Arianna Drudi PRANOTERAPIA: UN'INDAGINE ANTROPOLOGICA LA RIPROGRAMMAZIONE EDITRICE Roma 2012 PRESENTAZIONE Questa indagine antropologica, parte di una ricerca più ampia condotta da Arianna Drudi, rende merito ad una disciplina antica e intrinseca alla nostra cultura popolare della cura tramite l'imposizione delle mani. Le interviste ai guaritori sono condotte con estremo rispetto, e tuttavia non mancano di stimolare in essi con domande appropriate l'induzione a rispondere in modo non scontato sulla loro arte terapeutica. Nel far ciò Arianna sembra seguire le orme di Ernesto De Martino e del compianto Emilio Servadio, maestri nell'esplorare con acume di quello che allora si chiamava il mondo magico e parapsicologico. Arianna tuttavia non si limita ad essere osservatrice, per quanto attenta ed acuta. Si spende in prima persona, portando in questo lavoro la sua dote culturale, e soprattutto la sua scelta di ideale verso le cosiddette medicine alternative, oggi più propriamente definite "pratiche naturali della salute". Il lavoro perciò è il primo di una serie di contributi a queste discipline che i docenti e gli ex-allievi dell'Accademia Per La Riprogrammazione intendono portare, per mantenere alta l'attenzione verso di esse, qualificata da una riflessione che rifugge dalle affermazioni scontate e non ragionate e che intende integrare le prospettiva umanistica con quella scientifica. Mario Papadia INTRODUZIONE Negli ultimi anni si sta assistendo a una sempre maggiore diffusione di pratiche mediche di sostegno alla salute differenti rispetto alla medicina occidentale o biomedicina, le quali interessano un pubblico sempre più vasto e differenziato e occupano una fetta crescente del mercato sanitario. Parallelamente, si diffondono concezioni culturali che fanno da sfondo a tali pratiche, per le quali si aprono nuove forme e canali di legittimazione, non più residuali e sotterranei. Sta mutando il loro rapporto con la medicina ufficiale, la quale mantiene nel sentire comune un’indiscussa autorità; tuttavia, spesso le opzioni alternative ne mettono in risalto i punti deboli, producendo vari gradi di intreccio e compenetrazione: da un lato, è assai comune per i pazienti servirsi di più risorse terapeutiche, dall’altro non è raro che i terapeuti stessi cerchino diverse forme di integrazione. Possiamo perciò affermare che, se in teoria la biomedicina sembra incompatibile con le medicine cosiddette “alternative”(o non convenzionali), nella pratica quotidiana queste ultime si stanno guadagnando un certo spazio e un implicito riconoscimento. Questa situazione ci porta a riconsiderare la tendenza a interpretare la diversità di saperi e pratiche mediche, terapeutiche e di sostegno alla salute in termini di opposizione tra tradizione e modernità, magia e scienza, arretratezza e progresso, efficacia simbolica ed efficacia reale. Infatti, la diversità culturale sul piano medico non è polarizzata – come sembrava emergere dai lavori di De Martino - sui due grandi estremi della scienza e della tradizione, della ragione e della superstizione, in quanto non siamo più di fronte all’alternativa tra una esclusiva adesione alla razionalità scientifica da una parte e alla “miseria culturale” dall’altra (Dei, 2009, pag. 3). Oggi ci troviamo dinnanzi a una grande varietà di risorse interpretative e terapeutiche, sostenute da fonti differenti di autorità, alle quali attingono i pazienti facendo scelte secondo criteri che non sono di coerenza epistemologica ma di razionalità pratica. Tali scelte risentono dell’identità sociale di chi le compie e ad essere rilevanti in questo senso sono molteplici fattori, che non riguardano solamente l’appartenenza di classe: incidono l’età, il sesso, l’appartenenza geografica, l’orientamento ideologico, il livello d’istruzione. Tra le pratiche terapeutiche non mediche e non convenzionali - termine che si è oramai affermato per definire quest’ampia gamma di saperi e pratiche differenti per principi e tecniche curative dalla biomedicina - merita particolare attenzione la pranoterapia. Essa è tradizionalmente definita come l’arte di curare attraverso l’energia trasmessa o incanalata mediante il corpo del terapeuta, nello specifico dalle sue mani. Tuttavia questa parola è utilizzata in modo vago, in quanto raggruppa tutti coloro che operano per mezzo di “energie”, nel contatto diretto col corpo del paziente, senza alcun supporto tecnico. Inoltre, il termine “pranoterapia” non fa riferimento a una scuola o a un metodo particolare, poiché in merito alle tecniche e al funzionamento di tale pratica esistono varie teorie, non coerenti tra di loro e non compattabili. Di certo questo tipo di cura rappresenta una forma di continuità con le terapie magico-religiose della medicina popolare, introducendo elementi “tradizionali” nel panorama delle medicine non convenzionali. D’altra parte, la stessa pratica della guarigione tradizionale si trasforma in virtù dei processi di ibridazione con elementi di svariata natura e può cercare nuovi paritari rapporti con la medicina ufficiale. All’interno dell’orizzonte di riferimento tardo-moderno, la pranoterapia si presenta come una pratica curativa in cui si intrecciano saperi medici e scientifici che caratterizzano la modernità (Dei,2009, pag. 5). Dal punto di vista culturale, la pranoterapia incorpora alcuni elementi della concezione non ufficiale del corpo, della salute e della malattia - come la nozione di energia, la contrapposizione tra energia negativa e positiva, la responsabilità morale della malattia. Questi elementi da un lato devono confrontarsi con le nozioni ufficiali della biomedicina e dall’altro col tema, tipico dell’antropologia, dell’efficacia simbolica. La ricerca che segue è un tentativo, seppur modesto, di elaborare una riflessione sullo statuto della pranoterapia nella società odierna, individuandone le caratteristiche che la collegano tanto alla medicina popolare tradizionale quanto alla medicina ufficiale, della quale, in alcuni casi, si sforza di assumere il linguaggio e le nozioni anatomiche. D’altra parte, oggi la pranoterapia si combina frequentemente con altri tipi di medicine non convenzionali e sempre più spesso i terapeuti si sforzano di arricchire la propria prestazione aprendosi ad ulteriori discipline, spesso di consolidata tradizione come la Medicina Tradizionale Cinese. È soprattutto la naturopatia, come nuova professione socio-sanitaria di supporto alla biomedicina, che ben si presta a tale confluenza, in quanto si propone come disciplina sintetica nell’ambito delle medicine non convenzionali e fa uso di metodiche naturali ed energetiche: vi appartengono la prescrizione di rimedi tratti dal mondo vegetale e minerale, le tecniche di manipolazione dolce del corpo, l’uso di strumentazioni bioelettroniche non invasive. Al di là di questo, se volessimo cercare una spiegazione del perché la pranoterapia funzioni e abbia effetti positivi sulle persone, potremmo ricorrere alla scienza. Il concetto di “energia” è adoperato in vari contesti, tanto da essere diventato un vocabolo universale che viene impiegato acriticamente e con troppa facilità. Ciò storicamente è comprensibile se si pensa che l’approccio alla “medicina energetica” si è sviluppato parallelamente alla formulazione dei concetti meccanicistici tipici della scienza. Nell’ottica tradizionale, l’energia è vista come una sorta di “cosa”, vale a dire una qualche sostanza che scorre nell’organismo, similmente al flusso sanguigno, in grado di essere trasferita da un corpo all’altro durante un trattamento. Andando indietro nel tempo, è possibile constatare come quest’idea abbia radici antiche, le quali affondano nel mondo “primitivo”, quando si riteneva che alla base di ogni manifestazione vivente, come principio d’origine, vi fosse una forza magica: è il “mana” di molte tradizioni arcaiche, traducibile in vari modi: forza fisica, potere magico, fertilità, influsso, spirito, divinità. Sebbene la fisica abbia in seguito arricchito il termine in questione di altri e differenti significati, come quello di “campo” o “lavoro” i quali rimandano al dinamismo, esso non si è ancora del tutto liberato dalla valenza primigenia, che identifica l’energia in una quantità, una “cosa” appunto. Secondo la visione scientifica odierna, invece, l’energia è più propriamente un flusso, una misura di attività, un ritmo, una vibrazione, un campo. La nuova concezione del vocabolo rimanda quindi in modo metaforico a un modello dinamico di auto-organizzazione e può essere utilizzato anche per spiegare l’evoluzione. Infatti, in natura ogni sistema biologico è un apparato termodinamico aperto, che continuamente scambia energia e informazioni con gli altri esseri viventi. Le specie che risiedono in un ecosistema co-evolvono, in quanto si influenzano reciprocamente. Ciò è dovuto a due fattori: lo sfruttamento mutualistico o competitivo dello stesso tipo di risorse energetiche ambientali da parte degli organismi residenti e l’interferenza tra i loro campi (Papadia, 2010, pag.28). Tra le forme di emanazione energetica creatrici di campo – termica, meccanica, chimica, ecc. – la principale è l’elettromagnetica. Del resto, la biosfera si è evoluta in un ambiente elettromagnetico ed emette continuamente una radiazione bioelettromagnetica. La ragione di ciò sta nel fatto che la materia vivente è composta in grande percentuale da acqua, un mezzo capace di supportare il metabolismo, cioè un’attività consistente in produzione e consumo di energia, dalla quale conseguono campi elettromagnetici endogeni (Papadia, 2002, pag.20). Per questo motivo i sistemi viventi sono in grado di interpretare le informazioni elettromagnetiche di debole potenza. Pertanto, oggi la teoria più diffusa per dar ragione del funzionamento della pranoterapia è quella bioelettromagnetica, per la quale il guaritore è visto come una figura dotata di un campo di elettromagnetismo di potenza maggiore della norma, grazie a cui è in grado di influenzare il corrispettivo campo altrui, causando in esso modificazioni (ecco il perché di termini tipo “bioradiazione” o “flusso-terapia”). Sappiamo che in fisica l’interazione elettromagnetica (scambio di energia) tra due entità fisiche dotate di carica elettrica (particelle con polarità positiva o negativa) è causata da forze elettromagnetiche, nel rispetto del principio di “azione a distanza”. Ciò implica che il transfert energetico viene mediato da una terza entità, vale a dire il fotone, la cui massa è pari a zero, il cui raggio d’azione interattivo è infinito e la cui energia è proporzionale alla frequenza del campo elettromagnetico. Le radiazioni elettromagnetiche hanno spettri differenti solo in base alla frequenza e all’intensità ma mantengono la medesima natura fisica. Anche in biologia queste considerazioni sono di primaria importanza perché i meccanismi vitali operano attraverso diversi tipi di reazioni elettriche. Per questo, anche se in maniera parziale, si può dire che il mondo vivente si presenta come aggregato elettricamente attivo e suscettibile all’influenza dell’energia elettromagnetica esterna. Lo stato vitale permane fino a quando è rispettato il rapporto qualitativo e quantitativo tra condizioni elettromagnetiche e stato elettrico interno di un organismo. Accanto ai sistemi anatomici e fisiologici corporei, esistono campi elettromagnetici causati dall'attività di ogni cellula del corpo, i quali vanno a costituire il campo biomagnetico umano. Quest’ultimo dirige, coordina e sincronizza il funzionamento dei vari sistemi fisici, mettendo in collegamento i vari processi biochimici dell'organismo. In sintesi, l’organismo, questo splendido biosistema, può essere concepito quale insieme di fenomeni energetici, di strutture biochimiche attive elettricamente (es. peptidi), di particelle dotate di carica (ad esempio, un flusso di elettroni è in continuo movimento e determina correnti vettoriali di campi elettromagnetici). Alla luce della recente scoperta dei “biofotoni”, l’indagine del biosistema e delle sue interazioni può dunque essere condotta secondo i principi dell’elettromagnetismo, con conseguente presa in prestito del linguaggio di fisica e biologia. In tal senso, due modelli concettuali mutuati da queste scienze sembrano particolarmente utili: il “campo interattivo” e “l’energia elettromagnetica”. Il primo, infatti, riesce a spiegare il verificarsi dell’azione a distanza, tipica dell’imposizione delle mani senza contatto tra operatore e paziente; il secondo dà ragione alla domanda di causa-effetto su cosa produca la guarigione. Tuttavia, non ogni radiazione elettromagnetica è connessa a un effetto biologico o, comunque, non è sempre detto che tale risultato sia terapeutico. È infatti il pranoterapeuta che può dar vita a interazioni biologicamente significative e dall’esito curativo con l’organismo umano. L’autentico problema dell’ipotesi elettromagnetica ha dunque qui le sue radici: dove sta la chiave che permette alla radiazione bioelettromagnetica di una persona di penetrare con esito positivo nel microambiente elettrochimico cellulare dell’organismo altrui? A quale livello del vivente appartiene? La risposta a tali quesiti risulta difficile perché nell’atto terapeutico interagiscono due soggettività eterogenee con i loro organismi, le cui leggi sconfinano ben al di là di quelle che regolano le strutture cellulari. La materia vivente di cui è costituito un organismo, infatti, evolve verso un ordine crescente fino a sfociare in un sistema omogeneo e gerarchizzato che possiede una maggiore complessità rispetto alla singola cellula, per la quale le leggi predominanti rimangono quelle della fisica e della chimica. Nel sistema biologico prendono vita nuove variabili in un diverso ordine di grandezze: non è solo la questione della spazialità a entrare in gioco, ma altresì il fattore di evoluzione temporale. La massima espressione di questo fatto è lo psichismo dell’uomo, capace persino di alterare le leggi chimiche del corpo. Forse una risposta è data dal funzionamento del cervello. La percezione con le mani del campo biomagnetico del paziente da parte del pranoterapeuta ne informa il cervello, attraverso la sua area sensomotoria, di quali siano le aree sottoposte a distorsioni biomagnetiche alle quali l’operatore si adeguerà con il suo campo. Il cervello, infatti, non solo determina la conformazione dello stato di coscienza del terapeuta, ma interviene anche nel modularne il campo complessivamente. Questi è la risultante del complesso sistema vivente che egli è, cioè un particolare equilibrio di un sistema psico-neuro-endocrino-immunologico. L’uomo è ben più che un agglomerato di cellule dotato di una psiche, quindi la soggettività non può essere esclusa dall’atto terapeutico, anzi è proprio il legame con l’esperienza internazionale degli attori coinvolti in esso che dà ragione del suo esito. L’aspetto umanistico della questione sta nel fatto che non è sufficiente garantire l’aspetto quantitativo dell’influsso bioelettromagnetico per determinare una guarigione. Il criterio di “oggettività forte” si interessa unicamente di ciò che è misurabile (ampiezza, frequenza, ecc.) ma tralascia un fattore decisivo: la qualità dell’interazione terapeutica, definibile sulla base di una “oggettività debole” (Papadia, 2002, pag. 83). In base ad essa, la validità di un dato fenomeno rimane intrinsecamente legata all’esperienza dei soggetti che la vivono: è inter-soggettiva, riguarda dunque la relazione particolare che si instaura tra due persone, dipendente da ambedue. Il meccanismo del processo psicosomatico si può pertanto collocare nell’ambito della ricerca di una “oggettività debole”. L’uomo è un’unità di corpo, psiche ed emozioni: ogni contenuto mentale, ogni moto dell’animo sono traducibili in un cambiamento fisico e viceversa. E’ impossibile considerare questi livelli dei compartimenti stagni, come del resto dimostrano le più recenti scoperte mediche nell’ambito della psico-neuro-endocrino-immunologia. Mediante l’ipotalamo, infatti, le emozioni vengono convertite in un momento organico: questa struttura cerebrale, provvista di un’entrata neurologica da cui riceve le afferenze provenienti da vari organi, è direttamente sensibile ai mutamenti dell’ambiente interno al corpo e possiede, inoltre, la possibilità di agire sull’intero organismo grazie ai legami col Sistema Endocrino e col Sistema Nervoso Periferico (Simpatico e Parasimpatico). Perciò ogni variazione di stato d’animo ha come conseguenza un’alterazione dello stato interno poiché nel flusso sanguigno vengono liberati ormoni specifici, collegati con singole emozioni. In una nuova prospettiva scientifica, inoltre, risulta assai più complesso definire ciò che si intende per “reale” poiché la netta divisione tra verità esterna oggettiva (esistente al di fuori del soggetto e indipendente da esso) e falsità soggettiva vede ora sfumare i suoi contorni. Su larga scala, lo stesso modello di cosmo-macchina, nel quale coesistono oggetti separati e indipendenti dall’osservatore, lascia ora il posto alla visione di universo come network, una rete unica e indivisibile di relazioni ed eventi in cui i vari soggetti sono implicati a livello profondo e complesso. In pranoterapia, considerare l’importanza dell’asse psico-neuro-endocrino-immunologico (PNEI) vuol dire mettere in primo piano l’esperienza dei soggetti che interagiscono, proprio perché la soggettività non può essere esclusa dall’atto terapeutico. L’aspetto umanistico di questa considerazione emerge quando non si considera sufficiente la quantità dell’impulso biolettromagnetico per determinare la guarigione: mentre l’oggettività forte valuta solo ciò che è misurabile, l’oggettività debole accoglie nel proprio seno anche l’elemento qualitativo, dal momento che essa si incardina sull’esperienza intersoggettiva degli individui che vivono e osservano il fenomeno (Papadia, 2002, pag.84-85). L’azione della pranoterapia si inserisce entro questi meccanismi, tanto più se si considera il veicolo che la caratterizza, cioè il tocco lieve. Veicolo arcaico, quest’ultimo opera in maniera epidermica sul corpo, laddove la pelle stessa è un mezzo strettamente collegato alle emozioni (non a caso è spesso sede di malattie psicosomatiche), alla comunicazione inconscia, alle prime fasi di vita nelle quali il neonato scambia informazioni col mondo proprio attraverso sensazioni tattili. In questo senso, l'atto del curare con l'imposizione delle mani possiede una struttura antropologica ed è prima di tutto una situazione umana, primaria, in cui il gesto rassicurante del toccare stabilisce una comunicazione non verbale tra due soggetti complessi. Il gesto rassicurante, quindi biologicamente efficace, risponde all’angoscia della malattia con un modello “primitivo” di rapporto, interpersonalmente ravvicinato ma non invasivo, grazie al quale l’operatore può attivare un feeling antico tra sé e il paziente e usare in modo particolarmente efficace i fenomeni elettrofisiologici che si pongono in funzione, destando il potenziale autoimmunitario e auto-terapeutico dell’altro. Il gesto del tocco terapeutico, le circostanze in cui la cura si svolge, la dimensione psichica nella quale si verifica potrebbero essere il principio di partenza per una comprensione più approfondita della pranoterapia. Bateson ci insegna che la relazione dovrebbe essere considerata la base per ogni definizione, anche in biologia. Ogni organismo, infatti, si compone di relazioni e non di singole unità giustapposte; laddove c’è vita, è opportuno passare dalla considerazione delle parti allo studio del tutto. Una delle idee primarie di Bateson è che la struttura della natura riflette quella della mente e viceversa. Ciò significa che le strutture biologiche devono essere spiegate ritrovando in esse un discorso globale organizzato: ogni creatura può essere guardata solo nella sua totalità (Bateson, 1974). Per Bateson, la stessa idea di uomo come essere dotato di due principi separati e diversificati – il corpo e l’anima – può nascere unicamente in un contesto non strutturale. Se guardiamo alla pranoterapia nell’ottica di Bateson, essa ci appare come una struttura vitale mossa da una legge sua propria, la quale non è la risultante della somma di leggi parziali, ad esempio di ordine biologico, fisico e psicosomatico. La pranoterapia funziona perché è una struttura terapeutica creata appositamente per uno scopo dall’essere umano ed è prima di tutto una situazione umana che risponde alla domanda biologica, dettata dall’angoscia di malattia, con gesti rituali rassicuranti e, perciò, biologicamente efficaci (Papadia, 2002, pag.99). Non a caso il fattore determinante si gioca nel rapporto tra terapeuta (soggetto biologico complesso) e paziente (oggetto biologico complesso), entrambi inseriti in dinamiche di gruppo (ambiente interattivo). CAPITOLO I MEDICINA, PRANOTERAPIA E MEDICINE “ALTRE” La medicina, come le altre scienze sue sorelle, si fonda su un sistema di conoscenze oggettive. Nell’osservazione diretta dei pazienti, la malattia è l’oggetto privilegiato, un corpo artificiale il campo di osservazione. Artificiale perché assunto per l’indagine, ma non soggetto di esperienza malata. Scrive Franca Basaglia: La conoscenza della malattia è vera solo se oggettiva, verificabile e definibile; solo se possiede queste caratteristiche può essere trasmessa. Ma perché la trasmissione della conoscenza sia possibile, l’oggetto analizzato dovrà essere l’esatta immagine del “corpo scientifico” fabbricato, alle cui misure dovrà aderire per rendere obbiettiva e sicura la diagnosi clinica. Il modo soggettivo di vivere la malattia, i legami che questa presenta con il mondo di cui il soggetto fa parte non possono interferire con questa operazione matematica in cui ogni sintomo o segno deve corrispondere a un quadro nosografico preciso1. Nella ricerca scientifica si procede all’oggettivazione dei dati, dei sintomi, dei corpi e nell’espropriazione della soggettività. In questi anni stiamo assistendo alla vasta formazione di una letteratura di analisi critica, denuncia, smitizzazione della medicina in quanto sapere e in quanto organizzazione sanitaria. In particolare, si insiste sui legami impliciti con l’ideologia dominante, i caratteri di classe, lo scopo precipuo di reintegrazione del malato nel ciclo produttivo, l’occultamento delle radici sociali del malessere. La cura ufficiale implica l’accettazione di una logica, la quale fornisce unicamente cause individualizzate. Il malato può scaricare la sua ansia sul motivo propostogli, sul cattivo funzionamento di un organo. Isolare il sintomo e la parte del corpo corrispondente serve a fornire significato a un dolore che prima ne era sprovvisto. Ciò corrisponde a una specifica realtà fisica, ma non all’uomo reale. Il medicamento ha efficacia, la sofferenza è rimossa, tuttavia il soggetto non ha ricomposto se stesso. L’espropriazione della soggettività che avviene in medicina e nella psichiatria trova nella magia possibilità di reintegrazione. Infatti questa, come le prime due è un sistema di oggettivazione della realtà ma molto più debole e in grado quindi di ridurre lo scarto tra la soggettività malata e il male 2. Il ricorso alla magia non diminuisce con l’aumento della “medicalizzazione” della società, come postulava la teoria evoluzionistica, bensì si diffonde in proporzione alla stanchezza che il rifiuto medico della soggettività produce nel corpo collettivo. La nuova magia non si pone come unico sistema di protezione, come poteva e doveva la magia contadina, bensì necessita una presa di coscienza nei confronti del modello ufficiale, il quale rimane quello dominante. Trovandosi a gareggiare con una scienza che non possiede solo potere teorico, ma anche una organizzazione ramificata e un consenso largo e istituzionalizzato, essa dispone le proprie armi su un ampio fronte di lotta. In situazioni di rapporto ancora stretto col sistema arcaico, la nuova magia può derivare da una «negazione da assenza»3 della medicina presso ceti sociali disgregati e devianti; oppure, con una enfatizzazione di conoscenze mediche eterodosse, antiche, non occidentali o rifiutate dal pensiero dominante, può provenire da una «negazione da rifiuto»4 della corrente ufficiale. In prevalenza la nuova magia ammicca a quest’ultimo tipo di critica, sfruttando incongruenze e fallimenti delle istituzioni ma senza mai rifiutarle del tutto, bensì imitandone alcune modalità. Paradossalmente, le ragioni del successo della nuova magia, nei margini che l’insufficienza della medicina apre, sta proprio nella sua impossibilità a riferirsi a una malattia oggettiva, per l’ovvia assenza di conoscenza scientifica. Il paziente “difficile” escluso dalla pratica clinica, quello deluso dalla metodologie spersonalizzanti, il malato che ha subito interventi chirurgici senza risultato, colui che viene definito “incurabile”, tutti costoro trovano aperta la porta del mago-guaritore, umano il suo rapporto, onnicomprensiva la sua terapia. Il mago non si limiterà a misurare in astratti 1 F. Basaglia Ongaro, Clinica, in Enciclopedia, pag.223, cit., vol. III, 1978 P. Apolito, Lettere al mago, pag.28, Napoli, Liguori editore, 1980 3 Ibidem: pag.28 4 Ibidem: pag.28 2 parametri i sintomi del male, ma parlerà un linguaggio comune; non liquiderà l’ascoltatore con una ricetta frettolosa ed estranea; si interesserà all’esistenza totale di chi a lui si rivolge. Il guaritore usa i parametri del buon senso e pronuncia parole non formalizzate, dense di emotività; non ha medicine dai poteri sconosciuti da proporre, al più fornisce erbe o polveri prive di controindicazioni aggravanti. Egli circonda di attenzioni la vita del cliente e non solo l’organo malato del corpo, si cura di comprendere la logica dell’esperienza di chi gli sta dinnanzi: anche se, a volte, tende a conservare un’aura di mistero intorno a sé, in fondo fa capire di essere uno qualunque, sullo stesso piano del cliente. Le terapie utilizzate sono varie: dall’imposizione delle mani a una generica rassicurazione, dalla promessa di invio dei fluidi magnetici a semplici consigli. La chiave di lettura sta nella considerazione di un soggetto reale e presente e spesso la scelta del mezzo tecnico da utilizzare dipende dall’immagine che il mago si fa del cliente, dei bisogni, delle aspettative. La nuova magia, infine, sfrutta i consensi che le conoscenze e le pratiche mediche eterodosse possono trovare ai livelli della corrente ufficiale. Se, ad esempio, l’agopuntura penetra negli ospedali, ciò viene spiegato come primo passo di un’accettazione che non può mancare anche nei confronti delle altre forme di terapia che hanno o avevano in comune con la prima l’esclusione dalla legittimazione ufficiale. Inoltre, la non istituzionalizzazione delle medicine alternative consente a chiunque di improvvisarsi terapeuta, senza che vi sia alcun controllo del sapere e del fare effettivo. Qui nasce in sostanza un campo al confine tra nuova magia e medicina, nel quale sono possibili numerosi e vari sincretismi. La medicina stessa ha spesso efficace magico-simboliche più che tecniche: si pensi al cosiddetto “effetto placebo”. A tal proposito, Frank afferma : Sembra che la capacità di rispondere positivamente a un placebo sia segno non tanto di eccessiva credulità, quanto di una facilità ad accettare gli altri nei loro ruoli socialmente definiti. In tali guarigioni, dunque, sono implicati almeno due fattori: la suggestione e il sostegno sociale5. Si può fare un paragone con la triade che per Mauss, De Martino, Lévi-Strauss è al fondamento dell’efficacia magica : «Credenza dello stregone nell’efficacia delle sue tecniche; poi quella del malato curato… nel potere dello stregone stesso; infine, la fiducia e le esigenze dell’opinione collettiva che formano a ogni istante una specie di campo di gravitazione in seno al quale si definiscono e si collocano le relazioni fra lo stregone e quelli da lui stregati»6. La medicina, in gran parte, funziona nella stessa maniera di qualunque corpus di tecniche e conoscenze magiche. Se la magia è un sistema riduttivo, perché non ha la possibilità di accrescere la conoscenza sui meccanismi fisio-patologici dell’organismo umano, anche la medicina lo è, dal momento che non conosce altro che un modello di corpo artificiale e, se ha la possibilità di accumulare e trasmettere le conoscenze, non denota necessariamente una maggiore efficacia. La diffusione di maghi e guaritori è direttamente proporzionale alla frustrazione, alla insufficienza, alla sfiducia generata dall’istituzione. Costoro sono agenti di un rapporto terapeutico che ha la sua validità, poiché non potrebbe reggersi se non sul consensus collettivo mediato dai mass media. Il medico e il mago ricevono la loro legittimità operativa da un gruppo sociale. Il loro rapporto con la clientela è basato sulla fiducia, quindi su una credenza a priori. La verifica a posteriori può riguardare la scelta dell’uno o dell’altro medico (o mago), non la medicina in sé. Questa, al 5 6 P. K. Bock, Antropologia culturale moderna, pag.318, Torino, Einaudi, 1978 C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, pag. 190, Milano, Il Saggiatore, 1966 contrario, è inverificabile perché è l’ideologia dominante. Il ricorso al rimedio tecnico della medicina è una forma culturale egemone, tant’è vero che nei gruppi sociali più impermeabili alle idee dominanti, oltre alle medicine convenzionali, occorre la benedizione magica. Come un tempo nelle “società chiuse” la magia era costrittiva e obbligatoria, cioè l’individuo non poteva sottrarsi ad essa, così la medicina costituisce l’ideologia senza scampo della nostra era, il tessuto di fondo anche per coloro che razionalmente vi si sottraggono, ma che in momenti critici di vita si affidano al medico per salvarsi da sofferenza e morte, come sono intese nel modello egemone della società industriale. Tuttavia, esiste una fondamentale differenza nell’atteggiamento tenuto nei confronti del mago, la quale risiede in una determinata concezione di “natura”. Quella a cui si riferisce l’affidamento magico non è statica, poiché consente un intervento riplasmatore. Vi è un immenso fermento di fluidi, magnetismi, influenze non conglobabili in un quadro oggettivo unitario, proprio perché frutto di soggettività. Il mago che opera tra le realtà non le conosce meglio del cliente, come il medico, bensì agisce in maniera più opportuna rispetto al richiedente la prestazione: è la prassi magica a fornire garanzia di efficacia e la scelta tra diversi operatori si svolge sulla base di valutazioni di pratica efficace, non rimanda a un sapere di tipi più alto. Per la natura magica il mago è sufficiente dal momento che la sua operabilità è centrale: per le caratteristiche della medicina, separata e statica, vi è bisogno di un intervento esterno. Il caso delle medicine alternative: salute e malattia nella post-modernità Di per sé, le medicine cosiddette “alternative” non rappresentano una novità culturale di questi anni, anzi spesso hanno alle spalle tradizioni lunghe e consolidate. Tuttavia, sempre più incisivamente, sta mutando il loro rapporto con l’ideologia ufficiale, la quale mantiene comunque nel sentire collettivo occidentale una indiscussa autorità e un alto grado di prestigio, affianco al proliferare di pratiche naturali che ricercano forme e canali di legittimazione e non si presentano più come residuali o sotterranee. Oggi è al contrario la teoria istituzionale ad accusare dure critiche, le quali ne mettono in risalto i punti deboli e tendono a collocare le opzioni alternative sul piano del “progresso” (Dei, 2004). Ma il fenomeno più interessante sta nell’intreccio sincretico, secondo vari gradi, tra pratiche ufficiali e non: è comune per il paziente servirsi di entrambi i tipi di risorsa terapeutica e, inoltre, sono gli stessi operatori sanitari a ricercare spesso forme di integrazione. Per comprendere il rinnovato interesse per le medicine non convenzionali nelle società occidentali contemporanee, è importante sottolineare come le trasformazioni nella concezione della soggettività, del corpo, della salute e della malattia siano strettamente connesse con il successo avuto dall’azione dei nuovi movimenti sociali. Questi ultimi, a partire dagli anni sessanta, hanno contribuito a diffondere modelli di azione che hanno influenzato il modo di guardare alla realtà collettiva. Un ruolo non irrilevante è svolto dai movimenti ecologisti i quali sostengono argomentazioni critiche nei confronti dello sviluppo scientifico e di una fede eccessiva nella tecnologia e, inoltre, si concentrano su uno sguardo olistico capace di privilegiare le relazioni e le connessioni piuttosto che la specializzazione e l’attenzione al particolare. Importante è anche la corrente femminista, la quale rivendica il diritto al controllo diretto del corpo e della salute, rifiutando la delega a un presunto sapere esperto, e si fa portavoce di una conoscenza basata sull’esperienza capace di privilegiare l’ascolto e la relazione. Infine, i movimenti giovanili tendono a recuperare una dimensione spirituale, spesso legata a un diffuso interesse per culture “esotiche”, spesso di matrice orientale (Colombo, 2003). In particolare, oggi viene messa in crisi una certa tendenza della disciplina medica a lavorare sulla base di presupposti dualistici, interpretando la diversità dei saperi in termini oppositivi tra tra- dizione e modernità, arretratezza e progresso, magia e scienza, efficacia simbolica ed efficacia reale. Ora, le medicine non convenzionali non rappresentano solo un terzo polo tra corrente ufficiale, tendente ad assumere il sapere come risorsa, e matrice tradizionale, ricondotta ai grandi temi antropologici del rituale, dell’allusione, del “pensiero selvaggio”. Esse confinano da un lato con l’ortodossia sul piano pratico ( la rispettabilità goduta da alcune come l’agopuntura ) e su quello teorico ( attraverso la nozione di psicosomatico ), dall’altro confinano con un approccio di natura magica dovuto all’importanza delle relazioni simboliche. Si tratta in sostanza di un continuum al cui interno è difficile stabilire netti confini e in cui gli attori sociali si posizionano peculiarmente. La diversità culturale non è più focalizzata su due estremi inconciliabili di un polo dominante e di uno subalterno: non siamo davanti alla situazione postulata da De Martino di una secca adesione alla razionalità scientifica da una parte e di una “miseria intellettuale” dall’altra. Al contrario, si riscontra una effervescenza di risorse interpretative e te7 rapeutiche, ognuna facente capo a un’autorità, e non mutuamente esclusive. Gli attori giocano un ruolo decisivo, compiendo scelte e negoziando soluzioni non tanto in conformità a una coerenza sistemica ma alla praticità d’uso. Le opzioni privilegiate risentono dell’identità sociale degli individui, ma a essere rilevante non è unicamente l’appartenenza di classe, bensì fattori quali l’età, il sesso, il livello d’istruzione, ecc. Per quanto riguarda le denominazioni utilizzate, ne esistono molteplici. Si parla talvolta di medicine “parallele” o “complementari” a sottolineare la coesistenza all’approccio istituzionale; “naturali” a causa dello stile di vita vicino al biologico e della negazione del ricorso a farmaci sintetizzati chimicamente; “olistiche” indicando con ciò la tendenza a operare sull’essere umano inteso come inscindibile unità corpo-mente. Per quello che concerne la tipologia terapeutica, sorprende imbatterci in un’offerta caleidoscopica di proposte molto diverse tra loro, le quali non paiono possedere un nucleo in comune se non l’eccentricità nei confronti della medicina ufficiale. Un tentativo di organizzazione della molteplicità esistente è stato compiuto da Losi 8 sulla base dei principi metodologici che le sottendono: 1. Terapie sistemiche, caratterizzate da un approccio all’individuo come microcosmo percorso da relazioni di corrispondenza (agopuntura, riflessologia, iridologia, etc. ); 2. Terapie di manipolazione corporea, dove il rapporto terapeutico si configura come intervento diretto dell’operatore sul corpo del paziente, dunque quale comunicazione sensibile con forte implicazione sul piano emotivo e psicosomatico (chiropratica, shiatsu, massoterapia, etc. ); 3. Terapie con l’uso del corpo, focalizzate su un attivo uso del proprio corpo da parte del paziente (training autogeno, yoga, rilassamento, etc.); 4. Terapie con uso di sostanze, le quali fanno sempre ricorso a rimedi naturali (omeopatia, erboristeria, etc.); 5. Terapie con uso di energie, dove la guarigione è prodotta da un’energia sprigionata direttamente dal corpo del terapeuta o da apparecchiature tecnologiche (pranoterapia, terapie magnetiche, elettroterapia, etc.); 6. Terapie di tipo psicologico-psicoterapeutico, volte alla cura di disturbi propriamente relazionali (bioenergetica, ipnosi, meditazione, cromoterapia). Paola Rebughini considera quello delle medicine non convenzionali un 7 8 F. Dei, Medicine alternative: il senso del male nella postmodernità, pag.2, Roma, 2004 N. Losi, Gli amici dell’acqua. Medici, pazienti e medicine alternative, pag.69, Milano, Angeli, 1990 insieme estremamente eterogeneo di pratiche con tradizioni e tecniche molto differenti, accomunate dall’approccio olistico e da un’attenzione particolare per l’individualità del paziente, nonché per le caratteristiche della 9 relazione tra quest’ultimo e il terapeuta. Tuttavia, qualsiasi demarcazione si tenti di istituire, i confini tra le classi non sono mai completamente chiari e si presentano numerosi casi limite. […] non si tratta di confini definiti e ciascuna pratica può far parte o sconfinare in più di una categoria […] le categorie che abbiamo definito non sono certo esaustive e d’altra parte la continua moltiplicazione e specializzazione delle pratiche e delle terapie non convenzionali rende ancora più difficile circoscrivere molte delle terapie sotto 10 un’unica categoria. Il sistema utilizzato da Rebughini innanzitutto distingue le conoscenze provenienti dall’oriente da quelle storicamente già presenti in occidente. Secondo la studiosa, il sapere della medicina orientale si presenta più integrato nelle sue diverse dimensioni di scienza ufficiale, scienza olistica, scienza ispirata ai rimedi naturali e alle pratiche corporee, mentre la medicina occidentale ha marcato una sorta di frontiera tra il canone ortodosso e le pratiche di altra ispirazione. In quello che viene definito “paradigma orientale” sono collocate la medicina cinese e quella indiana (ayurveda, agopuntura, massaggio shiatsu, yoga, aromaterapia, iridologia), laddove si parla di “medicina occidentale non allopatica” per definire tecniche come naturopatia e omeopatia. Sebbene ella rilevi una crescente attenzione per il comune riferimento all’energia intesa come forza circolante nell’organismo e in comunione con la natura, Rebughini colloca in uno specifico ambito le terapie ispirate a principi magico-sovrannaturali quali, a suo parere, la pranoterapia, che si avvicina a un’idea di energia intesa sempre come potere non accessibile a tutti. In realtà, emerge dalle interviste effettuate in tal campo la contestabilità di questa tesi, di cui discuterò in seguito. Anche le pratiche corporee costituiscono per la studiosa un contesto a sé: esse fanno riferimento a tecniche basate sulla conoscenza del corpo in quanto struttura fisica e materiale e si avvicinano alle metodologie per favorire il benessere psicofisico. Con il nome di “bodywork” Rebughini definisce la chiropratica e l’osteopatia, entrambe basate su massaggi curativi. Non è chiara a tal proposito la demarcazione concernente tecniche quali lo shiatsu, il quale rientra anche nel “paradigma orientale”. Come osservato da Dei (2004: pag.4), le estremità del continuum hanno assai poco in comune, sebbene gli elementi di composizione costituiscano anelli di una catena: vi è una certa “somiglianza di famiglia”, con tratti che ricorrono con frequenza ma non sistematicamente. Si tratta di una questione rilevata altresì da Pina Lalli: […] è difficile, se non impossibile, una classificazione unitaria delle pratiche terapeutiche altre […] va tenuto presente che molte delle terapie sono frutto di suddivisioni interne dei settori principali che possono però autonomizzar- 9 P. Rebughini, Origini e contenuti dell’universo delle medicine non convenzionali, pag.91, in Colombo, Rebughini, La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 10 Ibidem: pag.91 si non come semplici specializzazioni e che nell’ambito di una stessa disciplina è possibile la costituzione di “scuole” 11 diverse, a seconda della radicalità più o meno rivendicata rispetto ai principi filosofici di riferimento. Non a caso gli utenti hanno la tendenza a interessarsi a più discipline contemporaneamente: ciò suggerisce l’esistenza di ampie concezioni culturali a percorso trasversale nel campo delle medicine non convenzionali. Dei propone l’individuazione di cinque tratti fondamentali che accompagnano l’universo medico alternativo e che approvo nella loro schematicità analitica. Approccio naturale La polemica contro l’uso eccessivo da parte della scienza ufficiale di farmaci sintetizzati chimicamente è assai diffusa in molte ideologie che accompagnano coloro che sostengono la causa dei rimedi eterodossi. La questione è ribadita anche in Lalli (1986: pag. 85). In particolare, si contesta l’approccio aggressivo di medicine con una eccessiva forza dirompente, in grado di sconvolgere l’equilibrio dell’intero organismo per risolvere problemi circostanziati. Più che intervenire direttamente sulla parte malata, le medicine alternative propongono un’azione terapeutica la quale riesca a ri-armonizzare mente e corpo del paziente, favorendo le sue intrinseche capacità di autoguarigione. In realtà, lo scontro con l’artificioso si estende al di là dell’ambito terapeutico, fino a investire le modalità di esistenza dell’uomo nella civiltà moderna, orientata verso il consumismo, l’abbandono della natura e lo sfruttamento dell’ambiente. A tal proposito, Lalli parla di una sorta di rottura dell’alleanza tra natura e cultura: l’opposizione fondamentale concerne dunque tale rapporto e il nuovo terapeuta diventa “l’intermediario che dovrebbe garantire l’esplicazione di un rituale grazie a cui il paziente possa ricollegarsi alla natura” (1986: pag.173). L’allontanamento da uno stile di vita in sintonia con i ritmi naturali, aggravato da abitudini alimentari erronee e dallo stress, è considerato la causa principale dell’insorgenza di tutta una serie di disturbi, in primo luogo quelli psicosomatici. La critica si spinge fino alla superfetazione di una modalità d’esistenza a contatto con la natura, con relativa mitizzazione delle civiltà rurali di un tempo (tratto in comune con i movimenti contro-culturali degli anni sessanta). In Lalli: […] si ritrova il bene in un ordine terreno, alla lettera: la terra coltivata biologicamente, i prodotti integrali, le erbe […] le essenze naturali diventano veicolo di purificazione e protezione. Il vero veleno è qualcosa che appartiene alla cultura: è il farmaco, prodotto chimico-sintetico […] La vis medicatrix primaria torna ad essere quella naturale, 12 Madre natura protettiva e benefica della quale il figlio ha violato la purezza. Il nesso che unisce l’aspirazione utopica all’ambientazione pastorale con le pretese di efficacia dei rimedi alternativi è la fiducia riposta nella vis medicatrix naturae, la spontanea tendenza dell’organismo verso uno stato di salute, tipica di una concezione la quale attribuisce all’essere umano la capacità di innescare sempre e comunque, in caso di necessità, uno spontaneo processo di guarigione: nelle sue condizioni naturali, il corpo non può che stare bene. Sono unicamente le inter- 11 P. Lalli, L’altra medicina e i suoi malati. Un’indagine nel sociale delle pratiche di cura non alternative, pag.83, Bologna, Ed. Clueb 12 Ibidem: pag.174 ferenze della civiltà che interrompono il legittimo equilibrio organico, causando il malessere e interrompendo il processo medicamentoso. Queste opposizioni strutturali tra naturale e artificiale, biologico e tecnologico, puro e impuro e il loro collegamento con l’opposizione sano-malato, rappresentano di per sé un tema emergente nell’immaginario contemporaneo. Una