Consiglio Generale degli Italiani all’Estero
Ministero degli Affari Esteri
COMMISSIONE CONTINENTALE EUROPA E AFRICA DEL NORD
(Amsterdam, 21-23 ottobre 2004)
Resoconto sommario
GIOVEDÌ, 21OTTOBRE 2004 - I lavori iniziano alle ore 9.55
Presenti
Elio Carozza, Aldo Bechi, Alberto Bertali, Michele Calamera, Oscar
Cecconi, Tommaso Conte, Michele Cristalli, Franco Del Vecchio, Carlo
Erio, Alessandra Fais, Giovanni Farina, Lorenzo Losi, Giorgio Mauro,
Fernando Marzo, Claudio Micheloni, Mauro Montanari, Dino Nardi,
Franco Narducci, Melchiorre Roberto Nola, Anna Pompei Ruedeberg,
Massimo Romagnoli, Franco Santellocco, Michele Schiavone, Gianfranco
Segoloni, Salvatore Tabone, Mario Tommasi, Stefano Tricoli.
S.E. Mario Brando Pensa, Ambasciatore d’Italia all’Aja;
Cons. Marco Giungi, Console Generale d’Italia ad Amsterdam;
Min. Plen. Adriano Benedetti, Direttore Generale della DGIEPM.
Min. Plen. Torquato Cardilli, Segretario del CGIE.
Presidenza del Vice Segretario Generale Elio CAROZZA
L’Inno Nazionale, che i presenti ascoltano in piedi, segna l’inizio dei lavori della Commissione
Continentale.
Il PRESIDENTE porge il benvenuto a S.E. Pensa, Ambasciatore d’Italia all’Aja, al
Ministro Benedetti e al Console Generale Giungi. Ringrazia altresì per la loro presenza
gli Esperti che hanno aderito all’invito loro rivolto, i Consiglieri e la Segreteria del
CGIE.
Sottolinea l’importanza del tema che sarà trattato, proprio nell’imminenza della firma, a
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Roma, della nuova Costituzione Europea, sulla quale si è animato un acceso dibattito.
Gli Esperti che, nonostante i pressanti impegni che li attendono presso le istituzioni
europee, sono intervenuti a questo incontro forniranno importanti contributi di
conoscenza e spunti per le successive riflessioni.
S.E. Mario Brando PENSA (Ambasciatore d’Italia nei Paesi Bassi) pone l’accento
sull’importanza che il CGIE riveste per la collettività italiana ed anche ai fini del
rapporto con i Governi locali, più che mai rilevante di fronte alle sfide della realtà
internazionale in continua evoluzione. Ritiene opportuno si parli di inserimento e di
integrazione per gli italiani di terza e quarta generazione, ma è anche giusto affermare
che gli italiani nel mondo hanno la precisa volontà di conservare la propria identità,
una volontà rafforzata dal riconoscimento dell’esercizio del diritto di voto all’estero.
Oggi è più che mai necessario il ruolo di coordinamento del CGIE con il MAE, con il
Ministero per gli Italiani nel Mondo e le competenti Amministrazioni dello Stato, per
garantire risposte alle esigenze poste dal mondo dell’emigrazione e sostenere le
iniziative espresse nei più diversi settori, da quelle di carattere economico-commerciale
e quelle di tipo culturale, nonché un associazionismo rinnovato, che sappia coinvolgere
il mondo giovanile. Quanto al prossimo futuro, sarà fondamentale il supporto che
offriranno i Deputati e i Senatori eletti nella circoscrizione estero, i quali saranno
interlocutori primari del Consiglio Generale.
Il tema di queste giornate di lavoro è di fondamentale importanza per tutti i cittadini
europei. Con il nuovo Trattato costituzionale è stato compiuto un ulteriore passo avanti
verso un’Europa in cui è esattamente definito il ruolo dei cittadini rispetto allo Stato, i
loro doveri e i loro diritti. Sottolinea l’importanza che sia stato sancito dall’art. 1 della
Costituzione il principio della doppia legittimità dell’Unione, stabilendo che la
Costituzione è ispirata dalla volontà dei cittadini e degli Stati d’Europa. Sono
riaffermati i valori di libertà e democrazia e nuovo riconoscimento è stato dato ai valori
dell’uguaglianza e dei diritti delle minoranze. Ma l’innovazione più importante è
l’incorporazione nel Trattato costituzionale della Carta di Nizza dei diritti avrà
importanti effetti politici e giuridici.
Ricorda che è stato necessario accettare alcuni compromessi, volti tra l’altro a
distinguere tra diritti veri e propri e principi e a chiarire che nell’interpretazione della
Carta si deve tenere conto delle legislazioni nazionali. Sottolinea la rilevanza delle
disposizioni volte a rafforzare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali.
Oltre all’affermazione del principio della democrazia rappresentativa, la Costituzione
sancisce il principio della democrazia partecipativa e la possibilità dell’iniziativa
popolare nei riguardi della Commissione. Una serie di disposizioni è tesa a rafforzare il
controllo dei Parlamenti nazionali, a tutela del principio di sussidiarietà.
L’adozione della nuova Costituzione produrrà alcuni significativi effetti indiretti: la
semplificazione normativa, che dovrebbe determinare una maggiore comprensibilità
delle norme a livello europeo; l’introduzione di una procedura legislativa uniforme, con
la maggioranza qualificata come modalità di voto in Consiglio, come standard per
decisioni in un più vasto ventaglio di settori, dalla libera circolazione alla vasta area
della libertà, giustizia e sicurezza. Oltre a facilitare le decisioni, questo sistema dovrebbe
contribuire a una maggiore chiarezza ed efficacia a vantaggio dei cittadini. Dopo la
firma solenne a Roma, il testo della Costituzione dovrà essere ratificato dai Paesi
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membri, e la cosa non è del tutto scontata, visto il numero di referenda previsti.
L’auspicio dell’Italia è di una ratifica quanto più rapida possibile.
Il Trattato costituzionale non è un punto di arrivo, ma una tappa fondamentale che
prevede possibilità di modifiche ed evoluzioni. Esso dovrebbe consentire un più
efficace funzionamento dell’Unione ora composta da 25 Paesi, che in un futuro anche
prossimo potranno essere 28-29.
Augura conclusivamente che i lavori della Commissione si svolgano in un clima
costruttivo.
Paolo PONZANO (Direttore – Commissione Europea) ha partecipato alla predisposizione
del testo della Costituzione Europea e informa che si soffermerà su alcuni aspetti
centrali del Trattato, del tutto nuovi, che gli conferiscono valore costituzionale.
Sottolinea l’importanza per l’Europa e il Nord Africa della ratifica del Trattato e segnala
che forse 10-11 Paesi sottoporranno il testo a referendum; qualora in uno di questi il
risultato non fosse favorevole alla ratifica, vi sarà il rischio di un nuovo dibattito sul
progetto europeo, con inevitabili ripercussioni sulla vita e sui diritti di cui disporranno i
cittadini europei nei prossimi anni.
Si parla di Costituzione, ma c’è da domandarsi se non si è piuttosto di fronte a un
Trattato internazionale, al pari di quelli di Roma, Maastricht e Amsterdam. Per come è
stato redatto e approvato, dal punto di vista della forma è un Trattato internazionale,
poiché i rappresentanti degli Stati hanno elaborato e firmato un testo, anche se la
Convenzione Europea ha consentito una partecipazione più vasta all’elaborazione del
testo stesso. L’adozione, la ratifica e la revisione avverranno con la regola dell’accordo
unanime dei 25 Paesi membri, al contrario delle Costituzioni, che sono elaborate da
un’Assemblea costituente e approvate a maggioranza. Però – egli osserva - nel testo
sono contenuti elementi di natura costituzionale, come l’inclusione della Carta dei
diritti fondamentali e la ripartizione delle competenze spettanti all’Unione Europea e
agli Stati membri. I valori della democrazia, dell’uguaglianza, della salvaguardia dei
diritti umani e delle minoranze saranno i criteri sui quali si baserà l’adesione dei nuovi
Stati e su tali basi si valuteranno anche le eventuali violazioni degli attuali Stati membri.
Questi elementi si trovano normalmente nelle Costituzioni degli Stati unitari e di quelli
a carattere federale.
Si sofferma poi sulla Carta dei diritti fondamentali, il principale elemento a dare
costituzionalità al testo. Ricorda che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino, del 1789, afferma che perché ci sia una Costituzione occorre la protezione e la
garanzia dei diritti del cittadino, e la Carta dei diritti fondamentali, ricevendo un valore
giuridicamente obbligatorio e permettendo ai cittadini di ricorrere davanti ai tribunali
in caso di violazione dei diritti da parte delle istituzioni o degli Stati membri, dà
carattere di costituzionalità. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a
Roma, già contiene i diritti attuali, ma la Carta introduce diritti sociali nuovi, ad
esempio alla buona amministrazione, all’uso delle biotecnologie, all’informazione e alla
consultazione dei lavoratori nell’ambito dell’impresa, alla tutela in caso di
licenziamento ingiustificato, che in passato non esistevano e che l’Unione Europea
aveva in parte anticipato con l’adozione di atti legislativi. In molti ricorsi davanti alla
Corte europea di giustizia ci sono riferimenti ai diritti fondamentali, ma non erano
vincolanti sul piano giuridico. Dopo la ratifica del Trattato le eccezioni davanti alla
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Corte avranno tutela giurisdizionale ed effettiva.
Quanto alle competenze, ve ne sono di esclusive e di condivise, e la ripartizione sarà
controllata dai Parlamenti nazionali: nel giro di sei settimane dopo che la Commissione
Europea ha proposto un atto legislativo, potranno dire se la legge europea rispetta i
principi di ripartizione delle competenze e il principio di sussidiarietà. Qualora in
futuro si verificassero interferenze in settori di competenza degli Stati membri, i
Parlamenti nazionali potranno obbligare le istituzioni a riesaminare i propri testi e
anche ricorrere alla Corte di giustizia per far constatare la illiceità. Anche questo è un
aspetto di costituzionalità.
La Costituzione introdurrà una maggiore precisione nella ripartizione delle competenze
tra Consiglio dei Ministri, Parlamento Europeo e Commissione Europea e le altre
istituzioni. Sono state introdotte due nuove figure istituzionali: il Presidente del
Consiglio Europeo, in carica per due anni e mezzo con mandato rinnovabile per una
volta, e il Ministro degli Affari Esteri europeo, che riceve le funzioni ora attribuite
all’Alto rappresentante per la politica estera e al Commissario per le relazioni esterne,
ed è stato voluto per dare maggiore coerenza alla politica estera e in generale all’azione
esterna dell’Unione. Grazie a tale figura dovrebbe realizzarsi il coordinamento
dell’azione esterna dell’Unione Europea sotto il profilo economico e politico, in modo
che tutte le competenze abbiano un’unica guida.
Nell’ambito del riequilibrio dei poteri delle varie istituzioni, a partire dalla ratifica della
Costituzione le leggi europee saranno adottate per il 90-95% in codecisione tra il
Consiglio e il Parlamento. Per l’adozione di leggi europee è introdotto il sistema della
doppia maggioranza [maggioranza degli Stati (55%) e maggioranza della popolazione
(65%)], in sostituzione dell’attuale sistema, che si avvale del criterio della ponderazione.
Poiché alcuni settori di attività continueranno ad essere sottoposti alla regola
dell’accordo unanime dei 25 Stati membri, si è voluto creare una possibilità di
flessibilità, consentendo ad otto Stati membri di usare le istituzioni europee per
prendere misure non condivise da tutti, come peraltro è avvenuto in occasione degli
Accordi sulla moneta unica e per quanto riguarda la libera circolazione dei cittadini e
delle merci. Si tratta delle cooperazioni rafforzate, che sono state estese ai campi della
politica estera e della difesa.
Sul contenuto delle politiche la Costituzione non ha introdotto cambiamenti sostanziali
alle competenze esistenti, ad esclusione del settore della politica estera, completamente
riscritto, e di quello della giustizia e degli affari interni, che è stato comunitarizzato.
Pertanto, le politiche in materia di asilo, immigrazione, visti, controllo alle frontiere,
cooperazione giudiziaria saranno sottoposte alle regole della maggioranza qualificata e
della codecisione tra Consiglio e Parlamento Europeo. In materia di ricerca, energia,
sport, protezione civile, tutela della salute sono state introdotte competenze aggiuntive.
Qualora uno Stato non ratificasse il Trattato neppure a seguito di referendum, esso non
potrà entrare in vigore. A distanza di due anni dalla firma e se almeno quattro quinti
degli Stati avrà ratificato, il Consiglio Europeo valuterà le motivazioni delle mancate
ratifiche da parte degli altri ed esaminerà la possibilità di stilare un protocollo
aggiuntivo per regolare un problema specifico. Qualora il motivo del rigetto fosse di
sostanza, ossia venisse espressa la volontà di non aderire al progetto europeo, si
aprirebbe una crisi più importante e sarebbe necessario ridefinire i contenuti del
progetto e verificare con quali Stati procedere.
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Il PRESIDENTE osserva che la Carta dei diritti fondamentali è stata una conquista
importante e che risulta rafforzata dall’essere stata inscritta nella Costituzione Europea.
Franco SANTELLOCCO (Algeria) reca il saluto affettuoso del Ministro Tremaglia, che
non solo per dovere istituzionale, ma per personale passione segue le vicende degli
italiani all’estero con un’assiduità che non è mai venuta meno. Gli impegni istituzionali
non gli consentono di presenziare ai lavori della Commissione Continentale, alla quale
assicura la propria ideale partecipazione formulando l’augurio di un lavoro proficuo.
Egli ha ascoltato con interesse l’intervento dell’Ambasciatore, l’illustrazione
chiarificatrice dell’Esperto Ponzano, grazie al quale si hanno ora idee più chiare sulla
nuova Costituzione Europea. È stato fatto un richiamo al 1789, ma niente è stato detto –
ed egli un cenno l’avrebbe gradito – sulle storiche radici cristiane dell’Europa, che
geograficamente non esiste come continente, ma che è una realtà storica nata
dall’evangelizzazione cristiana, che ha unito nella fede etnie diverse.
L’attuale Europa unita si deve all’iniziativa di tre grandi statisti cattolici: Schuman,
Adenauer e De Gasperi. Peraltro, la laicità dello Stato è una novità introdotta nella
storia umana dal Cristianesimo, con la distinzione tra potere politico (Cesare) e religioso
(Dio) e lo Stato non può imporre alcuna religione, né condizionare a un credo il
godimento dei diritti civili. È pertanto paradossale che l’Europa abbia voluto ignorare,
se non rinnegare la propria anima, proprio quella che potrebbe tenerla unita e
indirizzarla verso traguardi sempre più alti di civiltà. Auspica che al momento della
ratifica da parte dei singoli Stati vi siano novità al riguardo. (All. 1)
I lavori, sospesi alle ore 11.10, riprendono alle ore 11.25
Paolo PONZANO pone l’accento sui nuovi diritti riconosciuti, in particolare di
carattere sociale, in relazione ai quali è stato previsto un aggiornamento innovativo del
metodo e riconosciuto un valore giuridicamente vincolante. Finora le posizioni assunte
dalla Corte di giustizia non hanno effetti giuridici obbligatori ed essa è soltanto un
punto di riferimento. L’inclusione nella Costituzione della Carta dei diritti dà la
possibilità di invocarla, di avere risposte vincolanti dal tribunale e certezza di
applicazione.
Quanto all’identità cristiana, è tuttora in atto una polemica sull’inclusione del
riferimento alla religione, amplificata dal fatto che si voleva riconoscere all’identità
religiosa dell’Europa un riferimento vincolante. Non è stato certo messo in discussione
che i valori europei siano in gran parte ispirati a quelli del Cristianesimo, ma la sua
inclusione nella Carta Costituzionale potrebbe, in prospettiva, avere effetti in ordine
all’accoglimento di nuovi Stati. Per la situazione interna di alcuni Paesi, in cui alto è il
valore attribuito alla laicità dello Stato, e per non precludere ad altri la possibilità di
adesione all’Unione Europea, non si è voluto attribuire particolare valore a una
religione.
Alberto BERTALI (Gran Bretagna) osserva che il processo di integrazione cresce a
livello economico e sociale, ma l’Europa si connota per Paesi con storie, culture e lingue
differenti. La Carta Costituzionale dovrebbe rappresentare il collante per i 25 Paesi che
hanno aderito all’Unione Europea, uniformando doveri e diritti per tutti i suoi cittadini.
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Va però rilevato che soprattutto alcuni Paesi nordici auspicherebbero un processo più
rallentato e sarebbero per ora orientati a costituire soltanto un blocco economico. Si
domanda pertanto quale Europa costruire e a quale modello di sviluppo uniformarsi.
Nell’ultimo decennio gli USA e alcuni Paesi asiatici hanno registrato uno sviluppo
economico superiore a quello europeo, mentre in Europa è aumentata la
disoccupazione soprattutto giovanile e si assiste ad un progressiva delocalizzazione
produttiva, sicché da produttori ci si sta avviando ad esseri meri consumatori. C’è
dunque da domandarsi se il modello europeo sia sostenibile ed esportabile nei nuovi
Paesi membri, o se piuttosto non si debba pensare alla necessità di nuove regole.
Il modello europeo si basa sul principio di uguaglianza e sul rispetto di diritti
fondamentali; il modello americano privilegia la generazione della ricchezza, offre
modesti ammortizzatori sociali ma grande flessibilità nel lavoro, però, per chi vive ai
margini la vita è caratterizzata dalla precarietà; il modello asiatico si basa su un’offerta
di manodopera a basso costo, scarsi o nulli ammortizzatori sociali, scarsi consumi
interni e forti esportazioni, redistribuzione della ricchezza mediante offerta di lavoro
nell’industria, più remunerativa dell’agricoltura.
Attualmente sono i due ultimi modelli ad apparire vincenti. Ciononostante, egli
preferisce il modello europeo, che dovrebbe però essere adattato alla nuova realtà,
inserendo nella nuova Costituzione qualche diritto in meno e qualche dovere in più.
Dovrebbe tenere conto della necessaria integrazione tra industria e servizi commerciali
e finanziari, accettare la vocazione dell’Europa al multilateralismo e alla prevenzione
dei conflitti, senza dimenticare le proprie tradizioni e la propria storia locale. (All. 2)
Gianni FARINA (Francia) osserva che in questa Europa in movimento é fondamentale
il riferimento alla flessibilitá degli interventi in tema di modifiche legislative. La
costruzione dell’Europa unita é un processo in fieri e il testo che deve essere approvato a
Roma si pone al di sopra delle Nazioni e dei popoli e non deve essere legato alla
flessibilitá dei singoli comportamenti, poiché sono indispensabili precise direttive per
quanto attiene a diritti politici, civili, fiscalità.
In Francia si assiste ad un processo di progressiva delocalizzazione delle industrie e
sono più che legittime le preoccupazioni delle classi dirigenti e dei popoli. S’impone
l’armonizzazione delle diverse situazioni di welfare state affinché si possa conciliare la
libera circolazione, la libera impresa, l’insieme dei diritti. Come realizzarla é la
domanda che ci si deve porre. Serve l’unanimità dei consensi? Gli interrogativi sono
numerosi e in Francia si assiste a una netta divisione verticale per quanto riguarda i
limiti della Corte di giustizia in tema di normative, la cui approvazione deve essere
frutto di un processo.
Esprime scetticismo sulla definitiva approvazione del Trattato costituzionale; alcuni
Paesi daranno la loro immediata approvazione, altri sceglieranno la via referendaria ma
– egli osserva – in alcuni Stati gli stessi partiti europeisti sono intenzionati a ricorrere a
referendum interno per consultare i propri iscritti.
Circa la richiesta di adesione della Turchia all’Unione Europea, in Francia il dibattito è
acceso. Egli è personalmente favorevole in quanto, in sostanza, con i suoi cinque milioni
di emigrati la Turchia è già in Europa. Ma perché, egli si domanda, escludere l’altra
sponda del Mediterraneo, che storicamente ha sempre guardato all’Europa?.
L’affermazione dei diritti politici per i cittadini europei è ancora molto limitata da
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innegabili incompatibilità, sulle quali s’impone un’approfondita riflessione. In ogni
caso, la Carta costituzionale, che già esisteva ma soltanto con forza di raccomandazione,
con la nuova Costituzione Europea acquisisce una forza che è una ricchezza per la
comunità.
Mauro MONTANARI (Germania) conviene con il Consigliere Santellocco (Algeria) che
proprio grazie alle radici cristiane ora si ha uno Stato laico e la divisione tra Stato e
Chiesa, e in forza della divisione dei poteri egli non vede ostacoli all’ingresso della
Turchia nell’Unione, dove é radicato il principio della libertà religiosa.
Pone l’accento sul limite storico dell’allargamento dell’Europa, e osserva che manca una
riflessione sui confini. In realtà, si va verso Est perché da una parte c’è interesse ad
allargare i mercati, e dall’altra ad avere sovvenzioni più alte. Fa però osservare che in
futuro potrebbe venire meno l’interesse reciproco, ed é per questo che andrebbe
approfondito il concetto di identità. La Costituzione americana, fa rilevare, parla di
diritto dei cittadini alla ricerca della felicità, e dunque la società é fondata su principi
liberali, ma in Europa manca una riflessione sull’identità. Israele, ad esempio, fa parte
della storia d’Europa, ma ci si deve domandare se in Europa si percepisce Israele come
Stato fratello.
Tommaso CONTE (Germania) presenta una mozione d’ordine: ci si é riuniti per porre
domande e cercare risposte, mentre finora non vi sono state che riflessioni.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) pone una serie di domande: perché non si pensa a un
referendum europeo per la ratifica del Trattato costituzionale?; perché il controllo su
eventuali violazioni da parte degli Stati non rientra tra i compiti della Corte di
giustizia?; su quali basi si può pensare che la Costituzione Europea diventi un
vademecum dei cittadini europei?.
Claudio POZZETTI (Italia) osserva che per dare dignità alla discussione occorrono
anche riflessioni, non solo domande.
Egli ha particolarmente apprezzato l’accento sul fatto che si é di fronte a un Trattato
costituzionale, il quale sancisce per tutti quel vincolo dal contenuto trainante che é la
Carta dei diritti fondamentali, dove sono centrali i diritti sociali, di sciopero,
all’occupazione e al posto di lavoro, anche nei termini della non licenziabilità se non per
giusta causa.
Quanto alla ratifica, ci saranno battaglie per conquistare il consenso dei cittadini
europei, e questo é un punto sul quale riflettere. Il testo tende a stabilire una situazione
di equilibrio anche nel preambolo, indicando che la multilateralità delle radici è la
ricchezza dell’Europa, della quale ritiene giusto rivendicare le radici cristiane.
Riconosce al testo un equilibrio di sostanza.
Dino NARDI (Svizzera) fa rilevare che in Svizzera, Paese extracomunitario, in alcuni
casi é richiesta la doppia maggioranza, degli Stati e delle popolazioni.
Tommaso CONTE (Germania) sottolinea che in Germania gli Italiani sono soggetti a
misure particolarmente pesanti, come quella di espulsione in particolare attuata nel
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Baden-Württenberg. I cittadini italiani che hanno l’esigenza di recarsi agli Uffici del
lavoro, perché disoccupati, rischiano di non vedere rinnovato il proprio permesso di
soggiorno.
Richiama il problema della scuola in Germania e, facendo riferimento alla direttiva
europea che prevede la possibilità di raccolta di un milione di firme per chiedere una
legge specifica, domanda se i firmatari debbano essere di un’unica nazionalità.
Gianfranco SEGOLONI (Germania) afferma che si è tutti consapevoli dell’importanza
del Trattato Costituzionale, ma qualora fosse oggetto di referendum egli domanda di
quali canali ci si dovrebbe avvalere per informare della sua importanza i cittadini.
Saranno i singoli Governi, o ciò avverrà a livello centrale?
Gianni FARINA (Francia) domanda se vi sia una scadenza entro la quale gli Stati sono
tenuti a dare la propria approvazione.
Paolo PONZANO (Esperto – Direttore, Commissione Europea) risponde che la sola
scadenza esistente è quella dei due anni dopo la ratifica da parte di quattro quinti degli
Stati, quando il Consiglio Europeo esamina le difficoltà degli Stati residui e valuta la
possibilità di una nuova soluzione, quale un nuovo trattato o un protocollo aggiuntivo.
Qualsiasi possibilità è aperta.
