stata condotta con la combinazione di più approcci. La fase di indagine qualitativa ha prodotto materiale che, dagli studiosi, viene definito “a scarso livello di standardizzazione”. Non è, infatti, possibile fare statistiche o generalizzazioni a partire dai contributi dei singoli soggetti intervistati, né assumere che il risultato di un gruppo focus possa sintetizzare le posizioni di tutti i soggetti della categoria coinvolta. Tuttavia, i materiali accumulati (resoconti di gruppi focus e interviste) costituiscono una fonte di informazione preziosa, che è possibile analizzare con tecniche e procedure differenti. I ricercatori generalmente procedono nell’analisi di materiale di questo tipo attraverso una lettura verticale (un’intervista dopo l’altra) di tutto il materiale raccolto, fornendo interpretazioni spesso suggestive, ma – secondo altri - difficilmente comparabili tra loro. Ogni ricercatore, in genere, in questi casi può intraprendere strade diverse di lettura e produrre interpretazioni differenti. Proprio il fattore soggettivo, tuttavia, sembra essere fondamentale per un corretto utilizzo del materiale qualitativo. Va, infatti, reso esplicito il ruolo del ricercatore che, con le sue conoscenze, i suoi paradigmi e le sue visioni non solo può ma deve interpretare secondo i suoi schemi le informazioni e i materiali raccolti per poter passare da una mera descrizione della situazione a una sua lettura profonda. 142 In questi casi, e questa ricerca ne costituisce un esempio, è importante esplicitare i riferimenti e i modelli e ribadire, lungo tutto il percorso dell’indagine, la relazione stretta che intercorre tra questi e la raccolta e analisi dei dati. Pur facendo riferimento a contesti e situazioni specifiche l’approccio misto quantitativo-qualitativo ha permesso di condurre un’analisi approfondita ed esauriente che può essere generalizzata a contesti più ampi, come dimostrato anche da numerose ricerche condotte nei più diversi settori. 143 CAPITOLO 6 I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO7 6.1 Ricerca “Confronto fra sistemi colturali a diversa intensità” Diffusione dell’innovazione Dati strutturali del campione n. aziende Età conduttore: fino a 40 anni dopo 40 anni Data costituzione: prima 1960 tra 1960 e 1990 dopo il 1990 75 22 52 7 Superficie aziendale: meno 10 ha 10 – 30 ha Più di 30ha Aziende che hanno effettuato cambiamenti 33 34 8 45 36 30 L’innovazione più diffusa nell’ambito della tecnica colturale dei cerealicoltori torinesi e cuneesi è quella varietale. Più della metà di coloro che hanno fatto cambiamenti (53%) ha modificato la varietà coltivata negli ultimi 5 anni. Riguardo le fasi della tecnica oggetto del progetto di ricerca (cfr. tab. 6.1, par. 6.9 “I risultati dell’indagine su campo: tabelle statistiche”), la diminuzione delle quantità di concime (35,5%) e la diminuzione delle quantità di diserbante (31%) sono gli aspetti della tecnica più modificati dopo la scelta varietale. La riduzione delle lavorazioni del terreno ha un’importanza residuale (13,3%). In generale le imprese che hanno modificato il processo produttivo mostrano una buona tendenza evolutiva se si considera che in media hanno realizzato due o tre cambiamenti negli ultimi 5 anni. Le evoluzioni strutturali di maggior peso (tab. 6.2) riguardano il parco macchi- 7 Il capitolo illustra i risultati dell’indagine su campo. Nei primi sei paragrafi (6.1-6.6) vengono descritti i dati e le informazioni per progetto di ricerca e/o per comparto, nel paragrafo 6.7 viene presentata una sintesi delle risultanze salienti per progetto e un confronto fra i progetti, nel paragrafo 6.8 vengono illustrati i dati emergenti dal campione complessivo delle imprese contattate e le problematiche più generali che l’intera indagine ha consentito di rilevare. Nei paragrafi per progetto la prima parte è dedicata alla descrizione dei risultati dei questionari (diffusione dell’innovazione) e la seconda (i percorsi) all’analisi di quanto emerso dalle interviste ai testimoni privilegiati e dai gruppi focus. 145 ne (44%) seguito dall’incremento di terreno ( 32,8%) nell’ambito del quale è l’acquisto preponderante sull’affitto. Le motivazioni (tab.6.3) che hanno indotto circa la metà degli imprenditori ad adottare le innovazioni suddette sono essenzialmente tre ed hanno la stessa importanza: aumentare il ricavo, ridurre i costi, migliorare la qualità del prodotto. Segue l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento (31%) e dell’adeguamento dell’azienda alle norme (24%). Più importante del miglioramento qualitativo per gli imprenditori oltre i 40 anni è la riduzione dell’inquinamento, mentre il miglioramento della qualità è la prima motivazione che muove gli imprenditori sotto i 40 anni. In considerazione della numerosità di risposte (117) rispetto al numero di coloro che hanno apportato cambiamenti (45), si evidenzia che esiste quasi sempre una pluralità di motivi che ha spinto le scelte degli imprenditori, indice questo di una buona consapevolezza e autonomia. Questo aspetto sembra essere confermato dalla grande dispersione di frequenze riscontrata nella risposta alla domanda tesa ad individuare la fonte e/o la causa delle modifiche al processo produttivo: il peso del ricorso ai tecnici, dell’interesse personale e del rapporto con strutture che producono l’innovazione è analoga (tabb. 6.4 e 6.5). L’analisi dell’uso degli strumenti (tab. 6.6) che hanno fornito supporto all’imprenditore per attuare il cambiamento mostra una maggiore specificità di scelta: la metà degli intervistati ha usato riviste e notiziari, il 40% ha trovato supporto nell’ambito delle fiere, il 69% ha partecipato ad iniziative strutturate (prove dimostrative o riunioni) realizzate da organismi di divulgazione e sperimentazione. L’uso di Internet è ancora limitato (13%). Differenti le tipologie di strumenti predilette dalle diverse fasce di età: gli imprenditori più giovani leggono volentieri riviste e partecipano ai convegni, quelli più anziani prediligono le riunioni e le fiere locali. Anche in questo caso sono stati indicati più strumenti da ogni intervistato (almeno due). Questo aspetto è rilevante in quanto conferma che il percorso di introduzione di un’innovazione per essere accelerato necessita di strumenti diversi ciascuno con una propria funzione specifica che va calibrata alle esigenze dell’utente. L’inserimento nell’attività produttiva dei cambiamenti su menzionati non ha impegnato in maniera rilevante gli imprenditori né dal punto di vista burocratico né dal punto di vista tecnico (tab. 6.7); l’unico adeguamento rilevante circa la norma146 le attività di impresa ha riguardato le attrezzature così come evidenziato anche nel quesito sull’evoluzione strutturale (tab 6.8). Circa i risultati nel breve e nel lungo periodo, gli imprenditori hanno riscontrato: - in un primo momento, un incremento delle spese con conseguente diminuzione del reddito a cui si sono sommati subito un miglioramento della qualità del prodotto e una diminuzione del lavoro; - a lungo termine (tab. 6.9), un rafforzamento del miglioramento qualitativo del prodotto a cui ha corrisposto un aumento del reddito, anche se non in tutti i casi. Le difficoltà incontrate dalle imprese cerealicole (tab. 6.10) in questa fase riguardano essenzialmente la scarsa remunerazione dei prezzi spuntati sul mercato (77%) e l’adeguamento alle normative (33%). Per quanto riguarda il primo aspetto, tale disagio è stato già evidenziato nell’analisi di scenario (par. 2.1) e nella verifica dei fattori situazionali (par. 4.3) ed è sicuramente il nodo su cui si giocherà nei prossimi anni la sopravvivenza del settore. Fra gli imprenditori cerealicoli intervistati c’è stato anche un discreto numero di referenti che non ha fatto investimenti e modifiche negli ultimi 10 anni (40%). Le motivazioni vanno dalla soddisfazione per l’andamento della propria impresa (17%) all’età elevata del conduttore (26%) al costo elevato degli investimenti (21,7%), alle difficoltà burocratiche (10,8%). In questi casi il supporto per la gestione dell’impresa sono i familiari (44,6%) e comunque anche i tecnici delle organizzazioni di riferimento (40%). Le modalità per mantenersi aggiornati sono sempre gli incontri divulgativi e le prove dimostrative (41%) e la lettura di riviste e notiziari (29%); si riduce ulteriormente l’uso di Internet. Circa le difficoltà in cui versano le imprese l’opinione è la stessa del gruppo degli innovatori: la difficoltà a vendere a prezzi remunerativi (50%). I percorsi Il progetto e le reti di relazione Le interviste ai testimoni privilegiati e il gruppo focus con i tecnici ha confermato che il progetto di ricerca sui sistemi colturali a basso impatto è stata un’esperienza esemplare per la tipologia e numerosità di partecipanti e per i rapporti che ha instaurato tra gli stessi. 147 I tecnici hanno menzionato un’interessante attività formativa di aggiornamento rivolta sia ai tecnici che agli imprenditori in cui i ricercatori coinvolti nel progetto sono stati docenti. Significativa la riflessione del Direttore della scuola agraria che ha ospitato le prove sperimentali il quale, facendo notare che le innovazioni proposte dal progetto richiedono dei cambiamenti di mentalità piuttosto radicali, ha sottolineato l’opportunità di coinvolgere una struttura che forma i tecnici del futuro. Il progetto di ricerca non ha tuttavia coinvolto il Consorzio cerealicolo CAPAC che raccoglie e commercializza le produzioni di numerose cooperative cerealicole piemontesi. Il Consorzio realizza con l’università, su finanziamento della Regione, attività sperimentali ed è dotata di un gruppo di tecnici che svolgono assistenza e consulenza alle imprese associate (..i tecnici sono il principale veicolo delle informazioni ai soci…). Il coordinatore dei tecnici conosce e apprezza la sperimentazione tenuta a Lombriasco anche se ha avuto modo di visionare solo a gennaio – febbraio 2005 il materiale divulgativo che non è stato utilizzato per la campagna 2005 in quanto le scelte erano già state fatte. Non sembrano esserci rapporti strutturati fra i tecnici del Consorzio e i tecnici delle Organizzazioni professionali. I contenuti tecnici Riguardo ai contenuti tecnici dell’attività sperimentale, sono quasi tutti concordi nel rilevare che pratiche colturali come la riduzione dei presidi e l’utilizzo della rotazione con una leguminosa saranno sicuramente più facili da diffondere rispetto alla riduzione o eliminazione delle lavorazioni. Quest’ultima innovazione troverà grande difficoltà sia per la tradizione colturale locale che per gli obiettivi disagi produttivi che potrebbe creare, quali i maggiori rischi di tossine nel prodotto. E’ pur vero che qualcuno ha anche sottolineato la scarsa abitudine dei tecnici a considerare gli aspetti economici delle pratiche agricole e a valutare la convenienza economica di un’innovazione (…oltre ai vantaggi agronomici è importante dimostrare la convenienza economica dell’introduzione di un’innovazione...). Secondo altri tale pratica colturale potrà passare se la Regione prevedrà dei finanziamenti per gli agricoltori che la realizzeranno. I tecnici erano pienamente consapevoli di aver assistito le imprese in un grande sforzo di rinnovamento varietale (…in 15 anni abbiamo rivoluzionato il grano in Piemonte sulla scelta varietale…). 148 Circa i possibili sviluppi futuri, tutti segnalano la necessità di incrementare le attività sperimentali con riferimento alle esigenze degli imprenditori e indicano tematiche come la concimazione fogliare e la necessità di allargare le rotazioni a più colture con l’inserimento di colture industriali di maggior reddito (pomodoro e barbabietola). Strumenti e modalità di divulgazione Le modalità di diffusione delle informazioni sono quelle classiche (…ci sono le aziende leader che fanno da specchio per gli altri…. Se partono questi e la sperimentazione va a buon fine gli altri li seguono…). I tecnici hanno a disposizione molto materiale cartaceo di vario livello e partecipano a momenti formativi o a riunioni promosse dalle istituzioni (Regione o Provincia). Gli agricoltori vengono contattati dai tecnici anch’essi mediante materiale cartaceo (ritenuto poco incisivo) e mediante riunioni o prove dimostrative. I risultati del progetto non sono stati oggetto di una divulgazione strutturata e specifica. La Regione si è fatta carico di realizzare, a conclusione del progetto, materiale cartaceo di facile lettura. E’ stata più volte citata l’occasione che gli imprenditori hanno avuto, durante un convegno di metà percorso, di visionare le prove sperimentali. 6.2 Ricerca “Valorizzazione del Canavese DOC rosso” Diffusione dell’innovazione La condizione del Canavese rosso DOC è molto particolare rispetto a quella degli altri settori produttivi presi in considerazione dalla presente analisi. E’ una realtà di nicchia, i produttori sono solo 12 e la produzione soltanto di circa 2000 quintali. Pertanto i risultati dei questionari somministrati a 5 viticoltori non possono avere la valenza quantitativa che è possibile dare agli altri. Tuttavia, le risposte ai questionari e i contenuti delle interviste ai testimoni privilegiati consentono lo stesso di verificare lo stato di diffusione dell’innovazione e le modalità di lavoro del sistema della conoscenza anche se solo in termini qualitativi. Le innovazioni più diffuse fra i produttori di Canavese rosso DOC riguardano la struttura dell’impianto (sesti e forma di allevamento) e il vitigno; nell’ambito della fase di vinificazione il cambiamento più diffuso è la produzione di vino imbottiglia149 to. Residuale la modifica degli uvaggi . Le motivazioni che hanno indotto i produttori ad innovare riguardano in egual misura il miglioramento della qualità del prodotto e l’aumento del ricavo aziendale. Sulle scelte legate alla produzione del vino i produttori intervistati si affidano ai tecnici provinciali e delle associazioni di categoria di riferimento e si informano anche presso esperti di loro fiducia. Circa gli strumenti che gli hanno fornito supporto per l’introduzione dei cambiamenti, i viticoltori indicano soprattutto le fiere e, fondamentalmente, i luoghi dove c’è un confronto con altri operatori del settore e con gli altri produttori. I produttori di Canavese rosso, come gli altri viticoltori, sono soggetti a numerosi controlli e verifiche da parte della struttura pubblica, soprattutto in fase di reimpianto, pertanto gli intervistati hanno segnalato di aver dovuto affrontare adempimenti burocratici riscontrando alcune difficoltà sia nella produzione della documentazione che per l’ottenimento delle autorizzazioni. I risultati dei cambiamenti attestano un sostanziale raggiungimento degli obiettivi in quanto viene segnalato sia il miglioramento della qualità della produzione che l’acquisizione di nuovi canali di vendita. I percorsi Il progetto e le reti di relazione Lo studio per la valorizzazione del Canavese rosso DOC è conosciuto dai soggetti della filiera che operano nel territorio; alcuni (produttori e cantine) hanno anche partecipato alle fasi di analisi dei vini e alle valutazioni degli uvaggi. Tuttavia, sembrano non esserci stati effetti e/o ricadute particolari in quanto coloro che producono Canavese e reimpiantano non usano criteri coerenti con le indicazioni emerse nella ricerca. La Provincia, in autonomia rispetto alla Regione, si interessa a garantire l’assistenza tecnica alle imprese viticole del Canavese mediante un tecnico assunto di recente e finanziando un progetto di consulenza alla Vignaioli Piemontesi (associazione dei produttori). Inoltre, sempre la Provincia ha istituito un tavolo tecnico con la presenza di tecnici provinciali, Organizzazioni professionali e dell’associazione produttori, il Consorzio di tutela e l’Università che ha l’obiettivo di coordinare le iniziative di assistenza tecnica. La Provincia non è a conoscenza delle iniziative di ricerca e sperimentazione promosse dalla Regione. 