VERBANIASETTANTA. POLITICA E SOCIETA'
Foglio virtuale di informazione e controinformazione
23 settembre 2011
n. 38/2011
VERBANIASETTANTA è un foglio virtuale di informazione prodotto da Claudio Zanotti,
consigliere comunale di Verbania. All'indirizzo [email protected] possono essere inviati
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SENTIERI DEL MONTEROSSO. UN PATRIMONIO A RISCHIO DI ESTINZIONE
Sono numerosi e suggestivi gli antichi percorsi che hanno reso accessibile e fruibile il
Monterosso nei lunghi secoli della nostra “civiltà rurale”. Oggi rischiano di
scomparire, mentre sarebbero una interessante risorsa ambientale, turistica e
paesaggistica per tutta la nostra zona.
Mentre si va tristemente concludendo l’occupazione cementizia delle basse pendici del colle,
potrebbe essere utile riprendere qualche ragionamento sulla fruizione turistica, ambientale e
paesaggistica del Monterosso. Analogamente alle altre realtà collinari e montane della nostro
zona, anche il Monterosso a partire dagli anni ’40-’50 del secolo scorso ha vissuto uno strano
destino: da un lato, è divenuto oggetto di intensi appetiti edilizi, che hanno a più riprese (dagli
anni ’50 agli anni ’90) costellato le sue falde più basse di ville e villette, in quello che è oggi un
continuum indistinto di abitazioni in risalita da Suna e Pallanza verso il monte; dall’altro, le
falde medie e alte si sono rapidamente inselvatichite e “rinaturalizzate”, inghiottendo gran
parte dei segni di una presenza umana antica di secoli (sentieri, percorsi vicinali, muri a secco,
terrazzamenti per le colture) e rendendo difficilmente accessibili e fruibili quegli stessi luoghi.
Eppure, nonostante la “cancellazione” della sua prima falda a causa di un’edificazione massiva
e la sostanziale estraneità con cui è guardato dai verbanesi, il Monterosso potrebbe ancora –
seppur parzialmente – essere reso vivo e attrattivo per i residenti e i villeggianti, in particolar
modo per i campeggiatori della piana del Toce. Un primo passo deve consistere nel recupero
effettivo e consapevole della rete di antichi sentieri ancora oggi esistenti. Recupero effettivo e
consapevole significa due cose: una campagna di manutenzione straordinaria dei percorsi e
un’attività pianificata e completa di tabellazione dei sentieri. Oggi appare adeguatamente
mantenuto e segnalato soltanto il sentiero del Buon Rimedio da Suna a Cavandone, mentre
risulta meno efficace la tabellazione/segnalazione – pur esistente - dei sentieri che da
Cavandone scendono a Bieno e a Fondotoce. Vi sono poi altri percorsi che versano in condizioni
manutentive peggiori: il sentiero dell’acquetta, che da via Toti/Pogiani sale al Pellegrino e a
Cavandone; il lungo e suggestivo sentiero Madonna di Campagna-Bieno, sul versante nord del
monte; il sentiero che dalla parte alta di Cavandone porta sino alla via al Monterosso; i tre
vecchi percorsi gippabili noti come “taglia fuochi”; il sentiero dei “ronchi”, una sorta di
“direttissima” Suna-Pellegrino; il sentiero della Bergamina; il grande e trascurato percorso
Cavandone-Bieno-Fondotoce-Mergozzo-Montorfano.
Sopravvivono poi qua e là dei tratti di sentieri – vicinali e comunali – che per qualche centinaio
d’anni consentivano a sunesi e pallanzesi di raggiungere i fondi di proprietà per curarvi le
colture agricole e l’allevamento di qualche capo di bestiame. Con il venir meno di questi usi, i
sentieri sono stati prima totalmente abbandonati e poi in più d’un caso interclusi e “assorbiti”
nelle proprietà che costeggiavano o attraversavano.
Sarebbe sommamente opportuno, prima che la memoria storica si perda del tutto, avviare una
grande azione di valorizzazione e recupero fondata sull’emersione di tutti i sentieri un tempo
esistenti; sulla manutenzione straordinaria una tantum di quelli ancora riconoscibili e di quelli
“riscoperti”; sulla segnalazione/tabellazione chiara e accessibile dei percorsi; sulla
pubblicazione di un opuscolo cartografico e illustrativo di tutti i sentieri; sulla divulgazione di
questa interessante e suggestiva opportunità di fruizione e riscoperta dei territorio tra i
residenti, nei campeggi e negli alberghi cittadini.
