Indice
Parte prima - Come funziona7
Copyright 2014 © Bold di Morellini
via Farini, 38 – 20159 Milano
www.morellinieditore.it
facebook.com/morellinieditore
Grafica e impaginazione: CreaLibro
Illustrazione e grafica di copertina: Emanuele Lacchini
ISBN: 978-88-6298-315-0
Data di pubblicazione: giugno 2014
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma
delle convenzioni internazionali
1.Introduzione
2.Couchsurfing: cos’è?
3.Perché usare Couchsurfing?
4.Ma è sicuro?
5.I primi passi: compilare un profilo
6.Viaggiare: come funziona?
7. Ospitare: come funziona?
8.Gruppi ed eventi
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Parte seconda - Incontri fuori dal normale 63
9.Ma dove sono capitato?!?
10. Ma chi ho fatto entrare in casa?!?
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Parte terza - La parola ai couchsurfer115
11. Esperienze con il Couchsurfing
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Appendice - La Sharing Economy186
Parte prima
Come funziona
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Introduzione
Chi di noi non sogna di poter viaggiare attorno al
mondo? Di poter incontrare persone, vivere esperienze indimenticabili, conservare ricordi, contatti e
amicizie in ogni parte del globo?
Se fino a qualche anno fa questo rimaneva un
desiderio irrealizzabile per la maggior parte di noi,
oggi – grazie agli strumenti messi a disposizione soprattutto dal web – è alla portata, se non di tutti, di
molti. Sono lontani, insomma, i tempi in cui viaggiare era un passatempo solo per i più ricchi.
Se la ricerca dei mezzi di trasporto più convenienti è stata resa incredibilmente più facile dall’enorme
quantità di informazioni disponibili su internet (si
pensi ai tanti motori di ricerca specializzati), possiamo dire che la ricerca dell’alloggio è stata davvero
rivoluzionata. Non soltanto nella facilità della ricerca – non si contano più i siti che aiutano a scegliere
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come funziona
dove alloggiare in vacanza comparando prezzi, servizi, ubicazioni di hotel, residence e B&B –, ma anche nell’incredibile ampliamento dell’offerta.
Oggi il turista ha l’imbarazzo della scelta in ogni
aspetto, dai mezzi di spostamento agli alberghi, dalle visite turistiche ai ristoranti: bastano pochi click
per costruirsi il proprio viaggio stress-free e “su misura”.
Ma se siete in cerca di esperienze davvero uniche,
che possano allargare i vostri orizzonti e che vadano
oltre tutto quello che l’industria del turismo tradizionale può offrirvi, allora il Couchsurfing – letteralmente, “saltare da un divano all’altro” – è la soluzione che fa per voi. E in questo libro vi spiegheremo
perché.
Lo faremo raccontandovi cos’è e come funziona,
mostrandovi, con un pizzico di umorismo, con che
tipo di persone potreste avere a che fare, e nell’ultima parte lasceremo la parola a chi ha viaggiato e
viaggia con il Couchsurfing o ha ospitato e ospita
viaggiatori da tutto il mondo: perché crediamo che,
in fondo, basti leggere le esperienze di chi da anni
fa parte di questa community per capire perché milioni di persone ogni anno decidano di viaggiare –
di viaggiare per davvero, nel più pieno significato di
questa parola – “saltando da un divano all’altro”.
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Couchsurfing: cos’è?
Ci sono un francese, un americano e un cinese: barzelletta di cattivo gusto? No! Una classica giornata
all’insegna del Couchsurfing.
Ma cos’è il Couchsurfing? Si tratta di una vasta
community online formata da persone che intendono il viaggio come scambio culturale a tutto tondo,
più che come mero spostamento fisico in cerca di
svago, e che mettono in pratica questa loro “filosofia” ospitando viaggiatori in casa propria (anzi, letteralmente, sul proprio divano) e venendo ospitati a
propria volta da altri utenti di tutto il mondo.
La dinamica è molto semplice: il sito Couch­
surfing.org è, di base, paragonabile a un “comune”
social network, come potrebbe essere Facebook:
ogni utente ha il suo profilo, in cui presenta se stesso, parla dei suoi interessi, dei suoi viaggi, delle sue
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come funziona
Glossario
CouchRequest: richiesta di ospitalità eseguita tramite il sito Couchsurfing.org
Couchsurfer: utente iscritto al sito Couchsurfing.org o, per esteso, persona
che pratica il Couchsurfing. Spesso abbreviato in “surfer”.
Couchsurfing: nome del sito in questione, significa letteralmente “saltare
da un divano all’altro”. Spesso abbreviato in CS, indica la pratica di viaggiare
venendo ospitati e ospitando gratuitamente gli utenti iscritti al sito. In questo libro utilizziamo questo termine per indicare in generale questa “filosofia di viaggio”, non per forza legata all’atto pratico al sito Couchsurfing.org.
Reference: referenza, positiva o negativa, che viene lasciata dagli utenti
del sito Couchsurfing.org dopo essersi conosciuti di persona.
Guest: viaggiatore che viene ospitato gratuitamente in casa di un host.
Host: persona che ospita gratuitamente viaggiatori (guest) in casa propria.
Profilo: pagina personale di ogni utente sul sito Couchsurfing.org, ne contiene le informazioni di base, come età, sesso, città di provenienza, professione, e quelle relative alle lingue parlate, alla disponibilità o meno a
ospitare altri membri e ai suoi interessi, i link ai profili degli utenti amici,
le referenze lasciate dagli utenti con cui è entrato in contatto di persona.
esperienze, e specifica se è disponibile a ospitare in
casa sua, oppure no. Il bello del Couchsurfing è che
lo scambio è solo culturale: non è infatti obbligatorio
ospitare per essere ospitati e, ovviamente – ma al
giorno d’oggi è meglio specificarlo –, tutto avviene
senza alcuno scambio di denaro.
Proprio quest’ultima caratteristica va ripetuta e
sottolineata: nella società in cui viviamo il ruolo del
denaro è uno dei fattori che maggiormente influenza
le relazioni sociali tra gli individui; il fatto che nel
Couchsurfing ogni scambio, ogni esperienza siano
couchsurfing: cos’è?
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completamente gratuiti è la prova non solo che molte persone sono alla ricerca di qualcosa di “altro”,
ma anche che questo “altro” è possibile. A nostro
parere, il fascino di Couchsurfing – il cui slogan, significativamente, è “Changing the world, one couch
at a time”1 – deriva in parte, se non soprattutto, proprio da questo aspetto.
Prima di iniziare a raccontarvi in cosa consiste
questo “nuovo” modo di viaggiare e ad aiutarvi a fare
i primi passi in una community che ha ormai superato i 7 milioni di viaggiatori iscritti, pensiamo sia
interessante spendere due parole su chi ha avuto il
merito di pensare e sviluppare questo progetto.
Un po’ di storia
L’idea del viaggiare appoggiandosi all’ospitalità di
(semi)sconosciuti non è certo nuova: è noto che alberghi e locande si svilupparono tardi in Inghilterra, e fino al Medioevo l’unica possibilità di trovare
riparo durante la notte era l’alloggio da estranei. Il
re, per esempio, pretendeva ospitalità presso la reggia del nobile locale, il quale era ben consapevole
dell’importanza politica del gesto. I comuni mortali,
invece, potevano contare sull’accoglienza gratuita
offerta da monasteri e conventi (non dimentichiamo
che offrire ospitalità a un estraneo è uno dei doveri
del buon cristiano).
1 Trad.: “Cambiare il mondo, un divano per volta”.
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come funziona
Le reti di hospitality exchange, se non risalgono
propriamente al Medioevo, sono comunque più vecchie di quanto si possa pensare: una delle prime e
più diffuse, Servas Open Doors, fu fondata nel 1949
dal pacifista Bob Luitweiler (vedi anche l’approfondimento alla fine di questo capitolo).
Come tutte le grandi invenzioni sul web, Couchsurfing è nato da un’idea e da un’occasione molto semplici. Nel 1999 Casey Fenton, allora studente universitario di informatica, acquistò un biglietto economico su
un aereo da Boston all’Islanda per un weekend lungo
in aprile. Non aveva molti soldi, e non voleva spenderli
in un albergo. Ebbe allora un’intuizione: «perché non
contattare alcuni studenti universitari come me per
farmi consigliare un posto dove dormire?».
È presto fatto: Fenton manda un’e-mail ai 1.500
studenti dell’Università di Reykjavik, chiedendo loro
se conoscessero qualcuno disposto ad accoglierlo per
qualche notte. Al messaggio rispondono oltre cinquanta persone, e Fenton viene ospitato a casa di uno dei
nuovi amici islandesi, provando un’esperienza molto
diversa da quelle vissute fino a quel momento: riesce
a vedere il Paese dal punto di vista di un abitante del
posto, instaura rapporti genuini con giovani come lui,
impara come si vive dall’altra parte del mondo. Sente
di non essere stato un semplice turista in Islanda, e
intuisce che la sua idea può essere la risposta a un
bisogno di autenticità avvertito molto profondamente
dai giovani viaggiatori del nuovo millennio.
couchsurfing: cos’è?
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Incoraggiato dal risultato positivo ottenuto con
l’iniziativa, sulla via del ritorno inizia a pensare a
come quest’idea embrionale possa essere trasformata in qualcosa di più grande.
Non ha molti mezzi, specialmente di tipo finanziario: s’indebita con le banche e ipoteca l’auto per
poter avere le risorse necessarie per mangiare e dormire, mentre continua a programmare a ritmo serrato. Lavorare da solo a un sito così complesso, però,
diventa impossibile. Anche la ricerca di volontari si
rivela infruttuosa: diventa necessario avere persone
che si impegnino per lunghi periodi a un progetto
tecnologicamente difficile. Decide, allora, di creare
un collettivo, un gruppo di persone che vive e lavora
insieme, in uno stesso luogo, per svariati mesi.
Il primo esperimento avviene a Montréal: per tre
mesi, quindici persone dividono i 3.000 dollari di
spese per l’affitto, il cibo e i server. Naturalmente la
situazione è a tratti caotica, ma anche caratterizzata
da quel senso di comunità su cui si fonda il concetto
di ospitalità volontaria. Dopo il primo, vengono creati
nuovi collettivi in Nuova Zelanda, Costa Rica e a New
York City. Cominciano ad arrivare centinaia di candidature spontanee per i collettivi, in quello che forse è
stato uno dei primi esperimenti di crowd­sourcing2 in
2 Per crowdsourcing si intende un modello di business in cui lo
sviluppo di un progetto viene portato avanti da un insieme indefinito di persone non organizzate in precedenza, utilizzando prevalentemente strumenti messi a disposizione da internet.
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come funziona
campo tecnologico. Ed è proprio in questi mesi che
si forma quel concetto di “missione” tipico del couchsurfer, o di chiunque cerchi o doni ospitalità in casa
propria per qualche notte, grazie a ragazzi di tutto
il mondo che condividono uno stesso ideale. E mentre si cerca di trovare una soluzione ai grattacapi
derivanti dai diversi sistemi legislativi nei vari Paesi
riguardo le assunzioni a breve termine, il sito arriva
a un milione di membri e il numero dei programmatori e dei server cresce sempre di più.
Grazie quindi a diversi investimenti e al lavoro
– per la maggior parte volontario – di tanti programmatori sparsi per il mondo, Couchsurfing è diventato il più grande network di viaggi sociali al mondo.
Nel 2011 l’organizzazione no profit è diventata una
B-corporation (un’azienda for profit dedicata alla creazione di pubblico beneficio), riuscendo a raccogliere
7,6 milioni di dollari da parte di Benchmark Capital.
Questo ha causato reazioni negative soprattutto da
parte dei membri della “vecchia guardia”, che avevano donato a titolo gratuito il loro tempo e le loro
energie al funzionamento di un sito che ora è volto
al profitto. Allo stesso tempo, però, i codici del sito
erano ormai vecchi ed era necessaria una ristrutturazione, in vista soprattutto di nuovi competitor più
moderni e attrezzati (AirBnb, per esempio, anche se
funziona secondo regole diverse; vedi appendice). Attualmente, Couchsurfing dà lavoro a tempo pieno a
più di trenta persone.
couchsurfing: cos’è?
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Nel 2012, Casey Fenton e Dan Hoffer si sono allontanati dall’organizzazione (ma fanno ancora parte
del consiglio direttivo) per dedicarsi completamente
al CERI (Cultural Exchange Research Institute), il
centro di ricerca legato a Couchsurfing che si occupa di studiare concretamente gli scambi culturali che avvengono nella comunità e la comprensione
della diversità che ne deriva.
Oggi, a dieci anni dalla sua fondazione, Couchsurfing vanta oltre 7 milioni di utenti, provenienti
da più di 100.000 città sparse in tutti i 207 Paesi del
mondo, soprattutto Stati Uniti, Germania, Francia,
Canada, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Brasile, Australia e Cina. Il 53% degli iscritti è di sesso maschile (e ovviamente il 47% è di sesso femminile), mentre
Diamo i numeri!
•Oltre 7 milioni di utenti (di cui più di 500.000 in Italia)
•207 Paesi di provenienza
•Oltre 100.000 città di provenienza
•366 lingue parlate
•Oltre 19 milioni di amicizie “virtuali” strette tra couchsurfer
•11,5 milioni di referenze
•300 città con almeno un evento settimanale
•5,6 milioni di notti di ospitalità
•1.611 è il record di referenze per un singolo couchsurfer
•1.640 è il record di amicizie “virtuali” di un singolo couchsurfer
•197 è il record di Paesi visitati da un singolo couchsurfer
•689 è il record di notti in cui un singolo couchsurfer è stato ospite
•2.593 è il record di notti in cui un singolo couchsurfer ha ospitato
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come funziona
per quanto riguarda le fasce d’età sembra naturale
che circa due terzi degli utenti abbia dai 18 ai 29
anni, ma non deve sorprendere che ci siano parecchi iscritti anche over 60: Couchsurfing è davvero
aperto a tutti!
Non solo Couchsurfing
Come abbiamo detto in apertura di questo capitolo, Couchsurfing è solo una delle associazioni che si
pongono come obiettivo favorire il contatto tra persone che intendono il viaggio come scambio culturale, e se la utilizziamo come punto di riferimento è
semplicemente perché è di gran lunga la community
più numerosa.
Ecco quindi una lista di “concorrenti”, forse meno
conosciuti, ma la cui menzione, in rigoroso ordine
alfabetico, è quantomeno doverosa:
• BeWelcome (http://www.bewelcome.org). Fondato nel 2007 da ex membri di Hospitality Club,
ha visto aumentare il numero di iscritti a partire
dal 2011, quando molti utenti di CS sono “traslocati” su questo portale per protesta nei confronti del cambio di statuto di Couchsurfing. Attualmente conta circa 60.000 utenti, di cui il 38%
proveniente da Germania, Francia o USA.
• Global FreeLoaders (http://www.globalfree
loaders.com). Inizialmente utilizzato soprattutto
in Australia, perché australiano è il suo fondatore Adam Staines, di recente si è diffuso anche
couchsurfing: cos’è?
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negli USA, che contano circa 30.000 iscritti sui
100.000 totali (circa un migliaio in Italia). Ha uno
stile piuttosto “asettico” che forse attira poco gli
utenti ma è funzionale al suo scopo, che è semplicemente mettere in contatto chi cerca un alloggio
e chi lo offre. Contrariamente a Couchsurfing, chi
vuole essere ospitato ma non può ospitare a sua
volta non è esattamente il benvenuto.
• Hospitality Club (http://www.hospitalityclub.
org). Fondato in Germania nel 2000, è uno dei
siti “pionieri” per quanto riguarda la ricerca di
ospitalità online, nonché leader in questo campo fino all’avvento di Couchsurfing e fino all’estensione dell’Unione Europea ai Paesi del blocco ex-comunista e alla conseguente abolizione
dell’obbligo di visto, che aumentò non di poco il
numero dei viaggiatori. I volontari più impegnati chiesero quindi al fondatore Veit Kühne alcuni
cambiamenti chiave nella gestione del sito, ma
dopo mesi di trattative inconcludenti si staccarono, dando vita, come anticipato, a BeWelcome.
Oggi il sito è praticamente fermo, nonostante oltre 600.000 utenti ancora formalmente iscritti,
provenienti soprattutto da Germania, Francia,
USA, Polonia e Russia.
• LGHEI (http://www.lghei.org). Associazione internazionale di omosessuali (uomini e donne) che
si offrono a vicenda una breve ospitalità durante i
loro viaggi. Funziona così: ogni anno a marzo e a
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come funziona
settembre viene inviato, esclusivamente ai soci, l’elenco dei membri disponibili a ospitare; dopodiché,
il contatto avviene direttamente tra guest e host.
• Servas Open Doors (http://servas.org). Associazione internazionale, non governativa e multiculturale fondata nel 1949 dal pacifista Bob
Luitweiler, è portata avanti esclusivamente da
volontari in oltre 100 Paesi. Ha portata piuttosto
marginale, anche se il fatto che il sito sia attualmente in rifacimento indica la volontà di provare
a rilanciare questo servizio. Il sito di Servas Italia
è: http://www.servas.it.
• YowTrip (http://www.yowtrip.com). Anche questo sito promuove il viaggio come scambio culturale, anche se il suo funzionamento è un po’ diverso
da quelli visti finora: chi ospita si registra, mentre
a chi viaggia basta inserire i propri dati personali
e le informazioni relative al viaggio; gli utenti della
località di destinazione riceveranno la segnalazione e, se disponibili a ospitare, risponderanno direttamente al viaggiatore.
• Warm Showers (https://it.warmshowers.org).
Funziona come Couchsurfing e simili, ma è dedicato esclusivamente ai cicloturisti. Conta più di
40.000 membri, ma è ancora relativamente poco
diffuso in Italia.
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Perché usare
Couchsurfing?
Ci sono diverse ragioni per cui “saltare da un divano
all’altro” può essere la soluzione migliore quando si
viaggia.
1.La prospettiva che abbiamo sul Paese che stiamo
visitando nasce sì da letture e ricerche precedenti la partenza stessa (la nostra guida turistica di
fiducia, libri, film, musica, quotidiani), ma non
può prescindere dal confrontarsi con le opinioni e
le esperienze di chi ci vive tutti i giorni. L’incontro
potrebbe rafforzare, sfidare o demolire totalmente
le nostre opinioni: ad ogni modo, si tratta sempre
di un’occasione di crescita per le parti coinvolte. È vero che questo genere di incontri avviene
di continuo mentre si viaggia, ma provate a immaginare quante occasioni di dialogo, scambio e
discussione possono avvenire quando si condivi-
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come funziona
dono gli spazi domestici! Tra i “souvenir” più belli
che portiamo a casa da ogni viaggio ci sono proprio le decine di conversazioni avute di mattina
mentre si lavano le tazze della colazione, durante
le visite ai siti più “turistici” o persino nel cuore
della notte, dopo una giornata densa di scoperte. Certo, talvolta l’albergo è la soluzione più comoda, perché non ci costringe a interagire con lo
spazio esterno: ma non è forse questo un modo di
viaggiare piuttosto “sterile”?
2.I consigli delle persone che vivono nel posto che
visitiamo sono, la maggior parte delle volte, migliori di quelli che ci vengono offerti dai più sofisticati algoritmi di ricerca online. Ed è proprio
quando si pranza in una sala che non ospita altri
viaggiatori oltre a noi che si ha la sicurezza di
aver fatto la scelta giusta. Go where the locals go.
3.Viaggiare con il Couchsurfing ci mette alla prova.
Impariamo ad adattarci: ci apriamo al confronto e
allo scambio, e impariamo anche a capire quando
il nostro host ha bisogno di silenzio e solitudine. Ci ricordiamo di assumere un atteggiamento
positivo e propositivo. Impariamo anche a superare i momenti di sconforto che inevitabilmente
arrivano, soprattutto se si viaggia a lungo e in
solitaria.
4.Si scoprono costantemente cose nuove, con le
quali non saremmo mai entrati in contatto altrimenti. Per esempio, chi l’avrebbe mai detto che
perché usare couchsurfing
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anche molti nomadi che vivono spostandosi con
le loro ger in Mongolia apprezzano la pasta Barilla? Di facile conservazione, trasporto, e preparazione. Be’, di certo sulla nostra guida questo non
era scritto!
5.Potremmo capitare in posti che non avremmo mai
visto altrimenti, specie se a ospitarci è qualcuno
che vuole renderci davvero partecipi della sua
vita. Feste di compleanno iraniane (dove l’alcol,
udite udite, non manca), messe cattoliche domenicali nel profondo Sud statunitense con annesso
barbecue, il bar più “cool” della brillante gioventù
russa a Tomsk, in Siberia. Luoghi dal non immediato appeal turistico, ma che raccontano un
Paese e il suo popolo tanto quanto i suoi monumenti più celebrati... Se non di più!
6.Abbiamo l’occasione, solitamente per un breve
periodo, di entrare in contatto con persone che
difficilmente incontreremmo nella vita di tutti i
giorni. Si allena la mente a stringere legami significativi in tempi inferiori rispetto a quelli che
ci concediamo di solito. Non solo: può certamente
capitare che, nonostante un certo livello di conoscenza reciproca “online”, la persona con cui
condividiamo gli spazi non ci stia poi così simpatica, o non sia come ce l’aspettavamo (a questo
proposito: bisogna leggere attentamente il profilo
della persona che vogliamo come host!). Anche in
questo caso, l’esperienza è utile, perché ci aiuta a
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come funziona
comprendere e accettare chi nella vita “ordinaria”
non frequenteremmo mai. Ogni persona ha un
proprio cammino alle spalle e delle ragioni per cui
è come è, e ogni confronto è sempre un’occasione
di crescita per entrambi. Saltando da un divano
all’altro, insomma, si entra in contatto con tante
persone: non tutti gli incontri si trasformeranno
in amicizie per la vita, ma ci sono buone probabilità che qualcuno farà parte dei nostri affetti anche molti anni dopo la conclusione del viaggio.
Personalmente, è andata proprio così nella maggior parte dei nostri viaggi. Come si legge sul sito:
“strangers are just friends you haven’t met yet”:
gli estranei sono solo amici che non avete ancora
incontrato.
7.Con il Couchsurfing si impara a essere buoni
ospiti: non è obbligatorio, ma è certamente buona
norma portare un piccolo regalo a chi ha scelto
di ospitarci, così come si farebbe con qualcuno
che ci ha invitati a cena. Si impara a rispettare
gli spazi e i tempi altrui. Questo include anche
il lasciare la nostra stanza (se ce ne è stata data
una) esattamente come l’abbiamo trovata, se non
in condizioni ancora migliori, aiutare sempre nel
riordinare la cucina, ecc. Abitudini che è bene
conservare anche una volta tornati dal viaggio,
naturalmente!
8.Last but not least: “perché abbandonare le comodità di un albergo?”, potreste domandarvi, e
perché usare couchsurfing
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domandarci. Be’, perché potrebbe capitarvi di essere ospitati in case molto più belle e confortevoli
di qualsiasi albergo, con il “bonus” di avere qualcuno che ci vive con cui chiacchierare. Provare
per credere!
Cosa non è il Couchsurfing
È meglio sgombrare il campo sin da subito: il Couch­
surfing non è né un modo per non pagare un albergo, né un sito di appuntamenti.
Come si è cercato di illustrare nel paragrafo precedente, c’è così tanto da guadagnare dal vivere
un’esperienza del genere, in termini umani, emotivi,
sociali, psicologici, che il risparmio diventa davvero
l’ultimo fattore da tenere in considerazione. Se non
siete in vena di fare conoscenza, di essere “sociali”,
di dare una mano in casa ed essere comunque “presenti” per la persona che vi sta ospitando, il Couchsurfing non fa per voi. Ci sono sempre soluzioni per
soggiornare a basso prezzo, tra cui ostelli e condivisione di appartamenti, che faranno sicuramente al
caso vostro.
Un’altra avvertenza: Couchsurfing non è un sito
di dating, ovvero con l’esplicita missione di trovare
partner per una notte o per la vita. La comunicazione ufficiale coordinata dagli uffici di San Francisco
insiste molto su questo punto.
Come ha scritto Roy Marvelous, blogger che si è
occupato anche del fenomeno Couchsurfing: «Sì, so
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come funziona
che CS non è un sito per appuntamenti, ma pensa
un po’, non è nemmeno un sito dedicato alla cucina, eppure un sacco di volte si finisce per cucinare
insieme»3. È vero: così come succede che le persone
cucinino insieme, capita anche che – per qualche
giorno o per la vita! – diventino più che amiche. Così
come, nella vita reale, capita che una (di solito piccola) percentuale di connessioni sociali si trasformi
in una connessione più forte. L’importante è evitare
di usare Couchsurfing esplicitamente o implicitamente per questo motivo. Fortunatamente, però, la
stretta minoranza di persone che ha confuso CS con
OkCupid o altri siti simili è facilmente individuabile,
soprattutto se di sesso maschile, come vedremo più
avanti.
3 http://roymarvelous.com
4
Ma è sicuro?
Couchsurfing si basa su una rete di referenze (“recensioni” che le persone si lasciano a vicenda dopo
essersi incontrate) e di garanzie di cui si parlerà nel
capitolo dedicato all’uso del sito.
Couchsurfing è fondamentalmente sicuro, e gli
episodi negativi sono davvero in netta minoranza rispetto alle esperienze positive che permette ai viaggiatori di vivere. È necessario, come sempre, usare
la testa: un ospitante vi sembra strano anche se non
riuscite a capirne il motivo, non ha foto profilo, non
ha referenze? Se potete, sceglietene un altro.
È di vitale importanza leggere sempre con attenzione i profili e le referenze delle persone da cui
vogliamo stare (o che vogliamo ospitare), prima di
prendere qualsiasi decisione. Se non vi sentite al sicuro, nessun problema: declinate la richiesta o l’offerta di ospitalità in modo chiaro, sempre attraverso
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come funziona
il servizio di messaggistica del sito. E fate in modo di
avere sempre un piano B.
Couchsurfing ha anche uno spazio dove è possibile raccontare la propria esperienza negativa o,
nel peggiore dei casi, sporgere denuncia: si trova
all’indirizzo: https://support.couchsurfing.org/hc/
en-us/requests/new?category=safety.
Se sei donna e viaggi da sola
Come riconoscere il “marpione”, ovvero colui che è in cerca di un tipo di
scambio non prettamente culturale (si veda anche il profilo a pag. 93)? Normalmente, questi utenti hanno un profilo incompleto o, anche se completo,
esso non fa di solito riferimento ai “valori condivisi” di Couchsurfing (fiducia, apprezzamento della diversità nella comunità mondiale dei viaggiatori,
importanza delle interazioni, dello scambio culturale, ecc).
È molto importante controllare le referenze: se sono soltanto da parte di
ragazze giovani e tendenzialmente di bell’aspetto... Può essere un campanello d’allarme.
Questo significa che il ragazzo in questione deve essere depennato dalla
lista dei possibili ospitanti? Non proprio. Un primo scambio di messaggi
privati a carattere conoscitivo è sempre utile. Oppure, fatevi dare il suo
profilo di Facebook, se ce l’ha, e dateci un’occhiata. Se anche in questi casi
il messaggio è chiaro, o anche solo ambiguo, non resta che scegliere: si può
essere ospitate, sapendo che c’è dietro una certa intenzione... oppure no.
Ricordate che è sempre meglio tenere un contatto “di riserva”, nel caso
in cui l’esperienza dovesse prospettarsi davvero spiacevole, oppure, se ciò
non è possibile, creare una “Open Couch­Request”, cioè una richiesta aperta
a vari utenti della zona in cui intendete andare. Questa opzione è attivabile
(ma non obbligatoria) già mentre mandate richieste di ospitalità a utenti
ma è sicuro?
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specifici, ma potete anche crearla successivamente nella vostra pagina
“CouchManager”, nella sezione “Itinerary”. Esamineremo nel dettaglio questi passaggi nel capitolo 6.
La “Open Couch­Request” è comunque una soluzione d’emergenza dal
successo non assicurato, quindi evitate di usarla se non è necessario. Alla
peggio, se già siete in viaggio, potrete sempre trovare una stanza libera
in qualche ostello o hotel economico (negli stessi gruppi d’emergenza di
solito si trovano informazioni sulle sistemazioni a pagamento, nel caso in
cui non sia proprio possibile trovare un couch d’emergenza).
i primi passi: compilare un profilo
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I primi passi:
compilare un profilo
Le indicazioni presenti in questo capitolo fanno riferimento al sito Couch­surfing.org come si presenta
nel mese di maggio 2014: essendo in continua evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista),
qualche dettaglio potrebbe cambiare nel tempo. Ad
ogni modo, non preoccupatevi: iscriversi al sito è
molto semplice.
Per iscriversi ci sono due possibilità: si può farlo
attraverso il proprio account Facebook, oppure inserendo il proprio indirizzo e-mail. Una volta compilati i vari campi richiesti, si arriva nella homepage.
Preferiamo qui utilizzare la versione del sito in lingua originale (quindi, inglese), perché è quella che
causa meno problemi di visualizzazione. I comandi,
in ogni caso, sono abbastanza intuitivi anche per
chi non conosce perfettamente questa lingua.
Come prima cosa, è essenziale compilare il profilo
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affinché sia completo, chiaro, curato e, perché no,
piacevole da leggere. Non dimenticate che il profilo
è la vostra “finestra” sul mondo dei viaggiatori: se
è sporca o rotta, sarà più difficile ospitare o essere
ospitati. Se vi viene difficile pensare a cosa scrivere,
niente paura: provate a girovagare tra i profili di persone “esperte”, iscritte da parecchio tempo. Sicuramente troverete qualche bella idea.
Infine, ultimo consiglio prima di analizzare nel
dettaglio i contenuti del profilo: se avete intenzione
di viaggiare all’estero (e/o di ospitare surfer stranieri), compilate il vostro profilo in inglese o, almeno,
in doppia versione inglese/italiano; faciliterà la consultazione a chi non parla la vostra lingua madre
e, di conseguenza, aumenterà esponenzialmente le
vostre possibilità di trovare un host. E se l’inglese
non è il vostro forte, fatevi aiutare da un amico o
accontentatevi di frasi semplici: sarà sempre meglio
che avere un profilo solo in italiano.
Il profilo, voce per voce
• Photo. Andate dunque alla sezione “Complete
your basic profile to help hosts & travelers get to
know you”4 (alternativamente, si può accedere
al proprio profilo ancora da completare dal nick­
name in alto a sinistra). Si apre una finestra che
vi chiede di inserire o caricare da Facebook una
4 Trad.: “Completa il tuo profilo per aiutare ospitanti e viaggiatori
a conoscerti”.
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come funziona
vostra foto: è buona norma inserire su Couch­
surfing un’immagine in cui si vedano chiaramente le vostre caratteristiche fisiche. Non deve essere per forza una fototessera da passaporto, ma
è importante in questa fase fare tutto il possibile
per comunicare fiducia alla persona che visita il
vostro profilo: una foto troppo buia o che si concentra su un dettaglio del corpo non è la scelta
ideale. Una buona idea potrebbe essere quella di
mostrarvi mentre siete in viaggio. Tenete presente, comunque, che la foto profilo è una, ma potrete in ogni caso caricare quante fotografie vorrete,
suddividendole anche in diversi album.
• Current Mission. È la frase che compare nella parte alta della pagina, appena sotto il vostro
nome e cognome (o il nickname che avete scelto).
