Indice Parte prima - Come funziona7 Copyright 2014 © Bold di Morellini via Farini, 38 – 20159 Milano www.morellinieditore.it facebook.com/morellinieditore Grafica e impaginazione: CreaLibro Illustrazione e grafica di copertina: Emanuele Lacchini ISBN: 978-88-6298-315-0 Data di pubblicazione: giugno 2014 Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali 1.Introduzione 2.Couchsurfing: cos’è? 3.Perché usare Couchsurfing? 4.Ma è sicuro? 5.I primi passi: compilare un profilo 6.Viaggiare: come funziona? 7. Ospitare: come funziona? 8.Gruppi ed eventi 9 11 21 27 30 39 52 59 Parte seconda - Incontri fuori dal normale 63 9.Ma dove sono capitato?!? 10. Ma chi ho fatto entrare in casa?!? 65 88 Parte terza - La parola ai couchsurfer115 11. Esperienze con il Couchsurfing 117 Appendice - La Sharing Economy186 Parte prima Come funziona 1 Introduzione Chi di noi non sogna di poter viaggiare attorno al mondo? Di poter incontrare persone, vivere esperienze indimenticabili, conservare ricordi, contatti e amicizie in ogni parte del globo? Se fino a qualche anno fa questo rimaneva un desiderio irrealizzabile per la maggior parte di noi, oggi – grazie agli strumenti messi a disposizione soprattutto dal web – è alla portata, se non di tutti, di molti. Sono lontani, insomma, i tempi in cui viaggiare era un passatempo solo per i più ricchi. Se la ricerca dei mezzi di trasporto più convenienti è stata resa incredibilmente più facile dall’enorme quantità di informazioni disponibili su internet (si pensi ai tanti motori di ricerca specializzati), possiamo dire che la ricerca dell’alloggio è stata davvero rivoluzionata. Non soltanto nella facilità della ricerca – non si contano più i siti che aiutano a scegliere 10 come funziona dove alloggiare in vacanza comparando prezzi, servizi, ubicazioni di hotel, residence e B&B –, ma anche nell’incredibile ampliamento dell’offerta. Oggi il turista ha l’imbarazzo della scelta in ogni aspetto, dai mezzi di spostamento agli alberghi, dalle visite turistiche ai ristoranti: bastano pochi click per costruirsi il proprio viaggio stress-free e “su misura”. Ma se siete in cerca di esperienze davvero uniche, che possano allargare i vostri orizzonti e che vadano oltre tutto quello che l’industria del turismo tradizionale può offrirvi, allora il Couchsurfing – letteralmente, “saltare da un divano all’altro” – è la soluzione che fa per voi. E in questo libro vi spiegheremo perché. Lo faremo raccontandovi cos’è e come funziona, mostrandovi, con un pizzico di umorismo, con che tipo di persone potreste avere a che fare, e nell’ultima parte lasceremo la parola a chi ha viaggiato e viaggia con il Couchsurfing o ha ospitato e ospita viaggiatori da tutto il mondo: perché crediamo che, in fondo, basti leggere le esperienze di chi da anni fa parte di questa community per capire perché milioni di persone ogni anno decidano di viaggiare – di viaggiare per davvero, nel più pieno significato di questa parola – “saltando da un divano all’altro”. 2 Couchsurfing: cos’è? Ci sono un francese, un americano e un cinese: barzelletta di cattivo gusto? No! Una classica giornata all’insegna del Couchsurfing. Ma cos’è il Couchsurfing? Si tratta di una vasta community online formata da persone che intendono il viaggio come scambio culturale a tutto tondo, più che come mero spostamento fisico in cerca di svago, e che mettono in pratica questa loro “filosofia” ospitando viaggiatori in casa propria (anzi, letteralmente, sul proprio divano) e venendo ospitati a propria volta da altri utenti di tutto il mondo. La dinamica è molto semplice: il sito Couch surfing.org è, di base, paragonabile a un “comune” social network, come potrebbe essere Facebook: ogni utente ha il suo profilo, in cui presenta se stesso, parla dei suoi interessi, dei suoi viaggi, delle sue 12 come funziona Glossario CouchRequest: richiesta di ospitalità eseguita tramite il sito Couchsurfing.org Couchsurfer: utente iscritto al sito Couchsurfing.org o, per esteso, persona che pratica il Couchsurfing. Spesso abbreviato in “surfer”. Couchsurfing: nome del sito in questione, significa letteralmente “saltare da un divano all’altro”. Spesso abbreviato in CS, indica la pratica di viaggiare venendo ospitati e ospitando gratuitamente gli utenti iscritti al sito. In questo libro utilizziamo questo termine per indicare in generale questa “filosofia di viaggio”, non per forza legata all’atto pratico al sito Couchsurfing.org. Reference: referenza, positiva o negativa, che viene lasciata dagli utenti del sito Couchsurfing.org dopo essersi conosciuti di persona. Guest: viaggiatore che viene ospitato gratuitamente in casa di un host. Host: persona che ospita gratuitamente viaggiatori (guest) in casa propria. Profilo: pagina personale di ogni utente sul sito Couchsurfing.org, ne contiene le informazioni di base, come età, sesso, città di provenienza, professione, e quelle relative alle lingue parlate, alla disponibilità o meno a ospitare altri membri e ai suoi interessi, i link ai profili degli utenti amici, le referenze lasciate dagli utenti con cui è entrato in contatto di persona. esperienze, e specifica se è disponibile a ospitare in casa sua, oppure no. Il bello del Couchsurfing è che lo scambio è solo culturale: non è infatti obbligatorio ospitare per essere ospitati e, ovviamente – ma al giorno d’oggi è meglio specificarlo –, tutto avviene senza alcuno scambio di denaro. Proprio quest’ultima caratteristica va ripetuta e sottolineata: nella società in cui viviamo il ruolo del denaro è uno dei fattori che maggiormente influenza le relazioni sociali tra gli individui; il fatto che nel Couchsurfing ogni scambio, ogni esperienza siano couchsurfing: cos’è? 13 completamente gratuiti è la prova non solo che molte persone sono alla ricerca di qualcosa di “altro”, ma anche che questo “altro” è possibile. A nostro parere, il fascino di Couchsurfing – il cui slogan, significativamente, è “Changing the world, one couch at a time”1 – deriva in parte, se non soprattutto, proprio da questo aspetto. Prima di iniziare a raccontarvi in cosa consiste questo “nuovo” modo di viaggiare e ad aiutarvi a fare i primi passi in una community che ha ormai superato i 7 milioni di viaggiatori iscritti, pensiamo sia interessante spendere due parole su chi ha avuto il merito di pensare e sviluppare questo progetto. Un po’ di storia L’idea del viaggiare appoggiandosi all’ospitalità di (semi)sconosciuti non è certo nuova: è noto che alberghi e locande si svilupparono tardi in Inghilterra, e fino al Medioevo l’unica possibilità di trovare riparo durante la notte era l’alloggio da estranei. Il re, per esempio, pretendeva ospitalità presso la reggia del nobile locale, il quale era ben consapevole dell’importanza politica del gesto. I comuni mortali, invece, potevano contare sull’accoglienza gratuita offerta da monasteri e conventi (non dimentichiamo che offrire ospitalità a un estraneo è uno dei doveri del buon cristiano). 1 Trad.: “Cambiare il mondo, un divano per volta”. 14 come funziona Le reti di hospitality exchange, se non risalgono propriamente al Medioevo, sono comunque più vecchie di quanto si possa pensare: una delle prime e più diffuse, Servas Open Doors, fu fondata nel 1949 dal pacifista Bob Luitweiler (vedi anche l’approfondimento alla fine di questo capitolo). Come tutte le grandi invenzioni sul web, Couchsurfing è nato da un’idea e da un’occasione molto semplici. Nel 1999 Casey Fenton, allora studente universitario di informatica, acquistò un biglietto economico su un aereo da Boston all’Islanda per un weekend lungo in aprile. Non aveva molti soldi, e non voleva spenderli in un albergo. Ebbe allora un’intuizione: «perché non contattare alcuni studenti universitari come me per farmi consigliare un posto dove dormire?». È presto fatto: Fenton manda un’e-mail ai 1.500 studenti dell’Università di Reykjavik, chiedendo loro se conoscessero qualcuno disposto ad accoglierlo per qualche notte. Al messaggio rispondono oltre cinquanta persone, e Fenton viene ospitato a casa di uno dei nuovi amici islandesi, provando un’esperienza molto diversa da quelle vissute fino a quel momento: riesce a vedere il Paese dal punto di vista di un abitante del posto, instaura rapporti genuini con giovani come lui, impara come si vive dall’altra parte del mondo. Sente di non essere stato un semplice turista in Islanda, e intuisce che la sua idea può essere la risposta a un bisogno di autenticità avvertito molto profondamente dai giovani viaggiatori del nuovo millennio. couchsurfing: cos’è? 15 Incoraggiato dal risultato positivo ottenuto con l’iniziativa, sulla via del ritorno inizia a pensare a come quest’idea embrionale possa essere trasformata in qualcosa di più grande. Non ha molti mezzi, specialmente di tipo finanziario: s’indebita con le banche e ipoteca l’auto per poter avere le risorse necessarie per mangiare e dormire, mentre continua a programmare a ritmo serrato. Lavorare da solo a un sito così complesso, però, diventa impossibile. Anche la ricerca di volontari si rivela infruttuosa: diventa necessario avere persone che si impegnino per lunghi periodi a un progetto tecnologicamente difficile. Decide, allora, di creare un collettivo, un gruppo di persone che vive e lavora insieme, in uno stesso luogo, per svariati mesi. Il primo esperimento avviene a Montréal: per tre mesi, quindici persone dividono i 3.000 dollari di spese per l’affitto, il cibo e i server. Naturalmente la situazione è a tratti caotica, ma anche caratterizzata da quel senso di comunità su cui si fonda il concetto di ospitalità volontaria. Dopo il primo, vengono creati nuovi collettivi in Nuova Zelanda, Costa Rica e a New York City. Cominciano ad arrivare centinaia di candidature spontanee per i collettivi, in quello che forse è stato uno dei primi esperimenti di crowdsourcing2 in 2 Per crowdsourcing si intende un modello di business in cui lo sviluppo di un progetto viene portato avanti da un insieme indefinito di persone non organizzate in precedenza, utilizzando prevalentemente strumenti messi a disposizione da internet. 16 come funziona campo tecnologico. Ed è proprio in questi mesi che si forma quel concetto di “missione” tipico del couchsurfer, o di chiunque cerchi o doni ospitalità in casa propria per qualche notte, grazie a ragazzi di tutto il mondo che condividono uno stesso ideale. E mentre si cerca di trovare una soluzione ai grattacapi derivanti dai diversi sistemi legislativi nei vari Paesi riguardo le assunzioni a breve termine, il sito arriva a un milione di membri e il numero dei programmatori e dei server cresce sempre di più. Grazie quindi a diversi investimenti e al lavoro – per la maggior parte volontario – di tanti programmatori sparsi per il mondo, Couchsurfing è diventato il più grande network di viaggi sociali al mondo. Nel 2011 l’organizzazione no profit è diventata una B-corporation (un’azienda for profit dedicata alla creazione di pubblico beneficio), riuscendo a raccogliere 7,6 milioni di dollari da parte di Benchmark Capital. Questo ha causato reazioni negative soprattutto da parte dei membri della “vecchia guardia”, che avevano donato a titolo gratuito il loro tempo e le loro energie al funzionamento di un sito che ora è volto al profitto. Allo stesso tempo, però, i codici del sito erano ormai vecchi ed era necessaria una ristrutturazione, in vista soprattutto di nuovi competitor più moderni e attrezzati (AirBnb, per esempio, anche se funziona secondo regole diverse; vedi appendice). Attualmente, Couchsurfing dà lavoro a tempo pieno a più di trenta persone. couchsurfing: cos’è? 17 Nel 2012, Casey Fenton e Dan Hoffer si sono allontanati dall’organizzazione (ma fanno ancora parte del consiglio direttivo) per dedicarsi completamente al CERI (Cultural Exchange Research Institute), il centro di ricerca legato a Couchsurfing che si occupa di studiare concretamente gli scambi culturali che avvengono nella comunità e la comprensione della diversità che ne deriva. Oggi, a dieci anni dalla sua fondazione, Couchsurfing vanta oltre 7 milioni di utenti, provenienti da più di 100.000 città sparse in tutti i 207 Paesi del mondo, soprattutto Stati Uniti, Germania, Francia, Canada, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Brasile, Australia e Cina. Il 53% degli iscritti è di sesso maschile (e ovviamente il 47% è di sesso femminile), mentre Diamo i numeri! •Oltre 7 milioni di utenti (di cui più di 500.000 in Italia) •207 Paesi di provenienza •Oltre 100.000 città di provenienza •366 lingue parlate •Oltre 19 milioni di amicizie “virtuali” strette tra couchsurfer •11,5 milioni di referenze •300 città con almeno un evento settimanale •5,6 milioni di notti di ospitalità •1.611 è il record di referenze per un singolo couchsurfer •1.640 è il record di amicizie “virtuali” di un singolo couchsurfer •197 è il record di Paesi visitati da un singolo couchsurfer •689 è il record di notti in cui un singolo couchsurfer è stato ospite •2.593 è il record di notti in cui un singolo couchsurfer ha ospitato 18 come funziona per quanto riguarda le fasce d’età sembra naturale che circa due terzi degli utenti abbia dai 18 ai 29 anni, ma non deve sorprendere che ci siano parecchi iscritti anche over 60: Couchsurfing è davvero aperto a tutti! Non solo Couchsurfing Come abbiamo detto in apertura di questo capitolo, Couchsurfing è solo una delle associazioni che si pongono come obiettivo favorire il contatto tra persone che intendono il viaggio come scambio culturale, e se la utilizziamo come punto di riferimento è semplicemente perché è di gran lunga la community più numerosa. Ecco quindi una lista di “concorrenti”, forse meno conosciuti, ma la cui menzione, in rigoroso ordine alfabetico, è quantomeno doverosa: • BeWelcome (http://www.bewelcome.org). Fondato nel 2007 da ex membri di Hospitality Club, ha visto aumentare il numero di iscritti a partire dal 2011, quando molti utenti di CS sono “traslocati” su questo portale per protesta nei confronti del cambio di statuto di Couchsurfing. Attualmente conta circa 60.000 utenti, di cui il 38% proveniente da Germania, Francia o USA. • Global FreeLoaders (http://www.globalfree loaders.com). Inizialmente utilizzato soprattutto in Australia, perché australiano è il suo fondatore Adam Staines, di recente si è diffuso anche couchsurfing: cos’è? 19 negli USA, che contano circa 30.000 iscritti sui 100.000 totali (circa un migliaio in Italia). Ha uno stile piuttosto “asettico” che forse attira poco gli utenti ma è funzionale al suo scopo, che è semplicemente mettere in contatto chi cerca un alloggio e chi lo offre. Contrariamente a Couchsurfing, chi vuole essere ospitato ma non può ospitare a sua volta non è esattamente il benvenuto. • Hospitality Club (http://www.hospitalityclub. org). Fondato in Germania nel 2000, è uno dei siti “pionieri” per quanto riguarda la ricerca di ospitalità online, nonché leader in questo campo fino all’avvento di Couchsurfing e fino all’estensione dell’Unione Europea ai Paesi del blocco ex-comunista e alla conseguente abolizione dell’obbligo di visto, che aumentò non di poco il numero dei viaggiatori. I volontari più impegnati chiesero quindi al fondatore Veit Kühne alcuni cambiamenti chiave nella gestione del sito, ma dopo mesi di trattative inconcludenti si staccarono, dando vita, come anticipato, a BeWelcome. Oggi il sito è praticamente fermo, nonostante oltre 600.000 utenti ancora formalmente iscritti, provenienti soprattutto da Germania, Francia, USA, Polonia e Russia. • LGHEI (http://www.lghei.org). Associazione internazionale di omosessuali (uomini e donne) che si offrono a vicenda una breve ospitalità durante i loro viaggi. Funziona così: ogni anno a marzo e a 20 come funziona settembre viene inviato, esclusivamente ai soci, l’elenco dei membri disponibili a ospitare; dopodiché, il contatto avviene direttamente tra guest e host. • Servas Open Doors (http://servas.org). Associazione internazionale, non governativa e multiculturale fondata nel 1949 dal pacifista Bob Luitweiler, è portata avanti esclusivamente da volontari in oltre 100 Paesi. Ha portata piuttosto marginale, anche se il fatto che il sito sia attualmente in rifacimento indica la volontà di provare a rilanciare questo servizio. Il sito di Servas Italia è: http://www.servas.it. • YowTrip (http://www.yowtrip.com). Anche questo sito promuove il viaggio come scambio culturale, anche se il suo funzionamento è un po’ diverso da quelli visti finora: chi ospita si registra, mentre a chi viaggia basta inserire i propri dati personali e le informazioni relative al viaggio; gli utenti della località di destinazione riceveranno la segnalazione e, se disponibili a ospitare, risponderanno direttamente al viaggiatore. • Warm Showers (https://it.warmshowers.org). Funziona come Couchsurfing e simili, ma è dedicato esclusivamente ai cicloturisti. Conta più di 40.000 membri, ma è ancora relativamente poco diffuso in Italia. 3 Perché usare Couchsurfing? Ci sono diverse ragioni per cui “saltare da un divano all’altro” può essere la soluzione migliore quando si viaggia. 1.La prospettiva che abbiamo sul Paese che stiamo visitando nasce sì da letture e ricerche precedenti la partenza stessa (la nostra guida turistica di fiducia, libri, film, musica, quotidiani), ma non può prescindere dal confrontarsi con le opinioni e le esperienze di chi ci vive tutti i giorni. L’incontro potrebbe rafforzare, sfidare o demolire totalmente le nostre opinioni: ad ogni modo, si tratta sempre di un’occasione di crescita per le parti coinvolte. È vero che questo genere di incontri avviene di continuo mentre si viaggia, ma provate a immaginare quante occasioni di dialogo, scambio e discussione possono avvenire quando si condivi- 22 come funziona dono gli spazi domestici! Tra i “souvenir” più belli che portiamo a casa da ogni viaggio ci sono proprio le decine di conversazioni avute di mattina mentre si lavano le tazze della colazione, durante le visite ai siti più “turistici” o persino nel cuore della notte, dopo una giornata densa di scoperte. Certo, talvolta l’albergo è la soluzione più comoda, perché non ci costringe a interagire con lo spazio esterno: ma non è forse questo un modo di viaggiare piuttosto “sterile”? 2.I consigli delle persone che vivono nel posto che visitiamo sono, la maggior parte delle volte, migliori di quelli che ci vengono offerti dai più sofisticati algoritmi di ricerca online. Ed è proprio quando si pranza in una sala che non ospita altri viaggiatori oltre a noi che si ha la sicurezza di aver fatto la scelta giusta. Go where the locals go. 3.Viaggiare con il Couchsurfing ci mette alla prova. Impariamo ad adattarci: ci apriamo al confronto e allo scambio, e impariamo anche a capire quando il nostro host ha bisogno di silenzio e solitudine. Ci ricordiamo di assumere un atteggiamento positivo e propositivo. Impariamo anche a superare i momenti di sconforto che inevitabilmente arrivano, soprattutto se si viaggia a lungo e in solitaria. 4.Si scoprono costantemente cose nuove, con le quali non saremmo mai entrati in contatto altrimenti. Per esempio, chi l’avrebbe mai detto che perché usare couchsurfing 23 anche molti nomadi che vivono spostandosi con le loro ger in Mongolia apprezzano la pasta Barilla? Di facile conservazione, trasporto, e preparazione. Be’, di certo sulla nostra guida questo non era scritto! 5.Potremmo capitare in posti che non avremmo mai visto altrimenti, specie se a ospitarci è qualcuno che vuole renderci davvero partecipi della sua vita. Feste di compleanno iraniane (dove l’alcol, udite udite, non manca), messe cattoliche domenicali nel profondo Sud statunitense con annesso barbecue, il bar più “cool” della brillante gioventù russa a Tomsk, in Siberia. Luoghi dal non immediato appeal turistico, ma che raccontano un Paese e il suo popolo tanto quanto i suoi monumenti più celebrati... Se non di più! 6.Abbiamo l’occasione, solitamente per un breve periodo, di entrare in contatto con persone che difficilmente incontreremmo nella vita di tutti i giorni. Si allena la mente a stringere legami significativi in tempi inferiori rispetto a quelli che ci concediamo di solito. Non solo: può certamente capitare che, nonostante un certo livello di conoscenza reciproca “online”, la persona con cui condividiamo gli spazi non ci stia poi così simpatica, o non sia come ce l’aspettavamo (a questo proposito: bisogna leggere attentamente il profilo della persona che vogliamo come host!). Anche in questo caso, l’esperienza è utile, perché ci aiuta a 24 come funziona comprendere e accettare chi nella vita “ordinaria” non frequenteremmo mai. Ogni persona ha un proprio cammino alle spalle e delle ragioni per cui è come è, e ogni confronto è sempre un’occasione di crescita per entrambi. Saltando da un divano all’altro, insomma, si entra in contatto con tante persone: non tutti gli incontri si trasformeranno in amicizie per la vita, ma ci sono buone probabilità che qualcuno farà parte dei nostri affetti anche molti anni dopo la conclusione del viaggio. Personalmente, è andata proprio così nella maggior parte dei nostri viaggi. Come si legge sul sito: “strangers are just friends you haven’t met yet”: gli estranei sono solo amici che non avete ancora incontrato. 7.Con il Couchsurfing si impara a essere buoni ospiti: non è obbligatorio, ma è certamente buona norma portare un piccolo regalo a chi ha scelto di ospitarci, così come si farebbe con qualcuno che ci ha invitati a cena. Si impara a rispettare gli spazi e i tempi altrui. Questo include anche il lasciare la nostra stanza (se ce ne è stata data una) esattamente come l’abbiamo trovata, se non in condizioni ancora migliori, aiutare sempre nel riordinare la cucina, ecc. Abitudini che è bene conservare anche una volta tornati dal viaggio, naturalmente! 8.Last but not least: “perché abbandonare le comodità di un albergo?”, potreste domandarvi, e perché usare couchsurfing 25 domandarci. Be’, perché potrebbe capitarvi di essere ospitati in case molto più belle e confortevoli di qualsiasi albergo, con il “bonus” di avere qualcuno che ci vive con cui chiacchierare. Provare per credere! Cosa non è il Couchsurfing È meglio sgombrare il campo sin da subito: il Couch surfing non è né un modo per non pagare un albergo, né un sito di appuntamenti. Come si è cercato di illustrare nel paragrafo precedente, c’è così tanto da guadagnare dal vivere un’esperienza del genere, in termini umani, emotivi, sociali, psicologici, che il risparmio diventa davvero l’ultimo fattore da tenere in considerazione. Se non siete in vena di fare conoscenza, di essere “sociali”, di dare una mano in casa ed essere comunque “presenti” per la persona che vi sta ospitando, il Couchsurfing non fa per voi. Ci sono sempre soluzioni per soggiornare a basso prezzo, tra cui ostelli e condivisione di appartamenti, che faranno sicuramente al caso vostro. Un’altra avvertenza: Couchsurfing non è un sito di dating, ovvero con l’esplicita missione di trovare partner per una notte o per la vita. La comunicazione ufficiale coordinata dagli uffici di San Francisco insiste molto su questo punto. Come ha scritto Roy Marvelous, blogger che si è occupato anche del fenomeno Couchsurfing: «Sì, so 26 come funziona che CS non è un sito per appuntamenti, ma pensa un po’, non è nemmeno un sito dedicato alla cucina, eppure un sacco di volte si finisce per cucinare insieme»3. È vero: così come succede che le persone cucinino insieme, capita anche che – per qualche giorno o per la vita! – diventino più che amiche. Così come, nella vita reale, capita che una (di solito piccola) percentuale di connessioni sociali si trasformi in una connessione più forte. L’importante è evitare di usare Couchsurfing esplicitamente o implicitamente per questo motivo. Fortunatamente, però, la stretta minoranza di persone che ha confuso CS con OkCupid o altri siti simili è facilmente individuabile, soprattutto se di sesso maschile, come vedremo più avanti. 3 http://roymarvelous.com 4 Ma è sicuro? Couchsurfing si basa su una rete di referenze (“recensioni” che le persone si lasciano a vicenda dopo essersi incontrate) e di garanzie di cui si parlerà nel capitolo dedicato all’uso del sito. Couchsurfing è fondamentalmente sicuro, e gli episodi negativi sono davvero in netta minoranza rispetto alle esperienze positive che permette ai viaggiatori di vivere. È necessario, come sempre, usare la testa: un ospitante vi sembra strano anche se non riuscite a capirne il motivo, non ha foto profilo, non ha referenze? Se potete, sceglietene un altro. È di vitale importanza leggere sempre con attenzione i profili e le referenze delle persone da cui vogliamo stare (o che vogliamo ospitare), prima di prendere qualsiasi decisione. Se non vi sentite al sicuro, nessun problema: declinate la richiesta o l’offerta di ospitalità in modo chiaro, sempre attraverso 28 come funziona il servizio di messaggistica del sito. E fate in modo di avere sempre un piano B. Couchsurfing ha anche uno spazio dove è possibile raccontare la propria esperienza negativa o, nel peggiore dei casi, sporgere denuncia: si trova all’indirizzo: https://support.couchsurfing.org/hc/ en-us/requests/new?category=safety. Se sei donna e viaggi da sola Come riconoscere il “marpione”, ovvero colui che è in cerca di un tipo di scambio non prettamente culturale (si veda anche il profilo a pag. 93)? Normalmente, questi utenti hanno un profilo incompleto o, anche se completo, esso non fa di solito riferimento ai “valori condivisi” di Couchsurfing (fiducia, apprezzamento della diversità nella comunità mondiale dei viaggiatori, importanza delle interazioni, dello scambio culturale, ecc). È molto importante controllare le referenze: se sono soltanto da parte di ragazze giovani e tendenzialmente di bell’aspetto... Può essere un campanello d’allarme. Questo significa che il ragazzo in questione deve essere depennato dalla lista dei possibili ospitanti? Non proprio. Un primo scambio di messaggi privati a carattere conoscitivo è sempre utile. Oppure, fatevi dare il suo profilo di Facebook, se ce l’ha, e dateci un’occhiata. Se anche in questi casi il messaggio è chiaro, o anche solo ambiguo, non resta che scegliere: si può essere ospitate, sapendo che c’è dietro una certa intenzione... oppure no. Ricordate che è sempre meglio tenere un contatto “di riserva”, nel caso in cui l’esperienza dovesse prospettarsi davvero spiacevole, oppure, se ciò non è possibile, creare una “Open CouchRequest”, cioè una richiesta aperta a vari utenti della zona in cui intendete andare. Questa opzione è attivabile (ma non obbligatoria) già mentre mandate richieste di ospitalità a utenti ma è sicuro? 29 specifici, ma potete anche crearla successivamente nella vostra pagina “CouchManager”, nella sezione “Itinerary”. Esamineremo nel dettaglio questi passaggi nel capitolo 6. La “Open CouchRequest” è comunque una soluzione d’emergenza dal successo non assicurato, quindi evitate di usarla se non è necessario. Alla peggio, se già siete in viaggio, potrete sempre trovare una stanza libera in qualche ostello o hotel economico (negli stessi gruppi d’emergenza di solito si trovano informazioni sulle sistemazioni a pagamento, nel caso in cui non sia proprio possibile trovare un couch d’emergenza). i primi passi: compilare un profilo 5 I primi passi: compilare un profilo Le indicazioni presenti in questo capitolo fanno riferimento al sito Couchsurfing.org come si presenta nel mese di maggio 2014: essendo in continua evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista), qualche dettaglio potrebbe cambiare nel tempo. Ad ogni modo, non preoccupatevi: iscriversi al sito è molto semplice. Per iscriversi ci sono due possibilità: si può farlo attraverso il proprio account Facebook, oppure inserendo il proprio indirizzo e-mail. Una volta compilati i vari campi richiesti, si arriva nella homepage. Preferiamo qui utilizzare la versione del sito in lingua originale (quindi, inglese), perché è quella che causa meno problemi di visualizzazione. I comandi, in ogni caso, sono abbastanza intuitivi anche per chi non conosce perfettamente questa lingua. Come prima cosa, è essenziale compilare il profilo 31 affinché sia completo, chiaro, curato e, perché no, piacevole da leggere. Non dimenticate che il profilo è la vostra “finestra” sul mondo dei viaggiatori: se è sporca o rotta, sarà più difficile ospitare o essere ospitati. Se vi viene difficile pensare a cosa scrivere, niente paura: provate a girovagare tra i profili di persone “esperte”, iscritte da parecchio tempo. Sicuramente troverete qualche bella idea. Infine, ultimo consiglio prima di analizzare nel dettaglio i contenuti del profilo: se avete intenzione di viaggiare all’estero (e/o di ospitare surfer stranieri), compilate il vostro profilo in inglese o, almeno, in doppia versione inglese/italiano; faciliterà la consultazione a chi non parla la vostra lingua madre e, di conseguenza, aumenterà esponenzialmente le vostre possibilità di trovare un host. E se l’inglese non è il vostro forte, fatevi aiutare da un amico o accontentatevi di frasi semplici: sarà sempre meglio che avere un profilo solo in italiano. Il profilo, voce per voce • Photo. Andate dunque alla sezione “Complete your basic profile to help hosts & travelers get to know you”4 (alternativamente, si può accedere al proprio profilo ancora da completare dal nick name in alto a sinistra). Si apre una finestra che vi chiede di inserire o caricare da Facebook una 4 Trad.: “Completa il tuo profilo per aiutare ospitanti e viaggiatori a conoscerti”. 