C’è, insomma, molto lavoro da fare. Ma non sarebbe certamente lavoro inutile.
A FUTURA MEMORIA, IL NOSTRO “MODELLO” DI OSPEDALE PROVINCIALE
Ormai tutto si confonde e la sanità ospedaliera del Vco procede a tappe forzate verso
l’abisso. Prima che tutto si compia, due-parole-due su quello che sarebbe stato – e
mai sarà - l’ospedale unico plurisede.
La vicenda dello ospedale di Verbossola (discutibile neologismo coniato dall’assessore regionale
Monferino dopo la memorabile cena al “Maestoso”) con l’autunno rischia di avvitarsi in una crisi
confusa e inestricabile. Prima che tutto si consumi in uno dei numerosi cupio dissolvi che
stanno caratterizzando questa fase della vita politica provinciale, drammaticamente
consegnata ai mandatari locali dell’assatanato che dichiara di fare “il Presidente del Consiglio a
tempo perso” e che “la patonza deve girare”, conviene dire - una volta per tutte e in
pochissime righe - qual è il modello di ospedale per il quale il Centrosinistra ha lavorato a
livello regionale, provinciale e comunale nel quadriennio 2005-2009.
Il nostro ospedale unico plurisede non si articola per Reparti/Divisioni, ma per Aree
Dipartimentali (Chirurgica, Medica, Materno-Infantile, Emergenza). Ciò significa che non si
ragiona per Reparti collocati in questo o in quello dei due ospedali “storici” di Verbania e Domo,
ma per prestazioni e servizi erogati da équipe specialistiche dipartimentali in entrambe le
strutture. A mo’ di esempio, un intervento chirurgico all’addome, alla vescica o all’occhio deve
poter essere eseguito in entrambi gli ospedali da un pool di operatori sanitari specializzati, che
al termine dell’operazione consegna il paziente alla convalescenza ospedaliera in base al livello
di intensità delle cure erogate. Questo modello si applica a gran parte delle prestazioni
sanitarie specialistiche proprie di un ospedale provinciale (fascia B), siano esse chirurgiche o
mediche, a degenza ordinaria o meno (day/week surgery). Se invece oggi al “Castelli” e a “San
Biagio” esistono nei fatti ancora due Chirurgie o due Medicine o (peggio ancora, vista la
presenza del COQ) due Ortopedie, vuol dire che il progetto di ospedale unico plurisede s’è
fermato in mezzo al guado e rischia di scomparire, con il risultato di far risorgere (e subito
morire) i due ospedaletti che abbiamo conosciuto sino a metà dello scorso decennio. E, con i
due “ospedaletti”, i masochistici e anacronistici scontri territoriali tra Ossola e Verbano.
Il “nostro” modello di ospedale unico plurisede non ha certo la pretesa di assicurare sempre e
tutte le prestazioni in entrambi gli ospedali. Vi sono infatti vincoli insuperabili che riguardano
la complessità delle attrezzature da utilizzare o la soglia minima di sicurezza da garantire che
impongono l’unicità fisica della sede di erogazione della prestazione. Ad esempio, i
trattamenti di radioterapia oncologica possono essere fruiti solo a Verbania, quelli di trombolisi
solo nella Stroke Unit del “San Biagio”, quelli di assistenza al parto nell’unico servizio di
Maternità che la nostra zona può permettersi in relazione alle sue caratteristiche demografiche.
Si conclude qui questo volutamente breve intervento. Lo consegniamo “a futura memoria”,
perché resti traccia del modello di sanità ospedaliera che nel 2005 abbiamo iniziato a costruire
e che ci sarebbe piaciuto portare a termine, nell’interesse di tutto il Vco. Era il “modello”
Bresso-Artesio-Ravaioli-Zanotti. Nel 2009-2010 il popolo sovrano ha consegnato le leve del
potere alla filiera Cota-Ferrero-Nobili-Zacchera: quel “modello” è stato incoscientemente
abbandonato, senza che nessuno dei demolitori abbia fatto almeno lo sforzo di comprenderlo.
E da un anno, al posto di quel “modello” solo confusione.