150 I contenuti tecnici Secondo coloro che sono stati contattati, il vino Canavese rosso è un ottimo vino che negli ultimi anni è migliorato qualitativamente e che potrà avere uno sviluppo perché alcuni reimpianti di vigneti nella zona sono stati realizzati con l’obiettivo di inserirli nella produzione. Il vero problema sottolineato da tutti è la sua riconoscibilità sul mercato: è noto solo a livello locale o, al massimo, provinciale (Torino), quando viene proposto ai grandi distributori non lo vogliono perché non è conosciuto come il vino del Monferrato e delle Langhe. Due sono quindi le prospettive indicate dagli intervistati: intensificare l’attività di marketing e continuare a sostenerne la produzione mediante la consulenza per salvaguardare il territorio e il paesaggio. Strumenti e modalità di divulgazione I risultati del progetto di ricerca non sono conosciuti; i soggetti intervistati riferiscono di non aver mai visto il documento conclusivo del lavoro. 6.3 Ricerca “Selezioni clonali in viticoltura” Diffusione dell’innovazione Dati strutturali del campione n. aziende Età conduttore: 60 fino a 40 anni dopo 40 anni Data costituzione: prima 1960 tra 1960 e 1990 dopo il 1990 15 45 19 25 Superficie aziendale: da 0,5 a 2 ha 3 – 6 ha 7 – 10 ha Più di 10 ha Aziende che hanno effettuato cambiamenti 2 11 26 21 57 15 Il primo elemento che emerge è la grande dinamica innovativa delle imprese intervistate, su 60, 57 hanno apportato cambiamenti nel processo produttivo dal 1990 ad oggi. La media dei cambiamenti realizzati è pari a 8-9 per azienda. L’innovazione più diffusa (tab. 6.11) riguarda l’acquisto di materiale certifi151 cato per l’impianto del vigneto (89%). Solo il 35% degli intervistati ha cambiato vitigno; più diffusa invece la scelta di cloni diversi del medesimo vitigno. I vitigni che hanno avuto un maggior turnover di cloni sono stati: Barbera (55%), seguito da Moscato (41%), da Nebbiolo (32,7%) e da Dolcetto (24%). Non tutte le imprese sono state in grado di indicare la sigla del clone utilizzato, tuttavia, coloro che lo hanno indicato non hanno utilizzato nessuno dei cloni scelti per l’analisi della ricerca. Gli altri cambiamenti realizzati nel processo produttivo riguardano: le modalità di esecuzione dei trattamenti antiparassitari (65%), le modalità di spandimento e le quantità di concime (59,6%), le modalità di diserbo (56,9%), la meccanizzazione degli interventi in verde (54%), la quantità di antiparassitari (52,6). Come si può notare sono cambiamenti con un’alta frequenza di casi questo vuol dire che c’è un’alta probabilità che tali cambiamenti siano stati realizzati insieme. Fra le modifiche strutturali (tab. 6.12), la più importante riguarda l’acquisto di trattrici (87,7%) seguita dall’acquisto di terreni (68%), dall’acquisto di macchine operatrici e dall’incremento delle costruzioni per le produzioni (50,8%). La motivazione che più di altre ha indotto ai cambiamenti (tab. 6.13) su citati è stata il miglioramento della qualità del prodotto (80,7%). Seguono, con un peso analogo l’adeguamento dell’impresa alle norme e la riduzione dei costi (38,5 %). Di una certa importanza anche la riduzione dell’inquinamento (29,8%). La coscienza di mantenere alto il livello qualitativo delle produzioni per conservare il vantaggio competitivo acquisito nel tempo è ben presente fra le imprese viticole piemontesi. Nella scelta dei cloni e dei vitigni gli imprenditori viticoli (tab. 6.14) hanno dimostrato una grande tendenza all’autonomia (51,7% aveva un interesse personale); il ruolo dei tecnici è importante in quanto sono stati coinvolti nel 44,8% dei casi, tuttavia si può notare la prevalenza all’azione attiva dell’imprenditore (ho contattato 34%, sono stato sensibilizzato 10%) e la scelta di tipologie diverse di tecnici. Un altro elemento interessante è verificare il peso dell’effetto imitazione sulle scelte dell’imprenditore. Non pesa molto in assoluto (mediamente il 14,6%), ma la sua importanza è circa il doppio nel caso di modifiche della tecnica colturale rispetto alle modifiche del vitigno. I notiziari e le riviste sono gli strumenti (tab. 6.15) che gli imprenditori usano di più per informarsi sulle innovazioni che li interessano, alta anche la frequenza a momenti strutturati di divulgazione (46% di cui il 55% sono attività dimostrative il 45% riunioni di approfondimento). Bassa l’efficacia dei convegni e scarso l’uso di Internet. 152 Per le imprese viticole piemontesi l’attuazione dei numerosi cambiamenti citati ha comportato uno sforzo di adeguamento importante (tab. 6.16). Infatti, sono numerose le imprese che hanno dovuto affrontare difficoltà burocratiche (86%) con particolare riferimento ai tempi lunghi per ottenere la documentazione necessaria (41%) e alla predisposizione di quanto richiesto dagli uffici preposti (28,5%). Meno pressanti le difficoltà tecniche (39%), ma lo sforzo di adeguamento dell’impresa (tab. 6.17) è stato importante soprattutto in termini di organizzazione aziendale (37%) e di attrezzature ( 29,6%). Rispetto agli effetti provocati dai cambiamenti, gli imprenditori hanno potuto verificare che nell’immediato c’è stata una diminuzione del lavoro (50%) e un miglioramento della qualità del prodotto (39,6%), nel lungo periodo (tab. 6.18) si è incrementato l’effetto sul miglioramento qualitativo del prodotto (43%), si è ridotto l’effetto di diminuzione del lavoro (8,6%) ed è emerso un incremento del reddito anche se solo per una parte degli intervistati (17,2%). Le difficoltà incontrate dei viticoltori piemontesi ( tab. 6.19) in questa fase sono di estremo interesse in quanto rappresentano una peculiarità di questo settore. Al primo posto troviamo “l’adeguamento alle normative” (39,6%), al secondo “la difficoltà a trovare personale competente” (34,4%) e solo al terzo”la difficoltà a vendere” (31 %). Una interpretazione che se ne può dare è che il settore, in fase di espansione e assestamento dei benefici conquistati, incontra più disagi negli aspetti che ne condizionano la dinamicità, come l’appesantimento burocratico e la mancanza di personale, che nelle classiche difficoltà di mercato di gran parte dell’agricoltura. I percorsi Il progetto e le reti di relazione L’attività di selezione clonale è nota ed è apprezzata a tutti i livelli (vivaisti, tecnici, funzionari, associazioni imprenditori, privati). Coloro che hanno il contatto più diretto con le istituzioni di ricerca sono i vivaisti (... se ho bisogno di conoscere i cloni in via di omologazione vado dai vivaisti…; io – vivaista - li conosco tutti a livello enologico di degustazione prima che siano omologati…); i tecnici solo raramente hanno contatti diretti con le ricerca e nutrono un po’ di diffidenza nei riguardi delle istituzioni che la rappresentano. L’Associazione vignaioli, organizzazione dei produttori vitivinicoli piemontesi, svolge attività di ricerca e sperimentazione con Università, CNR e Regione; ha una 153 rete di tecnici che fa consulenza ai propri associati anche sul materiale di propagazione ed è al corrente dei risultati delle ultime selezioni clonali (… le selezioni piemontesi sono molto valide e hanno una maggiore tipicità che dà competitività ai vivaisti…). Dalle interviste e dal gruppo focus emerge la sensazione che il settore manchi di una organica rete di relazioni fra le componenti del sistema della conoscenza, peraltro rappresentate da valenti professionisti ai diversi livelli (ricerca, formazione, divulgazione). Si percepisce la carenza di un ruolo di coordinamento, di linee guida comuni, alcuni vorrebbero che questo ruolo venisse svolto dalla Regione (…la Regione ha un Comitato vitivinicolo con lo scopo di garantire DOC e DOCG, dovrebbe fare una cosa simile, fare una consulta della ricerca con tutti i rappresentanti…). Probabilmente l’importanza del settore per il Piemonte, i forti interessi economici che vi sono legati e la numerosità di figure tecniche che lo caratterizzano rende particolarmente difficile costruire una rete di relazioni stabile ed efficace. I contenuti tecnici Tutti i contattati hanno concordato sul fatto che l’utilizzo di materiale certificato sia un’innovazione matura per i viticoltori piemontesi. La bontà di questo tipo di materiale di impianto è stata loro comunicata dai vivaisti, dai tecnici e dagli esponenti delle loro associazioni; inoltre per poter usufruire dei contributi finanziari previsti dalle politiche occorre dimostrare di aver usato materiale certificato per l’impianto. Gli elementi problematici più segnalati sono: i tempi eccessivamente lunghi della selezione e la scarsa disponibilità di materiale di propagazione da parte del CePReMaVi. Circa il primo aspetto, si auspica l’avvio dell’utilizzo delle tecniche di micropropagazione in vitro, mentre, per il secondo, si propone di associare i vivaisti all’attività di premoltiplicazione incrementando così campi e materiale prodotto. Tali problematiche hanno obiettivamente creato più di qualche problema: ad esempio, i cloni migliorati di Nebbiolo sono stati licenziati quando il mercato di queste marze era in calo perché gran parte dei nuovi impianti era stato portato a termine; altro esempio: c’è una grande richiesta del nuovo clone di Barbera CVT 83, ma il centro di premoltiplicazione non né ha per coprire tutte le richieste. Riguardo a nuovi sviluppi della selezione clonale, più di un intervistato segnalava la necessità di dedicarsi ai vitigni minori. 154 Strumenti e modalità di divulgazione Una forma di divulgazione più strutturata esiste per i vivaisti e tecnici in quanto per loro ci sono pubblicazioni (degli Istituti di ricerca e della Regione), riunioni, prove di assaggio che confrontano i diversi cloni in prova. Meno strutturata la divulgazione alle imprese che sostanzialmente avviene nel rapporto diretto con il vivaista (soprattutto) e con il tecnico. Bisogna dire che trattandosi di un’innovazione matura e sulla quale c’è una diffusa sensibilità, probabilmente è proprio questa modalità la più efficiente. Sarebbe interessante tuttavia comprendere se esiste e quanto è vasta la realtà delle imprese più marginali (... il livello di diffusione delle selezioni clonali è direttamente proporzionale alla dimensione, imprenditorialità, cultura e età…; qui c’è ancora qualcuno che non vuole la barbatella paraffinata…è una tradizione aziendale…) e che margini ci sarebbero a rendere più remunerativa la loro attività produttiva con l’introduzione del materiale certificato. 6.4 Ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi” Diffusione dell’innovazione Dati strutturali del campione n. aziende Età conduttore: fino a 40 anni dopo 40 anni Data costituzione: prima 1960 tra 1960 e 1990 dopo il 1990 45 12 33 29 12 Superficie aziendale: meno 1 ha 1- 5 ha 5-10 Più di 10 ha Aziende che hanno effettuato cambiamenti 2 24 4 15 44 4 L’innovazione più introdotta dalle aziende frutticole è quella varietale, il 79,5% delle imprese contattate ha modificato le varietà coltivate negli ultimi 10 anni (tab. 6.20). Con particolare riferimento alle varietà consigliate per le specie melo e pesco nell’ambito del progetto di ricerca oggetto di analisi, si evidenzia che 1/3 delle varietà dichiarate di melo, 1/4 delle varietà dichiarate di pesche comuni e il 40% delle varietà dichiarate di pesche nettarine attualmente in coltivazione derivano dalle liste di programmazione della produzione 2002/2004. Si segnala che in alcuni casi il produttore intervistato era al corrente del gruppo generale a cui le proprie 155 varietà afferivano (Gala, Fuji), ma non era in grado di fornire il nome preciso della varietà. Anche il gruppo di imprese frutticole si caratterizza per l‘elevato livello di innovatività avendo realizzato una media di 7 innovazioni ad impresa negli ultimi 10 anni. Dopo quello varietale, i cambiamenti del processo produttivo con più frequenze sono: la riduzione dei trattamenti parassitari (59%), la modifica della potatura e la vendita in proprio della produzione (54%), la modifica dell’impianto del frutteto relativamente al numero di piante per ettaro (50%), le modifiche nel sistema di irrigazione sia rispetto alla modalità che alla quantità di acqua (43%). Si segnala come particolarmente significativo, il cambiamento relativo all’acquirente delle produzioni che potrebbe indicare un disagio, di circa la metà degli intervistati, rispetto al proprio organismo organizzatore della commercializzazione. E’ comunque un aspetto da approfondire in quanto la presenza di un associazionismo attivo e propositivo è stato in più punti di questo lavoro segnalato come un valore aggiunto del settore frutticolo. Naturalmente, l’interpretazione di questo dato può essere anche diversa e indicare, ad esempio, la presenza di una produzione così qualificata che è il mercato a cercare gli imprenditori ancora prima che la loro cooperativa o associazione organizzi la commercializzazione. Va altresì sottolineato che uno degli altri cambiamenti registrati, anche se con una frequenza inferiore, è la scelta di conferire a consorzio o cooperativa (31,8%). La modifica strutturale più importante (tab. 6.21) ha riguardato il cambio di una o due tipologie di produzione (68%) che vuol dire dover cambiare aspetti salienti della