Si trova d’accordo sul fatto che il modello europeo di società sia preferibile a quello
americano e asiatico, ma precisa che la Costituzione non mira a stabilire un modello
europeo di società, perché una Costituzione deve dare principi fondamentali e non può
entrare in tutti i dettagli di un modello. Comunque, la Costituzione quale è adesso si
può configurare come un modello europeo di società, in cui il principio dell’economia
sociale e di mercato è combinato con la solidarietà nei riguardi delle categorie più
sfavorite. La Costituzione stabilisce dei principi; il contenuto spetta alle forze politiche,
quali si esprimono nel Parlamento Europeo e nel Consiglio. Allo stato attuale il
processo deve evolversi e va realizzata l’armonizzazione fiscale – in realtà non tutto va
armonizzato - per la quale é prevista la regola dell’unanimità, anche se molti Stati e la
stessa Commissione avevano invocato il principio della maggioranza. Si dovrà cercare
in seguito di introdurre questo tipo di cambiamento.
Sui confini dell’Europa non c’è stata riflessione perché non si é ancora creata un’identità
europea. Per definire i confini occorre anzitutto che gli europei definiscano la propria
identità; molti ritengono che non esiste un popolo europeo, e questo è effettivamente
vero, ma spesso le istituzioni precedono il demos. Soltanto geograficamente si conosce
fin dove arriva l’Europa; sotto il profilo culturale vi sono Stati che hanno origini
europee, ma anche una gran parte del mondo intorno e tutta la sponda del
Mediterraneo può essere considerata europea. È indubbia la necessità di fissare dei
confini; è mancata la riflessione, però c’è stata una proposta di dare a un anello di Paesi
vicini all’Europa, ma che non sono europei, un partenariato privilegiato, per cui si dice,
secondo la formula del Presidente Prodi: “Condividiamo tutto, tranne le istituzioni”.
Circa l’identità cristiana, egli non ha assolutamente inteso mettere in causa che il
retaggio cristiano sia un impedimento alla laicità dello Stato, ma porre in risalto che
l’aggiunta del riferimento a una religione nell’art. 2, che è uno dei criteri per le adesioni,
avrebbe potuto essere discriminante.
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Lo strumento del referendum potrebbe essere un modo per rimediare ai limiti delle leggi
europee. Riferendosi alla questione posta dal Consigliere Conte (Germania), chiarisce
che il milione di cittadini deve appartenere a un numero di Stati che non è precisato, di
cui hanno la cittadinanza. In ogni caso, il problema della scolarizzazione dei figli dei
lavoratori non tocca solo i cittadini italiani.
Il diritto di soggiorno è tra quelli che fanno parte della cittadinanza europea, e qualora
uno Stato non rispetti le norme relative, un cittadino può farlo valere in base al testo
della Costituzione. Di più difficile soluzione appare il problema delle espulsioni, poiché
non c’è una competenza in materia nel Trattato. Ci sono settori che restano di
competenza degli Stati, e in tal caso l’Unione non può intervenire.
Quanto al voto a maggioranza, vi é un sistema già applicato dal Trattato di Roma, ma
che viene modificato ad ogni cambiamento di trattato e ad ogni adesione, per cui gli
Stati membri hanno un certo numero di voti, e la decisione a maggioranza viene presa
quando si raggiunge un quorum (72%) rispetto ai voti ponderati. Con la doppia
maggioranza introdotta dalla Costituzione, ogni Stato ha un solo voto nella prima
maggioranza, relativa agli Stati (15 Stati su 25, cioè il 55%), e poi si deve raggiungere il
65% della popolazione. Poiché tre grandi Stati potrebbero bloccare una decisione a
maggioranza, é stata introdotta una clausola supplementare, per cui tre Stati non sono
sufficienti.
Antonio GIACCHÈ (Esperto – Consigliere del Comitato Economico e Sociale) é
rappresentante di un organo di consultazione obbligatoria ma non necessariamente
vincolante delle istituzioni europee, che sempre più sta esercitando un’azione di
proposizione e di indicazione. Richiesto dal Parlamento Europeo, nei prossimi giorni il
CES adotterà un parere sulla Costituzione, relativamente allo sviluppo delle procedure
e al coinvolgimento della società civile.
Si sofferma su alcune questioni poste per proporre spunti comuni di riflessione. I temi
delle politiche sociali e del lavoro, nella previsione della Costituzione e nell’avvenire
dell’Europa, lo portano a riflettere sulla base di tre ragionamenti collegati. Il primo è
che le politiche sociali e del lavoro sono al centro di quello che viene definito modello di
società europea, in cui si riscontrano elementi che hanno portato a valori condivisi. Il
secondo è che sulle politiche sociali e del lavoro probabilmente si sconta una maggiore
crescita di sfiducia dei cittadini verso l’Europa. Infine, le politiche sociali e del lavoro
sono i punti nodali su cui si giocheranno i referendum sulla Costituzione e dunque le
sorti complessive della nuova Europa. Di questo si sta discutendo in Francia.
Partendo da queste tre considerazioni, il suo contributo si svilupperà in tre parti:
un’analisi dei riferimenti contenuti nel nuovo Trattato in materia di occupazione e
politiche sociali; una valutazione dei possibili spazi di realizzazione; una riflessione sul
passaggio dalla Costituzione formale a quella materiale, cioè alle politiche reali. Vi è
una sfida su cui l’Unione Europea sta rischiando molto: la strategia di Lisbona, che
tratta questioni legate a occupazione, formazione, Europa della conoscenza.
Alla Conferenza Intergovernativa si é giunti, dopo 18 mesi travagliati, attraverso la
rivoluzione rappresentata dalla Convenzione, che ha visto la partecipazione anche delle
parti sociali europee. Nella visione iniziale per arrivare alla Costituzione, dei contenuti
delle politiche non si sarebbe dovuto tanto parlare. Obiettivo della Costituzione,
secondo il mandato dato dal Trattato di Nizza e dal Consiglio Europeo di Laecken,
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erano soprattutto i principi. La Carta dei diritti fondamentali è stata recepita in un
momento successivo, per gli ostacoli frapposti da chi ne temeva gli effetti. Si è riusciti a
far affermare sia nella discussione all’interno della Convenzione, come pure nella fase
della Conferenza intergovernativa, che la dimensione sociale taglia orizzontalmente una
serie di politiche del modello di società europea. Alcuni riconoscimenti importanti si
ritrovano nella parte prima, degli obiettivi, quali l’economia sociale di mercato e la
piena occupazione (con il Trattato di Nizza si parlava ancora di economia di mercato
aperta e occupazione elevata), il contenimento dei prezzi, la promozione della giustizia
sociale, la solidarietà tra generazioni.
La politica sociale é riconosciuta tra le competenze concorrenti, mentre in passato era
definita tra le competenze complementari, per un atteggiamento di difesa di certi Paesi
soprattutto nordici, di quello che considerano un modello più avanzato temendo che
l’omogenizzazione portasse al ribasso.
Non è politica concorrente il campo dell’educazione e della formazione professionale,
che resta una delle competenze principali degli Stati. L’Unione Europea sta cercando,
con la strategia di Bologna prima, e con la strategia di Bruges-Copenhagen poi, di dare
reciprocità di riconoscimento alle qualifiche, senza la quale il mercato europeo del
lavoro non avrebbe senso. Ed è una delle prerogative di cui gli Stati sono maggiormente
gelosi.
In materia di politiche dell’occupazione, e più in generale delle politiche economiche,
può essere svolto soltanto un ruolo di coordinamento. E se non c’è coordinamento tra le
politiche economiche e occupazionali con l’insieme delle azioni sociali, molti obiettivi
rischiano di non essere raggiunti.
Le parti sociali – datori di lavoro e organizzazioni sindacali – giocano sin dai tempi del
Trattato di Maastricht un ruolo importante, ora codificato a livello costituzionale, per
quanto riguarda la crescita e l’occupazione, e annualmente si incontrano in un Vertice
sociale tripartito che di solito precede il Consiglio Europeo di primavera.
Uno dei punti principali del dibattito, durante e dopo la Convenzione, ha riguardato la
coerenza tra principi, obiettivi e politiche realizzative. Nel complesso, i risultati non
sono molto soddisfacenti, ci sono state resistenze e arretramenti e, soprattutto nelle
decisioni iniziali, intervenire sulla parte terza, delle politiche, era la cosa meno
desiderata. La clausola orizzontale (art. 2 bis della terza parte) richiesta dal Belgio e
sostenuta dalla Presidenza italiana nel suo semestre, segna il maggior progresso rispetto
al testo convenzionale. Tale clausola indica che nell’attuazione delle proprie politiche
l’Unione Europea deve tenere conto di un certo numero di esigenze: promozione di un
livello elevato di occupazione (in contrasto con l’art. 2, che parla di piena occupazione);
protezione sociale adeguata; lotta all’esclusione sociale; tutela dell’ambiente, della
salute e dei servizi di interesse generale. La base giuridica risulta rafforzata e dà al
legislatore europeo l’opportunità di intervenire.
Come si vota per queste politiche? Il risultato finale, nelle proposte della Convenzione,
è stato di aumentare a 45 i casi di voto su questioni di interesse generale, ma restano
ancora esclusi 70 settori, alcuni dei quali di grande importanza sotto il profilo sociale. È
stato introdotto un principio, detto di passerella, in base al quale il Consiglio può
decidere di passare alla maggioranza qualificata, ove sia stato richiesto, anche per
evitare nella stessa Europa a 15 il determinarsi di gravi forme di dumping fiscale.
La Costituzione può essere valutata sotto tre diverse angolazioni: rispetto alle attese, e
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forse tutti si aspettavano qualcosa di più; rispetto al lavoro della Convenzione; rispetto
alla realtà, che è quella dei Trattati attuali, in particolare di quello di Nizza, che in
sostanza aveva assicurato l’ingovernabilità già nell’Europa a 15. Egli ritiene la
Costituzione il punto di partenza per un nuovo modo di affrontare le cose.
Con riferimento alla Costituzione formale e a quella sostanziale, ossia alla sua
traduzione operazionale, si tratta di vedere come legare al “cantiere europeo”,
soprattutto nelle parti in cui è fermo, alcuni principi e alcune procedure di politiche. In
particolare, il riferimento è alla strategia di Lisbona, lanciata nel 2000 con l’obiettivo di
rendere l’economia europea più competitiva rispetto alle altre realtà nel mondo: 70%
del tasso di occupazione con revisione di metà percorso; 3% degli investimenti
assicurato per la formazione permanente e la valorizzazione delle risorse umane. La
realtà non è però in quei termini e in genere si registra un notevolissimo ritardo rispetto
agli obiettivi.
La strategia di Lisbona si fonda sul cosiddetto “metodo aperto di coordinamento”, che
nulla ha a che fare con un’imposizione centrale da Bruxelles, ma attiene al ruolo
prevalente dei Governi nazionali, che rispetto agli obiettivi di crescita, di valorizzazione
della dimensione sociale, di sostenibilità non solo ambientale, dovrebbero lavorare in
cooperazione. Il Progetto Delors invitava ad uno sviluppo cooperativo e chiedeva agli
Stati di tenere conto, nella definizione delle priorità di bilancio, delle compatibilità con
gli altri Stati. Tutto questo non può trovare spazio nella Costituzione, ed è alla
responsabilità dei decisori politici dare la spinta per realizzarlo. Nei fatti, sono stati
indicati strumenti e nulla è stato sottratto alla responsabilità dei Governi nazionali.
Senza un recupero attraverso questi terreni, la sfida della ratifica del Trattato è del tutto
aperta.
La Confederazione europea dei sindacati nel suo Europarlamentino la scorsa settimana
ha preso posizione e, con soli due voti contrari e poche astensioni, ha invitato a
sostenere al massimo in tutte le realtà la ratifica del Trattato costituzionale. Su questa
decisione ha avuto un peso notevole la prevista possibilità del diritto di petizione.
È un atto di fiducia nei confronti del CES che il Parlamento europeo ne abbia richiesto
un parere sulla modalità di avvio di una campagna di informazione e sensibilizzazione.
O la società civile viene coinvolta e acquisisce la consapevolezza che l’alternativa è la
retrocessione, o non vi sarà la ratifica. Ritiene che i Governi e le diverse rappresentanze
istituzionali dovrebbero attivarsi.
S.E. Mario Brando PENSA osserva che sono stati evidenziati gli aspetti sia positivi che
negativi. Conferma la necessità del massimo impegno nell’informazione e
sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso tutte le possibili cinghie di
trasmissione, una delle quali è il Consiglio Generale. Di tale necessità i Governi sono
consapevoli, e c’é un’iniziativa della Presidenza olandese di animare un dibattito in
Europa sui valori europei e sui contenuti della Costituzione, in vista dei referenda e delle
procedure di ratifica. In una riunione informale i Ministri competenti hanno discusso la
questione e un’ulteriore incontro è previsto nel prossimo dicembre, per individuare
linee di azione perché l’opinione pubblica acquisisca la consapevolezza dell’interesse
comune che il Trattato entri in vigore. È auspicabile che i singoli Governi si adoperino
in questo senso.
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Franco NARDUCCI (Segretario Generale del CGIE - Svizzera) osserva che le relazioni
hanno fornito spunti di riflessione al Consiglio Generale, presente in ogni Paese
dell’Unione Europea con suoi rappresentanti. Egli, che vive in Svizzera, ritiene il
disegno europeo l’unico ipotizzabile nell’attuale momento storico e che l’allargamento
sia un aspetto della globalizzazione.
Il Trattato di Lisbona ha posto obiettivi troppo alti, che non é stato possibile realizzare.
Vi sono politiche relative al mercato del lavoro che confliggono con quegli obiettivi, e
richiama l’attenzione sui riflussi in Germania, sulle riforme del mercato interpretate in
controcorrente, sul protezionismo delle proprie imprese in Francia. L’armonizzazione
fiscale avrebbe potuto porre un freno alla delocalizzazione: occorrono ulteriori studi e
sta ai tecnici individuare un denominatore comune per le politiche del lavoro in
Europa.
In tema di ricerca scientifica c’é da domandarsi come l’Europa pensi di competere con
continenti quale l’asiatico, il cui ritmo di crescita è dell’8-10%. Occorre coesione sociale
per impostare politiche collettive; Francia, Germania e Gran Bretagna investono in
ricerca in misura considerevole, ma la stessa cosa non avviene negli altri Paesi, ed é
necessario fissare obiettivi che valgano per tutti.
Nell’immaginario comune la sensazione é che l’allargamento determini una sottrazione
di posti di lavoro, mentre invece é una grande potenzialità per l’Europa, e occorre
valutare come far sì che tale visione non si rifletta negativamente sulla ratifica del
Trattato.
Facendo riferimento alle politiche di sicurezza sociale, Carlo ERIO (Francia) considera
che ciò che il CGIE riesce ad ottenere può avere riflessi positivi anche nei confronti degli
altri migranti. I Trattati europei sono ormai insufficienti, se non addirittura di ostacolo
all’integrazione dei nuovi soggetti che entrano in Europa, e ne è prova il disordine
provocato dall’integrazione dei lavoratori svizzeri che avevano lavorato in Francia.
Date le resistenze nazionali, nel campo della sicurezza sociale si è ben lontani dal
parlare di omogenizzazione, però in alcuni casi si riesce a ottenere soddisfazione
davanti alla Corte di giustizia europea.
Domanda se in questo clima di avanzamento dell’Unione Europea sarebbe possibile
mettere allo studio nuovi trattati di sicurezza sociale, per favorire l’integrazione di altre
popolazioni.
Poiché in quasi tutti i Paesi il sindacato ha una forza aggregante ed è vicino ai
lavoratori, Alberto BERTALI (Gran Bretagna) considera di grande interesse la decisione
del sindacato europeo, di sostenere la ratifica della Costituzione.
In Gran Bretagna vi sarà un referendum ed é difficile convincere la popolazione a votare
positivamente, soprattutto in assenza di un’adeguata informazione.
Franco SANTELLOCCO (Algeria) osserva che le politiche sociali e del lavoro non
tengono conto dei cittadini europei che lavorano al di fuori dei confini dell’Unione
Europea.
Richiamando la tragedia di Marcinelle, fa presente che il CGIE reitera puntualmente la
richiesta di tutela della salute e prevenzione degli infortuni sul lavoro, che anche in
Italia è carente. L’uomo deve essere posto al centro dell’attenzione in tali campi, e
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chiede se il Trattato Costituzionale preveda un riferimento, o un rafforzamento
specifico in proposito, oppure se tutto sia ancora lasciato alle autonome iniziative dei
Governi nazionali, senza possibilità di censura.
Claudio POZZETTI (Italia) condivide la distinzione rispetto alle attese e rispetto alla
realtà e opportunamente l’Esperto Giacchè ha ricordato il voto del Comitato Esecutivo
della CES. Egli è sempre stato tra coloro che in tutte le sedi hanno sostenuto la necessità
di iniziative in favore della ratifica della Costituzione ed è convinto che occorra fare
un’opera quotidiana di conquista del consenso.
Rispetto alla strategia di Lisbona in questi anni si sono verificati arretramenti, in parte
dovuti a ostacoli che si sono nel frattempo frapposti, ma soprattutto frutto dei diversi
equilibri politici determinatisi dal 2000 ad oggi all’interno del Consiglio Europeo. Egli è
tuttavia convinto che soltanto la strategia di Lisbona possa consentire al modello sociale
europeo di affermarsi non solo da un punto di vista etico, ma di rappresentanza degli
interessi di tutte le parti sociali, proprio perché non è possibile vincere la sfida della
competizione rispetto ai modelli americano e asiatico, sul terreno della riduzione del
costo del lavoro, ma soltanto sul terreno alto della conoscenza.
E fondamentale il riconoscimento reciproco dei titoli di studio e dell’iter di formazione
anche in rapporto alla libera circolazione dei lavoratori. I timori possono, a suo avviso,
essere superati non solo facendo appello a concetti di solidarietà, ma dimostrando che
la libera circolazione può accrescere la forza contrattuale dei lavoratori.
Giorgio MAURO (Olanda) chiede quale sia la ratio per cui si faranno i referenda, dei
quali i Governi poi non necessariamente terranno conto. Egli suppone vi sia il timore di
una risposta della popolazione dettata dall’emotività.
Fernando MARZO (Belgio) pone l’accento su un problema che si è evidenziato in Belgio
e in Olanda, delle competenze maturate in altri Paesi. In proposito nelle Fiandre la
discussione è animata.
A parere di Gianni FARINA (Francia) l’art. 46, relativo al diritto di iniziativa da parte di
un milione di cittadini appartenenti a un numero rilevante di Stati membri, è molto
ambiguo nella formulazione. Comunque, non è facile raccogliere un milione di firme, e
in questo un ruolo di rilievo possono averlo i sindacati. La CES non può non essere
un’impalcatura fondamentale del processo unitario europeo, anche se tuttora manca un
processo di solidarietà vera.
Antonio GIACCHÈ (Esperto – Consigliere del Comitato Economico e Sociale) precisa che il
fatto che lui abbia citato la CES non significa che sia portavoce di questa posizione. Gli è
semplicemente capitato di assistere alla riunione del Comitato Esecutivo e di
considerare che la possibilità di prevedere un’azione così radicale testimonia la capacità
di adeguarsi alle nuove situazioni. Se la CES dovesse lanciare una raccolta di firme, in
relazione al tema egli certamente firmerebbe, ma iniziative di questo tipo possono
essere assunte da qualsiasi associazione, come pure dalle forze politiche. Convenendo
sull’ambiguità della formulazione, ritiene che ciò dipenda dal fatto che i temi trattati
riguardano più Paesi.
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L’Ambasciatore Pensa ha ricordato l’iniziativa della Presidenza olandese, di lanciare
una campagna di comunicazione a livello europeo per spiegare l’allargamento e
informare sulla Costituzione. Quanto alla strategia di Lisbona, egli l’ha assunta a
riferimento per indicare che certe questioni, che si vorrebbero risolte da un trattato
costituzionale, in realtà dovrebbero già esserlo da processi previsti, senza i quali si
mette in discussione la fiducia della popolazione verso il Trattato costituzionale, e si
ignora che in un processo così importante si è lontani dagli obiettivi di metà percorso,
sui quali si gioca la credibilità della strategia e si ipoteca l’avvenire dell’Europa e i suoi
appuntamenti, ivi compreso quello delle ratifiche.
Occorre invertire la logica per cui la strategia di Lisbona è stata decisa da un Consiglio,
ma poi ognuno prosegue per la propria strada, e collegare il Patto di stabilità e di
crescita agli obiettivi di Lisbona, che prevedevano grandi investimenti pubblici in
strutture, infrastrutture e intelligenze. Lisbona non può essere giocata al ribasso, sui
costi di lavoro, ma al rialzo, creando una concorrenza del modello europeo a quelli
statunitense e orientale.
Rispondendo al Consigliere Santellocco (Algeria) fa presente che la Costituzione non
può intervenire in tema di cittadini europei all’estero, ma può riguardare soltanto i
cittadini europei all’interno dell’Unione. Per quanto riguarda gli europei all’estero, si
pone il problema di allargare la discussione su un problema per il quale può essere fatto
crescere l’interesse. Il problema, ora, è assicurarsi che il Trattato costituzionale vada a
buon fine, cosa tutt’altro che certa. Invita il CGIE a svolgere un’opera di informazione
con dibattiti nei circoli di emigrazione, avvalendosi anche dei Consiglieri italiani del
CES, che sono espressione dell’imprenditorialità, del mondo sindacale e di quello
dell’associazionismo.
Il riconoscimento delle competenze è un processo in fieri, in cui si ricercano le forme di
un reciproco riconoscimento basato non solo sui titoli, ma sulle competenze acquisite
attraverso una formazione non formale.
In tema di sicurezza sociale e del suo allargamento ai nuovi Stati, i regolamenti
dovranno essere cambiati secondo una nuova prospettiva. Comunque, il vero problema
è la questione politica in generale.
Il PRESIDENTE informa che, trattenuti da impegni di lavoro, non potranno intervenire
gli altri due Esperti invitati; egli si adopererà affinché si possano acquisire agli atti le
loro relazioni. Il previsto programma dovrà subire alcune variazioni.
I lavori, sospesi alle ore 14, riprendono alle ore 15.50
Aprendo la sessione pomeridiana dei lavori, il PRESIDENTE informa che il Min. Plen.
Benedetti (Direttore Generale della DGIEPM) concluderà con il suo intervento la
discussione sul tema della Costituzione Europea; si procederà poi con la presentazione
di alcune relazioni nazionali sui processi di integrazione. Sarà anche opportuna una
riflessione sulla modalità di presentazione delle prossime relazioni sullo stato di
integrazione, affinché abbiano una strutturazione omogenea.
Il Ministro Adriano BENEDETTI (Direttore Generale della DGIEPM) reca il saluto del
Ministero degli Affari Esteri e della sua Direzione Generale, interlocutore abituale del
CGIE, e si complimenta per la scelta del tema.
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Il processo di costruzione europea è di portata storica e gli sviluppi che attengono alla
Costituzione trovano la ragion d’essere nelle trasformazioni internazionali della fine
degli anni ‘80. L’Unione Europa ha dovuto considerare positivamente l’allargamento e
procedere nel contempo alla revisione della struttura e dei procedimenti. La costruzione
europea è avanzata per tappe, affrontando man mano i problemi attinenti
all’integrazione nei diversi settori, approvando i relativi provvedimenti e
consolidandone l’assetto. Lungo il percorso ci si è resi conto che per compiere un salto
di qualità si doveva affrontare la questione della sovranità degli Stati; il passaggio della
Costituzione è un coraggioso passo avanti sulla strada dell’integrazione.
Si è parlato di Trattato costituzionale, che configura una virtuosa anomalia che dà la
dimensione dell’innovazione della costruzione europea. Infatti, mentre in genere la
Costituzione viene “confezionata” all’interno di un Paese e si riferisce a dei cittadini, in
questo caso è stata predisposta attraverso un accordo fra Stati. È la grande novità della
costruzione europea, che ha sempre più bisogno del concorso dei cittadini. Si è anche
parlato di valori; del retaggio cristiano e della richiesta di un riferimento ad esso nella
Costituzione, che il Governo italiano ha sostenuto; di partecipazione dei cittadini
europei. Il salto di qualità si compie se il cittadino europeo, in piena consapevolezza, si
fa portavoce degli argomenti che sono stati sollevati. L’Europa ha bisogno che nelle
nuove strutture, nella tecnocrazia che è stata promossa si inserisca la partecipazione
della volontà popolare, essenziale perché si possa procedere.