LA GRANDE ALLEANZA: MONTANI DI QUA, ZACCHERA DI LA’
Dieci giorni fa Zacchera lanciava l’allarme a difesa del “Castelli” contro la prospettiva
dell’ospedale provinciale a Domo. Oggi Montani seppellisce senza problemi il
“Castelli” come ospedale pubblico e si dice pronto a cederlo ai privati. Quando si dice
la sintonia!
“Mi sembra che Zacchera…parli senza sapere bene come stanno le cose…e che stia più che
altro combattendo una battaglia politica contro la Lega….Zacchera attacca in modo piuttosto
duro la Lega e lo fa in ogni occasione, in particolare sulla Sanità, visto che il commissario
dell’Asl è del Carroccio. Mi sembra che la discussione però in queste ultime settimane abbia
raggiunto un livello da asilo nido”. Quelle che avete letto non sono le parole di un trinariciuto
esponente del Centrosinistra, ma esprimono il giudizio politico che la Lega Nord in un’intervista
a Eco Risveglio dà dell’azione politico-amministrativa del sindaco di Verbania sulla questione
oggi di gran lunga più delicata per la città e l’intero Vco, cioè la sanità e il riordino degli
ospedali.
In un mondo normale, una giudizio così duro e definitivo (parla di cose che con conosce…
combatte contro la Lega Nord in ogni occasione…. la discussione su sanità e ospedali è da asilo
nido…) sulla figura del sindaco da parte del principale alleato avrebbe già prodotto le sue
naturali conseguenze: l’apertura di una crisi, la rottura della coalizione, le dimissioni e il ritorno
davanti agli elettori per una elementare e insopprimibile esigenza di chiarezza e di coerenza.
Ma poiché non siamo in un mondo normale, tutto ciò non accade e l’ormai bollita Giunta
PdL/Lega Nord continua a sopravvivere per impotente disperazione: Zacchera finge
pateticamente di non sentire l’orami quotidiano fuoco di fila di critiche al vetriolo che
provengono dall’alleato leghista e Montani si diverte a lasciare in vita un simulacro di Giunta
totalmente incapace di dire qualcosa di sensato sul problema più spinoso che la città sta
vivendo.
E siccome l’umiliazione inflitta a Zacchera deve essere completa, cosa fa il leghista Montani?
Propone la privatizzazione del “Castelli” nelle stesse ore in cui Zacchera cerca
disperatamente di difenderne il ruolo di ospedale pubblico; dichiara di essere indifferente alla
localizzazione al “Castelli” o al “S. Biagio” di emodinamica o del Dipartimento MaternoInfantile, proprio nelle ore in cui Zacchera indica nell’emodinamica la linea del Piave sulla
quale chiamare i verbanesi all’ultima resistenza; annuncia che “tutti i soggetti privati della
sanità dentro e fuori la nostra provincia sono interessati al Castelli…. E questa è la strada che
dobbiamo percorrere”, quando Zacchera ha appena fatto il diavolo a quattro per sostenere le
buone ragioni del “Castelli” come ospedale pubblico provinciale (plurisede o monosede non
l’ha capito neppure lui).
Questo è il livello al quale è sprofondata in due anni e mezzo la politica cittadina. Nient’altro
che la replica in sedicesimo dello stesso inguardabile spettacolo che Berlusconi, Bossi e
compagnia cantante ci stanno da mesi regalando sulla ribalta politica nazionale.
SIAMO AL DEBUTTO DELLA “DESTRA CULTURALE” VERBANESE?
Il “cambiaverbania” non vuole proprio farci mancare niente: sono ormai in pieno
svolgimento le “grandi manovre” per caratterizzare “a destra” la politica culturale
cittadina. E s’affaccia la destra di “Casa Pound”, quella dei “fascisti del Terzo
Millennio”.
Sembra finalmente prendere forma la “politica culturale” cittadina della Giunta PdL/Lega Nord.
E la “forma” pare evocare mese dopo mese le sorprendenti e inquietanti fattezze di “Casa
Pound”, il movimento che si è autodefinito dei “fascisti del Terzo Millennio”. Il debutto di Casa
Pound risale a oltre due anni fa, quando il movimento di estrema destra sostenne ufficialmente
la candidatura a sindaco di Zacchera, candidando nella lista del Popolo della Libertà un proprio
esponente. Fu quello un debutto politico-elettorale, neanche molto fortunato; oggi assistiamo
invece al debutto “culturale”.