32 come funziona vostra foto: è buona norma inserire su Couch surfing un’immagine in cui si vedano chiaramente le vostre caratteristiche fisiche. Non deve essere per forza una fototessera da passaporto, ma è importante in questa fase fare tutto il possibile per comunicare fiducia alla persona che visita il vostro profilo: una foto troppo buia o che si concentra su un dettaglio del corpo non è la scelta ideale. Una buona idea potrebbe essere quella di mostrarvi mentre siete in viaggio. Tenete presente, comunque, che la foto profilo è una, ma potrete in ogni caso caricare quante fotografie vorrete, suddividendole anche in diversi album. • Current Mission. È la frase che compare nella parte alta della pagina, appena sotto il vostro nome e cognome (o il nickname che avete scelto). Probabilmente sarà una delle prime cose che verrà notata da chi visiterà il vostro profilo; scrivete quindi una frase che spieghi in breve (molto in breve) qualcosa di voi, del vostro carattere: cosa state facendo nell’attuale momento della vostra vita o quali sono i vostri sogni, ma anche, per esempio, un verso o una citazione per voi particolarmente significativi. • My interests. Vi viene poi chiesto di descrivere voi stessi e i vostri interessi: anche qui, il principio guida dev’essere quello della sincerità. Alla persona con cui condividerete spazi personali (sia come ospitanti che come ospiti) dovete comunica- i primi passi: compilare un profilo • • • • 33 re chiaramente che tipo di persona siete, perché l’amicizia, o comunque il rapporto, si basi su fondamenta solide. Le informazioni di base, ora, sono inserite. Non potremmo sottolinearlo abbastanza, però: è importante avere un profilo completo. Perciò, se non l’avete già fatto, tornate al link al vostro profilo in alto a sinistra e compilate le altre sezioni. How I Participate in CS. In che modo contribuite alla comunità CS? Ospitate? Viaggiate? Condividete esperienze, partecipate o create eventi? Questo è il posto giusto per comunicare il vostro entusiasmo. Couchsurfing Experience. Questa sezione è quella che amplierete strada facendo, mano a mano che accumulerete esperienze in questo campo. Philosophy. Sembra un campo difficile da compilare, ma, in realtà, potete sbizzarrirvi. Qual è la vostra filosofia di vita? Potete esprimere il vostro pensiero, “rubare” quello di illustri pensatori (mi raccomando, citateli, non fate finta che siano vostri), o, se siete tipi brillanti, usare come “motto” una frase poco convenzionale in questo contesto. Ricordate che la vostra personalità non emerge solo da quello che scrivete, ma anche da come lo scrivete. Music, Movies, Books. Questa sezione può essere molto importante nel momento in cui vi presentate sia come viaggiatori che come ospitanti. Una persona, leggendo il vostro profilo, deve riuscire a capire se ci può essere affinità o meno, e 34 • • • • • come funziona spesso la musica, i film e i libri sono i primi argomenti per capirlo. Types of People I enjoy. Amate le grandi compagnie, le persone solitarie, i giocatori di videogiochi, gli ottimisti, i pessimisti, gli iperattivi, i pigri? Non siate timidi né auto-censori! Teach, Learn, Share. Cosa avete da insegnare alla comunità? Cosa volete imparare? Avete qualcosa di significativo da condividere? One Amazing Thing I’ve Seen or Done. Questo è un bello spazio per condividere qualcosa di speciale che avete visto o che vi è capitato, e che, anche in questo caso, potrebbe diventare un bell’argomento di conversazione una volta che incontrerete di persona il vostro ospite/ospitante! Opinion on the Couchsurfing.org Project. Cosa pensate del progetto Couchsurfing, come potrebbe essere migliorato? Languages I speak. Passiamo ora alla colonna sinistra del profilo; nel campo delle lingue, inserite quelle che siete in grado di parlare. C’è chi ama far vedere che è interessato alle lingue straniere inserendone una decina, tutte a livello “elementary” (di cui, si presume, si conoscono quindici parole o poco più). A nostro parere, questa non è una scelta molto felice: inserite le lingue nelle quali riuscite, con diversi gradi di successo, a farvi capire. Ricordate che non è una gara a “chi ne sa di più”. Non siate nemmeno, però, i primi passi: compilare un profilo 35 troppo modesti: non vi si chiede un livello madrelingua! • Groups I belong to. Questa è la lista dei gruppi a cui vi siete iscritti, che possono essere utili nell’indicare più specificatamente i vostri interessi o le vostre attività. • Couch Information. Arriviamo ora a una delle sezioni più importanti: “Couch Information”, ovvero le informazioni sul vostro divano. Anche qui, è importante essere precisi: se siete tendenzialmente disposti a ospitare, cliccate sull’icona del divano. Se siete “super-ospitanti” e particolarmente entusiasti, cliccate l’icona con la “V” sul divano. Se la vostra attività di ospitanti è piuttosto limitata, e ristretta magari a un certo tipo di persone che attraggono la vostra attenzione (per esempio: «quest’anno voglio ospitare solo persone di nazionalità cinese, perché voglio andare in Cina l’anno prossimo e imparare il più possibile su quella cultura»), allora è meglio che impostiate la vostra icona su “Maybe”: eviterete, così, di essere sommersi di richieste al 90% delle quali rispondereste in modo negativo. Se invece non potete ospitare, meglio dichiararlo subito selezionando “Not right now (but I can hang out)”5. Ricordate che nessuno vi obbliga a ospitare, anche se per vivere appieno l’esperienza Couchsurfing, almeno secondo noi, 5 Trad.: “Non al momento (ma sono disponibile per un incontro)”. 36 come funziona è necessario viaggiare e ospitare con la stessa intensità. Una persona può scegliere di non diventare host perché non ha lo spazio adatto in casa (anche se, a dire la verità, basterebbe avere lo spazio per stendere un materassino), o perché è troppo impegnata sul fronte lavorativo: le ragioni sono le più disparate e nessuno vi criticherà per questo. Potete però dare la vostra disponibilità anche solo per un caffè o una bibita: insomma, siate disponibili a passare un po’ di tempo con un viaggiatore che capita dalle vostre parti, anche se non potete ospitarlo. Potrete sempre offrirgli l’occasione di conoscere il luogo che sta visitando attraverso gli occhi di uno del posto. C’è infine un’ultima opzione, ovvero “I’m traveling”: non potete ospitare perché, beati voi, siete in viaggio. Le referenze Così come è importante nella vita in generale, anche su Couchsurfing non potrete evitarlo: dovete “fare networking”. Sì, è una brutta espressione; allora diciamo così: dovete raccogliere contatti. Se non avete né amici né referenze, qualcuno potrebbe rifiutare di ospitarvi, anche se il vostro profilo è compilato alla perfezione. Semplicemente, nessuno può provare che siete una persona perbene, nessuno nella comunità vi conosce. Non è necessario avere centinaia di amicizie e referenze, ma all’inizio non guasterebbe averne almeno due o tre. i primi passi: compilare un profilo 37 «Bene, – direte voi – ma come posso trovare amici e farmi lasciare referenze se mi sono appena iscritto e questo è il mio primo viaggio?». Niente paura! Innanzitutto, ora che la connessione con Facebook è diventata più immediata, è molto facile invitare i propri amici a iscriversi al sito. Soprattutto, però, potrebbe essere utile presentarvi alla comunità della vostra città, che probabilmente organizza almeno un evento fisso e periodico (settimanale, di solito). Questo è un modo rapido e piacevole per fare nuove conoscenze, essere introdotti nella comunità e, poco ma sicuro, sentire un sacco di storie interessanti. Quando sarete tornati a casa dal vostro viaggio, o quando il vostro ospite sarà tornato a casa, ricordate: scrivete sempre una referenza. Potete scriverla anche a chi avete incontrato solo una sera, senza che ci sia stato uno scambio di ospitalità. Le referenze aiutano gli altri membri a prendere decisioni informate. È possibile caratterizzarle come positive, neutrali o negative. Siate sempre sinceri nel comunicare alla comunità la vostra esperienza, specialmente nel caso in cui questa non sia stata interamente positiva. Molti, piuttosto che lasciare una referenza negativa, preferiscono non scriverne alcuna; i gestori di Couchsurfing hanno cercato di combattere contro questa abitudine, per la verità con pochi risultati: è piuttosto raro leggere referenze negative nei profili, questo perché spesso un viaggiatore che ha avuto 38 come funziona un’esperienza negativa (o anche non completamente positiva) con un host di solito preferisce non scrivere nulla piuttosto che “macchiare” il profilo altrui con un commento negativo. Questo atteggiamento però indebolisce enormemente il meccanismo grazie al quale viene garantita una certa sicurezza a tutti i membri della comunità nel momento in cui surfano o ospitano. Se una persona si è comportata male con voi (in maniera aperta e inequivocabile) è giusto che la comunità lo sappia, cosicché il prossimo viaggiatore o ospitante sappia a cosa va incontro. Prima di lasciare una referenza negativa, il nostro suggerimento è quello di scrivere in privato alla persona in questione, informandola della vostra intenzione e delle vostre ragioni. Questo potrà comunque rispondere alla vostra referenza negativa pubblicamente. Di nuovo: tutto questo serve perché ciascun membro della comunità possa sentirsi sempre informato e al sicuro. X 6 Viaggiare: come funziona? Dopo aver creato il vostro profilo, è arrivato il momento di mettersi in gioco e... in viaggio! Dove posso andare con il Couchsurfing? Con il Couchsurfing si può andare virtualmente ovunque: ovvero, ovunque ci sia un ospitante che mette a disposizione un divano, una stanza o un piccolo spazio nella sua casa. Dai luoghi più abitati a quelli più isolati come l’Antartide o l’Isola di Pasqua. Posso partire insieme agli amici? Un ospitante iscritto a Couchsurfing di norma specifica nel suo profilo, tra le informazioni riguardanti il divano, quante persone è disposto a ospitare. È naturale che se intendete viaggiare in dieci, difficilmente troverete una sistemazione nella stessa casa (ma nulla vi impedisce di andare in case 40 come funziona diverse). Ad ogni modo il Couchsurfing, secondo la nostra esperienza, è più adatto a viaggiatori singoli, coppie o piccoli gruppi. Posso partire insieme al/la mio/a compagno/a? Ma certo! L’unica raccomandazione è quella di non chiudervi nella “zona di comfort” della vostra coppia: non dovete mai far sentire il vostro ospitante come un “terzo incomodo” durante il vostro viaggio. Trovare dei momenti di intimità potrebbe non essere facile, ma le esperienze che vivrete sapranno sicuramente compensare i vostri sforzi. Se preferite, potete scegliere di stare presso un host che abbia a disposizione una stanza libera (invece che solo uno o due divani, per esempio). Oppure, per sentirvi più a vostro agio, potreste chiedere ospitalità ad altre coppie. E per chi viaggia in famiglia o con bambini? Entrare in contatto fin dalla tenera età con persone provenienti da altre culture può essere uno stimolo importante per far crescere un bambino con una mentalità aperta e una sana curiosità verso il mondo. Perciò, naturalmente, il Couchsurfing è altamente consigliato anche per le famiglie, sia per viaggiare che per ospitare. Di sicuro, però, organizzarsi può essere più complicato che per un viaggiatore in solitaria, ma per questo esistono gruppi appositamente dedicati, che riuniscono circa 20.000 surfer con pargoli al seguito. Lì troverete sicuramente tut- viaggiare: come funziona? 41 te le informazioni che vi occorrono. C’è anche una pagina di aiuto creata dall’organizzazione, raggiungibile all’indirizzo: https://www.couchsurfing.org/ family_tips.html (in inglese). Con quanto anticipo bisogna organizzarsi, se si vuole viaggiare tramite Couchsurfing? A questa domanda non c’è una risposta precisa. Dipende. Per sicurezza, e per non trovarsi senza ospitanti al momento della partenza, è meglio iniziare a guardare i vari profili almeno tre mesi prima. Principalmente, però, il fattore decisivo è la destinazione: mentre troverete abbastanza facilmente ospitanti a Teheran o in altre località meno gettonate, sarà purtroppo quasi impossibile trovarli a New York (nonostante si possa erroneamente pensare che sia più facile trovare un posto in una città grande e popolosa). La realtà è che più una destinazione è popolare, più è necessario muoversi in anticipo. Armatevi di pazienza e iniziate a contattare persone finché non trovate chi è disposto a ospitarvi. Senza esagerare con i tempi, ovvio: un ospitante difficilmente potrà garantire la propria disponibilità di lì a sei mesi. Non scoraggiatevi se le prime persone a cui chiedete ospitalità non vi accettano: noi italiani viaggiamo soprattutto nel mese di agosto, e tanti attivissimi ospitanti su Couchsurfing potrebbero avere già altri piani. Procedete per cerchi concentrici: chiedete 42 come funziona prima alle persone che vi entusiasmano di più (per interessi in comune, esperienze di vita o, perché no, posizione della casa), ed espandete via via la richiesta alle altre. Ricordate, in ogni caso, di rispondere sempre, anche ai rifiuti: un “grazie per la tua risposta, spero di conoscerti la prossima volta” va molto più lontano di un silenzio disinteressato. Come seleziono le persone da cui farmi ospitare? Se avete già un itinerario in mente, chiedete ospitalità alle persone che vi ispirano di più nelle città che intendete toccare, nei giorni in cui pensate di farlo. Cercate di essere precisi e di fornire quante più informazioni possibili sul vostro arrivo e sulla vostra partenza: ricordatevi che un ospitante ha una vita che esiste indipendentemente dal Couchsurfing, e che quindi dovrà “incastrarvi” nei suoi vari impegni. Cercate di essere flessibili, e di rendere questo processo il più liscio possibile. Leggete i profili degli host nella zona in cui volete andare. È importante che la vostra esperienza – specialmente se è la prima – sia condivisa con persone che vi piacciono, con cui vi trovate in sintonia. Questa può essere la parte più divertente nella pianificazione del vostro viaggio, ma anche la più snervante. La regola è sempre quella del giusto mezzo: non siate troppo selettivi nella scelta delle persone da contattare, ma nemmeno il contrario: di certo non potrete scrivere a tutti gli host della zona! Certo, viaggiare: come funziona? 43 se andate a Whitefish, Montana, gli ospitanti saranno due o tre, quindi potete pure chiedere a tutti (non simultaneamente: non dovete dare l’impressione che non vi importi in che casa andrete a finire); se però la vostra meta è Chicago, allora troverete migliaia di profili e sarà necessario fare una selezione iniziale. Dato che state cercando qualcuno che vi ospiti, restringete la vostra ricerca a quelli che sono disponibili a ospitare (li riconoscete dall’apposita icona del divano): una volta fatta questa selezione, è giunto il momento di curiosare. Potrebbe essere una buona idea quella di partire a leggere i vari profili dalle relative referenze, che sono, come abbiamo già scritto, fondamentali. Se trovate un commento negativo, dato che, come abbiamo detto nel capitolo precedente, è evento più unico che raro, prestate molta attenzione a ciò che c’è scritto. Può essere sorta un’incomprensione tra ospite e ospitante? Racconta di un’esperienza particolarmente negativa? L’ospitante come ha risposto alle accuse? La referenza negativa non deve comportare necessariamente l’eliminazione della persona in questione dalla lista dei possibili host, ma è un elemento su cui riflettere e da non sottovalutare. Dalle referenze, poi, si capiscono molte cose: un conto è, infatti, come ci vediamo noi, un altro è come ci vedono gli altri. Dai commenti delle persone che hanno interagito col nostro potenziale host possia- 44 come funziona mo davvero imparare molto sul carattere della persona, sulle sue abitudini, sui suoi gusti, sul suo modo di comportarsi. Una volta spulciate le referenze (anche se sono tante, è sempre meglio leggerle tutte!), è arrivato il momento di esaminare il profilo. Anche qui, attenzione alle parole, ma siate in grado anche di leggere tra le righe. Avete l’impressione che questa persona sia solo alla ricerca di una notte avventurosa con l’altro sesso, anche se non lo dice chiaramente? Dovete essere in grado di prendere una decisione consapevole e informata. Cercate degli interessi in comune, un modo simile di vedere le cose, obiettivi condivisibili. È vero che le esperienze più profonde possono avvenire con persone diversissime da noi, ma tenete ben presente che dovrete passare del tempo con questa persona durante il vostro viaggio, e potrebbe essere quindi più saggio cercare qualcuno con cui siate in sintonia, con cui abbiate almeno degli argomenti di conversazione “di base” per rompere il ghiaccio. Da non sottovalutare anche la photogallery: le foto non sono indice soltanto della serietà di una persona (o almeno della serietà nell’utilizzo del sito: come abbiamo avuto occasione di dire nel capitolo 5, è buona norma usare come foto profilo un’immagine che dia un’idea complessiva di voi, che non sia quindi buia o sfocata o dedicata a un dettaglio del corpo), ma sono anche una finestra nel mondo di viaggiare: come funziona? 45 quella persona. Ama fare rafting? Alpinismo? Leggere? Suonare? Ballare? Questo sarà evidente anche dalle fotografie che ha deciso di condividere. Cosa sono tutti quei “distintivi” nel profilo dei couchsurfer ? I “distintivi” che vengono mostrati in cima al profilo sono molto importanti. Oltre alla disponibilità a ospitare o meno, ci comunicano anche il livello di verifica di quella persona: il sistema della verification consiste in una libera donazione all’organizzazione. Dopo aver ricevuto il pagamento, Couchsurfing spedisce presso il domicilio della persona una cartolina con stampato un codice che si dovrà successivamente inserire nell’apposito campo. In questo modo si verifica l’attendibilità delle informazioni fornite da quella persona, e gli altri membri della comunità sapranno che è chi dichiara di essere e vive dove dichiara di vivere. Un’altra icona (quattro mani incrociate) mostra che quella particolare persona è stata vouched for: questo significa che ci sono stati almeno tre contatti (a loro volta vouched) conosciuti nella vita reale che hanno garantito che quel particolare membro della comunità è chi dice di essere ed è una persona affidabile. È una sorta di marchio di garanzia che si ottiene con l’esperienza. Couchsurfing prende molto sul serio il sistema delle garanzie: è perciò importante, una volta ottenuto quel distintivo, non “garantire” per persone a 46 come funziona casaccio. È grazie all’impegno di ciascun membro che la comunità può garantire un alto livello di esperienze positive e di sicurezza. Se trovate una bandierina, significa che quella persona è un ambasciatore. Gli ambasciatori sono membri particolarmente attivi e impegnati nella comunità: sono le persone da contattare nel momento in cui avete un problema, quelle che organizzano più eventi e, molto spesso, l’anima della festa. Oltre a tutto questo, aiutano i nuovi arrivati e spiegano le regole nei vari gruppi. Per diventare ambasciatore bisogna candidarsi o essere candidati da uno o più amici attraverso l’apposito modulo sul sito (https:// www.couchsurfing.org/n/ambassadors). Infine, l’icona arancione con all’interno la sagoma del mondo indica che quella persona è un pioniere, ovvero uno dei primi membri della comunità di Couchsurfing, quando ancora l’organizzazione funzionava interamente grazie a donazioni private. Troverete quindi una persona molto legata al sito, appassionata e di grande esperienza. Viaggio da solo e vorrei essere ospitato solo da ragazze: è possibile? Potete sempre scegliere da chi farvi ospitare (c’è chi preferisce stare a casa di ragazze, per esempio, perché crede che statisticamente le loro case siano più pulite di quelle abitate solo da ragazzi). Però, per favore – e ci riferiamo ovviamente soprattutto ai ragaz- viaggiare: come funziona? 47 zi –, non chiedete ospitalità solo a donne giovani e belle. Si capisce lontano un chilometro se avete letto il loro profilo o guardato solo le fotografie, e questo porta le ragazze a essere ancora più selettive e diffidenti. Non lo diremo mai abbastanza: Couchsurfing non è un sito di dating! Nessuno può escludere che dal Couchsurfing nasca l’amore (ci sono coppie sposate i cui membri si sono conosciuti proprio grazie al sito) o anche la passione di una sola notte, ma si tratta dell’eccezione e non certo della regola. Come mando una CouchRequest ? Una volta scelto il primo potenziale host, premete il bottone “Send CouchRequest”. Si aprirà una finestra in cui dovete inserire le date di arrivo e di partenza (la permanenza standard è di tre giorni, ma se avete bisogno di qualche giorno in più potrete sempre accordarvi con chi vi ospita) e il mezzo di trasporto con cui arriverete (si tratta di un’informazione importante a livello logistico: questo naturalmente non impegna il vostro ospitante a venirvi a recuperare in aeroporto o alla stazione dei treni, e se lo farà sarà molto gentile da parte sua). Vi è una sezione poi dove descrivere brevemente chi siete e il viaggio che state pianificando, e un’altra in cui vi si chiede di spiegare perché avete scelto di chiedere ospitalità proprio a quella persona. È molto importante non mandare richieste standardizzate, ma scrivere sempre messaggi personali, che fanno 48 come funziona capire al destinatario che avete letto con attenzione il suo profilo. Una volta mandata la richiesta, apparirà registrata nella sezione “divano”, accessibile in qualsiasi parte del sito vi troviate (“CouchManager”). Questa sezione vi sarà utile per avere sempre sotto controllo le richieste di ospitalità inviate, in attesa, accettate o rifiutate. Allo stesso modo, vi consente di avere un quadro chiaro delle persone che verranno a casa vostra, o di quelle a cui avete rifiutato ospitalità, se siete attivi come host. Quante notti è opportuno restare a dormire da una persona? Di solito è la persona stessa a specificarlo nel proprio profilo. La permanenza standard, però, è di tre giorni. Nessuno vi impedisce di passare una sola notte presso un ospitante, ma per permanenze piuttosto lunghe, per esempio una settimana, è necessario accordarsi per bene in anticipo. Non tutti saranno disposti a ospitarvi per più di due o tre notti, ma potrebbe anche capitare il contrario: il clima che si è creato è talmente affiatato che deciderete di estendere – su invito – la vostra permanenza! La mia data di partenza è vicina e non ho ancora trovato un ospitante: come faccio? Se avete paura di rimanere senza un ospitante, potete creare una Open CouchRequest, cioè una richiesta viaggiare: come funziona? 49 aperta a vari utenti della zona in cui intendete andare. Questa opzione è attivabile (ma non obbligatoria) già mentre mandate richieste a utenti specifici, ma potete anche crearla successivamente nella vostra pagina “CouchManager”, nella sezione “Itinerary”. È sicuro dare al mio ospitante il numero di cellulare o l’indirizzo e-mail? Nei giorni precedenti la partenza, è opportuno scambiarsi i reciproci recapiti con la persona che ci ospiterà, giusto per non incorrere in problemi in caso di imprevisti o comunicazioni urgenti. È un modo più comodo e immediato di comunicare, rispetto al servizio di messaggistica del sito. Couchsurfing App Come ogni social media che si rispetti, anche Couchsurfing ha la sua app per smartphone, disponibile per iPhone e Android. Tuttavia, a nostro parere l’applicazione è ancora ampiamente migliorabile, eufemismo per dire che, al momento, è davvero poco user-friendly. Basti pensare che le CouchRequest in entrata, quelle in uscita e anche i messaggi “normali” sono tutti nella stessa cartella, e anche cercare un host è operazione che non sempre va a buon fine, con località che spesso vengono confuse con altre. Un vero peccato, perché sarebbe davvero di grande utilità poter contattare facilmente i propri host mentre si è in viaggio o, soprattutto, cercarne degli altri in caso di imprevisti; dopotutto, quando si viaggia, non sempre è semplice avere accesso a un computer. La speranza è che, al momento dell’uscita di questo libro, molti dei problemi siano già superati. 50 come funziona Posso chiedere al mio ospitante di venirmi a prendere da qualche parte? Potrete chiederlo, specie se non ci sono mezzi pubblici per raggiungere la sua abitazione dall’aeroporto, o dalla stazione in cui arriverete. Non accade spesso che un ospitante decida di venirvi a prendere di sua spontanea volontà: è quindi necessario che vi informiate sul modo più facile per raggiungere la sua abitazione, e che comunichiate poi un approssimativo orario di arrivo. Se arrivate in giornata e il vostro ospitante lavora, chiarite subito che potrete passare del tempo in città e incontrarvi poi a casa la sera. Ricordate che siete ospiti, e non dovete stravolgere gli impegni quotidiani di chi vi ospita. Si usa portare un regalo all’ospitante? Certamente, anzi, si potrebbe dire che è quasi “obbligatorio”. È una delle tante regole non scritte del Couchsurfing. Non deve essere per forza qualcosa che proviene dal vostro Paese (anche se la cosa, specialmente nel caso di noi italiani, è molto apprezzata), può essere anche acquistato sul posto una volta che si conoscono meglio i gusti (o i bisogni) della persona che vi ospita. Può anche non essere un dono materiale: una volta abbiamo ricevuto in “regalo” una canzone strimpellata con la chitarra in un parco, ed è stato meraviglioso. viaggiare: come funziona? 51 Come essere un buon ospite? Valgono le regole del buon senso e dell’educazione: siete in casa di un’altra persona, quindi non lasciatela meno pulita di come l’avete trovata. Aiutate nella preparazione dei pasti, se li consumate a casa, e nel riordino della cucina. Offritevi di cucinare, se siete certi di non avvelenare accidentalmente chi è stato così gentile da ospitarvi! Cosa devo fare dopo il viaggio? Come abbiamo già avuto l’occasione di scrivere, ricordate di lasciare una referenza. Parlate della vostra esperienza in viaggio, di quello che avete fatto in compagnia del vostro ospitante, di caratteristiche che potrebbero aiutare nella loro decisione altri viaggiatori che vorrebbero passare qualche giorno in quel posto. Bisogna mantenere i contatti con chi ci ha ospitati? Non ci obbliga nessuno, ma se l’esperienza è stata positiva, perché no? Da un rapporto su Couchsurfing molte volte è nata un’amicizia (e, sì, anche qualche storia d’amore). Ora, poi, è ancora più facile mantenere i contatti con amici sparsi in tutto il mondo grazie ai diversi social network a nostra disposizione. ospitare: come funziona? 7 Ospitare: come funziona? La prima cosa a cui molti pensano quando si parla di Couchsurfing è la possibilità di viaggiare in modo autentico, gratuito e senza intermediari. Non possiamo però dimenticare che questa opportunità è resa possibile ogni giorno da milioni di persone che aprono le porte della propria casa per accogliere uno sconosciuto (“he’s just a friend you haven’t met yet”, ricordate?). Perché lo fanno? Chiedetelo direttamente a loro! Vedrete che tanti vi risponderanno che ospitare arricchisce la loro vita in modi incredibili e inaspettati, che entrano in contatto con persone che altrimenti non avrebbero mai conosciuto, che riescono in questo modo a viaggiare con la mente pur rimanendo a bere una tazza di tè sul proprio divano, che imparano così una parola in tante lingue straniere ogni anno. Le ragioni sono davvero tante e non potremmo 53 elencarle tutte: troverete più avanti in questo libro le esperienze di alcuni ospitanti, ma vi esortiamo a partecipare agli eventi organizzati nella vostra città per “toccare con mano” chi contribuisce a mantenere viva e ad arricchire ogni giorno la comunità di Couchsurfing. Come posso diventare un host ? Per quanto riguarda il lato pratico, è necessario che abbiate un profilo completo, soprattutto nella parte dedicata alle Couch Information. Per apparire, poi, nella lista di persone disponibili a ospitare nella vostra zona, dovete impostare la possibilità di ospitare come “Yes” o “Maybe”. Ciò che ci preme sottolineare qui, però, è altro: un host deve infatti avere delle qualità che, se mancassero, renderebbero l’esperienza poco piacevole per entrambe le parti coinvolte. Potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è: dovete essere curiosi verso le persone che incontrerete. Molti danno per scontata questa qualità, visto che si presuppone che ci sia un certo interesse verso la persona con la quale si condividerà lo spazio domestico per qualche giorno. Eppure, durante i nostri viaggi ci è capitato di incontrare persone che erano ormai talmente abituate ad avere ospiti in casa che non si preoccupavano nemmeno di sapere cosa ci facessimo lì, che lavoro facessimo a casa, quali fossero le nostre passioni, i nostri interessi, la nostra destinazione successiva. Sembrava che di storie ne avesse- 54 come funziona ro sentite talmente tante che ormai ci avevano fatto l’abitudine. Ecco: non stancatevi mai delle storie. Avere un viaggiatore in casa significa anche aprire la porta a una valigia piena di esperienze, di abitudini, di aneddoti in cui vale sempre la pena spulciare. Devo avere una stanza libera in casa? Non necessariamente. A noi è capitato di dormire davvero ovunque: dal pavimento di un soggiorno iraniano nella bellissima Isfahan, a un divano con molle quasi “a vista” in una casa abitata da otto studenti Erasmus a Madrid, a una grande stanza arredata con mobilio originale cinese del diciottesimo secolo e bagno privato in una gated community vicino a Williamsburg, negli Stati Uniti. Quello che conta davvero è saper essere curiosi, generosi ed entusiasti. Offrite al vostro couchsurfer quello che avete: che sia solo uno spazio sul pavimento, un divano, un letto o una stanza. L’importante è che siate sempre precisi nella descrizione del vostro spazio nel profilo, in modo che i viaggiatori possano prendere una decisione consapevole. Per esempio, un ragazzo potrebbe non farsi problemi nel condividere lo spazio per dormire con un host di sesso maschile, ma una ragazza che viaggia da sola potrebbe sentirsi a disagio. Dovete fare in modo che l’esperienza sia la migliore possibile per entrambe le parti, quindi assicuratevi di essere sempre chiari nelle vostre comunicazioni. ospitare: come funziona? 