Probabilmente sarà una delle prime cose che verrà notata da chi visiterà il vostro profilo; scrivete
quindi una frase che spieghi in breve (molto in breve) qualcosa di voi, del vostro carattere: cosa state
facendo nell’attuale momento della vostra vita o
quali sono i vostri sogni, ma anche, per esempio,
un verso o una citazione per voi particolarmente
significativi.
• My interests. Vi viene poi chiesto di descrivere
voi stessi e i vostri interessi: anche qui, il principio guida dev’essere quello della sincerità. Alla
persona con cui condividerete spazi personali (sia
come ospitanti che come ospiti) dovete comunica-
i primi passi: compilare un profilo
•
•
•
•
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re chiaramente che tipo di persona siete, perché
l’amicizia, o comunque il rapporto, si basi su fondamenta solide. Le informazioni di base, ora, sono
inserite. Non potremmo sottolinearlo abbastanza,
però: è importante avere un profilo completo. Perciò, se non l’avete già fatto, tornate al link al vostro
profilo in alto a sinistra e compilate le altre sezioni.
How I Participate in CS. In che modo contribuite
alla comunità CS? Ospitate? Viaggiate? Condividete esperienze, partecipate o create eventi? Questo è
il posto giusto per comunicare il vostro entusiasmo.
Couchsurfing Experience. Questa sezione è quella che amplierete strada facendo, mano a mano
che accumulerete esperienze in questo campo.
Philosophy. Sembra un campo difficile da compilare, ma, in realtà, potete sbizzarrirvi. Qual è la
vostra filosofia di vita? Potete esprimere il vostro
pensiero, “rubare” quello di illustri pensatori (mi
raccomando, citateli, non fate finta che siano vostri), o, se siete tipi brillanti, usare come “motto”
una frase poco convenzionale in questo contesto.
Ricordate che la vostra personalità non emerge
solo da quello che scrivete, ma anche da come lo
scrivete.
Music, Movies, Books. Questa sezione può essere molto importante nel momento in cui vi presentate sia come viaggiatori che come ospitanti.
Una persona, leggendo il vostro profilo, deve riuscire a capire se ci può essere affinità o meno, e
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•
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•
•
•
come funziona
spesso la musica, i film e i libri sono i primi argomenti per capirlo.
Types of People I enjoy. Amate le grandi compagnie, le persone solitarie, i giocatori di videogiochi, gli ottimisti, i pessimisti, gli iperattivi, i pigri?
Non siate timidi né auto-censori!
Teach, Learn, Share. Cosa avete da insegnare
alla comunità? Cosa volete imparare? Avete qualcosa di significativo da condividere?
One Amazing Thing I’ve Seen or Done. Questo è un bello spazio per condividere qualcosa
di speciale che avete visto o che vi è capitato, e
che, anche in questo caso, potrebbe diventare un
bell’argomento di conversazione una volta che incontrerete di persona il vostro ospite/ospitante!
Opinion on the Couchsurfing.org Project. Cosa
pensate del progetto Couchsurfing, come potrebbe essere migliorato?
Languages I speak. Passiamo ora alla colonna
sinistra del profilo; nel campo delle lingue, inserite quelle che siete in grado di parlare. C’è chi
ama far vedere che è interessato alle lingue straniere inserendone una decina, tutte a livello “elementary” (di cui, si presume, si conoscono quindici parole o poco più). A nostro parere, questa
non è una scelta molto felice: inserite le lingue
nelle quali riuscite, con diversi gradi di successo, a farvi capire. Ricordate che non è una gara
a “chi ne sa di più”. Non siate nemmeno, però,
i primi passi: compilare un profilo
35
troppo modesti: non vi si chiede un livello madrelingua!
• Groups I belong to. Questa è la lista dei gruppi a cui vi siete iscritti, che possono essere utili
nell’indicare più specificatamente i vostri interessi o le vostre attività.
• Couch Information. Arriviamo ora a una delle
sezioni più importanti: “Couch Information”, ovvero le informazioni sul vostro divano. Anche qui, è
importante essere precisi: se siete tendenzialmente disposti a ospitare, cliccate sull’icona del divano. Se siete “super-ospitanti” e particolarmente
entusiasti, cliccate l’icona con la “V” sul divano.
Se la vostra attività di ospitanti è piuttosto limitata, e ristretta magari a un certo tipo di persone
che attraggono la vostra attenzione (per esempio:
«quest’anno voglio ospitare solo persone di nazionalità cinese, perché voglio andare in Cina l’anno prossimo e imparare il più possibile su quella
cultura»), allora è meglio che impostiate la vostra
icona su “Maybe”: eviterete, così, di essere sommersi di richieste al 90% delle quali rispondereste
in modo negativo. Se invece non potete ospitare,
meglio dichiararlo subito selezionando “Not right
now (but I can hang out)”5. Ricordate che nessuno
vi obbliga a ospitare, anche se per vivere appieno
l’esperienza Couchsurfing, almeno secondo noi,
5 Trad.: “Non al momento (ma sono disponibile per un incontro)”.
36
come funziona
è necessario viaggiare e ospitare con la stessa intensità. Una persona può scegliere di non diventare host perché non ha lo spazio adatto in casa
(anche se, a dire la verità, basterebbe avere lo
spazio per stendere un materassino), o perché è
troppo impegnata sul fronte lavorativo: le ragioni
sono le più disparate e nessuno vi criticherà per
questo. Potete però dare la vostra disponibilità
anche solo per un caffè o una bibita: insomma,
siate disponibili a passare un po’ di tempo con
un viaggiatore che capita dalle vostre parti, anche
se non potete ospitarlo. Potrete sempre offrirgli
l’occasione di conoscere il luogo che sta visitando
attraverso gli occhi di uno del posto. C’è infine
un’ultima opzione, ovvero “I’m traveling”: non potete ospitare perché, beati voi, siete in viaggio.
Le referenze
Così come è importante nella vita in generale, anche
su Couchsurfing non potrete evitarlo: dovete “fare
networking”. Sì, è una brutta espressione; allora diciamo così: dovete raccogliere contatti. Se non avete
né amici né referenze, qualcuno potrebbe rifiutare
di ospitarvi, anche se il vostro profilo è compilato
alla perfezione. Semplicemente, nessuno può provare che siete una persona perbene, nessuno nella comunità vi conosce. Non è necessario avere centinaia
di amicizie e referenze, ma all’inizio non guasterebbe averne almeno due o tre.
i primi passi: compilare un profilo
37
«Bene, – direte voi – ma come posso trovare amici
e farmi lasciare referenze se mi sono appena iscritto e questo è il mio primo viaggio?». Niente paura!
Innanzitutto, ora che la connessione con Facebook
è diventata più immediata, è molto facile invitare i
propri amici a iscriversi al sito. Soprattutto, però,
potrebbe essere utile presentarvi alla comunità della vostra città, che probabilmente organizza almeno
un evento fisso e periodico (settimanale, di solito).
Questo è un modo rapido e piacevole per fare nuove
conoscenze, essere introdotti nella comunità e, poco
ma sicuro, sentire un sacco di storie interessanti.
Quando sarete tornati a casa dal vostro viaggio,
o quando il vostro ospite sarà tornato a casa, ricordate: scrivete sempre una referenza. Potete scriverla
anche a chi avete incontrato solo una sera, senza
che ci sia stato uno scambio di ospitalità. Le referenze aiutano gli altri membri a prendere decisioni
informate.
È possibile caratterizzarle come positive, neutrali
o negative. Siate sempre sinceri nel comunicare alla
comunità la vostra esperienza, specialmente nel
caso in cui questa non sia stata interamente positiva. Molti, piuttosto che lasciare una referenza negativa, preferiscono non scriverne alcuna; i gestori di
Couchsurfing hanno cercato di combattere contro
questa abitudine, per la verità con pochi risultati: è
piuttosto raro leggere referenze negative nei profili,
questo perché spesso un viaggiatore che ha avuto
38
come funziona
un’esperienza negativa (o anche non completamente positiva) con un host di solito preferisce non scrivere nulla piuttosto che “macchiare” il profilo altrui
con un commento negativo. Questo atteggiamento
però indebolisce enormemente il meccanismo grazie al quale viene garantita una certa sicurezza a
tutti i membri della comunità nel momento in cui
surfano o ospitano. Se una persona si è comportata male con voi (in maniera aperta e inequivocabile) è giusto che la comunità lo sappia, cosicché il
prossimo viaggiatore o ospitante sappia a cosa va
incontro.
Prima di lasciare una referenza negativa, il nostro
suggerimento è quello di scrivere in privato alla persona in questione, informandola della vostra intenzione e delle vostre ragioni. Questo potrà comunque
rispondere alla vostra referenza negativa pubblicamente. Di nuovo: tutto questo serve perché ciascun
membro della comunità possa sentirsi sempre informato e al sicuro.
X
6
Viaggiare:
come funziona?
Dopo aver creato il vostro profilo, è arrivato il momento di mettersi in gioco e... in viaggio!
Dove posso andare con il Couchsurfing?
Con il Couchsurfing si può andare virtualmente
ovunque: ovvero, ovunque ci sia un ospitante che
mette a disposizione un divano, una stanza o un piccolo spazio nella sua casa. Dai luoghi più abitati a
quelli più isolati come l’Antartide o l’Isola di Pasqua.
Posso partire insieme agli amici?
Un ospitante iscritto a Couchsurfing di norma specifica nel suo profilo, tra le informazioni riguardanti
il divano, quante persone è disposto a ospitare.
È naturale che se intendete viaggiare in dieci,
difficilmente troverete una sistemazione nella stessa casa (ma nulla vi impedisce di andare in case
40
come funziona
diverse). Ad ogni modo il Couchsurfing, secondo la
nostra esperienza, è più adatto a viaggiatori singoli,
coppie o piccoli gruppi.
Posso partire insieme al/la mio/a compagno/a?
Ma certo! L’unica raccomandazione è quella di non
chiudervi nella “zona di comfort” della vostra coppia:
non dovete mai far sentire il vostro ospitante come
un “terzo incomodo” durante il vostro viaggio. Trovare dei momenti di intimità potrebbe non essere facile,
ma le esperienze che vivrete sapranno sicuramente
compensare i vostri sforzi. Se preferite, potete scegliere di stare presso un host che abbia a disposizione una stanza libera (invece che solo uno o due divani, per esempio). Oppure, per sentirvi più a vostro
agio, potreste chiedere ospitalità ad altre coppie.
E per chi viaggia in famiglia o con bambini?
Entrare in contatto fin dalla tenera età con persone
provenienti da altre culture può essere uno stimolo importante per far crescere un bambino con una
mentalità aperta e una sana curiosità verso il mondo. Perciò, naturalmente, il Couchsurfing è altamente consigliato anche per le famiglie, sia per viaggiare che per ospitare. Di sicuro, però, organizzarsi
può essere più complicato che per un viaggiatore in
solitaria, ma per questo esistono gruppi appositamente dedicati, che riuniscono circa 20.000 surfer
con pargoli al seguito. Lì troverete sicuramente tut-
viaggiare: come funziona?
41
te le informazioni che vi occorrono. C’è anche una
pagina di aiuto creata dall’organizzazione, raggiungibile all’indirizzo: https://www.couchsurfing.org/
family_tips.html (in inglese).
Con quanto anticipo bisogna organizzarsi, se si
vuole viaggiare tramite Couchsurfing?
A questa domanda non c’è una risposta precisa. Dipende. Per sicurezza, e per non trovarsi senza ospitanti al momento della partenza, è meglio iniziare a
guardare i vari profili almeno tre mesi prima.
Principalmente, però, il fattore decisivo è la destinazione: mentre troverete abbastanza facilmente
ospitanti a Teheran o in altre località meno gettonate, sarà purtroppo quasi impossibile trovarli a New
York (nonostante si possa erroneamente pensare che
sia più facile trovare un posto in una città grande e
popolosa). La realtà è che più una destinazione è popolare, più è necessario muoversi in anticipo.
Armatevi di pazienza e iniziate a contattare persone finché non trovate chi è disposto a ospitarvi.
Senza esagerare con i tempi, ovvio: un ospitante difficilmente potrà garantire la propria disponibilità di
lì a sei mesi.
Non scoraggiatevi se le prime persone a cui chiedete ospitalità non vi accettano: noi italiani viaggiamo soprattutto nel mese di agosto, e tanti attivissimi
ospitanti su Couchsurfing potrebbero avere già altri piani. Procedete per cerchi concentrici: chiedete
42
come funziona
prima alle persone che vi entusiasmano di più (per
interessi in comune, esperienze di vita o, perché no,
posizione della casa), ed espandete via via la richiesta alle altre. Ricordate, in ogni caso, di rispondere
sempre, anche ai rifiuti: un “grazie per la tua risposta, spero di conoscerti la prossima volta” va molto
più lontano di un silenzio disinteressato.
Come seleziono le persone da cui farmi ospitare?
Se avete già un itinerario in mente, chiedete ospitalità alle persone che vi ispirano di più nelle città che
intendete toccare, nei giorni in cui pensate di farlo.
Cercate di essere precisi e di fornire quante più informazioni possibili sul vostro arrivo e sulla vostra
partenza: ricordatevi che un ospitante ha una vita
che esiste indipendentemente dal Couchsurfing, e
che quindi dovrà “incastrarvi” nei suoi vari impegni.
Cercate di essere flessibili, e di rendere questo processo il più liscio possibile.
Leggete i profili degli host nella zona in cui volete
andare. È importante che la vostra esperienza – specialmente se è la prima – sia condivisa con persone
che vi piacciono, con cui vi trovate in sintonia.
Questa può essere la parte più divertente nella
pianificazione del vostro viaggio, ma anche la più
snervante. La regola è sempre quella del giusto mezzo: non siate troppo selettivi nella scelta delle persone da contattare, ma nemmeno il contrario: di certo
non potrete scrivere a tutti gli host della zona! Certo,
viaggiare: come funziona?
43
se andate a Whitefish, Montana, gli ospitanti saranno due o tre, quindi potete pure chiedere a tutti (non
simultaneamente: non dovete dare l’impressione che
non vi importi in che casa andrete a finire); se però
la vostra meta è Chicago, allora troverete migliaia di
profili e sarà necessario fare una selezione iniziale.
Dato che state cercando qualcuno che vi ospiti,
restringete la vostra ricerca a quelli che sono disponibili a ospitare (li riconoscete dall’apposita icona
del divano): una volta fatta questa selezione, è giunto il momento di curiosare.
Potrebbe essere una buona idea quella di partire a leggere i vari profili dalle relative referenze,
che sono, come abbiamo già scritto, fondamentali.
Se trovate un commento negativo, dato che, come
abbiamo detto nel capitolo precedente, è evento
più unico che raro, prestate molta attenzione a ciò
che c’è scritto. Può essere sorta un’incomprensione
tra ospite e ospitante? Racconta di un’esperienza
particolarmente negativa? L’ospitante come ha risposto alle accuse? La referenza negativa non deve
comportare necessariamente l’eliminazione della
persona in questione dalla lista dei possibili host,
ma è un elemento su cui riflettere e da non sottovalutare.
Dalle referenze, poi, si capiscono molte cose: un
conto è, infatti, come ci vediamo noi, un altro è come
ci vedono gli altri. Dai commenti delle persone che
hanno interagito col nostro potenziale host possia-
44
come funziona
mo davvero imparare molto sul carattere della persona, sulle sue abitudini, sui suoi gusti, sul suo
modo di comportarsi.
Una volta spulciate le referenze (anche se sono
tante, è sempre meglio leggerle tutte!), è arrivato il
momento di esaminare il profilo. Anche qui, attenzione alle parole, ma siate in grado anche di leggere
tra le righe. Avete l’impressione che questa persona
sia solo alla ricerca di una notte avventurosa con
l’altro sesso, anche se non lo dice chiaramente? Dovete essere in grado di prendere una decisione consapevole e informata.
Cercate degli interessi in comune, un modo simile di vedere le cose, obiettivi condivisibili. È vero
che le esperienze più profonde possono avvenire con
persone diversissime da noi, ma tenete ben presente
che dovrete passare del tempo con questa persona
durante il vostro viaggio, e potrebbe essere quindi
più saggio cercare qualcuno con cui siate in sintonia, con cui abbiate almeno degli argomenti di conversazione “di base” per rompere il ghiaccio.
Da non sottovalutare anche la photogallery: le
foto non sono indice soltanto della serietà di una
persona (o almeno della serietà nell’utilizzo del sito:
come abbiamo avuto occasione di dire nel capitolo
5, è buona norma usare come foto profilo un’immagine che dia un’idea complessiva di voi, che non sia
quindi buia o sfocata o dedicata a un dettaglio del
corpo), ma sono anche una finestra nel mondo di
viaggiare: come funziona?
45
quella persona. Ama fare rafting? Alpinismo? Leggere? Suonare? Ballare? Questo sarà evidente anche
dalle fotografie che ha deciso di condividere.
Cosa sono tutti quei “distintivi” nel profilo dei
couchsurfer ?
I “distintivi” che vengono mostrati in cima al profilo
sono molto importanti. Oltre alla disponibilità a ospitare o meno, ci comunicano anche il livello di verifica
di quella persona: il sistema della verification consiste in una libera donazione all’organizzazione. Dopo
aver ricevuto il pagamento, Couchsurfing spedisce
presso il domicilio della persona una cartolina con
stampato un codice che si dovrà successivamente inserire nell’apposito campo. In questo modo si verifica
l’attendibilità delle informazioni fornite da quella persona, e gli altri membri della comunità sapranno che
è chi dichiara di essere e vive dove dichiara di vivere.
Un’altra icona (quattro mani incrociate) mostra
che quella particolare persona è stata vouched for:
questo significa che ci sono stati almeno tre contatti
(a loro volta vouched) conosciuti nella vita reale che
hanno garantito che quel particolare membro della
comunità è chi dice di essere ed è una persona affidabile. È una sorta di marchio di garanzia che si
ottiene con l’esperienza.
Couchsurfing prende molto sul serio il sistema
delle garanzie: è perciò importante, una volta ottenuto quel distintivo, non “garantire” per persone a
46
come funziona
casaccio. È grazie all’impegno di ciascun membro
che la comunità può garantire un alto livello di esperienze positive e di sicurezza.
Se trovate una bandierina, significa che quella
persona è un ambasciatore. Gli ambasciatori sono
membri particolarmente attivi e impegnati nella comunità: sono le persone da contattare nel momento in cui avete un problema, quelle che organizzano
più eventi e, molto spesso, l’anima della festa. Oltre
a tutto questo, aiutano i nuovi arrivati e spiegano le
regole nei vari gruppi. Per diventare ambasciatore
bisogna candidarsi o essere candidati da uno o più
amici attraverso l’apposito modulo sul sito (https://
www.couchsurfing.org/n/ambassadors).
Infine, l’icona arancione con all’interno la sagoma del mondo indica che quella persona è un pioniere, ovvero uno dei primi membri della comunità
di Couchsurfing, quando ancora l’organizzazione
funzionava interamente grazie a donazioni private.
Troverete quindi una persona molto legata al sito,
appassionata e di grande esperienza.
Viaggio da solo e vorrei essere ospitato solo
da ragazze: è possibile?
Potete sempre scegliere da chi farvi ospitare (c’è chi
preferisce stare a casa di ragazze, per esempio, perché crede che statisticamente le loro case siano più
pulite di quelle abitate solo da ragazzi). Però, per favore – e ci riferiamo ovviamente soprattutto ai ragaz-
viaggiare: come funziona?
47
zi –, non chiedete ospitalità solo a donne giovani e
belle. Si capisce lontano un chilometro se avete letto
il loro profilo o guardato solo le fotografie, e questo
porta le ragazze a essere ancora più selettive e diffidenti. Non lo diremo mai abbastanza: Couchsurfing
non è un sito di dating! Nessuno può escludere che
dal Couchsurfing nasca l’amore (ci sono coppie sposate i cui membri si sono conosciuti proprio grazie
al sito) o anche la passione di una sola notte, ma si
tratta dell’eccezione e non certo della regola.
Come mando una CouchRequest ?
Una volta scelto il primo potenziale host, premete il
bottone “Send CouchRequest”. Si aprirà una finestra
in cui dovete inserire le date di arrivo e di partenza
(la permanenza standard è di tre giorni, ma se avete bisogno di qualche giorno in più potrete sempre
accordarvi con chi vi ospita) e il mezzo di trasporto
con cui arriverete (si tratta di un’informazione importante a livello logistico: questo naturalmente non
impegna il vostro ospitante a venirvi a recuperare in
aeroporto o alla stazione dei treni, e se lo farà sarà
molto gentile da parte sua).
Vi è una sezione poi dove descrivere brevemente
chi siete e il viaggio che state pianificando, e un’altra
in cui vi si chiede di spiegare perché avete scelto di
chiedere ospitalità proprio a quella persona. È molto
importante non mandare richieste standardizzate,
ma scrivere sempre messaggi personali, che fanno
48
come funziona
capire al destinatario che avete letto con attenzione
il suo profilo.
Una volta mandata la richiesta, apparirà registrata nella sezione “divano”, accessibile in qualsiasi
parte del sito vi troviate (“CouchManager”). Questa
sezione vi sarà utile per avere sempre sotto controllo
le richieste di ospitalità inviate, in attesa, accettate
o rifiutate. Allo stesso modo, vi consente di avere
un quadro chiaro delle persone che verranno a casa
vostra, o di quelle a cui avete rifiutato ospitalità, se
siete attivi come host.
Quante notti è opportuno restare a dormire da
una persona?
Di solito è la persona stessa a specificarlo nel proprio
profilo. La permanenza standard, però, è di tre giorni. Nessuno vi impedisce di passare una sola notte
presso un ospitante, ma per permanenze piuttosto
lunghe, per esempio una settimana, è necessario
accordarsi per bene in anticipo. Non tutti saranno
disposti a ospitarvi per più di due o tre notti, ma
potrebbe anche capitare il contrario: il clima che si
è creato è talmente affiatato che deciderete di estendere – su invito – la vostra permanenza!
La mia data di partenza è vicina e non ho ancora trovato un ospitante: come faccio?
Se avete paura di rimanere senza un ospitante, potete creare una Open CouchRequest, cioè una richiesta
viaggiare: come funziona?
49
aperta a vari utenti della zona in cui intendete andare. Questa opzione è attivabile (ma non obbligatoria)
già mentre mandate richieste a utenti specifici, ma
potete anche crearla successivamente nella vostra
pagina “CouchManager”, nella sezione “Itinerary”.
È sicuro dare al mio ospitante il numero di
cellulare o l’indirizzo e-mail?
Nei giorni precedenti la partenza, è opportuno scambiarsi i reciproci recapiti con la persona che ci ospiterà, giusto per non incorrere in problemi in caso di
imprevisti o comunicazioni urgenti. È un modo più
comodo e immediato di comunicare, rispetto al servizio di messaggistica del sito.
Couchsurfing App
Come ogni social media che si rispetti, anche Couchsurfing ha la sua app
per smartphone, disponibile per iPhone e Android. Tuttavia, a nostro parere
l’applicazione è ancora ampiamente migliorabile, eufemismo per dire che,
al momento, è davvero poco user-friendly. Basti pensare che le CouchRequest in entrata, quelle in uscita e anche i messaggi “normali” sono tutti
nella stessa cartella, e anche cercare un host è operazione che non sempre
va a buon fine, con località che spesso vengono confuse con altre.
Un vero peccato, perché sarebbe davvero di grande utilità poter contattare facilmente i propri host mentre si è in viaggio o, soprattutto, cercarne
degli altri in caso di imprevisti; dopotutto, quando si viaggia, non sempre
è semplice avere accesso a un computer.
La speranza è che, al momento dell’uscita di questo libro, molti dei problemi siano già superati.
50
come funziona
Posso chiedere al mio ospitante di venirmi a
prendere da qualche parte?
Potrete chiederlo, specie se non ci sono mezzi pubblici per raggiungere la sua abitazione dall’aeroporto, o dalla stazione in cui arriverete. Non accade
spesso che un ospitante decida di venirvi a prendere di sua spontanea volontà: è quindi necessario che vi informiate sul modo più facile per raggiungere la sua abitazione, e che comunichiate poi
un approssimativo orario di arrivo. Se arrivate in
giornata e il vostro ospitante lavora, chiarite subito
che potrete passare del tempo in città e incontrarvi
poi a casa la sera. Ricordate che siete ospiti, e non
dovete stravolgere gli impegni quotidiani di chi vi
ospita.
Si usa portare un regalo all’ospitante?
Certamente, anzi, si potrebbe dire che è quasi “obbligatorio”. È una delle tante regole non scritte del
Couchsurfing. Non deve essere per forza qualcosa
che proviene dal vostro Paese (anche se la cosa, specialmente nel caso di noi italiani, è molto apprezzata), può essere anche acquistato sul posto una
volta che si conoscono meglio i gusti (o i bisogni)
della persona che vi ospita. Può anche non essere
un dono materiale: una volta abbiamo ricevuto in
“regalo” una canzone strimpellata con la chitarra in
un parco, ed è stato meraviglioso.
viaggiare: come funziona?
51
Come essere un buon ospite?
Valgono le regole del buon senso e dell’educazione:
siete in casa di un’altra persona, quindi non lasciatela meno pulita di come l’avete trovata. Aiutate nella preparazione dei pasti, se li consumate a casa,
e nel riordino della cucina. Offritevi di cucinare, se
siete certi di non avvelenare accidentalmente chi è
stato così gentile da ospitarvi!
Cosa devo fare dopo il viaggio?
Come abbiamo già avuto l’occasione di scrivere, ricordate di lasciare una referenza. Parlate della vostra esperienza in viaggio, di quello che avete fatto
in compagnia del vostro ospitante, di caratteristiche che potrebbero aiutare nella loro decisione altri
viaggiatori che vorrebbero passare qualche giorno in
quel posto.
Bisogna mantenere i contatti con chi ci ha
ospitati?
Non ci obbliga nessuno, ma se l’esperienza è stata positiva, perché no? Da un rapporto su Couchsurfing molte volte è nata un’amicizia (e, sì, anche
qualche storia d’amore). Ora, poi, è ancora più facile mantenere i contatti con amici sparsi in tutto
il mondo grazie ai diversi social network a nostra
disposizione.
ospitare: come funziona?
7
Ospitare:
come funziona?
La prima cosa a cui molti pensano quando si parla
di Couchsurfing è la possibilità di viaggiare in modo
autentico, gratuito e senza intermediari. Non possiamo però dimenticare che questa opportunità è
resa possibile ogni giorno da milioni di persone che
aprono le porte della propria casa per accogliere uno
sconosciuto (“he’s just a friend you haven’t met yet”,
ricordate?).
Perché lo fanno? Chiedetelo direttamente a loro!
Vedrete che tanti vi risponderanno che ospitare arricchisce la loro vita in modi incredibili e inaspettati,
che entrano in contatto con persone che altrimenti
non avrebbero mai conosciuto, che riescono in questo modo a viaggiare con la mente pur rimanendo a
bere una tazza di tè sul proprio divano, che imparano così una parola in tante lingue straniere ogni
anno. Le ragioni sono davvero tante e non potremmo
53
elencarle tutte: troverete più avanti in questo libro
le esperienze di alcuni ospitanti, ma vi esortiamo a
partecipare agli eventi organizzati nella vostra città
per “toccare con mano” chi contribuisce a mantenere viva e ad arricchire ogni giorno la comunità di
Couchsurfing.
Come posso diventare un host ?
Per quanto riguarda il lato pratico, è necessario che
abbiate un profilo completo, soprattutto nella parte dedicata alle Couch Information. Per apparire, poi,
nella lista di persone disponibili a ospitare nella vostra zona, dovete impostare la possibilità di ospitare
come “Yes” o “Maybe”. Ciò che ci preme sottolineare qui, però, è altro: un host deve infatti avere delle
qualità che, se mancassero, renderebbero l’esperienza poco piacevole per entrambe le parti coinvolte.
Potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è: dovete essere curiosi verso le persone che incontrerete. Molti
danno per scontata questa qualità, visto che si presuppone che ci sia un certo interesse verso la persona con la quale si condividerà lo spazio domestico
per qualche giorno. Eppure, durante i nostri viaggi
ci è capitato di incontrare persone che erano ormai
talmente abituate ad avere ospiti in casa che non si
preoccupavano nemmeno di sapere cosa ci facessimo lì, che lavoro facessimo a casa, quali fossero le
nostre passioni, i nostri interessi, la nostra destinazione successiva. Sembrava che di storie ne avesse-
54
come funziona
ro sentite talmente tante che ormai ci avevano fatto
l’abitudine. Ecco: non stancatevi mai delle storie.
Avere un viaggiatore in casa significa anche aprire
la porta a una valigia piena di esperienze, di abitudini, di aneddoti in cui vale sempre la pena spulciare.
Devo avere una stanza libera in casa?
Non necessariamente. A noi è capitato di dormire
davvero ovunque: dal pavimento di un soggiorno iraniano nella bellissima Isfahan, a un divano con molle quasi “a vista” in una casa abitata da otto studenti
Erasmus a Madrid, a una grande stanza arredata
con mobilio originale cinese del diciottesimo secolo e
bagno privato in una gated community vicino a Williamsburg, negli Stati Uniti. Quello che conta davvero è saper essere curiosi, generosi ed entusiasti.
Offrite al vostro couchsurfer quello che avete: che
sia solo uno spazio sul pavimento, un divano, un
letto o una stanza. L’importante è che siate sempre precisi nella descrizione del vostro spazio nel
profilo, in modo che i viaggiatori possano prendere
una decisione consapevole. Per esempio, un ragazzo
potrebbe non farsi problemi nel condividere lo spazio per dormire con un host di sesso maschile, ma
una ragazza che viaggia da sola potrebbe sentirsi
a disagio. Dovete fare in modo che l’esperienza sia
la migliore possibile per entrambe le parti, quindi
assicuratevi di essere sempre chiari nelle vostre comunicazioni.
ospitare: come funziona?
55
Che indicazioni devo inserire nella mia Couch
Information ?
Dovete fornire tutte le informazioni utili per una
temporanea condivisione degli spazi. Generalmente,
è opportuno che includiate:
• Informazioni sul vostro quartiere: è ben collegato? È pericoloso di sera? Che servizi utili offre?
• Informazioni sulla vostra casa: avete dei coinquilini, convivete con il partner, vivete da soli?
Inoltre: i viaggiatori potranno usare la cucina, la
lavatrice, il phon, la doccia? Se sì, liberamente o
solo in alcune fasce orarie?
• Informazioni sulla superficie destinata ai surfer:
come abbiamo già scritto, dovrete spiegare che
tipo di spazio sarà destinato ai viaggiatori. Ricordate anche di specificare se è necessario munirsi
di lenzuola pulite o sacco a pelo.
• Informazioni per una serena convivenza: per
quanti giorni siete disposti a ospitare? Potete
ospitare anche animali? I fumatori sono ammessi? I surfer dovranno uscire di casa insieme a voi,
e rientrare solo quando anche voi sarete rientrati? Oppure avranno un mazzo di chiavi (non storcete il naso: un buon 70% di ospitanti non ha
problemi a lasciare le chiavi di casa al suo guest)?
Ci sono degli orari in cui è necessario fare attenzione ai rumori (specie per chi abita in appartamento)?
56
come funziona
Devo aspettare di ricevere richieste, o posso
propormi a chi viaggia nella mia zona?
Nella sezione host del sito potrete invitare i viaggiatori che sono in zona a dormire a casa vostra. Basta
selezionare la zona in cui vivete e il periodo in cui
siete liberi. Vi apparirà allora una lista delle persone
che si trovano nei paraggi in quella data e che hanno mandato una Open CouchRequest perché non
hanno ancora trovato un ospitante.