Vediamo insieme qualche passaggio. Più di un anno fa, nel pieno della polemica sul tentativo
di militarizzazione politico-ideologica del Museo del Paesaggio, l’assessore provinciale Franzi
(da sempre uomo di Zacchera) sostiene l’elezione di Lorenzo Scandroglio nel Consiglio
Generale del Museo, presentandolo come persona di fiducia dell’Amministrazione Provinciale. I
soci del Museo non lo votano, eleggendo altri sei rappresentanti. All’inizio di quest’anno
Zacchera lo impone ugualmente nel Consiglio del Museo tra i membri di nomina sindacale.
E’ invece di una decina di giorni fa la notizia che il Comune di Verbania e la Provincia hanno
indicato Scandroglio come coordinatore del modesto prologo verbanese del Festival del
Racconto “P. Chiara” di Varese e Luino, le cui iniziative in sede locale sembrano un maldestro
tentativo di riproporre in sessantaquattresimo il modello del Festival di Letteraltura .
A proposito di Letteraltura, conviene ricordare che all’inizio di settembre si sono svolte le
elezioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo dell’Associazione. Lo spoglio dei voti rivela la
presenza di almeno una quarantina di schede “bloccate” su una cinquina di nomi. Ve
ne riproponiamo quattro (sul quinto Google non ci dice nulla) con qualche link di
accompagnamento per meglio comprendere “provenienze”, “convergenze” e “frequentazioni”
riconducibili a Casa Pound: Mattia Guadagni, Augusto Grandi, Davide Possetti, Lorenzo
Scandroglio.
http://www3.varesenews.it/economia/articolo_commenti.php?id=151658&start=3
http://www.torinononconforme.org/?p=2779
http://casapounditalia.org/index.php?view=details&id=208%3Averbania-conferenza-eaperitivo-futurista&option=com_eventlist&Itemid=101
http://www.anpi.it/inaccettabile-un-raduno-di-casapound-in-valle-daosta/
http://www.varesereport.it/2011/01/29/150%C2%B0-unita-casa-pound-celebra-la-notteverde/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=150%25c2%25b0-unita-casapound-celebra-la-notte-verde
http://www.ilgiornale.it/cultura/il_romanzo_nero_casapound_fa_boom_libreria/28-102010/articolo-id=483112-page=0-comments=1
http://it-it.facebook.com/note.php?note_id=250601784968934
Scandroglio prende 51 voti, contro i 99 dell’ultimo eletto. Straordinaria è stata in
quell’occasione la partecipazione dei soci (288 votanti), ma la cosa evidentemente non deve
essere stata gradita, se qualche giorno dopo Scandroglio scrive a “Eco Risveglio” che
Letteraltura è strumentalizzata dal Pd e che alle elezioni del Consiglio Direttivo hanno votato
consiglieri, segretari, portinai, dirigenti giovanili del Pd. Persino uno storico pilastro della storia
amministrativa verbanese, Giulio Cesare Rattazzi, è stato additato da Scandroglio alla
pubblica riprovazione, in quanto ha votato all'assemblea di Letteraltura essendo capogruppo
del Pd al Consiglio Comunale di Torino (tra l'altro è vicepresidente del Consiglio Comunale, non
capogruppo).
Prima il Museo del Paesaggio, poi le “cinquine bloccate” di Letteraltura, infine il prologo del
Festival del Racconto. Scandroglio sembra proprio essere la punta di diamante della politica
culturale della Destra verbanese, con buona pace (o sommo gaudio…) dell’assessore
Carazzoni. Non è entrato nel Consiglio Direttivo di Letteraltura e purtroppo lì Zacchera non può
nominarlo, come ha fatto invece per il Museo del Paesaggio.
Tutto bene, dunque, per la “Destra culturale” verbanese targata Zacchera-Franzi-Carazzoni?
Forse no. Sembra infatti che il Presidente della Provincia, Massimo Nobili, non sia sintonizzato
sulla stessa lunghezza d’onda e che, alla serata di apertura del Premio Chiara, dopo un vivace
scambio di battute sulla porta, abbia girato i tacchi e se ne sia andato. Che i vecchi
democristiani non vogliano più avere a che fare con i vecchi e i nuovi nostalgici?
AVANTI IL PROSSIMO! QUESTA VOLTA E’ IL CONI
Si allunga all’infinito la lista di associazioni, categorie e istituzioni cittadine costrette
a polemizzare pubblicamente con la Giunta Zacchera: un’ulteriore dimostrazione di
inadeguatezza a comprendere la complessità amministrativa della nostra città.