propria attività lavorativa e della organizzazione aziendale. Seguono l’acquisto di macchine operatrici (59%) e di trattrici (56%). Le motivazioni predominanti (tab. 6.22) che hanno indotto i frutticoltori ad apportare i suddetti cambiamenti al processo produttivo sono: l’aumento del ricavo aziendale (56,8%), il miglioramento della qualità del prodotto (47,7%) e l’adeguamento del prodotto alle richieste del mercato (38,6%). Ci si trova di fronte ad un atteggiamento da professionista nelle gestione dell’impresa. La riduzione dell’inquinamento ha spinto al cambiamento il 27% degli intervistati. Conseguenza logica di quanto sopra segnalato è la forte personalizzazione rispetto alle scelte. Infatti il numero più alto di frequenze sulle modalità di scelta della nuova varietà (tab. 6.23) va alla risposta “avevo un interesse personale” (43%). Emerge con una certa importanza, quale stimolo al cambiamento, anche l’aver frequentato di centri di sperimentazione, la partecipazione a prove dimo156 strative e la partecipazione ad incontri divulgativi il cui peso medio è pari al 25%. Gli strumenti più utilizzati (tab. 6.24) quale ausilio all’acquisizione dell’innovazione sono le prove dimostrative (34%) e le riunioni di approfondimento (29,5%). Hanno la stessa importanza, ma una bassa frequenza, le riviste, i convegni, i bollettini informativi (19,5%). Quasi inutilizzato Internet. Circa l’adeguamento necessario all’adozione delle innovazioni, i frutticoltori del cuneese non hanno avuto molti problemi. Solo un terzo ha dovuto far fronte ad adempimenti burocratici (tab. 6.25) per i quali l’aspetto più problematico è stato la produzione della documentazione necessaria. Il 63% degli intervistati non ha avuto nessun problema tecnico nell’attuare i cambiamenti e il 52% dichiara di non aver dovuto realizzare particolari adeguamenti. Coloro che hanno dovuto adeguare l’innovazione all’impresa (tab. 6.26) lo hanno fatto rispetto all’organizzazione e al tipo di prodotto (18%). I risultati ottenuti dai cambiamenti effettuati (tab. 6.27) sono stati coerenti con le aspettative. Infatti, al di là di un aumento di spese (59%) e di lavoro (41%) nel breve periodo, gli effetti delle innovazioni sono stati soprattutto l’aumento del reddito (59%), il miglioramento qualitativo del prodotto (50%) e la riduzione dei costi (27%). Un campanello d’allarme sembrano voler trasmettere le risposte dei frutticoltori quando vengono loro chiesti i disagi che incontrano in questo momento (tab. 6.28). Il più importante è la difficoltà a trovare personale competente (50%), quello successivo la difficoltà a vendere (43%). Si tratta di due elementi che possono bloccare in maniera significativa la spinta innovativa. Il percorso Il progetto e le reti di relazioni Le interviste e i gruppi focus hanno confermato l’esemplarità dell’esperienza frutticola della provincia di Cuneo rispetto alla efficacia del sistema della conoscenza locale. Nel caso della ricerca “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”, non è il progetto la sede delle relazioni fra i diversi soggetti coinvolti, infatti ad esso partecipano solo istituzioni di ricerca. Sono piuttosto i collegamenti stabili e strutturati fra le diverse componenti del sistema della conoscenza che fanno sì che i tecnici divulgatori siano periodicamente informati dei risultati della sperimentazione, che i produttori siano rappresentati insieme a vivaisti e altri operatori commerciali nel 157 tavolo in cui si programma l’offerta produttiva, in particolare la scelta varietale, e che il CreSo, oltre ad essere interlocutore specialistico di tutti i soggetti suddetti, è autorevolmente presente nel panorama della ricerca nazionale e internazionale. Un altro elemento da sottolineare è che ciascun soggetto svolge il suo ruolo senza confondersi con gli altri o inventarsi competenze non proprie;, gli sperimentatori del CreSo non hanno rapporti continuativi con gli imprenditori (se non con quelli che ospitano le sperimentazioni), tali rapporti sono delegati ai tecnici i quali a loro volta non hanno rapporti con le istituzioni finanziatrici (MIPAF e Regione) o con le altre istituzioni di ricerca. In qualche caso questo aspetto viene vissuto dai tecnici come una diminutio (… al CreSo siamo coinvolti … invece molta sperimentazione regionale viene fatta a nostra insaputa…). In realtà, sono problematiche che sono facilmente risolte rendendo più consapevoli i tecnici dell’intera organizzazione e della logica che la governa. I contenuti tecnici L’importanza della selezione varietale per la frutticoltura cuneese è stata ribadita da tutti i contattati, come è stato verificato che si tratta di un’innovazione matura per la maggioranza dei frutticoltori. In alcuni casi si impiantano anche varietà diverse da quelle consigliate nelle liste per avere una maggiore varietà di produzione o per collocazioni particolari dell’azienda (… i produttori utilizzano le varietà consigliate, magari ampliando un po’ la gamma, chiedendo consiglio ai tecnici, perchè in certe zone è meglio mettere una varietà meno bella , ma un po’ più rustica …) C’è una grande fiducia nel CreSo e nella rete di tecnici (…tengo il volume del CreSo sul trattore…) e c’è disponibilità ad offrire spazi aziendali per le prove sperimentali. Uno sviluppo ulteriore proposto da più di un interlocutore riguarda l’opportunità di avviare in zona l’attività di costituzione delle varietà invece di verificare l’adattamento di varietà costituite altrove; se ne guadagnerebbe in termini di inserimento nel territorio. Strumenti e modalità di divulgazione Le informazioni circolano secondo modalità diverse e sono sempre a disposizione degli interessati. Vengono infatti predisposti opuscoli informativi, si organizzano riunioni e prove dimostrative. I campi sperimentali sono sempre visitabili e comunque fanno parte del territorio frequentato dagli imprenditori. 158 6.5 Ricerca “Confronti varietali di I e II livello in orticoltura” Diffusione dell’innovazione Dati strutturali del campione n. aziende Età conduttore: fino a 40 anni dopo 40 anni Data costituzione: prima 1960 tra 1960 e 1990 dopo il 1990 39 8 31 2 Superficie aziendale: meno 1 ha 1- 5 ha Più di 5 ha Aziende che hanno effettuato cambiamenti 3 12 24 30 23 12 L’innovazione più adottata dalle imprese che hanno effettuato cambiamenti negli ultimi 5 anni è quella varietale ( tab. 6.29) introdotta dal 46% degli imprenditori, immediatamente seguita dalla modifica della quantità di antiparassitari (43%). Il turnover innovativo è medio con 2-3 innovazioni adottate per azienda. Le aziende intervistate coltivano 13 specie diverse di ortaggi compresi l’asparago, il fagiolo, il peperone e il pomodoro oggetto della presente analisi. Le varietà consigliate nelle liste sono presenti in: 1/6 di imprese che coltivano asparago, il 60% di quelle che coltivano fagiolo, l’80 % di quelle che coltivano peperone, l’85% di quelle che coltivano pomodoro. Le modifiche strutturali più importanti (tab. 6.30) hanno riguardato i trattori (56,6%), le macchine operatrici (50%) e le costruzioni per le produzioni (36,6 %). La motivazione che più frequentemente (tab. 6.31) è stata indicata quale stimolo ad introdurre le innovazioni è l’aumento del ricavo aziendale (46,7%) seguita con un peso analogo dalla riduzione dei costi, dal miglioramento della qualità della produzione e dall’adeguamento del prodotto alle richieste del mercato (33%). Se si analizzano le risposte rispetto alle classi di età del conduttore si nota che gli imprenditori più giovani privilegiano la qualità e l’adeguamento del prodotto, mentre il gruppo degli over 40 indicano l’aumento del ricavo aziendale e la riduzione dei costi. La scelta delle nuove varietà (tab. 6.32) viene effettuata soprattutto sulla base di un interesse personale (26,6%), seguito a breve distanza dal consiglio del tecnico (20%) e dall’imitazione di altri imprenditori (20%). Gli strumenti più utilizzati dagli orticoltori (tab. 6.33) sono i notiziari e le 159 riviste (46,7%) e le riunioni di approfondimento (43,3), seguite dalle prove dimostrative e dalle fiere locali (26,7%). L’impatto dell’impresa rispetto alle innovazioni, ed in particolare a quella varietale, (tab. 6.34) è stato molto tranquillo, perché circa il 60% delle imprese non ha avuto problemi legati ad adempimenti burocratici e più del 70% non ha avuto difficoltà tecniche. Inoltre le innovazioni non hanno richiesto particolari adeguamenti all’impresa nell’80% dei casi (tab. 6.35). Nell’indicare i risultati determinati dai cambiamenti gli orticoltori sono stati prodighi di risposte per gli effetti nell’immediato fornendo più di tre risposte per ognuno, mentre sono stati meno solleciti per quelli a lungo termine. L’effetto più rimarcato a breve è l’aumento delle spese (83%) seguito dal miglioramento qualitativo del prodotto (53%) e dalla diminuzione del reddito (40%). Nel lungo termine (tab. 6.36) solo il 36 % ha segnalato anche una risposta in termini di aumento di reddito e il miglioramento qualitativo sembra diminuire drasticamente (20%). Nell’analizzare le risposte si può notare che gli orticoltori rispondono con meno frequenze di risposte degli altri gruppi di intervistati quasi come se avessero meno interesse degli altri all’approccio innovativo o avessero più difficoltà ad inquadrarlo nelle sue componenti. Una risposta a tale sensazione può venire dall’analisi delle difficoltà che incontra l’impresa in questa fase (tab. 6.37): nell’83% dei casi la maggiore difficoltà è vendere, sia nel senso di trovare gli spazi di mercato che nel senso di spuntare prezzi remunerativi. Pertanto si conferma la precarietà e frammentarietà del settore segnalata in sede di analisi di scenario (cap. 2) e di approfondimento dell’innovazione (cap. 3). I percorsi Il progetto e le reti di relazioni L’attività realizzata dal CreSo per la verifica sperimentale delle varietà è un punto di riferimento importante per tutti i soggetti che sono coinvolti nella produzione e commercializzazione dei prodotti orticoli (ditte sementiere, organizzazioni professionali, società private di servizi). Le ditte sementiere concordano spesso con il responsabile CreSo delle prove sperimentali le varietà di cui va verificata la performance e gli forniscono il materiale per le prove. I tecnici partecipano a incontri di aggiornamento periodici e forniscono il loro supporto anche nella realizzazione delle prove. Le società 160 private si coordinano con il CreSo per le sperimentazioni da realizzare e per segnalare le imprese che sono disponibili ad ospitarle. Esiste pertanto una rete di relazioni che ruota attorno alla struttura di sperimentazione, anche se è caratterizzata da una organizzazione meno stabile e codificata di quella della frutticoltura, si fonda più sugli uomini che sulle strutture. Un tassello importante che manca è la rappresentanza imprenditoriale associata in quanto l’orticoltura piemontese non è riuscita a organizzarsi in forme associative di peso. Le istanze delle imprese vengono rappresentate dai tecnici. I contenuti tecnici I risultati delle prove varietali sono alla base dei principali consigli che i tecnici rivolgono all’impresa (…la sperimentazione in orticoltura è molto seguita dalle aziende agricole …abbiamo sempre una media di 30-40 persone che seguono le prove…). In particolare è riconosciuto importante l’impegno a verificare l’adattabilità delle varietà all’ambiente territoriale che dalle ditte sementiere sarebbe meno sentito. Alcune varietà locali continuano ad essere molto coltivate e sono veramente competitive, ma nella gran parte dei casi oggi sono utilizzati gli ibridi ed è su quelli che si fanno gran parte delle sperimentazioni. Le prospettive segnalate per l’innovazioni sono la diminuzione dei costi di produzione e la verifica e lo sviluppo di prodotti di IV gamma ancora poco diffusi in Piemonte e quindi solo da poco oggetto di sperimentazione (lattuga). Strumenti e modalità di divulgazione I tecnici si aggiornano nei coordinamento quindicinali con il CreSo e mediante le riviste specializzate La modalità più diffusa di divulgazione all’imprenditore è il rapporto diretto con il tecnico (…c’è una scarsa cultura del leggere…;…a Cuneo ho aziende che leggono poco…;…le informazioni le diamo in azienda non in ufficio, tanto in ufficio non ascoltano…) Un altro strumento efficace di rapporto sono le prove dimostrative. Tutti i soggetti contattati lamentano il ritardo con cui vengono stampati i risultati delle prove sperimentali rispetto alla chiusura delle prove stesse e alle necessità di impianto degli orticoltori. 161 6.6 Ricerca “ Caratterizzazione della Toma Piemontese” Diffusione dell’innovazione Dati strutturali del campione n. aziende Età conduttore: fino a 40 anni dopo 40 anni Data costituzione: prima 1960 tra 1960 e 1990 dopo il 1990 29 9 20 3 Quintali latte prodotto 100q in un anno: meno di 100 -500 q più di 500 q Aziende che hanno effettuato cambiamenti 15 10 4 25 19 7 I cambiamenti più significativi (tab. 6. 