questione che entra in tensione con l’orientamento inverso, che assegna un elevato valore all’allontanamento dalla natura: intorno a questi nodi si giocano oggi dilemmi morali e ricerche di equilibrio di ognuno. Approccio olistico La medicina ufficiale è aspramente criticata a causa dell’adozione di un atteggiamento spersonalizzante e parcellizzato nei confronti del paziente, ritenuto, attraverso un approccio meccanicistico, un semplice organismo da curare nelle singole componenti meccaniche, senza considerare le cause profonde che innescano l’incrinamento della salute ed escludendo la considerazione della personalità dell’individuo. Le medicine eterodosse, al contrario fanno propria una concezione dell’uomo come unità inscindibile di corpo, mente e spirito: se ogni parte contiene il tutto e questo è un riflesso dei suoi elementi, la malattia, tramite uno squilibrio, invia un messaggio alla coscienza per segnalare un problema complessivo, solitamente attribuito allo stress. Tale questione è ribadita da Colombo, quando egli afferma: […] la malattia viene vista non solo come risultato di un effetto meccanico, la risposta biologica all’aggressione esterna, ma come espressione di sofferenza e disagio che riguarda la persona nella sua totalità, che incorpora fattori biologici e fisiologici ma anche emozioni, relazioni, credenze. Per superare o alleviare questo disagio è necessario non solo agire sulla biochimica e sulla fisiologia dell’organismo, ma, contemporaneamente, su più aspetti della persona umana13 Le manifestazioni somatiche non sarebbero che la punta dell’iceberg (concetto mutuato dalla psicanalisi) e, pertanto, sia la diagnosi che la terapia si riferiscono alla persona intesa come un tutto: sta qui l’errore della medicina istituzionale, la quale non coglie i problemi reali, proponendo erronee soluzioni poiché soffoca i sintomi. L’approccio olistico richiede che si stabilisca un rapporto più approfondito e dialogico tra curatore e paziente, caratterizzato spesso da contatto fisico e dal coinvolgimento nella terapia delle emozioni: si nota un’accentuazione della relazione umana e dell’appoggio morale riservato al malato. Concordo con Dei e ribadisco che, in tale ambito, la malattia assume senso perché riletta e ricollocata all’interno di un particolare contesto biografico: essa non appare più solo come difetto e rottura, ma diviene comunicazione di uno stato personale unico, di un’esperienza il cui significato ultimo è nelle possibilità interpretative dell’individuo e manifesta una sua irriducibile vitalità. Il male non è solo qualcosa che si ha, bensì uno stato dell’essere del soggetto, connesso con la propria totalità. Approccio individuante Ogni essere umano è un’unità unica e irripetibile. Questo punto teorico mette fortemente in discussione le principali strategie di validazione scientifica usate dall’istituzione ufficiale, di tipo 13 E. Colombo, Trasformazioni sociali e nuovi modi di pensare la salute e la malattia, pag.64, in Colombo, Rebughini, La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 principalmente probabilistico, riferite dunque alla nozione astratta di “paziente medio”, pensato come applicabile in qualunque contesto. Anche Colombo individua chiaramente questo punto d’analisi: […] l’attenzione alla relazione, la disponibilità all’ascolto, il maggior tempo dedicato alla diagnosi nelle pratiche alternative asseconda l’idea di unicità del soggetto, della sua specificità che non si può esaurire in una diagnosi standard, ma richiede capacità di riconoscere e nominare il disturbo nella sua unicità 14 A mio parere, la malattia assume senso se e quando costituisce un caso a sé. Per questo trovarsi di fronte a un terapeuta che non chiede notizie solo sul male, ma informazioni ampie sulla vita del paziente, sui propri gusti, dubbi e aspettative aiuta a considerarsi individui complessi e attivi. Il dibattito crea forti difficoltà di comunicazione tra medici e operatori alternativi, i quali non considerano decisive le verifiche statistiche in quanto compromesse con la metafisica materialista. Per costoro il processo terapeutico risponde a una logica individuante e si sottrae alla riproducibilità tecnica, rifiutando altresì un fuorviante linguaggio deterministico. Se ogni caso sta a sé, non sembra possibile per le terapie alternative accedere a un qualche criterio oggettivo e pubblicamente controllabile di legittimazione: soprattutto si escludono la conferma e la falsificazione sperimentale. Dei si pone dunque una questione: come considerare scientifiche discipline che, per il loro statuto, rifiutano i crismi della valutazione oggettiva? Personalmente, ritengo che la domanda possa essere formulata in tali termini: quale scienza?. Essa interroga sulla possibilità e la necessità di mettere in discussione il paradigma scientifico ortodosso, basato su una netta distinzione tra soggetto e oggetto, tra res cogitans e res extensa, tra ragione ed emozione. Le medicine non convenzionali pongono il nodo dell’adeguatezza e dei limiti della logica scientifica e del suo metodo fondato sulla ripetibilità delle prove e sulla verifica statistica dei risultati. L’intervento terapeutico è efficace non se funziona nella maggioranza dei casi secondo rigorose prove statistiche, ma se ha effetti concreti e specifici sulla persona trattata. Tutto ciò rappresenta un problema non solo nei rapporti con la medicina ufficiale, ma anche una interna difficoltà per le stesse terapie naturali: quello che è assente è un riferimento condivisibile da usare come standard di professionalità, proprio nel momento in cui esse tentano di accrescere la loro legittimità sociale e culturale. Questa condizione crea inoltre tensioni interne al fronte olistico. Alcuni terapeuti tendono rigidamente a separare l’attività svolta dall’ambito paranormalemagico-popolare e mirano all’adesione di un linguaggio di tipo scientifico: si teme che la compromissione con determinati universi ideologici possa delegittimare il proprio operato. Spesso, tuttavia, le medicine non convenzionali compiono un notevole sforzo per comprendere al proprio interno il lessico della magia: a volte si arriva all’esplicito riferimento alle culture mediche “primitive” e “popolari”, assunte quale esempio di un più genuino rapporto col cosmo. Ruolo attivo e responsabilità del paziente Per i medici ufficiali, l’individuo non ha alcuna responsabilità nel processo di guarigione: deve solo “collaborare” senza opporre resistenza all’azione consapevole e attiva dell’operatore. Al contrario, molte pratiche alternative esaltano il ruolo determinante della persona sottoposta a cura, arrivando a mettere in discussione la nozione stessa di “paziente” come oggetto passivo del trattamento. 14 Ibidem: pag.67 Losi concorda con Dei quando afferma: […] La posizione del paziente delle medicine alternative è differente ( rispetto a quella avuta nella pratica medica corrente). Infatti è richiesto che il paziente si curi da sé: il medico è un suo consigliere. E’ questo l’unico metodo di cura possibile perché nessun altro che il paziente stesso può cambiare le proprie abitudini alimentari, i suoi modi sbagliati di muoversi o posizionarsi, la sua voglia di vivere sano o ammalarsi 15 La terapia, in tale concezione, deve unicamente innescare o potenziare la naturale capacità di autoguarigione già posseduta dagli uomini, i quali rimangono i veri protagonisti del processo: il medico ha il compito di risvegliare le energie interiori infiacchite dallo stress causato dalla modernità. Credo che ciò che ivi si vuole enfatizzare sia la posizione di un paziente più maturo rispetto a quello previsto dalla medicina ufficiale, la quale ritiene la malattia quale un problema gestito da esperti nei confronti di gente comune e incompetente. Andando oltre, molte pratiche eterodosse attribuiscono al soggetto la responsabilità dello stesso disagio: l’insorgenza della patologia è conseguenza di uno squilibrio energetico, il quale a sua volta affonda le proprie radici in un fondamentale disordine morale e/o sociale di vita. Ci si ammala perché non si dedica abbastanza cura al proprio corpo, all’alimentazione, ai bisogni umani. La malattia non è altro che un campanello dall’allarme che segnala l’insorgenza di un disagio innescato da dinamiche auto-distruttive. In poche parole, è il singolo che costruisce il suo male e può curarlo, mentre il terapeuta è colui che ascolta e orienta a riconoscere sé stessi (Colombo, 2003: pag.66). […] il diffondersi delle terapie non convenzionali segnala la richiesta di avere un ruolo attivo nella propria malattia, di non doversi sentire semplice strumento nelle mani dell’esperto, ma di partecipare alla costruzione della propria salute. Sottolinea il rifiuto di una pratica medica eccessivamente impersonale, ponendo rilievo all’importanza della relazione, del tempo, dell’ascolto, della simpatia 16 Dei, con cui concordo, ritiene che tale discorso reintroduca un idioma morale nel discorso sulla salute e sulla malattia: esse riguardano scelte verso il bene o verso il male, configurando il disagio quale manifestazione di peccato, di una condotta di vita erronea e la guarigione come processo salvifico in grado di ricollocare l’individuo sulla giusta strada. E’ per questo che l’adesione a pratiche terapeutiche non convenzionali assume spesso connotazioni quasi iniziatiche, talvolta persino religiose : Se la salute è una questione di globalità, è chiaro che il corpo sano esprime una moralità, un’attitudine. E in un ambiente come questo un corpo malato, un corpo trascurato, è chiaramente il segno di qualcosa di sbagliato sul piano mentale o spirituale […] Questo è un mondo in cui le intenzioni individuali, la forza di volontà è l’impegno a condurre uno stile di vita corretto e armonioso sono visibilmente ricompensate con la buona salute; laddove le abitudini sbagliate hanno le loro punizioni. È un mondo di eroi e vittime.17 15 N. Losi, Gli amici dell’acqua. Medici, pazienti e medicine alternative, pag.58, Milano, Angeli, 1990 E. Colombo, Trasformazioni sociali e nuovi modi di pensare la salute e la malattia, pag.67, in Colombo, Rebughini, La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 17 R. Coward, The Whole Truth. The Myth of Alternative Health, pag.88, London, Faber and Faber, 1989 16 Reintroducendo il linguaggio morale fin dentro la materialità del corpo, in netta opposizione rispetto all’approccio medico ufficiale, scientifico e materialistico, le pratiche alternative insistono sulla “violazione delle leggi della natura”, sulla distorsione dell’essenza umana, sovrastata da una condizione di disequilibrio provocato autonomamente dallo stesso paziente, il quale pecca per la rottura di un ordine di purezza. Energia La concezione della fisiologia umana di tipo energetico condivide alcuni presupposti metafisici: l’“essenza” degli esseri umani non è la materialità corporea, bensì una energia vitale (Il chi della medicina cinese) che la percorre e rappresenta l’interfaccia tra dimensione somatica e dimensione psichica. La condizione del flusso, il suo equilibrio e il suo squilibrio, determina gli stati di salute e malattia: per essere efficace, la terapia deve agire su di esso. Anche Colombo individua il concetto suddetto: […] Al modello biomedico, caratterizzato dall’interpretare la malattia come guasto, come rottura dei meccanismi biochimici e strutturali che assicurano un perfetto funzionamento dell’organismo, e alla sua tendenza a definire in modo specifico e localizzato il disturbo, si oppone una visione della malattia che privilegia, da un lato, il concetto di equilibrio, dall’altro, quello di energia. 18 In pratica, la malattia è vista come risultato di un’alterazione delle condizioni di equilibrio dinamico e di armonia generale che caratterizzano le condizioni di salute. La complessità caratterizzante l’essere vivente può esplicitare la sua massima funzionalità quando nessuna parte è tacitata o sovrastata dall’azione di altre, quando ogni elemento costituente è pienamente in grado di esprimersi. La malattia è vista come tensione eccessiva, stress, perdita di coordinamento e comunicazione (Colombo, 2003: pag.163). La pranoterapia è la disciplina che mette in gioco in modo più sensibile la nozione di energia, pensata come trasferibile dal corpo dell’operatore a quello del paziente, sebbene poche siano le pratiche le quali non si appellano direttamente alla dinamica energetica. Essa può infatti assumere svariate forme, dall’assunzione di stimolazioni tramite elementi naturali (omeopatia, erboristeria, gemmoterapia), alla sincronizzazione di campi di forze (agopuntura, yoga, shiatsu), all’assorbimento del flusso cosmico (reiki). Sono del parere di Dei e Colombo quando essi affermano che nel discorso olistico, quello di “energia” è perciò un concetto assiomatico sul quale basare numerosi riferimenti ideologici non fondabili empiricamente, non dimostrabili o falsificabili tramite i sensi. Dei, infatti, rileva come nella pranoterapia, ad esempio, manchi del tutto una base concettuale da cui partire per la formulazione dell’idea in questione: il nucleo teorico è vuoto e intorno a esso si aggregano le descrizioni empiriche dei processi terapeutici. Ciò emerge con chiarezza altresì dagli estratti delle mie interviste, riportati in seguito. Si tratta di un assunto basato sulla fenomenologia, la quale giustifica un’esistenza della pranoterapia nel mondo. L’energia infatti non è un qualcosa che appartiene alla realtà concretamente, ma è capace di organizzare i dati del senso comune secondo connessioni e rapporti causali non immediatamente percepibili: si dispone di un linguaggio fortemente metaforico configurato con gli stessi principi tramite i quali si parla di “atomi” o “onde” e si codifica un’ampia gamma di segni, 18 E. Colombo, Lo spazio sociale delle medicine non convenzionali: un’analisi delle narrazioni dei terapeuti, pag.163 in Colombo, Rebughini, La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 indicanti fenomeni in cui l’ordine energetico invisibile penetra nell’universo comune (Dei, 2004: pag.13). Nel discorso olistico la concezione energetica è ritenuta un raffinato approfondimento di quella anatomico-meccanicistica, rispetto alla quale coglierebbe meglio l’organizzazione profonda della realtà. […]Una concezione “innovativa” che, tuttavia, reintroduce forti elementi di pre(anti)modernità. 19 Nelle falle del pensiero scientifico dominante si inserisce dunque un linguaggio dell’invisibilità (Foucault avrebbe detto che si ridefiniscono i limiti del visibile e dell’invisibile). Il concetto di energia si presenta da subito come “carico di senso” e comprende altresì una dimensione etica dal momento che, in un determinato ambito discorsivo, essa tende a connotarsi semanticamente secondo una netta polarità bene-male; ritornano nozioni metaforiche incentrate su grandi sistemi speculativi, grandi teorie filosofiche del mondo: il corpo malato, depurato dalla medicina ufficiale da connotazioni morali, torna a farsi teatro di valori che lo trascendono. È difficile spesso marcare una netta linea di separazione tra medicine alternative, quelle ufficiali e i rimedi popolari dal momento che i confini sul versante scientifico e su quello magico sono spesso mobili e sfumati e sta al singolo terapeuta contrattarli di volta in volta, nel tentativo di mantenere un equilibrio epistemico. Infatti, seppure l’approccio biomedico è rifiutato, si tenta di partecipare al grande prestigio sociale e culturale da esso posseduto. […] Nei confronti delle pratiche magiche vengono prese le distanze per motivi di credibilità e, tuttavia, assistiamo al recupero di alcuni elementi ideologici centrali, quali l’efficacia delle relazioni simboliche e l’inscindibilità del corpo dalla mente. 20 Il risultato di questa situazione è l’offerta di un ampio spettro di discipline lungo un asse sul quale alcune tendono a collocarsi sul versante “scientifico” ( è il caso dell’omeopatia e dell’agopuntura, praticate presso strutture pubbliche o private di medicina istituzionale). All’altra estremità sono disposte pratiche i cui margini confinano col folklore, l’occultismo, la parapsicologia ( cartomanzia, guarigione spirituale). In particolar modo, la pranoterapia presenta un universo estremamente variegato. Vi sono pranoterapeuti che collaborano con ospedali e altri che, collegandosi alla figura del mago, proliferano nelle città e nelle televisioni locali. Esiste poi una molteplicità di figure non professionali che mal si distinguono dal guaritore di stampo tradizionale. Si tratta di individui sospesi a metà tra un contesto ideologico magico e uno di avanguardia controculturale: ciò che li differenzia dallo sciamano demartiniano sta nel fatto che i poteri non creano ruoli istituiti, il possesso di facoltà misteriose sembra riguardare solo alcuni aspetti della loro personalità e non li spinge ad adottare dottrine metafisiche onnicomprensive o visioni del mondo alternative. Da parte di costoro vi è anzi il desiderio di “normalizzare” la propria attività e di ricomprenderla nel senso comune. Lo stesso termine “ credenza” si presta assai poco a descrivere l’atteggiamento di tali operatori alternativi, se almeno si intende con il termine suddetto l’attribuzione di valori di verità ad asserti cognitivi espressi in forma di adesione/rifiuto totale verso 19 20 F. Dei, Medicine alternative: il senso del male nella postmodernità, pag.13, Roma, 2004 Ibidem: pag.14 una certa prospettiva, una assunzione aprioristica, a monte della giustificazione razionale (Dei, 2004). Gli stessi pazienti, tesi a orientarsi in un universo variegato e a valutare pro e contro delle offerte, non paiono ossessionati da questioni di coerenza epistemica o di razionalità, almeno non più di quanto li implichi l’affidamento allo specialista ortodosso, i cui rituali curativi rimangono altrettanto sconosciuti. Esiste comunque un’ampia fascia di utenti caratterizzata da un forte impegno ideologico di tipo ambientalista e anticonsumista il quale si riflette in particolari stili di vita, ma che non è assimilabile ai movimenti giovanili degli anni ’60 e’70 per l’assenza di scelte culturali totalizzanti e la tranquilla coesistenza con atteggiamenti più conformistici: è caduta la figura dell’ “alternativo” che si caratterizza come tale in ogni aspetto della propria persona e dell’agire sociale. Al suo posto, sorgono individui comuni, i quali intrecciano stili e scelte culturali anche incoerenti. […] Ricorrere alle terapie non convenzionali si configura come una scelta in più, un’opportunità aggiuntiva che non comporta la rinuncia alle prestazioni della medicina scientifica 21 L’antropologia, in tal senso, può contribuire a comprendere i modi in cui i rapporti corpomente sono messi in gioco all’interno di strategie di costruzione di un “senso del male”22.Quest’ultimo non si costituisce in maniera unitaria e vincolante per ogni membro della società, né tantomeno in sfere distinte e autonome, quella tradizionale e quella moderna; i confini non si autoevidenziano né cognitivamente, né sociologicamente e sarebbe arbitrario attribuire la diversità nelle scelte a particolari modelli di pensiero o a una presunta labile presenza. La frammentazione delle scelte mediche può essere considerata come uno degli aspetti della segmentazione dell’identità culturale in epoca “postmoderna”. Le scelte d’appartenenza compiute da collettività o da singoli non sono permanenti ed esclusive: si può passare dall’adesione a un sistema simbolico a un altro in diversi momenti spazio-temporali senza avvertire incoerenza comportamentale. Individui e sottogruppi sociali si creano proprie configurazioni culturali intessendo in un fitta rete strategie argomentative, retoriche e politiche volte all’affermazione delle prospettive coesistenti, le quali solidificano le visioni del mondo contemporaneo. Conclusioni La post-modernità non si prende del tutto sul serio. Il suo carattere superficiale tende a non mettere troppo impegno in pratiche adogmatiche, le quali non coinvolgono, non condizionano la personalità nel suo complesso, non costituiscono una rigida Weltenschaaung. Ognuno, in quanto attore sociale, indossa varie maschere e recita ruoli diversi sul palcoscenico della propria identità, costruita pezzo per pezzo secondo i più svariati progetti di strategia esistenziale, di promozione del legame collettivo d’identificazione tra gruppi. Le diversità di comportamento, di scelta, di gusto, di ideali presenti nella società costituiscono tante differenti posizioni che emergono dal conflitto tra modelli culturali antagonistici ma compresenti in un determinato contesto. Afferma Mary Douglas: «Ciascun individuo che instauri una relazione sociale viene coinvolto al tempo stesso in un dibattito su ciò che la relazione è e sul modo in cui dovrebbe essere gestita». Ogni volta che più uomini discutono sulle strategie da seguire 21 E. Colombo, Trasformazioni sociali e nuovi modi di pensare la salute e la malattia, pag.71, in Colombo, Rebughini, La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 22 M. Augé e C. Herzlich (a cura di), Il senso del male. Antropologia, storia e sociologia della malattia, Milano, Il Saggiatore, 1983 per ottenere uno scopo comune essi costruiscono delle categorie concettuali appropriate. Tutti i gruppi utilizzano determinati criteri per legittimare l’azione e, a seconda del principio adottato, incontrano specifici problemi. Le varie scelte condurranno a soluzioni differenti l’una rispetto all’altra. Gli elementi di senso comune che influiscono sulle motivazioni umane permettono di interrogarsi su come gli schemi interpretativi vengano utilizzati per motivare l’azione collettiva, su come essi costituiscano dei vincoli per i singoli nelle scelte, nella determinazione degli obiettivi, su come essi influiscano sulle eventuali strategie di cambiamento, su come strutturino e plasmino le varie istituzioni sociali. Le persone organizzano la loro comprensione del mondo in categorie, in codici modellati su pratiche ed esperienze sperimentate e accettate: i concetti nascono e si formano nell’ambiente socioculturale in cui le persone vivono, fornendo una definizione condivisa di ciò che è buono, lecito, positivo in maniera culturalmente plasmata. Partendo dai concetti, ognuno offre una definizione di persona e classifica emozioni e sentimenti: le proprie idee culturali costituiscono i criteri necessari di giudizio sul mondo, un universo frammentato e molteplice di possibilità interpretative, le quali non seguono esclusivamente i crismi della macro-cultura ufficiale. Magia oggi non come ritorno impossibile al premoderno demartiniano, al patrimonio ideologico di ceti “ignoranti”, bensì melange inestricabile tra motivi arcaici ed elementi del tempo attuale: al di là delle politiche di controllo nella conservazione/riproposizione del patrimonio culturale, sono le nostre scelte a porre in essere la tradizione, non più definibile per nascita ma sulla base di un ironico gioco col passato in cui fondere temi e pratiche di prima e di seconda mano. Tradizione è ciò che si fa divenire tale per retroproiezione, una sorta di riconoscimento di paternità, la quale garantisce e offre a tutti quelli che, sentendola propria, la enunciano e la riproducono, un mezzo per affermare la loro differenza e fondare con autorità il proprio diritto d’esserci, di portare avanti le aspettative. Non livelli più o meno alti di cultura, ma maggiore o minore presa sociale alla partecipazione e fruizione di pratiche culturali che ci definiscono in rapporto agli altri e all’idea che abbiamo di noi stessi. Sfondi simbolici e rituali ibridi ricavano senso dalla pratica collettiva, vero e proprio terreno di confronto tra gruppi per la contestazione e la legittimazione dei poteri, tramite le logiche della comunicazione. Commercializzare aspetti culturali vuole dire esporli alla scelta del vasto pubblico. Elementi diffusi, interpretati, interiorizzati: il meccanismo soggiacente è vasto e propone codici passibili di innovazione. L’immagine di un mondo completamente omologato è monca poiché la tendenza alla massificazione di stili, gusti usi è solo uno dei processi; accanto a essa c’è una proliferazione di distinzioni e diversificazioni locali, provvisorie ma inestinguibili. L’antropologia del nostro tempo torna a casa e, autoriflettendo su se stessa, volge gli occhi allo specchio che le è di fronte: si comincia a osservare, a essere creativa studiosa dell’immagine, sua propria, che vede. Il contesto è cambiato; non più paesi esotici ma una società espansiva, rinnovata industrializzata, che pulsa di vita nelle sovraffollate città in cui piccoli uomini ancora consultano maghi: è la messa in scena della cultura popolare in epoca moderna, epoca che, con l’ausilio del tubo catodico, produce essa stessa un folklore lontanissimo dall’essere in via d’estinzione. Noi, osservatori partecipanti, abbiamo i piedi per muoverci e camminiamo, esattamente come gli oggetti con cui veniamo a contatto. CAPITOLO II PRANOTERAPIA La pranoterapia è l’arte di guarire attraverso l’energia trasmessa o incanalata dal corpo del terapeuta, il quale opera tramite imposizione delle mani. Il termine, tuttavia, a differenza di quanto avviene per altre pratiche mediche non convenzionali, è utilizzato in maniera piuttosto vaga dal momento che non fa riferimento specifico a una qualche scuola o a una determinata metodologia tecnica apprendibile grazie a esercizio. Enzo Colombo ne parla in tali termini: L’attività pranoterapeutica è sempre associata a una esplicita dimensione religiosa, con un diretto rimando alla fede cattolica, all’uso della preghiera per l’intercessione dei santi o della Madonna per una maggiore efficacia dell’imposizione delle mani. Dato il carattere di dono soprannaturale della loro capacità di curare e di guarire, i pranoterapeuti non hanno una formazione teorica lunga e approfondita, né vedono la loro professione come risultato di una scelta personale. Si è al contrario chiamati, posti di fronte all’evidenza delle proprie capacità innate, a divenire terapeuti, spesso abbandonando il precedente lavoro. Una volta scoperta la capacità di curare attraverso le mani, questi guaritori hanno completato la loro offerta frequentando scuole di massaggio, shiatsu o reiki 1 In realtà, tra i guaritori troviamo persone che si ritengono scelte quali “strumenti del Signore” e che riconducono il loro dono a santi o a un principio religioso cristiano, altri che operano invece in modo più “laico”, ritenendo che l’energia sia usufruibile universalmente (si pensi al reiki, il quale utilizza, per tramite del terapeuta, la forza cosmica, convogliata, sempre attraverso le mani, sul corpo del paziente). La pranoterapia, però, fa piuttosto riferimento a ogni tipo di personalità carismatica operante per mezzo di facoltà naturali o innate, applicate nel contatto diretto con il corpo del malato, senza l’uso di apparati tecnici o supporti farmacologici. Il pranoterapeuta possiede un suo sapere, rivendica abilità particolari, ma non fornisce spiegazioni o giustificazioni ad hoc alle proprie capacità, risultato di una abilità naturale che attraverso la formazione o l’esperienza può solo essere rafforzata e padroneggiata. Tali facoltà o poteri comprendono una gamma assai diversa di qualità e specificazioni; sulla loro natura e origine non c’è una teoria consolidata. O meglio, esiste una pluralità di opinioni, scarsamente coerenti e difficilmente compattabili, le quali comprendono un vasto numero di possibilità, dalla matrice orientale (prana è termine sanscrito indicante il soffio vitale che permea il cosmo), al pensiero sul magnetismo animale, alle speculazioni sulle “energie sottili” e sui “corpi eterici”. La scoperta delle proprie capacità di guarigione è il più delle volte risultato di un’esperienza diretta, legata a particolari episodi biografici, spesso del tutto accidentali, i quali introducono il sospetto di avere avuto un ruolo attivo nell’alleviare il dolore o nel guarire un conoscente. Frequentemente, il sospetto di possedere un dono sovrannaturale viene verificato in appositi centri attraverso prove e macchinari che consentono di definire in modo “scientifico” la presenza di emissioni energetiche di elevata entità. Una volta confermato il possesso di una forte energia, il suo controllo e il suo appropriato utilizzo spesso sono correttamente appresi frequentando specifici corsi. La pranoterapia è una delle pratiche mediche non convenzionali oggi più capillarmente diffuse, che si può collegare direttamente, per continuità, alle terapie magico-religiose della medicina popolare tradizionale, quasi essa venisse a costituire una sorta di vocabolo-etichetta utilizzabile da 1 E. Colombo, Lo spazio sociale delle medicine non convenzionali: un’analisi delle narrazioni dei terapeuti in La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, pag.182-183, Bologna, il Mulino, 2003 determinate figure sociali (guaritori o “maghi” tradizionali) al fine di una rinnovata legittimazione. Tali individui risulterebbero così sottratti all’ambito della superstizione e depurati da uno scomodo alone di arcaicità: definendosi come pranoterapeuti, i guaritori riescono ad assumere una più solida reputazione sociale e le loro pratiche paiono poter beneficiare di un maggiore status epistemico. Lontani dal costituire nient’altro che sopravvivenze di una cultura magica e rurale, schiacciata dal trionfo indiscusso della medicina moderna, i terapeuti hanno ora l’opportunità di invertire le posizioni, collocandosi in un orizzonte tardo-moderno, nel ruolo di alternativa di avanguardia rispetto alla dominante ideologia biomedica. Consapevoli dello scetticismo che accompagna la pranoterapia in ambiente medico e scientifico, molti insistono sulla serietà della loro azione guaritrice, che evita di fare diagnosi o dare consigli in contrasto con quelli ufficiali. Alcuni individui insistono inoltre sul carattere sostanzialmente gratuito delle loro prestazioni, spontaneamente ricompensate con doni o denaro vista la loro efficacia, ma non necessariamente vincolate a un pagamento. La nominale sottomissione al sapere medico non esclude però narrazioni di tipo salvifico e miracolistico. Ivi, spesso l’autorevolezza della propria facoltà terapeutica passa attraverso l’esempio di guarigioni rapide e inspiegabili per la medicina scientifica, le quali riguardano un’ampia gamma di malattie, dallo stress al mal di schiena, a forme patologiche più gravi. Nei racconti il ricorso al pranoterapeuta avviene per la gran maggioranza dei casi dopo la verifica dell’incapacità e dell’impotenza della biomedicina. D’altro canto, un siffatto mutamento di denominazione non è privo di conseguenze. La pranoterapia introduce nel frammentato panorama delle medicine alternative elementi della cultura popolare tradizionale, ma, contemporaneamente, ne trasforma la base tramite ibridazione con elementi della più svariata natura e provenienza. Inoltre, dalla sia pure accresciuta posizione di forza, la nuova medicina cerca rapporti più paritari con la corrente ufficiale, spesso combinandosi con pratiche come la riflessologia e, su tutt’altro versante, con doti di preveggenza e manifestazioni parapsicologiche. Essa non è mai vista come alternativa alla medicina convenzionale, bensì quale un’energia che interviene su un piano diverso e può essere efficace quanto un farmaco o, forse, di più non avendo effetti collaterali. La pranoterapia, dunque, si presenta come un vero e proprio punto di snodo e di intreccio tra saperi medici che caratterizzano la contemporaneità, dal momento che incorpora vari spunti ideologici centrali delle concezioni non istituzionali del corpo, della salute e della malattia (la teoria energetica, la contrapposizione tra negatività e positività, il rapporto psiche-soma, il nesso tra malessere e responsabilità morale, l’insistenza sullo stress come fattore patogeno). Tali elementi vengono messi in gioco su un duplice fronte: da un lato, si misurano con il prestigio e l’autorità della medicina scientifica, dall’altro con il tema dell’efficacia simbolica. L’ANALISI DEI NARRATI La malattia esige un’interpretazione sociale: essa diviene un supporto di senso che può rivelarci quale tipo di rapporto l’individuo intrattiene con la società. L’analisi di racconti di esperienze svolte in quadri medici diversi da quelli oggi prevalenti può dunque dare accesso a credenze, valori e relazioni di significato che nelle pratiche terapeutiche si intrecciano e legano la persona alla società in modi differenziati e/o combinatori. La lettura dei narrati da me effettuata si articola lungo una serie di interviste compiute presso una gamma variegata di pranoterapeuti, svolgendosi in un universo caleidoscopico costituito da figure molteplici, alcune delle quali assai vicine al guaritore popolare della tradizione. Per la maggior parte si tratta di persone appartenenti a strati sociali medio-bassi, sovente in possesso di un’istruzione di tipo basilare, mentre solo in alcuni casi i soggetti intervistati si svincolano dalla categoria prevalentemente riscontrata, collocandosi più al di sopra del livello strettamente “popolare”. Nel primo caso, è stato più facile verificare la permanenza di nozioni teoriche vicine a quelle del malocchio e della fattura, laddove invece, nel secondo caso, tali concetti sembrano riassumersi in categorie generiche come quella di “negatività”, testimoniando una riplasmazione della tradizionale ideologia di riferimento. D’altro canto si constata, in particolare fra i pranoterapeuti di ambiente urbano e con un’istruzione maggiore, la presenza nei discorsi di attributi di pretesa scientificità, con l’evidente preoccupazione di apparire “culturalmente aggiornati”. Facilmente, infatti, i discorsi degli intervistati risentono di richiami e di elementi desunti da modelli propri, in senso lato, del mondo scientifico, modelli che impongono rispetto anche a livello di massa, per l’atmosfera di prestigio vagamente emanata da essi. Altro è l’orientamento e il carattere dell’unico guaritore-mago di zona rurale da me ascoltato. In lui prevale, in luogo di una pretesa fusione tra magia e scienza, una perpetuazione di pratiche e credenze della più vecchia magia contadina. Peppino, ottantatre anni, utilizza per guarire scongiuri, formule, gesti apotropaici, controfatture. La recitazione di preghiere, il segnare con la croce la porzione malata del corpo sono pratiche nelle quali gli antichi magismi si intrecciano con simboli cristiani. Il suo è un universo strettamente rurale, egli risponde alle richieste di utenti che condividono con lui una visione totalizzante del mondo, scisso tra le forze del Bene e del Male. A differenza di quasi tutti gli altri intervistati, Peppino offre le sue prestazioni professionali a titolo gratuito, limitandosi ad accettare offerte volontarie, per lo più sottoforma di cibo. Vale la pena osservare che, al di là dei caratteri differenziali legati agli ambienti rispettivamente diversi dove operano, l’antica magia contadina e la “nuova magia” di città possiedono un corredo parzialmente comune di metodi terapeutici, soprattutto l’invio di fluidi magnetici, consigli per una vita migliore che faccia guarire, l’imposizione delle mani. Sia il guaritore di campagna che il pranoterapeuta sono due figure complementari a quella del medico ufficiale, soprattutto perché, a differenza di quest’ultimo il cui ruolo è percepito come spersonalizzato e burocratico, essi stabiliscono con il cliente un rapporto immediato e globale, ripristinando un’unità tra spirito e corpo, di solito trascurata. Questa pare essere una delle ragioni di fondo che richiamano schiere di individui verso figure mediche eterodosse, tanto più che i soggetti rivelano al “mago” malesseri la cui origine non è soltanto causata da fattori organici, ma anche da fattori psicologici di squilibrio nei rapporti fra individuo e realtà globale in cui si vive, con cui si comunica e dalla quale dipende in gran parte il benessere di ciascuno. A livello di comportamento di massa si può constatare una tendenza di tipo dualista, dal momento che si ricorre insieme al medico ordinario e, contraddittoriamente, a mo’ di integrazione, al pranoterapeuta. Il pubblico, sull’onda dell’igenismo, del culto del corpo e del benessere psicofisico ha sviluppato una sete di solidità, sanità, giovinezza perenne da cui proviene un’incessante richiesta di guarigioni sollecite e garantite, che la scienza, nonostante i progressi, sovente non è in grado di fornire. Per di più essa, nell’incertezza della diagnosi e delle terapie idonee da scegliere, nei tempi lunghi si confà male con l’impazienza e la sfiducia del soggetto malato, il quale spesso si rivolge al pranoterapeuta dopo aver tentato la strada istituzionale. Ecco dunque l’epoca dei nuovi irrazionalismi, quasi un ritorno all’antico. Esso però si caratterizza peculiarmente rispetto al passato, testimoniando del grande passaggio avvenuto in epoca post-moderna. Se da un lato la continuità con la figura del mago appare più popolarmente marcata, specialmente dove vige un rimando a un’ideologia di stampo magico-religioso, dall’altro si nota un’esplicita presa di distanza da ogni analogia di tal fatta, sottolineando la peculiarità di ogni vissuto nonostante le indubitabili somiglianze tra i discorsi. E’ vero infatti che, al di là delle differenze di ogni specifico percorso di vita, è possibile riscontrare una serie di categorie analitiche che riconducono a paradigmi costanti di riferimento, emersi durante i colloqui. E’ perciò utile svolgere un’analisi delle interviste citando esplicitamente gli ambiti emersi e presentando via via i singoli personaggi. I parametri utilizzati sono stati ripresi da un lavoro sulla pranoterapia svolto da Fabio Dei. Durante i colloqui ho infatti notato come si possa parlare, in accordo con il professor Dei, di legame psicosomatico, vale a dire la credenza per la quale il male fisico sarebbe provocato dal pensiero intenzionato del malato, tesi quest’ultima che ricorre in tutti i discorsi. Importanti e onnipresenti sono altresì gli ambiti del linguaggio, ritenuto fondamentale mezzo comunicativo tra terapeuta e paziente, e dell’energia, la forza attraverso cui il guaritore opera. Altre categorie utilizzate sono quelle relative alla scoperta dei poteri, spesso traumatica, alle patologie curate e alla tipologia dei pazienti, i quali si caratterizzano per la provenienza dagli strati sociali più disparati. Un caso particolare è costituito dalle questioni delle facoltà paranormali e della guarigione a distanza. Ivi, infatti, al di là del comune riscontro di poteri ulteriori oltre a quello di guarigione, non ho individuato, a differenza di Fabio Dei, la possibilità di inserire un’ulteriore ambito analitico, riguardante la trasmissione energetica tramite oggetti opportunatamente “trattati” dal terapeuta. Per ciò che concerne i rapporti con la medicina ufficiale, invece, posso parlare di una sostanziale aderenza all’analisi da lui svolta, così come per l’ultimo punto individuato durante i colloqui, riguardante la concezione di negatività, termine sotto il quale si nasconde l’antica ideologia del malocchio. Psiche e soma La nozione di psicosomatico sembra delimitare l’ambito dell’efficacia della pranoterapia, tracciando i confini nei confronti della medicina ufficiale. Per gran parte dei terapeuti il male ha un’origine mentale, una sorta di nodo di fondo, dipendendo da uno squilibrio nella personalità. Non è un caso se in molte terapie vi è l’esigenza di parlare con la persona bisognosa di cure, affinché questa espliciti progressivamente i problemi che la affliggono e si tranquillizzi. In tal senso, spesso viene svolta, seppur implicitamente, una critica nei confronti della medicina ufficiale, la quale non presta adeguata attenzione al lato emotivo del paziente e alla natura psicosomatica del male. Dietro tale tipo di appunto risuona una tesi diffusa tra i sostenitori di una concezione olistica del mondo, che potremmo definire “determinismo psichico”: le malattie sono in qualche modo prodotte dal potere della mente umana, non derivano da fattori esterni che aggrediscono il corpo, ma sono causate da uno squilibrio interno alla nostra stessa individualità, intesa come unità inscindibile di psiche e soma. Nelle concezioni più radicali la relazione tra mente e corpo è così stretta che il pensiero è capace di influenzare la materia modificandola, agendo concretamente nel causare un danno o nel processo di guarigione. Esso è cioè ritenuto una forza reale di azione sul mondo, indirizzabile tanto al bene quanto al male, comunque centro nevralgico del nostro vivere. “L’azione segue il pensiero: diventiamo quello che pensiamo” (Regan-Shapiro 1988: 35). Enrica B. è una distinta signora di mezza età, vedova, in pensione da una decina di anni. Vive con la figlia e fa la pranoterapeuta a tempo pieno. Studia assiduamente libri che espongono teorie filosofiche orientali e ha frequentato corsi specifici per imparare tecniche di guarigione di stampo alternativo, come la riflessologia. Ha un’utenza prevalentemente locale ed è specializzata nella cura delle malattie psicosomatiche, in particolar modo quelle che ritiene provocate da stress. La nozione di psicosomatico per lei delimita l’ambito di efficacia della sua azione e costituisce un terreno di definizione dei confini nei confronti della medicina ufficiale. Enrica basa tutto il proprio operare sulla forza del pensiero intenzionato, il quale è in grado di muovere gli eventi agendo concretamente: […] il pensiero muove dell’energia, può agire da sé. Quindi se io muovo la mente in un certo modo… ottengo, beh, delle risposte […] Sono eventi che noi muoviamo. Se porti attenzione lo puoi fare. Se io desidero una cosa la ottengo. Devi muovere il pensiero, però bisogna stare attenti perché puoi ottenere una cosa che non è adatta a te. C’è una grossa responsabilità in questo, perché non sempre le cose che desideriamo sono quelle adatte a noi.. quindi c’è bisogno di analisi (Enrica B.) Secondo Enrica la gran parte delle malattie ha un’origine psicologica e dipende da uno squilibrio della normale personalità dell’individuo. Non è un caso se lei stessa sottolinea l’importanza della parola come terapia di guarigione, da accompagnarsi però sempre con la somministrazione di energia guaritrice. E proprio il verbo sta alla base della critica rivolta alla medicina ufficiale, la quale non presta attenzione all’emotività del malato e alla vera natura del suo problema. […] La malattia è creata da noi, dai nostri atteggiamenti sbagliati o… non so… di rabbia, di dolore, di rancore che teniamo dentro… tutti questi sentimenti negativi incidono poi sul corpo. Tu sicuramente sai che noi non siamo solo questa parte che vediamo, no? Abbiamo una parte energetica che è alimentata dai nostri pensieri, dai nostri sentimenti. Allora, quando io ho.. adesso per fartela breve.. ho una serie di sentimenti dannosi tipo proprio di rabbia, rancore, invidia, gelosia, magari sono anche piccoli però li continuo ad alimentare, intorno al mio corpo si forma come una cappa. Questa cappa non permette al mio corpo di respirare, di sentire la forza che c’è in sé e piano piano crea delle sofferenze fisiche. Quindi se io fisicamente ho dei disturbi, sicuramente ho mantenuto dentro dei rancori anche vecchi, che non sono neanche più consapevole di avere o non ci do importanza (Enrica B.) Che la malattia sia prodotta dall’individuo stesso è una nozione cardine nell’ideologia di questa donna, riscontrata in tutte le interviste effettuate. Da un lato il male è ritenuto essere causato da elementi esterni all’individuo, che contrastano con la naturale essenza dell’uomo, dall’altro esso è una questione di responsabilità individuale, un segnale di allarme tramite cui l’organismo dà parola a ciò che impedisce di vivere in armonia con il vero Sé. Per Enrica, i sentimenti individuali sono in grado di incidere sulla salute della persona, menomando l’energia vitale di ciascuno tramite, ad esempio, rabbia o rancore non rimossi, i quali inciderebbero sulla salute in maniera negativa. Marco è un custode di automobili di sessantun anni. E’ sposato e ha una figlia. Ha un’istruzione elementare, non è in possesso di alcun titolo di studio. Per sua stessa