55 Che indicazioni devo inserire nella mia Couch Information ? Dovete fornire tutte le informazioni utili per una temporanea condivisione degli spazi. Generalmente, è opportuno che includiate: • Informazioni sul vostro quartiere: è ben collegato? È pericoloso di sera? Che servizi utili offre? • Informazioni sulla vostra casa: avete dei coinquilini, convivete con il partner, vivete da soli? Inoltre: i viaggiatori potranno usare la cucina, la lavatrice, il phon, la doccia? Se sì, liberamente o solo in alcune fasce orarie? • Informazioni sulla superficie destinata ai surfer: come abbiamo già scritto, dovrete spiegare che tipo di spazio sarà destinato ai viaggiatori. Ricordate anche di specificare se è necessario munirsi di lenzuola pulite o sacco a pelo. • Informazioni per una serena convivenza: per quanti giorni siete disposti a ospitare? Potete ospitare anche animali? I fumatori sono ammessi? I surfer dovranno uscire di casa insieme a voi, e rientrare solo quando anche voi sarete rientrati? Oppure avranno un mazzo di chiavi (non storcete il naso: un buon 70% di ospitanti non ha problemi a lasciare le chiavi di casa al suo guest)? Ci sono degli orari in cui è necessario fare attenzione ai rumori (specie per chi abita in appartamento)? 56 come funziona Devo aspettare di ricevere richieste, o posso propormi a chi viaggia nella mia zona? Nella sezione host del sito potrete invitare i viaggiatori che sono in zona a dormire a casa vostra. Basta selezionare la zona in cui vivete e il periodo in cui siete liberi. Vi apparirà allora una lista delle persone che si trovano nei paraggi in quella data e che hanno mandato una Open CouchRequest perché non hanno ancora trovato un ospitante. Cosa devo preparare, prima dell’arrivo del Surfer ? Ci sono vari stili di hosting (e nella seconda parte del libro ne “analizzeremo” alcuni) e non c’è una regola a riguardo. C’è chi vi dirà chiaramente che non ha preparato nulla, perché vuole che vi sentiate come a casa vostra. C’è chi, invece, ispeziona ogni minimo dettaglio del vostro spazio o della vostra stanza per assicurarsi che sia perfetta, e magari vi lascia anche diversi opuscoli sulle attività interessanti in città o su come muoversi con i mezzi pubblici. Secondo la nostra esperienza, la soluzione sta nel giusto mezzo: accogliete l’ospite come se fosse un vecchio amico e fornitegli una lista dei vostri posti preferiti in città (luoghi, ristoranti, locali, parchi) che difficilmente troverebbe sulla propria guida turistica. In questo modo, il viaggiatore si sentirà accolto, e allo stesso tempo non avrà l’impressione che lo stiate trattando come un ospite in un albergo. ospitare: come funziona? 57 Ad avvalorare questa “filosofia” possiamo dirvi che gli ospitanti con cui siamo ancora in contatto sono quelli che sin dal primo momento ci hanno trattati come persone di famiglia, e che hanno voluto condividere con noi un pezzo della loro vita e dei loro luoghi del cuore. Lavoro/studio, e non ho tempo di “occuparmi” del mio ospite: posso essere comunque un buon host ? Se non avete tempo da dedicare ai surfer, specialmente durante la settimana, ditelo chiaramente nel vostro profilo, così anche il vostro ospite saprà cosa aspettarsi. Ad ogni modo, non dovete preoccuparvi: un couchsurfer è di solito un viaggiatore piuttosto esperto, che non teme di essere “lasciato da solo”. Accoglierà di buon grado di passare del tempo insieme, naturalmente, ma non vi costringerà mai ad accompagnarlo nelle sue peregrinazioni quotidiane. L’idea è che l’arrivo di un couchsurfer in casa impatti la vostra vita in modo positivo, e per questo motivo non deve assolutamente essere un’esperienza che vi crei stress o “ansia da prestazione” («Devo essere il migliore host al mondo!»). Sfruttate ogni occasione utile per scambiare quattro chiacchiere (per esempio la sera dopo cena), interessatevi alla persona che avete in casa, anche e soprattutto se non avete l’occasione di passare la giornata insieme. 58 come funziona Cosa succede se qualcosa va storto? Se vi rendete conto di avere accettato la richiesta di ospitalità da parte di un viaggiatore che però non vi convince al 100%, comunicateglielo appena possibile: non è mai troppo tardi per tirarsi indietro se il vostro istinto vi dice che è meglio così, ma se possibile avvisate per tempo il vostro surfer affinché possa trovare un’altra sistemazione. Se invece qualcosa va storto durante la convivenza, la chiave sta sempre nella comunicazione aperta. Chiarite i motivi per cui qualcosa vi ha dato fastidio e, se questo non dovesse migliorare le cose, chiedete al surfer di trovare un altro ospitante o un ostello. Ricordate: poter surfare a casa vostra è un privilegio, non un diritto da dare per scontato. Assicuratevi di trattare e di essere sempre trattati con rispetto. Cosa devo fare quando il mio surfer è partito? Come sempre, lasciate una referenza! Anche e soprattutto se qualcosa è andato storto e i vostri tentativi di chiarimento durante la permanenza non si sono rivelati utili. X 8 Gruppi ed eventi Avrete notato che nella vostra homepage, in alto, accanto alle sezioni “Surf” e “Host”, avete anche quella dedicata agli “Eventi”. Si tratta una funzione molto importante di Couchsurfing, perché permette ogni giorno a migliaia di persone in ogni parte del mondo di incontrarsi e condividere esperienze memorabili, senza necessariamente ospitare o essere ospitati. Negli eventi si trova di tutto: a Milano, per esempio, sono molto popolari gli incontri del venerdì sera alle Colonne di San Lorenzo, ai quali partecipano ogni settimana diverse decine di persone tra milanesi e viaggiatori; un altro evento molto popolare e ricorrente è l’aperitivo in inglese del martedì sera: una simpatica occasione per conoscere nuove persone, bere qualcosa e imparare una lingua! Vengono anche spesso organizzati picnic internazionali, lezioni 60 come funziona varie (karate, tango argentino...), swap party6 e chi più ne ha più ne metta. A San Francisco, sede di Couchsurfing, gli eventi sono ancora più numerosi e variegati: si va dalla gita in bicicletta sul Golden Gate Bridge all’incontro al parco per meditare, dai Pub Crawl7 nei vari quartieri della città alla serata internazionale dei giochi da tavolo. Insomma, con Couchsurfing, anche se non si ha la possibilità di ospitare o di viaggiare, non ci si annoia mai. Ci sono alcuni mega-eventi che sono diventati leggendari nella storia dell’organizzazione, grazie alla dedizione e alla generosità di centinaia di membri. Per esempio, i Camps, organizzati a partire dal 2004 soprattutto da ex membri di Hospitality Club, possono attirare oltre mille persone (un Camp è previsto anche al Burning Man8 di quest’anno). I Couch Crash, o City Invasions, sono eventi della durata di qualche giorno, solitamente dalla cadenza annuale, in cui gli ospitanti di una certa città si organizzano in un grande sforzo collettivo per mostrare a quanti più viaggiatori possibili l’ospitalità di cui sono ca6 Feste in cui ci si trova per scambiarsi capi d’abbigliamento, oggetti, accessori, mobili o quant’altro, purché, ovviamente, in buono stato. 7 Consiste nel ritrovarsi a bere alcolici in più di un pub nell’arco della stessa serata. 8 Festival di otto giorni che si svolge ogni anno in settembre nel deserto del Nevada. Si tratta di un evento in cui gli oltre 50.000 partecipanti danno vita in quella settimana a una vera e propria città nel deserto, Black Rock City. Il nome del festival deriva dal rituale che consiste nell’incendiare un grande fantoccio di legno il sabato sera. gruppi ed eventi 61 paci, offrendo il loro divano ma anche il loro tempo nell’organizzazione di visite, tour, cene, feste, ecc. Dove trovo gli eventi della mia zona? Direttamente alla pagina Eventi dovreste vedere quello che viene organizzato nella vostra zona. Potete anche utilizzare la mappa per consultare gli eventi in programma in tutto il mondo, o cercarne uno che faccia al caso vostro tramite parole chiave. Prima di provare a organizzare un evento, vi consigliamo di partecipare a qualche incontro organizzato dalle persone più attive ed esperte della vostra zona, così da presentarvi ed “entrare nel giro”. Siamo sicuri che non ve ne pentirete! Troverete anche delle sezioni chiamate “Trending Events”: si tratta di eventi che sono stati appena commentati da qualcuno, eventi quindi di cui si sta parlando. Gli eventi featured, invece, sono quelli ai quali partecipa con regolarità un buon numero di persone. Per esempio, i “Featured Events” (“Eventi in primo piano” nella versione in italiano) a Milano possono essere la Weekly Milanese Night, incontro settimanale alle Colonne di San Lorenzo, o l’aperitivo in inglese del martedì, di cui abbiamo già parlato. Come si crea un evento? Potete cliccare su “Create event” sia dalla vostra homepage che dalla pagina dedicata agli eventi. Vi si 62 come funziona chiederà di scegliere un nome e un luogo e di crearlo poi o come pubblico o come privato (cioè, solo su invito). Bisognerà poi inserire data e ora dell’evento, insieme a una breve descrizione. Ricordatevi di salvare prima di chiudere la finestra. La creazione di eventi ricorrenti è un “privilegio” concesso solo ad alcuni membri, che possono scegliere di organizzare incontri giornalieri, settimanali, bisettimanali o mensili. Per essere sempre aggiornati sugli eventi che vi interessano potete “seguirli”: riceverete così aggiornamenti regolari via e-mail. Per chiedere/dare informazioni Un’altra funzione del sito che favorisce l’incontro di nuovi e vecchi membri è quella dei gruppi, organizzata come un forum dove c’è spazio per ogni tipo di discussione o esigenza. La sezione più frequentata è quella dedicata ai posti, dove troverete diversi tipi di conversazione, da quella dedicata alla pianificazione di una rotta particolare come la Transiberiana, a come organizzare un viaggio spendendo il meno possibile, alla possibilità di trovare stage in un determinato luogo. Gli argomenti sono davvero tanti, e se state cercando qualcosa di specifico la funzione di ricerca certamente vi aiuterà a orientarvi, almeno finché non ci avrete preso la mano. Parte seconda Incontri fuori dal normale 9 Ma dove sono capitato?!? Finora abbiamo parlato di quanto è bello viaggiare con il Couchsurfing, elencandone i numerosi pregi e sottolineando quanto possa essere entusiasmante poter entrare in contatto con gente di Paesi e culture differenti. Come si suol dire, però, non è tutto oro quello che luccica: scopo di questo capitolo è proprio farvi pensare al peggio, con un pizzico (o forse più) di ironia. Infatti, se nei vostri viaggi “tradizionali” il peggio che vi possa capitare è di trovare peli tra le lenzuola, il bagno sporco o il letto cigolante nella vostra camera d’albergo, con il Couchsurfing il buon esito del vostro soggiorno non dipende tanto dalla qualità materiale dell’alloggio, quanto piuttosto dalla personalità e dalle abitudini di chi vi ospita. Personalità e abitudini che potrebbero essere l’esatto opposto delle vostre. E il bello, probabilmente, è proprio questo. 66 incontri fuori dal normale Così, portando all’estremo alcune caratteristiche proprie dell’animo umano, ci siamo divertiti a delineare cinque profili “tipo” di ospitanti. Ovviamente ognuna delle seguenti descrizioni non è riferita a una singola persona esistente, ma tutti gli atteggiamenti e gli aneddoti raccontati sono tratti dalla realtà, vissuti da noi in prima persona o raccontati da altri surfer. E questo rende il tutto, oltre che più divertente, ancora più “inquietante”. Il Lercio Partiamo subito dal “peggio”. Come abbiamo appena detto, l’incubo di ogni “comune” viaggiatore è di soggiornare in una sudicia camera d’albergo. Con il Couchsurfing questo problema, quando esiste, viene elevato all’ennesima potenza. È statisticamente provato che la stragrande maggioranza degli utenti, e quindi degli ospitanti, di Couchsurfing è composta da giovani tra i 20 e i 30 anni (circa due terzi del totale). E diciamo la verità: quando si abbandona il tetto di mamma e papà e si va a vivere da soli, raramente la casa è tirata a lucido, soprattutto se ci abita un maschietto, e ancor di più se l’appartamento è condiviso da altri individui dello stesso sesso. Anzi, va già bene se si riesce a stabilire un minimo di disciplina e regolarità nell’ambito “pulizia”. A tutto, però, c’è un limite. E quando questo limite viene superato, quando più che in una casa sembra di essere finiti in una stalla, ma dove sono capitato?!? 67 quando si ha a che fare, in definitiva, con un Lercio, ecco che l’esperienza di Couchsurfing si trasforma in un vero incubo. Esistono ovviamente diversi gradi di “Lerciume” (sì, con la “L” maiuscola), e il picco spesso viene raggiunto in una casa abitata da studenti, soprattutto se di nazionalità diversa. E visto che a noi piace esagerare, prendiamo l’esempio peggiore possibile: la casa Erasmus. In un appartamento del genere vivono in media dai quattro agli otto studenti (ma anche di più, in alcuni casi) in spazi ristretti, che però non impediscono a ognuno degli inquilini di sentirsi in diritto di invitare famigliari, amici e, perché no, couchsurfer: dopotutto, sono indipendenti per la prima volta nella loro vita, perché non sfruttare appieno l’esperienza? Il problema nasce quando le visite si sovrappongono, andando a saturare una situazione già di per sé ai limiti della vivibilità. Il Lercio non è una brutta persona, anzi, di solito è un ragazzo gentile e solare: va volentieri ad accogliere il surfer alla fermata della metro per non fargli sbagliare strada, gli dà una mano a portare la valigia su per i cinque piani di scale (l’ascensore è rotto nel 99% dei casi) e, dopo aver aperto la porta di casa con una sapiente manovra combinata mani-piedi, sposta con un calcio un trolley piantato in mezzo al minuscolo atrio per far posto al vostro bagaglio. Lo spostamento d’aria fa sì che i batuffoli di polvere sul pavimento inizino a rincorrersi per il 68 incontri fuori dal normale corridoio, ma il surfer fa finta di niente e segue il suo host in cucina. «Vuoi qualcosa da bere? Dovrebbe esserci un bicchiere pulito da qualche parte...». Lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi del povero ospite è da brividi: lavello e spazio limitrofo sono straboccanti di stoviglie in attesa che una mano caritatevole le lavi; il tavolo è pieno di briciole e resti non meglio precisati di uno o più pasti consumati nei giorni precedenti; per terra, di fianco al cestino dell’immondizia, una catasta con svariati cartoni della pizza, da cui vanno e vengono ordinatamente due file di formiche obese; infine, dietro la porta, a impedire che questa si apra completamente, quattro enormi borse della spesa piene di bottiglie di birra vuote. Il Lercio segue lo sguardo del surfer e si sente in dovere di giustificarsi: «Sai, nessuno ha mai voglia di farsi cinque piani di scale con quella roba...». Trattenendo a stento i brividi e bevendo il bicchiere d’acqua che gli viene offerto senza pensare a dove sta appoggiando le labbra, mentre pensa che, se non è morto nel Deserto del Gobi, sopravvivrà anche stavolta, l’ospite si prepara al peggio quando il Lercio si offre di mostrargli il resto della casa, a partire dal salotto, in cui si trova il divano che sarà il suo giaciglio per un paio di notti. Sembra impossibile, ma ci sono stoviglie anche qui; in particolare, il tavolino in mezzo ai divani propone una collezione di tazzine con fondi di caffè e posacenere così colmi ma dove sono capitato?!? 69 di mozziconi che la cenere si è sentita in dovere di traslocare anche sul tavolino stesso, sul pavimento e sui divani. Già, proprio quei divani su cui dormirà lui; lui insieme a un amico di Shaun, il coinquilino irlandese che normalmente torna sbronzo a notte fonda cantando a squarciagola cori da hooligan, al fratello di Rajiv, il coinquilino indiano a cui – lo si è capito entrando in casa – piace abbondare con il curry in cucina, e all’invadente madre di Yogev, il coinquilino israeliano che proprio in quei giorni sta meditando un matricidio. Ormai rassegnato, il surfer chiede per favore di andare in bagno. Il Lercio spiega che ce n’è uno per i cinque ragazzi e uno per le due ragazze, dato che queste ultime, chissà perché, hanno deciso così. A questo punto, però, l’ospite è preparato, e all’ingresso in bagno incassa bene il colpo provocato dal lavandino incrostato di sapone, calcare e peli residui di svariate barbe, dalla vasca da bagno ricoperta da un fitto alone di polvere nei punti che non vengono mai raggiunti dall’acqua, e dal bidet utilizzato come cesto dei panni sporchi. Del water non parliamo per non turbare oltremisura la vostra sensibilità. Quello delle ragazze, del resto, non è messo molto meglio: nonostante siano solo in due, un cimitero di salviettine struccanti, cotton-fioc, trucchi, assorbenti (fortunatamente ancora sigillati) e flaconi mezzi vuoti ricopre il 120% delle superfici disponi- 70 incontri fuori dal normale bili, mentre il pavimento è disseminato di calzini, pigiami e biancheria intima; ma almeno il water è abbastanza pulito da essere utilizzabile. Mentre il surfer esce dal bagno ripetendo come un mantra: «È solo per una notte, è solo per una notte, è solo per una notte...», il Lercio gli va incontro nel corridoio con una coperta polverosa in mano, augurandogli la buonanotte. Nonostante il via-vai e il puzzo di fumo, in qualche modo l’ospite riesce ad addormentarsi; al risveglio, mentre si trascina verso il bagno, gli pare di notare il Lercio seduto in cucina a massaggiarsi un piede nudo, con una tazza di caffè sul tavolo. Al suo ritorno dai bisogni mattutini, decide di tentare la sorte cercando qualcosa per colazione in cucina: lì, sul tavolo, accanto a un piattino pieno di briciole e alla tazza con il solito fondo di caffè, trova un ordinato mucchietto di unghie giallognole lunghe un buon mezzo centimetro. Trattenendo a stento i conati di vomito, il surfer torna in salotto, rifà la valigia a tempo record e scappa a gambe levate. D’accordo il Couchsurfing, la capacità di adattarsi e tutto il resto, ma in certi casi niente diventa più desiderabile di uno schifoso ostello! L’Amicone Mettiamo subito le cose in chiaro: l’Amicone è una brava persona. A nessuno verrebbe mai in mente di affermare il contrario. Ciò nonostante, una convi- ma dove sono capitato?!? 71 venza forzata con lui (o con lei, naturalmente), anche solo di un paio di giorni (o di ore, a seconda della capacità di sopportazione del surfer), può portare seriamente alla fuga per esasperazione, se non a veri e propri istinti omicidi (sempre a seconda della capacità di sopportazione di cui sopra). L’Amicone, figura tipicamente italiana di ospitante, è quello che si offre di andare a prendere il suo surfer in aeroporto («Figurati, non c’è problema!»), ma con tutta la famiglia al seguito, e che nel tempo del tragitto in auto fino a casa gli ha già mostrato le foto delle nipotine, delle due gatte e del cagnolino di sua cognata, che tra l’altro assomiglia tanto a quello che il suo ospite teneva in braccio nella foto che ha postato su Facebook la settimana prima. Già, perché l’Amicone è spesso lo step appena precedente allo stalker, e dal momento in cui ha accettato la richiesta di ospitalità del suo guest ha iniziato a studiare nei minimi dettagli prima il suo profilo di CS e poi, per non sbagliare, anche quello di Facebook. Il surfer probabilmente a questo punto è già terrorizzato, ma non sa che l’incubo deve ancora cominciare. Una volta a casa, scopre che in auto c’erano solo i famigliari più stretti: gli altri sono schierati nel cortile di casa, a mo’ di comitato d’accoglienza, e il suo host glieli presenta uno per uno mentre lo rimpinza di biscottini fatti in casa e limoncello preparato dal padre con i limoni che fa arrivare dalla 72 incontri fuori dal normale Sicilia tramite un vecchio collega che ora è andato in pensione e che ha appena aperto un bistrot di specialità siciliane in provincia di Como. Potrebbe anche essere lontanamente divertente, se non fosse che nessuno di loro parla inglese, e il surfer ovviamente non parla italiano. Nessun problema, per lui; qualcuno in più, per gli altri, che proprio non si capacitano del fatto che non capisca nulla, nemmeno se parlano lentamente, scandendo le parole alla perfezione. Per fortuna, c’è il suo host: almeno lui un po’ di inglese lo parla. Maccheronico, certo, ma l’importante è capirsi. «Allora, che programmi hai per oggi?» gli chiede, gentile. «Mah, non so, pensavo di andare in piazza Duomo e poi iniziare a fare un giro lì...» «E bravo Philip (“Filìp”), vai sul classico (“you go on the classic”), eh?!? E sai come arrivarci? Te lo spiego io...» «Grazie, ma dovrei arrivarci comodamente con la metro, no?» Eccolo, l’errore del principiante, la condanna del malcapitato surfer. Bastava mostrarsi un po’ più sicuro di sé; invece, quelle due lettere, “N” e “O”, sono la formula magica che permette all’Amicone di mettere in mostra tutta la sua Amiconità. «Sì, ma fai prima se prendi il tram. Prendi il 3, a dieci minuti a piedi da qui, e ti porta dritto in Duomo. Namber tri.» ma dove sono capitato?!? 73 «Ma no», interviene la moglie, «ci sono i lavori, ci rimane bloccato. No namber tri, piglia la metro...» «Ma quale metro», replica uno zio, «ma cosa sei dietro a dire? Cosa deve fare, il giro di Milano, per arrivare in Duomo? Ascoltami a me, che sono milanese DOC... Teik namber novantuno, anderstend? Nain uan. Autobus. E quando arrivi in 5 Giornate, faiv deis, prendi il 27 oppure il 12 e te se rivà». «Ma sei impazzito?», lo zittisce la cognata, «e meno male che non si deve fare il giro della città... Ancora un po’ e lo mandi a Bergamo! Ascolta me, lissen, prendi sì il namber 91, ma poi, den, ti fermi dopo poco, Ripamonti. Lì prendi il tuentifor e sei a posto!» Mentre l’espressione del povero surfer – il quale, detto per inciso, sapeva perfettamente come arrivare in Duomo – passa da stupita a confusa, a terrorizzata, a rassegnata, l’host capisce che la situazione gli sta sfuggendo di mano, e risolve con un: «Sai cosa facciamo? Ti ci porto in macchina. Da solo», aggiunge, a beneficio degli altri presenti. Perché l’Amicone “sa” sempre qual è la cosa giusta da fare, in qualsiasi situazione. «Sai, Filìp, sei fortunato: io sono per metà terrone e per metà polentone, du iu anderstend? Half Milano and half Napoli. Con me vai sul sicuro: l’ospitalità del sud unita all’efficienza del nord!». Dopo trenta minuti d’auto per raggiungere il centro e altri venti per trovare parcheggio – per la cro- 74 incontri fuori dal normale naca, il doppio del tempo che avrebbero impiegato in metro –, finalmente arrivano in piazza Duomo. «Che poi è meglio se ti accompagno, che almeno ti spiego le cose. Ti faccio da guida turistica...» dice l’Amicone, tutto contento. «Questo è vero», risponde il surfer, accomodante, «per esempio: chi è il tizio della statua, sul cavallo?» «Ah, quello... Aspetta... Mi sfugge al momento... Ah no, ecco: è Garibaldi.» Mentre l’Amicone sproloquia raccontando la storia della sua vita, il povero surfer, sempre più confuso e rassegnato, lo segue nel suo tour personalizzato del centro di Milano, fatto di indicazioni vaghe («Questa chiesa è davvero bella... Non mi ricordo come si chiama... Ma mi ricordo che c’entra sicuramente Leonardo Da Vinci. O era Raffaello?»), suggerimenti gastronomici («Per pranzo io ti devo lasciare, ché mi tocca lavorare, ma se vai verso il Castello c’è una trattoria uanderfùl, la vera cucina milanese di una volta. Non puoi non andarci, mi raccomando, e digli a Mimmo, il titolare, che ti mando io»), dritte per una visita impossibile («Non hai prenotato la visita all’Ultima Cena? So che sei un appassionato d’arte, l’ho visto su Facebook... Ma dont uorry... Un mio amico fa la guardia giurata lì... Digli che ti mando io e non solo ti fa entrare, ma ti fa pure saltare la fila»), imprecazioni varie («’Sti cazzo di taxi... Devi fare un mutuo per fare duecento metri e poi manco si fermano sulle strisce... Mica come da voi, ma dove sono capitato?!? 75 eh?!?»), altri suggerimenti gastronomici («In Italia devi assolutamente provare la pasta, la pizza e il gelato. Per la pasta, ti ho già detto, la pizza è una sorpresa per cena... Per il gelato, se ne vuoi provare uno davvero buono, very italian, vai oltre il Duomo, giri a sinistra dove inizia il corso, poi prendi una stradina a destra... Credo sia la seconda o la terza... È in quella zona lì, non puoi sbagliare, la riconosci per forza... Ah, e digli che ti mando io!»), per finire, con sommo terrore del surfer, con le indicazioni per la via del ritorno («Forse alla fine è meglio se prendi la metro»). La sera, di ritorno da una giornata a dir poco stancante, appesantito da un pranzo di quattro portate (pagate come fossero dieci, e meno male che “lo mandava lui”) smaltito però facendo chilometri in vana ricerca della gelateria “dietro il Duomo”, davanti a un’enorme porzione di pizza fatta in casa alta un paio di centimetri il surfer racconta quali saranno le prossime tappe del suo viaggio in Italia. «È la prima volta che ci vengo, per cui farò il classico giro del turista straniero: Firenze e Roma di sicuro, e poi vedo quanti soldi e quanto tempo mi rimangono...» «Manco a farlo apposta!» urla l’host, entusiasta. «A Firenze ci vive mio cugino! E a Roma mia sorella! E poi, ascolta il mio consiglio, visto che i soldi te li faccio risparmiare io: già che sei lì non puoi non andare a Napoli in questa stagione, e lì c’è solo l’im- 76 incontri fuori dal normale barazzo della scelta, tutta la famiglia di mamma è di lì!» Cala il silenzio intorno alla tavola; un silenzio di terrore, più che di imbarazzo. Ma l’Amicone non riesce a rendersene conto, è contento come un bambino, e scambia la disperata titubanza del surfer per timidezza. «Guarda che non c’è problema! Anzi, sai che faccio? Li chiamo subito e li avviso... Stai tranquillo, ghe pensi mi!» Il Servo Avete mai sentito dire che “l’ospite è sacro”? Ecco, probabilmente chi ha coniato questo detto era un Servo, tipologia particolare di host che si sente in dovere di trattare il suo ospite come un pascià, facendo a gara con un hotel a 5 stelle. Anzi, non è nemmeno esatto dire che si sente in dovere: il Servo non pensa di doverlo fare, bensì lo vuole fare! Spesso le prime avvisaglie della “servitù” dell’ospitante si possono avere già dal suo profilo, ma è impossibile stabilirne il “grado” finché non si entra in contatto di persona. Per esempio, può capitare di trovare un host particolarmente gentile, che segnala di avere solo un divano disponibile in soggiorno ma che, nel caso i surfer viaggino in coppia, è disposto a cedere loro il suo letto e a dormire lui sul divano, piuttosto che far dormire uno dei due per terra. Anche se ovviamente non tutti lo fanno, ma dove sono capitato?!? 77 né sono tenuti a farlo, fin qui tutto bene. Il problema sorge quando l’ospitante cede il suo letto anche a un viaggiatore singolo, che potrebbe benissimo accomodarsi sul divano come lo stesso nome “Couchsurfing” suggerisce, ma che, agli occhi del Servo, non può assolutamente dormire scomodo: non sia mai che un ospite se ne vada da casa sua insoddisfatto! Un’altra avvisaglia riguarda i periodi di disponibilità per ospitare: c’è chi segnala un arco di tempo ben preciso, c’è chi non segnala quasi nulla, vuoi perché è spesso a casa, vuoi perché preferisce decidere di volta in volta; e, infine, c’è chi, per venire incontro a surfer particolarmente esigenti o bisognosi d’aiuto, è disposto addirittura a prendere ferie per accoglierli come si deve e accompagnarli nella visita. In quest’ultimo caso, ebbene sì, abbiamo a che fare con un Servo che sta sfiorando il patologico. Dopodiché, si passa al contatto diretto: l’ignaro surfer scrive a questo potenziale ospitante particolarmente gentile e, dopo essersi accordato sulle date, chiede che mezzi deve prendere per raggiungere casa sua dall’aeroporto. «Ma quali mezzi!» risponde il Servo, «Ti vengo a prendere io in auto!». All’arrivo a casa, il surfer rimane a bocca aperta: l’appartamento è tirato a lucido, regna un ordine da negozio d’arredamento e dalla cucina arriva un profumino assai invitante. «La cena è nel forno, ma c’è ancora tempo» spiega il Servo, per poi aggiungere: 78 incontri fuori dal normale «Fa’ come se fossi a casa tua: se vuoi, fatti una doccia, e poi sistema pure le tue cose in camera... Vieni, ti mostro il tuo letto». E, come anticipato, il letto del surfer è in realtà il letto, con lenzuola fresche di bucato e un paio di asciugamani ben ripiegati e adagiati sopra, del suo host, il quale, di fronte alle ovvie rimostranze colme di imbarazzo del suo ospite, minimizza: «Ma va’, figurati! Certo che dormo io sul divano! Ma come fai a dormirci tu... Sei così alto che non ci staresti nemmeno». A quel punto il “povero” surfer, sempre più in difficoltà, va a lavarsi e rimane chiuso un’ora in bagno a pensare a un piano B per cercare di frenare il più possibile quella sorta di lacchè senza livrea. Ma è troppo tardi: uscito dal bagno, la tavola è già apparecchiata, gli antipasti sono ben disposti su un vassoio e il primo è quasi pronto per essere impiattato. «Ah, vengono anche dei tuoi amici per cena?» domanda il surfer, benché conosca già la risposta, mentre il terrore inizia ad assalirlo. «Amici? No, perché? Oh, dici che ho cucinato troppo? Ma non ti preoccupare, mi piace cucinare, e quando ho ospiti ne approfitto per sbizzarrirmi un po’...» risponde allegro il Servo, che non immagina minimamente quello che sta per accadere. «Ehm... Sì... C’è solo un problema» risponde a quel punto l’ospite, che proprio non sa come introdurre l’argomento agli occhi pieni di aspettativa del Servo: «Sono vegetariano». ma dove sono capitato?!? 