Dobbiamo questa settimana registrare una new entry nell’affollata platea di coloro che sono
stati costretti a scontrasi (cfr. http://www.verbaniasettanta.it/?p=2799) con la Giunta
PdL/Lega Nord. In questo scorcio d’estate abbiamo prima assistito alle feroci polemiche con la
squadra del Fondotoce-Ramate (cfr. http://www.verbaniasettanta.it/?p=3286) e poi a quelle
con i commercianti di via Guglielmazzi. Adesso è la volta del CONI provinciale, che ha
indirizzato al sindaco e ai giornali una lettera ufficiale di protesta per gli attacchi (gratuiti e
immotivati) di cui è stato fatto da parte degli amministratori comunali. Il casus belli è stato
ancora una volta la querelle con il Fondotoce-Ramate per l’utilizzo dei campi di calcio di
proprietà comunale. Dopo l’infuocata assemblea pubblica dello scorso 31 agosto, il Coni era
intervenuto proponendosi come mediatore tra Comune e Società sportiva per evitare che il
Fondotce-Ramate fosse costretto a “saltare” la prima partita del campionato di Promozione. La
Giunta, pressata dalle buone ragioni della Società, da una puntuale Interrogazione della
Minoranza e dall’intervento del Coni, ha dovuto immediatamente rimangiarsi le bellicose
intenzioni, ma a qualche consigliere comunale PdL la cosa proprio non è andata giù. E così,
pochi giorni dopo, è partito un attacco “a freddo” contro le supposte ingerenze del Coni nella
vicenda.
Con molta pacatezza e altrettante chiarezza il Presidente del Coni ha ricostruito la vicenda,
manifestando amarezza non solo per gli attacchi “politici” ricevuti, ma anche per la deliberata
volontà della Giunta di escludere il Coni da ogni incontro finalizzato alla soluzione del problema
del Fondotoce-Ramate: un atteggiamento totalmente incomprensibile, visto che – scrive il
Presidente – “in passato mi sono occupata della soluzione di altre controversie, con la
differenza che le precedenti Amministrazioni hanno accettato la mediazione del CONI,
ritenendola giusta e doverosa”. Superfluo ogni ulteriore commento.
IL VCO DEL FUTURO... (NON) C’È?
di Silvia MARCHIONINI
Siamo ormai un territorio sotto attacco, squassato da una crisi economica ed
occupazionale senza precedenti. Ma la politica e le istituzioni hanno rinunciato a
guidare le sorti della comunità.
Un nemico che viene da lontano sembra aver dichiarato guerra al nostro territorio: la sua
versione moderna son le aziende che chiudono, la disoccupazione giovanile, l’impoverimento
delle famiglie, le infrastrutture carenti, gli enti locali senza risorse, la percezione di aver perso
la speranza. “Se anche Cover Industrial (dopo Acetati, Bialetti, Tubor ecct) lascia a casa più
della metà dei suoi dipendenti allora...” La protesta in piazza, sui media locali, sui social
networks, sta diventando la forma per esprimere un profondo malessere che chiede risposta.
Se aggiungiamo, le continue polemiche (in particolare le divisioni, laceranti, sugli ospedali) la
stagnazione economica, e l’aumento delle tasse appena deciso, le complicazioni burocratiche,
abbiamo il senso di un territorio sfibrato, dove son assenti le misure di contrasto, il dibattito
sulle “cose da fare” per avviare la ripresa.
Non è certo la prima volta che questo comprensorio supera le difficoltà (senza andare ai tempi
eroici - così ci appaiono oggi! - del dopoguerra pensiamo alla fine dell’industrializzazione di tre
decenni fa) ma nuova è la rinuncia della politica a governare i processi, ad indicar le
possibili soluzioni ai cittadini; assistiamo ormai all’Imprevedibile. Un esempio su tutti:
approvato nei giorni scorsi dal Parlamento l’art. 16 nella manovra finanziaria bis che impone un
nuovo ente (!) l’unione dei comuni, per i Municipi sotto i 1000, privandoli dei servizi e dei
bilanci (alla faccia dell’autonomia!): che cosa si devono aspettare dalla Regione le comunità
locali di una provincia che è composta dai piccoli comuni ed è essa stessa, traballante? Quanti
aumenti per le famiglie deriveranno dai servizi pubblici (acqua, rifiuti…) se vengono
privatizzati, come prevede l’art 5 della stessa legge che ribalta l’esito del referendum di
maggio?