Le comunità italiane in Europa sono state inconsapevoli anticipatrici del processo di
integrazione, così come i connazionali nel mondo sono stati anticipatori del grande
movimento di globalizzazione. L’integrazione che in Europa si prospetta comporta una
duplice sfida: quella che i connazionali in tutti i Paesi del mondo hanno affrontato e
quasi sempre vinto per inserirsi nella struttura della società di accoglienza, mantenendo
il legame con la Patria, e quella dell’integrazione a livello globale europeo. Il CGIE e le
comunità italiane che, a seconda dei Paesi, si sono più o meno integrate anche a prezzo
di sofferenze, possono recare un contributo essenziale al processo di integrazione
europea. Nel misurare le indubbie difficoltà che il futuro riserva, è bene anche volgere
indietro lo sguardo e considerare le enormi conquiste di questi ultimi cinquant’anni.
Il PRESIDENTE ringrazia il Ministro Benedetti e propone di passare alla presentazione
delle relazioni nazionali sullo stato di integrazione.
Franco NARDUCCI (Segretario Generale del CGIE – Svizzera) ne sottolinea l’importanza.
Esse consentiranno al Vice Segretario Generale di redigere la complessiva relazione,
necessaria per poi approntare l’annuale relazione sullo stato d’integrazione delle
comunità italiane all’estero, da presentare al Parlamento. Egli ritiene che su ogni
relazione debba svilupparsi un seppur minimo dibattito.
Il PRESIDENTE richiama l’art. 8 della legge del CGIE, che stabilisce che sia stilata una
relazione annuale per area geografica, per ribadire che ci si deve porre l’obiettivo
dell’armonizzazione delle relazioni dei singoli Paesi. Egli ritiene di interpretare lo
spirito della legge affermando che la relazione del CGIE è utile al Parlamento per poter
meglio orientare le politiche dell’Italia in favore delle comunità all’estero.
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Melchiorre Roberto NOLA (Gran Bretagna) fa anzitutto presente che l’integrazione
della comunità italiana in Gran Bretagna si presenta con molteplici aspetti. La prima
emigrazione, degli anni ‘50, ha incontrato notevoli difficoltà ad integrarsi, anche per la
mancata conoscenza della lingua, sicché si è isolata dalla vita politica e sociale e, di
conseguenza, non era a conoscenza dei propri diritti, alla cui salvaguardia hanno
dedicato il proprio impegno i Patronati.
La seconda e terza generazione, invece, sono state facilitate dalla conoscenza della
lingua e da una in genere migliore preparazione culturale, per cui, pur mantenendo un
legame con le proprie origini, sono in una certa misura partecipi della vita politica del
Paese (il diritto di voto è riconosciuto per le elezioni amministrative, ma non per le
politiche). Quanto ai giovani, il loro interesse è rivolto alle questioni lavorative e socioprevidenziali piuttosto che alla politica. È questo il motivo della scarsa partecipazione
alle elezioni dei Comites ed a quelle europee, pur se la legge sul voto per
corrispondenza ha animato un certo interesse.
L’Europa di 25 Paesi e la moneta unica erano traguardi impensabili soltanto 20 anni fa,
ed è opportuna una riflessione su tematiche quale la libera circolazione dei lavoratori e
dei futuri pensionati, con riferimento in particolare alla non esportabilità delle
prestazioni assistenziali erogate a integrazione di quella previdenziale.
L’integrazione della comunità italiana nei singoli Paesi europei va considerata
parallelamente all’integrazione nel sistema europeo in tutti i suoi aspetti: previdenziale,
economico, culturale e politico. (All. 3)
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) richiama il Documento finale della Conferenza
dell’emigrazione del 1988, che ha definito l’integrazione un processo che deve
svilupparsi nell’attenzione alle esigenze delle giovani generazioni e nel sostegno a
politiche di integrazione sociale degli anziani e degli invalidi, e condurre a un’attiva
partecipazione, anche sotto il profilo politico, alla vita del Paese di residenza.
La recente indagine del CGIE sui giovani italiani all’estero, per quanto riguarda la Gran
Bretagna ne ha evidenziato il disimpegno, conseguenza del dialogo interrotto tra il
mondo politico italiano e la prima generazione di emigrati. La politica, infatti, ha
risposto alle istanze dell’emigrazione in modo incompleto e tardivo, ha ricordato i
connazionali nel mondo solo in occasione delle tornate elettorali, ha determinato un
clima di sfiducia, ha prodotto risentimenti e l’allontanamento dei giovani, che pure
della Madrepatria apprezzano il bello che essa offre in termini di cultura.
Alberto BERTALI (Gran Bretagna) osserva che i giovani, i suoi figli ad esempio, si
sentono italiani ma in realtà non sanno cosa esattamente significhi, poiché vivono la
realtà inglese, ed è per questo che sono maggiormente interessati alla politica locale.
Concorda sull’opportunità di coinvolgere sempre più i giovani, ma occorre anzitutto
motivarli, altrimenti non vi è ragione per cui dovrebbero interessarsi attivamente alle
cose italiane.
Per Norberto LOMBARDI (Italia), oltre a stabilire una dialettica tra generazioni occorre
uno sforzo per superare il circolo chiuso riguardante la trascorsa fase dell’emigrazione.
Il CGIE dovrebbe, a suo avviso, prendere in seria considerazione le conseguenze del
fatto che ogni anno dall’Italia emigrano verso l’estero oltre 50 mila persone, per le quali
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è elevato il livello di integrazione in campo lavorativo, ma non altrettanto in quello
sociale. Esiste una zona grigia sulla quale il CGIE dovrebbe riflettere, anche perché
spesso la presenza temporanea all’estero costituisce l’inizio di un progetto che poi
diventa vita definitiva.
Stamani non sono stati affrontati gli aspetti più specifici della comunità italiana in
Europa. Ci sono dinamiche che riguardano immigrati provenienti da Paesi dell’Unione,
ma questioni che riguardano la presenza di immigrati provenienti da altri Paesi, nei cui
confronti esiste un timore diffuso per cui si sviluppa un atteggiamento che mette in
discussione il livello di fruizione dei diritti. Oltre alla dialettica tra generazioni, esiste
una dialettica tra componenti immigrati da Paesi dell’Unione, che sono tutelate, e
componenti che non lo sono, ed egli dubita che questi aspetti non debbano riguardare
anche il Consiglio Generale.
Suggerisce che in una prossima occasione si affronti il tema della condizione degli
immigrati nel nuovo contesto normativo e istituzionale dell’Europa, per cercare di
recuperare le diverse dimensioni.
Stefano TRICOLI (Belgio) avverte la difficoltà di definire il concetto di integrazione, che
riguarda aspetti sociali e individuali e si realizza con una gradualità più o meno
accentuata. Il processo di assimilazione, invece, attiene alla cultura e richiede tempi
molto lunghi. Peraltro, chi è ben integrato è probabile che finisca con l’assimilare lo stile
di vita del Paese di accoglienza.
Rimarcare la differenza tra i due processi, di integrazione e di assimilazione,
corrisponde alla necessità di affermare che in una società multiculturale non si può
parlare di omologazione degli stranieri nel Paese ospite, ma di reciproco avvicinamento
dei modi di vita.
L’analisi del processo di integrazione della comunità italiana nei diversi Paesi dovrebbe
tenere conto degli aspetti materiali, come il lavoro e l’alloggio, e immateriali, come la
cultura e il prestigio sociale, e non soltanto della capacità dei connazionali di inserirsi
nel funzionamento della società locale.
Dal 1993 il Belgio è uno Stato federale composto da tre comunità linguistiche e tre
Regioni amministrative, che si caratterizzano per le frequenti tensioni che si
ripercuotono sull’ordinamento interno dello Stato, come pure sull’organizzazione della
rappresentanza politica. L’assetto istituzionale si articola su tre livelli: Stato federale,
che ha competenze in materie di interesse nazionale; Comunità linguistiche su base
personale, con competenze legislative in materia linguistica, culturale, educativa e
sociale; Regioni a base territoriale, le cui competenze sono prevalentemente di carattere
economico. Le lingue ufficiali sono tre: fiamminga, francese e germanofona.
In questa realtà è inserita la comunità italiana, della quale è difficile stimare l’effettiva
consistenza; comunque, è la più numerosa, insieme a quella marocchina. Il principale
flusso migratorio dall’Italia si è verificato tra la fine degli anni ‘50 e ‘60, quando
l’industria mineraria e del carbone ha attratto, in particolare nella Vallonia, migliaia di
italiani. Con l’esaurirsi di tale migrazione è man mano diminuito il numero di italiani di
prima generazione, mentre è aumentato quello degli italiani di origine.
Sono relativamente pochi gli italiani naturalizzati, nonostante la politica in tal senso del
Governo belga. Tuttavia, a seguito dei cambiamenti introdotti con le leggi del 1985 e del
1992, un consistente numero di italiani ha acquisito la nazionalità belga. Si può
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affermare che, nel suo complesso, la comunità italiana si è stabilmente insediata in
Belgio e che il progetto di rientro definitivo in Italia riguarda un numero esiguo di
persone.
Alla prima generazione di lavoratori immigrati, e alla seconda, composta dai
discendenti, si affiancano, comunque ignorandosi reciprocamente, i funzionari delle
istituzioni europee, insegnanti, consulenti, rappresentanti di imprese, italiani all’estero
portatori e consumatori di ricchezza, che però talvolta soffrono crisi da isolamento e
perdita di identità.
Gli italiani in Belgio godono del massimo rispetto e molti di essi hanno raggiunto
posizioni di alto prestigio in diversi campi, dall’imprenditoria alla cultura, alla politica
locale e sindacale. In particolare, in ambito sindacale la partecipazione e la
rappresentanza sia attiva che passiva non è mai stata vincolata alla cittadinanza.
L’introduzione del diritto di voto e l’eleggibilità a livello locale dei cittadini comunitari
ha portato diversi connazionali nei Consigli municipali della Vallonia e delle Fiandre.
(All. 4)
Claudio MICHELONI (Svizzera) si sofferma sull’opportunità di meglio strutturare il
lavoro, per non finire col raccontare sempre la storia dell’emigrazione, ben nota a tutti.
La relazione che si deve al Parlamento - unico strumento a disposizione del Consiglio
Generale per fare politica - riguarda lo stato, oggi, dell’integrazione e la proiezione
triennale. Devono pertanto esservi indicate le aspettative per i prossimi tre anni in
ordine all’impegno politico del Governo e del Parlamento. Questo metodo dovrebbe
essere valido per l’insieme del Consiglio Generale e si dovrebbe tentare di
rappresentare anche la diversa società che non segue le attività del CGIE.
Il PRESIDENTE conviene sull’opportunità di decidere insieme un’impostazione
omogenea nella predisposizione delle relazioni nazionali e ritiene necessario che la
Commissione Continentale indichi alcuni parametri e indicatori da utilizzare
particolarmente nella valutazione sullo stato di integrazione delle nostre comunità nei
vari Paesi dell’Europa e dell’Africa del Nord.
Claudio MICHELONI (Svizzera) osserva che, se si vuole che siano lette, le relazioni
dovranno essere brevi. Ribadisce poi la necessità di definire una metodologia per
presentare a dicembre un documento organico.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) fa rilevare che due sono i tipi di relazione richiesti:
programmatico triennale, e fotografico annuale; e la relazione di cui si discute è
appunto di tipo fotografico. Ciò premesso, a suo avviso è fuori luogo continuare a
ripetere cose già dette, come ad esempio la questione delle espulsioni in Germania,
mentre è necessario parlare di quanto è intercorso dalla precedente relazione.
L’elemento di novità è costituito dall’indagine sui giovani.
Il Ministro Torquato CARDILLI (Segretario del CGIE) sottolinea la necessità che le
relazioni indichino i problemi segnalati in passato che non hanno trovato soluzione,
nonché lo stato del rispetto dei diritti dei nostri connazionali e del contenzioso esistente
tra l’Italia e ciascun paese.
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Tommaso CONTE (Germania) tiene a rimarcare che dell’indagine sui giovani a
Stoccarda ha soltanto sentito parlare. Quanto all’integrazione, ricorda che in Germania
ci si è sempre rifiutati di presentare una relazione poiché non si conoscono i parametri
in base ai quali si può affermare se una comunità è integrata oppure no.
Egli ritiene che al Parlamento si debba indirizzare una breve nota, segnalando che in
alcune Nazioni i diritti non sono rispettati, cosa di cui sembra non essere a conoscenza.
Il Presidente Ciampi, ad esempio, soltanto in occasione della sua visita in Germania è
venuto a sapere del dramma delle espulsioni, e il Presidente Berlusconi ha affermato
che in Germania la collettività italiana è integrata.
Franco NARDUCCI (Segretario Generale del CGIE – Svizzera) fa rilevare che il documento
sullo stato di integrazione rappresenta una base di partenza e deve contenere dati
analitici di valutazione dell’integrazione sociale e politica. Ci si deve domandare se
proprio questo richieda il legislatore e poi, avvalendosi del supporto di esperti da ogni
Nazione, sarà opportuno dedicare una volta l’anno una giornata a una riflessione più
ampia sullo stato di integrazione in senso lato.
Gianni FARINA (Francia) tiene a far presente che vi sono documenti a cui fare
riferimento per aggiornare la situazione. Si tratta di riprenderli, indicare i cambiamenti
intervenuti e riproporre al Parlamento le questioni sulla base di analisi aggiornate e
documentate. Si deve, a suo avviso, procedere Paese per Paese, organizzando riunioni
con esperti dei vari settori, e successivamente sintetizzare i dati. L’importante è che sia
dato ascolto e, se il Governo e il Parlamento non saranno disposti ad ascoltare, si vedrà
a quali forme di lotta fare ricorso.
Massimo ROMAGNOLI (Grecia) concorda sulla necessità che quanto prima siano date
indicazioni puntuali e fissati precisi paletti, ma ora non si può non tenere conto del
lavoro di chi si è impegnato nel produrre le relazioni, come hanno fatto i Presidenti dei
Comites dell’area che egli rappresenta.
Tommaso CONTE (Germania) ritiene paradossale che debba essere il Consiglio
Generale a informare lo Stato, ad esempio, sugli scambi commerciali dell’Italia, che
avvengono attraverso le Camere di commercio; egli continua a domandarsi quali
debbano essere i parametri per stabilire il grado di integrazione di una collettività, e se
si intende integrazione commerciale, il Consiglio Generale non ha conoscenze più
approfondite di quelle dello Stato italiano.
Per Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) ricorda che con la Conferenza del 1988 erano già stati
fissati alcuni paletti, tanto è vero che nel Documento finale si afferma che “è nell’area
della comunità europea che il passaggio da emigrato a cittadino deve diventare una
realtà, tramite la realizzazione di un’effettiva parità nel campo economico e sociale, e
l’istituzione della cittadinanza europea, che comporti il diritto di voto e l’eleggibilità sia
a livello comunale che nelle liste locali per le elezioni europee, il diritto di accesso ai
pubblici uffici e il diritto di soggiorno in ogni punto del territorio della comunità.”
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Norberto LOMBARDI (Italia) conviene sul rischio che si faccia un lavoro inutile, ma la
legge va applicata anche per rilanciare il rapporto con il Parlamento in termini più
mirati. La legge chiede che la relazione rappresenti il percorso di integrazione, lo stato
dei diritti e l’eventuale contenzioso; a tal fine è necessaria un’analisi di carattere
generale, area per area, Paese per Paese. Parlare in assoluto di processo di integrazione
significa esprimere un concetto astratto, poiché si sa bene che vi sono aree di
emarginazione presenti anche in Europa, non soltanto in Sud America. La relazione
deve essere un elemento di sonorizzazione verso il Parlamento, e occorre mettersi in
condizione di maggiore reattività e incisività, con una sintesi di 3-4 temi per Paese.
Gianfranco SEGOLONI (Germania) osserva che sono emersi spunti interessanti. La sua
relazione intende essere di aggiornamento sulla comunità italiana in Germania, che vive
una situazione di disagio. Parte dalla premessa che integrazione significa godimento,
dal punto di vista teorico, di tutti i diritti dei cittadini nati in un Paese dell’Unione, che
deve essere consentito anche a coloro che di quel Paese non sono cittadini. Se nel
raggiungimento di tali diritti si crea un disagio, compito del CGIE è denunciarlo e
tentare di risolverlo.
La comunità italiana è molto diversificata, e si deve superare la visione tradizionale
degli anni ’60 e ’70. Persone con cultura superiore, piccoli e medi imprenditori,
operatori nel campo della gastronomia che tentano esperienze al di fuori dell’Italia sono
stati marginalmente considerati, ma chiedono aiuto e sostegno perché non sono in
grado di adeguarsi alle regole vigenti nella società tedesca. Si tratta di situazioni
striscianti, che non suscitano clamore come le espulsioni, ma che vanno lentamente
stratificandosi e non trovano spazio nell’esame delle situazioni complessive.
La riforma sociale avviata nello scorso mese di giugno avrà effetti sulla società tedesca
in cerca di occupazione, e tra questi numerosi sono gli italiani; sono cambiate in senso
peggiorativo le disposizioni in materia di sussidio alla disoccupazione. In Germania c’è
una polemica che crea una spaccatura a livello verticale - una contrapposizione tra i
lænder più ricchi, che pensano di dover mantenere quelli di recente annessione che non
hanno grandi capacità di lavoro - ma anche orizzontale, e alla fascia più bassa
appartengono anche gli italiani.
Qualsiasi proposta di soluzione deve tenere conto di questa realtà, e poiché i problemi
sono collegati, non si può denunciare tale situazione e poi accettare, ad esempio, una
riduzione della Rete consolare. La Germania ha una diversità di storia e tradizione ed è
stimolante sotto il profilo della conoscenza del cuore dell’Europa, ma il fatto di trovarsi
al centro di tensioni tra l’Europa che guarda al passato e quella che guarda a Est ha
determinato una forte tendenza xenofoba, che si concretizza con il riapparire di partiti
di estrema destra.
Gianni FARINA (Francia) invita a porre la massima attenzione a cosa si propone,
cercando di non sbagliare l’approccio al problema in quanto si può essere integrati e
poveri. Si tratta di sapere se in quel processo di crisi la comunità italiana, che non è
integrata, subisce maggiori conseguenze, se è in atto una discriminazione e che cosa ci si
aspetti dal Governo italiano.
Franco DEL VECCHIO (Germania) invita a fare un passo indietro e a domandarsi cosa
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facciano i Consolati e le Ambasciate nei singoli Paesi, se non informano il Governo sulle
espulsioni. Alcune settimane fa si è tenuto a Berlino un convegno sulla scuola
differenziale dove sono relegati tanti bambini italiani, ed erano presenti tutti i Consoli,
che ben conoscono questo tipo di problema. Sulla questione delle espulsioni da più di
un anno sta lavorando una Commissione intergovernativa italo-tedesca, e certo avrà
fatto almeno una relazione. Si tratta allora anche di coordinare i lavori; il CGIE ha
sicuramente dei doveri, ma altrettanti ne hanno altri organi dello Stato.
Per Michele CRISTALLI (Germania) va definito il concetto di integrazione. Se si intende
il rispetto dei diritti di un cittadino, probabilmente si deve affermare che vi è
integrazione. Un cittadino italiano che ha lavorato in Germania per cinquant’anni, non
parla la lingua tedesca e ha sempre condotto una vita isolata, senza peraltro subire
discriminazioni di sorta, oggi che è pensionato cerca aiuto ma non perché non vi siano
case per anziani che non lo accettano, al contrario, è lui che non vuole andarci.
Il Ministro Adriano BENEDETTI tiene a rassicurare che la Rete diplomatico-consolare
assolve con impegno e serietà il compito istituzionale di informare le Autorità
competenti e proteggere le comunità. Le situazioni di disagio e discriminazione sono
state riferite sia alla sua Direzione Generale che alla competente Direzione Generale
Geografica e ci si sta attivando presso le Autorità locali per arginare il fenomeno, non
intendendo però svolgere un ruolo di supplenza rispetto al CGIE, che deve
sensibilizzare il Governo e il Parlamento italiano con l’autorità che gli viene dal contatto
immediato e dalla forza di rappresentanza propria dei membri del CGIE.
Indubbiamente il concetto di integrazione è di difficile definizione. Per definire lo stato
di integrazione c’è bisogno di alcuni indicatori, ma la conclusione a cui si perviene non
può essere il risultato dell’applicazione matematica di tali indicatori; essa deve bensì
basarsi sulla percezione che la comunità ha della sua collocazione nella società di
accoglienza.
Franco DEL VECCHIO (Germania) si domanda se si debba desumere che il Capo del
Governo non aveva capito come stanno le cose. Pone quindi l’accento sull’importanza
della reciprocità delle informazioni: se il CGIE deve fare una relazione per informare il
Parlamento, deve a sua volta essere edotto su quanto sta facendo la Commissione per le
espulsioni dal Baden-Württembeg e dalla Baviera.
Il PRESIDENTE sottolinea che sono previsti almeno due incontri l’anno con
l’Ambasciatore, e spetta al CGIE chiedere e pretendere risposte; soltanto in questo
modo si otterrà autorevolezza e autonomia di lavoro.
Il Ministro Adriano BENEDETTI ritiene importante tale rilievo. Non c’è dubbio che
spetta all’Ambasciatore e ai Consoli restare a l’écoute, delle esigenze delle comunità,
intessendo un dialogo in particolare con coloro che su una base elettiva sono i
rappresentanti legittimi della comunità, i quali, da parte loro, hanno il compito di stare
in contatto con le Autorità diplomatico-consolari e sollecitarle ove necessario, semmai
segnalando alla Direzione Generale eventuali situazioni di inadempienza: situazioni
che sarebbero contrarie oltre che alle norme generali, alle istruzioni che la DGIEPM ha
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da tempo inviato alla Rete per quanto riguarda la valorizzazione dei Comites e dei
membri del CGIE.
Michele CALAMERA (Belgio) afferma che ora gli è più chiaro il modo di procedere, e
non è stato vano aver dedicato del tempo a cercare di capire i motivi per cui il 29 ottobre
i Presidenti di 25 Paesi europei dovrebbero firmare la Costituzione Europea.
Discutere insieme è un’opportunità anche per conoscere come vanno le cose in Europa e
i Consiglieri del CGIE, portatori di diverse esperienze, dovrebbero indicare le tendenze
che si delineano nei Paesi da cui provengono e dove vivono le comunità italiane. Ci si
deve sforzare di capire in quale direzione debba muoversi il CGIE perché le sue azioni
abbiano riflessi nell’agire quotidiano.
Indubbiamente sono stati compiuti passi avanti rispetto al passato; più che di
integrazione appare logico parlare di convivenza e delle aspettative della comunità, per
dare al Parlamento italiano ed europeo indicazioni sulle esigenze di 18 milioni di
italiani, che hanno aspirazioni diverse rispetto a quelle del secolo scorso.
Giorgio MAURO (Olanda) assicura che nei confronti degli italiani in Olanda non si
lamenta alcuna discriminazione, a meno che non si ponga il problema della conoscenza
della lingua. L’accento va dunque posto sulla formazione delle persone che vivono in
Paesi di emigrazione.
Franco NARDUCCI (Segretario Generale del CGIE – Svizzera) osserva che in Europa
esistono situazioni fortemente divaricate: i problemi della Germania e della Svizzera
sono molto diversi da quelli dell’Inghilterra e della Francia, dove però si apre lo
scenario delle nuove mobilità. È questo che va indicato al Parlamento: non trattati
sull’integrazione bensì informazioni Paese per Paese. Il CGIE deve assumere
l’atteggiamento culturale di essere al servizio della comunità e di rappresentarla
degnamente. Ma in una Commissione Continentale è anche importante si svolga una
riflessione più approfondita, un confronto serrato su questi temi e sarebbe opportuno
dedicare un giorno l’anno alle questioni dell’integrazione, delle nuove mobilità, dei
cervelli in fuga dall’Italia.
Le relazioni oggi presentate sono funzionali al disegno complessivo; occorre ora,
ponendo a confronto le diverse esperienze, stabilire dove mettere gli accenti e
rispondere a un’esigenza evidenziata nella legge, non trascurando di indicare i
contenziosi esistenti, dei quali lo Stato italiano deve farsi carico. Si tratta di fare un salto
di qualità impegnando la politica nella sua espressione più ampia.
Il PRESIDENTE avverte che è stata presentata la richiesta di mettere, tra le “Varie”, due
nuovi punti all’ordine del giorno: dal Consigliere Romagnoli (Grecia), sulla Rete
consolare nei Paesi di sua competenza; del Consigliere Pozzetti (Italia), sui lavoratori
frontalieri.