38) realizzati dalle aziende zootecniche produttrici di Toma intervistate sono stati la modifica della razza di bovini allevata (56%) e l’utilizzo della mungitura meccanica (56%), seguono l’adozione di nuovi sistemi per la refrigerazione del latte: il tank aziendale e l’acqua corrente (40%). Di importanza minore, ma comunque presenti, le modifiche alle altre fasi di produzione del formaggio quali la salatura a secco (20%), la cottura della cagliata (16)%, l’utilizzo di starter, la pressatura della cagliata, la salatura in salamoia (12%). Discreto il trend innovativo delle imprese che hanno fatto, tutte, tre cambiamenti e, qualcuna, quattro. I cambiamenti strutturali più frequenti (tab. 6.39) hanno riguardato l’ingrandimento delle costruzioni per le produzioni (84%), seguito dall’acquisto di trattrici (64%) e dall’acquisizione di terreni (56% affitto; 52% acquisto). Le motivazioni che hanno indotto all’adozione delle innovazioni (tab. 6.40) riguardano soprattutto il miglioramento della qualità del prodotto (88%) e adeguamento dell’impresa alle norme (84%). Analizzando questa informazione rispetto all’età degli intervistati si nota che la qualità pesa maggiormente fra i conduttori con meno di 40 anni, mentre l’adeguamento alle norme è più importante per coloro che hanno più di 40 anni. Le occasioni che hanno spinto e determinato le imprese a scegliere il cambiamento (tab. 6.41) nella lavorazione della Toma sono numerose, tuttavia la più frequentemente riferita è la frequenza a corsi di formazione (36%) seguita dal contatto con tecnici di diversa provenienza (20% - tecnici provinciali; 20% tecnici delle organizzazioni professionali; 16% tecnici dell’associazione produttori; 8% - tecnici comunità montana). Quasi insignificante l’interesse personale. Le riunioni di approfondimento sono gli strumenti di supporto indicati dagli 162 allevatori (tab. 6.42) come più efficaci per l’adozione delle innovazioni (60%) seguite dalle fiere locali (48%) e dai notiziari e le riviste (36%). Gli adempimenti burocratici (tab. 6.43) hanno avuto un peso rilevante sui cambiamenti apportati negli ultimi anni dalle aziende zootecniche (62%). Le difficoltà più segnalate riguardano la predisposizione della documentazione necessaria (52%) e i tempi lunghi per ottenere le autorizzazioni (40%). Sia queste risposte come quelle relative alle motivazioni del cambiamento rispondono in pieno a quanto emerso più volte nella fase iniziale dell’analisi circa l’emanazione, successiva alla realizzazione dello studio, di importanti norme nazionali e regionali relative all’adeguamento igienico e tecnologico degli allevamenti. Le difficoltà tecniche incontrate più di frequente dagli allevatori per l’adozione dei cambiamenti hanno riguardato la carenza di competenze tecniche in materia (36%) anche se una buona percentuale di intervistati ha dichiarato di non aver avuto tali difficoltà (32%). Importante anche l’adeguamento dell’innovazione all’impresa (tab. 6.44) che nella maggior parte dei casi è stata necessaria in relazione all’organizzazione dell’azienda (60%) e alle attrezzature (52%). Al contrario di altri settori, quindi, i cambiamenti innovativi apportati dagli allevamenti zootecnici piemontesi hanno trovato gli allevatori impreparati a fronteggiarli e hanno reso indispensabile l’intervento esterno (corsi di formazione, riunioni con i tecnici, ecc.). I risultati delle innovazioni introdotte hanno avuto un immediato effetto sulle qualità delle produzioni (per il 52% degli intervistati) e sull’aumento delle spese (per il 40%). Nel lungo periodo (tab. 6.45) invece l’effetto più significativo ha riguardato l’apertura di nuovi canali di vendita (40%), seguito dallo stabilizzarsi del miglioramento qualitativo del prodotto (24%) e dall’aumento del reddito (20%). Le difficoltà vissute dagli allevamenti produttori di Toma (tab. 6.46) in questa fase riguardano ancora l’adeguamento alle normative (48%), la mancanza di macchinari e attrezzature adeguate (32%) e la carenza di personale competente (28%). I percorsi Il progetto e le reti di relazioni Il progetto sulla valorizzazione della Toma è stato prima di tutto un evento di partecipazione dei diversi soggetti della filiera zootecnica legata alla produzione del 163 formaggio (….è stato il primo progetto che ci ha riuniti intorno ad un tavolo…questo modo di lavorare è servito per fare altri lavori con questa metodologia…). Inoltre, gli viene riconosciuto un importante ruolo di acquisizione di competenze da parte di tutti i componenti del gruppo di lavoro (…è stata un’opportunità per conoscere meglio il territorio e per entrare in contatto con le realtà produttive…; noi eravamo la ricerca quindi i risultati li avevamo in tempo reale….). I partecipanti al progetto hanno poi realizzato altre iniziative di sperimentazione e ricerca insieme. Attualmente le attività di ciascuno hanno preso un carattere di maggiore frammentarietà; tuttavia si nota che sul tema della Toma, anche a distanza di tempo, c’è una consonanza di vedute e di obiettivi anche fra soggetti con ruoli diversi. I contenuti tecnici Per alcuni, gli obiettivi del progetto erano poco realistici e quindi non si sono poi concretizzati: la Toma continua ad essere un formaggio a tipologia piuttosto varia e senza una particolare connotazione territoriale (…Toma è quasi un sinonimo di formaggio….; …un tempo si faceva la Toma e il furmagg, il secondo era più evoluto e si produceva per il mercato, la prima per consumo familiare…). Altri riscontrano invece una serie di effetti positivi dello studio sulla mentalità degli allevatori (almeno di quelli che hanno partecipato), una maggiore disponibilità in alcune valli ad introdurre innovazioni, una migliore uniformità delle forme e delle dimensioni. Un effetto indiretto segnalato riguarda la verifica del disciplinare della DOP, approvato prima dello studio, in quanto ne ha confermato alcuni aspetti tecnici e ha dato la possibilità di suffragare la necessità di apportare cambiamenti. Circa gli sviluppi futuri, un aspetto sul quale si è tutti concordi riguarda l’individuazione di starter locali. Strumenti e modalità di divulgazione Un elemento di carenza segnalato sia da coloro che hanno partecipato al progetto che da coloro che hanno usufruito dei risultati riguarda l’essersi limitati alle due pubblicazioni cartacee, la prima più scientifica , la seconda più divulgativa. Molti hanno segnalato la necessità di raggiungere le imprese che stanno ai margini e che producono Toma fuori dal disciplinare e con caratteristiche qualitative scadenti (…gli allevatori sono più sensibili agli interventi molto pratici, dove sono loro 164 a pasticciare con il latte…; gli allevatori meno moderni sono più difficili da muovere, a meno che non si vada a casa loro…). Tuttavia, dal confronto dei tecnici nel gruppo focus e dal contenuto delle interviste si è potuto evincere che ciascuno nell’ambito del proprio ruolo e delle proprie competenze ha svolto attività di divulgazione sulla materia. 6.7 Uno sguardo d’insieme ai risultati Ai fini della comprensione di quanto le imprese e agli altri operatori agricoli hanno acquisito e condiviso dei 6 progetti di ricerca, può essere di estrema utilità: 1. una verifica sintetica della loro performance basandosi su pochi indicatori, quelli più significativi in relazione agli obiettivi del presente studio; 2. un successivo confronto sinottico di ciascun percorso che consenta di evidenziarne gli aspetti chiave. Gli indicatori ritenuti più significativi sono i seguenti: - l’entità della diffusione delle innovazioni presso le imprese, - la rispondenza fra i motivi per cui sono state adottate e i risultati riscontrati; - le difficoltà incontrate dalle imprese in questa fase; - i rapporti instauratisi fra i soggetti dei diversi sistemi della conoscenza analizzati; - il giudizio che i diversi contesti hanno dato sui contenuti tecnici dell’innovazione; - gli strumenti di supporto per l’adozione utilizzati dagli imprenditori rispetto a quelli messi in campo dai divulgatori. Come si evince dal prospetto che segue (schema 6.1)8, le innovazioni pro8 Il prospetto riporta sinteticamente le risultanze quantitative e qualitative dell’indagine su campo. La “Diffusione dell’innovazione oggetto della ricerca” è misurata dalla percentuale di diffusione derivante dai dati del questionario, nel caso in cui l’innovazione interessata sia costituita da più componenti aventi ciascuna una sua percentuale di diffusione è stata indicata la media. I “Motivi del cambiamento”, anch’essi derivanti dall’analisi dei questionari, sono le tre motivazioni con maggior frequenza di risposta indicate dagli agricoltori quali spinte a innovare. I “ Risultati del cambiamento” corrispondono agli effetti dell’applicazione dell’innovazione oggetto di indagine riscontrati dagli imprenditori agricoli dopo un certo periodo di tempo; anche in questo caso vengono riportati i tre risultati con maggior frequenza di risposta (le percentuali indicate a fianco corrispondono alla differenza fra la frequenza riscontrata nei “Motivi” e quella riscontrata nei “Risultati). Le “Difficoltà attuali” sono quelle indicate nei questionari con la maggior frequenza. La “Presenza rete”, il “Riconoscimento validità contenuti tecnici” e la “Coerenza strategia di diffusione” è valutata in base a quanto emerso dalle interviste e dai gruppi focus mediante indicatori qualitativi sintetici (scarso, medio, buono, ottimo). Gli “Strumenti utilizzati dalle imprese” derivano dai dati risultanti dall’elaborazione dei questionari e corrispondono agli strumenti di informazione che gli agricoltori hanno dichiarato di utilizzare di più. La “Performance generale” è anch’esso un indicatore sintetico che mette l’accento sia sulle peculiarità positive sia sui punti critici del caso studio considerato. 165 poste dal progetto che confronta diversi sistemi colturali in cerealicoltura hanno avuto una diffusione piuttosto bassa fra gli imprenditori intervistati. Ad abbassare decisamente la percentuale di diffusione è l’innovazione relativa alla riduzione delle lavorazioni che, sulla base di quanto emerso nell’indagine su campo, non solo deve confrontarsi con una tradizione colturale molto sentita, ma non vede concordi tutti gli esperti della materia circa i suoi effetti sulla qualità della produzione finale. Pertanto, l’aspetto positivo di rispondere ad una indubbia necessità dell’impresa di ridurre drasticamente i costi, evidenziato nel capitolo delle ipotesi sulla diffusione (cap. 4), viene offuscato sia dalla mancata consapevolezza dell’imprenditore (…i tecnici non si preoccupano di sottolineare la convenienza economica agli imprenditori…) sia da messaggi non coerenti che l’imprenditore stesso riceve dai suoi diversi interlocutori (…alcune indicazioni del progetto sono in controtendenza rispetto alle risultanze di altre sperimentazioni…sembra che la non aratura comporti un maggiore carico di funghi e rischi di tossine…). Inoltre, l’elemento qualificante legato al partenariato molto partecipato si è rivelato carente di una componente della filiera, l’associazionismo produttivo, che non ha preso parte neanche a fasi successive di divulgazione (hanno soltanto ricevuto il materiale cartaceo finale) e, quindi, si è chiamato fuori dalla condivisione degli obiettivi. Permane comunque la segnalazione molto precisa da parte degli imprenditori circa le loro attuali difficoltà: prezzi non remunerativi, carenza canali di mercato, adeguamento alle normative. Tali indicazioni invitano a continuare a perseguire gli obiettivi che il progetto aveva individuato curando maggiormente gli aspetti della condivisione degli scopi (sia con gli imprenditori che con i soggetti della filiera). I consigli emersi dallo studio sulla valorizzazione del Canavese rosso DOC non sembrano essere conosciuti dalle imprese interessate alla produzione di questo vino perché i risultati della sperimentazione non sono stati oggetto di divulgazione, almeno a livello locale. Tuttavia, al di là di questa difficoltà facilmente sanabile, l’indagine su campo ha rilevato un contesto in crescita, ben consapevole delle proprie potenzialità (buon vino) e dei punti deboli (carenza sbocchi di mercato). Il retroterra istituzionale locale sembra sostenere il processo in corso con gli strumenti adeguati (Tavoli di confronto, progetti di assistenza tecnica) consapevole delle necessità economiche e sociali che richiedono il mantenimento dell’insediamento umano in certe aree interne. L’utilizzo di materiale certificato per la realizzazione dei nuovi impianti è 166 prassi consueta per la maggior parte dei viticoltori intervistati. Pertanto l’attività di selezione clonale sostenuta da tempo dalla Regione Piemonte ha avuto effetti sicuramente positivi nei comportamenti produttivi degli imprenditori. Come di norma avviene con una innovazione matura, l’intero settore è ora in tensione per acquisire ulteriori margini di miglioramento dall’innovazione adeguandola alle nuove necessità (uso della micropropagazione per ridurre i tempi, selezioni clonali su vitigni locali, maggiori disponibilità di materiale certificato). Inoltre, contrariamente a quanto ipotizzato nel capitolo 4, il confronto con i soggetti del contesto ha fatto emergere una richiesta di coordinamento e di “rete” che non sembrava necessaria ad una prima analisi e che si spiega con la necessità del settore vitivinicolo piemontese di sostenere un’elevata competitività di mercato. Le difficoltà evidenziate - l’adeguamento alle normative e la carenza di personale specializzato - necessitano anch’esse di interventi di sostegno e di promozione che richiedono una regia pubblica e un coordinamento fra tutte le componenti della filiera. L’attività di selezione varietale in frutticoltura ha confermato tutte le aspettative già emerse nei precedenti capitoli. E’ sicuramente un caso esemplare di funzionamento del sistema della conoscenza secondo uno schema relazionale. Come si può notare dal prospetto, oltre ad un’ottima diffusione, è notevole: la consonanza fra le motivazioni che hanno indotto gli imprenditori al cambiamento e gli effetti a lungo termine dell’introduzione dell’innovazione, il riconoscimento dei contenuti tecnici dell’attività di sperimentazione, l’uso e la partecipazione alle attività di approfondimento e di dimostrazione. Occorrerebbe quindi cercare di non disattivare il percorso virtuoso instauratosi e utilizzarlo come caso di riferimento per programmare interventi analoghi in altri settori (buona prassi). Naturalmente, gli equilibri fra le componenti del sistema della conoscenza della filiera frutticola cuneese è anche il risultato di alcune combinazioni fortunate fra le quali le più evidenti sono: la dimensione non troppo vasta dell’areale di riferimento, la particolare dinamicità del tessuto imprenditoriale, la vicinanza alle imprese della struttura di sperimentazione. La selezione varietale in orticoltura ha avuto anch’essa una buona risposta da parte delle imprese con una diffusione media dell’innovazione accompagnata dal riconoscimento della validità dei contenuti tecnici da parte degli operatori del settore. Anche i rapporti fra le componenti del sistema della conoscenza e l’attività di divulgazione sono di buon livello, tuttavia risentono, come segnalato anche in 167 altre parti dello studio, di un approccio tradizionale e poco strutturato cioè che coinvolge più le singole persone che le istituzioni di riferimento. Tuttavia, tale impostazione è causa diretta delle caratteristiche che assume il settore orticolo nell’ambito dell’agricoltura piemontese e del tessuto imprenditoriale che lo compone. Si tratta infatti di un settore poco organizzato, soprattutto per gli aspetti legati alla commercializzazione, che produce molto per il fresco e per i mercati locali o vicini, i cui imprenditori non hanno ancora acquisito un atteggiamento competitivo adeguato (almeno nella media). Le problematiche specifiche del settore orticolo, quindi, richiederebbero un intervento, a monte del sistema della conoscenza, che ne affronti i nodi strutturali e preveda forti incentivi per la modernizzazione. Durante l’indagine su campo alcuni testimoni intervistati individuavano alcuni prodotti orticoli come idonei sostituti di prodotti in crisi o possibili integrazioni delle rotazioni, tuttavia il Piemonte ha indubbie difficoltà legate alle condizioni pedoclimatiche per competere con Paesi che riescono ad arrivare sul mercato con molto anticipo o ad allungare molto i calendari di maturazione. L’effetto sulle imprese zootecniche di montagna dello studio sulla caratterizzazione della Toma è stato molto ridotto. Come si evince dalle tabelle relative, l’evoluzione delle imprese zootecniche negli ultimi anni è stata importante, ma ha riguardato soprattutto altri aspetti dell’attività produttiva. La spinta più incisiva al cambiamento è stata determinata dalle leggi che sono state approvate poco dopo la conclusione del progetto e che hanno indotto le imprese, anche con incentivi finanziari, ad adeguare le proprie strutture e la propria tecnologia produttiva a criteri di maggiore igiene e salubrità da un lato e di maggiore efficienza dall’altro. Lo studio sulla Toma è un tipico strumento informativo finalizzato al supporto dei decisori pubblici e soprattutto degli amministratori locali. Per come è stato condotto, poi, a questo obiettivo si è aggiunto quello di creare una rete fra gli operatori del comparto che consentisse loro di conoscersi e condividere conoscenze e competenze. L’esperienza realizzata insieme ha facilitato gli impegni successivi di tutti sia per le relazioni costruite che per le informazioni raccolte. Analizzando le riflessioni critiche emerse nei gruppi focus e nelle interviste in merito alla opportunità o meno di porsi il problema di caratterizzare un prodotto come la Toma, è possibile evidenziare che, spesso, in attività di studio che hanno l’obiettivo di valorizzare prodotti tipici e/o locali non è presa in considerazione la necessità di effettuare analisi di mercato per comprendere gli effettivi sbocchi commerciali del prodotto. 