Serve unità e una guida condivisa in cui la politica (3 Parlamentari, Governo Regionale,
Provincia, Comuni) deve fare il proprio dovere e affrontare con responsabilità, la situazione
reale ponendosi alcuni obiettivi: 1) Attrarre nuove fasce di popolazione con attenzione ai
servizi (mezzi di trasporto) per professionisti e famiglie (“qualità della vita”); 2)Mettere a
reddito le nostre risorse ambientali, culturali, recuperare il patrimonio immobiliare; 3)
Semplificare i livelli decisionali per le piccole imprese, nel settore turistico; 4) Sostenere le
nuove aziende (“imprenditoria montana”), attraverso le buone pratiche amministrative con
fondi pubblici a favore dei giovani; 5) “Fare rete” con altri territori vicini (Lombardia, Svizzera,
Novarese etc.)
Il metodo per provare a realizzare concretamente le urgenze del Vco è quello del
coinvolgimento delle parti sociali e produttive, delle Fondazioni Bancarie, dandosi però tempi
certi e ruoli chiari, che non finiscano in estenuanti tavoli di lavoro. Nei periodi di crisi
emerge il carattere, la forza delle persone; offriamo ai cittadini la possibilità di essere
lealmente coinvolti in una sfida storica, costruire un futuro per Verbania.
ELOGIO DEL PROPORZIONALE
di Alessandro RISSO
Ecco il sistema elettorale dei miei sogni: un proporzionale articolato su piccoli collegi
provinciali o interprovinciali che eleggono 10/15 parlamentari. Niente recupero dei
“resti”, in modo da favorire i partiti di una certa consistenza elettorale (almeno il 710%), preferenza espressa dall’elettore, conoscenza del candidato, legame vero con
il territorio. In Spagna funziona e funzionerebbe anche in Italia.
Come molti di voi, ho firmato nei giorni scorsi la richiesta di referendum per abolire l’attuale,
abominevole legge elettorale (il “Porcellum” di Calderoli) e tornare al maggioritario
uninominale con quota proporzionale del 25% (il “Mattarellum”). L’obiettivo è quello di
migliorare l’attuale sistema, passando dal “pessimo” al “cattivo”. Non è un granché, ma è
sempre meglio dello sconcio al quale assistiamo oggi, con i parlamentari “nominati” dai partiti
su liste bloccate. Ma il sistema proporzionale “alla spagnola” che Alessandro Risso illustra in
quest’articolo sarebbe davvero la soluzione più equilibrata e razionale. La proponeva già Guido
Bodrato nel 1991 e nessuno l’ha ascoltato. Purtroppo accadrà la stessa cosa anche oggi, ma
questo articolo dimostra che un’alternativa al “pessimo” e al “cattivo” c’è. Leggetelo.
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Abbiamo verificato in questi anni il fallimento del bipolarismo all’italiana, nato dalla
presunzione di far indossare un abitino preconfezionato, magari in stile inglese o americano, al
complesso corpo elettorale del nostro Paese. Per inseguire il bipolarismo, che alcuni hanno
sperato si trasformasse in bipartitismo, siamo passati dalla decina di partiti che
rappresentavano le grandi “famiglie politiche” (democristiani, comunisti, socialisti, liberali ecc.)
ai trenta e passa che si sono coagulati intorno a leader nazionali o a “famiglie locali” (vedi ad
esempio i coniugi Mastella). La frammentazione del quadro politico – da non confondere con la
pluralità – rimane un male da evitare. Prendiamo però atto che la “seconda Repubblica”,
maggioritaria e bipolare, ha peggiorato il problema: più frammentata, più clientelare, più
scadente nella selezione della classe politica.
Scordiamoci poi che il bipolarismo abbia fallito per colpa dell’anomalia Berlusconi: è l’anomalia
Berlusconi ad esser stata favorita dal bipolarismo. Per uscire da questo fallimentare
bipolarismo – che tra l’altro ha ridotto la coesione politica e sociale del Paese – occorre
eliminare il sistema elettorale maggioritario, e non solo nella forma degenerata del
“porcellum”. Ho già avuto modo di argomentare queste tesi (vedi l’articolo “I guasti di
maggioritario e bipolarismo”, ndr) ed è ora di passare dalla critica alla proposta.