I lavori terminano alle ore 18.15
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VENERDÌ 22 OTTOBRE 2004 – I lavori iniziano alle ore 9.50
Presidenza del Vice Segretario Generale Elio CAROZZA
Il PRESIDENTE rivolge parole di benvenuto all’ing. Capostagno, del Comites di
Amsterdam, e ai rappresentanti di Radio Onda Italia, Elisabeth Booms e Alessio Corrà.
Avverte che si procederà con la presentazione delle relazioni nazionali, dalle quali
trarre elementi per il dibattito.
Oscar CECCONI (Svezia) fa presente che in tema di integrazione in Svezia occorre
distinguere tra vecchia e nuova emigrazione, per procedere all’analisi di un fenomeno
che di anno in anno sta assumendo proporzioni più vaste. La vecchia emigrazione,
risalente al dopoguerra, non è ormai quasi più presente e i discendenti di seconda e
terza generazione hanno raggiunto un buon livello di integrazione. C’è però da
lamentare la loro scarsa conoscenza della lingua e cultura italiana. I nuovi migranti
sono giovani culturalmente preparati: studenti, professionisti, ricercatori universitari ai
quali, in occasione di incontri con le associazioni ed il Comites, sono state fornite
informazioni sulla società svedese, sui diritti e sull’impegno a preservare la lingua e la
cultura italiana. Questi giovani, che si scontrano con le difficoltà che anche in Svezia
oggi esistono, di inserirsi nel mondo del lavoro, sono ben lontani dal potersi dire
integrati.
Richiama quindi l’attenzione sul tema oggetto di grande preoccupazione per i Comites
di Stoccolma e Copenhagen: l’anagrafe consolare, il cui aggiornamento è una priorità in
vista delle prossime scadenze elettorali. È noto che non si è potuto rinnovare il rapporto
di lavoro con i contrattisti e che per la carenza di personale il problema è destinato ad
aggravarsi, ma non è accettabile che vi siano connazionali ai quali viene preclusa la
possibilità di esercitare un diritto.
Fa poi presente che la Svezia, in ottemperanza alle direttive europee, ha rilasciato agli
assicurati un tesserino sanitario avente validità in tutti i Paesi dell’Unione, che però in
Italia non viene riconosciuto dalle ASL, per cui si è verificato che dei connazionali
abbiano dovuto sostenere di persona spese sanitarie, che sono poi state regolarmente
rimborsate al rientro in Svezia. Si tratta di episodi incresciosi, ed egli chiede che si
presenti al Ministero della Sanità la richiesta di informare adeguatamente le ASL su
quanto è sancito a livello comunitario.
Dà quindi lettura della relazione del Comites di Copenhagen, che vive una situazione di
estrema precarietà a seguito della decurtazione di circa il 60% del finanziamento 2004,
rispetto alla richiesta presentata, tanto che corre addirittura il rischio di non poter
conservare la sede, e quindi di non continuare a svolgere la propria attività, per
l’impossibilità di corrispondere il canone di affitto. Qualora dovesse verificarsi tale
evento, dovrà essere indicato dove sistemare gli arredi e le macchine d’ufficio, di
proprietà dello Stato italiano. (All. 5)
Il PRESIDENTE fa rilevare che nella relazione presentata dal Consigliere lecconi è stato
introdotto un punto che l’ordine del giorno prevede sia trattato nel pomeriggio. Invita
pertanto a intervenire soltanto sulla prima parte della relazione, sottolineando
24
l’opportunità di una riflessione sul fatto che la prima generazione in Svezia quasi non
esiste più e che le successive sono ben integrate.
La comunità italiana in Svezia non è particolarmente numerosa e il tipo di emigrazione
è stato diverso che altrove; è indubbio il rischio che si finisca col perdere i contatti.
Oscar CECCONI (Svezia) sottolinea che si tratta pur sempre di 15 mila connazionali di
cittadinanza italiana e che si stima ve ne siano altri 15 mila di origine. Il fatto è che
l’emigrazione è stata abbandonata a se stessa e non ha potuto preservare il proprio
patrimonio di lingua e cultura.
Mauro MONTANARI (Germania) osserva che il processo di assimilazione taglia le
radici e crea una generazione di persone che denunciano forme di disadattamento. In
Germania la percentuale di giovani connazionali integrati ricoverata in ospedali
psichiatrici è superiore a quella dei giovani autoctoni.
Tommaso CONTE (Germania) tiene a precisare che vi è differenza tra depressione e
malattia psichiatrica e che in Germania è stato condotto uno studio, che ha evidenziato
come gli stranieri soffrano di depressione più degli altri.
Giorgio MAURO (Olanda) ricorda che negli ultimi tempi il Governo italiano ha
demandato al CGIE e ai Comites il compito di tenere desta l’attenzione verso la cultura
italiana, mentre l’indicazione data agli Istituti italiani di cultura è di fare cultura più
verso le popolazioni locali che verso la comunità italiana. Di tale questione si dovrà
parlare quando si discuterà di comunicazione. Non si può, a suo avviso, chiedere che
sia il Comites di Stoccolma a tenere alta l’attenzione verso la cultura di origine, poiché è
necessaria un’azione istituzionale più diffusa.
Norberto LOMBARDI (Italia) conviene con il Consigliere Mauro (Olanda) e osserva che
la questione sollevata dal Consigliere Cecconi (Svezia) non riguarda soltanto l’ambito
svedese e impegna il Consiglio Generale nella ricerca di una linea di intervento che non
si chiuda all’interno dell’emigrazione tradizionale. In Svezia le comunità immigrate non
sono mai state oggetto di una politica assimilazionistica, tanto è vero che il Governo
locale ha finanziato, e lo fa tuttora, seppure in misura minore, le associazioni e le
Federazioni delle associazioni italiane al punto da consentire la pubblicazione di un
giornale in lingua italiana, diretto dalla comunità.
Il fatto è che, con il maturare della prima generazione, si è ora di fronte ai problemi dei
giovani ed egli è convinto che la linea di contatto con la comunità, fatta in nome di
un’emigrazione di tipo tradizionale, sia in contraddizione con l’apertura alle nuove
generazioni. Ci si deve domandare che cosa si stia concretamente facendo, in termini di
investimenti culturali, per recuperare i giovani, inseriti nei Paesi dove sono nati,
cresciuti e dove hanno il proprio sistema di relazioni personali.
Ieri è emersa con forza la questione della nuova mobilità; oggi è stata rilevata
l’insistenza più sui rapporti con l’emigrazione tradizionale, e una limitatezza degli
interventi e delle relazioni con le nuove generazioni. Se non si vuole dare un carattere
esclusivamente accademico ai lavori, è opportuno partire da tali rilevazioni sul campo
per fare una riflessione di carattere più generale.
25
Per Alberto BERTALI (Gran Bretagna) il fatto che le giovani generazioni si sentano
insieme profondamente italiane e profondamente integrate può costituire una difficoltà
per i più deboli, ma ad essere obiettivi è una ricchezza.
Gianfranco SEGOLONI (Germania) ritiene che nella relazione sullo stato di
integrazione in Europa si dovrebbe aprire un capitolo sulle generazioni cresciute in
altre culture, con le quali deve essere stabilito un rapporto che consenta loro di
mantenere vivi i legami con l’Italia. Deve essere un arricchimento il fatto di crescere in
una cultura diversa da quella dei padri, e ci si deve porre il problema dell’assenza, nelle
rappresentanze dell’emigrazione, di esponenti di tale tipo di problematiche. Da parte
sua, il Consiglio Generale deve domandarsi cosa proporre al Governo per far fronte a
questa situazione nuova rispetto alle radici dell’emigrazione. Un intervento limitato alla
business promotion è assolutamente riduttivo, e non si può fondare una politica solo sul
made in Italy. È necessario uscire dal mercantilismo di facciata e proporre interventi
basati sui valori della cultura italiana, primo fra tutti la lingua, sottolineando che,
malgrado le belle parole, nella realtà i finanziamenti vengono ridotti.
Il PRESIDENTE ricorda che è stata recentemente realizzata un’indagine sui giovani,
che pone in evidenza le problematiche esposte. Essa sarà ufficialmente presentata nella
prossima Assemblea Plenaria, ed è anche previsto un momento di incontro con i
ricercatori.
Quanto ai lavori della Commissione Continentale, invita ad attenersi al tema; il
processo di integrazione riguarda non solo i giovani, ma in genere tutta la comunità
italiana.
Aldo BECHI (Francia) fa presente che in Francia la comunità italiana è completamente
inserita nel tessuto socio-economico locale. Alle nuove generazioni, che nell’approccio
al mercato del lavoro vivono gli stessi problemi dei giovani francesi, si potrebbe offrire
una chance in più attraverso interventi di formazione, in particolare linguistica.
Dal 2001 si è ottenuto il diritto di voto a livello comunale e attualmente si rivendica
anche quello regionale, particolarmente importante per via del processo di
decentramento in atto. Occorrerà però una riforma del modo di elezione del Senato.
Poiché in Francia il passo successivo all’integrazione potrebbe essere l’assimilazione, è
necessario valorizzare la presenza della comunità di italiani e oriundi attraverso la
diffusione dell’insegnamento della lingua e la promozione della cultura italiana, a
cominciare dalla nuovissima generazione in età infantile. La conoscenza dell’italiano
non soltanto rafforza il legame con la Madrepatria, ma è utile nel mondo del
commercio, dell’industria, del turismo. Su tale presupposto nel 1999 è stato costruito il
piano-paese, e i risultati della sua applicazione nell’anno scolastico 2001-2002 sono stati
ottimi.
Fa notare che lo stesso Parlamento francese ha rilevato l’inadeguatezza
dell’insegnamento dell’italiano rispetto alle richieste del mercato e al rango dell’Italia,
di secondo partner economico della Francia. (All. 6)
Carlo ERIO (Francia) riferisce che in Francia, soprattutto agli inizi degli anni ’80 si è
26
assistito all’affermazione in campo politico e sociale di discendenti della vecchia
emigrazione, integrati ma non assimilati.
I 280 mila connazionali con passaporto italiano e gli oriundi, stimati in circa 4 milioni,
sono quasi perfettamente integrati e presentano esigenze diverse rispetto alle precedenti
generazioni. Inoltre, la nuova emigrazione di professionisti, pur orgogliosa della
propria italianità, non si rivolge ai Comites e alle vecchie forme associative ed ha
probabilmente bisogno di nuove risposte.
Dallo scorso novembre, con la piena attuazione della libera circolazione non vi è più
necessità della carta di soggiorno, e questo ha consentito il ricongiungimento familiare a
quei pensionati che, rientrati in Italia, erano prima impossibilitati a tornare e risiedere in
Francia perché non raggiungevano la soglia di reddito richiesta dalla legge francese.
Aldo BECHI (Francia) pone il problema dei connazionali che, non avendo più la carta di
soggiorno, non disponendo della carta di identità italiana e non avendo sul passaporto
l’indicazione dell’indirizzo, si ritrovano senza alcun documento di identità.
Gianni FARINA (Francia) non ritiene si debba considerare l’integrazione in termini di
preoccupazione; ci si deve piuttosto domandare, soprattutto in un’Europa che si
costruisce nella pari dignità della diversità, come recuperare a una cultura che era la
loro e sentono di avere perduto, milioni di persone che vivono da protagonisti i processi
politici e partecipativi.
Pone quindi l’accento sul fatto negativo che nel Consiglio Generale non sono
rappresentati i milioni di ex emigrati naturalizzati, e propone che la Commissione
approvi un ordine del giorno affinché nella riforma della legge del CGIE ne sia
obbligatoriamente prevista la presenza.
Salvatore TABONE (Francia) pone l’accento sulla rilevanza dell’italiano, che in Francia
è considerato la lingua degli affari. Le due Università della Lorena stanno progettando
un master manageriale in italiano e numerose aziende interessate a entrare nel mercato
francese pur senza procedere a delocalizzazioni, assumono personale bilingue.
I giovani in genere sono orgogliosi di essere italiani, sono presenti nei Comites e
disposti a prendere parte attiva alle iniziative; occorre lasciare loro spazio e nella
riforma del CGIE prevederne una quota di presenza.
Oscar CECCONI (Svezia) fa rilevare che in Svezia i ricongiungimenti familiari sono
favoriti al punto che è consentito di risiedervi anche ai pensionati italiani che non vi
erano emigrati, e la loro pensione viene integrata, se non raggiunge il tetto minimo
previsto dalla legislazione svedese. In un’Europa unita si deve cercare di ottenere le
stesse condizioni in tutti i Paesi.
Carlo ERIO (Francia) ripropone il problema dei connazionali senza documento di
identità da quando, nel novembre 2003, per favorire l’integrazione europea la Francia
ha dato istruzioni che non fosse più prevista la carta di soggiorno per i lavoratori
comunitari, e che per essi fosse sufficiente il passaporto, sul quale doveva essere
richiesta ai Consolati l’annotazione dell’indirizzo. Addirittura alcuni Comuni hanno
preteso la restituzione della carta di soggiorno.
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Aldo BECHI (Francia) fa rilevare che il programma per la stampa dei passaporti non
prevede la possibilità di indicare l’indirizzo. È stato chiesto che al problema si trovi al
più presto soluzione.
Alla considerazione del Ministro Adriano BENEDETTI, che probabilmente chi intende
risiedere permanentemente in Francia si dovrà iscrivere nel Comune francese di
appartenenza, Carlo ERIO (Francia) risponde che se il connazionale intende votare per
le elezioni comunali ed europee, le liste complementari permettono di iscriversi ad un
Comune, ma se non vuole votare, per poter risiedere sul territorio francese deve
iscriversi all’AIRE e chiedere il passaporto al Consolato.
L’Autorità francese non chiede alcuna autorizzazione di residenza nel territorio ai
cittadini europei, che comunque hanno diritto all’assistenza medico-farmaceutica e
ospedaliera totalmente gratuita; se raggiungono un certo reddito sono tenuti al
pagamento di una tassa comunale.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) considera che il fatto di pagare le tasse al Comune già
dovrebbe costituire iscrizione.
Alessandra FAIS (Francia) fa notare che il pagamento di una tassa comunale non
necessariamente comporta l’iscrizione al Comune. Quanto alla mancanza di indicazione
del domicilio, in Francia pone problemi in relazione all’esercizio dei diritti civili e
politici.
Fernando MARZO (Belgio) è grato ai colleghi francesi di aver sollevato il problema. In
Belgio, e precisamente nelle Fiandre e in una parte di Bruxelles, in tema di residenza i
Comuni hanno ampia discrezionalità nei regolamenti. Si danno casi di
ricongiungimenti familiari resi difficili o addirittura rifiutati dalle Autorità comunali,
quando i famigliari o gli stessi pensionati non denunciano regolari e sufficienti mezzi
finanziari. Questo perché le regole locali garantiscono ai residenti regolari il
sostentamento da parte delle varie Commissioni sociali, l’assistenza sanitaria e di
disoccupazione. Neppure le Autorità italiane riescono a porre rimedio a queste
situazioni.
Salvatore TABONE (Francia) fa rilevare che in Francia le Prefetture hanno l’obbligo di
rilasciare la carta di soggiorno, qualora venga espressamente richiesta.
I lavori, sospesi alle ore 11.05, riprendono alle ore 11.30
Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) presenta attraverso alcune diapositive la
situazione in Svizzera. Fa presente che nel Paese non sono riconosciuti alcuni
fondamentali diritti civili, come il congedo per maternità. Da più di trent’anni la
Commissione federale per gli stranieri ha il compito di promuovere l’integrazione; a
tale scopo dal 2001 lo Stato ha erogato contributi per 14 milioni di franchi, e va
crescendo il numero di progetti finanziati, dei quali uno dei punti forti è
l’apprendimento della lingua locale, tenuto conto che la legge svizzera prevede, per chi
si naturalizza, la conoscenza di almeno una lingua federale. In tali progetti sono
28
investiti, oltre ai fondi dello Stato, anche altri dei Comuni, dei Cantoni e delle forze
sociali.
Gli italiani rappresentano la più grande comunità emigrata e il movimento integrativo
si contrappone con determinazione alle forze negative acutizzatesi negli ultimi mesi. Si
contano mediamente 6-7 mila naturalizzazioni l’anno da parte di cittadini italiani, le cui
domande nel più recente periodo hanno registrato un aumento. Il maggior numero di
naturalizzazioni riguarda cittadini provenienti dai Balcani. Si parla complessivamente
di 22.000 naturalizzazioni normali e 8.500 facilitate sulla base di decisioni cantonali o
comunali.
Nelle recenti votazioni si sono contrapposte le forze politiche centrali e locali ed è stata
avanzata la richiesta di costituire nuovamente le milizie, ossia corpi militari non
dipendenti dallo Stato centrale. Sottolinea che in Svizzera si dà enorme valore al potere
locale, e perderlo equivarrebbe per i cittadini svizzeri alla distruzione dell’identità. Per
questo pensano che entrando in Europa perderebbero la propria dimensione.
La popolazione invecchia, i flussi migratori si sono da tempo stabilizzati, è diminuito il
numero di lavoratori immigrati ed è aumentato quello della popolazione non attiva, e
questo genera timore per via dell’aumento delle spese sociali, anche se non si può
parlare di razzismo. In Svizzera il 20-23% della popolazione è straniera, sono numerosi i
rifugiati politici, ma anche i clandestini.
Claudio MICHELONI (Svizzera) fa rilevare che il Forum degli immigrati raggruppa
1.400.000 stranieri e circa 300.000 sans papier.
Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) prosegue nella sua illustrazione indicando che
sono pochi gli ultrasessantacinquenni nella popolazione straniera residente, ma se ne
registra un aumento. Gli italiani non sono considerati stranieri dal punto di vista
dell’integrazione sociale e godono di tutti i diritti, ad esclusione di quelli politici.
I nati stranieri in Svizzera nel 2000 erano 17.332, dei quali circa 3.000 italiani. A 15-20
mila bambini italiani deve essere data la possibilità di apprendere la lingua italiana, di
conoscere la cultura, e si dovrebbero integrare le due identità, fatto estremamente
necessario per evitare situazioni di disagio e stress. In Svizzera si parla francese, italiano
e tedesco; l’integrazione è possibile soltanto attraverso la lingua e le più serie difficoltà
si incontrano laddove la comunicazione non ha luogo. I Consoli italiani, in particolare
quello di Zurigo, hanno presentato alla Commissione Federale la proposta di un
modello di scuola bilingue, applicabile sin dalle elementari.
Gianni FARINA (Francia) domanda quali siano le procedure per la naturalizzazione e
se l’esame avvenga prima o dopo il referendum.
Risponde Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) che nel 25% dei casi la
naturalizzazione è facilitata, mentre negli altri tutto dipende dal singolo Comune.
Quanto all’esame, avviene prima del referendum.
Giorgio MAURO (Olanda) domanda se non sia reso tutto più facile dal fatto che gli
italiani in Svizzera non sono considerati stranieri.
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Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) ne dà conferma, ma sottolinea che il problema
non è soltanto quello di non essere percepiti come stranieri. Il recente rifiuto della
naturalizzazione facilitata penalizza la prima e la seconda generazione, che avrebbero
desiderato un riconoscimento del proprio impegno per la crescita del Paese. Da parte
loro, i giovani reclamano maggiori interventi in tema di cultura e una radio e una
televisione che informino sull’Italia e sulle Regioni, che desiderano conoscere più
approfonditamente; fra i 30 e i 40 anni emerge il senso di appartenenza.
Invita Alessio Corrà, che risiede ad Amsterdam, a parlare della situazione dei giovani.
Alessio CORRA’ (Radio Onda Italia) è il prototipo dei giovani: nato in Italia, è vissuto in
Olanda ma conserva l’identità italiana grazie ai genitori e alla possibilità che ha avuto,
di studiare in Italia. Si è trattato di un’esperienza molto importante, grazie alla quale ha
potuto assaporare “l’Italia vera”, che non è quella che si percepisce quando si va in
vacanza. Auspica che tale possibilità sia data in modo più diffuso che non attraverso i
soli programmi Erasmus o Sacrates, per maggiormente sviluppare l’identità italiana nei
giovani che vivono all’estero.
Michele SCHIAVONE (Svizzera) ha apprezzato la relazione del Consigliere Ruedeberg
(Svizzera), che in sostanza parlava di numeri, emblematici per quel che riguarda la
comunità italiana in Svizzera. Ritiene che tra quei numeri vi siano molti desaparecidos,
cittadini italiani che non figurano nelle statistiche perché sono diventati cittadini
svizzeri. Attraverso i numeri si deve cercare di capire le specificità della comunità. In
un Paese federale con vari Cantoni, con lingue e legislazioni differenti, che rispetto
all’integrazione impongono tipologie contrastanti e alternative, è difficile comprendere
quali siano i processi per la naturalizzazione.
Lo scorso 26 settembre la legislazione nazionale ha tentato di dare un respiro diverso,
con la naturalizzazione dei giovani stranieri di seconda e terza generazione. La prova
referendaria ha dato esito negativo ed è andata delusa l’aspettativa che la Svizzera
emanasse una norma per cui avrebbe concesso il diritto di cittadinanza ai giovani nati
sul territorio nazionale. Occorre mirare all’affermazione del diritto di cittadinanza
attraverso nuove forme, attraverso rapporti bilaterali da prevedere parallelamente al
processo di allargamento dell’UE e alla firma della Costituzione. Dopo il risultato del 26
settembre, quando a giugno del prossimo anno la Svizzera tornerà a parlare di Europa e
di referendum sul Trattato di Schengen e sull’Accordo di Dublino, l’iniziativa dell’Italia
dovrebbe essere nel senso che se la Svizzera vorrà beneficiare di tali Accordi, dovrà
avere una predisposizione diversa rispetto ai diritti di cittadinanza dei cittadini
stranieri, in particolare provenienti dai Paesi dell’Unione.
Per ora, rispetto agli altri cittadini stranieri che vivono in Svizzera gli italiani non hanno
alcun diritto in più, nonostante abbiano arricchito il Paese e siano, almeno in teoria,
considerati cittadini al pari degli svizzeri. Con opportune proposte politiche si deve
raggiungere l’integrazione nei fatti, e la via passa anche attraverso i rapporti bilaterali.
Per il PRESIDENTE la domanda da porsi è se gli italiani in Svizzera si sentano al pari
degli autoctoni e, in caso contrario, quali siano le iniziative da prendere.
Dino NARDI (Svizzera) osserva che lo stato di integrazione nella Confederazione varia
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a seconda dei Cantoni ed è condizionato dalla natura della popolazione. D’altronde,
anche i risultati dei referendum sono stati diversi nei vari Cantoni.
Non deve trarre in inganno il fatto che aumenti la popolazione italiana di età superiore
ai 65 anni, poiché, dopo essere rientrati per un certo periodo in Italia, tornano in
Svizzera a vivere da pensionati i vecchi emigrati che lì hanno figli e nipoti. In
particolare nella Svizzera tedesca non si può parlare di integrazione e soprattutto gli
anziani, che conoscono pochissimo la lingua locale, temono di potersi ritrovare, in
futuro, in una condizione di isolamento in una casa per anziani, dove la lingua che si
parla è il tedesco, o il dialetto svizzero-tedesco.
La necessità di lavorare induce i giovani a naturalizzarsi, ma in realtà non si sentono
svizzeri, poiché sono cresciuti in ambiente italiano e con l’Italia hanno mantenuto i
contatti attraverso la televisione. Nella Svizzera tedesca, dunque, si è costruita una
nicchia di italianità. Considera poi che non si è parlato del fatto che la naturalizzazione,
che riguarda più ragazze che ragazzi, ha un costo rapportato al reddito, che costituisce
un grosso freno.
Invita a fare attenzione a distinguere tra riconoscimento di diritti proveniente da leggi,
e discriminazioni occulte. Ricorda che fino a 20-30 anni fa italiano era sinonimo di
straniero; poi è giunta l’emigrazione dai Balcani e si è stabilita una sorta di graduatoria
fra stranieri. Conferma che in tema di naturalizzazione le posizioni sono diverse anche
tra vari Comuni di uno stesso Cantone ed egli si domanda se non influisca anche il fatto
che dovrebbero essere poi fornite tutele sociali. Quanto alla possibilità di trovare
occupazione, risulta più facile agli autoctoni.
In Svizzera raramente i pensionati possono vivere con le prestazioni erogate dal sistema
previdenziale elvetico, mediamente la metà rispetto all’ultimo stipendio percepito. Ciò
significa che un pensionato deve disporre anche di una pensione integrativa, erogata
dalla Cassa pensione aziendale, che però è stata resa obbligatoria solo dal 1985.