ammissione, è l’esperienza che lo guida nelle proprie scelte terapeutiche, ritenute efficaci grazie al singolare potere innato. Nel parlare di quest’ultimo, Marco fa riferimento a un dono divino, non direttamente riconducibile alla religione cattolica, quanto piuttosto a un’entità non ben definita, plasmata sulla scorta di letture occasionali di libri riguardanti filosofie orientali. Sulla base di tali letture, Marco si è autocreato un sapere personale di riferimento che include nozioni come quelle di karma e reincarnazione. Anche per lui la malattia è questione di responsabilità individuale. La volontà umana costituisce un punto cardine nel suo discorso, il pensiero intenzionato è il responsabile del manifestarsi del male. Secondo lei la malattia è autoprodotta da noi? Si, e così la guarigione. Infatti, perché avvengono le cosiddette “guarigioni miracolose” nei santuari? Per la forza di concentrazione. Lì agisce l’energia di tutte quelle persone sventurate stracariche di una grande voglia di guari- re: si esterna un’emozione talmente alta da viaggiare alla velocità della luce. E’ il singolo che riesce a guarire con la sua forza di volontà, perché capta questa grande quantità energetica. Altrimenti, se fosse miracolo divino, perché alcuni si salvano e certi no? Guarirebbero tutti, no? Dipende dal singolo. Ad esempio le stimmate: le menomazioni fisiche sono provocate dalla forza mentale di una persona, che è capace di comandare persino la materia. E’ la mente dell’individuo: essa vuole quello e quello ti dà. Volere è potere. Io non credo al discorso dell’inconscio. Con l’energia si possono guarire tantissime cose, anche gli stati psicologici. La mente è un potenziale di guarigione o di morte: tutto dipende da essa. La preghiera in realtà dovrebbe essere rivolta a noi stessi, perché siamo noi che disponiamo il nostro destino. Invece siamo pilotati da tante forme di potere Secondo lei da cosa è provocata una malattia? Essa nasce a livello psicosomatico. La persona che è sempre triste o frustrata ha un basso bioritmo, poca energia vitale. La mente non è più padrona di sé e provoca uno squilibrio energetico che si ripercuote sul fisico. Piano piano questo squilibrio si manifesta come malattia organica. L’aura, quel cordone fosforescente che abbiamo tutti, si divide in più parti: quando c’è una zona in ombra, significa che lì c’è qualcosa che non funziona bene. E’ un segnale di allarme (Mario S.) La natura ultima dei problemi appare sempre di ordine mentale o psicologico. Anche la dimensione interpersonale che si articola nei problemi di comunicatività è riletta nei termini di psicologia individuale. Il pensiero agirebbe sul corpo provocando uno squilibrio energetico dannoso, il quale sarebbe in grado di causare l’insorgere della malattia. E’ la convinzione di Miranda S., una vedova di sessant’anni, casalinga, divenuta pranoterapeuta per “missione”, in quanto portata verso gli altri e a far del bene. Perché, secondo lei, una persona si ammala? Non lo so di preciso, ma penso che in un punto si blocca l’energia e lì nasce il dolore. L’imposizione va a spostare l’energia. Assorbi e dai e l’energia ricomincia a circolare bene nel corpo fino a quando il male scompare […] Può essere un trauma che uno ha avuto. Guarda la depressione: nasce per un dispiacere, ad esempio la morte di un caro. Un dramma può portare anche a un tumore, come nel caso di quello al seno. L’ha detto un dottore che viene dalla Germania. Io credo che se una persona fosse felice, tranquilla, che tutto fila liscio, non si ammalerebbe nessuno (Miranda S.) Miranda è molto cauta nell’esporre le proprie teorie. Utilizza sempre termini generici e cita numerosi studiosi con cui, durante corsi di apprendimento, è venuta in contatto. Ella si professa infatti una “povera ignorante” che non ha potuto continuare gli studi in giovane età e ora si adopera per recuperare il tempo perso frequentando seminari e leggendo libri o riviste. Il suo è un universo completamente domestico: i suoi clienti giungono da lei unicamente dal circondario, per lo più indirizzati da amici e parenti. Ben diverso è il caso di Danilo M., un ex meccanico di mezza età. Costui, sebbene non possieda diplomi o titoli di studio, vive in una dimensione cosmopolita. La sua professione di pranoterapeuta lo ha fatto conoscere in tutt’Italia e all’estero, ragion per cui è sovente impegnato in viaggi e convegni. Ha pazienti nell’intero paese e svolge egli stesso corsi di abilitazione professionale, unendo allo studio delle tecniche specifiche di imposizione delle mani letture di matrice orientale. Danilo si definisce un “maestro”, si vanta delle enormi facoltà e della sua potenza guaritrice che lo ha portato, dopo un certo periodo di gavetta, a divenire pressoché onnipotente, in grado di curare ogni tipo di malattia. Al contrario di Miranda e degli altri soggetti intervistati, che tendono a esplicitare i loro limiti, Danilo si vanta di saper curare anche i tumori. Anche per lui, comunque, la malattia ha un’origine mentale: […] la malattia è il 98% psicosomatica: mente e corpo. Se è così, e non lo dico io, siamo noi che la produciamo. Con lo stesso meccanismo, distruggiamo la malattia, anche velocemente. Quindi siamo responsabili sia per la malattia che per il processo di guarigione… Certo! E per guarire una persona deve auto-responsabilizzarsi … Si Lei in questo caso cosa fa? Io intanto agisco sulla psiche, poi sul corpo. Per esempio: se tu hai mal di stomaco, io non vengo a curarti lo stomaco, ma un’altra parte del corpo, che è la responsabile del male. Se tu hai mal di stomaco, sicuramente camminando ti fa male vicino al ginocchio. E’ il nostro corpo che produce la malattia. Noi abbiamo un campo aurico (Danilo M.) Il concetto chiave nella definizione di malattia è quello di squilibrio. Quest’ultimo dipenderebbe da fattori esterni di tensione, generalmente riassunti nella nozione di stress, un insieme di esperienze negative connesse allo stile di vita contemporaneo. Il malessere presentato risulta solamente una manifestazione marginale di ciò che è il reale problema, segnalato dall’insorgere del disturbo. Occorre capire la reale causa, scavare a fondo, non limitandosi alla constatazione del sintomo di superficie e alla sua cura circoscritta: il malato è chiamato in causa nella sua integrità psicofisica e attivamente coinvolto nel processo di guarigione tramite un’analisi dettagliata del suo vissuto. La terapia tende a coincidere con un mutamento dello stile di vita tout court, ideale quest’ultimo vicino ai movimenti ambientalisti e anti-consumistici. Rita C. è un’estetista di quarant’anni. Non è sposata e non ha figli, ama moltissimo gli animali e ha un grande rispetto per la natura. L’attività come pranoterapeuta si svolge per lo più insieme al suo lavoro. Infatti, costei non ama parlare delle proprie facoltà di cura, quasi vergognandosene, e tende a trasmettere l’energia durante massaggi, spesso all’insaputa di chi ne usufruisce. I clienti che la frequentano sono estremamente eterogenei, dal momento che Rita lavora presso una palestra. Pochi, generalmente per sentito dire, la contattano specificamente per la pranoterapia. Il suo, per ammissione diretta, è un fare del bene alla gente, tant’è che non richiede denaro per le proprie prestazioni energetiche. Rita è assai attenta a svolgere una vita quanto più possibile vicina ai ritmi naturali e ha un’alimentazione di tipo biologico. Insiste spesso sullo stress come causa dell’insorgere di un malessere, collegandolo ai ritmi di vita della società occidentale, implicitamente criticati perché troppo frenetici. Perché una persona si ammala? Beh, lì lo dicono anche gli psicologi… se tu non stai bene con te stesso poi il fisico ne risente e ti ammali. Quindi sarebbe opportuno fare una vita sana e non avere pensieri. Però nel mondo in cui viviamo è un po’ difficile. Si tratta di cambiare il sistema di vita appunto. Noi prendiamo come esempio gli orientali e diciamo “ah! Quelli stanno bene” però loro hanno tutto un sistema di vita particolare, sono anche legati al tipo di alimentazione, all’ambiente, a certi orari per svegliarsi e per andare a dormire, a un tipo di lavoro non frenetico e non stressante. E’ un’altra cosa insomma (Rita C.) Luciano D. è un medico omeopata. La sua intervista, in realtà, è stata inserita in questo lavoro sulla pranoterapia per far comprendere al lettore quanto essa si leghi a pratiche mediche “complementari” grazie al riferimento a ideologie comuni, soprattutto al concetto di olismo e di energia. In quanto medico, Luciano ha sicuramente un grado di istruzione medio-alto ed è l’unico dei soggetti ascoltati a possedere una vera conoscenza di stampo medico e fisiologico. In più, egli si interessa di filosofia, in particolar modo di matrice orientale. Luciano denuncia apertamente una certa insofferenza della corrente terapeutica ufficiale nei confronti del lato emotivo e psicologico del paziente, nonché un rigoroso scetticismo riguardo tutto ciò che non è strettamente scientifico e dimostrabile. Come uomo, Luciano sottolinea l’importanza della parola e dell’ascolto con i suoi lunghi tempi e punta molto sulla compatibilità tra due individui nel momento dell’incontro verbale. Secondo lui, la malattia è dovuta all’azione del soggetto, immerso in un mondo di energie contrastanti con il proprio Sé, sovente schiacciato dal peso di un vivere in modo errato la vita. Da cosa è provocata la malattia? Da un non star bene, da un vivere male la propria condizione, da un’insofferenza, un’infelicità. Dunque, siamo noi che le produciamo … Non proprio noi, ma la nostra coscienza profonda. Noi a livello razionale non siamo niente, ci inganniamo, facciamo le cose così perché dovevamo farle. Invece, la coscienza profonda sa tutto di noi: il corpo, non essendo soddisfatto per quella cosa, ti avverte dicendo dove sta la tua sofferenza. E’ come se dicesse: devi essere consapevole del tuo andare nel mondo. In più, l’uomo è energia. Quando, per qualsiasi motivo, abbassiamo le difese immunitarie, e guarda che basta una telefonata o uno sguardo, dopo un po’ stiamo male, magari ci viene la tosse o il mal di testa. Per capire, basta guardare gli innamorati: sono così pieni di energia che non si ammalano. Quelli veramente innamorati intendo. Altrimenti, per lo stress il corpo si ammala. Subito sei sensibile ai germi e prendi tutto, dal raffreddore al tumore, tutto. Quindi la guarigione comporta un mutamento del nostro atteggiamento verso la vita… La guarigione si ha quando la persona si riappropria del Sé. E’ come nel mito della caverna di Platone… è una storia che fa capire che la gente può liberarsi. In realtà, pochi ci riescono. Ci vuole coscienza, consapevolezza. Invece, se hai un male e vai dal medico ufficiale, quello ti dà una pasticca e tu stai meglio. Ma perché però? Perché non hai più quel sintomo, ma non sei guarita, non sei andata a livello della globalità corpo-mente-spirito. Quindi, dopo un po’, il sintomo si ripresenta. E’ come mettere un dito nel rubinetto che perde: l’acqua deve pur uscire da qualche parte. Nel corpo la malattia si manifesta da qualche altra parte e, mano mano, va ad attaccare organi sempre più importanti, fino ad arrivare al sistema nervoso. La malattia così non si può sopprimere. Ed ecco che si formano le depressioni (Luciano D.) Ancora una volta è il pensiero profondo a muovere le fila del gioco: il corpo si ammala in seguito a un input della mente, la quale segnala alla coscienza un problema di fondo. L’atteggiamento verso la vita e il suo scorrere assume grande importanza: la consapevolezza di sé, la positività paiono essere una sorta di protezione contro l’insorgere di mali fisici. Corpo, mente e spirito si collegano strettamente, risultando inscindibili nell’unità dell’essere umano, inteso come creatura globale. È lo stesso concetto espresso da Valeria S., casalinga settantenne, sposata e felice nonna di tre nipoti. Valeria proviene da una famiglia povera di origini venete. I suoi genitori si sono trasferiti nell’Agro Pontino in seguito alla bonifica per trovare lavoro come braccianti. Ella ha sempre vissuto in un universo contadino e non ha frequentato scuole di sorta. È una donna vivace e giovane nello spirito, attenta ai cambiamenti della vita di oggi e particolarmente affettuosa verso i giovani. Guarda la televisione per tenersi aggiornata, come lei dice, e le piace leggere ogni sorta di rivista. Il suo è un universo strettamente familiare, si divide tra i clienti (amici e parenti) e la famiglia, che comunque ha la priorità sulla sua attività di pranoterapeuta. Valeria ha svolto parzialmente un corso con la sorella, anch’essa dotata di facoltà di cura, ma non possiede specifiche nozioni sull’argomento, né pare interessata più di tanto a scoprire qualcosa in più a riguardo. Le sue idee derivano, per sua stessa ammissione, dall’esperienza terapeutica ventennale. Secondo lei perché una persona si ammala? Perché lo vuole! Un po’ per il carattere, un po’ se pensa sempre male. Infatti, se tu pensi sempre positivo, non ti ammali. Non devi essere invidioso, non devi stressarti … stai bene … Quindi la malattia la provochiamo noi … Eh si! Ti viene perché la mente influisce sul corpo e poi il corpo non reagisce. Perché poi l’energia non funziona più bene perché, se pensi al bene, ti rifai l’energia buona anche da solo. Ad esempio, se hai mal di testa, non devi pensarci: dì “sto bene”, esci. E’ un atteggiamento. Devi stare rilassato. Infatti io faccio la pranoterapia pure alle ragazze che devono dare gli esami, per calmarle, per caricarle. Perché se uno non pensasse negativo, starebbe sempre bene. Poi, certo, influisce tanto pure lo stile di vita, lo stress soprattutto. Se tu ti rilassi e ti riposi un po’… perché è lo stress che porta tutti i tumori e queste cose, i ritmi di vita di oggi… che io dico: ma a che servono? Siamo campati sempre lo stesso senza tutto questo correre! (Valeria S.) Luigi è un pensionato di sessant’anni. Vive solo e non ha figli. La sua figura come pranoterapeuta è particolare dal momento che egli crede di essere un “eletto del Signore”, uno strumento nelle mani di Dio. La sua interpretazione del misterioso potere ricevuto come dono divino si colloca in un universo strettamente religioso. Ogni cosa è ricondotta all’operare misterioso dell’Onnipotente e la facoltà di guarigione è vista come attività apostolica. La clientela di Luigi è costituita per la maggior parte da persone anziane che condividono con lui una visione della vita strettamente aderente ai dogmi cattolici. Costui è una figura di terapeuta molto vicina a quella del guaritore popolare: esplicite sono le cornici totalizzanti di pensiero che racchiudono la propria visione del mondo, così come la menzione di fatture e malocchi. La credenza del guaritore nelle proprie facoltà e del malato nei dettami religiosi, in particolare nella preghiera, è ritenuta indispensabile. Nelle dichiarazioni di Luigi lo stile di vita è importante ai fini del mantenimento del benessere: qui però esso si identifica con la professione di fede. La sua è una visione del mondo che si articola sul contrapporsi di due grandi forze, quella del Bene e quella del Male, le quali determinano gli orientamenti del singolo. Star bene significa, nell’ottica di Luigi, seguire i passi del Signore. Secondo lei il paziente è responsabile della propria guarigione? Certo! Perché uno può guarire solo se vuole, deve credere. Credere è già mezza guarigione. Perché altrimenti, pure se io invio il flusso di bene, uno lo rifiuta. Poi, lo stress, dormire poco, fa male. Non bisogna affaticarsi, fare stranezze perché si portano le conseguenze. Bisogna sempre fare una vita retta, sui passi di Dio. Se poi uno non va in chiesa e bestemmia, non lo ammetto proprio! Io faccio sempre fare comunione e confessione. Questi qui sono più esposti alla malattia, perché la bestemmia porta alla malattia. Ma non significa che il Signore si vendica, Lui è misericordioso, però… insomma è bene non bestemmiare. Perché devo offendere uno che non mi ha fatto niente? (Luigi M.) Punto in comune con gli altri pranoterapeuti intervistati è la convinzione nella dimensione globale umana: ancora una volta corpo, mente e spirito sono concepiti come un tutt’uno non scindibile ed è il pensiero a muovere ogni cosa nella nostra esistenza. Secondo lei mente e corpo sono collegati? Noi siamo tutti collegati, pure con l’universo. Tutti gli esseri umani hanno un cervello e un sentimento. Solo che la mente influisce sul corpo in tanti modi. Perché se una persona pensa negativo, si trascura oppure ha tanti vizi, quello è un danno. Il corpo ne risente perché è una cosa sola con il pensiero (Luigi M.) Ettore B. è un imprenditore agricolo di mezza età, vedovo con due figli. Vive solo in una casa di campagna vicina alla sua azienda. L’enorme spazio a disposizione intorno all’abitazione e il relativo benessere economico che gli deriva dalla sua attività lavorativa gli hanno permesso di edificare un vero e proprio studio di foggia orientaleggiante, in particolar modo egizia. Costui ha a disposizione una sala di attesa, uno studio personale e ben due camere dove praticare la pranoterapia, una delle quali a forma di piramide. Ettore è un guaritore autodidatta. Non crede nei tanti corsi per pranoterapeuti in cui si insegnano i rudimenti del mestiere, preferisce istruirsi da sé, consultando fonti proprie. Nello specifico, egli è interessato all’Egitto e ritiene che quest’ultimo sia una fonte sapienziale infinita. Le sue nozioni, tuttavia, non seguono quelle ufficiali e archeologicoscientifiche, bensì derivano da letture di matrice esoterica e occultistica, frequente accompagnate da letture filosofiche indiane, e da viaggi. Egli, anzi, critica apertamente il dogmatismo delle posizioni accademiche, le quali non avrebbero compreso la verità degli antichi egizi, confondendola con l’apparenza. Nell’esposizione delle proprie opinioni non è molto chiaro, sovente fa riferimento a una forma di sapere iniziatico difficile da comprendere e chiama in causa nozioni come quelle di aura psichica, una sorta di cordone energetico di vari colori che circonderebbe il nostro corpo. Perché, secondo lei, una persona si ammala? Per uno squilibrio energetico nell’aura psichica. Però non so se mi puoi capire, questo è un discorso troppo scientifico … Provi … Beh, l’aura psichica, praticamente, se ha subito dei traumi, ha poca ossigenazione nella zona dove si manifesta il male. Cioè… pure il sangue lì non scorre bene, è una zona a rischio insomma. Ma davvero, qui entriamo in un discorso troppo scientifico. Come faccio a spiegare? Dovresti essere iniziata prima. Perché poi, diciamo, la mente trascura il corpo perché deve badare a quella zona. Ma perché si produce uno squilibrio? La causa è dovuta a noi o a fattori esterni? In grandissima parte è dovuto a noi, a nostre scorrettezze […] C’è sempre stata un’interferenza energetica. Mi sembra di capire che una persona si ammala quasi per una propria colpa … Si!! Per una sorta di impurità … Esatto! Brava! Diciamo che quando un soggetto è impuro, il trauma sfoga sulla parte più debole. Perché la patologia significa che non ci siamo comportati bene. Poi i casi sono diversi … diciamo che intorno a noi c’è un’energia perversa. Allora interviene il pranoterapeuta. Quando io impongo le mani, tra la mia energia e quella del paziente c’è uno scambio e l’energia perversa non ha più posto, quindi viene dissolta, diluita. E, così, finisce il disturbo dell’entità […] Questo lo dico mica per parlare a vanvera: io faccio in continuazione studi, eh? Noi siamo tutti energia positiva, però spesso siamo affiancati da energia perversa, che non è nostra. E, quindi, ecco perché la malattia. Ad esempio, l’esaurimento nervoso viene perché c’è un nodo di energie che non ti appartengono. Basta scioglierle e l’entità che era stata creata sparisce (Ettore B.) Torna qui il concetto, riscontrato presso ogni narrato, di squilibrio energetico provocato dall’individuo stesso. In più, rispetto agli altri guaritori, Ettore postula l’esistenza di una sorta di entità energetica presente nell’uomo non a livello corporeo, ma spirituale: sarebbe quest’ultima una custode dell’anima del singolo e del benessere dell’aura, la quale è incarnata nella persona e la go- verna. Purtroppo, la reticenza di Ettore su tale argomento non mi ha permesso di indagare più a fondo sulla questione. La scusa che sempre mi sono sentita ripetere è che non avrei potuto comprendere. Frequente in tutte le interviste è una critica più o meno esplicita allo stile di vita occidentale, in particolare verso i frenetici ritmi capaci di disumanizzare la dimensione quotidiana dello scorrere temporale. In tal senso, il pranoterapeuta si colloca su un gradino differente rispetto al medico ufficiale, spesso accusato di rientrare appieno nelle maglie di una logica spersonalizzante, dedicando pochissimo tempo a ogni singolo paziente. In particolare, è Enrica a insistere sul suo ruolo di “guida spirituale” del malato, che ella non definisce mai “paziente”. Per lei, si tratta di un uomo bisognoso di aiuto, demarcando così una netta separazione rispetto alla corrente istituzionale. Ciò su cui Enrica insiste è il proprio ruolo nel processo di responsabilizzazione del soggetto, il quale deve svolgere da solo il percorso che lo porterà a guarire tramite presa di coscienza individuale. Il pranoterapeuta assume qui la funzione di sostegno. […] Io ho capito che il nostro malessere fisico dipende dall’atteggiamento verso la vita… quindi quello che io sto facendo non è tanto curare i disturbi fisici, ma cerco di andare alla fonte e di insegnare alle persone quel cambiamento che serve dentro di sé perché non succedano più questi discorsi. Quindi non è che tu vieni da me con il mal di testa e io ti dico “te lo faccio passare”, cerco di capire insieme a te come mai soffri di mal di testa. Magari facciamo delle cose, degli esercizi, delle attenzioni per fare sì che piano piano ti passi il mal di testa, però io non mi impegno più di tanto perché ognuno deve diventare responsabile per se stesso del perché succedono delle cose […] la cura viene più dalla persona che ha voglia di ricevere delle cose che non tanto da me… io posso insegnare, posso sostenere mentre la persona fa dei lavori su di sé (Enrica B.) Dunque, come ben rileva Fabio Dei, lo squilibrio patologico è causato da un atteggiamento verso il mondo in contrasto con la “naturale” essenza dell’uomo, il quale tenderebbe invece a uno status di benessere perpetuo. In un altro senso, però, la malattia proviene dall’interno poiché è questione di responsabilità individuale. I fattori associati allo stress nella maggioranza dei casi sono compresi nell’area della rabbia, dell’odio, della frustrazione, dell’ansia, della depressione, eccetera. Ora, il male è un modo dell’organismo per segnalare il negativo legato all’interiorità di ognuno, un dare voce a ciò che impedisce un armonico sviluppo della personalità in coerenza con il creato. Il sintomo in sé non è visto come un fattore maligno, bensì rappresenta una sorta di spia luminosa con cui il corpo segnala la presenza di ben più gravi problemi sul fondo. Da qui la distinzione tra l’agire sui sintomi e l’agire sulle cause. Non a caso, infatti, una delle critiche maggiormente rivolte alla medicina di base è quella riguardante la scissione di un legame rivelatore: il medico agirebbe unicamente sulla manifestazione superficiale del male, senza preoccuparsi di rimuovere la radice dello stesso e provocando così il ripresentarsi del disturbo, quando non il suo peggioramento. Concentrarsi su un particolare non solo non basta, ma risulta controproducente dal momento che impedisce la comprensione del “significato” del sintomo, il suo messaggio alla mente. Ancora una volta, dunque, è il pensiero a muovere ogni cosa: la realtà ultima dei problemi è sempre di ordine psicologico, la stessa dimensione sociale e interpersonale presente nelle questioni di comunicatività, spontaneità e colpa viene sistematicamente riletta in termini individualistici. La realtà psichica emerge all’esterno tramite segnali corporei: è lo stesso meccanismo utilizzato dalla psicanalisi per spiegare l’insorgenza dei sintomi nevrotici. Sarebbe una tensione irrisolta, non direttamente visibile o accessibile alla coscienza a sfociare, incapace di essere contenuta, verso patologie esteriori in relazione analogica con la matrice. Una corretta diagnosi deve essere orientata a cogliere non la ragione localizzata del sintomo, bensì le cause più profonde e non sempre immediatamente visibili che l’hanno creato. Quest’ultimo annuncia, parla, comunica, ma il suo linguaggio non è mai immediato, preciso. […] ho sempre sentito il limite della medicina accademica nel suo non rapportarsi all’uomo, a quell’uomo, bensì al sintomo, alla manifestazione ultima della sofferenza. Quando uno ha un foruncolo, quella è una manifestazione. E così per tutto, anche il tumore. La medicina accademica continua a rapportarsi al sintomo ultimo: per il foruncolo ti dà una pomata e basta, senza fare alcuna differenza, neppure di sesso. E’ una medicina sintomatica: non fa differenze tra persone, semmai la diversità sta nel dosaggio. Ma l’uomo è fatto di corpo, mente e spirito: ciò non importa alla medicina universitaria. Invece, le medicine non convenzionali si occupano dell’uomo nella sua globalità. Solo così si può arrivare alla guarigione, alla libertà dalla malattia. Se no, risolvi unicamente il sintomo, non curi la malattia (Luciano D.) La diagnosi, più che identificare i meccanismi patogeni, diviene una pratica ermeneutica, richiede la capacità di interpretazione di un parlare complesso, spesso allusivo, simbolico. Le parole non sono mai espresse da un singolo organo, divengono un messaggio della persona nella sua globalità. Ignorare la richiesta d’aiuto tacitando la voce che la manifesta, come tende a fare la biologia con l’azione di intervento diretto sul sintomo, non risolve alcun problema, semplicemente lo occulta. La capacità di leggere i simboli e le connessioni richiamate dai segnali è fondamentale per una diagnosi corretta. Comprendere una malattia non può essere un’azione meccanica e standardizzata, definita da categorie universali e applicabili a ogni individuo: richiede la facoltà di ascoltare, di considerare il disagio manifesto come parte di un discorso più ampio, che coinvolge l’intera esistenza del malato. Ciò è esplicitamente dichiarato nelle pagine di un manuale di pranoterapia, nel punto in cui si danno disposizioni al terapeuta: Calma, disponibilità, sicurezza e buona disposizione d’animo debbono essere gli attributi di base di ogni pranoterapeuta che sia degno di questo nome. Egli deve poter ascoltare le parole dette, ma anche e soprattutto quelle non dette, deve essere uno psicologo, perché è proprio un vero aiuto e sostegno psicologico quello che il più delle volte viene richiesto, oltre beninteso a quello fisico […] Il pranoterapista ideale deve essere in grado di rassicurare il malato e di conquistarne la fiducia […] Il terapista deve porsi davanti al paziente stando allo stesso livello, con il viso disposto e non già commiserante, ma senza affettazione o sufficienza; è necessario che sappia ascoltare e rispondere al malato senza pretenzione o superiorità […] Bisogna far parlare l’assistito e ascoltarlo benevolmente, donando tutta la propria e personale disponibilità, perché molto spesso una guarigione si comincia dai preliminari. Non bisogna mai avere fretta e ricordarsi che “non esistono malattie ma malati” 2 Il concetto ritorna chiaramente nelle interviste. Lei come agisce rispetto alla medicina accademica? Io mi rapporto a quella persona. Mi rapporto al singolo nella sua globalità: corpo, mente e spirito. Tu non vedrai mai uscire dallo studio dell’omeopata due persone con la stessa ricetta per l’ovvia ragione che ognuno è a sé. Se mi dicessero che in due ore devo vedere venti persone, non lo farei: ci vuole tempo per il singolo caso. Le persone parlano con me, ma, a parte la parola, si sente a livello energetico. Basta avere una capacità vibrazionale, di sentire gli altri. Che poi era una facoltà sviluppata un tempo… oggi abbiamo tutti messo i tappi ai sensi e uno non capta più. Quello che una volta era lo sciamano, il mago, oggi è reietto, preso per pazzo. Invece, erano persone che captavano. Il medico si rapporta al paziente e il paziente si rapporta al medico… (Luciano D.) 2 M. Inardi, O. Sanseverino, L’a,b,c della pranoterapia, pag.33-34, Milano, Edizioni Maingraf, 1987 […] E’ un piacere vedere la gente, sono contenta quando viene e ancora di più quando stanno bene. Io poi ci parlo, la confidenza ti viene, da cosa nasce cosa… fai un po’ tipo psicologa e capisci le cose. Le sento, le vedo!(Valeria S) […] Io non sono come il medico che cura il sintomo (Rita C.) […] La prima cosa da fare è mettermi completamente a disposizione, devono cadere le barriere, il lei non esiste. Siamo sullo stesso piano. Anzi, i miei pazienti stanno su un gradino più in alto, io sono più piccolo di loro. Questa cura funziona tanto e bene quando il terapeuta è umile. Anche se ogni tanto si lascia andare. Deve cadere il muro del lei perché tu ti devi sentire sicuro di me. Finché ci diamo del lei, siamo due persone diverse. Ci dobbiamo fidare uno dell’altro. Perché tu stai male, io no. Non sono mai stato male: il problema ce l’hai te. Perciò, se io sono più piccolo di te, riesco a guarirti. Il terapeuta deve stare a disposizione del malato. Ci vuole contatto, un sorriso, non l’arroganza, la grandezza. L’umiltà cura le persone. Prima curi l’anima, poi tutto il resto. Io faccio incontri di meditazione per conoscere l’Io interiore e fare scendere il Super-Io sotto i piedi. Quando una persona dice sempre Io, io, io. Io te lo dico perché me lo chiedi. Ma quando lavoro, non sono nessuno. Qua, chi mi vuole mi deve dare del tu. Questa è una missione che mi dà molte soddisfazioni. Se continuavo il mio vecchio lavoro, facevo i soldi. Però, ho fatto altre scelte (Danilo M.) […] Qui si confida tutto. Io dedico tanto tempo a una persona, anche se la terapia vera e propria dura sette minuti. Ma io chiacchiero, lascio che i pazienti si sfoghino, che stanno bene (Miranda S.) […] io tratto diversamente i pazienti, perché secondo me la persona che viene è carente di calore umano. Io divento amico con le persone anzi… come si dice, aggiungo un posto a tavola. E guarda che ne ho trattate almeno quindici-sedicimila. Diventa uno di famiglia. Tu devi entrare dentro una persona, devi chiacchierare. Durante la conversazione infatti c’è già uno scambio energetico, no? (Ettore B.) […] è un rapporto più confidenziale, si diventa amici (Enrica B.) […] Il mio rapporto è buono con quasi tutte le persone perché io sono sempre cordiale, tranquillo, con il sorriso, cerco di aiutare la gente. Perché l’ammalato, a volte, si guarisce anche con un sorriso, una buona parola. E io do la buona parola, il sorriso, cerco di aiutare.. cioè do coraggio. Io entro in un rapporto amichevole col paziente. Tutto qui (Luigi M.) […] Con chi viene io mi rapporto in maniera molto più umana rispetto al medico. Mi metto alla pari. Ad esempio, ho capito che un ragazzo giovane si drogava da sette anni e per quello stava male di fegato. Il medico non lo aveva capito. Il ragazzo si è stupito perché non lo sapeva nessuno, poi ha ammesso. Io, per mettermi sul suo stesso piano, gli ho detto che anche io in passato avevo avuto problemi di droga. Ma non era vero, eh? Il dottore si è offeso perché io avevo indovinato e lui no, mi ha pure fatto una scenata. Io con le persone che vengono ci parlo, divento amico. Deve essere così. Adesso un sacco di medici vengono da me per chiedere conferma delle loro diagnosi, perché io capisco subito i malati, che poi mi rimangono affezionati (Marco S.) Nel caso della pranoterapia, tuttavia, non vi è nulla di simile al lavoro d’interpretazione proprio della psicanalisi, non vi è un linguaggio dell’inconscio da comprendere. Il legame tra psiche e soma si fa più immediato, privo di problematizzazione e del bisogno di mediazione simbolica. La relazione stabilita tra un determinato sintomo e la sua causa è letterale, efficiente: ad esempio, il mal di schiena viene concepito quale esteriorizzazione di un senso di colpa, un fardello personale, in grado di farci incurvare le spalle; l’incapacità di aprirci all’altro è il motivo di sviluppo della stitichezza, eccetera. Le metafore utilizzate dall’immaginazione popolare per descrivere alcune esperienze emotive tendono dunque a concretizzarsi in fenomeni tangibili. L’analogia linguistica non è solo un modo per parlare di qualcosa, ma produce modificazioni somatiche agendo sui processi fi- siologici: essa diviene un fenomeno organico appartenente all’ordine della realtà. La pranoterapia e le medicine alternative in genere estremizzano il fatto che il linguaggio culturale assegna al corpo il ruolo di inesauribile fonte di risorse di senso, interpretando i processi psicosomatici come linguistici: il pensiero fornirebbe un’interpretazione figurata dei disagi esistenziali, proiettando fantasiosamente sul corpo un messaggio di risposta al malessere interiore. La malattia diviene una metafora, per comprenderla appieno occorre decifrare l’analogia di linguaggio che le fa da madre. La tradizione antropologica da Frazer a Lévi-Strauss ci ha insegnato che il pensiero magico consiste nel considerare reali le relazioni analogiche. Dunque, le medicine non convenzionali e la pranoterapia in particolare rivelano un’aspirazione magica. Si tratta di un dar senso alle cose estremamente vago dal momento che tutto può ricondurre a qualsiasi cosa, risolvendosi in un atto interpretativo arbitrario privo di criteri oggettivi. Il pensiero intenzionato è la grande potenza in grado di provocare uno squilibrio tra psiche e soma, è l’atteggiamento mentale del singolo a determinare lo stato corporeo. Da ciò deriva la teoria che vede sia malattia che guarigione come dipendenti dalla mente, cioè dalla volontà e dalla responsabilità personale. Tale è il punto di maggior contrasto rispetto ai dettami della medicina ufficiale, la quale assegna al disagio la concezione di guasto, una rottura dei meccanismi biochimici che assicurano un perfetto funzionamento dell’organismo. Siamo perciò noi stessi che decidiamo di essere sani o meno, che vogliamo o non vogliamo guarire. La malattia spinge ognuno verso la consapevolezza di sé e delle proprie azioni, quasi fosse una sorta di chance per renderci conto degli errori commessi. Termine chiave è quello di “responsabilità”. Si esprime chiaramente la natura morale del rapporto intrattenuto dagli individui con la salute e la malattia. La scelta personale di un determinato stile di vita viene caricata di un valore aggiunto che le assegna il ruolo di spartiacque tra bene e male: è giusto privilegiare ciò che è naturale rispetto a quello che è artificioso e inautentico, lontano dai ritmi naturali e perciò venefico. L’onestà riguarda il sincero riconoscimento dei problemi, i quali, se celati da un falso ed egoistico scudo di ottimismo, generano il malessere: non è possibile ingannare se stessi perché ciò ci si ritorce contro. La psiche delle terapie alternative comunque non corrisponde all’inconscio freudiano dominato da ambivalenze irriducibili e da contenuti di cui l’identità morale del Sé non è cosciente. Sebbene anche la psicanalisi origini da un atto di auto-responsabilizzazione (è il paziente a decidere di entrare in analisi), la pranoterapia, postulando un pensiero onnipotente e l’immediatezza della relazione mente-corpo, vede la decisione del singolo di guarire quale inizio di guarigione: l’assunzione delle proprie responsabilità predispone verso un atteggiamento mentale favorevole. La stessa energia del guaritore non sortirebbe risultati se alla base non ci fosse una consapevole presa d’atto di chi è in cura, l’unico in grado di catalizzarla verso esiti positivi. Mentre il medico convenzionale tende a presentarsi come specialista, a fondare la propria autorevolezza sulle competenze scientifiche acquisite, su di un sapere tecnico che esclude il confronto con l’esperienza soggettiva del malato, ritenuta insignificante o insufficiente in ambito diagnostico, il terapeuta non è colui che risolve la situazione di disagio. Costui veste i panni di un consigliere capace di supportare il processo di guarigione, il quale rimane nella volontà del paziente. Il linguaggio Nel suo lavoro sulla pranoterapia, Fabio Dei afferma che quasi tutte le discipline non convenzionali hanno in comune con la psicanalisi il tentativo di lavorare su una dimensione profonda e non direttamente visibile della persona, al di sotto della superficie delle manifestazioni fisiologiche. E’ un’asserzione che sento di condividere pienamente: la sensibilità anti-meccanicistica, il nesso tra aspetti biologici, mentali e socio-comportamentali della vita umana costituiscono un’analogia di pensiero tra olismo e psicoterapia; l’idea del contenuto emotivo dei sintomi fisici, interpretati quali messaggi, è un postulato freudiano. Tuttavia, ancora una volta, la somiglianza non si spinge sino in fondo. Un estratto dell’intervista a Miranda S. può essere illuminante in tal senso: […] Vengono qui e si sfogano, piangono senza che io chieda niente. Si sfogano con me. Alcune sono persone importanti, che hanno studiato, maestre, avvocati. Io non ho studiato! Non so che dire, si fidano di me, mi raccontano la loro vita, la loro storia […] Cioè, ti devi fare sentire, devi far capire che tu sei vicina ai loro mali, che li capisci, però li devi pure toccare con le mani, rassicurarli tipo mamma, no? (Miranda S.) Ciò che qui è ritenuto fondamentale è la rassicurazione del malato tramite una vicinanza prossemica che ricalchi il tocco materno, un far sentire fisicamente la propria presenza. Rita C. parla più esplicitamente di massaggi che portano il cliente ad uno stato di rilassamento, facendogli recepire concretamente la presenza dell’operatore: […] quando viene qualcuno, lo stendo sul lettino e lo faccio rilassare con un massaggino, lo metto a suo agio insomma, lo tocco. Perché così uno capisce meglio quello che vuoi trasmettere e il male passa […] il mio massaggio magari funzionerà un po’ di più perché c’è questa energia in più e quindi […] Comunque per me il fatto è che molti non considerano il contatto umano, perché è importante anche un conforto, non solo a parole, ma anche fisicamente, che ne so, magari abbracci la persona, gli prendi la mano. Per farti sentire, capito? (Rita C.) Concordo con Dei sul tema del contenuto emotivo capace di produrre sintomi fisici e sull’idea di interpretare questi ultimi come messaggio: per lo studioso austriaco, è nel comportamento simbolico, verbale o no, che si esprime la dimensione profonda indagata ed è unicamente attraverso esso che il terapeuta può instaurare una relazione con il paziente. L’importanza del parlare costituisce un punto fermo tramite cui la coscienza può farsi strada fra le tortuose e oscure vie del subconscio. Per il pranoterapeuta, invece, esso è solo un mezzo di comunicazione capace di mettere a suo agio chi è in cura, spingendolo progressivamente ad aprirsi, e diviene un surrogato di quella comunicazione primaria che è prima di ogni cosa il tatto, necessario nella trasmissione energetica. Ivi, il Sé si focalizza nel corpo, poiché solo su quest’ultimo può agire l’energia tramite un contatto diretto: è nella materia che si sedimentano le frustrazioni, le ansie, le paure, le esperienze di vita e in esso nulla vi è di realmente separato. Valeria S. ribadisce con forza l’importanza della parola durante le sedute, però insiste altresì sulla necessità della prossimità fisica e, particolarmente, sul tocco delle mani tramite cui trasmettere energia. […] Io poi ci parlo, la confidenza ti viene, da cosa nasce cosa … fai un po’ da psicologa e capisci le cose. Le sento, le vedo! Perché la gente ha bisogno di conforto. Allora tu cerchi di stargli vicino, di farti sentire insomma. Oggi non si ha più tempo per niente, però invece è importante trasmettere la nostra disponibilità. Che ne so, un abbraccio, una pacca sulla spalla, dire “non ti preoccupare”, cose così. Poi, uno si confida […] Basta che lo metto sul lettino, impongo le mani e dopo uno è un’altra persona, pensa anche diversamente. Però bisogna sempre che lo tocco, così io do l’energia e lui si rassicura […] Non devi avere fastidio a toccare le persone. Te lo devi sentire: tocchi e poi vai a lavarti le mani (Valeria S.) Questo concetto è chiarificato nel seguente estratto: […] Vedi che ricevo in casa… la gente viene da me e mi basta. Mi fa felice soddisfarli. Mica lo so come lavorano gli altri pranoterapeuti e non mi interessa. Ognuno ha il suo metodo. Io devo sempre toccare le persone, là nel punto dove c’è il dolore perché significa che c’è una concentrazione di male. Quindi, quando metti le mani, vai a dissolvere il nodo energetico e anche il problema psicologico passa. Il tocco ci vuole sempre, almeno per me ( Valeria S.) Valeria sembra dire che per guarire occorre toccarsi, “farsi sentire” per usare l’espressione di Rita e Miranda. Si tratta di un processo immediato, quasi l’energia fluisse subito in modo automatico sul corpo e sulla psiche del paziente. In poche sedute il benessere è raggiunto, non occorre alcuno scavo interiore prolungato per comprendere la radice dei problemi psicologici. Assistiamo allo sfaldarsi della nozione di interiorità come spazio separato, le tensioni emotive si identificano con stati organici (Dei, 2004: pag.10). L’energia fluisce direttamente e istantaneamente, tramite la materia, sulle più profonde componenti della psiche e il beneficio risulta essere immediato: è sufficiente entrare in un certo schema di pensiero, assumere un diverso atteggiamento nei confronti del mondo, una predisposizione all’apertura e alla positività. Una volta permesso l’accesso all’energia, la guarigione va da sé e la terapia, a differenza dell’intenso e lungo lavorio della psicanalisi, può esaurirsi in poche sedute. […] Ogni cosa ha un’energia, animali, piante, uomini, anche le pietre. Questo è importante, se no uno pensa che le pietre non la abbiano perché non si muovono… Tutto è materia ed energia. Quello che i cinesi chiamano il Chi o gli indiani il prana è energia universale, la massima esistente. Poi, c’è l’energia individuale, quella di ognuno di noi, manifestata in base alle tipologie umane, al DNA, alla costituzione. La malattia è uno squilibrio energetico da riequilibrare. Per cui, è troppo comodo che ti danno un antibiotico. Bisogna andare a capire perché una persona si è squilibrata. Le medicine alternative hanno tale funzione, guardando l’intero essere umano. Si va a ricostruire l’energia della persona: c’è una mutazione, un cambiamento quantico. La persona si riappropria del Sé. Magari dopo vent’anni di sofferenza (Luciano D.) Quindi la malattia è uno squilibrio energetico e lei interviene per riequilibrare.. Si! Esatto! Però non faccio tutto io… sicuramente do una mano per sbloccare la situazione, però il benessere si mantiene se uno cambia, se comincia a fare delle azioni. Altrimenti non serve a nulla. Io posso influire se in questo momento hai un blocco… te lo posso sbloccare, ma se tu continui a dire delle parolacce, a essere arrabbiata con tua madre e tuo padre o tutto il mondo, il blocco lo ricrei. Quindi io posso averti aiutato a iniziare, ma se poi tu non alimenti questo fluire di energia, tutto ritorna come prima (Enrica B.) […] A volte per la persona il male è come un’auto-punizione perché chiaramente ognuno di noi ha un proprio punto debole e se c’è qualcosa che non va noi somatizziamo in un determinato punto. Infatti ho conosciuto una donna che aveva un tumore all’utero. Parlando lei mi ha confessato che quando era più giovane aveva abortito e non se lo era mai perdonato. Quindi, probabilmente, il suo senso di colpa l’aveva portata a sviluppare il male. E poi penso che il mio aiuto terapeutico valga solo per il 50%. Perché comunque se il paziente vuole guarire può anche auto-guarire, esistono dei processi auto-curativi. Ad esempio, io su di me lo faccio. La mente e il corpo sono collegati e quindi si ripercuotono uno sull’altro a livello energetico. Solo che uno non lo sa (Rita C.) […] Il pensiero dice molto. Tanti si ammalano proprio perché pensano negativo […] Ad esempio uno si butta giù di morale. Invece, se una persona si ripete sempre “io sto bene, io devo guarire”, non si reprime e la malattia non cammina (Luigi M.) […] il pensiero può deviare l’energia del corpo. Infatti, quando uno ha un pensiero fisso, si stanca. Invece, se una persona sta in ordine con se stesso, non ha disturbi fisici (Ettore B.) […] Io ho tantissimi malati di tumore mandati a casa per morire che stanno ancora lavorando da tanti anni. E’ una cura lunga, devi cambiare totalmente il tuo modo di pensare, di vivere, di mangiare, di muoverti. Io ti svuoto tutto e tu mi devi seguire. Se no non funziona (Danilo M.) […] Noi siamo tutti collegati, pure con l’universo. Tutti gli esseri umani hanno un cervello e un sentimento. Solo che la mente influisce sul corpo in tanti modi. Perché se una persona pensa negativo, si trascura oppure ha tanti vizi, quello è un danno. Il corpo ne risente perché è una cosa sola con il pensiero (Luigi M.) In questi estratti di interviste, l’uomo nella sua unità psico-somatica consiste di energia distribuita nel corpo; i problemi patologici non sono altro che squilibri o blocchi energetici e la cura consiste nell’applicazione di un surplus di energia, in grado di ripristinare l’armonia insidiata. Attardarsi nell’autoriflessione sul proprio passato, ripiegandosi in un atteggiamento pessimistico, risulta controproducente: un requisito basilare è il “pensare positivo”, evitando la contemplazione del proprio trascorso di vita e spingendo verso l’agire. In sostanza, la pranoterapia respinge l’orientamento introspettivo e il primato del logos instaurato dalla psicoanalisi. La grande colpa della modernità occidentale è quella di aver dimenticato l’importanza del contatto umano e dell’attenzione verso l’altro, instaurando un grigio mondo fatto di solitudine e isolamento. La centralità dell’intelletto ci impedisce di recuperare la genuinità dei rapporti umani. Non è un caso, infatti, se nel movimento olistico ci si richiama ad antichi poteri naturali soffocati dalla civiltà. In tale concezione, tecniche come il rilassamento e la meditazione di stampo orientale puntano all’annullamento del controllo razionale sul corpo, a “chiudere la bocca e ad ascoltare la voce del cuore”. Il dialogo viene a essere uno strumento nelle mani del terapeuta, nei limiti in cui esso può favorire il rilassamento. Tutti i pranoterapeuti intervistati hanno asserito di parlare con i propri assistiti. Il verbo ha certo la sua importanza dal momento che favorisce una rassicurazione del paziente, il quale può dare libero sfogo ai sentimenti che lo opprimono. Tuttavia, la terapia vera e propria consiste in uno scambio energetico messo materialmente in atto tramite il contatto fisico. Il dialogo diviene strumentale al rilassamento, alla predisposizione del malato verso un atteggiamento mentale aperto, che gli permetta di recepire nel migliore dei modi il flusso benefico inviato dal guaritore. Si noti come, in pratica, il rapporto con il linguaggio è praticamente invertito rispetto a quanto avviene nella psicanalisi (Dei, 2004: pag.12). Un altro punto di contrasto è costituito dalla considerazione dell’emotività. Come rilevato da Dei, per Freud, all’interno della psiche individuale convivono tensioni contrapposte non risolubili, bene e male non sono destinati a integrarsi l’uno con l’altro, bensì convivono in un precario compromesso: la nevrosi è la norma, non una deviazione patologica. Al contrario, secondo la pranoterapia, l’uomo è “naturalmente” positivo, sano e predisposto all’amore. La negatività proviene dall’esterno, partorita da una degenerazione provocata dalla modernità e dai suoi mali (stress, alimentazione scorretta, ecc.). Tensioni e contrasti derivano perciò da un’aggressione, la quale, producendo squilibrio, conduce alla malattia. Compito della terapia è l’instaurazione del dominio del positivo, i lati oscuri della psiche sono eliminati. Enrica e Rita insistono particolarmente su questo punto. Emerge dalle loro dichiarazioni la figura di un essere umano che allo stato naturale è pieno di energia positiva e vitale, sano per costituzione. Più di tutti gli altri intervistati, le due donne criticano fortemente i ritmi e lo stile di vita vigente nella società occidentale, ritenuti fonti pericolose di malessere, una sorgente esterna capace di intaccare l’innata predisposizione al benessere. […] lo stato naturale dell’uomo è quello del benessere. Noi ci ammaliamo per stili di vita, mentalità sbagliate e superficiali, c’è questa corsa a far vedere che si ha di più, che io questa cosa bella, eccetera. E poi una serie di eventi, di storie ci hanno portato a questa mentalità, però ci può essere un riparo (Enrica B.) Rita in particolare insiste sulla necessità di vivere quanto più possibile secondo principi naturali, comprendendo in tale accezione non solo un’alimentazione più sana e ritmi meno stancanti, bensì anche la scelta consapevole di un determinato stile di vita, lontano dai dettami comuni. In un passo ella si spinge fino a criticare l’uso delle tecnologie moderne, salvo poi ridimensionare la portata dei suoi appunti. […] Io ho un ritmo di vita naturale. Non faccio mai tardi la sera e mangio sano. Perché vuol dire anche tanto lo stress. Soprattutto lo stress. Perché adesso si corre e basta. Nessuno ha mai tempo, ma il tempo lo trovi invece. E’ anche il pensiero, l’agire della mente. Io invece mi trovo a fare le cose in maniera naturale… ultimamente, ad esempio, non voglio più usare la spugna sintetica del supermercato. Uso i pezzi di cotone. La trovo una cosa più vicina alla natura. Che poi sono cose che ho sentito confermate anche da un medico che parlava di medicina olistica… se noi torniamo ai rimedi di un tempo, di cinquant’anni fa è tutto più naturale e quindi siamo maggiormente in sintonia con noi stessi e con l’esterno. Devi sentire gli animali, gli alberi. Dunque le tecnologie sono in parte dannose… Si, anche se alcune cose sono utili. Dipende. Per lo più sono dannose, però possono anche aiutare. Anche perché una volta si moriva di fame e di malattie. Guarda che utilità hanno avuto i vaccini! Mica si possono buttare anni di ricerca. Io comunque credo sia sempre meglio affidarsi a rimedi naturali perché sono più dolci e non provocano danno. Se riuscissimo comunque a curarci fin dall’inizio naturalmente e fare un certo tipo di vita, sarebbe un’altra cosa. Però è difficile nel 2005 perché la gente lavora, prende il treno, prende la macchina, ha degli orari ristretti (Rita C.) È sempre Rita a ribadire con forza l’importanza della coscienza intenzionale, la quale pare assumere un potere pressoché illimitato: […] Il caso esisterà pure, ma siamo noi gli artefici degli eventi. E’ la volontà. Se lo voglio, posso tutto. Se uno pensa positivo, la vita va bene, si legge tutto da un’altra prospettiva: basta pensare positivamente per agire positivamente. Certo, è difficile perché uno deve essere determinato (Rita C.) Per il movimento olistico la persona è a senso unico, interamente trasparente: l’inconscio esiste, ma è costituito unicamente da pensieri dannosi, i quali devono essere coscientemente eliminati. La volontà è onnipotente: “basta pensare positivamente per agire positivamente” come dice Rita. Nulla è all’infuori della coscienza: l’idea di un determinismo psichico che non la contempli è estranea alla pranoterapia, così come l’idea che positività e negatività non si diano mai in forma pura. Energia Nella pranoterapia e, più in generale, nel movimento olistico, si possono notare aspetti di anti-modernismo: si tende ad abbandonare il pensiero relativo alla psiche così come lo ha impostato Freud, cioè un orientamento ideologico incentrato sulle metafore dell’interiorità, dell’ambivalenza, del subconscio e impegnato a guadagnare un accesso al “lato oscuro” attraverso la mediazione della comunicazione simbolica, in primis il linguaggio (Dei, 2004: pag.13). Anche il modello di corpo subisce una trasformazione. Secondo Foucault, a partire dal XVIII secolo, la medicina subisce profonde trasformazioni: […] il rapporto del visibile e dell’invisibile, necessario a ogni sapere concreto, ha cambiato struttura e ha fatto apparire sotto lo sguardo e nel linguaggio ciò che era al di qua e al di là del loro dominio […] Le forme della razionalità medica s’immergono nel meraviglioso spessore della percezione, offrendo come primo volto della verità la grana delle cose, il loro colore, le loro macchie, la loro durezza, la loro aderenza. Lo spazio dell’esperienza sembra identificarsi al dominio dello sguardo attento, della vigilanza empirica aperta all’evidenza dei soli contenuti visibili 3 Con la modernità il corpo si apre alla percezione, diviene oggetto di un discorso empiricamente fondato. Precedentemente, invece, la sua rappresentazione era affidata in prevalenza a nozioni teoriche, le quali traevano senso dall’inserimento in grandi sistemi speculativi. La novità sta nel fatto che l’occhio analitico si cala in un mondo di visibilità costante: il corpo viene concepito come una cosa in un contesto di cose (Dei, 2004: pag.14). Si abbandona il visionario “linguaggio dei fantasmi”, secondo l’espressione foucaultiana, un parlare: di nervi tesi e ritorti, secchezza ardente, organi induriti o bruciati, nuova nascita nel corpo dell’elemento benefico della freschezza e delle acque 4 Dalla prospettiva moderna, per la prima volta dopo millenni, i medici, liberi da chimere, affrontano l’oggetto della loro esperienza di per se stesso, nella purezza di uno sguardo non prevenuto. Mutano le forme di visibilità, la malattia viene riorganizzata sintatticamente in uno schema dove i limiti tra visibile e invisibile seguono nuovi tracciati. Questa episteme è alla base della concezione meccanicistica del corpo, dominatrice degli ultimi due secoli di storia. Oggi, nel XXI secolo, si assiste tuttavia ad un inizio di incrinamento in alcuni punti, a un affiorare di falle nelle quali pare reintrodursi una logica comunicativa costituita da nozioni teoriche o esplicitamente metaforiche, legate a grandi sistemi speculativi e a concezioni del mondo filosofiche, etiche o religiose. L’attacco epistemico sferrato dalle medicine non convenzionali non parte dalla comunità scientifica, ma fa parte di un sapere non specialistico, appartiene al senso comune. Inoltre, non viene contrapposta al paradigma ufficiale una alternativa unica e coerente, bensì un insieme frammentato ed eterogeneo di convinzioni della più svariata provenienza. In esso convivono fianco a fianco nozioni di matrice orientale, tradizioni minoritarie o marginali della storia della medicina occidentale, influenze filosofiche e religiose, cultura ecologista (Dei, 2004: pag.14). Nella società occidentale contemporanea il corpo tende a divenire l’ambito fondamentale dell’espressione della propria specificità e del riconoscimento identitario. Esso è lo spazio privato di manifestazione del Sé e richiede un saggio utilizzo della propria libertà di scelta e una costante attenzione. La conoscenza e il rispetto del soggetto passano soprattutto attraverso un’adeguata immagine della propria persona e un suo consono riconoscimento (Lupton 1996). Se nella modernità tendeva a prevalere una rappresentazione strumentale del corpo, ora tende a prevalerne una espressiva. Il corpo diviene messaggio, testo, ed è in grado di comunicare sul sé: vengono esaltate le potenzialità, l’espressività, la possibilità che parli un discorso particolare. Il corpo è sia manifestazione della volontà individuale, sia mappa di orientamento per la produzione di soggettività (Geertz 1973). Si insiste sull’unità dell’essere umano, inteso non solo come costituito e determinato da fattori biologici e materiali, ma anche da componenti psicologiche, spirituali, relazionali. La visione 3 M. Foucault, Nascita della clinica, pag.6-7, trad.it. Torino, Einaudi, 1968 in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.13, Roma, Università La Sapienza, 2004 4 Ibidem: pag.14 olistica assume la funzione di etichetta identificativa e distintiva e diviene spesso un punto di partenza per una critica alla corrente istituzionale, accusata di eccessivo riduzionismo. Mentre la medicina convenzionale tende a considerare l’essere umano come risultato di funzioni biologiche e la malattia come risultato delle loro disfunzioni, i terapeuti non convenzionali tendono a presentarsi come attenti a cogliere relazioni più ampie e profonde. La prospettiva medico-scientifica viene considerata incapace di comprendere sulle radici reali della malattia perché attenta a considerare la dinamica localizzata dei processi fisiologici e patologici. Una medicina capace di definire con precisione ciò che avviene nel singolo organo o nella specifica cellula, ma incapace di cogliere le connessioni più ampie che generano la patologia e causano malessere. 5 La pranoterapia non propone una rappresentazione del corpo incompatibile con quella ufficiale, né del tutto disancorata da quella anatomica, ma pone l’accento sulla possibilità di carpire un ordine superiore rispetto alla pura anatomia: i nessi psicosomatici non sono scissi da quelli fisici, le nozioni proposte non sono limitate all’orizzonte di visibilità del meccanicismo. In particolar modo assume una certa rilevanza la concezione energetica, uno dei tratti che accomunano il multiforme insieme delle medicine non convenzionali. In esse si enfatizza una dimensione dinamica, fino a fare della salute il perfetto circolare, senza interruzioni, rallentamenti o dispersioni, dell’energia vitale attraverso il corpo o tra il corpo e l’universo circostante. In modo speculare, la malattia è il risultato di un blocco, di un ostacolo al corretto fluire energetico. Rita parla di corrispondenze universali e scambi di flussi vitali capaci di influenzare l’individuo nel suo porsi nel mondo: […] ci sono corrispondenze universali. A me piace moltissimo Cohelo che dice che, se noi ci mettiamo a ritmo con l’universo, l’universo cospira affinché siamo felici. E guarda che il suo primo libro mi ha proprio fatto cambiare il modo di pensare, perché in effetti è come dice: noi non siamo al di fuori del cosmo, noi siamo sua parte integrante. Quindi se noi ci poniamo, come dice il Buddhismo, in armonia, l’universo risponde. E poi lo vedi da solo da come ti disponi nei confronti degli altri. Se tu arrivi da me e io sono triste, la mia tristezza si ripercuote su di te, ma se mi vedi allegra è tutta un’altra cosa. E’ influenza reciproca, scambio energetico. Nel rapporto umano c’è sempre uno scambio energetico e, purtroppo, a volte esistono delle sanguisughe che ti debilitano (Rita C.) In questo passo, Rita pare affermare una visione della vita in cui il soggetto è inserito in un contesto dinamico di forze interagenti non solo a livello universale, ma anche a livello personale. L’armonia energetica con le leggi del cosmo pare garantire l’uomo dal male e dalla tristezza, provocati dalla semplice presenza di una persona, quasi che lo stato d’animo di quest’ultima possa trasmettersi magneticamente attraverso invisibili flussi. Tant’è vero che è la stessa intervistata a mettere in guardia da “sanguisughe” capaci di sfinire al livello vitale: l’energia viaggia e si trasmette presso ogni cosa e, movendosi, influenza l’andamento dell’esistenza. Lo stesso concetto è ribadito da Enrica, quando ella afferma che: […] Noi sicuramente siamo tutta energia… tutto quello che esiste è energia e tutto è in movimento. Quando io mi fermo, mi ammalo… cioè… se io ristagno nei sentimenti di rabbia e di rancore, lì c’è un blocco. E’ come avviene nel sangue se tu prendi una botta e compare un livido… lì il sangue non fluisce più bene, non può portare facilmente nutrimento a tutto il resto del corpo. La stessa cosa avviene a livello energetico. Tutto è energia (Enrica B.) 5 E. Colombo, Lo spazio sociale delle medicine non convenzionali: un’analisi delle narrazioni dei terapeuti in La medicina che cambia. Le terapie non convenzionali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003 È indubbio: per essere in salute, è necessario che la corrente vitale scorra libera in tutto il corpo, senza produzione di squilibri. Armonia è la parola d’ordine. Concordo dunque con Dei quando egli afferma che il flusso energetico assume un’importanza particolare nella pranoterapia, la quale si definisce come la forma più pura e diretta di trasmissione di energia, senza la mediazione di tecniche o apparati strumentali particolari. In realtà tale concetto può definirsi assiomatico, cioè una base di partenza per la definizione di ogni altra nozione. La vita è retta da un’energia sintetizzante e plasmatrice che coordina ed organizza in un’unità funzionante gli elementi istologici, endocrinologici, umorali, biochimici e psichici dell’organismo. Essi vengono così a essere reciprocamente correlati, tanto che è impensabile separare in vita qualsivoglia di essi dall’economia generale senza provocare un danno per l’intero organismo. Tutto, dal sistema nervoso alle singole cellule dei tessuti meno nobili, soggiace all’influsso ordinatore di questa energia. 6 Fenomeni somatici e fenomeni psichici rientrano dunque nello stesso ordine. Nello stato di salute la forza coordinatrice della bioenergia irradia armonicamente in tutto l’organismo e le sue funzioni, dalla più nobile alla minima, si manifestano in tutto il loro equilibrio. Quando questa funzione dinamica si perturba produce una disenergia funzionale che provoca uno squilibrio nella funzione degli organi e della omeostasi dando origine allo stato di malattia. 7 La guarigione si configura come un processo naturale, rispondente a una sorta di legge universale. Alla terapia spetta il compito di consentire il libero flusso della forza vitale all’interno della mente e del corpo dell’individuo. Mentre alcune medicine non convenzionali, quali l’omeopatia, fanno riferimento a una complessa classificazione di tipi umani, dei fenomeni morbosi e dei relativi rimedi, presupponendo un grande sforzo di comprensione del problema e una diagnosi meticolosa e personalizzata, la pranoterapia, pur condividendo nozioni di fondo, non utilizza saperi teorici. Essa è puramente pratica, è l’esperienza personale e clinica, più della conoscenza teorica e del riconoscimento accademico, a garantirne le competenze (Dei, 2004: pag.16). Si basa sull’assunto che la carenza energetica possa essere compensata tramite un apporto esterno di nuovo flusso: Ogni cosa nell’universo consta di energia, così, quando tocchiamo qualcuno, trasferiamo naturalmente la nostra energia su di lui. In tal modo noi possiamo fornire un apporto di energia a colui che ne è carente o a colui nel quale il flusso energetico si sia bloccato, mettendo in moto un riequilibrio. Fungiamo quindi da agenti e procuriamo una guarigione attraverso l’aumento di vitalità che l’altro riceve. 8 La facoltà di trasmettere energia appartiene a ogni essere umano. Tuttavia, vi sono alcuni individui che possiedono un potere maggiore, i quali si caratterizzano come guaritori. Ciò con cui abbiamo a che fare è un intervento in grado di innescare nel paziente un processo interno di autoguarigione. Quest’ultimo può essere favorito da due differenti tipi di trasmissione di energia. Nel 6 R. Dujani, Omeopatia, pag.19, Como, Red edizioni, 1991, in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.15, Roma, Università La Sapienza, 2004 7 Ibidem: 19 8 G. Regan, D. Shapiro, Manuale pratico di pranoterapia, pag.18, Como, Red edizioni, 1989, in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.16, Roma, Università La Sapienza, 2004 primo caso, essa viene emessa direttamente dal terapeuta: egli cede al paziente parte della propria riserva vitale, di cui dispone abbondantemente. Ciò provoca uno stato di stanchezza fisica, rendendo necessarie pause rigeneratrici. […] L’energia è tutto. Noi siamo collegati. Diciamo che per quanto riguarda la mia energia è più potente di quella degli altri perché magari ho un certo tipo di dono, ho dei canali più aperti. L’energia mi arriva da non so dove e riesco a distribuirla, a darla con più facilità. Magari la riesco anche a vedere sottoforma di aura biancastra o di un altro colore a seconda della persona, di come sta. Ecco, ad esempio: mi è capitata una cosa in un ospedale. E comunque queste cose mi vengono naturali, non mi devo concentrare perché forse non vedo niente se stai bene. Invece, mi è capitato in un ospedale di guardare una paziente sul lettino e di vedere in un determinato punto della testa la sua aura più scura. E quindi mi è proprio venuto così, come messaggio, che la persona aveva qualcosa che non andava alla testa. E allora io ho detto “signora cos’ha?” e lei “devo fare la tac alla testa”. Poi dopo un paio di giorni ho saputo che aveva un male alla testa. Quindi io in quel momento l’ho visto bene, capito? Però non è che io mi devo concentrare per vedere queste cose… se ci sono le vedo… oppure, tipo… se una persona ha mal di reni e mi sta vicino, io lo percepisco subito come dolore su di me. Poi magari glielo chiedo e ha mal di reni […] Però io devo anche proteggermi. Cosa che tuttavia faccio poco…e infatti oggi sto male… perché forse quelle cose che mi hanno insegnato al corso le dovrei mettere in pratica e invece quando sto bene non gli do peso […] Io so di pranoterapeuti che vanno in giro con la Ferrari, che hanno tanti soldi, che alle otto di mattina hanno la fila fuori dalla porta… io non lo so dove la trovano tutta l’energia per curare… o le persone si auto-convincono che questi li guariscono… io non riesco a fare tanti clienti tutti insieme, mi ammalo. Per me è una vocazione per fare del bene. Vedi ieri queste due ragazze che stavano giù.. io mi sono dedicata a loro completamente. Poi mi ricarico con il rapporto con la natura (Rita C.) […] È sbagliato dare dare dare e toglievo l’energia a me stessa e infatti ricasco in queste cose. Anche ieri ho fatto due massaggi a delle ragazze che sentivo avevano bisogno di energia perché erano proprio carenti, quindi io mi sono dedicata completamente e oggi ne risento. Io do anche trascurando me stessa e senza rifare quelle ricariche energetiche che mi hanno insegnato al corso… poi, siccome questa cosa mi è arrivata così alla sprovvista, io oggi mi sento carente a livello energetico e lo collego a questa cosa qua, perché ho fatto questi due massaggi (Rita C.) Rita sottolinea spesso durante il colloquio il fatto che è necessario per lei sottoporsi, dopo l’intervento, a pause rigeneratrici. Il “dono”, come ella chiama la sua facoltà curativa, le permette di avere sensi maggiormente sviluppati rispetto alla media, che la mettono in grado di percepire e, a volte, vedere cose comunemente non captate. Eppure, questo suo consumo energetico pare debilitarla enormemente, fino a farle provare dolore fisico. Rita attribuisce questo fatto alla propria “pocaggine” nel mettere in pratica tecniche protettive capaci di bloccare l’eccessiva dispersione energetica durante la cura. Per lei, la vera ricarica energetica si ha con il contatto con la natura. Ella cita in particolare il momento della sera quando, dopo una giornata di lavoro, può tornare nella sua casa di campagna e stare a contatto con alberi e animali. Lei è stanca dopo le sedute? No. Mica ne faccio tante! Una volta si, ma adesso devo guardare i bambini… al massimo ne faccio sette al giorno. Quando ne facevo pure più di venti, la sera ero stanca però dopo sapevo come fare per ricaricarmi (Valeria S.) Anche Valeria, come Rita, sembra consapevole del pericolo in cui incorre il terapeuta quando cede una porzione eccessiva della propria vitalità. La scelta di dedicarsi a un numero più esiguo di pazienti però è dovuta ai suoi impegni di famiglia, cui si dedica prima di ogni altra cosa. E’ lei stessa a citarmi un metodo per ricaricarsi, che si avvicina molto a ciò che Rita asserisce: […] Vai sull’erba fresca a piedi scalzi, sotto le piante di qualsiasi tipo. Devi stare a contatto con la terra, con la natura. E’ tutto naturale! (Valeria S.) Per Valeria è inoltre necessario, tra una seduta e l’altra, lavarsi le mani, di modo che il pranoterapeuta si “scarichi” dell’energia del paziente precedente: […] basta che ti sciacqui, così scarichi. Perché il tocco ci vuole e quindi assorbi (Valeria S.) Nel secondo caso, viene convogliata una forma di energia appartenente all’intero universo, che il guaritore lascia passare attraverso la propria fisicità, quasi come un trasformatore: la terapia risulta meno coinvolgente o stancante e spesso si ricollega a una specifica disciplina spirituale. Ettore ha le idee molto chiare sul suo ruolo di guaritore: egli non cede la propria energia personale, ma utilizza quella esistente in natura. La sua persona pare essere in grado di attrarre su di sé il flusso cosmico per poi indirizzarlo verso il malato. Egli stesso si definisce “un’antenna trasmittente”. Anche lui, però, conosce i rischi che il terapeuta potrebbe correre nel caso in cui usi l’energia natale, pericoli connessi all’assunzione del male che si cerca di debellare. […] Non ho bisogno di riposarmi, non esiste proprio! Anche perché io uso l’energia cosmica, sono come un’antenna trasmittente. Ognuno ha la propria energia, ma quella non si può scambiare, se no uno si ammala. Io sono un pranoterapeuta praticamente illimitato perché uso l’energia che ci circonda, capito? (Ettore B.) Miranda collega la sua capacità di curare un numero elevato di individui senza mai stancarsi alla particolare facoltà delle proprie mani: […] una deve essere radiante e l’altra assorbente, altrimenti non puoi fare la pranoterapia. Perché se sono tutte e due uguali, ti senti male. Chi ce l’ha assorbenti, la sera sta male perché assorbe la malattia della persona. Chi ce l’ha radianti, scarica troppo e si stanca. Io faccio anche trentotto persone al giorno, ma la sera sono arzilla (Miranda S.) Ella mi spiega più volte come sia necessario che le mani stesse siano equilibrate, altrimenti il pranoterapeuta non può operare. La sua sembra quasi una distinzione di qualità rispetto alla massa, che sottolinea la serietà dell’occupazione svolta. Marco fa esplicito riferimento all’energia cosmica, che egli pare in grado di captare e catalizzare sul soggetto malato. Anche lui, come Ettore, non ritiene produttivo donare parte dell’energia personale, previa danni per lo stesso terapeuta. Nei suoi discorsi, vediamo comporsi una concezione della vita fatta di assonanze e corrispondenze tra fluidi invisibili, antimateria che si muove intorno all’essere umano, captata da ogni individuo e portatrice di benessere o malessere. […] La bioenergia è energia che io capto dall’esterno, dallo spazio e riesco a donarla. Se io donassi a lei la mia energia personale, la intossicherei. E’ come con il respiro: se lei respirasse il mio alito, immagazzinerebbe solo anidride carbonica, non ossigeno. Oppure, donando la mia energia, potrei ammalarmi io stesso del male della persona. L’energia viene dalla antimateria universale: è ad alto potenziale. Tramite essa io riesco a fare la diagnosi. L’energia sta dappertutto. Perché due individui si trovano bene insieme? Perché le loro energie sono pari e contrarie, stanno in sintonia sulla stessa tonalità. Infatti, il grande amore esiste: si ha quando due persone stanno sulla stessa vibrazione di identica intensità. Allora avviene l’incastro (Marco S.) Esiste, inoltre, un’ulteriore distinzione tra pranoterapia intesa come “arte sacerdotale, dono divino”, dovuta a un’illuminazione interiore, e una sorta di biomagnetismo, che fa perno sulle ener- gie naturali e priva di connotazioni religiose. Nel primo caso, si ritiene che la facoltà di guarire sia propria solo di alcuni specifici individui; nel secondo caso, essa pare essere posseduta potenzialmente da tutti. Luigi, il soggetto intervistato maggiormente vicino alla figura del guaritore popolare, collega direttamente il proprio dono alla volontà di Dio. Non a caso egli si definisce “servo del Signore” e dichiara più volte di non essere nessuno: la sua è una chiamata. Per lui, compiere guarigioni è una vera e propria missione, un compito che dall’alto gli è giunto per aiutare ad attuare il progetto divino, il quale si avvarrebbe di una scala gerarchica di elementi. La sua decisione di non richiedere denaro per le prestazioni si colloca in questa scia ideologica: Luigi si sente un apostolo e, come tale, accetta unicamente offerte spontanee, anche in forma di regali e viveri. […] Io dico e lo ripeterò sempre che faccio questo lavoro ma non ho mai chiesto soldi, MAI! Anzi, in tante circostanze, a seconda di com’è la gente, mi metto la mano intasca e offro la mancia alle persone perché io faccio quello che Dio vuole. Infatti, Cristo insegnava ai suoi apostoli e diceva:- Io vi do il dono delle guarigioni gratis, quindi altrettanto fate voi. Accettate solo l’offerta per mangiare, ma non chiedete nulla -. Quelli che chiedono soldi non fanno l’opera del Signore. Io sono andato avanti sempre così, come una missione […] Tutti la hanno più o meno avuta, però io ce la ho potenziata diciamo. Magari ci sarà pure qualcuno forte come me, ma che ne sai se sta vicino a Dio? Solo chi è vicino a Dio sa come sfruttare l’energia. Per questo io dico sempre di non allontanarsi dal Signore (Luigi M.) Luigi è convinto che, nonostante la presenza di numerose persone dotate di facoltà fuori dal comune, solo pochi sono effettivamente in grado di fare del bene. Costoro si distinguono per la scelta di vita effettuata, la quale si svolge in perfetta armonia con le leggi divine. Il soggetto intervistato insiste costantemente su tale punto e coglie spesso l’occasione per criticare maghi e guaritori che si pubblicizzano in televisione. In particolare: […] io fino a pochi anni fa ero iscritto all’Albo Professionale Europeo. Però me ne sono andato perché c’erano troppi imbroglioni. Io poi non ho mai fatto nessun corso. All’albo mi ero iscritto più che altro per vedere cosa facevano gli altri. Quando ho visto l’andazzo… c’è gente che si fa pagare! Non come gli apostoli! Lì è tutta carriera, ma sotto non c’è niente. Questo è un peccato mortale! Il Signore diceva agli apostoli:- Io vi do il dono delle guarigioni ma gratis. Altrettanto fate voi e accettate solo le offerte per mangiare, ma non chiedete soldi se non mi offendete - E invece… ha visto in televisione, no? Chi sfrutta la povera gente fa il gioco del Demonio. E’ un dono all’inverso, un potere che dà il Diavolo. Quelli come me sono pochi, si contano sulla punta delle dita (Luigi M.) Per Luigi il mondo è il luogo di manifestazione di due forze contrapposte, Bene e Male, simbolizzate da Dio e dal Diavolo. Ogni sua azione quotidiana, ogni suo pensiero vengono ricondotti a tale immanente dualismo e tutte le interpretazioni rientrano in questo schema di pensiero. Di diverso orientamento sono gli altri pranoterapeuti intervistati. La loro è una visione maggiormente “laica”, non chiaramente connotata in senso religioso. Danilo, in particolare, è convinto che ogni essere umano possieda proprie capacità curative. Secondo lui, tutti possono imparare ad usare l’energia per guarire se stessi e gli altri, quasi come si fa a scuola con qualsiasi altro tipo di nozione. Egli si ritiene un maestro guaritore e organizza numerosi corsi di apprendimento delle tecniche curative e di filosofia di stampo New-Age. Insiste molto sulla capacità del soggetto intenzionato, è convinto che la volontà possa rimediare all’assenza di una eventuale dote innata. Come dire: è vero che alcuni individui nascono con i sensi più sviluppati, ma questo vantaggio di partenza può essere livellato nel tempo con l’esercizio. Certo, per lui si trat- ta di una scelta di vita che comporta enormi cambiamenti rispetto al senso comune, criticato duramente, e che produce nel soggetto un avanzamento spirituale notevole. […] Intanto ti dico che da sette anni sono un maestro di queste arti e le insegno. Perché anche tu puoi imparare questo lavoro, chiunque lo può fare. Anche a me all’inizio mi hanno preso in giro: si può fare solo se hai dei doni di natura. No, assolutamente! Tutto una presa in giro per soldi! Dunque non ci sono persone più dotate? Allora, tu stai studiando, giusto? Sei dotata per studiare. Io prima facevo un lavoro che mi piaceva ed ero dotato per quello. Un falegname è dotato per il suo lavoro e pure un muratore. Ognuno di noi poi ha delle doti più o meno sviluppate, ma chiunque può fare guarigioni. E’ tutta questione di volontà: volere è potere. Tutti lo dicono, ma nessuno lo mette in pratica. Se solo si sapessero le potenzialità della mente […] Però devi proprio cambiare modo di pensare, di vivere insomma. E’ difficile perché uno si scontra con il senso comune (Danilo M.) Al contrario di Danilo, Miranda, come del resto la maggior parte degli intervistati, è convinta che solo alcuni individui possano operare guarigioni con l’imposizione delle mani, sebbene ogni cosa nel cosmo possieda una sua forma di energia. Si ribadisce la necessità della presenza di uno stoccaggio energetico del singolo che superi la normale dose. […] ci sono persone più dotate. L’energia la abbiamo tutti: persone, animali, piante. Ma poi ci sono quelli più dotati. Le energie vengono dal cosmo. La pranoterapia può farla chi ha una quantità di energia superiore alla norma (Miranda S.) Anche Enrica è del parere che solo alcuni individui particolarmente sensibili e ricettivi siano in grado di praticare guarigioni energetiche, sebbene ognuno possieda le basi per permettere che questo avvenga. Ella riconduce infatti tutto alla scelta del singolo: importantissimo ancora una volta è il ruolo svolto dalla volontà come mezzo di differenziazione qualitativa dello stile di vita e delle modalità di affrontare il mondo. Per lei, molto critica nei confronti della massa e del senso comune, rimane un punto fisso la decisione dell’individuo di crescere spiritualmente, intraprendendo un vero e proprio percorso. […] devi imparare a catalizzare l’energia, ci sono dei sistemi per difenderti quando entri in contatto con un’altra persona. E’ sempre uno scambio. Io uso l’energia universale che faccio passare dentro di me verso il cliente per aiutarlo. Però devo difendermi perché potrei immagazzinare il dolore della persona e non è utile se dopo ne devo aiutare un’altra. E poi se mi devo ammalare io, capisci… quindi ci deve essere separatezza tra me e la persona, no? Anche perché più siamo separati, più ho la possibilità di capire… se mi faccio prendere troppo dai problemi degli altri e li faccio entrare dentro di me, non riesco ad avere la lucidità di trovare la strada, non ho la forza di tranquillizzarli. Più riusciamo a essere centrati in noi, più riusciamo a dare […] Io direi che c’è una sensibilità in alcuni maggiore che in altri, come dipingere e disegnare: tutti possiamo ma c’è quello che lo sente più suo e quindi è curioso di approfondire la conoscenza dei colori, delle tecniche… tutti possiamo farlo, anche se poi c’è l’artista che esprime attraverso le sue opere qualcosa di speciale da ammirare. Io insomma penso che le qualità ce le abbiamo tutti ma c’è chi è più predisposto e chi meno […] Ognuno decide per sé. Fino a dove vuoi arrivare? Vuoi godere di questo aiuto che ti do in questo incontro e basta? Ok! Va bene per te… perché ognuno di noi è pronto in un momento diverso e la cosa deve scattare dentro di noi, la voglia di cambiare la vita […] le persone fanno una scelta di qualità di vita. Se scegliamo una qualità di vita viviamo in un modo, se invece ci convinciamo che è importante tutto quello che ci arriva dalla nostra società, è un altro discorso. Ognuno comunque è libero ( Enrica B.) La scoperta dei poteri Le esperienze soggettive di ciascun individuo possono essere molto diverse tra loro. Tuttavia, è possibile ricondurre il momento della scoperta delle facoltà di cura a tre tipologie di percorso di vita. In un primo caso, non si tratta di una rivelazione improvvisa: esiste una sorta di continuità generazionale trasmissibile attraverso stretti legami parentali (nonna-madre-figlia) e riguardante le donne. Ricevuto un dono personale per nascita, si comincia a sviluppare il proprio potere in maniera pratica e sistematicamente. È il caso di Rita. Ella fa risalire alla madre il possesso delle personali facoltà curative, che avrebbe sviluppato alla morte della stessa. Sembra che l’intervistata consideri la propria attività terapeutica una sorta di dote ereditaria ben conosciuta nella famiglia di provenienza. Rita non desidera che l’intero nostro colloquio sia registrato, ma mi parla delle origini calabresi, dell’infanzia e di sua nonna, la quale era considerata una strega nel paese dove viveva perché diceva di vedere e parlare con i defunti e imponeva le mani. Sempre timorosa di essere tacciata con tale marchio, ella ha cominciato solo di recente a sviluppare in modo sistematico il proprio potere, prima con gli animali, poi con le persone. […] Così, a poco a poco, mi sono rivolta a un mio amico commercialista e gli ho detto “sai, ci sono dei veterinari che mi vogliono conoscere perché succede una cosa: io faccio dei massaggi ai cavalli e questi stanno bene, li risistemo” e lui “ma che gli fai?”. E io “mah… sai, niente… uso le mani così e così”. E’ stato il mio amico a dire “ma non è che sei pranoterapeuta?”. All’inizio non mi piaceva questa cosa perché io la figura del pranoterapeuta la vedevo come una cosa brutta, tipo un mago, quindi non accettavo questa cosa. E comunque a casa mia c’era mia madre che rimetteva a posto i nervetti con l’imposizione delle mani, però non avevo mai sentito la parola pranoterapeuta. Mia madre aiutava le persone, chiaramente non facendosi pagare ma a livello amichevole… li rimetteva a posto però… cioè… finiva lì. Tra l’altro noi figli eravamo anche un po’ scettici… la vedevamo… a volte prendeva anche dell’olio d’oliva, massaggiava e le persone stavano bene oppure faceva così con le mani… (Rita C.) Nel secondo caso, il riconoscimento è più tardivo e in qualche modo drammatico. Spesso si insiste comunque su una sorta di “sesto senso” posseduto sin dalla nascita, grazie al quale percepire codici e situazioni sconosciute agli altri, una sensibilità emotiva estremamente sviluppata, non collegata all’inizio a nulla in particolare. Il guaritore, narrando post eventum, cerca di trasmettere un senso di straordinarietà all’evento della scoperta, di fronte al quale si assiste con sconcerto e paura. Valeria, fa la prima scoperta quasi per caso, un giorno in cui la sorella stava male, in età ormai avanzata. Precisa di avere sempre avuto un senso più sviluppato del comune, di cui si serviva nella pratica quotidiana e, in particolare, nel suo lavoro di sarta, nonché una particolare sensibilità emotiva. […] Però la prima volta che mi è successo è stato un giorno in cui dovevo andare a fare la spesa con mia sorella gemella. Quando sono arrivata a casa sua, alle otto e mezzo di mattina, lei stava male, non riusciva a muoversi. Era ancora in vestaglia perché aveva dolori alla schiena. Allora io ho detto:- Ma come stai male? Dai! Ti metto le mani sulla schiena, vediamo se ti passa tutto - Così, le ho passato le mani sulla schiena e mia sorella è stata bene, si è vestita e siamo uscite. E da lì ho cominciato. Poi, c’era sempre qualcuno che aveva bisogno di aiuto: mia zia con il male alla spalla, l’altra zia con male al ginocchio… Mia sorella a un certo punto si è persino messa a piangere, dicendo:- Tu hai energia positiva che guarisce! Energia buona! Fai qualcosa, fai delle prove! - Io all’inizio non volevo proprio. Invece, dopo cinque o sei anni, ho iniziato a chiedere in giro… tante cose le ho sapute grazie a mia sorella, perché pure lei dopo è stata riconosciuta come pranoterapeuta. Siamo andate da uno di Borgo Sabotino che era tanti anni che lo faceva. Lui ha detto che mia sorella è piena di energia buona. Ma noi all’inizio non ne sapevamo niente! Dunque non si tratta di una cosa di famiglia… Certo! Poi, però, quando sono andata a fare le prove, gli specialisti mi hanno detto che l’energia si trasmette in famiglia e che, probabilmente, anche mio figlio ha un dono. Ma mio figlio non fa il pranoterapeuta, è meccanico… for- se un domani… anche perché queste cose te le devi sentire nel cuore, mica puoi forzare una persona! Si tratta di stare con la gente, di essere disponibile… devi volerlo insomma, perché devi dare amore. A me piace, io sono contenta quando vedo che uno sta bene. Allora, io ho chiesto al dottore:- Ma perché io ho questo dono? - e lui ha detto:- Perché siete di generazione da parte paterna - Dopo non ho più domandato niente… papà però non era pranoterapeuta, anzi tanti anni fa neanche si sapeva che cos’è l’energia […] io comunque ho sempre avuto una sensibilità, un intuito… sin da quando ero giovano proprio. So sempre quello che vuole la gente, la sento dentro. Capisco le persone, i loro sentimenti… poi sento anche le persone dotate come me. Io sento le cose (Valeria S.) La prima esperienza la lascia perplessa, ma non spaventata. Piuttosto, ella asserisce di essersi vergognata della sua povera condizione e della ristrettezza economica, che non le avrebbe permesso di sviluppare il suo dono in maniera consona, né di accogliere i propri clienti in uno studio. […] no spaventata no. Anzi, ero contenta. Però io non lo volevo fare questo mestiere e l’ho detto pure a quei medici là. Dicevo:- Ma io sto a casa, non ho lo studio, le attrezzature! - Sai, mi vergognavo, io povera così (Valeria S.) Dopo le prime titubanze, tuttavia, Valeria decide di provare a praticare la cura su amici e parenti, spinta dal desiderio di aiutare gli altri. A questo scopo frequenta un corso, durante il quale viene in contatto con medici e specialisti che la incoraggiano a proseguire nel suo progetto, in seguito non completamente posto in essere per questioni familiari. È un’esperienza molto simile a quella di Miranda. Tuttavia, in questo caso la scoperta delle facoltà avviene in seguito al superamento di uno stato di malessere fisico perdurante da venti anni. Ella pare vivere il momento della guarigione come una vera e propria rinascita fisica e spirituale, che piano piano la porta ad interessarsi sempre più alla pranoterapia e a convincersi di possedere lei stessa facoltà curative. Assistiamo qui a una completa rilettura della vita precedente alla luce della nuova consapevolezza raggiunta: Miranda ricorda la sua infanzia e fa indagini in famiglia, sottolinea la propensione a fare del bene e ad aiutare il prossimo, parla insistentemente della sensibilità innata che la caratterizza e la guida da sempre. Da sola cerca informazioni e scopre che c’è un modo per provare l’effettivo possesso del potere curativo: la mummificazione di sostanze organiche. E’ il segno che cercava: quando vede che funziona, inizia a praticare liberamente presso amici e parenti. […] Guarda, io mi sono accorta perché non ci credevo… alcuni conoscenti mi dicevano:- Sai, conosco un pranoterapeuta… - ma a me sembrava da pazzi curarsi così! Io sono stata con il busto venti anni con una discopatia, una disfunzione congenita… alla fine dovevo operarmi. Ma io non volevo, neanche se rimanevo in carrozzella! Ho sempre avuto il terrore dei ferri… Dopo tanto tempo ho deciso di provare questa pranoterapia… perché prima avevo fatto di tutto: massaggi, visite, iniezioni… insomma, ho provato per vent’anni finché ho tentato questa pranoterapia. In dieciquindici sedute è sparito il mio dolore di schiena. E me lo portavo da vent’anni! Poi sono andata anche a guarirmi l’anca… Mano a mano mi cresceva dentro il desiderio di saperne sempre di più, perché, tra l’altro, io mi sono sempre sentita portata ad aiutare gli altri, a fare qualcosa, ma non sapevo cosa… Allora, quand’è alla fine, ho parlato con il maestro e gli ho detto:- Ti prego, insegnami a fare la pranoterapia! - e lui mi rispondeva:- Ma non si può insegnare se uno non ce l’ha! - Però io ero convinta di riuscire, di avere questa cosa perché me lo sentivo dentro. Avevo fatto degli esperimenti. Leggendo, avevo trovato le istruzioni su una rivista e io, da sola, ho provato. Dovevo mummificare dei cibi… a quei tempi non ne capivo niente… capirai, a cinquant’anni! Non avevo neanche studiato! Ho provato questi esperimenti: seccare un pesce, un’arancia, una fettina di fegato. Dopo otto giorni queste cose si seccano… […] nel frattempo avevo provato su mio cognato. Lui era caduto da una scala e aveva un ematoma grande. Io ho provato con le mani per cinque giorni e quello è sparito da solo. E’ stata l’emozione più grande, quella della prima volta […] Io penso che la pranoterapia ce l’avevo sin da piccola, solo che non lo sapevo. Perché a nove o dieci anni, quando giocavo al dottore con le mie sorelle, io poggiavo le mani. Ma nessuno me lo aveva spiegato! A casa mia non c’era nessuno con questi poteri. Dopo che ho scoperto di averli però mi sono informata. Ho scoperto che mia nonna, la mamma di mamma, segnava i bambini che avevano i vermi oppure quelli che non crescevano: metteva l’acqua in una bacinella con una corda, non saprei dirti bene come. Lei li toccava nel fondoschiena, sull’osso sacro, e quelli stavano bene. Infatti, leggendo su un manuale, ho scoperto che in quel punto abbiamo la valvola della crescita. Allora, vedi? Come faceva mia nonna a saper- lo? Intuito! Io sono sempre stata molto sensibile, ho sempre avuto una volontà di fare bene agli altri. Poi, neanche i grandi pranoterapeuti hanno capito bene da dove proviene questa forma di energia… non lo dicono… hanno cominciato a Milano con la macchina Kirlian. Così hanno scoperto le energie. Io credo che ci sono sempre state, ma magari non si sapeva che erano pranoterapia…(Miranda S.) Danilo è senza dubbio il soggetto che presenta il più alto grado di rielaborazione personale dell’evento. Tutta la narrazione tenta di trasmettere il senso della straordinarietà dell’accaduto, di fronte al quale i familiari provano paura oltre che sconcerto. Egli asserisce subito di essersi accorto dei propri poteri “per sbaglio”, casualmente, laddove invece ritengo difficile credere che la scoperta sia stata così inaspettata, tanto più che il soggetto stesso asserisce di aver avuto già riscontri precedenti cui non aveva posto caso. L’esperienza vissuta, certamente fuori dall’ordinario, è caricata di un senso aggiuntivo il quale punta a sottolineare il momento della consapevolezza, dell’illuminazione, e instaura l’inizio di una nuova fase della vita. In Danilo questo è molto evidente: la decisione di dedicarsi completamente alla pranoterapia coincide con l’abbandono della sua vecchia vita, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello ideologico. Egli si svuota completamente della sua personalità e ne costruisce una nuova, aderente a una scelta di tipo morale, quasi una conversione religiosa. […] Allora, mi sono accorto per sbaglio… diciamo che chi è stato a farmi scoprire tutto quanto è stata una cliente del mio vecchio lavoro. Io non facevo assolutamente nulla di queste robe qua, avevo un’officina meccanica con nove operai. Non avevo alcun problema, ero io il titolare. Una mia cliente, che un giorno era venuta a farsi riparare la macchina, aveva un gran mal di testa. Io, scherzando le ho messo le mani in testa così. E lei mi ha detto:- Mi stai bruciando la testa, hai le mani che prendono fuoco - Riprovando, io non sentivo nulla, lei diceva che sentiva un caldo provenire dalle mani. Insomma, dopo cinque minuti che ero là così, a questa è passato il mal di testa. Ma erano già tre giorni che lo aveva. Oh, gli è passato. I miei operai hanno riparato la macchina e lei se n’è andata… non ti dico quanto mi hanno preso in giro. Tre giorni dopo questa cliente è ritornata e mi ha detto:- Perché non mi curi la gastrite? - Io allora:Ma scusa un attimo, eh… ma qua fuori c’è scritto officina meccanica o studio medico? - ma lei:- E tu cosa ne sai che hai nelle mani? Dai, prova! Ho mal di stomaco e non posso mangiare niente. Mettimi le mani sullo stomaco!