79 È a quel punto che, per il Servo, avviene la catastrofe. Non perché ha perso quasi due giorni a cucinare per un esercito. Non perché, solo di materie prime, ha speso l’equivalente di una settimana di stipendio. E nemmeno perché, a quel punto, si pone il problema di cosa mangiare a cena. Il vero problema, per il Servo ormai profondamente mortificato, è esistenziale: «Ma che razza di ospitante sono, che non gli ho nemmeno chiesto se mangiava tutto?!?». Chiamate un’ambulanza. Il Martire A uno sguardo superficiale, il Martire potrebbe sembrare molto simile al Servo, ma la differenza tra queste due categorie, seppur sottile, è abbastanza evidente: se, come abbiamo visto, il Servo “gode” servendo e riverendo il suo ospite, il Martire, al contrario, vive la sua ospitalità, appunto, come un martirio, lamentandosi di continuo, di solito tra sé e sé, ma a volte anche esplicitamente, a prescindere dai “servizi” offerti ai suoi ospiti. Infatti, se da un lato può capitare che i Martiri si lamentino dell’ingratitudine di alcuni surfer, rei di non ringraziare a dovere per il trattamento da re ricevuto (ma ovviamente non richiesto), dall’altro spesso le lamentele non avrebbero proprio motivo di esistere, perché quelli che agli occhi del Martire appaiono come enormi sacrifici sono in realtà semplici regole base di buona ospitalità. 80 incontri fuori dal normale Questa seconda “classe” di Martiri è quella che davvero fa pensare ai surfer al termine del soggiorno: «Ma chi gliel’ha fatto fare?!?». Della serie, se ospitare è un peso così grande, perché lo fanno? «Ma non è un peso», risponderebbe il Martire medio. «È solo che certe persone sono così maleducate... Pensano che sia tutto dovuto, non si mettono proprio in testa che casa mia non è un hotel a 5 stelle.» Ma, quindi, chi ha ragione? Come spesso accade, la verità sta nel mezzo, ma non si può escludere che alcune categorie di ospitanti abbiano davvero una visione distorta del Couchsurfing, dei couchsurfer e, in definitiva, anche di se stessi. Eh sì, perché nella maggior parte dei casi i Martiri sono coloro che pensano che il 99% dei surfer sia composto da approfittatori in cerca semplicemente di un letto gratis, senza accorgersi che, in realtà, sono loro stessi a far parte di quella categoria: questi Martiri, infatti, ospitano esclusivamente per avere più referenze sul profilo, referenze che poi serviranno a trovare più agevolmente un divano in giro per il mondo. Dello scambio culturale e tutto ciò che ci gira intorno, interessa ben poco. Ma come riconoscere in anticipo, e quindi evitare, un Martire? Non è facile. Può capitare che si “tradisca” già sul suo profilo, elencando previamente una serie infinita di regole da rispettare per una convivenza positiva, ma il più delle volte un surfer ma dove sono capitato?!? 81 si accorgerà di avere a che fare con un Martire solo quando sarà già in casa sua. Il “vero” Martire metterà subito in chiaro che lui il giorno dopo dovrà uscire di casa alle 7.30 per andare al lavoro, per cui: a) la sera non si fa tardi, b) la sveglia è alle 6.45, perché c) la regola è: “se io sono fuori casa, tu sei fuori casa”. Tutto legittimo, per carità, ma forse sarebbe più carino specificarlo DOPO essere entrati in casa. Le tappe successive sono la cucina («Se proprio devi cucinare, c’è un supermercato a 20 metri da qui. Puoi usare quello che vuoi, basta che poi lo lavi e lo rimetti al suo posto»), il bagno («Qui c’è la doccia. Ti pregherei di asciugarla subito dopo averla usata, se no rimangono le macchie di calcare») e la stanza degli ospiti («Questo è il tuo letto, su cui ti chiederei la cortesia di stendere il tuo sacco a pelo. Vorrei evitare di dover poi lavare delle lenzuola solo per due notti»). A quel punto, però, il surfer avrà già deciso che le notti di certo non saranno due: va bene la condivisione e tutto il resto, ma probabilmente è arrivato nel momento sbagliato, in un periodo in cui il suo host deve avere dei casini, o qualcosa del genere, e l’ultima cosa che vuole è essere un peso per lui: forse è il caso di lasciarlo tranquillo e cercarsi un ostello per la seconda notte. Ma la soluzione prospettata dal surfer è l’esatto contrario di quanto auspicato dal Martire, che alla 82 incontri fuori dal normale notizia che il suo guest se ne andrà prima del previsto reagirà con un: «Ma tu guarda questo ingrato, è un mese che siamo d’accordo che si fermerà due notti, e ora di punto in bianco se ne va dopo un giorno. E pensare che ho annullato la partita di calcetto domani sera perché c’era qui lui... Io certi surfer proprio non li sopporto...» Il Professionista Il Professionista è quel tipo di couchsurfer che non ha ben capito che “ospitare” non vuol dire trasformare la propria casa in un ostello. Ospitanti di questo tipo non sono molto numerosi, anzi, sono piuttosto rari, ma esistono, e quando ci si imbatte in uno di loro non si può fare altro che rimanere incantati di fronte agli abissi di follia che la mente umana può raggiungere. Il classico host Professionista è una persona (uomo o donna, indifferentemente) non più giovanissima, separata o che comunque vive da sola, con una situazione finanziaria piuttosto solida (insomma, ricca, o mantenuta, o un imprenditore con un’attività che gli consente di vivere al meglio mettendo solo qualche firma di tanto in tanto) e che vuole assolutamente vincere la solitudine. All’inizio il Professionista è esitante, quasi sospettoso riguardo al Couchsurfing: viene a sapere della sua esistenza in maniera casuale (parlando con il figlio, sentendo qualcosa di vago alla radio, spette- ma dove sono capitato?!? 83 golando dalla parrucchiera, navigando su forum per soli adulti), ne è incuriosito ma al tempo stesso, vista la poca consuetudine con Social Media & Co., si chiede: «Ma ci sarà da fidarsi a far venire in casa tutti ’sti sconosciuti?». Alla fine, la solitudine vince sui dubbi, e il (potenziale) Professionista decide di buttarsi, senza nemmeno lontanamente immaginarsi che questa esperienza, anziché migliorare la sua vita sociale, alla lunga arriverà quasi a darle il colpo di grazia. Dopo i primi, positivi incontri, infatti, il Professionista inizia a prenderci gusto: gli ospiti, che prima dormivano sul divano, ora vengono ospitati nella camera del figlio (tanto ormai vive per conto suo da anni), e da lì al pensiero che, togliendo la scrivania e aggiungendo un altro letto, potrebbe ospitare anche due surfer per volta il passo è breve. E perché limitarsi a due: già che c’è, perché non munirsi di letto a castello, anzi, di due letti a castello, spostando il letto del figlio nel ripostiglio, che ormai è praticamente vuoto ed è abbastanza ampio da poter essere usato come seconda stanza degli ospiti, per le emergenze. E a pensarci bene... Anche lo studio è di fatto una stanza praticamente inutilizzata: l’azienda di famiglia va avanti da tempo con le sue gambe, e per le poche scartoffie di cui ancora deve occuparsi basta il suo ufficio in ditta. E così, voilà, ecco un’altra stanza disponibile, magari arredata con un letto matrimoniale e una brandina aggiunti- 84 incontri fuori dal normale va, per poter dare la possibilità di surfare anche alle coppie con pargolo al seguito. Nel frattempo, gli ospiti si susseguono, le “amicizie” virtuali si moltiplicano, le recensioni positive raggiungono quantità a tre cifre (perché dopotutto, sì, il Professionista è una brava persona e un padrone di casa modello), e le richieste di ospitalità arrivano a intasare la casella di posta. Senza rendersene conto, il Professionista è diventato... un professionista, appunto, del settore alberghiero (pur non retribuito), con tanto di calendario degli arrivi e delle partenze suddiviso per stanze, routine mattutina per il lavaggio delle lenzuola e plico di opuscoli turistici sul mobile all’ingresso. A dire il vero, all’inizio della sua “attività” accompagnava spesso e volentieri i suoi guest alla visita della città – con una professionalità da far invidia alle guide turistiche ufficiali, ovviamente – ma ora ha sempre meno tempo per farlo... In tutto questo, il Professionista ovviamente non si rende conto che il disastro è dietro l’angolo: l’azienda di famiglia, lasciata nelle mani inesperte e un po’ bucate del figlio (complice la crisi, certo), sta andando a rotoli; i vicini, notando il via-vai sempre più promiscuo, iniziano seriamente a dubitare della sua sanità mentale; gli amici di una volta tendono a evitarlo, perché lui non esce praticamente più di casa e loro preferiscono non mettere piede in quello che pare sempre più simile a un porcile (eh sì, non ma dove sono capitato?!? 85 è facile gestire un mini-hotel da soli) sempre pieno di sconosciuti che non spiccicano mezza parola di italiano; e gli stessi sconosciuti, ovvero gli ospiti, continuano ad arrivare uno dopo l’altro, a gruppi, sempre di più, tanto che in pratica l’interazione è ormai nulla. E mentre il Professionista si sente sempre più tagliato fuori dai suoi visitatori, che chiacchierano allegramente tra di loro in un inglese troppo veloce per lui, inizia a rendersi conto che forse (forse, eh) le cose gli sono un po’ sfuggite di mano. «Basta!» decide quindi, «Ho bisogno di una vacanza». Così, finalmente, il Professionista inizierà a pensare un po’ a se stesso, pianificando un viaggio di un mese per mezza Europa (tanto, si è capito, il tempo non gli manca, e i soldi nemmeno), prenotando voli e treni e contattando, finalmente, una valanga di couchsurfer non per ospitare, ma per essere ospitato. E alla fine del suo viaggio, di ritorno a casa, troverà la sua casella e-mail ancora più intasata, perché, da buon Professionista, avrà invitato in Italia tutte le persone conosciute durante la sua vacanza, più amici, parenti e conoscenti. Perché il Couchsurfing, in fin dei conti, crea dipendenza. 86 incontri fuori dal normale Host che non hostano : il Tipo a posto Il Tipo a posto è il classico bravo ragazzo, nel senso “peggiore” del termine, ovvero quello di persona ingenua che, per il fatto di non saper dire di no e per l’impossibilità congenita di arrabbiarsi, finisce con il prendersi una fregatura dopo l’altra. In ambito di Couchsurfing, il Tipo a posto è quello che si sente in colpa perfino quando dice di no a una richiesta da parte di qualcuno che non ha referenze nel profilo, che non lo chiama per nome o che addirittura lo sbaglia, che dichiara che verrà nella sua città perché lo ha deciso la “ticket random lottery” di qualche compagnia low-cost e ha pensato proprio a lui (ma può ovviamente anche essere una “lei”) perché sembra, manco a dirlo, un tipo a posto. Scrive proprio “sembra”: in genere non si sbilancia molto oltre. Il Tipo a posto, anziché liquidare la richiesta con un breve: «Mi spiace, non posso» o addirittura ignorarla, come sarebbe ben lecito, non ci dorme per un paio di notti. Pensa che tutti meritino una possibilità. Trova giustificazioni improbabili alla superficiale impersonalità e alla genericità della richiesta («Magari nel suo Paese razionano l’energia elettrica, o è una persona molto timida...»). E, alla fine, dice di sì. Non reggerebbe il senso di colpa di lasciare un povero viaggiatore senza una risposta, nella disperazione di non trovare un tetto sotto il quale ricevere accoglienza e ristoro. Il Tipo a posto scrive così una bella risposta, mostra entusiasmo, cerca di far sentire il viaggiatore benvenuto, insomma, si impegna. Si impegna perché si è iscritto a Couchsurfing per sua scelta e starebbe male con la sua coscienza se dicesse di no senza avere ragioni particolari per farlo o impegni improrogabili. Il Tipo a posto poi aspetta; aspetta una risposta che in genere, tipicamente, o non arriva o arriva uno o al massimo due giorni prima della data in cui il guest dovrebbe arrivare. E quando arriva, se arriva, tipicamente è una risposta breve e interlocutoria, tipo: «Grazie, mi hanno già risposto in due o tre, ti faccio sapere». ma dove sono capitato?!? 87 Una persona normale a questo punto ci metterebbe una pietra sopra, chiudendo la faccenda e organizzando le sue giornate come più gli piace. Invece, il Tipo a posto risponderà: «Ok, decidi pure con calma, fammi sapere» e magari, in un moto protettivo anch’esso figlio del senso di colpa, lascerebbe anche il numero di cellulare, «così puoi chiamarmi anche all’ultimo». La fortuna del Tipo a posto è che alla fine il suo potenziale ospite sceglierà sempre un altro host. Non riscriverà e non chiamerà, perché non si sarà appuntato il numero da nessuna parte. Il Tipo a posto dopo un po’ questo lo sa, lo ha imparato. Eppure continua a comportarsi allo stesso modo, a rispondere con garbo e sorrisi alle richieste più improbabili e raffazzonate. Continuerà a dire «Sì», «Ok», «Decidi pure con calma», «Non c’è problema», perché così il suo senso di colpa sarà zittito, e nessuno mai si presenterà davvero da lui. ma chi ho fatto entrare in casa?!? 10 Ma chi ho fatto entrare in casa?!? Come più volte ripetuto, il Couchsurfing è costituito da host e guest. E come ci sono gli ospitanti da cui nessuno vorrebbe andare, allo stesso modo esistono gli ospiti che nessuno vorrebbe accogliere in casa propria. Così, anche in questo caso, esagerando per scherzo le caratteristiche meno desiderabili in un viaggiatore, ma attingendo dalla nostra esperienza e dai racconti che ci sono stati fatti, abbiamo creato cinque profili di surfer con cui nessun host sano di mente vorrebbe mai avere a che fare. Lo Scroccone Lo Scroccone è colui che considera il Couchsurfing nella sua accezione più materialistica, ovvero, semplicemente, “viaggiare gratis”. Intendiamoci, siamo in tempi di crisi e viaggiare costa sempre di più, 89 per cui non c’è niente di male a utilizzare il Couch surfing (anche) per evitare di spendere una cifra per dormire, ma... A tutto c’è un limite! Il “problema” è che, contrariamente ad altre categorie di surfer, non è facile riconoscere uno Scroccone dal suo profilo, sia perché non c’è una voce “dedicata”, sia perché, anche se ci fosse, chi mai direbbe di sé che “l’importante è andare a scrocco”? A dire il vero, ci sono due categorie di Scrocconi: gli Scrocconi in Buonafede sono quelli che non hanno ben inteso la filosofia del Couchsurfing, e pensano di avere a che fare con una sorta di “catena” di ostelli gratuiti; gli Scrocconi in Malafede sono coloro che invece hanno capito benissimo, e cercano di approfittarsi il più possibile delle buone anime che danno loro alloggio. Partiamo da questi ultimi, senza dare loro troppo spazio immeritato: come abbiamo già detto, il Couchsurfing è costituito da persone di ogni tipo, e se la maggior parte vive questa esperienza nel rispetto di chi ospita, c’è sempre chi si crede più furbo degli altri. Anche gli Scrocconi in Malafede usano il Couchsurfing come una “catena” di ostelli gratuiti, ma, a differenza di quelli in Buonafede, non pensano “ingenuamente” che funzioni così, ma lo fanno di proposito. Innanzitutto, gli Scrocconi in Malafede viaggiano in gruppo: tre o quattro amici squattrinati che vogliono trascorrere un weekend di baldoria in una 90 incontri fuori dal normale grande città; il prescelto di questo gruppetto si iscrive a Couchsurfing e cerca un malcapitato disposto a ospitare più persone. La tattica è questa: cerco alloggio per me, o per me e un amico, e all’ultimo momento prego in sanscrito il mio host che accolga un altro paio di amici, spiegando affranto che avevano trovato alloggio presso un’altra persona che però, all’ultimo momento, ha dato buca. Mosso dalla compassione, l’ingenuo ospitante si ritroverà così in casa un’orda di ragazzi (o ragazze) scatenati e con l’obiettivo di non bere un goccio d’acqua per tutto il weekend. Lo spavento iniziale scemerà in modo inversamente proporzionale alla quantità di alcol che i suoi nuovi amici gli faranno ingerire, il che gli permetterà di non rendersi conto della devastazione casalinga fino al lunedì, quando la sbronza sarà passata e gli Scrocconi in Malafede già tornati al loro Paese d’origine. Certo, la casa assomiglierà a un tendone dell’Oktoberfest dopo la chiusura, il frigorifero avrà appeso il cartello “Sold out” e il mobile bar sembrerà il ripiano dei superalcolici di un bar di New York negli anni ’20, ma... «Alla fine ci siamo divertiti, no?» cercherà di convincersi l’host, senza ricordare granché. «Quindi, dai, perché mai dovrei scrivere una referenza negativa?» Un altro discorso va invece fatto per l’altra categoria di Scrocconi, quelli in Buonafede. Di solito ma chi ho fatto entrare in casa?!? 91 viaggiano da soli, raramente per turismo, più spesso per recarsi a un colloquio di lavoro, a un evento sportivo, a un concerto e chi più ne ha più ne metta. Appena ha fissato il colloquio (o comprato il biglietto per la partita o per il concerto), lo Scroccone in Buonafede si trova dinanzi al problema non da poco di trovare un alloggio low-cost. Perché, per un motivo o per l’altro – il colloquio serve, appunto, per uscire dalla disoccupazione; i biglietti per la Finale di Champions League costano quasi quanto il cartellino di uno dei giocatori in campo; gli AC/DC sono ormai prossimi alla pensione e devono pur assicurarsi in qualche modo il loro futuro –, i soldi scarseggiano. È a quel punto che lo Scroccone in Buonafede si ricorda di quel suo amico un po’ hippy che gli aveva raccontato delle sue vacanze in giro per la Scandinavia saltando da un divano all’altro; un po’ scettico, contatta l’amico, chiede come funziona, compila diligentemente il suo profilo sul sito e si tuffa alla ricerca di un divano. E la classica fortuna del principiante lo assiste: nel giro di un paio di giorni gli rispondono tre o quattro potenziali host e, dopo qualche scambio di e-mail, vede che uno di loro abita a meno di dieci minuti dallo stadio (poniamo che gli AC/DC suonino lì, o che il colloquio sia per lavorare come cassiere della biglietteria). Si affretta così a “prenotare” il posto letto e si rifà vivo qualche giorno prima della partenza per confermare il suo viaggio. 92 incontri fuori dal normale All’arrivo, di solito in tarda serata, lo Scroccone in Buonafede nota con disappunto che il suo giaciglio si trova nel soggiorno della casa, in cui vivono altre tre persone, di cui due fumatori: preso dall’entusiasmo trionfale per aver trovato da dormire a così poca distanza dallo stadio, si è dimenticato di chiedere informazioni su tutte le altre caratteristiche dell’appartamento. Il suo host cerca di metterlo a suo agio chiedendogli se ha cenato e offrendogli una porzione di una specialità locale preparata apposta per lui. Lo Scroccone in Buonafede mangia turandosi il naso – la cucina “etnica” non è mai stata la sua passione – ma chiede il bis perché, tra treno, aereo e metropolitana, ha mangiato solo un panino in tutta la giornata. Dopo cena l’host gli propone di uscire a bere qualcosa, ma lo Scroccone in Buonafede è parecchio stanco e il giorno dopo deve essere in forma: piuttosto, se non è un problema, preferirebbe bersi una o più birrette in casa guardando la Finale per il 3º/4º posto in TV prima di andare a nanna. Il mattino dopo, lo Scroccone in Buonafede si alza carico per il suo colloquio/concerto/partita, ma l’entusiasmo inizia a spegnersi quando scopre che fuori dal bagno c’è la coda. Il suo host lo saluta di fretta scusandosi perché è in ritardo per andare al lavoro, e gli indica la sua parte di credenza da cui può attingere ciò che vuole per fare colazione, facendo come se fosse a casa sua. Un po’ contrariato perché di ma chi ho fatto entrare in casa?!? 93 Nutella ce n’è solo un dito e l’unica marmellata è di fragole, frutto a cui è allergico, lo Scroccone in Buonafede cerca comunque di dare il massimo per non deludere il padrone di casa, facendogli fuori mezza dispensa, per poi andare finalmente in bagno, rimettere tutto a posto nel suo trolley e uscire di casa. Nel caso del colloquio, tornerà per cena, che si farà nuovamente offrire dalla cucina della casa, e saluterà cordialmente il suo ospitante prima di andare in aeroporto; nel caso della partita o del concerto, tornerà, stanco e sudato, a tarda notte, rispondendo solo a monosillabi al padrone di casa che l’aspettava sveglio sia per aprirgli la porta, sia per chiedergli affabilmente com’era andata. Il giorno dopo, dopo aver fatto fuori l’altra metà della dispensa a colazione e aver ringraziato quello sconosciuto che l’ha ospitato, si avvierà verso la metropolitana pensando: «Va bene che è gratis, ma tutto ’sto entusiasmo per questo Couchsurfing proprio non lo capisco...». Il Marpione Il Marpione, purtroppo, è forse la tipologia di couchsurfer più diffusa; ma, per fortuna, solitamente è anche una delle più riconoscibili. In parole povere, il Marpione è colui che ha scambiato Couchsurfing per un sito d’incontri. Non lo si può negare: anche Couchsurfing, come praticamente tutti gli altri social network, pullula di personaggi che in modo più o meno bizzarro cercano di ottenere, grazie alla “vita 94 incontri fuori dal normale virtuale”, quello che non riescono ad avere nella vita reale. Sì, se non fosse chiaro, stiamo parlando di sesso. La tipologia di Marpioni è così ampia che non basterebbe un intero libro a classificarli tutti: si va dal trentenne appena mollato dopo quindici anni di fidanzamento che vuole rifarsi un’adolescenza, all’uomo-zerbino in cerca disperata di una compagna per la vita, dal tombeur de femmes che vuole aggiungere un’altra preda alla sua collezione, al nerd che ha una conoscenza tanto vasta quanto teorica della materia. Come abbiamo già detto nella prima parte del libro, nessuno vieta che tra host e guest possa “nascere qualcosa”, ma questo qualcosa deve nascere tra due adulti consenzienti, in modo che entrambi ne traggano “beneficio”, e, soprattutto, “alla luce del sole”. Quando invece questa intenzione è inizialmente nascosta, o esclusivamente da una parte, la stessa parte che proprio non vuole capacitarsi del fatto che l’altro – anzi, il più delle volte “l’altra” – proprio non ne vuole sapere, ecco che la cosa diventa un problema. Ma quindi, in definitiva, come si riconosce a prima vista un Marpione? Se è un Marpione che ha un certo successo con le donne, il suo profilo sarà ricco di recensioni positive, scritte però all’80% (se non di più) da belle ragazze, anche se spesso basta cercare un po’ meglio per trovare un paio di recensioni neu- ma chi ho fatto entrare in casa?!? 95 tre, o addirittura negative, che dovrebbero fungere da campanello d’allarme. Se invece si tratta di un Marpione sfortunato anche con il sesso virtuale, è ancora più semplice: le recensioni sul suo profilo saranno prossime allo zero, dato che anche eventuali esperienze finite a ceffoni (virtuali e non) non avranno un seguito con una recensione negativa: spesso le ragazze, come abbiamo visto, scelgono di non “infierire”, preferendo, a discapito di chi verrà dopo di loro, non commentare piuttosto che farlo negativamente. Il Marpione non sceglie la meta del suo viaggio secondo i suoi interessi culturali, né chi contattare come host in base a ciò che hanno in comune: dipende più che altro dai gusti in fatto di donne (bionde, more, alte, basse?), anche se spesso si tratta di una città del Nord Europa, in cui si pensa che il gentil sesso sia, per così dire, meno “problematico”. Dopodiché, bisogna contattare le potenziali host, e il Marpione ha una tattica tutta sua, tanto semplice quanto, a suo dire, infallibile: imposta i filtri di ricerca su “Age: 18 to 40”, “Female” e “Has Photo”, e poi inizia a scorrere tutti i risultati come se si trattasse di un book fotografico. Quando la foto è di suo gradimento (e la percentuale di foto di gradimento è direttamente proporzionale al grado di disperazione sessuale del Marpione stesso), apre il profilo corrispondente, dà una rapida occhiata per controllare che non ci sia scritto “vivo con il mio fidanzato” 96 incontri fuori dal normale (ma questo passaggio è opzionale), clicca su “Send CouchRequest” e incolla sempre lo stesso messaggio preconfezionato, in cui si presenta come in “disperata ricerca” di un host per un viaggio semi-improvvisato, avendo l’accortezza (a volte) di cambiare il nome del destinatario. E funziona, questa tattica? Considerando che per ogni meta manderà almeno un centinaio di richieste... Sì, sparando nel mucchio, qualcuna ci casca: un’anima ingenua che non sa a cosa andrà incontro. Perché il Marpione, ovviamente, non è uno stupratore seriale, ma ci proverà con la sua “vittima” fin dal primo istante del loro incontro, in modo continuo e instancabile, mirando al successo attraverso l’esasperazione, senza capire né che una persona può non avere voglia di fare sesso con uno sconosciuto, né, soprattutto, che può non avere voglia di fare sesso con uno sconosciuto se lo sconosciuto è lui. A volte ce la farà, trovando “pane per i suoi denti” o andando in meta per sfinimento altrui; altre, di solito la maggior parte, no, ma riuscirà comunque a uscire illeso dalla casa della ragazza; altre ancora, verrà fisicamente allontanato dal coinquilino della sua host, che, per sfiga, è un giocatore di rugby. Ciò intaccherà forse la sua integrità fisica, ma non quella del suo profilo, che rimarrà, lindo e immacolato, pronto ad attirare la prossima “preda” sprovveduta. ma chi ho fatto entrare in casa?!? 97 Il Fenomeno Il Fenomeno teoricamente sta ai surfer come il Professionista sta agli host. “Teoricamente” perché, pur vedendosi come un viaggiatore provetto, anzi, come la definizione vivente del concetto di “viaggiatore”, il Fenomeno tende spesso, consciamente o inconsciamente, a sopravvalutare se stesso e le sue “imprese”, che nei suoi racconti acquisiscono talvolta addirittura un alone mistico. Come il Professionista, il Fenomeno è facilmente riconoscibile già dal suo profilo: ha più di un centinaio di amici sparsi per ogni angolo del globo, altrettante referenze positive, parla almeno quattro lingue a livello “intermediate” e altrettante a livello “beginner”, e il suo profilo è infarcito di frasi a effetto, spesso rubacchiate qua e là sul web, che parlano di viaggi, ovviamente, ma anche di salvaguardia del pianeta, rispetto della natura, religioni “alternative”, pratiche yoga o ayurvediche, e un miliardo di altri interessi. Dopotutto, viaggiare apre la mente, no? E quindi che male c’è a farlo un po’ notare? Non fraintendete, i Fenomeni sono senza dubbio persone interessanti, che hanno vissuto un sacco di esperienze che una persona media forse nemmeno si immagina, ma forse risulterebbero un po’ più simpatici se non si sentissero in dovere, oltre che in diritto, di intervenire in ogni conversazione, su qualsiasi argomento, che loro di sicuro hanno già visto, vissuto, provato, mangiato, studiato, sperimentato, ecc. 98 incontri fuori dal normale La prima cosa che un Fenomeno chiederà al suo host è probabilmente un letto. Ma non per dormire (e neanche per quello che state pensando, maliziosi!). No. Lo chiederà semplicemente per chiedere. E per darsi così la possibilità di iniziare a raccontare: «Tu non hai idea... Una cosa incredibile... Sono in viaggio da tre giorni e ho dormito sì e no un paio d’ore per notte... No, no, che hai capito? Sono in viaggio da tre giorni per tornare a casa... In realtà sono due anni che giro per il mondo, almeno credo... Sì, un anno e mezzo o due... Una cosa incredibile, quando viaggi il tempo diventa relativo, solo un ulteriore vincolo che la società ti impone per tenere a freno il tuo spirito, ma in realtà nel viaggio il tempo si misura con i segni che lascia sul tuo corpo, più che con i giorni, le ore e i minuti... Tu non hai idea...» L’host, che un’idea inizia ad averla, cercherà di tagliar corto, chiedendo al suo ospite se vuole mangiare qualcosa, dato che, nonostante la sua richiesta iniziale, non sembra avere nessuna intenzione di andare a dormire. «Grazie mille, davvero. Anzi, lascia stare, cucino io per te, per sdebitarmi. No, davvero, mi fa piacere. Ti preparo un piatto che ho imparato a fare in Amazzonia, in carcere. Sì, una cosa incredibile... Ero stato arrestato per un disguido... Tu non hai idea... Mi son fatto una settimana dentro prima che tutto venisse chiarito. Ma, ti dirò, è stata un’espe- ma chi ho fatto entrare in casa?!? 99 rienza anche quella... Una volta uscito, mi sono sentito cresciuto spiritualmente...» Insomma, è abbastanza chiaro: quando a un host capita di ospitare un Fenomeno, in pratica sa già che non aprirà bocca per tutta la durata del suo soggiorno. Potrebbe, però, andare anche peggio. Per esempio, i Fenomeni da ospitare potrebbero essere due; in quel caso, soprattutto se i due non si conoscono, scatta la gara. «Sono partito dal Perù e ho risalito tutta la Panamericana in autobus...» «Io mi sono fatto dalla Francia all’Iran in autostop...» «Ho viaggiato parecchio, ma ho anche vissuto parecchio, in giro per il mondo...» «Io ho vissuto per due settimane in Mali... Tu non hai idea...» «Io qualche mese in Costa Rica, qualche mese in India e qualche mese in Nuova Zelanda...» «Dopodiché ho attraversato il Sahara e sono arrivato in Egitto...» «Io qualche anno fa mi son fatto il Deserto di Sonora a piedi... Cioè, una parte... Una cosa incredibile...» «Anche se l’esperienza più emozionante è stata forse navigare lungo il Rio delle Amazzoni su una zattera costruita con le mie mani... Sì, insomma, da me e da alcuni indigeni... Una cosa incredibile...» «Io per sfuggire a un rapimento in Medio Oriente 100 incontri fuori dal normale ho dovuto fingere di essere un arabo sordomuto... Tu non hai idea...» In tutto questo il povero host non è minimamente coinvolto, se non passivamente, come giudice, a cui a intervalli irregolari viene chiesto di emanare un cenno di assenso, un mugugno di approvazione, un monosillabo di stupore, mentre mentalmente conta i secondi che lo separano dalla partenza dei due Fenomeni. Potrebbe, però, anche andare meglio. Per esempio quando, per zittire un minimo il Fenomeno suo ospite – il quale, poiché sua madre gli aveva tagliato i fondi dopo due anni di vagabondaggio di cui tralasciamo gli innumerevoli particolari, era stato costretto a cercare lavoro in una fattoria in Armenia e aveva anche dovuto imparare l’armeno, la sua settima lingua ormai, perché lì ovviamente nessuno parlava inglese... Una cosa incredibile... –, l’host decide di portarlo fuori a bere una birra con i suoi amici. E si dà il caso che, tra questi amici, ci sia Serj, un ragazzo di origine armena. Al quale, appena viene a sapere che l’ospite del suo amico ha vissuto nel suo Paese, non sembra vero di poter finalmente interagire nella sua lingua madre con qualcuno che non siano i suoi parenti. Si avvicina quindi visibilmente emozionato al Fenomeno e gli dice: «Barev, anun’s Serj e, shat hatcheli e!»9. 