Claudio MICHELONI (Svizzera) fa rilevare che nella lettura forse un po’ emotiva del
voto del 26 settembre non è emersa con chiarezza la dimensione politica: si è giocata
una partita di potere e di politica interna mirante a mantenere la Svizzera quanto più
possibile chiusa in se stessa. Ed è a suo avviso facile pronosticare il medesimo esito a
giugno, quando si terranno i referenda sugli Accordi di Schengen e di Dublino. Le forze
politiche favorevoli alla modifica costituzionale per le naturalizzazioni non hanno fatto
investimenti, mentre ne ha fatti il partito contrario, promovendo una campagna razzista
e fascista - che la sua Organizzazione ha denunciato – e così preparando il terreno per le
prossime scelte. La popolazione svizzera ha sempre respinto iniziative anti-straniero; in
questo caso l’emigrazione è stata utilizzata come strumento politico.
Egli sostiene che gli italiani sono accettati e dunque non li si vede più. Sull’integrazione
andrebbe fatta una riflessione, ed egli ricorda che in una trascorsa legislatura della
Commissione Federale per gli stranieri il Consiglio Federale aveva chiesto un rapporto
sulla politica di integrazione della Federazione, che ha esordito affermando che non si
era riusciti a definirla. Se ci si rende conto che tutte le iniziative assunte intervengono
su una quota minima del processo di integrazione, che ciascuno per lo più realizza per
proprio conto, forse si diverrebbe più umili e più efficaci.
A proposito dell’occupazione, una ricerca del 1998 sui disoccupati italiani nei quattro
Cantoni ha evidenziato un tasso doppio rispetto a quello nazionale, nel 62% dei casi a
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causa della mancata conoscenza della lingua. Il periodo medio di residenza degli
intervistati era di 28,5 anni.
Quanto agli anziani, da interviste effettuate a persone negli ultimi anni di lavoro e nei
primi di pensionamento, si è rilevato che mentre nel periodo di vita attiva l’integrazione
era un fatto reale, dopo uno o due anni di pensione quelle stesse persone non si
sentivano più integrate. Comunque, alla domanda se avessero voluto tornare in Italia,
oltre il 65% ha risposto che lo avrebbe fatto soltanto qualora vi fosse stato obbligato.
Il fatto che gli italiani di prima generazione in Svizzera sono percentualmente coloro
che meno si naturalizzano dipende, sì, da un problema di costi, al quale però si è data
una dimensione eccessiva. In realtà c’è una responsabilità del mondo associativo, che
non ha compreso che il progetto di immigrazione, che era provvisorio, ha finito col
diventare definitivo. Ricorda uno slogan: “Torna per votare, vota per tornare” e
conclude affermando che sono stati commessi enormi errori di tipo politico, ai quali si
cerca ora di porre riparo con l’elezione di Deputati nei Parlamenti dei Paesi di
residenza.
È stato detto che i giovani si trovano in difficoltà nei rapporti con la Madrepatria. Ma
non è forse la Madrepatria che ha problemi a rapportarsi con questa realtà?
Modificando l’approccio sarà forse possibile procedere nella riflessione.
Dino NARDI (Svizzera) fa rilevare che l’errato piano strategico dell’associazionismo in
Svizzera è stato in parte dovuto al clima anti-stranieri che un tempo si è vissuto.
Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) vorrebbe dare spazio alla speranza indicando
che attualmente i Comuni stanno lavorando con miniprogetti molto rispettosi
dell’italianità. Gli italiani avevano chiesto un reparto italiano all’interno delle case per
anziani, e adesso i Comuni reclutano per il reparto gastronomia solo personale italiano.
Inoltre, l’assistenza sociale cerca di assicurare anche a chi non ha reddito la possibilità
di essere ospitato nelle case per anziani, al pari degli svizzeri. È stato pubblicato un
opuscolo bilingue, in cui si riconosce il valore del lavoro degli italiani all’interno della
città di Berna.
Claudio POZZETTI (Italia) ricorda che la Svizzera è il maggior serbatoio di lavoratori
frontalieri: più della metà di coloro che si spostano nell’intera Europa, e di questi
almeno un terzo è italiano. Le problematiche che tali lavoratori pongono vanno tenute
presenti anche in considerazione degli Accordi bilaterali sulla libera circolazione, entrati
nella fase due, e dei pericoli che si paventano con le votazioni del prossimo giugno.
Propone alla riflessione della Commissione quanto si è verificato al Congresso di
costituzione del sindacato svizzero UNIA: il Canton Ticino ha presentato una mozione,
che ha raccolto i voti dei delegati ticinesi e di quelli dei Cantoni della fascia di frontiera
con l’Italia, per chiedere un referendum contro gli Accordi bilaterali due. È un dato
preoccupante, che fa ritenere che un certo tipo di mentalità può diventare trasversale.
Rispetto a tale rischio ci si deve impegnare a fondo.
I lavori, sospesi alle ore 13, riprendono alle ore 14.40
Il PRESIDENTE avverte che saranno presentate le relazioni di Olanda, Grecia, Nord
Africa e Lussemburgo e, dopo il dibattito, si valuteranno i problemi legati alla Legge
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Finanziaria in discussione al Parlamento, al decreto taglia-spese e alla riforma della
legge 153 sui corsi di lingua e cultura italiana. Vi sono poi gli ulteriori due punti
aggiunti all’ordine del giorno su richiesta dei Consiglieri Pozzetti (Italia) e Romagnoli
(Grecia).
Eros CAPOSTAGNO (Comites di Amsterdam) risale all’origine dell’emigrazione italiana.
Nell’immediato dopoguerra si è posta la necessità di una rapida ricostruzione del Paese
e, per sostenere il programma, l’Olanda disponeva delle miniere di carbone del
Limburgo, ma non della necessaria manodopera. È ricorsa pertanto a manodopera
straniera, e migliaia di italiani sono stati reclutati attraverso una selezione sulla base di
parametri quali lo stato di salute, l’orientamento politico e la fedina penale, per lavorare
in miniera e nell’edilizia; successivamente anche nell’industria metallurgica e tessile,
mentre altri erano spazzacamini o gelatai per lo più provenienti dal Triveneto.
Il Governo olandese intendeva utilizzare tale personale soltanto per il tempo
strettamente necessario, e peraltro gli stessi lavoratori erano partiti con l’obiettivo di
rientrare in Patria, per cui non tentarono di integrarsi e di apprendere la lingua locale.
Da parte loro, le Autorità olandesi hanno favorito l’emarginazione e soltanto molto più
tardi, a seguito di pressanti richieste hanno cambiato politica, sovvenzionando
associazioni, creando scuole in lingua madre e prevedendo programmi televisivi via
cavo delle emittenti dei Paesi di origine. L’emigrazione italiana ha dovuto affrontare
l’ostilità della popolazione olandese, che mal sopportava certi privilegi accordati ai
lavoratori italiani.
Passata l’illusione del ritorno, molti si sono sposati con donne olandesi e quando, a
metà degli anni ’60, sono state chiuse le miniere, ha avuto inizio una diaspora verso i
luoghi di origine delle mogli e la ricerca di nuovi sbocchi lavorativi nei settori della
cantieristica navale, dell’industria tessile e dell’edilizia.
I matrimoni misti hanno avuto conseguenze derivanti dal fatto che la società olandese è
di tipo matriarcale. I padri italiani svolgevano lavori pesanti e non avevano
praticamente contatti con i figli, la cui vita era regolata dalle madri secondo le abitudini
locali. La mancanza di stimoli familiari ha portato gli italiani e non restare in famiglia la
sera, e a frequentare le associazioni italiane. Inoltre, poiché raramente le mogli olandesi
si sono adoperate per l’inserimento del coniuge italiano nelle strutture della società
locale, si è verificato un sempre maggiore allontanamento. Molti matrimoni si sono
prima o poi risolti con il divorzio, e mentre le ex mogli percepiscono pensioni sociali
più che dignitose, gli ex mariti necessitano dell’assistenza pubblica italiana, e allo Stato
italiano essi rimproverano di averli abbandonati.
I figli nati dai matrimoni misti hanno avuto contatti solo marginali con la lingua
italiana, spesso bandita in famiglia, e hanno tentato di mimetizzarsi nella società
olandese, con la conseguenza che soltanto in rari casi vi è chi si è affermato in campo
sociale. Una legge del 1985 ha consentito ai figli minorenni di coppie miste di acquisire
la cittadinanza olandese, su richiesta del coniuge olandese, con facoltà di definitiva
opzione al raggiungimento della maggiore età, una facoltà di cui quasi nessuno si è
avvalso, per cui quasi tutti hanno la doppia nazionalità, anche se praticamente nulla
sanno della loro identità italiana. La terza generazione è quasi perfettamente assimilata
e non parla la lingua italiana.
Negli ultimi anni si sta manifestando nelle seconde generazioni un certo interesse verso
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l’Italia, se non addirittura l’orgoglio di un’origine prima rifiutata, e ad essi sarebbe
sbagliato rivolgersi con la solita retorica dell’emigrazione e con atteggiamenti
paternalistici. Tale mutato atteggiamento si deve in parte alla nuova presenza italiana
in Olanda, di professionisti culturalmente molto preparati, dipendenti di multinazionali
e di organizzazioni internazionali, giovani universitari che hanno scelto di fare
esperienza all’estero mantenendo vive le relazioni con l’Italia, parlando in famiglia
l’italiano e prevedendo di rientrare in Patria. I figli di questi connazionali per lo più
frequentano scuole internazionali di lingua inglese e, pur parlando l’italiano, non hanno
solide radici culturali.
Con il boom economico olandese, si sono aperte buone prospettive di lavoro per i
giovani di seconda generazione che conoscono la lingua italiana.
In futuro si può ipotizzare una maggiore diffusione dell’italianità, ma vissuta a livello
individuale, e ci si deve chiedere quale futuro avranno i Comites e il CGIE, ancorati a
un’idea di emigrazione che in Olanda va estinguendosi. (All. 7)
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) osserva che la prima parte della relazione ha presentato
una situazione, dal punto di vista del nucleo familiare, non comune al resto
dell’emigrazione in Europa, dove i matrimoni misti erano un’eccezione per la prima
emigrazione e comunque hanno favorito l’integrazione. Chiede quindi un chiarimento
in ordine alla cittadinanza dei figli minorenni.
Giorgio MAURO (Olanda) precisa che con il 1° aprile 1985, a seguito di una modifica
della legge sulla cittadinanza - poi perfezionata con l’approvazione da parte
dell’Olanda del Secondo Protocollo del Trattato di Strasburgo, limitato a Italia, Francia e
Olanda - le madri olandesi hanno potuto richiedere la cittadinanza olandese per i figli
nati da padri stranieri.
Gli italiani giunti in Olanda tra gli anni ’50 e ’70 avevano 18-20 anni, provenivano
prevalentemente dal Sud dell’Italia e dalle isole, avevano uno scarsissimo livello di
istruzione e si sono quasi tutti sposati con donne locali senza la dovuta riflessione, per
cui i divorzi sono stati numerosissimi.
Fernando MARZO (Belgio) pone l’accento sul manifestarsi di segni di emarginazione
nei confronti della prima emigrazione, in particolare in alcuni grandi centri. Con tale
problema si confrontano i missionari in Olanda, che lo hanno riscontrato in particolare
nel Limburgo olandese, nelle zone ex minerarie, ed egli chiede se anche nel nord
dell’Olanda si manifestino fenomeni di questo tipo.
Eros CAPOSTAGNO (Comites di Amsterdam) conferma che, soprattutto nel Limburgo,
dove vi è un grave problema di indigenza diffusa, e nella zona di Rotterdam, esiste un
problema di emarginazione.
Giorgio MAURO (Olanda) considera che l’emarginazione è conseguenza anche della
mancata conoscenza della lingua locale. Vi sono persone da quarant’anni in Olanda che
non sono neppure in grado di leggere il giornale; questo non le mette in condizione di
conoscere la legge, con la conseguenza che vengono loro precluse tante opportunità di
tutti i tipi, e questo vuol dire emarginazione.
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Eros CAPOSTAGNO (Comites di Amsterdam) conferma la realtà prospettata e fa
presente che sono purtroppo ancora molto numerosi gli analfabeti, costretti ad avvalersi
di aiuti esterni per conoscere il contenuto di lettere loro indirizzate. La prima
emigrazione si è auto-emarginata sin dall’inizio, mentre la seconda emigrazione si è
integrata e la terza è assimilata.
Massimo ROMAGNOLI (Grecia-Israele-Turchia-Spagna) fa rilevare che in Grecia la
migrazione degli italiani si è verificata in epoca antecedente la venuta di Cristo. Prima
della seconda guerra mondiale la presenza italiana era concentrata soprattutto nel
Dodecaneso, a Salonicco, Atene, Patrasso e nell’Eptaneso. Dopo la guerra gli italiani
erano prevalentemente ex militari che avevano sposato donne greche. Si sono avuti in
passato, e si verificano tuttora, notevoli flussi di studenti che dalla Grecia giungono in
Italia per frequentare l’università, qui si sposano e poi tornano in Patria con la famiglia.
Dopo l’ingresso della Grecia nell’Unione Europea numerosi sono i professionisti e gli
imprenditori italiani che si sono trasferiti stabilmente nel Paese, trovando un ottimo
inserimento. Oltre a questi, però, vi è una comunità costituita da connazionali espulsi
da Libia, Egitto e Turchia, alcuni dei quali in condizioni di indigenza, che tra l’altro ha
fronteggiato vari problemi di assistenza sanitaria, che con molta fatica è riuscito a
risolvere sollecitando dal Governo greco il riconoscimento dei più elementari diritti
civili.
La lingua non è di facile apprendimento per gli adulti. Per i giovani, ad Atene esiste la
scuola italiana, con classi dalle elementari al liceo.
Rappresenta quindi le difficoltà che sono costretti ad affrontare i connazionali e seguito
della chiusura del Consolato Generale di Salonicco, seconda città greca per importanza,
sicché in tutta la Grecia è rimasto soltanto il Consolato di Atene.
Dopo la Germania, l’Italia è il secondo partner commerciale della Grecia e le sempre
nuove iniziative tendono ad accrescere gli attuali scambi. È pertanto sempre più
importante il supporto delle istituzioni, la cui presenza all’estero deve essere
adeguatamente potenziata e resa più efficiente.
All’AIRE sono iscritti 11.800 italiani, per lo più ben inseriti nel tessuto sociale locale. La
comunità italiana organizza ogni anno eventi e incontri nelle varie città della Grecia.
Non si debbono lamentare particolari problemi, ma non può mancare di segnalare lo
stato di abbandono in cui versano gli immobili dello Stato italiano, che fa supporre se
ne attenda il deperimento per poi svenderli.
Alle Autorità italiane avanza alcune richieste: la riapertura del Consolato a Salonicco;
un controllo dei Consolati onorari, ai quali spesso ci si rivolge inutilmente; la
ristrutturazione degli immobili, quali l’Ambasciata, la scuola italiana, l’Istituto Italiano
di Cultura; che sia richiesto alle Autorità greche il riconoscimento della Scuola statale
italiana.
In Israele risiedono circa 9.000 italiani, quasi tutti con doppio passaporto; si tratta di
operatori economici, professori e guide turistiche. La comunità italiana si è insediata in
loco sin dalla costituzione dello Stato di Israele, nel 1948, è ben inserita, partecipa alla
vita sociale ed è attiva nel campo del volontariato.
Non mancano i problemi. Le donne italiane, ad esempio, non possono trasmettere la
cittadinanza ai figli maggiorenni nati prima del 1948. Nel periodo delle persecuzioni
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razziali i profughi dall’Italia sono stati costretti a perdere la cittadinanza italiana. Chi ha
potuto affrontare la spesa, ha fatto causa al Ministero dell’Interno, vincendola, ma non
tutti dispongono dei mezzi finanziari necessari. Egli chiede la riapertura dei termini per
il riacquisto della cittadinanza. Segnala quindi il problema di chi in Italia aveva
effettuato versamenti contributivi all’INPS, che non sono riconosciuti in Israele.
Ricorda che anni addietro il Governo italiano ha incaricato la Commissione Anselmi di
uno studio sui beni requisiti agli ebrei, del quale nulla poi si è saputo, e fa presente che
in Israele sono numerosi i connazionali che ancora sperano nella restituzione dei beni
confiscati.
In Turchia risiedono circa 2.700 italiani, il 68% dei quali ha la doppia cittadinanza. Si
tratta di una comunità il cui primo insediamento risale al 17°-18° secolo, ma che si è
incrementata con il flusso migratorio del 19° secolo. Attualmente gli italiani residenti
sono imprenditori, commercianti, impiegati, tecnici specializzati nei settori agroalimentare, tessile, elettronico, meccanico e edile. Il loro inserimento è soddisfacente,
buono l’uso della lingua locale e sufficiente la conoscenza dell’italiano. Particolarmente
sentita è la mancanza di una scuola italiana inferiore e superiore, che comporta per le
nuove generazioni una scarsa conoscenza dell’italiano.
In Spagna negli ultimi dieci anni si è assistito a un notevole incremento del numero di
italiani, che oggi risulta essere di 69.091, anche se in realtà esso per certo è decisamente
superiore. Ciò dipende in buona parte dal fatto piuttosto frequente che l’iscrizione
all’anagrafe consolare avviene soltanto quando si presenta la necessità di sbrigare una
pratica presso un Ufficio consolare; inoltre, non è raro il caso di connazionali che si
iscrivono ai Comuni spagnoli di residenza, senza darne comunicazione al Consolato.
A Madrid e Barcellona vi sono scuole statali italiane, dalle elementari al liceo; i titoli
sono riconosciuti e dunque con la licenza liceale si può accedere all’università spagnola.
Gli Istituti di cultura tengono corsi di italiano, frequentati in particolare da un
consistente numero di spagnoli. Presso le università vi sono 13 lettori. Nei piccoli centri
è difficile che si realizzino corsi di italiano ma, vista l’alta richiesta, è auspicabile che la
situazione migliori.
Sono piuttosto frequenti i matrimoni misti, in particolare di italiani con donne spagnole
e, ad esempio a Ibiza, non c’è la possibilità per i bambini di apprendere l’italiano, ma
addirittura neppure lo spagnolo, poiché è prevista fino a 9 anni la cosiddetta
“immersione” in lingua catalana. Il contatto con la lingua italiana avviene attraverso le
trasmissioni RAI, molte delle quali, però, sono criptate. L’azione del CGIE contro questa
pratica dovrebbe forse essere più incisiva.
Gli italiani residenti in Spagna appartengono in prevalenza al ceto medio e ad essi sono
riconosciuti i servizi previdenziali. Nelle aree dove il clima è particolarmente mite è
aumentato il numero di pensionati italiani, ed è facile prevedere una futura presenza di
Patronati, finora inesistenti in loco. Nonostante la buona integrazione e l’assimilazione
di usi e costumi, i legami con la Madrepatria sono particolarmente sentiti e quasi tutti
conservano la cittadinanza italiana.
In campo lavorativo non si lamentano particolari problemi. Numerosi sono i
connazionali rappresentanti e funzionari di ditte italiane, i tecnici specializzati, gli
addetti ai servizi turistici e della ristorazione, e non mancano gli imprenditori.
In tempi recenti sono le giovani generazioni a incontrare ostacoli ad avvalersi dei titoli
di studio italiani conseguiti; si sta determinando una sorta di protezionismo a favore
36
della gioventù locale.
Per effetto del pieno inserimento nella società locale, la comunità italiana difficilmente
si rivolge alle strutture associative, una delle quali, la “Casa degli Italiani”, vanta
un’antica tradizione ed è tuttora impegnata in azioni di solidarietà e nella tutela delle
radici culturali e linguistiche.
È in crescita l’afflusso di neo-cittadini italiani dai Paesi dell’America Latina dove più
forte è la crisi, in particolare dall’Argentina e dal Brasile.
Franco SANTELLOCCO (Algeria) riferisce che i rappresentanti del Comites e
dell’associazionismo di Algeria, Marocco e Etiopia hanno lavorato da più di un mese
per fornire dati raccolti in tre relazioni, intese come schede-Paese, che egli ha
sintetizzato. Le relazioni, delle quali non darà lettura, s’intendono acquisite agli atti e
ciascuno avrà modo di leggerle, se vorrà.
Anche per quanto riguarda i richiami storici, in precedenti lavori per il CGIE ha già
fatto ampiamente cenno alla particolarità e peculiarità dello spazio Mediterraneo, ai
rapporti commerciali che per secoli hanno legato il Nord Africa con le Repubbliche
marinare. A proposito del Nord Africa, si è sempre parlato della presenza di
imprenditori e tecnici al seguito di impresa, dimenticando che la prima emigrazione,
dalla fine dell‘800 e fino al 1962, anno di nascita dell’Algeria libera, era fatta di
agricoltori fortemente stimati e in genere concentrati nella zona di Orano, noti in
particolare per la viticoltura. Uva e vini venivano importati dalla Francia per ricavare le
etichettature più pregiate.
Prende quindi in considerazione l’aspetto delle relazioni bilaterali per indicare che tra
Italia e Algeria permangono eccellenti. Avverte di aver diviso la sua relazione in
capitoli: richiami storici, relazioni bilaterali, interscambio economico, associazionismo,
rapporti con le istituzioni, proiezione. Ha inteso condensare il lavoro per flash.
Per quanto attiene alle relazioni bilaterali, la Commissione mista funziona a scadenza
quasi regolare e l’incontro con la Commissione Algeria, riunita a Roma, è stato
propedeutico ai lavori successivi. Alla classica Commissione mista si aggiungono nuovi
strumenti di collaborazione economica bilaterale, come il cosiddetto “Gruppo d’azione”
previsto dal Protocollo per il partenariato economico italo-algerino, firmato dal
Presidente Berlusconi in occasione della sua ultima visita ad Algeri. Sono stati in
particolare presi in considerazione i settori delle privatizzazioni, della formazione,
dell’ambiente, dell’industria, dell’agricoltura e della cooperazione decentrata tra
Regioni italiane e algerine.
Il Comitato tecnico di gestione, istituito con l’Accordo sulla conversione del debito,
pure firmato dal Presidente del Consiglio, è un altro rilevante strumento per rafforzare
la presenza delle imprese italiane nel Paese. Saranno privilegiati, ai fini della
conversione, progetti nei settori dell’ambiente, dell’educazione e della sanità.
Nell’attività di sostegno alla PMI, si inquadra la linea di credito italiana a favore delle
piccole e medie industrie locali che acquistino in Italia attrezzature, tecnologia,
formazione e assistenza tecnica, licenze e brevetti industriali.
Pone l’accento sul successo che l’Italia ha riscosso alla 36^ Fiera internazionale di
Algeri, nel 2003, confermato anche dall’edizione di quest’anno. L’Italia è stato il
secondo Paese espositore, dopo la Francia.
L’Italia è al secondo posto, sempre dopo la Francia, per quanto riguarda le esportazioni
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in Algeria, con un incremento del 24% rispetto al 2003. E’ un ottimo partner per il Paese
per quanto riguarda gas e petrolio; inoltre, non avendo un passato coloniale, potrebbe
essere determinante nel contribuire alla soluzione della crisi interna. Negli anni ’90, i
più bui della storia dell’Algeria, gli italiani sono stati gli unici a non avere abbandonato
il Paese, mantenendo aperti i cantieri e gli Uffici di rappresentanza.
Di stima e considerazione è fatta oggetto la comunità italiana, costituita da
imprenditori, operatori e tecnici legati al mondo degli idrocarburi, oltre che da
operatori commerciali provenienti dal mondo della PMI e da imprenditori dei settori
della grandi costruzioni e degli impianti manifatturieri. Egli sottolinea l’impegno dei
Rappresentanti dell’Italia all’estero nella promozione del Paese e della sua immagine e
il fatto che la comunità italiana è in costante contatto con il Consolato e l’Ambasciata.
L’associazionismo si caratterizza per iniziative di volontariato e spesso assicura la
sopravvivenza di taluni rappresentanti della prima emigrazione. Per combattere la
desertificazione, un’associazione locale in cui è forte la presenza di professionisti italiani
ha elaborato un progetto di creazione di aree irrigue in una delle regioni più povere del
Sahara algerino. Nel 2004 nuove associazioni sono sorte, tra le quali “Azzurri nel
mondo”.
I processi di integrazione degli italiani in Algeria non sono rilevanti, ma si registra una
civile convivenza. I matrimoni misti sono infrequenti e non vengono incoraggiati.
Le Autorità e il Governo algerino hanno accelerato il processo di privatizzazione e oggi
gli stranieri possono costituire società di capitale di diritto algerino con la maggioranza
nelle srl, sicché molti italiani hanno avviato attività in proprio in settori industriali e
della ristorazione.