- Per farla contenta, l’ho portata dentro casa e, mentre mia moglie preparava il caffè, abbiamo provato con queste mani. Insomma, per restringere, è venuta tre giorni di fila, dicendo:- Io è un anno che ho bruciori di stomaco e adesso è sparito. Lo sai che mi hai fatto guarire? - Questa è venuta per dieci giorni perché diceva che qua stava bene. E finisce là tutto. Però c’è un precedente: da un anno io andavo dal mio dottore della mutua perché stavo male ma senza avere nulla. Non ero assolutamente un malato immaginario. Il problema è che, quando lavoravo tanto, stavo da Dio; quando mi fermavo, stavo male, le avevo tutte. Allora il mio dottore mi ha detto:- Guarda, abbiamo fatto tutte le analisi possibili e non hai nulla. Adesso, siccome ti conosco da quando sei nato, ti dico una cosa, ma non metterti a ridere… tu hai tanta di quella energia che ti dà fastidio. Sicuramente a casa avrai qualcuno che sta male, tu metti le mani nel punto in cui ha problemi. Poi vediamo - Vabbè… Sono andato a casa e così ho fatto. Questo era successo sette-otto mesi prima dell’incontro con la cliente. Io vedevo che, come appoggiavo le mani su una persona che stava male, io stavo bene. Poi, esaurite quelle duetre persone amiche, basta, è finita la storia. E quindi ho ricominciato ad avere i soliti problemi. Intanto, la cliente ha cominciato a mandarmi dei clienti, dicendo che io curavo con le mani. Io li prendevo tutti per scemi, però provavo e le chiacchiere hanno cominciato a camminare… staccavo alle sette dall’officina e facevo mezzanotte con questa gente. Ho lavorato un anno così: dalle sette ho iniziato a cominciare alle cinque, poi all’una (Danilo M.) Progressivamente, dunque, la fama di Danilo cresce e la sua attività si allarga dalla ristretta cerchia della famiglia a una gamma sempre più eterogenea di conoscenti. La consacrazione ufficiale avviene però con la collaborazione dell’autorità medica, nel momento in cui la moglie si accorge di aspettare un bambino. Da qui in poi la narrazione tende alla presentazione della propria persona in forma quasi eroica, specialmente nel passo dove egli parla dei contrasti con l’ostetrica e dell’approvazione del suo operato da parte del primario ospedaliero, dottore con alle spalle anni di esperienza, che gli fa mille complimenti e lusinghe. Danilo si sente l’artefice della nascita della figlia contro l’autorità medica ortodossa: prima sfida la corrente istituzionale quando essa non riesce a porre rimedio alle minacce di aborto della consorte, poi quando scavalca il primario al momento del parto. Solo dopo tale conferma, egli si convince pienamente della realtà dei suoi poteri e decide di dedicarsi completamente ad essi, come un vero lavoro, facendosi anche pagare. Poi, mia moglie è rimasta incinta e aveva minacce di aborto. E’ stata ricoverata in ospedale per dieci giorni e niente. Allora io ho deciso di portarla a casa. Gli ho fatto quattro trattamenti: la ragazzina ha tredici anni già passati. Circa sette mesi dopo, siamo andati in visita dal primario. Come l’ha vista ancora incinta, si è stupito:- Ma come hai fatto con le minacce di aborto? - Lei ha detto:- A casa, mi ha curato mio marito con le mani - e il primario a me:- Lei è pranoterapeuta? - Io:- No. Dicono così gli altri. Io non sono nessuno. Vorrei assistere al parto - Il primario mi ha dato l’ok. Quel giorno che è nata mia figlia, è stato merito mio. L’apertura era di due centimetri e il dottore diceva che ci sarebbe voluto il giorno dopo. Ma io ero convinto di no. Infatti, ero da solo quando è nata la bambina, sono stato io a farla nascere perché i medici non credevano che mia moglie fosse pronta. Il primario è rimasto sbalordito e mi ha anche difeso dall’ostetrica che non voleva che io assistessi al parto. Le ha detto:- Non si permetta di offendere il signore! Fra un anno me ne vado in pensione e qua dentro ne ho viste di tutti i colori… di fronte a lui mi levo il cappello e alzo le mani - Il dottore mi ha portato in giro tra tutti i reparti e diceva a ognuno che era successo, era entusiasta. Da là è partito il tutto. Allora, io ho pensato che davvero nelle mani avevo qualcosa. Ancora continuava a venire la gente a casa, ma io all’inizio non mi facevo pagare. Quando ho iniziato a spendere soldi per scuole e corsi, ho deciso di farmi pagare. La bambina è nata il ventun dicembre e io il trentuno gennaio ho deciso di smettere con l’officina e di dedicarmi completamente alla pranoterapia, anima e corpo. Nel giro di otto giorni, eh? (Danilo M.) In un terzo caso, le capacità sono conferite direttamente da Dio, magari in seguito a un periodo difficile della propria vita, sovente collegato a una lunga malattia. Luigi ritiene che il suo sia un dono concesso dalla volontà divina, di cui si definisce strumento e servo. Egli non si interroga più di tanto sulla natura delle proprie facoltà e non cerca legittimazioni ufficiali. Investito da profonda fede religiosa, costui riconduce ogni potere al disegno dell’Onnipotente, per cui asserisce più volte l’inutilità di scuole e corsi e sottolinea invece la necessità della credenza e della pratica religiosa. Luigi si sente un eletto: la sua narrazione è volta a sottolineare in particolare il momento del conferimento del dono, ricevuto, dopo una degenza ospedaliera, mentre era assorto in preghiera. […]la Volontà del Signore non si può conoscere. Io ho ricevuto un dono divino, non c’è da chiedere niente. Sono uno strumento di Dio. Io non faccio niente, è il Signore che fa […] Qui non serve andare a scuola. Il corso da fare è la croce: bisogna essere credenti e praticanti. Tutto avviene grazie a Dio. Tutto il resto non serve a niente, la fede è il vero motore. La fede, basta […] quando Dio mi ha chiamato, io ho risposto. Io sono il servo di Dio […] Quando facevo il soldato, non avevo mai chiesto visita. Sono stato sempre bene. Poi, un giorno mi ero proprio stancato perché ero stato undici mesi senza tornare a casa. Allora ho deciso di chiedere visita. Però, quando il tenente medico mi ha visto, si è accorto che stavo male e ha deciso di farmi fare una puntura da un soldato giovane, che aveva appena studiato. Insomma, questo si è sbagliato e io sono rimasto morto stecchito. Sono finito all’ospedale. Dentro lì c’era una chiesina piccolina. Allora io pregavo tutti i giorni. Una volta ho sentito una voce che mi ha detto:- Forza Luigi! Coraggio! Io ti ricompenserò -. Ma io che ne sapevo? Chi ci credeva a queste cose qua nel cinquantatre? E invece dopo cinque giorni ero guarito e sono tornato a casa con una licenza di convalescenza di quaranta giorni. Allora ho pensato che la voce mi aveva graziato (Luigi M.) Anche in questo caso, la prima guarigione si svolge in famiglia: è la madre di Luigi a essere la sua prima paziente. Il meccanismo, poi, è sempre lo stesso: la voce si espande, le persone progressivamente chiedono aiuto e la cerchia di clienti cresce. Sono arrivato a casa di notte e ho trovato mia madre con un giradito e la febbre alta. Io, istintivamente, ho messo la mano e lei è guarita all’istante. La prima guarigione l’ho fatta a mia madre. All’indomani, c’era la vicina di casa che aveva tutti dolori addosso, sulla gamba. Ma io non sapevo che dovevo fare… ho messo la mano sulla gamba e lei è guarita (Luigi M.) In ogni storia raccolta c’è una sovrainterpretazione dell’esperienza biografica, che tende ad accentuare il momento della “illuminazione”, lo stacco tra la fase di consapevolezza dei poteri e quella in cui essi erano ancora latenti. Ciò accade forse anche perché l’inizio della pratica sistematica della pranoterapia modifica profondamente l’intera esistenza degli operatori, sia la loro routine quotidiana, sia la qualità e la quantità delle relazioni umane in cui sono coinvolti. A ben vedere, l’esperienza di mutamento della propria personalità è comune anche a molti utenti delle medicine non convenzionali, i quali spesso parlano dell’adesione alla terapia alternativa come di una decisione morale importante. Per i guaritori, quasi sempre autodefinitisi “agenti per il bene”, il cambiamento è segnato da eventi o aneddoti in qualche modo esemplari, che vanno a costituire una sorta di mitologia personale di “fondazione”. Sovente si ritiene necessaria un’adeguata legittimazione per riconoscere la realtà del dono, specialmente nel caso in cui non si ricevano i poteri per via familiare. Questa funzione certificatrice è svolta parallelamente dalla medicina ufficiale e dalla parapsicologia, punto quest’ultimo già focalizzato da Dei. Nell’ottica della prova scientifica, si cerca una conferma attraverso il sottoporsi a esperimenti in grado di misurare non solo l’eventuale presenza del potere, ma anche la sua quantità e qualità. Tipico esempio sono le fotografie Kirlian, le quali, attraverso una speciale procedura tecnica, raffigurano il campo di energia personale. Utilizzabili anche come strumento diagnostico, esse sono proposte dai pranoterapeuti come dimostrazioni “oggettive” del dono e come tangibile legittimazione della loro pratica. In seguito, ciò che si manifestava come esperienza inusuale e persino inquietante acquista contorni più netti, diviene a pieno titolo un fatto del mondo solido e positivo. Anche gli episodi precedenti alla scoperta sono riletti in una nuova luce: la sensibilità e l’intuito divengono sintomi di poteri latenti ma non riconosciuti. Percezioni apparentemente irrilevanti, non registrate dalla coscienza, acquistano importanza e assumono le vesti di una facoltà miracolosa non appena collocati in un nuovo contesto di significato. Valeria si sente legittimata a operare per la sua passata frequentazione di un corso a Roma, sebbene non completato per volontà del marito. Ella in buona parte è un’autodidatta dal momento che ha acquistato dei libri di Massimo Inardi, parapsicologo bolognese, e li ha studiati, prestando particolare attenzione alle fotografie esplicative dei movimenti delle mani sul corpo del paziente. In più, Valeria si è sottoposta alla foto energetica riscontrabile tramite l’utilizzo della camera Kirlian. Quest’ultima, in realtà, è uno strumento utilizzato quale testimonianza da quasi tutti i pranoterapeuti intervistati, ognuno dei quali mi ha mostrato con orgoglio il risultato della loro ricerca personale. […] Ho frequentato i medici e sono stata anche a Torino e a Roma da un maestro. E’ stato lui a insegnarmi ogni cosa. Ho fatto il suo corso per un anno e mezzo. In realtà il corso durava tre anni, ma io non ho potuto concluderlo. Comunque lì eravamo in tanti… la prima volta sono stata lì per farmi fare le prove per vedere se realmente avevo l’energia. A quali tipo di prove è stata sottoposta? Eh! Una cosa strana! Con una macchina in una stanza buia. Mi hanno fatto mettere le mani sopra… e basta. Adesso ho gli attestati e sono iscritta all’albo (Valeria S.) Miranda, prima di seguire corsi e studiare libri, si è sincerata a casa dell’effettivo possesso di doti particolari. Costei ha provato a “mummificare” un’arancia, la quale si sarebbe seccata completamente dopo circa una decina di giorni di trattamento. Ricevuta una prima agognata conferma, ella si è rivolta al pranoterapeuta che la aveva guarita dai dolori alla schiena, il quale l’ha indirizzata presso un istituto romano di ricerca. Ivi, Miranda ha ricevuto la definitiva conferma della capacità curativa con la foto Kirlian e il rilascio di un regolare attestato. […] Ho provato questi esperimenti: seccare un pesce, un’arancia, una fettina di fegato. Dopo otto giorni queste cose si seccano… Con l’imposizione delle mani… Si, si! Dopo otto giorni l’arancia si fa nera, si asciuga quel liquido che c’è dentro. Dentro di me era una gioia a vedere che riuscivo! E poi sentivo l’energia sprigionare dalle mani. Allora, sono tornata dal pranoterapeuta dicendo:Guarda, ho fatto così e così e io ce l’ho. Ho fatto quello che ha detto Massimo Inardi, un parapsicologo di Bologna Questo pranoterapeuta ha detto:- Guarda, se tu proprio vuoi provare, io ti posso solo dare un indirizzo di Roma di un centro di ricerche scientifiche dove fanno delle prove. Vai lì e vedi, poi ritorna e io ti insegno - E così sono andata a Roma. Ho fatto la prima prova, una specie di macchina della verità per vedere si o no, se hai o no l’energia. Perché le mani devono essere diverse, se ce le hai tutte e due uguali non lo puoi fare. Dopo questa prova bisognava vedere che qualità e che livello di energia hai, per quali malattie ce l’hai, con una elettronfoto […] E’ risultato che sono una pranoterapeuta di primo livello e che posso curare tutte le malattie […] Intanto avevo cominciato a seguire il corso, per capire come funziona, come si mettono le mani e ho comprato un libro con tutte le fotografie. Lo studiavo un po’ tutte le sere […] Volevo fare tutto seriamente e bene. Quindi ho frequentato questo corso a Roma (Miranda S.) Anche Rita e Mario hanno seguito la stessa strada. In particolare, è costui a parlare di vere e proprie “prove scientifiche” del suo operato, sottolineando così la serietà dell’attività intrapresa. […] ho fatto i test per l’energia. A parte la prova con la foto Kirlian, ho provato, come mi hanno detto, con una fettina di fegato e con un uovo. L’ho trattati per sette giorni e praticamente, invece di marcire, si sono pietrificati. Così mi hanno riconosciuto il potere (Rita C.) […] ho fatto degli esperimenti, anche davanti al notaio. Ho messo le mani su alcune ampolle piene d’acqua. Le ho “pranate” per dieci giorni. Trenta minuti al giorno. L’acqua non trattata conteneva tremila batteri, quella trattata solo duecento. E’ un esperimento scientifico. Con la putrefazione è uguale: ho preso del macinato e l’ho portato a vermificazione in pieno agosto. Ho messo le mani ed è diventata un soprammobile. Questa è la forza del pranoterapeuta vero. Mi sono sottoposto anche alla camera Kirlian: nella mia mano lo scheletro non si è impressionato, solamente aloni di energia. Anche l’operatore si è stupito! Sono prove scientifiche, mica scherzi! (Mario S.) Enrica, al contrario, non pare interessata a una forma di legittimazione o a qualche prova di sorta delle proprie facoltà: vuole imparare la tecnica di guarigione e metterla in pratica. Pertanto, non si è sottoposta ai suddetti esperimenti: ciò che conta nella sua concezione è solamente porre in essere quanto appreso, l’efficacia della terapia è confermata dal risultato positivo ottenuto. […] Ho iniziato a cercare aiuto in alcuni libri e frequentando alcuni corsi. Quando ho cominciato a scoprire delle cose… io non sono andata da qualcuno che mi facesse delle terapie, ma direttamente a fare dei corsi per imparare […] Io credo perché ho verificato. Il bello di queste terapie è questo. Prima devi verificare cosa succede facendo determinate cose. Quando hai la risposta allora… è innegabile che funziona ( Enrica B.) Per quanto la scoperta delle proprie doti sconvolga completamente la vita dell’operatore, in alcune interviste egli ne parla in modo misurato, senza alcun tono sensazionalista, anzi attento a mantenere sempre aperto nel discorso uno spiraglio di scetticismo razionalista: non ci si lascia trascinare in discussioni di tipo metafisico, né si cade mai in affermazioni sentenziose. La cautela e l’umiltà sono presentate dagli stessi terapeuti come elementi di maggiore professionalità rispetto ad altri, definiti sovente “esaltati” quando non “impostori”. Rita, in particolare, fa un po’ fatica a differenziarsi dalle figure della madre e della nonna, distanziandosi progressivamente dalla tradizione familiare, e si sente sempre in obbligo di contrattare il proprio ruolo di pranoterapeuta, stretta tra la diffidenza dell’apparato medico e i pregiudizi comuni. […] Quando sono andata dal mio amico lui mi ha detto questa cosa qua e io, insomma… non la volevo accettare questa cosa del pranoterapeuta, proprio… suona meglio guaritrice che pranoterapeuta… che poi invece… anche perché ho fatto un corso e lì mi hanno spiegato che significa “terapia con l’energia”, niente di particolare, però… all’inizio io l’ho presa male. Allora questa mio amico mi fa “guarda che non c’è niente di male, esiste un albo e, se tu vuoi vedere se hai questa energia, io ti mando a fare le prove e puoi vedere, puoi verificare”. E allora… niente… io ho detto “no, no grazie” però poi la curiosità mi è venuta. Intanto quindi cominciavo a fare le prove da sola, tipo alle clienti con il mal di testa. Però, sai, lì si possono condizionare… quindi, che so… male al ginocchio… dopo un po’ non gli faceva più male. Ma non ero convinta, così ho ricominciato con i cavalli, con i cani, con le piante, con i gatti. Mi è successo che un gatto aveva ingerito del veleno e io l’ho portato dal veterinario e lui ha detto che non c’era niente da fare. Una cosa quasi impossibile. Io però mentre aspettavo ho agito con le cure naturali… insomma poi, il gatto è guarito e quindi… tutto qua (Rita C.) Solo di recente ella ha deciso di operare sistematicamente, ma spesso si vergogna di dichiarare ai suoi clienti le proprie facoltà. Per questo parla di “massaggi curativi” piuttosto che di sedute di pranoterapia. Il timore è quello di spaventare l’utenza o di essere schernita. Nel caso di Luigi, la condanna degli eventuali truffatori è netta e prende le mosse non solo da convinzioni religiose, le quali comunque investono la sua intera vita, bensì anche dalla paura di compromettere la reputazione personale. Alla base del ragionamento c’è però un pregiudizio collegato all’idea che solo alcuni eletti, coloro che seguono i precetti del Cattolicesimo, possano realmente guarire per imposizione delle mani. Per la sua logica, lo spirituale è incompatibile con l’accumulazione di potere e chiunque faccia fortuna è sospettato di avere obbiettivi materialistici. […] io fino a pochi anni fa ero iscritto all’albo professionale europeo. Però me ne sono andato perché c’erano troppi imbroglioni […] Quando ho visto l’andazzo… c’è gente che si fa pagare! […] Lì è tutta carriera, ma sotto non c’è niente. […] Ad esempio, con me c’era pure il mago Otelma, quello famoso vestito da pagliaccio.. Oh, ma che io mi devo mettere con questi qua? Ne va della reputazione, così mi sono cancellato (Luigi M.) La cautela nel parlare diventa estrema quando si toccano argomenti di natura medica. Concordo con Dei quando egli afferma che la tendenza prevalente è un atteggiamento che non contrasti con i dettami medici ufficiali, ma che vada a integrarne le falle. Spesso si ammette un’incapacità di dare spiegazioni precise di come la terapia agisca, mettendo in luce una certa umiltà nell’argomentare, anche quando vengono poste domande atte a spiegare la provenienza dei poteri curativi. L’esperienza è citata un po’ come un’ancora di salvezza. […] mo, io non so se era tumore quello… ti dico solo quello che è successo. Mica ho fatto studi medici, quello che so l’ho imparato così, parlando con i medici, informandomi […] Per dire che una persona è guarita c’è bisogno di un’ottima diagnosi, ma la mia è paragnostica, non ha valore. Mica ho l’autorità […] Comunque io non so da dove mi proviene questo potere. Di esaltati ce ne stanno tanti (Ettore B.) Tra le molte cose, in questo estratto dell’intervista a Miranda è interessante il fatto che ella affermi con convinzione di non essere una “maga” e, quindi, di non poter indovinare quale male affligga il paziente senza che questi si sia sottoposto a una diagnosi medica precedente. […] Mah… io non saprei. Chi dice in un modo, chi in un altro, io non mi sento di dare giudizi […] Questo lo penso io, per esperienza […] Io dico sempre ai miei pazienti:- Senza una diagnosi precisa io non posso indovinare Perché vengono dicendo di avere un dolore alla gamba. Ma che cosa? Quale dolore alla gamba? Tu me lo devi dire cos’è. Io non sono una maga, non faccio magie. Sento a contatto con le mani la parte infiammata, questo si. Però, ad esempio, quando c’è il nervo sciatico infiammato, può dare dolore al ginocchio, alla schiena, all’anca, a tante cose insomma. Le possibilità sono tante, non posso indovinare a caso. Io insisto sempre: se non mi dicono la causa precisa, non posso saperlo. Un po’ mi può aiutare l’esperienza, però non tutti i casi sono uguali […] io lo dico sin dall’inizio:- Non aspettatevi miracoli, ci vuole tempo e dopo un po’ di giorni il dolore si acutizza, poi passa – (Miranda S.) Anche Marco è molto critico nei confronti di chi si pubblicizza in televisione, ribadendo per contrasto la propria serietà professionale. Secondo lui, il vero terapeuta non può esimersi dall’abbandonare uno stile di vita che non sia in armonia con le leggi della natura. La sua è una differenziazione svolta sulla base delle qualità morali delle persone: chi non rispetta l’universo e rincorre il benessere è un truffatore facilmente smascherabile, perché evidente è la superiorità spirituale di chi possiede qualità curative reali. La figura di pranoterapeuta che egli tende a delineare pare assai vicina a quella del guru indiano, con la sua carica di autorità proveniente dalla sapienza e dalla maggiore sensibilità, una sorta di guida capace di condurre il singolo nella ricerca tortuosa del Sé. Non è un caso, infatti, che Marco si interessi assiduamente di filosofie orientali e tenti sovente di riportarne alcune teorie come quella della reincarnazione. […] Come me ce ne sono pochi, perché non è che tutti hanno particolari facoltà. Questi poteri sono sudati. Ho sempre cercato di onorare me stesso e il grande universo. Quello che conta è fare del bene in Terra: se la persona si attiene alle leggi dell’universo, sta a posto con il suo alter-ego. Bisogna fare una certa pulizia mentale e sviluppare un rispetto molto profondo. Solo a quel punto si allontanano le malattie. Bisogna essere umili, non rincorrere il benessere, ma vivere con semplicità. Io non sono come tanti; certo, non si deve fare di tutte le erbe un fascio, però adesso basta accendere la televisione per vedere veggenti e maghi su Canale5, sai tipo Otelma. Non bisogna sfruttare una persona che si trova in uno stato di malattia. Succedono tanti episodi, molti levano solo soldi con la scusa della fattura… Quindi lei non crede alle fatture… Si, le fatture esistono: quelle del telefono. Ma quali fatture? Non esistono affatto: sono tutte scuse che fanno comodo all’uomo. Perché l’uomo non si vuole responsabilizzare. La gente che va a fare dal mago? Che sono tutti questi cartomanti? Io non ci credo per niente e non ho una bella opinione di queste persone. Ma le hai viste in televisione? Mo ce n’è una che si chiama Morgana e parla con i morti in diretta! Sorvoliamo… che poi, la colpa è della gente che chiama, sta cretina! E si fa pure togliere i soldi. Ma quando mai uno può guarire dal tumore o farti trovare un ragazzo? Per carità! (Marco S.) In qualche caso, il guaritore collega la propria attività ad altre capacità quali la visione delle anime dei morti, di santi e persino della Madonna o di Cristo, oppure egli è in grado di togliere il malocchio e la fattura. Si tratta di elementi che richiamano aspetti di una personalità vicina a quella del guaritore popolare, ribadendo il ruolo del pranoterapeuta come figura di passaggio tra la cultura tradizionale e le “avanguardie” alternative. Luigi, in tal senso, è fuor di dubbio il soggetto più strettamente legato al passato popolare, tanto più che, proprio come il mago rurale, utilizza, oltre all’imposizione delle mani, la preghiera come strumento di guarigione. A suo parere, perché un malato migliori è necessaria la credenza: solo se quest’ultimo condivide con il terapeuta l’orizzonte religioso e ha fede nella forza del Verbo può guarire, altrimenti l’imposizione delle mani non ha effetto o, comunque, ha un risultato meno soddisfacente. […] A volte ho anche contatti con la Madonna, non sono io che decido. Poi, veramente, ho lottato anche con il Demonio […] La credenza è la prima medicina. Chi crede è già mezzo guarito. Anche se tu vieni da me ma poi non hai fiducia, non fa effetto. Bisogna credere (Luigi M.) Ettore, cauto, accenna brevemente alle visioni che spesso ha, ma non desidera parlarne. Ci tiene però a farmi sapere che i suoi sensi sviluppati gli permettono di percepire presenze che comunemente non sono esperibili, quasi a conferma della sua potenza. […] ho avuto anche delle apparizioni religiose, che erano bellissime: ho visto delle persone fisiche proprio, una cosa indescrivibile (Ettore B.) Nel caso di Valeria assistiamo a una re-interpretazione a posteriori di un sogno frequente che ella faceva poco prima di scoprire di avere doti particolari. Per sua stessa asserzione, ella è molto credente, proprio come l’intera famiglia, che ha origini contadine. Tuttavia, Valeria non fa un collegamento diretto tra la presenza di un potere nelle mani e un dono divino: sembra accontentarsi di definirsi religiosa, di ritenere che “qualcosa esista”, ma ammette di non essere praticante e di non sapere da dove provenga esattamente la capacità curativa. […] Comunque il dono era già nell’aria perché, poco prima che scoprissi queste cose, mi sono sognata San Michele Arcangelo. Lo vedevo sopra di me, su una nuvola. Ma quante notti! Io non sapevo… le mie amiche mi dicevano:- E’ una buona cosa! Significa che San Michele ti protegge - Ma io non sono devota a lui, neanche so la sua storia! Ora, non so se il Signore m’ha scelta, che ne so? Io sono religiosa, credo che c’è qualcosa (Valeria S.) Marco, invece, fa un esplicito collegamento tra la scoperta dei propri poteri, avvenuta da bambino, e il dono conferito da un’entità, a lui manifestatasi come Madonna. Egli però non crede nel Cattolicesimo e si professa piuttosto un “libero pensatore”. Secondo lui, l’entità paranormale avrebbe assunto una forma conosciuta per non intimorirlo e per spingerlo ad accettare senza remore il proprio destino, che gli viene profetizzato. […] Queste mie facoltà le ho scoperte sin da bambino. Quando avevo cinque-sei anni al mio paese nelle Marche, una sera ho sentito una voce interiore che mi diceva :- Vai a dormire – Così ho fatto. All’improvviso si è illuminata la stanza ed è apparsa una bellissima signora, la Madonna della religione cattolica. Secondo me, comunque, non era la Madonna. Oggi come oggi posso dire che era un’entità che aveva assunto una forma conosciuta per non spaventare un bambino. Questa presenza mi ha toccato con le mani e poi mi ha profetizzato tutto il futuro. All’ultimo, mi ha dato una scossa di corrente ad alta tensione che mi ha fatto vibrare come una corda di violino. Poi, è scomparsa. Da quel giorno ho iniziato ad avere facoltà paranormali (Marco S.) Nel caso di Peppino, il guaritore popolare di ottantatre anni, le facoltà curative sono conferite sin dalla nascita, la quale è segnalata per la sua eccezionalità rispetto all’ordinario: la placenta e la presenza dei due incisivi superiori sono tratti che segnalano la presenza di un dono innato di fronte alla società, il quale, secondo l’intervistato, gli sarebbe stato concesso per benevolenza da parte di Dio stesso, tramite le cui preghiere opera. E’ importante che egli abbia da subito intorno a sé il consenso collettivo, sebbene tutti lo riconosceranno guaritore solamente in gioventù, quando Peppino inizierà ad operare sistematicamente e a vivere di offerte. Le scelte compiute in vita, per sua stessa ammissione, non sono state libere: in una società rurale dove esercita forte peso la tradizione, egli non può fare a meno di seguire il destino per lui designato dalla divinità, il quale viene segnalato, durante tutta la vita, da episodi inconsueti, il primo dei quali avviene poco prima del battesimo. Quest’ultimo è interpretato da Peppino come un’opera diabolica, un tentativo da parte del Maligno di deviare la strada per lui tracciata dalla Provvidenza. […] quando sono nato avevo già i denti davanti e stavo dentro il sacco [la placenta]. Poi, quando sono cresciuto, mia madre mi ha detto che quello era un segno. Io non lo so se pure lei aveva questo dono, non sono sicuro. Sin da giovane ho sempre fatto questo lavoro. Mi è successa una cosa strana quando mi hanno portato a battezzare. Mia mamma mi portava dentro una cesta verso la chiesa. E’ arrivata una botta di vento e io sono caduto per terra, sull’erba, ma nessuno se n’è accorto, continuavano a camminare. A un certo punto, hanno sentito che qualcuno piangeva: ero io. Allora, sono tornati indietro e mi hanno preso da terra. E’ stato il Diavolo che non voleva farmi battezzare. Poi, quando ero più grande, una volta erano scappate le bestie su per i monti. Mi sono arrampicato su una roccia per vedere dov’erano e sotto c’era uno strapiombo. Non sono cascato, quindi non dovevo morire: è stato segnato il mio destino, perché dovevo fare il bene. Così Dio ha deciso (Peppino L.) Il potere di Peppino si esprime nel suo esercizio: quando inizia a guarire gli ammalati, nel paese, dove già si era sentito parlare di lui, se ne diffonde la fama. Egli unisce alla capacità di sciogliere le fatture una gamma di ulteriori prerogative: è in grado di curare il fuoco di Sant’Antonio, di levare la sfortuna, benedire le case infestate da fantasmi, togliere la paura e i vermi ai bambini piccoli, elementi questi ultimi che ricollegano la sua figura a quella del mago siciliano studiato da Elsa Guggino (Guggino 1978, 1986, 1993). Nell’operare, il guaritore tradizionale si affida a una serie di preghiere e formule “magiche”, assumendo una ben precisa postura del corpo e richiamandosi direttamente a Dio. Mentre gesti e riti vengono apertamente mostrati durante la terapia, le parole sono pronunciate fra sé e sé. Peppino, quando se ne presenta l’occasione o la necessità, opera magicamente. Lo considera un dovere religioso e sociale, non un’attività di lavoro e per questo non si fa pagare. Ciò differenzia Peppino da Danilo, Ettore ed Enrica i quali hanno fatto della pranoterapia un vero e proprio lavoro con tariffe prestabilite. […] Uno torna tre volte per tre giorni di seguito. Vale pure se metto le mani una volta sola, ma tre è meglio perché è più potente. Però le donne incinte e quelle con le mestruazioni non le posso trattare perché se no faccio danno: i bambini nascono ciechi, si abortisce o ti viene un’emorragia. […] Quando guarisco, i soldi non li voglio. Non li ho mai presi. Il segno fatto sulla parte ammalata è quello della croce, ripetuto nove volte. […] tolgo il fuoco di Sant’Antonio. A una signora gli è venuto dentro la pancia e io gliel’ho levato. Il dottore non era capace. E come fa a levare il fuoco di Sant’Antonio? Eh, vengono qui, ci metti le mani sulla pancia, li tocchi e si leva. Ci massaggio la pancia. […] la paura ti blocca il sangue, rimani spaventato e il sangue si blocca fino a che muori. […] guarisco pure la paura: è venuta una signora che aveva male perché aveva avuto paura per un cane lupo. C’aveva il sangue come legato. Faccio anche i vermi alle creature [bambini]. Quindi lei guarisce il fuoco di Sant’Antonio, la paura e i vermi e scioglie le fatture… Si, è la forza del bene che mi aiuta. Quando uno ti vuole male, succede qualcosa di brutto. Ci stava una signora di Fondi con il male in casa. Dentro la casa c’era la scalogna [sfortuna]. C’era il fantasma che disturbava perché sotto la casa non erano stati messi i soldi e il fantasma non se ne poteva andare. C’era la scalogna. Io ho segnato la casa ed è andato tutto a posto. Quando passa le mani, dice qualche formula? Eh, passi le mani, ma ci vuole pure la preghiera. Sempre quella, il Padre Nostro. Dio mi aiuta. Le mie mani sono uno strumento. Infatti, in primavera si scagliano tutte come la pelle del serpente. Si cambia la pelle. Le mani sono il mio strumento di lavoro (Peppino L.) Un aspetto importante è quello della fede: Peppino dà un grande valore alla credenza nel suo operato. Egli è dotato di un profondo senso religioso e attribuisce rilevanza al fatto che il paziente sia convinto di poter guarire e abbia fiducia in Dio. Ciò accomuna strettamente questo guaritore rurale a Luigi, il quale sottolinea più volte la necessità della credenza e della preghiera. Anche i clienti di Peppino condividono tale orizzonte culturale: ciò consente una personalizzazione del rapporto, oltre che un processo di comunicazione reale. C’è inoltre il carisma del guaritore, il quale crea l’attesa, la speranza, la fiducia, la fede nella guarigione. È importante che la persona che sta male creda in Dio e nel suo operato perché guarisca? Eh, certo! Ci devi credere se no non funziona. Devi avere fiducia in me e in Dio, devi credere che guarisci (Peppino L.) Peppino dichiara poco volentieri di avere avuto, soprattutto in gioventù, contatti con altri guaritori riconosciuti. Non dice di essere stato iniziato da loro, sebbene sia inverosimile che nessuno gli abbia insegnato almeno le formule e gli scongiuri con cui operare, nonché le posture del corpo adatte. Egli tende ad attribuirsi ogni merito, sottolineando spesso la sua eccezionalità designata già dalla nascita e insistendo sul conferimento diretto del potere da parte di Dio. Inoltre, dice di non potere insegnare ad alcuno come operare: Peppino agisce per istinto, tramite una forza interiore. […] Io sono potente. Invece, quelli che imparano le formule nella Notte di Natale, non lo sono così tanto, hanno i poteri limitati. Io non ho imparato perché il mio è stato un dono. Io non posso insegnare perché è una cosa che ho dentro, un istinto. Sono pure stato da altri come me, però loro non mi potevano insegnare nulla, perché io ero più potente […] Io ho ricevuto un potere e devo aiutare la gente perché lo vuole Dio. Quelli che si inventano le formule pure non sono tanto potenti, perché devi dire le preghiere (Peppino L.) Gli studi antropologici svolti nel campo della magia (De Martino 1948, 1959, Guggino 1978, 1986, 1993) mostrano la presenza di un modello comune che, sia pure in un quadro assai ampio di varianti, informa la carriera del guaritore. E’ possibile discernere dei momenti precisi: a) Una crisi personale profonda, identificabile o con una vera e propria malattia o in un vago malessere psichico. Essa, dopo il riconoscimento del dono, perde la sua connotazione mortifera e si fa momento liminare nel passaggio da uno status all’altro; b) L’affidamento a una figura benefica, che opera la guarigione e fa emergere nel soggetto stesso doti rimaste sino ad allora latenti. Si tratta di un’impartizione del sapere operativo, una conoscenza teorica e pratica; c) L’iniziazione, nel corso della quale i poteri si configurano precisamente e si collocano in una visione magico-religiosa del mondo, fondando una determinata prassi terapeutica; d) L’assunzione di un ruolo professionale e il riconoscimento dello stesso da parte della comunità. È importante rilevare una differenza cruciale tra la magia tradizionale e le forme più frequenti di pranoterapia, quelle cioè che non rientrano in una ben precisa concezione religiosa o magica. Nel primo caso, la formazione del mago avviene sullo sfondo di un ben preciso quadro di credenze. Si presuppone l’assunzione di una visione totalizzante del mondo, sulla cui base è riletta l’intera biografia del mago. Ad esempio, la crisi può essere interpretata come conseguenza di un attacco scatenato da forze negative, da cui ci si riscatta tramite l’intervento di entità benefiche sovrannaturali. L’intera vicenda individuale si carica di senso come manifestazione di una più ampia cosmologia, una lotta mitica tra bene e male, Dio e Demonio. Nel caso della pranoterapia, invece, non c’è l’adesione ad alcun apparato ideologico, almeno in apparenza. Sono dunque dello stesso parere di Dei: divenire un pranoterapeuta sembra non richiedere un quadro sistematico e ben definito di credenze, una concezione del mondo diversa da quella del senso comune. Si tratta di un importante elemento del divario tra l’universo culturale tradizionale e alternativo, dal momento che quest’ultimo non richiede il supporto totalizzante a una certa pratica di un’ideologia, né da parte degli operatori, né da parte degli utenti. Ad esempio, non è infrequente imbatterci nell’idea che l’efficacia della terapia non richiede la credenza del paziente in essa: il prana agisce comunque, basta essere disponibili e costanti. Ettore ribadisce con forza questa convinzione: È importante che il paziente creda nella pranoterapia perché questa riesca? No, ma tanto poi ci crede dopo. E comunque il paziente all’inizio non fa niente, faccio tutto io. Basta che si apra mentalmente (Ettore B.) Anche Valeria e Miranda sono dello stesso parere: È importante che un paziente creda nella pranoterapia perché riesca? No, non è necessario perché l’energia va da sé, come un flusso (Miranda S.) […] No. Basta che viene, anche se non ci crede (Valeria S.) La questione è la seguente: la gran parte dei pranoterapeuti intervistati esprimono comunque credenze eccentriche rispetto al sentire comune (poteri paranormali o preveggenza), ma si ha l’impressione che esse non rispondano a un codice culturale troppo rigido. Da qui l’estrema cautela nel parlare delle loro doti e l’ostentazione di un certo scetticismo, quasi a voler sottolineare che, nonostante l’evidenza osservativa della realtà dei propri poteri, essi non abbandonano il realismo. Anzi, l’accusa di dogmatismo e di scarsa apertura a un’osservazione dei fenomeni scevra da pregiudizi è rivolta contro la medicina ufficiale, punto quest’ultimo focalizzato anche da Dei. Luciano, in particolare, insiste spesso sull’ostilità del corpo medico accademico, attribuita a un inutile dogmatismo. Egli, da medico omeopata, sembra essere il più consapevole degli intervista- ti delle potenzialità offerte da sistemi di cura eterodossi ed è convinto che essi potrebbero costituire un’efficace integrazione. […] L’atteggiamento dei medici è sempre stato molto ostile. Si tratta anche di una forma di ignoranza. Io non ho mai avuto collaborazioni con ospedali, il clima è ostico […] Solo che la medicina accademica si trincera sulle sue posizioni, nel suo inutile dogmatismo. La medicina non ha il senso del proprio limite. Non c’è l’umiltà di andare a vedere nuove proposte […] La medicina ufficiale non si mette in discussione. Il suo limite è che essa vuole sempre dimostrare: se non ci riesce, asserisce che una cosa non esiste […] Essa vorrebbe che utilizzassimo gli stessi parametri che utilizza lei, tuttavia non è possibile (Luciano D.) Rispetto agli altri intervistati, Luciano, che pure crede nella pranoterapia, condividendo con essa una visione energetica e olistica della vita, ha comunque maggiori possibilità di veder accettato il proprio lavoro dalle istituzioni. E’ infatti noto come l’omeopatia sia oggi capillarmente diffusa e praticata anche all’interno di alcune strutture ospedaliere, sebbene il clima generale rimanga diffidente. Il rammarico per la mancata collaborazione tra pranoterapeuti e medici è un tratto riscontrato in quasi tutti i dialoghi. La critica verso la corrente ufficiale assume di volta in volta toni più o meno aspri, arrivando nel caso di Danilo alla credenza nell’esistenza di una vera e propria cospirazione ai danni dei guaritori. […] c’è la mafia del camice bianco, le lobbies delle multinazionali (Danilo M) Danilo, infatti, è convinto che i medici siano perfettamente a conoscenza della superiore efficacia della pranoterapia rispetto alle cure ortodosse e ritiene che essi abbiano creato una coalizione per non diffondere la notizia, previa la perdita del loro potere sui cittadini. […] La pranoterapia ha oltre il 90% di percentuale di guarigione. Allora, sai perché non ci riconoscono? Un dottore che mi conosceva bene ha risposto: Se tu viene dentro un ospedale, in quindici giorni lo dimezzi e in un mese fai pulizia. Non guadagna nessuno, solo il paziente Lo sai quanto prende il medico della mutua per ogni persona? Tremila lire al giorno, paga il governo, anche senza fare nulla. Per almeno 1.500 mutuati. Fai un po’ te… Ti ho detto tutto! Ti sei mai resa conto che in un ospedale diventi un numero? Non hai più un nome! E se decidono di farti guarire, ok, se no ti fanno uscire in carrozzella o peggio, se vogliono fare degli esperimenti (Danilo M.) Questa tematica è ripresa anche da Enrica, seppure in toni meno aspri. Danilo, rispetto a lei, tende sempre a presentarsi come una sorta di profeta, il detentore della Verità, e, come tale, insiste molto sul suo ruolo destabilizzante nei confronti delle istituzioni, non solo quella medica, ma anche quella religiosa. Costei, ancora una volta, insiste molto sulla capacità del singolo di scegliere, sulla responsabilità di ognuno nel contribuire alla perpetuazione di determinati meccanismi di potere. […] Adesso poi alcuni