168 169 Riconoscimento validità contenuti tecnici Strumenti utilizzati dalle imprese Coeren za strategia di diffusione Performan ce generale Presen za rete Media Fiere Scarsa Buoni gli obiettivi Migliorare strategia comunicazione usando la rete presente Notiziari e riviste Fiere Riunioni approfond. Buona Buoni obiettivi Migliorare strategia di gestione e comunicazione Si, buona n.d. Miglioram. qualità Nuovi canali vendita Miglioram. qualità Aumento ricavo Scarsa Valorizzazion e Canavese rosso DOC Viticoltura Medio Miglioramento qualità Aumento reddito (-22,2) Riduzione spese ( -33,3) Vendere a prezzi remunerativi Adeguamento alle normative Si , parziale Risultati del cambiamento Difficoltà attuali Aumentare ricavo Ridurre i costi Migliorare qualità 26,6% Motivi del cambiamento Diffu sione dell’innovazione oggetto della ricerca Sistemi colturali a diversa in ten sità Cerealicoltura Schema 6.1 - Quadro sinottico dei risultati Ottimi obiettivi Aggiornare la tecnica Costruire la rete Notiziari e riviste Prove dimostrative Riunioni approfond. Media Buono Si, parziale Adeguamen. norm ative Carenza personale competente Miglior. qualità (-37,7) Riduzione spese (-28) Migliorare qualità Adeguamento norme Riduzione costi 89% Selezioni clonali in viticoltura Viticoltura Ottima esperienza Utilizzare come buona prassi Ottima Prove dimostrative Riunioni approfond. Ottimo Si, ben strutturata Aumento reddito (+2,3) Miglioram. qualità (+2,3) Riduzione costi Carenza personale competente Vendere Aumentare r icavo Migliorare qualità Adeguamento mercato 79,5% Liste di orientamento varietale Frutticoltura Buoni obiettivi Strutturare rete Ridurre tempi comunicazione risultati Buona Notiziari e riviste Riunioni approfond. Buono Si, buona Vendere Aumentare ricavo Riduzione costi Miglior. qualità Adeguam. mercato Aumento del reddito (-10) Miglior. qualità (-13) 46% Liste di orientamento varietale Orticoltura Buona esperienza di Verificare obiettivi r alle esigenze mercato Buona Riunioni approf. Fiere Media Adeguam. norm ative Carenza macchinari Carenza personale competente Si, buona Nuovi canali vendita Miglioram . qualità Miglioram . qualità Adeguam. norme 18,6% Caratt erizzazione piemontese Caseificazione 6.8 Problematiche aperte L’analisi del materiale raccolto attraverso le interviste, i gruppi focus e i questionari alle imprese consente di svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul sistema regionale di ricerca, sperimentazione e trasferimento delle innovazioni; alcune sono relative al contesto operativo e alle modalità con cui le innovazioni vengono trasferite agli imprenditori e da questi adottate, altre, invece, concernono più in generale il sistema dei servizi. Gli imprenditori agricoli piemontesi e le innovazioni Nonostante il campione di imprese intervistate non possa dirsi rappresentativo dell’intero tessuto imprenditoriale piemontese perché selezionato con altri criteri, ci sono alcune evidenze emerse globalmente dai questionari che appare utile sottolineare. Dei 254 imprenditori intervistati 206 hanno apportato cambiamenti strutturali e ai processi produttivi negli ultimi 10 o 5 anni, cioè il 81% del campione. I cambiamenti strutturali più diffusamente realizzati riguardano il parco macchine: il 67% delle imprese intervistate ha cambiato il trattore, il 52,4% ha acquistato una macchina operatrice. Seguono l’acquisto di terreni 48,5% e l’ingrandimento delle costruzioni per le produzioni 47,5%. Il numero di cambiamenti medi per azienda è pari a 3. Le motivazioni che hanno determinato l’introduzione delle innovazioni (tab. 6.47) sono molteplici, almeno 2 o 3 per impresa, e riguardano: il miglioramento qualitativo del prodotto (60,6%), l’aumento del ricavo (46,6%), la riduzione dei costi (34%). La diminuzione dell’inquinamento interessa il 25,7% degli imprenditori. Se si analizzano le motivazioni con riferimento alle classi di età si può notare una differente, anche se contenuta, distribuzione delle risposte: per quelli più giovani la motivazione legata a miglioramento della qualità del prodotto risulta prevalente in percentuale maggiore (26.5%) rispetto agli altri (23%). Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati per informarsi (tab. 6.50), le scelte degli imprenditori sembrano diverse da quelle segnalate dai tecnici che, in ogni gruppo focus, hanno sostenuto la assoluta inefficacia del testo scritto come materiale di divulgazione. Infatti, gli imprenditori hanno dichiarato di prediligere i notiziari e le riviste nel 40,2% dei casi e le riunioni di approfondimento nel 34,4% dei casi. Non sembrano esserci differenze significative fra le classi di età se non in due 170 casi: gli imprenditori più giovani utilizzano di più internet (8,9%) rispetto a quelli con più di 40 anni (1,9%), che invece frequentano di più le fiere locali (17,7% contro 8,2%). Un altro elemento di un certo interesse è la constatazione che la gran parte delle imprese dichiara di non aver avuto particolari difficoltà tecniche (tab. 6.53) ad attuare i cambiamenti (59,7%), solo il 19% si è reso conto di non conoscere tutti gli aspetti tecnici necessari. I risultati dell’introduzione delle innovazioni nel lungo periodo (tab. 6.56) hanno sostanzialmente confermato le aspettative, anche se con una percentuale inferiore rispetto alle attese (vedi motivazioni). Infatti il 41,2% degli intervistati ha riscontrato un miglioramento della qualità, il 32% un aumento del reddito, il 15,5% una riduzione delle spese. Riguardo i disagi incontrati dalle imprese (tab. 6.59) in questa fase, le segnalazioni con più frequenze riguardano le difficoltà a vendere (32%) e l’adeguamento alle normative (31%). Questo quesito è quello che ha riscontrato il maggior numero di risposte diverse da quelle indicate (Altro - 33,4%), ma, se si analizzano le risposte libere, esse riguardano essenzialmente il basso prezzo di vendita dei prodotti. Il panorama generale che emerge è quello di un tessuto imprenditoriale dinamico e consapevole che sa di dover puntare alla qualità delle produzioni, ma anche di dover ridurre le eventuali pratiche inquinanti, che si informa prima di adottare un’innovazione ed ha un rapporto continuativo con i tecnici che operano nel territorio. Anche le difficoltà segnalate sono quanto mai vicine ai nuovi indirizzi di sviluppo dell’agricoltura in quanto da un lato richiedono maggiore competitività e dall’altro sottolineano una esigenza di supporto per la legalità. Il sistema della conoscenza per l’agricoltura piemontese Per quanto riguarda il sistema regionale, emerge un generale apprezzamento per le modalità con cui i progetti analizzati sono stati realizzati, in particolare per quanto riguarda la possibilità data ai diversi soggetti di lavorare insieme. La rete di relazioni costruita attorno ai progetti e in alcuni casi proseguita nella fase successiva alla loro conclusione rappresenta, infatti, un elemento di novità rispetto alle esperienze precedenti di sperimentazione e trasferimento delle innovazioni in campo agricolo nel contesto piemontese, come anche più in generale in Italia. I servizi di sviluppo italiani sono infatti caratterizzati dalla segmentazione dei 171 diversi ambiti di intervento e dalla mancanza di reti significative tra soggetti9, a differenza di altri paesi europei ed extra-europei, in cui esistono dei network tra ricercatori, advisor (divulgatori e consulenti), formatori per affrontare in modo sistematico le problematiche rilevanti dei settori e dei territori. In alcuni casi, tale approccio è stato considerato come l’elemento più significativo dei progetti analizzati: la prima grande importanza che ha avuto questa sperimentazione (sistemi colturali) è stata quella di riunire le forze presenti in agricoltura... Si è dimostrato che si può lavorare insieme spendendo i soldi pubblici a beneficio un po’ di tutti. E ancora: c’era un obiettivo esplicito ed altri impliciti, quello esplicito lo condividevamo e abbiamo partecipato anima e corpo. L’obiettivo implicito era la prima volta che lavoravamo insieme, tecnici di diverse organizzazioni e tecnici di diversi livelli della ricerca e sperimentazione. C’è stato un ritorno che va al di là del risultato portato all’azienda agricola. In particolare, viene vista in modo molto positivo la partecipazione dei tecnici al processo di sperimentazione, soprattutto per la conseguente facilità di comunicazione dei risultati alle imprese: secondo me questo fatto di coinvolgere direttamente gli operatori anche più a valle, le cooperative, le altre strutture interessate a divulgare le cose, è importante. Nelle sperimentazioni in cui noi (tecnici) siamo parte in causa, noi ci lavoriamo direttamente e poi divulghiamo con più facilità. Tuttavia, al di là della generalizzato apprezzamento per le modalità con cui sono impostati i progetti, in più di un caso sembra emergere una presa di distanza di tecnici e operatori dagli obiettivi tecnici operativi. In altre parole, l’organizzazione e il metodo di lavoro non sembrano essere direttamente collegati all’efficacia dei progetti, non sembrano portare a giudizio di tutti a un risultato certo in termini di impatto sull’agricoltura e di miglioramenti tecnici. Ci sembra, quindi, di poter affermare che un nodo ancora da sciogliere e su cui investire nei prossimi anni potrebbe essere proprio quello della maggiore integrazione tra metodologie di lavoro e aspetti tecnici dei progetti di ricerca, sperimentazione e trasferimento delle innovazioni, al fine di introdurre sì nuove metodologie di lavoro, ma anche assicurare che gli investimenti producano gli auspicati cambiamenti nell’agricoltura regionale. Tra l’altro, questo aspetto emerge anche nelle considerazioni di alcuni inter- 9 Si veda in proposito: INEA “Il sistema della conoscenza in agricoltura”, I quaderni del POM, Roma 2001 172 vistati per quanto riguarda le modalità di individuazione delle priorità di ricerca e sperimentazione: ...In questo momento c’è parecchio investimento in ricerca e sperimentazione, ma è molto polverizzato. Secondo me, manca un criterio per identificare i problemi strategici e le priorità. La collaborazione tra i diversi soggetti, dunque, potrebbe essere un valido strumento anche per la concertazione degli obiettivi strategici della ricerca regionale, oltre che un supporto per la realizzazione degli stessi. Tale collaborazione, tuttavia, dovrebbe configurarsi come fattiva e basata su relazioni tra i soggetti che effettivamente si occupano del settore e non fermarsi ad un livello “troppo politico”: …i tavoli tecnici sono tavoli politici. Un altro aspetto che può essere affrontato in un’ottica generale è quello del ruolo dei tecnici e dei divulgatori all’interno dei progetti presi in esame. Essi, pur affermando di aver coscienza dell’importanza del proprio ruolo come livello di mediazione tra la ricerca e l’azienda agricola (…transito di informazioni…), mettono spesso in evidenza le difficoltà ad operare in maniera adeguata per una serie di difficoltà presenti nel sistema. In primo luogo, esiste un problema di gestione delle risorse umane all’interno del sistema piemontese dei servizi, riscontrabile peraltro anche in altre situazioni regionali in cui i servizi non sono gestiti completamente dalla struttura pubblica, ma prevedono il coinvolgimento di altri soggetti del territorio: il frequente turn over dei tecnici, infatti, non permette di contare su una qualificazione professionale adeguata né su un rapporto continuativo con gli imprenditori, entrambe premesse per un lavoro di consulenza e divulgazione efficace. …Nelle sperimentazioni lunghe anche i tecnici cambiano. Poi con la Misura L (Avviamento di servizi di assistenza alla gestione) c’è un turn over pazzesco di tecnici, appena uno trova di meglio se ne va e i tecnici vengono sostituiti da ragazzi che non sono più in grado di rivestire quel ruolo di spessore che avevano i vecchi tecnici con esperienza…. L’organizzazione stessa del lavoro, in questo senso, risulta più difficile rispetto a situazioni di stabilità e coerenza nella gestione del personale. Per fare un esempio, in situazioni di carenza di personale preparato, il tecnico che si forma sul campo e acquisisce competenze tecniche e metodologiche viene spesso spostato dalla consulenza in azienda per occuparsi di progettazione o coordinamento di gruppi di lavoro o di progetti specifici, lasciando un vuoto nell’assistenza tecnica. Oppure, il tecnico che ha maggiori competenze viene spesso utilizzato in situazioni di eccellenza, lasciando le situazioni più difficili ai tecnici meno preparati. 