Cosa devo preparare, prima dell’arrivo del
Surfer ?
Ci sono vari stili di hosting (e nella seconda parte del
libro ne “analizzeremo” alcuni) e non c’è una regola
a riguardo. C’è chi vi dirà chiaramente che non ha
preparato nulla, perché vuole che vi sentiate come a
casa vostra. C’è chi, invece, ispeziona ogni minimo
dettaglio del vostro spazio o della vostra stanza per
assicurarsi che sia perfetta, e magari vi lascia anche
diversi opuscoli sulle attività interessanti in città o
su come muoversi con i mezzi pubblici. Secondo la
nostra esperienza, la soluzione sta nel giusto mezzo:
accogliete l’ospite come se fosse un vecchio amico e
fornitegli una lista dei vostri posti preferiti in città
(luoghi, ristoranti, locali, parchi) che difficilmente
troverebbe sulla propria guida turistica. In questo
modo, il viaggiatore si sentirà accolto, e allo stesso
tempo non avrà l’impressione che lo stiate trattando
come un ospite in un albergo.
ospitare: come funziona?
57
Ad avvalorare questa “filosofia” possiamo dirvi
che gli ospitanti con cui siamo ancora in contatto
sono quelli che sin dal primo momento ci hanno
trattati come persone di famiglia, e che hanno voluto condividere con noi un pezzo della loro vita e dei
loro luoghi del cuore.
Lavoro/studio, e non ho tempo di “occuparmi”
del mio ospite: posso essere comunque un
buon host ?
Se non avete tempo da dedicare ai surfer, specialmente durante la settimana, ditelo chiaramente
nel vostro profilo, così anche il vostro ospite saprà
cosa aspettarsi. Ad ogni modo, non dovete preoccuparvi: un couchsurfer è di solito un viaggiatore
piuttosto esperto, che non teme di essere “lasciato
da solo”. Accoglierà di buon grado di passare del
tempo insieme, naturalmente, ma non vi costringerà mai ad accompagnarlo nelle sue peregrinazioni quotidiane. L’idea è che l’arrivo di un couchsurfer in casa impatti la vostra vita in modo positivo, e
per questo motivo non deve assolutamente essere
un’esperienza che vi crei stress o “ansia da prestazione” («Devo essere il migliore host al mondo!»).
Sfruttate ogni occasione utile per scambiare quattro chiacchiere (per esempio la sera dopo cena), interessatevi alla persona che avete in casa, anche e
soprattutto se non avete l’occasione di passare la
giornata insieme.
58
come funziona
Cosa succede se qualcosa va storto?
Se vi rendete conto di avere accettato la richiesta di
ospitalità da parte di un viaggiatore che però non vi
convince al 100%, comunicateglielo appena possibile: non è mai troppo tardi per tirarsi indietro se il
vostro istinto vi dice che è meglio così, ma se possibile avvisate per tempo il vostro surfer affinché possa trovare un’altra sistemazione.
Se invece qualcosa va storto durante la convivenza, la chiave sta sempre nella comunicazione aperta.
Chiarite i motivi per cui qualcosa vi ha dato fastidio
e, se questo non dovesse migliorare le cose, chiedete
al surfer di trovare un altro ospitante o un ostello.
Ricordate: poter surfare a casa vostra è un privilegio, non un diritto da dare per scontato. Assicuratevi di trattare e di essere sempre trattati con rispetto.
Cosa devo fare quando il mio surfer è partito?
Come sempre, lasciate una referenza! Anche e soprattutto se qualcosa è andato storto e i vostri tentativi di chiarimento durante la permanenza non si
sono rivelati utili.
X
8
Gruppi ed eventi
Avrete notato che nella vostra homepage, in alto,
accanto alle sezioni “Surf” e “Host”, avete anche
quella dedicata agli “Eventi”. Si tratta una funzione
molto importante di Couchsurfing, perché permette ogni giorno a migliaia di persone in ogni parte
del mondo di incontrarsi e condividere esperienze
memorabili, senza necessariamente ospitare o essere ospitati.
Negli eventi si trova di tutto: a Milano, per esempio, sono molto popolari gli incontri del venerdì sera
alle Colonne di San Lorenzo, ai quali partecipano
ogni settimana diverse decine di persone tra milanesi e viaggiatori; un altro evento molto popolare e ricorrente è l’aperitivo in inglese del martedì sera: una
simpatica occasione per conoscere nuove persone,
bere qualcosa e imparare una lingua! Vengono anche spesso organizzati picnic internazionali, lezioni
60
come funziona
varie (karate, tango argentino...), swap party6 e chi
più ne ha più ne metta. A San Francisco, sede di
Couchsurfing, gli eventi sono ancora più numerosi
e variegati: si va dalla gita in bicicletta sul Golden
Gate Bridge all’incontro al parco per meditare, dai
Pub Crawl7 nei vari quartieri della città alla serata
internazionale dei giochi da tavolo. Insomma, con
Couchsurfing, anche se non si ha la possibilità di
ospitare o di viaggiare, non ci si annoia mai.
Ci sono alcuni mega-eventi che sono diventati leggendari nella storia dell’organizzazione, grazie
alla dedizione e alla generosità di centinaia di membri. Per esempio, i Camps, organizzati a partire dal
2004 soprattutto da ex membri di Hospitality Club,
possono attirare oltre mille persone (un Camp è previsto anche al Burning Man8 di quest’anno). I Couch
Crash, o City Invasions, sono eventi della durata di
qualche giorno, solitamente dalla cadenza annuale,
in cui gli ospitanti di una certa città si organizzano
in un grande sforzo collettivo per mostrare a quanti
più viaggiatori possibili l’ospitalità di cui sono ca6 Feste in cui ci si trova per scambiarsi capi d’abbigliamento, oggetti, accessori, mobili o quant’altro, purché, ovviamente, in buono stato.
7 Consiste nel ritrovarsi a bere alcolici in più di un pub nell’arco
della stessa serata.
8 Festival di otto giorni che si svolge ogni anno in settembre nel
deserto del Nevada. Si tratta di un evento in cui gli oltre 50.000 partecipanti danno vita in quella settimana a una vera e propria città nel
deserto, Black Rock City. Il nome del festival deriva dal rituale che
consiste nell’incendiare un grande fantoccio di legno il sabato sera.
gruppi ed eventi
61
paci, offrendo il loro divano ma anche il loro tempo
nell’organizzazione di visite, tour, cene, feste, ecc.
Dove trovo gli eventi della mia zona?
Direttamente alla pagina Eventi dovreste vedere
quello che viene organizzato nella vostra zona. Potete anche utilizzare la mappa per consultare gli eventi in programma in tutto il mondo, o cercarne uno
che faccia al caso vostro tramite parole chiave.
Prima di provare a organizzare un evento, vi consigliamo di partecipare a qualche incontro organizzato dalle persone più attive ed esperte della vostra
zona, così da presentarvi ed “entrare nel giro”. Siamo sicuri che non ve ne pentirete!
Troverete anche delle sezioni chiamate “Trending Events”: si tratta di eventi che sono stati appena commentati da qualcuno, eventi quindi di cui
si sta parlando. Gli eventi featured, invece, sono
quelli ai quali partecipa con regolarità un buon numero di persone. Per esempio, i “Featured Events”
(“Eventi in primo piano” nella versione in italiano)
a Milano possono essere la Weekly Milanese Night,
incontro settimanale alle Colonne di San Lorenzo,
o l’aperitivo in inglese del martedì, di cui abbiamo
già parlato.
Come si crea un evento?
Potete cliccare su “Create event” sia dalla vostra
home­page che dalla pagina dedicata agli eventi. Vi si
62
come funziona
chiederà di scegliere un nome e un luogo e di crearlo
poi o come pubblico o come privato (cioè, solo su
invito). Bisognerà poi inserire data e ora dell’evento,
insieme a una breve descrizione. Ricordatevi di salvare prima di chiudere la finestra.
La creazione di eventi ricorrenti è un “privilegio”
concesso solo ad alcuni membri, che possono scegliere di organizzare incontri giornalieri, settimanali, bisettimanali o mensili.
Per essere sempre aggiornati sugli eventi che vi
interessano potete “seguirli”: riceverete così aggiornamenti regolari via e-mail.
Per chiedere/dare informazioni
Un’altra funzione del sito che favorisce l’incontro di
nuovi e vecchi membri è quella dei gruppi, organizzata come un forum dove c’è spazio per ogni tipo di
discussione o esigenza. La sezione più frequentata è
quella dedicata ai posti, dove troverete diversi tipi di
conversazione, da quella dedicata alla pianificazione di una rotta particolare come la Transiberiana,
a come organizzare un viaggio spendendo il meno
possibile, alla possibilità di trovare stage in un determinato luogo.
Gli argomenti sono davvero tanti, e se state cercando qualcosa di specifico la funzione di ricerca
certamente vi aiuterà a orientarvi, almeno finché
non ci avrete preso la mano.
Parte seconda
Incontri fuori
dal normale
9
Ma dove sono
capitato?!?
Finora abbiamo parlato di quanto è bello viaggiare
con il Couchsurfing, elencandone i numerosi pregi
e sottolineando quanto possa essere entusiasmante
poter entrare in contatto con gente di Paesi e culture
differenti.
Come si suol dire, però, non è tutto oro quello
che luccica: scopo di questo capitolo è proprio farvi
pensare al peggio, con un pizzico (o forse più) di ironia. Infatti, se nei vostri viaggi “tradizionali” il peggio
che vi possa capitare è di trovare peli tra le lenzuola, il bagno sporco o il letto cigolante nella vostra
camera d’albergo, con il Couchsurfing il buon esito
del vostro soggiorno non dipende tanto dalla qualità
materiale dell’alloggio, quanto piuttosto dalla personalità e dalle abitudini di chi vi ospita. Personalità e
abitudini che potrebbero essere l’esatto opposto delle vostre. E il bello, probabilmente, è proprio questo.
66
incontri fuori dal normale
Così, portando all’estremo alcune caratteristiche
proprie dell’animo umano, ci siamo divertiti a delineare cinque profili “tipo” di ospitanti. Ovviamente ognuna delle seguenti descrizioni non è riferita
a una singola persona esistente, ma tutti gli atteggiamenti e gli aneddoti raccontati sono tratti dalla
realtà, vissuti da noi in prima persona o raccontati
da altri surfer. E questo rende il tutto, oltre che più
divertente, ancora più “inquietante”.
Il Lercio
Partiamo subito dal “peggio”. Come abbiamo appena detto, l’incubo di ogni “comune” viaggiatore è di
soggiornare in una sudicia camera d’albergo. Con il
Couchsurfing questo problema, quando esiste, viene elevato all’ennesima potenza.
È statisticamente provato che la stragrande maggioranza degli utenti, e quindi degli ospitanti, di
Couchsurfing è composta da giovani tra i 20 e i 30
anni (circa due terzi del totale). E diciamo la verità: quando si abbandona il tetto di mamma e papà
e si va a vivere da soli, raramente la casa è tirata
a lucido, soprattutto se ci abita un maschietto, e
ancor di più se l’appartamento è condiviso da altri
individui dello stesso sesso. Anzi, va già bene se si
riesce a stabilire un minimo di disciplina e regolarità nell’ambito “pulizia”. A tutto, però, c’è un limite.
E quando questo limite viene superato, quando più
che in una casa sembra di essere finiti in una stalla,
ma dove sono capitato?!?
67
quando si ha a che fare, in definitiva, con un Lercio,
ecco che l’esperienza di Couchsurfing si trasforma
in un vero incubo.
Esistono ovviamente diversi gradi di “Lerciume”
(sì, con la “L” maiuscola), e il picco spesso viene raggiunto in una casa abitata da studenti, soprattutto
se di nazionalità diversa. E visto che a noi piace esagerare, prendiamo l’esempio peggiore possibile: la
casa Erasmus. In un appartamento del genere vivono in media dai quattro agli otto studenti (ma anche
di più, in alcuni casi) in spazi ristretti, che però non
impediscono a ognuno degli inquilini di sentirsi in
diritto di invitare famigliari, amici e, perché no, couchsurfer: dopotutto, sono indipendenti per la prima
volta nella loro vita, perché non sfruttare appieno
l’esperienza? Il problema nasce quando le visite si
sovrappongono, andando a saturare una situazione
già di per sé ai limiti della vivibilità.
Il Lercio non è una brutta persona, anzi, di solito è un ragazzo gentile e solare: va volentieri ad
accogliere il surfer alla fermata della metro per non
fargli sbagliare strada, gli dà una mano a portare
la valigia su per i cinque piani di scale (l’ascensore è rotto nel 99% dei casi) e, dopo aver aperto la
porta di casa con una sapiente manovra combinata
mani­-piedi, sposta con un calcio un trolley piantato
in mezzo al minuscolo atrio per far posto al vostro
bagaglio. Lo spostamento d’aria fa sì che i batuffoli
di polvere sul pavimento inizino a rincorrersi per il
68
incontri fuori dal normale
corridoio, ma il surfer fa finta di niente e segue il
suo host in cucina.
«Vuoi qualcosa da bere? Dovrebbe esserci un bicchiere pulito da qualche parte...». Lo spettacolo che
si presenta davanti agli occhi del povero ospite è da
brividi: lavello e spazio limitrofo sono straboccanti di
stoviglie in attesa che una mano caritatevole le lavi;
il tavolo è pieno di briciole e resti non meglio precisati di uno o più pasti consumati nei giorni precedenti; per terra, di fianco al cestino dell’immondizia,
una catasta con svariati cartoni della pizza, da cui
vanno e vengono ordinatamente due file di formiche
obese; infine, dietro la porta, a impedire che questa
si apra completamente, quattro enormi borse della
spesa piene di bottiglie di birra vuote. Il Lercio segue
lo sguardo del surfer e si sente in dovere di giustificarsi: «Sai, nessuno ha mai voglia di farsi cinque
piani di scale con quella roba...».
Trattenendo a stento i brividi e bevendo il bicchiere d’acqua che gli viene offerto senza pensare a
dove sta appoggiando le labbra, mentre pensa che,
se non è morto nel Deserto del Gobi, sopravvivrà
anche stavolta, l’ospite si prepara al peggio quando
il Lercio si offre di mostrargli il resto della casa, a
partire dal salotto, in cui si trova il divano che sarà
il suo giaciglio per un paio di notti. Sembra impossibile, ma ci sono stoviglie anche qui; in particolare,
il tavolino in mezzo ai divani propone una collezione
di tazzine con fondi di caffè e posacenere così colmi
ma dove sono capitato?!?
69
di mozziconi che la cenere si è sentita in dovere di
traslocare anche sul tavolino stesso, sul pavimento
e sui divani. Già, proprio quei divani su cui dormirà
lui; lui insieme a un amico di Shaun, il coinquilino
irlandese che normalmente torna sbronzo a notte
fonda cantando a squarciagola cori da hooligan, al
fratello di Rajiv, il coinquilino indiano a cui – lo si
è capito entrando in casa – piace abbondare con il
curry in cucina, e all’invadente madre di Yogev, il
coinquilino israeliano che proprio in quei giorni sta
meditando un matricidio.
Ormai rassegnato, il surfer chiede per favore di
andare in bagno. Il Lercio spiega che ce n’è uno
per i cinque ragazzi e uno per le due ragazze, dato
che queste ultime, chissà perché, hanno deciso
così. A questo punto, però, l’ospite è preparato, e
all’ingresso in bagno incassa bene il colpo provocato dal lavandino incrostato di sapone, calcare e
peli residui di svariate barbe, dalla vasca da bagno
ricoperta da un fitto alone di polvere nei punti che
non vengono mai raggiunti dall’acqua, e dal bidet
utilizzato come cesto dei panni sporchi. Del water
non parliamo per non turbare oltremisura la vostra
sensibilità.
Quello delle ragazze, del resto, non è messo molto
meglio: nonostante siano solo in due, un cimitero
di salviettine struccanti, cotton-fioc, trucchi, assorbenti (fortunatamente ancora sigillati) e flaconi
mezzi vuoti ricopre il 120% delle superfici disponi-
70
incontri fuori dal normale
bili, mentre il pavimento è disseminato di calzini,
pigiami e biancheria intima; ma almeno il water è
abbastanza pulito da essere utilizzabile.
Mentre il surfer esce dal bagno ripetendo come
un mantra: «È solo per una notte, è solo per una
notte, è solo per una notte...», il Lercio gli va incontro nel corridoio con una coperta polverosa in mano,
augurandogli la buonanotte. Nonostante il via-vai e
il puzzo di fumo, in qualche modo l’ospite riesce ad
addormentarsi; al risveglio, mentre si trascina verso
il bagno, gli pare di notare il Lercio seduto in cucina a massaggiarsi un piede nudo, con una tazza di
caffè sul tavolo.
Al suo ritorno dai bisogni mattutini, decide di
tentare la sorte cercando qualcosa per colazione in
cucina: lì, sul tavolo, accanto a un piattino pieno di
briciole e alla tazza con il solito fondo di caffè, trova
un ordinato mucchietto di unghie giallognole lunghe un buon mezzo centimetro. Trattenendo a stento i conati di vomito, il surfer torna in salotto, rifà
la valigia a tempo record e scappa a gambe levate.
D’accordo il Couchsurfing, la capacità di adattarsi
e tutto il resto, ma in certi casi niente diventa più
desiderabile di uno schifoso ostello!
L’Amicone
Mettiamo subito le cose in chiaro: l’Amicone è una
brava persona. A nessuno verrebbe mai in mente di
affermare il contrario. Ciò nonostante, una convi-
ma dove sono capitato?!?
71
venza forzata con lui (o con lei, naturalmente), anche solo di un paio di giorni (o di ore, a seconda della capacità di sopportazione del surfer), può portare
seriamente alla fuga per esasperazione, se non a
veri e propri istinti omicidi (sempre a seconda della
capacità di sopportazione di cui sopra).
L’Amicone, figura tipicamente italiana di ospitante, è quello che si offre di andare a prendere il
suo surfer in aeroporto («Figurati, non c’è problema!»), ma con tutta la famiglia al seguito, e che nel
tempo del tragitto in auto fino a casa gli ha già mostrato le foto delle nipotine, delle due gatte e del
cagnolino di sua cognata, che tra l’altro assomiglia
tanto a quello che il suo ospite teneva in braccio
nella foto che ha postato su Facebook la settimana
prima. Già, perché l’Amicone è spesso lo step appena precedente allo stalker, e dal momento in cui ha
accettato la richiesta di ospitalità del suo guest ha
iniziato a studiare nei minimi dettagli prima il suo
profilo di CS e poi, per non sbagliare, anche quello
di Facebook.
Il surfer probabilmente a questo punto è già terrorizzato, ma non sa che l’incubo deve ancora cominciare. Una volta a casa, scopre che in auto c’erano solo i famigliari più stretti: gli altri sono schierati
nel cortile di casa, a mo’ di comitato d’accoglienza,
e il suo host glieli presenta uno per uno mentre lo
rimpinza di biscottini fatti in casa e limoncello preparato dal padre con i limoni che fa arrivare dalla
72
incontri fuori dal normale
Sicilia tramite un vecchio collega che ora è andato
in pensione e che ha appena aperto un bistrot di
specialità siciliane in provincia di Como.
Potrebbe anche essere lontanamente divertente,
se non fosse che nessuno di loro parla inglese, e il
surfer ovviamente non parla italiano. Nessun problema, per lui; qualcuno in più, per gli altri, che
proprio non si capacitano del fatto che non capisca
nulla, nemmeno se parlano lentamente, scandendo
le parole alla perfezione. Per fortuna, c’è il suo host:
almeno lui un po’ di inglese lo parla. Maccheronico,
certo, ma l’importante è capirsi.
«Allora, che programmi hai per oggi?» gli chiede,
gentile.
«Mah, non so, pensavo di andare in piazza Duomo e poi iniziare a fare un giro lì...»
«E bravo Philip (“Filìp”), vai sul classico (“you go
on the classic”), eh?!? E sai come arrivarci? Te lo
spiego io...»
«Grazie, ma dovrei arrivarci comodamente con la
metro, no?»
Eccolo, l’errore del principiante, la condanna del
malcapitato surfer. Bastava mostrarsi un po’ più sicuro di sé; invece, quelle due lettere, “N” e “O”, sono
la formula magica che permette all’Amicone di mettere in mostra tutta la sua Amiconità.
«Sì, ma fai prima se prendi il tram. Prendi il 3, a
dieci minuti a piedi da qui, e ti porta dritto in Duomo. Namber tri.»
ma dove sono capitato?!?
73
«Ma no», interviene la moglie, «ci sono i lavori, ci
rimane bloccato. No namber tri, piglia la metro...»
«Ma quale metro», replica uno zio, «ma cosa sei
dietro a dire? Cosa deve fare, il giro di Milano, per
arrivare in Duomo? Ascoltami a me, che sono milanese DOC... Teik namber novantuno, anderstend?
Nain uan. Autobus. E quando arrivi in 5 Giornate,
faiv deis, prendi il 27 oppure il 12 e te se rivà».
«Ma sei impazzito?», lo zittisce la cognata, «e
meno male che non si deve fare il giro della città...
Ancora un po’ e lo mandi a Bergamo! Ascolta me,
lissen, prendi sì il namber 91, ma poi, den, ti fermi
dopo poco, Ripamonti. Lì prendi il tuentifor e sei a
posto!»
Mentre l’espressione del povero surfer – il quale,
detto per inciso, sapeva perfettamente come arrivare in Duomo – passa da stupita a confusa, a terrorizzata, a rassegnata, l’host capisce che la situazione gli sta sfuggendo di mano, e risolve con un: «Sai
cosa facciamo? Ti ci porto in macchina. Da solo»,
aggiunge, a beneficio degli altri presenti. Perché l’Amicone “sa” sempre qual è la cosa giusta da fare, in
qualsiasi situazione.
«Sai, Filìp, sei fortunato: io sono per metà terrone
e per metà polentone, du iu anderstend? Half Milano and half Napoli. Con me vai sul sicuro: l’ospitalità del sud unita all’efficienza del nord!».
Dopo trenta minuti d’auto per raggiungere il centro e altri venti per trovare parcheggio – per la cro-
74
incontri fuori dal normale
naca, il doppio del tempo che avrebbero impiegato
in metro –, finalmente arrivano in piazza Duomo.
«Che poi è meglio se ti accompagno, che almeno
ti spiego le cose. Ti faccio da guida turistica...» dice
l’Amicone, tutto contento.
«Questo è vero», risponde il surfer, accomodante,
«per esempio: chi è il tizio della statua, sul cavallo?»
«Ah, quello... Aspetta... Mi sfugge al momento...
Ah no, ecco: è Garibaldi.»
Mentre l’Amicone sproloquia raccontando la storia della sua vita, il povero surfer, sempre più confuso e rassegnato, lo segue nel suo tour personalizzato del centro di Milano, fatto di indicazioni vaghe
(«Questa chiesa è davvero bella... Non mi ricordo
come si chiama... Ma mi ricordo che c’entra sicuramente Leonardo Da Vinci. O era Raffaello?»), suggerimenti gastronomici («Per pranzo io ti devo lasciare, ché mi tocca lavorare, ma se vai verso il Castello
c’è una trattoria uanderfùl, la vera cucina milanese
di una volta. Non puoi non andarci, mi raccomando, e digli a Mimmo, il titolare, che ti mando io»),
dritte per una visita impossibile («Non hai prenotato
la visita all’Ultima Cena? So che sei un appassionato d’arte, l’ho visto su Facebook... Ma dont uorry...
Un mio amico fa la guardia giurata lì... Digli che ti
mando io e non solo ti fa entrare, ma ti fa pure saltare la fila»), imprecazioni varie («’Sti cazzo di taxi...
Devi fare un mutuo per fare duecento metri e poi
manco si fermano sulle strisce... Mica come da voi,
ma dove sono capitato?!?
75
eh?!?»), altri suggerimenti gastronomici («In Italia
devi assolutamente provare la pasta, la pizza e il
gelato. Per la pasta, ti ho già detto, la pizza è una
sorpresa per cena... Per il gelato, se ne vuoi provare
uno davvero buono, very italian, vai oltre il Duomo,
giri a sinistra dove inizia il corso, poi prendi una
stradina a destra... Credo sia la seconda o la terza...
È in quella zona lì, non puoi sbagliare, la riconosci
per forza... Ah, e digli che ti mando io!»), per finire,
con sommo terrore del surfer, con le indicazioni per
la via del ritorno («Forse alla fine è meglio se prendi
la metro»).
La sera, di ritorno da una giornata a dir poco
stancante, appesantito da un pranzo di quattro portate (pagate come fossero dieci, e meno male che “lo
mandava lui”) smaltito però facendo chilometri in
vana ricerca della gelateria “dietro il Duomo”, davanti a un’enorme porzione di pizza fatta in casa
alta un paio di centimetri il surfer racconta quali
saranno le prossime tappe del suo viaggio in Italia.
«È la prima volta che ci vengo, per cui farò il classico giro del turista straniero: Firenze e Roma di
sicuro, e poi vedo quanti soldi e quanto tempo mi
rimangono...»
«Manco a farlo apposta!» urla l’host, entusiasta.
«A Firenze ci vive mio cugino! E a Roma mia sorella!
E poi, ascolta il mio consiglio, visto che i soldi te
li faccio risparmiare io: già che sei lì non puoi non
andare a Napoli in questa stagione, e lì c’è solo l’im-
76
incontri fuori dal normale
barazzo della scelta, tutta la famiglia di mamma è
di lì!»
Cala il silenzio intorno alla tavola; un silenzio di
terrore, più che di imbarazzo. Ma l’Amicone non riesce a rendersene conto, è contento come un bambino, e scambia la disperata titubanza del surfer per
timidezza.
«Guarda che non c’è problema! Anzi, sai che faccio? Li chiamo subito e li avviso... Stai tranquillo,
ghe pensi mi!»
Il Servo
Avete mai sentito dire che “l’ospite è sacro”? Ecco,
probabilmente chi ha coniato questo detto era un
Servo, tipologia particolare di host che si sente in
dovere di trattare il suo ospite come un pascià, facendo a gara con un hotel a 5 stelle. Anzi, non è
nemmeno esatto dire che si sente in dovere: il Servo
non pensa di doverlo fare, bensì lo vuole fare!
Spesso le prime avvisaglie della “servitù” dell’ospitante si possono avere già dal suo profilo, ma è
impossibile stabilirne il “grado” finché non si entra
in contatto di persona. Per esempio, può capitare di trovare un host particolarmente gentile, che
segnala di avere solo un divano disponibile in soggiorno ma che, nel caso i surfer viaggino in coppia,
è disposto a cedere loro il suo letto e a dormire lui
sul divano, piuttosto che far dormire uno dei due
per terra. Anche se ovviamente non tutti lo fanno,
ma dove sono capitato?!?
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né sono tenuti a farlo, fin qui tutto bene. Il problema sorge quando l’ospitante cede il suo letto anche a un viaggiatore singolo, che potrebbe benissimo accomodarsi sul divano come lo stesso nome
“Couch­surfing” suggerisce, ma che, agli occhi del
Servo, non può assolutamente dormire scomodo:
non sia mai che un ospite se ne vada da casa sua
insoddisfatto!
Un’altra avvisaglia riguarda i periodi di disponibilità per ospitare: c’è chi segnala un arco di tempo
ben preciso, c’è chi non segnala quasi nulla, vuoi
perché è spesso a casa, vuoi perché preferisce decidere di volta in volta; e, infine, c’è chi, per venire incontro a surfer particolarmente esigenti o bisognosi
d’aiuto, è disposto addirittura a prendere ferie per
accoglierli come si deve e accompagnarli nella visita.
In quest’ultimo caso, ebbene sì, abbiamo a che fare
con un Servo che sta sfiorando il patologico.
Dopodiché, si passa al contatto diretto: l’ignaro
surfer scrive a questo potenziale ospitante particolarmente gentile e, dopo essersi accordato sulle
date, chiede che mezzi deve prendere per raggiungere casa sua dall’aeroporto. «Ma quali mezzi!» risponde il Servo, «Ti vengo a prendere io in auto!».
All’arrivo a casa, il surfer rimane a bocca aperta:
l’appartamento è tirato a lucido, regna un ordine da
negozio d’arredamento e dalla cucina arriva un profumino assai invitante. «La cena è nel forno, ma c’è
ancora tempo» spiega il Servo, per poi aggiungere:
78
incontri fuori dal normale
«Fa’ come se fossi a casa tua: se vuoi, fatti una doccia, e poi sistema pure le tue cose in camera... Vieni, ti mostro il tuo letto». E, come anticipato, il letto
del surfer è in realtà il letto, con lenzuola fresche
di bucato e un paio di asciugamani ben ripiegati e
adagiati sopra, del suo host, il quale, di fronte alle
ovvie rimostranze colme di imbarazzo del suo ospite,
minimizza: «Ma va’, figurati! Certo che dormo io sul
divano! Ma come fai a dormirci tu... Sei così alto che
non ci staresti nemmeno».
A quel punto il “povero” surfer, sempre più in difficoltà, va a lavarsi e rimane chiuso un’ora in bagno
a pensare a un piano B per cercare di frenare il più
possibile quella sorta di lacchè senza livrea. Ma è
troppo tardi: uscito dal bagno, la tavola è già apparecchiata, gli antipasti sono ben disposti su un vassoio e il primo è quasi pronto per essere impiattato.
«Ah, vengono anche dei tuoi amici per cena?»
domanda il surfer, benché conosca già la risposta,
mentre il terrore inizia ad assalirlo.
«Amici? No, perché? Oh, dici che ho cucinato
troppo? Ma non ti preoccupare, mi piace cucinare,
e quando ho ospiti ne approfitto per sbizzarrirmi un
po’...» risponde allegro il Servo, che non immagina
minimamente quello che sta per accadere.
«Ehm... Sì... C’è solo un problema» risponde a
quel punto l’ospite, che proprio non sa come introdurre l’argomento agli occhi pieni di aspettativa del
Servo: «Sono vegetariano».
ma dove sono capitato?!?
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È a quel punto che, per il Servo, avviene la catastrofe. Non perché ha perso quasi due giorni a cucinare per un esercito. Non perché, solo di materie
prime, ha speso l’equivalente di una settimana di
stipendio. E nemmeno perché, a quel punto, si pone
il problema di cosa mangiare a cena. Il vero problema, per il Servo ormai profondamente mortificato,
è esistenziale: «Ma che razza di ospitante sono, che
non gli ho nemmeno chiesto se mangiava tutto?!?».
Chiamate un’ambulanza.
Il Martire
A uno sguardo superficiale, il Martire potrebbe sembrare molto simile al Servo, ma la differenza tra
queste due categorie, seppur sottile, è abbastanza
evidente: se, come abbiamo visto, il Servo “gode”
servendo e riverendo il suo ospite, il Martire, al contrario, vive la sua ospitalità, appunto, come un martirio, lamentandosi di continuo, di solito tra sé e sé,
ma a volte anche esplicitamente, a prescindere dai
“servizi” offerti ai suoi ospiti.
Infatti, se da un lato può capitare che i Martiri
si lamentino dell’ingratitudine di alcuni surfer, rei
di non ringraziare a dovere per il trattamento da re
ricevuto (ma ovviamente non richiesto), dall’altro
spesso le lamentele non avrebbero proprio motivo di
esistere, perché quelli che agli occhi del Martire appaiono come enormi sacrifici sono in realtà semplici
regole base di buona ospitalità.