9 «Ciao, io sono Serj, piacere di conoscerti!» ma chi ho fatto entrare in casa?!? 101 Il panico negli occhi del Fenomeno mentre si guarda intorno e risponde: «Eh?!?» è semplicemente impagabile. Perché le cose incredibili, a volte, accadono davvero. Il Disorganizzato Più di ogni altro tipo di viaggiatore, il Disorganizzato incarna il lato tragicomico (nel senso più pieno del termine) che il viaggiare talvolta può assumere. Disorganizzato, però, non vuol dire sprovveduto, o almeno non completamente: il nostro surfer sa benissimo che per non spendere un capitale un viaggio va preparato con un certo anticipo. Ed è quello che fa, prenotando un biglietto di andata e ritorno, ad esempio per Oslo, già tre mesi prima della partenza. Il problema viene dopo; subito dopo, in realtà, perché non appena prenotato l’aereo, il Disorganizzato semplicemente si dimentica del suo viaggio: pianificare non gli è mai andato troppo a genio, mentre per trovare un alloggio con Couchsurfing è troppo presto e, in ogni caso, c’è sempre il salvagente dell’ostello last-minute: dopotutto, chi mai andrà a Oslo in un banale weekend di metà maggio? Intanto, il tempo passa, la partenza si avvicina, e il Disorganizzato inizia a prendere consapevolezza del fatto che è meglio iniziare a muoversi; ma dalla consapevolezza all’azione passa un altro mese buono. Così, quattro giorni prima della partenza, il Disorganizzato inizia disperatamente a “spammare” 102 incontri fuori dal normale ogni utente di Couchsurfing residente a Oslo e dintorni, supplicando un posto letto. Ma, a parte un paio di rifiuti, nessuna risposta; finché, la notte prima della partenza, ecco la speranza: una ragazza, niente male tra l’altro, gli dice che forse (forse, eh), lo può ospitare: meglio però se si risentono direttamente il giorno dopo. Immensamente sollevato, il Disorganizzato finisce di preparare la valigia, azzardandosi addirittura a fantasticare come un Marpione sulla serata con la sua host; dorme come un angioletto, prende il volo per Oslo grazie a mammina che lo sveglia in tempo e arriva finalmente nella capitale norvegese. E qui iniziano i casini. Mentre aspetta il treno per il centro, realizza che, in effetti, il suo cellulare all’estero non può navigare in internet: e ora, come fa a ricontattare la ragazza? La cosa più semplice è cercare un internet point e durante il tragitto apre lo zaino per prendere la guida e cercarne uno. Ma la guida non c’è. Mentre se ne rende conto, un’immagine inizia a emergere dal fondo del suo cervello: la guida di Oslo lasciata sulla scrivania, di fianco al caricabatterie del cellulare, proprio per ricordarsi di prenderla. Risultato: ha dimenticato anche il caricabatterie. Ma poco importa, perché, se il Disorganizzato ha un pregio, è quello di non scoraggiarsi mai. Trovato un internet point poco fuori dalla stazione, entra, si connette, accede al suo profilo CS, ma ma chi ho fatto entrare in casa?!? 103 non trova nulla di nuovo; cerca così un ostello, ma, incredibilmente, non trova nemmeno un posto in tutta la città. La camera che costa meno è in un 3 stelle, a 160 euro per notte, che è più o meno il suo intero budget per tre giorni. Mentre il suo cervello si chiede come sia possibile che il 17 maggio a Oslo ci sia il tutto esaurito, arriva finalmente un colpo di fortuna: l’e-mail di conferma della disponibilità della host di Couchsurfing. Euforico, il Disorganizzato scrive su un foglietto il numero della ragazza, visto che il cellulare è spento per risparmiare la batteria, e, dopo aver speso mezzo stipendio per dieci minuti scarsi di connessione internet, spende l’altra metà in un negozio di souvenir per una guida illustrata della città, scritta in un italiano improbabile. Finalmente, però, può iniziare a godersi la città: l’Opera, la Fortezza, Karl Johans Gate, Aker Brygge... E intanto, arrivano le 16, l’ora in cui la sua host gli ha chiesto di chiamarla. Riaccende il cellulare e, mentre riceve una decina di messaggi del tipo “Benvenuto in Norvegia”, fruga nelle tasche in cerca del biglietto su cui si era scritto il numero di telefono. Che, ovviamente, non c’è. Maledicendo l’incolpevole internet point, ne cerca in fretta e furia un altro per rifare tutta la trafila, compreso il capitale speso per pochi istanti di connessione; ma l’importante è il risultato e, finalmente, riesce a chiamare e ad accordarsi. 104 incontri fuori dal normale Il Disorganizzato pensa così che finalmente il peggio è passato; invece, il disastro deve ancora venire. Appena entrato in casa dalla sua host, carina e simpatica come si poteva immaginare dal suo profilo, è già ora di uscire di nuovo, giusto il tempo di darsi una rinfrescata alla faccia, perché gli amici di lei li aspettano in centro per cena. Alle 17.30?!? Certo. Welcome to Norway! Dopo un altro interminabile viaggio in metro (ma sul profilo non diceva “appena fuori dal centro”?), una passeggiata davanti al Palazzo Reale in mezzo ai festeggiamenti per il Giorno della Costituzione (ah, vuoi vedere che è per questo che gli alberghi sono tutti pieni?), una cena di pesce da 80 euro a testa, un paio di cocktail da 15 euro cadauno (più un altro paio offerti alla sua gentile host) e l’ennesimo viaggio in metropolitana, stavolta passato a limonare con la host stessa (giusto per confermare lo stereotipo sui “liberi costumi” delle ragazze del Nord Europa), si giunge “al sodo”: mentre la ragazza continua a “caricarsi” sfoderando una bottiglia di vodka dalla sua fornita riserva personale, il Disorganizzato va a lavarsi. Mentre si sta asciugando fuori dalla doccia, però, un’altra terribile immagine gli balena in testa: quella delle sue mutande, diligentemente prelevate dal cassetto e ben ripiegate sul letto quella mattina mentre faceva la valigia, e lasciate sul letto stesso, a casa, a 2.000 km di distanza. ma chi ho fatto entrare in casa?!? 105 Ma è quando esce dal bagno con il solo asciugamano legato in vita, mentre lei sta pensando di saltagli addosso e levarglielo, che il Disorganizzato si trova costretto a disilludere tutte le aspettative piccanti della sua host, chiedendole imbarazzato: «Non è che avresti un paio di pantaloncini da prestarmi...» e realizzando che, stavolta, ha proprio toccato il fondo. Il Precisino Diciamo la verità, la figura del Precisino non è particolarmente originale, anzi, se ne è abusato sia in letteratura che, soprattutto, nel cinema. Ma non possiamo comunque evitare di parlarne, perché, ovviamente, il Precisino esiste anche nella vita reale, ed è in grado di trasformare un’esperienza di Couchsurfing in un incubo, anche se per fortuna i casi “estremi” come quello descritto di seguito sono più unici che rari. Il Precisino è ovviamente l’esatto opposto del Disorganizzato, e inizia a pianificare il suo viaggio con largo, larghissimo anticipo, iniziando già quattro o cinque mesi prima a spulciare uno per uno tutti i risultati che escono cercando un divano nella sua città di destinazione. Prima utilizza i filtri per sesso, età o parole chiave, cercando interessi in comune quali probabilmente numismatica, botanica o armature medievali; poi però ci ripensa, riflettendo sul fatto che il rischio di escludere un utente solo perché non ha specificato quanti anni ha è piuttosto 106 incontri fuori dal normale alto. A quel punto, salva tra i preferiti i profili che più lo convincono e prende diligentemente appunti su ognuno, segnandosi pro e contro e quello che manca nel profilo, che verrà prontamente chiesto al momento del contatto. E il momento del contatto arriva: se Couchsurfing suggerisce, per quella determinata città, di mandare quindici richieste, il Precisino ne manda una trentina. Per iniziare, può bastare. Dopo due giorni, vaglia le risposte e... le “non risposte”: chi non ha risposto in quell’arco di tempo viene inevitabilmente scartato, in quanto poco affidabile, mentre con quelli che hanno risposto inizia una serie di e-mail per stabilire i dettagli del viaggio. Nel caso nessun divano fosse disponibile, si passa a un secondo invio di massa. Quando si avvicina il momento della partenza, il Precisino è già pronto da tempo: ha indirizzo e-mail, contatto Facebook, numero di cellulare e indirizzo del suo host, ha stampato il percorso dall’aeroporto a casa (si sa, all’estero navigare con lo smartphone ha costi proibitivi) e ha già comunicato l’ora del suo arrivo, con un’abbondanza di circa 45 minuti per prevenire eventuali ritardi nella consegna del bagaglio o nel viaggio in metropolitana. Quello che però il Precisino non poteva calcolare è che una passeggera dell’aereo svenisse poco prima del decollo, costringendo il volo a un ritardo di un’ora e mezza; e che quel ritardo influisse anche sul viaggio in metropolitana, che sarebbe dovuto ma chi ho fatto entrare in casa?!? 107 iniziare alle 8 del mattino e che alle 9.30 non era più possibile, visto che il sindacato dei trasporti pubblici aveva indetto uno sciopero generale a partire dalle 9.00; e che ci fosse di conseguenza una coda infinita per prendere un taxi; e che il taxi in questione, una volta riuscito a salirci a bordo, non accettasse pagamenti con carta di credito e lui non avesse soldi con sé (regola numero 1 per non essere derubati: mai viaggiare con troppi contanti). E poco importa che il padrone di casa, debitamente avvisato del ritardo, questo sì, al momento del suo arrivo gli dica allegramente che non fa niente, che non è colpa sua, e che l’importante è che, alla fine, sia arrivato. No, no. Ormai il viaggio è rovinato. Anche perché, stando a quanto avevano concordato, avrebbe dovuto esserci un letto con tanto di lenzuola e coperte, mentre in realtà si tratta di un divano-letto con un piumone decisamente troppo pesante per il caldo che fa in quella casa. Per non parlare del bagno: il suo host gli aveva detto di non sprecare spazio in valigia con gli asciugamani, che glieli avrebbe prestati lui, ma... Saranno mica asciugamani quelle due minuscole salviettine lise che gli ha affibbiato?!? E, soprattutto, il bagno è invivibile, non c’è nemmeno uno spazio per appoggiare vestiti e asciugamani, la doccia è in realtà una vasca da bagno chiusa da un’odiosa tendina che si appiccica al corpo quando si bagna, e il ripiano sopra il lavandino non ha nemmeno un centimetro quadrato libero, pieno com’è di 108 incontri fuori dal normale spazzolini, dentifrici, schiume da barba, lamette, saponette, cotton-fioc, tagliaunghie, forbicine, pinzette, creme per il corpo, schiuma e gel per capelli e lozione dopobarba. Per non parlare della carta igienica, anarchicamente appoggiata sopra il calorifero nonostante l’esistenza di un portarotolo appeso al muro. Dopo aver difficoltosamente espletato le sue esigenze igieniche e fisiologiche, il Precisino raggiunge il padrone di casa in cucina e lo trova in compagnia di una ragazza che gli viene presentata come la sua coinquilina. Nelle e-mail di presentazione in effetti lui gli aveva detto che divideva l’appartamento con altre due persone, ma non aveva specificato che una di queste era una donna! Vincendo l’imbarazzo si siede a tavola, stappa faticosamente con un apribottiglie difettoso la birra che gli viene offerta e si mette a esaminare il pranzo speciale che sta per essere preparato per lui. Il problema è che “speciale” significa “pasta”, in onore dell’ospite italiano. Ma l’ospite italiano in questione non è di quelli che si limitano a un sorrisino imbarazzato e alla battuta simpatica: «non è male, per essere cucinata da uno straniero». No. Il Precisino si sente in dovere di indottrinare l’host sul rapporto tra la quantità di acqua, la quantità di sale e la quantità di pasta da cuocere, sul tempo di cottura, sul fatto che no, non bisogna lasciare la pasta troppo a lungo nello scolapasta, se no scuoce comunque, e che sì, conviene preparare il sugo durante la ma chi ho fatto entrare in casa?!? 109 cottura della pasta, non dopo. E che no, un piatto di pasta scotta con sopra delle verdure tagliate alla julienne e una bistecchina di tacchino non è “vera pasta italiana”. E, per concludere, già il vino rosso con la carne bianca c’entra poco, ma freddo di frigorifero non s’è mai visto. A quel punto, l’host si è ormai reso conto di che personaggio si ritrova in casa, e accoglie con sollievo la notizia che il suo ospite, per quel pomeriggio, ha in programma una visita in solitaria del centro storico. Ma non sa a cosa va incontro. Il Precisino gli chiede a che ora sarebbe opportuno che lui rientrasse, e l’altro gli dice che per l’ora di cena dovrebbe già essere a casa. Ma quando, alle 19 in punto, il Precisino suona il citofono del suo ospitante, ad aprirgli sorridente è la sua coinquilina: «Ciao, tutto bene? No, non è ancora tornato, arriverà a momenti. Vuoi una birra?». L’imprevisto ritardo del padrone di casa è intollerabile e viene solo in parte mitigato dalla gentilezza, e dal sesso femminile, della coinquilina. A quel punto, il Precisino decide che tanto vale provare a trasformarsi in Marpione, ma dopo pochi istanti sbuca dal bagno un nigeriano di due metri con pettorali d’acciaio e braccia dalla circonferenza pari a un palo della luce, che si presenta allegro come il fidanzato di lei. Il Precisino, tra l’incredulità degli altri due, si ritirerà in salotto con la birra in mano e la coda tra le gambe, chiudendosi in se stesso e senza neanche la 110 incontri fuori dal normale forza di lamentarsi in silenzio quando, poco dopo, il suo host rientrerà in casa con tre amici incontrati per caso poco prima, che l’hanno pregato di invitarli a cena quando hanno saputo che aveva un ospite italiano. «Non è un problema, vero?» Dopo una notte sullo scomodo divano-letto, il Precisino ringrazierà freddamente il suo host e dirà che gli hanno anticipato l’aereo di qualche ora, scusa improbabile per poter uscire il più presto possibile da quella “gabbia di matti”. Surfer che non surfano: l’Inconsapevole L’Inconsapevole fa parte di una categoria a sé di couchsurfer e si può definire come degno erede di quei viaggiatori che negli anni ’60 e ’70 viaggiavano per l’Europa e per il mondo in autostop, zaino in spalla e via. Tuttavia, l’Inconsapevole è conscio di vivere nel terzo millennio, e deve per forza di cose scendere a patti coi tempi che cambiano. Per esempio, ha un cellulare di ultima generazione, ma potrebbe “dimenticarsi” il caricabatterie a casa (ammesso che abbia una fissa dimora) per “obbligarsi” a non utilizzarlo; come i suoi “predecessori”, viaggia per conoscere nuovi posti, ma passa almeno un paio d’ore al giorno in un internet point per leggere le e-mail, far morire di invidia i suoi amici condividendo status sul suo vagabondare e cercare qualcosa da fare nella città in cui è appena arrivato; infine, conosce gente del posto prima di arrivare nel posto stesso, grazie a Facebook, Twitter, Google+, Instagram, Spotify, svariati social network tematici e chi più ne ha più ne metta... Ma Couchsurfing proprio no. Va bene tutto, ma la ricerca di un alloggio va assolutamente contro la sua filosofia di viaggio: per fare il viaggiatore-vagabondo è esclusa la pianificazione dei posti letto. ma chi ho fatto entrare in casa?!? 111 Così, l’Inconsapevole ha tre alternative per trovare un luogo per la notte: cercare la zona più riparata del parco più accogliente della città, sperando che non piova, che non lo arrestino o che non lo facciano fuori; pagare un infimo ostello spesso più sporco di lui; oppure conoscere per caso qualcuno che abbia pietà di lui e lo ospiti per una notte. Dopo essere approdato in città, l’individuo in questione, come detto, spende parte del suo budget giornaliero per passare un’ora o due in un internet point, in cui, al di là delle “questioni personali” che lo legano al resto del mondo, cerca eventi in cui scroccare da mangiare e centri sociali dove incontrare un po’ di gente. Dopo aver girovagato a caso per la città con una quintalata di zaino sulle spalle, magari sotto il sole cocente, l’Inconsapevole al calar del sole si reca al centro sociale di turno, dove si mette in un angolo (ma ben visibile) a farsi i fatti suoi, tirando fuori un libro tenuto insieme con lo scotch o un taccuino su cui prende appunti sulla giornata appena trascorsa, aspettando che qualcuno gli rivolga la parola: dopotutto, è lui il “forestiero” che dovrebbe essere al centro dell’attenzione e della curiosità degli altri... Che siano loro a fare la prima mossa! In un modo o nell’altro, alla fine il contatto avviene: solito scambio di nomi, provenienze, informazioni sulla vita, sugli studi, sui viaggi... A fine serata, dopo il concerto punk di turno, svariate birre e qualche canna, c’è sempre tempo per un’ultima pinta. E, sarà per l’ora tarda, sarà per la stanchezza di chi non dorme su un materasso da tre giorni, sarà per l’alcol che inizia a sciogliere la lingua, l’Inconsapevole comincia a spostare il discorso, con qualsiasi pretesto, sulla politica e sul suo viaggio, gli unici due argomenti di cui potrebbe parlare per tutta la notte. Un osservatore attento, però, si accorgerebbe che quelli sono solo punti di partenza: partendo dalla politica si arriva presto al numero di manifestazioni a cui ha preso parte e alla quantità di manganellate prese (nel caso di un italiano, tante); partendo dal suo viaggio, invece, presto il focus si sposterà non tanto sulle tappe, quanto sulle difficoltà materiali di trovare qualcuno che ti dia un passaggio, sul rischio di essere derubato in 112 incontri fuori dal normale autogrill nel passaggio da un camion all’altro, sulla sveglia alle 6 al parco per colpa di un giardiniere troppo zelante che doveva tagliare proprio quel prato proprio a quell’ora, fino al poliziotto bastardo che l’aveva cacciato malamente dal corridoio della metropolitana in cui si era rifugiato per fare ancora un po’ di nanna. Il tutto accompagnato da stiracchiamenti dolenti e mani passate più volte sulla schiena provata da tante notti all’addiaccio e dal peso dello zaino. Così, prima o poi, arrivato il momento dei saluti, qualcuno – di solito una ragazza (spinta in parte dal fascino del selvaggio, in parte da uno spirito materno innato) – ci casca: «Ma davvero adesso vai al parco a dormire? Ma sei matto? No dai, vieni da me, puoi dormire sul divano». E, senza volerlo, il vagabondo si trasforma in couchsurfer. Solo una volta arrivati a casa la povera martire inizia a capire in che guaio si è cacciata. L’Inconsapevole prende possesso del divano stendendoci sopra un lurido sacco a pelo, mentre lei gli mostra dove sono il bagno e la cucina: «Nel caso ti venga fame, non fare complimenti». È a quel punto che l’Inconsapevole si ricorda che, in effetti, non ha cenato, e nel breve lasso di tempo in cui la padrona di casa si assenta per andare in bagno e mettersi in pigiama, le svuota la credenza. Quando lei torna sbarra gli occhi per un istante, ma poi, accomodante, commenta con un mezzo sorriso il saccheggio («Be’, mi sa che un po’ di fame ce l’avevi») e alla sua richiesta di un’ultima birra prima di andare a nanna acconsente con un sorriso quasi di esasperazione: «Veloce però, ché domani mattina devo andare al lavoro, io». Mentre sorseggiano la birra in salotto, la padrona di casa inizia ad avere qualche ripensamento sull’aver dato ospitalità a una persona conosciuta solo un paio d’ore prima, soprattutto quando costui comincia a mettere in atto quelle che sembrano quasi delle goffe tattiche di abbordaggio. «Però, fa caldo in questa casa» pare proprio una frase detta apposta per togliersi i vestiti, e in effetti l’Inconsapevole inizia a spogliarsi, ma la poverina si rassicura notando che, per fortuna, il caldo è reale, dovuto al fatto che indossa due paia di pantaloni, un paio di felpe e due o tre ma chi ho fatto entrare in casa?!? 113 magliette. A ogni strato levato, però, l’odore del suo ospite sale dalla profondità dei suoi abissi corporei per diffondersi nella stanza. Stordita dagli effluvi, quell’anima pia coglie l’occasione per augurargli la buonanotte e ricordargli che il bagno, nel caso, è in fondo al corridoio, buttando senza volerlo anche l’amo («Quella è camera mia, se hai bisogno di qualcosa bussa senza farti problemi») per un ultimo tentativo di approccio («Ma proprio qualsiasi cosa?»). Ma l’Inconsapevole è troppo stanco per altro che non sia dormire e, non appena si sistema in posizione orizzontale sul divano, cade in un coma profondo da cui, qualche ora dopo, la padrona di casa cercherà di ridestarlo. E a quel punto l’Inconsapevole, nell’ordine, riaprirà a fatica gli occhi, farfuglierà qualcosa di incomprensibile, si trascinerà a fatica fino al bagno sotto gli occhi esterrefatti dei coinquilini della disgraziata che gli ha permesso di infestare il salotto, riemergerà dopo una manciata di minuti, chiederà se per caso qualcuno ha un caricabatterie che gli avanza, riappallottolerà il sacco a pelo, cercherà invano di proseguire nel saccheggio della credenza svuotata la sera prima, supplicherà di lasciargli usare cinque minuti il computer per controllare la posta elettronica, ringrazierà ripetutamente la padrona di casa e se ne andrà, dimenticandosi di farsi una doccia e lasciando un’impronta indelebile, in tutti i sensi, nel divano e nel ricordo della povera buona samaritana di turno. Parte terza La parola ai couchsurfer 11 Esperienze con il Couchsurfing Dopo aver spiegato per bene cos’è il Couchsurfing, come funziona e come parteciparvi attivamente, e dopo aver sorriso immaginando i tipi di incontri che si possono fare grazie a questo modo di viaggiare (e ospitare, ovviamente), è giunto il momento di toccare con mano la realtà. Nelle prossime pagine troverete diverse testimonianze di surfer provenienti da tutto il mondo; più che puri e semplici racconti di viaggio, sono esperienze di vita che evidenziano, ognuna, un aspetto diverso di ciò che è possibile vivere con il Couchsurfing: non solo viaggi incredibili, quindi, ma anche incontri che possono cambiare la vita, momenti che influenzano in modo indelebile la propria visione del mondo e situazioni che diventano speciali proprio nella loro estrema e per questo preziosa semplicità. leggere hafez a shiraz Leggere Hafez a Shiraz di Elena Refraschini couchsurfing.org/people/elenaritaly Sono le 5.40 e, dopo qualche ora di buio che ha ricoperto le dune dell’Altopiano Iranico, il sole sta per alzarsi di nuovo sull’austera stazione dei treni di Shiraz. Alle nostre spalle solo un paio d’ore di sonno: il nostro compagno di scompartimento, Parviz, così timido e gentile da sveglio, si è trasformato in un trattore Lamborghini durante la notte. Come sempre succede a bordo di queste “case viaggianti” (così le chiama la scrittrice Luciana Castellina, che di viaggi in treno se ne intende), conoscere Parviz è stato uno dei tanti doni offerti da questo tipo di avventure itineranti, ancora più prezioso perché in Iran: quasi non ci eravamo nemmeno ancora presentati, ma già avevamo collezionato un invito a Delhi, dove Parviz insegna letteratura persiana all’università, e a Baton Rouge, in Louisiana, dove vive la sorella (è strano quanto la croce di qualcuno possa essere la salvezza di qualcun altro: pensavo al mio host a Memphis, conosciuto l’anno precedente, che era fuggito dalla natia Baton Rouge appena raggiunta la maggiore età). Per questo, forse, amo viaggiare in treno: è quasi un’esperienza mistica, sempre sospesa tra lo spazio 119 ristretto e forzatamente intimo delle cuccette e quello esterno, infinito e costantemente mutevole. Ancora stanchi e assonnati, io e il mio compagno (marito, per le autorità iraniane, e con uno o due figli in cantiere, per Parviz) ci dirigiamo verso il gruppo di tassisti e, con l’aiuto del nostro fedele amico di scompartimento, strappiamo un buon prezzo per una corsa verso la nostra destinazione finale: casa di Arash (come il leggendario arciere persiano), che ha risposto con entusiasmo alla nostra richiesta di ospitalità e che ci sta aspettando, sveglio, in un giorno lavorativo, sull’uscio di casa nel quartiere periferico di Kolbeh. Arash è un trentottenne dall’aria colta e serena, che ha arredato in modo semplice ma attento la casa che sarà la “nostra” casa per i prossimi giorni: è evidente la sua passione per i viaggi, dato che in ogni angolo troviamo souvenir da diverse parti del mondo, dalla Malesia all’Australia. Ma è in Italia che Arash ha lasciato il cuore, e infatti troneggia fiera sulla parete in soggiorno una versione puzzle della Gioconda, pezzo d’arredamento quantomeno discutibile ovunque ma non qui, perché qui è solo un omaggio che fa tenerezza. «La vostra camera è di qui», ci dice mentre ci conduce al suo studio e agli invitantissimi materassi stesi a terra. «Se volete usare il computer, è già acceso. Tornerò a casa insieme a Tahareh verso le 15.» Arash va al lavoro e noi piombiamo in un meritato riposo, con le chiavi di casa in borsa. 120 la parola ai couchsurfer Al risveglio, in cucina troviamo la tavola imbandita e un semplice bigliettino, “Enjoy your breakfast!”