Non mancano però i problemi. Il sostegno all’export italiano verso i Paesi del
Mediterraneo è limitato rispetto alla Germania, Spagna e Portogallo.
Pone il problema dell’assistenza medica, limitata a tre mesi l’anno e ricorda che un
ordine del giorno approvato all’unanimità a Lussemburgo chiedeva che il trattamento
per il cittadino italiano residente all’estero fosse uniformato a quello per l’italiano
residente in Patria. Per quanto riguarda il Marocco sollecita la riapertura del Consolato
Generale di Tangeri, sancita ma non ancora resa esecutiva, che allevierebbe la fortissima
pressione attuale sul Consolato di Casablanca anche per il rilascio dei visti. (All. 8)
I lavori, sospesi alle ore 16.15, riprendono alle ore 16.30
Carlo ERIO (Francia) fa presente che nel Principato di Monaco è consistente la presenza
di cittadini italiani, i cui figli hanno problemi di tipo scolastico.
Claudio POZZETTI (Italia) richiama l’attenzione sui circa 6.000 frontalieri che
quotidianamente dall’estremo ponente ligure si recano a lavorare nel Principato di
Monaco.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) fa rilevare che, pur se non è stata illustrata, è stata
consegnata per gli atti la relazione relativa all’Irlanda.
A Tommaso CONTE (Germania) non risultava dovesse essere prodotta una relazione
relativa all’Austria.
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Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) avverte di non aver ricevuto alcun documento
dalla Croazia e da San Marino.
Claudio POZZETTI (Italia) fa presente che è in corso una trattativa tra lo Stato italiano e
quello sanmarinese per la firma di una convenzione di carattere fiscale e di un accordo
doganale con l’Unione Europea.
I lavoratori frontalieri italiani, molto numerosi, sono gravemente discriminati e
vengono assunti a tempo determinato soltanto perché italiani. Con la RSM è aperto un
contenzioso. Vi sono stati incontri al MLPS nell’ambito della trattativa coordinata dal
MAE e con la presenza dei Ministeri italiani del Welfare, della Sanità e dell’Economia,
ed è stato stilato un primo protocollo sui problemi del diritto del lavoro. Si è in attesa di
conoscere la posizione della RSM.
Mario TOMMASI (Lussemburgo) osserva anzitutto che il Lussemburgo non è
paragonabile al Principato di Monaco o al Lichtenstein e, tra l’altro, assieme a Olanda e
Belgio è stato precursore dell’Europa Unita, della quale è lo Stato più piccolo.
Paese essenzialmente agricolo fino alla fine del XIX secolo, il Lussemburgo ha poi
basato la sua ricchezza sulla produzione del carbone e dell’acciaio e, oggi, sullo
sviluppo del terziario: banche, commercio, istituzioni europee, televisione, cinema,
satelliti e turismo.
I primi italiani vi sono giunti nel 1870, ma un flusso massiccio si è verificato nel 1892,
con lo sviluppo dell’industria siderurgica, in prevalenza da Regioni dell’Italia
settentrionale e centrale. Si trattava di una immigrazione non qualificata, che trovava
impiego anche nell’industria mineraria e nell’edilizia.
Agli inizi del secolo nel Granducato non vi erano partiti politici, ma poiché gli
imprenditori e i commercianti italiani erano considerati uomini di “destra”, ben presto
si concretizzò una presenza di uomini di “sinistra”. A quel periodo si ascrivono
manifestazioni e scioperi.
La popolazione lussemburghese non era inizialmente ben disposta verso gli italiani, che
si raccolsero nei quartieri italiani sorti in prossimità delle fabbriche. Qui nacquero
associazioni assistenziali, culturali e sportive.
Partiti all’approssimarsi della prima guerra mondiale, gli italiani tornarono nel
dopoguerra, e in Lussemburgo giunsero anche numerosi fuorusciti politici, che
cercarono di contrastare le infiltrazioni fasciste nelle associazioni. Il Governo
lussemburghese era estremamente tollerante nei confronti del movimento fascista,
mentre accusava di sovversivismo gli antifascisti.
È di quegli anni la nascita delle Amities Italo-Luxemburgeoises, che svolgevano attività
culturali, e della prima missione cattolica italiana, dove trovarono spazio un asilo, corsi
di lingua e di cucito, scuola di canto.
Con la seconda guerra mondiale e l’invasione del Granducato, i fascisti obbligarono
molti connazionali a partire per la guerra come volontari. La situazione si rovesciò con
la liberazione, e vennero anche attuate dolorose vendette.
Nel 1948 è stato firmato un nuovo Accordo di immigrazione tra Italia e Lussemburgo e
gli italiani sono tornati numerosi, richiamati dai lavori per la ricostruzione. Non hanno
avuto tuttavia vita facile e molti sono rientrati in Italia, sicché il Lussemburgo si è visto
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costretto a ricorrere a manodopera dalla Spagna e dal Portogallo. A partire da tale
periodo sono nate associazioni anche a carattere regionale e club sportivi.
Dopo il 1970 gli italiani riuniti in associazioni, assieme a emigrati di altre nazionalità, si
sono battuti per una società lussemburghese più democratica e disposta a valorizzare le
sue componenti multiculturali. Nel frattempo è cambiato il tipo di immigrazione e oggi
sono numerosi i funzionari europei, i dirigenti, gli impiegati specializzati e i
professionisti.
La società lussemburghese si è aperta agli italiani, i quali hanno arricchito la vita
sociale, culturale ed economica del Granducato e sono stati determinanti per il suo
sviluppo in tutti i settori. Discendenti di italiani si sono affermati nel campo della
cultura e in tutte le attività professionali, negli sport e nella politica fino ai massimi
livelli.
L’integrazione è quasi del tutto realizzata, anche se permangono alcuni problemi, che
riguardano in particolare gli anziani e i giovani. Gli anziani infermi possono contare
soltanto sui familiari, poiché i centri geriatrici sono pochi e costosissimi; inoltre,
mancano centri di svago, se non quelli gestiti da privati, dove si parla soltanto il
lussemburghese. In particolare, le donne anziane rimaste sole vivono situazioni
drammatiche anche per la scarsezza delle risorse. I pensionati che rientrano in Italia e
dopo qualche anno intendono fare ritorno in Lussemburgo incontrano notevoli
problemi e in numerosi casi è loro negato il diritto di soggiorno.
Quanto ai giovani, la maggior parte dei problemi è legata alla scuola. La lingua italiana
non è stata ancora acquisita nell’ordinamento scolastico locale, nonostante un Accordo
culturale sottoscritto dieci anni fa. Nell’istituenda Università di Lussemburgo non è
prevista una cattedra per l’insegnamento dell’italiano; le Autorità italiane sono
impegnate a che il Governo lussemburghese riconosca l’importanza della lingua
italiana. Un ostacolo per i giovani è costituito dall’apprendimento delle lingue tedesca e
lussemburghese, che con il francese sono le lingue ufficiali del Granducato. (All. 9)
Il PRESIDENTE dà la parola al Ministro Benedetti, che con grande attenzione segue i
lavori della Commissione perché dia informazioni in ordine alla Finanziaria 2005 e al
decreto taglia-spese che ha penalizzato 37 Comites, come pure sulle questioni emerse
nel corso dell’illustrazione delle relazioni nazionali.
Il Ministro Adriano BENEDETTI svolge una riflessione sul dibattito, che ha trovato
molto stimolante. L’Amministrazione, presa dalla quotidianità, non trova talvolta il
tempo di riflettere su temi come l’integrazione e spesso non presta adeguata attenzione
a una realtà che cambia continuamente e presenta profili mano mano diversi. Gli
interventi sono stati fonte di arricchimento anche intellettuale.
Il concetto di integrazione su cui si è svolto il dibattito si presta a suggerire
comportamenti alla Pubblica Amministrazione o al mondo associativo ed è dunque
affrontato a livello sociologico.
La parabola attraverso cui si sviluppa l’esperienza dell’emigrazione si può riassumere
in un continuum che va dall’emarginazione, all’integrazione, all’assimilazione, e
ciascuno si può incasellare nell’una o nell’altra categoria. L’emarginazione è
l’isolamento dalla realtà locale, connessa all’incapacità di adattarvisi e non sempre
connessa con situazioni economiche insostenibili. L’integrazione è la capacità di
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muoversi agilmente nelle società di accoglienza mantenendo la consapevolezza e
l’orgoglio della propria identità originaria, portando un contributo alla società locale e
ricevendone elementi di arricchimento. L’assimilazione è il distacco dal mondo di
origine e il pieno inserimento nella nuova realtà. Le vecchie generazioni
dell’emigrazione si sono sviluppate fra il binomio emarginazione e integrazione,
mentre le seconde e terze generazioni spaziano dall’integrazione verso l’assimilazione.
Lo svolgersi della traiettoria si può verificare anche sulla base delle conoscenze
linguistiche: nel primo caso, quello dell’emarginazione, solo la conoscenza molto spesso
dialettale dell’italiano, mentre all’estremo opposto c’è soltanto la conoscenza della
lingua locale.
In tanti anni di carriera, ha conosciuto la realtà dell’emigrazione soltanto nella sua
ultima sede, a Caracas, ma ha percepito che, anche se sfocia in un risultato di successo,
l’emigrazione è sempre frutto di una profonda sofferenza, che comunque spesso dà
luogo a un’apertura della propria coscienza e soprattutto di quella dei figli.
Per le nuove generazioni qualora assimilate si è realizzato il distacco rispetto alla lingua
di origine. Negli Stati Uniti gli emigrati italiani si sono dovuti assimilare e per decenni
la lingua si è perduta, l’origine è stata dimenticata e spesso si è anglicizzato addirittura
il cognome. Negli ultimi anni, però, il retaggio di italianità sta riemergendo con
testimonianze di interesse nei confronti della lingua e della cultura italiana. Chi viene
da un retaggio italiano, anche se è completamente assimilato e non conosce più la
lingua, porta comunque in sé un patrimonio che presto o tardi riemergerà. Occorre far
sì che non vi sia piena assimilazione e tutelare il patrimonio rappresentato dalla lingua,
che non è solo strumento di lavoro, è identità.
La nuova emigrazione di questi anni ha caratteristiche del tutto diverse, esprime la
globalizzazione. I cittadini italiani, di solito dotati di buona cultura, partono spesso per
una scelta personale rispondendo a una chiamata della globalizzazione, si immettono in
una società diversa rimanendo fluttuanti, senza intenzione di inserirsi, ma pronti a
trattenersi anche per lunghi periodi, con la mente rivolta da un lato al Paese di origine e
dall’altro a gestire le tematiche globalizzanti che sono al di sopra delle realtà nazionali.
Queste persone sono utenti della Rete consolare di solito molto esigenti, perché
consapevoli dei loro diritti.
Sul sistema Italia gli è parso di cogliere qualche critica nei confronti di una
impostazione governativa che parrebbe privilegiare la componente economica. Nel
mondo attuale non si può fare distinzione tra economia e cultura, e quando per ragioni
di bilancia commerciale si mette l’accento sull’aspetto economico-commerciale, non si
vuole sottolineare che esiste soltanto quello, perché esso di per sé porta la cultura. Gli
scambi, infatti, creano un’esigenza di conoscenza della lingua italiana, e dunque non si
tratta di due mondi separati. La critica potrebbe forse essere più riflessiva.
Gli Istituti di cultura sono in generale rivolti verso la cittadinanza del Paese dove essi
sono insediati, mentre per i connazionali e i discendenti la DGIEPM promuove la
diffusione della lingua e della cultura italiana e le manifestazioni culturali a favore delle
comunità all’estero. Sono due mondi che si compenetrano, e in molti Paesi le attività
destinate al pubblico locale lo sono di fatto anche alle comunità italiane.
Passando alle questioni sulle quali è stato richiesto di intervenire, nota che il decreto
taglia-spese è arrivato all’improvviso anche per l’Amministrazione degli Esteri e, per
quanto riguarda i capitoli della DGIEPM afferenti all’emigrazione, sono stati
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espressamente individuati i due relativi al finanziamento ai Comites e alle riunioni
Intercomites, cui sono state apportate riduzioni. La prima reazione è stata di ricorrere
all’istituto della variazione compensativa, consistente nel trasferire con un decreto fondi
da alcuni capitoli ad altri, dato che i capitoli per le elezioni europee e dei Comites
avevano un saldo positivo. Il Ministro Frattini ha firmato il decreto, del quale però
l’Ufficio Centrale di Bilancio non ha consentito l’inoltro al MEF perché, secondo la
gerarchia delle fonti, un decreto amministrativo, sia pure a firma di un Ministro, non
può contraddire una norma approvata dal Parlamento. Il Governo avrebbe potuto
disporre un emendamento alle legge di assestamento di bilancio 2004, ma è uno
strumento particolarmente delicato. Informa quindi che tre giorni fa il Comitato di
Presidenza ha incontrato il Sottosegretario alla Presidenza Letta, il quale ha assicurato
che il problema dei Comites sarebbe stato risolto.
La situazione creata con il decreto taglia-spese è abnorme, non soltanto perché sono
stati tolti fondi dati per legge, ma anche perché sono stati erogati i finanziamenti ai 70
Comites che fino a luglio avevano presentato la documentazione in regola, mentre ne
sono rimasti esclusi, una volta intervenuto il taglio, circa 40 Comites. In realtà, ai primi
di luglio si era proceduto a istruire le pratiche di altri 10 Comites che avevano
presentato una documentazione ineccepibile, e ad inviarle all’Ufficio centrale di bilancio
del MEF, che però le ha trattenute, avendo avuto sentore dell’ormai imminente
emanazione del decreto taglia-spese.
Sono state avanzate critiche per l’ammontare del finanziamento ai Comites. Fa notare
che fino allo scorso anno l’importo di 2.300.000 euro, rimasto sostanzialmente invariato
nonostante l’aumento del numero dei Comites, era ripartito tra le diverse Direzioni
Generali Geografiche del MAE, che provvedevano all’attribuzione ai Comites di loro
pertinenza secondo criteri non uniformi. La normativa ha dato alla DGIEPM la
responsabilità unica della suddivisione dei fondi in base a criteri uniformi, sottoposti a
suo tempo all’esame del CdP del Consiglio Generale, che si è espresso favorevolmente.
La loro applicazione, però, ha dato risultati difformi rispetto all’ammontare dei
contributi che fino allora diversi Comites avevano ricevuto, per cui sono stati
accantonati circa 300.000 euro per poterli successivamente ripartire in base alle
eventuali richieste di integrazione da parte dei Comites maggiormente penalizzati.
Anche questa quota è passata sotto la scure dei tagli e per il momento non se ne
dispone, ma si confida di recuperare l’intera somma e di procedere all’erogazione della
parte mancante, comunque difficilmente entro l’anno.
La Finanziaria, al di là delle critiche e delle aspettative negative, relativamente ai
capitoli della DGIEPM non ha portato decurtazioni ed ha stabilizzato gli ammontari
che, rispetto al costo crescente della vita, comportano erogazioni in termini reali
leggermente inferiori. Non c’è che confidare che questo si confermi al termine dell’iter
della Finanziaria.
Un capitolo su cui si è notata una ormai tradizionale limitatezza di fondi è quello
relativo all’assistenza diretta, che riguarda esigenze in continua espansione non soltanto
nelle aree di crisi, ma anche nell’area europea, dove pure si prospetta il fenomeno
dell’emarginazione. L’assistenza si è assestata negli ultimi anni intorno a circa 13
milioni di euro e solo per il 2003 il Parlamento aveva deciso di incrementare
l’ammontare di 10 milioni di euro. Nonostante le reiterate richieste, lo stesso incremento
non si è ripetuto nel 2004 e neppure è previsto per il 2005.
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La prospettiva della Finanziaria non appare drammatica e anzi, pur nelle attuali
difficoltà finanziarie, si può parlare di un atteggiamento di difesa nei confronti dei
capitoli dell’emigrazione.
L’anagrafe costituisce un problema centrale per la materia elettorale ed è arduo da
risolvere. Da un lato c’è la contrapposizione tra AIRE e anagrafe consolare, sono note le
carenze dell’AIRE dovute all’atteggiamento dei Comuni, e ci sono decine di migliaia di
comunicazioni dei Consolati che non sembrano essere opportunamente registrate.
L’anagrafe consolare, d’altro lato, ha essa stessa delle carenze, anche per responsabilità
dei connazionali all’estero, che non si preoccupano di segnalare la loro presenza al
Consolato, al quale ricorrono soltanto in caso di necessità, mentre dovrebbero
registrarsi e segnalare le variazioni di indirizzo. I problemi sono tanti per far convergere
le due banche dati e non ritiene che con il sistema attuale si potranno risolvere. Il
Ministro Tremaglia ha riconosciuto che se si vuole avere una speranza di
miglioramento bisogna dare una prevalenza alle anagrafi consolari; pari dichiarazione
ha fatto il Ministro Frattini, ma l’Amministrazione dell’Interno è restia a modificare le
procedure.
La problematica è complessa, perché qualora si volesse dare la prevalenza all’anagrafe
consolare, il Consolato non può creare la lista elettorale, in quanto non si può
prescindere dal riconoscimento della qualità di elettore, attestata dal Comune
d’iscrizione. Ma con una parola definitiva il Consolato dovrebbe intervenire sulla
individuazione del cittadino, cui si riconosce la qualità di elettore, in quanto residente
all’estero: ad esso in effetti l’Ufficio Consolare è più vicino dal punto di vista territoriale,
ed è questa la trasformazione che si dovrebbe cercare di far accettare. Rimane poi quella
quota (molte decine di migliaia) di cittadini italiani destinatari di diritto di voto, che
però non hanno avuto la possibilità di trovare adeguata iscrizione in un Comune
italiano e dunque non risultano nelle liste elettorali.
Su questa complessa situazione si inserisce il problema dei contrattisti ed egli, che ha la
responsabilità della gestione del momento elettorale, è profondamente preoccupato.
Ricorda che vi sono stati, da un lato, due provvedimenti legislativi ispirati dal Ministro
Tremaglia, al quale dà atto dell’impegno con cui si occupa di queste questioni, come
pure dell’impegno con cui ha difeso i capitoli dell’emigrazione. Con i citati
provvedimenti sono stati immessi nella Rete consolare 384 contrattisti a tempo
determinato, con procedure diverse da quelle previste per i contrattisti a tempo
indeterminato. La legge consentiva il rinnovo per due semestri, per cui potevano
svolgere la loro attività per complessivi tre semestri, che si concludono alla fine del
2004. Nell’insieme, a fine anno la Rete consolare non disporrà più dei 384 impiegati che
hanno dato un apporto apprezzabile. Il secondo provvedimento riguarda la Legge
Bossi-Fini, che ha consentito di assumere 80 impiegati a tempo determinato, per la
questione visti. Anche per questi il contratto termina a fine anno.
Il DGIEPM ha invocato il mantenimento dei posti, ma i sindacati del MAE si sono
opposti a che si espandesse il contingente di impiegati a tempo indeterminato. Un
provvedimento di conferma temporanea delle stesse persone si tradurrebbe
automaticamente, in molti Paesi, nella trasformazione dei relativi contratti in contratti a
tempo indeterminato secondo l’ordinamento locale, per cui tale via non è perseguibile.
Si è allora pensato di incrementare il capitolo sui digitatori, già di supporto ai Consolati
in materia anagrafica, dipendenti di una società di servizi con cui il Consolato stipula
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un contratto. La dotazione di tale capitolo è di circa 2 milioni di euro, e ne sono stati
chiesti non meno di 6, che saranno distribuiti a tutti i Consolati, per ottenere prestazioni
che non saranno corrispondenti a quelle fornite dai contrattisti.
Lo preoccupano fortemente la prospettiva referendaria del 2005 e quella elettorale del
2006, che farà concentrare l’attenzione di tutte le forze politiche sulla rete consolare. È
grato al Segretario Generale Narducci perché, su ispirazione di alcuni Consiglieri, in
particolare del Consigliere Conte (Germania) ha fatto presente al Sottosegretario Letta
che non si può andare avanti con un bilancio del MAE in continua diminuzione in
termini percentuali rispetto al bilancio dello Stato.
Da una valutazione effettuata risulta che i Consolati meglio dotati di personale hanno
un dipendente ogni 2000-2500 connazionali, e sono chiamati a svolgere attività che
vanno al di là di quelle dello stesso Comune, che ha in media un dipendente ogni 500
cittadini. La Rete consolare va potenziata, ma all’interno del MAE non sono disponibili
le necessarie risorse.
Circa il Lussemburgo, se c’è una divaricazione tra anagrafe consolare e dati forniti
dall’Autorità locale, sarebbe utile disporre dei dati per verificare le discrepanze.
Uno degli obiettivi è di trasferire alcune competenze consolari sull’Autorità locale, ma
spesso si dovrebbe procedere all’adozione di nuove normative e non tutti gli Stati sono
disponibili. Si era trovata un’intesa con la Germania per uno scambio di informazioni
sulle variazioni di indirizzo dei rispettivi residenti nei due Paesi, ivi compresi gli
stranieri che dall’Italia dovessero andare in Germania e viceversa, ma è stata bloccata
dal Garante e da un servizio legislativo di un altro Ministero, perché l’iniziativa era
contraria alle norme sulla privacy.
Facendo riferimento alla questione dell’assistenza sanitaria proposta nella relazione
della Svezia, informa che a fine settembre la DGIEPM da diramato una nota con cui si
porta a conoscenza della Rete diplomatico-consolare UE e di alcuni altri Paesi, che
l’Unione Europea ha adottato un regolamento in vigore dal 1 luglio 2004 sulla base di
due principi fondamentali: l’allineamento di tutti i cittadini dell’Unione e l’accesso
diretto all’assistenza sanitaria, per cui le prestazioni sanitarie per i cittadini soggiornanti
temporaneamente in un Paese dell’Unione sono fornite direttamente agli assicurati che
necessitano di cure. La normativa prevede che dal 1° luglio 2004 gli Stati UE possano
emettere la tessera sanitaria europea; alcuni Paesi, tra cui l’Italia, usufruiranno di un
periodo transitorio fino al 31 dicembre 2005 per predisporre il rilascio di tale
documento.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) osserva che il Ministro ha illustrato quanto discusso nel
CdP, eccetto un particolare che riguarda i Consiglieri del CGIE, ossia l’annoso problema
della diaria, che dal 1998 è ferma a 400 mila lire al giorno. La sua proposta è che la
Commissione si esprima in favore dell’adozione degli stessi criteri utilizzati nell’ambito
dell’Unione Europea.
Propone conclusivamente che la Commissione faccia proprio il Documento del CdP,
che ha affrontato le questioni al momento più cruciali per il Consiglio Generale.
Tommaso CONTE (Germania) ritorna sulla questione del decreto taglia-spese e sulla
Finanziaria per sottolineare che la posizione del CdP è un po’ diversa. Avverte che il
taglio al cap. 3106, che non consente ai Presidenti dei Comites della Germania di
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riunirsi, non sarà recuperato. Egli vorrebbe avere la stessa fiducia del Ministro
Benedetti per quanto riguarda i finanziamenti ai Comites, ma attende di vedere tradotte
in fatti le rassicurazioni del Sottosegretario Letta, dal momento che nella Relazione di
Governo c’era un riferimento alla prudenza nell’intaccare l’impianto della legge di
assestamento.
Circa la Finanziaria, è vero che sostanzialmente i capitoli di bilancio che riguardano
direttamente gli italiani all’estero non sono stati toccati, ma le risorse umane vengono
ridotte, con la conseguenza che alcuni Uffici vengono chiusi. Fa poi osservare che a
riunioni analoghe a quella odierna in passato presenziavano i Consiglieri degli Affari
sociali, oggi assenti perché il MAE non dispone dei fondi necessari. A Berlino si è tenuto
un importante convegno sulla scuola, al quale non è potuto intervenire il Consigliere
Perico (Capo Ufficio II della DGIEPM). Il fatto che, ad esempio, il capitolo di bilancio dei
Comites per il 2005 sia invariato rispetto al corrente anno non significa che la situazione
complessiva sia rimasta invariata. Al cap. 3092 sono riconosciuti 2 milioni di euro e la
Direzione Generale ne chiede 4 in più, ma non è detto che si potranno ottenere.
Il pagamento a coloro che si sono impegnati per le elezioni dei Comites non è ancora
avvenuto e per ora sono state date istruzioni ai Consolati di accantonare le indennità sul
conto valuta tesoro.