80
incontri fuori dal normale
Questa seconda “classe” di Martiri è quella che
davvero fa pensare ai surfer al termine del soggiorno: «Ma chi gliel’ha fatto fare?!?». Della serie, se ospitare è un peso così grande, perché lo fanno?
«Ma non è un peso», risponderebbe il Martire medio. «È solo che certe persone sono così maleducate... Pensano che sia tutto dovuto, non si mettono
proprio in testa che casa mia non è un hotel a 5
stelle.»
Ma, quindi, chi ha ragione? Come spesso accade,
la verità sta nel mezzo, ma non si può escludere che
alcune categorie di ospitanti abbiano davvero una
visione distorta del Couchsurfing, dei couchsurfer e,
in definitiva, anche di se stessi. Eh sì, perché nella
maggior parte dei casi i Martiri sono coloro che pensano che il 99% dei surfer sia composto da approfittatori in cerca semplicemente di un letto gratis,
senza accorgersi che, in realtà, sono loro stessi a
far parte di quella categoria: questi Martiri, infatti,
ospitano esclusivamente per avere più referenze sul
profilo, referenze che poi serviranno a trovare più
agevolmente un divano in giro per il mondo. Dello
scambio culturale e tutto ciò che ci gira intorno, interessa ben poco.
Ma come riconoscere in anticipo, e quindi evitare, un Martire? Non è facile. Può capitare che si
“tradisca” già sul suo profilo, elencando previamente una serie infinita di regole da rispettare per una
convivenza positiva, ma il più delle volte un surfer
ma dove sono capitato?!?
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si accorgerà di avere a che fare con un Martire solo
quando sarà già in casa sua.
Il “vero” Martire metterà subito in chiaro che lui
il giorno dopo dovrà uscire di casa alle 7.30 per andare al lavoro, per cui: a) la sera non si fa tardi, b) la
sveglia è alle 6.45, perché c) la regola è: “se io sono
fuori casa, tu sei fuori casa”. Tutto legittimo, per carità, ma forse sarebbe più carino specificarlo DOPO
essere entrati in casa.
Le tappe successive sono la cucina («Se proprio
devi cucinare, c’è un supermercato a 20 metri da
qui. Puoi usare quello che vuoi, basta che poi lo lavi
e lo rimetti al suo posto»), il bagno («Qui c’è la doccia.
Ti pregherei di asciugarla subito dopo averla usata,
se no rimangono le macchie di calcare») e la stanza
degli ospiti («Questo è il tuo letto, su cui ti chiederei
la cortesia di stendere il tuo sacco a pelo. Vorrei evitare di dover poi lavare delle lenzuola solo per due
notti»).
A quel punto, però, il surfer avrà già deciso che
le notti di certo non saranno due: va bene la condivisione e tutto il resto, ma probabilmente è arrivato
nel momento sbagliato, in un periodo in cui il suo
host deve avere dei casini, o qualcosa del genere,
e l’ultima cosa che vuole è essere un peso per lui:
forse è il caso di lasciarlo tranquillo e cercarsi un
ostello per la seconda notte.
Ma la soluzione prospettata dal surfer è l’esatto
contrario di quanto auspicato dal Martire, che alla
82
incontri fuori dal normale
notizia che il suo guest se ne andrà prima del previsto reagirà con un: «Ma tu guarda questo ingrato,
è un mese che siamo d’accordo che si fermerà due
notti, e ora di punto in bianco se ne va dopo un giorno. E pensare che ho annullato la partita di calcetto domani sera perché c’era qui lui... Io certi surfer
proprio non li sopporto...»
Il Professionista
Il Professionista è quel tipo di couchsurfer che non
ha ben capito che “ospitare” non vuol dire trasformare la propria casa in un ostello. Ospitanti di questo tipo non sono molto numerosi, anzi, sono piuttosto rari, ma esistono, e quando ci si imbatte in uno
di loro non si può fare altro che rimanere incantati
di fronte agli abissi di follia che la mente umana può
raggiungere.
Il classico host Professionista è una persona
(uomo o donna, indifferentemente) non più giovanissima, separata o che comunque vive da sola,
con una situazione finanziaria piuttosto solida (insomma, ricca, o mantenuta, o un imprenditore con
un’attività che gli consente di vivere al meglio mettendo solo qualche firma di tanto in tanto) e che
vuole assolutamente vincere la solitudine.
All’inizio il Professionista è esitante, quasi sospettoso riguardo al Couchsurfing: viene a sapere della
sua esistenza in maniera casuale (parlando con il
figlio, sentendo qualcosa di vago alla radio, spette-
ma dove sono capitato?!?
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golando dalla parrucchiera, navigando su forum per
soli adulti), ne è incuriosito ma al tempo stesso, vista la poca consuetudine con Social Media & Co.,
si chiede: «Ma ci sarà da fidarsi a far venire in casa
tutti ’sti sconosciuti?». Alla fine, la solitudine vince sui dubbi, e il (potenziale) Professionista decide
di buttarsi, senza nemmeno lontanamente immaginarsi che questa esperienza, anziché migliorare la
sua vita sociale, alla lunga arriverà quasi a darle il
colpo di grazia.
Dopo i primi, positivi incontri, infatti, il Professionista inizia a prenderci gusto: gli ospiti, che prima dormivano sul divano, ora vengono ospitati nella
camera del figlio (tanto ormai vive per conto suo da
anni), e da lì al pensiero che, togliendo la scrivania e
aggiungendo un altro letto, potrebbe ospitare anche
due surfer per volta il passo è breve.
E perché limitarsi a due: già che c’è, perché non
munirsi di letto a castello, anzi, di due letti a castello, spostando il letto del figlio nel ripostiglio, che ormai è praticamente vuoto ed è abbastanza ampio da
poter essere usato come seconda stanza degli ospiti,
per le emergenze. E a pensarci bene... Anche lo studio è di fatto una stanza praticamente inutilizzata:
l’azienda di famiglia va avanti da tempo con le sue
gambe, e per le poche scartoffie di cui ancora deve
occuparsi basta il suo ufficio in ditta. E così, voilà,
ecco un’altra stanza disponibile, magari arredata
con un letto matrimoniale e una brandina aggiunti-
84
incontri fuori dal normale
va, per poter dare la possibilità di surfare anche alle
coppie con pargolo al seguito.
Nel frattempo, gli ospiti si susseguono, le “amicizie” virtuali si moltiplicano, le recensioni positive
raggiungono quantità a tre cifre (perché dopotutto, sì, il Professionista è una brava persona e un
padrone di casa modello), e le richieste di ospitalità arrivano a intasare la casella di posta. Senza
rendersene conto, il Professionista è diventato... un
professionista, appunto, del settore alberghiero (pur
non retribuito), con tanto di calendario degli arrivi
e delle partenze suddiviso per stanze, routine mattutina per il lavaggio delle lenzuola e plico di opuscoli turistici sul mobile all’ingresso. A dire il vero,
all’inizio della sua “attività” accompagnava spesso e
volentieri i suoi guest alla visita della città – con una
professionalità da far invidia alle guide turistiche ufficiali, ovviamente – ma ora ha sempre meno tempo
per farlo...
In tutto questo, il Professionista ovviamente non
si rende conto che il disastro è dietro l’angolo: l’azienda di famiglia, lasciata nelle mani inesperte e
un po’ bucate del figlio (complice la crisi, certo), sta
andando a rotoli; i vicini, notando il via-vai sempre
più promiscuo, iniziano seriamente a dubitare della
sua sanità mentale; gli amici di una volta tendono
a evitarlo, perché lui non esce praticamente più di
casa e loro preferiscono non mettere piede in quello
che pare sempre più simile a un porcile (eh sì, non
ma dove sono capitato?!?
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è facile gestire un mini-hotel da soli) sempre pieno di sconosciuti che non spiccicano mezza parola
di italiano; e gli stessi sconosciuti, ovvero gli ospiti,
continuano ad arrivare uno dopo l’altro, a gruppi,
sempre di più, tanto che in pratica l’interazione è
ormai nulla.
E mentre il Professionista si sente sempre più
tagliato fuori dai suoi visitatori, che chiacchierano
allegramente tra di loro in un inglese troppo veloce
per lui, inizia a rendersi conto che forse (forse, eh) le
cose gli sono un po’ sfuggite di mano.
«Basta!» decide quindi, «Ho bisogno di una vacanza».
Così, finalmente, il Professionista inizierà a pensare un po’ a se stesso, pianificando un viaggio di
un mese per mezza Europa (tanto, si è capito, il tempo non gli manca, e i soldi nemmeno), prenotando
voli e treni e contattando, finalmente, una valanga
di couchsurfer non per ospitare, ma per essere ospitato. E alla fine del suo viaggio, di ritorno a casa,
troverà la sua casella e-mail ancora più intasata,
perché, da buon Professionista, avrà invitato in Italia tutte le persone conosciute durante la sua vacanza, più amici, parenti e conoscenti.
Perché il Couchsurfing, in fin dei conti, crea dipendenza.
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incontri fuori dal normale
Host che non hostano : il Tipo a posto
Il Tipo a posto è il classico bravo ragazzo, nel senso “peggiore” del termine, ovvero quello di persona ingenua che, per il fatto di non saper dire di
no e per l’impossibilità congenita di arrabbiarsi, finisce con il prendersi
una fregatura dopo l’altra.
In ambito di Couchsurfing, il Tipo a posto è quello che si sente in colpa
perfino quando dice di no a una richiesta da parte di qualcuno che non
ha referenze nel profilo, che non lo chiama per nome o che addirittura
lo sbaglia, che dichiara che verrà nella sua città perché lo ha deciso la
“ticket random lottery” di qualche compagnia low-cost e ha pensato proprio a lui (ma può ovviamente anche essere una “lei”) perché sembra,
manco a dirlo, un tipo a posto. Scrive proprio “sembra”: in genere non si
sbilancia molto oltre.
Il Tipo a posto, anziché liquidare la richiesta con un breve: «Mi spiace, non
posso» o addirittura ignorarla, come sarebbe ben lecito, non ci dorme per
un paio di notti. Pensa che tutti meritino una possibilità. Trova giustificazioni improbabili alla superficiale impersonalità e alla genericità della
richiesta («Magari nel suo Paese razionano l’energia elettrica, o è una
persona molto timida...»). E, alla fine, dice di sì. Non reggerebbe il senso di
colpa di lasciare un povero viaggiatore senza una risposta, nella disperazione di non trovare un tetto sotto il quale ricevere accoglienza e ristoro.
Il Tipo a posto scrive così una bella risposta, mostra entusiasmo, cerca
di far sentire il viaggiatore benvenuto, insomma, si impegna. Si impegna
perché si è iscritto a Couchsurfing per sua scelta e starebbe male con la
sua coscienza se dicesse di no senza avere ragioni particolari per farlo o
impegni improrogabili.
Il Tipo a posto poi aspetta; aspetta una risposta che in genere, tipicamente, o non arriva o arriva uno o al massimo due giorni prima della data in
cui il guest dovrebbe arrivare. E quando arriva, se arriva, tipicamente è
una risposta breve e interlocutoria, tipo: «Grazie, mi hanno già risposto
in due o tre, ti faccio sapere».
ma dove sono capitato?!?
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Una persona normale a questo punto ci metterebbe una pietra sopra,
chiudendo la faccenda e organizzando le sue giornate come più gli piace. Invece, il Tipo a posto risponderà: «Ok, decidi pure con calma, fammi
sapere» e magari, in un moto protettivo anch’esso figlio del senso di colpa, lascerebbe anche il numero di cellulare, «così puoi chiamarmi anche
all’ultimo».
La fortuna del Tipo a posto è che alla fine il suo potenziale ospite sceglierà sempre un altro host. Non riscriverà e non chiamerà, perché non
si sarà appuntato il numero da nessuna parte. Il Tipo a posto dopo un po’
questo lo sa, lo ha imparato. Eppure continua a comportarsi allo stesso
modo, a rispondere con garbo e sorrisi alle richieste più improbabili e raffazzonate. Continuerà a dire «Sì», «Ok», «Decidi pure con calma», «Non
c’è problema», perché così il suo senso di colpa sarà zittito, e nessuno
mai si presenterà davvero da lui.
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
10
Ma chi ho fatto
entrare in casa?!?
Come più volte ripetuto, il Couchsurfing è costituito
da host e guest. E come ci sono gli ospitanti da cui
nessuno vorrebbe andare, allo stesso modo esistono
gli ospiti che nessuno vorrebbe accogliere in casa
propria.
Così, anche in questo caso, esagerando per
scherzo le caratteristiche meno desiderabili in un
viaggiatore, ma attingendo dalla nostra esperienza
e dai racconti che ci sono stati fatti, abbiamo creato
cinque profili di surfer con cui nessun host sano di
mente vorrebbe mai avere a che fare.
Lo Scroccone
Lo Scroccone è colui che considera il Couchsurfing
nella sua accezione più materialistica, ovvero, semplicemente, “viaggiare gratis”. Intendiamoci, siamo
in tempi di crisi e viaggiare costa sempre di più,
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per cui non c’è niente di male a utilizzare il Couch­
surfing (anche) per evitare di spendere una cifra per
dormire, ma... A tutto c’è un limite!
Il “problema” è che, contrariamente ad altre categorie di surfer, non è facile riconoscere uno Scroccone dal suo profilo, sia perché non c’è una voce “dedicata”, sia perché, anche se ci fosse, chi mai direbbe
di sé che “l’importante è andare a scrocco”?
A dire il vero, ci sono due categorie di Scrocconi:
gli Scrocconi in Buonafede sono quelli che non hanno ben inteso la filosofia del Couchsurfing, e pensano di avere a che fare con una sorta di “catena” di
ostelli gratuiti; gli Scrocconi in Malafede sono coloro che invece hanno capito benissimo, e cercano di
approfittarsi il più possibile delle buone anime che
danno loro alloggio.
Partiamo da questi ultimi, senza dare loro troppo spazio immeritato: come abbiamo già detto, il
Couch­surfing è costituito da persone di ogni tipo,
e se la maggior parte vive questa esperienza nel rispetto di chi ospita, c’è sempre chi si crede più furbo
degli altri. Anche gli Scrocconi in Malafede usano il
Couchsurfing come una “catena” di ostelli gratuiti,
ma, a differenza di quelli in Buonafede, non pensano “ingenuamente” che funzioni così, ma lo fanno di
proposito.
Innanzitutto, gli Scrocconi in Malafede viaggiano
in gruppo: tre o quattro amici squattrinati che vogliono trascorrere un weekend di baldoria in una
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incontri fuori dal normale
grande città; il prescelto di questo gruppetto si iscrive a Couch­surfing e cerca un malcapitato disposto
a ospitare più persone. La tattica è questa: cerco
alloggio per me, o per me e un amico, e all’ultimo
momento prego in sanscrito il mio host che accolga
un altro paio di amici, spiegando affranto che avevano trovato alloggio presso un’altra persona che però,
all’ultimo momento, ha dato buca.
Mosso dalla compassione, l’ingenuo ospitante si
ritroverà così in casa un’orda di ragazzi (o ragazze)
scatenati e con l’obiettivo di non bere un goccio d’acqua per tutto il weekend.
Lo spavento iniziale scemerà in modo inversamente proporzionale alla quantità di alcol che i suoi nuovi
amici gli faranno ingerire, il che gli permetterà di non
rendersi conto della devastazione casalinga fino al lunedì, quando la sbronza sarà passata e gli Scrocconi
in Malafede già tornati al loro Paese d’origine.
Certo, la casa assomiglierà a un tendone
dell’Oktoberfest dopo la chiusura, il frigorifero avrà
appeso il cartello “Sold out” e il mobile bar sembrerà
il ripiano dei superalcolici di un bar di New York
negli anni ’20, ma... «Alla fine ci siamo divertiti, no?»
cercherà di convincersi l’host, senza ricordare granché. «Quindi, dai, perché mai dovrei scrivere una referenza negativa?»
Un altro discorso va invece fatto per l’altra categoria di Scrocconi, quelli in Buonafede. Di solito
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
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viaggiano da soli, raramente per turismo, più spesso per recarsi a un colloquio di lavoro, a un evento sportivo, a un concerto e chi più ne ha più ne
metta. Appena ha fissato il colloquio (o comprato il
biglietto per la partita o per il concerto), lo Scroccone in Buonafede si trova dinanzi al problema non
da poco di trovare un alloggio low-cost. Perché, per
un motivo o per l’altro – il colloquio serve, appunto,
per uscire dalla disoccupazione; i biglietti per la Finale di Champions League costano quasi quanto il
cartellino di uno dei giocatori in campo; gli AC/DC
sono ormai prossimi alla pensione e devono pur
assicurarsi in qualche modo il loro futuro –, i soldi
scarseggiano.
È a quel punto che lo Scroccone in Buonafede si
ricorda di quel suo amico un po’ hippy che gli aveva
raccontato delle sue vacanze in giro per la Scandinavia saltando da un divano all’altro; un po’ scettico, contatta l’amico, chiede come funziona, compila
diligentemente il suo profilo sul sito e si tuffa alla
ricerca di un divano. E la classica fortuna del principiante lo assiste: nel giro di un paio di giorni gli rispondono tre o quattro potenziali host e, dopo qualche scambio di e-mail, vede che uno di loro abita a
meno di dieci minuti dallo stadio (poniamo che gli
AC/DC suonino lì, o che il colloquio sia per lavorare come cassiere della biglietteria). Si affretta così a
“prenotare” il posto letto e si rifà vivo qualche giorno
prima della partenza per confermare il suo viaggio.
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incontri fuori dal normale
All’arrivo, di solito in tarda serata, lo Scroccone
in Buonafede nota con disappunto che il suo giaciglio si trova nel soggiorno della casa, in cui vivono
altre tre persone, di cui due fumatori: preso dall’entusiasmo trionfale per aver trovato da dormire a così
poca distanza dallo stadio, si è dimenticato di chiedere informazioni su tutte le altre caratteristiche
dell’appartamento.
Il suo host cerca di metterlo a suo agio chiedendogli se ha cenato e offrendogli una porzione di
una specialità locale preparata apposta per lui. Lo
Scroccone in Buonafede mangia turandosi il naso –
la cucina “etnica” non è mai stata la sua passione
– ma chiede il bis perché, tra treno, aereo e metropolitana, ha mangiato solo un panino in tutta la giornata. Dopo cena l’host gli propone di uscire a bere
qualcosa, ma lo Scroccone in Buonafede è parecchio
stanco e il giorno dopo deve essere in forma: piuttosto, se non è un problema, preferirebbe bersi una o
più birrette in casa guardando la Finale per il 3º/4º
posto in TV prima di andare a nanna.
Il mattino dopo, lo Scroccone in Buonafede si alza
carico per il suo colloquio/concerto/partita, ma l’entusiasmo inizia a spegnersi quando scopre che fuori
dal bagno c’è la coda. Il suo host lo saluta di fretta
scusandosi perché è in ritardo per andare al lavoro,
e gli indica la sua parte di credenza da cui può attingere ciò che vuole per fare colazione, facendo come
se fosse a casa sua. Un po’ contrariato perché di
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
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Nutella ce n’è solo un dito e l’unica marmellata è di
fragole, frutto a cui è allergico, lo Scroccone in Buonafede cerca comunque di dare il massimo per non
deludere il padrone di casa, facendogli fuori mezza
dispensa, per poi andare finalmente in bagno, rimettere tutto a posto nel suo trolley e uscire di casa.
Nel caso del colloquio, tornerà per cena, che si
farà nuovamente offrire dalla cucina della casa, e saluterà cordialmente il suo ospitante prima di andare
in aeroporto; nel caso della partita o del concerto,
tornerà, stanco e sudato, a tarda notte, rispondendo
solo a monosillabi al padrone di casa che l’aspettava
sveglio sia per aprirgli la porta, sia per chiedergli
affabilmente com’era andata. Il giorno dopo, dopo
aver fatto fuori l’altra metà della dispensa a colazione e aver ringraziato quello sconosciuto che l’ha
ospitato, si avvierà verso la metropolitana pensando: «Va bene che è gratis, ma tutto ’sto entusiasmo
per questo Couchsurfing proprio non lo capisco...».
Il Marpione
Il Marpione, purtroppo, è forse la tipologia di couchsurfer più diffusa; ma, per fortuna, solitamente è
anche una delle più riconoscibili. In parole povere,
il Marpione è colui che ha scambiato Couchsurfing
per un sito d’incontri. Non lo si può negare: anche
Couchsurfing, come praticamente tutti gli altri social network, pullula di personaggi che in modo più
o meno bizzarro cercano di ottenere, grazie alla “vita
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incontri fuori dal normale
virtuale”, quello che non riescono ad avere nella vita
reale. Sì, se non fosse chiaro, stiamo parlando di
sesso.
La tipologia di Marpioni è così ampia che non
basterebbe un intero libro a classificarli tutti: si va
dal trentenne appena mollato dopo quindici anni
di fidanzamento che vuole rifarsi un’adolescenza,
all’uomo-zerbino in cerca disperata di una compagna per la vita, dal tombeur de femmes che vuole aggiungere un’altra preda alla sua collezione, al
nerd che ha una conoscenza tanto vasta quanto teorica della materia.
Come abbiamo già detto nella prima parte del libro, nessuno vieta che tra host e guest possa “nascere qualcosa”, ma questo qualcosa deve nascere
tra due adulti consenzienti, in modo che entrambi
ne traggano “beneficio”, e, soprattutto, “alla luce del
sole”. Quando invece questa intenzione è inizialmente nascosta, o esclusivamente da una parte, la
stessa parte che proprio non vuole capacitarsi del
fatto che l’altro – anzi, il più delle volte “l’altra” – proprio non ne vuole sapere, ecco che la cosa diventa
un problema.
Ma quindi, in definitiva, come si riconosce a prima vista un Marpione? Se è un Marpione che ha un
certo successo con le donne, il suo profilo sarà ricco
di recensioni positive, scritte però all’80% (se non di
più) da belle ragazze, anche se spesso basta cercare
un po’ meglio per trovare un paio di recensioni neu-
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
95
tre, o addirittura negative, che dovrebbero fungere
da campanello d’allarme.
Se invece si tratta di un Marpione sfortunato
anche con il sesso virtuale, è ancora più semplice:
le recensioni sul suo profilo saranno prossime allo
zero, dato che anche eventuali esperienze finite a
ceffoni (virtuali e non) non avranno un seguito con
una recensione negativa: spesso le ragazze, come
abbiamo visto, scelgono di non “infierire”, preferendo, a discapito di chi verrà dopo di loro, non commentare piuttosto che farlo negativamente.
Il Marpione non sceglie la meta del suo viaggio
secondo i suoi interessi culturali, né chi contattare
come host in base a ciò che hanno in comune: dipende più che altro dai gusti in fatto di donne (bionde, more, alte, basse?), anche se spesso si tratta di
una città del Nord Europa, in cui si pensa che il
gentil sesso sia, per così dire, meno “problematico”.
Dopodiché, bisogna contattare le potenziali host,
e il Marpione ha una tattica tutta sua, tanto semplice quanto, a suo dire, infallibile: imposta i filtri di
ricerca su “Age: 18 to 40”, “Female” e “Has Photo”, e
poi inizia a scorrere tutti i risultati come se si trattasse di un book fotografico. Quando la foto è di suo
gradimento (e la percentuale di foto di gradimento
è direttamente proporzionale al grado di disperazione sessuale del Marpione stesso), apre il profilo
corrispondente, dà una rapida occhiata per controllare che non ci sia scritto “vivo con il mio fidanzato”
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incontri fuori dal normale
(ma questo passaggio è opzionale), clicca su “Send
Couch­Request” e incolla sempre lo stesso messaggio
preconfezionato, in cui si presenta come in “disperata ricerca” di un host per un viaggio semi-improvvisato, avendo l’accortezza (a volte) di cambiare il
nome del destinatario.
E funziona, questa tattica? Considerando che per
ogni meta manderà almeno un centinaio di richieste... Sì, sparando nel mucchio, qualcuna ci casca:
un’anima ingenua che non sa a cosa andrà incontro. Perché il Marpione, ovviamente, non è uno stupratore seriale, ma ci proverà con la sua “vittima”
fin dal primo istante del loro incontro, in modo continuo e instancabile, mirando al successo attraverso l’esasperazione, senza capire né che una persona
può non avere voglia di fare sesso con uno sconosciuto, né, soprattutto, che può non avere voglia di
fare sesso con uno sconosciuto se lo sconosciuto è
lui.
A volte ce la farà, trovando “pane per i suoi denti”
o andando in meta per sfinimento altrui; altre, di
solito la maggior parte, no, ma riuscirà comunque
a uscire illeso dalla casa della ragazza; altre ancora,
verrà fisicamente allontanato dal coinquilino della
sua host, che, per sfiga, è un giocatore di rugby. Ciò
intaccherà forse la sua integrità fisica, ma non quella del suo profilo, che rimarrà, lindo e immacolato,
pronto ad attirare la prossima “preda” sprovveduta.
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
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Il Fenomeno
Il Fenomeno teoricamente sta ai surfer come il Professionista sta agli host. “Teoricamente” perché, pur
vedendosi come un viaggiatore provetto, anzi, come
la definizione vivente del concetto di “viaggiatore”,
il Fenomeno tende spesso, consciamente o inconsciamente, a sopravvalutare se stesso e le sue “imprese”, che nei suoi racconti acquisiscono talvolta
addirittura un alone mistico.
Come il Professionista, il Fenomeno è facilmente
riconoscibile già dal suo profilo: ha più di un centinaio di amici sparsi per ogni angolo del globo, altrettante referenze positive, parla almeno quattro
lingue a livello “intermediate” e altrettante a livello
“beginner”, e il suo profilo è infarcito di frasi a effetto, spesso rubacchiate qua e là sul web, che parlano
di viaggi, ovviamente, ma anche di salvaguardia del
pianeta, rispetto della natura, religioni “alternative”,
pratiche yoga o ayurvediche, e un miliardo di altri
interessi. Dopotutto, viaggiare apre la mente, no? E
quindi che male c’è a farlo un po’ notare?
Non fraintendete, i Fenomeni sono senza dubbio
persone interessanti, che hanno vissuto un sacco di
esperienze che una persona media forse nemmeno si
immagina, ma forse risulterebbero un po’ più simpatici se non si sentissero in dovere, oltre che in diritto,
di intervenire in ogni conversazione, su qualsiasi argomento, che loro di sicuro hanno già visto, vissuto,
provato, mangiato, studiato, sperimentato, ecc.
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incontri fuori dal normale
La prima cosa che un Fenomeno chiederà al suo
host è probabilmente un letto. Ma non per dormire
(e neanche per quello che state pensando, maliziosi!). No. Lo chiederà semplicemente per chiedere. E
per darsi così la possibilità di iniziare a raccontare:
«Tu non hai idea... Una cosa incredibile... Sono in
viaggio da tre giorni e ho dormito sì e no un paio
d’ore per notte... No, no, che hai capito? Sono in
viaggio da tre giorni per tornare a casa... In realtà
sono due anni che giro per il mondo, almeno credo... Sì, un anno e mezzo o due... Una cosa incredibile, quando viaggi il tempo diventa relativo, solo un
ulteriore vincolo che la società ti impone per tenere
a freno il tuo spirito, ma in realtà nel viaggio il tempo si misura con i segni che lascia sul tuo corpo,
più che con i giorni, le ore e i minuti... Tu non hai
idea...»
L’host, che un’idea inizia ad averla, cercherà di
tagliar corto, chiedendo al suo ospite se vuole mangiare qualcosa, dato che, nonostante la sua richiesta iniziale, non sembra avere nessuna intenzione di
andare a dormire.
«Grazie mille, davvero. Anzi, lascia stare, cucino
io per te, per sdebitarmi. No, davvero, mi fa piacere. Ti preparo un piatto che ho imparato a fare in
Amazzonia, in carcere. Sì, una cosa incredibile...
Ero stato arrestato per un disguido... Tu non hai
idea... Mi son fatto una settimana dentro prima che
tutto venisse chiarito. Ma, ti dirò, è stata un’espe-
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
99
rienza anche quella... Una volta uscito, mi sono sentito cresciuto spiritualmente...»
Insomma, è abbastanza chiaro: quando a un
host capita di ospitare un Fenomeno, in pratica sa
già che non aprirà bocca per tutta la durata del suo
soggiorno.
Potrebbe, però, andare anche peggio.
Per esempio, i Fenomeni da ospitare potrebbero
essere due; in quel caso, soprattutto se i due non si
conoscono, scatta la gara.
«Sono partito dal Perù e ho risalito tutta la Panamericana in autobus...»
«Io mi sono fatto dalla Francia all’Iran in autostop...»
«Ho viaggiato parecchio, ma ho anche vissuto parecchio, in giro per il mondo...»
«Io ho vissuto per due settimane in Mali... Tu non
hai idea...»
«Io qualche mese in Costa Rica, qualche mese in
India e qualche mese in Nuova Zelanda...»
«Dopodiché ho attraversato il Sahara e sono arrivato in Egitto...»
«Io qualche anno fa mi son fatto il Deserto di Sonora a piedi... Cioè, una parte... Una cosa incredibile...»
«Anche se l’esperienza più emozionante è stata forse navigare lungo il Rio delle Amazzoni su una zattera costruita con le mie mani... Sì, insomma, da me e
da alcuni indigeni... Una cosa incredibile...»
«Io per sfuggire a un rapimento in Medio Oriente
100
incontri fuori dal normale
ho dovuto fingere di essere un arabo sordomuto... Tu
non hai idea...»
In tutto questo il povero host non è minimamente
coinvolto, se non passivamente, come giudice, a cui a
intervalli irregolari viene chiesto di emanare un cenno
di assenso, un mugugno di approvazione, un monosillabo di stupore, mentre mentalmente conta i secondi che lo separano dalla partenza dei due Fenomeni.
Potrebbe, però, anche andare meglio.
Per esempio quando, per zittire un minimo il Fenomeno suo ospite – il quale, poiché sua madre gli
aveva tagliato i fondi dopo due anni di vagabondaggio di cui tralasciamo gli innumerevoli particolari,
era stato costretto a cercare lavoro in una fattoria in
Armenia e aveva anche dovuto imparare l’armeno,
la sua settima lingua ormai, perché lì ovviamente
nessuno parlava inglese... Una cosa incredibile... –,
l’host decide di portarlo fuori a bere una birra con i
suoi amici.
E si dà il caso che, tra questi amici, ci sia Serj, un
ragazzo di origine armena. Al quale, appena viene a
sapere che l’ospite del suo amico ha vissuto nel suo
Paese, non sembra vero di poter finalmente interagire nella sua lingua madre con qualcuno che non
siano i suoi parenti. Si avvicina quindi visibilmente
emozionato al Fenomeno e gli dice: «Barev, anun’s
Serj e, shat hatcheli e!»9.
9 «Ciao, io sono Serj, piacere di conoscerti!»
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
101
Il panico negli occhi del Fenomeno mentre si
guarda intorno e risponde: «Eh?!?» è semplicemente
impagabile.
Perché le cose incredibili, a volte, accadono davvero.
Il Disorganizzato
Più di ogni altro tipo di viaggiatore, il Disorganizzato
incarna il lato tragicomico (nel senso più pieno del
termine) che il viaggiare talvolta può assumere.
Disorganizzato, però, non vuol dire sprovveduto,
o almeno non completamente: il nostro surfer sa benissimo che per non spendere un capitale un viaggio
va preparato con un certo anticipo. Ed è quello che
fa, prenotando un biglietto di andata e ritorno, ad
esempio per Oslo, già tre mesi prima della partenza.