Avendo alle spalle una cultura politica ultracentenaria, per i Popolari non è difficile individuare
la rotta per una riforma solida e adeguata ai tempi. Basta riprendere il pensiero di Sturzo. Il
fondatore del Partito popolare sosteneva la superiorità morale del sistema proporzionale,
capace di “migliorare i nostri costumi politici, rendere meno facile la corruzione elettorale,
orientare il corpo degli elettori verso correnti di partito invece che verso interessi personali,
togliere in gran parte al deputato le pressioni dei favori personali che egli riversa a ritmo
continuo ai ministri amici per avere le solite letterine di melliflue promesse che si risolvono in
una vendita di fumo per gabbare e tenere quieto l’elettore; tanto di guadagnato per tutti quelli
che desiderano che il mandato politico non sia prostituito e ridotto al rango di una agenzia di
affari. (…) Con la rappresentanza proporzionale ogni cittadino sa di poter valere ancora qualche
cosa attraverso i partiti che rappresentano il programma di una collettività al di sopra di
interessi personali”.
Queste parole si commentano da sole e mantengono una sconcertante attualità. Capisco però
che non basti il “lo ha detto Sturzo” per auspicare un rapido ritorno al proporzionale. Si
possono allora aggiungere altre considerazioni. Ogni sistema elettorale determina in gran
misura il quadro politico di una nazione e condiziona pesantemente i rapporti tra partiti.
Bisogna scegliere il più adatto alle caratteristiche culturali, storiche e sociali di ogni territorio,
soppesando le due esigenze ineludibili della rappresentanza democratica e della governabilità.
Perciò in un Paese complesso e disomogeneo come l’Italia, il fatto di puntare su un sistema che
rappresenti ragionevolmente tale complessità – territoriale, sociale e politica – è la prima
garanzia
della
tenuta
democratica
e
della
coesione
sociale
della
nazione.
Qui già sento il solito ritornello dei dubbiosi: il proporzionale garantisce la rappresentanza ma
rende difficile la governabilità. Può essere vero per il proporzionale che abbiamo sperimentato
nella prima Repubblica, quello con grandi circoscrizioni elettorali – ad esempio Torino, Vercelli
(con Biella) e Novara (con il VCO) – e recupero nazionale dei resti. Con l’1% dei voti si
esprimevano deputati. E comunque questo sistema generava “solo” una decina di partiti.
Se pensiamo che siano troppi, si possono benissimo ridurre “naturalmente” con il
proporzionale. Basta definire circoscrizioni elettorali ridotte, a base provinciale o a
pluriprovinciale, dove eleggere non più di 10/15 parlamentari, senza recupero dei resti. Per
eleggere un deputato sarebbe quindi necessario un consenso significativo, intorno al 10% dei
voti nel caso di dieci candidati da eleggere, intorno al 7% se fossero una quindicina. Senza
bisogno di soglie di sbarramento si ottiene il risultato di evitare la dispersione dei voti su partiti
con limitato consenso. Così avviene in Spagna, dove si elegge una media di 7 deputati per ogni
circoscrizione (dai 35 di Madrid all’unico di Ceuta e Melilla) e la governabilità in 34 anni di
democrazia è sempre stata assicurata senza problemi in capo a uno dei due maggiori partiti.
Inoltre il sistema iberico ha permesso di assorbire nel sistema democratico agguerrite
formazioni locali, come quelle delle Province Basche. In Italia non avrebbero problemi a
mantenere la rappresentanza formazioni politiche con buon radicamento in un determinato
territorio (Union Valdotaine o Sud-tirolesi ad esempio, e la stessa Lega Nord nelle roccaforti
padane), mentre sarebbero ininfluenti le liste clientelari o farlocche.
Tutelati i partiti con significativo consenso locale, il proporzionale favorirebbe i partiti nazionali,
cioè portatori di una visione di governo e di istanze generali. Se nella prima Repubblica le
diverse proposte politiche erano molto condizionate dall’ideologia, oggi, in una società
globalizzata alle prese con la crisi, una piattaforma di governo – si spera sempre legata a
visioni ideali – dovrà sempre più esplicitarsi in un programma di punti concreti e pragmatici.