scienziati hanno imparato alcune pratiche, ma queste cose non sono pubblicizzate, eh… capisci… danno un grande potere…no? Perché se ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, io non devo più dipendere dagli altri e il medico perde forza, no? Allora, capisci che c’è un togliere potere a tutto quello che è business molto forte. Se io invece ho una atteggiamento tipo “oh, io vado dal medico perché lui capisce e io no, lui può…” beh, si il medico perde forza, no? Perché io sono responsabile della mia salute, lui al massimo dà consigli, ma la vita è mia e la salute è la mia: cambia completamente l’atteggiamento. Quindi, capisci che non conviene a chi è in un certo giro… a parte la difficoltà di aprirsi a certi concetti e di verificare (Enrica B.) Le altre interviste esprimono per lo più un semplice atteggiamento di sfiducia, mutuato sovente da tentativi falliti di collaborazione presso medici o strutture ospedaliere, sebbene si lasci sempre aperta la possibilità dell’esistenza di persone “illuminate” che, prima o poi, daranno pieno riconoscimento all’attività svolta. […] La collaborazione la vedo molto bene e indispensabile, soprattutto per i pazienti. Se ci fossero dei medici con vedute un po’ più aperte… anche loro potrebbero trarne i loro benefici Ma non le hanno mai proposto nulla? Proposto loro no. Io ho provato con un pediatra, ma lui non era interessato e così è passata. Ultimamente mi hanno proposto di fare delle terapie a dei bambini in un ospedale però è un’associazione non ufficiale, quindi non so se questa cosa andrà in porto, se l’ospedale accetterà questa cosa. Sarebbe bello sia per me come soddisfazione personale, sia per i bambini perché comunque avrebbero un’altra figura che non è quella dell’infermiera che gli attacca le flebo e che gli fa le punture. Una figura diversa… E poi sarebbe bello come riconoscimento della medicina alternativa e naturale (Rita C.) Comunque, in genere, l’atteggiamento del corpo medico è di chiusura… Eh si! Scetticismo purtroppo. I medici non vogliono accettare la pranoterapia! E’ la scienza che non vuole! Sono più i medici contro, ma ci sono pure quelli a favore. Forse, col tempo… […] Mi piacerebbe tanto lavorare all’ospedale. Qualche volta sono pure andata. Ma solo da pazienti che conoscevo, tutto di nascosto dai dottori. Che poi… di nascosto… loro lo sanno anche, però… non vogliono ammetterlo. (Miranda S.) […] Ci sono quelli che si interessano e quelli che non vogliono. Ma, secondo me, ci credono tutti, solo che non lo vogliono mica ammettere! Hanno studiato tanti anni, tante cose. E la pranoterapia è una cosa nuova… capito? È una nuova scoperta… che male c’è? Si guarisce! Lo vedi! Vedrai che piano piano… (Valeria S.) […] Pure la medicina ufficiale… sicuramente ha la sua importanza, nessuno discute. Quello che io recrimino in essa è che non si vuole sapere niente di certe persone speciali, che invece potrebbero dare un aiuto enorme come supporto. La medicina pecca di presunzione. Poi, però i medici conoscono certi individui e se ne avvalgono, però non li riconoscono. I medici prendono tutte le verità della scienza come dogmi, invece dovrebbero dubitare (Marco S.) Ci troviamo di fronte a una fenomenologia che presenta molti tratti in comune con il modello magico-religioso tradizionale, ma che non è accompagnata da una compatta mitologia cui richiamarsi (Dei, 2004: pag.25). Ciò può essere collegabile a una caratteristica generale della contemporaneità, vale a dire da un lato, la frammentazione dei grandi sistemi ideologici di riferimento, e, dall’altro, la permanenza di “rituali” o di modelli comportamentali basati su concezioni totalizzanti, ma svincolati dallo sfondo teologico-metafisico. Caratteristica dei riti odierni è l’assenza di una richiesta d’adesione incondizionata ai partecipanti, la cui identità non è plasmata in modo permanente ed esclusivo. Si possono assumere diversi ruoli al contempo, senza che ciò implichi una qualche scissione della personalità: la pluralizzazione dei Grandi Racconti ha il suo correlativo nella frammentazione dell’essere. Ne risulta un individuo che non fa più perno su un unico centro di aggregazione culturale; la coerenza biografica si segmenta e si ricompone in unità provvisorie e mutevoli, perdendo il rapporto privilegiato con i grandi ambiti tradizionali di identificazione (la parentela, la religione, la politica). La capacità di rispondere alla domanda chi sono? non è demandabile a un’appartenenza ascritta, ma diviene un compito personale, a cui ciascuno è chiamato a contribuire attivamente. Non è disponibile un unico modello cui adeguarsi, né regole certe per valutare le opzioni disponibili; l’elaborazione è lasciata alla scelta individuale, così come le responsabilità per le azioni intraprese. L’eccesso di informazione incrementa il potere personale di giostrare le risorse a disposizione per poter pensare e agire come soggetto autonomo, riconosciuto dagli altri come tale. L’aumento delle capacità di ognuno amplifica l’importanza della soggettività nella società contemporanea, fino a fare dell’individuo e della sua azione il luogo centrale della produzione della realtà sociale e del senso che le attribuiamo. In questa situazione: Il sociale si individualizza, non nel senso più banale espresso dal termine individualismo, ma perché la costruzione del senso da parte dei soggetti diventa costitutiva dei processi sociali. Nelle comunità molto differenziate, essi tendono a fare delle persone attori in senso proprio: da una parte il controllo ci spinge fino alla formazione delle motivazioni e del significato dell’agire, dall’altra agli individui vengono fornite le risorse per pensarsi e per agire come individui 9 Come Dei, ritengo che il problema dell’identità culturale abbia a che fare con la differenza tra la formazione del mago tradizionale e quella del pranoterapeuta contemporaneo. Nel contesto popolare, chi è divenuto mago può ricoprire questo ruolo e basta: ciò implica un radicale mutamento di vita e persino del nome (Guggino 1978, 1993). Egli opera contro il male, cioè la conflittualità interpersonale e le tendenze socialmente disgreganti. Egli non è chiamato a curare il malato come singolo individuo, ma quale parte di un organismo sociale rispetto a cui la persona si definisce. Per questo, costui è racchiuso in una personalità sociale separata, demarcata da specifici indicatori comportamentali e linguistici. Il pranoterapeuta, al contrario, pur trattando con un pericoloso materiale paranormale, non ha bisogno di costruirsi un ruolo sociale a sé, bensì tende a vedere le proprie doti nella stessa maniera in cui un medico specialista considera la sua competenza professionale: un’acquisizione permanente che tuttavia non riguarda e non determina ogni aspetto della vita. Si tratta di un qualcosa che si possiede, non di qualcosa che si è (Dei, 2004: pag.26). Presso le donne da me intervistate, questo possedimento, il dono, sebbene sia interpretato come qualcosa di positivo, non tende ad essere pubblicizzato. Vale a dire, si preferisce operare presso una ristretta cerchia di conoscenze e clienti piuttosto che uscire apertamente allo scoperto e dichiarare la presenza di una determinata facoltà curativa. Rita sembra essere la più timorosa, probabilmente perché non è riuscita a sviluppare un distacco personale dalla vicenda familiare della nonna e della madre. La sua estrema cautela l’ha portata alla decisione di continuare a svolgere il proprio lavoro di estetista, durante il quale ella fornisce energia con la scusa del massaggio a coloro che, in un primo momento inconsapevoli, ne hanno bisogno, individuati tramite spiccate capacità intuitive. Rita ha anche una cerchia di clienti che la conoscono come pranoterapeuta, sovente persone le quali dapprima l’hanno avvicinata come estetista. Ella è comunque convinta di possedere un magnetismo innato, grazie a cui la gente stessa è attratta da lei, specialmente i bambini. […] non mi pubblicizzo. Sempre per sentito dire, oppure magari perché mi vedono che sono… non so… a volte le persone è come se avessero una calamita, come se fossero attratti da me… anche i bambini… li vedi laggiù e poi mi si attaccano addosso. Però io ho paura, non dico mai nulla, se no mi prendono per matta. Sai, i pregiudizi della gente… perché poi ti iniziano a guardare strano, magari ti danno nomignoli (Rita C.) 9 A. Melucci, Culture in gioco. Differenze per convivere, pag.28-29, Milano, il Saggiatore, 2000 Nonostante tutto, Rita ha cercato in passato qualche collaborazione presso medici e strutture di cura, ma senza successo. Forse, il timore che prova è dovuto a qualche rifiuto troppo brusco, sebbene non sia morta del tutto in lei la speranza di una futura occupazione in tal senso. Per ora, si accontenta di non essere una professionista e pare divisa tra due esigenze opposte: da un lato, l’enorme desiderio di fare del bene operando energeticamente, dall’altro la paura che ciò la porti all’assunzione di un ruolo sociale negativo a sé stante. Le patologie curate e le tipologie di pazienti Come Dei, nei colloqui effettuati ho rilevato che, in pratica, la teoria pranoterapeutica non esclude alcun fenomeno morboso, sebbene per alcune gravi malattie degenerative ammetta una sostanziale inefficacia benefica. In particolare, i tumori sono quasi sempre ritenuti incurabili. In tal caso, la non riuscita dell’intervento energetico è attribuita all’eccessiva progressione del male, che, troppo diffuso, non può essere debellato ma solamente alleviato, nel senso che almeno i dolori possono essere diminuiti. […] Ma intendiamoci, se vengono quelli con i tumori, lì non c’è niente da fare! Dipende dalla malattia (Valeria S.) […] Una signora malata di tumore. Ho provato a dirle di no… ma alla fine ho accettato più che altro per toglierle un po’ di dolore, per darle conforto, no? E non lo volevo fare per non illuderla. Questa persona era delusa dalla medicina, ma oramai lì neanche i medici potevano fare più qualcosa. Figurati se potevo rimediare io! Però in questi casi si affidano a te come se tu fossi un santo che può fare il miracolo, ma non è così! (Rita C.) […] Un po’ mi può aiutare l’esperienza, però non tutti i casi sono uguali […] Una mamma una volta mi ha portato il figlio con il diabete. Io ero un po’ titubante, perché il diabete è difficile da curare, però ho voluto provare, vedere se magari migliorava un po’(Miranda S.) Lei guarisce ogni tipo di malattia? Qualsiasi tipo, ma non quelle irreversibili. Per i tumori posso alleviare i dolori e prolungare il tempo di vita, ma non posso fermare il processo di degenerazione. Riesco ad essere più forte della morfina. Certo, ho i miei limiti. Anche perché la scienza non è stupida: se hai un tumore te lo tieni, non ci stanno santi […] Nel caso di malattie mortali irreversibili è rarissima e, anzi, quasi improbabile la guarigione. E’ bene non creare illusioni su questo punto, ma bisogna capire che i dolori possono essere attenuati fino a scomparire del tutto, con un miglioramento generale dello stato organico e psichico (Marco S.) A differenza delle persone intervistate da Dei, conformi nel parere, nel mio caso solo Miranda insiste sul fatto che ogni operatore ha le sue specializzazioni, passibili di miglioramento con l’esperienza, sebbene pure Rita accenni alla riuscita particolare della guarigione in casi di verruche o malattie della pelle. Io curo un po’ tutto, ma specialmente i dolori alle ossa. Per me ognuno riesce meglio in alcune malattie piuttosto che in altre (Miranda S.) Danilo si distingue dagli altri pranoterapeuti intervistati perché è l’unico a dichiarare di essere in grado di guarire ogni tipo di malattia, anche quelle degenerative come il tumore. Tuttavia, specifica subito che, in tal caso, il processo di guarigione ha tempi molto lunghi dal momento che si tratta di cambiare totalmente stile di vita e modo di pensare. Questa convinzione è coerente con la credenza nell’origine psicosomatica del male: Danilo riconduce tutti i disturbi fisici alla volontà dell’individuo, cosicché la guarigione scaturirebbe da una presa d’atto della propria coscienza. Se un soggetto si ammala perché lo vuole, può anche guarire perché lo vuole: ritorniamo ancora una volta sul tema della potenza del pensiero intenzionato. […] Io ho tantissimi malati di tumore mandati a casa per morire che stanno ancora lavorando da tanti anni. E’ una cura lunga, devi cambiare totalmente il tuo modo di pensare, di vivere, di mangiare, di muoverti. Io ti svuoto tutto e tu mi devi seguire. Se no non funziona. Anche perché la cosa è una: vuoi tirare il piede fuori dalla fossa o ficcarci pure l’altro? (Danilo M.) Miranda cita come esempio di guarigione esemplarmente riuscita il caso di un bambino con l’ernia, presentando l’efficacia dell’intervento come una piccola vittoria sulla medicina convenzionale. […] ho fatto rientrare delle ernie. Ma nessun dottore mi ha mai rilasciato attestati. Ho fatto rientrare due ernie a un bambino di dieci anni che c’era nato, però il dottore non l’ha riconosciuto. In realtà, non sapeva come spiegarlo.(Miranda S.) Valeria parla inoltre di ansie e depressioni, per lei facilmente curabili. Molti pazienti, infatti, chiedono aiuto perché stanchi o eccessivamente stressati. Nello specifico, ella fa riferimento a giovani assistiti che vanno da lei non per un qualche disturbo particolare, ma per caricarsi e calmarsi, con la diretta conseguenza di un immediato benessere, un cambiamento d’umore, un atteggiamento più positivo nei confronti del mondo: […] io faccio la pranoterapia pure alle ragazze che devono dare gli esami, per calmarle, per caricarle. Loro si rilassano, stanno più serene, così hanno pure maggiore forza per affrontare le cose […] impongo le mani e dopo uno è un’altra persona, pensa anche diversamente (Valeria S.) Il successo o l’insuccesso dell’intervento è chiaramente percepito attraverso sensazioni tattili o psicologiche, così come la presenza stessa di un determinato malessere. Rita dice di avvertire un senso fisico di dolore nel punto in cui il paziente ha il disagio, quasi avvenisse una sorta di trasmissione di energia, uno scambio di flussi captato dalla spiccata personalità dell’operatore, il quale la trasforma in fisica percezione. In questo caso, non occorre un contatto con il malato, basta la sua presenza fisica in prossimità del terapeuta. […] se una persona ha mal di reni e mi sta vicino, io lo percepisco subito come dolore su di me. Poi magari glielo chiedo e ha mal di reni (Rita C.) Questa trasmissione del male, utile a livello diagnostico, a volte conferma la sensazione di Rita anche durante il trattamento con le mani, il quale comunque è accompagnato da sensazioni tattili legate al tipo di energia emessa. A differenza di quanto avviene per le tecniche di cura del medico ufficiale, non esiste nella pranoterapia una formula unica di intervento, dal momento che il flusso energetico cambia a seconda del paziente e del tipo di malessere ad esso collegato. Quando cura le persone sente qualche sensazione particolare? Si, a volte sento proprio il loro dolore sul mio corpo e quando magari tratto una persona con l’energia sento formicolio o calore… è l’energia che emano. Comunque non c’è una formula standard, dipende (Rita C.) Anche gli altri intervistati sono convinti di poter comprendere intuitivamente se una persona presenta qualche disfunzione. Valeria capisce subito la natura del problema del cliente, solamente con lo sguardo, anche se in seguito, deve sempre accertare le proprie sensazioni tramite le mani. Fa riferimento a un generico “sentire”, interpretabile come una specie di istinto o sesto senso. […] Posso avvertire che una persona sta male solamente vedendola. In questi casi faccio la terapia. Capisco, vedo e ci faccio la terapia e la persona migliora […] Io posso capire subito dove hai il male, lo sento su di te (Valeria S.) Nello stesso modo operano Ettore e Luigi: […] Io se vedo una persona mi accorgo che sta male, istintivamente (Ettore B.) […] sento da dove parte il male e lì metto la mano (Luigi M.) Danilo, oltre a percepire istintivamente il male, è in grado di vederlo materialmente. Egli fa riferimento all’aura, una forma energetica collegata al singolo essere umano che fa trasparire le emozioni del singolo e il suo stato di salute. […] i mali io li vedo, li percepisco. Perché, oltre alle sensazioni, io vedo le aure. Abbiamo la prima aura vicina al corpo, a circa trenta centimetri. Poi abbiamo i raggi di salute e la terza aura, quella che interessa corpo e mente a livello proprio grande. Le aure sono sette. All’esterno delle aure abbiamo sette corpi […] l’energia è colorata, ha i sette colori dell’arcobaleno. Sono tutti colori tenui, non forti. Lo spettro originario dell’energia è costituito da sette colori. Non esistono bianco e nero. Lo spettro è la madre di ogni colore. Il bianco è l’essenza di colore, un settimo di ogni colore. (Danilo M.) Danilo attribuisce questa sua capacità alla particolare potenza terapeutica che lo caratterizza, sviluppata in quindici anni di frequentazione assidua di scuole e corsi. Anche Valeria sa dell’esistenza delle aure, ma asserisce di non essere in grado di percepirle a causa del mancato studio, dal momento che ella non ha completato il corso intrapreso per divenire guaritrice: […] le aure non le vedo, anche se tanti ci riescono. Io invece non mi voglio interessare perché potrei essere stata una sensitiva se volevo. Me l’hanno detto al corso (Valeria S.) La forza utilizzata nel processo di cura non è neutrale, non è qualitativamente indifferente né al carattere di chi trasmette, né alla personalità del paziente. Anzi, spesso si attribuisce un insuccesso proprio alla eccessiva chiusura dell’assistito o a suoi tratti costitutivi in contrasto con la beneficità dell’intervento. Luigi collega gli insuccessi alle qualità morali dei suoi pazienti. Come più volte ripetuto, egli vive in una dimensione religiosa in cui si contrappongono forze benigne e maligne. Per lui, chi non crede e, quindi, si allontana dalla vita esemplificata da Cristo, non può guarire, perché non assorbe il fluido di energia inviato. […] Poi ci sono quelli che non guariscono proprio. Mica è colpa mia, se tutti guarissero qua non ci sarebbe più spazio! […] dipende dalla persona, se recepisci il fluido o no. Poi dipende anche dall’animo della gente, perché qualcuno respinge. Se non guarisci, vuol dire che non sei a posto con il Signore (Luigi M.) Le sensazioni recepite da Luigi sono ritenute provenire direttamente da Dio. E’ per Sua intercessione che egli può operare e capire immediatamente non solo dove il paziente ha un male fisico, ma addirittura comprendere la qualità dell’anima dell’assistito. […] Io recepisco tutto, però non dico niente. Sto zitto. Come diceva il Signore:- Taci e opera -. Io lo sento quando uno ha bisogno, ma lascio stare, mi metto nelle mani di Dio. Anche perché riesco a vedere l’interno della persona, capisce? L’anima. Ma devo volerlo. Si sentono subito le situazioni, me le invia Dio (Luigi M.) Miranda dichiara di capire dopo poco tempo se la seduta avrà effetto o meno, perché lo “sente” al contatto della mano: una zona dolorosa ma fredda non può guarire, nonostante gli sforzi. Ella parla dei tempi lunghi che occorrono perché un male sia debellato definitivamente e critica quei clienti che, dopo un solo trattamento, si aspettano il miracolo. Sovente, infatti, questi ultimi abbandonano la pratica terapeutica alle prime prove, specialmente nel caso in cui non si siano riscontrati risultati sufficientemente apprezzabili in pochi giorni. Miranda è l’unica pranoterapeuta a citare la fase di acutizzazione del dolore nel processo di cura, la quale per lei significa che la terapia sta dando buon esito. […] Una volta si è presentato uno con problemi alla tiroide. Era stato dal mio maestro a Roma, che gli aveva detto che non poteva fare niente perché la parte era fredda. Io non ci potevo fare niente! Se la parte è fredda, non assorbe l’energia! […] Alcuni vanno via dopo qualche seduta perché sentono un peggioramento del male. Ma io lo dico sempre:- Guardate che è positivo! Vuol dire che il male si sta sbloccando, si sta aprendo - Niente, molti non mi credono. Infatti, stamattina doveva venire uno di Roma con l’ernia al disco. Lo so che si sta male, io lo dico sin dall’inizio:- Non aspettatevi miracoli, ci vuole tempo e dopo un po’ di giorni il dolore si acutizza, poi passa - Invece questo è andato all’ospedale oggi. Se fa male, vuol dire che fa effetto! Non mi credono. Poi, quando guarisco qualcuno, il dottore dice che il male è sparito da solo… Poi, pure la gente… viene qua e si aspetta il miracolo appena la tocchi (Miranda S.) Danilo ed Enrica puntano molto sulla decisione individuale di farsi carico del proprio male. Se questo non avviene, il paziente non può guarire perché continua a mantenere un atteggiamento erroneo nei confronti della vita, con la conseguenza di aggravare il suo stato fisico. […] La cura inizia così: tu vieni da me, non sai chi sono e mi dici i tuoi problemi. Se hai lastre, tac, analisi, le porti. Perché quello è un documento ufficiale che chiunque può vedere. Mi racconti il tuo problema. Poi, io faccio la mia diagnosi personale. Impiego un minuto. Però, purtroppo, questo lo vedo solo io. Da quello che io sento e vedo faccio il piano di attacco alla malattia. Se tu accetti, si parte. Se tu non accetti, ok. Vai via. (Danilo M.) […] Io posso dare degli input, se poi loro sentono la necessità di spiegarmi delle cose, di sapere come si devono rapportare o che, quale deve essere l’atteggiamento mentale per uscire da certe situazioni, si… però io non li forzo. Ognuno decide per sé. Fino a dove vuoi arrivare? Vuoi godere di questo aiuto che ti do in questo incontro e basta? Ok! Va bene per te… perché ognuno di noi è pronto in un momento diverso e la cosa deve scattare dentro di noi, la voglia di cambiare la vita (Enrica B.) Un caso particolare è quello della considerazione del farmaco sintetizzato chimicamente. Nella maggioranza dei casi, esso è ritenuto efficace, ma a prezzo di gravi rimozioni. Agendo direttamente sul sintomo, tende a eliminare ciò che dovrebbe essere ascoltato e utilizzato per riportare l’organismo a una condizione di salute. Spesso, l’azione sulla semplice manifestazione esteriore è fuorviante perché lascia del tutto inalterate le cause del suo insorgere. Comunque, il farmaco opera attraverso un’azione distruttiva, tende a demolire piuttosto che ad amplificare le risorse presenti nell’organismo. Dal punto di vista dell’articolazione discorsiva, sebbene il terapeuta dichiari esplicitamente di non vietare ai propri pazienti l’uso delle medicine farmaceutiche, queste ultime tendono a occupare il posto di un capro espiatorio (Lalli 1986). Vengono cioè a riassumere le caratteristiche di un artificio (la chimica sintetica), di veleno (l’intossicazione), di colpa (segnale di inquinamento), di potere e denaro (gli accenni alle sovrastanti industrie), sino a slittare quasi metonimicamente il significato nel momento in cui le si identifica direttamente con la figura del medico convenzionale, ridotto e percepito nei termini di una sorta di distributore di medicine. Il farmaco diventa così portatore e indice di disagio, di tensione in rapporti che non funzionano, possibile strumento di morte o di intossicazione, nelle mani di un individuo qualsiasi, ridotto al ruolo di impiegato e del quale la società si limita a certificare un’abilitazione tecnica alla professione, senza garantirne però del tutto la legittimità personale e talora neppure il prestigio 10 Possiamo scorgere qui una ideologia che si ricollega più in generale al movimento olistico, nella cui ottica il farmaco diventa metafora di un sociale iper-civilizzato che si erge come forza minacciosa, talora quale vera e propria causa di malattia, e comunque fa da supporto a un senso di colpa, quello relativo alla manipolazione che ha perturbato lo stato di equilibrio naturale originario. Sovente gli intervistati interpretano la natura all’interno di un discorso mitico di funzionamento biologico integro e puro, collocandola quasi in una dimensione “sacra”. Qui il sintomo psico-fisico diventa segno di rottura di un’alleanza tra natura e cultura: l’opposizione fondamentale concerne dunque il rapporto tra queste due polarità e il terapeuta diviene l’intermediario che dovrebbe garantire un riequilibrarsi “rituale”. Gli accenti più radicali si pongono sempre sulla contrapposizione tra artificiale e naturale: in tal caso, la garanzia di protezione risiede nell’autenticità originaria dei rimedi naturali, spesso descritti come più dolci e privi di danni collaterali. Spessissimo si esprime riguardo al farmaco la nozione di eccesso simbolizzata dall’abuso di sostanze, ma latente anche nei commenti sull’alimentazione e sullo stile di vita. Luciano è un medico omeopata. Come tale non crede nell’efficacia delle medicine convenzionali, sebbene, per sua dichiarazione, non consigli ai propri pazienti di privarsene. La sua critica punta non solo sulla dannosità della sostanza sintetizzata chimicamente, ma anche sul fatto che essa, avendo effetto esclusivamente sul sintomo, non va ad eliminare la reale causa dell’insorgenza del disturbo, impedendo così al soggetto di prendere coscienza di Sé. 10 P. Lalli, L’altra medicina e i suoi malati. Un’indagine nel sociale nelle pratiche di cura alternative, pag.176-77, Bologna, Editrice Clueb Cosa crede dei farmaci allopatici? Fanno male sicuramente. Se no non metterebbero i foglietti illustrativi. Ogni tanto ritirano un farmaco dal commercio perché solo dopo scoprono che era pericoloso. Diciamo che fanno bene per un verso, ma distruggono per l’altro. Tuttavia, è un discorso difficile, che mi mette un po’ timore: come fare a dire a persone che si curano da anni con i farmaci tradizionali non usarli perché fanno male? Il dolore serve per prendere coscienza, eliminarlo con un farmaco non ha senso (Luciano D.) Quest’ultimo punto è ribadito da Marco, che parla di un indebolimento della forza d’azione della mente sul corpo. Essa, con l’eccessiva assunzione di farmaci, avrebbe perso la propria capacità di reazione al dolore a causa dell’interrotto colloquio con il corpo: […] Su centomila farmaci quanti ce ne saranno di utili? Tieni presente che c’è un foglietto illustrativo con su scritti i danni collaterali… t’ho detto tutto, no? Le medicine ti intossicano gli organi, bisogna stare attenti. Ti fanno bene per una cosa e male per altre diciannove. Ti avvelenano. Adesso, se hai mal di testa, prendi una pasticca e ti passa. Ma così vai a intaccare la forza della mente, che non sviluppa più la forza di reazione al dolore. Non c’è più un colloquio con il corpo senza mezzi termini (Marco S.) Valeria e Rita preferiscono usare rimedi più naturali come le erbe. Tuttavia, il loro atteggiamento verso il farmaco non è di totale chiusura e si riserbano di assumerlo in casi particolari. […] male fanno male. Perché io, guarda, se ho qualcosa mi curo con le erbe […] Se tu guardi pure le medicine, fanno male. Io ci credo poco (Valeria S.) […] Io preferisco i rimedi naturali […] i farmaci chimici hanno un attacco aggressivo. (Rita C.) Anche Miranda agisce in questa maniera: Dei farmaci cosa pensa? Credo che, se proprio servono, si devono prendere. Però io mi curo con le erbe e le medicine naturali. Ma, quando mi viene qualcosa di forte, prendo anche quelle normali. Cerco di limitarmi perché credo facciano più male che bene. La paura mia è quella (Miranda S.) Ettore e Danilo parlano di un’eccessiva presenza di farmaci sul mercato e di un abuso degli stessi da parte degli utenti, criticando apertamente i meccanismi economici e di potere che così vanno a innescarsi. È d’accordo nell’uso di farmaci? Assolutamente no! Nessun tipo di farmaco. Non siamo educati a usarlo e poi oramai è un commercio, una questione di potere. E’ una questione di soldi. Spesso se ne fa un uso indiscriminato e le persone si ammalano perché prendono le medicine. Perché che ne sai che c’è dentro? (Ettore B.) […] I farmaci non sono tutti falsi. Ce ne sono su ottomila centoventi salva-vita. Tutti gli altri cambiano solo nome e casa costruttrice. Perché ci devono guadagnare sopra. Intanto tu ti intossichi e ti arrangi (Danilo M.) Per quanto riguarda le tipologie di pazienti che si rivolgono al pranoterapeuta, le situazioni possono essere anche molto differenti a seconda del tipo di guaritore interpellato. Costante però sembra essere la presenza di persone che, prima di ricorrere a metodologie di cura alternative, hanno seguito la strada ufficiale con scarsi successi. Ma si è mai rivolto a lei qualcuno che già aveva tentato sistemi di cura ufficiali? Sì, persone che si erano trovate male, che erano deluse. Io ho anche avuto una brutta esperienza in questo senso. Una signora malata di tumore. Ho provato a dirle di no… ma alla fine ho accettato più che altro per toglierle un po’ di dolore, per darle conforto, no? E non lo volevo fare per non illuderla. Questa persona era delusa dalla medicina, ma oramai lì neanche i medici potevano fare più qualcosa. Figurati se potevo rimediare io! Però in questi casi si affidano a te come se tu fossi un santo che può fare il miracolo, ma non è così! (Rita C.) […] Per la medicina ufficiale, ti operi e stai a posto. Ma da me sono venute persone già operate di ernia al disco, alle quali era tornata (Danilo M.) In questi casi dunque la prima strada cercata è quella più diffusa e ritenuta legittima. A questo proposito, in quasi ogni narrato si sottolinea un’eccessiva e spesso mal riposta fiducia nella diagnostica strumentale, accusata di aver fatto dimenticare uno dei comportamenti fondamentali dell’arte medica: la semiotica, la capacità di ascoltare i sintomi e di decodificarne i significati. […] se hai un male e vai dal medico ufficiale, quello ti dà una pasticca e tu stai meglio. Ma perché però? Perché non hai più quel sintomo, ma non sei guarita, non sei andata a livello della globalità corpo-mente-spirito. Quindi, dopo un po’, il sintomo si ripresenta […] Io mi rapporto a quella persona. Mi rapporto al singolo nella sua globalità: corpo, mente e spirito. Tu non vedrai mai uscire dallo studio dell’omeopata due persone con la stessa ricetta per l’ovvia ragione che ognuno è a sé. Se mi dicessero che in due ore devo vedere venti persone, non lo farei: ci vuole tempo per il singolo caso […] Bisogna andare a capire perché una persona si è squilibrata. Le medicine alternative hanno tale funzione, guardando l’intero essere umano (Luciano D.) Il medico non pare più attrezzato a confrontasi direttamente con il paziente e con le sue sensazioni, tutta la pratica curativa è affidata a strumentazioni ed esami di laboratorio. Il sapere terapeutico non può essere completamente definito dalla dimensione scientifica, non può basarsi sulla meccanica applicazione di classificazioni, modelli e protocolli. Dice Vittorio Lanternari: […] La medicina ufficiale nei suoi sviluppi di specializzazione settorialistica è divenuta in molti casi una medicina criticabile, perché dal punto di vista umano infrange quel rapporto di fiducia fra medico e paziente che è alla base per il miglioramento del malato ed è fondamentale per l’esito positivo della malattia. La figura del medico oggi si è molto burocratizzata. Inoltre, il medico e la medicina ufficiale tendono a considerare il corpo come un’entità a sé stante, distinta dalla psiche, dimenticando quindi che la fiducia i guarigione da parte del paziente è di valore fondamentale. La componente psichica è importante come quella somatica. Oggi troppo spesso si tende ad abbandonarsi all’artificio tecnico delle pasticche e delle iniezioni, che spezza la fusione tra componente psichica e componente fisica.11 Occorre che il medico si adegui alla specificità dei soggetti che intende curare, richiede intuito e l’ascolto. 11 V. Lanternari, Intervista, in P. Giovetti, I guaritori di campagna tra magia e medicina, pag.172, Roma, Ed. Mediterranee, 1984 Valeria insiste in modo specifico sulla qualità del rapporto instaurato con il cliente, sottolineando la disponibilità del terapeuta di fronte al malato e la confidenza scaturita dalla parola. Per lei, un guaritore non può esimersi dall’amare il prossimo. […] Devi fare tutto con piacere […] Si tratta di stare con la gente, di essere disponibile… devi volerlo insomma, perché devi dare amore. A me piace, io sono contenta quando vedo che uno sta bene […] E’ un piacere vedere la gente, sono contenta quando viene e ancora di più quando stanno bene. Io poi ci parlo, la confidenza ti viene, da cosa nasce cosa (Valeria S.) Anche Miranda accenna alla necessità della parola come strumento di confidenza tra paziente e terapeuta, nonché sulla necessità di includere nel processo di cura tempi più lunghi, che permettano un approccio di tipo amichevole e fiducioso. […] Vengono qui e si sfogano, piangono senza che io chieda niente. Si sfogano con me. Alcune sono persone importanti, che hanno studiato, maestre, avvocati. Io non ho studiato! Non so che dire, si fidano di me, mi raccontano la loro vita, la loro storia […] Qui si confida tutto. Io dedico tanto tempo a una persona, anche se la terapia vera e propria dura sette minuti. Ma io chiacchiero, lascio che i pazienti si sfoghino, che stanno bene (Miranda S.) Enrica parla dell’assenza di canoni fissi di cura e dello sviluppo di terapie personalizzate per il cliente, in base alla storia individuale di ognuno. […] Non c’è… come dire… a differenza della medicina ufficiale che vuole fare dei canoni che vanno bene per tutti… e infatti cosa diceva Di Bella? Non so se lo sai… però lui… non è che usava un protocollo per i suoi clienti, lui conosceva la persona che andava da lui, cercava di capire e poi, in base… quindi, non era il tumore che determinava la cura, ma era la persona, quello che gli stava succedendo e in base a quello lui dava dei suggerimenti, magari anche delle medicine. E la stessa cosa è ancora di più qui… il mal di testa che può avere una persona può essere causato da cose diverse, ma è sempre mal di testa. Quindi non è detto che vada ovunque bene la stessa cosa (Enrica B.) […] Prima curi l’anima, poi tutto il resto (Danilo M.) Rita ed Ettore si lamentano dell’approccio della medicina ufficiale, percepito come eccessivamente spersonalizzante dal momento che viene a mancare quel necessario contatto umano che rende il medico agli occhi del paziente non un prescrittore di farmaci, ma un soggetto in grado di dare calore ed affetto. Lei diventa amica delle persone che le si rivolgono? Sì! Infatti io devo mettere in conto nei miei tempi più il tempo per parlarci che quello per la terapia. Il medico ufficiale ha un approccio sbagliato sotto questo punto di vista. Molti si lamentano con me. E poi un altro problema del medico è che si fanno troppo facilmente le ricette, anzi a volte è la segretaria che se ne occupa. E’ sbagliato! Tu la persona neanche la vedi e poi firmi la ricetta. Il medico di base è diventato intanto un medico troppo generico perché non è più specializzato in niente e, se non scrive sul computer tutti i dati del paziente, non sa proprio niente di lui (Rita C.) […] Il dottore è solo uno scrivano che prescrive medicine e delega tutto alle macchine […] bisogna dire che io tratto diversamente i pazienti, perché secondo me la persona che viene è carente di calore umano (Ettore B.) Diversi intervistati sostengono che il medico dovrebbe supportare le proprie conoscenze tecniche con lo sviluppo di una capacità empatica che permetta di comprendere il malato come persona. […] anche i medici dovrebbero avere un sorriso, essere una persona buona con il paziente. Perché a volte basta una buona parola per guarire (Luigi M.) Ciò che maggiormente si evidenzia tuttavia è l’eterogeneità delle categorie di individui che scelgono vie non convenzionali di cura. D’altronde, il pubblico sull’onda dell’igenismo, del culto del corpo, della “fitness” e del benessere psico-fisico, ha sviluppato in quest’ultima epoca una sete di solidità, sanità, giovinezza perenne, da cui proviene la pressante richiesta di guarigioni sollecite e garantite, d’indiscusso benessere. Si tratta di garanzie che la scienza ufficiale, consapevolmente, non è in grado di offrire. Quanto più la medicina ha raffinato le sue procedure conoscitive e diagnostiche, nonché le tecniche terapeutiche, tanto più si è sviluppato il livello di autoconsapevolezza dei limiti e della misura del proprio potere. Il cittadino, dunque, è portato a scegliere diverse opzioni di cura, la quale, a seconda dell’orientamento ideologico del singolo utente, si rivolge tanto all’ambito ortodosso quanto a quello alternativo, sovente contemporaneamente, senza che ciò spinga il soggetto a far proprio in maniera decisiva uno schieramento. Costui è teso a orientarsi in un’ampia gamma di offerte terapeutiche, a bilanciare i pro e i contro, i costi e i benefici di ciascuna, ma non è per nulla osessionato da problemi di coerenza epistemica. Dal punto di vista del profano, il ricorso al sapere di guaritori tradizionali o alternativi sembra non implicare una questione di razionalità: l’atteggiamento degli utenti dei pranoterapeuti più diffuso è quello di una scelta affatto totalizzante. Si prova la cura energetica come si tenta con la medicina ufficiale: è una chance in più che il malato si riserba. […] Chi viene viene, vicini, parenti… vengono tutti i tipi di persone che hanno saputo di me, gente che soffre, che vuole guarire. Anche se uno non ci crede, quando ha tanto male e ha provato tutte le medicine e i medici, viene qui e prova. Tanti neanche vanno dal medico perché sanno che le medicine fanno male (Valeria S.) Che tipo di persone vengono da lei? Tutti i tipi. Vengono e provano (Marco S.) Si tratta di persone di ogni età e ceto sociale che per lo più hanno ricevuto indicazioni tramite parenti o amici, inserendosi pienamente nella catena della chiacchiera. Le persone che vengono qui come hanno saputo di lei? Per sentito dire perché io non faccio pubblicità, che non serve a niente. Di solito uno all’inizio è molto scettico, però poi si ricrede. Anzi, sono proprio gli ex-scettici che mi portano più clienti! (Ettore B.) […] Molti vengono qui accompagnati da qualcuno che c’è già stato […] Qualcuno poi viene già informato su che cos’è la pranoterapia, magari ha provato da altri (Miranda S.) […] la cliente ha cominciato a mandarmi dei clienti, dicendo che io curavo con le mani (Danilo M.) In altri casi la rete informativa è data da letture consigliate o casuali, fino ad arrivare alla professione di un esplicito gusto per l’esotismo e stili di vita alternativi. Che tipo di persone vengono da lei? Tutti i generi… beh, diciamo che poi io ho fatto una scelta […] Le persone che vengono da me sono passaparola, che hanno saputo di me da amici che sono guariti. Anche chi non sa niente all’inizio… anche se adesso ormai… beh, si i primi anni… adesso chi viene ha letto, magari si interessa di filosofie orientali. Ormai anche sulle riviste femminili c’è sempre qualcosa, specialmente dei fiori di Bach, dell’energia, qualcosa insomma. Chi viene ha già sentito parlare. Non c’è più quella… come quando ho cominciato io, che non trovavi niente (Enrica B.) Altre volte, soprattutto quando la figura del pranoterapeuta sembra caratterizzarsi più marcatamente sulla scorta di quella del mago tradizionale, i pazienti appartengono a fasce sociali anziane, che condividono con il guaritore una visione religiosa del mondo. Ma per la maggioranza degli individui è la curiosità ad attrarre e a spingere a provare, qui ancora più spiccata per l’esplicita connessione con la concezione energetica-paranormale: il pranoterapeuta diventa allora una tra le tante offerte messe a disposizione dal mercato della salute, una semplice opzione da scegliere tra le molteplici. […] Anche se uno non ci crede, quando ha tanto male e ha provato tutte le medicine e i medici, viene qui e prova […] Hai proprio la prova: se uno è stato all’ospedale, fa le punture da venti giorni e non cammina ancora perché ha male alla gamba e poi viene qua e cammina dopo un’ora… lo capisci, no? (Valeria S.) La decisione è delegata al singolo, il quale può agire come meglio crede a seconda dei gusti, delle credenze, della personalità. Si ripropone una delle caratteristiche della modernità: la diversità culturale in campo medico non è più polarizzata sui due grandi estremi della scienza e della tradizione, della ragione e della superstizione, o, per dirla in altri termini, di una cultura dominante e di una cultura subalterna. Non siamo più di fronte alla secca alternativa tra totale adesione alla razionalità scientifica da un lato e, dall’altro, alla miseria culturale. Piuttosto, riscontriamo una grande varietà di risorse interpretative e terapeutiche, sostenute da fonti diverse di autorità e tutt’altro che mutuamente esclusive. A queste risorse gli attori attingono, negoziando soluzioni secondo criteri che non sono tanto di coerenza epistemologica quanto di razionalità pratica. Ad essere rilevante è una molteplicità di fattori quali l’età, il sesso, il livello di istruzione, l’orientamento ideologico. Facoltà paranormali Nel campo delle doti paranormali, non sempre distinte nettamente dalle vere e proprie facoltà curative dei guaritori, vi è una sorta di intuizione diagnostica autoprodotta in maniera involontaria nel momento del contatto pranoterapeutico. E’ un potere che anche Dei mette ben in evidenza nel suo lavoro di analisi. Si tratta di un aspetto di cui il guaritore non parla quasi mai con l’assistito, spesso per il timore di spaventarlo, ma che costituisce un’utile guida alla diagnosi. Questa speciale caratteristica può riguardare la percezione del dolore del paziente, il quale pare in grado di essere trasferito dal corpo del malato direttamente a quello del pranoterapeuta. Rita, in particolare, possiede un’involontaria capacità diagnostica che si produce anche senza contatto tra terapeuta e paziente. Ella afferma di sentire precisamente il momento del passaggio del dolore dal corpo del malato al proprio: lo percepisce in modo fisico, localizzato nel punto esatto di origine, colto nella sua manifestazione locale e sintomatologica. E’ come se tra i due corpi vi fosse una risonanza perfettamente simmetrica: il dolore diviene una quantità magnetizzatizzabile in una zona anatomica corrispondente a quella che lo ha generato: un’evidenziazione automatica della causa del male. Rita parla di questa esperienza come di qualcosa di spiacevole, manifestabile anche a distanza. […] Poi, mi capita di capire subito se una persona sta male, perché sento proprio il suo dolore su di me, nel punto preciso dove c’è. Non è una cosa tanto piacevole però. Anzi, se non sto attenta è capace pure che mi sento male io, anche per un po’ di tempo. Non serve che tocco chi sta male, basta ad esempio che entra nella stanza e io capisco subito grazie alle mie sensazioni. Una volta è venuta una con il mal di testa e io ho capito subito che ce l’aveva perché ho avvertito una fitta fortissima. Infatti, poi gliel’ho chiesto ed era così (Rita C.) Si coglie qui un aspetto fortemente evidenziato dalla letteratura antropologica, vale a dire il farsi carico del male del paziente, trasportandolo sul proprio corpo dove più facilmente è possibile sconfiggerlo. Siamo di fronte a un transfert, messo bene in luce da Lévi-Strauss (1971), in cui il guaritore diviene protagonista di una lotta capace di supportare l’assistito. […] (nella cura sciamanica) si tratta di suscitare un’esperienza e, nella misura in cui l’esperienza si organizza, certi meccanismi posti al di fuori del controllo del soggetto si regolano spontaneamente per dar luogo a un funzionamento ordinato. Lo sciamano adempie un duplice ruolo: un primo ruolo, di oratore, stabilisce una relazione immediata con la coscienza e mediata con l’inconscio del malato. E’ il ruolo dell’incantesimo propriamente detto. Ma lo sciamano non si limita a proferire l’incantesimo, ne è l’eroe, poiché è lui a penetrare negli organi minacciati in testa al battaglione soprannaturale degli spiriti e a liberare l’anima prigioniera. E’ in questo senso che egli si incarna per diventare, grazie alle rappresentazioni indotte nello spirito del malato, il reale protagonista del conflitto che quest’ultimo sperimenta a metà strada fra mondo organico e il mondo psichico […] la partoriente indigena supera un disordine organico vero identificandosi in uno sciamano miticamente idealizzato 12 Tuttavia, nel caso della pranoterapia, è assente ogni identificazione simbolica inserita nel quadro di un orizzonte mitico-rituale di riferimento; il trasferimento poggia invece su un presunto campo di forze magnetiche automatiche: il guaritore si caratterizza per essere un forte polo attrattivo, il quale sprigiona energia positiva ed elimina quella negativa al contempo. Ciò avviene senza alcuna esplicita intenzione. Rita insiste sul fatto che, spesso, la sensazione è così forte che per un certo periodo di tempo il dolore permane su di lei, sino a sfinirla. Per lei, la trasmissione del dolore è vista come una sorta di pericolo da cui difendersi. Nel suo discorso, ciò che si assorbe non è semplicemente un sintomo che si manifesta sia sul paziente sia sul guaritore tramite una risonanza, ma si tratta del vero e proprio male, interpretato quale una sostanza pericolosa emessa dal malato, in grado di perdurare per un certo numero di giorni. […] Però io devo anche proteggermi. Cosa che tuttavia faccio poco…e infatti oggi sto male… perché forse quelle cose che mi hanno insegnato al corso le dovrei mettere in pratica e invece quando sto bene non gli do peso. Invece, dovrei rinforzare le mie difese, stare più attenta (Rita C.) D’altra parte, il processo è controllabile: bisogna che il pranoterapeuta non si concentri troppo, non si esponga in maniera eccessiva aprendo incondizionatamente le sue difese. Qui il rischio di assorbire il male si unisce all’altro di disperdere una quantità eccessiva di energia, con il risultato di sfinire il guaritore. 