Il problema viene dopo; subito dopo, in realtà, perché non appena prenotato l’aereo, il Disorganizzato
semplicemente si dimentica del suo viaggio: pianificare non gli è mai andato troppo a genio, mentre
per trovare un alloggio con Couchsurfing è troppo
presto e, in ogni caso, c’è sempre il salvagente dell’ostello last-minute: dopotutto, chi mai andrà a Oslo
in un banale weekend di metà maggio?
Intanto, il tempo passa, la partenza si avvicina,
e il Disorganizzato inizia a prendere consapevolezza
del fatto che è meglio iniziare a muoversi; ma dalla consapevolezza all’azione passa un altro mese
buono. Così, quattro giorni prima della partenza, il
Disorganizzato inizia disperatamente a “spammare”
102
incontri fuori dal normale
ogni utente di Couchsurfing residente a Oslo e dintorni, supplicando un posto letto. Ma, a parte un
paio di rifiuti, nessuna risposta; finché, la notte prima della partenza, ecco la speranza: una ragazza,
niente male tra l’altro, gli dice che forse (forse, eh),
lo può ospitare: meglio però se si risentono direttamente il giorno dopo.
Immensamente sollevato, il Disorganizzato finisce di preparare la valigia, azzardandosi addirittura
a fantasticare come un Marpione sulla serata con la
sua host; dorme come un angioletto, prende il volo
per Oslo grazie a mammina che lo sveglia in tempo
e arriva finalmente nella capitale norvegese. E qui
iniziano i casini.
Mentre aspetta il treno per il centro, realizza che,
in effetti, il suo cellulare all’estero non può navigare
in internet: e ora, come fa a ricontattare la ragazza?
La cosa più semplice è cercare un internet point e
durante il tragitto apre lo zaino per prendere la guida e cercarne uno. Ma la guida non c’è. Mentre se
ne rende conto, un’immagine inizia a emergere dal
fondo del suo cervello: la guida di Oslo lasciata sulla scrivania, di fianco al caricabatterie del cellulare,
proprio per ricordarsi di prenderla. Risultato: ha dimenticato anche il caricabatterie. Ma poco importa,
perché, se il Disorganizzato ha un pregio, è quello di
non scoraggiarsi mai.
Trovato un internet point poco fuori dalla stazione, entra, si connette, accede al suo profilo CS, ma
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
103
non trova nulla di nuovo; cerca così un ostello, ma,
incredibilmente, non trova nemmeno un posto in tutta la città. La camera che costa meno è in un 3 stelle,
a 160 euro per notte, che è più o meno il suo intero
budget per tre giorni. Mentre il suo cervello si chiede
come sia possibile che il 17 maggio a Oslo ci sia il
tutto esaurito, arriva finalmente un colpo di fortuna:
l’e-mail di conferma della disponibilità della host di
Couchsurfing.
Euforico, il Disorganizzato scrive su un foglietto il
numero della ragazza, visto che il cellulare è spento
per risparmiare la batteria, e, dopo aver speso mezzo stipendio per dieci minuti scarsi di connessione
internet, spende l’altra metà in un negozio di souvenir per una guida illustrata della città, scritta in un
italiano improbabile.
Finalmente, però, può iniziare a godersi la città:
l’Opera, la Fortezza, Karl Johans Gate, Aker Brygge... E intanto, arrivano le 16, l’ora in cui la sua host
gli ha chiesto di chiamarla. Riaccende il cellulare e,
mentre riceve una decina di messaggi del tipo “Benvenuto in Norvegia”, fruga nelle tasche in cerca del
biglietto su cui si era scritto il numero di telefono.
Che, ovviamente, non c’è. Maledicendo l’incolpevole internet point, ne cerca in fretta e furia un altro
per rifare tutta la trafila, compreso il capitale speso
per pochi istanti di connessione; ma l’importante è
il risultato e, finalmente, riesce a chiamare e ad accordarsi.
104
incontri fuori dal normale
Il Disorganizzato pensa così che finalmente il peggio è passato; invece, il disastro deve ancora venire.
Appena entrato in casa dalla sua host, carina e simpatica come si poteva immaginare dal suo profilo, è
già ora di uscire di nuovo, giusto il tempo di darsi
una rinfrescata alla faccia, perché gli amici di lei li
aspettano in centro per cena. Alle 17.30?!? Certo.
Welcome to Norway!
Dopo un altro interminabile viaggio in metro (ma
sul profilo non diceva “appena fuori dal centro”?),
una passeggiata davanti al Palazzo Reale in mezzo ai
festeggiamenti per il Giorno della Costituzione (ah,
vuoi vedere che è per questo che gli alberghi sono
tutti pieni?), una cena di pesce da 80 euro a testa,
un paio di cocktail da 15 euro cadauno (più un altro
paio offerti alla sua gentile host) e l’ennesimo viaggio
in metropolitana, stavolta passato a limonare con
la host stessa (giusto per confermare lo stereotipo
sui “liberi costumi” delle ragazze del Nord Europa),
si giunge “al sodo”: mentre la ragazza continua a
“caricarsi” sfoderando una bottiglia di vodka dalla
sua fornita riserva personale, il Disorganizzato va a
lavarsi.
Mentre si sta asciugando fuori dalla doccia, però,
un’altra terribile immagine gli balena in testa: quella
delle sue mutande, diligentemente prelevate dal cassetto e ben ripiegate sul letto quella mattina mentre
faceva la valigia, e lasciate sul letto stesso, a casa, a
2.000 km di distanza.
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
105
Ma è quando esce dal bagno con il solo asciugamano legato in vita, mentre lei sta pensando di saltagli addosso e levarglielo, che il Disorganizzato si trova costretto a disilludere tutte le aspettative piccanti
della sua host, chiedendole imbarazzato: «Non è che
avresti un paio di pantaloncini da prestarmi...» e realizzando che, stavolta, ha proprio toccato il fondo.
Il Precisino
Diciamo la verità, la figura del Precisino non è particolarmente originale, anzi, se ne è abusato sia in
letteratura che, soprattutto, nel cinema. Ma non
possiamo comunque evitare di parlarne, perché,
ovviamente, il Precisino esiste anche nella vita reale, ed è in grado di trasformare un’esperienza di
Couch­surfing in un incubo, anche se per fortuna i
casi “estremi” come quello descritto di seguito sono
più unici che rari.
Il Precisino è ovviamente l’esatto opposto del Disorganizzato, e inizia a pianificare il suo viaggio con
largo, larghissimo anticipo, iniziando già quattro o
cinque mesi prima a spulciare uno per uno tutti i
risultati che escono cercando un divano nella sua
città di destinazione. Prima utilizza i filtri per sesso,
età o parole chiave, cercando interessi in comune
quali probabilmente numismatica, botanica o armature medievali; poi però ci ripensa, riflettendo
sul fatto che il rischio di escludere un utente solo
perché non ha specificato quanti anni ha è piuttosto
106
incontri fuori dal normale
alto. A quel punto, salva tra i preferiti i profili che
più lo convincono e prende diligentemente appunti su ognuno, segnandosi pro e contro e quello che
manca nel profilo, che verrà prontamente chiesto al
momento del contatto.
E il momento del contatto arriva: se Couchsurfing
suggerisce, per quella determinata città, di mandare
quindici richieste, il Precisino ne manda una trentina. Per iniziare, può bastare. Dopo due giorni, vaglia
le risposte e... le “non risposte”: chi non ha risposto
in quell’arco di tempo viene inevitabilmente scartato, in quanto poco affidabile, mentre con quelli che
hanno risposto inizia una serie di e-mail per stabilire i dettagli del viaggio. Nel caso nessun divano fosse disponibile, si passa a un secondo invio di massa.
Quando si avvicina il momento della partenza, il
Precisino è già pronto da tempo: ha indirizzo e-mail,
contatto Facebook, numero di cellulare e indirizzo
del suo host, ha stampato il percorso dall’aeroporto
a casa (si sa, all’estero navigare con lo smartphone
ha costi proibitivi) e ha già comunicato l’ora del suo
arrivo, con un’abbondanza di circa 45 minuti per
prevenire eventuali ritardi nella consegna del bagaglio o nel viaggio in metropolitana.
Quello che però il Precisino non poteva calcolare
è che una passeggera dell’aereo svenisse poco prima del decollo, costringendo il volo a un ritardo di
un’ora e mezza; e che quel ritardo influisse anche
sul viaggio in metropolitana, che sarebbe dovuto
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
107
iniziare alle 8 del mattino e che alle 9.30 non era più
possibile, visto che il sindacato dei trasporti pubblici aveva indetto uno sciopero generale a partire dalle
9.00; e che ci fosse di conseguenza una coda infinita
per prendere un taxi; e che il taxi in questione, una
volta riuscito a salirci a bordo, non accettasse pagamenti con carta di credito e lui non avesse soldi con
sé (regola numero 1 per non essere derubati: mai
viaggiare con troppi contanti). E poco importa che
il padrone di casa, debitamente avvisato del ritardo,
questo sì, al momento del suo arrivo gli dica allegramente che non fa niente, che non è colpa sua, e
che l’importante è che, alla fine, sia arrivato. No, no.
Ormai il viaggio è rovinato.
Anche perché, stando a quanto avevano concordato, avrebbe dovuto esserci un letto con tanto di lenzuola e coperte, mentre in realtà si tratta di un divano-letto con un piumone decisamente troppo pesante
per il caldo che fa in quella casa. Per non parlare del
bagno: il suo host gli aveva detto di non sprecare spazio in valigia con gli asciugamani, che glieli avrebbe
prestati lui, ma... Saranno mica asciugamani quelle
due minuscole salviettine lise che gli ha affibbiato?!?
E, soprattutto, il bagno è invivibile, non c’è nemmeno uno spazio per appoggiare vestiti e asciugamani,
la doccia è in realtà una vasca da bagno chiusa da
un’odiosa tendina che si appiccica al corpo quando
si bagna, e il ripiano sopra il lavandino non ha nemmeno un centimetro quadrato libero, pieno com’è di
108
incontri fuori dal normale
spazzolini, dentifrici, schiume da barba, lamette, saponette, cotton-fioc, tagliaunghie, forbicine, pinzette,
creme per il corpo, schiuma e gel per capelli e lozione
dopobarba. Per non parlare della carta igienica, anarchicamente appoggiata sopra il calorifero nonostante
l’esistenza di un portarotolo appeso al muro.
Dopo aver difficoltosamente espletato le sue esigenze igieniche e fisiologiche, il Precisino raggiunge
il padrone di casa in cucina e lo trova in compagnia
di una ragazza che gli viene presentata come la sua
coinquilina. Nelle e-mail di presentazione in effetti
lui gli aveva detto che divideva l’appartamento con
altre due persone, ma non aveva specificato che una
di queste era una donna! Vincendo l’imbarazzo si
siede a tavola, stappa faticosamente con un apribottiglie difettoso la birra che gli viene offerta e si mette
a esaminare il pranzo speciale che sta per essere
preparato per lui.
Il problema è che “speciale” significa “pasta”, in
onore dell’ospite italiano. Ma l’ospite italiano in questione non è di quelli che si limitano a un sorrisino
imbarazzato e alla battuta simpatica: «non è male,
per essere cucinata da uno straniero». No. Il Precisino si sente in dovere di indottrinare l’host sul rapporto tra la quantità di acqua, la quantità di sale e la
quantità di pasta da cuocere, sul tempo di cottura,
sul fatto che no, non bisogna lasciare la pasta troppo a lungo nello scolapasta, se no scuoce comunque, e che sì, conviene preparare il sugo durante la
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
109
cottura della pasta, non dopo. E che no, un piatto
di pasta scotta con sopra delle verdure tagliate alla
julienne e una bistecchina di tacchino non è “vera
pasta italiana”. E, per concludere, già il vino rosso
con la carne bianca c’entra poco, ma freddo di frigorifero non s’è mai visto.
A quel punto, l’host si è ormai reso conto di che
personaggio si ritrova in casa, e accoglie con sollievo la notizia che il suo ospite, per quel pomeriggio,
ha in programma una visita in solitaria del centro
storico. Ma non sa a cosa va incontro. Il Precisino
gli chiede a che ora sarebbe opportuno che lui rientrasse, e l’altro gli dice che per l’ora di cena dovrebbe
già essere a casa.
Ma quando, alle 19 in punto, il Precisino suona il
citofono del suo ospitante, ad aprirgli sorridente è la
sua coinquilina: «Ciao, tutto bene? No, non è ancora
tornato, arriverà a momenti. Vuoi una birra?». L’imprevisto ritardo del padrone di casa è intollerabile
e viene solo in parte mitigato dalla gentilezza, e dal
sesso femminile, della coinquilina. A quel punto, il
Precisino decide che tanto vale provare a trasformarsi in Marpione, ma dopo pochi istanti sbuca dal bagno un nigeriano di due metri con pettorali d’acciaio e braccia dalla circonferenza pari a un palo della
luce, che si presenta allegro come il fidanzato di lei.
Il Precisino, tra l’incredulità degli altri due, si ritirerà in salotto con la birra in mano e la coda tra le
gambe, chiudendosi in se stesso e senza neanche la
110
incontri fuori dal normale
forza di lamentarsi in silenzio quando, poco dopo, il
suo host rientrerà in casa con tre amici incontrati
per caso poco prima, che l’hanno pregato di invitarli
a cena quando hanno saputo che aveva un ospite
italiano. «Non è un problema, vero?»
Dopo una notte sullo scomodo divano-letto, il
Precisino ringrazierà freddamente il suo host e dirà
che gli hanno anticipato l’aereo di qualche ora, scusa improbabile per poter uscire il più presto possibile da quella “gabbia di matti”.
Surfer che non surfano: l’Inconsapevole
L’Inconsapevole fa parte di una categoria a sé di couchsurfer e si può
definire come degno erede di quei viaggiatori che negli anni ’60 e ’70
viaggiavano per l’Europa e per il mondo in autostop, zaino in spalla e via.
Tuttavia, l’Inconsapevole è conscio di vivere nel terzo millennio, e deve
per forza di cose scendere a patti coi tempi che cambiano.
Per esempio, ha un cellulare di ultima generazione, ma potrebbe “dimenticarsi” il caricabatterie a casa (ammesso che abbia una fissa dimora)
per “obbligarsi” a non utilizzarlo; come i suoi “predecessori”, viaggia per
conoscere nuovi posti, ma passa almeno un paio d’ore al giorno in un
internet point per leggere le e-mail, far morire di invidia i suoi amici condividendo status sul suo vagabondare e cercare qualcosa da fare nella
città in cui è appena arrivato; infine, conosce gente del posto prima di
arrivare nel posto stesso, grazie a Facebook, Twitter, Google+, Instagram,
Spotify, svariati social network tematici e chi più ne ha più ne metta...
Ma Couchsurfing proprio no. Va bene tutto, ma la ricerca di un alloggio
va assolutamente contro la sua filosofia di viaggio: per fare il viaggiatore-vagabondo è esclusa la pianificazione dei posti letto.
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
111
Così, l’Inconsapevole ha tre alternative per trovare un luogo per la notte:
cercare la zona più riparata del parco più accogliente della città, sperando che non piova, che non lo arrestino o che non lo facciano fuori; pagare
un infimo ostello spesso più sporco di lui; oppure conoscere per caso
qualcuno che abbia pietà di lui e lo ospiti per una notte.
Dopo essere approdato in città, l’individuo in questione, come detto,
spende parte del suo budget giornaliero per passare un’ora o due in un
internet point, in cui, al di là delle “questioni personali” che lo legano
al resto del mondo, cerca eventi in cui scroccare da mangiare e centri
sociali dove incontrare un po’ di gente.
Dopo aver girovagato a caso per la città con una quintalata di zaino sulle
spalle, magari sotto il sole cocente, l’Inconsapevole al calar del sole si
reca al centro sociale di turno, dove si mette in un angolo (ma ben visibile) a farsi i fatti suoi, tirando fuori un libro tenuto insieme con lo scotch
o un taccuino su cui prende appunti sulla giornata appena trascorsa,
aspettando che qualcuno gli rivolga la parola: dopotutto, è lui il “forestiero” che dovrebbe essere al centro dell’attenzione e della curiosità degli
altri... Che siano loro a fare la prima mossa!
In un modo o nell’altro, alla fine il contatto avviene: solito scambio di
nomi, provenienze, informazioni sulla vita, sugli studi, sui viaggi... A fine
serata, dopo il concerto punk di turno, svariate birre e qualche canna,
c’è sempre tempo per un’ultima pinta. E, sarà per l’ora tarda, sarà per la
stanchezza di chi non dorme su un materasso da tre giorni, sarà per l’alcol che inizia a sciogliere la lingua, l’Inconsapevole comincia a spostare il
discorso, con qualsiasi pretesto, sulla politica e sul suo viaggio, gli unici
due argomenti di cui potrebbe parlare per tutta la notte.
Un osservatore attento, però, si accorgerebbe che quelli sono solo punti
di partenza: partendo dalla politica si arriva presto al numero di manifestazioni a cui ha preso parte e alla quantità di manganellate prese (nel
caso di un italiano, tante); partendo dal suo viaggio, invece, presto il focus si sposterà non tanto sulle tappe, quanto sulle difficoltà materiali di
trovare qualcuno che ti dia un passaggio, sul rischio di essere derubato in
112
incontri fuori dal normale
autogrill nel passaggio da un camion all’altro, sulla sveglia alle 6 al parco
per colpa di un giardiniere troppo zelante che doveva tagliare proprio
quel prato proprio a quell’ora, fino al poliziotto bastardo che l’aveva cacciato malamente dal corridoio della metropolitana in cui si era rifugiato
per fare ancora un po’ di nanna. Il tutto accompagnato da stiracchiamenti dolenti e mani passate più volte sulla schiena provata da tante notti
all’addiaccio e dal peso dello zaino.
Così, prima o poi, arrivato il momento dei saluti, qualcuno – di solito una
ragazza (spinta in parte dal fascino del selvaggio, in parte da uno spirito
materno innato) – ci casca: «Ma davvero adesso vai al parco a dormire?
Ma sei matto? No dai, vieni da me, puoi dormire sul divano». E, senza
volerlo, il vagabondo si trasforma in couchsurfer.
Solo una volta arrivati a casa la povera martire inizia a capire in che guaio si è cacciata. L’Inconsapevole prende possesso del divano stendendoci
sopra un lurido sacco a pelo, mentre lei gli mostra dove sono il bagno e
la cucina: «Nel caso ti venga fame, non fare complimenti». È a quel punto
che l’Inconsapevole si ricorda che, in effetti, non ha cenato, e nel breve
lasso di tempo in cui la padrona di casa si assenta per andare in bagno e
mettersi in pigiama, le svuota la credenza.
Quando lei torna sbarra gli occhi per un istante, ma poi, accomodante,
commenta con un mezzo sorriso il saccheggio («Be’, mi sa che un po’ di
fame ce l’avevi») e alla sua richiesta di un’ultima birra prima di andare a
nanna acconsente con un sorriso quasi di esasperazione: «Veloce però,
ché domani mattina devo andare al lavoro, io».
Mentre sorseggiano la birra in salotto, la padrona di casa inizia ad avere
qualche ripensamento sull’aver dato ospitalità a una persona conosciuta
solo un paio d’ore prima, soprattutto quando costui comincia a mettere
in atto quelle che sembrano quasi delle goffe tattiche di abbordaggio.
«Però, fa caldo in questa casa» pare proprio una frase detta apposta
per togliersi i vestiti, e in effetti l’Inconsapevole inizia a spogliarsi, ma
la poverina si rassicura notando che, per fortuna, il caldo è reale, dovuto
al fatto che indossa due paia di pantaloni, un paio di felpe e due o tre
ma chi ho fatto entrare in casa?!?
113
magliette. A ogni strato levato, però, l’odore del suo ospite sale dalla profondità dei suoi abissi corporei per diffondersi nella stanza.
Stordita dagli effluvi, quell’anima pia coglie l’occasione per augurargli la
buonanotte e ricordargli che il bagno, nel caso, è in fondo al corridoio,
buttando senza volerlo anche l’amo («Quella è camera mia, se hai bisogno di qualcosa bussa senza farti problemi») per un ultimo tentativo di
approccio («Ma proprio qualsiasi cosa?»). Ma l’Inconsapevole è troppo
stanco per altro che non sia dormire e, non appena si sistema in posizione orizzontale sul divano, cade in un coma profondo da cui, qualche ora
dopo, la padrona di casa cercherà di ridestarlo.
E a quel punto l’Inconsapevole, nell’ordine, riaprirà a fatica gli occhi, farfuglierà qualcosa di incomprensibile, si trascinerà a fatica fino al bagno
sotto gli occhi esterrefatti dei coinquilini della disgraziata che gli ha permesso di infestare il salotto, riemergerà dopo una manciata di minuti,
chiederà se per caso qualcuno ha un caricabatterie che gli avanza, riappallottolerà il sacco a pelo, cercherà invano di proseguire nel saccheggio della credenza svuotata la sera prima, supplicherà di lasciargli usare
cinque minuti il computer per controllare la posta elettronica, ringrazierà
ripetutamente la padrona di casa e se ne andrà, dimenticandosi di farsi
una doccia e lasciando un’impronta indelebile, in tutti i sensi, nel divano
e nel ricordo della povera buona samaritana di turno.
Parte terza
La parola
ai couchsurfer
11
Esperienze con
il Couchsurfing
Dopo aver spiegato per bene cos’è il Couchsurfing,
come funziona e come parteciparvi attivamente, e
dopo aver sorriso immaginando i tipi di incontri che
si possono fare grazie a questo modo di viaggiare (e
ospitare, ovviamente), è giunto il momento di toccare con mano la realtà.
Nelle prossime pagine troverete diverse testimonianze di surfer provenienti da tutto il mondo;
più che puri e semplici racconti di viaggio, sono
esperienze di vita che evidenziano, ognuna, un
aspetto diverso di ciò che è possibile vivere con il
Couch­surfing: non solo viaggi incredibili, quindi,
ma anche incontri che possono cambiare la vita,
momenti che influenzano in modo indelebile la propria visione del mondo e situazioni che diventano
speciali proprio nella loro estrema e per questo preziosa semplicità.
leggere hafez a shiraz
Leggere Hafez a Shiraz
di Elena Refraschini
 couchsurfing.org/people/elenaritaly
Sono le 5.40 e, dopo qualche ora di buio che ha ricoperto le dune dell’Altopiano Iranico, il sole sta per
alzarsi di nuovo sull’austera stazione dei treni di
Shiraz. Alle nostre spalle solo un paio d’ore di sonno: il nostro compagno di scompartimento, Parviz,
così timido e gentile da sveglio, si è trasformato in
un trattore Lamborghini durante la notte.
Come sempre succede a bordo di queste “case
viaggianti” (così le chiama la scrittrice Luciana Castellina, che di viaggi in treno se ne intende), conoscere Parviz è stato uno dei tanti doni offerti da
questo tipo di avventure itineranti, ancora più prezioso perché in Iran: quasi non ci eravamo nemmeno ancora presentati, ma già avevamo collezionato
un invito a Delhi, dove Parviz insegna letteratura
persiana all’università, e a Baton Rouge, in Louisiana, dove vive la sorella (è strano quanto la croce di
qualcuno possa essere la salvezza di qualcun altro:
pensavo al mio host a Memphis, conosciuto l’anno
precedente, che era fuggito dalla natia Baton Rouge
appena raggiunta la maggiore età).
Per questo, forse, amo viaggiare in treno: è quasi
un’esperienza mistica, sempre sospesa tra lo spazio
119
ristretto e forzatamente intimo delle cuccette e quello esterno, infinito e costantemente mutevole.
Ancora stanchi e assonnati, io e il mio compagno
(marito, per le autorità iraniane, e con uno o due figli
in cantiere, per Parviz) ci dirigiamo verso il gruppo di
tassisti e, con l’aiuto del nostro fedele amico di scompartimento, strappiamo un buon prezzo per una corsa verso la nostra destinazione finale: casa di Arash
(come il leggendario arciere persiano), che ha risposto
con entusiasmo alla nostra richiesta di ospitalità e
che ci sta aspettando, sveglio, in un giorno lavorativo,
sull’uscio di casa nel quartiere periferico di Kolbeh.
Arash è un trentottenne dall’aria colta e serena,
che ha arredato in modo semplice ma attento la
casa che sarà la “nostra” casa per i prossimi giorni:
è evidente la sua passione per i viaggi, dato che in
ogni angolo troviamo souvenir da diverse parti del
mondo, dalla Malesia all’Australia. Ma è in Italia che
Arash ha lasciato il cuore, e infatti troneggia fiera
sulla parete in soggiorno una versione puzzle della Gioconda, pezzo d’arredamento quantomeno discutibile ovunque ma non qui, perché qui è solo un
omaggio che fa tenerezza.
«La vostra camera è di qui», ci dice mentre ci conduce al suo studio e agli invitantissimi materassi
stesi a terra. «Se volete usare il computer, è già acceso. Tornerò a casa insieme a Tahareh verso le 15.»
Arash va al lavoro e noi piombiamo in un meritato
riposo, con le chiavi di casa in borsa.
120
la parola ai couchsurfer
Al risveglio, in cucina troviamo la tavola imbandita e un semplice bigliettino, “Enjoy your breakfast!”.
And we did: barbari, il delizioso pane iraniano servito con formaggio di pecora, insalata di cetrioli e
pomodorini, yogurt con confettura di ciliegie fatta
in casa e l’immancabile tè da bere attraverso una
zolletta di zucchero posta tra i denti. Mentre laviamo
i piatti, tornano i nostri ospitanti: Tahareh – una
donna silenziosa e dai modi gentili che non si toglierà mai il velo dalla testa, neanche in casa – aveva
fatto la spesa per il pranzo: kebab con mirza ghasemi, ovvero crema di melanzane (e io che pensavo
che in Iran, durante il Ramadan, avrei almeno perso
qualche chilo di troppo...).
Durante il pranzo conosciamo meglio la metà femminile della casa, che non mangia con noi perché,
appunto, è Ramadan: Tahareh (“pura”, ci dice) non
condivide la stessa passione di Arash per i viaggi,
ma ama la cultura, e infatti segue da diversi mesi un
corso di inglese in città (si emoziona un po’, quando
le dico che in Italia sono un’insegnante di inglese),
mentre da anni si dedica allo studio della poesia di
Hafez insieme a un gruppo di amiche. Uno dei motivi
per cui abbiamo deciso di fermarci a Shiraz è, in effetti, la sua storia: oltre a essere stata capitale durante la dinastia Zand, Shiraz ha dato i natali a due dei
maggiori e più amati poeti persiani, Sa’adi e Hafez.
Non basterebbe un libro intero per spiegare cos’è
la loro poesia per gli iraniani, ma posso almeno ri-
leggere hafez a shiraz
121
cordare rapidamente che, durante Shab-e Yalda (il
solstizio d’inverno) oppure il Noruz (il capodanno
persiano), dopo cena ogni famiglia prende la propria
copia del Canzoniere di Hafez e ne legge un componimento, che si crede essere una previsione per
l’anno che verrà. Chiunque in Iran sa recitare a memoria almeno qualche verso di un ghazal di Hafez,
e sarà contento di farlo per voi. È per questo che
cogliamo la palla al balzo, e chiediamo a Tahareh se
ha voglia di accompagnarci a visitare i mausolei dei
due poeti, che attirano a Shiraz migliaia di visitatori
ogni anno.
Arrivati al mausoleo di Hafez, abbiamo occasione
di fare un po’ di people watching mentre attendiamo che si accorci la coda all’ingresso: le donne, qui,
sanno essere eleganti anche quando devono vestirsi
in modo modesto e con colori scuri. Ormai siamo
in Iran da qualche settimana e distinguiamo subito
le donne delle classi alte: indossano indumenti di
tessuti pregiati, per quanto coprenti, e precisi nel
taglio; il velo dona grazia al viso, che guarda dritto
e sicuro davanti a sé, ben truccato e senza problemi di pelle (l’acne sembra essere un problema molto diffuso qui, specialmente tra le adolescenti). La
visita al mausoleo sembra una tappa obbligata per
tutti, ricchi o meno.
Entrati nel mausoleo, ci attende uno spettacolo
quasi surreale: un incantevole giardino (sapete che
la parola “paradiso” deriva dall’antico persiano “pai-
122
la parola ai couchsurfer
ri daeza”, “giardino chiuso da mura”?) al centro del
quale sorge il padiglione che protegge il luogo del
riposo del celebre poeta. Mentre gli altoparlanti diffondono versi dal suo Canzoniere, vediamo uomini
e donne che sussurrano i componimenti in modo
raccolto, altri che baciano la parete marmorea della
tomba, altri ancora che vi appoggiano la fronte.
«Questo è un vero e proprio luogo di pellegrinaggio», mi spiega Tahareh, «anche se purtroppo non
piace al governo, perché apre le menti. Vedi?», mi
chiede indicando uno spazio vuoto accanto a noi.
«Qui dovevano piantare nuovi alberi, ma hanno lasciato il vuoto.»
Da qui ci spostiamo al mausoleo dedicato a Sa’adi, che ci colpisce per la sua severità: è ormai calato il sole, e si raggiunge l’entrata solo dopo aver
percorso diverse scalinate. L’altissimo colonnato
incute allo stesso tempo timore e rispetto, ma non
sembrano farci caso le centinaia di gattini che vivono nel suo giardino, forse cullati anche loro dai
dolci suoni della poesia. È ormai buio, e Tahareh
può mangiare in pubblico: decidiamo così di sederci sul prato gustando una prelibatezza di Shiraz, il
“gelato” faludeh.
Arrivati a sera, ci occupiamo della spesa per la
cena: halim bademjan (crema di fagioli, manzo e melanzane) e ash-e-sabzi (minestra di Shiraz con riso,
carne d’agnello e varie verdure) – si capisce che mi
piacciono le zuppe mediorientali? –, senza dimen-
leggere hafez a shiraz
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ticare gli zulbia bamieh, tipiche ciambelle iraniane
che sono il dolce preferito di Arash. Compriamo il
tutto da barilotti bianchi in mezzo alla strada, e nonostante il contesto il loro profumo è davvero invitante. Durante il tragitto verso casa, a proteggerci
c’è il medaglione del profeta Ali, che sussulta sofferente a ogni buca dallo specchietto retrovisore del
nostro taxi.
Una volta a casa, Tahareh emerge dalla camera
dopo un sonnellino con il prezioso volume in mano:
il Canzoniere di Hafez. Aprendo il libro a caso, decide di leggerci una poesia, i cui suoni ci rapiscono
trasportandoci in un mondo fatto di vino, amici e
melodia. Tahareh spiega a noi e al marito che questa poesia parla dell’importanza del vivere appieno
ogni giorno, di amare il presente senza preoccuparsi
del passato o del futuro, di amare le persone con
cui si è in quel momento. La ragazza ha ormai gli
occhi lucidi: «Ogni volta che sono triste o felice vado
alla tomba di Hafez e leggo una sua poesia, mi aiuta
sempre».
Siamo tutti commossi, e mentre ci scambiamo
sguardi un po’ imbarazzati comprendo ancora una
volta il senso di viaggiare con il Couchsurfing: si
condividono momenti indimenticabili nel più anonimo dei quartieri, con le persone più riservate, sotto
lo sguardo vigile e sereno della Monna Lisa.
couchsurfing in asia centrale
Couchsurfing in Asia centrale:
la sottile linea dell’ospitalità
di Marco Ferrarese
 couchsurfing.org/people/monkeyrock/
Non avrei mai immaginato che un’esperienza di Couchsurfing mi avrebbe permesso di vedere la mia ragazza alle prese con le mammelle di una vacca tagica.