Se saranno ripristinati i fondi 2004, i Comites disporranno del finanziamento non prima
del 2005. A proposito dei contrattisti i sindacati del MAE hanno assunto una posizione
contraria, ma quando questo Governo ha voluto approvare delle leggi, lo ha fatto
ignorando qualsiasi parere avverso. Il MAE aveva predisposto un disegno di legge che
il Governo avrebbe dovuto fare proprio, ma l’ha fatto presentare da un Deputato e il
Sottosegretario all’Economia di Forza Italia l’ha immediatamente bocciato.
Mario TOMMASI (Lussemburgo) fa rilevare che la documentazione che viene data al
CdP non viene divulgata agli altri Consiglieri e ne reca personale testimonianza perché,
nelle poche riunioni del CdP alle quali ha partecipato come Presidente di una
Commissione Tematica, non gli sono stati consegnati tutti i documenti poiché non
faceva parte del CdP.
Circa la Finanziaria, alcuni Patronati gli hanno riferito che il metro di calcolo dei
punteggi, che di fatto riduce la somma data ai Patronati stessi, è stato modificato in
particolare per quanto riguarda le dichiarazioni dei redditi.
Quanto all’anagrafe, indipendentemente dal fatto che la differenza è costata un
rappresentante all’interno del CGIE lussemburghese, preoccupa una differenza del
22,2%, che va analizzata.
Gianni FARINA (Francia) si dice sorpreso per la serietà e tranquillità con cui il Ministro
Benedetti ha evidenziato un dramma: si è in attesa inconsapevole di una tragedia
annunciata. Alla vigilia di importanti consultazioni referendarie e legislative il
problema dell’anagrafe è irrisolvibile ed egli è convinto che i Comuni italiani non
daranno alcuna disponibilità, perché hanno grandi interessi da difendere, come pure
non sarà risolutiva la comparazione tra l’anagrafe consolare e le liste del Ministero
dell’Interno. Egli aveva a suo tempo portato avanti una battaglia, ed è convinto che
l’unica soluzione sia l’anagrafe consolare degli elettori italiani all’estero.
Chiede pertanto che la Commissione Continentale proponga che nella prossima
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Assemblea Plenaria sia dedicata a questo tema la necessaria attenzione, preparando
adeguatamente la riunione attraverso consultazioni di carattere nazionale.
Alberto BERTALI (Gran Bretagna) chiede un chiarimento in ordine ai finanziamenti
soltanto parziali ad alcuni dei 70 Comites non colpiti dal decreto taglia-spese.
A proposito dei contrattisti che a fine anno cesseranno la loro attività, avverte che in
Inghilterra dopo un anno di lavoro per legge si diventa dipendenti a tempo
indeterminato e che tale legge potrebbe essere fatta valere dai contrattisti inglesi.
Norberto LOMBARDI (Italia) si astiene da qualsiasi valutazione di carattere generale e
si limita a constatare che il quadro nel quale sono inserite le valutazioni è costituito da
un bilancio del MAE percentualmente tra i più bassi rispetto agli altri Paesi e che da
alcuni anni a questa parte di fatto diminuisce, se non altro per il mancato recupero
dell’inflazione, anche se le cifre rimangono nominalmente invariate.
Denuncia una situazione schizofrenica tra enunciazioni e riferimenti agli strumenti
operativi, poiché se si parla di giovani, di richiesta di lingua italiana, di esigenze di
assistenza, tutto questo dovrebbe avere un seguito. Non aggiunge altro in proposito e si
limita ad alcune domande. Sui Comites c’è un invito alla tranquillità e a lui sembra di
capire che nel corso dei lavori della Finanziaria sarà presentato un emendamento;
oppure ci sarà un altro strumento? Quanto al milione di differenza tra le due anagrafi,
consolare e dell’AIRE, domanda se sia quello risultante dopo la bonifica effettuata. Di
fronte alla complessità del problema, se non si perviene a una soluzione è possibile che
alle attuali condizioni si tengano delle elezioni di tanta delicatezza? È in discussione, a
suo avviso, la possibilità di votare o meno.
Facendo riferimento ai contrattisti e ai digitatori, trova sgradevole che la questione
debba risolversi tra i primi, che chiedono di proseguire il loro lavoro, il Ministro
Tremaglia che se ne fa paladino e la corporazione dei sindacati. Il vero problema è che
non esiste una politica dell’organizzazione dello Stato italiano all’estero, che consenta
anzitutto di definire le necessità di tipo organizzativo perché un Consolato possa essere
uno strumento efficiente. Egli è anche disposto a condurre una battaglia contro i
sindacati, se però si dimostra di lavorare per rendere le strutture dello Stato italiano
all’estero degne del loro nome.
Propone che la Commissione Continentale faccia proprio l’ordine del giorno del CdP e
rispetto ai problemi approvi un suo ordine del giorno.
Claudio MICHELONI (Svizzera) considera che il problema dell’anagrafe non è nato
adesso, e nella passata legislatura un gruppo minoritario aveva proposto di adottare il
metodo che ha dato prova di validità in Francia e negli Stati Uniti, che sia l’elettore ad
iscriversi nelle liste elettorali. Una riflessione di fondo sull’anagrafe va fatta ed egli
condivide la proposta del Consigliere Farina (Francia), che l’Assemblea Plenaria vi
dedichi una giornata.
Del Ministro Benedetti non condivide la posizione in ordine alla questione dei
contrattisti e ai sindacati. È giusto che gli attuali contratti giungano a termine e, se si
pensa di procedere ad assunzioni, si ricorra a reali concorsi affinché non si ripetano
episodi sgradevoli già lamentati.
Il discorso tranquillizzante del Ministro Benedetti è dissonante rispetto a quanto ha
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annunciato l’Ambasciatore a Berna, che entro la fine dell’anno in Svizzera il personale
della struttura diplomatica subirà una pesante riduzione. E se si riduce il personale,
l’Ufficio non è più in grado di svolgere il proprio lavoro ed è costretto a chiudere. In tale
situazione, soluzioni come quella dei digitatori o dei contrattisti non sono accettabili.
Egli non ritiene che la questione si ponga soltanto in termini di finanza pubblica, poiché
non si è mai visto un rapporto sul funzionamento tecnico-operativo delle strutture
consolari. Non sa dire se sia poco un impiegato per 2000 connazionali, tenuto conto che
la stragrande maggioranza di essi non fa ricorso al Consolato. A chi spetta verificare che
non vi sia un problema di funzionamento? È opportuno capire questo aspetto del
problema ed egli esprime dubbi sull’utilità di iniettare solo personale in una struttura
opaca nella sua funzionalità.
Dino NARDI (Svizzera) considera che lo Stato italiano emana leggi senza considerare
preventivamente l’impatto della loro applicazione. È quanto si è verificato con la
questione della cittadinanza italiana e con il voto all’estero. Il problema dell’anagrafe
non si risolve con digitatori e contrattisti e va anche tenuto conto che questi ultimi sono
stati molto spesso utilizzati per compiti diversi da quelli per i quali erano stati assunti.
Trova inoltre spiacevole che ai sindacati continuino ad essere attribuite responsabilità
per la mancata assunzione dei contrattisti, dando una visione distorta dei fatti. E
comunque il Governo, quando vuole, assume decisioni anche avverse al parere dei
sindacati.
Carlo ERIO (Francia) osserva che il CdP si è riunito a Roma per affrontare questioni
importanti, su cui non hanno dato notizia il Segretario Generale e i Consiglieri presenti
che del CdP fanno parte, e ne ha fatto cenno solo il Ministro Benedetti.
A proposito dell’anagrafe, fa rilevare che se fosse stata presa in considerazione la
proposta di iscrizione diretta in Consolato alle liste elettorali, molti problemi sarebbero
ora superati. I contrattisti hanno svolto compiti di diverso tipo, e dunque il loro apporto
alla bonifica dell’anagrafe consolare è stato limitato.
Rivolto al Consigliere Conte (Germania), trova discutibile che proprio lui, che ha
partecipato all’incontro con il Sottosegretario Letta, a poche ore di distanza metta in
dubbio la posizione del Governo, che ha fornito delle rassicurazioni.
Non gli si possono attribuire cose non dette, afferma Tommaso CONTE (Germania), il
quale si è limitato a far presente che per ora c’è solo la parola del Sottosegretario, e non
fatti concreti.
Fernando MARZO (Belgio) pone il problema di alcuni Comites, i cui finanziamenti sono
stati decurtati perché, in nome della trasparenza, avevano esposto in bilancio i saldi
positivi al 31 dicembre 2003.
Nazzareno MOLLICONE (Italia) auspica che alle rassicurazioni delle istituzioni
corrispondano iniziative per superare certe deficienze. È stato giustamente rilevato che
l’adeguamento delle Sedi consolari e quello al costo della vita dovrebbero avere
carattere prioritario. Ritiene che un bilancio della situazione sia possibile solo con la
prossima Assemblea Plenaria, quando la Finanziaria sarà stata definita, con tutti gli
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emendamenti, e in quella circostanza si potrà affrontare la questione della Rete
consolare, che in Europa è destinata ad assumere maggiore importanza rispetto alle
Ambasciate.
Sulla questione dei contrattisti, all’interno dei sindacati le posizioni non sono state
univoche, ci sono problemi di ordine giuridico-contrattuale per quanto riguarda
l’assunzione nella Pubblica Amministrazione e, d’altra parte, le pressanti esigenze delle
Sedi estere. Piuttosto che alla soluzione dei digitatori, egli sarebbe favorevole a contratti
a tempo determinato direttamente con i contrattisti, seppure con modalità da rivedere
per quanto riguarda la selezione.
Nell’Assemblea Plenaria di dicembre si dovrebbe trarre un bilancio generale sulla
Finanziaria e prepararsi per la prossima Finanziaria, o addirittura per una legge ad hoc
che riguardi la Rete e l’anagrafe consolare, nonché i problemi emersi in questi giorni di
lavoro.
Michele CRISTALLI (Germania) invita a un’ulteriore riflessione sulla questione dei
contrattisti e digitatori in Germania, che potrebbe dar luogo a complicazioni. Qualora il
lavoro fosse appaltato a un’agenzia di servizi non vi sarebbero problemi, che invece
potrebbero porsi sotto il profilo giuridico-normativo se il Consolato si facesse
“prestare” digitatori da una ditta di lavoro interinale, e questi fossero poi utilizzati
anche per un qualsiasi diverso lavoro.
Michele SCHIAVONE (Svizzera) si domanda se, a fronte di enunciazioni di carattere
generale, si disponga di strumenti per affrontare la realtà. Si è parlato della lingua come
strumento di integrazione, eppure il capitolo relativo agli interenti culturali ha subito
una decurtazione. Egli reca l’esempio di una scuola in Svizzera altamente qualificata,
alla quale sono stati pesantemente decurtati i finanziamenti. Esprime dubbi sull’utilità
del lavoro che viene svolto in queste sedi e forse è più produttivo disertare tali incontri
e lavorare sul campo. È ora che il Governo dia risposte efficaci alle esigenze da anni
prospettate.
Anna POMPEI RUEDEBERG (Svizzera) si domanda per quale motivo non sia possibile
mettere ordine alla situazione dei contrattisti e dei digitatori analogamente a quanto
avviene nelle imprese private. Osserva poi che di fronte al previsto referendum del 2005
e alle elezioni del 2006, il ritardo che si registra è decisamente preoccupante.
Il PRESIDENTE comprende lo sconforto, ma avverte che da questo si deve ripartire. Il
Ministro Benedetti ha rappresentato chiaramente la drammaticità della situazione ed
egli ritiene si renda necessario chiedere con forza come procedere. Non condivide l’idea
di abbandonare la partita, ma piuttosto occorre dare nuovo valore al ruolo del CGIE.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) propone che per la prossima Commissione Continentale
sia posto all’ordine del giorno il funzionamento del CGIE, per valutare come imparare a
lavorare assieme.
Il Ministro Adriano BENEDETTI fa presente che la corresponsione dell’indennità ai
membri dei seggi elettorali ha subito un ritardo dovuto a una concomitanza di cause: le
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somme indicate nel decreto a firma del Ministro Frattini non sono state ritenute
applicabili dal MEF; il Ministro ha immediatamente riproposto un altro decreto sulla
base dei dati forniti dal MEF, che non ha ancora provveduto a restituirlo firmato. È stata
contemporaneamente affrontata una questione posta dal Ministero dell’economia,
relativa al fatto che, mentre per le elezioni europee una disposizione esplicita esclude
l’imposizione sulle indennità, pari disposizione non esiste nella legge sui Comites.
Dopo lunga trattativa si è ottenuto che le indennità saranno erogate senza alcuna
trattenuta e si stilerà un CUD; spetterà al contribuente includere anche tale ammontare
della propria denuncia dei redditi. Sono state nel frattempo date disposizioni ai
Consolati di trarre dal conto valuta tesoro la somma necessaria ed è stato proposto al
Ministro Frattini di procedere anticipando la firma del decreto da parte del MEF.
Egli ha presentato un quadro realistico per i capitoli di competenza della sua Direzione
Generale, indicando che non sono stati sostanzialmente toccati con la Finanziaria 2005.
E’ comunque preoccupato per quanto riguarda la consistenza degli organici della Rete
diplomatico-consolare. Quanto ai contrattisti, la posizione assunta dai sindacati è quella
che ha indicato; il MAE aveva introdotto un provvedimento di legge, bloccato in sede di
Commissione anche perché i sindacati del MAE si sono rivolti al personale di ruolo in
servizio all’estero, invitandolo a inviare lettere (già predisposte) ai membri del
Parlamento, creandosi così una forte lobby contraria.
La questione dei Patronati è nella competenza del MLPS. A proposito dell’anagrafe
consolare, ricorda che una forza politica ha proposto la soluzione indicata dal
Consigliere Farina (Francia), che però va contro l’impianto della legge elettorale italiana.
I Comites hanno ricevuto il finanziamento sulla base di nuovi criteri uniformi, applicati
per la prima volta quest’anno, che hanno portato a risultati diversi da quanto si era
inizialmente previsto. È stato assunto l’impegno con il CGIE di rivedere tali criteri, che
il CdP valuterà. Circa il recupero del finanziamento ai Comites egli, che non è esperto di
tecnica finanziaria e parlamentare, sa che una modalità è rappresentata da un
emendamento alla legge di assestamento di bilancio, ma possono esservi anche altri
strumenti.
Le cifre relative all’anagrafe sono piuttosto fluttuanti, ma quando si parla di un milione
di elettori ci si riferisce all’assenza del nome negli elenchi, cosa ben diversa
dall’imperfezione degli indirizzi, e il sistema attuale ha comportato che il Ministero
dell’Interno indicasse anche gli indirizzi. Il MAE si è assunto la responsabilità di
indicare alla Rete consolare di modificare gli indirizzi errati o imperfetti. Se si dovesse
tenere conto della discrasia anche relativa agli indirizzi, il numero salirebbe
enormemente. Ricorda infine che, quanto ai carichi pendenti, il depositario per legge è il
Comune.
Norberto LOMBARDI (Italia) richiama l’attenzione su quel milione di cittadini non
presenti nelle anagrafi per cui, quando arriva la segnalazione affinché siano inseriti, il
Comune deve svolgere una procedura mirante ad accertare che non vi siano carichi
pendenti.
Il Ministro Adriano BENEDETTI precisa che una parte importante dei nominativi
mancanti nelle liste elettorali sono riferiti a persone che al Consolato risultano vivere
all’estero e che il Comune considera residenti in Italia.
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Precisa che i sindacati non hanno sostenuto di essere contrari all’immissione di
personale a contratto, ma di voler evitare che si proceda con provvedimenti tampone. In
realtà questa posizione nasconde un interesse corporativo. Per sottolineare le difficoltà
che l’Amministrazione incontra, fa presente che 1-2 volte l’anno viene presentata la lista
dei posti disponibili all’estero, riservati alle qualifiche funzionali, e molto spesso non vi
sono richieste proprio per quelle sedi che più avrebbero bisogno di personale.
Non ha negato che vi siano state difficoltà in ordine ai contrattisti, ma ha soltanto
affermato che alla DGIEPM sono in genere pervenute valutazioni favorevoli. Non si
addebita certo ai Sindacati la responsabilità del fatto che queste persone non possano
mantenere il rapporto di lavoro, che si doveva comunque interrompere. Si sarebbe
potuto, tuttavia, procedere a nuove assunzioni attraverso modalità più approfondite, di
cui avrebbero potuto beneficiare – qualora ritenuti meritevoli - i precedenti contrattisti.
Il Consigliere Micheloni (Svizzera) ha adombrato che il vero problema dei Consolati non
sia di risorse ma di mancata produttività. Egli non condivide tale approccio, anche se
non esclude in modo assoluto che la produttività possa essere aumentata; però ci sono
dei limiti. La misurazione della produttività e l’individuazione di margini per
aumentarla sono di responsabilità del Console. Concorda sull’opportunità di meditare
su questi aspetti, ma non ritiene che il vero problema risieda in essi.
A proposito della considerazione sul fatto che manca un quadro di riferimento, informa
che si è recentemente proceduto a richiedere alla Rete diplomatico-consolare una
valutazione dei livelli di sia pur minima adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni,
che però si modificano in continuazione. A fronte di nuovi impegni le risorse sono
calate, e la priorità è rappresentare la necessità che esse vengano aumentate. Del resto, è
sufficiente fare un raffronto con le risorse a disposizione delle Reti diplomaticoconsolari degli altri Paesi.
In risposta alla considerazione sulla qualità delle leggi, considera ovvio che nel
momento in cui si attribuiscono nuove responsabilità si dovrebbe anche prevedere
come farvi fronte e semmai dare nuovi strumenti.
Circa i finanziamenti ai Comites decurtati per precedenti saldi positivi, può condividere
l’argomentazione che l’esistenza a fine anno di saldi attivi in un bilancio di cassa non
significa che il Comites pensi di accumulare risorse, ma secondo le regole di finanza
pubblica il saldo attivo deve essere detratto dal finanziamento.
Ha raccolto le indicazioni del Consigliere Mollicone (Italia) e auspica che la Direzione
Generale del personale sia attenta ai pericoli indicati.
Rispondendo al Consigliere Schiavone (Svizzera) conferma che sembrano esservi
decurtazioni, di cui non ha conoscenza diretta. Condivide che se si parla di cultura
come di uno strumento di promozione dell’identità, debbono esservi anche i fondi per
le scuole italiane all’estero e per le scuole bilingue.
Invita conclusivamente all’ottimismo, nella consapevolezza che, seppure con difficoltà,
alla fine le soluzioni si trovano.
Il PRESIDENTE informa che il Consigliere Mauro (Olanda) ha consegnato uno spunto
di riflessione da indirizzare alla Commissione Scuola e Cultura del CGIE. (All. 10)
Massimo ROMAGNOLI (Grecia) rappresenta la grave situazione, in Spagna, della Rete
consolare onoraria e dei Consolati Generali. Da ormai qualche anno si registra
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giornalmente un notevole afflusso di cittadini oriundi provenienti dall’America Latina,
che fanno richiesta di passaporto italiano, a cui le strutture non sono in grado di dare
risposta. I Consoli sono preoccupati per la riduzione dell’organico prevista per la fine
dell’anno e tutti i Consoli onorari hanno inviato all’Ambasciatore a Madrid una lettera
di dimissioni. Chiede che al problema sia trovata una soluzione.
Claudio POZZETTI (Italia) riferisce di aver avuto notizia che, contrariamente a quanto
previsto dalla Convenzione in materia fiscale tra Italia e Svizzera, i frontalieri italiani
potrebbero essere sottoposti a doppia imposizione qualora rientrino in Italia una volta
la settimana, come peraltro è consentito dagli Accordi bilaterali sulla libera circolazione
delle persone intervenuti tra UE e Svizzera. La doppia imposizione riguarderebbe
anche persone domiciliate e dimoranti in Svizzera, qualora abbiano la famiglia o il
centro dei propri interessi in Italia. Chiede una verifica per accertare la fondatezza della
notizia.
Michele CRISTALLI (Germania) fa presente che i frontalieri dalla Germania verso la
Svizzera sono assoggettati a una trattenuta alla fonte del 4%, poi riconosciuta in
detrazione dal fisco tedesco. Ai fini della tassazione, fa fede la residenza.
Claudio POZZETTI (Italia) fa rilevare che in base alla Convenzione del 1974 i frontalieri
italiani pagano alla fonte e, per quanto riguarda il singolo lavoratore, la questione è
conclusa. C’è poi un ristorno del 40% sul monte totale dalla Svizzera all’Italia.
Il Ministro Adriano BENEDETTI si impegna ad effettuare le debite ricerche e a dare
risposta. Delle questioni sollevate dal Consigliere Romagnoli (Grecia) la sua Direzione
Generale è consapevole e ha posto il problema alla Direzione Generale del personale.
Tommaso CONTE (Germania) in proposito rileva che la richiesta del MAE relativa al
capitolo di bilancio è rimasta inascoltata e per l’anno prossimo sembra siano
riconosciuti gli stessi fondi dello scorso anno.
I lavori terminano alle ore 19.50
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SABATO 23 OTTOBRE 2004 – I lavori iniziano alle ore 9.50
Presidenza del Vice Segretario Generale Elio CAROZZA
Il PRESIDENTE accoglie con parole di benvenuto i rappresentanti della comunità
italiana in Olanda e ricorda che, secondo una ormai consolidata tradizione, l’ultima
giornata di lavoro della Commissione Continentale è dedicata all’incontro con la
comunità locale. Rivolge un particolare saluto alla signora Petrai, Presidente del
Comites di Amsterdam, a Salvatore Tozzi, Andrea Mantione e Milan Kocovic,
Presidente della Lize.
I due giorni di lavoro sono stati proficui; si è in particolare riflettuto sulla portata della
Costituzione in relazione ai diritti, alle libertà, alla libera circolazione, alla formazione e
al lavoro, e sui processi di integrazione delle comunità italiane nei Paesi dell’area.
Ringrazia il Consigliere Mauro (Olanda) per la calorosa ospitalità e la perfetta
organizzazione, che ha consentito alla Commissione di svolgere il proprio lavoro nel
modo migliore. Ringrazia altresì il Console Generale Giungi per l’assidua e partecipata
presenza alla riunione continentale.
Consigliere Giorgio MAURO (Olanda) sottolinea l’importanza dell’incontro con i
rappresentanti della comunità italiana in Olanda, per la conoscenza che può offrire
delle caratteristiche dell’emigrazione in questo Paese. Al Console Giungi, da poco
giunto in Olanda ma che ha già partecipato ad incontri con i rappresentanti delle
associazioni, augura che il soggiorno sia proficuo per lui stesso, per il Consolato e per la
comunità. Dà quindi il benvenuto ai componenti il Comites di Amsterdam e a Milan
Kocovic, Presidente della Lize, il Comitato Consultivo delle comunità di stranieri in
Olanda, provenienti dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Saluta altresì Salvatore
Tozzi, che recherà la sua esperienza di imprenditore italiano, e Andrea Mantione,
responsabile del Patronato ACLI, che informerà sull’associazionismo italiano in Olanda.
Se il profilo dell’emigrazione italiana all’estero sta cambiando, alcuni valori debbono
comunque essere salvaguardati, anzitutto quello della solidarietà, in particolare verso
gli anziani che hanno portato l’Italia fuori dai confini.
Marco GIUNGI (Console Generale d’Italia ad Amsterdam) interviene sul tema: “Principi e
linee evolutive della cittadinanza nell’ordinamento italiano”.
Il concetto di cittadinanza è greco, e l’elaborazione romana ha arricchito l’idea di polis di
un significato giuridico e religioso. Secondo la concezione romana, i valori fondanti
della cittadinanza erano la religione, il diritto, la politica, valori che nel tempo hanno
subito un’evoluzione e che, seppure con pesi diversi rispetto al passato, fanno tuttora
parte del moderno concetto di cittadinanza. Con la nascita e l’espansione dell’Unione
Europea tale concetto va scisso in nazionale: cittadinanza secondo il diritto italiano, e
sopranazionale: cittadinanza secondo il diritto comunitario.
È del 1992 la legge promulgata dallo Stato italiano, che consente il possesso di altre
cittadinanze accanto a quella italiana. Ciò significa che il cittadino italiano oggi non è
necessariamente bianco e cattolico e non parla necessariamente italiano.
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La cittadinanza europea viene definita per rinvio alle legislazioni nazionali e, benché sia
ancora lunga la strada per giungere alla perfetta equiparazione del cittadino europeo a
quello nazionale, in un futuro non lontano la quasi totalità dei servizi legati alla
cittadinanza saranno prestati al cittadino europeo dallo Stato territoriale. (All. 11)
Il PRESIDENTE ringrazia il Console Generale Giungi per le puntuali delucidazioni
sull’evoluzione del concetto di cittadinanza sotto i profili etico, giuridico e politico.