. And we did: barbari, il delizioso pane iraniano servito con formaggio di pecora, insalata di cetrioli e pomodorini, yogurt con confettura di ciliegie fatta in casa e l’immancabile tè da bere attraverso una zolletta di zucchero posta tra i denti. Mentre laviamo i piatti, tornano i nostri ospitanti: Tahareh – una donna silenziosa e dai modi gentili che non si toglierà mai il velo dalla testa, neanche in casa – aveva fatto la spesa per il pranzo: kebab con mirza ghasemi, ovvero crema di melanzane (e io che pensavo che in Iran, durante il Ramadan, avrei almeno perso qualche chilo di troppo...). Durante il pranzo conosciamo meglio la metà femminile della casa, che non mangia con noi perché, appunto, è Ramadan: Tahareh (“pura”, ci dice) non condivide la stessa passione di Arash per i viaggi, ma ama la cultura, e infatti segue da diversi mesi un corso di inglese in città (si emoziona un po’, quando le dico che in Italia sono un’insegnante di inglese), mentre da anni si dedica allo studio della poesia di Hafez insieme a un gruppo di amiche. Uno dei motivi per cui abbiamo deciso di fermarci a Shiraz è, in effetti, la sua storia: oltre a essere stata capitale durante la dinastia Zand, Shiraz ha dato i natali a due dei maggiori e più amati poeti persiani, Sa’adi e Hafez. Non basterebbe un libro intero per spiegare cos’è la loro poesia per gli iraniani, ma posso almeno ri- leggere hafez a shiraz 121 cordare rapidamente che, durante Shab-e Yalda (il solstizio d’inverno) oppure il Noruz (il capodanno persiano), dopo cena ogni famiglia prende la propria copia del Canzoniere di Hafez e ne legge un componimento, che si crede essere una previsione per l’anno che verrà. Chiunque in Iran sa recitare a memoria almeno qualche verso di un ghazal di Hafez, e sarà contento di farlo per voi. È per questo che cogliamo la palla al balzo, e chiediamo a Tahareh se ha voglia di accompagnarci a visitare i mausolei dei due poeti, che attirano a Shiraz migliaia di visitatori ogni anno. Arrivati al mausoleo di Hafez, abbiamo occasione di fare un po’ di people watching mentre attendiamo che si accorci la coda all’ingresso: le donne, qui, sanno essere eleganti anche quando devono vestirsi in modo modesto e con colori scuri. Ormai siamo in Iran da qualche settimana e distinguiamo subito le donne delle classi alte: indossano indumenti di tessuti pregiati, per quanto coprenti, e precisi nel taglio; il velo dona grazia al viso, che guarda dritto e sicuro davanti a sé, ben truccato e senza problemi di pelle (l’acne sembra essere un problema molto diffuso qui, specialmente tra le adolescenti). La visita al mausoleo sembra una tappa obbligata per tutti, ricchi o meno. Entrati nel mausoleo, ci attende uno spettacolo quasi surreale: un incantevole giardino (sapete che la parola “paradiso” deriva dall’antico persiano “pai- 122 la parola ai couchsurfer ri daeza”, “giardino chiuso da mura”?) al centro del quale sorge il padiglione che protegge il luogo del riposo del celebre poeta. Mentre gli altoparlanti diffondono versi dal suo Canzoniere, vediamo uomini e donne che sussurrano i componimenti in modo raccolto, altri che baciano la parete marmorea della tomba, altri ancora che vi appoggiano la fronte. «Questo è un vero e proprio luogo di pellegrinaggio», mi spiega Tahareh, «anche se purtroppo non piace al governo, perché apre le menti. Vedi?», mi chiede indicando uno spazio vuoto accanto a noi. «Qui dovevano piantare nuovi alberi, ma hanno lasciato il vuoto.» Da qui ci spostiamo al mausoleo dedicato a Sa’adi, che ci colpisce per la sua severità: è ormai calato il sole, e si raggiunge l’entrata solo dopo aver percorso diverse scalinate. L’altissimo colonnato incute allo stesso tempo timore e rispetto, ma non sembrano farci caso le centinaia di gattini che vivono nel suo giardino, forse cullati anche loro dai dolci suoni della poesia. È ormai buio, e Tahareh può mangiare in pubblico: decidiamo così di sederci sul prato gustando una prelibatezza di Shiraz, il “gelato” faludeh. Arrivati a sera, ci occupiamo della spesa per la cena: halim bademjan (crema di fagioli, manzo e melanzane) e ash-e-sabzi (minestra di Shiraz con riso, carne d’agnello e varie verdure) – si capisce che mi piacciono le zuppe mediorientali? –, senza dimen- leggere hafez a shiraz 123 ticare gli zulbia bamieh, tipiche ciambelle iraniane che sono il dolce preferito di Arash. Compriamo il tutto da barilotti bianchi in mezzo alla strada, e nonostante il contesto il loro profumo è davvero invitante. Durante il tragitto verso casa, a proteggerci c’è il medaglione del profeta Ali, che sussulta sofferente a ogni buca dallo specchietto retrovisore del nostro taxi. Una volta a casa, Tahareh emerge dalla camera dopo un sonnellino con il prezioso volume in mano: il Canzoniere di Hafez. Aprendo il libro a caso, decide di leggerci una poesia, i cui suoni ci rapiscono trasportandoci in un mondo fatto di vino, amici e melodia. Tahareh spiega a noi e al marito che questa poesia parla dell’importanza del vivere appieno ogni giorno, di amare il presente senza preoccuparsi del passato o del futuro, di amare le persone con cui si è in quel momento. La ragazza ha ormai gli occhi lucidi: «Ogni volta che sono triste o felice vado alla tomba di Hafez e leggo una sua poesia, mi aiuta sempre». Siamo tutti commossi, e mentre ci scambiamo sguardi un po’ imbarazzati comprendo ancora una volta il senso di viaggiare con il Couchsurfing: si condividono momenti indimenticabili nel più anonimo dei quartieri, con le persone più riservate, sotto lo sguardo vigile e sereno della Monna Lisa. couchsurfing in asia centrale Couchsurfing in Asia centrale: la sottile linea dell’ospitalità di Marco Ferrarese couchsurfing.org/people/monkeyrock/ Non avrei mai immaginato che un’esperienza di Couchsurfing mi avrebbe permesso di vedere la mia ragazza alle prese con le mammelle di una vacca tagica. «Devi tirare con forza, e sfregare la punta prima di rilasciare», suggerisce sotto un sole di mezza mattinata il nostro host, un cappellino calato sulla testa e una spiga di grano tra le labbra. La linea screpolata delle montagne all’orizzonte separa il Sughd settentrionale dalla Fergana Valley, in Uzbekistan. Siamo finiti in uno strano angolo di mondo, questo è sicuro. La moglie del nostro nuovo amico aiuta la povera Kit a portare a termine l’impresa. Per lei, il gesto è naturale: con dei rapidi colpetti, la mammella spruzza delle gocce di latte che in controluce sembra trasparente, e riempie pian piano un secchio di latta messo in bilico tra le zolle. Ma quando è il turno di Kit, sembra che alla mucca abbiano chiuso il rubinetto. Niente di niente. «Sembra di toccare il dito dei guanti di gomma!», ribatte Kit scostandosi una ciocca di capelli dal viso. 125 La moglie del nostro ospite, sorridendo con estrema pietà, le toglie le mammelle dalle mani e si rimette a pigiare quei ditoni che, a quanto pare, possiamo descrivere come “gommosi”. «Perchè non ci provi tu?» mi chiedono tutti con un solo sguardo. Non faccio in tempo a muovere due passi in direzione della mucca che questa, come se io fossi un maniaco zoofilo, sfila il seno dalle mani esperte della moglie del nostro host e scappa lontano dieci metri. Crediamo entrambi che non sia il caso di approfondire la conoscenza. Siamo giunti a questa situazione perché abbiamo deciso di accettare l’invito di Sam (il suo nome inglese) e salire fuori rotta 80 chilometri a nord di Khujand solo per vedere come si vive in questa sperduta parte del Tagikistan. In verità saremmo diretti a Dushanbe, la capitale, che sta a circa 400 chilometri verso sud. D’altra parte, non capita tutti i giorni di scovare un membro di Couchsurfing in una zona così particolare, e la curiosità è lecita. Quando arriviamo nel suo paese sperduto di cui non ricordo onestamente il nome, lui ci sta aspettando sul bordo della strada con la sua auto. Il bagagliaio è pieno di giare di plastica, vuote. «Generalmente i couchsurfer mi contattano, ma poi non vengono quando scoprono che abito così fuori dal centro di Khujand», dice dopo aver stretto la mano a me ed essersi portato la sua sul cuore davanti a Kit, da buon musulmano. «E prima di tor- 126 la parola ai couchsurfer nare a casa, dobbiamo fare scorta d’acqua, se non vi dispiace», ci informa, mettendo in moto. Il suo inglese è decisamente buono, e sarà finalmente un piacere poter parlare e capirsi con un cittadino del Tagikistan. Infatti, da quando abbiamo attraversato la frontiera in tarda mattinata è stato impossibile districarsi tra più di reciproci “helo”, “auaiou” e “uatsiorneim”. Speak Russian or Die: da queste parti pare che il disco degli Stormtrooper of Death non sia mai arrivato, purtroppo. Sam vive in una bella casa che, in classico stile centroasiatico, non lascia intravedere la sua opulenza dal di fuori. Gli alti cancelli rivelano l’interno solo una volta che le porte hanno ruotato pesantemente su se stesse: quel che in questa parte del mondo non manca è proprio lo spazio. Di solito, le ultime due generazioni di ogni famiglia vivono sotto lo stesso tetto, in case separate e unite da un giardino comune dove tralicci di legno supportano vigneti casalinghi. A volte si trova anche una stanza dedicata alle bestie da soma. Il bagno, ovviamente in comune, è una fessura nel cemento che si apre su un’ordinata voragine, tipo fossa ecologica; ma, a differenza di altre zone del Sud dell’Asia, non puzza particolarmente. In Asia Centrale l’acqua è un bene molto prezioso e le case sono sprovviste di tubature idrauliche: si fa tutto coi secchi. Anche la doccia che ci offrono couchsurfing in asia centrale 127 diventa una situazione semi-illusoria: in un bagno che ricorda una di quelle stanze antiche con tappeti rossi, con una vasca dai piedi allungati e arcuati (una vera leonessa di marmo), c’è di tutto. Ma manca proprio l’essenziale liquido con cui lavarsi. Una bella asse di legno messa di traverso sul bordo della vasca tradisce la sontuosità dell’ambiente offrendo supporto a due secchi colmi di acqua fredda e un mestolo pronti all’uso. La madre di Sam, che non parla una parola di inglese e ha una fila di denti d’oro che ci abbagliano sotto le forti luci della saletta da pranzo ogni volta che sorride, ha posizionato un’infinita serie di coppette a ricoprire il tavolino attorno al quale siamo accucciati. Pistacchi, noci, uvetta, canditi, caramelle, chicchi d’uva grossa, chicchi d’uva piccola, chicchi d’uva trasparente, e la perenne anguria succulenta; sta tutto lì ad accoglierci e tirarci giù nel maelstrom della cerimonia del tè. La caraffa, bianca, grassa e tatuata con quelle linee azzurre e arabescate che ti entrano nell’anima da Andijan sino a Mashhad, è un altro simbolo preciso che ci ricorda bene dove ci troviamo. E il pane: rotondo e duro, del tipo che finché non si finisce, si va avanti a farlo raffermare sino a che è impossibile masticarlo. Bisogna succhiarlo sino a scioglierlo, a quel punto. Ma se non ci sono il pane duro e il tè, che Via della Seta è? 128 la parola ai couchsurfer La madre finisce di apparecchiare, sorride eccitata e finalmente si lascia andare all’indietro sedendosi sulle grosse cosce, rimanendo avviluppata dal classico vestito a fiori che fa donna in questi paesi arabescati. Lei continua a osservarci sorridendo: un incisivo le scintilla sinistramente di luce col suo riflesso dorato, invitandoci a consumare. Immagino che, finché non avremo iniziato a bere e a infilarci uva in bocca, questa donna non sarà felice. E, di conseguenza, non porterà mai il resto della vera cena. Siamo dunque costretti a consumare. Nel frattempo, Sam ha sistemato le cose di casa e ci presenta sua moglie: è giovane, ha un foulard giallo scuro avvolto attorno alla testa nella maniera piratesca che solo le donne musulmane degli “’stan” sanno fare, e da come si comporta mi sembra una cuoca, più che la donna di casa. Arriva con un piattino carico di biscotti croccanti, altra anguria che taglia in maniera precisa con un coltellaccio mentre ritira le croste di quella che abbiamo già mangiato, e ci riempie le coppe sino all’orlo con tè fresco. Quando si china verso di me per versarlo, senza guardarmi negli occhi, noto che non solo ha ciuffi di peluria nera che le spuntano sotto le ascelle, ma anche un baffo piuttosto pronunciato. Spero sia solo un effetto della luce diretta, e cerco di non stupirmi troppo. Quando ha finito di riempire i nostri piatti e bicchieri, si lascia andare sulle ginocchia e prende posto al fianco della madre, ed entrambe iniziano a guardarci compiaciute. couchsurfing in asia centrale 129 È il momento di continuare a mangiare per non rovinare il legame che si sta creando. E anche se a questo punto inizio a essere un po’ pieno, so che me la sono andata a cercare. Hai voluto il Couch surfing? Bene, e adesso pedali. Sprofondo col sedere nella morbidezza dei cuscini imbottiti di seta e cotone su cui ci si siede, si mangia e si dorme, incrocio le gambe e inizio a ripulire deciso i piattini dalle pietanze. Con la bocca piena e sentendomi un degno ospite, le guardo di sottecchi. Non sorridono più e paiono progressivamente perdere interesse. Dopo poco, si alzano spingendo con una mano il vestito-pigiama tra le gambe e si girano verso l’uscita senza guardarci di nuovo. Forse, questo round lo abbiamo finalmente vinto noi. Dopo una serata passata a saltare da una casa all’altra tutto attorno al vicinato per mostrare a noi uno stralcio di vita di campagna tagica, e a loro due esemplari del mondo esterno, arriva finalmente l’ora di dormire. «Voi siete sposati, vero?» «No», gli rispondo senza pensarci. E commetto un errore, ma sono stanco e ho abbassato la guardia. In genere, per tutti durante questo viaggio, e specialmente da quando siamo entrati in Kirghizistan, siamo marito e moglie. In realtà, è come se lo fossimo, pur senza avere le “carte” a posto. 130 la parola ai couchsurfer Ma Sam pare non prendere per il verso giusto la mia onesta risposta. Inarcando un sopracciglio, rimane un po’ in silenzio, a bocca semi-aperta e cercando di pescare le parole. Alla fine emette il verdetto. «Ok, no problem. Faremo così: per lei, un letto con mia madre e le mie sorelle, e per te, uno al lato di mio padre!», sorride compiaciuto, come se avesse emesso un editto capace di aprire le acque del Danubio come se fosse il Cristo delle capre tagiche. Io non riesco a credere a quello che sento. «Sam, scusa, non capisco. Dovremmo dividerci? Ma è la mia compagna!» «Sì, ma non siete sposati.» «E dunque?» «Dunque, si dorme separati, qui si fa così. È la regola.» «Senti», cerco di ribellarmi, «apprezzo davvero il tuo pensiero, ma preferirei dormire vicino a lei stasera, sai com’è...» «No, no, impossibile. Noi siamo musulmani!» «Be’», mi gioco il tutto per tutto, «noi, invece, proprio no!» Sam sembra indeciso se voler capire o meno. Alla fine, senza proferire parola, sparisce. Quando sua moglie ritorna al suo posto brandendo coperte e cuscini, so già che il nostro destino è stato deciso diversamente. Veniamo sistemati in due camere separate: quando è il momento di dividersi e io entro nella mia, il padre è in canottiera e pantaloncini couchsurfing in asia centrale 131 e sta guardando una versione russa di quel che mi sembra Chi vuol essere milionario. Un omone russo con gli occhi piccoli piccoli e un sorriso da killer seriale osserva uno schermo con delle parole, mentre un altro gesticola in una lingua a me incomprensibile. Mi distendo sotto il televisore e cerco di non disturbare, né di dare troppo peso alla televisione che continua col suo tritacarne linguistico incessante per quasi un’ora. E, quando finisce, iniziano le motoseghe: in uno spiacevole gioco di parole che non dovrebbe fare ridere, il padre “russa” come Leatherface alle prese con le ossa delle sue vittime. Il mio sonno è interrotto continuamente dal ronzio della sega circolare che continuerà a tagliare l’aria anche al mattino, ben oltre il mio risveglio. Trovo Kit già pronta nella saletta adiacente; il suo sguardo mi fa capire che anche lei ha passato una situazione simile, per di più polarizzata dall’aria condizionata micidiale che hanno lasciato accesa tutta la notte. Quella seconda e ultima sera, decidiamo di fare i maleducati e ci sistemiamo a dormire sul tavolo da tè che sta sotto il portico, godendo di un po’ di sana intimità all’aperto e addormentandoci sotto i grassi grappoli d’uva che puntellano il cortile un po’ dappertutto. Sposati o meno, meglio trasgredire le regole che farsi ammazzare di nuovo dai cannoni di Navarone del babbo. 132 la parola ai couchsurfer La vera stranezza del Couchsurfing in Asia Centrale non è comunque legata alle famiglie integraliste o alle differenze culturali. In tutta onestà e secondo la mia esperienza, posso dire che in questa regione non c’è davvero “bisogno” di surfare. Il concetto dell’ospitalità, dell’aiutare lo straniero o chiunque tenti di dimostrare che ha bisogno di un piccolo aiuto, è seriamente una cosa normale per questi popoli. Davvero, basta chiedere. Per esempio, il giorno prima di incontrare Sam, eravamo a Khokand, nella parte uzbeka della Fergana Valley. Il posto per dormire ci si è letteralmente materializzato davanti. Dopo aver attraversato mezza città cercando una sistemazione e dopo aver trovato un ragazzo disponibile che ci ha accompagnati in un hotel da 20 dollari a notte (decisamente troppo per il mio budget), finiamo in un’agenzia viaggi, perché ci hanno suggerito di cercare lì qualcuno che parli inglese. Entriamo e quasi all’istante due ragazze si avvicinano e ci chiedono di cosa abbiamo bisogno. «Un posto per dormire, o dove piazzare la tenda», rispondo loro con candore. Una delle due sembra titubante all’inizio, ma poi mi propone di andare in un appartamento di sua proprietà che al momento è vuoto. «Non te l’ho proposto subito», si scusa, «perché non credevo che potesse essere una sistemazione adatta a voi due... Ma se mi dici che vuoi piantare la tenda, allora...» couchsurfing in asia centrale 133 È proprio adesso che scopro che Veruska non lavora nell’agenzia di viaggi, proprio no: è venuta qui per chiedere quanto costa un volo per Pechino. Alla fine ci accompagna in taxi all’appartamento, ci fa vedere come attivare l’acqua calda e dove prendere lenzuola pulite, e ci lascia le chiavi in mano. «Va bene se torno domattina alle 9? Così vi accompagno a prendere la mashrutka10 per il confine...» ci dice prima di salutarci, perché deve assolutamente ritornare a casa ad aiutare sua madre a fare la spesa. Ed è così che ci ritroviamo in un appartamento tutto per noi, in un condominio ex-sovietico senza vernice sui muri esterni, con un boiler dell’acqua calda che sembra una testata nucleare direttamente appoggiata contro il muro del bagno. A due minuti a piedi, l’unica chaikana11 nel raggio di qualche chilometro ci offrirà la possibilità di incontrare Joe, un rappresentante del folto numero di coreani immigrati in Uzbekistan durante la seconda metà del secolo scorso. Siede a un tavolo con altrettanti connazionali, tracannando vodka e mangiando carne. Appena si accorge di noi, e nota con piacere 10 Il minivan nelle repubbliche baltiche ed ex-sovietiche. Generalmente è un furgoncino con i sedili convertiti, di modo che la gente possa anche viaggiare in piedi, e funziona come un taxi meno costoso, o un bus molto più “intimo”. 11 Letteralmente “casa del tè”. Sono ristoranti all’aperto dove si mangiano i tradizionali kebab di pecora, si bevono tè e alcolici, e la gente si ritrova per chiacchierare, data la scarsa presenza di altri posti che abbiano la funzione del nostro “bar”. 134 la parola ai couchsurfer che c’è un’altra persona dalle sembianze orientali, si alza direttamente e si accosta al nostro tavolo. Si presenta in un inglese monosillabico: «I am Joe, pleasedtomitiu». La mossa successiva è sedersi e offrire da bere e un giro di kebab. A Joe piace bere, e sono costretto a onorarlo: questa vodka uzbeka brucia nello stomaco mentre il crepuscolo si trasforma in notte, e il fumo che si solleva dal girarrosto dei kebab spruzza fantasmi alle spezie nell’aria circostante. La cameriera, una matrona bionda che sembra la versione russa di Lady Frankenstein, si accosta a Joe: l’unica parola che riusciamo a scambiare con senso è “pomidori,” perché in russo si dice come in italiano. Ha zigomi affilati come chiodi, su cui il velo sta appeso sul suo viso, che è stato sicuramente più attraente e giovane qualche decennio fa. I denti sono un po’ dorati e un po’ anneriti dal fumo e dal vizio, e una parte del generoso seno spunta raggrinzita e molliccia dal secondo bottone slacciato. Forse un boccone buono per Joe, ma io preferisco concentrarmi sulla pecora, masticandone la nodosità con pazienza e minuzia, sapendo che ci sarà poi da combattere una bella battaglia col filo interdentale. Prima di lasciarci, Joe è diventato il nostro nuovo host: ci invita alla celebrazione di una festa coreana per il giorno seguente. A quanto capisco, il piatto forte sarà la carne di cane. «Very gud», mi dice, sorridendo e vuotando il bicchierino di vodka. «Dog is the best!» couchsurfing in asia centrale 135 Dopo tanta insistenza da parte mia per fargli capire che non sono interessato a mangiare un cane, e da parte sua per convincermi della prelibatezza di tale leccornia, Joe conclude mimando il gesto che si fa per tagliare la testa del cane, e metterlo sullo stecco. «Very gud! Dog, the best. Marco, Kit, friend. Dog eat.» Non c’è altro che possiamo fare se non accettare e darci appuntamento nello stesso posto per il giorno seguente, alle 10 del mattino. Sfortunatamente, o per fortuna, nessuno ci ha informati che tra Kirghizistan e Uzbekistan c’è un’ora di fuso orario, e sono tre giorni che ne siamo ignari. Tutto mi ritorna chiaro appena entriamo in Tagikistan il giorno seguente. «Azz! Vuoi vedere che Joe è lì ad aspettarci adesso, col suo abbacchio di cane?» Mi dispiace sul serio immaginarmi Joe seduto allo stesso tavolino, stavolta in pieno giorno, che guarda l’orologio e pensa a quanto siamo stati maleducati. I suoi amici, nel frattempo, stanno staccando la pelle al cane in un calderone di acqua ustionante. «Ma quanto sono stronzi questi stranieri», dirà Joe alzandosi, uccidendo un mozzicone sotto la punta della scarpa destra. “Meno male”, penserà, “che tra poco si mangia un po’ di cane, così mi dimentico di come questi abbiano tradito la mia ospitalità”. Il Couchsurfing è sicuramente un metodo incredibile per incontrare persone e fare esperienze speciali, andando culturalmente a fondo. Ma credo an- 136 la parola ai couchsurfer che che molte volte, dopo che si assaggia sul serio il vero valore dell’ospitalità di un popolo, nella nostra mente occidentale il concetto di Couchsurfing possa essere soltanto un ritorno a un modo di essere che, probabilmente, dalle nostre parti si è perso tra i meandri delle paure da telegiornale, internet e quotidiano. L’Asia Centrale, nella mia esperienza, mi ha dimostrato che forse il Couchsurfing, più che un’invenzione, sia invece il ritorno alla normalità di un valore umano fondamentale. Certamente, mangiare il cane potrà essere un’attività esotica e crudele, ma aprire la porta della propria casa – e del proprio cuore – a un estraneo dovrebbe invece essere una pratica normale del dominio dell’ospitalità per tutti noi. Non credete che forse il mondo come lo concepiamo possa essere, come dire, sbagliato? C’è chi dice che mangiare il cane lo sia. Per Joe, invece, la prelibatezza cinofila va offerta e divisa con due nuovi amici incontrati per caso a bordo di un marciapiede imbastito a locanda. E questo, perdonatemi, mi fa molto pensare che il Couchsurfing sia per noi occidentali il reinventarsi un modo di essere genuini che abbiamo perduto tra le pieghe del nostro dannato progresso. Quando penso alle persone che ho incontrato in Asia Centrale e rifletto sul Couchsurfing, mi chiedo davvero se abbiamo perso qualcosa, strada facendo. Sunday Funday e spirito libero di Jennifer Chrobak couchsurfing.org/people/jenchro “C’è una candela nel tuo cuore, pronta per essere accesa. C’è un vuoto nella tua anima, pronto per essere riempito. Lo senti, o no?” Rumi Mi chiamo Jennifer Chrobak. Sin da quando ero bambina, sognavo di essere James Bond o Sherlock Holmes. Mi attraevano, e il loro fascino misterioso aveva fatto vibrare le corde più profonde del mio essere. Attraverso le loro parole, anche io con loro vivevo giorni mai uguali uno all’altro, risolvevo casi e, ovviamente, mi concedevo vodka martini ogni volta che il mio cuore lo desiderava. Tuttavia, date le esigenze della vita reale, le mie fantasie furono messe da parte e quasi dimenticate. Ottenni una Laurea Magistrale in Lingua Spagnola e finii a lavorare in un centro di fisioterapia, gestendo i pazienti e passando tutto il giorno al telefono con le compagnie assicurative. Era terribile. Mi iscrissi a Couchsurfing per due ragioni principali: primo, finalmente avevo un divano tutto mio, e, secondo, volevo riempire di gioia le persone mo- 138 la parola ai couchsurfer strando loro quella che secondo me è una delle città più belle del mondo, Chicago. Incontrare e ospitare stranieri da ogni parte del globo è stata una delle migliori iniziative che potessi scegliere di fare. Mi ha cambiato la vita in modo incredibilmente positivo, proprio quando meno me l’aspettavo. All’improvviso, anziché odiare il mio lavoro anche mentre non stavo lavorando, mi trovavo a cucinare pancake al cioccolato nel cuore della notte per un ragazzo londinese, o a chiacchierare con una ragazza francese che non aveva mai festeggiato Halloween e l’ha fatto per la prima volta a una mia festa, o a cantare musica jazz con un pianista tedesco, o a portare una fantastica ragazza italiana al 96º piano del palazzo John Hancock per ammirare la città illuminata a mezzanotte, forgiando così un’amicizia intercontinentale indistruttibile. Nonostante tutti i viaggiatori che ho ospitato abbiano migliorato la mia vita, in un modo o nell’altro, ce n’è uno che ha avuto un impatto incredibile su di me e sul mio modo di pensare, e credo non lo sospetti nemmeno. Ivan è venuto a trovarmi nel freddo dicembre di Chicago del 2011, e fu mio ospite per sei giorni. Era venuto qui per vedere un concerto che durava tre giorni e ne aveva approfittato per visitare un po’ la città, che non conosceva. Nonostante in quei giorni fossi piena di impegni, ebbi comunque l’occasione di chiacchierare con lui e di conoscerlo. sunday funday e spirito libero 139 Arrivò di mercoledì pomeriggio. Preparammo della sangria, incontrammo alcuni amici e uscimmo a cena in tarda serata. Ricordo ancora adesso di essere quasi morta di freddo a quella fermata del treno, aspettando di poter tornare a casa nel bel mezzo della notte. Nei successivi tre giorni quasi non ci incrociammo, perché lui era “impegnato” a divertirsi e io ero al lavoro. La domenica, Ivan mi introdusse a quello che lui chiamava “Sunday funday”, una giornata completamente dedicata allo sport in tv. Io non sono una grande fan di football americano, ma passammo la giornata a guardare diverse partite e a bere. Non erano le nostre attività a essere speciali: piuttosto, lo erano i discorsi. Assorbivo ogni giorno di più il suo spirito positivo verso la vita. È dotato di una volontà di ferro, ma allo stesso tempo è uno spirito libero, crede nel karma, agisce d’istinto e ha una risata solare, profonda. Ivan mi raccontò che qualche anno prima era molto sovrappeso, e si trovava sempre con pochissimi soldi, che non gli permettevano di viaggiare quanto avrebbe voluto. Un giorno, prese una decisione: ribaltare completamente la sua vita. Adesso ha un fisico molto atletico, fa yoga tutti i giorni, lavora come cameraman e, soprattutto, viaggia per vedere concerti in tutti gli Stati Uniti. È felice. Ivan mi ha spinta a chiedermi: «Jenny, cos’è che vuoi veramente?». Dopo che lasciò Chicago, conti- 140 la parola ai couchsurfer nuai a pensare e ripensare a questa domanda e nel giorno di Capodanno promisi solennemente a me stessa che avrei reso il 2012 l’anno migliore della mia vita. Avrei messo la mia felicità al primo posto. All’inizio di gennaio presi un giorno di ferie, mi sedetti ai tavoli dell’Artpolis Café e inviai il mio curriculum con lettera di presentazione a tutte le agenzie investigative che riuscii a trovare, armata soltanto di una grandissima grinta e voglia di lavorare, ma nessuna esperienza nel settore. Cercavo di vedere la cosa in modo positivo, anche se le mie possibilità di farcela erano molto vicine allo zero. La settimana seguente, mentre ero ancora all’odiatissimo lavoro, ricevetti una telefonata dal proprietario di un’agenzia investigativa, che mi chiedeva di fare un colloquio. Dissi al mio capo che mi sentivo poco bene, e andai direttamente all’agenzia. Quando il mio attuale capo mi domandò perché volessi diventare un investigatore privato, risposi che volevo diventare una spugna e assorbire tutte le informazioni possibili, così da poter diventare il miglior investigatore sulla piazza, perché questo era ciò che mi avrebbe resa davvero felice. Fui assunta direttamente quel giorno. Nel momento stesso in cui ottenni quel posto, non potevo credere di essere riuscita a toccare con mano la fantasia che aveva abitato la mia mente per così tanti anni. Sicuramente la fortuna aveva giocato la sua parte, ma capii anche che il mio atteggiamento sunday funday e spirito libero 141 positivo aveva avuto un ruolo di primo piano e che dovevo utilizzarlo in tutti gli aspetti della mia vita. Iniziai a fare yoga e ad andare in palestra, mangiare cibo sano e prendermi cura della mia spiritualità. Ho imparato che la gioia è un sentimento che puoi davvero provare costantemente, se lo vuoi. Adesso capisco che tutto si può ottenere, lavorando sodo e mantenendo uno spirito positivo. Chi l’avrebbe mai detto che questa grande rivoluzione spirituale sarebbe arrivata grazie a una sola persona, uno sconosciuto per di più... Secondo me il Couchsurfing non è fatto soltanto dei posti che visiti o del numero delle persone che incontri; è fatto soprattutto delle esperienze che ti cambiano, non importa se grandi o piccole, se avvenute in casa tua o alla latitudine più lontana. Sono quelli i ricordi che conserverai, non l’altezza della Sears Tower o la lunghezza del Navy Pier, o i manufatti del Field Museum. Quello che ho notato è che i viaggiatori, compresa me, tendono a fare foto alle cose, non alle persone che incontrano; ma sono proprio le persone che incontriamo che ci regaleranno i ricordi migliori. E così, visto che adesso non ospito più così spesso, non vedo l’ora di fare la mia prima esperienza come surfer. Mi piace mostrare la vera Chicago ai viaggiatori, ma spero di poter fare la differenza nella vita di qualcuno così come Ivan l’ha fatta nella mia. mi sarei perso qualche cosa Mi sarei perso qualche cosa 143 cerebbe andare?», senza che io poi debba davvero andare da qualche parte. di Martino Lo voglio dire subito e in modo chiaro, per quanto ne sono capace: a me viaggiare non è che piaccia molto. Mi piacciono le vacanze, quelle sì, ma i viaggi – i viaggi “seri” intendo, quelli lunghi, in posti lontani, magari pure un po’ avventurosi – be’, li ho fatti, è vero, però non ci sono mai andato matto. E più invecchio – ora ho quasi quarantaquattro anni – e peggio è. Potrei dire che non mi piace viaggiare perché considero più importanti – più importanti della mia personale soddisfazione – il benessere delle persone e dell’ambiente, e che è ancora abbastanza difficile fare viaggi importanti che siano davvero “responsabili”, a basso impatto ambientale e rispettosi delle culture e delle economie dei Paesi che si visitano. Potrei dirlo, ma sarebbe una mezza bugia. La verità, una mezza verità, è che la pigrizia e il timore dei disagi sono in genere più forti della mia curiosità, del mio desiderio di vedere (l’)altrove. D’accordo, mi piacerebbe andare in Giappone una volta, e un’altra magari in Argentina, ma sono idee vaghe, senza piani e tempi precisi: nomi evocativi che se ne restano lì tranquilli, quasi semplici buoni propositi. Buoni per rispondere a chi mi chiede «Dove ti pia- «Dove ti piacerebbe andare?» chiedeva fino a qualche tempo fa l’homepage del sito di Couchsurfing, in ossequio alla sua svolta “social”. La domanda era ben visibile appena aperta la pagina, a mo’ di summa in forma accoglientemente interrogativa del senso e dello scopo del “progetto CS”: scegli dove vuoi andare e va’ tranquillo, c’è un mondo di nuovi amici che ti aspetta. Di fronte a una tale dichiarazione d’intenti, uno come me – uno a cui viaggiare non fa impazzire e che di amici tutto sommato pensa di averne già abbastanza (con le gioie e le fatiche che l’amicizia comporta) – uno così, dicevo, riconosce la bontà del progetto, se ne congratula tra sé con gli ideatori e magari, con una vaga punta d’invidia, simpatizza pure con gli energici membri della community; però poi passa oltre, non si iscrive, perché non c’è un posto dove vorrebbe andare (e, quand’anche ci fosse, non sarebbe poi così tranquillo ad andarci surfando il divano di uno sconosciuto). Probabilmente avrei fatto così anch’io, quattro anni fa, se avessi conosciuto il Couchsurfing via web, imbattendomi più o meno casualmente nella sua homepage. Avrei fatto così, probabilmente, e avrei sbagliato. Quattro anni dopo posso dirlo con buona certezza: mi sarei perso qualche cosa. 144 la parola ai couchsurfer Che cosa? Viaggi indimenticabili e amicizie che restano, verrebbe da dire pensando alla domanda-summa di cui sopra. Quattro anni fa, per ragioni che devi ancora spiegarci, ti sei iscritto a Couchsurfing, magari senza troppe aspettative e convinzione. E negli anni ti sei lasciato prendere, hai girato il mondo, hai visto posti spettacolari e città straordinarie, e hai conosciuto un sacco di persone in gamba e generose. Con alcune di queste sei rimasto in contatto, vi scrivete ogni tanto, magari parlate su Skype. Alcune altre sono diventate tuoi amici. Vi vedete, vi volete bene, vi state in qualche modo vicini, nonostante la distanza. No, non è andata esattamente così. In quattro anni ho fatto solo due viaggi da couchsurfer. Per la precisione: due notti (nessuna peraltro passata su un vero divano), entrambe in Europa, in un caso a distanza di treno (senza cuccetta). Ho conosciuto parecchia gente, questo sì: una quarantina di persone, almeno. Quasi tutte perché sono state ospiti a casa mia. Perché in questi quattro anni ho soprattutto ospitato. Circa una persona al mese. Una di queste è diventata la mia attuale fidanzata (uh uh!); con un paio di altre ci mandiamo una breve e-mail ogni tanto: poche affettuose parole per dirci che siamo ancora vivi, e che ricordiamo entrambi con piacere i giorni belli trascorsi insieme. Degli altri trentacinque e passa (più del 90% del totale), niente, non so più mi sarei perso qualche cosa 145 nulla e non ricordo molto, se non che è stato (quasi sempre) semplice e piacevole aver trascorso qualche ora con loro. Quasi sempre “semplice e piacevole”. Mica ho scritto “sorprendente e profondo”. Niente viaggi, quindi; qualche conoscenza, d’accordo, ma praticamente nessun nuovo amico. («Ehi, e la fidanzata? Stai sorvolando sulla fidanzata.» Ci arrivo, tranquilli.) Che cosa ti saresti perso, allora? Tre cose, direi. Se non mi fossi iscritto a Couchsurfing, quattro anni fa, mi sarei perso almeno tre cose semplici e piacevoli. E che, proprio perché semplici e piacevoli, sarebbe stato un peccato perdersi. Eccole, schematiche nella loro semplicità: 1.Ho fatto parecchie ore di conversazione in inglese, con “inglesi” più o meno fluidi o maccheronici, ma comunque utili a togliere un po’ della ruggine che con il tempo si era accumulata sul mio. 2.Ho scoperto come Milano, la mia città, risulti spesso bella e vibrante a un occhio straniero, e nella narrazione che me ne veniva restituita ho iniziato anch’io a guardarla diversamente, con più orgoglio e meraviglia, e a gustarmela, a starci meglio, con più piacere. 