12 C. Lèvi-Strauss, L’efficacia simbolica, in Antropologia strutturale, pag.223, trad.it. Milano, Il Saggiatore, 1971 […] È sbagliato dare dare dare e togliere l’energia a me stessa e infatti ricasco in queste cose. Anche ieri ho fatto due massaggi a delle ragazze che sentivo avevano bisogno di energia perché erano proprio carenti, l’avevo percepito subito. Quindi io mi sono dedicata completamente e oggi ne risento. Io do anche trascurando me stessa e senza rifare quelle ricariche energetiche che mi hanno insegnato al corso… poi, siccome questa cosa mi è arrivata così alla sprovvista io oggi mi sento carente a livello energetico e lo collego a questa cosa qua, perché ho fatto questi due massaggi (Rita C.) Rita unisce alla capacità di percepire il dolore altrui quella di vedere materialmente il campo energetico delle persone, l’aura, senza che ciò implichi uno sforzo di concentrazione. Il processo di visualizzazione è anzi involontario ed è utile anch’esso come strumento diagnostico. […] L’energia mi arriva da non so dove e riesco a distribuirla, a darla con più facilità. Magari la riesco anche a vedere sottoforma di aura biancastra o di un altro colore a seconda della persona, di come sta. Ecco, ad esempio: mi è capitata una cosa in un ospedale. E comunque queste cose mi vengono naturali, non mi devo concentrare perché forse non vedo niente se stai bene. Invece, mi è capitato in un ospedale di guardare una paziente sul lettino e di vedere in un determinato punto della testa la sua aura più scura. E quindi mi è proprio venuto così, come messaggio, che la persona aveva qualcosa che non andava alla testa. E allora io ho detto “signora cos’ha?” e lei “devo fare la tac alla testa”. Poi dopo un paio di giorni ho saputo che aveva un male alla testa. Quindi io in quel momento l’ho visto bene, capito? Però non è che io mi devo concentrare per vedere queste cose… se ci sono le vedo… oppure, tipo… se una persona ha mal di reni e mi sta vicino, io lo percepisco subito come dolore su di me. Poi magari glielo chiedo e ha mal di reni (Rita C.) Interessante è questo estratto dell’intervista di Marco: […] Essendo una persona diagnostica, riesco ad assorbire tutto ciò che quell’individuo si porta dietro come malattia o psicosomatica od organica, come in un transfert. Io esercito pure con medici che mi chiedono di fare delle diagnosi. Lei vede le aure? Si, senza sforzarmi. E’ un dono naturale. Ho anche predetto cose prima che accadono, ho diagnosticato malattie che il medico non aveva riconosciuto. Bisogna essere predisposti: se la persona non lo è, per quanto si erudisce non può arrivare ad avere determinate doti […] A me è capitato di capire che le persone stavano male solo guardandole. Ad esempio, con mio zio: una volta che mi era venuto a trovare l’ho visto in maniera sfocata e in seguito ancora più evanescente. Aveva un tumore alle ossa. Costui dichiara in modo esplicito di capire cosa una persona ha grazie a un trasfert del male dal corpo del paziente al proprio: il termine usato è “assorbire”. Ciò funziona sia nel caso delle malattie organiche che di quelle psicologiche. Marco opera prima con lo sguardo (egli percepisce anche le aure) e poi con il tatto. Il più delle volte basta una rapida occhiata per comprendere la natura del male, ma, per diagnosi più accurate, egli preferisce prendere la mano del cliente e concentrarsi. Per Valeria, invece, la diagnostica si colloca a un livello più intuitivo, non strettamente collegato all’imposizione delle mani. Ella non riesce a spiegarsi come ciò avvenga, le sue sono sensazioni che le permettono subito di comprendere dove indirizzare l’energia. […] Io posso capire subito dove hai il male, lo sento su di te, nel punto dove scotti o dove sei più freddo se manca la circolazione […] Non è che guarisco da lontano perché non ho studiato, però basta che uno mi si avvicina e si sente meglio […] Capisco le persone, i loro sentimenti… poi sento anche le persone dotate come me. Io sento le cose. Sarà pure per l’esperienza […] capisco dove indirizzare l’energia perché c’è il male. Poi, non so come funziona tecnicamente, credo che ci siano dei collegamenti, un qualcosa insomma (Valeria S.) Ella crede che si possano svolgere anche diagnosi a distanza grazie allo studio delle tecniche in corsi ad hoc. Valeria riconduce la possibilità che ciò sia concretamente realizzabile alla potenza del pensiero intenzionato e alla volontà di applicarsi con costanza nell’ambito terapeutico. Costei ritiene che la mente umana possa sviluppare poteri paranormali, i quali renderebbero appunto possibili contatti energetici tra due persone lontane. […] Comunque ho fatto corsi pure sul paranormale perché, da quando ho scoperto che la pranoterapia è vera, ho pensato che può essere vero tutto. E’ un fascino. Allora sono andata a un seminario a Trento: sviluppo di facoltà paranormali. Io non ci credevo. Dopo tre giorni di meditazione, dovevi riuscire a fare una diagnosi a distanza con la mente. A me sembrava una favola, ma sono andata avanti più per curiosità… Dopo la meditazione, abbiamo fatto una specie di gioco: dovevo immaginare una donna, se bionda, se mora, se alta, se bassa, in quale città stava, dove abitava, che male aveva. Mi veniva da ridere. Invece, in seguito alla preparazione, io ho descritto questa donna: quarant’anni, mora, grossa, toscana, con difficoltà a camminare, ma, soprattutto, con una cosa grigia sul braccio. Poi mi hanno dato i dati veri e otto su dieci erano esatti! Mi hanno fatto persino i complimenti. La cosa grigia è la cosa che mi ha sorpreso di più perché la donna aveva fatto un incidente e le avevano messo una protesi. I dottori mi hanno detto che sono sensitiva. Ma io ero spaventata, meravigliata. Io non ho continuato perché avevo altre necessità, dovevo badare alla casa, a mio marito, a mia suocera. Questo per farti capire che noi nella nostra mente abbiamo tutto! Basta svilupparlo. Ci vuole buona volontà. Con la volontà si fa tutto, ma o una cosa o l’altra, non ogni cosa insieme (Valeria S.) Per Ettore, la diagnosi si attua in due momenti. In un primo tempo, egli si accorge d’istinto se una persona sta male, tramite sensazioni che lo disturbano: egli asserisce di mutare immediatamente atteggiamento di fronte a un malato. In un secondo tempo, occorre che si concentri per capire se il cliente è curabile o meno e che operi con la forza del pensiero. Anche Ettore può vedere le aure, ma non sempre: si tratta di un fenomeno sporadico e incontrollabile, il quale può verificarsi in qualsiasi istante. […]Io se vedo una persona mi accorgo che sta male, istintivamente. Però, quando sento qualcosa, non approfondisco troppo, però ci si accorge quando sento qualcosa perché cambio atteggiamento. Vale a dire? Non lo so. Non saprei spiegare che succede. Io sono sicuro di cambiare atteggiamento perché me ne accorgo pure da solo. Diciamo che, dopo la sensazione, mi concentro sul disturbo di quella persona, così vedo se ci si può dare una mano o meno. Ma se lei non mi cerca, lascio perdere, non la contatto. Faccio solo del mio meglio con il pensiero, se posso. A volte vedo pure le aure, però non è una cosa che posso provocare ( Ettore B.) La sensibilità di Ettore pare esplicitarsi pure per telefono, dunque a distanza. In questo caso, egli asserisce che non servono sforzi di concentrazione perché la sensazione arrivi: il tutto avviene in maniera piuttosto spontanea: Ha mai operato a distanza? Si, certo. E senza neanche il bisogno di pensare […] Mi capita spesso per telefono […] Io non so come faccio, lo faccio e basta, involontariamente. Quando uno mi chiama per telefono, arriva la sensazione e parte qualcosa da me. Non serve che mi concentro, la cosa va e basta. E’ un flusso energetico che va (Ettore B.) Secondo Ettore l’energia agisce liberamente e non è necessario che il paziente venga a conoscenza dell’intuizione diagnostica del terapeuta, anche perché ciò comporterebbe uno stato di ansia: […] faccio tutto io. Perché io non spiego niente, se no il paziente si preoccupa (Ettore B.) Pure Danilo è in grado di svolgere diagnosi a distanza. Egli fa riferimento al telefono e alla fotografia: […] È successo migliaia di volte che uno mi ha telefonato e io l’ho fatto venire subito perché sapevo cos’aveva senza dirmi niente […] Ad esempio: hai un’amica che sta male. Mi porti una foto e io ti so dire questa cos’ha (Danilo M.) Egli però si avvale maggiormente della visione concreta del campo aurico e, in poco tempo, riesce a svolgere un check-up completo del paziente che gli sta di fronte: […] io faccio la mia diagnosi personale. Impiego un minuto. Però, purtroppo, questo lo vedo solo io. Da quello che io sento e vedo faccio il piano di attacco alla malattia […] Noi abbiamo un campo aurico. Lei lo vede? Si. Ti faccio vedere sui libri… allora… si, io li vedo, li percepisco. Ecco la foto: abbiamo la prima aura vicina al corpo, a circa trenta centimetri. Poi abbiamo i raggi di salute e la terza aura, quella che interessa corpo e mente a livello proprio grande. Le aure sono sette, vedi? All’esterno delle aure abbiamo sette corpi. Stai trovando un maestro, eh? Mica un guaritore di campagna, io giro tutta Europa… sono sempre a sette metri di altezza (Danilo M.) Sulle sensazioni si basa molto Luciano. Egli, oltre a operare tramite il dialogo e tecniche di cura omeopatiche, insiste sulla percezione dell’energia del cliente, che è in grado di captare in maniera naturale. Tramite intuizione, costui stabilisce immediatamente lo stato psico-fisico dell’utente, senza che sia necessario il contatto fisico. Luciano parla di energie presenti nel mondo intorno a noi e negli stessi individui, le quali fanno sentire la loro presenza in maniera libera e spontanea. Secondo lui, tutti saremmo in grado di captarle per predisposizione innata, ma oggi si tende a “mettere i tappi” ai sensi umani, i quali sarebbero, per sua asserzione, ben più di cinque. […] noi abbiamo messo i tappi e non riconosciamo le vibrazioni. Eppure, esse trasmettono input, informazione, anche quando, ad esempio, si stringe la mano a qualcuno: qualcosa passa. Cambia a seconda di ciò che si vuole comunicare. Poi, come fai a spiegare? Non siamo liberi, siamo troppo sovraccarichi di informazione, troppo frenati da convenzioni: non bisogna fare questo o quello perché lo dice la Chiesa, la madre, il padre… Invece è semplice, è un qualcosa di intuitivo… non si può sempre analizzare scientificamente. Poi, devi essere in frequenza. Nessuno si meraviglia delle onde radio, ma di quelle energetiche si. Diamo per scontata l’influenza della Luna e non quelle delle persone (Luciano D.) La diagnostica, dunque, risulta essere un’operazione intuitiva precedente all’imposizione delle mani. Spesso è sviluppata in due momenti. Il primo, immediato, si attua non appena si entra in contatto, non per forza fisico, con qualcuno; il secondo, successivo, avviene durante la cura e tende a “raffinare” la sensazione avuta dandole conferma e potenziandola. In tutti i narrati analizzati, l’operatore non ha bisogno di conoscere tecnicamente l’anatomia del paziente, né la definizione scientifica della malattia, perché l’energia curatrice agisce comunque in modo autonomo, indirizzandosi spontaneamente verso l’organo malato. Meglio tacere, confidando nella naturale capacità della forza vitale di riarmonizzare il tutto, senza necessità di etichette, definizioni o interpretazioni. Rita insiste su questo punto in maniera chiara: […] la maggior parte delle volte le persone non sono consapevoli perché io faccio il mio lavoro di estetista e nel massaggio comunque dò l’energia che ho o se c’è un problema cerco di risolverlo anche a loro insaputa (Rita C.) Come focalizzato da Dei, si delinea il paradosso di una medicina priva di sapere medico, di una pratica curativa svincolata da un sistema teorico riguardante il corpo. A ben vedere, però, se pure la pranoterapia si sottrae al determinismo chimico-fisico a favore di una metafisica energetica, essa resta legata a una geografia del corpo, sebbene non strettamente specialistica. Basta infatti una conoscenza da enciclopedia domestica, dal momento che occorre sapere a grandi linee dove indirizzare l’energia. Non è un caso che molti guaritori abbiano frequentato corsi a pagamento nei quali hanno ricevuto una infarinatura non solo della teoria medica occidentale, ma anche di quella orientale, facendo riferimento a pratiche come l’agopuntura, la riflessologia plantare, il sistema dei chakra. Tali saperi sono posti all’interno di un medesimo ordine. Ma lei ha studiato per specializzarsi nell’uso di rimedi terapeutici come i fiori di Bach o la riflessologia plantare? Sì, ho iniziato tramite il corso che ho fatto per la pranoterapia. Mi ero iscritta a bionaturopatia e quindi c’erano lezioni di anatomia e di riflessologia plantare, che io ho seguito interamente. Ho fatto quasi tutte le lezioni di fiori di Bach, per quello ne sto parlando in questo modo… però, dato che non le ho terminate, non pratico con i fiori di Bach sui clienti. E non lo potrei comunque fare perché non sono bionaturopata (Rita C) […] Ho fatto migliaia di corsi, ma lavoro solo con due tipi di scuole. Sono un quarto livello avanzato e ho studiato yoga (Danilo M.) Tra tutti gli intervistati, solo Miranda ha studiato anatomia, sebbene non a livello accademico, ma tramite la frequentazione di un corso organizzato dalla stessa struttura dove aveva fatto le fotografie Kirlian. Ciò mi induce a pensare che si tratti più che altro di un’infarinatura generale. […] io ho fatto anche un corso di anatomia per un anno. Tutti i sabati a Roma dalla mattina alla sera. Io ho preso da subito la faccenda come una cosa seria perché non volevo prendere in giro le persone, anche perché l’ho scoperto a cinquant’anni. Volevo fare tutto seriamente e bene. Quindi ho frequentato questo corso a Roma (Miranda S.) Altre facoltà paranormali riguardano la preveggenza, sotto forma di intuizioni prodotte spontaneamente durante il trattamento, non evocabili coscientemente. Inoltre, frequente è la mummificazione di sostanze organiche quali uova e carne. La guarigione a distanza La guarigione a distanza è uno dei tanti elementi che contribuisce all’eterogeneità teorica della pranoterapia: il guaritore è in grado di operare anche su persone che non gli sono contigue spazialmente, tramite concentrazione o semplice visualizzazione. A volte il contatto avviene per te- lefono. Concordo con Dei quando egli afferma che questo pare sostanzialmente in contrasto con la visione più “ortodossa” di tale pratica, la quale presuppone il tocco tra corpi, e si contrappone all’ambito del senso comune, fondendo l’immaginario proprio della magia tradizionale con quello tecnologico moderno. A ben vedere, ciò pare in sintonia con un mondo caratterizzato da un’estensione illimitata delle comunicazioni e dall’annullamento della distanza geografica: adesso persino la potenza energetica guaritrice può svincolarsi dalla vicinanza di spazio, essendo trasmissibile tramite “onde”: Ammesso il principio che l’essere umano è una stazione trasmittente e ricevente di onde bioradianti, non è irrazionale ammettere che un individuo possa proiettare l’energia terapeutica della quale è fornito su un altro essere, anche a distanza 13 Nel proprio lavoro, Dei rileva l’esistenza di una vera e propria scienza alternativa, la radionica, che teorizza in termini pseudo-scientifici l’efficacia della terapia a distanza e si fonda su un’estensione della portata fisica dei campi elettromagnetici. Essa si può definire: Scienza delle energie infinitesimali, dei campi di forza sconosciuti, delle forze sottili potentissime anche se non misurabili con i tradizionali strumenti scientifici 14 La vita stessa è letta come “campo magnetico complesso”, il quale metterebbe di continuo onde percepibili non sul piano fisico, bensì su quello “eterico”. Quest’ultimo è una sorta di matrice della realtà fisica ed è posseduto anche dall’uomo, influendo su corpo e psiche. La teoria del “corpo eterico” è molto diffusa nel campo delle medicine olistiche, sebbene sia evidentemente sbilanciata sul versante parapsicologico. Indubbio è però il fatto che la radionica fornisce un contesto discorsivo “moderno” che recupera e legittima la fenomenologia magica (Dei, 2004: pag.38). L’universo risulta composto da una sostanza unica, energia magnetica vibrante: La materia è energia cristallizzata: dunque ogni sua parte è in contatto con l’altra. La vibrazione sottende a sua volta l’affinità analogica tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. L’universo è un sostema unificato nel quale non esiste parte interamente separata da ogni sua parte 15 In pratica, come nella magia e nell’astrologia rinascimentale, si introduce la possibilità di riconoscere corrispondenze infinite tra uomo e cosmo, conducendo sino alla giustificazione della sopravvivenza del principio vitale umano dopo la morte del corpo. Ma, soprattutto, si aprono le porte al recupero pseudo-scientifico dell’efficacia simbolica su base analogica. Frazer, nel “Ramo d’oro”, aveva identificato i principi di pensiero su cui si basa la magia, giungendo alla conclusione che: […] essi si risolvono in due: primo, che il simile produce il simile, o che l’effetto rassomiglia alla causa; secondo, che le cose che siano state una volta a contatto continuano ad agire una sull’altra, a distanza, dopo che il contatto fisico sia cessato. Il primo principio può chiamarsi legge di similarità, il secondo legge di contatto. Dal primo di questi 13 N. Cutolo, L’energia che guarisce. Esperienze di un pranoterapeuta, pag.55, Roma, Ed. Mediterranee, 1985, in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.38, Roma, Università La Sapienza, 2004 14 M. Frisari, La cura delle malattie a distanza: scienza o magia?, pag.9, Padova, MEB, 1990, in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.39, Roma, Università La Sapienza, 2004 15 Ibidem: 16 principi il mago deduce di poter produrre qualsiasi effetto, semplicemente con l’imitarlo. Dal secondo, a sua volta, deduce che qualunque cosa egli faccia a un oggetto materiale, influenzerà ugualmente la persona con cui l’oggetto è stato in contatto 16 Ora, un opuscolo della Radionical Association britannica asserisce: La procedura normale, quando si consulta un professionista radionica, consiste nell’invio da parte del paziente, indipendentemente dalla distanza, di una goccia di sangue o di qualche capello. La goccia va stesa su poca carta assorbente. Il tutto accompagnato da un’esauriente descrizione dei sintomi. Il professionista sintonizza quindi la sua mente sul paziente e regola i suoi strumenti diagnostici con un procedimento analogo alla regolazione di una radio per ricevere una trasmissione. Il professionista chiede al suo senso interiore di rispondere con un si o un no alle differenti ipotesi che egli formula circa le possibili cause della malattia […] Quando l’analisi è completa, il professionista proietta o trasmette al paziente, per mezzo dello strumento di trattamento radionica (usando il campione di sangue o i capelli) le influenze terapeutiche, espresse sottoforma di frequenza, necessarie 17 La “legge di risonanza”, uno dei postulati fondamentali della radionica, sancisce la procedura suddetta e il fatto che l’universo è regolato da rapporti metaforici e metonimici: Gli effetti di un’azione subita da una parte separata di un corpo sono risentiti da tutto il corpo, qualunque sia la distanza tra le due parti separate. Una fotografia del corpo oggetto di trattamento radionica […può] evocare la parte separata (capelli, goccia di sangue) e sostituirla a tutti gli effetti […] Infatti la particella organica di un corpo vivente contiene le medesime energie del corpo stesso, anche quando ne viene separata 18 Siamo qui di fronte a un tipico atteggiamento dell’olismo, sebbene non si presenti sempre in forme così estremizzate: le leggi della rappresentazione simbolica, le quali governano il linguaggio, sono assunte come principi guida dell’universo fisico. Quest’ultimo è la cristallizzazione di una “Sostanza mentale” e del linguaggio attraverso cui essa s’esprime. Il mondo si conforma ai significati e non l’opposto. Nella radionica si arriva persino a dichiarare che, invece di assumere un farmaco, possiamo proiettare con specifici macchinari il nome della medicina e della relativa dose verso il paziente per ottenere buoni risultati (Dei, 2004: pag.40). […] L’idealismo linguistico è espresso in forma radicale, caratterizzandosi per la sua impronta anti-moderna: se punto focale della modernità è la naturalizzazione dell’uomo, il movimento olistico ci riconduce a una concezione 19 fortemente antropomorfizzata della natura Coerentemente con l’aura pre-moderna, viene negata autonomia alla psichicità. I simboli sono efficaci perché reali, non esiste alcun processo interiore, cosciente o meno, che funga da mediatore: le metafore, come nel caso del capello e della goccia di sangue, sono efficaci perché totalmente sostitutivi della persona rappresentata. La relazione stabilita è sostantiva e dipendente dalla presenza di “vibrazioni”. L’analogia risulta essere il principio regolatore dell’universo stesso: 16 J. Frazer, Il ramo d’oro, pag.23, Roma, Newton Compton, 1992 M. Frisari, La cura delle malattie a distanza: scienza o magia?, pag.8, Padova, MEB, 1990, in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.39, Roma, Università La Sapienza, 2004 18 Ibidem: 21-23 19 F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.40, Roma, Università La Sapienza, 2004 17 Osserviamo il disegno di una sagoma umana. Poniamo alcuni capelli di un soggetto sul disegno (naturalmente entro i confini della testa disegnata). Poiché in base alla legge analogica un filo invisibile unisce invariabilmente ciò che si assomiglia, è stabilita subito una speciale risonanza tra il disegno (con i capelli appoggiati sopra) e il soggetto donatore di capelli. Se orienteremo la figura disegnata verso il Nord magnetico, la risonanza sarà così potente da creare un flusso pressoché immediato sul soggetto vivente, mediante le modifiche effettuate sul disegno che assomiglia al soggetto e che è orientato verso il Nord 20 Assistiamo qui a una rilettura delle teorie frazeriane riguardanti le leggi magiche di somiglianza e contatto. Si pone dunque esplicitamente il problema della continuità con il pensiero magico. […] rispetto ad altre discipline olistiche, essa (la radionica) usa un linguaggio estremo, ingenuo e un po’ troppo fantasioso. Tuttavia, lavora sullo stesso terreno immaginativo, che è, in sostanza, l’idea di una realtà “eterica” invisibile e più profonda di quella fisica, percorsa da forze “sottili”, aperta all’influenza del pensiero sulla materia. Una realtà in cui tutto è collegato con tutto, in modo da poter costituire un’infinità di nessi simbolici efficaci 21 In questo spazio alcuni pranoterapeuti concepiscono la nozione della guarigione a distanza. Anche io, come Dei, durante le interviste mi sono accorta che questi ultimi, in realtà, non sviluppano vere e proprie teorie pseudo-scientifiche per spiegare le loro affermazioni a riguardo; piuttosto ci si accontenta di considerare il tutto un’azione mentale in cui il pensiero è la forza dominante. La capacità di evocare mentalmente il paziente, di costruirsi una sua rappresentazione interiore, costituisce il cardine del discorso. La prossimità fisica e il contatto sono sostituiti dal pensiero intenzionato. Perché la proiezione immaginativa funzioni, occorre che la mente del guaritore entri in sintonia con quella del paziente. Ciò funziona sia con conoscenti, sia con sconosciuti: l’importante è che si abbia a disposizione un sostitutivo simbolico. Si ritiene comunque che anche nei rapporti personali vi sia sempre una componente di contatto psichico: simpatia e antipatia, senso d’affinità o di repulsione, non sono semplici sensazioni, ma impatti di onde che vanno e vengono. Danilo distingue tra due tipi di pranoterapeuti a seconda della qualità del loro potere: i primi sarebbero semplici operatori che impongono le mani e, possedendo doti limitate, non possono svolgere un numero elevato di sedute durante la giornata, previa la stanchezza. I secondi, invece, che lui denomina “energetici”, hanno la facoltà di “ricaricarsi” ogni volta che trattano un paziente, con il risultato di accumulare una dose enorme di vitalità. Solo questi ultimi sono in grado di guarire a distanza, dal momento che egli si basa sull’assunto che l’energia segue il pensiero intenzionato. Danilo, però, tiene a sottolineare che la terapia può essere avviata solamente se il soggetto malato ne è cosciente, altrimenti ciò provocherebbe uno squilibrio nell’esistenza tanto della persona indisposta quanto in quella del terapeuta. […] La pranoterapia classica è quella con le mani. E là il pranoterapeuta, almeno che non abbia emanazione costante di energia, può fare fino a sette-otto persone al giorno. Se no si stanca. Se invece andiamo sulla pranoterapia energetica, più ne fai, più sei arzillo. E là andiamo anche sul lavoro a distanza. L’energia segue il pensiero: se io voglio guarirti, lo faccio. Anche se stai a New York. L’importante, però, è che tu me lo chieda o che tu sia cosciente che ti sto facendo il trattamento perché io non posso fare violenza energetica su di te. Nel senso: ci sono tantissime persone che non vogliono guarire, vogliono stare al centro dell’attenzione di tutti. Io potrei guarirle lo stesso, ma facendo una violenza energetica. 20 M. Frisari, La cura delle malattie a distanza: scienza o magia?, pag.23, Padova, MEB, 1990 in F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.40, Roma, Università La Sapienza, 2004 21 F. Dei, Oggi si chiama negatività. La pranoterapia tra folklore e medicine non convenzionali, pag.40-41, Roma, Università La Sapienza, 2004 In quel caso la persona non guarirebbe? Non è solo questo: lui non guarisce e io pago a livello karmico. Il karma è causa ed effetto. Cioè: se io voglio farti qualcosa e tu non vuoi, tutto quello che ti faccio, anche se a fin di bene, mi ritorna indietro sottoforma di rabbia. Facciamo una scala da uno a dieci: paziente-terapeuta. Voglio che tu guarisci ma tu non vuoi: ti do dieci a me torna venti della tua porcheria. Me la danno loro lassù. E’ una legge universale. Una specie di fattura? Brava! È l’effetto fattura! L’energia segue il pensiero. Perciò credici perché è così. Se ci sono persone forti, ti beccano e ti fanno male, ma a loro ritorna venti, anzi trenta. Per queste cose bisogna essere d’accordo (Danilo M.) La conoscenza del soggetto da curare è per Danilo necessaria affinché possa avviarsi il processo terapeutico. In alternativa, basta una semplice fotografia, sostitutivo simbolico della persona malata. Ancora una volta egli fa una netta distinzione tra tipologie di guaritori: solamente quelli più potenti, come lui, riuscirebbero non solo a fare diagnosi, ma anche a guarire per telefono in poco tempo. Ciò che differenzia i pranoterapeuti maggiormente dotati è la conoscenza specifica dei meccanismi attraverso i quali si trasmette energia. Compiere una guarigione a distanza senza una base teorica consona è pericoloso perché stanca enormemente. Per Danilo ogni persona può sviluppare facoltà curative tramite lo studio, da ottenersi con la frequentazione di appositi corsi. Quindi non servono foto? Se io non ti conosco, tu mi devi portare una foto. Ad esempio: hai un’amica che sta male. Mi porti una foto e io ti so dire questa cos’ha. Ma qui entra in ballo la terza persona: se l’amica non vuole essere aiutata, a me non tocca il tre volte tanto, ma a te. Tu sei stata l’autrice, sei te che hai dato l’ordine. A me non tocca niente. Te la vedi te con quelli lassù, con la banca del karma. Per telefono è possibile guarire? Un momento. Non è possibile a livelli di pranoterapeuti normali perché non si conosce la persona. Bisogna conoscerla. Allora si, si può guarire anche per telefono nel giro di mezz’ora. Si fa a distanza, ma solo se trovi uno come me. Se trovi un terapeuta normale che non conosce l’energia o che la conosce a grandi linee, non si può perché la distanza porta via dell’energia, ok? ( Danilo M.) Anche Valeria fa riferimento allo studio come mezzo necessario per sviluppare le facoltà paranormali della mente, che lei ritiene naturalmente presenti ma sopite. Sebbene ella non possegga la capacità di guarire a distanza, si dice predisposta verso tale prerogativa, come ha avuto conferma durante la frequentazione di un corso. Costei collega a questa facoltà la sua particolare sensibilità intuitiva, però non portata alla piena maturazione. Può guarire a distanza? Se studiavo sì. Così mi hanno detto. Se io facevo l’altro corso, con una foto potevo guarire anche a distanza. Non ho mai provato a farlo. Però, mi succedono delle cose… tipo, se penso a una persona, quella mi telefona subito o la vedo per strada. Non è che guarisco da lontano perché non ho studiato, però basta che uno mi si avvicina e si sente meglio. Comunque c’è gente che studia queste cose, capito? (Valeria S.) Miranda dice di non possedere il potere di guarire a distanza e attribuisce tale mancanza al fatto che non è sensitiva. Per lei, l’unica cosa che conta è il contatto con i malati, perché solo attra- verso le mani riesce a operare efficacemente, sebbene anch’ella abbia sensazioni diagnostiche spontanee prima dell’imposizione delle mani, per lo più in forma intuitiva. […] Non ho tale potere, ma altra gente si. Quelli sensitivi. Io un po’ sensitiva ci sono, ma non voglio interessarmi. Mi interessa solo toccare i malati e guarirli, basta. Tanti dicono che si può guarire a distanza, concentrandosi su una foto o per telefono, ma io mi limito al tocco (Miranda S.) La sua è, dunque, una posizione maggiormente “ortodossa”, dal momento che il contatto è ritenuto essere l’unico strumento di cura di cui si può servire: solo attraverso le mani Miranda capisce in che direzione muoversi e riceve conferma dell’efficacia del suo intervento: […] io mi limito al tocco. Dopo tre o quattro terapie si sente. Magari all’inizio è fredda la parte malata, invece dopo qualche terapia è bollente, esce proprio il sudore. Vuol dire che la parte sotto si sta sbloccando, si sta aprendo. L’energia comincia a scorrere. E piano piano il liquido esce sempre meno, fino a quando la mano rimane asciutta (Miranda S.) Marco, al contrario, è capacissimo di operare su pazienti lontani. In tal caso, si serve di una fotografia, sulla quale si concentra. Costui riesce ad agire anche per telefono e, rispetto agli altri intervistati, possiede la facoltà di materializzarsi in luoghi diversi rispetto a quelli in cui si trova. Quest’ultima prerogativa sembra essere dovuta a una sorta di contatto tra malato e guaritore, instaurato sulla base di una connessione mentale: basta che entrambi, seppur separati spazialmente, si concentrino l’uno sull’altro perché avvenga la guarigione. E’ come se la forza del pensiero di Marco potesse proiettare una sorta di immagine olografica della sua persona presso colui che in quel momento lo sta pensando. Riesce a guarire a distanza? Si. Mi è capitato ad esempio con una nobildonna di Montecarlo. Per sei mesi ho agito su una sua fotografia e lei è guarita. Lei si concentrava sulla foto? Diciamo di si, ma lì è la forza del pensiero vero e proprio. Io non so bene come agiscano le energie, però credo che funzioni grazie al mio potere, con cui sono nato. E’ il mio destino. L’energia si muove con il pensiero. Esiste quella positiva e quella negativa. È mai riuscito a guarire per telefono? Si. Una volta mi ha chiamato una signora e io ho capito che stava male. Soffriva di una malattia psicosomatica dovuta alla morte della madre. Le ho detto:- Senta signora, se qualche sera vi sentite agitata e non riuscite a dormire, pensate forte e me e vi accorgerete che il mio calore arriva – Da quella volta, quando la incontravo per strada, non mi salutava più. Allora ho chiesto spiegazioni a sua sorella, che mi aveva portato la figlia con la psoriasi in fase acuta. Lei mi ha detto che la signora era spaventata perché mi aveva visto la notte davanti al letto (Marco S.) A differenza di Dei, non ho riscontrato presso i miei intervistati la pratica di trattare energeticamente un qualsiasi oggetto, nello specifico dei fazzoletti di carta. Credo che essi siano interpretati dal terapeuta e dal paziente come un modo per dare continuità al rapporto di cura anche quando il contatto effettivo tra essi si interrompe. Dei ribadisce lo stesso parere, arrivando a ipotizzare che questo espediente sia necessario nel caso in cui non si disponga della risorsa costituita dalla prescrizione di medicine. Credere Il numero di sedute necessarie per un trattamento di pranoterapia varia moltissimo a seconda del tipo di paziente e di malattia curata, così come la durata del singolo trattamento. Diversi sono anche il modo di imporre le mani e le sensazioni energetiche conseguenti. Si può operare tenendo gli arti a pochi centimetri dal corpo del paziente oppure appoggiandole direttamente su di esso ed esercitando maggiore o minore pressione. L’importante è che l’operatore percepisca l’innescarsi di un contatto capace di far scorrere l’energia. E’ giudicata necessaria la concentrazione sul punto in cui va indirizzato il flusso vitale, ciò che conta è l’intenzione. Il processo di cura cambia a seconda del paziente o è standard? Cambia. Dipende… devi mettere le mani diversamente. Lo senti nelle mani, si cambia a seconda del tipo di malattia. Che poi io, per fortuna, ho l’energia ben distribuita su tutt’è due le mani. Perché alcuni pranoterapeuti ce l’hanno più su una mano che sull’altra. Dipende anche dalla persona comunque.Certi non sentono subito la mia energia, capito? Non guarisci subito. Il miglioramento lo senti dopo due giorni, anche se stai meglio. Hai proprio la prova: se uno è stato all’ospedale, fa le punture da venti giorni e non cammina ancora perché ha male alla gamba e poi viene qua e cammina dopo un’ora… lo capisci, no? Ad esempio, è venuta una signora da Tor Vaianica che stava a letto da un sacco di giorni. Oh, è scesa dal lettino e non sentiva più neanche il dolore! Lei era contenta e pure io, perché solo che devi fare tutta quella strada! Quante sedute ci vogliono in media per guarire definitivamente? Anche nove o dieci. Qualcuno è guarito anche prima? Direi di no. Si, dopo qualche giorno già si sente meglio, però… (Valeria S.) In genere quante sedute occorrono? A seconda. Se una malattia è semplice, otto o dieci sedute (Miranda S.) Tuttavia, sono d’accordo con Dei quando egli afferma che difficilmente si può attribuire ai pranoterapeuti una ben strutturata visione del mondo in base alla quale agire, così come sarebbe complicato parlare di credenze alternative a quelle della scienza o del senso comune. A ben vedere, non si possono applicare i dettami antropologici d’analisi dei saperi tradizionali, consistenti in due strategie di studio: la prima, riguarda la riduzione delle pratiche in credenze esprimibili in forma preposizionale e analizzabili nella loro coerenza e razionalità; la seconda, concerne il significato simbolico in base al quale le azioni sono poste in essere dagli attori sociali, spesso inconsapevolmente, coglibili tramite uno studio strutturalista o funzionalista (Dei, 2004: pag.45). Infatti, i pranoterapeuti e, almeno in parte, i pazienti sono realmente convinti dell’efficacia della terapia e del fatto che quest’ultima si basi sull’effettivo funzionamento dei poteri. Ma questo assunto non assume la forma di una credenza espressa chiaramente in una proposizione. Allora è d’obbligo una domanda: fino a che punto si spinge la credenza? Essa è affermata esplicitamente, ma solo nel caso in cui sia rivolta una domanda. Bisogna considerare però che le interviste forzano i pranoterapeuti a cercare spiegazioni e giustificazioni, a tradurre in parole un’azione. La reticenza è palese: quasi nessuno enuncia grandi verità metafisiche, fatto questo che marca una fondamentale differenza di orientamento rispetto al mago della tradizione popolare. Ettore, ad esempio, si lascia andare di sovente ad asserzioni del tipo: […] ti dico solo quello che è successo. Mica ho fatto studi medici, quello che so l’ho imparato così, parlando con i medici, informandomi (Ettore B.) Anche Miranda è piuttosto attenta nel fornire spiegazioni: […] Mah… io non saprei. Chi dice in un modo, chi in un altro, io non mi sento di dare giudizi […] Io non ho studiato! Non so che dire (Miranda S.) Il più delle volte si fa sfoggio di una buona dose di cautela e persino di scetticismo, sebbene ognuno sia fermamente convinto delle proprie facoltà di cura. Questo avviene perché una siffatta pratica non è sorretta da un discorso socialmente prestigioso e ampiamente riconosciuto cui appellarsi. Si evita di impegnarsi in definizioni troppo puntuali e spesso non si ricerca un riconoscimento ufficiale per paura di essere tacciati d’impostura. Tutti, certo, forniscono risposte e, anzi, molto di frequente essi stessi hanno cercato di informarsi tramite opuscoli, libri, corsi. Però la prospettiva parapsicologica non è strettamente vincolante, nel senso che non si tratta di un sostegno militante e assoluto a un sapere: ci si rende conto dei punti d’incoerenza delle teorie proposte, del loro contrastare il senso comune, e si decide di non schierarsi completamente, di non risolvere le aporie del pensiero. Se l’argomentazione cade in fallo, si passa oltre. E’ importante notare la differenza di atteggiamento rispetto a quello descritto da EvansPritchard, quando egli parla delle credenze magiche degli Azande: […] In questa trama di credenze ciascun filo dipende da ogni altro e uno zande non può sfuggire alle maglie di essa, poiché essa rappresenta il solo mondo ch’egli conosce. Questa trama non è una struttura esterna nella quale è rinchiuso. E’ il tessuto del suo pensiero, ed egli non può pensare che il suo pensiero sia erroneo 22 Non siamo, nel caso dei pranoterapeuti, davanti a una pratica talmente consueta e abitudinaria da risultare impermeabile a ogni riflessione critica: i pranoterapeuti intervistati parlano apertamente delle doti che possiedono e non danno niente per scontato (Dei, 2004: pag.47). Sanno bene che la scienza non lascia alcuno spazio in cui collocare le proprie esperienze personali. Se ne rammaricano, ma ne prendono atto: il loro atteggiamento non li porta ad abbracciare una visione dell’esistente totalmente opposta a quella dominante, quasi anti-sistema, ma, piuttosto, la strada intrapresa è quella della complementarietà e del compromesso. Ci si documenta, si cercano mezzi di certificazione e legittimazione, ma alla fine non si sa fornire una precisa spiegazione. In questo caso, vige una disposizione a credere legata saldamente alla pratica, la quale non viene formulata in termini dottrinari. Al di là dell’apparenza, le credenze sono conseguenza non meno che causa, mo22 E. E. Evans-Pritchard, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, pag.259, trad.it Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002 tivazione o ragione dell’azione: l’imposizione delle mani si fa e basta. Come Dei, ritengo che si tratti di un’adesione pre-discorsiva a certe pratiche, la quale si manifesta prima della convinzione e della razionalizzazione. Wittgenstein ne parla a proposito delle “reazioni primitive”: esistono comportamenti precedenti all’elaborazione mentale come le razioni emotive o le azioni biologiche, ma anche le pratiche simboliche: Un simbolo religioso non poggia su un’opinione […] Bruciare in effigie. Baciare l’immagine dell’amato. Questo naturalmente non poggia su una credenza in un determinato effetto sulla persona rappresentata dall’immagine. Agiamo così e ci sentiamo soddisfatti 23 In queste parole si afferma che i nessi simbolici sui quali sono fondate le pratiche magiche non sono frutto di opinioni errate, come pareva alla scuola funzionalista, bensì fanno riferimento a un più profondo strato di comprensione pre-intellettuale del mondo, una condizione trasversale a specifiche elaborazioni culturali e in qualche modo comune al genere umano. In principio sta l’azione, poi viene il pensiero. Il nesso si situa a monte rispetto al momento della credenza, sebbene ogni cultura possa sottoporlo ad elaborazione culturale, traducendolo in teorie vere e proprie. È Dei ad affermare che, nel caso della pranoterapia, ci troviamo di fronte a una disposizione a credere che avviene lungo le linee di relazioni simboliche per così dire “naturali”, aventi una sintassi naturale ed elementare. Un’altra osservazione di Wittgenstein è che le pratiche magiche non sono affatto strane e incomprensibili come ci ha insegnato la scienza, ma sono elementari e familiari al punto tale che noi stessi potremmo inventarne delle nuove: […] Potremmo benissimo inventarci noi stessi delle usanze e sarebbe un caso se in qualche luogo non si trovassero davvero. Vale a dire che il principio che regola queste usanze è molto più universale di quel che dichiara Frazer ed è presente nella nostra anima, tant’è vero che potremmo escogitarci tutte quelle possibilità 24 Ora, qual è il principio universale su cui si basa la pranoterapia? Concordo con Dei nel riconoscerlo nel contatto fisico quale forma primaria di comunicazione e nella sua associazione, altrettanto scontata, con la vita, la salute, il benessere. Non a caso tutti gli intervistati sottolineano l’importanza del “farsi sentire”, dell’ “abbattere le distanze” come basilare punto di raccordo tra guaritore e malato. Il tocco come comportamento elementare è, dunque, una reazione primitiva wittgensteiniana: esso si attua prima e indipendentemente da ogni esplicita riflessione sull’efficacia dei poteri taumaturgici e da ogni riflessione cosciente comportata (Dei, 2004: pag.49). Nella pranoterapia opera una forza benefica sprigionata nell’intimità di una relazione di affidamento tra una figura forte e una figura debole e basata prima di tutto su un contatto naturale tra corpi. Pur confinando con il paranormale, in essa non vi è nulla delle suggestioni occultistiche dal momento che i toni prevalenti cui si fa riferimento sono quelli dell’affetto e della dolcezza, del dare materno incondizionato. L’empatia assume un ruolo fondamentale. I rapporti con la medicina ufficiale Per quanto riguarda la pranoterapia, non ci si trova di fronte a un complesso teorico-pratico ben definito, giudicabile in termini di razionalità formale (Dei, 2004: pag.50). Vige piuttosto una disposizione a credere radicata in esperienze corporee e psicologiche elementari, la quale si sviluppa secondo una sintassi simbolica. Le basi del discorso sono estremamente generali: i guaritori e i 23 24 L. Wittgenstein, Note sul “Ramo d’oro” di Frazer, pag.21,Milano, Adelphi, 1975 Ibidem: 23 pazienti non costituiscono una subcultura distinta da teorie specifiche. Agli assistiti non si richiede un’assunzione ideologica, né una sorta di conversione; semplicemente, essi si inseriscono naturalmente in un ordine di idee e in uno stile di cura senza bisogno di ricorrere all’esegesi. Miranda fa riferimento al tipico atteggiamento tenuto dai suoi assistiti: sembra che quest’ultimi, ancora prima di verificare effettivamente la presenza di qualche sensazione particolare durante il trattamento con le mani, assumano un atteggiamento più rilassato, quasi si aspettassero che la visita determini immediatamente una diminuzione dello stress. […] Si sentono rilassati. Entrano in casa e dicono:- Che pace, che beatitudine! – […] E’ stato lui a dirmi: Signora è incredibile! Io una cosa così bella e dolce non l’ho mai provata! Non sento solo calore, ma anche qualcosa che mi penetra (Miranda S.) Tuttavia, la disponibilità a credere può assumere forme e gradi differenti, combinandosi con le emozioni, le aspettative, l’ansia individuali, può restare vaga oppure tradursi in esplicite dichiarazioni, può arrivare o no alla convinzione nell’efficacia della pratica. Ciò che fa la differenza è la disponibilità a edificare su una base comune un sistema strutturato di credenze pubblicamente visibile e ampiamente in contrasto con la medicina ufficiale. A questo proposito, occorre dire che le fondamenta cognitive dell’adesione alla pranoterapia non sono diverse da quelle dell’assunzione della pratica ufficiale: per molti attori sociali non è più razionale parlare di batteri piuttosto che di flusso energetico; lo dimostra la facilità con cui nella ricezione popolare assistiamo a un’osmosi tra nozioni scientifiche e valenze simboliche. A cambiare è l’autorità fondante tali discorsi. Il problema della razionalità della pranoterapia riguarda dunque il tentativo di costruire una pratica socialmente accreditata e il suo rapporto con le teorie vigenti e legittimate. Non servirebbe a comprendere la questione un approccio riduzionista che parlasse in termini di falsità-verità, né tantomeno un’adesione acritica: il focus sta nei modi in cui la pranoterapia è considerata vera e nel contratto stabilito a livello collettivo. Già De Martino, ne Il Mondo Magico, aveva focalizzato tale punto: […] Appena lo studioso si volge al mondo magico, nell’intento di penetrarne il segreto, subito si imbatte in un problema pregiudiziale: il problema dei poteri magici. Ordinariamente tale problema viene eluso con molta disinvoltura, in quanto si assume come ovvio presupposto che le pretese magiche siano tutte irreali e che le pratiche magiche siano tutte destinate all’insuccesso […] Nella nostra esplorazione del mondo magico noi dobbiamo dunque cominciare con il sottoporre a verifica il presupposto “ovvio” della irrealtà dei poteri magici, cioè dobbiamo determinare se e in quale misura tali poteri sono reali. 