«Devi tirare con forza, e sfregare la punta prima
di rilasciare», suggerisce sotto un sole di mezza mattinata il nostro host, un cappellino calato sulla testa
e una spiga di grano tra le labbra.
La linea screpolata delle montagne all’orizzonte
separa il Sughd settentrionale dalla Fergana Valley,
in Uzbekistan. Siamo finiti in uno strano angolo di
mondo, questo è sicuro.
La moglie del nostro nuovo amico aiuta la povera Kit
a portare a termine l’impresa. Per lei, il gesto è naturale: con dei rapidi colpetti, la mammella spruzza
delle gocce di latte che in controluce sembra trasparente, e riempie pian piano un secchio di latta messo in bilico tra le zolle. Ma quando è il turno di Kit,
sembra che alla mucca abbiano chiuso il rubinetto.
Niente di niente.
«Sembra di toccare il dito dei guanti di gomma!»,
ribatte Kit scostandosi una ciocca di capelli dal viso.
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La moglie del nostro ospite, sorridendo con estrema
pietà, le toglie le mammelle dalle mani e si rimette
a pigiare quei ditoni che, a quanto pare, possiamo
descrivere come “gommosi”.
«Perchè non ci provi tu?» mi chiedono tutti con
un solo sguardo. Non faccio in tempo a muovere due
passi in direzione della mucca che questa, come se
io fossi un maniaco zoofilo, sfila il seno dalle mani
esperte della moglie del nostro host e scappa lontano dieci metri. Crediamo entrambi che non sia il
caso di approfondire la conoscenza.
Siamo giunti a questa situazione perché abbiamo deciso di accettare l’invito di Sam (il suo nome
inglese) e salire fuori rotta 80 chilometri a nord di
Khujand solo per vedere come si vive in questa sperduta parte del Tagikistan. In verità saremmo diretti
a Dushanbe, la capitale, che sta a circa 400 chilometri verso sud. D’altra parte, non capita tutti i
giorni di scovare un membro di Couchsurfing in
una zona così particolare, e la curiosità è lecita.
Quando arriviamo nel suo paese sperduto di cui
non ricordo onestamente il nome, lui ci sta aspettando sul bordo della strada con la sua auto. Il bagagliaio è pieno di giare di plastica, vuote.
«Generalmente i couchsurfer mi contattano, ma
poi non vengono quando scoprono che abito così
fuori dal centro di Khujand», dice dopo aver stretto
la mano a me ed essersi portato la sua sul cuore
davanti a Kit, da buon musulmano. «E prima di tor-
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la parola ai couchsurfer
nare a casa, dobbiamo fare scorta d’acqua, se non
vi dispiace», ci informa, mettendo in moto. Il suo
inglese è decisamente buono, e sarà finalmente un
piacere poter parlare e capirsi con un cittadino del
Tagikistan. Infatti, da quando abbiamo attraversato la frontiera in tarda mattinata è stato impossibile districarsi tra più di reciproci “helo”, “auaiou” e
“uatsiorneim”. Speak Russian or Die: da queste parti
pare che il disco degli Stormtrooper of Death non sia
mai arrivato, purtroppo.
Sam vive in una bella casa che, in classico stile
centro­asiatico, non lascia intravedere la sua opulenza dal di fuori. Gli alti cancelli rivelano l’interno
solo una volta che le porte hanno ruotato pesantemente su se stesse: quel che in questa parte del
mondo non manca è proprio lo spazio.
Di solito, le ultime due generazioni di ogni famiglia vivono sotto lo stesso tetto, in case separate e
unite da un giardino comune dove tralicci di legno
supportano vigneti casalinghi. A volte si trova anche
una stanza dedicata alle bestie da soma. Il bagno,
ovviamente in comune, è una fessura nel cemento
che si apre su un’ordinata voragine, tipo fossa ecologica; ma, a differenza di altre zone del Sud dell’Asia, non puzza particolarmente.
In Asia Centrale l’acqua è un bene molto prezioso
e le case sono sprovviste di tubature idrauliche: si
fa tutto coi secchi. Anche la doccia che ci offrono
couchsurfing in asia centrale
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diventa una situazione semi-illusoria: in un bagno
che ricorda una di quelle stanze antiche con tappeti
rossi, con una vasca dai piedi allungati e arcuati
(una vera leonessa di marmo), c’è di tutto. Ma manca proprio l’essenziale liquido con cui lavarsi. Una
bella asse di legno messa di traverso sul bordo della
vasca tradisce la sontuosità dell’ambiente offrendo
supporto a due secchi colmi di acqua fredda e un
mestolo pronti all’uso.
La madre di Sam, che non parla una parola di inglese e ha una fila di denti d’oro che ci abbagliano sotto
le forti luci della saletta da pranzo ogni volta che
sorride, ha posizionato un’infinita serie di coppette a ricoprire il tavolino attorno al quale siamo accucciati. Pistacchi, noci, uvetta, canditi, caramelle,
chicchi d’uva grossa, chicchi d’uva piccola, chicchi
d’uva trasparente, e la perenne anguria succulenta;
sta tutto lì ad accoglierci e tirarci giù nel maelstrom
della cerimonia del tè.
La caraffa, bianca, grassa e tatuata con quelle linee azzurre e arabescate che ti entrano nell’anima
da Andijan sino a Mashhad, è un altro simbolo preciso che ci ricorda bene dove ci troviamo. E il pane:
rotondo e duro, del tipo che finché non si finisce, si
va avanti a farlo raffermare sino a che è impossibile
masticarlo. Bisogna succhiarlo sino a scioglierlo, a
quel punto. Ma se non ci sono il pane duro e il tè,
che Via della Seta è?
128
la parola ai couchsurfer
La madre finisce di apparecchiare, sorride eccitata e finalmente si lascia andare all’indietro sedendosi sulle grosse cosce, rimanendo avviluppata dal
classico vestito a fiori che fa donna in questi paesi
arabescati. Lei continua a osservarci sorridendo: un
incisivo le scintilla sinistramente di luce col suo riflesso dorato, invitandoci a consumare. Immagino
che, finché non avremo iniziato a bere e a infilarci uva in bocca, questa donna non sarà felice. E,
di conseguenza, non porterà mai il resto della vera
cena. Siamo dunque costretti a consumare.
Nel frattempo, Sam ha sistemato le cose di casa e
ci presenta sua moglie: è giovane, ha un foulard giallo
scuro avvolto attorno alla testa nella maniera piratesca che solo le donne musulmane degli “’stan” sanno
fare, e da come si comporta mi sembra una cuoca, più
che la donna di casa. Arriva con un piattino carico di
biscotti croccanti, altra anguria che taglia in maniera
precisa con un coltellaccio mentre ritira le croste di
quella che abbiamo già mangiato, e ci riempie le coppe sino all’orlo con tè fresco. Quando si china verso
di me per versarlo, senza guardarmi negli occhi, noto
che non solo ha ciuffi di peluria nera che le spuntano sotto le ascelle, ma anche un baffo piuttosto pronunciato. Spero sia solo un effetto della luce diretta,
e cerco di non stupirmi troppo. Quando ha finito di
riempire i nostri piatti e bicchieri, si lascia andare sulle ginocchia e prende posto al fianco della madre, ed
entrambe iniziano a guardarci compiaciute.
couchsurfing in asia centrale
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È il momento di continuare a mangiare per non
rovinare il legame che si sta creando. E anche se
a questo punto inizio a essere un po’ pieno, so che
me la sono andata a cercare. Hai voluto il Couch­
surfing? Bene, e adesso pedali.
Sprofondo col sedere nella morbidezza dei cuscini
imbottiti di seta e cotone su cui ci si siede, si mangia e si dorme, incrocio le gambe e inizio a ripulire
deciso i piattini dalle pietanze. Con la bocca piena e
sentendomi un degno ospite, le guardo di sottecchi.
Non sorridono più e paiono progressivamente perdere interesse. Dopo poco, si alzano spingendo con
una mano il vestito-pigiama tra le gambe e si girano
verso l’uscita senza guardarci di nuovo.
Forse, questo round lo abbiamo finalmente vinto
noi.
Dopo una serata passata a saltare da una casa
all’altra tutto attorno al vicinato per mostrare a noi
uno stralcio di vita di campagna tagica, e a loro due
esemplari del mondo esterno, arriva finalmente l’ora
di dormire.
«Voi siete sposati, vero?»
«No», gli rispondo senza pensarci. E commetto un
errore, ma sono stanco e ho abbassato la guardia.
In genere, per tutti durante questo viaggio, e specialmente da quando siamo entrati in Kirghizistan,
siamo marito e moglie. In realtà, è come se lo fossimo, pur senza avere le “carte” a posto.
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la parola ai couchsurfer
Ma Sam pare non prendere per il verso giusto la
mia onesta risposta. Inarcando un sopracciglio, rimane un po’ in silenzio, a bocca semi-aperta e cercando di pescare le parole. Alla fine emette il verdetto.
«Ok, no problem. Faremo così: per lei, un letto
con mia madre e le mie sorelle, e per te, uno al lato
di mio padre!», sorride compiaciuto, come se avesse
emesso un editto capace di aprire le acque del Danubio come se fosse il Cristo delle capre tagiche. Io
non riesco a credere a quello che sento.
«Sam, scusa, non capisco. Dovremmo dividerci?
Ma è la mia compagna!»
«Sì, ma non siete sposati.»
«E dunque?»
«Dunque, si dorme separati, qui si fa così. È la
regola.»
«Senti», cerco di ribellarmi, «apprezzo davvero il
tuo pensiero, ma preferirei dormire vicino a lei stasera, sai com’è...»
«No, no, impossibile. Noi siamo musulmani!»
«Be’», mi gioco il tutto per tutto, «noi, invece, proprio no!»
Sam sembra indeciso se voler capire o meno.
Alla fine, senza proferire parola, sparisce. Quando
sua moglie ritorna al suo posto brandendo coperte
e cuscini, so già che il nostro destino è stato deciso diversamente. Veniamo sistemati in due camere
separate: quando è il momento di dividersi e io entro nella mia, il padre è in canottiera e pantaloncini
couchsurfing in asia centrale
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e sta guardando una versione russa di quel che mi
sembra Chi vuol essere milionario. Un omone russo
con gli occhi piccoli piccoli e un sorriso da killer seriale osserva uno schermo con delle parole, mentre
un altro gesticola in una lingua a me incomprensibile.
Mi distendo sotto il televisore e cerco di non disturbare, né di dare troppo peso alla televisione che
continua col suo tritacarne linguistico incessante
per quasi un’ora. E, quando finisce, iniziano le motoseghe: in uno spiacevole gioco di parole che non
dovrebbe fare ridere, il padre “russa” come Leatherface alle prese con le ossa delle sue vittime. Il mio
sonno è interrotto continuamente dal ronzio della
sega circolare che continuerà a tagliare l’aria anche
al mattino, ben oltre il mio risveglio. Trovo Kit già
pronta nella saletta adiacente; il suo sguardo mi fa
capire che anche lei ha passato una situazione simile, per di più polarizzata dall’aria condizionata micidiale che hanno lasciato accesa tutta la notte.
Quella seconda e ultima sera, decidiamo di fare
i maleducati e ci sistemiamo a dormire sul tavolo
da tè che sta sotto il portico, godendo di un po’ di
sana intimità all’aperto e addormentandoci sotto i
grassi grappoli d’uva che puntellano il cortile un po’
dappertutto. Sposati o meno, meglio trasgredire le
regole che farsi ammazzare di nuovo dai cannoni di
Navarone del babbo.
132
la parola ai couchsurfer
La vera stranezza del Couchsurfing in Asia Centrale
non è comunque legata alle famiglie integraliste o
alle differenze culturali. In tutta onestà e secondo
la mia esperienza, posso dire che in questa regione non c’è davvero “bisogno” di surfare. Il concetto
dell’ospitalità, dell’aiutare lo straniero o chiunque
tenti di dimostrare che ha bisogno di un piccolo aiuto, è seriamente una cosa normale per questi popoli.
Davvero, basta chiedere.
Per esempio, il giorno prima di incontrare Sam,
eravamo a Khokand, nella parte uzbeka della Fergana Valley. Il posto per dormire ci si è letteralmente materializzato davanti. Dopo aver attraversato
mezza città cercando una sistemazione e dopo aver
trovato un ragazzo disponibile che ci ha accompagnati in un hotel da 20 dollari a notte (decisamente troppo per il mio budget), finiamo in un’agenzia
viaggi, perché ci hanno suggerito di cercare lì qualcuno che parli inglese. Entriamo e quasi all’istante
due ragazze si avvicinano e ci chiedono di cosa abbiamo bisogno.
«Un posto per dormire, o dove piazzare la tenda»,
rispondo loro con candore. Una delle due sembra
titubante all’inizio, ma poi mi propone di andare in
un appartamento di sua proprietà che al momento è
vuoto. «Non te l’ho proposto subito», si scusa, «perché non credevo che potesse essere una sistemazione adatta a voi due... Ma se mi dici che vuoi piantare
la tenda, allora...»
couchsurfing in asia centrale
133
È proprio adesso che scopro che Veruska non lavora nell’agenzia di viaggi, proprio no: è venuta qui
per chiedere quanto costa un volo per Pechino. Alla
fine ci accompagna in taxi all’appartamento, ci fa
vedere come attivare l’acqua calda e dove prendere
lenzuola pulite, e ci lascia le chiavi in mano.
«Va bene se torno domattina alle 9? Così vi accompagno a prendere la mashrutka10 per il confine...» ci
dice prima di salutarci, perché deve assolutamente
ritornare a casa ad aiutare sua madre a fare la spesa. Ed è così che ci ritroviamo in un appartamento
tutto per noi, in un condominio ex-sovietico senza
vernice sui muri esterni, con un boiler dell’acqua
calda che sembra una testata nucleare direttamente
appoggiata contro il muro del bagno.
A due minuti a piedi, l’unica chaikana11 nel raggio
di qualche chilometro ci offrirà la possibilità di incontrare Joe, un rappresentante del folto numero di
coreani immigrati in Uzbekistan durante la seconda
metà del secolo scorso. Siede a un tavolo con altrettanti connazionali, tracannando vodka e mangiando
carne. Appena si accorge di noi, e nota con piacere
10 Il minivan nelle repubbliche baltiche ed ex-sovietiche. Generalmente è un furgoncino con i sedili convertiti, di modo che la gente
possa anche viaggiare in piedi, e funziona come un taxi meno costoso, o un bus molto più “intimo”.
11 Letteralmente “casa del tè”. Sono ristoranti all’aperto dove si
mangiano i tradizionali kebab di pecora, si bevono tè e alcolici, e la
gente si ritrova per chiacchierare, data la scarsa presenza di altri
posti che abbiano la funzione del nostro “bar”.
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la parola ai couchsurfer
che c’è un’altra persona dalle sembianze orientali,
si alza direttamente e si accosta al nostro tavolo. Si
presenta in un inglese monosillabico: «I am Joe, pleasedtomitiu». La mossa successiva è sedersi e offrire
da bere e un giro di kebab. A Joe piace bere, e sono
costretto a onorarlo: questa vodka uzbeka brucia
nello stomaco mentre il crepuscolo si trasforma in
notte, e il fumo che si solleva dal girarrosto dei kebab
spruzza fantasmi alle spezie nell’aria circostante.
La cameriera, una matrona bionda che sembra
la versione russa di Lady Frankenstein, si accosta
a Joe: l’unica parola che riusciamo a scambiare con
senso è “pomidori,” perché in russo si dice come in
italiano. Ha zigomi affilati come chiodi, su cui il velo
sta appeso sul suo viso, che è stato sicuramente più
attraente e giovane qualche decennio fa. I denti sono
un po’ dorati e un po’ anneriti dal fumo e dal vizio,
e una parte del generoso seno spunta raggrinzita
e molliccia dal secondo bottone slacciato. Forse un
boccone buono per Joe, ma io preferisco concentrarmi sulla pecora, masticandone la nodosità con
pazienza e minuzia, sapendo che ci sarà poi da combattere una bella battaglia col filo interdentale. Prima di lasciarci, Joe è diventato il nostro nuovo host:
ci invita alla celebrazione di una festa coreana per
il giorno seguente. A quanto capisco, il piatto forte
sarà la carne di cane.
«Very gud», mi dice, sorridendo e vuotando il bicchierino di vodka. «Dog is the best!»
couchsurfing in asia centrale
135
Dopo tanta insistenza da parte mia per fargli capire che non sono interessato a mangiare un cane, e da
parte sua per convincermi della prelibatezza di tale
leccornia, Joe conclude mimando il gesto che si fa
per tagliare la testa del cane, e metterlo sullo stecco.
«Very gud! Dog, the best. Marco, Kit, friend. Dog eat.»
Non c’è altro che possiamo fare se non accettare e
darci appuntamento nello stesso posto per il giorno
seguente, alle 10 del mattino. Sfortunatamente, o
per fortuna, nessuno ci ha informati che tra Kirghizistan e Uzbekistan c’è un’ora di fuso orario, e sono
tre giorni che ne siamo ignari. Tutto mi ritorna chiaro appena entriamo in Tagikistan il giorno seguente.
«Azz! Vuoi vedere che Joe è lì ad aspettarci adesso, col suo abbacchio di cane?»
Mi dispiace sul serio immaginarmi Joe seduto allo
stesso tavolino, stavolta in pieno giorno, che guarda
l’orologio e pensa a quanto siamo stati maleducati. I
suoi amici, nel frattempo, stanno staccando la pelle
al cane in un calderone di acqua ustionante.
«Ma quanto sono stronzi questi stranieri», dirà Joe
alzandosi, uccidendo un mozzicone sotto la punta
della scarpa destra. “Meno male”, penserà, “che tra
poco si mangia un po’ di cane, così mi dimentico di
come questi abbiano tradito la mia ospitalità”.
Il Couchsurfing è sicuramente un metodo incredibile per incontrare persone e fare esperienze speciali, andando culturalmente a fondo. Ma credo an-
136
la parola ai couchsurfer
che che molte volte, dopo che si assaggia sul serio il
vero valore dell’ospitalità di un popolo, nella nostra
mente occidentale il concetto di Couchsurfing possa essere soltanto un ritorno a un modo di essere
che, probabilmente, dalle nostre parti si è perso tra i
meandri delle paure da telegiornale, internet e quotidiano. L’Asia Centrale, nella mia esperienza, mi ha
dimostrato che forse il Couchsurfing, più che un’invenzione, sia invece il ritorno alla normalità di un
valore umano fondamentale. Certamente, mangiare
il cane potrà essere un’attività esotica e crudele, ma
aprire la porta della propria casa – e del proprio cuore – a un estraneo dovrebbe invece essere una pratica normale del dominio dell’ospitalità per tutti noi.
Non credete che forse il mondo come lo concepiamo
possa essere, come dire, sbagliato?
C’è chi dice che mangiare il cane lo sia. Per Joe,
invece, la prelibatezza cinofila va offerta e divisa con
due nuovi amici incontrati per caso a bordo di un
marciapiede imbastito a locanda. E questo, perdonatemi, mi fa molto pensare che il Couchsurfing sia
per noi occidentali il reinventarsi un modo di essere
genuini che abbiamo perduto tra le pieghe del nostro dannato progresso. Quando penso alle persone che ho incontrato in Asia Centrale e rifletto sul
Couchsurfing, mi chiedo davvero se abbiamo perso
qualcosa, strada facendo.
Sunday Funday e spirito libero
di Jennifer Chrobak
 couchsurfing.org/people/jenchro
“C’è una candela nel tuo cuore,
pronta per essere accesa.
C’è un vuoto nella tua anima,
pronto per essere riempito.
Lo senti, o no?”
Rumi
Mi chiamo Jennifer Chrobak. Sin da quando ero
bambina, sognavo di essere James Bond o Sherlock
Holmes. Mi attraevano, e il loro fascino misterioso
aveva fatto vibrare le corde più profonde del mio essere. Attraverso le loro parole, anche io con loro vivevo giorni mai uguali uno all’altro, risolvevo casi e,
ovviamente, mi concedevo vodka martini ogni volta
che il mio cuore lo desiderava. Tuttavia, date le esigenze della vita reale, le mie fantasie furono messe
da parte e quasi dimenticate. Ottenni una Laurea
Magistrale in Lingua Spagnola e finii a lavorare in
un centro di fisioterapia, gestendo i pazienti e passando tutto il giorno al telefono con le compagnie
assicurative. Era terribile.
Mi iscrissi a Couchsurfing per due ragioni principali: primo, finalmente avevo un divano tutto mio,
e, secondo, volevo riempire di gioia le persone mo-
138
la parola ai couchsurfer
strando loro quella che secondo me è una delle città
più belle del mondo, Chicago. Incontrare e ospitare
stranieri da ogni parte del globo è stata una delle
migliori iniziative che potessi scegliere di fare. Mi ha
cambiato la vita in modo incredibilmente positivo,
proprio quando meno me l’aspettavo.
All’improvviso, anziché odiare il mio lavoro anche
mentre non stavo lavorando, mi trovavo a cucinare
pancake al cioccolato nel cuore della notte per un
ragazzo londinese, o a chiacchierare con una ragazza francese che non aveva mai festeggiato Halloween e l’ha fatto per la prima volta a una mia festa, o
a cantare musica jazz con un pianista tedesco, o a
portare una fantastica ragazza italiana al 96º piano
del palazzo John Hancock per ammirare la città illuminata a mezzanotte, forgiando così un’amicizia
intercontinentale indistruttibile.
Nonostante tutti i viaggiatori che ho ospitato abbiano migliorato la mia vita, in un modo o nell’altro,
ce n’è uno che ha avuto un impatto incredibile su
di me e sul mio modo di pensare, e credo non lo sospetti nemmeno.
Ivan è venuto a trovarmi nel freddo dicembre di
Chicago del 2011, e fu mio ospite per sei giorni. Era
venuto qui per vedere un concerto che durava tre
giorni e ne aveva approfittato per visitare un po’ la
città, che non conosceva. Nonostante in quei giorni
fossi piena di impegni, ebbi comunque l’occasione di
chiacchierare con lui e di conoscerlo.
sunday funday e spirito libero
139
Arrivò di mercoledì pomeriggio. Preparammo della sangria, incontrammo alcuni amici e uscimmo a
cena in tarda serata. Ricordo ancora adesso di essere quasi morta di freddo a quella fermata del treno, aspettando di poter tornare a casa nel bel mezzo
della notte. Nei successivi tre giorni quasi non ci incrociammo, perché lui era “impegnato” a divertirsi
e io ero al lavoro. La domenica, Ivan mi introdusse a quello che lui chiamava “Sunday funday”, una
giornata completamente dedicata allo sport in tv. Io
non sono una grande fan di football americano, ma
passammo la giornata a guardare diverse partite e
a bere.
Non erano le nostre attività a essere speciali:
piuttosto, lo erano i discorsi. Assorbivo ogni giorno
di più il suo spirito positivo verso la vita. È dotato di una volontà di ferro, ma allo stesso tempo è
uno spirito libero, crede nel karma, agisce d’istinto
e ha una risata solare, profonda. Ivan mi raccontò che qualche anno prima era molto sovrappeso,
e si trovava sempre con pochissimi soldi, che non
gli permettevano di viaggiare quanto avrebbe voluto.
Un giorno, prese una decisione: ribaltare completamente la sua vita. Adesso ha un fisico molto atletico,
fa yoga tutti i giorni, lavora come cameraman e, soprattutto, viaggia per vedere concerti in tutti gli Stati
Uniti. È felice.
Ivan mi ha spinta a chiedermi: «Jenny, cos’è che
vuoi veramente?». Dopo che lasciò Chicago, conti-
140
la parola ai couchsurfer
nuai a pensare e ripensare a questa domanda e nel
giorno di Capodanno promisi solennemente a me
stessa che avrei reso il 2012 l’anno migliore della
mia vita. Avrei messo la mia felicità al primo posto.
All’inizio di gennaio presi un giorno di ferie, mi
sedetti ai tavoli dell’Artpolis Café e inviai il mio curriculum con lettera di presentazione a tutte le agenzie investigative che riuscii a trovare, armata soltanto di una grandissima grinta e voglia di lavorare, ma
nessuna esperienza nel settore. Cercavo di vedere la
cosa in modo positivo, anche se le mie possibilità di
farcela erano molto vicine allo zero.
La settimana seguente, mentre ero ancora all’odiatissimo lavoro, ricevetti una telefonata dal proprietario di un’agenzia investigativa, che mi chiedeva di fare un colloquio. Dissi al mio capo che mi
sentivo poco bene, e andai direttamente all’agenzia.
Quando il mio attuale capo mi domandò perché volessi diventare un investigatore privato, risposi che
volevo diventare una spugna e assorbire tutte le informazioni possibili, così da poter diventare il miglior investigatore sulla piazza, perché questo era
ciò che mi avrebbe resa davvero felice. Fui assunta
direttamente quel giorno.
Nel momento stesso in cui ottenni quel posto, non
potevo credere di essere riuscita a toccare con mano
la fantasia che aveva abitato la mia mente per così
tanti anni. Sicuramente la fortuna aveva giocato la
sua parte, ma capii anche che il mio atteggiamento
sunday funday e spirito libero
141
positivo aveva avuto un ruolo di primo piano e che
dovevo utilizzarlo in tutti gli aspetti della mia vita.
Iniziai a fare yoga e ad andare in palestra, mangiare cibo sano e prendermi cura della mia spiritualità. Ho imparato che la gioia è un sentimento
che puoi davvero provare costantemente, se lo vuoi.
Adesso capisco che tutto si può ottenere, lavorando
sodo e mantenendo uno spirito positivo. Chi l’avrebbe mai detto che questa grande rivoluzione spirituale sarebbe arrivata grazie a una sola persona, uno
sconosciuto per di più...
Secondo me il Couchsurfing non è fatto soltanto
dei posti che visiti o del numero delle persone che
incontri; è fatto soprattutto delle esperienze che ti
cambiano, non importa se grandi o piccole, se avvenute in casa tua o alla latitudine più lontana. Sono
quelli i ricordi che conserverai, non l’altezza della
Sears Tower o la lunghezza del Navy Pier, o i manufatti del Field Museum. Quello che ho notato è che
i viaggiatori, compresa me, tendono a fare foto alle
cose, non alle persone che incontrano; ma sono proprio le persone che incontriamo che ci regaleranno i
ricordi migliori.
E così, visto che adesso non ospito più così spesso, non vedo l’ora di fare la mia prima esperienza
come surfer. Mi piace mostrare la vera Chicago ai
viaggiatori, ma spero di poter fare la differenza nella
vita di qualcuno così come Ivan l’ha fatta nella mia.
mi sarei perso qualche cosa
Mi sarei perso qualche cosa
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cerebbe andare?», senza che io poi debba davvero
andare da qualche parte.
di Martino
Lo voglio dire subito e in modo chiaro, per quanto ne
sono capace: a me viaggiare non è che piaccia molto.
Mi piacciono le vacanze, quelle sì, ma i viaggi – i viaggi “seri” intendo, quelli lunghi, in posti lontani, magari pure un po’ avventurosi – be’, li ho fatti, è vero,
però non ci sono mai andato matto. E più invecchio
– ora ho quasi quarantaquattro anni – e peggio è.
Potrei dire che non mi piace viaggiare perché
considero più importanti – più importanti della mia
personale soddisfazione – il benessere delle persone
e dell’ambiente, e che è ancora abbastanza difficile
fare viaggi importanti che siano davvero “responsabili”, a basso impatto ambientale e rispettosi delle
culture e delle economie dei Paesi che si visitano.
Potrei dirlo, ma sarebbe una mezza bugia.
La verità, una mezza verità, è che la pigrizia e il timore dei disagi sono in genere più forti della mia curiosità, del mio desiderio di vedere (l’)altrove. D’accordo, mi piacerebbe andare in Giappone una volta,
e un’altra magari in Argentina, ma sono idee vaghe,
senza piani e tempi precisi: nomi evocativi che se ne
restano lì tranquilli, quasi semplici buoni propositi.
Buoni per rispondere a chi mi chiede «Dove ti pia-
«Dove ti piacerebbe andare?» chiedeva fino a qualche
tempo fa l’homepage del sito di Couchsurfing, in ossequio alla sua svolta “social”. La domanda era ben
visibile appena aperta la pagina, a mo’ di summa in
forma accoglientemente interrogativa del senso e dello
scopo del “progetto CS”: scegli dove vuoi andare e va’
tranquillo, c’è un mondo di nuovi amici che ti aspetta.
Di fronte a una tale dichiarazione d’intenti, uno
come me – uno a cui viaggiare non fa impazzire e
che di amici tutto sommato pensa di averne già
abbastanza (con le gioie e le fatiche che l’amicizia
comporta) – uno così, dicevo, riconosce la bontà del
progetto, se ne congratula tra sé con gli ideatori e
magari, con una vaga punta d’invidia, simpatizza
pure con gli energici membri della community; però
poi passa oltre, non si iscrive, perché non c’è un posto dove vorrebbe andare (e, quand’anche ci fosse,
non sarebbe poi così tranquillo ad andarci surfando
il divano di uno sconosciuto).
Probabilmente avrei fatto così anch’io, quattro anni
fa, se avessi conosciuto il Couchsurfing via web,
imbattendomi più o meno casualmente nella sua
homepage. Avrei fatto così, probabilmente, e avrei
sbagliato. Quattro anni dopo posso dirlo con buona
certezza: mi sarei perso qualche cosa.
144
la parola ai couchsurfer
Che cosa? Viaggi indimenticabili e amicizie che
restano, verrebbe da dire pensando alla domanda-summa di cui sopra.
Quattro anni fa, per ragioni che devi ancora spiegarci, ti sei iscritto a Couchsurfing, magari senza
troppe aspettative e convinzione. E negli anni ti sei
lasciato prendere, hai girato il mondo, hai visto posti
spettacolari e città straordinarie, e hai conosciuto un
sacco di persone in gamba e generose. Con alcune di
queste sei rimasto in contatto, vi scrivete ogni tanto,
magari parlate su Skype. Alcune altre sono diventate
tuoi amici. Vi vedete, vi volete bene, vi state in qualche modo vicini, nonostante la distanza.
No, non è andata esattamente così. In quattro anni
ho fatto solo due viaggi da couchsurfer. Per la precisione: due notti (nessuna peraltro passata su un vero
divano), entrambe in Europa, in un caso a distanza
di treno (senza cuccetta). Ho conosciuto parecchia
gente, questo sì: una quarantina di persone, almeno.
Quasi tutte perché sono state ospiti a casa mia.
Perché in questi quattro anni ho soprattutto ospitato. Circa una persona al mese. Una di queste è
diventata la mia attuale fidanzata (uh uh!); con un
paio di altre ci mandiamo una breve e-mail ogni tanto: poche affettuose parole per dirci che siamo ancora vivi, e che ricordiamo entrambi con piacere i giorni belli trascorsi insieme. Degli altri trentacinque e
passa (più del 90% del totale), niente, non so più
mi sarei perso qualche cosa
145
nulla e non ricordo molto, se non che è stato (quasi
sempre) semplice e piacevole aver trascorso qualche
ora con loro. Quasi sempre “semplice e piacevole”.
Mica ho scritto “sorprendente e profondo”.
Niente viaggi, quindi; qualche conoscenza, d’accordo, ma praticamente nessun nuovo amico. («Ehi, e
la fidanzata? Stai sorvolando sulla fidanzata.» Ci arrivo, tranquilli.)
Che cosa ti saresti perso, allora? Tre cose, direi.