3.Ho goduto della compagnia di persone simpatiche, quando avere compagnia mi avrebbe fatto piacere e non sarebbe forse stato altrimenti possibile; una compagnia colorata e curiosa; soprat- 146 la parola ai couchsurfer tutto, una compagnia leggera, facile, di quella facilità che viene dal fatto che non si sa nulla l’uno dell’altro e che, con ogni probabilità, non se ne saprà più nulla una volta che ci si sarà salutati; di quella leggerezza che non esclude necessariamente profondità (o altezze), anzi: che, grazie al suo non avere un “prima” e un “dopo”, al suo essere tutta “hic et nunc”, si trasforma, a volte, in scambio intenso e significativo. Sono tre cose semplici, forse molto semplici, che però mi hanno ben ripagato, negli anni, dei piccoli disagi che può comportare il condividere una casa (con un solo bagno, la mia) per qualche giorno (mai più di due o tre, come ho scritto nel mio scarno profilo sul sito) con uno o due sconosciuti. E poi può succedere, come è successo a me, che una volta, una sera, ti capiti di andare alla fermata dell’autobus per incontrare il tuo ospite e fare insieme la strada verso casa, e già lì alla fermata scoprire che il tuo ospite ha qualcosa di speciale. E allora aspetti con un po’ di timore e tremore che trascorrano i tre giorni per cui gli hai offerto il tuo divano, tre giorni in cui la scoperta iniziale non fa che confermarsi. Speri che passino in fretta quei tre giorni e che arrivi il momento dei saluti, della porta che si chiude insieme al “legame” da couchsurfer (“perché non è un sito di incontri”). Perché allora, quando quella porta e quel legame mi sarei perso qualche cosa 147 si saranno chiusi, gli potrai mandare un sms o una e-mail, o magari persino chiamarlo, quello che era il tuo ospite e che ora non lo è più, e dirgli che vorresti rivederlo presto, e chiacchierare ancora e raccontarsi, e, mentre glielo dici, immagini di dargli quel bacio che hai trattenuto per tre giorni, speri di darglielo sul divano, senza più surfare: restandoci, stavolta. Può succedere anche questo, ma è un di più. Un extra, in tutti i sensi. Quando ora apro il sito di Couchsurfing, penso che sono stato fortunato, quattro anni fa, a incontrare per la prima volta il progetto CS attraverso altre strade. Penso che sono stato fortunato a iscrivermi quando ancora quella domanda non campeggiava nella homepage del sito. Fortunato a scegliere di iscrivermi nonostante non ci fosse un posto dove mi sarebbe davvero piaciuto andare, e senza avere alcun particolare desiderio di farmi nuovi amici. Sono stato semplicemente fortunato, per uno di quei semplici casi fortunati della vita, ed è stato poi il progetto a dimostrarmi, negli anni, che ne valeva la (minima) pena, a dimostrarmi che la scelta era buona. Una scelta che, concedetemelo, mi regala anche un pizzico di orgoglio: perché in questi miei quattro anni di surfer-che-non-surfa, una quarantina di surfer-che-surfano sono potuti andare dove gli sarebbe piaciuto, e ci sono potuti andare tranquilli, trovando ad aspettarli un divano abbastanza con- 148 la parola ai couchsurfer fortevole e, se non un amico, almeno un viso sorridente e una bottiglia di vino. P.S.: Non vorrei lasciare alcun particolare alone di mistero sulle “altre strade” attraverso cui ho conosciuto il Couchsurfing. Semplicemente, come immagino sia capitato a molti altri, mi sono iscritto più o meno per caso, senza alcuna particolare riflessione e senza un’idea granché precisa di quel che mi sarebbe successo o avrei dovuto fare. All’inizio dell’estate del 2009 un’amica che già da un po’ faceva parte della community aveva dato la sua disponibilità a ospitare una ragazza francese, di passaggio a Milano per un paio di giorni. All’ultimo le era sopraggiunto un impegno o un problema, o non ne aveva più voglia – non ricordo bene. Comunque, non poteva più ospitare questa ragazza e allora mi spiegò a grandi linee come funzionava la cosa e mi chiese se potevo “sostituirla” per l’occasione. Vivo da solo in una casa abbastanza grande, con un divano-letto in sala, la porta che si chiude, e un balcone dove leggere o fumare in pace. Non avevo ragioni per dire di no, e quindi dissi di sì, che l’avrei ospitata io. Per dare ufficialità a questa operazione di scambio-divano e “garanzie” alla giovane francese, mi iscrissi a Couchsurfing. «Vuoi venire a Milano? Vieni tranquilla, c’è qualcuno che ti aspetta.» Tutto qui. L’Arte dell’incontro di Paolo Guglielmo Sulpasso couchsurfing.org/people/pgjungle “La vita, amico, è l’Arte dell’incontro”. Così ho riempito la casella “Current Mission” sul mio profilo di Couchsurfing, casella importantissima il cui contenuto compare proprio sotto il nome dell’utente. Insomma, il sottotitolo della propria identità di navigatori di sofà… La vita, amico, è l’arte dell’incontro è il titolo di un album di Ungaretti/Vinicius/Endrigo (1969), una frase che mi è sempre piaciuta e che rappresenta appieno quello che è per me lo spirito del Couchsurfing. Uno spirito che ha delle potenzialità rivoluzionarie per l’individuo, per la società, per il sistema economico e chi più ne ha più ne metta... La mia prima esperienza di Couchsurfing è stata un piccolo shock culturale; in un istante sono piacevolmente crollate un po’ di barriere, di pregiudizi, di timori, e mi sono ritrovato in un territorio nuovo, impensabile solo pochi istanti prima, e che è diventato presto la normalità, come il bere, il dormire, il mangiare. La mia “prima volta” è stata a Parigi: volo low-cost per Beauvais, bus per la città e metro fino alla fer- 150 la parola ai couchsurfer mata Nation per raggiungere un palazzo il cui portone si apriva digitando un codice di 5 cifre. Mi ricordo una rampa di scale di legno, tre piani di cigolii trascinando la valigia, l’accoglienza della mia host Hélène, una chiacchierata quasi fossimo vecchi amici che non si vedono da qualche tempo. Soprattutto mi ricordo il mazzo di chiavi (!) pronto sul tavolino e che Hélène mi ha consegnato dicendomi qualcosa del tipo: «Così è più facile organizzarsi». Poi è uscita chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi lì solo, un po’ frastornato, allibito, con un sorriso incredulo, grande come il mondo, travolto da tutta questa fiducia dimostrata nei miei confronti. In casa: il silenzio, la vita di Hélène, la sua collezione di libri e musica, “Cahier du Cinema” e i dischi di Silvio Rodríguez, di cui avevamo parlato brevemente prima che uscisse. Fuori: Parigi, città sconosciuta, ma improvvisamente familiare, amica, quasi ci vivessi già da qualche tempo. Da quella “prima volta” i couchsurfer hanno spesso arricchito i miei viaggi, trasformando luoghi sconosciuti in posti familiari, facendomi sentire a casa anche in reconditi angoli del pianeta; allo stesso modo, sul divano di casa sono passati pezzi di mondi sconosciuti, ma in fondo molto vicini, che hanno portato una ventata di freschezza, vitalità, avventura. Il mio divano in Iran di Masih couchsurfing.org/people/masih66g Per me il Couchsurfing non è soltanto un modo economico per viaggiare, ma è utile soprattutto per conoscere viaggiatori veri, e imparare da loro. Spesso è un viaggio al di fuori dei confini, ma anche dentro noi stessi. Si impara molto sulla vita, sull’umanità: che sia in un rumoroso ristorante iraniano, seduti per terra a casa mia davanti a una tazza di zuccheratissimo tè, o in giro per le strade della città. Condividendo opinioni ed esperienze comuni ho imparato più su me stesso e sugli altri di quello che avrei potuto fare leggendo cento libri. La mia esperienza con il Couchsurfing iniziò due anni fa, quando un amico mi chiamò per chiedermi se potessi ospitare una sua amica australiana. In Iran Couchsurfing è proibito: un po’ perché non si vuole che i giovani stringano amicizie con stranieri che potrebbero avere un’influenza negativa, un po’ perché toglie quel poco business che hanno gli hotel per turisti del Paese. Ad ogni modo, accettai: in fondo, poteva essere anche una buona occasione per esercitarmi a parlare inglese, dato che allora non ero proprio bravo. 152 la parola ai couchsurfer Dopo qualche minuto passato a chiacchierare seduti sul tappeto in sala, il mio atteggiamento verso di lei cambiò. Fui stupito dall’intelligenza vivace di questa ragazza in viaggio da sola per il Medio Oriente, e decisi di avventurarmi in argomenti considerati tabù nella vita pubblica iraniana: le nostre preferenze sessuali, le nostre filosofie di vita, pensieri sulla religione e sull’ateismo. Fu davvero illuminante. Dopo questo incontro avvenuto per caso, mi avvicinai alla comunità Couchsurfing della mia città; allora abitavo a Isfahan, uno dei gioielli dell’Iran e meta obbligata per chiunque visiti il Paese. Ho ospitato tante persone, anche perché, grazie al meccanismo delle referenze attraverso cui il sito mantiene alto il livello di fiducia e sicurezza, è facile capire chi è un buon host e chi no. Ricevevo tantissime richieste. Ho ospitato anche una coppia di tedeschi e con loro mi sento quotidianamente; nonostante i chilometri che ci separano sono tra i miei migliori amici. Ho trovato con loro molte cose in comune: siamo atei, vegetariani, amiamo la scienza, l’arte, la musica. Hanno molto apprezzato gli angoli della mia sala dedicati alla mia più grande passione, appunto quella della musica: colleziono strumenti musicali, sia moderni che tradizionali, e ogni sera mi esercito con uno diverso. Ho ospitato anche un ragazzo italiano che lavora in campo musicale e abbiamo suonato insieme qualche sera. il mio divano in iran 153 Capita anche qualche volta di non essere d’accordo su tutto, ma trovo sempre utile confrontarmi con chi viene da una cultura diversa dalla mia, la cui mentalità è stata formata da esperienze diverse dalle mie. Imparo molto. Ho ospitato anche un ragazzo olandese che mi ha insegnato moltissimo sulla politica internazionale, e una ragazza diciottenne australiana che mi ha colpito per il suo coraggio e la sua indipendenza. Tanti ragazzi e ragazze iraniane ospitano stranieri perché vogliono mettere in pratica l’inglese imparato a scuola, e non c’è niente di male in questo, ma secondo me il Couchsurfing è molto di più: deve essere un’occasione imperdibile per uno scambio di idee, culture, opinioni, esperienze. Mi è capitato spesso, ospitando in casa persone conosciute solo pochi minuti prima, di sentirmi come se fossero invece amici di una vita, come se fossero quasi di famiglia. Senza Couchsurfing sarebbe stato per me impossibile costruire una rete così vasta e salda di amicizie internazionali, soprattutto in un Paese come il mio, dove questo tipo di relazioni non è consigliato. Continuo a ospitare anche ora che sono a Teheran, e conto di poter usare Couchsurfing al più presto anche per viaggiare. un anno di couchsurfing Un anno di Couchsurfing di Ana Blanco couchsurfing.org/people/anabc Circa un anno fa ho aperto le porte della mia casa al mondo o, per meglio dire, ho aperto me stessa al mondo. Fino a quel momento ero stata una viaggiatrice legata alle guide turistiche, una di quei “pecoroni” che si mettevano in coda per vedere ciò che si deve vedere quando si viaggia. Mi piaceva, però camminavo per le strade di città sconosciute e mi chiedevo come fossero le vite di quelle persone, cosa mangiassero, cosa pensassero, cosa sognassero e di cosa parlassero. Credo che mi mancasse riempirmi dell’essenza delle persone. Un anno fa la mia vita cambiò. Dopo molti anni io e il mio ragazzo ci lasciammo – stavamo insieme da quando ne avevo quindici – e con lui svanirono la mia routine e la mia vita ancorata al paesino dove sono cresciuta, oltre che il mio compagno di viaggio, con il quale, negli ultimi quattro anni passati insieme, avevo viaggiato in molte capitali d’Europa, visitando hotel, ristoranti, monumenti e musei. Mi sentivo a pezzi e stavo cercando di ritrovare un equilibrio nella mia vita quando, un anno fa, accadde qualcosa che rivoluzionò completamente la mia esistenza. 155 Tutto cominciò quando ospitammo a casa Lionel e Rocío, due amici di mia sorella, per alcuni giorni. Lionel mi raccontò che aveva viaggiato usando un social network chiamato Couchsurfing, attraverso cui aveva anche ospitato altri utenti a casa sua per alcune notti, mostrando loro la sua città. Non avevo ben capito cosa fosse, ma quei racconti mi avevano affascinata. Non pensavo che esistesse qualcosa del genere e che fosse possibile, che potesse funzionare, però mi decisi a provare quella novità. Ne avevo bisogno. Così, mi registrai e riempii il mio profilo in modo abbastanza superficiale. Non sapevo esattamente ciò che stavo facendo, mi sembrava di scoprire qualcosa di nuovo e sconosciuto, curiosavo con cautela e un po’ di diffidenza. Ero persa e affascinata al tempo stesso. In pochi giorni ricevetti la prima richiesta: un ragazzo mi chiedeva alloggio per una notte. Non aveva referenze e nemmeno un profilo dettagliato, ma in ogni caso sentivo che sarebbe andata bene. Mi fidai delle mie sensazioni: ho sempre fatto così e ha sempre funzionato. Arrivò il gran giorno e io sentivo una curiosità nervosa che forse celava un po’ di paura. Mi chiedevo come sarebbe stato quel ragazzo, come mi sarei dovuta comportare, cosa avrei dovuto fare, se si sarebbe trovato bene in casa mia, se ci saremmo capiti, e tante altre domande che acceleravano il rit- 156 la parola ai couchsurfer mo del mio cuore mano a mano che si avvicinava il momento del nostro primo incontro. Quindi, con un certo nervosismo, andai ad accoglierlo. Vidi un ragazzo con un grande zaino che leggeva un libro. C’era una grande quantità di turisti tutto intorno, ma capii subito che era lui. Ci presentammo e iniziammo a parlare con molta naturalezza. “Ci siamo”, pensai. Tutte le domande e i dubbi in un attimo si cancellarono dalla mia testa nel momento in cui iniziammo a parlare, conoscerci, girare ogni angolo di Barcellona, ridere, camminare, sognare di viaggiare. Le paure iniziali sparirono grazie al suo sorriso, alla sua onestà e alle buone vibrazioni che mi trasmetteva. Era questa la miglior garanzia per aprirgli la porta di casa mia. In breve tempo è diventato un amico ed è tornato altre volte a trovarmi, così come io sono andata più volte da lui, a Londra. Alcune settimane più tardi, accolsi una ragazza di Madrid in casa dei miei genitori; era la prima persona che ospitavo lì. Anche lei lasciò un segno indelebile dentro di me: senza il suo sorriso non sarei capace di vedere il mondo come lo vedo e lo vivo ora. Io ero ancora in una fase oscura e anemica e lei, con i suoi racconti e la sua vitalità, mi diede una forte dose di energia e positività. Le sue belle parole mi fecero capire che ospitare è il miglior modo di viaggiare, conoscere e comprendere. Non avevo mai un anno di couchsurfing 157 conosciuto una persona così forte e allegra. Sembra impossibile arrivare a sentire tanta ammirazione per qualcuno che si conosce da così poco tempo, però succede. È difficile spiegare le sensazioni e l’intensità del vincolo che si può creare in così pochi giorni. Lei sarà sempre il mio esempio di “vero” surfer: una persona ricca di valori, aperta, dolce, onesta, umile, sensibile, capace di far fronte a qualunque situazione senza smettere di sorridere nemmeno per un istante. Ho sempre condiviso con i miei surfer i pasti, la mia famiglia e gli amici, i miei pensieri e i miei sentimenti. In cambio ho sempre ricevuto grandi storie, molte risate, momenti divertenti, lunghe cene, ottime passeggiate, autentici abbracci e sorrisi e grandi ringraziamenti. Per me Couchsurfing è offrire senza aspettarsi nulla in cambio, condividere, essere generosi e nulla più. Proprio grazie all’aver ospitato persone di culture diverse ho imparato ad aprirmi alla diversità, a non avere paura di esprimermi, ad apprezzare i piccoli dettagli quotidiani, a sognare destinazioni impossibili, a educare il mio palato e ad accorgermi del valore di collezionare esperienze. Finché, la scorsa estate, abbiamo riempito la casa di surfer da tutto il mondo. Il giardino, ogni settimana, era ricco di odori di un Paese diverso, la casa si è riempita di storie, risate e ricordi. A volte mi ritornano 158 la parola ai couchsurfer in mente le facce dei vicini nascoste dietro i balconi. Non capivano. Non capivano come potessero esserci otto persone, di cinque nazionalità differenti, che parlano tre diverse lingue contemporaneamente, tutti a condividere la stessa cena. I miei vicini pensano che siamo pazzi, io penso che sia una delle migliori pazzie che io abbia mai vissuto. Dopo una trepidante estate ero sempre più entusiasta e aveva iniziato a fiorire in me la necessità di vedere ed esplorare il mondo in prima persona. Così, all’inizio dell’anno scolastico, non riempii lo zaino di appunti dell’università, ma presi un cappotto pesante e delle buone scarpe per passare l’inverno esplorando l’Europa. Passai diversi mesi facendo volontariato e visitai città come Londra, Vienna, Dublino, dove potei incontrare di nuovo alcuni dei ragazzi che erano stati ospiti da me durante l’estate. Viaggiavo da sola, ma non mi sentii mai sola in nessun momento. Alla fine, Couchsurfing è come una grande famiglia. Lasciata Vienna mi sono diretta in Irlanda, a fare volontariato vicino a Cork, ma prima mi sono fermata a visitare Dublino. Vi sono rimasta alcuni giorni: il mio primo ospitante mi è venuto a prendere in aeroporto e mi ha portata all’alloggio degli studenti, dove sono dovuta entrare di nascosto per la rego- un anno di couchsurfing 159 la che impediva di introdurre ospiti, anche se era chiaro che nessuno rispettava tale norma: in quella residenza universitaria ci sono davvero pochissimi metri quadri per persona. Al mio risveglio mi resi conto di non essere l’unica a dormire sul divano: c’era gente in ogni angolo del piccolo appartamento e quasi mi sentii sollevata per non essere la sola a infrangere le regole! Gli stessi ragazzi che il giorno prima mi avevano accolta dandomi timidamente la mano, il giorno dopo, alla partenza, mi salutarono con un forte abbraccio. È successo più di una volta: conoscevo un ospite o un ospitante molto timidamente e, più passava il tempo, più la tensione scompariva. Nel frattempo, la mia schiena si abituò a dormire ovunque: pavimenti, cuscini, stuoie, materassini, ecc., qualunque posto era buono, l’importante era conoscere gente, scambiarsi esperienze, vivere bene il momento, apprezzare il nuovo in ogni situazione. La capacità di adattamento è stata l’abilità migliore che ho imparato viaggiando. Quando sono tornata dal mio viaggio mi sono sentita soffocare, pur in una città come Barcellona, per il semplice fatto di essere ferma lì. Una profonda malinconia si impadronì di me e mi resi conto che viaggiare crea dipendenza. Per me il Couchsurfing è ben più di un letto gratis, è rispetto e comprendere l’essenza di un Paese con 160 la parola ai couchsurfer tutte le sue sfumature, perché ti permette di viverlo da dentro. Ed è la cosa migliore che può succedere a un viaggiatore. Ricordo che quando partii per il mio viaggio tutti mi dicevano che dovevo approfittare di quell’opportunità, perché sarebbe stata l’unica e la sola nella mia vita. Io con la testa facevo segno di sì, senza sapere bene cosa dire, ma quando sono tornata ho potuto rispondere che viaggiare in questo modo era il mio nuovo stile di vita. Thomas, il tedesco girovago di Cheryl Smalley couchsurfing.org/people/chuckysmall Couchsurfing mi ha regalato parecchie esperienze nei quattro anni da cui ne faccio parte, e ci sono molte persone che mi piacerebbe ricordare, molte delle quali sono oggi cari amici nella vita “reale”. Ho ospitato molto più di quanto io non abbia surfato: sono stata a casa di due o tre persone, ma ho aperto le mie porte a circa quaranta viaggiatori. Da entrambe le prospettive, le mie esperienze sono state davvero memorabili. Alcuni anni fa stavo cercando un posto dove dormire a Austin, in Texas, visto che ci vado spesso a trovare mio fratello e a dare un’occhiata all’appartamento che affitto: volevo, però, una sistemazione diversa rispetto al solito albergo. Sfogliando i vari profili online, trovai un trio di donne dall’aria amichevole che abitava a East Austin, un’area molto particolare che stava sbocciando in un quartiere culturalmente ricco e stimolante. La casa cadeva a pezzi e la facciata dava su un vecchio e inquietante cimitero. Era però dotata di un ampio patio, e le stanze ariose ospitavano diversi oggetti d’antiquariato, oltre a – naturalmente – comodissimi divani. Lo scricchiolio dei 162 la parola ai couchsurfer pavimenti aumentava il fascino non convenzionale di quel posto. Era un’afosa sera estiva quando io e il mio pesante zaino da viaggio varcammo la soglia di quella casa. Le due coinquiline, Jennifer e Cathi, stavano bevendo birra scambiandosi buffe storie di gossip texano insieme a un altro viaggiatore, adagiato comodamente sotto il soffio d’aria fresca del ventilatore. Non feci in tempo a fare due passi oltre l’ingresso che subito mi venne tolto lo zaino e offerta una birra ghiacciata. Mi sedetti su una comoda poltrona e passai le ore seguenti a parlare di qualsiasi cosa, come se fossi stata un’amica di vecchia data appena tornata e con la voglia di essere aggiornata su tutte le malefatte delle amiche. Non vidi nemmeno la mia camera da letto fino al momento di andare a dormire, dopo esserci scambiate – nel corso di diverse birre e di un ultimo bicchiere di vino – le storie della nostra vita. Da quella prima visita, sono stata ospitata in quella casa tre o quattro volte, e sia Jen che Cathi sono venute a trovarmi a Seattle. Anche quando sto in albergo a Austin, non ci lasciamo mai scappare l’occasione di vederci per un aperitivo, una cena o un buon concerto. Per quanto riguarda invece l’ospitare persone, sarebbe davvero difficile scegliere la mia esperienza preferita; per inciso, vorrei subito cogliere la palla thomas, il tedesco girovago 163 al balzo per dire che non mi è mai capitato nulla di brutto in questi anni da host. Uno degli incontri migliori, e certamente uno dei più profondi, è stato senza dubbio quello con Thomas. Thomas è del nord della Germania, ma raggiunse la nostra casa verso la fine del suo viaggio in motocicletta, durato più di due anni, attraverso Stati Uniti, Messico e Canada. Nell’arco di cinque mesi mi venne a trovare quattro volte, per un totale di un mese e mezzo di permanenza o qualcosa del genere, e persino i suoi genitori fecero Couchsurfing da noi in una di quelle occasioni. La prima volta arrivò pianificando di rimanere solo per due o tre giorni, giusto il tempo necessario a vendere la sua moto. I piani però slittarono, perché il compito si rivelò più difficile del previsto. La sua presenza in casa, tuttavia, non fu mai un peso: aveva infatti un modo di fare originale, era intelligente e di spirito, sempre tendente all’autoironia, e andavamo molto d’accordo. Decidemmo allora di estendere l’invito da tre giorni a «tutto il tempo che ti serve per sistemare le tue cose... Fino a un massimo di due settimane, altrimenti poi dovremo chiederti l’affitto!». Non avevo capito che questa mia battuta l’aveva un po’ spaventato: in seguito, infatti, venni a sapere che da quel momento iniziò a fare il conto alla rovescia dei giorni, e sistemò tutto allo scattare delle due settimane, non un giorno in più! Furono due settimane intense. I suoi genitori 164 la parola ai couchsurfer stavano pianificando un viaggio itinerante sulla costa ovest per il mese successivo, e in qualche modo Thomas li aveva convinti che girare in un camper di seconda mano sarebbe stata la soluzione migliore, risparmiando così su una costosa automobile a noleggio. Fu una promessa ad alto rischio, ma passammo una giornata esilarante a rincorrere offerte su Craigslist e alla fine, incredibilmente, trovammo il camper perfetto. Una volta venduta la sua motocicletta (in perdita – sì, la sua fortuna in questo non poteva lontanamente rivaleggiare con quella della caccia di camper), si mise a sistemare il camper in modo da renderlo utilizzabile e sicuro per un viaggio piuttosto lungo. Partì poi per lo Yukon, esattamente quattordici giorni dopo il suo arrivo. Il piano era che i suoi genitori sarebbero arrivati dalla Germania sei settimane più tardi per prendere il van, restando nella mia casetta in giardino (il posto che solitamente offro ai viaggiatori) per un paio di giorni; insomma, il tempo necessario per sistemare ed equipaggiare il veicolo. Quando arrivò il momento, Thomas era riuscito a mettere da parte il denaro necessario grazie a un lavoro molto ben pagato, ma pericoloso per la salute, nei campi di zinco di Whitehorse, nello Yukon. Decise quindi di fare una sorpresa ai suoi genitori, tornando a Seattle in tempo per dar loro il benvenuto. Passai qualche giorno, insomma, con due generazioni di tedeschi: fantastico! thomas, il tedesco girovago 165 La prima generazione aveva circa la mia età, sulla sessantina, ma era molto meno abituata ai modi liberi e spensierati della comunità di Couchsurfing. I genitori arrivarono infatti con mezza valigia piena di regali per me: un tipico boccale da birra tedesco in vetro, una bottiglia di liquore digestivo prodotto nella loro zona, un libro sulla storia del loro villaggio, ecc., tutto presentato in modo cerimonioso una volta sistematisi nella mia casetta in giardino. Dovetti quasi costringerli a uscire per unirsi a noi per cena, visto che temevano di disturbarci e preferivano mangiare il cibo da picnic che avevano portato con sé. Era buffo vedere Thomas seduto in mezzo a loro in uno dei miei ristoranti di mare preferiti, timido e imbarazzato come un adolescente “intrappolato” tra i genitori, ora così vicini, tutti e tre con le caratteristiche guanciotte rosse. Dopo circa una settimana li salutai e partirono per il loro grande viaggio in camper: giù fino alla punta meridionale della California, poi a nord di nuovo fino allo Yukon canadese, a bordo di un Toyota Dolphin del 1982 – e nessun disastro meccanico, in tutti quei chilometri! Quasi un miracolo. Thomas poi salutò i suoi genitori, che ripartirono per la Germania, e riuscì a rivendere il camper a un appassionato della natura canadese, a quasi il doppio della cifra che aveva pagato in origine. Thomas tornò a casa mia ancora un paio di volte: una per comprare un altro minivan per girare gli 166 la parola ai couchsurfer Stati del sud, e poi, un’ultima volta, per rivenderlo (un altro affarone) quando si accorse che viaggiare senza riscaldamento durante i freddi mesi invernali si stava rivelando meno magico del previsto. Aveva anche un nuovo nipotino, Noah, che richiedeva la presenza, in patria, dello zio giramondo. Ho mantenuto i contatti con Thomas in questi ultimi mesi, e sono sicura che presto riuscirò ad andare a trovarlo a Berlino, o in Italia, o dovunque si troverà. Ha questa cattiva abitudine di partire senza preavviso per la Spagna o per il Sud-est asiatico, e potrebbe essere difficile acciuffarlo. Stargazing in Kuwait di Lorenzo Verso le sette di sera, Waleed e Ali, ragazzini poco più che ventenni, giunsero al punto di ritrovo, il parcheggio di un grande centro commerciale sul lungomare di Kuwait City. Caricarono un gruppetto multietnico di couchsurfer sulle loro auto – una fiammante Cadillac nera e un fuoristrada grosso quanto una casa – e ci raggiunsero nel deserto, su una pista a qualche decina di chilometri verso il confine con l’Arabia Saudita, in mezzo al nulla. Io ero già lì: con un amico italiano e la sua auto sgangherata li avevamo preceduti di un paio d’ore, giusto il tempo per scegliere un luogo dove accamparci e piantare le tende, dopo essere rimasti bloccati con le ruote nella sabbia e aver faticato non poco per venirne fuori. Avevamo organizzato tutto con cura: tende, sacchi a pelo, musica, carne in abbondanza e un barbecue portatile. Quella notte ci sarebbe stata la luna nuova, ideale per ammirare le stelle. Oltre ai già citati Waleed e Ali, studenti del Kuwait, e ad Aldo, l’italiano a cui avevo scroccato un passaggio, la squadra era composta da Anthony, ingegnere nel settore petrolifero, Monique, giornali- 168 la parola ai couchsurfer sta filippina, Damaris, giramondo spagnola appena arrivata dalla Giordania, e Jude, studente di Mumbai. C’erano anche Marta, piccola