Anche in questo ci sarebbe un miglioramento rispetto all’attuale bipolarismo. Da vent’anni gli
Italiani votano “contro”: contro Berlusconi e la sua corte, oppure contro i “comunisti” che
“vogliono mettere le mani nelle tasche dei cittadini”. I problemi concreti e le ricette di
soluzione sono stati secondari, nella foga di ottenere quel voto in più che permetteva di
prendere tutto. Il maggioritario e il bipolarismo all’italiana hanno quindi esaltato gli estremisti,
indispensabili per vincere contro il “nemico”, e mortificato il confronto programmatico, fuori e
dentro il Parlamento. Il proporzionale comporta il dialogo, la ricerca dell’intesa. Non spacca il
quadro politico ma tende ad unire. È più allineato ai nostri principi costituzionali, che mirano a
un sistema condiviso. La logica della “maggioranza pigliatutto”, unita al presidenzialismo
strisciante indotto dal leader mediatico, ha logorato in questi anni la nostra democrazia.
Scalfaro, Ciampi e Napolitano hanno fatto del loro meglio per difenderla, ma i guasti ci sono.
L’esigenza di ricostruire il tessuto di valori condivisi, indispensabile per affrontare gli anni
difficili che ci attendono, fa certamente preferire il più “moderato” proporzionale
all’“esasperato” maggioritario. La politica, quella vera, ha bisogno del dialogo e del confronto
tra le persone e le forze politiche più ragionevoli, specie in congiunture difficili come quella che
stiamo vivendo.
Infine un’opinione sulla scelta degli eletti. Deve ritornare ai cittadini, e l’unico strumento
possibile è quello della preferenza, anzi, delle preferenze multiple (sull'argomento vedi il
precedente articolo “I guasti della preferenza unica”, ndr). Proprio il ritorno alle preferenze è
uno spauracchio agitato dai sostenitori del maggioritario. La preferenza comporterebbe spese
folli per “farsi conoscere” o, peggio, per “comprare voti”, aprendo anche la porta a
inquinamenti di tipo mafioso. Non pare che questi rischi siano stati eliminati con il
maggioritario, dove i candidati nei collegi uninominali sorridono a tutti coloro che possono
portare il voto necessario a vincere, senza preoccuparsi più di tanto della qualità o della
limpidezza del voto. Né il Parlamento degli eletti con l’uninominale né tanto meno il Parlamento
dei “nominati” si sono dimostrati più validi dei Parlamenti degli eletti a preferenza. Il numero
dei parlamentari inquisiti è notoriamente superiore nella seconda Repubblica rispetto alla
prima. Noto poi con stupore che spesso i nemici della preferenza, fautori del collegio
uninominale, sono anche sostenitori delle primarie. Come se le primarie non fossero una corsa
alla preferenza, con spese e rischi clientelari conseguenti…
Di certo non sono ammissibili né spiegabili campagne elettorali da centinaia di migliaia di euro.
E neppure da decine di migliaia… Come limitarne le spese, che comportano inevitabilmente
delle opacità? Già le circoscrizioni ridotte all’ambito provinciale sarebbero più facilmente
gestibili e meno dispendiose. Si potrebbero poi prevedere obblighi di trasparenza per tutte le
spese sostenute, che rappresenterebbero già un bell’incentivo al loro contenimento.
In questi giorni si stanno raccogliendo le firme per un referendum che, abrogando le peggiori
norme del “porcellum”, ci possa riportare al “mattarellum”. Si migliora, passando dal “pessimo”
al “cattivo”. Sarebbe però il caso di avviare una forte iniziativa politica per un ritorno al
sistema proporzionale, più rispondente alla complessità italiana, più idoneo a costruire intese
di governo e a selezionare la classe dirigente del Paese.
Questa comunicazione elettronica, che si potrebbe pomposamente chiamare "newsletter", ha lo scopo di
dare continuità ad un lavoro di informazione e controinformazione su problematiche di natura socioeconomica, politica e amministrativa di Verbania. Essa nasce dal lavoro politicoamministrativo sviluppato all'interno del Consiglio Comunale, delle realtà associative e dei luoghi
di aggregazione della nostra città. La testata richiama il settantesimo compleanno del Comune di
Verbania, che abbiamo insieme celebrato nell’aprile del 2009: l'anniversario decennale costituisce
sempre una tappa importante per riflettere sulle ragioni fondative e sull'identità di una realtà come la
nostra, di antica formazione comunitaria ma di recente costituzione amministrativa. La passione che ci
anima è antica e ben riconoscibile nella storia delle correnti ideali e politiche che hanno fatto crescere
Verbania in questi sessantaquattro anni di libertà e di democrazia
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