Antonella PETRAI (Presidente del Comites di Amsterdam) vive in Olanda da quattro anni
ed è stata recentemente eletta Presidente del Comites di Amsterdam, che è l’unico per i
Paesi Bassi essendo stato soppresso quello di Rotterdam. La comunità che rappresenta è
di tipo complesso, composta da persone della prima emigrazione degli anni ’60, da
discendenti di seconda e terza generazione che sempre meno parlano la lingua italiana,
e infine dalla nuova emigrazione, che risale al massimo a dieci anni fa.
Nel Comites sono rappresentate tutte le fasce di età e in modo paritario entrambi i sessi;
si compone di 12 membri dislocati su tutto il territorio, e dunque con la possibilità di
essere abbastanza vicini alla comunità.
Le difficoltà con le quali si è confrontata nei sette mesi da quando ha assunto la
Presidenza sono consistite nella riorganizzazione interna e nella presa di contatto con la
collettività.
Le associazioni stanno morendo, probabilmente perché non hanno saputo individuare
nuovi modelli di funzionamento, e ad esse occorre dare nuova linfa. I finanziamenti
consentono soltanto di affrontare la quotidianità, ma non permettono assunzione di
iniziative. Ritiene che debba essere rivisto il sistema di informazione e comunicazione,
perché i connazionali non conoscono quale lavoro il Comites svolga.
Quanto al diritto di voto per corrispondenza, tanto atteso e sicuramente una conquista,
per poterlo esercitare in piena consapevolezza occorrono informazioni adeguate e
diversificate, mentre in Olanda, ma non in tutto il territorio, si riceve via cavo soltanto
RAI 1 (che tra l’altro cripta molte trasmissioni); i quotidiani hanno un costo elevato e il
web non è ancora un mezzo di informazione diffuso.
Lamenta che RAI 1 non preveda trasmissioni dedicate e in lingua locale, per tenere
conto delle seconde e terze generazioni che ormai non parlano più italiano, e sottolinea
la necessità che i connazionali nel mondo siano messi in condizione di essere italiani a
360 gradi, anche se non parlano la lingua.
La comunità italiana all’estero porta messaggi sull’italianità, promuove la cultura e la
lingua, è detta ambasciatrice dell’Italia, ma i processi debbono essere reciproci, e in
Patria che cosa si fa per la comunità? È forse previsto nelle scuole l’insegnamento del
fenomeno migratorio?
Segnala che anche chi è in Olanda da tantissimi anni, ogni cinque è tenuto a rinnovare
la Carta di soggiorno, con una procedura ora particolarmente burocratizzata. Inoltre,
alcuni titoli di studio non sono riconosciuti, come il diploma di infermiere specializzato
o di fisioterapista.
Il PRESIDENTE ritiene si debba a Radio Onda, la radio italiana di Amsterdam a suo
tempo informata della riunione della Commissione, l’odierna massiccia presenza di
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connazionali.
Le considerazioni della Presidente del Comites di Amsterdam sono giuste e
condivisibili; la sua voce si aggiunge a quella della Commissione.
Salvatore TOZZI (Esperto) è nato a Napoli e vive da 29 anni in Olanda dove, dopo un
periodo di assestamento, avendo verificato l’impossibilità di reperire in particolare la
mozzarella, della cui produzione aveva competenza, ha tentato l’introduzione nel
mercato di tale prodotto, che nel tempo si è andato affermando in modo diffuso. Nel
1992 ha ceduto a una società multinazionale l’azienda che tuttora porta il suo nome, a
condizione di restarne Direttore. Nel Paese egli non si è mai sentito straniero.
Il PRESIDENTE dà lettura del Documento finale dei lavori da sottoporre
all’approvazione della Commissione, occasione per i rappresentanti della comunità di
conoscere in sintesi gli argomenti affrontati e le decisioni cui si è pervenuti.
Claudio MICHELONI (Svizzera) fa rilevare che il problema della rete consolare è
generalizzato, per cui non si possono indicare in particolare due Paesi. Ricorda poi che
nel corso dei lavori della giornata di ieri è stata avanzata la proposta, su cui non è stata
presa alcuna decisione, che nell’Assemblea Plenaria di dicembre una giornata sia
dedicata alla questione dell’anagrafe, con la presenza anche dei due Ministeri
interessati.
Mario TOMMASI (Lussemburgo) propone che al secondo paragrafo del punto 2,
laddove si parla di tutti i Paesi dell’area europea, si aggiunga il Nord Africa. A
proposito del fatto che “la Commissione prende atto e fa proprio il documento del
CdP”, sottolinea l’impossibilità, per quanto lo riguarda, di votare su qualcosa che non
conosce.
Il PRESIDENTE osserva che dalla relazione sul Nord Africa non è emersa una
situazione analoga a quella dei Paesi dell’area europea. Aggiunge poi che il Consigliere
Conte (Germania) darà lettura del testo del documento approvato dal CdP il 20 ottobre e
che per motivi tecnici ancora non è stato diffuso.
Dino NARDI (Svizzera) non ritiene sufficiente esprimere l’auspicio che la Rete
consolare sia rafforzata.
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) conferma la necessità di rafforzare il concetto e che si
debba esprimere “la volontà”.
Oscar CECCONI (Svezia) chiede che il documento sia integrato con la richiesta da lui
avanzata, che le ASL italiane siano informate in ordine ai tesserini sanitari magnetici.
Ricordato che in Germania è già stato chiuso per dieci giorni un Ufficio consolare per i
passaporti, Tommaso CONTE (Germania) invita i colleghi della Germania ad astenersi
dal votare il documento, a meno che la DGIEPM non assuma l’impegno di informare
sul rapporto, in Europa, tra dipendenti della Rete estera e collettività.
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Dà quindi lettura della bozza del documento approvato dal Comitato di Presidenza
riunito a Roma dal 18 al 20 ottobre, avvertendo che ad esso sono state apportate,
proprio in chiusura di riunione, alcune modifiche di modesta entità.
Claudio POZZETTI (Italia) chiede che al quarto capoverso della prima pagina,
penultima riga, dopo la parola: “vivono”, e al secondo capoverso della seconda pagina,
dopo la parola: “risiedono”, si aggiungano le altre: “e/o lavorano”.
Norberto LOMBARDI (Italia) fa riferimento al punto 2 per suggerire, a proposito delle
giovani generazioni, un richiamo affinché una sempre maggiore attenzione sia dedicata
ai problemi dei giovani e delle nuove mobilità. Al punto 3, a proposito dei fondi
decurtati con il decreto taglia-spese, ritiene necessario aggiungere che se ne chiede
l’immediato ripristino. Quanto all’anagrafe, oltre a chiedere la discussione in Plenaria si
potrebbe fare cenno all’indifferibile esigenza di un ricorso a soluzioni straordinarie e
immediate.
Per non sottrarre tempo agli interventi dei rappresentanti della comunità locale,
Lorenzo LOSI (Gran Bretagna) propone che ciascuno prenda con calma in esame il testo
del documento, per poi inviare al Vice Segretario Generale nel giro di pochi giorni le
proprie osservazioni.
Tommaso CONTE (Germania) suggerisce di aggiungere laddove si parla di rete
consolare e dopo " ....ad esempio in Germania ed in Spagna" la frase "..... ove maggiori
sono i segnali di inadeguatezza delle risorse disponibili".
Il PRESIDENTE invita ad accogliere la proposta del Consigliere Losi (Gran Bretagna),
fissando per il prossimo martedì il termine entro il quale dovranno giungere le
osservazioni. Avverte che al testo dovrebbero essere presumibilmente apportati
soltanto ritocchi, per tenere conto dei rilievi presentati; qualora vi fossero modifiche, se
ne assume sin d’ora la responsabilità. (All. 12)
Milan KOCOVIC (Presidente Lize) è Presidente della Lize, organo consultivo del
Governo olandese per i cittadini dell’Europa meridionale in Olanda, circa 180 mila
persone di cui quasi 36 mila italiane di nascita o di origine.
La Lize, che opera a livello nazionale, si impegna per il riconoscimento dei diritti dei
cittadini dell’Europa meridionale e fa parte della LOM, organismo che riunisce sette
associazioni nazionali e che rappresenta le minoranze, le quali per legge debbono essere
consultate dal Governo su determinate materie. Il Ministro dell’Integrazione è tenuto a
indire almeno tre volte l’anno riunioni con la LOM.
Richiama la memoria di un italiano, Dario Secchi, che molto si è adoperato per i
connazionali in Olanda, è stato uno dei soci fondatori della Lize e per anni suo
Presidente.
Si può in linea di massima affermare che in Olanda si è compiuta senza troppi problemi
l’integrazione degli italiani, che sono riusciti ad affermarsi in diversi settori:
ristorazione, gelateria, industria, musica, artigianato. Né va dimenticato che numerosi
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musei si devono ad architetti italiani. Esistono comunque ancora delle difficoltà in
particolare per gli emigrati della prima generazione, divenuti anziani e bisognosi di
aiuto. Le associazioni rappresentano un punto dolente, i Comuni dovrebbero
continuare a finanziarle e in genere ad esse dovrebbe essere prestata maggiore
attenzione, poiché soprattutto per gli anziani sono un punto di riferimento.
Da parte loro, gli italiani dovrebbero meglio utilizzare le possibilità di partecipazione
ed integrazione offerte dalla società olandese. Alle elezioni comunali raramente si
candidano i cittadini originari dell’Europa meridionale, e la partecipazione al voto è
molto bassa. Nel Comune di Delft è stato eletto un italiano, Gino Scalzo, il quale non si
stanca di invitare a fare uso del diritto di voto piuttosto che lamentarsi.
È necessario essere più attenti alle esigenze dei giovani, sia di seconda generazione che
di nuova emigrazione, cui la Lize cerca di dare voce. Ai temi che loro interessano, come
la doppia nazionalità, l’essere portatori di due culture e il patrimonio culturale, deve
essere riservata un’attenzione prioritaria.
Andrea MANTIONE (Patronato ACLI) è stato invitato a parlare di storia, stato e ruolo
delle associazioni ma, poiché è rappresentante di un Patronato e corrono voci di tagli ai
contributi per poter finanziare la promozione del made in Italy attraverso gli Istituti
Italiani di Cultura, invita a vigilare, poiché i Patronati svolgono un ruolo ben preciso:
rivendicano i diritti all’estero dei connazionali emigrati. Il Governo tenta di convincere
che la Finanziaria 2005 sarà soltanto di sistematizzazione della spesa, invece è un
documento che non piace ai sindacati, ai datori di lavoro, alle associazioni e ai cittadini
in Italia e all’estero.
Passando alle associazioni, ritiene opportune alcune considerazioni sul tipo di
emigrazione in Olanda. I primi connazionali, giunti per lavorare prevalentemente nelle
miniere, nelle acciaierie e nell’industria metallurgica ed edilizia, hanno per lo più
sposato donne olandesi. Nella divisione dei ruoli, ai mariti spettava il compito di
lavorare e alle mogli quello di curare i rapporti esterni e l’educazione dei figli, che così
hanno conosciuto quasi esclusivamente la lingua olandese.
Poiché i matrimoni misti non erano in genere ben accetti e le giovani coppie avevano
difficoltà di inserimento nella società, sono sorti circoli e associazioni, luoghi di incontro
e socializzazione. È degli anni ’60-’70 l’attenzione dei partiti politici italiani verso gli
emigrati, considerati potenziali elettori, il conseguente interesse da parte delle
associazioni nazionali e la costituzione a livello locale di associazioni regionali. Gli
attuali organismi di rappresentanza degli italiani all’estero sono frutto del lavoro e della
collaborazione di associazioni locali, regionali e nazionali e dei partiti politici.
Una vera e propria integrazione non si è mai realizzata, l’interesse per la politica è in
genere scarso e, tranne poche eccezioni, nessun italiano ha raggiunto cariche importanti
o si è particolarmente affermato nel mondo della cultura o delle imprese.
Attualmente sopravvivono a stento poche delle vecchie associazioni, dove più che altro
si riuniscono anziani di prima emigrazione soltanto per avere l’occasione di incontrarsi.
La nuova emigrazione ha altri interessi e si è orientata verso diversi tipi di
associazionismo, mentre è difficile avvicinare i discendenti di seconda e terza
generazione, che non si sono mai sentiti realmente italiani. Del resto, coloro che si sono
lasciati coinvolgere in occasione delle elezioni dei Comites devono ancora ricevere il
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compenso loro dovuto, e questo genera sfiducia nelle istituzioni italiane e sempre
maggiore distacco.
Se è vero che l’associazionismo è una risorsa, su di esso occorre investire. In caso
contrario sarà inevitabile che si realizzi un distacco irreversibile dalla Madrepatria
dell’Italia fuori dei confini. Auspica conclusivamente che insieme ci si impegni a che ciò
non avvenga.
Franco DADDA (Esponente della comunità locale) è stato Segretario Generale della FILEF
per l’Olanda ed attualmente svolge lavoro volontario in favore degli italiani
ultracinquantenni di Amsterdam, alcuni dei quali versano in condizioni di precarietà,
senza poter contare su aiuti da parte del Governo italiano e del Consolato. Le domande
ricorrenti attengono a questioni giornaliere spicciole, come l’essere accompagnati a
visite specialistiche o il disbrigo di pratiche burocratiche, che però rappresentano serie
difficoltà per chi non è in grado di affrontarle. Vi è poi il problema degli anziani che
vivono stentatamente solo grazie a modesti sussidi, e per lui non è un buon motivo che
in Italia gli anziani bisognosi abbiano meno che all’estero, perché si dovrebbe tenere
conto delle difficoltà che questi connazionali hanno dovuto affrontare nella vita.
Il Comites recentemente eletto ha tenuto numerose riunioni sulle quali non si hanno
informazioni, e anche oggi c’è stato un gran dispendio di parole, che però non risolvono
i problemi degli emigrati in Olanda, spesso conseguenti alla bassa istruzione, alla
debolezza finanziaria, alla lontananza dalla famiglia e dal Paese di origine, che certo
non aiutano l’integrazione in quello di accoglienza. Infine, il sogno del rientro al luogo
di origine spesso non si può realizzare per la difficoltà di trovare alloggio, senza il
concreto aiuto degli Uffici consolari, i quali lamentano una costante carenza di
personale per i disbrigo delle pratiche, che però in taluni particolari casi sono risolte
celermente.
Con riferimento alla composizione del Comites, fa rilevare che le pari opportunità non
sono rispettate, in quanto in Olanda il rapporto uomini/donne è di 3 a 1, per quanto
riguarda i cittadini italiani. La disaffezione al voto, egli osserva, è conseguenza del
disinteresse delle Autorità italiane verso il mondo dell’emigrazione. È indubbia l’utilità
dei Patronati, quando però funzionano, e questa a suo avviso è una cosa da verificare.
Infine, ci si dovrebbe domandare per quale motivo un gran numero di matrimoni misti
si concludano con divorzi.
In conclusione, auspica che l’Italia faccia qualcosa in più per gli italiani all’estero, e in
tal senso le Autorità consolari e i Comites dovrebbero esercitare una pressione. (All. 14)
Aldo CUNEO (Presidente dell’Associazione dei liguri) fa rilevare che l’associazione della
quale è Presidente vive delle sole quote associative. Richiama l’attenzione sul problema
di numerosi anziani che non sono in condizione di rientrare in Italia e per i quali l’unico
contatto con la Madrepatria è costituito dalla RAI, che però non raggiunge tutto il
territorio. Egli ha proposto inutilmente alle Autorità comunitarie che in ogni Paese
dell’Unione i cittadini possano ricevere trasmissioni dedicate nella lingua di origine.
Osserva quindi che la promozione della cultura italiana dovrebbe avere inizio sin dalla
scuola elementare a partire da cinque anni di età, cosa che egli da sette anni realizza
nella scuola che dirige, dove tra l’altro si insegna anche cultura e arte culinaria.
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Vincenzo CARCHETI (Esponente della comunità italiana in Olanda) si sofferma sul ruolo
di mediazione politica del CGIE. Osserva che la situazione che vivono le associazioni in
Olanda non differisce rispetto agli altri Paesi europei: per tutte si pongono problemi
economici e strutturali, e questo non le mette in grado di realizzare un monitoraggio
sulle condizioni di disagio di alcuni connazionali. Poiché, in vista delle elezioni del
2006, dovrebbe esservi una maggiore disposizione all’ascolto da parte dei vari partiti
politici, domanda se non sia possibile chiedere per esse un sostegno economico.
Riterrebbe opportuno che i Comites si incaricassero del coordinamento tra le
associazioni, il cui compito dovrebbe essere di segretariato sociale in collegamento con i
Consolati, i quali andrebbero dotati dei mezzi necessari per lavorare meglio. Sottolinea
infine l’importanza di un miglior rapporto dialettico tra le strutture istituzionali centrali
e periferiche.
Per il Ministro Adriano BENEDETTI partecipare a queste sessioni di lavoro è
fondamentale per prendere contatto con la realtà delle nostre comunità all’estero.
Ringrazia gli organizzatori dell’incontro e rivolge parole di apprezzamento al Console
Generale Giungi, la cui esposizione sull’evoluzione del concetto di cittadinanza avrebbe
meritato maggiori spazi di approfondimento.
Ha ascoltato con attenzione gli interventi e considera come sia facile rivolgere critiche
all’Amministrazione, talvolta anche fondate; ma non si conoscono l’impegno che i
momenti elettorali richiedono agli organi centrali e periferici né la grande responsabilità
con cui vanno affrontati.
Ringrazia la Presidente del Comites di Amsterdam per aver messo l’accento, in
particolare, sulla questione dell’informazione, che è alla base dell’esercizio di qualsiasi
diritto e processo di individuazione o di rafforzamento dell’identità, ed è connessa alla
conoscenza della lingua. L’informazione è prevalentemente legata al mezzo radiofonico
e televisivo ed esistono indubbie carenze. In Europa si capta soltanto la RAI; alle
comunità all’estero è soprattutto rivolta RAI International, la cui componente di
produzione propria sulla programmazione di 24 ore è limitatissima. È stato giustamente
rilevato il problema della non captabilità di alcuni programmi RAI, soprattutto di
carattere sportivo; egli assicura che il problema è stato rappresentato alle più alte
istanze e si augura che sia possibile trovare una soluzione.
Il lavoro svolto dai Patronati nel mondo, di supporto alle strutture della Rete consolare,
è noto e apprezzato dall’Amministrazione centrale. Poiché il finanziamento dei
Patronati non dipende dall’Amministrazione degli Esteri, non è in grado di fornire
indicazioni concrete sulla struttura della Legge finanziaria; se però c’è una
preoccupazione che si teme possa essere fondata, invita il CGIE e gli stessi Patronati a
farsene portavoce.
Il fenomeno dell’emigrazione ha avuto una grande rilevanza per il Paese. Nell’arco di
cento anni hanno lasciato l’Italia oltre 30 milioni di persone, che attraverso le rimesse
hanno concorso a rafforzare l’economia italiana, consentendo di guardare verso il
futuro con maggiore ottimismo. Per decenni l’emigrazione non è stata presa nella
dovuta considerazione, le sue dimensioni storiche non sono state apprezzate nella
giusta misura, ma essa ha caratterizzato la storia italiana ed è destinata ad avere
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incidenza anche in futuro. Ora si registra una ben maggiore considerazione nei
confronti di quattro milioni di cittadini con passaporto italiano che risiedono nel mondo
e di una popolazione di ascendenza italiana di circa 60 milioni, e il voto all’estero è il
riconoscimento dell’interesse del popolo italiano per questa parte importante
dell’italianità che per necessità di lavoro o di vita si è trasferita in altri Paesi.
I giovani sono una componente essenziale, e si corre il rischio di perderli se non si riesce
a mantenere con essi un contatto, possibile in particolare attraverso il mantenimento
della lingua italiana. C’è indubbiamente una grossa responsabilità degli organi centrali
nel predisporre i finanziamenti necessari, ma esiste pure una responsabilità individuale:
se nelle famiglie miste i bambini sono cresciuti parlando soltanto la lingua locale, si
deve riconoscere una responsabilità anche dei connazionali. Egli teme che si parli
sempre più di un mondo di diritti, senza tenere presente la parte corrispondente di
doveri.
A proposito degli anziani, ricorda di avere posto ieri l’accento sull’emigrazione come
sofferenza per il distacco e per lo sforzo del radicamento nella nuova realtà, ma in
nessuna categoria la sofferenza è così profonda come nell’anziano. I problemi
prospettati sono reali, e anche in questo caso vi possono essere carenze da parte delle
strutture pubbliche italiane; tuttavia, egli aggiunge, a questi problemi bisogna far fronte
anche mobilitando le energie della comunità italiana emigrata, perché non si può
pretendere che i dipendenti dei Consolati possano assicurare un’assistenza minuta
come quella doverosa nei casi di molti anziani.
L’esigenza rappresentata, di maggiore contatto della Rete diplomatico-consolare con la
comunità e i suoi organismi di rappresentanza, è stata oggetto di numerose
comunicazioni dell’Amministrazione centrale, poiché dal continuo raccordo fra
Comites e CGIE e gli Uffici consolari trarrà beneficio tutta la comunità.
La Rete consolare, alla quale si chiede molto, dispone di risorse molto limitate. Nei
Consolati, che svolgono funzioni simili a quelle dei Comuni, c’è un impiegato in
ragione di 2.500-4.000 connazionali, contro un rapporto di 1 a 500 dei Comuni italiani.
Invita pertanto le istanze rappresentative del CGIE e delle comunità all’estero a
sollecitare le Autorità centrali affinché le risorse messe a disposizione della Rete
consolare siano adeguatamente potenziate.
Il Console Marco GIUNGI fa rilevare che, per quanto riguarda l’assistenza sociale, vi
sono griglie concordate con l’Ambasciata e il MAE per determinare i parametri di
riferimento. Il sostegno a esigenze spicciole di vita quotidiana dei connazionali anziani
è possibile, compatibilmente con il livello di risorse rappresentato dal Ministro
Benedetti, ed egli rende merito alle associazioni italiane che volontariamente sono di
supporto al Consolato nell’azione di assistenza alle fasce più derelitte.
Contesta l’affermazione che non può essere portato a giustificazione il fatto che gli
anziani che necessitano di sussidi, in Italia hanno meno che all’estero.
Circa gli alloggi per chi rientra in Italia, il Consolato cerca di agevolare le relazioni con
le Regioni di origine, che spesso offrono facilitazioni ai loro emigrati desiderosi di
tornare in Patria.
All’osservazione adombrata che la scarsità di personale del Consolato non impedirebbe
a qualcuno di ricevere un trattamento di favore, risponde facendo rilevare che esiste
un’etica del dipendente pubblico che si cerca di applicare rigorosamente.
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Indubbiamente la RAI non è presente dappertutto e cripta alcuni programmi. Vi sono
Commissioni miste che da un anno cercano di risolvere un problema non facile, perché
legato al reperimento di fondi.
Parlando dell’evoluzione del concetto di cittadinanza egli ha evitato di affrontare
aspetti tecnici, ma ritiene utile far cenno alla questione del recupero della cittadinanza
italiana. La legge 91/92 indica due sistemi: uno, più snello, consistente nel recarsi in un
paese, eleggervi il domicilio ed esprimere il desiderio di acquistare la cittadinanza
italiana. In questo caso l’inconveniente è rappresentato dal fatto che, secondo la
Convenzione di Strasburgo, ne deve essere data comunicazione al Governo olandese,
che dovrebbe revocare la propria cittadinanza. Un secondo sistema, più complesso,
consiste nel recarsi in Italia, assumervi la residenza e mantenerla per un anno, al
termine del quale la riattribuzione della cittadinanza italiana per i cittadini che
l’avevano perduta è automatica, e dunque sfugge al sistema della Convenzione di
Strasburgo. Pertanto, secondo l’interpretazione dottrinaria (che invita a verificare
presso il Ministero di Giustizia olandese), mancando una manifestazione di volontà
dovrebbero poter essere mantenute entrambe le cittadinanze.
Il PRESIDENTE ringrazia i rappresentanti della comunità italiana intervenuti; il
Consigliere Mauro (Olanda), che con brillanti risultati ha curato la parte organizzativa; il
Ministro Benedetti che ha seguito con interesse i lavori ed è stato prodigo di
spiegazioni; il Console Giungi per la cortesia e l’ospitalità.
Dichiara quindi chiusi i lavori della Commissione Continentale.
I lavori terminano alle ore 13.10
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