173 Ad esempio, ... più si va in comparti marginali come il cerealicolo, più i tecnici sono marginali anche loro; mentre dal punto di vista della collettività i tecnici migliori dovrebbero essere a contatto con le aziende che incontrano più difficoltà. Non si può inoltre tralasciare il ruolo che spesso i tecnici si trovano a svolgere nel disbrigo delle pratiche e nella presentazione delle domande per i finanziamenti, sminuendo così il ruolo dell’assistenza tecnica in agricoltura. ...Da quando c’è la Misura L del PSR 2000-2006 c’è stato uno svuotamento progressivo dell’attività di assistenza tecnica... Noi dovremmo esercitare un controllo sull’attività di assistenza tecnica, ma oggi molti tecnici sono ridotti a fare assistenza gestionale alle aziende, compilazione dei 740, ecc. Il problema delle attività amministrative, d’altra parte, appartiene in misura variabile a tutti i sistemi regionali, anche laddove le attività vengono svolte in prevalenza dal pubblico (agenzie di sviluppo e assessorati). Dopo un investimento iniziale da parte delle Regioni in questo tipo di intervento, infatti, è seguito un periodo, che ormai dura da qualche anno, in cui ai tecnici non viene riconosciuto un ruolo preciso all’interno del sistema. …In generale negli ultimi 5 o 6 anni c’è un accanimento burocratico su tutti i settori che ha ridotto il rapporto diretto in campo con le aziende. Il rapporto diretto con le aziende è legato alla propensione personale dei tecnici, che se ne hanno voglia a qualunque costo lo mantengono. Il passaggio di competenze alle Province avvenuto in Piemonte, inoltre, non sembra aver facilitato l’organizzazione del lavoro e l’efficacia del servizio, come probabilmente era nell’intento del legislatore. …Eravamo riusciti a mettere in piedi all’inizio degli anni ’90 un sistema di attività dimostrative, organizzato in modo sistematico. Era un modo per rendersi conto di come i tecnici lavoravano. Poi chiaramente, con il passaggio alle province, si è provincializzato un po’ tutto. Il problema che emerge è quindi quello del ruolo dei servizi di sviluppo all’interno dell’organizzazione più generale delle politiche regionali. Essi, infatti, non sono evidentemente considerati uno strumento significativo della politica agricola, ma vengono utilizzati in maniera disorganica rispetto alle strategie regionali, con un ruolo marginale e di supporto più interno all’organizzazione che esterno, verso le imprese e i territori. …C’era un gruppo di tecnici bravi e quello che si sente è la mancanza di direttive, di garanzia per il futuro. C’era un gruppo di tecnici molto bravi che lavo174 ravano o per il pubblico o per il privato, ma adesso hanno fatto scelte diverse. O sono andati a lavorare per le cooperative o avevano l’azienda alle spalle e sono andati a lavorare nella propria azienda. Se fossero stati supportati e se avessero visto delle prospettive e un’attività coordinata, la maggior parte di questi sarebbe senz’altro rimasta... Manca forse a livello politico la capacità di capire l’importanza dell’assistenza tecnica e della divulgazione. In questa fase di disorientamento conseguente all’introduzione della Riforma di medio termine, inoltre, si può individuare una nuova fase di crisi dei servizi di sviluppo, nella quale i tecnici trovano difficoltà a capire quale nuovo ruolo devono svolgere. La nuova politica europea, infatti, chiede alle imprese di muoversi secondo una logica diversa dal passato, lasciando maggiori spazi di manovra all’interno del mercato, soprattutto in relazione alla scelta della produzione e alla sua collocazione sul mercato. I servizi di sviluppo, di conseguenza, sono portati a rivedere il proprio ruolo e a intervenire su aspetti diversi dal passato. In particolare, in questo quadro, assumono maggiore rilevanza gli aspetti economici dell’azienda rispetto a quelli tecnici agronomici. L’imprenditore, infatti, deve ragionare in maniera più evidente che in passato sulle scelte strategiche della propria azienda, sui mercati e i target di riferimento, sulle possibili integrazioni e interazioni con gli altri settori economici sia in un’ottica di filiera sia in un’ottica di sviluppo territoriale integrato. A questo proposito occorre ricordare che le risorse umane che compongono i servizi di sviluppo delle regioni italiane provengono essenzialmente da una formazione di tipo agronomico, che da sempre ha privilegiato gli aspetti tecnici rispetto a quelli economici. ….A noi manca la capacità progettuale strategica, cioè la parte di consulenza relativa agli investimenti e alla crescita dell’azienda. Occorre, quindi, pensare a un sistema di formazione e aggiornamento dei tecnici che permetta l’adeguamento delle competenze alla nuova situazione. Tale adeguamento, tuttavia, non può prescindere da un ripensamento più generale dei servizi e da una seria riorganizzazione degli stessi. Quando, infatti, ad un’attività di formazione non si accompagna un adeguato processo organizzativo, il risultato è spesso di molto inferiore alle aspettative e alle risorse investite, producendo, in alcuni casi, situazioni di difficile gestione e scarsissima efficacia. I tecnici appaiono nel complesso preoccupati dalle prospettive future, perché non sembrano certi gli sviluppi né per quanto riguarda la numerosità del personale: ….nei prossimi anni diminuirà il numero dei tecnici sul territorio, non 175 ci saranno i fondi, quindi verrà modificata l’esportazione dei dati dalla sperimentazione nel medio e lungo periodo, mentre ora ha una ricaduta molto veloce perché siamo un certo numero… né per quanto riguarda il ruolo e la competenza:…in futuro ci saranno gruppi di aziende che si riuniranno per avere assistenza tecnica di altro tipo; ... infatti, dal ruolo di assistenza tecnica siamo passati a quello di consulenza ... scomparendo la figura del tecnico sarà penalizzata l’azienda piccola che non potrà permettersela. È molto sentita, quindi, la mancanza di un indirizzo chiaro per il futuro; tale mancanza può sicuramente incidere sull’impegno dei tecnici e sull’efficacia del loro lavoro. Diventa perciò importante prevedere a breve termine una fase di ripensamento dei servizi che coinvolga il personale attivo sia nell’amministrazione pubblica (Regione e Province) sia nelle organizzazioni professionali che operano nel sistema. Tale lavoro dovrebbe essere finalizzato alla messa in comune delle problematiche rilevanti del settore e all’individuazione di possibili percorsi condivisi per la riorganizzazione del sistema stesso. Altri percorsi, che non prevedano il coinvolgimento dei diretti interessati, potrebbero rischiare di aumentare il disorientamento e la distanza dei tecnici dalle decisioni dei vertici, con un conseguente ulteriore indebolimento dell’organizzazione complessiva. 176 APPENDICE STATISTICA I RISULTATI DELL’INDAGINE SU CAMPO: AZIENDE CEREALICOLE Tab. 6.1 – Cambiamenti effettuati nella fase della rotazione Ha cambiato semente:varietà Ha cambiato semente:modalità di acquisto Ha modificato le lavorazioni del terreno:ridotte Ha modificato le lavorazioni del terreno:aumentate Ha introdotto il sovescio? Ha modificato le concimazioni:quantità di concime aumentata Ha modificato le concimazioni:quantità di concime diminuita Ha modificato le concimazioni:modalità di concimazione Ha modificato il diserbo:quantità di diserbante diminuita Ha modificato il diserbo:modalità di diserbo Ha modificato l'irrigazione:quantità di acqua Ha modificato l'irrigazione:modalità di irrigazione Ha modificato la raccolta:utilizza contoterzismo Ha modificato la raccolta:utilizza macchinari propri NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 24 4 6 1 4 4 16 9 14 11 7 5 4 3 112 % 53 9 13 2 9 9 36 20 31 24 16 11 9 7 302 % 21 4 5 1 4 4 14 8 12 10 6 4 4 3 100 % 33 58 64 58 13 35 15 276 % 12 20 23 21 5 13 6 100 Tab. 6.2 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda Ha acquisito terreni in affitto Ha acquisito terreni in acquisto Ha comprato macchine trattrici Ha comprato macchine operatrici Ha ingrandito costruzioni per la famiglia Ha ingrandito costruzioni per le produzioni Ha cambiato una o due tipologie di produzione NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 15 26 29 26 6 16 7 125 179 Tab. 6.3 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA' ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 25 55,6 22 48.9 22 48.9 9 20.0 11 24.4 5 11.1 14 31.1 9 20.0 117 260.0 45 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 11 24,4 14 31,1 9 20.0 13 28.9 13 28.9 9 20.0 4 8.9 5 11.1 6 13.3 5 11.1 2 4.4 3 6.7 3 6.7 11 24.4 3 6.7 6 13.3 51 113.3 66 146.7 45 45 Tab. 6.4 - Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle lavorazioni del terreno? Contattato da un tecnico dell'org. professionale Contattato da un tecnico dell’assoc. produttori Contattato da un tecnico privato Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia Frequenta centri di sperimentazione Ha partecipato a prove dimostrative Ha partecipato a incontri divulgativi Aveva interesse personale Altro NUMERO RISPOSTE DATE 180 N. 1 1 2 1 3 2 2 1 4 2 4 7 30 % 2 2 4 2 7 4 4 2 9 4 9 16 67 % 3 3 7 3 10 7 7 3 13 7 14 23 100 Tab. 6.5 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle concimazioni? Contattato da un tecnico regionale Contattato da un tecnico dell'org. professionale Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori Contattato da un tecnico privato Ha contattato un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia Frequenta centri di sperimentazione Ha partecipato a prove dimostrative Ha partecipato a incontri divulgativi Aveva interesse personale Altro NUMERO RISPOSTE DATE N. 1 2 2 5 5 2 7 2 1 1 6 5 5 7 51 % 2 4 4 11 11 4 16 4 2 2 13 11 11 16 115 % 2 4 4 10 10 4 13 4 2 2 12 10 10 13 100 Tab. 6.6 - Quali strumenti l'hanno aiutata? NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 24 53.3 10 22.2 18 40.0 13 28.9 18 40.0 11 24.4 6 13.3 11 24.4 111 246.7 45 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 10 22.2 14 31.1 6 13.3 4 8.9 3 6.7 15 33.3 5 11.1 8 17.8 2 4.4 16 35.6 5 11.1 6 13.3 5 11.1 1 2.2 6 13.3 5 11.1 42 93.3 69 153.3 45 45 181 Tab. 6.7 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti? Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta Ottenere certificazioni Tempi lunghi per la documentazione Ottenere il finanziamento del progetto Nessuna Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 6 2 8 5 14 2 37 % 13 4 18 11 31 4 82 % 16 5 22 14 38 5 100 Tab. 6.8 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati necessari alcuni adeguamenti? N. Nessun adeguamento 18 Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda 8 Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso 15 Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto 8 Altro 1 NUMERO DI RISPOSTE DATE 50 % 40 18 33 18 2 111 % 36 16 30 16 2 100 Tab. 6.9 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA TOTALE BASE PERCENTUALE 182 TOTALE nr % 21 46.7 11 24.4 4 8.9 5 11.1 12 26.7 7 15.6 5 11.1 2 4.4 2 4.4 69 153.3 45 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 11 24.4 10 22.2 5 11.1 6 13.3 2 4.4 2 4.4 2 4.4 3 6.7 7 15.6 5 11.1 3 6.7 4 8.9 3 6.7 2 4.4 2 4.4 0 0.0 1 2.2 1 2.2 36 80.0 33 73.3 45 45 Tab. 6.10 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 15 33.3 10 22.2 11 24.4 2 4.4 22 48.9 60 133.3 45 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 4 8.9 11 24.4 2 5 2 6 19 45 4.4 11.1 4.4 13.3 42.2 8 6 0 16 41 45 17.8 13.3 0.0 35.6 91.1 AZIENDE VITIVINICOLE Tab. 6.11 – Cambiamenti effettuati nelle fasi della coltivazione N. Ha modificato vitigni 20 Ha acquistato materiale certificato - cartellino blu 51 Ha modificato l'impianto: quantità di piante per ettaro 19 Ha modificato l'impianto: modo di allevare le piante 5 Ha modificato la forma di allevamento/potatura 29 Ha modificato gli interventi in verde: manuale 11 Ha modificato gli interventi in verde: meccanica 31 Ha modificato le lavorazioni: ridotte (inerbimento) 26 Ha modificato le lavorazioni: organizzate differentemente 17 (attrezzo e ordine) Ha modificato le concimazioni: quantità 34 Ha modificato le concimazioni: modalità di concimazione 34 Ha modificato il diserbo: quantità 27 Ha modificato il diserbo: modalità di diserbo 34 Ha modificato i trattamenti parassitari: quantità 30 Ha modificato i trattamenti parassitari: modalità di distribuzione 37 Ha modificato la raccolta: automezzi di proprietà 27 Ha modificato acquirente delle produzioni: conferisce a cantina sociale 11 Ha modificato acquirente delle produzioni: vende in proprio 20 Vende vino sfuso 18 Vende vino imbottigliato 22 NUMERO DI RISPOSTE DATE 503 % 35 89 33 9 51 19 54 46 30 % 4 10 4 1 6 2 6 5 4 60 60 47 60 53 65 47 19 35 32 39 882 7 7 5 7 6 7 5 2 4 4 4 100 183 Tab. 6.12 - Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda Ha acquisito terreni in affitto Ha acquisito terreni in acquisto Ha comprato macchine trattrici Ha comprato macchine operatrici Ha ingrandito costruzioni per la famiglia Ha ingrandito costruzioni per le produzioni Ha cambiato una o due tipologie di produzione NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 20 39 50 29 16 29 14 197 % 35 68 88 51 28 51 25 346 % 10 20 25 15 8 15 7 100 Tab. 6.13 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA' ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE 184 TOTALE nr % 19 33,3 21 36,8 46 80,7 7 12,3 23 40,4 10 17,5 17 29,8 4 7,0 147 257,9 57 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 4 7,0 15 26.3 7 12,3 14 24.6 12 21,1 34 59.6 3 5,3 4 7.0 8 14,0 15 26.3 1 1,8 9 15.8 6 10,5 11 19.3 1 1,8 3 5.3 42 73,7 105 184.2 57 57 Tab. 6.14 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente al nuovo vitigno da impiantare? Contattato da un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico provinciale Ha contattato un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha consultato la normativa Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia Frequenta centri di sperimentazione Ha partecipato a prove dimostrative Aveva interesse personale Altro Non ho effettuato cambiamenti NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 6 1 12 3 2 5 6 4 1 1 30 11 2 84 % 11 2 21 5 4 9 11 7 2 2 53 19 4 147 % 8 1 14 4 2 6 7 5 1 1 36 13 2 100 Tab. 6.15 - Quali strumenti l'hanno aiutata? NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 27 47.4 10 17.5 11 19.3 15 26.3 12 21.1 9 15.8 6 10.5 13 22.8 103 180.7 57 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 6 10.5 21 36.8 2 3.5 8 14.0 2 3.5 9 15.8 5 8.8 10 17.5 4 7.0 8 14.0 2 3.5 7 12.3 3 5.3 3 5.3 4 7.0 9 15.8 28 49.1 75 131.6 57 57 185 Tab. 6.16 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti? Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione Ottenere certificazioni Tempi lunghi per la documentazione Ottenere il finanziamento del progetto Nessuna Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 18 1 2 26 1 12 3 63 % 32 2 4 46 2 21 5 111 % 29 1 3 42 1 19 5 100 Tab. 6.17 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati necessari alcuni adeguamenti? Nessun adeguamento Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 11 30 24 16 81 % 19 53 42 28 142 % 14 37 29 20 100 Tab. 6.18 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA TOTALE BASE PERCENTUALE 186 TOTALE nr % 25 43.9 6 10.5 3 5.3 2 3.5 10 17.5 6 10.5 8 14.0 7 12.3 2 3.5 69 121.1 57 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 9 15.8 16 28.1 3 5.3 3 5.3 2 3.5 1 1.8 0 0.0 2 3.5 5 8.8 5 8.8 3 5.3 3 5.3 1 1.8 7 12.3 2 3.5 5 8.8 0 0.0 2 3.5 25 43.9 44 77.2 57 57 Tab. 6.19 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 23 40.4 2 3.5 18 31.6 4 7.0 20 35.1 12 21.1 79 138.6 57 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 5 8.8 18 31.6 0 0.0 2 3.5 6 10.5 12 21.1 2 3.5 2 3.5 5 8.8 15 26.3 2 3.5 10 17.5 20 35.1 59 103.5 57 57 AZIENDE FRUTTICOLE Tab. 6.20 – Cambiamenti effettuati nelle fasi della tecnica colturale Ha cambiato varietà:varietà Ha cambiato varietà:modalità di acquisto Ha modificato l'impianto:quantità' di piante per ettaro Ha modificato l'impianto:modo di allevare le piante Ha modificato la potatura:meno accurata Ha modificato la potatura:più accurata Ha modificato le lavorazioni del terreno:ridotte Ha modificato le lavorazioni del terreno:organizzate in modo diverso Ha modificato le concimazioni:quantità dei concimi Ha modificato le concimazioni:modalità di concimazione Ha modificato il diserbo:quantità di diserbante Ha modificato il diserbo:modalità di diserbo Ha modificato i trattamenti antiparassitari:quantità di antiparassitari Ha modificato i trattamenti antiparassitari:modalità di distribuzione Ha modificato l'irrigazione:quantità' di acqua Ha modificato l'irrigazione:modalità' di irrigazione Ha modificato la raccolta:utilizza automezzi di ausilio di proprietà Ha cambiato acquirente delle produzioni:conferisce a consorzio o cooperativa Ha cambiato acquirente delle produzioni:vende in proprio NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 35 4 22 18 2 24 10 9 18 10 15 8 26 18 19 19 18 14 % 80 9 50 41 5 55 23 20 41 23 34 18 59 41 43 43 41 32 % 11 1 7 6 1 8 3 2 6 3 5 3 8 6 6 6 6 4 24 313 55 711 8 100 187 Tab. 6.21 – cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda Ha acquisito terreni in affitto Ha acquisito terreni in acquisto Ha comprato macchine trattrici Ha comprato macchine operatrici Ha ingrandito costruzioni per la famiglia Ha ingrandito costruzioni per le produzioni Ha cambiato una o due tipologie di produzione Ha cambiato tutte le tipologie di produzione NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 9 13 25 26 13 17 30 1 134 % 20 30 57 59 30 39 68 2 305 % 7 10 18 19 10 13 22 1 100 Tab. 6.22 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA' ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE 188 TOTALE nr % 25 56.8 14 31.8 21 47.7 17 38.6 6 13.6 4 9.1 12 27.3 6 13.6 105 238.6 44 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 11 25.0 14 31.8 4 9.1 10 22.7 7 15.9 14 31.8 6 13.6 11 25.0 2 4.5 4 9.1 1 2.3 3 6.8 3 6.8 9 20.5 1 2.3 5 11.4 35 79.5 70 159.1 44 44 Tab. 6.23 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle nuove varietà da impiantare? Contattato da un tecnico dell'org. professionale Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori Contattato da un tecnico privato Ha contattato un tecnico provinciale Ha contattato un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha consultato la normativa Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia Frequenta centri di sperimentazione Ha partecipato a prove dimostrative Ha partecipato a incontri divulgativi Aveva interesse personale Altro Non ha effettuato cambiamenti NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 8 1 1 5 10 5 3 3 1 11 5 11 11 10 19 11 2 117 % 18 2 2 11 23 11 7 7 2 25 11 25 25 23 43 25 5 266 % 8 1 1 4 9 4 3 3 1 9 4 9 9 8 16 9 2 100 Tab. 6.24 - Quali strumenti l'hanno aiutata? NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 8 18.2 9 20.5 7 15.9 15 34.1 13 29.5 9 20.5 2 4.5 1 2.3 64 145.5 44 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 3 6.8 5 11.4 3 6.8 6 13.6 1 2.3 6 13.6 4 9.1 11 25.0 5 11.4 8 18.2 5 11.4 4 9.1 2 4.5 0 0.0 0 0.0 1 2.3 23 52.3 41 93.2 44 44 189 Tab. 6.25 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti? N. 11 4 4 4 2 1 26 Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta Ottenere certificazioni Tempi lunghi per la documentazione Ottenere il finanziamento del progetto Nessuna Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE % 25 9 9 9 5 2 59 % 43 15 15 15 8 4 100 Tab. 6.26 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati necessari alcuni adeguamenti? Nessun adeguamento Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 23 8 2 8 1 42 % 52 18 5 18 2 95 % 55 19 5 19 2 100 Tab. 6.27 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA TOTALE TOTALE nr % 22 50.0 3 6.8 3 6.8 1 2.3 26 59.1 12 27.3 3 6.8 6 13.6 2 4.5 78 177.3 BASE PERCENTUALE 44 190 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 8 18.2 14 31.8 0 0.0 3 6.8 1 2.3 2 4.5 0 0.0 1 2.3 8 18.2 18 40.9 5 11.4 7 15.9 0 0.0 3 6.8 1 2.3 5 11.4 1 2.3 1 2.3 24 54.5 54 122.7 44 44 Tab. 6.28 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 5 11.4 1 2.3 14 31.8 4 9.1 22 50.0 16 36.4 62 140.9 44 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 1 2.3 4 9.1 0 0.0 1 2.3 5 11.4 9 20.5 2 4.5 2 4.5 8 18.2 14 31.8 5 11.4 11 25.0 21 47.7 41 93.2 44 44 AZIENDE ORTICOLE Tab. 6.29 - Cambiamenti effettuati nelle fasi della tecnica colturale Ha modificato varietà Ha ridotto lavorazioni Ha aumentato lavorazioni Ha modificato quantità di concime Ha modificato modalità di concimazione Ha modificato quantità diserbante Ha modificato modalità di diserbo Ha modificato quantità di antiparassitari Ha modificato modalità di distribuzione Ha modificato quantità d'acqua Ha modificato modalità di irrigazione Raccoglie con macchine proprie Conferisce al consorzio o alla cooperativa Vende in proprio NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 14 7 6 7 6 5 2 13 4 3 7 2 1 5 82 % 47 23 20 23 20 17 7 43 13 10 23 7 3 17 273 % 17 9 7 9 7 6 2 15 5 4 9 3 1 6 100 191 Tab. 6.30 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda Ha acquisito terreni in affitto Ha acquisito terreni in acquisto Ha comprato macchine trattrici Ha comprato macchine operatrici Ha ingrandito costruzioni per la famiglia Ha ingrandito costruzioni per le produzioni Ha cambiato una o due tipologie di produzione Ha effettuato altri cambiamenti NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 9 9 17 15 5 11 5 1 72 % 30 30 57 50 17 37 17 3 240 % 12 12 24 21 7 15 7 2 100 Tab. 6.31 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA' ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 14 46.7 10 33.3 10 33.3 10 33.3 2 6.7 2 6.7 6 20.0 9 30.0 63 210.0 30 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 3 10.0 11 36.7 2 6.7 8 26.7 5 16.7 5 16.7 4 13.3 6 20.0 2 6.7 0 0.0 0 0.0 2 6.7 2 6.7 4 13.3 1 3.3 8 26.7 19 63.3 44 146.7 30 30 Tab. 6.32 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle nuove varietà da impiantare? Contattato da un tecnico dell'org. professionale Contattato da un tecnico privato Ha contattato un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha partecipato a prove dimostrative Ha partecipato a incontri divulgativi Aveva interesse personale Altro Non ha effettuato cambiamenti NUMERO RISPOSTE DATE 192 N. 3 1 6 1 1 1 6 1 1 8 3 1 33 % 10 3 20 3 3 3 20 3 3 27 10 3 110 % 9 3 18 3 3 3 18 3 3 25 9 3 100 Tab. 6.33 - Quali strumenti l'hanno aiutata? NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 14 46.7 1 3.3 8 26.7 8 26.7 13 43.3 5 16.7 2 6.7 4 13.3 55 183.3 30 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 4 13.3 10 33.3 0 0.0 1 3.3 1 3.3 7 23.3 2 6.7 6 20.0 5 16.7 8 26.7 2 6.7 3 10.0 1 3.3 1 3.3 2 6.7 2 6.7 17 56.7 38 126.7 30 30 Tab. 6.34 – Quali difficoltà di tipo burocratico e amministrativo ha incontrato nell’attuare i cambiamenti? Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione Tempi lunghi per la documentazione Ottenere il finanziamento del progetto Nessuna Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 4 1 4 3 12 1 25 % 13 3 13 10 40 3 83 % 16 4 16 12 48 4 100 Tab. 6.35 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati necessari alcuni adeguamenti? Nessun adeguamento Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto Altro NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 24 3 3 2 1 33 % 80 10 10 7 3 110 % 73 9 9 6 3 100 193 Tab. 6.36 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 6 20.0 1 3.3 2 6.7 1 3.3 11 36.7 4 13.3 . . 2 6.7 . . 1 3.3 28 93.3 30 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 1 3.3 5 16.7 1 3.3 0 0.0 0 0.0 2 6.7 0 0.0 1 3.3 5 16.7 6 20.0 0 0.0 4 13.3 . . . . 1 3.3 1 3.3 . . . . 1 3.3 0 0.0 9 30.0 19 63.3 30 30 Tab. 6.37 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE 194 TOTALE nr % 9 30.0 . . 17 56.7 5 16.7 4 13.3 14 46.7 49 163.3 30 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 2 6.7 7 23.3 . . . . 4 13.3 13 43.3 3 10.0 2 6.7 1 3.3 3 10.0 1 3.3 13 43.3 11 36.7 38 126.7 30 30 AZIENDE PRODUTTRICI DI TOMA Tab. 6.38 – Cambiamenti effettuati nell’ambito dell’allevamento e della trasformazione del latte Ha modificato razza di bovini allevata Ha modificato alimentazione bestiame: aumentato insilati e unifeed Ha modificato alimentazione bestiame: aumentato foraggio Ha modificato la mungitura: meccanica Ha modificato la mungitura: mista Ha adottato sistema refrigerazione latte: tank aziendale Ha adottato sistema refrigerazione latte: acqua corrente Ha modificato scrematura latte: usando centrifuga Ha introdotto la pastorizzazione Ha inserito l'utilizzo di starter Ha modificato lavorazione cagliata: cottura Ha modificato lavorazione cagliata: pressatura Ha modificato tecnica salatura: salamoia Ha modificato tecnica salatura: salatura a secco NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 14 4 3 14 6 10 10 2 2 3 4 3 3 5 83 % 56 16 12 56 24 40 40 8 8 12 16 12 12 20 332 % 16 5 4 16 8 12 12 2 2 4 5 4 4 6 100 % 56 52 64 28 32 84 4 4 324 % 17 16 20 9 10 26 1 1 100 Tab. 6.39 – Cambiamenti effettuati nella struttura dell’azienda Ha acquisito terreni in affitto Ha acquisito terreni in acquisto Ha comprato macchine trattrici Ha comprato macchine operatrici Ha ingrandito costruzioni per la famiglia Ha ingrandito costruzioni per le produzioni Ha cambiato una o due tipologie di produzione Ha effettuato altri cambiamenti NUMERO DI RISPOSTE DATE N. 14 13 16 7 8 21 1 1 81 195 Tab. 6.40 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA' ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 9 36.0 3 12.0 22 88.0 8 32.0 21 84.0 2 8.0 3 12.0 1 4.0 69 276.0 25 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 3 12.0 6 24.0 1 4.0 2 8.0 8 32.0 14 56.0 4 16.0 4 16.0 6 24.0 15 60.0 1 4.0 1 4.0 0 0.0 3 12.0 0 0.0 1 4.0 23 92.0 46 184.0 25 25 Tab. 6.41 – Come ha scelto i cambiamenti da fare relativamente alle fasi di lavorazione della toma? Contattato da un tecnico provinciale Contattato da un tecnico dell'org. professionale Contattato da un tecnico dell'assoc. produttori Ha contattato un tecnico provinciale Ha contattato un tecnico dell'org. professionale Ha contattato un tecnico dell'assoc. produttori Ha contattato un tecnico privato Ha letto un articolo sull'argomento Ha consultato la normativa Ha visto altri che facevano le stesse cose Ha chiesto consulenza a esperto di fiducia Ha partecipato a prove dimostrative Ha partecipato a incontri divulgativi Aveva interesse personale Altro NUMERO RISPOSTE DATE 196 N. 2 3 3 3 2 1 4 1 2 1 2 2 1 2 13 42 % 8 12 12 12 8 4 16 4 8 4 8 8 4 8 52 168 % 5 7 7 7 5 2 10 2 5 2 5 5 2 5 31 100 Tab. 6.42 - Quali strumenti l'hanno aiutata? NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 9 36.0 2 8.0 12 48.0 1 4.0 15 60.0 3 12.0 4 16.0 46 184.0 25 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 2 8.0 7 28.0 0 0.0 2 8.0 3 12.0 9 36.0 1 4.0 0 0.0 5 20.0 10 40.0 0 0.0 3 12.0 2 8.0 2 8.0 13 52.0 33 132.0 25 25 Tab. 6.43 – Avendo dovuto far fronte ad adempimenti burocratici per attuare i cambiamenti, quali difficoltà ha incontrato Realizzare e produrre tutta la documentazione richiesta Individuare soggetti e istituzioni a cui consegnare la documentazione Ottenere certificazioni Tempi lunghi per la documentazione Ottenere il finanziamento del progetto Nessuna Altro NUMERO RISPOSTE DATE N. 13 3 3 10 3 2 1 35 % 52 12 12 40 12 8 4 140 % 37 9 9 29 8 5 3 100 Tab. 6.44 – Le innovazioni potevano essere introdotte così come erano o sono stati necessari adeguamenti? Nessun adeguamento Ha adeguato l'innovazione in relazione all'org. della sua azienda Ha adeguato l'innovazione in relazione alle attrezzature in suo possesso Ha adeguato l'innovazione in relazione al tipo di prodotto NUMERO RISPOSTE DATE N. 4 15 13 5 37 % 16 60 52 20 148 % 11 41 35 13 100 197 Tab. 6.45 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 6 24.0 2 8.0 2 8.0 5 20.0 3 12.0 4 16.0 10 40.0 1 4.0 1 4.0 34 136.0 25 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 2 8.0 4 16.0 1 4.0 1 4.0 1 4.0 1 4.0 1 4.0 4 16.0 0 0.0 3 12.0 2 8.0 2 8.0 3 12.0 7 28.0 0 0.0 1 4.0 0 0.0 1 4.0 10 40.0 24 96.0 25 25 Tab. 6.46 – Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE 198 TOTALE nr % 12 48.0 5 20.0 8 32.0 7 28.0 3 12.0 35 140.0 25 Classe età del titolare meno di 40 anni 40 anni o più nr % nr % 3 12.0 9 36.0 . 0 0.0 5 20.0 4 16.0 4 16.0 3 12.0 4 16.0 1 4.0 2 8.0 11 44.0 24 96.0 25 25 199 AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA’ ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 96 46,6 70 34,0 125 60,7 52 25,2 63 30,6 23 11,2 53 25,7 31 15,0 513 249,0 206 mancante nr % 1 0,5 0 0,0 1 0,5 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 2 1,0 206 Tab. 6.47 – Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? TUTTE LE AZIENDE Classe età del titolare meno di 40 anni nr % 33 16,0 23 11,2 46 22,3 21 10,2 24 11,7 5 2,4 14 6,8 7 3,4 173 84,0 206 40 anni o più nr % 62 30,1 47 22,8 78 37,9 31 15,0 39 18,9 18 8,7 39 18,9 24 11,7 338 164,1 206 200 mancante nr % 6 2.9 0 0.0 7 3.4 1 0.5 3 1.5 0 0.0 2 1.0 2 1.0 21 10.2 206 TOTALE nr % AUMENTARE RICAVO 129 62.6 RIDURRE I COSTI 84 40.8 MIGL. QUALITA' 146 70.9 ADEGUARE PROD. 73 35.4 ADEGUARE AZ. LEGGI 80 38.8 9.2 19 AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. 