graziosa cubana, e suo marito, un tizio barbuto del New Jersey che non parlava mai. E poi c’era Ishdorj, il gigante di Ulaanbaatar con l’aria da bonaccione, che vestiva da arabo e mangiava sempre di gusto, senza mai sembrare pieno. Storie vissute a migliaia di chilometri di distanza confluirono in un unico punto, quella notte. Presero vita nelle parole dei nostri racconti e poi, una seconda volta, nelle menti di chi le ascoltava, aggregandosi e depositandosi con forme nuove e originali in ciascuno di noi. Destinate a essere presto dimenticate, in alcuni casi; talvolta a lasciare segni duraturi. (Puntini più o meno luminosi sparsi nella memoria, in grado di orientarci. Di influenzare magari una scelta, un viaggio futuro, la cascata di eventi che ne consegue). «Non è una questione di religione, ma di tradizione. Mi sposerò la prossima estate, insha’Allah. Sei invitato alla cerimonia.» «Grazie, Ali. Quindi mi stai dicendo che sposerai una donna che non hai mai visto in vita tua? Nemmeno in foto?» «Nemmeno in foto... Ma la vedrò presto.» «Quante volte la vedrai, prima del matrimonio?» «Una volta sola, la prossima primavera.» stargazing in kuwait 169 «Wow... Come fai a dirlo con tutta questa calma? Non vedo gocce di sudore comparire sulla tua fronte, qualcosa non quadra.» Ali rise. «La calma è solo in superficie, amico mio. Ovvio che questa situazione mi spaventa. Ma allo stesso tempo mi emoziona. Non so se riesco a rendere l’idea, ma ottenere il permesso per stare da solo con una ragazza e parlare con lei, da queste parti, è una questione molto seria. È un avvenimento speciale, quel giorno l’emozione sarà forte. Lo è già adesso. Comunque vada, da quelle due ore dipenderà il resto della mia vita.» «Se non dovesse piacerti puoi sempre decidere di non sposarla, giusto? E lo stesso vale per lei? Scusa se ti faccio mille domande, ma mi interessa conoscere le tradizioni di questo luogo e soprattutto mi interessa capire il tuo punto di vista. Quando si parla di matrimonio, io mi sento sempre ad anni luce di distanza.» «Nessun problema, davvero. Anch’io credo sia essenziale confrontare punti di vista diversi. Non sono obbligato a sposarla e lo stesso vale per lei, ma spero andrà tutto bene. Non c’è nessuna imposizione da parte dei nostri genitori, ma certo non sarebbero felici di vedere i loro piani andare in fumo. E poi ho quasi ventidue anni, voglio sposarmi il prima possibile. Vedo questo matrimonio come una sorta di salvezza. Se cominciassi ad andare in giro a cercare avventure con altre ragazze – e le tentazioni non 170 la parola ai couchsurfer mancano – credo che poi non riuscirei più a smettere. Scegliere una persona, una soltanto, ed esserle fedele: questo è ciò che voglio. Anche se non ho mai avuto nessuna relazione, sono profondamente convinto che la fedeltà verso la propria compagna faccia crescere la forza del legame, man mano che il tempo passa e si condividono le proprie vite. Certo, non sarà semplice, sarà una sfida...» «Auguri! Le tentazioni non mancheranno mai... Anche il Dalai Lama ha dichiarato che gli capita di sognare delle donne ogni tanto... Pensi di essere spiritualmente più distaccato dalle cose terrene di quanto non lo sia il Dalai Lama?» «Ci sto lavorando.» «Ahahah! Comunque ammiro le tue parole e capisco quello che intendi. Sarebbe assurdo pretendere fedeltà, senza essere disposti a offrirla in cambio. È per questo che non voglio sentir parlare di matrimonio per i prossimi dieci anni della mia vita!» Un altro sorriso comparve sulle labbra di Ali. «Sai, ho visto l’espressione che hai fatto quando ti ho detto che i miei genitori hanno scelto la mia futura sposa, ma ormai ci sono abituato. Voi occidentali reagite tutti così, sgranando gli occhi, quando ne parlo. E in realtà vi capisco anche...» «Prima di parlare con te, avevo conosciuto solo una persona che si era sposata in questo modo: un vecchio fabbricante di marionette di Jaipur, in India. Ma, capisci, lui appartiene a un’altra generazio- stargazing in kuwait 171 ne, tu invece hai due anni meno di me, la cosa mi colpisce molto di più.» «...vedremo come andrà, habibi. Se proprio il matrimonio dovesse risultare disastroso, c’è sempre il divorzio.» «E magari la prossima moglie te la trovi da solo.» «Esatto! In ogni caso credo che, nella mia famiglia, questa tradizione si concluderà con me. Voglio che i miei figli siano totalmente liberi di costruirsi il loro futuro. Non che io non lo sia, ma... Mi manca qualcosa. Ho idea che trovare una compagna possa essere un meraviglioso percorso, un cammino di autoconoscenza. Capisci cosa intendo?» «Un viaggio rilassato e senza imposizioni, una vacanza attorno al mondo. In alcune città ci si sente bene e ci si ferma un po’ più a lungo. Diventano la tua casa, per qualche tempo. Altre vorresti conoscerle meglio, ma per vari motivi le guardi dal finestrino, senza fermarti, e ne conservi l’immagine, con il suo velo di nostalgia. Oppure ti fermi per poco, ma devi subito ripartire...» «Qualche Paese ti nega il visto di ingresso.» Sorrisi. «Esatto... E poi ci sono anche quelli difficili da lasciare.» «Ecco, io questo viaggio non l’ho fatto. Mi è stata indicata la mia destinazione e mi è stata data una busta con un biglietto aereo di sola andata.» «Sai, forse siamo meno distanti di quanto pensassi. Io faccio parte di quel gruppo di persone che 172 la parola ai couchsurfer dicevi prima, quelle che non riescono più a smettere. Amo le donne. Al plurale, amico mio. Per me non c’è nulla di più bello che conquistare una ragazza. Sentire di piacerle, leggerlo nei suoi occhi. Ma poi puntualmente la voglia di conquistarne un’altra supera la voglia di costruire una relazione duratura con la prima. Ed è un desiderio talmente forte da non lasciarmi scelta. È un problema, lo so. Sono giunto alla conclusione che, per il momento, ho solo bisogno di tempo per me stesso, ho bisogno di viaggiare, di accumulare conoscenza, di laurearmi e di iniziare a lavorare. Di godermi la vita, con tutte le occasioni che mi offre. Un periodo di autentica condivisione, a lungo termine, con un’altra persona, per me è assolutamente impensabile ora come ora. Spero davvero che un giorno questa situazione cambi, altrimenti non sarò mai in grado di costruire una famiglia. Tu in questo sei molto più avanti di me. Partiamo da due posizioni certamente distanti, ma in fondo le nostre due linee di pensiero tendono verso due punti vicini. Il problema è che è sempre più facile limitarsi a uno sguardo superficiale. E lo sguardo superficiale nota solo le differenze.» «Capisco cosa vuoi dire. Superficialità e mancanza di conoscenza sono la prima causa di morte al mondo, non a caso. Comunque non pensare facciano tutti come me, da queste parti. Guarda Waleed, per esempio. Anche lui ha una promessa sposa, ma stargazing in kuwait 173 nel frattempo sta avendo molte relazioni. Facci caso, lui gira sempre con due cellulari. Se vede una bella ragazza in auto da sola, fa in modo di affiancarsi alla sua destra a un semaforo rosso, attira la sua attenzione e, un attimo prima che scatti il verde, le tira un cellulare in macchina. Poi parte facendo stridere le gomme sull’asfalto. Hai visto con che razza di auto gira, ha più di 500 cavalli. Non dovrebbe portarla nel deserto, glielo dico sempre. Comunque, dopo pochi minuti la chiama... E non ci crederai, ma ne ha conosciute parecchie in questo modo.» «Waleed è un tamarro.» «Come?» «Niente, è una cosa che diciamo noi in Italia.» Alcune nubi inattese si posizionarono tra noi e le stelle. Ma noi avevamo altro a cui pensare. Il profumo della carne che cuoceva sulle braci, la brezza del deserto dopo gli oltre 40°C di quel pomeriggio d’ottobre. Una camminata con Damaris, Monique e Anthony, lanciandoci un pallone da rugby nell’oscurità quasi totale. Ormai a notte fonda, la musica venne spenta e la gente iniziò a infilarsi nelle tende. Per qualche secondo, la quiete fu interrotta dall’antifurto dell’auto di Waleed. Decisi di allontanarmi di alcune centinaia di metri dal nostro accampamento, per restare un po’ solo con il deserto. 174 la parola ai couchsurfer Mi trovavo in mezzo al nulla, ma non c’era silenzio attorno a me. C’era il rumore del vento. Solo il rumore del vento. Delicato, preciso, sicuro di sé. Presenza sovrana, in grado di mutare continuamente quelle carte geografiche mai del tutto tracciate. Lo sentivo passarmi tra le braccia e, distintamente, tra le dita delle mani. Accompagnava la mia mente, immersa tra le mille immagini del mio ultimo mese di viaggio. Le faceva scorrere, le soffiava via una dopo l’altra, spingendomi a pregustare l’ormai prossima partenza per l’Iran. Avevo gli occhi chiusi e sentivo mio quell’attimo di presente. Non saprei dire dopo quanto tempo, improvvisamente il vento cessò e il silenzio, questa volta, divenne totale. Era denso e avvolgente, il silenzio del deserto. Non una semplice assenza di suoni, non un vuoto, ma, al contrario, una presenza che riempie gli spazi. Tornai alla mia tenda, presi il sacco a pelo e lo srotolai all’aperto, sopra un materasso. Prima di addormentarmi, guardai ancora una volta nella direzione del cielo. Poche stelle e nuove nubi. Non avevamo scelto la nottata migliore per ammirare le stelle, ma in fondo questo aveva poca importanza. Mi svegliò qualche goccia di pioggia. Infastidito, mi alzai, spostai meccanicamente il sacco a pelo nella tenda e mi rimisi a dormire. Dopo un paio d’ore, fui svegliato nuovamente. Questa volta da un rumore acuto e ripetitivo. Era il stargazing in kuwait 175 clacson di una macchina. “Ancora l’antifurto dell’auto di Waleed”, pensai, “ma quanto cazzo ci vuole a disattivarlo...”. Mi girai su un fianco, togliendomi la scomodità del deserto dalla schiena. Dopo pochi secondi, altri due colpi di clacson, brevi, seguiti da uno più lungo. Aprii gli occhi e vidi dei lampi di luce abbagliante contro la mia tenda. Ancora mezzo addormentato, realizzai che questa volta l’antifurto non c’entrava niente e decisi di uscire per capire chi fosse l’autore di uno scherzo così stupido e per spedirlo a letto il prima possibile. Aprii la tenda e, per un attimo, rimasi pietrificato. Quelli che avevo visto non erano gli abbaglianti di un’auto, erano fulmini, che – a decine – cadevano attorno al nostro accampamento. Alcuni a qualche chilometro di distanza, altri sembravano vicinissimi a noi. Waleed abbassò il finestrino quel tanto che bastava per gridarmi: «Corri in macchina, svelto!». Non me lo feci ripetere due volte. Mi misi a correre e per poco non sbattei contro Ishdorj, che, con tutta calma, stava andando verso l’auto di Aldo. Salii in macchina. Oltre a Waleed, ero stato preceduto da Jude e Damaris, che sedeva con me sul sedile posteriore. Si accese subito un piccolo dibattito sull’effettiva protezione fornita dall’auto in una simile circostanza. Jude, dopo aver ascoltato i nostri dubbi per qualche secondo, troncò la discussione affermando con autorevolezza che l’auto funge da gabbia di Fa- 176 la parola ai couchsurfer raday e che quindi eravamo al sicuro, a patto di evitare il contatto con parti metalliche. Ci sentimmo tutti più sollevati e ringraziammo in cuor nostro il buon Jude. Restammo in macchina quasi un’ora, assistendo increduli a quello spettacolo della natura. Quando il fenomeno cessò del tutto, l’alba era ormai vicina. Svegliai Damaris, che nel frattempo si era addormentata sulla mia spalla. La nostra permanenza nel deserto era durata abbastanza; su questo fummo tutti d’accordo. In pochi minuti smontammo le tende e caricammo alla rinfusa ogni cosa sulle auto. Assonnati, ci mettemmo in viaggio verso casa. Couchsurfing e il karma di Vera Di Santo couchsurfing.org/people/veramentevera Quando arrivò la richiesta di ospitalità da Remi, io e Sara eravamo in piena attività. Erano appena passati da noi, con brevi soste di una o due notti, un giapponese, una cino-malesiana e due mie amiche italiane. Io ero un po’ provata ed esitavo ad accettare la richiesta, ma Sara era così entusiasta di questa nuova esperienza che non potei proprio dire di no. Sì, perché se io avevo già surfato e hostato per qualche anno, per lei era la prima volta. Era contenta di avere compagnia in casa, soprattutto se extraeuropea – lei è tunisina impiantata in Italia da dieci anni –, e io ero felice di rivolgere il mio tempo, le mie attenzioni, le mie cure, le mie risorse ed energie fisiche (a quei tempi ancora molte) a dei surfer ambiziosi e coraggiosi, portatori sani di opinioni, di vissuti, di modi di essere diversissimi dai nostri. Ospitare è una di quelle cose karmiche che ti tornano indietro in un battibaleno, ecco, non c’è tanto da ragionarci su. E poi, accettando la richiesta di Remi, sentivo proprio di farle un regalo grande. Perché Remi è una giapponese adorabile con una storia entusiasmante alle spalle – nientemeno che un progetto di giro del mondo – e Sara è “giappofila” 178 la parola ai couchsurfer come poche. Io non potevo che essere il “Cupido” della situazione. Remi arrivò una sera che pioveva forte in Stazione Centrale a Milano, circa un anno fa. Sara era rincasata da poco dall’ufficio e si era incaricata di andarla a recuperare. Io me ne stavo perplessa sull’uscio, domandandomi se cambiarmi o meno. Poi decisi che il mio stomaco aveva la priorità e mi misi a preparare la cena: risotto con formaggio, radicchio e semi di finocchio, accompagnato da birra belga. Cucina fusion multietnica per onorare la serata. Ero molto fiera della mia pietanza. Appena asciugate, ci mettemmo a tavola, e iniziammo ad ascoltare gli sconvolgenti racconti di Remi, in un inglese sorprendentemente molto ben comprensibile per un orecchio mediterraneo come il nostro. Il lavoro insieme all’ex-fidanzato come hostess, poi la frustrazione, la rottura, la voglia di cambiamento e infine la decisione di usare la dote per viaggiare per il mondo. La parte migliore, ovviamente, arrivò quando ci raccontò del momento in cui aveva iniziato a fare i piani per il viaggio, tra voli, contatti lavorativi con associazioni del posto, conto delle spese e compagnia. Ci stregò, gasò, incoraggiò a fare la nostra rivoluzione personale, così tanto che non sapevamo più come dirle grazie. Riuscimmo solo a chiederle il file Excel con cui aveva organizzato il tutto, che ci mise couchsurfing e il karma 179 generosamente in condivisione. Sembravamo due bambine il giorno di Natale. Tra uno sbadiglio e l’altro, guardammo insieme le foto dei suoi primi tre mesi di viaggio, emettendo gridolini acuti a ogni micro-avventura con happy ending che ci veniva sapientemente elargita. Poi venne l’ora di andare a letto. Allora Remi – che deve essere una parente di Mary Poppins – aprì il suo zaino da trekking sfoggiando una quantità di vestiti di vari stili e oggetti di tutti i tipi. Caricata la prima lavatrice, ci augurammo la buonanotte: io e Sara nella mia stanza e Remi nella stanza di Sara, quella migliore, più silenziosa. Sara era così elettrizzata quella sera che credo sia andata avanti un’ora a parlare dopo che avevamo spento la luce. Ci addormentammo così, sorridenti, libere, fiduciose. L’indomani accompagnai Remi a cercare un paio di negozi vicino casa e poi me ne andai allo Yoga Festival con un’amica, non senza aver scattato prima una selfie con un sorriso raggiante. La sera rientrai tardi e non feci in tempo a rivederla, dato che la mattina sarebbe partita prestissimo. Poco male. Sentivo di aver già ricevuto tantissimo in quelle poche ore. Remi ha da poco girato il Messico, la California e proprio oggi è in partenza da Vancouver per rientrare in Giappone. Io e Sara continuiamo a progettare i nostri viaggi e guardiamo alle prossime richieste di ospitalità. la mia prima volta La mia prima volta di Davide Moroni couchsurfing.org/people/deijijv La mia prima volta con Couchsurfing è avvenuta grazie a questo libro. «Ma come», direte voi, «ma se non era ancora stato pubblicato!» Ebbene, proprio per questo. Cerco di andare con ordine. Per farla breve, qualche tempo fa proposi alla mia amica Elena, di ritorno dal suo viaggio in Iran in cui aveva soggiornato quasi esclusivamente presso couchsurfer, di scrivere un libro sull’argomento per una delle case editrici con cui collaboro. Da lì, come per magia, scattò un interruttore nel mio cervello (che spesso e volentieri funziona al rallentatore): «Ehi», mi dissi, «ma perché non ci provo anch’io, a fare Couchsurfing?». Fu uno di quei momenti in cui ci si può sentire davvero, ma davvero stupidi: sapevo cos’era il Couchsurfing, conoscevo Elena e sapevo benissimo che aveva surfato sia in Iran che negli Stati Uniti, la invidiavo, anche, per questo; tuttavia, non avevo mai realmente pensato di provare in prima persona. Non era né diffidenza, né timore, né niente del genere: semplicemente, nel significato più letterale di questo avverbio, non ci avevo mai pensato. 181 Così, colsi la palla al balzo. Di lì a poco ci sarebbe stato il Salone del Libro di Torino, dove avevo intenzione di fermarmi un paio di giorni per “promuovermi” come freelance di servizi editoriali. Iniziai perciò a cercare un potenziale host su Couchsurfing. Non senza qualche difficoltà, a dire il vero. Dopo aver creato il mio profilo, caricato qualche foto – scegliendole tra le poche in cui non sembravo un fattone ritardato – e compilato tutti i tanti, troppi campi obbligatori (inserendo anche un paio di “Non sa/Non risponde”, come nel migliore dei sondaggi), cominciai la ricerca, e subito arrivò il primo “scoglio”: la sezione “About me”, in cui, in pratica, in poche righe dovevo raccontare chi ero, spiegare perché stavo andando dove stavo andando e soprattutto convincere il mio potenziale host a scegliere proprio me. Non c’era ancora il tasto “Skip to search”, fortunatamente comparso di recente, e dovetti inventarmi qualcosa che non somigliasse a un “Ciao, mi chiamo Davide, ho 29 anni, non bevo alcol da tre mesi”. Così, forse andando contro i “principi” del sito, per invogliare i potenziali host optai per una sorta di baratto: tu mi ospiti, io ti faccio entrare gratis al Salone, entrambi siamo contenti. Fatto questo, mi misi a sbirciare tra i profili dei potenziali host, perdendoci un bel po’ di tempo: era la mia prima volta ed ero curioso di vedere come funzionava, ma soprattutto, conoscendomi, dovevo assolutamente trovare qualcuno che avesse degli 182 la parola ai couchsurfer interessi in comune con me, pena mutismo prolungato per tutta la serata che avremmo passato insieme. Perciò, per restringere il campo, oltre che per dare un senso alla mia offerta di baratto, inserii come filtro di ricerca la presenza nei profili della parola “libri” o “leggere” (in italiano e in inglese). Ahimè, i risultati della ricerca crollarono come la Borsa nel ’29 (o, se vogliamo attualizzare, nel 2008), ma così facendo mi fu più facile imbattermi nel profilo di Elisa, che mi colpì per vari motivi: innanzitutto, specificava di avere “grande passione e piccola conoscenza sui libri” (un punto a mio favore), e poi c’erano tante altre piccole cose, magari di per sé insignificanti – gioca a basket, e io “vivo” di basket; era stata in Messico, e il mio sogno è di andarci al più presto; è un’arteterapeuta, e io ho una cara amica che sta studiando per diventarlo –, ma che fanno scattare quella “scintilla” che ti porta a dire: «Sì, con lei mi troverò bene». Così, mandai la mia prima CouchRequest. Prima e unica. Couchsurfing provò a suggerirmi che per la meta che avevo scelto, Torino appunto, era consigliabile effettuare almeno otto CouchRequest, invitandomi perciò a mandarne altre sette. Ma a me piace fare di testa mia. Avevo deciso che Elisa era la host che stavo cercando, e non avevo dubbi che mi avrebbe ospitato. Così, in modo forse un po’ avventato, dato che mancava poco più di una settimana al Salone, chiusi la pagina di Couchsurfing e me ne la mia prima volta 183 andai a dormire. Un paio di giorni dopo, ecco la risposta: richiesta accettata! E, una volta giunto il “gran giorno”, che dire: nonostante alcuni contrattempi che portarono a un’esperienza di Couchsurfing forse fuori dalla normalità, andò davvero tutto a meraviglia. Il giorno prima del mio arrivo, Elisa mi informò che le avevano piazzato un impegno imprevisto per la sera in cui avrei dovuto essere suo ospite. Nessun problema, però: mi diede il numero di Giada, la sua compagna, e mi accordai con lei per raggiungerla, alla chiusura del Salone, a casa di alcuni amici da cui si trovava per cena. Quando arrivai mi ritrovai al centro dell’attenzione di una decina di ragazzi e ragazze, assalito da domande sul mio lavoro (che spesso suscita curiosità, almeno finché non si arriva a parlare di retribuzioni...). Tempo cinque minuti e, tra una birra, un piatto di pasta, un bicchiere di vino e un po’ di musica, il ghiaccio era rotto. Passai una piacevolissima serata in un’atmosfera un po’ “Erasmus” che mi ricordò, con un po’ di nostalgia, la mia esperienza a Madrid di quattro (troppi) anni prima. Alla fine della serata, andammo a casa di Giada, arrivando praticamente in contemporanea con Elisa. Nonostante l’ora tarda, e nonostante lei avesse un impegno presto la mattina dopo, chiacchierammo un bel po’, mentre cercavo di difendermi dagli assalti di Luppolo, un micetto tanto piccino quan- 184 la parola ai couchsurfer to psicopatico, che aveva la simpatica abitudine di scalarmi come se fossi un tronco d’albero per darmi zampate in faccia. La mattina dopo, al risveglio, ebbi davvero piena consapevolezza di cosa significhi Couchsurfing: Elisa e Giada infatti erano uscite presto e io ero solo in casa. Solo. In casa. In casa loro. Ero stato mezza serata con Giada, mentre con Elisa avevo parlato nemmeno un paio d’ore; eppure, eccomi lì, da solo in casa loro, investito della loro piena fiducia nei confronti di un completo sconosciuto. E fu in quel momento che capii. Il Couchsurfing funziona in modo molto semplice: basta fidarsi. Si può “scegliere” chi ospitare in base al profilo e ai primi contatti via web, certo, ma di fondo il nodo rimane una fiducia cieca nei confronti del genere umano, nonostante tutto ciò che si vede e si sente quotidianamente nel mondo. E, forse, il bello è proprio questo. PS: In verità, mi bastarono altri cinque minuti per capire come stavano davvero le cose: non ero solo, avevano lasciato di guardia Luppolo! Il quale, non appena aprii la porta della stanza in cui avevo dormito, riprese l’opera interrotta la sera prima, saltandomi addosso come un pazzo. A nulla valse il ripetuto lancio di una pallina verso la parte opposta della casa, dato che, in realtà, era un gatto da ri- la mia prima volta 185 porto, quindi mi tornava tra i piedi nel giro di dieci secondi, con la pallina in bocca e lo sguardo allucinato. E a nulla valse avergli offerto, mio malgrado, la colazione: dopo essermi versato del latte in una tazza sul tavolo, infatti, andai verso la credenza per prendere dei biscotti; quando, quattro secondi dopo, mi girai nuovamente verso il tavolo, Luppolo aveva già il muso immerso nella tazza. Ma questo è un segreto, non ditelo a Elisa e Giada! PPS: L’esperienza mi piacque così tanto che la ripetei circa un mese dopo, quando andai per qualche giorno a Madrid per incontrare alcuni amici del mio Erasmus e, dopo aver mandato più di un centinaio di richieste, trovai ospitalità da una ragazza italiana che... era lì in Erasmus (ti pareva...) e che avevo contattato per disperazione negli ultimi giorni (il mio motto potrebbe essere “all’estero, mai insieme gli italiani”, ma i principi sono fatti per essere contraddetti). E poi, un paio di mesi dopo, mi sono cimentato anche come host, ospitando un ragazzo e una ragazza russi che dalla Siberia si stavano trasferendo nelle Seychelles (!) facendo scalo a Milano. Ma questa è un’altra storia... la sharing economy Appendice La Sharing Economy La crescita della Sharing Economy (o “economia della condivisione”) è ormai un dato di fatto: secondo le stime di Forbes, nel 2013 il suo valore complessivo ha superato i 3,5 miliardi di dollari e sta crescendo di più del 25% annuo. Sembrano passati secoli dall’uscita di Ciò che è mio è tuo (2010) degli imprenditori Rachel Botsman e Roo Rogers: pionieri del consumo collaborativo, hanno analizzato alcuni concetti chiave legati all’economia della condivisione come la fiducia e la reputazione. Anche Couchsurfing, così come tante altre piattaforme di questo tipo, si basa proprio sulla fiducia tra i membri e su un sistema di recensioni che aiutano ciascuno a crearsi una buona reputazione online. In questo libro ci siamo dedicati in particolare allo scambio di ospitalità, ma esistono ormai centinaia di piattaforme digitali che facilitano anche l’uso, il noleggio, l’affitto, o lo scambio di oggetti, servizi, spazi e tempi. Si possono prendere in prestito oggetti di lusso 187 che, se comprassimo, non useremmo abbastanza da giustificarne la spesa (Vanitylady.it); ci si può muovere in città, senza il problema di cercare parcheggio (Car2go.com); si possono noleggiare per pochi euro al giorno oggetti che non useremmo frequentemente con Locloc.it; si può chiedere una mano nei piccoli lavori di casa con Taskrabbit.com; si può affittare una stanza o un appartamento per un breve periodo, o usufruirne a prezzi più bassi rispetto a un hotel, con Airbnb.com; possiamo noleggiare uno spazio per lavorare, in questi tempi di lavori autonomi e appartamenti sempre più piccoli, grazie ai tanti spazi adibiti al co-working nelle città. Secondo un’indagine condotta da ModaCult dell’Università Cattolica di Milano, su 720 attività italiane censite, attive nella Sharing Economy, il 34% è dedicato al baratto, il 31% al consumo collaborativo, il 19% al finanziamento o alla progettazione collettiva, e il 16% all’artigianato digitale. Un universo ricco e ancora da esplorare per la maggior parte dei cittadini. Alla base di tutto questo c’è un valore: la fiducia. È la fiducia nel prossimo che ci permette di ospitare uno sconosciuto in casa nostra, o che ci “spinge” a entrare in casa di qualcuno per dormirci una notte. La fiducia è alla base di Couchsurfing, ma non solo. Ci sono tante altre piattaforme che sono utili al viaggiatore attento al portafoglio, ma anche consapevo- 188 appendice le verso l’uso e lo scambio di risorse, specialmente mentre si è on the road. Ecco quindi alcuni riferimenti all’economia della condivisione al servizio dei viaggiatori: 1.Scambio casa. Avete visto il film L’amore non va in vacanza? Ecco, parliamo proprio di questo. Come scrivono Vanessa Strizzi e Andrea Villarini, autori di Scambio casa. Istruzioni per l’uso (Quodlibet), “lo scambio casa è una strepitosa forma di baratto senza intermediari (che) non si fonda su principi legati al valore della casa, alla sua dimensione o alla sua intrinseca bellezza, ma su un principio completamente diverso: scambio ciò che ho con ciò che mi serve”. I siti più usati sono Scambiocasa.com e Homelink.org. 2.Campinmygarden.com è un sito nato nel Regno Unito nel 2011 e che sta pian piano crescendo, includendo membri da più Paesi. Permette ai campeggiatori di sistemare le tende in un giardino privato, per una modica cifra (e si possono usare i servizi del privato che li mette a disposizione). 3.Per quanto riguarda il mangiare “social”, c’è l’imbarazzo della scelta. Con Eatwith.com, per esempio, si può partecipare a cene cucinate in casa, a cifre variabili (“la nostra missione: unire le persone, un pasto alla volta”). Si può trovare una cena a tema romagnolo a Milano, come cucinare la pasta ripiena a Roma, cena a chilome- la sharing economy 189 tro 0 a Urbino, cena a tema mediorientale a New York... La scelta è davvero ampia. 4.Come recita la sua pagina, Gnammo.com è la prima piattaforma tutta italiana dedicata al social eating. La partecipazione è gratuita e ci si può iscrivere sia come Gnammer (l’ospite) che come Cook (colui che invita a casa propria e cucina). Il prezzo (sempre ragionevole) per ogni commensale è deciso dal Cook. 5.Per trovare o offrire un passaggio in auto, Blablacar.it è il portale più conosciuto in Italia; Lyft. com, invece, è diffuso soprattutto negli Stati Uniti. Getaround.com permette di noleggiare, per una manciata di dollari l’ora, l’auto di un altro utente. Zipcar.com funziona allo stesso modo ed è diffuso soprattutto nelle città americane. 6.Per trovare una guida capace di offrire esperienze uniche e di alto valore, ci si può rivolgere a Vayable.com, che muove dal presupposto che “le vere esperienze vengono create dagli insider indipendenti”. Unisce così guide referenziate con idee di tour particolari (per esempio, un tour della street art a Los Angeles) ai viaggiatori stanchi dei soliti tour guidati. Un sito simile è Rent-a-guide.net. Ringraziamenti Innanzitutto, vorremmo ringraziare, in rigoroso ordine alfabetico, Ana Blanco, Cheryl Smalley, Jennifer Chrobak, Lorenzo, Marco Ferrarese (il nostro Marco, uno dei tanti cervelli che l’Italia ha perso, è un affermato scrittore in Malesia, dove ora vive: cercate il suo ultimo libro Nazi Goreng e capirete perché l’abbiamo voluto con noi!), Martino (autore anche del profilo del “Tipo a posto”, a p. 86), Masih, Paolo Guglielmo Sulpasso e Vera Di Santo, che hanno contribuito con le loro esperienze a rendere unico questo libro. Un ringraziamento particolare va anche a Boris Puggia, che con la sua tesi Costruire la fiducia online: il caso Couchsurfing ci è stato più volte di ispirazione. Ma non possiamo non pensare a tutti quei couchsurfer che, in questi anni, ci hanno permesso di girare e vivere il mondo, e che hanno portato il mondo a casa nostra: senza di loro, questo libro non esisterebbe. Sarebbe impossibile nominarli tutti, ma vorremmo almeno ringraziare qui Luca D. e Katie “3rd nonna” Whitmer, entrambi couchsurfer ante litteram. Infine, grazie a Mauro Morellini, che fin dal primo istante ha creduto in questo progetto e ne ha permesso la realizzazione, e a tutte quelle che persone che in questi mesi abbiamo ammorbato per consigli, spunti, idee, letture e riletture su questo libro.