25 E ancora: […] il problema della realtà dei poteri magici non ha per oggetto soltanto la qualità di tali poteri, ma anche il nostro stesso concetto di realtà, e che l’indagine coinvolge non soltanto il soggetto del giudizio (i poteri magici), ma anche la stessa categoria giudicante (il concetto di realtà). 26 La medicina ufficiale è guardata con grande rispetto e deferenza: essa è un potenziale alleato in grado di conferire autorità, una pratica parallela e non oppositiva. 25 26 E. De Martino, Il mondo magico, pag.9-10, Torino, Bollati Boringhieri, 1973 Ibidem: 9-10 Luciano esprime bene questo concetto, mettendo in risalto la rilevanza della scelta del soggetto: […] Innanzitutto volevo dire che non bisogna accomunare tutte le medicine non convenzionali. Che poi, “alternative” a che, cosa sono? La medicina omeopatica, ad esempio, non è alternativa a nessuno. Io direi più che si tratta di una medicina a parte. Così come l’agopuntura e la medicina ayurvedica: è come un prisma con tante facce. Poi la persona sceglie (Luciano D.) Rita ammette apertamente l’utilità della medicina ortodossa. Per lei, essa è necessaria tanto quanto la pranoterapia, anzi afferma che, quando il male si trova in una fase troppo avanzata, bisogna intervenire con i farmaci, dal momento che, in questi casi, la somministrazione di energia è sostanzialmente inefficace. Ella pare più che altro criticare il loro abuso, ma è d’accordo con la somministrazione, purché sia compiuta da personale apposito. […] mi è capitata una cosa un po’ spiacevole nel senso che è venuto un ragazzo che stava con una spalla bloccata. Io gli ho fatto il primo intervento, quindi gli ho fatto il massaggio cercando di fare anche un po’ di pranoterapia. Però stava talmente male che lì ci voleva comunque qualcosa che gli togliesse il dolore a livello proprio medico. Quindi secondo lei la medicina ufficiale non va rifiutata… No, assolutamente no. Io mi posiziono che se c’è l’abuso di farmaci è normale che non va bene. Io sono contro l’auto-prescrizione perché c’è gente che prende le medicine perché ha visto la pubblicità in televisione oppure perché un’amica gli ha detto “prendi quella cosa che a me ha fatto tanto bene”… così non va bene! Però se il medico ti ha dato quella medicina perché tu in quel momento hai bisogno di quello… ben venga! Quindi se questo ragazzo aveva bisogno di un antinfiammatorio era giusto che lo prendesse […] (Rita C.) Anche le altre interviste ribadiscono quanto già asserito: […] La medicina non è mai da scartare perché serve sempre (Luigi M.) E nei riguardi della medicina ufficiale lei come si pone? Beh… La medicina ufficiale va benissimo, perché no? Anzi, ci sono delle cose che ci possono servire. Però, è giusto metterla insieme alle pratiche alternative. Sicuramente io non dirò mai a nessuno “non andare dal medico”, ma “vai dal medico e, nel frattempo, fai queste altre cose”. E anche recentemente ci sono stati dei begli articoli che hanno parlato della medicina alternativa come sostegno anche a chi ha il tumore per una guarigione più rapida e per una migliore gestione della chemioterapia. Quindi, ci sono già delle cose che i medici fanno, un po’ di conoscenza insomma (Enrica B.) Miranda sembra identificarsi totalmente con l’autorità medica: lei non opera mai senza che prima le siano fornite le prove ufficiali, sottoforma di analisi o diagnosi specialistiche, del male del cliente. In questo modo ella ha a disposizione un documento riconosciuto sulla base del quale praticare la cura, sebbene sia in grado di captare intuitivamente cosa non va in una persona. La sua scelta è mutuata dalla volontà di assicurarsi un’ulteriore prova a conferma delle proprie doti. Cosa pensa della medicina ufficiale? La medicina ufficiale serve. Io dico sempre ai miei pazienti:- Senza una diagnosi precisa io non posso indovinare - Perché vengono dicendo di avere un dolore alla gamba. Ma che cosa? Quale dolore alla gamba? Tu me lo devi dire cos’è. Io non sono una maga, non faccio magie […] Comunque la medicina ufficiale serve, come fai a dire di no? Non si può negare, perché anche io, quando sto proprio male, qualche cosa la prendo (Miranda S.) Nelle pagine di un manuale di pranoterapia utilizzato dall’Associazione Bioenergetica Italiana si legge: La pranoterapia vuole essere un mezzo terapeutico che, con l’incoraggiamento della medicina e sotto il controllo del medico, venga a completare, approfondire e potenziare l’effetto delle terapie ortodosse. In altri termini, essa vorrebbe essere una specie di “farmaco in più” nell’armamentario del medico e del quale il medico stesso possa servirsi in quei casi in cui sarebbe necessario arrivare all’uso di farmaci prescritti o rendere più efficace e pronta l’azione dei medesimi […] Sarebbe soprattutto auspicabile che, isolata e riconosciuta una schiera di pranoterapeuti validi ed efficaci, ogni medico, possa indirizzare a tali persone serie e di riconosciuta dirittura morale ed onestà, quei pazienti che, già in terapia, mostrino di gradire un trattamento di sostegno, di supporto e di completamento e che il medico sappia che questi soggetti agiscano sotto le sue direttive. Il tutto per il bene del malato 27 La medicina ufficiale, dunque, è vista come l’unico alleato in grado di garantire vera legittimità alla pranoterapia: non è un caso se il manuale insiste sull’importanza che ogni terapeuta operi sotto il controllo o in contatto con un medico, non solo per problemi di credibilità, bensì per un miglioramento del servizio da offrire al paziente. Solo nel dialogo con Danilo l’opposizione alla medicina ufficiale risulta netta. Nel suo caso, l’inizio della carriera come pranoterapeuta avviene dopo il riconoscimento delle facoltà guaritrici da parte di un primario ospedaliero. Precedentemente, era stato il medico di famiglia a parlargli per primo di energia e a suggerirgli l’idea di essere un guaritore. Danilo non ha timore di essere screditato: in tal senso, costui ha un atteggiamento piuttosto sui generis rispetto a quello tenuto dagli altri intervistati. Egli conduce una lotta personale contro ogni forma di istituzione, perché crede che in esse risieda un enorme potere di controllo sulle persone, ignare delle proprie potenzialità. In Europa è più riconosciuta la pranoterapia rispetto all’Italia? Tutto uguale, tutti una massa di deficienti. In che senso? Il corpo medico non la riconosce? Non è questa la questione. Il problema è che c’è la mafia del camice bianco, le lobbies delle multinazionali. Allora, con me non si guadagna. Cioè… tu hai una malattia? Ti fa male la punta del naso? Benissimo. Si fa uno studio e viene creata una pomatina. Ti mettono la pomatina sul naso: guarita. Si cominciano a costruire quintali di questa porcheria… Tu sai che percentuale ha di guarigione la medicina ufficiale sul malato? E guarda che me lo hanno detto grandi professori, mica ultimi arrivati… Non ne ho idea… Il 30% di guarigione. Io sono rimasto come uno scemo! Si invece, l’ha detto l’OMS. La pranoterapia ha oltre il 90% di percentuale di guarigione. Allora, sai perché non ci riconoscono? Un dottore che mi conosceva bene ha risposto:- Se tu vieni dentro un ospedale, in quindici giorni lo dimezzi e in un mese fai pulizia. Non guadagna nessuno, solo il paziente - Lo sai quanto prende il medico della mutua per ogni persona? Tremila lire al giorno, paga il governo, anche senza fare nulla. Per almeno 1.500 mutuati. Fai un po’ te… Ti ho detto tutto! Ti sei mai resa conto che in un ospedale diventi un numero? Non hai più un nome! E se decidono di farti guarire, ok, se no ti fanno uscire in carrozzella o peggio, se vogliono fare degli esperimenti (Danilo M.) 27 M. Inardi, O. Sanseverino, L’a,b,c della pranoterapia, pag. 50, Milano, Edizioni Maingraf, 1987 Sebbene quasi tutti gli intervistati aspirino a una stretta collaborazione con personale medico, nessuno ha poi sistematicamente tradotto in azione il desiderio a causa della diffidenza riscontrata nei propri confronti. Di solito, infatti, e nel caso in cui ci sia effettivamente stata, la relazione stabilita è di tipo occasionale e più legata a una curiosità da parte del medico che a un suo reale interesse. Questi rari episodi sono citati con un certo orgoglio, come attestati di legittimità. Marco conferma di intrattenere rapporti abituali con alcuni medici, ma solamente in privato, per verificare l’esattezza della diagnosi: […] Adesso un sacco di medici vengono da me per chiedere conferma delle loro diagnosi, perché io capisco subito i malati (Marco S.) Egli vorrebbe che fosse instaurata una collaborazione più duratura e stabile tra i due saperi terapeutici al fine di migliorare il servizio offerto all’utenza. Marco ha provato più volte a proporre progetti in tal senso ma mi dice che, dopo un primo interessamento da parte del personale sanitario, il tutto si è risolto in un nulla di fatto, quasi che i medici volessero progressivamente prendere le distanze da un qualcosa non spiegabile secondo parametri scientifici e, dunque, potenzialmente screditante agli occhi del sentire comune. […] Personalmente ritengo che i due metodi di cura non dovrebbero più essere considerati in forma alternativa, ma integrativa e complementare, aggredendo su più fronti la malattia e aumentando le possibilità di guarigione con un indubbio beneficio per l’utenza (Marco S.) Rita si sente in una situazione di marginalità, accerchiata dai pregiudizi della gente: non solo la chiusura mentale delle persone, ma anche il timore espresso dai medici di rovinare la propria immagine professionale. Secondo lei è possibile una collaborazione tra il medico ufficiale e il medico non convenzionale? Ecco questa cosa la vedo molto bene e indispensabile, soprattutto per i pazienti. Se ci fossero dei medici con vedute un po’ più aperte… anche loro potrebbero trarne i loro benefici… Ma non le hanno mai proposto nulla? Proposto loro no. Per me si vergognano, hanno paura di screditarsi.Io ho provato con un pediatra, ma lui non era interessato e così è passata. Ultimamente mi hanno proposto di fare delle terapie a dei bambini in un ospedale però è un’associazione non ufficiale, quindi non so se questa cosa andrà in porto, se l’ospedale accetterà questa cosa. Sarebbe bello sia per me come soddisfazione personale, sia per i bambini perché comunque avrebbero un’altra figura che non è quella dell’infermiera che gli attacca le flebo e che gli fa le punture. Una figura diversa… E poi sarebbe bello come riconoscimento della medicina alternativa e naturale (Rita C.) Ettore fa una distinzione tra medici e dottori, che spiega in questa maniera: […] Innanzitutto io distinguo tra medico e dottore. Il dottore è solo uno scrivano che prescrive medicine e delega tutto alle macchine. Invece il medico è più serio e, infatti, ho lavorato con diversi medici e non ho mai avuto dissapori. E non sono stato io a cercare la collaborazione, perché questi mi hanno portato i loro familiari. E io ho risolto. Comunque il medico è disponibile, il dottore no (Ettore B.) Al di là delle differenze, tutti parlano di un clima generale ostile, sebbene si riscontri la presenza di singole personalità mediche che, “illuminate”, sarebbero pronte a studiare seriamente la pranoterapia per farla accettare anche a livello ufficiale. Valeria, ad esempio, è di questo parere: In genere l’atteggiamento dei medici è di apertura o di chiusura? A seconda del medico. Ci sono quelli che si interessano e quelli che non vogliono. Ma, secondo me, ci credono tutti, solo che non lo vogliono mica ammettere! Hanno studiato tanti anni, tante cose. E la pranoterapia è una cosa nuova… capito? È una nuova scoperta… che male c’è? Si guarisce! Lo vedi! Vedrai che piano piano (Valeria S.) Anche Miranda la pensa così. Nel suo caso, molti contatti con il personale medico si sono svolti in maniera ufficiosa, spesso lei stessa è venuta a sapere dopo molto tempo che alcuni suoi clienti erano dottori. Lei da sola non ha mai cercato collaborazioni? No. Mi piacerebbe tanto lavorare all’ospedale. Qualche volta sono pure andata. Ma solo da pazienti che conoscevo, tutto di nascosto dai dottori. Che poi… di nascosto… loro lo sanno anche, però… non vogliono ammetterlo. Sono stata anche due mesi a Roma da un ragazzo che era in coma. Poi ho smesso perché lo hanno trasferito troppo lontano. Lì il dottore sapeva che facevo la pranoterapia ed era d’accordo. Comunque, in genere, l’atteggiamento del corpo medico è di chiusura… Eh si! Scetticismo purtroppo. I medici non vogliono accettare la pranoterapia! E’ la scienza che non vuole! Sono più i medici contro. […] Sono venuti a curarsi anche dottori qui. Alcuni si interessano, ma la maggior parte no. Una volta è venuto un omeopata, ma non mi ha detto che era medico. L’ho scoperto poi, guardando la televisione. Oppure è venuto un dottore di case farmaceutiche con un forte dolore alla schiena. Era disperato, non sapeva più che provare. Già dopo due o tre giorni il dolore si è attenuato. Era un tipo stressato, quando veniva qui e gli facevo la terapia, si rilassava così tanto che si addormentava sul lettino (Miranda S.) Un motivo della scarsa accettazione frequentemente citato è visto nell’instaurazione, da parte dell’istituzione medica e farmaceutica, di un potere economico enorme sulla vita della comunità, il quale, se messo in discussione tramite la diffusione di pratiche di cura alternative, potrebbe causare enormi disagi ai suoi detentori, prima di tutto la perdita di un ferreo controllo sulla vita del cittadino. Enrica, ad esempio, fa un discorso molto chiaro a tal proposito: E lei cosa ne pensa dell’opposto pensiero della medicina? Ah, guarda! A me non interessa. Non mi importa lo scontro e lascio che ognuno faccia le proprie scelte. Infatti se un cliente vuole prendere delle medicine, ok… quando sarà pronto per fare scelte diverse, le farà. Si certo, se poi diciamo che la medicina ufficiale è forte, va bene, però non mi metto a criticare… ognuno di noi ha un proprio cammino, bisogna aspettare il giusto momento, bisogna essere maturi… però, d’altra parte la maggior parte delle persone ha bisogno di una risposta scientifica, no? Vuole toccare con mano e vedere. Adesso poi alcuni scienziati hanno imparato alcune pratiche, ma queste cose non sono pubblicizzate, eh… capisci… danno un grande potere…no? Perché se ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, io non devo più dipendere dagli altri e il medico perde forza, no? Allora, capisci che c’è un togliere potere a tutto quello che è business molto forte. Se io invece ho una atteggiamento tipo “oh, io vado dal medico perché lui capisce e io no, lui può…” beh, si il medico perde forza, no? Perché io sono responsabile della mia salute, lui al massimo dà consigli, ma la vita è mia e la salute è la mia: cambia completamente l’atteggiamento. Quindi, capisci che non conviene a chi è in un certo giro… a parte la difficoltà di aprirsi a certi concetti e di verificare […] io non la vivo come un qualcosa che può schiacciare le medicine alternative perché penso che le persone fanno una scelta di qualità di vita. Se scegliamo una qualità di vita viviamo in un modo, se invece ci convinciamo che è importante tutto quello che ci arriva dalla nostra società, è un altro discorso. Ognuno comunque è libero (Enrica B.) La poca attenzione rivolta alla pranoterapia è attribuita altresì alla mancanza di controllo sui praticanti e al proliferare indiscriminato di impostori, i quali sono interessati unicamente ai benefici economici, senza scrupolo per la fiducia rivolta loro dai malati. Mario è particolarmente insistente su questo punto: […] Io non sfrutto la gente, invece tanti lo fanno. Le persone poco serie non vogliono dare un aiuto, ma solo guadagnarci. Se non c’è serietà, dietro è tutto interesse e non è giusto. Come adesso, che ognuno si professa guaritore o dice di vedere i morti o la Madonna. Ma quando mai? Tutti in televisione… lì è solo mercato. Ci vuole serietà. Io potrei pure pubblicizzarmi, ma non mi interessa. E’ una questione di coscienza […] la professionalità che oggi si richiede in tutti i campi pretende che anche la bioenergia divenga una rigorosa scienza. Ciò può indubbiamente aiutarla ad affrancarsi dall’azione negativa di tanti truffatori che non danno alcun contributo reale (Mario S.) Più in generale, tutti concordano sulla necessità di regolamentare il settore, introducendo forme di controllo e criteri di valutazione. Ora, mi sembra alquanto difficile stabilire quali sistemi di certificazione, dal momento che non esistono mezzi oggettivi nè scientifici per accertare la presenza delle facoltà pranoterapeutiche. La propria serietà rispetto alla massa è sempre sottolineata. Ci si rende conto che la medicina ufficiale al più considera la pranoterapia come “coadiuvante”, una sorta di effetto placebo, lasciando a essa uno spazio laterale. La chiusura è sempre attribuita al settore ufficiale e, a volte, assume la forma di una rinuncia in partenza: molti degli intervistati dichiarano che non sono interessati a una collaborazione poiché conoscono il clima generale che circonda le loro esperienze. Dal punto di vista istituzionale, dunque, la pranoterapia si configura quale anomalia empirica non assorbibile nel paradigma dominante. Concordo con Dei nel ritenere il rapporto tra i due poli diverso da quello che caratterizzava la relazione con la medicina popolare della tradizione, incentrata intorno alla netta contrapposizione tra progresso e arretratezza, ragione e superstizione. Oggi il linguaggio medico costituisce un sapere diffuso e la medicina non ha più nuovi territori da conquistare, bensì avamposti da difendere (Dei, 2004: pag.55). La pranoterapia, per così dire, tenta di introdursi nelle falle. Una forma di legittimazione proviene dall’adesione al movimento olistico. Le critiche più diffuse alla corrente ufficiale riguardano la sua incapacità di far fronte a patologie generate dalla modernità con il suo stile di vita frenetico e lo scarso interesse per l’interiorità della persona: l’inquinamento e lo stress sembrano aver preso il posto delle malattie infettive. Spesso la medicina è vista come una sorta di “complice” di uno stile di vita disumanizzante, intossicando il corpo e danneggiandolo in alcune costituenti nel momento in cui se ne curano altre. Si pone il dito sulla piaga dell’insoddisfacente rapporto instaurato con un paziente bisognoso di calore e affetto, parcellizzato nei suoi organi e nelle sue funzioni corporee. In particolare, la figura del medico pare aver perduto l’aura carismatica e taumaturgica di un tempo, così come la fiducia incondizionata degli assistiti: si ritiene allora normale che questi cerchino altrove modalità di cura più soddisfacenti. Argomenti del genere sono il perno che i pranoterapeuti utilizzano per giustificare la propria pratica; tuttavia, quasi a cautelarsi da ogni eventuale accusa, tutti gli intervistati specificano che, seppure nella maggioranza dei casi il corpo medico assuma le caratteristiche da loro esposte, esistono comunque bravi dottori in grado di fare la differenza e dare una svolta innovativa al sistema, persone capaci di parlare con l’utente, di non ridurre il proprio lavoro a pratica burocratica. In ogni caso, poi, i guaritori tengono a sottolineare il fatto che le loro non sono critiche, quanto piuttosto constatazioni di fatto e che, quindi, loro non vogliono assolutamente parlar male della corrente ufficiale. Negatività La pranoterapia gioca la sua legittimità nel progetto di costruzione di un diverso discorso su malattia e salute, la sua possibilità di affrancarsi dal retaggio della tradizione magico-religiosa, oggetto di vergogna e disistima medica. Tale novità vuol dire innanzitutto maggiore sensibilità psicologica e contatto umano, un più fondo “dar senso” capace di configurarsi in termini etici. Ma i modelli di riferimento sono recuperati dal passato o prefigurano soluzioni post-moderne? Dei è del parere che la pranoterapia non può sfuggire a una sotterranea ambivalenza tra differenze progressive e regressive: pare destinata a restare in equilibrio tra avanguardia e retroguardia: il recupero di elementi “arcaici” estratti dal contesto originario, demitologizzati e combinati in molteplici patchwork, è una sua intrinseca caratteristica che la ricollega all’oggi. Uno di questi è il concetto di negatività. Per Luciano, essa è una delle qualità di cui è costituito il mondo, la quale ha il suo opposto nella positività. Entrambe agiscono a livello energetico sugli individui, che sono influenzati dalla presenza di queste due forze. Perché un soggetto sia in armonia con Sé e con il mondo circostante, occorre che i suddetti poli siano in un rapporto pari e contrario, senza che si produca alcuno squilibrio. Positività e negatività sono date naturalmente, la loro presenza è indiscutibile come quella del Sole e della Luna: Positività e negatività cosa sono? Due poli differenti. Non si tratta del caso della persona negativa, della negatività dell’essere. Sono due opposizioni con ognuna un senso a sé. Poi, c’è l’energia negativa che influenza come siamo fatti. Ad esempio, quando si frequentano brutte persone: si diventa come loro, ci si lascia trasmettere energia. La persona si può mettere in una trama energetica che lo influenza, subendone le conseguenze. Ciò accade anche con l’energia positiva e l’influenza benefica. Per l’equilibrio l’essere umano non deve essere sbilanciato, non si deve possedere in toto una delle due forme energetiche. Tutto è determinato dalla Ying e dallo Yang: il giorno e la notte, il Sole e la Luna, l’uomo e la donna. È una continua contrapposizione (Luciano D.) Luciano non ritiene che l’energia sia un qualcosa di neutro, differenziabile in base all’intenzione di chi la emette. Per lui, essa si presenta nel mondo in due forme a sé stanti, con caratteristiche distinte, e concretamente agenti in un moto continuo. La loro natura è, dunque, differente. L’energia, secondo le asserzioni degli intervistati, può essere orientata sia verso il bene che verso il male. Tutto dipende dalla volontà del soggetto che la emette. Essa è concepita come una forza che può essere negativa o positiva in dipendenza dello stato d’animo e della disposizione del soggetto. Quando parlo di negatività con Valeria, ella fa subito riferimento al malocchio, affermando di non credere in esso, sebbene in modo un po’ titubante. Costei, più che altro, tende ad attribuire la negatività a un erroneo atteggiamento nei confronti della vita, al pessimismo, il quale favorirebbe l’insorgenza di disturbi psicosomatici. Pare attribuire la credenza nel malocchio solo ai suoi assistiti, considerandola magari un mascheramento di problemi di altra specie. Comunque, Valeria è convinta che l’essere umano sia costituito di energia, distinguibile per qualità appartenenti però, a differenza di quanto ritiene Luciano, ad un’unica sostanza. Per me il malocchio non esiste. Io me le tolgo da sola le energie negative. Poi non so se c’è davvero il malocchio, tanto non ci credo. L’ho pure conosciuta una maga, perché da giovane ho abitato a Cisterna. Lì c’era la maga Marina che faceva le carte e spesso indicavo la sua casa alle persone che ci andavano. Poi, quando incontravo la maga per strada, lei mi diceva:- Tu non mi vieni mai a trovare, non hai bisogno di me - Io allora non sapevo… qua non è mai venuto uno che diceva di avere la fattura e voleva aiuto per toglierla. Anche perché io di carte non so niente e neppure dell’olio. Faccio solo pranoterapia: hai mal di testa? Ti tocco e ti passa… ecco tutto. Poi, uno la negatività se la fa venire. Quando pensi sempre male, con la depressione, l’invidia… Ci vuole pensiero positivo! Secondo lei siamo fatti di energia… Si, di energia buona ma anche cattiva che ci fa ammalare. Se abbiamo dei dispiaceri può venire qualcosa. Ci sono persone piene piene di energia negativa. Poi non so come funziona l’energia, so solo che ce l’abbiamo dentro e quando lavoro esce (Valeria S.) Ettore dà un’interpretazione personale del malocchio: a suo parere, esso è ascrivibile alla forza del pensiero, la quale viaggia tramite flussi energetici non visibili a occhio nudo, ma percepibili psichicamente. Ora, mi sembra di capire che, normalmente, questo spostamento di onde non dà fastidio alla persona che lo avverte. Solamente nel caso in cui un individuo abbia sviluppato uno squilibrio psicosomatico, quindi sia in un certo qual modo un “soggetto debole”, l’influenza della forma energetica estranea a quella natale può causare l’insorgere della malattia. Per Ettore non c’è alcun legame di tipo magico: si tratta semplicemente di un’interferenza energetica che fa parte di un processo naturale di comunicazione, ma che, in dati casi, risulta lesiva. Secondo lui, l’antico stratagemma dell’olio funziona perché quest’ultimo è un buon conduttore e riesce a sciogliere quel “legame” che si era creato al contatto di un’energia estranea a quella propria. […] ho capito cos’è il malocchio. In sintesi: il pensiero, lo sguardo, è energia che viaggia. L’energia si muove, se no non ci sarebbe telepatia. Anche la vista viaggia. Ad esempio, se tu stai da una parte della strada e una persona che conosci ti sta guardando, ti giri perché non la avverti a livello fisico, ma a livello psichico. L’energia ti arriva e la tua entità ti avverte. Ovvero, quando arriva a contatto con la tua aura psichica, c’è una resistenza. Ma tu ti giri e risolvi il problema. Però, nel caso che l’aura psichica è traumatizzata, non ti avverte: lo sguardo arriva e ti entra dentro. Dopo di che la tua entità si preoccupa dell’energia estranea e quindi fa uno sforzo a toglierla e tu ti ammali. Quando uno ti toglie il malocchio, usa l’olio che è un ottimo conduttore energetico. Perciò, passando la mano con l’olio, si scarica l’energia (Ettore B.) Miranda, invece, parla esplicitamente di fatture, tenendo a specificare che, quando fa riferimento alla negatività, intende proprio quest’ultima. Costei non sa come eliminare il legame magico, perché non conosce i mezzi tecnici usati a tal fine. In più, la grande difficoltà riscontrata nell’approccio con il tipo di paziente che sia stato vittima di fattura sta nel fatto che ella non può toccarlo, perché si sente male oppure inizia a sbadigliare di continuo. Miranda, dunque, forse a causa della sensibilità spiccata, possiede la facoltà di individuare i soggetti colpiti, ma non quella di curarli. In casi simili, infatti, costei denuncia la propria incapacità d’intervento. Per lei, il concetto di negativo rappresenta un elemento di continuità con le vecchie pratiche magico-religiose: mutati i nominativi, rimane la sostanza. Negatività e fattura sono la stessa identica cosa, solo che oggi le persone preferiscono far riferimento al primo termine. Dunque, per lei esiste la negatività? Si, esiste. Io non ci credevo quando me ne parlavano. Non capivo se era vera o no. Non ci credevo… e invece. In quindici anni ne ho sentite tante di storie, anche di brutte… Se una persona ha della negatività addosso, non la posso toccare, mi sento male. Mi è capitato due o tre volte. Ma non parlo di negatività come di una brutta malattia, tipo tumore… si tratta proprio di una cosa brutta come la fattura. Che poi è la stessa cosa, solo che oggi uno preferisce dire “negatività”…Io non ci credevo, poi mi sono informata anche vedendo padre Amort in televisione, sai l’esorcista… perché io non posso toccare quelle persone, mi sento male, pare che mi scarico completamente. In questo caso che fa? Dico:- Io non posso toccarti, mi sento troppo male! - Loro stessi lo capiscono e tornano dopo un po’ di tempo quando si sono fatti togliere la fattura. Io non ci credevo, però… quando tornavano, potevo toccarle. In quei casi la persona ha una cosa dentro che mi respinge, non saprei spiegarlo. Per fortuna mi è capitato poche volte. Una mamma una volta mi ha portato il figlio con il diabete. Io ero un po’ titubante, perché il diabete è difficile da curare, però ho voluto provare, vedere se magari migliorava un po’… Ogni volta che toccavo questo bambino, sbadigliavo anche quindici volte. Non mi era mai successo con nessuno. Era strano. Allora ho detto alla mamma:- Senti, ma questo bambino lo hai mai fatto benedire? - E lei:- Eh! Sapessi! Mio figlio ha una fattura - Adesso, in effetti la cosa era strana perché io sbadigliavo solo con questo bambino! Con le altre persone no! E la madre mi ha detto che la fattura era stata fatta da una sua amica gelosa perché lei non aveva figli. Sapeva che era stata lei perché ogni volta che il bambino passava davanti casa di questa amica, si sentiva male. Ora, io non lo so. Ti dico solo quello che è successo (Miranda S.) Anche Luigi fa l’identica associazione di Miranda, chiamando in causa un universo magicoreligioso di cui la fattucchiera citata è diretta espressione. Profondamente credente, egli vive in una dimensione dell’esistenza totalizzante: il mondo è terreno di lotta tra forze del Bene e forze del Male. Proprio attraverso queste ultime, personificate dalla figura del Demonio, agirebbe la negatività sottoforma di legame intenzionalmente volto a far danno al prossimo. Secondo Luigi, l’unico mezzo di difesa dalla fattura è la confessione e la comunione: un sistema di vita retto garantisce il singolo dal negativo. Si esprime così la qualità morale delle energie presenti nel mondo. […] (le fatture) Eh… esistono, si si! Quella è opera diabolica! Proprio il diavolo, si si! Funziona quando il diavolo si impossessa di qualcuno… quando una persona vuole fare del male a un’altra persona si presenta da una fattucchiera […] Ma poi queste cose non tutte attaccano, intendiamoci eh? Perché quando viene la gente, io la prima cosa che dico è:- Vai a confessarti e a fare la comunione, poi ritorna - Se la persona si sente forte, va a messa, è praticante, si fa le comunioni la fattura attacca molto di meno perché la persona è fortificata, è protetta (Luigi M.) Mentre l’energia positiva pare trasmettersi involontariamente, quella negativa necessita di una specifica presa d’atto e di un consapevole sforzo di volontà, alimentandosi di invidie ed egoismo. Per Luigi, il negativo si manifesta in un continuum di gradi a seconda dell’intenzione di chi emette energia malefica. Ritorna in lui, seppur non esplicitamente, la distinzione tra malocchio e fattura. Il primo sarebbe dovuto alla semplice invidia e provocherebbe disagi minori; la seconda necessita di una forte presa di coscienza in senso negativo e dell’intervento di una maga che operi attraverso il Diavolo. In questo caso, il danno provocato al soggetto colpito è maggiore. […] Il male si trasmette con la volontà: ad esempio, se tu pensi male di qualcuno, tipo invidia, non è che ti viene un grande danno. Però se tu proprio vai dalla maga, lì c’è una grande volontà diabolica e quindi è peggio (Luigi M.) Come gli individui possono emettere energie positive e benefiche, così possono diffondere energie negative e maligne. Il problema della salute e della malattia, come anche della fortuna o della sventura, del successo e dell’insuccesso, deve essere letto nel contesto di questa fondamentale opposizione tra forze al tempo stesso naturali e morali, dotate di senso e oggettive al contempo. Si riscontra in ogni narrato un uso pervasivo del termine “negatività”, divenuto quasi una nozione-ombrello, un contenitore empiricamente vuoto capace di raccogliere un’intera implicita visione dell’esistente (Dei, 2004). Essa sta nel mondo e, in misura maggiore o minore, la si ritrova ovunque: le energie circolano lungo i canali delle relazioni e della comunicazione sociale. Marco esprime bene questo concetto: […] L’energia sta dappertutto. Perché due individui si trovano bene insieme? Perché le loro energie sono pari e contrarie, stanno in sintonia sulla stessa tonalità. Infatti, il grande amore esiste: si ha quando due persone stanno sulla stessa vibrazione di identica intensità. Allora avviene l’incastro. Ma questo avviene pure nelle comunicazioni di tutti i giorni, ad esempio con la simpatia e l’antipatia. Dipende dalla sintonia energetica, no? Se due non si sopportano, non possono stare insieme, perché se no si fanno danno a vicenda. Infatti che succede? Che il pensiero manda input sottoforma di onde e, quindi, se tu pensi male di una persona, a quella arriva il male, no? Anche l’invidia alimenta la negatività. Poi, se uno è poco poco predisposto, magari perché sta attraversando un brutto periodo, si piglia qualcosa. E’ una questione di energia positiva e negativa. (Marco S.) L’ordine energetico è una riproduzione di quello collettivo. Simpatia e antipatia assumono i connotati di nozioni morali, divengono forze operanti concretamente. Le relazioni interumane sono percorse da onde mentali positive e negative in grado di influenzare l’agire e provocare benessere o malessere: i sentimenti antisociali possono aggredire l’integrità psico-fisica dell’individuo, il quale dovrebbe costantemente stare in guardia. In questo scenario, il pranoterapeuta si caratterizza per essere una sorta di roccaforte di positività, uno strumento del bene. È’ ancora Marco ad asserire: […] Io però sono protetto, non mi può succedere nulla perché ho sviluppato le difese mentali (Marco S.) Le sue difese sono inviolabili e, in virtù di ciò, gli è più facile aiutare gli altri a difendersi dal negativo, irradiando energia di polo opposto. Rita ritiene di essere una sorta di sorgente di energia benefica, capace di attrarre le persone in virtù della qualità delle onde emesse: […] E’ come se fossi una specie di polo di energia buona, che forse la gente sente perché io ne ho più degli altri, perché la mia energia è più forte (Rita C.) Peppino, guaritore di campagna, è completamente inserito nelle maglie dell’ideologia del malocchio e della fattura, di cui parla esplicitamente. Egli ricalca la figura familiare del mago al quale si ricorre sia per cose minute sia per disturbi cui non si sa dare nome specifico, identificabili genericamente con uno stato di disagio. A questo proposito, lui stesso fa riferimento a uno stato di spossatezza mentale e fisica, che impedisce al soggetto di agire perché lo priva della forza vitale necessaria ad affrontare la quotidianità. […] stai sempre a dormire, ti senti giù, non fai niente, non hai voglia, sei stanchissimo. E’ come se non sai più cosa fare, se il corpo non lo muovi più tu… (Peppino L.) A ben vedere, ciò assomiglia molto alla “crisi della presenza” studiata da De Martino (1959). In Sud e magia, egli afferma: […] Esserci nel mondo, cioè mantenersi come presenza individuale nella società e nella storia, significa agire come potenza di decisione e di scelta secondo valori […] lo smarrirsi di questa potenza, il venir meno della stessa interiore possibilità di esercitarla, costituisce un rischio radicale che rispetto alla presenza impegnata a resistere senza successo all’attentato si configura come esperienza di essere-agito-da, dove l’esere-agito coinvolge la totalità della personalità e delle potenze operative che la fondano e la mantengono 28 E ancora: […] I sentimenti di vuoto […] consistono nella perdita di autenticità di sé e del mondo, onde il fluire della vita psichica è accompagnato da un senso di estraneità, di artificialità, di irrealtà e lontananza, che colpisce sia il corso dei propri pensieri, sentimenti e azioni, sia la esperienza della realtà oggettiva.29 Per far fronte al crollo della stessa possibilità di farsi centro di decisione e di scelta secondo valori, la magia interviene come strumento di compensazione del negativo. Essa, con l’ideologia della fascinazione e della fattura, offre un quadro rappresentativo stabile, socializzato e tradizionalizzato, nel quale il rischio di alienazione delle singole presenze si converte in ordine metastorico, cioè in un piano in cui può essere effettuata la ripresa e reintegrazione del rischio. L’affidamento del cliente si basa sul convincimento che, poiché ogni cosa ha una causa, questa potrà essere efficacemente contrastata dal terapeuta. Sapere che si deve recitare una determinata formula, seguire quella specifica procedura, restituisce all’individuo titolarità d’azione. Peppino può sempre rimediare al danno arrecato dalle invidie altrui, perché fa qualcosa e questo suo agire restituisce al malato la convinzione che, facendo, si possa guarire. […] Io tolgo le fatture con le mani Come le riconosce? A sapere lo vedi quando s’attacca il sangue: stai sempre a dormire, ti senti giù, non fai niente, non hai voglia, sei stanchissimo. E’ come se non sai più cosa fare, se il corpo non lo muovi più tu… Quante volte deve venire una persona prima che la fattura sia sciolta? Tre volte. A tutti tre volte. […] Uno deve tornare tre volte, ma certi stanno troppo carichi di male, di malocchio, e devono tornare di più. Una volta è venuta una signora con il male al ginocchio da tanti giorni. Non riusciva a camminare. Io ho fatto i passaggi con le mani sulla gamba gonfia così. E’ tornata tante volte, ma poi è guarita. Uno torna tre volte per tre giorni di seguito. Vale pure se metto le mani una volta sola, ma tre è meglio perché è più potente. Però le donne incinte e quelle con le mestruazioni non le posso trattare perché se no faccio danno: i bambini nascono ciechi, si abortisce o ti viene un’emorragia. Se ne accorge se qualcuno ha una fattura senza che glielo dica? Ad accorgermene me ne accorgo, ma non lo posso dire. Ma tanto te ne accorgi tu stesso. Il contesto delle relazioni sociali è percorso di continuo da forze minacciose e malefiche da cui occorre costantemente stare in guardia. L’invidia corre lungo i canali della comunicazione inter28 29 E. De Martino, Sud e magia, pag.99-100, Milano, Feltrinelli, 2001 Ibidem: 99-100 personale e opera concretamente nel mondo tramite una volontà spinta verso il male. Occorre che il soggetto sia sempre diffidente nei confronti di ognuno, specialmente di chi frequenta abitualmente. Come fa una persona a farti la fattura? Per l’invidia, se uno ti vuole male. Ad esempio, se tu hai il ragazzo e una tua amica no, quella ti fa la fattura perché è invidiosa. Oppure se hai una bella casa, una bella macchina. Infatti, l’altro giorno stavo in bicicletta e ho incontrato una ragazza a cui non si metteva in moto la macchina. Io ho fatto il segno della croce sulla macchina e gli ho passato le mani sopra e quella è partita. Ci si può difendere dalla malvagità? Eh, devi stare accorto [attento]. Per esempio, devi stare attento che non ti mettano polverine nell’acqua o nel caffè. Devi essere diffidente verso tutti, pure i conoscenti stretti. […] A me però il male non attacca, sono protetto. Non mi è mai successo niente di brutto. Io sono potente (Peppino L.) Tutte le riflessioni riscontrate presso gli intervistati non solo sono tipiche della cultura magico-esoterica e di alcuni settori dell’olismo, ma costituiscono anche parte di un linguaggio comunemente accettato, assai diffuso e pervasivo. Se riconosciamo una certa continuità tra l’odierno discorso sulla negatività e l’ideologia tradizionale del malocchio, non possiamo aderire alla tesi che vede in quest’ultimo una delle caratteristiche distintive di comunità a stretta cerchia di individui, in cui permane una tipologia di rapporto faccia a faccia e una staticità di ruoli sociali. In simili contesti, il malocchio avrebbe una funzione stabilizzatrice dell’equilibrio collettivo, assorbendo la conflittualità interpersonale e convogliandola verso sbocchi di coesione (Gallini 1973). Ma la negatività oggi diviene parte di un contesto culturale complesso e mutevole, in cui l’identità personale non è più definita dalla collocazione in un ristretto e statico gruppo. Tuttavia, è possibile riscontrare che l’idea di negatività rimane comunque all’interno di una cerchia ristretta di individui, se è vero che essa agisce tra conoscenti. Ciò che muta è la fenomenologia di manifestazione, divenuta maggiormente varia e complessa, di pari passo con l’accrescersi della molteplicità delle relazioni umane. La famiglia è il loro ambito privilegiato e primario, il luogo più idoneo all’emergere di sentimenti potenti e contrastanti, così come il vicinato o la rete di amicizie. La malattia fisica, la depressione psicologica, la sfortuna o le difficoltà nella vita sono tutte manifestazioni del negativo, combattute con mezzi che, seppure provengono da una tradizione consolidata, assumono forme eterogenee e si riplasmano con costanza. BIBLIOGRAFIA 1. T.W. Adorno, Stelle su misura. L’astrologia nella società contemporanea, Torino, Einaudi 2. T.W. Adorno, Superstizione di seconda mano, in Scritti sociologici, Torino, Einaudi,1972 3. T.W. Adorno, Tesi contro l’occultismo, Milano, L’Erba Voglio 4. P. Apolito, Lettere al mago, Napoli, Liguori editore, 1980 5. M. Augé e C. Herzlich (a cura di), Il senso del male. Antropologia, storia e sociologia della malattia, Milano, Il Saggiatore, 1983 6. G.Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, Bari, Laterza, 1978 7. F. Basaglia Ongaro, Clinica, in Enciclopedia, cit., vol. III, 1978 8. Bateson G., Mente e natura, Adelphi, Milano, 1974. 9. P. K. Bock, Antropologia culturale moderna, Torino, Einaudi, 1978 10. E. 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