66 32.0 ALTRO MOTIVO 27 13.1 TOTALE 624 302.9 BASE PERCENTUALE 206 Cooperativa nr % 27 13.1 18 8.7 24 11.7 17 8.3 14 6.8 2 1.0 12 5.8 6 2.9 120 58.3 206 Classe età del titolare da 0 a 2 HA da 3 a 5 HA nr % nr % 9 4.4 12 5.8 6 2.9 8 3.9 9 4.4 12 5.8 6 2.9 10 4.9 2 1.0 4 1.9 2 1.0 4 1.9 5 2.4 6 2.9 3 1.5 3 1.5 42 20.4 59 28.6 206 206 Associazione di aderenza Ass. Produttori Consorzio Ass. Tecnica nr % nr % nr % 22 10.7 23 11.2 47 22.8 19 9.2 15 7.3 26 12.6 22 10.7 30 14.6 55 26.7 10 4.9 10 4.9 27 13.1 12 5.8 14 6.8 30 14.6 5 2.4 2 1.0 9 4.4 15 7.3 12 5.8 24 11.7 8 3.9 3 1.5 7 3.4 113 54.9 109 52.9 225 09.2 206 206 206 Tab. 6.49 - Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? AUMENTARE RICAVO RIDURRE I COSTI MIGL. QUALITA’ ADEGUARE PROD. ADEGUARE AZ. LEGGI AVERE FINANZIAM. DIMIN. INQUINAM. ALTRO MOTIVO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 96 46.6 70 34.0 125 60.7 52 25.2 63 30.6 23 11.2 53 25.7 31 15.0 513 249.0 206 Tab. 6.48 – Perché ha apportato cambiamenti negli ultimi 5 anni? nr 10 6 15 9 10 1 3 3 57 206 % 4.9 2.9 7.3 4.4 4.9 0.5 1.5 1.5 27.7 Altro oltre 5 HA nr % 69 33.5 56 27.2 97 47.1 35 17.0 54 26.2 17 8.3 40 19.4 23 11.2 391 189.8 206 201 NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 83 40.3 32 15.5 56 27.2 53 25.7 71 34.5 37 18.0 16 7.8 37 18.0 385 186.9 206 Tab. 6.50 - Quali strumenti l'hanno aiutata? mancante nr % 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 1 0.5 1 0.5 206 Classe età del titolare meno di 40 anni nr % 25 12.1 11 5.3 10 4.9 17 8.3 21 10.2 14 6.8 11 5.3 14 6.8 123 59.7 206 40 anni o più nr % 58 28.2 21 10.2 46 22.3 36 17.5 50 24.3 23 11.2 5 2.4 22 10.7 261 126.7 206 202 56 53 71 37 16 37 385 186.9 206 FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE 18.0 7.8 18.0 34.5 25.7 27.2 15.5 32 CONVEGNI 40.3 83 NOTIZIARI RIVISTE 206 12 4 0 0 3 1 2 0 2 nr 5.8 1.9 0.0 0.0 1.5 0.5 1.0 0.0 1.0 % mancante % TOTALE nr Tab. 6.51 - Quali strumenti l'hanno aiutata? 206 23 0 2 2 7 1 4 0 7 nr 11.2 0.0 1.0 1.0 3.4 0.5 1.9 0.0 3.4 % da 0 a 2 HA 206 38 3 1 4 5 9 8 3 5 nr 18.4 1.5 0.5 1.9 2.4 4.4 3.9 1.5 2.4 % da 3 a 5 HA Classe età del titolare 14.6 6.3 15.0 27.2 20.4 20.4 14.1 33.5 % 206 312 151.5 30 13 31 56 42 42 29 69 nr oltre 5 HA 203 NOTIZIARI RIVISTE CONVEGNI FIERE LOCALI PROVE DIMOSTR. RIUNIONI APPROF. BOLLETTINO INF. INTERNET ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 81 39.3 49 23.8 68 33.0 79 38.3 84 40.8 45 21.8 19 9.2 43 20.9 468 227.2 206 Cooperativa nr % 14 6.8 9 4.4 13 6.3 17 8.3 18 8.7 7 3.4 3 1.5 8 3.9 89 43.2 206 Tab. 6.52 - Quali strumenti l'hanno aiutata? Associazione di aderenza Ass. Produttori Consorzio Ass. Tecnica nr % nr % nr % 16 7.8 17 8.3 28 13.6 13 6.3 9 4.4 14 6.8 11 5.3 11 5.3 26 12.6 13 6.3 15 7.3 28 13.6 12 5.8 17 8.3 29 14.1 11 5.3 4 1.9 17 8.3 3 1.5 6 2.9 7 3.4 5 2.4 8 3.9 15 7.3 84 40.8 87 42.2 164 79.6 206 206 206 nr 6 4 7 6 8 6 0 7 44 206 % 2.9 1.9 3.4 2.9 3.9 2.9 0.0 3.4 21.4 Altro 204 mancante nr % 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 1 0.5 0 0.0 1 0.5 206 Classe età del titolare meno di 40 anni nr % 15 7.3 3 1.5 2 1.0 9 4.4 4 1.9 31 15.0 4 1.9 68 33.0 206 NON CONOSCEVO TEC. FORNIT. NON INFORM. COMP. INADEGUATE MACCH. INADEGUATI VENDITA NON RIUSC. NESSUNA DIFFIC. ALTRA DIFFIC. TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 39 18.9 7 3.4 6 2.9 22 10.7 8 3.9 123 59.7 14 6.8 219 106.3 206 mancante nr % 1 0.5 0 0.0 1 0.5 0 0.0 0 0.0 5 2.4 2 1.0 9 4.4 206 oltre 5 HA nr % 33 16.0 6 2.9 5 2.4 17 8.3 7 3.4 89 43.2 11 5.3 168 81.6 206 40 anni o più nr % 24 11.7 4 1.9 4 1.9 13 6.3 4 1.9 91 44.2 10 4.9 150 72.8 206 Classe età del titolare da 0 a 2 HA da 3 a 5 HA nr % nr % 3 1.5 2 1.0 0 0.0 1 0.5 0 0.0 0 0.0 2 1.0 3 1.5 0 0.0 1 0.5 12 5.8 17 8.3 0 0.0 1 0.5 17 8.3 25 12.1 206 206 Tab. 6.54 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti? NON CONOSCEVO TEC. FORNIT. NON INFORM COMP. INADEGUATE MACCH. INADEGUATI VENDITA NON RIUSC. NESSUNA DIFFIC. ALTRA DIFFIC. TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 39 18.9 7 3.4 6 2.9 22 10.7 8 3.9 123 59.7 14 6.8 219 106.3 206 Tab. 6.53 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti? 205 TOTALE nr % NON CONOSCEVO TEC. 50 24.3 FORNIT. NON INFORM. 7 3.4 COMP. INADEGUATE 9 4.4 MACCH. INADEGUATI 28 13.6 VENDITA NON RIUSC. 5 2.4 NESSUNA DIFFIC. 130 63.1 ALTRA DIFFIC. 22 10.7 TOTALE 251 121.8 BASE PERCENTUALE 206 Cooperativa nr % 9 4.4 3 1.5 2 1.0 5 2.4 0 0.0 27 13.1 5 2.4 51 24.8 206 Associazione di aderenza Ass. Produttori Consorzio Ass. Tecnica nr % nr % nr % 9 4.4 9 4.4 20 9.7 2 1.0 0 0.0 2 1.0 1 0.5 1 0.5 5 2.4 4 1.9 6 2.9 13 6.3 1 0.5 0 0.0 3 1.5 26 12.6 21 10.2 45 21.8 3 1.5 5 2.4 4 1.9 46 22.3 42 20.4 92 44.7 206 206 206 Tab. 6.55 - Quali difficoltà di tipo tecnico ha incontrato nell'attuare i cambiamenti? nr 3 0 0 0 1 11 5 20 206 % 1.5 0.0 0.0 0.0 0.5 5.3 2.4 9.7 Altro 206 MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 85 41.3 23 11.2 15 7.3 9 4.4 66 32.0 32 15.5 21 10.2 29 14.1 7 3.4 3 1.5 290 140.8 206 mancante nr % 1 0.5 0 0.0 0 0.0 0 0.0 1 0.5 0 0.0 0 0.0 1 0.5 0 0.0 1 0.5 4 1.9 206 Classe età del titolare meno di 40 anni nr % 32 15.5 10 4.9 6 2.9 2 1.0 27 13.1 11 5.3 6 2.9 9 4.4 2 1.0 1 0.5 106 51.5 206 Tab. 6.56 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? 40 anni o più nr % 52 25.2 13 6.3 9 4.4 7 3.4 38 18.4 21 10.2 15 7.3 19 9.2 5 2.4 1 0.5 180 87.4 206 207 MIGL. PRODOTTO DIMIN. LAVORO AUMENTO LAVORO DIMIN. REDDITO AUMENTO REDDITO RIDUZIONE SPESE AUMENTO SPESE NUOVI CANALI DIFFICOLTA' VENDITA ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 85 41.3 23 11.2 15 7.3 9 4.4 66 32.0 32 15.5 21 10.2 29 14.1 7 3.4 3 1.5 290 140.8 206 mancante nr % 5 2.4 0 0.0 2 1.0 0 0.0 3 1.5 0 0.0 2 1.0 4 1.9 0 0.0 1 0.5 17 8.3 206 Classe età del titolare da 0 a 2 HA da 3 a 5 HA nr % nr % 9 4.4 8 3.9 2 1.0 0 0.0 1 0.5 1 0.5 0 0.0 3 1.5 10 4.9 9 4.4 3 1.5 4 1.9 1 0.5 2 1.0 4 1.9 2 1.0 0 0.0 1 0.5 0 0.0 1 0.5 30 14.6 31 15.0 206 206 Tab. 6.57 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? oltre 5 HA nr % 63 30.6 21 10.2 11 5.3 6 2.9 44 21.4 25 12.1 16 7.8 19 9.2 6 2.9 1 0.5 212 102.9 206 208 TOTALE nr % MIGL. PRODOTTO 109 52.9 DIMIN. LAVORO 21 10.2 AUMENTO LAVORO 20 9.7 DIMIN. REDDITO 6 2.9 AUMENTO REDDITO 107 51.9 RIDUZIONE SPESE 44 21.4 AUMENTO SPESE 32 15.5 NUOVI CANALI 40 19.4 DIFFICOLTA' VENDITA 9 4.4 ALTRO 3 1.5 TOTALE 391 189.8 BASE PERCENTUALE 206 Cooperativa nr % 20 9.7 4 1.9 2 1.0 1 0.5 20 9.7 12 5.8 2 1.0 6 2.9 2 1.0 0 0.0 69 33.5 206 Associazione di aderenza Ass. Produttori Consorzio Ass. Tecnica nr % nr % nr % 23 11.2 22 10.7 36 17.5 5 2.4 1 0.5 9 4.4 5 2.4 3 1.5 8 3.9 2 1.0 1 0.5 2 1.0 21 10.2 16 7.8 40 19.4 7 3.4 3 1.5 17 8.3 5 2.4 5 2.4 15 7.3 3 1.5 11 5.3 16 7.8 2 1.0 0 0.0 5 2.4 0 0.0 1 0.5 1 0.5 73 35.4 63 30.6 149 72.3 206 206 206 Tab. 6.58 - Quali risultati hanno prodotto i cambiamenti introdotti a lungo termine? nr 8 2 2 0 10 5 5 4 0 1 37 206 % 3.9 1.0 1.0 0.0 4.9 2.4 2.4 1.9 0.0 0.5 18.0 Altro 209 ADEG. NORME MANC. CAP. TECNICHE DIFFIC. VENDERE MANCA ATTREZZATURE DIFF. TROVARE PERS. ALTRO TOTALE BASE PERCENTUALE TOTALE nr % 64 31.1 3 1.5 66 32.0 33 16.0 55 26.7 69 33.5 290 140.8 206 mancante nr % 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 0 0.0 1 0.5 1 0.5 206 Tab. 6.59 - Quali difficoltà incontra la sua azienda in questo momento? Classe età del titolare meno di 40 anni nr % 15 7.3 0 0.0 18 8.7 16 7.8 19 9.2 15 7.3 83 40.3 206 40 anni o più nr % 49 23.8 3 1.5 48 23.3 17 8.3 36 17.5 53 25.7 206 100.0 206 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Progetto “Confronto di sistemi colturali a diversa intensità”: la cerealicoltura Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte - Studi preliminari alla redazione del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 della regione Piemonte, IRES, Torino. INEA, 2003, Annuario dell’agricoltura Italiana, volume LVI, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. IRES Piemonte, 2004, L’agricoltura in Provincia di Torino: il quadro analitico e delle politiche dopo il decentramento, Provincia di Torino, Torino. ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino. Regione Piemonte, 2000, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, Torino. Progetto “Valorizzazione del Canavese Rosso DOC”: la viticoltura marginale CENSIS, 2001, Reinventare il Canavese, Franco Angeli, Milano. Aimone S., Percivale F., Peira G., Ciocchetti E., 2002, La cooperazione vitivinicola in Piemonte, IRES, Torino. INEA, 2003, Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LVI, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. IRES Piemonte, 2004, L’agricoltura in Provincia di Torino: il quadro analitico e delle politiche dopo il decentramento, Provincia di Torino, Torino. Progetto “ Selezione clonale di vitigni piemontesi”: la viticoltura specializzata Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte, Studi preliminari alla redazione del piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, IRES Piemonte, Torino. ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino. Regione Piemonte, Anagrafe vitivinicola regionale, 2003, Torino. Regione Piemonte, 2000, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, Torino. Regione Piemonte, Assessorato Ambiente, Agricoltura e Qualità, Ufficio coordinamento delle Politiche di Qualità e Tutela dei prodotti vitivinicoli, 2003, “Uve e vigneti”, Torino. 211 Progetto “Liste di orientamento varietale per i fruttiferi”: la frutticoltura Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte, Studi preliminari alla redazione del piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, IRES Piemonte, Torino. ISTAT, 2000, V Censimento dell’Agricoltura Italiana, Roma. ISTAT, 2004, Statistiche delle coltivazioni agricole, Roma. ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino. Pellegrino S., 2001, Ricerca e innovazione varietale per la competitività della melicoltura piemontese, in: Quaderni della Regione Piemonte Agricoltura, n. 26, Torino. Pellegrino S., 2003, Melo e pesco le novità piemontesi, in: Terra e Vita, n. 30, Bologna. Pellegrino S., Berra L., 2002, Evoluzione varietale della peschicoltura piemontese nel mercato globale, in: Quaderni della Regione Piemonte Agricoltura, n. 33, Torino. Regione Piemonte, 2000, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, Torino. Progetto “Liste di orientamento varietale in orticoltura”: l’orticoltura Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte, Studi preliminari alla redazione del piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, IRES Piemonte, Torino. ISTAT, 2000, V Censimento dell’Agricoltura Italiana, Roma. ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino. Regione Piemonte, 2000, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, Torino. Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura, 1998, Un fascicolo sulle colture ortive, in: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura, n. 11, Torino. Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura, 1999, Vecchie varietà di ortive del Piemonte, in: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura, n. 14, Torino. Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura, 1999, Orticoltura piemontese: le prospettive passano attraverso un rilancio dell’associazionismo, in: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura, n. 15,Torino. Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura, 2000, Un fascicolo sui confronti varietali in orticoltura, in: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura, n. 22, Torino. Regione Piemonte, Direzione Sviluppo Agricoltura, Settore Servizi di Sviluppo Agricolo, 2003, Orticoltura, Prove di orientamento varietale 2003, Torino. Regione Piemonte, Direzione Sviluppo Agricoltura, Settore Servizi di Sviluppo Agricolo, 2003, Orticoltura, Prove di confronto varietale 2002, Liste di orientamento varietale 2004, Documenti per l’Assistenza tecnica, Torino. 212 Progetto “Caratterizzazione della Toma Piemontese”: la caseificazione Aimone S., 2001, Sistema agroalimentare, territorio e politiche di sviluppo rurale in Piemonte, Studi preliminari alla redazione del piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, IRES Piemonte, Torino. Brocardo R., Gimondo M., Venti nuovi soffiano sulle DOP e IGP del Piemonte, in: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura, n. 38, Torino. IRES Piemonte, 2004, L’agricoltura in Provincia di Torino: il quadro analitico e delle politiche dopo il decentramento, Provincia di Torino, Torino. ISTAT, 2000, V Censimento dell’Agricoltura Italiana, Roma. ISTAT, Regione Piemonte, 2004, Annuario Statistico regionale, Piemonte in cifre, Torino. Osservatorio Latte, ISMEA, 2003, Il mercato del latte, Rapporto 2003, Franco Angeli, Milano. Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura, 1998, Toma Piemontese, supplemento al n. 7 dei Quaderni alla Regione Piemonte, Agricoltura, Torino. Regione Piemonte, Direzione Sviluppo dell’agricoltura, 1999, Toma Piemontese – Guida pratica alla caseificazione, Supplemento al n. 18 dei Quaderni alla Regione Piemonte, Agricoltura, Stamperia Artistica Nazionale, Torino. Regione Piemonte, 2000, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, Regione Piemonte, Torino. Ipotesi sui percorsi e sulla diffusione delle innovazioni G. Brunori, “I servizi per le imprese e i territori rurali” Convegno ARSIA 10/11 dicembre 2001, Firenze, documento preparatorio per la discussione, datt. U. Nitsch, “Limiti ed evoluzione della teoria delle adoption model”, in Agricoltura e comunicazione, anno 1, numero 1, Roma, 1979 U. Nitsch, “Dalla diffusione delle innovazioni all’apprendimento comune” in Caldarini C., Satta M. (a cura di) Metodologia della divulgazione. Il fattore umano nello sviluppo agricolo, INEA – CIFDA Sicilia Sardegna, Roma, 2000 Vagnozzi, “Il trasferimento delle innovazioni in ambito rurale: come?”, in “Rete Leader”, n. 2, INEA, Roma, 1999 Vagnozzi e S. Paparoni ( a cura di), “Il sistema della conoscenza in agricoltura“; i Quaderni del POM, INEA, Roma, 2001 Vagnozzi, “I servizi di sviluppo agricolo in Italia: problematiche aperte” in Rivista di Economia Agraria, n. 3, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2003 213 L’approccio relazionale nell’indagine valutativa: metodologie e strumenti di indagine Dewey J., Logica. Teoria dell’indagine (Logic, the theory of Inquiry, 1938) traduzione e introduzione di Aldo Visalberghi, Einaudi, Torino, 1949, Ferrarotti F., L’ultima lezione. Critica della sociologia contemporanea, Editori Laterza, Bari, 1999. Siti internet: www.regione.piemonte.it www.starnet.it www.istat.it 214