Se non mi fossi iscritto a Couchsurfing, quattro
anni fa, mi sarei perso almeno tre cose semplici e
piacevoli. E che, proprio perché semplici e piacevoli,
sarebbe stato un peccato perdersi. Eccole, schematiche nella loro semplicità:
1.Ho fatto parecchie ore di conversazione in inglese, con “inglesi” più o meno fluidi o maccheronici,
ma comunque utili a togliere un po’ della ruggine
che con il tempo si era accumulata sul mio.
2.Ho scoperto come Milano, la mia città, risulti
spesso bella e vibrante a un occhio straniero, e
nella narrazione che me ne veniva restituita ho
iniziato anch’io a guardarla diversamente, con
più orgoglio e meraviglia, e a gustarmela, a starci
meglio, con più piacere.
3.Ho goduto della compagnia di persone simpatiche, quando avere compagnia mi avrebbe fatto
piacere e non sarebbe forse stato altrimenti possibile; una compagnia colorata e curiosa; soprat-
146
la parola ai couchsurfer
tutto, una compagnia leggera, facile, di quella facilità che viene dal fatto che non si sa nulla l’uno
dell’altro e che, con ogni probabilità, non se ne
saprà più nulla una volta che ci si sarà salutati;
di quella leggerezza che non esclude necessariamente profondità (o altezze), anzi: che, grazie al
suo non avere un “prima” e un “dopo”, al suo essere tutta “hic et nunc”, si trasforma, a volte, in
scambio intenso e significativo.
Sono tre cose semplici, forse molto semplici, che
però mi hanno ben ripagato, negli anni, dei piccoli
disagi che può comportare il condividere una casa
(con un solo bagno, la mia) per qualche giorno (mai
più di due o tre, come ho scritto nel mio scarno profilo sul sito) con uno o due sconosciuti.
E poi può succedere, come è successo a me, che
una volta, una sera, ti capiti di andare alla fermata
dell’autobus per incontrare il tuo ospite e fare insieme la strada verso casa, e già lì alla fermata scoprire
che il tuo ospite ha qualcosa di speciale. E allora
aspetti con un po’ di timore e tremore che trascorrano i tre giorni per cui gli hai offerto il tuo divano,
tre giorni in cui la scoperta iniziale non fa che confermarsi. Speri che passino in fretta quei tre giorni
e che arrivi il momento dei saluti, della porta che si
chiude insieme al “legame” da couchsurfer (“perché
non è un sito di incontri”).
Perché allora, quando quella porta e quel legame
mi sarei perso qualche cosa
147
si saranno chiusi, gli potrai mandare un sms o una
e-mail, o magari persino chiamarlo, quello che era il
tuo ospite e che ora non lo è più, e dirgli che vorresti
rivederlo presto, e chiacchierare ancora e raccontarsi, e, mentre glielo dici, immagini di dargli quel bacio
che hai trattenuto per tre giorni, speri di darglielo
sul divano, senza più surfare: restandoci, stavolta.
Può succedere anche questo, ma è un di più. Un
extra, in tutti i sensi.
Quando ora apro il sito di Couchsurfing, penso che
sono stato fortunato, quattro anni fa, a incontrare per la prima volta il progetto CS attraverso altre
strade. Penso che sono stato fortunato a iscrivermi
quando ancora quella domanda non campeggiava
nella homepage del sito. Fortunato a scegliere di
iscrivermi nonostante non ci fosse un posto dove mi
sarebbe davvero piaciuto andare, e senza avere alcun particolare desiderio di farmi nuovi amici.
Sono stato semplicemente fortunato, per uno di
quei semplici casi fortunati della vita, ed è stato poi
il progetto a dimostrarmi, negli anni, che ne valeva
la (minima) pena, a dimostrarmi che la scelta era
buona. Una scelta che, concedetemelo, mi regala
anche un pizzico di orgoglio: perché in questi miei
quattro anni di surfer-che-non-surfa, una quarantina di surfer-che-surfano sono potuti andare dove gli
sarebbe piaciuto, e ci sono potuti andare tranquilli,
trovando ad aspettarli un divano abbastanza con-
148
la parola ai couchsurfer
fortevole e, se non un amico, almeno un viso sorridente e una bottiglia di vino.
P.S.: Non vorrei lasciare alcun particolare alone di
mistero sulle “altre strade” attraverso cui ho conosciuto il Couchsurfing. Semplicemente, come immagino sia capitato a molti altri, mi sono iscritto più o
meno per caso, senza alcuna particolare riflessione
e senza un’idea granché precisa di quel che mi sarebbe successo o avrei dovuto fare.
All’inizio dell’estate del 2009 un’amica che già da
un po’ faceva parte della community aveva dato la
sua disponibilità a ospitare una ragazza francese, di
passaggio a Milano per un paio di giorni. All’ultimo
le era sopraggiunto un impegno o un problema, o
non ne aveva più voglia – non ricordo bene. Comunque, non poteva più ospitare questa ragazza e allora
mi spiegò a grandi linee come funzionava la cosa
e mi chiese se potevo “sostituirla” per l’occasione.
Vivo da solo in una casa abbastanza grande, con
un divano-letto in sala, la porta che si chiude, e un
balcone dove leggere o fumare in pace. Non avevo
ragioni per dire di no, e quindi dissi di sì, che l’avrei
ospitata io. Per dare ufficialità a questa operazione
di scambio-divano e “garanzie” alla giovane francese, mi iscrissi a Couchsurfing. «Vuoi venire a Milano? Vieni tranquilla, c’è qualcuno che ti aspetta.»
Tutto qui.
L’Arte dell’incontro
di Paolo Guglielmo Sulpasso
 couchsurfing.org/people/pgjungle
“La vita, amico, è l’Arte dell’incontro”. Così ho riempito la casella “Current Mission” sul mio profilo di
Couchsurfing, casella importantissima il cui contenuto compare proprio sotto il nome dell’utente. Insomma, il sottotitolo della propria identità di navigatori di sofà…
La vita, amico, è l’arte dell’incontro è il titolo di un
album di Ungaretti/Vinicius/Endrigo (1969), una
frase che mi è sempre piaciuta e che rappresenta
appieno quello che è per me lo spirito del Couchsurfing. Uno spirito che ha delle potenzialità rivoluzionarie per l’individuo, per la società, per il sistema
economico e chi più ne ha più ne metta...
La mia prima esperienza di Couchsurfing è stata un
piccolo shock culturale; in un istante sono piacevolmente crollate un po’ di barriere, di pregiudizi,
di timori, e mi sono ritrovato in un territorio nuovo,
impensabile solo pochi istanti prima, e che è diventato presto la normalità, come il bere, il dormire, il
mangiare.
La mia “prima volta” è stata a Parigi: volo low-cost
per Beauvais, bus per la città e metro fino alla fer-
150
la parola ai couchsurfer
mata Nation per raggiungere un palazzo il cui portone si apriva digitando un codice di 5 cifre.
Mi ricordo una rampa di scale di legno, tre piani
di cigolii trascinando la valigia, l’accoglienza della
mia host Hélène, una chiacchierata quasi fossimo
vecchi amici che non si vedono da qualche tempo.
Soprattutto mi ricordo il mazzo di chiavi (!) pronto
sul tavolino e che Hélène mi ha consegnato dicendomi qualcosa del tipo: «Così è più facile organizzarsi».
Poi è uscita chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi lì solo, un po’ frastornato, allibito, con un
sorriso incredulo, grande come il mondo, travolto da
tutta questa fiducia dimostrata nei miei confronti.
In casa: il silenzio, la vita di Hélène, la sua collezione di libri e musica, “Cahier du Cinema” e i dischi
di Silvio Rodríguez, di cui avevamo parlato brevemente prima che uscisse.
Fuori: Parigi, città sconosciuta, ma improvvisamente familiare, amica, quasi ci vivessi già da qualche tempo.
Da quella “prima volta” i couchsurfer hanno spesso
arricchito i miei viaggi, trasformando luoghi sconosciuti in posti familiari, facendomi sentire a casa anche in reconditi angoli del pianeta; allo stesso modo,
sul divano di casa sono passati pezzi di mondi sconosciuti, ma in fondo molto vicini, che hanno portato una ventata di freschezza, vitalità, avventura. Il mio divano in Iran
di Masih
 couchsurfing.org/people/masih66g
Per me il Couchsurfing non è soltanto un modo economico per viaggiare, ma è utile soprattutto per conoscere viaggiatori veri, e imparare da loro. Spesso
è un viaggio al di fuori dei confini, ma anche dentro
noi stessi. Si impara molto sulla vita, sull’umanità:
che sia in un rumoroso ristorante iraniano, seduti
per terra a casa mia davanti a una tazza di zuccheratissimo tè, o in giro per le strade della città. Condividendo opinioni ed esperienze comuni ho imparato
più su me stesso e sugli altri di quello che avrei potuto fare leggendo cento libri.
La mia esperienza con il Couchsurfing iniziò due
anni fa, quando un amico mi chiamò per chiedermi
se potessi ospitare una sua amica australiana.
In Iran Couchsurfing è proibito: un po’ perché
non si vuole che i giovani stringano amicizie con
stranieri che potrebbero avere un’influenza negativa, un po’ perché toglie quel poco business che hanno gli hotel per turisti del Paese.
Ad ogni modo, accettai: in fondo, poteva essere
anche una buona occasione per esercitarmi a parlare inglese, dato che allora non ero proprio bravo.
152
la parola ai couchsurfer
Dopo qualche minuto passato a chiacchierare seduti sul tappeto in sala, il mio atteggiamento verso
di lei cambiò. Fui stupito dall’intelligenza vivace di
questa ragazza in viaggio da sola per il Medio Oriente, e decisi di avventurarmi in argomenti considerati
tabù nella vita pubblica iraniana: le nostre preferenze sessuali, le nostre filosofie di vita, pensieri sulla
religione e sull’ateismo. Fu davvero illuminante.
Dopo questo incontro avvenuto per caso, mi avvicinai alla comunità Couchsurfing della mia città;
allora abitavo a Isfahan, uno dei gioielli dell’Iran e
meta obbligata per chiunque visiti il Paese. Ho ospitato tante persone, anche perché, grazie al meccanismo delle referenze attraverso cui il sito mantiene
alto il livello di fiducia e sicurezza, è facile capire chi
è un buon host e chi no.
Ricevevo tantissime richieste. Ho ospitato anche
una coppia di tedeschi e con loro mi sento quotidianamente; nonostante i chilometri che ci separano sono tra i miei migliori amici. Ho trovato con
loro molte cose in comune: siamo atei, vegetariani,
amiamo la scienza, l’arte, la musica. Hanno molto
apprezzato gli angoli della mia sala dedicati alla mia
più grande passione, appunto quella della musica:
colleziono strumenti musicali, sia moderni che tradizionali, e ogni sera mi esercito con uno diverso.
Ho ospitato anche un ragazzo italiano che lavora in
campo musicale e abbiamo suonato insieme qualche sera.
il mio divano in iran
153
Capita anche qualche volta di non essere d’accordo su tutto, ma trovo sempre utile confrontarmi
con chi viene da una cultura diversa dalla mia, la
cui mentalità è stata formata da esperienze diverse
dalle mie. Imparo molto.
Ho ospitato anche un ragazzo olandese che mi ha
insegnato moltissimo sulla politica internazionale, e
una ragazza diciottenne australiana che mi ha colpito per il suo coraggio e la sua indipendenza.
Tanti ragazzi e ragazze iraniane ospitano stranieri perché vogliono mettere in pratica l’inglese imparato a scuola, e non c’è niente di male in questo,
ma secondo me il Couchsurfing è molto di più: deve
essere un’occasione imperdibile per uno scambio
di idee, culture, opinioni, esperienze. Mi è capitato
spesso, ospitando in casa persone conosciute solo
pochi minuti prima, di sentirmi come se fossero invece amici di una vita, come se fossero quasi di famiglia.
Senza Couchsurfing sarebbe stato per me impossibile costruire una rete così vasta e salda di amicizie internazionali, soprattutto in un Paese come il
mio, dove questo tipo di relazioni non è consigliato.
Continuo a ospitare anche ora che sono a Teheran, e conto di poter usare Couchsurfing al più presto anche per viaggiare.
un anno di couchsurfing
Un anno di Couchsurfing
di Ana Blanco
 couchsurfing.org/people/anabc
Circa un anno fa ho aperto le porte della mia casa
al mondo o, per meglio dire, ho aperto me stessa al
mondo. Fino a quel momento ero stata una viaggiatrice legata alle guide turistiche, una di quei “pecoroni” che si mettevano in coda per vedere ciò che
si deve vedere quando si viaggia. Mi piaceva, però
camminavo per le strade di città sconosciute e mi
chiedevo come fossero le vite di quelle persone, cosa
mangiassero, cosa pensassero, cosa sognassero e di
cosa parlassero. Credo che mi mancasse riempirmi
dell’essenza delle persone.
Un anno fa la mia vita cambiò. Dopo molti anni io
e il mio ragazzo ci lasciammo – stavamo insieme da
quando ne avevo quindici – e con lui svanirono la mia
routine e la mia vita ancorata al paesino dove sono
cresciuta, oltre che il mio compagno di viaggio, con
il quale, negli ultimi quattro anni passati insieme,
avevo viaggiato in molte capitali d’Europa, visitando
hotel, ristoranti, monumenti e musei. Mi sentivo a
pezzi e stavo cercando di ritrovare un equilibrio nella
mia vita quando, un anno fa, accadde qualcosa che
rivoluzionò completamente la mia esistenza.
155
Tutto cominciò quando ospitammo a casa Lionel
e Rocío, due amici di mia sorella, per alcuni giorni.
Lionel mi raccontò che aveva viaggiato usando un
social network chiamato Couchsurfing, attraverso
cui aveva anche ospitato altri utenti a casa sua per
alcune notti, mostrando loro la sua città. Non avevo
ben capito cosa fosse, ma quei racconti mi avevano
affascinata. Non pensavo che esistesse qualcosa del
genere e che fosse possibile, che potesse funzionare, però mi decisi a provare quella novità. Ne avevo
bisogno.
Così, mi registrai e riempii il mio profilo in modo
abbastanza superficiale. Non sapevo esattamente
ciò che stavo facendo, mi sembrava di scoprire qualcosa di nuovo e sconosciuto, curiosavo con cautela
e un po’ di diffidenza. Ero persa e affascinata al tempo stesso.
In pochi giorni ricevetti la prima richiesta: un ragazzo mi chiedeva alloggio per una notte. Non aveva
referenze e nemmeno un profilo dettagliato, ma in
ogni caso sentivo che sarebbe andata bene. Mi fidai
delle mie sensazioni: ho sempre fatto così e ha sempre funzionato.
Arrivò il gran giorno e io sentivo una curiosità
nervosa che forse celava un po’ di paura. Mi chiedevo come sarebbe stato quel ragazzo, come mi sarei dovuta comportare, cosa avrei dovuto fare, se si
sarebbe trovato bene in casa mia, se ci saremmo
capiti, e tante altre domande che acceleravano il rit-
156
la parola ai couchsurfer
mo del mio cuore mano a mano che si avvicinava il
momento del nostro primo incontro.
Quindi, con un certo nervosismo, andai ad accoglierlo. Vidi un ragazzo con un grande zaino che
leggeva un libro. C’era una grande quantità di turisti tutto intorno, ma capii subito che era lui. Ci
presentammo e iniziammo a parlare con molta naturalezza. “Ci siamo”, pensai. Tutte le domande e i
dubbi in un attimo si cancellarono dalla mia testa
nel momento in cui iniziammo a parlare, conoscerci,
girare ogni angolo di Barcellona, ridere, camminare,
sognare di viaggiare.
Le paure iniziali sparirono grazie al suo sorriso,
alla sua onestà e alle buone vibrazioni che mi trasmetteva. Era questa la miglior garanzia per aprirgli
la porta di casa mia. In breve tempo è diventato un
amico ed è tornato altre volte a trovarmi, così come
io sono andata più volte da lui, a Londra.
Alcune settimane più tardi, accolsi una ragazza di
Madrid in casa dei miei genitori; era la prima persona che ospitavo lì. Anche lei lasciò un segno indelebile dentro di me: senza il suo sorriso non sarei
capace di vedere il mondo come lo vedo e lo vivo ora.
Io ero ancora in una fase oscura e anemica e lei,
con i suoi racconti e la sua vitalità, mi diede una
forte dose di energia e positività. Le sue belle parole
mi fecero capire che ospitare è il miglior modo di
viaggiare, conoscere e comprendere. Non avevo mai
un anno di couchsurfing
157
conosciuto una persona così forte e allegra. Sembra
impossibile arrivare a sentire tanta ammirazione
per qualcuno che si conosce da così poco tempo,
però succede.
È difficile spiegare le sensazioni e l’intensità del
vincolo che si può creare in così pochi giorni. Lei sarà
sempre il mio esempio di “vero” surfer: una persona
ricca di valori, aperta, dolce, onesta, umile, sensibile,
capace di far fronte a qualunque situazione senza
smettere di sorridere nemmeno per un istante.
Ho sempre condiviso con i miei surfer i pasti, la mia
famiglia e gli amici, i miei pensieri e i miei sentimenti. In cambio ho sempre ricevuto grandi storie, molte
risate, momenti divertenti, lunghe cene, ottime passeggiate, autentici abbracci e sorrisi e grandi ringraziamenti. Per me Couchsurfing è offrire senza aspettarsi nulla in cambio, condividere, essere generosi e
nulla più. Proprio grazie all’aver ospitato persone di
culture diverse ho imparato ad aprirmi alla diversità, a non avere paura di esprimermi, ad apprezzare
i piccoli dettagli quotidiani, a sognare destinazioni
impossibili, a educare il mio palato e ad accorgermi
del valore di collezionare esperienze.
Finché, la scorsa estate, abbiamo riempito la casa di
surfer da tutto il mondo. Il giardino, ogni settimana,
era ricco di odori di un Paese diverso, la casa si è riempita di storie, risate e ricordi. A volte mi ritornano
158
la parola ai couchsurfer
in mente le facce dei vicini nascoste dietro i balconi.
Non capivano.
Non capivano come potessero esserci otto persone, di cinque nazionalità differenti, che parlano tre
diverse lingue contemporaneamente, tutti a condividere la stessa cena. I miei vicini pensano che siamo
pazzi, io penso che sia una delle migliori pazzie che
io abbia mai vissuto.
Dopo una trepidante estate ero sempre più entusiasta e aveva iniziato a fiorire in me la necessità di vedere ed esplorare il mondo in prima persona. Così,
all’inizio dell’anno scolastico, non riempii lo zaino
di appunti dell’università, ma presi un cappotto
pesante e delle buone scarpe per passare l’inverno
esplorando l’Europa.
Passai diversi mesi facendo volontariato e visitai
città come Londra, Vienna, Dublino, dove potei incontrare di nuovo alcuni dei ragazzi che erano stati ospiti da me durante l’estate. Viaggiavo da sola,
ma non mi sentii mai sola in nessun momento. Alla
fine, Couchsurfing è come una grande famiglia.
Lasciata Vienna mi sono diretta in Irlanda, a fare
volontariato vicino a Cork, ma prima mi sono fermata a visitare Dublino. Vi sono rimasta alcuni giorni:
il mio primo ospitante mi è venuto a prendere in
aeroporto e mi ha portata all’alloggio degli studenti,
dove sono dovuta entrare di nascosto per la rego-
un anno di couchsurfing
159
la che impediva di introdurre ospiti, anche se era
chiaro che nessuno rispettava tale norma: in quella
residenza universitaria ci sono davvero pochissimi
metri quadri per persona.
Al mio risveglio mi resi conto di non essere l’unica
a dormire sul divano: c’era gente in ogni angolo del
piccolo appartamento e quasi mi sentii sollevata per
non essere la sola a infrangere le regole!
Gli stessi ragazzi che il giorno prima mi avevano accolta dandomi timidamente la mano, il giorno
dopo, alla partenza, mi salutarono con un forte abbraccio. È successo più di una volta: conoscevo un
ospite o un ospitante molto timidamente e, più passava il tempo, più la tensione scompariva.
Nel frattempo, la mia schiena si abituò a dormire ovunque: pavimenti, cuscini, stuoie, materassini,
ecc., qualunque posto era buono, l’importante era
conoscere gente, scambiarsi esperienze, vivere bene
il momento, apprezzare il nuovo in ogni situazione.
La capacità di adattamento è stata l’abilità migliore
che ho imparato viaggiando.
Quando sono tornata dal mio viaggio mi sono
sentita soffocare, pur in una città come Barcellona,
per il semplice fatto di essere ferma lì. Una profonda
malinconia si impadronì di me e mi resi conto che
viaggiare crea dipendenza.
Per me il Couchsurfing è ben più di un letto gratis,
è rispetto e comprendere l’essenza di un Paese con
160
la parola ai couchsurfer
tutte le sue sfumature, perché ti permette di viverlo
da dentro. Ed è la cosa migliore che può succedere
a un viaggiatore.
Ricordo che quando partii per il mio viaggio tutti
mi dicevano che dovevo approfittare di quell’opportunità, perché sarebbe stata l’unica e la sola nella
mia vita. Io con la testa facevo segno di sì, senza
sapere bene cosa dire, ma quando sono tornata ho
potuto rispondere che viaggiare in questo modo era
il mio nuovo stile di vita.
Thomas, il tedesco girovago
di Cheryl Smalley
 couchsurfing.org/people/chuckysmall
Couchsurfing mi ha regalato parecchie esperienze
nei quattro anni da cui ne faccio parte, e ci sono
molte persone che mi piacerebbe ricordare, molte
delle quali sono oggi cari amici nella vita “reale”.
Ho ospitato molto più di quanto io non abbia surfato: sono stata a casa di due o tre persone, ma ho
aperto le mie porte a circa quaranta viaggiatori. Da
entrambe le prospettive, le mie esperienze sono state davvero memorabili.
Alcuni anni fa stavo cercando un posto dove dormire
a Austin, in Texas, visto che ci vado spesso a trovare
mio fratello e a dare un’occhiata all’appartamento
che affitto: volevo, però, una sistemazione diversa
rispetto al solito albergo. Sfogliando i vari profili online, trovai un trio di donne dall’aria amichevole che
abitava a East Austin, un’area molto particolare che
stava sbocciando in un quartiere culturalmente ricco e stimolante. La casa cadeva a pezzi e la facciata
dava su un vecchio e inquietante cimitero. Era però
dotata di un ampio patio, e le stanze ariose ospitavano diversi oggetti d’antiquariato, oltre a – naturalmente – comodissimi divani. Lo scricchiolio dei
162
la parola ai couchsurfer
pavimenti aumentava il fascino non convenzionale
di quel posto.
Era un’afosa sera estiva quando io e il mio pesante zaino da viaggio varcammo la soglia di quella
casa. Le due coinquiline, Jennifer e Cathi, stavano
bevendo birra scambiandosi buffe storie di gossip
texano insieme a un altro viaggiatore, adagiato comodamente sotto il soffio d’aria fresca del ventilatore. Non feci in tempo a fare due passi oltre l’ingresso che subito mi venne tolto lo zaino e offerta una
birra ghiacciata. Mi sedetti su una comoda poltrona
e passai le ore seguenti a parlare di qualsiasi cosa,
come se fossi stata un’amica di vecchia data appena
tornata e con la voglia di essere aggiornata su tutte
le malefatte delle amiche. Non vidi nemmeno la mia
camera da letto fino al momento di andare a dormire, dopo esserci scambiate – nel corso di diverse
birre e di un ultimo bicchiere di vino – le storie della
nostra vita.
Da quella prima visita, sono stata ospitata in
quella casa tre o quattro volte, e sia Jen che Cathi
sono venute a trovarmi a Seattle. Anche quando sto
in albergo a Austin, non ci lasciamo mai scappare
l’occasione di vederci per un aperitivo, una cena o
un buon concerto.
Per quanto riguarda invece l’ospitare persone, sarebbe davvero difficile scegliere la mia esperienza
preferita; per inciso, vorrei subito cogliere la palla
thomas, il tedesco girovago
163
al balzo per dire che non mi è mai capitato nulla di
brutto in questi anni da host.
Uno degli incontri migliori, e certamente uno dei
più profondi, è stato senza dubbio quello con Thomas. Thomas è del nord della Germania, ma raggiunse la nostra casa verso la fine del suo viaggio
in motocicletta, durato più di due anni, attraverso
Stati Uniti, Messico e Canada. Nell’arco di cinque
mesi mi venne a trovare quattro volte, per un totale
di un mese e mezzo di permanenza o qualcosa del
genere, e persino i suoi genitori fecero Couchsurfing
da noi in una di quelle occasioni.
La prima volta arrivò pianificando di rimanere
solo per due o tre giorni, giusto il tempo necessario
a vendere la sua moto. I piani però slittarono, perché il compito si rivelò più difficile del previsto. La
sua presenza in casa, tuttavia, non fu mai un peso:
aveva infatti un modo di fare originale, era intelligente e di spirito, sempre tendente all’autoironia,
e andavamo molto d’accordo. Decidemmo allora di
estendere l’invito da tre giorni a «tutto il tempo che ti
serve per sistemare le tue cose... Fino a un massimo
di due settimane, altrimenti poi dovremo chiederti
l’affitto!». Non avevo capito che questa mia battuta
l’aveva un po’ spaventato: in seguito, infatti, venni
a sapere che da quel momento iniziò a fare il conto
alla rovescia dei giorni, e sistemò tutto allo scattare
delle due settimane, non un giorno in più!
Furono due settimane intense. I suoi genitori
164
la parola ai couchsurfer
stavano pianificando un viaggio itinerante sulla costa ovest per il mese successivo, e in qualche modo
Thomas li aveva convinti che girare in un camper
di seconda mano sarebbe stata la soluzione migliore, risparmiando così su una costosa automobile a
noleggio. Fu una promessa ad alto rischio, ma passammo una giornata esilarante a rincorrere offerte
su Craigslist e alla fine, incredibilmente, trovammo
il camper perfetto. Una volta venduta la sua motocicletta (in perdita – sì, la sua fortuna in questo non
poteva lontanamente rivaleggiare con quella della
caccia di camper), si mise a sistemare il camper in
modo da renderlo utilizzabile e sicuro per un viaggio
piuttosto lungo. Partì poi per lo Yukon, esattamente
quattordici giorni dopo il suo arrivo.
Il piano era che i suoi genitori sarebbero arrivati dalla Germania sei settimane più tardi per prendere il van, restando nella mia casetta in giardino
(il posto che solitamente offro ai viaggiatori) per un
paio di giorni; insomma, il tempo necessario per sistemare ed equipaggiare il veicolo. Quando arrivò il
momento, Thomas era riuscito a mettere da parte il
denaro necessario grazie a un lavoro molto ben pagato, ma pericoloso per la salute, nei campi di zinco di Whitehorse, nello Yukon. Decise quindi di fare
una sorpresa ai suoi genitori, tornando a Seattle
in tempo per dar loro il benvenuto. Passai qualche
giorno, insomma, con due generazioni di tedeschi:
fantastico!
thomas, il tedesco girovago
165
La prima generazione aveva circa la mia età, sulla
sessantina, ma era molto meno abituata ai modi liberi e spensierati della comunità di Couchsurfing. I
genitori arrivarono infatti con mezza valigia piena di
regali per me: un tipico boccale da birra tedesco in
vetro, una bottiglia di liquore digestivo prodotto nella
loro zona, un libro sulla storia del loro villaggio, ecc.,
tutto presentato in modo cerimonioso una volta sistematisi nella mia casetta in giardino. Dovetti quasi
costringerli a uscire per unirsi a noi per cena, visto
che temevano di disturbarci e preferivano mangiare
il cibo da picnic che avevano portato con sé.
Era buffo vedere Thomas seduto in mezzo a loro
in uno dei miei ristoranti di mare preferiti, timido e
imbarazzato come un adolescente “intrappolato” tra
i genitori, ora così vicini, tutti e tre con le caratteristiche guanciotte rosse. Dopo circa una settimana li
salutai e partirono per il loro grande viaggio in camper: giù fino alla punta meridionale della California, poi a nord di nuovo fino allo Yukon canadese,
a bordo di un Toyota Dolphin del 1982 – e nessun
disastro meccanico, in tutti quei chilometri! Quasi
un miracolo. Thomas poi salutò i suoi genitori, che
ripartirono per la Germania, e riuscì a rivendere il
camper a un appassionato della natura canadese,
a quasi il doppio della cifra che aveva pagato in origine.
Thomas tornò a casa mia ancora un paio di volte:
una per comprare un altro minivan per girare gli
166
la parola ai couchsurfer
Stati del sud, e poi, un’ultima volta, per rivenderlo
(un altro affarone) quando si accorse che viaggiare
senza riscaldamento durante i freddi mesi invernali
si stava rivelando meno magico del previsto. Aveva
anche un nuovo nipotino, Noah, che richiedeva la
presenza, in patria, dello zio giramondo.
Ho mantenuto i contatti con Thomas in questi
ultimi mesi, e sono sicura che presto riuscirò ad andare a trovarlo a Berlino, o in Italia, o dovunque si
troverà. Ha questa cattiva abitudine di partire senza
preavviso per la Spagna o per il Sud-est asiatico, e
potrebbe essere difficile acciuffarlo.
Stargazing in Kuwait
di Lorenzo
Verso le sette di sera, Waleed e Ali, ragazzini poco
più che ventenni, giunsero al punto di ritrovo, il
parcheggio di un grande centro commerciale sul
lungomare di Kuwait City. Caricarono un gruppetto multietnico di couchsurfer sulle loro auto – una
fiammante Cadillac nera e un fuoristrada grosso
quanto una casa – e ci raggiunsero nel deserto, su
una pista a qualche decina di chilometri verso il
confine con l’Arabia Saudita, in mezzo al nulla. Io
ero già lì: con un amico italiano e la sua auto sgangherata li avevamo preceduti di un paio d’ore, giusto il tempo per scegliere un luogo dove accamparci
e piantare le tende, dopo essere rimasti bloccati con
le ruote nella sabbia e aver faticato non poco per
venirne fuori.
Avevamo organizzato tutto con cura: tende, sacchi a pelo, musica, carne in abbondanza e un barbecue portatile. Quella notte ci sarebbe stata la luna
nuova, ideale per ammirare le stelle.
Oltre ai già citati Waleed e Ali, studenti del
Kuwait, e ad Aldo, l’italiano a cui avevo scroccato
un passaggio, la squadra era composta da Anthony,
ingegnere nel settore petrolifero, Monique, giornali-
168
la parola ai couchsurfer
sta filippina, Damaris, giramondo spagnola appena
arrivata dalla Giordania, e Jude, studente di Mumbai. C’erano anche Marta, piccola graziosa cubana,
e suo marito, un tizio barbuto del New Jersey che
non parlava mai. E poi c’era Ishdorj, il gigante di
Ulaanbaatar con l’aria da bonaccione, che vestiva
da arabo e mangiava sempre di gusto, senza mai
sembrare pieno.
Storie vissute a migliaia di chilometri di distanza
confluirono in un unico punto, quella notte. Presero
vita nelle parole dei nostri racconti e poi, una seconda volta, nelle menti di chi le ascoltava, aggregandosi e depositandosi con forme nuove e originali in
ciascuno di noi. Destinate a essere presto dimenticate, in alcuni casi; talvolta a lasciare segni duraturi. (Puntini più o meno luminosi sparsi nella memoria, in grado di orientarci. Di influenzare magari una
scelta, un viaggio futuro, la cascata di eventi che ne
consegue).
«Non è una questione di religione, ma di tradizione.
Mi sposerò la prossima estate, insha’Allah. Sei invitato alla cerimonia.»
«Grazie, Ali. Quindi mi stai dicendo che sposerai
una donna che non hai mai visto in vita tua? Nemmeno in foto?»
«Nemmeno in foto... Ma la vedrò presto.»
«Quante volte la vedrai, prima del matrimonio?»
«Una volta sola, la prossima primavera.»
stargazing in kuwait
169
«Wow... Come fai a dirlo con tutta questa calma?
Non vedo gocce di sudore comparire sulla tua fronte, qualcosa non quadra.»
Ali rise. «La calma è solo in superficie, amico mio.
Ovvio che questa situazione mi spaventa. Ma allo
stesso tempo mi emoziona. Non so se riesco a rendere l’idea, ma ottenere il permesso per stare da solo
con una ragazza e parlare con lei, da queste parti, è una questione molto seria. È un avvenimento
speciale, quel giorno l’emozione sarà forte. Lo è già
adesso. Comunque vada, da quelle due ore dipenderà il resto della mia vita.»
«Se non dovesse piacerti puoi sempre decidere di
non sposarla, giusto? E lo stesso vale per lei? Scusa
se ti faccio mille domande, ma mi interessa conoscere le tradizioni di questo luogo e soprattutto mi interessa capire il tuo punto di vista. Quando si parla
di matrimonio, io mi sento sempre ad anni luce di
distanza.»
«Nessun problema, davvero. Anch’io credo sia essenziale confrontare punti di vista diversi. Non sono
obbligato a sposarla e lo stesso vale per lei, ma spero andrà tutto bene. Non c’è nessuna imposizione
da parte dei nostri genitori, ma certo non sarebbero
felici di vedere i loro piani andare in fumo. E poi ho
quasi ventidue anni, voglio sposarmi il prima possibile. Vedo questo matrimonio come una sorta di
salvezza. Se cominciassi ad andare in giro a cercare avventure con altre ragazze – e le tentazioni non
170
la parola ai couchsurfer
mancano – credo che poi non riuscirei più a smettere. Scegliere una persona, una soltanto, ed esserle
fedele: questo è ciò che voglio. Anche se non ho mai
avuto nessuna relazione, sono profondamente convinto che la fedeltà verso la propria compagna faccia
crescere la forza del legame, man mano che il tempo
passa e si condividono le proprie vite. Certo, non
sarà semplice, sarà una sfida...»
«Auguri! Le tentazioni non mancheranno mai...
Anche il Dalai Lama ha dichiarato che gli capita
di sognare delle donne ogni tanto... Pensi di essere
spiritualmente più distaccato dalle cose terrene di
quanto non lo sia il Dalai Lama?»
«Ci sto lavorando.»
«Ahahah! Comunque ammiro le tue parole e capisco quello che intendi. Sarebbe assurdo pretendere
fedeltà, senza essere disposti a offrirla in cambio. È
per questo che non voglio sentir parlare di matrimonio per i prossimi dieci anni della mia vita!»
Un altro sorriso comparve sulle labbra di Ali.
«Sai, ho visto l’espressione che hai fatto quando ti
ho detto che i miei genitori hanno scelto la mia futura sposa, ma ormai ci sono abituato. Voi occidentali reagite tutti così, sgranando gli occhi, quando ne
parlo. E in realtà vi capisco anche...»
«Prima di parlare con te, avevo conosciuto solo
una persona che si era sposata in questo modo: un
vecchio fabbricante di marionette di Jaipur, in India. Ma, capisci, lui appartiene a un’altra generazio-
stargazing in kuwait
171
ne, tu invece hai due anni meno di me, la cosa mi
colpisce molto di più.»
«...vedremo come andrà, habibi. Se proprio il matrimonio dovesse risultare disastroso, c’è sempre il
divorzio.»
«E magari la prossima moglie te la trovi da solo.»
«Esatto! In ogni caso credo che, nella mia famiglia, questa tradizione si concluderà con me. Voglio
che i miei figli siano totalmente liberi di costruirsi il
loro futuro. Non che io non lo sia, ma... Mi manca
qualcosa. Ho idea che trovare una compagna possa essere un meraviglioso percorso, un cammino di
auto­conoscenza. Capisci cosa intendo?»
«Un viaggio rilassato e senza imposizioni, una vacanza attorno al mondo. In alcune città ci si sente
bene e ci si ferma un po’ più a lungo. Diventano
la tua casa, per qualche tempo. Altre vorresti conoscerle meglio, ma per vari motivi le guardi dal finestrino, senza fermarti, e ne conservi l’immagine, con
il suo velo di nostalgia. Oppure ti fermi per poco, ma
devi subito ripartire...»
«Qualche Paese ti nega il visto di ingresso.»
Sorrisi. «Esatto... E poi ci sono anche quelli difficili da lasciare.»
«Ecco, io questo viaggio non l’ho fatto. Mi è stata
indicata la mia destinazione e mi è stata data una
busta con un biglietto aereo di sola andata.»
«Sai, forse siamo meno distanti di quanto pensassi. Io faccio parte di quel gruppo di persone che
172
la parola ai couchsurfer
dicevi prima, quelle che non riescono più a smettere. Amo le donne. Al plurale, amico mio. Per me
non c’è nulla di più bello che conquistare una ragazza. Sentire di piacerle, leggerlo nei suoi occhi.
Ma poi puntualmente la voglia di conquistarne
un’altra supera la voglia di costruire una relazione
duratura con la prima. Ed è un desiderio talmente
forte da non lasciarmi scelta. È un problema, lo so.
Sono giunto alla conclusione che, per il momento,
ho solo bisogno di tempo per me stesso, ho bisogno
di viaggiare, di accumulare conoscenza, di laurearmi e di iniziare a lavorare. Di godermi la vita, con
tutte le occasioni che mi offre. Un periodo di autentica condivisione, a lungo termine, con un’altra
persona, per me è assolutamente impensabile ora
come ora. Spero davvero che un giorno questa situazione cambi, altrimenti non sarò mai in grado di
costruire una famiglia. Tu in questo sei molto più
avanti di me. Partiamo da due posizioni certamente
distanti, ma in fondo le nostre due linee di pensiero tendono verso due punti vicini. Il problema
è che è sempre più facile limitarsi a uno sguardo
superficiale. E lo sguardo superficiale nota solo le
differenze.»
«Capisco cosa vuoi dire. Superficialità e mancanza di conoscenza sono la prima causa di morte al
mondo, non a caso. Comunque non pensare facciano tutti come me, da queste parti. Guarda Waleed,
per esempio. Anche lui ha una promessa sposa, ma
stargazing in kuwait
173
nel frattempo sta avendo molte relazioni. Facci caso,
lui gira sempre con due cellulari. Se vede una bella
ragazza in auto da sola, fa in modo di affiancarsi
alla sua destra a un semaforo rosso, attira la sua
attenzione e, un attimo prima che scatti il verde, le
tira un cellulare in macchina. Poi parte facendo stridere le gomme sull’asfalto. Hai visto con che razza
di auto gira, ha più di 500 cavalli. Non dovrebbe
portarla nel deserto, glielo dico sempre. Comunque,
dopo pochi minuti la chiama... E non ci crederai, ma
ne ha conosciute parecchie in questo modo.»
«Waleed è un tamarro.»
«Come?»
«Niente, è una cosa che diciamo noi in Italia.»
Alcune nubi inattese si posizionarono tra noi e le
stelle. Ma noi avevamo altro a cui pensare. Il profumo della carne che cuoceva sulle braci, la brezza
del deserto dopo gli oltre 40°C di quel pomeriggio
d’ottobre. Una camminata con Damaris, Monique e
Anthony, lanciandoci un pallone da rugby nell’oscurità quasi totale.
Ormai a notte fonda, la musica venne spenta e la
gente iniziò a infilarsi nelle tende. Per qualche secondo, la quiete fu interrotta dall’antifurto dell’auto
di Waleed.
Decisi di allontanarmi di alcune centinaia di metri dal nostro accampamento, per restare un po’ solo
con il deserto.
174
la parola ai couchsurfer
Mi trovavo in mezzo al nulla, ma non c’era silenzio attorno a me. C’era il rumore del vento. Solo il
rumore del vento. Delicato, preciso, sicuro di sé.
Presenza sovrana, in grado di mutare continuamente quelle carte geografiche mai del tutto tracciate. Lo
sentivo passarmi tra le braccia e, distintamente, tra
le dita delle mani. Accompagnava la mia mente, immersa tra le mille immagini del mio ultimo mese di
viaggio. Le faceva scorrere, le soffiava via una dopo
l’altra, spingendomi a pregustare l’ormai prossima
partenza per l’Iran. Avevo gli occhi chiusi e sentivo
mio quell’attimo di presente.
Non saprei dire dopo quanto tempo, improvvisamente il vento cessò e il silenzio, questa volta, divenne totale. Era denso e avvolgente, il silenzio del
deserto. Non una semplice assenza di suoni, non un
vuoto, ma, al contrario, una presenza che riempie
gli spazi.
Tornai alla mia tenda, presi il sacco a pelo e lo
srotolai all’aperto, sopra un materasso. Prima di
addormentarmi, guardai ancora una volta nella
direzione del cielo. Poche stelle e nuove nubi. Non
avevamo scelto la nottata migliore per ammirare le
stelle, ma in fondo questo aveva poca importanza.
Mi svegliò qualche goccia di pioggia.
Infastidito, mi alzai, spostai meccanicamente il
sacco a pelo nella tenda e mi rimisi a dormire.
Dopo un paio d’ore, fui svegliato nuovamente.
Questa volta da un rumore acuto e ripetitivo. Era il
stargazing in kuwait
175
clacson di una macchina. “Ancora l’antifurto dell’auto di Waleed”, pensai, “ma quanto cazzo ci vuole a
disattivarlo...”. Mi girai su un fianco, togliendomi
la scomodità del deserto dalla schiena. Dopo pochi secondi, altri due colpi di clacson, brevi, seguiti
da uno più lungo. Aprii gli occhi e vidi dei lampi di
luce abbagliante contro la mia tenda. Ancora mezzo
addormentato, realizzai che questa volta l’antifurto
non c’entrava niente e decisi di uscire per capire chi
fosse l’autore di uno scherzo così stupido e per spedirlo a letto il prima possibile.
Aprii la tenda e, per un attimo, rimasi pietrificato.
Quelli che avevo visto non erano gli abbaglianti
di un’auto, erano fulmini, che – a decine – cadevano
attorno al nostro accampamento. Alcuni a qualche
chilometro di distanza, altri sembravano vicinissimi
a noi. Waleed abbassò il finestrino quel tanto che
bastava per gridarmi: «Corri in macchina, svelto!».
Non me lo feci ripetere due volte. Mi misi a correre e per poco non sbattei contro Ishdorj, che, con
tutta calma, stava andando verso l’auto di Aldo. Salii in macchina. Oltre a Waleed, ero stato preceduto
da Jude e Damaris, che sedeva con me sul sedile
posteriore.
Si accese subito un piccolo dibattito sull’effettiva protezione fornita dall’auto in una simile circostanza. Jude, dopo aver ascoltato i nostri dubbi per
qualche secondo, troncò la discussione affermando
con autorevolezza che l’auto funge da gabbia di Fa-
176
la parola ai couchsurfer
raday e che quindi eravamo al sicuro, a patto di evitare il contatto con parti metalliche. Ci sentimmo
tutti più sollevati e ringraziammo in cuor nostro il
buon Jude.
Restammo in macchina quasi un’ora, assistendo
increduli a quello spettacolo della natura. Quando
il fenomeno cessò del tutto, l’alba era ormai vicina.
Svegliai Damaris, che nel frattempo si era addormentata sulla mia spalla.
La nostra permanenza nel deserto era durata abbastanza; su questo fummo tutti d’accordo. In pochi
minuti smontammo le tende e caricammo alla rinfusa ogni cosa sulle auto. Assonnati, ci mettemmo in
viaggio verso casa.
Couchsurfing e il karma
di Vera Di Santo
 couchsurfing.org/people/veramentevera
Quando arrivò la richiesta di ospitalità da Remi, io e
Sara eravamo in piena attività.
Erano appena passati da noi, con brevi soste di
una o due notti, un giapponese, una cino-malesiana e due mie amiche italiane. Io ero un po’ provata
ed esitavo ad accettare la richiesta, ma Sara era così
entusiasta di questa nuova esperienza che non potei
proprio dire di no. Sì, perché se io avevo già surfato e
hostato per qualche anno, per lei era la prima volta.
Era contenta di avere compagnia in casa, soprattutto
se extraeuropea – lei è tunisina impiantata in Italia
da dieci anni –, e io ero felice di rivolgere il mio tempo,
le mie attenzioni, le mie cure, le mie risorse ed energie
fisiche (a quei tempi ancora molte) a dei surfer ambiziosi e coraggiosi, portatori sani di opinioni, di vissuti,
di modi di essere diversissimi dai nostri.
Ospitare è una di quelle cose karmiche che ti tornano indietro in un battibaleno, ecco, non c’è tanto da ragionarci su. E poi, accettando la richiesta
di Remi, sentivo proprio di farle un regalo grande.
Perché Remi è una giapponese adorabile con una
storia entusiasmante alle spalle – nientemeno che
un progetto di giro del mondo – e Sara è “giappofila”
178
la parola ai couchsurfer
come poche. Io non potevo che essere il “Cupido”
della situazione.
Remi arrivò una sera che pioveva forte in Stazione
Centrale a Milano, circa un anno fa. Sara era rincasata da poco dall’ufficio e si era incaricata di andarla a recuperare. Io me ne stavo perplessa sull’uscio,
domandandomi se cambiarmi o meno. Poi decisi che
il mio stomaco aveva la priorità e mi misi a preparare la cena: risotto con formaggio, radicchio e semi
di finocchio, accompagnato da birra belga. Cucina
fusion multietnica per onorare la serata. Ero molto
fiera della mia pietanza.
Appena asciugate, ci mettemmo a tavola, e iniziammo ad ascoltare gli sconvolgenti racconti di
Remi, in un inglese sorprendentemente molto ben
comprensibile per un orecchio mediterraneo come
il nostro. Il lavoro insieme all’ex-fidanzato come
hostess, poi la frustrazione, la rottura, la voglia di
cambiamento e infine la decisione di usare la dote
per viaggiare per il mondo.
La parte migliore, ovviamente, arrivò quando ci
raccontò del momento in cui aveva iniziato a fare i
piani per il viaggio, tra voli, contatti lavorativi con
associazioni del posto, conto delle spese e compagnia.
Ci stregò, gasò, incoraggiò a fare la nostra rivoluzione personale, così tanto che non sapevamo più
come dirle grazie. Riuscimmo solo a chiederle il file
Excel con cui aveva organizzato il tutto, che ci mise
couchsurfing e il karma
179
generosamente in condivisione. Sembravamo due
bambine il giorno di Natale.
Tra uno sbadiglio e l’altro, guardammo insieme
le foto dei suoi primi tre mesi di viaggio, emettendo
gridolini acuti a ogni micro-avventura con happy ending che ci veniva sapientemente elargita.
Poi venne l’ora di andare a letto. Allora Remi –
che deve essere una parente di Mary Poppins – aprì
il suo zaino da trekking sfoggiando una quantità di
vestiti di vari stili e oggetti di tutti i tipi. Caricata la
prima lavatrice, ci augurammo la buonanotte: io e
Sara nella mia stanza e Remi nella stanza di Sara,
quella migliore, più silenziosa. Sara era così elettrizzata quella sera che credo sia andata avanti un’ora
a parlare dopo che avevamo spento la luce. Ci addormentammo così, sorridenti, libere, fiduciose.
L’indomani accompagnai Remi a cercare un paio
di negozi vicino casa e poi me ne andai allo Yoga Festival con un’amica, non senza aver scattato prima
una selfie con un sorriso raggiante. La sera rientrai
tardi e non feci in tempo a rivederla, dato che la mattina sarebbe partita prestissimo. Poco male. Sentivo
di aver già ricevuto tantissimo in quelle poche ore.
Remi ha da poco girato il Messico, la California e
proprio oggi è in partenza da Vancouver per rientrare in Giappone.
Io e Sara continuiamo a progettare i nostri viaggi
e guardiamo alle prossime richieste di ospitalità.
la mia prima volta
La mia prima volta
di Davide Moroni
 couchsurfing.org/people/deijijv
La mia prima volta con Couchsurfing è avvenuta
grazie a questo libro. «Ma come», direte voi, «ma se
non era ancora stato pubblicato!» Ebbene, proprio
per questo.
Cerco di andare con ordine.
Per farla breve, qualche tempo fa proposi alla mia
amica Elena, di ritorno dal suo viaggio in Iran in
cui aveva soggiornato quasi esclusivamente presso
couch­surfer, di scrivere un libro sull’argomento per
una delle case editrici con cui collaboro. Da lì, come
per magia, scattò un interruttore nel mio cervello
(che spesso e volentieri funziona al rallentatore):
«Ehi», mi dissi, «ma perché non ci provo anch’io, a
fare Couchsurfing?».
Fu uno di quei momenti in cui ci si può sentire
davvero, ma davvero stupidi: sapevo cos’era il Couchsurfing, conoscevo Elena e sapevo benissimo che
aveva surfato sia in Iran che negli Stati Uniti, la invidiavo, anche, per questo; tuttavia, non avevo mai
realmente pensato di provare in prima persona. Non
era né diffidenza, né timore, né niente del genere:
semplicemente, nel significato più letterale di questo avverbio, non ci avevo mai pensato.
181
Così, colsi la palla al balzo. Di lì a poco ci sarebbe
stato il Salone del Libro di Torino, dove avevo intenzione di fermarmi un paio di giorni per “promuovermi” come freelance di servizi editoriali. Iniziai perciò
a cercare un potenziale host su Couchsurfing. Non
senza qualche difficoltà, a dire il vero. Dopo aver
creato il mio profilo, caricato qualche foto – scegliendole tra le poche in cui non sembravo un fattone
ritardato – e compilato tutti i tanti, troppi campi obbligatori (inserendo anche un paio di “Non sa/Non
risponde”, come nel migliore dei sondaggi), cominciai la ricerca, e subito arrivò il primo “scoglio”: la
sezione “About me”, in cui, in pratica, in poche righe
dovevo raccontare chi ero, spiegare perché stavo andando dove stavo andando e soprattutto convincere
il mio potenziale host a scegliere proprio me. Non c’era ancora il tasto “Skip to search”, fortunatamente
comparso di recente, e dovetti inventarmi qualcosa
che non somigliasse a un “Ciao, mi chiamo Davide,
ho 29 anni, non bevo alcol da tre mesi”. Così, forse
andando contro i “principi” del sito, per invogliare i
potenziali host optai per una sorta di baratto: tu mi
ospiti, io ti faccio entrare gratis al Salone, entrambi
siamo contenti.
Fatto questo, mi misi a sbirciare tra i profili dei
potenziali host, perdendoci un bel po’ di tempo: era
la mia prima volta ed ero curioso di vedere come
funzionava, ma soprattutto, conoscendomi, dovevo
assolutamente trovare qualcuno che avesse degli
182
la parola ai couchsurfer
interessi in comune con me, pena mutismo prolungato per tutta la serata che avremmo passato
insieme. Perciò, per restringere il campo, oltre che
per dare un senso alla mia offerta di baratto, inserii
come filtro di ricerca la presenza nei profili della
parola “libri” o “leggere” (in italiano e in inglese).
Ahimè, i risultati della ricerca crollarono come la
Borsa nel ’29 (o, se vogliamo attualizzare, nel 2008),
ma così facendo mi fu più facile imbattermi nel profilo di Elisa, che mi colpì per vari motivi: innanzitutto, specificava di avere “grande passione e piccola
conoscenza sui libri” (un punto a mio favore), e poi
c’erano tante altre piccole cose, magari di per sé
insignificanti – gioca a basket, e io “vivo” di basket;
era stata in Messico, e il mio sogno è di andarci
al più presto; è un’arteterapeuta, e io ho una cara
amica che sta studiando per diventarlo –, ma che
fanno scattare quella “scintilla” che ti porta a dire:
«Sì, con lei mi troverò bene».
Così, mandai la mia prima CouchRequest. Prima
e unica. Couchsurfing provò a suggerirmi che per
la meta che avevo scelto, Torino appunto, era consigliabile effettuare almeno otto CouchRequest, invitandomi perciò a mandarne altre sette. Ma a me
piace fare di testa mia. Avevo deciso che Elisa era la
host che stavo cercando, e non avevo dubbi che mi
avrebbe ospitato. Così, in modo forse un po’ avventato, dato che mancava poco più di una settimana
al Salone, chiusi la pagina di Couchsurfing e me ne
la mia prima volta
183
andai a dormire. Un paio di giorni dopo, ecco la risposta: richiesta accettata!
E, una volta giunto il “gran giorno”, che dire: nonostante alcuni contrattempi che portarono a un’esperienza di Couchsurfing forse fuori dalla normalità,
andò davvero tutto a meraviglia. Il giorno prima del
mio arrivo, Elisa mi informò che le avevano piazzato
un impegno imprevisto per la sera in cui avrei dovuto essere suo ospite. Nessun problema, però: mi
diede il numero di Giada, la sua compagna, e mi
accordai con lei per raggiungerla, alla chiusura del
Salone, a casa di alcuni amici da cui si trovava per
cena. Quando arrivai mi ritrovai al centro dell’attenzione di una decina di ragazzi e ragazze, assalito
da domande sul mio lavoro (che spesso suscita curiosità, almeno finché non si arriva a parlare di retribuzioni...). Tempo cinque minuti e, tra una birra,
un piatto di pasta, un bicchiere di vino e un po’ di
musica, il ghiaccio era rotto. Passai una piacevolissima serata in un’atmosfera un po’ “Erasmus” che
mi ricordò, con un po’ di nostalgia, la mia esperienza a Madrid di quattro (troppi) anni prima.
Alla fine della serata, andammo a casa di Giada,
arrivando praticamente in contemporanea con Elisa. Nonostante l’ora tarda, e nonostante lei avesse
un impegno presto la mattina dopo, chiacchierammo un bel po’, mentre cercavo di difendermi dagli
assalti di Luppolo, un micetto tanto piccino quan-
184
la parola ai couchsurfer
to psicopatico, che aveva la simpatica abitudine di
scalarmi come se fossi un tronco d’albero per darmi
zampate in faccia.
La mattina dopo, al risveglio, ebbi davvero piena
consapevolezza di cosa significhi Couchsurfing: Elisa e Giada infatti erano uscite presto e io ero solo
in casa. Solo. In casa. In casa loro. Ero stato mezza
serata con Giada, mentre con Elisa avevo parlato
nemmeno un paio d’ore; eppure, eccomi lì, da solo
in casa loro, investito della loro piena fiducia nei
confronti di un completo sconosciuto.
E fu in quel momento che capii. Il Couchsurfing
funziona in modo molto semplice: basta fidarsi. Si
può “scegliere” chi ospitare in base al profilo e ai
primi contatti via web, certo, ma di fondo il nodo
rimane una fiducia cieca nei confronti del genere
umano, nonostante tutto ciò che si vede e si sente
quotidianamente nel mondo. E, forse, il bello è proprio questo.
PS: In verità, mi bastarono altri cinque minuti per
capire come stavano davvero le cose: non ero solo,
avevano lasciato di guardia Luppolo! Il quale, non
appena aprii la porta della stanza in cui avevo dormito, riprese l’opera interrotta la sera prima, saltandomi addosso come un pazzo. A nulla valse il
ripetuto lancio di una pallina verso la parte opposta
della casa, dato che, in realtà, era un gatto da ri-
la mia prima volta
185
porto, quindi mi tornava tra i piedi nel giro di dieci
secondi, con la pallina in bocca e lo sguardo allucinato. E a nulla valse avergli offerto, mio malgrado,
la colazione: dopo essermi versato del latte in una
tazza sul tavolo, infatti, andai verso la credenza per
prendere dei biscotti; quando, quattro secondi dopo,
mi girai nuovamente verso il tavolo, Luppolo aveva
già il muso immerso nella tazza. Ma questo è un segreto, non ditelo a Elisa e Giada!
PPS: L’esperienza mi piacque così tanto che la ripetei circa un mese dopo, quando andai per qualche
giorno a Madrid per incontrare alcuni amici del mio
Erasmus e, dopo aver mandato più di un centinaio
di richieste, trovai ospitalità da una ragazza italiana che... era lì in Erasmus (ti pareva...) e che avevo contattato per disperazione negli ultimi giorni (il
mio motto potrebbe essere “all’estero, mai insieme
gli italiani”, ma i principi sono fatti per essere contraddetti).
E poi, un paio di mesi dopo, mi sono cimentato
anche come host, ospitando un ragazzo e una ragazza russi che dalla Siberia si stavano trasferendo nelle Seychelles (!) facendo scalo a Milano. Ma questa è
un’altra storia...
la sharing economy
Appendice
La Sharing Economy
La crescita della Sharing Economy (o “economia della condivisione”) è ormai un dato di fatto: secondo le
stime di Forbes, nel 2013 il suo valore complessivo
ha superato i 3,5 miliardi di dollari e sta crescendo di più del 25% annuo. Sembrano passati secoli
dall’uscita di Ciò che è mio è tuo (2010) degli imprenditori Rachel Botsman e Roo Rogers: pionieri
del consumo collaborativo, hanno analizzato alcuni
concetti chiave legati all’economia della condivisione come la fiducia e la reputazione. Anche Couchsurfing, così come tante altre piattaforme di questo
tipo, si basa proprio sulla fiducia tra i membri e su
un sistema di recensioni che aiutano ciascuno a
crearsi una buona reputazione online.
In questo libro ci siamo dedicati in particolare allo
scambio di ospitalità, ma esistono ormai centinaia di piattaforme digitali che facilitano anche l’uso,
il noleggio, l’affitto, o lo scambio di oggetti, servizi,
spazi e tempi.
Si possono prendere in prestito oggetti di lusso
187
che, se comprassimo, non useremmo abbastanza da giustificarne la spesa (Vanitylady.it); ci si
può muovere in città, senza il problema di cercare parcheggio (Car2go.com); si possono noleggiare
per pochi euro al giorno oggetti che non useremmo
frequentemente con Locloc.it; si può chiedere una
mano nei piccoli lavori di casa con Taskrabbit.com;
si può affittare una stanza o un appartamento per
un breve periodo, o usufruirne a prezzi più bassi
rispetto a un hotel, con Airbnb.com; possiamo noleggiare uno spazio per lavorare, in questi tempi di
lavori autonomi e appartamenti sempre più piccoli,
grazie ai tanti spazi adibiti al co-working nelle città.
Secondo un’indagine condotta da ModaCult
dell’Università Cattolica di Milano, su 720 attività italiane censite, attive nella Sharing Economy, il
34% è dedicato al baratto, il 31% al consumo collaborativo, il 19% al finanziamento o alla progettazione collettiva, e il 16% all’artigianato digitale. Un
universo ricco e ancora da esplorare per la maggior
parte dei cittadini.
Alla base di tutto questo c’è un valore: la fiducia.
È la fiducia nel prossimo che ci permette di ospitare
uno sconosciuto in casa nostra, o che ci “spinge” a
entrare in casa di qualcuno per dormirci una notte.
La fiducia è alla base di Couchsurfing, ma non solo.
Ci sono tante altre piattaforme che sono utili al viaggiatore attento al portafoglio, ma anche consapevo-
188
appendice
le verso l’uso e lo scambio di risorse, specialmente
mentre si è on the road. Ecco quindi alcuni riferimenti all’economia della condivisione al servizio dei
viaggiatori:
1.Scambio casa. Avete visto il film L’amore non va
in vacanza? Ecco, parliamo proprio di questo.
Come scrivono Vanessa Strizzi e Andrea Villarini,
autori di Scambio casa. Istruzioni per l’uso (Quodlibet), “lo scambio casa è una strepitosa forma
di baratto senza intermediari (che) non si fonda
su principi legati al valore della casa, alla sua dimensione o alla sua intrinseca bellezza, ma su
un principio completamente diverso: scambio ciò
che ho con ciò che mi serve”. I siti più usati sono
Scambiocasa.com e Homelink.org.
2.Campinmygarden.com è un sito nato nel Regno
Unito nel 2011 e che sta pian piano crescendo,
includendo membri da più Paesi. Permette ai
campeggiatori di sistemare le tende in un giardino privato, per una modica cifra (e si possono
usare i servizi del privato che li mette a disposizione).
3.Per quanto riguarda il mangiare “social”, c’è
l’imbarazzo della scelta. Con Eatwith.com, per
esempio, si può partecipare a cene cucinate in
casa, a cifre variabili (“la nostra missione: unire
le persone, un pasto alla volta”). Si può trovare
una cena a tema romagnolo a Milano, come cucinare la pasta ripiena a Roma, cena a chilome-
la sharing economy
189
tro 0 a Urbino, cena a tema mediorientale a New
York... La scelta è davvero ampia.
4.Come recita la sua pagina, Gnammo.com è la
prima piattaforma tutta italiana dedicata al social eating. La partecipazione è gratuita e ci si può
iscrivere sia come Gnammer (l’ospite) che come
Cook (colui che invita a casa propria e cucina). Il
prezzo (sempre ragionevole) per ogni commensale
è deciso dal Cook.
5.Per trovare o offrire un passaggio in auto, Blablacar.it è il portale più conosciuto in Italia; Lyft.
com, invece, è diffuso soprattutto negli Stati Uniti. Getaround.com permette di noleggiare, per
una manciata di dollari l’ora, l’auto di un altro
utente. Zipcar.com funziona allo stesso modo ed
è diffuso soprattutto nelle città americane.
6.Per trovare una guida capace di offrire esperienze uniche e di alto valore, ci si può rivolgere a
Vayable.com, che muove dal presupposto che “le
vere esperienze vengono create dagli insider indipendenti”. Unisce così guide referenziate con idee
di tour particolari (per esempio, un tour della street art a Los Angeles) ai viaggiatori stanchi dei soliti
tour guidati. Un sito simile è Rent-a-guide.net.
Ringraziamenti
Innanzitutto, vorremmo ringraziare, in rigoroso ordine alfabetico, Ana Blanco, Cheryl Smalley, Jennifer
Chrobak, Lorenzo, Marco Ferrarese (il nostro Marco,
uno dei tanti cervelli che l’Italia ha perso, è un affermato scrittore in Malesia, dove ora vive: cercate il suo
ultimo libro Nazi Goreng e capirete perché l’abbiamo
voluto con noi!), Martino (autore anche del profilo
del “Tipo a posto”, a p. 86), Masih, Paolo Guglielmo
Sulpasso e Vera Di Santo, che hanno contribuito con
le loro esperienze a rendere unico questo libro. Un
ringraziamento particolare va anche a Boris Puggia,
che con la sua tesi Costruire la fiducia online: il caso
Couchsurfing ci è stato più volte di ispirazione.
Ma non possiamo non pensare a tutti quei couchsurfer che, in questi anni, ci hanno permesso
di girare e vivere il mondo, e che hanno portato il
mondo a casa nostra: senza di loro, questo libro
non esisterebbe. Sarebbe impossibile nominarli
tutti, ma vorremmo almeno ringraziare qui Luca D.
e Katie “3rd nonna” Whitmer, entrambi couchsurfer
ante litteram.
Infine, grazie a Mauro Morellini, che fin dal primo
istante ha creduto in questo progetto e ne ha permesso la realizzazione, e a tutte quelle che persone
che in questi mesi abbiamo ammorbato per consigli,
spunti, idee, letture e riletture su questo libro.
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In viaggio sul sofà